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LITERATURA CATALANA MOD.

1 - PATRIZIO RIGOBON

Il programma:
1. Introduzione alla storia e alla cultura catalane: contiguità e diversità tra Spagna e Catalogna :
problema che si è posto in modo molto significativo (e in modo deciso) proprio recentemente,
nel 2017, quando si è tenuto un referendum in Catalogna. Momento che ha sancito rottura e
divisione che nella storia si è concretizzato in diversi momenti. Le opinioni degli indipendentisti
- coloro i quali sostengono che ci sono delle diversità tra la Catalogna e la Spagna castellana:
essi individuano dei punti focali in cui si sarebbe diversificata la storia catalana da quella
spagnola: 1) unione del regno castellano-aragonese con la corona spagnola non è avvenuta
per comunanza di cultura, ma solo dinastica; 2) nel 1714 in Catalogna finisce la guerra di
successione europea che si scatenò nel 1700 quando morì Carlo d’Asburgo senza successione.
Molte potenze europee mettono gli occhi su quel trono. Con la guerra di successione abbiamo
una scissione perché i catalani sostengono la causa del duca Carlo d’Austria contro i Borboni
che ambiscono allo stesso trono. Abbiamo due partiti: quello filo-borbonico e quello filo-
asburgico (sostenuto dalla Catalogna). Nel 1714 vi è l’assedio di Barcellona: Carlo V di Borbone
assedia Barcellona, la conquista, facendo crollare l’alleanza anti-borbonica e annettendo la
Catalogna alla Corona Spagnola. A partire dal 1714 c’è una forte “castiglianizzazione” delle
istituzioni catalane: non si può più discutere nelle aule di giustizia in lingua catalana; agli
istituiti di amministrazione territoriale vengono sostituiti quelli in vigore per tutto il paese. Si
arriva poi a una rinascita, a una nuova identità catalana nel 1833 con il Rinascimento:
rivalutazione della propria lingua, della propria cultura con un grosso peso politico.
2. Gli spagnoli e la Catalogna. I catalani e la Spagna: Valentí Almirall ed Enric Prat de la Riba.
3. "Modernisme" e "Noucentisme": istituzioni politiche e tradizione letteraria: due movimenti
culturali e letterari che hanno una grande rilevanza nell’affermazione della cultura catalana
con due visioni molto diverse: Modernismo come recupero della parola popolare, della lingua
viva, Novecentismo come espressione di lingua colta, rivolta all’élite culturale di lingua
catalana, che cerca di adattarsi agli standard delle altre lingue e culture europee (es.
traduzione dei classici latini e greci in catalano).
4. La Seconda Repubblica e la guerra civile: momenti più conflittuali in cui si manifesta da un
lato l’individualità catalana, ma dall’altro la Catalogna sosterrà la causa repubblicana e sarà
l’ultima zona a cadere nelle mani dei nazionalisti (La Plaça del Diamant, e Incerta glòria).
Romanzi che alludono a perdite, a relazioni che affondano le proprie radici nella guerra civile.
5. La rinascita letteraria contemporanea: fine della dittatura franchista (1975), periodo in cui la
lingua catalana non era tollerata.
6. La Catalogna oggi: le relazioni tra Spagna e Catalogna negli anni dal punto di vista storico, ma
anche letterario. La lingua catalana ha avuto momenti di persecuzione accesi, soprattutto nel
periodo franchista. Diverse ondate migratorie da zone ispanofone che non ha fatto venire
meno l’idea indipendentista e separatista. Il problema catalano non sarà dimenticato o messo
da parte. La Catalogna oggi ha recuperato la sua lingua (ad oggi lingua co-ufficiale). Il catalano
non si parla solo in Catalogna: si parla anche in altre realtà contigue della Spagna (es.
Comunidad Valenciana - valenzano -, Isole Baleari, Ibiza, Formentera), della Francia (es. il
dipartimento dei Pirenei orientali) e dell’Italia (es. Alghero). Il catalano è anche lingua ufficiale
di Andorra, un principato. Tuttavia, nessuna di queste realtà ha il catalano come lingua
esclusiva, che vive come una lingua in stato di subordine. Revisione dello statuto
d’indipendenza del 2003: il Partito Popolare ha cominciato a raccogliere firme contro questo
testo approvato sia dal governo catalano che da quello spagnolo. La raccolta di firme ha
successo: nel 2010 la Corte Costituzionale Spagnola dice che alcuni degli articoli sono

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incostituzionali: mentre il nuovo statuto prevedeva che la lingua fosse preferibilmente il
catalano, il giudice della CC metteva in dubbio il perfetto bilinguismo. Da qui si scatena una
protesta di piazza al grido di “vogliamo l’indipendenza”.

1. INTRODUZIONE ALLA STORIA E ALLA CULTURA CATALANE: CONTIGUITÀ E DIVERSITÀ TRA


SPAGNA E CATALOGNA
La Catalogna nelle carte geografiche
Carta della Catalogna di fine Quattrocento: le prime rappresentazioni (così dettagliate) della
geografia europea ripropongono i nomi delle città non in lingua spagnola, ma in lingua catalana: la
lingua catalana era la lingua abitualmente d’uso per definire tutta la cultura di quest’area della
Spagna.
