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LITERATURA CATALANA MOD.

1 - PATRIZIO RIGOBON

Il programma:
1. Introduzione alla storia e alla cultura catalane: contiguità e diversità tra Spagna e
Catalogna: problema che si è posto in modo molto significativo (e in modo deciso) proprio
recentemente, nel 2017, quando si è tenuto un referendum in Catalogna. Momento che ha
sancito rottura e divisione che nella storia si è concretizzato in diversi momenti. Le opinioni
degli indipendentisti - coloro i quali sostengono che ci sono delle diversità tra la Catalogna e la
Spagna castellana: essi individuano dei punti focali in cui si sarebbe diversificata la storia
catalana da quella spagnola: 1) unione del regno castellano-aragonese con la corona spagnola
non è avvenuta per comunanza di cultura, ma solo dinastica; 2) nel 1714 in Catalogna finisce la
guerra di successione europea che si scatenò nel 1700 quando morì Carlo d’Asburgo senza
successione. Molte potenze europee mettono gli occhi su quel trono. Con la guerra di
successione abbiamo una scissione perché i catalani sostengono la causa del duca Carlo
d’Austria contro i Borboni che ambiscono allo stesso trono. Abbiamo due partiti: quello filo-
borbonico e quello filo-asburgico (sostenuto dalla Catalogna). Nel 1714 vi è l’assedio di
Barcellona: Carlo V di Borbone assedia Barcellona, la conquista, facendo crollare l’alleanza
anti-borbonica e annettendo la Catalogna alla Corona Spagnola. A partire dal 1714 c’è una forte
“castiglianizzazione” delle istituzioni catalane: non si può più discutere nelle aule di giustizia in
lingua catalana; agli istituiti di amministrazione territoriale vengono sostituiti quelli in vigore
per tutto il paese. Si arriva poi a una rinascita, a una nuova identità catalana nel 1833 con il
Rinascimento: rivalutazione della propria lingua, della propria cultura con un grosso peso
politico.
2. Gli spagnoli e la Catalogna. I catalani e la Spagna: Valentí Almirall ed Enric Prat de la
Riba.
3. "Modernisme" e "Noucentisme": istituzioni politiche e tradizione letteraria: due
movimenti culturali e letterari che hanno una grande rilevanza nell’affermazione della cultura
catalana con due visioni molto diverse: Modernismo come recupero della parola popolare, della
lingua viva, Novecentismo come espressione di lingua colta, rivolta all’élite culturale di lingua
catalana, che cerca di adattarsi agli standard delle altre lingue e culture europee (es. traduzione
dei classici latini e greci in catalano).
4. La Seconda Repubblica e la guerra civile: momenti più conflittuali in cui si manifesta da un
lato l’individualità catalana, ma dall’altro la Catalogna sosterrà la causa repubblicana e sarà
l’ultima zona a cadere nelle mani dei nazionalisti (La Plaça del Diamant, e Incerta glòria).
Romanzi che alludono a perdite, a relazioni che affondano le proprie radici nella guerra civile.
5. La rinascita letteraria contemporanea: fine della dittatura franchista (1975), periodo in cui la
lingua catalana non era tollerata.
6. La Catalogna oggi: le relazioni tra Spagna e Catalogna negli anni dal punto di vista storico, ma
anche letterario. La lingua catalana ha avuto momenti di persecuzione accesi, soprattutto nel
periodo franchista. Diverse ondate migratorie da zone ispanofone che non ha fatto venire meno
l’idea indipendentista e separatista. Il problema catalano non sarà dimenticato o messo da parte.
La Catalogna oggi ha recuperato la sua lingua (ad oggi lingua co-ufficiale). Il catalano non si
parla solo in Catalogna: si parla anche in altre realtà contigue della Spagna (es. Comunidad
Valenciana - valenzano -, Isole Baleari, Ibiza, Formentera), della Francia (es. il dipartimento dei
Pirenei orientali) e dell’Italia (es. Alghero). Il catalano è anche lingua ufficiale di Andorra, un
principato. Tuttavia, nessuna di queste realtà ha il catalano come lingua esclusiva, che vive
come una lingua in stato di subordine. Revisione dello statuto d’indipendenza del 2003: il
Partito Popolare ha cominciato a raccogliere firme contro questo testo approvato sia dal
governo catalano che da quello spagnolo. La raccolta di firme ha successo: nel 2010 la Corte
Costituzionale Spagnola dice che alcuni degli articoli sono incostituzionali: mentre il nuovo
statuto prevedeva che la lingua fosse preferibilmente il catalano, il giudice della CC metteva in

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dubbio il perfetto bilinguismo. Da qui si scatena una protesta di piazza al grido di “vogliamo
l’indipendenza”.

1. INTRODUZIONE ALLA STORIA E ALLA CULTURA CATALANE: CONTIGUITÀ E


DIVERSITÀ TRA SPAGNA E CATALOGNA
La Catalogna nelle carte geografiche
Carta della Catalogna di fine Quattrocento: le prime rappresentazioni (così dettagliate) della
geografia europea ripropongono i nomi delle città non in lingua spagnola, ma in lingua catalana: la
lingua catalana era la lingua abitualmente d’uso per definire tutta la cultura di quest’area della
Spagna.
Carta di Sebastian Muenster del 1542: si nota come non vi siano confini geografici ben delineati,
ma la Penisola Iberica si presenta come un insieme caratterizzato da aree di diversa denominazione.
Anche qui i nomi restano in catalano nell’area della Catalogna Vecchia (quella che ha meno
risentito della presenza islamica). Un’altra carta di Muenster della prima metà del XVI secolo
mostra un confine tracciato, quello di un'entità statale più ampia, la Spagna, e quello di un’entità
statale più ristretta e compatta, il Portogallo. Lérida, differentemente dalla carta precedente, in
quest’ultima presenta il nome in spagnolo: si potrebbe dedurre che, trattandosi di una zona più
vicina all’area ispanofona, in quel contorno fosse più utilizzato il castellano.
Una carta dettagliatissima dal punto di vista politico è quella di Pieter Van Der Keer, ovvero Petrus
Kaerius (1571-1646), redatta agli inizi del Seicento. Ancora una volta permangono i toponimi
catalani quasi dappertutto. La ricchezza dei toponimi è determinata da una maggiore conoscenza del
territorio. Nessuno di questi cartografi era spagnolo: questo dimostra che al di fuori della Spagna si
percepiva che la Spagna presentasse una certa varietà a livello di località e lingua parlata in una
certa area/località.
Si può quindi affermare che la Catalogna esiste nella percezione dei primi cartografi. Essa fa parte
della Corona ispanica (anzi dell’impero, come peraltro le Fiandre), ma con una toponomastica
prevalentemente catalana, per cui deduciamo che la lingua era largamente presente.
La tradizione letteraria catalana del Medioevo
Le Homilies d’Organyà (fine XII secolo) contengono la prima manifestazione della letteratura
catalana, essendo uno dei documenti più antichi scritti in catalano. Il manoscritto fu scoperto nella
canonica della chiesa di Organyà (Lérida) nel 1904. Alla fine del XII secolo/inizi del XIII secolo, il
latino probabilmente non era più d’uso, per cui occorreva scrivere le prediche in lingua volgare (in
lingua catalana) affinché i fedeli comprendessero. Nasce, grosso modo, anche se con un po’ di
ritardo, in corrispondenza delle altre lingue romanze.
Ramon Llull (Raimondo Lullo in italiano) è autore di più di duecento opere, scritte in latino,
catalano e arabo (quelle in arabo non ci sono pervenute, ma sappiamo per certo che ha scritto in
arabo). Scrive in arabo con l’intento di convertire gli “infedeli”, ovvero gli islamici che tengono
ancora una parte della penisola iberica. Llull impara l’arabo da uno schiavo. Di Llull non ci sono
pervenuti testi in spagnolo, ciò significa che nell’arco ella sua vita (1232-1315/6) non era rilevante
nella zona in cui viveva e in cui operava conoscere la lingua spagnola. Llull tratta tutte le materie
“medievali” e ha uno scopo principale: la conversione degli infedeli, non per via della violenza, ma
per via della persuasione razionale. Siamo in epoca delle crociate: Llull crede non alle crociate con
la spada, ma quelle con il pensiero, nonostante l’obiettivo finale sia sempre la conversione.
o Filosofia: Ars Magna inveniendi veritatem (1274)  sembra che sia il primo filosofo a scrivere
non nella lingua ufficiale della filosofia - il latino - ma in lingua volgare;
o “Romanzi”: Fèlix o Llibre de meravelles (1287-1289);
o Poesia: Desconhort (Roma, 1295), Cant de Ramon (1300).
Con Llull la lingua catalana diventa letteraria.
 Scrive di filosofia (probabilmente il primo a farlo) in volgare;
 S’ispira anche alla poesia trobadorica;

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 Scrive trattati in latino che riprendono temi a lui cari: in particolare la conversione degli
“infedeli” (ebrei, musulmani e non credenti in generale).
Muore forse a Tunisi (secondo la leggenda lapidato perché tentava di convertire il sultano e stava
avendo la meglio dal punto di vista retorico) o forse a Mallorca nel 1315-1316.
Llull attraversa il Mediterraneo e porta il suo verbo, le sue parole in giro per il mondo. Uno dei
centri più frequentati da lui è Parigi, dove si trova anche il suo allievo. Arriva spessissimo in Italia,
in particolare a Pisa, dove racconta anche di qualche naufragio in cui perse alcune opere nel Tirreno
che non furono mai recuperate (1308). L’altro grande polo di attrazione per Llull era l’Africa, in
particolare nei territori che corrispondono alle odierne Tunisia e Algeria, ma anche l’Armenia.
Llull scrive un’opera latina chiamata di Consolatio venetorum et toutis gentis desolatae (1298).
Forse Lullo non è mai stato a Venenzia, ma c’è un manoscritto alla Marciana che porta la sua
dedica al doge di Venezia scritta di suo pugno. È scritta in latino perché destinata al doge di
Venezia, considerato figura fondamentale per mandare ad effetto le sue idee di conversione. Lullo
scrive ad un suo amico, che dice chiamarsi Petrus Venetus (Pietro Veneto), in merito alla cocente
sconfitta subita dai veneziani da parte dei genovesi a Curzola, un’isola della Croazia, in cui fu fatto
prigioniero anche Marco Polo. Ci sono immagini della vita veneziana dell’epoca in cui gli abitanti
della Serenissima stanno “in platei loquentes vanitates”. Petrus Venetus avrebbe un fratello fatto
prigioniero dai genovesi. Lullo dice che forse Venezia è stata castigata per la sua superbia e per aver
disatteso la parola di Dio, al contrario dei genovesi. Llull scrive una dedica al doge di Venezia:
Lullo si definisce catalano (nonostante fosse nato nelle Isole Baleari).
Da Bernat Metge a Rafael Casanova
L’opera ed il tempo di Bernat Metge (Barcelona, 1340-1413)
La figura di Metge è quanto di più distante da quella di Raimondo Lullo. Ci stiamo avvicinando
all’Umanesimo, periodo caratterizzato dal recupero dei classici greci e latini al mondo cristiano.
Bernat Metge fu un alto funzionario del re Martino il Vecchio (o, secondo la denominazione
catalana, Martí l’Humà). Nel 1408 il re catalano avvia la riconquista della Sardegna. Nell’affrontare
la riconquista della Sardegna, muore Martí el Jove, figlio di Martí l’Humá, lasciando il trono
catalano-aragonese senza successori alla morte del padre (1410). I territori della corona catalana-
aragonese erano catalanofoni. Per molti anni Metge servì il re Martí l’Humà, in molte zone diverse
del regno (dal Rossiglione alla Sicilia). Fu autore di un’opera non estesa, ma fondamentale poiché
dimostra la penetrazione della cultura umanistica in Catalogna: in particolare, occorre menzionare
Lo Somni (1398-1399). Il primo libro costituito da un dialogo tra l’anima di Joan d’Aragó
(Giovanni I d’Aragona che Metge aveva servito) e lo stesso autore che discutono dell’immortalità
dell’anima, dello spirito e della carne. Il libro ha anche altri libri, in cui Metge è più ironico. “Com
l’esperit? - diguí jo -. No puc creure que l’esperit sia res ne puixa tenir altre camí sino aquell que la
carn té”: morta la carne muore anche lo spirito, concetto che si oppone al credo cristiano per cui
carne e spirito sono separati, dal momento che lo spirito è considerato immortale. Il re vuole
convincere l’autore del contrario, ovvero che l’anima sia immortale, a differenza del corpo: “come
faccio a parlare con te se la mia anima non fosse immortale?”. L’autore però gli risponde che ha
bisogno di dimostrazioni pratiche. L’idea di Metge è un’idea di dubbio, si limita a obbiettare verità
che al suo tempo erano scontate: quando un animale e un uomo muoiono, essi ugualmente
spariscono. Non c’è nessuna differenza e superiorità nel rapporto uomo-animale. L’Umanesimo ci
abitua alle spiegazioni razionali, a differenza del pensiero medievale-cristiano.
Il re, dopo essere venuto a conoscenza della morte di suo figlio, fa appello a tutti i suoi vassalli
chiedendo che convenissero e inviassero giuristi e che sentissero tutte le classi sociali per risolvere
la questione della successione e proporre un candidato: tale lettera fu scritta da Metge per conto del
re. L’appellativo di “umano” si deve proprio alla sensibilità del sovrano e alla sua umanità.
Tutti i rappresentanti chiamati dal re si riuniscono, alla morte del re, nella cittadina di Caspe. Anche
a Caspe si parlava catalano: si tenga presente che a Casp, in questo periodo (inizio XV sec), si parla
catalano, stando alle attestazioni dei documenti. Casp si trova molto vicina alla zona ispanofona. La
Corona catalano-aragonese verrà retta da Fernando de Antequera, un re castigliano della dinastia
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Trastámara. La parte catalana della corona catalano-aragonese (Aragona, Valencia, Sardegna,
Catalogna) avrebbe preferito invece il capo della nobiltà catalana, ovvero il conte Giacomo II di
Urgell (i cui sostenitori erano detti urgellistes), ma il 28 giugno 1412 fu firmato l’accordo tra tutte le
componenti del Regno - Compromís de Casp - a favore di Ferdinando I d’Aragona ovvero
d’Antequera; accordo che sancì l’inizio della castiglianizzazione: i parlamenti predetti (ovvero i
parlamenti consultati come aveva voluto Martino l’Umano) sono tenuti ad obbedire a Ferdinando,
infante di Castiglia, a cui devono riconoscere il titolo di re e signore. I figli di Fernando I
d’Aragona – Alfonso IV il Magnanimo e Giovanni II d’Aragona – furono re molto importanti, che
favorirono l’uso della lingua catalana, nonostante ci si stesse avvicinando all’unificazione della
Penisola Iberica che verrà sancita con il matrimonio di Fernando el Católico e Isabella di Castiglia.
Ausiàs March (1400-1459)
Fu un uomo di notevole cultura vicino alla corte reale e anche il falconiere di Alfonso IV il
Magnanimo, considerato uno dei maggiori poeti europei del XV secolo. Egli tratta la tematica
amorosa, ma non è più quella del Dolce Stil Novo, ma è un amore più reale, più carnale: la donna
esiste quanto oggetto del desiderio, non troviamo più la donna angelo. Egli non risponde a una
sensibilità medievale, ma alle nuove correnti di pensiero. Per quanto riguarda l’opera, egli scrive il
Canzoniere i cui versi lo stesso poeta denomina Dictats. Secondo R. Archer, sono 129 le
composizioni poetiche, di varia lunghezza, che costituiscono il corpus del canzoniere
ausiasmarchiano, vale a dire circa 6500 versi. La tematica amorosa è largamente prevelente, quasi il
70% dell’intero corpus. Altri temi: alcuni canti trattano prevalentemente altri argomenti, tra i quali
il cosiddetto “Cant espiritual” (tema di Dio, che è un tema che trova importante e fondamentale, ma
non riesce a trovare un entusiasmo per l’idea di Dio) e i “Cants de mort”. I cicli maggiori sono la
tornada (ultimi quattro versi) con senhal (segnale a una persona specifica) “Plena de seny” (Piena di
sé) e la tornada con senhal “Llir entre cards” (Giglio tra i rovi).
Nel biblico “Canto dei Cantici”, straordinario inno all’amore, espresso in un linguaggio tanto ricco
di metafore, divenute proverbiali, quanto di frasi per lo più estranee a qualunque retorica puramente
letteraria, si trova il senhal di ausiasmarchiana memoria: “giglio tra i cardi” o, secondo altre
versioni, “giglio tra i rovi”.
Il tema amoroso non presenta più quell’idealizzazione ed “angelicazione” dell’amata, ma un
realismo, dagli accenti talvolta espressionistici, ed una sensibilità decisamente attuali. Il conflitto
interiore tra desiderio carnale e paura di una punizione eterna si esplicita in Ausiàs March in versi di
rara potenza: “Sento piacere, ma non so che gli dà forza./ Se è la carne, perché non si sazia?/ Se lo
spirito, perché non si infinita?” Oppure: “Non gofo amare, e meno essere amato;/ fuor della carne, il
piacere dilegua:/ tutto il mio desiderio comincia lì e finisce”. Come osservato da taluni critici,
proprio rispetto all’urgenza delle percezioni, nella sua opera i sistemi trascendenti di una lunga
epoca collassano. Poeta dunque non medievale, ma non ancora pienamente moderno. Ausiàs March
è collocabile tra coloro che percepiscono malinconicamente e distintamente il tramonto di un’epoca.
Molto spesso le poesie di March iniziano con una metafora: “Aixi com cell qui…”. Associazione
amore e morte: metafora del naufrago che riesce a intravvedere un posto che potrebbe significare la
sua salvezza, ma che per una sorte avversa non riesce a raggiungere; allo stesso modo il poeta vede
la donna, che rappresenta per lui la salvezza, ma che lo rifiuta. Al naufrago non resta che maledire
la sorte avversa e lasciarsi al suo destino, al poeta ciò che resta è il poter cantare i suoi versi per il
mondo.
Il Cant espiritual (Canto CV): Nei 224 versi di questa composizione, Ausiàs March si riconosce
privo di speranza, ma evidenzia una ricerca sincera del senso che probabilmente non trova, una fede
che gli appare quasi estranea ai sensi, ma ratificata, in virtù di ragione (una sorta di paradosso). Il
suo appello a Dio, una struggente preghiera a tutti gli effetti, non si leva per un qualche beneficio
terreno personale, ma per rivolgere il suo amore d Dio stesso, quale depositario del bene supremo.
Anche in questo caso siamo dunque lontani dalla civiltà medievale, senza che ciò comporti tuttavia
un rigoroso scetticismo di stampo razionalista: un altro conflitto, tra i molti irrisolti, che hanno

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caratterizzato la personalità del poeta e che stanno, probabilmente, alla base della grandezza dei
suoi canti.
Da Ausiàs March (1459) alla fine del XVII secolo
Periodo che conosce due momenti critici: l’unione delle corone di Castiglia e Aragona (1469) e la
guerra dei mietitori (1640) e le sue conseguenze, ovvero il Trattato dei Pirenei (1659).
Isabella di Castiglia sposa Ferdinando d’Aragona (la coppia sarà nota come “I Re Cattolici”). Va
ricordata la figura di un grande letterato catalano, Andreu Febrer, poeta vissuto dalla fine del
Trecento alla prima metà del Quattrocento, il primo traduttore in assoluto in versi (e in catalano)
della Divina Commedia di Dante. Questa traduzione attesta la rilevanza che in Catalogna aveva la
tradizione italiana.
Cosa si unisce con il matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona? La corona di
Aragona non è importante per la specifica posizione che all’interno della Penisola Iberica, ma per i
possedimenti che può vantare nel Mediterraneo. I Re Cattolici saranno gli artefici del
completamento della Reconquista: nel 1492 la Corona Cattolica conquista il Regno di Granada. I
Re Cattolici finanziano l’impresa di Cristoforo Colombo, il quale scoprì un nuovo continente che
consentì di allargare i confini dell’Impero spagnolo. Il Regno di Navarra, benché incorporato nel
regno, conserva tutte le prerogative (fueros) che lo rendono autonomo. La Corona aragonese era
importante per i possedimenti nel Mediterraneo: Sardegna, Sicilia, Sud Italia. Quando l’asse della
storia si sposterà verso i nuovi territori, quest’area perderà importanza anche per la Spagna in
generale e conoscerà un periodo di crisi. La scoperta dell’America ha determinato non solo una
rivoluzione economica e alimentare, ma anche una nuova relazione con il Portogallo: fu sottoscritto
tra la corona spagnola e il Portogallo un trattato, che divideva quello che sarebbe stato della corona
spagnola e quello che sarebbe stato del Portogallo.
I regni di Castiglia e il regno catalano e aragonese continuavano a mantenere le loro caratteristiche e
molte delle istituzioni preesistenti: unione dinastica non presuppone una fusione a livello culturale,
politico e linguistico.
Carlo V riunisce su di sé diversi regni, essendo figlio di Filippo il Bello (a sua volta figlio di
Massimiliano d’Austria) e di Giovanna la Pazza (figlia dei Re Cattolici) dal sud al nord Europa ed
in America. Ma comincia anche (grazie alle spedizioni di Magellano) un’espansione in Asia: non a
caso le Filippine si chiamano così (nome di uno dei figli di Carlo V). Nel cuore del Cinquecento
europeo, l’Impero spagnolo riuniva i territori della Penisola Iberica, ma anche i possedimenti ad Est
Europa, ereditati dal trono austriaco, insieme ai territori in Italia. I domini di Carlo V (della casa
d’Austria – ma Carlo I di Spagna) e Filippo II (il prudente): la Spagna sottomise buona parte
dell’America Meridionale ad eccezione del Brasile, insieme al Messico e all’isola di Cuba.
Cosa succede alla letteratura catalana dopo Ausiàs March? L’asse della storia si sposta a Occidente
e l’importanza del Mediterraneo decresce. La letteratura catalana perde prestigio anche se ci sono
parecchi esponenti che continuano ad utilizzare questa lingua a fini letterari (spesso in subordine -o
insieme – allo spagnolo). La Catalogna non è più l’asse centrale del Regno aragonese, ma viene
incorporata in un regno molto più vasto. Joan Boscà (Juan Boscán) importa in Spagna il sonetto e il
petrarchismo.
Joan Francesc Boscà, nonno di Joan Boscà, sec. XV  influenza di Ausiàs March, assieme a quella
di Petrarca. Siamo proprio nell’ambito della tematica ausiasmarchiana, reinterpretata con contenuti
a lui molto simili, ma con un verso molto diverso. L’amore resta al centro della creazione poetica,
letteraria.
Joan Boscà, nella seconda metà del Cinquecento, riconosce il suo debito con il maestro catalano:
omaggio alla forza del concetto d’amore di Ausiàs March che garantirà che il suo nome verrà
ricordato nei secoli a venire.
Dieci versi sparsi sono forse gli unici che Boscà ha scritto in catalano: idea che l’amore ti obblighi a
fare delle scelte e che causi dolore e sofferenza. Ancora una volta un poeta catalano d’origine si rifà
ad una tradizione letteraria italiana: “bien podía haber sido un ensayo íntimo y previo de Juan
Boscán, cuando después de su memorable conversación con Andrea Navagiero, decidió
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revolucionar la poesía española”. Navagiero gli aveva suggerito di importare il modello letterario
italiano allo spagnolo. Secondo alcuni – Martí di Ríquer – il catalano sarebbe servito come ponte tra
la tradizione italiana e la letteratura spagnola. Secondo altri – Rossich – è difficile che Boscà
provasse in catalano, lingua che dominava meno bene, un verso che voleva applicare al castigliano.
D’altra parte, il primo endecasillabo in catalano è nel 1580 nel Cant de Calliope.
Nel XVI e nel XVII secolo abbiamo ancora una discreta produzione letteraria in catalano. Oltre
all’introduttore del Petrarchismo in Spagna, vi sono numerose altre figure rilevanti di ambito
catalano ed europeo:
- Pere Serafí (sec. XVI), poeta e pittore;
- L’Umanesimo vanta figure di filosofi e pensatori quali Joan Lluís Vives (la cui opera è in latino
come quella del contemporaneo Erasmo da Rotterdam con cui era in relazione epistolare);
- Joan Timoneda, poeta e drammaturgo.
La crisi del XVII secolo: La guerra dei mietitori (1640) o Guerra dels Segadors
Con l’inizio della famosa “Guerra dei trent’anni”, nel 1618, la Spagna decide di adottare una
politica centralista per far fronte alle elevatissime spese militari. Siamo nel periodo di Filippo IV e
del suo “valido” (il primo ministro, colui che faceva le funzioni del governo nella monarchia), il
Conte Duca di Olivares. Olivares persegue una politica di “armonizzazione” tendente a equiparare i
regni “castigliani” a quelli “non castigliani”, quindi ad esigere tributi e alimenti per le truppe (Unión
de Armas). Tutti i regni devono avere, diversamente dal passato, lo stesso regime di governo e
pagare le stesse tasse. Durante la guerra a Luigi XIII di Borbone di Francia gli eserciti ispanici
(40.000-50.000 persone) si accamparono proprio in Catalogna per sferrare un attacco alla
monarchia nemica. In base all’Unión de Armas, bisognava provvedere alle truppe accampate lì in
attesa che iniziasse la guerra. Il mantenimento di quel grandissimo esercito ricadeva sulle spalle dei
contadini catalani: mentre i nobili catalani si mostrarono tolleranti, il popolo si ribellò a tale
provvedimento che presupponeva la perdita della autonomia e della facoltà di governarsi secondo le
proprie regole e tradizioni. In questo contesto, nel maggio del 1640 scoppiò la “Guerra dels
Segadors”, il lungo conflitto tra nobili e classe operaia in Catalogna. In giugno si unirono ai
rivoltosi contadini della provincia di Girona i mietitori. La guerra contro le milizie divenne presto
una rivolta sociale contro le classi più abbienti catalane (nobiltà). Si tratta di una guerra nazionale o
di un conflitto sociale? Secondo alcuni storici tendono ad accreditare il fatto dal punto di vista
sociale: gente che viveva in povertà coglie l’occasione per potersi riscattare. Altri storici legati più
all’idea nazionale della Catalogna vedono in questa rivolta un’identità catalana. Idea di Catalogna
come natio medievale che torna a ripresentarsi quando i regni si sono amalgamati tra di loro, ma
non completamente fusi.
La Spagna non è più quella di Carlo V, ha iniziato un processo di decadenza economica a partire da
Filippo II che si aggraverà durante tutto il Seicento.
Il complesso dei fenomeni che possono essere ascritti alla Guerra dei trent’anni si conclude con il
Trattato dei Pirenei (1659) che sancisce che la parte della Catalogna a nord dei Pirenei passa alla
monarchia francese: si spacca l’unità catalana che si era mantenuta fino a questo momento.
Province che non saranno mai più incorporate nel territorio spagnolo. La Francia acquisiva la
Catalogna del Nord (ad eccezione della città di Llívia), che includeva la città di Perpignano e
l’intera regione del Rossiglione. La catena montuosa dei Pirenei divenne così la nuova frontiera che
separava la Spagna dalla Francia.
Cosa succede dal 1640 in poi con la lingua catalana? Nel 1641, l’anno successivo alla rivolta, si
pubblica Relación verdadera de todo lo que ha pasado en Perpiñán en el tiempo que estuvieron
cercados: «El intento principal de esta Relación es referir con brevedad y sucintamente las
crueldades, tiranías, extorciones y execraciones que hicieron los castellanos de la villa de Perpiñán
[...], lo que ha de servir para estimarles el amor natural tuvieron [los de la ciudad] a su patria y
también para compadecerse dellos en lo que padecieron».
Cristòfor Despuig nei Colloquis de la insigne ciudad de Tortosa parla dei rapporti tra Spagna e
Catalogna e sostiene una tesi: gli spagnoli stessi non consideravano quell’area Spagna, ma Despuig