Carta di Sebastian Muenster del 1542: si nota come non vi siano confini geografici ben delineati,
ma la Penisola Iberica si presenta come un insieme caratterizzato da aree di diversa
denominazione. Anche qui i nomi restano in catalano nell’area della Catalogna Vecchia (quella che
ha meno risentito della presenza islamica). Un’altra carta di Muenster della prima metà del XVI
secolo mostra un confine tracciato, quello di un'entità statale più ampia, la Spagna, e quello di
un’entità statale più ristretta e compatta, il Portogallo. Lérida, differentemente dalla carta
precedente, in quest’ultima presenta il nome in spagnolo: si potrebbe dedurre che, trattandosi di
una zona più vicina all’area ispanofona, in quel contorno fosse più utilizzato il castellano.
Una carta dettagliatissima dal punto di vista politico è quella di Pieter Van Der Keer, ovvero Petrus
Kaerius (1571-1646), redatta agli inizi del Seicento. Ancora una volta permangono i toponimi
catalani quasi dappertutto. La ricchezza dei toponimi è determinata da una maggiore conoscenza
del territorio. Nessuno di questi cartografi era spagnolo: questo dimostra che al di fuori della
Spagna si percepiva che la Spagna presentasse una certa varietà a livello di località e lingua parlata
in una certa area/località.
Si può quindi affermare che la Catalogna esiste nella percezione dei primi cartografi. Essa fa parte
della Corona ispanica (anzi dell’impero, come peraltro le Fiandre), ma con una toponomastica
prevalentemente catalana, per cui deduciamo che la lingua era largamente presente.
La tradizione letteraria catalana del Medioevo
Le Homilies d’Organyà (fine XII secolo) contengono la prima manifestazione della letteratura
catalana, essendo uno dei documenti più antichi scritti in catalano. Il manoscritto fu scoperto nella
canonica della chiesa di Organyà (Lérida) nel 1904. Alla fine del XII secolo/inizi del XIII secolo, il
latino probabilmente non era più d’uso, per cui occorreva scrivere le prediche in lingua volgare (in
lingua catalana) affinché i fedeli comprendessero. Nasce, grosso modo, anche se con un po’ di
ritardo, in corrispondenza delle altre lingue romanze.
Ramon Llull (Raimondo Lullo in italiano) è autore di più di duecento opere, scritte in latino,
catalano e arabo (quelle in arabo non ci sono pervenute, ma sappiamo per certo che ha scritto in
arabo). Scrive in arabo con l’intento di convertire gli “infedeli”, ovvero gli islamici che tengono
ancora una parte della penisola iberica. Llull impara l’arabo da uno schiavo. Di Llull non ci sono
pervenuti testi in spagnolo, ciò significa che nell’arco ella sua vita (1232-1315/6) non era rilevante
nella zona in cui viveva e in cui operava conoscere la lingua spagnola. Llull tratta tutte le materie
“medievali” e ha uno scopo principale: la conversione degli infedeli, non per via della violenza, ma
per via della persuasione razionale. Siamo in epoca delle crociate: Llull crede non alle crociate con
la spada, ma quelle con il pensiero, nonostante l’obiettivo finale sia sempre la conversione.
o Filosofia: Ars Magna inveniendi veritatem (1274)  sembra che sia il primo filosofo a scrivere
non nella lingua ufficiale della filosofia - il latino - ma in lingua volgare;
o “Romanzi”: Fèlix o Llibre de meravelles (1287-1289);
o Poesia: Desconhort (Roma, 1295), Cant de Ramon (1300).
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Con Llull la lingua catalana diventa letteraria.
 Scrive di filosofia (probabilmente il primo a farlo) in volgare;
 S’ispira anche alla poesia trobadorica;
 Scrive trattati in latino che riprendono temi a lui cari: in particolare la conversione degli
“infedeli” (ebrei, musulmani e non credenti in generale).
Muore forse a Tunisi (secondo la leggenda lapidato perché tentava di convertire il sultano e stava
avendo la meglio dal punto di vista retorico) o forse a Mallorca nel 1315-1316.
Llull attraversa il Mediterraneo e porta il suo verbo, le sue parole in giro per il mondo. Uno dei
centri più frequentati da lui è Parigi, dove si trova anche il suo allievo. Arriva spessissimo in Italia,
in particolare a Pisa, dove racconta anche di qualche naufragio in cui perse alcune opere nel
Tirreno che non furono mai recuperate (1308). L’altro grande polo di attrazione per Llull era
l’Africa, in particolare nei territori che corrispondono alle odierne Tunisia e Algeria, ma anche
l’Armenia.
Llull scrive un’opera latina chiamata di Consolatio venetorum et toutis gentis desolatae (1298).
Forse Lullo non è mai stato a Venenzia, ma c’è un manoscritto alla Marciana che porta la sua
dedica al doge di Venezia scritta di suo pugno. È scritta in latino perché destinata al doge di
Venezia, considerato figura fondamentale per mandare ad effetto le sue idee di conversione. Lullo
scrive ad un suo amico, che dice chiamarsi Petrus Venetus (Pietro Veneto), in merito alla cocente
sconfitta subita dai veneziani da parte dei genovesi a Curzola, un’isola della Croazia, in cui fu fatto
prigioniero anche Marco Polo. Ci sono immagini della vita veneziana dell’epoca in cui gli abitanti
della Serenissima stanno “in platei loquentes vanitates”. Petrus Venetus avrebbe un fratello fatto
prigioniero dai genovesi. Lullo dice che forse Venezia è stata castigata per la sua superbia e per
aver disatteso la parola di Dio, al contrario dei genovesi. Llull scrive una dedica al doge di Venezia:
Lullo si definisce catalano (nonostante fosse nato nelle Isole Baleari).
Da Bernat Metge a Rafael Casanova
L’opera ed il tempo di Bernat Metge (Barcelona, 1340-1413)
La figura di Metge è quanto di più distante da quella di Raimondo Lullo. Ci stiamo avvicinando
all’Umanesimo, periodo caratterizzato dal recupero dei classici greci e latini al mondo cristiano.
Bernat Metge fu un alto funzionario del re Martino il Vecchio (o, secondo la denominazione
catalana, Martí l’Humà). Nel 1408 il re catalano avvia la riconquista della Sardegna. Nell’affrontare
la riconquista della Sardegna, muore Martí el Jove, figlio di Martí l’Humá, lasciando il trono
catalano-aragonese senza successori alla morte del padre (1410). I territori della corona catalana-
aragonese erano catalanofoni. Per molti anni Metge servì il re Martí l’Humà, in molte zone diverse
del regno (dal Rossiglione alla Sicilia). Fu autore di un’opera non estesa, ma fondamentale poiché
dimostra la penetrazione della cultura umanistica in Catalogna: in particolare, occorre menzionare
Lo Somni (1398-1399). Il primo libro costituito da un dialogo tra l’anima di Joan d’Aragó (Giovanni I
d’Aragona che Metge aveva servito) e lo stesso autore che discutono dell’immortalità dell’anima,
dello spirito e della carne. Il libro ha anche altri libri, in cui Metge è più ironico. “Com l’esperit? -
diguí jo -. No puc creure que l’esperit sia res ne puixa tenir altre camí sino aquell que la carn té”:
morta la carne muore anche lo spirito, concetto che si oppone al credo cristiano per cui carne e
spirito sono separati, dal momento che lo spirito è considerato immortale. Il re vuole convincere
l’autore del contrario, ovvero che l’anima sia immortale, a differenza del corpo: “come faccio a
parlare con te se la mia anima non fosse immortale?”. L’autore però gli risponde che ha bisogno di
dimostrazioni pratiche. L’idea di Metge è un’idea di dubbio, si limita a obbiettare verità che al suo
tempo erano scontate: quando un animale e un uomo muoiono, essi ugualmente spariscono. Non
c’è nessuna differenza e superiorità nel rapporto uomo-animale. L’Umanesimo ci abitua alle
spiegazioni razionali, a differenza del pensiero medievale-cristiano.

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Il re, dopo essere venuto a conoscenza della morte di suo figlio, fa appello a tutti i suoi vassalli
chiedendo che convenissero e inviassero giuristi e che sentissero tutte le classi sociali per risolvere
la questione della successione e proporre un candidato: tale lettera fu scritta da Metge per conto
del re. L’appellativo di “umano” si deve proprio alla sensibilità del sovrano e alla sua umanità.
Tutti i rappresentanti chiamati dal re si riuniscono, alla morte del re, nella cittadina di Caspe.
Anche a Caspe si parlava catalano: si tenga presente che a Casp, in questo periodo (inizio XV sec),
si parla catalano, stando alle attestazioni dei documenti. Casp si trova molto vicina alla zona
ispanofona. La Corona catalano-aragonese verrà retta da Fernando de Antequera, un re castigliano
della dinastia Trastámara. La parte catalana della corona catalano-aragonese (Aragona, Valencia,
Sardegna, Catalogna) avrebbe preferito invece il capo della nobiltà catalana, ovvero il conte
Giacomo II di Urgell (i cui sostenitori erano detti urgellistes), ma il 28 giugno 1412 fu firmato
l’accordo tra tutte le componenti del Regno - Compromís de Casp - a favore di Ferdinando I
d’Aragona ovvero d’Antequera; accordo che sancì l’inizio della castiglianizzazione: i parlamenti
predetti (ovvero i parlamenti consultati come aveva voluto Martino l’Umano) sono tenuti ad
obbedire a Ferdinando, infante di Castiglia, a cui devono riconoscere il titolo di re e signore. I figli
di Fernando I d’Aragona – Alfonso IV il Magnanimo e Giovanni II d’Aragona – furono re molto
importanti, che favorirono l’uso della lingua catalana, nonostante ci si stesse avvicinando
all’unificazione della Penisola Iberica che verrà sancita con il matrimonio di Fernando el Católico e
Isabella di Castiglia.
Ausiàs March (1400-1459)
Fu un uomo di notevole cultura vicino alla corte reale e anche il falconiere di Alfonso IV il
Magnanimo, considerato uno dei maggiori poeti europei del XV secolo. Egli tratta la tematica
amorosa, ma non è più quella del Dolce Stil Novo, ma è un amore più reale, più carnale: la donna
esiste quanto oggetto del desiderio, non troviamo più la donna angelo. Egli non risponde a una
sensibilità medievale, ma alle nuove correnti di pensiero. Per quanto riguarda l’opera, egli scrive il
Canzoniere i cui versi lo stesso poeta denomina Dictats. Secondo R. Archer, sono 129 le
composizioni poetiche, di varia lunghezza, che costituiscono il corpus del canzoniere
ausiasmarchiano, vale a dire circa 6500 versi. La tematica amorosa è largamente prevelente, quasi
il 70% dell’intero corpus. Altri temi: alcuni canti trattano prevalentemente altri argomenti, tra i
quali il cosiddetto “Cant espiritual” (tema di Dio, che è un tema che trova importante e
fondamentale, ma non riesce a trovare un entusiasmo per l’idea di Dio) e i “Cants de mort”. I cicli
maggiori sono la tornada (ultimi quattro versi) con senhal (segnale a una persona specifica) “Plena
de seny” (Piena di sé) e la tornada con senhal “Llir entre cards” (Giglio tra i rovi).