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afferma che quell’area è la migliore Spagna  “que aquesta nostra provincia no sols és Espanya
mas és la millor Espanya, i en tot temps i per totes les nacions que ací són arribades per tal tinguda”.
Siamo di fronte ad un mancato riconoscimento di una realtà: l’autore si ritiene parte della Spagna,
ma l’area catalana non viene riconosciuta come tale. L’idea della Spagna non è costruita solo su
base castigliana, ma anche catalana, nonostante i castigliani non lo riconoscano.
Jeroni Pujades en la Crònica universal del principat de Catalunya (1609): esiste un’idea di
percezione della nazione catalana, di un’alterità che ha difficoltà ad affermarsi e ad essere accettata
come tale. Identificazione tra identità catalana e la sua lingua: è evidente che lui parla e scrive in
catalano e lo spagnolo sia una lingua appresa; in più parlare in castigliano significherebbe screditare
la propria lingua e la propria letteratura.
Francesc Fornés riconosce un dato pragmatico valido ancora oggi: predico nella mia lingua
materna, ma se predico in castigliano è perché è compreso non solo in Spagna, ma anche in Francia,
Italia e grande parte dell’Europa.
Francesc Martí Viladamor lascia la sua lingua e “ruba” la lingua al suo nemico: “dexo industrioso
por remissa la lengua de mi querida nación y hurto lícitamente al enemigo la suya”.
Da Carlo II (1665) alla caduta di Barcellona (11 settembre 1714) e ai Decretos de Nueva
Planta (1716)
Carlo II, figlio di Filippo IV, aveva come nomignolo “El hechizado”, perché era malaticcio, su di sé
si sono spesi decine di libri per spiegare tutte le malattie che aveva Carlo II dovute al matrimonio
tra consanguinei, d’uso nella casa d’Asburgo. Muore nel 1700 e regnò in modo anomalo:
inizialmente era troppo piccolo per accedere al trono e poi in seguito il suo regno fu travagliato da
mille problemi.
Secondo l’interpretazione della storiografia castigliana Carlo II rappresenta il tramonto della
potenza spagnola. Tra l’altro perde definitivamente il Portogallo (regno a sé stante ma comunque
legato alla Spagna in un rapporto di “vassallaggio”) e il suo impero. Secondo un cronista catalano di
fine Settecento, Narcís Feliu de la Penya, Carlo II fu invece “il miglior re che ebbe la Spagna”.
Carlo II rappresenta un tentativo di valorizzazione dell’apporto dei regni non castigliani alla corona
ispanica. Applica una politica “foralista” che valorizza la periferia. Modera l’espansionismo
annessionista francese. Il testamento di Carlo II, che non ha figli o figlie, nomina come successore
Filippo d’Angiò (Borbone, futuro Filippo V). Stava però (forse) per cambiare il testamento a favore
del ramo austriaco rappresentato dal figlio di Leopoldo I l’Arciduca Carlo d’Asburgo. Ma Carlo II
morì prima di poterlo fare. Il testamento di Carlo II prevedeva che i due regni (Francia e Spagna)
restassero separati, nonostante fossero governati dalla stessa famiglia.
La guerra di successione
Muore Carlo II senza eredi e si apre la controversia sulla successione. Filippo d’Angiò si proclama
re – seguendo alla lettera il testamento di Carlo II – ma anche Carlo d’Asburgo, per motivi di
parentela, si proclama re. Nel 1700 la monarchia spagnola estende gran parte dei suoi domini in
Italia. Dopo il Trattato di Utrecht alla fine della guerra abbiamo un regno spagnolo unitario.
Nel 1701 si costituisce una Grande Alleanza tra Austria, Inghilterra, Olanda e Danimarca con
l’obiettivo di fermare la politica espansionista francese/spagnola. Nel 1702 dichiara la guerra a
Spagna e Francia. Alla grande alleanza si unisce nel 1703 il Portogallo e la Savoia. E la Catalogna
vi aderisce con il Patto o Trattato di Genova (1705): all’interno dei regni che costituivano la corona
spagnola, la Catalogna aderisce contro la posizione borbonica, schierandosi dalla parte asburgica.
Cosa stabilisce il Patto o Trattato di Genova? Che la Catalogna potesse godere di tutte le grazie,
leggi e privilegi di cui godeva ai tempi del defunto re Carlo II: trattamento avuto durante il regno
dell’ultimo re asburgico.
La Guerra di Successione per la Corona spagnola termina con la firma del trattato di Utrecht il 13
luglio 1713. Catalogna fu l’ultimo scenario politico dove si mantenne il conflitto: l’11 settembre
1714 Barcellona, che resisteva a favore dell’Arciduca Carlo d’Austria, viene conquistata da Filippo
V. Carlo d’Asburgo è costretto ad abbandonare. Filippo V, nuovo re di Spagna, sopprime le leggi e
le istituzioni catalane, e per la prima volta viene proibito l’uso della lingua catalana. In ricordo di
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questa data si celebra la Giornata Nazionale della Catalogna. L’assedio di Barcellona si protrae per
14 mesi e questo probabilmente inasprirà le conseguenze repressive che i vittoriosi, Spagna e
Francia con la dinastia borbonica, eserciteranno poi sulla Catalogna, abbandonata nel frattempo
dall’Inghilterra che firma la Pace di Utrecht (1713) con la Spagna. La Catalogna viene abbandonata
al suo destino. Ancora oggi questa data è significativa per la Catalogna: malgrado la sconfitta, si
presentarono tutte le volontà di essere una nazione, uno stato, nei confronti di una monarchia più
potente. In un romanzo del 2012 di Albert Sánchez Piñol nel romanzo Victus. Barcellona 1714
l’autore illustra, sulla base di dati storici, quanto accaduto a Barcellona durante il lungo assedio
(1713-1714). Da sempre l’11 settembre viene ricordato in Catalogna ed è oggi una festa civile
importante con grandi manifestazioni. Dal 2012 di taglio decisamente indipendentista.
Una cronaca della seconda metà dell’Ottocento: “Historia del memorable sitio y bloqueo de
Barcelona” scritta da un sacerdote carlista.
In Inghilterra il caso diventa politico: il fatto di sottrarsi da quella alleanza causò la sconfitta della
Catalogna. Secondo il Trattato, la Catalogna avrebbe dovuto essere stata aiutata dalla Marina
inglese, ma così non avvenne. The Deplorable History of The Catalans: “nazione nota per la
libertà”, uno dei valori a cui gli inglesi tengono particolarmente. Elogio della difesa della libertà dei
catalani che sentono di doversi sacrificare di fronte a un nemico più potente e senza l’aiuto di
nessuno. Si elogia anche il clero della Catalogna: elementi laici ed ecclesiastici che lottano contro
un nemico comune.
Un’altra opera inglese critica la politica inglese nei confronti della Catalogna: The Case of the
Catalans Considered. «È evidente che i catalani si sottomisero al re Carlo per istigazione degli
inglesi». I catalani hanno aderito al partito dell’Arciduca Carlo D’Asburgo, credendo che gli inglesi,
forte potenza, gli avrebbero dato una mano.
Luigi XIV, nonno di Filippo V suggerisce di moderare la politica nei confronti dei catalani, cosa
che però non avverrà.
Dopo aver completato la conquista di Barcellona, Filippo V emana quattro decreti, i Decretos de
Nueva Planta, firmati tra il 1707 ed il 1716 dal re di Spagna Filippo V mediante i quali fu cambiata
l'organizzazione territoriale dei regni della Corona d'Aragona, che aveva parteggiato per l'arciduca
Carlo d'Asburgo durante la guerra di successione spagnola. Ebbero come conseguenza l'abolizione
delle autonomie locali e l'imposizione della lingua castigliana nell'uso ufficiale dello stato. Con i
decreti di Nueva Planta si dà avvio quindi a un nuovo modello di organizzazione amministrativa
assolutista, che rispondeva al desiderio di Filippo V di creare un'amministrazione più omogenea di
tutti territori della monarchia borbonica: l’organizzazione giudiziaria ma anche amministrativa e
statale vigente in Castiglia viene applicata e si sostituisce alle istituzioni e alla macchina
organizzativa catalana, portando anche a una marginalizzazione della lingua catalana negli ambiti
ufficiali, pubblici. In Francia, già nel 1700, si esclude la lingua catalana da tutte le procedure e atti
pubblici: processo di francesizzazione promosso dal re dopo il Trattato dei Pirenei.

Cosa succede dopo i Decretos de Nueva Planta?


- C’è una presa “manu militari” della città di Barcellona e della Catalogna per evitare ribellioni 
costruzione di un’imponente fortezza militare (“Ciutadella o Ciudadela”) sul lato nord e
rafforzamento della guarnizione di Montjuich sul lato sud. La costruzione occupa quasi tutta la
prima metà del XVIII secolo ed è opera d’ingegneria francese. La presa militare è completa e
non c’è la possibilità di nessuna azione militare. La demolizione avvenne dal 1869 all’inizio del
XX secolo. Rimangono ancora alcune costruzioni.
- Nell’ambito culturale, si provvede alla chiusura delle università esistenti e la conquista culturale
si realizza con l’istituzione di una nuova università a Cervera, data in gestione a persone di
sicura fede monarchica e di sicura fede intellettuale borbonica. L’università va intesa all’epoca
come formazione di un pensiero politico e non come educazione alla libertà di pensiero.
La Decadenza e la Rinascita in Catalogna

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Il periodo della Decadenza va grosso modo dall’età barocca al 1800. Il concetto di Decadenza è
stato in uso in letteratura catalana fino a poco fa, e in particolare dopo i “Decretos de Nueva Planta”
(1716). Secondo Rossich i Valsabore non ci possiamo ingannare e non possiamo dire che siamo
davanti a due secoli di grandi figure letterarie e abbondanti testi colti, ma certamente si può
affermare che si scriveva regolarmente in catalano e che si siano prodotti diversi testi sia letterari
che giudiziari.
Francesc Fontanella è un autore barocco secentesco. Una sua poesia che riflette ciò che sarebbe il
“mestiere” poetico è Selva elegíaca: si gioca con una sorta di visione della realtà mitica, si cerca di
trovare un valore simbolico a tutti gli atti della vita. Siamo molto distanti dalla poesia di Ausiàs
March, una poesia tormentata; questa è una poesia che si colloca su un livello di sofferenza del
poeta molto più basso.
Rafael d’Amat (Baró de Maldà) è un autore vissuto della seconda metà del Settecento, che ha scritto
un diario che è una testimonianza giorno per giorno della Barcellona di quei tempi che si sofferma
su tutti i problemi politici percepiti all’epoca. Ha cominciato a scriverlo in giovanissima età:
seguiamo anche la trasformazione personale, biografica dell’autore. Si racconta l’episodio
dell’espulsione dalla Spagna della compagnia dei gesuiti: vengono espulsi dai domini dei Borbone e
si rifugiano maggiormente nello stato della Chiesa e porteranno un contributo enorme alla cultura
italiana del Settecento. Il Barò de Maldà è molto vicino ai gesuiti; il fatto della loro cacciata ha
suscitato una reazione negativa del popolo (almeno in parte). Questa cacciata ha conseguenze
politiche all’interno della Spagna.
Il Rinascimento o Renaixença è stata una corrente letteraria catalana che si espande e si afferma
nella seconda metà del XIX secolo. Per le sue tematiche ricorrenti (idealismi, individualismo,
predominio dei sentimenti, esaltazione patriottica e scelta di tematiche storiche), è ascrivibile alla
più ampia corrente del romanticismo europeo. La data convenzionale è il 1833 e l’opera inaugurale
di questo periodo può essere considerata l’Oda a la patria.
L’Oda a la patria (1833) di Bonaventura Carles Aribau è una poesia in cui è presente una nostalgia,
un senso di nazionalismo: nostalgia di quel paesaggio, degli elementi culturali catalani e dell’unità
nazionale catalana. Dal Montseny, nel cuore della Catalogna, si può vedere la Serra de Tramontana
dell’isola di Mallorca, ovvero tutto il territorio che è accomunato dalla lingua catalana. In quest’area
trova il senso della “catalanità”. Nostalgia della lingua, oltre che dei paesaggi. Si nominano le torri
castigliane che non possono che aumentare la nostalgia per un paesaggio che ora appare diverso.
Metafora dell’uomo come albero migrato in un posto che non è il suo e che si svilisce nella sua
produzione di frutta/fiori così come l’uomo nella sua produzione di cose umane. “Llengua
llemosina” dovrebbe racchiudere tutte le “lingue” catalane (valenzano, maiorchino, ecc.): il
dizionario Alcover-Moll definisce il llemosí un dialetto occitano il nome del quale si è utilizzato per
un certo periodo di tempo (in modo errato) per designare la lingua catalana. L’unità linguistica desta
in Catalogna un elemento molto forte di identificazione. Ritorna la questione linguistica. Vi è un
appello a recuperare le tradizioni perdute, ciò che lo rende il testo che battezza la Rinascenza
catalana. Per precisare il concetto di llemosí come lingua catalana come lingua unitaria, Ferrando-
Amorós scrive: consolidate le principali denominazioni regionali della lingua, i circoli eruditi dei
vari luoghi del dominio linguistico hanno trovato nella parola llemosí la formula che avrebbe
permesso di risolvere il conflitto tra la constatazione di una lingua medievale comune e unitaria e la
consolidazione della diversità onomastica. Il termine llemosí viene utilizzato per riunire le tre grandi
famiglie della lingua catalana (Catalogna, Valencia e Isole Baleari). Tuttavia, si tratta di un termine
inesatto perché definisce un’altra lingua romanza, ma sempre diversa, motivo per cui l’uso oggi è
decaduto. C’è un duplice elemento: nostalgia della fanciullezza e l’elemento rivendicativo della
lingua che è stata messa in disparte.
L’Oda alla patria riprende elementi all’«Addio, monti» del cap. VIII dei Promessi Sposi, quando
Lucia va via: “Addio, monti sorgenti dall’acqua, ed elevati al cielo”. Tranne qualche minimo
aspetto, i due testi appaiono pressoché uguali: Bonaventura Carles Aribau aveva sicuramente ben
presente l’edizione dei Promessi Sposi del 1827. La paternità di questo topos letterario è

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sicuramente di Manzoni. Quando Aribau pubblica su El Europeo l’Oda a la pàtria, il giornale ha
almeno due redattori italiani e lo stesso Aribau era esperto di letteratura italiana, tanto da
raccomandare all’amico Juan Nicasio Gallego di tradurre i Promessi sposi in spagnolo, cosa che
Gallego fece pubblicando Los novios (1837). Capiamo che è evidente che Manzoni era uno degli
autori prediletti da Aribau.
La Spagna e la rinascita della cultura catalana
Come viene vista la rinascita impetuosa della letteratura catalana? Lo spagnolo inizia a considerarsi
come lingua altra, dal 1833 si scriveva in catalano. Questo disturberà molto, perché si associa la
rivalutazione della propria patria come un fenomeno separatistico. Sull’onda espansiva delle idee
romantiche comincerà ad essere elaborato a partire dalla seconda metà del XIX secolo il concetto
stesso di “storia della letteratura catalana”.
Francisco María Tubino scrive Historia del Renacimiento literario contemporáneo en Cataluña,
Baleares y Valencia nel 1880. Nel prologo si nota la curiosità che spinge questo studio, ma
dall’altro comporta una preoccupazione che recepisce guardando in là nel tempo. Non c’è una
connessione politica, ma c’è l’idea di patriottismo: “El libro que ofrecemos al público no responde a
ningún fin concreto del orden político, ni lo ha engendrado interés alguno de escuela filosófica, es
sencillamente, una producción en que entran, por mitad, nuestras aficiones intelectuales y nuestro
patriotismo. Risolvere il problema vuol dire mettere un’ipoteca sul futuro più tranquilla. Tubino
interviene perché nota che all’estero la realtà culturale catalana interessa molto: sarebbe utile che
anche gli spagnoli si interessino al problema. Tubino non vuole essere accusato di essere un
separatista: è un iberista che propone di avere un regno unito sotto forma di federazione, in modo
tale che ogni realtà preservi la propria cultura e i propri interessi. Il primo capitolo fa capire come
Tubino avesse un’idea della nazione catalana diversa comunque da quella che abbiano noi: la
Spagna è un insieme di altre nazioni. Tubino è da considerarsi un intellettuale d’avanguardia per il
periodo in cui scrive. In contemporanea a Tubino si sviluppa un altro tipo di pensiero, opposto a
quello di Tubino, che ha una serie intellettuali spagnoli che lo sostengono: idea di far cambiare
lingua agli scrittori catalani. Clarín e Galdós scrivono una serie di lettere a Narcís Ullet, uno
scrittore catalano, che ha pubblicato diverse opere e romanzi realisti in catalano. Lo invitano
espressamente a cambiare lingua: per avere una grande lingua e non un “mezzo dialetto” bisogna
passare allo spagnolo. Clarín lo fa in modo abbastanza contundente e non lo scrive solo in lettere
private, ma anche pubblicamente in un giornale, dove argomenta di voler convincere Ullet a
scrivere in spagnolo. Abbiamo un duplice atteggiamento: una certa disponibilità e apertura alla
realtà catalana da una parte e dall’altra un atteggiamento ostile nei confronti della lingua catalana.
L’articolo di Clarín diventa un caso politico: Enric Prat de la Riba risponderà in molto duro a Clarín
dandogli dell’irrispettoso e dell’ignorante.

2. GLI SPAGNOLI E LA CATALOGNA. I CATALANI E LA SPAGNA: VALENTÍ


ALMIRALL ED ENRIC PRAT DE LA RIBA.
L’idea di nazione catalana e l’elaborazione ottocentesca: Josep Torras i Bages ed Enric Prat
de la Riba
Josep Torres i Bages ed Enric Prat de la Riba sono due autori che si muovono entrambi all’interno
di un ambito cattolico, il primo essendo un vescovo, il secondo un liberale, un laico. Pur aderendo
allo stesso credo religioso, tuttavia i loro approcci nei confronti della Catalogna sono diversi.
Torras i Bages scrive un libro incentrato sulla questione regionalismo: La tradición catalana nel
1892. La tradizione catalana si presenta come un testo di storia della cultura e della letteratura
catalana, che contiene anche una parte di teoria politica riferita a quei sistemi liberali appiattenti e
artificiosi quali gli stati che oltraggiano l’organizzazione naturale basata sulle organizzazioni più
piccole.
Essendo vescovo di Vic, che si considera un faro per l’identità nazionalista catalana, è chiaro che
non potesse essere insensibile a questa tematica. L’idea centrale è che il regionalismo non è un
sistema, ma nasce dalle stesse viscere della società, quindi sta nella naturalità delle cose, idea che
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riprenderà anche Enric Prat de la Riba. C’è una presa di posizione netta contro l’uniformità della
Rivoluzione francese che è stato il motivo per cui tutte le realtà francesi sono state cancellate. La
legge naturale della società prevarrà di fronte alle rivoluzioni proprio perché non si tratta di un
sistema artificiale, ma di una legge naturale.
Nel capitolo III si legge che la Chiesa è regionalista. La stessa religione garantisce il rispetto degli
elementi regionalisti. La Chiesa è regionalista perché è eterna. Non esiste per la Chiesa un dogma
per l’unità degli stati, che sono artificiali e possono quindi farsi e disfarsi. La durata di questi stati è
sempre limitata e quando si disfano riappaiono le antiche nazioni, le unità sociali naturalmente
formate non nei congressi diplomatici né nelle riunioni degli uomini di stato ma negli eterni consigli
della Provvidenza divina. Si dice che una determinata configurazione politica è frutto della volontà
divina: realtà metafisica che esula dalla politica. La religione è un fatto soprannaturale e perciò
cerca le entità naturali più che politiche: la regione più che lo stato in quanto essa è divinamente
naturalista.
Prat de la Riba e Torras i Brages:
- Per entrambi, gli stati sono organismi artificiali e le regioni naturali;
- Non si trovano d’accordo riguardo il fatto che l’identità religiosa non è centrale per la
definizione della Catalogna: per Prat de la Riba la Catalogna può esistere indipendentemente da
questo.
Le idee di Prat de la Riba sono permeate dal diritto tedesco, che ammirava in modo particolare.
Anche Pasquale Stanislao Mancini, che aveva scritto sul diritto delle nazionalità, ha la sua influenza
nell’opera di Prat de la Riba.
La Nacionalitat Catalana
La Nacionalitat Catalana è l’opera di Prat de la Riba pubblicata nel 1906 e ripubblicata nel 1910.
Fu tradotta solo in spagnolo e in italiano nel 1924. Siamo ai primi anni del regime fascista. Fu
pubblicato in una collana, che si chiama “Biblioteca di Coltura Politica”, da un intellettuale fascista,
Cesare Giardini. La nazionalità catalana ha qualche cosa ha che fare con il fascismo? Cesare
Giardini spiega in una lettera a Estelrich perché traduce La Nacionalitat Catalana. La promozione
di questo testo arriva da Estelrich, promotore della cultura catalana all’estero. Cesare Giardini è un
ex attore che decide di abbandonare le scene e di occuparsi di letteratura. Viene assunto alla Alpes,
casa editrice. L’idea di Giardini che in parte si desume da questa lettera è quella di far conoscere
l’idea e il nazionalismo catalano dal punto di vista di una realtà che in Italia è quasi del tutto
ignorata. Questo testo contiene molte idee assolutamente idee incompatibili con il fascismo, ad
esempio il federalismo e che l’identità nazionale riguardi le piccole realtà, non le grandi nazioni.
D’altra parte, c’è un’idea imperialista che si rifà all’imperialismo culturale, non quello che
comporta la sottomissione e invasione di popoli. Questo libro contiene un’introduzione scritta da
Giardini, che spiega un po’ di storia della Catalogna basandosi sulle fonti di Estelrich o Rovira i
Virgili. Si tratta di un testo che non è incasellabile nel fascismo, nonostante abbia qualche punto di
convergenza sulla dottrina di imperialismo (che però per i catalani è di tipo culturale, come si è
detto).
La Catalogna esiste indipendentemente da qualunque religione. Le idee di decentralizzazione,
autogoverno, federalismo sono all’ordine del giorno per Prat de la Riba. Si trova un senso
romantico per cui c’è qualcosa di indicibile sotto il concetto e il senso profondo dello spirito di
popolo che struttura la Catalogna.
Prat de la Riba è stato un uomo pratico: la Catalogna doveva acquistare qualche diritto istituzionale.
Bisognava ritrovare una certa identità tramite il recupero dell’autogoverno (o di frazioni ai
autogoverno), dopo i “Decretos de Nueva Planta”, dal momento che la Catalogna non poteva essere
trattata con le istituzioni castigliane che tendevano ad appiattire tutto sul modello delle istituzioni
prodotte dai regni di Castiglia e applicate poi alla Catalogna. L’idea è quella di arrivare a una
maggiore divisione del potere e a una qualche cessione dello stato centrale agli enti regionali. Prat
de la Riba aderisce alla Lliga regionalista. Oltre ad avere questa attività politica ha sempre
un’attività culturale importante perché la politica non si regge senza un progetto culturale. Le fasi di

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questo progetto culturale sono svolte da Prat de la Riba. Nel 1892 un gruppo di politici catalani si
riunisce a Marresa per produrre un testo giuridico, un possibile statuto per l’autonomia della
Catalogna: “Bases de Marresa”. Prat de la Riba viene eletto alla presidenza della provincia di
Barcellona. Prat de la Riba crea una struttura di governo che riuniva tutte le province catalane sotto
un’entità sub provinciale e che si concretizzerà solo nel 1914: Mancomunitat de Catalunya. Questo
organo di autogoverno agirà in modo autonomo su diversi fronti: creazione di un sistema scolastico.
Era comunque un’autonomia molto limitata che ebbe modo di esercitare fino alla sua morte nel
1917. Nel 1921 arriverà in Spagna la dittatura di Primo de Rivera, che metterà fine alla
Mancomunitat de Catalunya.
Tutto questo attivismo politico e culturale comincia a turbare i sonni di molti intellettuali spagnoli
che vedono non messa in discussione la lingua castigliana, ma quella visione monolitica che hanno
della realtà. Clarín scrive un articolo su La Publicidad il 7 gennaio 1986. Clarín capisce che dietro
la rivendicazione della lingua, forse c’è qualcos’altro. Percepisce che gli scrittori catalani non
intendono cambiare lingua, pur conoscendo perfettamente lo spagnolo. Dice che è sicuro che se si
fosse diretto ad altri autori, la risposta sarebbe analoga. Sostiene che il catalano sia un dialetto, non
una lingua, per cui non bisogna considerarlo dal punto di vista filologico come una varietà collocata
tra altre più importanti e accentuate. Risponde Prat de la Riba su La Renaixenca. La sua è una
risposta abbastanza dura.
Narcís Oller è ancora il protagonista del secondo scambio epistolare che abbiamo scelto per
esemplificare quanto la letteratura in catalano abbia costituito un elemento eterodosso poco
comprensibile nell’ottica prevalentemente “spagnolo-centrica” di molti importanti autori di questa
lingua. Si tratta dello scambio di lettere con Benito Pérez Galdós. Va detto che il rapporto del
grande romanziere delle Canarie con la Catalogna e la cultura catalana è molto articolato e non è
costituito solo dai fatti che qui ricorderemo. È tuttavia significativo che, nonostante le missive siano
assai note, questo aspetto, invero assai problematico che attesta un radicamento di carattere quasi
antropologico di talune posizioni, è per lo più sottaciuto da parte di certa critica spagnola.
Tutto si svolge in un lasso di tempo abbastanza delimitato: fine Ottocento e primi del Novecento,
quando la rinascita della letteratura catalana mette in crisi la centralità della letteratura spagnola e
l’unitarietà della lingua e della letteratura si era data per scontata. Per Galdós la poesia può scriversi
in catalano, ma il romanzo no. “La novela debe escribirse en el lenguaje que pueda ser entendido
por mayor número de gente”. Le ragioni per cui Oller scrive in catalano attengono fedelmente
all’estetica realista: la credibile rappresentazione nel romanzo dei personaggi e del loro mondo. Il
romanzo è un mondo e in quanto tale i personaggi di questo mondo non potrebbero mai parlare in
spagnolo.
Un motivo ricorrente è quello di un più ampio pubblico potenziale per la lingua maggiore. Oggi, in
base a questo criterio, sarebbe meglio scrivere tutti in inglese o in cinese quanto a pubblico
potenziale. La poesia, elitaria per definizione, è l’unico genere che può essere appannaggio della
lingua catalana, ma appare evidente come per Galdós sia il romanzo a stare al centro della creazione
letteraria. Certo l’autore di Tristana aveva ben capito qual era l’importanza del genere nel forgiare
una nazione e come non potesse esserci la concorrenza di “un immaginario romanzesco” alternativo
a quello ispanico che ne mettesse a repentaglio la centralità e, in ultima analisi, forse anche
l’esistenza. In un testo, Timothy Brennan, coglie e sintetizza l’essenza del problema. Il romanzo
funziona come fucina dell’identità nazionale: “It was the novel that historically accompained the
rise of nations”.
Un altro grande teorico, laico, del catalanismo è Almirall, di cui Prat de la Riba parla.
Troviamo l’innata passione di Prat de La Riba del pensiero britannico: il self-government
riconosciuto a tutti gli enti sociali è il principio dell’autonomia. Qui si trova il massimo della libertà
con il minimo delle limitazioni.
La Catalogna non ha coscienza di sé per lungo tempo: l’essere stata conformata a immagine e
somiglianza della Castiglia ha portato la Catalogna e molti catalani a non avere percezione di se
stessi. Nel libro vengono invece sottolineati gli elementi di differenza: le diverse realità sono

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separate dalla lingua. La lingua è un elemento che si può apprendere. La lingua è centrale nella
percezione della cultura e dell’unità catalana.
L’idea di nazione catalana e l’elaborazione ottocentesca in rapporto all’ambito letterario coevo e del
primo del Novecento
Lo Catalanisme (1886) è il primo dei testi di Valenti Almirall sul catalanismo, che precede i testi di
Torres i Bages e di Prat de la Riba. Almirall si colloca nella riflessione sull’idea di nazione in un
ambito ideologico diverso da quello degli altri autori già menzionati, dal momento che si colloca sul
piano del liberalismo; Almirall si colloca quindi non su un piano confessionale ma su un piano
politico moderno che guarda a un modello, che è per l’autore il modello inglese. L’analisi storico-
culturale di Almirall risente del positivismo, ovvero del poter misurare tutto e di dare concretezza a
tutti i dati caratteriali. Tuttavia, un dato è comune a buona parte della riflessione teorica catalana sul
nazionalismo: ci troviamo di fronte a una riflessione sull’identità nazionale fondata sul
volontarismo, sulla capacità di esprimere una volontà e trasformarla in volontà politica. Ciò che
precede il progetto politico è l’analisi delle differenze tra il carattere castigliano e quello catalano.
Nella Penisola si possono classificare due grandi gruppi di popolazione: centro-meridionale –
personificata nella gente castigliana – e quella pirenaica – personificata nella gente catalana. La
prima zona si estende a tutte le zone riconquistate dalle armi castigliane (Castiglia la Vecchia e
Castiglia la Nuova), mentre la seconda (il gruppo nord-orientale) si compone degli antichi stati che
formarono la Confederazione aragonese-catalana, alla quale si devono aggiungere tutti i territori che
occupano il versante di una parte al di là e al di qua dei Pirenei fino al golfo di Biscaglia. Ci sono
più punti in contatto con le genti del nord, che vivono attorno al golfo di Biscaglia e a ridosso dei
Pirenei che con la zona del mezzogiorno della Penisola Iberica. Il popolo castigliano è il popolo che
ha i tratti distintivi più marcati di quelli che popolano l’Europa: secondo l’idea di Almirall abbiamo
un estremo occupato dal lato anglosassone e dall’altro un estremo occupato dal mezzogiorno
europeo. Nel lato anglosassone predomina il pensiero positivista, basato nel senso pratico e
individualista, mentre il lato castigliano è genuina espressione dell’idealismo e dell’astrazione. I due
personaggi che incarnano queste due realtà opposte sono il Don Chisciotte e John Bull che non si
sono mai potuti capire e mai si capiranno, non c’è possibilità di dialogo tra queste due realtà. John
Bull è disposto a dare l’indipendenza all’Irlanda come ha già fatto con il Canada, l’Australia, il
Capo di Nuova Speranza e altre colonie. Don Chisciotte, per evitare pericoli ideali, espulse gli ebrei
e i moriscos per l’idea della purezza della razza che sicuramente la mentalità inglese non conosce,
portando alla rovina attraverso il decadimento dei commerci e delle industrie. I catalani si sentono
più vicini alla mentalità più pragmatica inglese: dirige quindi una critica all’idealismo castigliano
che molto spesso non è altro che una repressione della volontà di libertà dei popoli. Almirall insiste
sull’idea dell’autonomia lasciata dall’Inghilterra, che ancora oggi, attraverso il Commonwealth,
dispone di relazioni relativamente buone con tutte le ex colonie che riconoscono ancora la regina
d’Inghilterra il capo di Stato. Questo non accade invece con la Spagna. Almirall non è solo critico
rispetto a questo aspetto della realtà culturale e dell’agire storico castigliano, ma lo è anche rispetto
allo “sciovinismo” catalano. Uno dei vizi che indica la decadenza e il ritardo in cui si trovano i
catalani sta nella petulante pretesa di trovare tutto ciò che è catalano il migliore di tutti: coloro i
quali dicono cose simili dimostrano una stupida vanità o un’ignoranza deplorevole. Il carattere
catalano è per Almirall l’opposto del carattere castigliano: se abbiamo l’astrazione idealista da un
lato, i catalani cercano vantaggi positivi e concreti. Se la Castiglia è Don Chisciotte, forse la
Catalogna si può identificare con Sancho Panza perché vede la realtà. Per Almirall, uno dei grandi
meriti della creazione di Cervantes è avere incarnato nella figura del suo eroe la vera essenza del
tipo castigliano: è disinteressato, amico delle buone forme e specchio della cortesia. Tuttavia, è
debole di corpo ma ancor di più di intelligenza nel senso di capacità di comprendere la realtà. Si è
fatto una legge della cavalleria e si è impegnato ad imporre la sua idea sugli altri che non la
ammettono e non la vogliono accettare. Se a Londra ci sono i protestatari, ma non succede niente
perché si rispetta la libertà di esprimere la propria opinione, don Chisciotte invece è disposto a
combattere per reprimere ciò che va contro i suoi ideali.

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Caratteristiche politiche del carattere castigliano contro quello catalano: da una parte dominano
oligarchia e autoritarismo, idealismo generalizzatore e spirito di assimilazione e imposizione, non
interessato ma prodigo; dall’altra parte abbiamo il positivismo e un’accentuazione del particolare
sul generale, un disprezzo della raffinatezza e delle forme e una preferenza accordata alle istituzioni
e non ai singoli uomini. Non ci si aspetta l’eroe, ma un’istituzione collettiva che funzioni; nell’idea
castigliana prevale un’idea più concentrata sugli uomini che sulle istituzioni.
Per Almirall gli Stati Uniti d’America e i modelli che si ispirano al sistema particolarista e
repubblicano sono preferibili. Le istituzioni americane, frutto della cultura anglosassone,
rispondono alle necessità di ciascuna realtà politica locale, di ciascuno stato. La forza e il vigore del
sistema federativo stanno nella decentralizzazione e nel rispetto del particolarismo, nella
consacrazione della varietà che lo trasformano nel regime naturale e genuino della libertà. Si
introduce il concetto del “dividi per unire”, ovvero più realtà che formano un unico raggruppamento
che rispetta le singole entità che la costituiscono.
In Catalogna l’intersezione l’elemento storico con l’elemento letterario è a tal punto inestricabile
che potrebbe dirsi che la storia politica catalana è anche una sua storia letteraria: la letteratura ha
contribuito in buona parte a definire lo stesso concetto nazionale della Catalogna anche quando la
storia stessa non lo ha permesso.
Nel 1887 Marcelino Menéndez Pelayo spiegava in una lettera a Juan Valera che il catalanismo
politico «puede ser peligroso si se apoderan de él los federales como Almirall, que ya han
comenzado a torcerle y a desvirtuar el carácter literario que al principio tuvo. El tal Almirall es un
fanático todavía de peor casta que Pi y Margall, a quién siguió en un tiempo, pero cuyo catalanismo
ya no le satisfece o le sabe a poco. Está haciendo una propaganda antinacional de mil diablos».
L’idea che il catalanismo da letterario diventa politica turba i sogni dei politici e dei letterati
spagnoli. L’idea che catalanismo da letterario diventa politica turba i sonni non solo dei politici
spagnoli ma anche dei letterati spagnoli perché c’è un dogma sottostante che viene dalla
Reconquista, ovvero dell’unità nazionale che è un dato intangibile, immodificabile e non soggetto a
discussione. Chiunque metta in discussione questo dato, o con richieste di autonomia o di
repubbliche federali, entra nell’ambito di ciò che va represso. Menéndez Pelayo è preoccupato di
questa propaganda antispagnola portata avanti da Almirall, così come lo erano Clarín e Galdós.
Prat de la Riba fa alcune osservazioni sull’opera di Almirall ne La Nacionalidad Catalana (1906).
Prat de la Riba fa suo, su basi leggermente diverse, il sistema particolarista proposto da Almirall:
non vuole una Catalogna isolata dal contesto iberico, ma la vuole all’interno di un sistema di
federazione iberica in cui la Spagna avrebbe un ruolo non più egemonico ma un ruolo che deve
condividere con le altre componenti significative della Penisola Iberica (compreso anche il
Portogallo). Anche de la Riba predilige il sistema inglese su quello francese: la libertà francese
livella e schiaccia, quella inglese è l’auto-governo riconosciuto agli uomini e a tutte le entità sociali;
è nel self-government che si trova il massimo della libertà e il minimo delle limitazioni. La figura di
Eugeni d’Ors influirà anche sul piano politico in Prat de la Riba. E Prat de la Riba sarà sempre un
faro per d’Ors. Il filosofo definirà il politico “seny ordinador de Catalunya”.
Un tema che si trova in Prat de la Riba è quello della teoria “imperialista”, affrontato nell’ultimo
capitolo de La Nacionalidad Catalana. Si tratta di una dottrina di Eugeni d’Ors che Prat de la Riba
aggiunge nel suo testo in un secondo momento. Un impero era si oppone alle aspirazioni
nazionaliste quando si tratta di un impero che schiaccia e domina. Qui abbiamo invece un’adesione
volontaria a un impero federale, che è risultato dell’armonizzazione delle correnti nazionalista e
universalista. Si trova espresso un principio preoccupante: i popoli barbari, o coloro che vanno in
senso contrario alla civilizzazione, devono essere sottomessi al potere delle nazioni civilizzate.
Dominare con la violenza è l’imperialismo selvaggio d’Oriente (imperialismo negativo), mentre
dominare attraverso la sola forza della civilizzazione e della cultura è l’imperialismo sano e
fecondo, ma incompleto della Grecia. Il terzo imperialismo che va perseguito: dominare attraverso
la forza della cultura e sostenuto dalla forza materiale è l’imperialismo moderno. L’impero è il
dominio di una civiltà sostenuto da una forza materiale.

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Una delle battaglie del “Noucentisme” è proprio la battaglia per la cultura. Il Novecentismo ha
influssi in tutti i campi culturali: La Fundació Bernat Metge che nasce a Barcellona negli anni ‘20 e
che aveva come scopo quello di pubblicare in lingua catalana le collezioni dei grandi classici greci e
latini. L’idea di fondare questa fondazione per tradurre in lingua catalana i classici è frutto della
temperie culturale voluta dal Novecentismo. Joan Estelrich ha sempre lottato per affermare la
cultura catalana. In questo periodo viene scoperta la colonia greca di Ampurias: il mondo
mediterraneo era un mondo unico e i catalani si sentivano particolarmente vicini alla cultura greca.
Da qui nasce la necessità di fruire di una nobile eredità che gli appartiene e della quale non
godevano fino a quel momento. È una specie di nuovo Umanesimo che scaturisce nel primo
Novecento: grande volontà di conoscenza e di costituire una lingua basata su quella dei classici. Il
progetto culturale è di assoluta importanza. L’idea parte da Francesc Cambó (1876-1947), che
finanzierà questa impresa. Joan Estelrich è il coordinatore, l’artefice intellettuale del progetto. Joan
Crexells traduce Platone, Carles Riba è il grande grecista del gruppo. Anna Maria de Saavedra i
Macià ha tradotto Ovidio e Adela Maria Trepat i Massó che collabora nella traduzione di Ovidio e
altri autori latini.
Dal 1922 ad oggi la collana dei classici greci e latini della Bernat Metge ha pubblicato oltre 430
volumi, malgrado le interruzioni del primo Franchismo. Dal 2017 la collana fa capo alla Casa dels
clàssics e, di fatto, ha pubblicato tutti gli autori più significativi della classicità greca e latina. Nel
1918 Francesc Cambó disse a Josep Maria de Sagarra: «se un giorno io diventassi miliardario mi
piacerebbe fondare in Catalogna qualcosa di importante per i classici perché penso che quello che
serve di più al nostro paese sia la lettura dei classici antichi». Eugeni d’Ors non partecipa all’opera
ma ne è l’ideologo con la sua idea di mediterraneità. Tutti coloro che collaborano all’opera vogliono
dare alla cultura catalana una lingua letteraria fondata nell’esercizio e la traduzione dei classici.

02.11.2020

Dal Modernisme al Noucentisme in Catalogna

Il modernismo è una corrente culturale-letteraria che in Europa identifica cose molto differenti tra
loro. Un conto è il modernismo in America latina, un conto quello in Catalogna.
Cominciamo con un testo di Maragall (1860-1911) grande poeta della grande poesia in lingua
catalana: Cant Espiritual, lui era cattolico ma sui generis, molto legato alla filosofia niceana e vicino
alla cultura tedesca (tradusse in catalano Novalis e Goethe). È un tentativo di conciliazione tra il
mondo religioso in cui lui crede e il mondo sensuale, dei sensi che ha frequentato attraverso molti
testi e che lo attrae. La sintesi di ciò è questo canto che Montale tradusse attorno agli anni 50’. Nel
suo quaderno di traduzioni da cui la traduzione è tratta tradusse anche molti altri autori tra i quali
Shakespeare. Non conosceva il catalano ma questa traduzione è accettabile, seppur adattata alla sua
personalità (non essendo credente ciò si riflette nel suo processo traduttivo).
[lettura testo tradotto in slide]
Ci sono nel testo catalano alcune peculiarità che la traduzione non recepisce come ad esempio l’uso
dell’allitterativo, molto importante in Maragall. L’elemento più importante nella poesia è stato colto

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da Montale anche se ci sono cambiamenti sostanziali: vv. 1-2 della seconda pagina, “i el compte de
lo molt, i el poc, i el massa” (=e il conto del molto, del poco e del troppo) viene tradotto con
“perché il tutto è il nulla?” questo è il nichilismo che in Maragall non si trova.
Le evocazioni di quanta letteratura troviamo in questo testo: prima pagina, evocazione del Faust 
“Chi mai non disse «fermati» a un momento, fuor di quello che gli portò la morte, non lo
intendo[…]”; chi non ha mai chiesto all’attimo di fermarsi per goderlo (per godere dei piaceri della
terra). Si trova un verso simile nel Faust.
Lello Voce (cantante e poeta napoletano) ha fatto una versione che divenne un classico.
Gli elementi caratterizzanti del modernismo catalano: si concretizza sia a livello letterario che in
architettura, dove in Catalogna si esprime col massimo furore. Margall è un modernista ma non
condividerebbe i punti 2 e 3 della lista perché era un grande borghese, benestante con famiglia
ricca, ha avuto 13 figli uno dei quali fu Pascual Margall. Sempre dediti a cultura, letteratura e
politica. Quindi non contraddice i valori della borghesia.

- Ruolo della natura: in moltissime poesie.

- Artista che vive ai margini della realtà

- Contraddizione con i valori della borghesia

- Contestazione delle scelte dei genitori

- Idealismo versus materialismo borghese

- Arte come necessità che marginalizza la ricompensa economica: si vive per l’arte.

- Attenzione ai movimenti europei e soprattutto nord-europei: il modernismo si ispira al nord


Europa. La Catalogna non guarda la Spagna ma altrove sia per Modernisme che per
Noucentisme.
Punti cardini del Noucentisme (Eugeni d’Ors 1881-1954):
- Eugeni D’Ors e Prat de la Riba

- L’idea imperialista

- Teoria del Noucentisme

- Critica del Modernismo

- Centralità della città: natura come natura che sta al di fuori delle mura della città, sostituita dalla
centralità della città.

- Battaglia per la cultura: esiste solo una cultura alta classica, non popolare.

- Catalanismo

- La norma: bisogna dare a tutto delle regole, punto centrale che ha salvato la lingua catalana. Era
una lingua fino al 1913 che nessuno aveva incasellato in regole che ne stabilissero il canone. Poi
Pompeu Fabra elabora una grammatica normativa del catalano (basata sul catalano centrale
barcellonese) e un dizionario normativo.