Nel biblico “Canto dei Cantici”, straordinario inno all’amore, espresso in un linguaggio tanto ricco
di metafore, divenute proverbiali, quanto di frasi per lo più estranee a qualunque retorica
puramente letteraria, si trova il senhal di ausiasmarchiana memoria: “giglio tra i cardi” o, secondo
altre versioni, “giglio tra i rovi”.
Il tema amoroso non presenta più quell’idealizzazione ed “angelicazione” dell’amata, ma un
realismo, dagli accenti talvolta espressionistici, ed una sensibilità decisamente attuali. Il conflitto
interiore tra desiderio carnale e paura di una punizione eterna si esplicita in Ausiàs March in versi
di rara potenza: “Sento piacere, ma non so che gli dà forza./ Se è la carne, perché non si sazia?/ Se
lo spirito, perché non si infinita?” Oppure: “Non gofo amare, e meno essere amato;/ fuor della
carne, il piacere dilegua:/ tutto il mio desiderio comincia lì e finisce”. Come osservato da taluni
critici, proprio rispetto all’urgenza delle percezioni, nella sua opera i sistemi trascendenti di una
lunga epoca collassano. Poeta dunque non medievale, ma non ancora pienamente moderno.
Ausiàs March è collocabile tra coloro che percepiscono malinconicamente e distintamente il
tramonto di un’epoca.

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Molto spesso le poesie di March iniziano con una metafora: “Aixi com cell qui…”. Associazione
amore e morte: metafora del naufrago che riesce a intravvedere un posto che potrebbe significare
la sua salvezza, ma che per una sorte avversa non riesce a raggiungere; allo stesso modo il poeta
vede la donna, che rappresenta per lui la salvezza, ma che lo rifiuta. Al naufrago non resta che
maledire la sorte avversa e lasciarsi al suo destino, al poeta ciò che resta è il poter cantare i suoi
versi per il mondo.
Il Cant espiritual (Canto CV): Nei 224 versi di questa composizione, Ausiàs March si riconosce privo
di speranza, ma evidenzia una ricerca sincera del senso che probabilmente non trova, una fede
che gli appare quasi estranea ai sensi, ma ratificata, in virtù di ragione (una sorta di paradosso). Il
suo appello a Dio, una struggente preghiera a tutti gli effetti, non si leva per un qualche beneficio
terreno personale, ma per rivolgere il suo amore d Dio stesso, quale depositario del bene
supremo. Anche in questo caso siamo dunque lontani dalla civiltà medievale, senza che ciò
comporti tuttavia un rigoroso scetticismo di stampo razionalista: un altro conflitto, tra i molti
irrisolti, che hanno caratterizzato la personalità del poeta e che stanno, probabilmente, alla base
della grandezza dei suoi canti.
Da Ausiàs March (1459) alla fine del XVII secolo
Periodo che conosce due momenti critici: l’unione delle corone di Castiglia e Aragona (1469) e la
guerra dei mietitori (1640) e le sue conseguenze, ovvero il Trattato dei Pirenei (1659).
Isabella di Castiglia sposa Ferdinando d’Aragona (la coppia sarà nota come “I Re Cattolici”). Va
ricordata la figura di un grande letterato catalano, Andreu Febrer, poeta vissuto dalla fine del
Trecento alla prima metà del Quattrocento, il primo traduttore in assoluto in versi (e in catalano)
della Divina Commedia di Dante. Questa traduzione attesta la rilevanza che in Catalogna aveva la
tradizione italiana.
Cosa si unisce con il matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona? La corona di
Aragona non è importante per la specifica posizione che all’interno della Penisola Iberica, ma per i
possedimenti che può vantare nel Mediterraneo. I Re Cattolici saranno gli artefici del
completamento della Reconquista: nel 1492 la Corona Cattolica conquista il Regno di Granada. I Re
Cattolici finanziano l’impresa di Cristoforo Colombo, il quale scoprì un nuovo continente che
consentì di allargare i confini dell’Impero spagnolo. Il Regno di Navarra, benché incorporato nel
regno, conserva tutte le prerogative (fueros) che lo rendono autonomo. La Corona aragonese era
importante per i possedimenti nel Mediterraneo: Sardegna, Sicilia, Sud Italia. Quando l’asse della
storia si sposterà verso i nuovi territori, quest’area perderà importanza anche per la Spagna in
generale e conoscerà un periodo di crisi. La scoperta dell’America ha determinato non sono una
rivoluzione economica e alimentare, ma anche una nuova relazione con il Portogallo: fu
sottoscritto tra la corona spagnola e il Portogallo un trattato, che divideva quello che sarebbe stato
della corona spagnola e quello che sarebbe stato del Portogallo.
I regni di Castiglia e il regno catalano e aragonese continuavano a mantenere le loro caratteristiche
e molte delle istituzioni preesistenti: unione dinastica non presuppone una fusione a livello
culturale, politico e linguistico.