- Ragione, ordine e misura: al centro della riflessione noucentista.

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- Classicismo e Mediterraneo: non il nord Europa ma l’area mediterranea.
Eugeni d’Ors partendo da DOS LLIBRES formula una critica al modernismo. Non troveremo
scritto che il modernismo lo detesta, è molto sottile il suo pensiero e le differenze vengono filtrate.
È antecedente al Noucentisme il Modernisme. Il Noucentisme si pone proprio come modernitá che
critica ciò che è venuto prima, del resto tutti i movimenti di avanguardia si propongono di
distruggere ciò che c’era prima. Il Noucentismo però non è così radicale, è un movimento
costruttivo e avanza delle critiche al modernismo a partire dalla recensione di due libri: La
Nazionalità catalana e un volumetto di poesie di Margall, Enllà:
“Due parole fondamentali ha avuto la forte generazione di Prat e Margall: el
Nacionalisme e la Teoria de la Paraula viva… ¡Gloriosa Catalogna! Non ce ne abbiamo
abbastanza con due parole ideali così per riempire tutto un secolo. Tu sei riuscita a
portare a maturità in un’ora due cose così importanti. La storia di questa maturazione
del nazionalismo è il fondo bellamente eroico del libro di Prat de la Riba (l’elemento
dell’eroismo dell’uomo è molto importante per un noucentista, non esiste più lo spirito
di popolo come i modernisti ma si concentrano sull’individualismo eroico dell’uomo), il
succo della maturazione di quella teoria fermenta tumultuosamente negli ultimi versi di
Margall.”
Fino a qui è molto positivo nella recensione.
“Orbene: Questi due capolavori della generazione maestra nostra (di noi), ¿Che ci
portano a noi novecentisti catalani queste due opere? (da notare come d’Ors parli di
novecentisti catalani come se già ci fosse un movimento). Abbiamo meditato a lungo su
questo tema e diremo sinceramente, chiaramente, il frutto della nostra meditazione. Il
frutto della nostra meditazione è il seguente: sappiamo, attraverso l’opera di Prat, che il
nazionalismo della Catalogna ci è utile per la sua dottrina e il suo esempio. Dubitiamo,
per l’opera di Margall, se l’estetica della parola viva ci sia utile per la sua dottrina e il
suo esempio, o soltanto per il suo esempio… (perché questa critica alla dottrina: La
dottrina della parola viva è una rivalutazione di ciò che non è poi nei canoni dei
noucentistas –individuo, eroe, elite– ma ci riporta all’interno dello spirito di popolo
(volksgeist) che Margall invece coltivava, lui che era un borghese quanto d’Ors amava
un’idea più orizzontale della società; quindi dice che Enllà, che è la quinta essenza della
dottrina della parola viva, non porta nulla all’idea noucentista della Catalogna. Questa
idea è un’estetica che sia finalizzata all’affermazione della civiltà, dell’imperialismo e
di tutti i valori che ha sempre coltivato e teorizzato d’Ors).”

La dottrina della “paraula viva” di Joan Margall:


La lingua poetica di Maragall è proprio quella parlata e usa con un certo compiacimento forme
dialettali barcellonesi del catalano. Il poeta, che vuole introdurre la serenità in poesia, deve
adeguare il linguaggio che non sarà quello aspro dei poeti della Renaixença. Anche la metrica non è
mai un vincolo per Maragall. Arte e ragione non possono deformare la spontaneità della vita. “Il
poeta prendeva nota delle ‘parole vive’ quando gli sovvenivano e le annotavo in quaderni che
portava sempre con sé” [J.Ferrer-Vidal Turull, Maragall, Epesa, 1970, p. 106].

Queste annotazioni compaiono nel volumetto [J. Margall, Elogio della parola e della poesia, a cura
di Nancy De Benedetto, Napoli, Pironti, 2011, pp. 27-29].
“Ricordo una volta, sul nostro versante dei Pirenei […] avevamo perso tutti i riferimenti
e inutilmente interrogavamo con occhi inquieti la muta immensità delle montagne
immobili. […] All’improvviso […] sentimmo uno scampanar invisibile; i nostri occhi

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sbalorditi […] ci misero tempo a vedere un branco di giumente che pascolavano in una
valle di verde intenso. […] Trovammo il pastore che riposava, vicino a una pentola
fumante […]. Chiedemmo indicazioni e l’uomo, che sembrava una scultura di pietra,
Girò solo gli occhi nel volto fisso, alzò lentamente il braccio per indicarci un impreciso
sentiero e mosse le labbra: […] si udirono […] le parole che il pastore pronunciò
ripetutamente: “Quel solco…” e indicò vagamente in direzione delle montagne.
[…]“Quel solco”: che belle quelle due parole pronunciate così gravemente nel vento!
Erano piene di significato e di poesia. Il solco era la fenditura in cui scorrevano le acque
delle nevi sciolte. E non si trattava di un qualsiasi canalone scavato tra le rocce, ma
precisamente di quello che lui riconosceva alla perfezione tra gli altri per la forma che
aveva: quel canalone era una cosa precisa e aveva un’anima. Era “Quel solco….”. Ecco,
per me questo è parlare.
I protagonisti non sono di elevata cultura, qui parla un pastore, poi una bambina nell’altro episodio
successivo, in questo caso Margall narra di una passeggiata sul versante francese dei Pirenei, arriva
con amici a un paese e chiedono a una bambina di dire a loro una parola nella sua lingua (che non
era il francese, bensì l’occitano): “le stelle”, cioè lei come parola esemplare della sua lingua scegli
le stelle. Ecco cosa intende per parola viva Margall.
(continuando il testo di prima ci imbattiamo nel concetto del poeta che dev’essere ingenuo):
“Solo il popolo può pronunciarle ingenuamente [parole come queste] e solo i poeti
possono ripeterle con ingenuità più intensa e maggior canto, con la luce della
rivelazione, poiché il poeta l’uomo più ingenuo e saggio della terra.”
Un appello all’ingenuità del poeta, deve sempre essere colto da meraviglia per tutte le cose che vede
nella terra.
Torniamo al rapporto tra Modernisme e Noucentisme. L’altra differenza è L’opera di “civiltà” dei
Noucentistes:
“Ripetiamo la domanda: “¿Che portano alla generazione noucentista catalana questi due libri della
loro generazione maestra: La Nacionalitat Catalana ed Enllà? Rispondiamo. Portano, il primo una
lezione doppia di esempio e di dottrina, lezione di esempio perché mostra superba esperienza
politica di come alcune idee nate nell’isolamento di una camaraderia scolastica divengono
rapidamente le idee che reggono la vita di tutto un popolo (dalla teorizzazione alla pratica). La
dottrina perché in questo libro di Prat, il Nazionalismo catalano, che forse in qualche momento la
generazione dei noucentisti ha potuto credere ostile al proprio pensiero (qui è d’Ors che parla che ha
ideato questa dottrina e la vuole far accettare come strumento politico a Prat e tutto il suo seguito;
cosa che interessava molto meno a Margall, meno interessato al potere) e si allarga generosamente,
fa entrare opportunamente nel suo seno il verbo politico della nuova generazione: l’imperialismo.
(qua siamo a distanze siderali dal modernismo. Torna su due concetti: di arbitrarismo [versione
della civiltà, della regola e dell’ordine nell’estetica=letteratura e architettura] e l’imperialismo in
ambito politico che si possono sintetizzare con quell’unica parola della terzultima riga ovvero
civiltà. E l’opera noucentista è civilista appunto.)
L’imperialismo è opera di civilizzazione, non di conquista (opera trionfale del nazionalismo – opera
di conquista in senso culturale). Nella sintesi dice di aver parlato un po’ male di Margall… sono le
opere fondamentali di Eugeni d’Ors, e si tratta di interventi brevissimi chiamati “glosas”, che lui
pubblicava (sull’Aleu de Catalunya) e davano una specie di articolo di fondo culturale molto breve,
le sue glosas davano il senso di quella che era la cultura alta della Catalogna di quegli anni. Una di
queste è la n. 28 – VI – 1906 (stesso anno della Nacionalitat Catalana e Allà) e cerca di fare una
specie di sintesi:
“Ormai il nazionalismo catalano ha cominciato la seconda funzione di tutti i
nazionalismi, cioè quella dell’influenza esterna e cioè la funzione imperialista. Oh
Maestro grazie! (si rivolge a Prat de la Riba). Vedete: noi noucentisti abbiamo dovuto
soffrire molto questo nostro imperialismo, sembrava un sogno incoerente da dilettanti,
venivamo derisi (effettivamente molti modernisti deridevano questa idea). L’avevano

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nominato come convinzione manicomiale di un pazzo che sta fuori le mura del
manicomio. E questo è successo meno di 1 anno fa (Un’altra volta quindi: oh! Strana
Catalogna). Oggi questi giorni di prova sono finiti per sempre, la spada del cavaliere ci
ha armati cavalieri. Maestro (sempre a Prat de la Riba, direttore dello stesso giornale sul
quale scriveva d’Ors): perché la vostra dottrina è anche la nostra dottrina, giuriamo
fedeltà alla vostra dottrina… Questa è la doppia lezione del primo libro (quello di Prat
che evidentemente gli piace).”

Vediamo alcune caratteristiche di d’Ors che dal 1900 in poi abbandona la cultura catalana, passa a
Madrid per motivi abbastanza bassi e diventerà un falangista. Alcuni tratti della sua personalità
soprattutto in ambito politico si vedono già dalle prime glosse.
Vediamo cosa dice d’Ors della generazione che i novecentisti (che si identificano con Prat de la
Riba) invece vedono in Enllà (di là) di Margall. [“Enllà” i la generación noucentista – Le sublimi
anomalie del Modernismo secondo Eugeni d’Ors]:
“Capirete tutta la mia emozione davanti Enllà di Margall, quando io vi abbia detto che è un’opera
che mi turba e letteralmente mi spaventa, la capirete questa mia emozione? Che libro! Per fortuna
mai la parola umana è arrivata a così solenni estremi come in lui. A volte lo debbo confessare non
so pensare senza terrore al destino del nostro popolo, obbligato a sostenere, sulla sua povera
normalità così precaria, il peso, la grandezza e la gloria di queste due sublimi anomalie: la Sagrada
Familia e la poesia di Margall.
Enllà è la nota più acuta, più stridente del romanticismo latino, forse del romanticismo di tutto il
mondo. Mi sembra che dire questo di un libro è già dire qualcosa, non so di nessun altra letteratura
in cui il verbo sia arretrato in modo così magnificamente spaventoso nel senso contrario
all’articolazione razionale, cioè al cammino dell’interiezione. (vuol dire che il linguaggio diventa
una balbuzie per il nostro Eugeni d’Ors, siamo proprio ritornati indietro). Passati i limiti di questa
poesia già il dire degli uomini non è più un dire, ma un suono naturale potente come la musica delle
cascate, del mare, dei venti e dei boschi… (in questi elementi viveva tutta la poesia modernista di
ambito catalano). E con questa naturalità e con questa potenza inumane sembra sognare il nostro
poeta che canta audacemente.

Vediamo l’anomalia sublime costituita dalla Sagrada Familia: perché è un’anomalia? Ricco di
simbologie di cultura catalana, monumento universale ma anche catalano. Antoni Gaudì e Margall
condividevano la fede, l’idea di Catalogna e una certa visione di essa non imperialista ma di
autonomismo radicale.
- Il Modernismo letterario e quello architettonico

- Grande amicizia tra Antoni Gaudí e Joan Maragall, testimonata


da molte lettere.

- Antoni Gaudí a Joan Maragall, 16 novembre 1906: Gaudì scrisse qualcosa e nell’archivio Joan
Margall sono conservate lettere che spediva a Margall.

- Mon afecte per V. tè un motiu més de excelsitud, no per això me dono per complert envers V.;
voldria tenir moltes ocasions de concòrdia i amor entre noaltros; ara rebo unes invitacions per a
unes apològetiques de les quals li faig participant; no dubto que els conceptes apològetics
vibraran al uníson dintre les nostres ànimes” [A. Gaudí, Escritos y documentos, a cura de Laura
Mercader, Barcelona, El Acantilado, 2002, p. 299] si capisce l’intimità ideologica e ideale di
sentimenti tra i due.
“Il mio affetto per lei ha un altro motivo di essere portato a un livello eccelso. Non per
questo mi do per soddisfatto nei suoi confronti (cioè si sente sempre un po’ a disagio Gaudì,
molto onesto, morto come un cane dopo essere stato investito da un tram a Barcellona). Vorrei

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che ci fossero molte occasioni di concordia e amore tra noi, ora ricevo alcuni inviti per certe
conferenze apologetiche (=erano preti che parlavano di problemi culturali e cercavano di
cogliere da ogni aspetto degli autori considerati ciò che poteva essere utile ai figli
dell’apologia, della religione) delle quali vi rendo partecipe. Non dubito che i concetti
apologetici vibreranno all’unisono dentro alle nostre anime.”

In cambio Maragall sulla Sagrada Familia dice: (articolo del 19 marzo 1906) era iniziata da poco la
costruzione eppure Maragall conosce la grandezza del progetto, lo aveva visto e andava spesso a
visitarne il cantiere alla periferia della città.
“Mi sono dunque incamminato verso il tempio con quel timore reverenziale di sempre
che mai mi fa fare il viaggio invano. Già da lontano fui invaso dalla maestà del tempio,
come un’ ondata dagli effetti a me ben noti, eppure una sensazione sempre nuova,
perché la profondità del tempio è insondabile e la sua ricchezza inesauribile. Un tempio,
per quanto ci possa essere familiare, non lo è mai fino in fondo; ci rivela sempre
qualcosa d’ignoto, conserva sempre un alone di mistero. Questa è la sua tremenda forza
d’attrazione. E un tempio ancora in costruzione è affascinante…”
Ad oggi non è più un monumento ma una basilica per volere del Papa Benedetto XVI nel 2010.
Fino agli anni 70 la SF era una facciata dietro alla quale non c’era nulla. Un cantiere. Ad oggi è
circondato dalla città e dalla struttura a scacchiera voluta da Ildefons Cerdà. Maragall osserva:
“E il tempio mi apparve come sempre e come a molti: una grande rovina […]. Eppure io
mi compenetro maggiormente con la sensazione di rovina; mi lusinga in quanto,
sapendo che quella rovina rappresenta una Nascita, mi redime dalla tristezza di tutte le
rovine; e ormai da quando conosco questa costruzione che sembra una distruzione, tutte
le distruzioni possono sembrarmi costruzioni. […] Io lì [in quel sacro cantiere] vedo che
persino i bambini, che nulla sanno, giocano in modo diverso e persino nel volto degli
anziani [che lì stazionano] si legge un dolce oblio…”
= la chiama distruzione perché è in rovina. Bellissima frase. La sua idea è trascendentale, il progetto
è fatto da un architetto armato di una fede incrollabile, non si percepisce il distacco delle Chiese di
oggi. Gaudì era il grande architetto ma anche uomo di fede.
“[Davanti al portale d’ingresso: Facciata della Nascita]: [Stavolta, anziché entrare,
decisi di] fermarmi sulla soglia e alzare gli occhi e me lo vidi [il portale] interamente
sopra la mia testa, come se fosse stato innalzato su di me in quello stesso istante: teste
umane si affacciavano guardandomi, la stella cometa del Presepe irradiava sulla mia
fronte i suoi raggi di pietra; non avevo mai visto la pietra diventare luce e quello era un
torrente d luce. Non avevo mai sentito la pietra cantare, ma sentii il canto di pietra di
tutto il portale in un’assordante armonia. Ed entrai…od uscii. Non lo so, perché in
questo tempio c’è più luce dentro che fuori [J. Maragall, Vida escrita, Madrid, Aguilar,
1959, pp. 372-374]”
= la simbologia della facciata è propria del modernismo ma richiama anche la cultura catalana,
rimanda al Canigò di Verdaguer. Connessione poesia-architettura. Immagini relative alla nascita,
alla rivalutazione del Padre e della Sacra Famiglia, nella vulgata è + importante la Vergine in
quanto madre e in questo caso è contrario; ci hanno lavorato molti scultori ma tutto è stato pensato
da Gaudì. Dettaglio della stella cometa del Presepe, posizionata verticale con pungiglioni.
Importanza della natura: foto slides dei pinnacoli del massiccio presso il monastero di Montserrat (a
qui si ispirano le estremità della facciata).
Dopo questa parentesi torniamo ad una citazione di Enllà di Maragall (1906): sono gli ultimi 6
versi, la parte che Maragall chiamò Escolium. Questi due versi di M. fanno uscire di senno Eugenie
d’Ors.
“La poesia è appena cominciata ed è piena di virtù sconosciute”

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D’Ors dice: “Ecco qui qualcosa che io non so leggere senza rabbrividire… ma anche, ecco qui
molte delle cose completamente distanti dallo spirito dell’opera del Noucentisme. – L’azione
civilistica in cui abbiamo messo l’anima e il cuore ed è essenzialmente inseparabile dall’estetica.”
Non può esistere una virtù sconosciuta della poesia secondo il noucentista, tutto deve essere
preventivamente pensato, scritto quando viene detto e non può essere qualcosa che non sappiamo
cosa sia.
Leggiamo i versi per intero:
“Adalaisa(Adelais - si pronuncia), Adalais(a)Per pietà,
nel tempo ci sono ancora cose
che ignoriamo:
la poesia è appena iniziata
ed è piena di virtù sconosciute
ma ora hai ragione, ne abbiamo parlato abbastanza
e aspettiamo in silenzio altri arrivi.”
= il senso che interessa a d’Ors è che qui non c’è nessun tipo di azione e razionalizzazione. Tutto è
lasciato al sentimento, al tardo Romanticismo e quindi questi vv. si collocano al polo opposto di
quella che è l’azione di civilizzazione che vuole fare il Noucentisme.
Alla fine della sua critica a M. arriva a dire che sono le ragioni per le quali si è costruita la nuova
estetica noucentista per far capire a contrariis come Enllà dica il contrario di ciò che vuole il
Noucentisme.
Enllà affretterà, a contrariis, la nascita della nuova estetica:
“Nell’estetica arbitraria vediamo il sostrato teorizzato dal classicismo come nell’estetica
della parola viva c’è il sostrato teorizzato al Romanticismo. (Poli opposti. Il
Noucentisme si propone come una sorta di neoclassicismo secondo i canoni del 900.
Infatti sono critiche simili a quelle che avrebbe potuto fare un neoclassicista al
Romanticismo e quindi il sostrato di M. è il Romanticismo che d’Ors schifa perché
preferisce un sostrato teorizzato al Classicismo. Vede che ci sono dei sintomi che fanno
capire come la poesia del modernismo stia per essere abbandonata tra virgolette a favore
dello spirito novecentista). In questo si esprime in una nuova formula la
caratterizzazione di una nuova razza, mai come ora così numerosa e attiva come ha
scritto Alomar nel suo studio sull’Estetica Arbitraria. – Mille sintomi, da tutti notati, si
sono prodotti ultimamente in questa direzione… Forse non si ha ancora una chiara
coscienza del fenomeno e della sua legge: ma ci arriveremo presto – E non dubito che la
pubblicazione di Enllà avrà affrettato, per contraccolpo, in molti spiriti, la produzione di
quella coscienza che lo critica. (che critica Enllà, il modernismo e anche Maragall).”
Queste glosas (testi brevi) che dovevano elogiare due libri, finiscono con l’elogiarne solo uno,
quello di Prat de la Riba a cui d’Ors ha collaborato, e finisce per gettare alle ortiche l’estetica
modernista poco adeguata secondo lui ai tempi nuovi.
La poesia di Maragall non ha altra utilità che l’esempio: (29 – VI – 1906)
“Come si vede, il glossatore si vuole astenere da ogni giudizio. Si limita a constatare un
fatto. E il fatto è: che c’è, più che indipendenza, contraddizione, tra l’Estetica della
Parola viva, che ha avuto la sua manifestazione più significativa in Enllà, e l’Estetica
Arbitraria, novità spirituale essenziale nella generazione novecentista. – per questo la
generazione novecentista, che nella Nazionalità Catalana di Prat ha visto oggi una
duplice utilità di esempio e di dottrina, dubita se nell’opera del suo essenziale “Maestro
in Gaia Scienza” (titolo che M. aveva conquistato nei giochi floreali [gare di
versificazione] ed era il titolo massimo) (davvero questo, e da molti prima che nei
diplomi di calligrafia gotica lo cantassero = era davvero maestro in Gaia Scienza prima
ancora che lo cantassero gli autori che usavano i caratteri gotici, quindi nel medioevo),
se nei versi del nostro grande Poeta delle Cose estreme (la morte, il giudizio finale,

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l’inferno e la gloria), può trovarci qualche cosa di più che una semplice utilità–altissima
questo sì– di esempio.”
L’opera di Maragall può essere solo un esempio, magari negativo dal quale allontanarsi. Cos’ d’Ors
ha steso una pietra sull’opera di Maragall secondo la sua visione estetica. Ancora oggi è una poesia
tra le più grandi di tutti i tempi scritta in catalano. La sua scelta estetica è comunemente sentita e
percepita come viva ancora oggi, lo è meno l’Estetica Arbitraria di d’Ors.
D’Ors: dal nazionalismo all’imperialismo:
“Concludendo: dalle sue origini, una duplice corrente, politica ed estetica, sta nutrendo
di linfa vitale il Catalanismo. – Due opere della più grande importanza hanno segnato
oggi il punto raggiunto più alto per questa duplice corrente.
L’avvento della generazione noucentista non cambia il corso della corrente politica. Prat
de la Riba è venuto a mostrarci l’unità del cammino. – Così come, nello trascorrere del
tempo, il provincialismo è diventato regionalismo e il regionalismo nazionalismo, senza
reazione ne contraddizione, così ora con identica felicità il nazionalismo diventa tra di
noi imperialismo.
Al contrario, per quanto riguarda l’estetica dell’avvento della generazione novecentista,
quello che contraddice in ambito estetico, con direzioni nuove, la direzione anteriore. = i
noucentistas si oppongono a ciò che è venuto prima, ovvero al modernismo e alle sue
direzioni estetiche. La direzione estetica antecedente al Catalanismo era prodotta
sempre in uno stesso senso, quello Romantico, (e non era un nazionalismo imperialista
quello ma un nazionalismo provinciale. È una critica politica perché d’Ors vuole che il
suo novecentismo porti il nazionalismo al massimo livello, mentre il Romanticismo
rappresenta solo un gradino inferiore) da Piferre, il nostro primo grande romantico, fino
a Maragall, il nostro ultimo grande romantico. – Tra loro, il caso isolato di Costa i
Llobera non conta. […]
Era dovere del glossatore annotare con fedeltà queste palpitazioni del tempo.”
(=tutte le cose attuali che emergono, sintagma molto utilizzato da d’Ors. E quindi il Romanticismo
per lui è una fase antecedente, conclusa, preparatoria certo, ma conclusa dal Noucentisme).

09.11.2020

Dal Modernismo al Noucentisme – Joan Maragall vs Eugeni d’Ors (slides)


Recap (Glosse di E.d’Ors); dottrina della parola viva di Margall; politica estetica e cultura sono
molto interconnessi sia per il Noucentisme che per il Modernismo; Una sublime “anomalia”:
Sagrada família; La facciata della Natività; Modernismo e le forme naturali tipicamente catalane
(pinaccoli del monastero di Monserrat); Margall cita esempi della sua poetica e d’Ors lo critica di
continuo; quando si passa dal nazionalismo all’imperialismo d’Ors si fece falangista;

Lezione corrente Jacint Verdaguer ispiratore della simbologia di Antoni Gaudí. Architettura
Noucentista. Muore nei primi anni del 900 ma arriva a conoscere il modernismo. Il modernismo ha
avuto alterne fortune dal punto di vista architettonico, nei primi anni 60 la Sagrada Familia venne
ignorata poi con l’aiuto anche dei giapponesi il modernismo architettonico ha avuto una grande
spinta e ad oggi caratterizza Barcellona.
Principi dell’estetica Noucentista con avversione verso quella modernista. J.V. nasce a Folgueroles
(vicino a Vic che ne è capoluogo) nel 1845, siamo in piena Reinaxença. Frequenta il Seminario
diocesano di Vic e si orienta verso la letteratura.
La madre era molto religiosa (per questo divenne prete), questo assieme alla costante vicinanza
della natura (della “comarca” dell’Osona) e le tradizioni popolari, lo orientano precocemente verso
la letteratura. Vic è ricca di natura, l’aspetto naturalistico influenzerà sin dagli inizi Verdaguer.
Poeta ineludibile per tutti i poeti catalani, riferimento ancora oggi.

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Chiesa eremitica a Sant Jordi de Puigseslloses e dolmen: disse la sua prima messa a 25 anni e lo
descrive in molte opere. Lui è sacerdote sui generis (1 perché lo scrittore prevale spesso sul
sacerdote, nella sua letteratura c’è la sacralità della religione che ha scelto ma anche il paganesimo e
il laicismo, rappresentati dal dolmen che giace davanti alla chiesa e questo è rappresentativo dei
contenuti della sua poesia (elementi, magici e pagani ma anche religiosi).
Verdaguer viene ordinato sacerdote nel 1870, (anno in cui nasce Prat de la Riba), anno di svolta
perché la catalanità letteraria sta per diventare catalanismo politico = Rivendicare la lingua e la
politica. A 20 anni (1865) invia ai “Jocs Florals” di Barcellona (conocorsi poetici di lingua catalana
di tradizione medievale) due sue composizioni poetiche. Così facendo si mettono in vista e vengono
scoperti gli scrittori, Verdaguer vince il secondo posto e un “premio straordinario” della giuria.
Dopo esperienza come curato in un paese pirenaico si imbarca nelle navi che attraversano
l’Atlantico in direzione delle Antille e diventa cappellano particolare della famiglia dell’armatore
(Antoni López) della società di navigazione (1876/7-1893). Nel frattempo aveva concluso
L’Atlàntida, dove trasferisce l’esperienza delle sue traversate. Poema narrativamente interessante
per costruzione, funzione come flashback delle storie che si raccontano un genovese e un veneziano
andando a ritroso.

Si afferma in Provenza (detta anche Occitania) il fenomeno del Felibrismo: riscoperta che si associa
a quella di altre letterature tra cui quella catalana che intende far ritornare l’occitano alla rilevanza
culturale di un tempo. Nasce in reazione alle leggi che avevano marginalizzato le lingue piccole
della Francia in favore del francese come lingua ufficiale.
Incontro di Verdaguer nel 1868 con Frédéric Mistral e il Fèlibrige:
Felibrismo: far ritornare l’occitano (o provenzale, nel caso specifico) alla rilevanza culturale di un
tempo. L’ Ordinanza di Villers-Cotterêts (1539) aveva di fatto reso ufficiale il francese, rendendolo
obbligatorio nei documenti, a discapito di tutte le altre lingue parlate in Francia. A questo si
sarebbero aggiunte poi le azioni contro le lingue locali di Barrère e dell’Abate Grégoire in epoca
Rivoluzionaria.
Il lirismo e la natura: nel 1902 il giornalista italo-argentino José León Pagano raccoglie interviste
dei letterati famosi in Catalogna, tra cui col nostro Verdaguer, e le pubblica nel volume Attraverso
la Spagna letteraria (i Catalani), pubblicato nel 1902.
Ai nostri giorni è incomprensibile il linguaggio dei gigli dei campi, e la più viva e pura fonte della poesia,
il sentimento, pare ormai essiccata per sempre. Il cervello signoreggia l’anima. […] Assai ristretta
comprensione della natura [nel poeta moderno].

La poesia per lui è fatta di sentimento e di natura.

La letteratura e la politica secondo Verdaguer:

Oggi […] è più che facile scuoprire nelle lettere, specialmente nella poesia, la stessa dissoluzione della
vita nazionale spagnola (generazione ‘68). La Catalogna, per contro, vanta oggi una fonte di viva poesia.
Il regionalismo ha dato un grande impulso al rinascimento letterario catalano; e non mica perché il
movimento letterario sia posteriore al movimento politico; chè è tutto il contrario, anzi. Ed è davvero un
caso degno di nota. Il rinascimento della lingua e della letteratura catalana ha dato origine a quello
politico; ed oggi, in gran parte, questo sostiene quello.

Confronta una Spagna vs Catalogna per quanto riguarda le produzioni poetiche. Il movimento
letterario è alla base di quello politico, la politica si genera da lí. Non è posteriore a quello politico.

Talchè un libro, qualunque ne sia l’argomento, è, al tempo stesso, un’opera letteraria e patriottica
regionalista. […] [Tuttavia] Io non sono separatista, ma sono buon catalano. […] Concepisco la
Catalogna elevata alla dignità dei suoi diritti. […] Credo che il movimento Catalanista riuscirà senza
dubbio ad effettuare non pochi de’ suoi proponimenti; poiché, si vede bene, esso non è la pura e semplice
aspirazione di un partito, ma bensì un vero e proprio movimento nazionale.
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Il movimento letterario è un vero movimento nazionale e popolare che sta diventando maggioritario
ad oggi e ha idee diverse da Verdaguer. La Cataloga di oggi ha le radici fondate sul pensiero
secondo il quale è la cultura a dare senso all’identità, è una questione puramente culturale.
Il poema di Verdaguer della nascita mitica della nazione catalana: Canigò (1886)
Cos’è? Una montagna non altissima nei Pirenei francesi però fa parte della Catalogna storica; 2700
mt; le montagne spesso sono sacre storicamente per un popolo, è una cosa risaputa non solo per i
catalani. Sui Pirenei del lato mediterraneo è la montagna più alta visibile da quasi tutta la Catalogna.
Su questa montagna Verdaguer colloca storie mitologiche che per lui sono momento fondante della
nazione catalana.
Canigò 1885-1886:
 Canigó: epopea su base reale; la formazione di una patria e di un popolo, di cui vanta le
glorie: quella della Catalogna e dei catalani che si forma a cavallo dei Pirenei mediterranei.

 Il giudizio di Menéndez y Pelayo (cit. da Pagano, p. 108): “In questo vostro nuovo poema,
sentite ed esprimete con un vigore ed una precisione grafica tutti gli accidenti del paesaggio
di montagna e tutte le impressioni, ora solenni e serene, ora sorridenti, ora malinconiche ed
ora grandiose che desta in noi la contemplazione delle Cordigliere […] con quella divina
intuizione poetica, che sa discernere e leggere il senso occulto dei caratteri della natura. […]
I Pirenei assumono forme umane e titaniche sotto il prodigioso cesello” di Verdaguer.
(giudizio positivo)

Trama: Il poema è ambientato attorno all’anno mille, epoca di formazione della realtà statuale
catalana. Tratta della storia di Gentil, un cavaliere, figlio di Tallaferro, che sta lottando contro i
mussulmani che sono arrivati ormai nel Rossiglione. Ma egli subisce l’incantesimo della fata
Flordeneu, con la quale si sposa. Però lo zio Guifré, convinto che il nipote volesse sottrarsi alla
lotta, riesce a rompere l’incantesimo causando però l’ingiusta morte di Gentil. Guifré si rende conto
dell’ingiustizia del crimine commesso e per espiarlo fonda, sopra il luogo dove riposa Gentil, un
monastero benedettino con l’aiuto dell’abate Oliba e si fa monaco. Il poema si chiude con un
dialogo tra i campanili di due monasteri: quello di Sant Miquel de Cuixà e Sant Martí del Canigó.

Sant Miquel de Cuixà (monastero falso perché i pezzi sono stati venduti e si trovano a New York
dove è stato ricostruito il chiostro per anastilosi). Si trova verso Manhattan e il fiume Hudson; ciò
attesta la necessità di un radicamento storico e la sensibilità che gli americani ebbero per la cultura
altrui. L’altro monastero è di Sant Martí del Canigó, ricostruito anche questo per via della posizione
sul dirupo.

L’opera di Verdaguer apprezzata da Mistral che ricorda l’incontro con lui a Barcellona ed
elogia L’Atlàntida: dirà su quest’ultima “la sovrana epopea che avete testè eretto nel mondo ideale
(l’Atlantida) appartiene non solo alla Catalogna ma anche al rinascimento della nostra lingua e tutto
il Felibrige si gloria per l’opera vostra (fece rinascere anche il Felibrige).
Le evocazioni dell’opera di Verdaguer nella simbologia della Sagrada Familia e di altre opere
di Antoni Gaudí: (Verdaguer e Gaudí preferivano esprimersi in catalano).
Si conoscono dal 1883 e hanno due vite parallele, vocazione religiosa anche in Gaudí che negli
ultimi anni viveva nella Sagrada Familia per concluderla (1926 morì); in entrambi la vocazione
conviveva con un mondo onirico, mitologico, magico e fantastico che caratterizza il popolo da
generazioni e generazioni (affabulazione intra familiare come elemento narrativo prevalente).
Entrambi partecipano attivamente alle campagne della Chiesa cattolica, al patriottismo e al
monolinguismo catalano; pur essendo di campagna amano le grandi città e passeranno la vita a
Barcellona; beneficiano del mecenatismo di due ricchi: Antoni López (verdaguer) e Eusebi Güell
(Gaudí).
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Rapporto Gaudí-letteratura:
Era un gran lettore che trasferì molte delle sue letture negli apparati decorativi e iconografici dei
suoi progetti. Non va dimenticato che, all’inizio la Sagrada Família è un tempio espiatorio.
L’edificio nasce come “cattedrale dei poveri”, circondata da quartieri operai, nata precisamente per
redimere gli odi di classe e i peccati sociali.
I Versi di Maragall dopo la Settimana Tragica di Barcellona da “Oda nova a Barcelona”
Si parla della Sagrada Familia. Questi versi Maragall li scrive in occasione della settimana Tragica
di Barcellona, siamo nel 1906 ed è una reazione popolare che provocò anche l’incendio di templi,
chiese etc. all’esecuzione e condanna a morte del pedagogista anarchico Francesc Ferrer i Guàrdia.
Uomo molto importante nella cultura moderna della città di Barcellona e della Catalogna che viene
assurdamente accusato di crimini che non ha commesso. Il suo crimine è quello di aver pensato ed
espresso un pensiero eterodosso. Questa ribellione non tanto sulla vicenda di Ferrer i Guàrdia,
quanto sulla reazione popolare che fu quella di fare atti di vandalismo suscitò l’indignazione di un
borghese come Maragall che scrisse questi versi dedicati poi alla Sagrada Familia come espiazione
di questi accadimenti:

Alla parte orientale, un mistico esempio,


come un fiore gigante fiorisce in un tempio
meravigliato di essere nato qui,
in mezzo a gente così cattiva e avida,
che se la ride, e bestemmia e si burla
di tutto ciò che è umano e divino.
Ma, in mezzo alla miseria e alla rabbia e al fumo,
il tempio (tanto per dire) s’alza e prospera
aspettando dei fedeli che devono venire.

Ricordo di Maragall della SF come luogo di espiazione. Veniamo alle parti che iconograficamente
diventano una traduzione visiva di quello che Verdaguer aveva messo in versi nel suo poema
Canigó.
Immaginario di Verdaguer e Gaudí: Canto 11. Oliva (riferito all’abate che aveva fondato i
monasteri prima menzionati:

Giace ai suoi piedi, rifiuto del nero abisso,


un feroce drago, il drago del gentilismo (il Gentil arrabbiato per essere stato ucciso ingiustamente)
a soffocare le sue ire e i suoi bollori
due aquile scendono a terra,
e mentre una con i suoi artigli l’afferra,
l’altra a colpi di becco gli cava gli occhi.

Immagine un po’ truce del drago, molto presente in tante simbologie, presentissimo in Catalogna e
in questo poema perché rappresenta anche la simbologia Cristiana.
Nel canto 12. La creu del Canigò ritorna:
I mori la vendetta ordinarono
A un drago del nero abisso,
che divorava bambini e neonati
e, che intorno, i cavalieri (divorava) che contro di lui lottavano,
coi suoi cavalli, le loro armi e i pennoni.
Era feroce, mostruoso e deforme;
con il suo veleno lo stagno intorbidiva,
e dalla sua coda con il remaccio enorme
alla città le onde sbatteva. (da questo stagno portava acqua verso la città che stava ai bordi dello stagno)
e il monaco Sant Emerio,
degli orfanelli e delle vedove alla voce (poiché chiamano aiuto)
abbandonò il suo luogo di ascesi / il suo eremo

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e il mostro che faceva rabbrividire cadde ai suoi piedi.

Fa un po’ quello che fa San Giorgio nella tradizione cristiana al drago.


Probabilmente Gaudí si ispira a questo brano di Canigò e siamo dinanzi al cancello della “finca
Güell” di Barcellona. Una delle tante opere che fece per il conte Eusebi Güell. Figura di drago
feroce che è il drago del nero abisso costruito in ferro che fa la guardia alla casa del conte ma ha un
riferimento evidente al poema.
Da L’Atlantida – Sagrada Familia dettaglio facciata della Natività:
“gusci di marina tartaruga al riparo” (Canto VIII di Verdaguer, trad. E.Portal); la SF è piena di
animali, nel canto ottavo tradotto da Portal parla di gusci di marina tartaruga al riparo. Verdaguer
viaggia più di Gaudì che non solcò mai il mare ma preferì restare a Barcellona, un motivo in più per
credere nella correlazione delle due opere.
L’inno alla Sagrada Familia di Jacint Verdaguer:
le invocazioni a Gesù, Giuseppe e Maria sono due elementi, Giuseppe in particolare viene ricordato
e rivalutato in questo periodo. Si vuole rivalutare la Sacra Familia, e si vede nella facciata della
Natività che è la più antica della Sagrada Familia.
Altre allusioni che Gaudí potrebbe aver tratto da Verdaguer:
Le analogie simboliche tra alcuni frammenti di Canigó e il tempio della Sagrada Família
sono sorprendenti: un esempio è la grotta e la montagna magnificamente descritte da
Verdaguer che vengono associate a un tempio.
Concetto di Grotta ricorrente in Canigò e la montagna associate ad un tempio nello stesso Canigò. È
quanto di più allusivo possiamo trovare nella facciata della Natività e della Passione. E infatti la
facciata della natività è una grotta che tiene in sé la sacra famiglia e ricorda una grotta Pirenaica.
Canigò: Canto VI
La volta lascia filare
La rude Stalattite,
fino a che sale a
baciare
amorosa Stalagmite.
E in pilastri d’alabastro
Le due si
Trasformano,
che dopo artisti
divini
verniceranno e
levigheranno.
Un tempio si vede

Col suo altare d’alabastro;
fatto con cesello
sovrumano,
la immagine nel mezzo come un
astro.]

stalattiti e stalagmiti della facciata più recente della Passione. È una ricostruzione di questi elementi
che si incontrano sulle colonne inclinate che custodiscono il momento della Passione rispetto
all’altra che mostra il momento iniziale. Miscela di linguaggio legato alla tradizione catalana ma
intriso della convinzioni cristiane sia di Verdaguer che di Gaudì.

Altri riferimenti ripresi da Gaudí dallo stesso canto VI:


Con capitelli imperfettamente rotondi (malrotondi)
Alcuni sembrano tronchi di palma
Scissi in palmoni (in palme più grandi),
archi dalla volta leggera;
palme di un incantato bosco
di ceppo tra il colore bianco e il bruno,
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dopo l’arrivo del buio,
quando lampeggia la luna.

Queste palme non erano visibili al tempo di Maragall nè di Verdaguer perché sono costruite nei
primi anni 90’ e prima della consacrazione fatta da Benedetto XVI qualche anno fa. Il bosco di
palme dall’interno leggibili anche come altre forme vegetali ma la maggioranza protende a pensare
che siano palme. I progettisti si rifanno al plastico perché il progetto originale della SF venne
bruciato durante la Guerra Civile, nel 1936, ma per fortuna Gaudí aveva prodotto dei plastici
fotografati e rimessi su carta da altri architetti.
Breve digressione. Ma ci sono anche pietre che cantano:
abbandoniamo le simbologie verdagueriane e passiamo a un libro di un etnomusicologo
antropologo detto Marius Schneider. Studiò le simbologie delle colonne di alcuni chiostri di
monasteri catalani, specialmente quello del monastero di Sant Cugat del Vallés, di Girona e Ripoll.
Dimostra che le simbologie di animali ed esseri fantastici che popolavano le decorazioni dei
capitelli claustrali erano associabili a note che riproducevano melodie gregoriane. Come scrisse in
Pietre che cantano: simbologia musicale all’interno di una lettura iconografica ritenuta dalla
maggioranza come il frutto di una fantasia senza senso se non decorativo. Scrive:

Né “fantasia sfrenata” né “arbitrio artistico” disposero casualmente nello spazio teste e figure di santi,
animali ed esseri fantastici, ornamentazione vegetale e scene mitologiche o bibliche, ma una severa
consapevole volontà ordinatrice suddivise ingegnosamente le superfici secondo un piano perfettamente
congegnato. [Marius Schneider, Pietre che cantano, Milano, 2005]. Come uno spartito pietrificato.

Altre due opere con simbologie riconducibili alla Catalogna:


- Gaudí: Casa Batlló vs il Modernismo
- Puig i Cadafalch: Casa Amatller

Pezzi forti del turismo barcellonese (sopra indicati). Offrono due letture del modernismo e sono
messe l’una di fianco all’altra. Casa Batllò era la casa di un industriale dolciario fine 800 inizi 900.
In casa Amatller c’è un’ estremità spigolosa ispirata alla tradizione nordica (di Josep Puig i
Cadafalch, fu importante architetto ma anche politico) e mantiene una sua simmetria; a differenza di
Gaudí, Cadafalch ama la linea retta e Gaudí no, ama le curve e le asimmetrie. Il tetto di Casa Batlló
sembra la schiena di un drago, il caminetto all’interno ha una forma a fungo (elementi della natura),
decorazioni vegetali ovunque e rimandi alla vita naturale (anche casa Amatller).
Esempi di architettura Noucentista:
- Esiste un’archiettura Noucentista? Esistono certamente architetti “Noucentistes” ed un modo
di architettura in cui si valorizzano gli elementi della classicità, del Mediterraneo,
dell’equilibrio, della simmetria come segno di un ordine, che rompono col Modernismo e
non sposano l’avanguardia. La committenza per i Noucentistes è prevalentemente pubblica
(infatti gli edifici sono prevalentemente pubblici proprio per i stretti rapporti che i
noucentistas e d’Ors avevano con le istituzioni pubbliche dell’epoca, Mancomunitat in
particolare), quella dei Modernisti prevalentemente privata (casa Battlò/Amaller). [cfr.
Ignasi Solà-Morales, “sobre Noucentisme i arquitectura”, in El Noucentisme, Barcelona,
1987].

Ricordiamo alcune frasi di d’Ors, scritte dopo il terremoto di San Francisco e per la
ricostruzione della città:
“Fatene [di San Francisco] la più bella città del mondo, splendente di giardini. Di nuovo, lo ripeto: di
giardini non di boschi, ma di natura dominata, ordinata e sottomessa dalla mano dell’uomo [cit. da Jordi
Castellanos, “El Noucentisme: ideologia i estètica”, in El Noucentisme, Barcelona, 1987, p. 32].

L’opposto della concezione di Gaudì tutta ispirata alla natura. Ordine di visione dell’architettura e
del rapporto uomo-natura opposto.
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- Esempio Noucentista: archietetto Josep Goday. Progetto più importante: Escola Milà i
Fontanals (Barcellona) 1920-30. Molte finestre ampie, equilibrio. Dettaglio facciata in
perfetto stile neoclassico, non fosse per le decorazioni moderne ispirate più alla
contemporaneità del periodo che non si rifanno al classicismo.
- Altro esempio di Goday: Escoles Ramon Llull inaugurate nel 1933. Unico edificio
perfettamente divisibile in 2 corpi simmetrici. Dettaglio decorativo delle scuole rinvia al
canto della siringa, al mediterraneo, campanelle che non rispecchiano gli elementi vegetali
dei modernisti.
D’Ors era mentore di Goday e Maragall di Gaudí.

16.11.2020
Conclusione del corso. Momento clou della storia Catalana, la guerra civile, passando per gli anni
20 e un romanzo in particolare.
Scorsa lezione: letteratura che incontra l’architettura; Jacint Verdaguer (ispiratore della simbologia);
attivo nella letteratura europea di rivalutazione dei movimenti; Il lirismo e la natura; letteratura e
politica secondo J.V. il quale valorizza la lingua propria e non quella autorizzata dalla politica
(castigliano); simbologia esplicitata nelle opere tanto sue come di Gaudì; allusioni al Canigò
nell’opera di Gaudì; Pietre che cantano allusione Schneider; Puig I Cadafalch;

Nuova lezione La catalogna e la cultura catalana dai “felici” anni 20 alla guerra civile –
d’Ors, Josep Maria de Sagarra e il “romanzo urbano”.

D’Ors negli anni ’20 rompe con la Catalogna, va a Madrid e inizia a produrre li, avendo molto
successo e diventando un elemento importante della cultura spagnola seppure formatosi in ambito
catalano. Esempio contrario alla naturalità con Sagarra che pone al centro la città.

La “Defenestrazione” di d’Ors: la cacciata di d’Ors dai ruoli pubblici della Catalogna, era
direttore dell’Istruzione. 1917 muore Prat de la Riba; 1917 Josep Puig i Cadafalch, presidente della
Mancomunitat de Catalunya;
Cos’è la Mancomunitat de Catalunya?
La Mancomunitat de Catalunya (in italiano Confederazione di Catalogna o,
perifrasticamente, Associazione di province della Catalogna) fu un'istituzione, attiva
dal 1914 al 1925, che riuniva i quattro consigli provinciali (diputacions)
catalani: Barcellona, Girona, Tarragona e Lleida. Benché dovesse possedere funzioni puramente
amministrative, e le sue competenze non si estendessero oltre quelle dei consigli provinciali
ordinari, acquistò una grande importanza politica: rappresentò infatti, da parte dello Stato spagnolo,
il primo riconoscimento, dal 1714, della personalità e dell'unità territoriale della Catalogna.
Era tutto organizzato in provincie in Catalogna, Prat dice: ma perché non associamo le provincie in
un unico organo di governo che superi l’ambito provinciale per estendersi ed essere utile
all’istruzione, comunicazione etc.? Nel 1914 ce la farà. La Catalogna è l’unica comunità che si
avvale della legge che permette alle provincie di consorziarsi in una regione che assume
competenze di coordinamento tra i vari organi provinciali che decidono. I poteri sono limitati ma
almeno esiste un organo che rappresenti la Catalogna.
Rapporti tra Prat e d’Ors intensi, stima reciproca anche se Prat da politico aveva più libertà di
movimento; il gioco si inasprisce quando d’Ors si dimette dal giornale La Veu de Catalunya (della
quale voleva diventare direttore) e perché non gli era stata attribuita la cattedra di Psicologia
superiore all’Uni di BCE. I rapporti si romperanno dopo la morte di Prat definitivamente parlando.