Carlo V riunisce su di sé diversi regni, essendo figlio di Filippo il Bello (a sua volta figlio di
Massimiliano d’Austria) e di Giovanna la Pazza (figlia dei Re Cattolici) dal sud al nord Europa ed in
America. Ma comincia anche (grazie alle spedizioni di Magellano) un’espansione in Asia: non a
caso le Filippine si chiamano così (nome di uno dei figli di Carlo V). Nel cuore del Cinquecento
europeo, l’Impero spagnolo riuniva i territori della Penisola Iberica, ma anche i possedimenti ad
Est Europa, ereditati dal trono austriaco, insieme ai territori in Italia. I domini di Carlo V (della casa
d’Austria – ma Carlo I di Spagna) e Filippo II (il prudente): la Spagna sottomise buona parte
dell’America Meridionale ad eccezione del Brasile, insieme al Messico e all’isola di Cuba.

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Cosa succede alla letteratura catalana dopo Ausiàs March? L’asse della storia si sposta a Occidente
e l’importanza del Mediterraneo decresce. La letteratura catalana perde prestigio anche se ci sono
parecchi esponenti che continuano ad utilizzare questa lingua a fini letterari (spesso in subordine -
o insieme – allo spagnolo). La Catalogna non è più l’asse centrale del Regno aragonese, ma viene
incorporata in un regno molto più vasto. Joan Boscà (Juan Boscán) importa in Spagna il sonetto e il
petrarchismo.
Joan Francesc Boscà, nonno di Joan Boscà, sec. XV  influenza di Ausiàs March, assieme a quella
di Petrarca. Siamo proprio nell’ambito della tematica ausiasmarchiana, reinterpretata con
contenuti a lui molto simili, ma con un verso molto diverso. L’amore resta al centro della creazione
poetica, letteraria.
Joan Boscà, nella seconda metà del Cinquecento, riconosce il suo debito con il maestro catalano:
omaggio alla forza del concetto d’amore di Ausiàs March che garantirà che il suo nome verrà
ricordato nei secoli a venire.
Dieci versi sparsi sono forse gli unici che Boscà ha scritto in catalano: idea che l’amore ti obblighi a
fare delle scelte e che causi dolore e sofferenza. Ancora una volta un poeta catalano d’origine si
rifà ad una tradizione letteraria italiana: “bien podía haber sido un ensayo íntimo y previo de Juan
Boscán, cuando después de su memorable conversación con Andrea Navagiero, decidió
revolucionar la poesía española”. Navagiero gli aveva suggerito di importare il modello letterario
italiano allo spagnolo. Secondo alcuni – Martí di Ríquer – il catalano sarebbe servito come ponte
tra la tradizione italiana e la letteratura spagnola. Secondo altri – Rossich – è difficile che Boscà
provasse in catalano, lingua che dominava meno bene, un verso che voleva applicare al
castigliano. D’altra parte, il primo endecasillabo in catalano è nel 1580 nel Cant de Calliope.
Nel XVI e nel XVII secolo abbiamo ancora una discreta produzione letteraria in catalano. Oltre
all’introduttore del Petrarchismo in Spagna, vi sono numerose altre figure rilevanti di ambito
catalano ed europeo:
- Pere Serafí (sec. XVI), poeta e pittore;
- L’Umanesimo vanta figure di filosofi e pensatori quali Joan Lluís Vives (la cui opera è in latino
come quella del contemporaneo Erasmo da Rotterdam con cui era in relazione epistolare);
- Joan Timoneda, poeta e drammaturgo.
La crisi del XVII secolo: La guerra dei mietitori (1640) o Guerra dels Segadors
Con l’inizio della famosa “Guerra dei trent’anni”, nel 1618, la Spagna decide di adottare una
politica centralista per far fronte alle elevatissime spese militari. Siamo nel periodo di Filippo IV e
del suo “valido” (il primo ministro, colui che faceva le funzioni del governo nella monarchia), il
Conte Duca di Olivares. Olivares persegue una politica di “armonizzazione” tendente a equiparare i
regni “castigliani” a quelli “non castigliani”, quindi ad esigere tributi e alimenti per le truppe (Unió
de Armas). Tutti i regni devono avere, diversamente dal passato, lo stesso regime di governo e
pagare le stesse tasse. Durante la guerra a Luigi XIII di Borbone di Francia gli eserciti ispanici
(40.000-50.000 persone) si accamparono proprio in Catalogna per sferrare un attacco alla
monarchia nemica. In base all’Unión de Armas, bisognava provvedere alle truppe accampate lì in
attesa che iniziasse la guerra. Il mantenimento di quel grandissimo esercito ricadeva sulle spalle
dei contadini catalani: mentre i nobili catalani si mostrarono tolleranti, il popolo si ribellò a tale
provvedimento che presupponeva la perdita della autonomia e della facoltà di governarsi secondo
le proprie regole e tradizioni. In questo contesto, nel maggio del 1640 scoppiò la “Guerra dels
Segadors”, il lungo conflitto tra nobili e classe operaia in Catalogna. In giugno si unirono ai rivoltosi
contadini della provincia di Girona i mietitori. La guerra contro le milizie divenne presto una rivolta
sociale contro le classi più abbienti catalane (nobiltà). Si tratta di una guerra nazionale o di un
conflitto sociale? Secondo alcuni storici tendono ad accreditare il fatto dal punto di vista sociale:
gente che viveva in povertà coglie l’occasione per potersi riscattare. Altri storici legati più all’idea

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nazionale della Catalogna vedono in questa rivolta un’identità catalana. Idea di Catalogna come
natio medievale che torna a ripresentarsi quando i regni si sono amalgamati tra di loro, ma non
completamente fusi.