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D’Ors abbandona gli incarichi a Barcellona e si trasferisce fisicamente e culturalmente a
Madrid:
A inizi 1920 si dimette dall’incarico datogli nel 1917 da Prat di Direttore della Pubblica Istruzione.
L’allora presidente della Mancomunitat, Puig, fa sapere che era un fatto di irregolarità
amministrative e di mancata contabilizzazione di spese fatte col denaro pubblico.
Enric Jardí, il cui padre era amico personale di d’Ors, nella sua biografia di d’Ors “faceva intendere
che aveva dovuto abbandonare l’ente perché il suo presidente era un reazionario, mentre Puig
sosteneva che d’Ors fosse stato rimosso perché era un ladro”.
Il passaggio a Madrid: dopo qualche tempo a Barcellona in cui rompe col partito della Lliga (ma
continua il suo elogio a Prat de la Riba), d’Ors si trasferisce a Madrid infantilmente risentito (parole
di Joan Fuster). Si avvicina al pensiero Falangista e collaborerà col regime franchista più tardi.
Gli anni venti: malgrado il colpo di stato di Primo de Rivera e la sua conseguente dittatura (1923 –
gennaio 1930) la vita e la società barcellonesi conoscono un momento di auge (soprattutto la classe
più agiata della borghesia industriale). Il Noucentisme perde il suo fondatore e quindi anche
importanza. Nel 1925 Primo de Rivera cancella la Mancomunitat de Catalunya, cancella quindi la
concessione di autonomia fatta nel 1914 dal governo di Eduardo Dato, il presidente in questo
momento è Alfonso Sala Argemì e non più Puig i Cadafalch. Primo de Rivera precede la
Repubblica del 1931. Nel 1932 esce il romanzo di Sagarra che descrive l’ipocrisia, il perbenismo e
la dissolutezza morale di quella società gaudente quanto decrepita: Vida privada. Fiorisce la cultura,
la letteratura, si estendono i mezzi di comunicazione e quindi esce pure il nome di Sagarra.
Il “Barcelonisme” (stato dell’animo, ritorno al grembo materno della tradizione, ruolo madre
della città), secondo Sagarra:
La città come tema: affrontò con Vida privada il romanzo urbano, difficile per il descrittivismo
post-naturalista adottato dalla maggior parte dei romanzieri della penisola iberica del Novecento.
Tale adozione spiega l’egemonia di prodotti narrativi agricoli e zootecnici a detrimento della città
come tema [J.A. Goytisolo e M. Vázquez Montalbán] hanno tradotto dal catalano allo spagnolo.
L’adozione del post naturalismo. I due autori spagnoli vedono in Sagarra il cambiamento di
sensibilità rispetto al tema naturale che si accantona per andare alla città come tema centrale. Città
con tutte le sue doti ma anche i suoi difetti.
Il “Barcellonismo”: (altro pezzo della critica di Goytisolo e Montalbán). Bobby, uno dei
protagonisti ed erede di una cospicua fortuna paterna, assiduo frequentatore di circoli alla moda e
amante del tempo libero, conversatore amabile e a suo agio in tutti i contesti. Eredita un’eleganza
naturale dalla madre (contessa di Sallent) e un barcellonismo puro aldilà del tempo, spazio, politica
e cultura. Non si rendeva conto di nulla e detestava compromettersi.
Il suo mondo è quasi tutto a un tiro di schioppo dal Circolo del Teatre del Liceu: “gli piaceva
passeggiare pigramente per i quartieri di Barcellona che più amava. Una Barcellona che aveva
decoro e risparmiava e talora mostrava audacia e sapeva avviare iniziative, e Bobby si sentiva
attratto dall’elegiaco (nostalgico di un mondo passato). Bobby è un nostalgico di questo
barcellonismo.
Tutto gli piaceva della Rambla; il barcellonismo di Bobby si nutriva della Rambla nella quale
smetteva persino di essere scettico. Insomma, il valore della tradizione, rappresentata da sua madre,
ne riassume lo spirito con non secondarie connotazioni edipiche: “il suo barcellonismo altro non era
che l’inconfessata venerazione per tutto ciò che proveniva da sua madre”. La città è madre.
Il “Barcellonismo” come nostalgia di un passato migliore: il barcellonismo non riguarda più
Bobby ma una specie di mezzana di case di appuntamento. Quartieri a luci rosse, assassini, delitti
compiuti, malgrado la bassezza morale si mostra la nostalgia per i valori di un nobile passato, allora
recente, della vita di Barcellona. Attraverso la figura della signora Rosa Trènor.

14 aprile 1931: Proclamazione della Repubblica Catalana.


Colui che annuncia è Francesc Marcià; sancito dallo statuto del 1932, non è una dichiarazione di
separazione ma di autonomia all’interno di una federazione iberica pensata da Avi (soprannome con

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il quale veniva chiamato). Era un colonnello poi espulso per le pulsioni autonomiste e
indipendentiste. Rientra in una tradizione catalana riconfermata recentemente. Ci avviciniamo alla
guerra civile la cui fine segnerà la rottura di democrazia, continuità della possibilità di esprimersi in
catalano e di dare alla lingua ufficiale cittadinanza. Il franchismo sosteneva l’unità della Spagna da
non discutere nemmeno.
Collocazione geografica della catalogna nell’odierna suddivisione amministrativa (carta politica): la
Catalogna occupa la parte nord-orientale della penisola iberica, una delle comunità non tra le più
grandi.
Dati fisici, demografici ed economici in rapporto con la Spagna oggi: superficie 31.895 km2/ su
superficie totale di 505.990 km2; abitanti: 7.543.825/46.539.026 Spagna; densità: 236,52 ab. X
km2/92 ab. Per km2; PIL: 223,988 miliardi di euro/ 1.166 miliardi.
Stessi dati negli anni trenta del XX secolo: superficie: 31.895 km2/ 505.990 km2; abitanti:
2.791.292/ 24.024.582; densità: 86,7 ab per km2/ 46,7 ab. per km2; PIL: percentuale del PIL della
Catalogna sul totale della Spagna 21,38% (1930) e 18,29 (1950).
Intervento di Ortega y Gasset sullo statuto catalano del 1932: dibattito intenso sullo statuto
catalano nel 1932. “Porque la República necesita de todas las colaboraciones, las mayores y las
ínfimas, porque necesita–queráis o no–hacer las cosas bien, y para eso todos somos pocos. Sobre
todo en estos dos enormes asuntos que ahora tenemos delante, la reforma agraria y el Estatuto
catalán”.
“Orbene signori io ritengo che il problema catalano come tutti i problemi simili, è un problema che
non si può risolvere ma solo “conllevar” (tollerare, sopportare) e intendo non solo che dobbiamo
sopportare e convivere coi catalani ma che anche loro devono convivere con gli altri spagnoli. Dico
quindi che il problema catalano è un problema senza soluzioni, perpetuo, che è stato sempre,
dapprima che esistesse l’unità penisolare e ci sarà finchè esisterà la Spagna, un problema perpetuo
col quale vivere.”
“Credo dunque, che dobbiamo rinunciare alla pretesa di curare ciò che non è curabile, come dice un
poeta romantico “Cuando alguien es una pura herida, curarle es matarle.” Il fatto di tollerarci con
afflizione è un destino comune e chi non è frivolo ne puerile, lungi da fingere inutile docilità
davanti al destino, ciò che preferisce fare è accettarlo. L’avete sentito una volta e un’altra ancora
dall’avvento di questa Repubblica “bisogna risolvere il problema catalano”. Quale può essere la
soluzione? Dovrà consistere in togliere al problema la porzione di ciò che è insolubile e trovare un
accordo sul resto. La cosa irrisolvibile è tutto ciò che significa minaccia, intenzione di minaccia per
dissociare alla radice la convivenza tra la Catalogna e il resto della Spagna (=non si può discutere
che non faccia parte della Spagna, deve rimanerci dentro!) e la nostra forza sta nell’unità della
sovranità. E se c’è molta gente che si vuole staccare e prendersi parte di sovranità strappandoci la
radice dell’antica convivenza, è comunque molto più numeroso il blocco degli spagnoli che
vogliono continuare a vivere con i catalani.” Un imposizione di una maggioranza ma non si pone il
problema di domandarglielo, non si può discutere.
Settembre 1932 approvazione delle cortes dello statuto catalano: viene approvato uno statuto di
autonomia = piccola costituzione che attribuisce delle competenze alla Catalogna tra cui lingua co-
ufficiale etc.
- Di fatto sarà valido a singhiozzo
- Fino al 1933, sospeso nel 34, quando vinceranno i blocchi di dx alle elezioni politiche, poi
ripristinato nel 36. Storia altalenante dello statuto.
- Eventi del 34 anno chiave, tutti questi fatti allarma ulteriormente i militari spagnoli.
Proclamazione dello Stato Catalano entro la Repubblica Federale Spagnola ad opera del
Presidente Lluís Companys (successore di Marciá), poi incarcerato.
- Febbraio 36, Companys liberato post vittoria del Fronte Popolare alle elezioni del febbraio
del 1936.
Dopo la guerra civile nel 1940, Companys viene arrestato dai nazisti a Parigi dove si era rifugiato,
ma di li a poco la Francia sarà invasa da Hitler e le sue truppe faranno un repulisti dei vari esuli che

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ostacolarono ribellioni militari ecc. e consegnato alle autorità spagnole di Franco a Madrid. Lui
lottò contro Franco e a favore della Repubblica spagnola e dell’autonomia che la stessa concesse
alla Catalogna.
Momento + triste della Catalogna La difesa d’ufficio e la fucilazione di Companys (15 ottobre
1940) fatta da un militare di Franco cui viene incaricata la difesa d’ufficio. Giudizio sommario
svoltosi a Barcellona. Questo qui (Raymond de Colubì) da franchista finisce per apprezzare la
coerenza e i valori dell’uomo condannato ma non riuscì a salvargli la vita. Fucilato il 15.10.1940
muore dicendo parole per la Catalogna.
Caduta di Barcellona del 26.01.1939 – La vanguardia 20 gennaio 1939: “Ante la invasión
italofacciosa”
Interruzione del momento felice della Repubblica Spagnola con la caduta. I faziosi sono i franchisti
ed erano sostenuti dagli italiani mandati da Mussolini, soprattutto nella battaglia di Ebro che
segnerà la vittoria di Franco.
Altra testata (tutte della stessa uscita): appelli alla resistenza estrema inutili. Con l’ultima città
grande caduta (Barcellona) cade anche il sistema industriale che reggeva la Repubblica. Il fiume
Manzanare bloccò i franchisti dopo la sollevazione militare.
Terza testata: è evidente che il giornale proclamando la vittoria è ora di impronta fascista, vengono
sollevati dall’incarico i precedenti giornalisti.
Sulla via dell’esilio:
[Arrivò la notizia della caduta di Barcellona]. [A Girona, dove ci trovavamo] era stato dato l’ordine di
evacuare la città. Sulla strada principale e nelle vie laterali c’era una fila interminabile e confusa di mezzi
e di persone. Automobili, camion, cannoni, mitragliatrici, tartane e carretti, gruppi di soldati in
formazione, famiglie intere, uomini, donne e bambini a piedi, greggi di pecore, si precipitavano e si
ammassavano gli uni dopo gli altri. [...] Cinquanta chilometri di una strada impossibile ci dividevano
dalla frontiera [con la Francia] [...] ed era congestionata dalla massa dei fuggiaschi. [Arrivammo sulla
costa] Sulla destra, sul fondo risplendeva la bianca mole del Canigó [...] [e ancora] la linea azzurra della
baia di Roses. Cielo e mare erano di un azzurro perfetto.
Lo spettacolo era superbo. La solitudine e la tristezza immense. A mano a mano che ci avvicinavamo alla
frontiera gli occhi si inumidivano, e alcuni piangevano. [...] Verso le quattro del pomeriggio arrivammo a
Port Bou [piccolo centro sulla frontiera]. [Percorremmo quindi] uno stretto sentiero tra il mare e la cresta
della montagna. Ai nostri piedi, tra i dirupi che cadevano a picco, l’azzurro profondo della cala. [...] La
strada e la montagna erano piene di gente che aspettava il permesso di poter entrare in Francia. Affamati,
stanchi, cenciosi, pieni di angoscia e rabbia, erano lì da ore e ore, dopo aver camminato a lungo e con
fatica [...]: eravamo distanti dalla frontiera circa seicento metri. (da J. Jiménez Lozano – J. Xirau,
L’ultima frontiera di Antonio Machado, Roma, Bibl. Del Vascello, 1993, trad. di G. Fofi, pp. 51-60).

Tratto dal volumetto di Xirau (pronuncia -sc) che fugge con Machado. L’ultima frontiera di
Antonio Machado da J. Jiménez Lozano – J. Xirau.
Dov’è Port Bou? molto a sud di Figueres, sulla costa. Una piccola cittadina, composta per la
maggiore dalla stazione internazionale e dalla chiesa, con due tunnel: uno che porta in Spagna e
quello a nord in Francia.

23.11.2020
Esilio e narrativa catalana; noche del franquismo será la próxima semana; lezione prof con ospite
che commenterà “La pelle fredda” di Albert Sánchez Piñol.

Narratori catalani della guerra civile spagnola: uno sguardo – José María Gironella,
Monserrat Roig
Gironella è catalano ma scrive esclusivamente in spagnolo, trilogia sulla guerra civile. Monserrat
meno ma la guerra permea i suoi romanzi.
Il ruolo della Catalogna nella guerra civile letteraria: Gironella vicino al franchismo, Roig è di
sinistra e scrive solo in catalano.
Il materiale bibliografico che s’è andato accumulando sulla guerra civile è certamente ingente: non mi
riferisco tanto a quello generale, prodotto in Spagna, quanto a quello più specificatamente catalano, nel

31
senso di provenienza e, spesso, di lingua. Che la Catalogna abbia una sua definita peculiarità nell’ambito
del conflitto del 1936-1939 mi pare ormai fuor di dubbio, che sia stata una degli ultimi baluardi
repubblicani a cadere, pure. Naturalmente ci sono Madrid e València, ma la Catalogna con la sua duplice
finestra marittima e terrestre sulla “libertà” (si legga il Mediterraneo a Est e la Francia a Nord) godeva di
una posizione e di una condizione ideale di ponte che le consentiva contatti e l’assunzione di modelli,
culturali e politici, molto spesso assai originali.
 la Catalogna è importante nel quadro della GC perché è ultimo baluardo repubblicano a cadere
ed è zona di frontiera perché l’esilio spagnolo passò per la frontiera catalana, l’unica libera nel 39’.

Il ruolo di Barcellona:
Mussolini teneva molto a Barcellona, tanto che parlò di “splendida vittoria” dopo i bombardamenti che
sconvolsero la città nel 1938. Barcellona era stata il laboratorio politico forse più innovativo prima e dopo
lo scoppio della guerra: città che onorò la sua fama di “Rosa di fuoco” coniata pochi decenni prima in
occasione di altre battaglie (sovente purtroppo cruente) che vi avevano avuto luogo. In una città (e in
questo caso essa va distinta dalla nazione di cui è “cap i casal”) dove si sono spesso incrociate tendenze
contraddittorie e talora conflittuali, universalismi temperati da rivalutazioni identitarie, l’incipiente
borghesia industriale e il piccolo proletariato urbano, la modernità delle esposizioni universali (1888 e
1929) e il modesto “pagès” inurbato, poteva sembrare quasi ovvio che il conflitto civile assumesse
dimensioni asperrime.
Immagina “rosa de foc”; Barcellona è nominata la rosa di fuoco perché ci sono rivolte che mirano a
sovvertire il sistema e si incrociano altri movimenti che nella città trovano terreno fertile per la sua
ricchezza che in Spagna non è un dato diffuso in questo periodo.
La guerra civile nasce da una serie di fattori, proprio in Catalogna nel 1937 si sviluppa una guerra
civile all’interno della GC stessa: il fronte repubblicano dovrebbe essere coeso ma in realtà ci sono
divisioni tra il movimento anarchico potente a Barcellona e il partido obrero de unificación marxista
(POUM) che vuole la rivoluzione subito, e dall’altra parte i comunisti stalinisti che vogliono
vincere prima la guerra e fare la rivoluzione dopo. Gli anarchici e il partido obrero vogliono fare la
rivoluzione subito. Fare la rivoluzione significa saccheggiare anche le chiese (Cattedrale di Santa
Maria del Mar). La violenza rivoluzionaria in Catalogna porta all’incendio di molte chiese.
Un narratore catalano affine al regime franchista: Josè María Gironella.
Opera Gironella: Los cipreses creen en Dios (1953) è la prima parte della trilogia letteraria sulla GC
gradita al regime franchista. Intervista 2001 l’autore dichiara: “so che Franco lesse Los cipreses e la
seconda parte della trilogia Un millón de muertos. Fu questo un potente viatico per la mia immagine
davanti ai militari e alla dittatura e per il mio libro”.
- Los cipreses creen en Dios 1953
- Un millón de muertos 1961
- Ha estallado la paz 1966 la più gardita ai franchisti perché uno degli slogan dei franchisti
fu quello di aver portato la pace.
Un narratore catalano affine al regime franchista: José María Gironella
Posizione oggettivamente non facile, confermata appunto a democrazia consolidata, che attesta la
complessità delle opzioni e la varietà delle sfumature che si confrontarono nell’agone politico del periodo
repubblicano (che tratta segnatamente Los cipreses creen en Dios) ribadito sia in Un millón de muertos
che in Ha estallado la paz sul periodo bellico e sul periodo franchista. Non so se la famiglia Alvear, le cui
vicende scorrono negli scritti citati di Gironella, sia effettivamente esemplare della Catalogna del periodo,
si può certamente affermare che essa rappresenta un modo di percepire quegli eventi. Un elemento che
sancisce in modo abbastanza inequivocabile la specificità si può cogliere tra le righe di quanto abbiamo
appena detto. La lingua, già a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, non è solo strumento, ma una
vera e propria scelta, anche politica.

Nella Catalogna di questo periodo la guerra in corso determina le opzioni politiche radicalizzandole.
Gironella ci narra tutto ciò dal punto di vista franchista, e ovviamente dal canto di un franchista
tutto il resto è rossi e separatisti. Mette però anche in luce dei problemi reali attraverso le posizioni
che emergono dai volumi:
Le posizioni che emergono dai volumi della trilogia, ove semplicemente concepite e vergate in catalano,
avrebbero avuto certamente un’altra connotazione ideologica, tale forse da far cambiare la disponibilità

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della censura e la valutazione complessiva dell’opera. La forma delle parole diventava la sostanza delle
medesime. Ancor oggi.
 il fatto che il catalano sia per i radicali di destra una lingua di rossi e separatisti la dice lunga.

Memoria e guerra civile:


Già nel 1968 scriveva Josep Maria Corredor, un critico letterario, esule e traduttore: “da molto tempo
andiamo dicendo ad alcuni amici che le prospettive di questo paese potrebbero cambiare nel momento in
cui entrasse in scena una generazione nemmeno minimamente traumatizzata dalla guerra civile. È quanto
succede oggi ed è quanto non riescono a comprendere le persone più anziane che tendono a mantenere per
tutta la vita il ricordo del trauma della lotta fratricida, con gli orrori e le miserie.
nel ‘68 è ancora viva la memoria della GC ma si sta affermando una generazione che non l’ha
vissuta e questo è un dato importante perché abbiamo un momento in cui l’elemento bellico è un
elemento con cui si sono già confrontati in troppi quindi molti narratori di questa generazione
prendono strade diverse. Oggi non c’è un romanzo spagnolo o catalano che non alluda al conflitto
civile, cioè viviamo momenti di corsi e ricorsi storici. Nel secolo scorso si continua a scrivere di
guerra.
Per questi giovani (continua) la GC è totalmente passato, come le guerre carliste = la memoria della
guerra civile svanirà: Per questi giovani invece, la guerra civile è puramente e totalmente ‘passato’, come
le guerre carliste o la guerra d’Indipendenza e i loro padri perdono il tempo se intendono trasmettere loro
le proprie angosce, certamente confitte nella carne viva. Nulla si può fare contro la biologia storica (J.M.
Corredor, De casa i d’Europa, Barcelona, Selecta 1971, p. 268-269).

Scrittori e memoria della guerra civile:


In lingua catalana si tratta di scrittori come Montserrat Roig (deceduta nel 1991 a poco più di
quarant’anni) oppure in lingua spagnola di Rafael Chirbes, Pablo Ignacio Taibo II o, in ambito di
bilinguismo letterario, Terenci Moix, autori in cui la memoria del conflitto civile appare fondativa (molto
meno per Moix) delle rispettive modalità narrative. Non possiamo dunque non rilevare come, anche in
seguito alle opere dei grandi narratori stranieri della guerra di Spagna (da Hemingway a Malraux, da
Koestler a Bernanos) la dimensione mitica di quella che Weintraub aveva definito “The last great cause”
abbia in qualche modo dispiegato le ali della memoria e con esse si sia innalzata ulteriormente la valenza
politica.
Monserrat Roig per il catalano, Rafael Chirbes in lingua spagnola, Pablo Ignacio Tabio II anche.
Per il bilinguismo Terenci Moix. Per loro la memoria del conflitto civile appare fondante delle
rispettive modalità narrative. Ricercavano quell’aura mitica della GC spagnola, definita “The last
great cause” lotta tra il bene (repubblica) e il male (ribelle militare e franchista).
Scrittori spagnoli e catalani e guerra civile:
In letteratura verrebbe addirittura più facile dire quali romanzi non hanno a che fare col conflitto civile
rispetto a quelli in cui esso è in qualche modo presente. Questo è tanto più vero in ambito catalano in
quanto, per molti esuli repubblicani (e tra questi numerosi intellettuali) l’ultima frontiera valicata verso
l’esilio è stata proprio quella dei Pirenei mediterranei. Così il filosofo catalano, successivamente esule in
Messico, Joaquim Xirau ricorda l’ultimo viaggio di Antonio Machado verso Collioure:
“Attraverso vigneti e oliveti imboccammo le curve della strada di Cadaqués, verso i valichi della Perafita,
tra le profumate montagne di Paní e Sant Pere de Roda. Dall’alto si vedono tre mari. A Occidente l’ampio
semicerchio dorato della baia di Roses, limite dell’Empordà e dunque di tutta la Spagna”

 ogni romanzo allude alla GC, sarebbe più facile individuare soprattutto in ambito catalano, quali
siano i romanzi che non trattano di guerra. Perché è più vero in ambito catalano? Perché ha una
variazione: con la caduta della Repubblica e l’avvento del Franchismo tutti perdono la libertà ma i
catalani anche la lingua. Per loro è più dura anche in ambito privato, l’uso del catalano è stato
dissuaso. Avvio verso l’esilio di Machado, ricordato da Joaquim Xirau (testo tra virgolette qui
sopra). Gli esuli attraverso i valichi pirenaici, presi d’assalto nel 1939. Frontiera Le Perthus, uno dei
passi importanti per gli esuli in cui si affollavano in attesa che le guardie di frontiera decidessero di
aprire i cancelli.
Catalogna simbolo suo malgrado di tutta la Spagna sconfitta Jaume Vicens Vives in un suo
libretto Profilo della storia di Spagna si riferiva alla guerra civile come alla Guerra dei Tre Anni.
Quindi toglie il termine civile per collocarla in un progetto storiografico di lunga durata. Infatti la
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Guerra dei Tre Anni rimane una guerra civile e questo distanziamento storiografico non ebbe
granchè successo.

Così la Catalogna, probabilmente un po’ suo malgrado, assurge al ruolo di metafora di tutto il paese e di
tutto quel paese repubblicano ormai in dissolvimento: “l’entesa amb els ministres de Madrid feia que la
República fos per als catalans, abans que tot, Catalunya” (J.F. Vidal Jové, Històries del meu temps,
Barcelona, Selecta, 1970, p. 242). Dunque le generazioni che dovrebbero aver dimenticato, non sembrano
aver intenzione di farlo e nemmeno le generazioni di scrittori più giovani. Jaume Vicens Vives in un suo
fortunato libricino tradotto anche in italiano col titolo di Profilo della storia di Spagna si riferiva in
termine di “lunga durata” alla guerra che era finita nel 1939: “la Guerra dei Tre Anni”.

Non credo che sia solo una questione di nomi. Tuttavia questo distanziamento storiografico posto da tale
denominazione vagamente asettica e per questo in grado di spegnere passioni non sopite non ha avuto
successo in alcun ambito e quel conflitto continua a rimanere, con lo stigma di un onta, civile o incivile a
tutti gli effetti.

Letteratura vs storiografia:
Le categorie a cui fatalmente rimanda il conflitto civile in termini letterari sono quelle dell’etica (il bene,
il male), della filosofia (la scelta necessaria), del diritto (la giustizia, l’ingiustizia) dell’eroismo a cui
afferisce una mitopoiesi di tutto rispetto, sia nell’area dei ribelli (Moscardó) che in quella dei governativi
(La Pasionaria). A questo si aggiunge in Catalogna una questione peculiare: quella dell’identità
individuale e di popolo.
La letteratura ha un ruolo fondamentale nella GC perché gli intellettuali sono coloro che
difendono i valori di una parte o dell’altra e facendoli propri diventano dei paladini del giusto o
dello sbagliato. Nella narrazione dei fatti c’è una serie di mitografie che servono a comunicare la
correttezza della loro lotta nei confronti del nemico rispettivo.
I ribelli ovvero militari franchisti hanno il mito del colonnello Moscardò che resistette alle truppe
repubblicane come mitopoiesi, poi c’è quella dei governativi repubblicani, la figura de La
Pasionaria, oratrice comunista che esercitò grande leadership, mito della rivoluzionaria molto
compromessa.
In Catalogna abbiamo anche l’identità di un popolo che viene cancellata con la vittoria.
Sconfitta come perdita d’identità:
Questo scontro eroico, che si conclude con la sconfitta della Repubblica, in ambito catalano si risolve con
una sofferta perdita e cancellazione d’identità. Seguendo le argomentazioni di Josep Faulí (Novel.la
catalana i guerra civil, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1999, p. 132.) nei “quattro
romanzi [di Manuel de Pedrolo] de La terra proibita, l’azione ha inizio nel 1957, ma i ricordi fanno
riferimento al periodo 1936-1957. ‘Abbiamo perso la coscienza nazionale’, come si lamenta Cros e vi si
trova persino una qualche eco delle preoccupazioni di Joan Sales in Incerta glòria quando si mettono a
confronto i cammini che saranno seguiti nel dopoguerra con quelli della guerra stessa.

 questi romanzi vengono pubblicati dagli anni 60 tagliando e censurando ma non sono i romanzi
così come erano stati concepiti. Anni 50 e 60 esposizione di idee lontane dal regime limitata.
Monserrat Roig (roch) e la guerra civile:
Ed è questo infatti il ritratto del primissimo dopoguerra civile che offre Montserrat Roig nel secondo
capitolo del romanzo La voce melodiosa: “Come scriveva Josep Pla, a proposito di Joan Maragall... un
vero borghese ama la propria terra in modo indiscutibile e ovvio, com’è indiscutibile il suo amore per il
liberalismo politico ed economico, per la concorrenza nei commerci, per la rispettabilità economica e
sociale, per la tolleranza e la libertà politica, per l’esercizio dei diritti e l’assunzione dei doveri. Ed oggi,
sfortunatamente, c’è troppa gente che si piange addosso” (La voce melodiosa, Milano, Jaca Book, 1997,
pp. 39-40).

 slide ritratto del primissimo dopoguerra civile; Josep Pla a proposito di Joan Maragall, tratto da
La voce melodiosa. Anche la borghesia che aveva appoggiato in larga parte il franchismo si trova
condizionata dal nuovo regime e dal dover rinunciare agli affari per una eventuale nuova lotta
politica.

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Monserrat Roig parla di questa Catalogna rinunciataria perché la politica repressiva rende ogni lotta
un cimento impossibile.

La letteratura catalana della guerra civile riflette anche sull’identità catalana:


Tratto identitario e antifascista, con poche eccezioni. Eccone alcune: José Luis Gironella rappresenta
infatti una delle poche voci dissonanti in questo senso. Non perché non sia presente la questione della
specificità culturale: è il trattamento a renderla accessoria, e talora folcloristica, ed è la lingua utilizzata a
renderla volutamente subordinata e deferente. Non vi sono molti scrittori di area catalana che si pongano
dalla parte del vincitore franchista: certamente Eugeni d’Ors, forse quelche scrittore dell’isola di Majorca.
In questo senso si vedano gli antologizzati da Julio Rodríguez Puértolas in Literatura Fascista Española.

il tratto identitario è antifascista in linea di massima con delle eccezioni: Gironella è una delle
voci dissonanti, l’identità spagnola prevale per quanto fosse catalano.

Madrid e Barcellona:
Dopo la fine del conflitto, in particolare, Barcellona non guarda più verso Madrid (cosa che peraltro è
stata assai frequente nella storia delle relazioni tra le due città). Per lo meno verso una certa Madrid.
Quella degli autori inclusi nella Antología di Julio Rodríguez Puértolas: È a quella città di Madrid a cui
Barcellona volterà le spalle per molto tempo rivolgendo la sguardo a nord e a oriente dove, nelle parole di
Espriu in “Assaig de Càntic en el temple” “dicono che la gente è schietta e nobile, colta, ricca, libera,
sveglia e felice!”. È quella città di Madrid dove Gaziel, il vecchio direttore del giornale più diffuso a
Barcellona, scriverà il mesto e desolato Meditacions del desert, pubblicato poi in Francia dalle “Éditions
catalanes de Paris”.

Sempre difficili, dopo la fine del conflitto Barcellona non guarderà più verso Madrid. Con la
Repubblica e le sue concezioni si erano riavvicinate ma poi le relazioni diverranno fredde
soprattutto verso la Madrid degli autori dell’antologia di Julio Rodríguez Puértolas. Barcellona
volgerà lo sguardo a nord. Gaziel, direttore di La Vanguardia, scriverà il mesto e desolato
Meditacions del desert il cui fa un bilancio sulla libertà e il futuro di Catalogna e della Spagna,
pubblicato solo nel 1974.
La terza Spagna di Gaziel: è la Spagna che non aveva preso una decisione ne franchista ne aveva
aderito ai ribelli, ne alla Repubblica. Andrés Trapiello ne Las armas y las letras ipotizza una “zona
grigia” di scrittori che vengono collocati in una delle due spagne ma non solo al 100% compatibili
con una o l’altra ideologia. Ad esempio Cernuda, Mihura e Neville. Distacco dal regime e
riflessioni di critica interessanti: La “terza” Spagna
Andrés Trapiello ne Las armas y las letras. Literatura y guerra civil 1936-1939, sfrondando il topos
antropologico delle “due Spagne” aveva teorizzato l’esistenza di una zona grigia di una “terza Spagna” in
cui stanno un poco gli scrittori annessi tradizionalmente da una delle altre due. Autori come Pla,
Cunqueiro, Risco, Dieste, María Zambrano, Gaya, Gil Albert, Cernuda, Chacel, Guillén, Sender,
Mourlane, Otero Pedrayo, Mihura, Neville, “scrittori di destra o di sinistra che le circostanze, solo le
circostanze, coinvolsero in un’avventura del genere”.

La “terza Spagna” e la Catalogna, rapporti:


Trovare una terza Spagna significherebbe in qualche modo puntare alla guerra civile come a una specie di
errore storico, non ineluttabile, giocando la possibile riconciliazione su questa base puramente teorica,
purtroppo. Che la realtà culturale sia stata più complessa di quello che hanno riferito alcune prese di
posizione, poi riviste e precisate, sia in seno ai vincitori che ai perdenti, nessuno lo dubita. Tuttavia la
guerra è fatta con strumenti più contundenti e la riflessione intellettuale non può trasformare in carezza
ciò che fu cannonata: per questo forse in ambito catalano la “zona grigia” è meno presente. La Catalogna
fu teatro della più violenta battaglia della guerra civile (quella dell’Ebro), di bombardamenti pesantissimi
su obiettivi civili, di una rivoluzione e di una lotta intestina tra le forze repubblicane che costò la vita a
molti militanti, ma anche a pacifici e inermi uomini di Chiesa.

La Catalogna e la rivoluzione vista da uno scrittore:

35
Franz Borkenau (in Spanish Front. Writers on the Civil War, ed. by V. Cunningham, Oxford, OUP, 1986,
pp.260-263):
Ancora una volta il nostro arrivo è stato tranquillo. Non ci sono taxi, ma solo carri tirati da cavalli a
portarci in centro. Poca gente nel Pg. Colon. Appena però giriamo l’angolo delle Ramblas (la principale
arteria di Barcellona) una sorpresa enorme: davanti ai nostri occhi, in un lampo, si stava dispiegando la
rivoluzione. Era uno spettacolo travolgente, come fossimo capitati in un altro continente completamente
diverso. La prima impressione: lavoratori armati con i fucili sulle spalle, ma vestiti in abiti borghesi.
Forse il 30% della popolazione maschile sulle Ramblas aveva un fucile, ma non c’era polizia e nemmeno
uniformi militari regolari. Armi, armi, nient’altro che armi.
 terreno di ideologia universalistica che colpisce di più gli scrittori. Franz Borkenau scrive la sua
esperienza in Spanish Front. Writers on the civil war.
Foto di Marina Ginestà–donna con fucile sulle spalle, diventata un’icona grazie alla foto scattata in
Plaça de Catalunya. Doveva fare la guardia al palazzo occupato dagli anarchici. Era minorenne e
divenne immagine della rivoluzione in atto, il governo arma tutti i civili a caso.
La Catalogna e la rivoluzione vista da uno scrittore:
La quantità degli espropri dal 19 luglio è quasi incredibile. I maggiori hotel, eccetto forse uno o due, sono
stati requisiti dalle organizzazioni delle classi lavoratrici (non bruciati, come riportato da molti giornali).
Così pure i grandi magazzini. Praticamente tutti gli industriali o sono fuggiti o sono stati passati per le
armi e le fabbriche requisite. La vita quotidiana però non ne risulta alterata come ci si potrebbe attendere
stando alle notizie riportate all’estero dai giornali. I tram e i bus funzionano, c’è acqua e luce. Tutte le
chiese sono state bruciate ad eccezione della cattedrale con i suoi inestimabili tesori che la Generalitat ha
cercato di salvare. Le mura delle chiese sono ancora in piedi, ma gli interni sono completamente distrutti.
Vedo alcune chiese ancora fumanti.

Santa Maria del Pi (Barcellona) vandalizzata durante la fase rivoluzionaria.


L’arrivo delle truppe franchiste a Barcellona: la Repubblica rimane democratica.
Ce lo narra lo scrittore Manuel Tort: [per accogliere le truppe vincitrici] tutti i balconi s’erano vestiti a
festa... In un balcone immenso dell’Avinguda Gaudí, una bandiera catalana. La bandiera splendidamente
distesa costituiva l’unico canto di speranza nello stuolo dei drappi. La strada era piena dei soldati
[vincitori]. Gli anziani facevano buon viso. All’improvviso un grido scuote i soldati: “Abajo los
catalanes”. Bisognava schiacciare i separatisti, bisogna dire apertamente che avevano ucciso la Catalogna.
Salirono lesti sul balcone e strapparono la bandiera. Un silenzio grave scese in strada. Riempirono una
bottiglia di benzina sui quattro fiumi rossi. L’avinguda Gaudí sanguinava” [“Guerra incivil”, Barcelona,
Claret, 1981, p. 147 in Faulí cit. p. 89.]

L’incendio della bandiera comune atto di sfida ad ideologie che qualcuno vuole sovvertire.
Appiccare il fuoco alle bandiere è un rituale a cui non si sottrae nemmeno oggi chi nega e vuole
schiacciare l’esistenza di coloro che la bandiera rappresenta. Ai segni continuiamo ad attribuire
l’importanza taumaturgica dei fatti rivoluzionari. Però con quell’incendio la guerra civile non era ancora
terminata.

La lezione conclusiva del 14.12.2020 verterà su La pelle fredda. Ospite Katiuscia Darici.

LA LETTERATURA E LA CULTURA CATALANE DURANTE IL FRANCHISMO

Cosa succede dopo il 26 gennaio 1939 in Catalogna: fucilazione di gente di delitti gravi, per essere
stati repubblicani, nel Camp de la Bota (in direzione della spiaggia).

La repressione linguistica è dell’ambito specifico del catalano, era la piú diffusa. Questa riguarda le
minoranze allofone in Spagna, ma in particolare i catalani. Il catalano diventa oggetto di una
sistemica persecuzione.

36
«Acabada la guerra civil, quan Catalunya va caure sota la revenja dels governs franquistes,
els catalans ens varem trovar sense cap ajut. Exterior per poder contrarestar el genocidi culturar» (F.
Ferrer i Girones).

LE FASI DELLA REPRESSIONE LINGUISTICA FRANCHISTA

Si distinguono i periodi, con l’anno 1946 come anno forte, mentre si allarga qualche maglia perché
si possa accettare un minimo dato linguistico. La prima fase coincide con il periodo della
persecuzione linguistica: divieto assoluto coincide con il secondo periodo della Seconda Guerra
Mondiale. Repressione fisica brutale (esecuzioni sommarie) e persecuzione linguistica. I pochi libri
che si pubblicano in catalano fino al 1946, o sono stampati all’estero o in Catalogna (con falsi
frontespizi: prima pagina).

Furono stampate, per esempio, a Sabadell nel 1943 le Elegies di Bierville di Carles Riba, in quel
momento in esilio: il frontespizio del libricino è peró falso, dato che indica “Buenos Aires 1942 “.
Un amico di Riba, di Frederic-Pau Verrié trovó un tipografoa “disposto a correre il rischio della
clandestinitá” J. Medina.

La censura cerca di correre ai ripari: “travolta dal numero pubblicazioni e edizioni clandestine”, la
censura cercó di correre ai ripari facendo circolare la voce che i libri, se in catalano, non sarebbero
stati necessariamente resinti. Si trattava ovviamente di un pericoloso allentamento che avrebbe
potuto (e questo era lo scopo) far conoscere chi stava dietro le edizioni di libri in catalano. Infatti,
temendo la trappola della censura, la seconda edizione delle Elegie si pubblicó (davvero) a Santiago
de Cile (1949).

La seconda fase, dal 1946 all’inizio degli anni Sessanta, con la sconfitta delle potenze dell’Asse, la
Spagna si trova isolata internazionalmente ed il governo spagnolo è visto come un retaggio dei
totalitarismi sconfitti. Per rimanere in sella, Franco attenua quindi la durezza della repressione e
della censura. Per quanto riguarda i libri, viene concesso di pubblicare qualche titolo in catalano,
inizialmente solo poesia e classici catalani medievali, piú tardi anche romanzi. Tra il 1956 e il 1962
infatti vengono stampati, tra gli altri, due romanzi chiave della letteratura catalana del Novecento:
Incerta gloria di Joan Sales e La Plaça del Diamant di Mercé Roboreda. La seconda fase aveva
come scopo quello di rendere il catalano perfettamente invisibile a livello pubblico. Qualunque
produzione culturale in catalano, malgrado gli “allentamenti”, la proscrizione di fatto, tramite la
frapposizione di ostacoli e difficoltá di varia natura. La lettura viene considerata attivitá
“minoritaria”, quindi soggetta ad attenzione particolare solo per i generi potenzialmente
“pericolosi” (romanzi e saggi).

La terza fase dagli anni Sessanta fino alla morte di Franco (1975) i cui effetti si prolungano fino al
1979. Si avvia un recupero lentissimo della presenza pubblica del catalano e delle edizioni di questa
lingua, ma permangono moltissimi ostacoli (anche dopo il 1975). Le azioni del regime del generale
Franco contro la lingua catalana comprendevano un’ampia gamma di misure repressive, tra queste
si possono ricordare:
- Revoca totale dell’uso ufficiale della lingua.
- Divieto di pubblicare libri in catalano (con gli allentamenti che abbiamo visto)
- Divieto di usare la lingua catalana nei media, cioè giornali, radio e cinema.
- Divieto d’insegnarla a tutti i livelli (limitatamente alle “concessioni” degli anni Sessanta, per cui
si avviano delle cattedre di letteratura catalana)
- Eliminazione dei libri in catalano dalle biblioteche scolastiche. Una espurgazione linguistica.
- Divieto di registrare nomi in catalano all’anagrafe.

37
- Divieto di usare toponimi catalani e nomenclatura stradale catalana.
- Divieto (con sanzioni per i trasgressori) di usare il catalano per annunciare prodotti sui giornali
o per le insegne dei negozi.
- Dissuasione sia per l’uso pubblico che privato del catalano: “Aquí se habla la lengua del
Imperio”, “si eres español, habla español”, “habla en cristiano” (Monserrat, libro)

Le campagne di allora:

Anche nel 2017, viene ripreso il lema “Si eres español, habla español”:

«Viva España, mi amada tierra,


Y si no te gusta, ahí tienes la frontera.
España te amo, y también a los TOROS,
El jamón y Rivera, político de primera.
No como el Coletas, Pusdemón o el Rufián,
Que miren su DNI que esto no es “Españistán”.
Rojos o indepes dicen que estamos mal,
pero eso son fake news que vienen de Irán.
Viva España, tierra de picaresca,
de Rafa Nadal, de Dios y el resto es ETA.
“A por ellos, oe” cantamos en democracia,
Esto no es Venezuela, aunque a alguno le duela.
Aquí se habla español y ya está,
Si hablas otra cosa eres un nazi talebán.»

Un testo fondamentale, basato su fonte storica è di Josep Benet, L’intent franquista de genocidi
cultural contra Catalunya, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1995.

Dal punto di vista letterario, si spiega la “resilienza” catalana in condizioni quasi terminate, come in
Elegies de Bierville de Carles Riba

Súnion! T'evocaré de lluny amb un crit pel teu record, que em dreça, feliç de sal
d'alegria, exaltada,
tu i el teu sol lleial, rei de la mar i del vent: amb el teu marbre absolut, noble i antic jo
com ell.

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Temple mutilat, desdenyós de les altres per il ricordo di te, che mi eleva, felice di sale
columnes esaltato,
que en el fons del teu salt, sota l'onada rient, col tuo marmo assoluto, io come questo
dormen l'eternitat! Tu vetlles, blanc a l'altura, nobile e antico.
pel mariner, que per tu veu ben girat el seu Tempio mutilato, sdegnoso delle altre colonne
rumb; che giú nel profondo, sotto l’onda ridente
per l'embriac del teu nom, que a través de la dormono eterne! Tu vigili bianco sull’altura,
nua garriga per il marinaio che riceve da te la sua rotta
ve a cercar-te, extrem com la certesa dels migliore;
déus; per chi, del tuo nome inebriato, tra la nuda
per l'exiliat que entre arbredes fosques t'albira sterpaglia
súbitament, oh precís, oh fantasmal! i coneix ti cerca, postremo come certezza divina;
per ta força la força que el salva als cops de per l’esiliato che tra le arboree penombre ti
fortuna, scorge
ric del que ha donat, i en sa ruïna tan pur. d’un tratto, oh preciso, oh fantomatico! E
apprende
Sunio! T’evocheró da lontano con grido dalla tua forza la tua forza che lo salva
d’allegria, dall’incerta fortuna,
tu col tuo sole leale, re del mare e del vento: ricco di quello che ha dato, puro nella sua
rovina.

Bierville è stata la cittá di esilio di Carles Riba e negli ultimi anni gli fu consentito il ritorno. Era un
classicista, greca e classica, traducendo al catalano. Muore nel 1959 relativamente giovane. In
questa poesia si coniuga la parte storica con la sua autobiografia. Sunio che era un capo greco, usato
da diversi scrittori, conosciuto come il sole che tramonta, esilio e la classicitá al tempo di ercole
viene ricordata per parlare dell’esilio, come la rovina del tempio greco e dello stesso poeta.
L’identitá e la rovina in sovrapposizione è una delle cose piú riuscite in questa elegia. La
dislocazione solitaria di Capo Sunio, sul precipizio da dove caddero delle colonne, con marmo
assoluto che perde pezzi è una metafora come Carles Riba che possiede la cultura che solo essa lo
puó salvare, poiché l’esterno produce un decadimento. In quanto alla metrica, é quantitativa e come
alcuni scrittori italiani useranno.

La poesia catalana di protesta è rappresentato da Salvador Espriu contro Franco (1960), lui stesso
sefardita di origine ebrea:
De vegades és necessari i forçós que un home mori per un poble,

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però mai no ha de morir tot un poble che un uomo muoia per un popolo,
per un home sol: ma non dovrà morire mai tutt’un popolo
recorda sempre això, Sepharad. per un uomo solo:
Fes que siguin segurs els ponts del diàleg ricorda sempre questo Sepharad.
i mira de comprendre i estima Fa che siano sicuri i ponti del dialogo
les raons i les parles diverses dels teus fills. e guarda di capire e apprezzare
Que la pluja caigui a poc a poc en els le ragioni e gli idiomi diversi dei tuoi figli.
sembrats Che la pioggia cada a poco a poco sui
i l’aire passi com una estesa mà seminati]
suau i molt benigna damunt els amples e l’aria passi come una mano aperta
camps. soave e benevola sopra i vasti campi.
Que Sepharad visqui eternament en l’ordre i Che Sepharad viva eternamente
en la pau, en el treball, nell’ordine e nella pace, nel lavoro,
en la difícil i merescuda llibertat. nella difficile e meritata
libertà.
A volte è necessario e inevitabile

Pau Alabajos: utilizza i testi poetici catalani e valenzani.

Documentació i Estudi Salvador Espriu,


2008, vol. XII.

Saggio di cantico nel tempio


Oh, quanto sono stanco della mia
codarda, vecchia, così selvaggia terra,
e come mi piacerebbe allontanarmene,
«Assaig de càntic en el temple»
verso nord,
Oh, que cansat estic de la meva dove dicono che la gente è schietta
covarda, vella, tan salvatge terra, e nobile, colta, ricca, libera,
i com m’agradaria d’allunyar-me’n, sveglia e felice!
nord enllà, Allora, nel capitolo, i fratelli direbbero
on diuen que la gent és neta disapprovando: «Come l’uccello che lascia il
i noble, culta, rica, lliure, nido,
desvetllada i feliç! così l’uomo che se ne va dal suo posto»,
Aleshores, a la congregació, els germans mentre io, ormai lontano, mi riderei
dirien della legge e dell’antica sapienza
desaprovant: «Com l’ocell que deixa el niu, di questo mio arido popolo.
així l’home que se’n va del seu indret»,
Però non seguirò mai il mio sogno
mentre jo, ja ben lluny, em riuria e resterò qui fino alla morte.
de la llei i de l’antiga saviesa Perché anch’io sono codardo e selvaggio
d’aquest meu àrid poble. e amo, inoltre,
Però no he de seguir mai el meu somni con disperato dolore
i em quedaré aquí fins a la mort. questa mia povera,
Car sóc també molt covard i salvatge sudicia, triste, sventurata patria.
i estimo a més amb un
desesperat dolor
aquesta meva pobra,
bruta, trista, dissortada pàtria.
Salvador Espriu, «Assaig de càntic en el
temple». A: Obres completes – Edició crítica.
Barcelona: Edicions 62 i Centre de
40
“Saggio di cantico nel tempio” in Poesia catalana di protesta, Bari, Laterza, 1968, pp. 54-55.

Significato: Lamentela della Catalogna e malgrado si è rovinata, lui volle sostenerla.

 Climax: da povera a sventurata. Perpiñán è la cittá francese dove si faceva scorta dei libri che
non venivano distribuiti in Spagna, come i film.