La Spagna non è più quella di Carlo V, ha iniziato un processo di decadenza economica a partire da
Filippo II che si aggraverà durante tutto il Seicento.
Il complesso dei fenomeni che possono essere ascritti alla Guerra dei trent’anni si conclude con il
Trattato dei Pirenei (1659) che sancisce che la parte della Catalogna a nord dei Pirenei passa alla
monarchia francese: si spacca l’unità catalana che si era mantenuta fino a questo momento.
Province che non saranno mai più incorporate nel territorio spagnolo. La Francia acquisiva la
Catalogna del Nord (ad eccezione della città di Llívia), che includeva la città di Perpignano e l’intera
regione del Rossiglione. La catena montuosa dei Pirenei divenne così la nuova frontiera che
separava la Spagna dalla Francia.
Cosa succede dal 1640 in poi con la lingua catalana? Nel 1641, l’anno successivo alla rivolta, si
pubblica Relación verdadera de todo lo que ha pasado en Perpiñán en el tiempo que estuvieron
cercados: «El intento principal de esta Relación es referir con brevedad y sucintamente las
crueldades, tiranías, extorciones y execraciones que hizieron los castellanos de la villa de Perpiñán
[...], lo que ha de servir para estimarles el amor natural tuvieron [los de la ciudad] a su patria y
también para compadecerse dellos en lo que padecieron».
Cristòfor Despuig nei Colloquis de la insigne ciudad de Tortosa parla dei rapporti tra Spagna e
Catalogna e sostiene una tesi: gli spagnoli stessi non consideravano quell’area Spagna, ma Despuig
afferma che quell’area è la migliore Spagna  “que aquesta nostra provincia no sols és Espanya
mas és la millor Espanya, i en tot temps i per totes les nacions que ací són arribades per tal
tinguda”. Siamo di fronte ad un mancato riconoscimento di una realtà: l’autore si ritiene parte
della Spagna, ma l’area catalana non viene riconosciuta come tale. L’idea della Spagna non è
costruita solo su base castigliana, ma anche catalana, nonostante i castigliani non lo riconoscano.
Jeroni Pujades en la Crònica universal del principat de Catalunya (1609): esiste un’idea di
percezione della nazione catalana, di un’alterità che ha difficoltà ad affermarsi e ad essere
accettata come tale. Identificazione tra identità catalana e la sua lingua: è evidente che lui parla e
scrive in catalano e lo spagnolo sia una lingua appresa; in più parlare in castigliano significherebbe
screditare la propria lingua e la propria letteratura.
Francesc Fornés riconosce un dato pragmatico valido ancora oggi: predico nella mia lingua
materna, ma se predico in castigliano è perché è compreso non solo in Spagna, ma anche in
Francia, Italia e grande parte dell’Europa.
Francesc Martí Viladamor lascia la sua lingua e “ruba” la lingua al suo nemico: “dexo industrioso
por remissa la lengua de mi querida nación y hurto lícitamente al enemigo la suya”.
Da Carlo II (1665) alla caduta di Barcellona (11 settembre 1714) e ai Decretos de Nueva Planta
(1716)
Carlo II, figlio di Filippo IV, aveva come nomignolo “El hechizado”, perché era malaticcio, su di sé si
sono spesi decine di libri per spiegare tutte le malattie che aveva Carlo II dovute al matrimonio tra
consanguinei, d’uso nella casa d’Asburgo. Muore nel 1700 e regnò in modo anomalo: inizialmente
era troppo piccolo per accedere al trono e poi in seguito il suo regno fu travagliato da mille
problemi.
Secondo l’interpretazione della storiografia castigliana Carlo II rappresenta il tramonto della
potenza spagnola. Tra l’altro perde definitivamente il Portogallo (regno a sé stante ma comunque
legato alla Spagna in un rapporto di “vassallaggio”) e il suo impero. Secondo un cronista catalano
di fine Settecento, Narcís Feliu de la Penya, Carlo II fu invece “il miglior re che ebbe la Spagna”.
Carlo II rappresenta un tentativo di valorizzazione dell’apporto dei regni non castigliani alla corona
ispanica. Applica una politica “foralista” che valorizza la periferia. Modera l’espansionismo
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annessionista francese. Il testamento di Carlo II, che non ha figli o figlie, nomina come successore
Filippo d’Angiò (Borbone, futuro Filippo V). Stava però (forse) per cambiare il testamento a favore
del ramo austriaco rappresentato dal figlio di Leopoldo I l’Arciduca Carlo d’Asburgo. Ma Carlo II
morì prima di poterlo fare. Il testamento di Carlo II prevedeva che i due regni (Francia e Spagna)
restassero separati, nonostante fossero governati dalla stessa famiglia.
La guerra di successione
Muore Carlo II senza eredi e si apre la controversia sulla successione. Filippo d’Angiò si proclama
re – seguendo alla lettera il testamento di Carlo II – ma anche Carlo d’Asburgo, per motivi di
parentela, si proclama re. Nel 1700 la monarchia spagnola estende gran parte dei suoi domini in
Italia. Dopo il Trattato di Utrecht alla fine della guerra abbiamo un regno spagnolo unitario.