Nonostante la repressione franchista emergono scrittori catalani fra i maggiori del XX secolo:

- Mercè Roboreda
- Joan Sales
- Manuel de Pedrolo
- Joan Perucho
- Pere Calders
- J. V Foix
- Joan Fuster
- Josep Pla > annotatore, giornalista (40 volumi di saggistica)
- Miquel Martí i Pol > poeta operaio “la Fabrica”

Joan Sales e Mercè Roboreda sono entrambi esiliati. Sales permette essere editore e scrittore,
tutt’ora con la nipote a capo oggigiorno.

Ecco cosa scrive Sales al capo dei censori (Pérez Embid): “yo corregí a fondo todo lo que me
indicaron, hasta el punto que la nueva versión es una verdadera refundición general del libro [y]
[e]stoy dispuesto a suprimir o enmendar en la forma en que se me indique todo lo que un lector
religioso entendido y bien intencionado me hiciera ver como
herético o inmoral, pues nada más lejos de mi intención que el de
ser un escritor irreligioso o libertino.”

Probabilmente lo scrisse in Messico, dove fondó una rivista in


Catalano (Quaderas del Exili: articoli politici, altri temi letterari).
Quando rientrerá a Barcellona dopo un allentamento, con un rientro
travagliato per essere stato soldato repubblicano, riuscí a essere
direttore. Nel 1955 vince un premio Martorell di Incerta Gloria. Il
romanzo viene censurato e si inizia uno scambio epistolare con
Pérez Embid. Sales era cattolico ma non lo agevolava, nemmeno
con le diverse censure.

1969: allenta le maglie della censura, mentre quella intera con brani
integrati bisognerá aspettare fino al 2010. Risente della censura al
successivo intervento a mani estranee dell’autore. Visse di traduttore di libri in catalano.

Mercè Roboreda con La Plaça del Diamant: storia della riacquisizione di un’identitá. Storia di una
donna, nome vero di Natalia con il nome da parte del marito (appassionato di colombi), la chiama
Colometa. Un uomo (Quimet) che impone tutto alla moglie, senza preoccuparsi minimamente della
sua felicitá di lei. È un romanzo che tratta in un certo senso la Guerra civile. La Plaça del Diamant è
la piazza di Catalogna, si festeggiava ad agosto e prima era una cittá e oggi è un quartiere. È un

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romanzo-cronaca di una “liberazione”. Scritta in prima persona. Per parlare della grandezza di
questo romanzo, possiamo parlare di Gabriel García Márquez che la ritiene uno dei piú grandi
romanzi dopo la Guerra Civile. I suoi libri lasciano intravedere una sensibilitá quasi eccessiva e un
amore per la sua gente e per la vita del suo quartiere che forse proprio ció che dà respiro universale
ai suoi romanzi.

“Con uno stile falsamente semplice, con uno stile falsamente piano, con una miscela di banalità e
poesia, [LPdD] conduce il lettore ad una emozione profonda […] Vedere il mondo con occhi di
bambino, in un costante meravigliarsi, è un privilegio concesso solo ai grandi poeti.
[Sull’importanza degli oggetti nella narrativa: mobili, orologi, lancette, pendoli, dipinti, forma e
colori dei divani ecc. ecc.] Mi sono resa conto della grande importanza delle “cose” nella narrativa,
dopo aver letto il romanzo d’Alain Robbe-Grillet Le voyeur. [M’interessa] lo stile “cosista” che è
stato subito battezzato come “Scuola dello sguardo”. [Pròleg a La Plaça del Diamant, Editorial
HMB, 1982, pp. 10-11]. Mercè Roboreda, infatti, aveva come oggetto fondamentale i fiori.

C’è un libro di scambio epistolare tra Roboreda e Sales, di letteratura, si parla della sua opera
tradotta a altre lingue. Sales volle fare conoscere a Roboreda a livello mondiale: si tradurrà, in
primo luogo, in inglese, al francese e italiano nel ’70.

1. ALCUNI NARRATORI CATALANI DEL PERIODO FRANCHISTA E POST-FRANCHISTA

Manuel de Pedrolo (1918- 1990) scrittore prolifico e fare lo


scrittore in lingua catalana è un suicidio. Riesce a collaborare
con le cooperazioni giornalistiche, un uomo radicato nel suo
mondo e dall’altro aperto alle culture altrui (francese, inglese
e in qualche modo in italiano).

Un’ottantina di romanzi, quattordici volumi di racconti, due


di poesie, quindici testi teatrali, oltre una decida di libri che
raccolgono gli interventi della militanza giornalistica,
itnerviste, saggi, diari e altri scritti della piú diversa indole,
senza dimenticare l’attivitá di traduttore che interseca e
certamente influisce su quella dello scrittore in proprio: piú
di quaranta le opere tradotte e pubblicate in catalano, tra
romanzi, saggi filosofici e altra letteratura.

Si tratta non solo di alcuni classici della letteratura nord-


americana, da Dos Passos a Faulkner, da Kerouac a
Steinbeck, passando per quella inglese, da Lowry a Golding,
ma anche dei testi di alcuni mostri sacri della cultura francese, da Robbe-Grillet a Sartre.

L’opera pedroliana rappresenta un’attivitá letteraria ingente che ha dovuto fare I conti, da un lato,
con le difficoltá del mercato editoriale locale e, dall’altro, con la pervasiva censura che ha
pesantemente condizionato la cronologia delle sue opere. Vi è quindi una differenza tra la data di
redazione e quella di pubblicazione. Ció che gli consentiva di vivere erano le traduzioni.

Gli undici volumi del ciclo dei romanzi “Temps obert”. Alcuni dei titoli con l’anno di pubblicazione
e redazione:
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- 1953/1966 Avui es parla de mi > forte componente autobiografia, bisognafa quindi passare er la
censura con consulta previa giá sapevano che non veniva pubblicata la sua opera
- 1963/1968 Un camí amb Eva
- 1966/1972: Unes mans plenes de sol
- 1966/1974: L’ordenació dels maons
- 1968/1978 Cartes a Jones Street
- 1969/1980: “Conjectures” de Daniel Bastida

Ma la sua opera piú nota e letta (oltre un milione di copie) è: Mecanoscrit del segon origen del
1974.

Il processo di censura consisteva nello sfasamento tra data di redazione del romanzo e quella di
pubblicazione.

LA CENSURA

Lo sfasamento tra data di redazione del romanzo e quella di pubblicazione.

A questo proposito scrive Xavier Ferré Trill: “el...distanciament entre el moment de redactar l’obra i la seva
publicació era perquè l’autor era censurat, indicador que reflecteix el grau de relació entre la seva obra i el
compromís intel·lectual”. Non sappiamo se (e, se sì, fino a che punto) Manuel de Pedrolo abbia accettato
interventi della censura nei suoi romanzi, pur di vederli pubblicati.
Xavier Ferré Trill, Manuel de Pedrolo i la nació (1957-1982), Barcelona, Edicions del 1979, p. 76

A questo proposito scrive Xavier Ferré Trill en Manuel de Pedrolo i la nació:

(5 censori su 5 domande: veniva segnalato ad Alcalá de Henares)

 In questo ciclo c’è un protagonista trasversale: Daniel Bastida.

“Pedrolo se livre ici fictivement à une experiénce, irréalisable dans la vie réelle, qui consistirait à tirer d’un
même individu, comme en biologie végétale, une série de clones que l’on transplanterait ensuite dans
différents milieux”
[Denise Boyer, «Une proposition de lecture pour Temps obert de Manuel de , Pedrolo, et quelques
conjectures sur Daniel Bastida, onzième du nom» a Le personnage en question. IVe colloque du
S.E.L, Toulouse, Service des Publications, 264].

El cicle (...) “Temps obert” són 11 volums. Al principi era un cicle inacabable o sigui que podia passar-me
tota la vida escrivint i, si volien, les generacions successives d’escriptors podien reprendre’l (...) o sigui que
no s’acabaria mai. Es tractava de copsar totes les possibilitats d’una vida humana. [...] És la novel·la del “Si
hagués fet allò i no eix altre, si m’hagués conduit d’aquesta manera i no d’aquesta altra”. O sigui és un tot
d’accions simultànies i excloents. Això naturalment dona un camp immens, un camp de joc terrible (que)
cap vida d’escriptor no pot exhaurir.
[Pedrolo entrevista 1983: Manuel de Pedrolo entrevistat per Joaquim Maria Puyal (1983) a
https://www.youtube.com/watch?v=7tjT5yTL00M]

Consisteva nel trarre da uno stesso individuo, come la biologia vegetale, una serie di cloni che si
trapiantano in nuovi elementi. Lo disse lo stesso Pedrolo che danno nello stesso ambito storico, se le
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cose fossero andate in altro modo: fantapolítica. Iniziare con una voce epica di un popolo per la
continuazione di una stessa opera.

LA STORIA E LA FINZIONE

“L’incrocio tra storia e finzione nella rifigurazione del tempo si fonda, in ultima istanza, su questo
reciproco sovrapporsi, il momento quasi storico della finzione scambia posizione con il momento
quasi di finzione della storia” [Paul Ricoeur, Tempo e racconto. Il tempo raccontato]. Nella storia
non viene considerata con i fatti come sono realmente accaduti, mentre il positivismo è la nostra
teoria.

Mecanoscrit del segon origen: è un romanzo di fantascienza “sui generis” che prefigura un mondo
totalmente distrutto dagli alieni, la cui riedificazione, su basi completamente nuove, che rimanda a
una visione umanistica e laica della societá, è affidata a un bambino di colore (Dídac) e a una
ragazzina un po’ piú grande (Alba). Il romanzo presenta molti elementi dell’utopia politica,
conseguenza dell’ansia di rinnovamento e di futuro che si agitava in quegli stessi anni in Catalogna
ed in Spagna, nell’attesa impaziente dell’ormai prossima fine di Franco e dello schiudersi di un
nuovo orizzonte.

Fantascienza? Se scrivessimo di “fantascienza”, come fatto a suo tempo da molti critici, non senza
qualche valido motivo, lo condanneremmo oggi a essere considerato arruginito e cigolante, un po’
anacronistico, una “fantascienza arcaica” che si nutre di dischi volanti, di extraterresti con tre occhi.
Le tecnologie e conoscenze odierne rendono infatti obsoleto l’approdo del marziano.

Utopia? È un elemento piú forte. Un mondo distrutto dagli esseri extraterresti e ci propone
un’utopia di due bambini che vogliono rifondarlo su basi differenti. Alla totale devastazione del
mondo corrisponde una precisa volontá di rinascita, un preciso progetto per il futuro del genere
umano. Alla totale devastazione del mondo corrisponde una precisa volontà di rinascita, un preciso
progetto per il futuro del genere umano: incarico che Alba assume su di sé, senza intermediazioni,
senza consacrazioni altrui, ma semplicemente per la volontà di far continuare la storia, di
conservare il patrimonio di conoscenze raggiunto dall’uomo, attraverso la costruzione di un mondo
verosimilmente “altro” e ovviamente felice. Entrambi si propongono di salvare la cultura: vanno
nelle biblioteche a prendere i libri. È un romanzo utopico di avvventura che si dispiega senza
comunque risultare slegato dal complesso dell’articolatissima produzione letteraria del suo autore.

Genere ibrido. La produzione “fantascientifica” di Manuel de Pedrolo, alcuni romanzi di cui ci


parla Antoni Munné-Jorda sono tre i romanzi: Trajecte final, Aquesta matinada i potser per sempre,

Successimultani. Ma c’è poi una nutrita schiera di racconti, al di là di altri romanzi successivi, che
configurano scenari più o meno futuribili e fantastici.
Mecanoscrit… è dunque un romanzo utopico, di formazione, di avventura che si spiega da solo in
quasi tutti i suoi dettagli, senza comunque risultare slegato dal complesso dell’articolatissima
produzione letteraria del suo autore, anche nel genere specifico della fantascienza cui, malgrado
tutto, questo testo deve di certo qualcosa.

FANTASCIENZA E UTOPIA POLITICA

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Molti dei “disconformes”, i dissidenti/ dissenzienti in senso lato, come venivano definiti
eufemisticamente e non allineati con il regime cui spesso veniva riservato un energico trattamento
“rieducativo” dagli apparati repressivi, ritenevano che solo la lotta armata rappresentasse una via
d’uscita. La “transizione” pacifica verso la democrazia sembrava un’ipotesi del tutto impraticabile e
addirittura politicamente inaccettabile senza una rottura traumatica con il regime nato dalla guerra
civile.

Quando si parla di “seconda nascita” o di “secondo mattino del mondo” non si puó prescindere
dall’utopia politica che ne scaturisce, le cui radici letterarie affondano. in precedenti romanzi
pedroliani di critica più o meno esplicita alla repressione culturale (e non solo) sviluppata in
Catalogna dal franchismo.

L’UMANESIMO DI MANUEL DE PEDROLO

L’umanesimo di Manuel Pedrolo (La seconda origine : introduzione) > finiscono a Manarola in
liguria e vedono una realtá abietta e urdida. In Pedrolo è importante un processo morale estraneo
alla religione.

In Seconda origine, pur non mancando luoghi potenzialmente distopici e regressivi, che si
presentano agli occhi di Alba e Dídac dalle parti di Manarola durante il loro pellegrinaggio
mediterraneo, prevale senza dubbio l’umanità e l’amore. La divergenza filosofica riguarda proprio
la possibilità di redenzione dell’essere umano in questo mondo: possibilità che per Golding, autore
tradotto da de Pedrolo, attiene senz’altro a una dimensione ultraterrena e religiosa, essendo l’uomo
in primis – anche nello stato di presumibile innocenza – artefice del male. In Pedrolo è invece
fondamentale la fiducia in un progresso morale e culturale estraneo alla religione.

MECANOSCRIT DEL SEGON ORIGEN (55)

I tots dos es van esperar sense bellugar-se, Entrambi aspettarono senza muoversi, con
amb la vista fita en el cos jacent i les armes a lo sguardo inchiodato sul corpo disteso e le
la mà per si s’incorporava. Però no van sor- armi in pugno, nel caso si fosse rialzato.
prendre ni un sol estremiment de la Non colsero però alcun fremito nell’entità.
còrpora.Al cap de cinc minuts, doncs, van
Cinque minuti più tardi, dunque,
deixar el marge i, amb el dit al ga-llet, van
travessar el camp que els separava de la
abbandonarono il ciglio e, col dito sul
masia, prop de la qual van alentir encara. La grilletto, attraversarono il campo che li
criatura, però, continuava quieta, inanimada. separava dalla masseria, rallentarono
ancora quando furono nei pressi. La
creatura, però, continuava a stare lì ferma,
esanime.

Dues bales, van veure de seguida, li havien veure de prop aquella cara que combinava
foradat l’esquena, mentre la tercera es devia trets porcins i humans, i fins i tot d’insecte,
haver perdut perquè, en disparar-la, ell ja perquè l’ull del front, que tenia obert, era de
queia. Els forats sagnaven un líquid més clar facetes, com els de les abelles. El cos, en
que la sang humana, gairebé rosat, que se li canvi, feia pensar en un marsupial per la bossa
escorria cos avall i, a la banda de davant, on del ventre.
hi havia dos forats més, car els projectils Due pallottole, lo videro subito, gli
l’havien travessat, el terra era xop. El van avevano perforato la schiena, mentre la
girar amb la punta del màuser, i ara van poder terza si doveva essere persa perché quando
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fu sparata, lui stava già crollando. Dalle che combinava tratti umani, suini e persino
ferite usciva un liquido più chiaro del quelli di un insetto: l’occhio sulla fronte
sangue umano, quasi rosa, che gli scorreva infatti, che teneva aperto, era composto da
giù lungo il corpo. Sul davanti c’erano altri faccette, come quelli delle api. Il corpo,
due fori; i proiettili l’avevano infatti invece, faceva pensare a un marsupiale per
trapassato e il terreno era zuppo. Lo la sacca sul ventre.
girarono con la canna del mauser e
riuscirono così a vedere da vicino quel viso

Entrambi: Alba e Dídac.

bello, decisero di ritornare al bosco, nella


58) I com que no sabien si podia haver-hi d’altres grotta vicino al ruscello, dove sarebbero
criatures d’aque- lla espècie pels encontorns i ara stati più sicuri. Questo supponeva la
ja feia bo, van decidir de tornar al bosc, a la cova perdita di buona parte del frutto del loro
de prop del rierol, on estarien més segurs. Això lavoro nell’orto, ma tutti e due convennero
supo- sava perdre’s bona part dels fruits de llur
che non potevano rischiare di rimanere
treball a l’hort, però tots dos van convenir que no
podien exposar-se a restar a la masia. Els estranys,
nella masseria. Gli estranei, se ce n’erano
si n’hi havia més, es podien sentir atrets per les altri, potevano sentirsi attratti dalle case,
cases, so- bretot si, prop, hi havia terra conreada, soprattutto se vicino c’era della terra
però no era de creure que, per gust, s’endinsarien coltivata, mentre non era credibile che, per
en la muntanya. passatempo, s’addentrassero nelle
montagne.
(58) Dato che non sapevano se c’erano altre
creature del genere nei dintorni e faceva

[Film: fedele da cui è tratta: https://www.youtube.com/watch?v=dSontSkjrZ4]

MONTSERRAT ROIG (1946-1991)

Fu giornalista, presentatrice televisiva, narratrice,


drammaturga. È una scrittrice che ancora è ancora citata.
Autrice di cinque romanzi (oltre che di numerose altre opere
di altri generi):
Ramona, adéu 1972, El temps de les cireres 1977, L’hora
violeta 1980, L’Opera quotidiana, 1982, La veu melodiosa
1987.

L’UTOPIA DI MONTSERRAT ROIG

La veu melodiosa (1987)

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Romanzo di “formazione”. Il protagonista è Espardenya, alto paradigma di sapienza e virtù morale
ospitato in un corpo bruttissimo. Come la bellezza si esibisce, la bruttezza o la deformità si devono
nascondere. Così, per volere del nonno, col quale Espardenya vive dopo la morte della madre e l’
“assenza” del padre, cresce rinchiuso tra le mura domestiche, sottratto alla vista dei normali. Non
andando a scuola, viene dunque educato da un pugno di precettori “marginali”, variamente colpiti
dalle avversità della storia e della vita (siamo nella Catalogna del dopoguerra civile).

L’EDUCAZIONE “PERFETTA” DI ESPARDENYA

Nel suo ultimo romanzo crea un mondo di educazione pedagogica. I precettori gli costruiscono un
mondo volutamente mitigato e inverosimile che esalta le molteplici virtù morali del protagonista,
ricostituendone una bellezza perfetta, tutta interiore. Nel momento in cui Espardenya entrerà nel
mondo dei “normali”, frequentando l’università, inizia un moto discendente e di progressiva rovina.
Il precettore di letteratura catalana cerca di iniziarlo alla lettura dei testi letterari catalani più
significativi.

Espardenya è l’uomo buono per cultura, rifiutato per la sua bruttezza, ma capace di un giudizio
libero che finisce, come Candide, il celebre personaggio di Voltaire, col nutrirsi di idee tristi
constatando come “la cattiveria degli uomini si presenti al suo spirito in tutta la sua bruttura”.
L’unica possibilità di redenzione sta nella parola e infatti Espardenya sceglie di diventare scrittore:
la risoluzione di tutto sta nella parola e solo uno scrittore puó rivendicare la sua posizione.

Elemento utopico che incontra tanto Roig implicito come Pedrolo esplicito. Ausias March, figura
centrale valenciana, sará il paladino e rappresentante dell’ambito catalano e lui stesso rappresenterá
le idee in forma esplicita.

La veu melodiosa e il Mecanoscrit

In entrambi c’è la volontà d’impossessarsi di una cultura perduta, di formare un “nuovo


uomo/donna”. Con tutti gli elementi del tempo. La protesta antifranchista (presente in La veu…)
nella repressione da parte della polizia delle manifestazioni studentesche a Barcellona negli anni
Sessanta, ma soprattutto c’è la questione della lingua catalana.

Il divieto di usarla è rappresentato da entrambi i narratori. In una delle prime narrazioni di


Montserrat Roig, uno dei personaggi spiega come “dopo la guerra litigasse con tutti quelli che nel
tram la rimbrottavano insultandola perché non parlava cristiano”, cioè parlava catalano anziché
castigliano (Breu història sentimental i altres contes, Barcelona, Ed. 62, 1995, p. 53).

Espardenya deve salvare la lingua e la cultura catalana

Il nonno di Espardenya (il signor Malagelada) vuole ricostituire una Catalogna ideale, quella
cassata dal conflitto civile: la conservazione della lingua rappresenta dunque il passo fondamentale,
ma la realtà (Spagna del 1968 circa) è ancora una volta ostile.

Entrambi gli autori lo scrivevano. D’altronde, essere di sinistra significava proteggere lingua e
letteratura catalana.

47
La scelta di Espardenya

Espardenya, deriso perché buono, beffeggiato perché generoso e incapace di adeguarsi ai codici
vigenti, non riesce a trovare il conforto di un premio terreno e approda alla scrittura come estrema
possibilità di salvezza, consapevole tuttavia che, assai spesso, anche la parola, di fronte ai drammi
dell’uomo, tace, uguagliando nell’oblio miseria e nobiltà.

Lirico e poetico: evocando illustri discendenti, il mito del buon selvaggio: l’uomo buono per
natura.

Romanzo disallineato rispetto ai quattro precedenti (che contengono anche una sorta di saga della
famiglia Miralpeix) in cui prevale “il lirico e il poetico”, evocando illustri ascendenti quali “il
romanzo pedagogico e il mito del buon selvaggio, la letteratura iniziatica e mitica, storie ben precise
quali quelle del Buddha, cresciuto in un giardino da cui fugge per vedere il mondo” (Joan Orja, La
Vanguardia, 3 settembre 1987, p. 28).

Le opere cronologicamente vicine a La veu melodiosa

Un breve racconto di Montserrat Roig, di poco posteriore, “El profesor y el librero asesino”,
riscrittura di una nota narrazione di Flaubert, ritroviamo, ricomposti, i tratti di un personaggio (fra
Vicenç) che contiene e sviluppa alcuni caratteri di Espardenya (purezza degli intenti, rigore
dell’ideazione e modestia fino all’inesistenza) con un esito però radicale e coerente: fra Vicenç
arriva a perpetrare i delitti più efferati a causa di una cieca passione per i libri. Proiezione distopica
di Espardenya, fra Vicenç ne rappresenta tutta la radicalità, l’estremismo in una Barcellona però
assonnata, l’esatto contrario dell’incandescenza sociale e politica della Barcellona di Espardenya.

Manuel de Pedrolo e Montserrat Roig

Due voci, di due generazioni diverse, che narrano della sofferenza che, nel caso catalano, aggiunge
alla richiesta di democrazia in Spagna, la volontà di recupero del dato linguistico e culturale
facendosi latori di un’accesa volontà di riaffermare ciò che il Franchismo aveva tentato di togliere
ai catalani: la lingua e la cultura che essa esprimeva.

2. LA CATALOGNA OGGI

Radicalizzata> attualmente

Inizialmente non era separatista

Secondo statuto di autonomia nel 2003: dissidia dentro degli stessi parlamentari

Passare al vaglio alcuni articoli > incostituzionalitá (sentenza nel 2010 lontano dal 2006), con
un’immagine che nega alcune libertá di creare un proprio statuto di autonomia.

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Sentenza: incostituzionali due aspetti concetto di nazione nello statuto viene rivisto e un altro
concetto della lingua (limitata). La lingua catalana era usata dalle autoritá autonome tra i vari uffici
e questo non intaccava che questo rimetteva un principio comune: non viene usato il catalano.

2010 scende in piazza una serie di persone contro lo slogan: ora indipendenza.

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