Nel 1701 si costituisce una Grande Alleanza tra Austria, Inghilterra, Olanda e Danimarca con
l’obiettivo di fermare la politica espansionista francese/spagnola. Nel 1702 dichiara la guerra a
Spagna e Francia. Alla grande alleanza si unisce nel 1703 il Portogallo e la Savoia. E la Catalogna vi
aderisce con il Patto o Trattato di Genova (1705): all’interno dei regni che costituivano la corona
spagnola, la Catalogna aderisce contro la posizione borbonica, schierandosi dalla parte asburgica.
Cosa stabilisce il Patto o Trattato di Genova? Che la Catalogna potesse godere di tutte le grazie,
leggi e privilegi di cui godeva ai tempi del defunto re Carlo II: trattamento avuto durante il regno
dell’ultimo re asburgico.
La Guerra di Successione per la Corona spagnola termina con la fima del trattato di Utrecht il 13
luglio 1713. Catalogna fu l’ultimo scenario politico dove si mantenne il conflitto: l’11 settembre
1714 Barcellona, che resisteva a favore dell’Arciduca Carlo d’Austria, viene conquistata da Filippo
V. Carlo d’Asburgo è costretto ad abbandonare. Filippo V, nuovo re di Spagna, sopprime le leggi e
le istituzioni catalane, e per la prima volta viene proibito l’uso della lingua catalana. In ricordo di
questa data si celebra la Giornata Nazionale della Catalogna. L’assedio di Barcellona si protrae per
14 mesi e questo probabilmente inasprirà le conseguenze repressive che i vittoriosi, Spagna e
Francia con la dinastia borbonica, eserciteranno poi sulla Catalogna, abbandonata nel frattempo
dall’Inghilterra che firma la Pace di Utrecht (1713) con la Spagna. La Catalogna viene abbandonata
al suo destino. Ancora oggi questa data è significativa per la Catalogna: malgrado la sconfitta, si
presentarono tutte le volontà di essere una nazione, uno stato, nei confronti di una monarchia più
potente. In un romanzo del 2012 di Albert Sánchez Piñol nel romanzo Victus. Barcellona 1714
l’autore illustra, sulla base di dati storici, quanto accaduto a Barcellona durante il lungo assedio
(1713-1714). Da sempre l’11 settembre viene ricordato in Catalogna ed è oggi una festa civile
importante con grandi manifestazioni. Dal 2012 di taglio decisamente indipendentista.
Una cronaca della seconda metà dell’Ottocento: “Historia del memorable sitio y bloqueo de
Barcelona” scritta da un sacerdote carlista.
In Inghilterra il caso diventa politico: il fatto di sottrarsi da quella alleanza causò la sconfitta della
Catalogna. Secondo il Trattato, la Catalogna avrebbe dovuto essere stata aiutata dalla Marina
inglese, ma così non avvenne. The Deplorable History of The Catalans: “nazione nota per la
libertà”, uno dei valori a cui gli inglesi tengono particolarmente. Elogio della difesa della libertà dei
catalani che sentono di doversi sacrificare di fronte a un nemico più potente e senza l’aiuto di
nessuno. Si elogia anche il clero della Catalogna: elementi laici ed ecclesiastici che lottano contro
un nemico comune.
Un’altra opera inglese critica la politica inglese nei confronti della Catalogna: The Case of the
Catalans Considered. «È evidente che i catalani si sottomisero al re Carlo per istigazione degli
inglesi». I catalani hanno aderito al partito dell’Arciduca Carlo D’Asburgo, credendo che gli inglesi,
forte potenza, gli avrebbero dato una mano.
Luigi XIV, nonno di Filippo V suggerisce di moderare la politica nei confronti dei catalani, cosa che
però non avverrà.

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Dopo aver completato la conquista di Barcellona, Filippo V emana quattro decreti, i Decretos de
Nueva Planta, firmati tra il 1707 ed il 1716 dal re di Spagna Filippo V mediante i quali fu cambiata
l'organizzazione territoriale dei regni della Corona d'Aragona, che aveva parteggiato per l'arciduca
Carlo d'Asburgo durante la guerra di successione spagnola. Ebbero come conseguenza l'abolizione
delle autonomie locali e l'imposizione della lingua castigliana nell'uso ufficiale dello stato. Con i
decreti di Nueva Planta si dà avvio quindi a un nuovo modello di organizzazione amministrativa
assolutista, che rispondeva al desiderio di Filippo V di creare un'amministrazione più omogenea di
tutti territori della monarchia borbonica: l’organizzazione giudiziaria ma anche amministrativa e
statale vigente in Castiglia viene applicata e si sostituisce alle istituzioni e alla macchina
organizzativa catalana, portando anche a una marginalizzazione della lingua catalana negli ambiti
ufficiali, pubblici. In Francia, già nel 1700, si esclude la lingua catalana da tutte le procedure e atti
pubblici: processo di francesizzazione promosso dal re dopo il Trattato dei Pirenei.

Cosa succede dopo i Decretos de Nueva Planta?


- C’è una presa “manu militari” della città di Barcellona e della Catalogna per evitare ribellioni 
costruzione di un’imponente fortezza militare (“Ciutadella o Ciudadela”) sul lato nord e
rafforzamento della guarnizione di Montjuich sul lato sud. La costruzione occupa quasi tutta la
prima metà del XVIII secolo ed è opera d’ingegneria francese. La presa militare è completa e
non c’è la possibilità di nessuna azione militare. La demolizione avvenne dal 1869 all’inizio del
XX secolo. Rimangono ancora alcune costruzioni.
- Nell’ambito culturale, si provvede alla chiusura delle università esistenti e la conquista
culturale si realizza con l’istituzione di una nuova università a Cervera, data in gestione a
persone di sicura fede monarchica e di sicura fede intellettuale borbonica. L’università va
intesa all’epoca come formazione di un pensiero politico e non come educazione alla libertà di
pensiero.
La Decadenza e la Rinascita in Catalogna
Il periodo della Decadenza va grosso modo dall’età barocca al 1800. Il concetto di Decadenza è
stato in uso in letteratura catalana fino a poco fa, e in particolare dopo i “Decretos de Nueva
Planta” (1716). Secondo Rossich i Valsabore non ci possiamo ingannare e non possiamo dire che
siamo davanti a due secoli di grandi figure letterarie e abbondanti testi colti, ma certamente si può
affermare che si scriveva regolarmente in catalano e che si siano prodotti diversi testi sia letterari
che giudiziari.
Francesc Fontanella è un autore barocco secentesco. Una sua poesia che riflette ciò che sarebbe il
“mestiere” poetico è Selva elegíaca: si gioca con una sorta di visione della realtà mitica, si cerca di
trovare un valore simbolico a tutti gli atti della vita. Siamo molto distanti dalla poesia di Ausiàs
March, una poesia tormentata; questa è una poesia che si colloca su un livello di sofferenza del
poeta molto più basso.
Rafael d’Amat (Baró de Maldà) è un autore vissuto della seconda metà del Settecento, che ha
scritto un diario che è una testimonianza giorno per giorno della Barcellona di quei tempi che so
sofferma su tutti i problemi politici percepiti all’epoca. Ha cominciato a scriverlo in giovanissima
età: seguiamo anche la trasformazione personale, biografica dell’autore. Si racconta l’episodio
dell’espulsione dalla Spagna della compagnia dei gesuiti: vengono espulsi dai domini dei Borbone e
si rifugiano maggiormente nello stato della Chiesa e porteranno un contributo enorme alla cultura
italiana del Settecento. Il Barò de Maldà è molto vicino ai gesuiti; il fatto della loro cacciata ha
suscitato una reazione negativa del popolo (almeno in parte). Questa cacciata ha conseguenze
politiche all’interno della Spagna.
Il Rinascimento o Renaixença è stata una corrente letteraria catalana che si espande e si afferma
nella seconda metà del XIX secolo. Per le sue tematiche ricorrenti (idealismi, individualismo,
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predominio dei sentimenti, esaltazione patriottica e scelta di tematiche storiche), è ascrivibile alla
più ampia corrente del romanticismo europeo. La data convenzionale è il 1833 e l’opera
inaugurale di questo periodo può essere considerata l’Oda a la patria.
L’Oda a la patria (1833) di Bonaventura Carles Aribau è una poesia in cui è presente una nostalgia,
un senso di nazionalismo: nostalgia di quel paesaggio, degli elementi culturali catalani e dell’unità
nazionale catalana. Dal Montseny, nel cuore della Catalogna, si può vedere la Serra de Tramontana
dell’isola di Mallorca, ovvero tutto il territorio che è accomunato dalla lingua catalana. In
quest’area trova il senso della “catalanità”. Nostalgia della lingua, oltre che dei paesaggi. Si
nominano le torri castigliane che non possono che aumentare la nostalgia per un paesaggio che
ora appare diverso. Metafora dell’uomo come albero migrato in un posto che non è il suo e che si
svilisce nella sua produzione di frutta/fiori così come l’uomo nella sua produzione di cose umane.
“Llengua llemosina” dovrebbe racchiudere tutte le “lingue” catalane (valenzano, maiorchino, ecc.):
il dizionario Alcover-Moll definisce il llemosí un dialetto occitano il nome del quale si è utilizzato
per un certo periodo di tempo (in modo errato) per designare la lingua catalana. L’unità linguistica
desta in Catalogna un elemento molto forte di identificazione. Ritorna la questione linguistica. Vi è
un appello a recuperare le tradizioni perdute, ciò che lo rende il testo che battezza la Rinascenza
catalana. Per precisare il concetto di llemosí come lingua catalana come lingua unitaria, Ferrando-
Amorós scrive: consolidate le principali denominazioni regionali della lingua, i circoli eruditi dei
vari luoghi del dominio linguistico hanno trovato nella parola llemosí la formula che avrebbe
permesso di risolvere il conflitto tra la constatazione di una lingua medievale comune e unitaria e
la consolidazione della diversità onomastica. Il termine llemosí viene utilizzato per riunire le tre
grandi famiglie della lingua catalana (Catalogna, Valencia e Isole Baleari). Tuttavia, si tratta di un
termine inesatto perché definisce un’altra lingua romanza, ma sempre diversa, motivo per cui
l’uso oggi è decaduto. C’è un duplice elemento: nostalgia della fanciullezza e l’elemento
rivendicativo della lingua che è stata messa in disparte.
L’Oda alla patria riprende elementi all’«Addio, monti» del cap. VIII dei Promessi Sposi, quando
Lucia va via: “Addio, monti sorgenti dall’acqua, ed elevati al cielo”. Tranne qualche minimo
aspetto, i due testi appaiono pressoché uguali: Bonaventura Carles Aribau aveva sicuramente ben
presente l’edizione dei Promessi Sposi del 1827. La paternità di questo topos letterario è
sicuramente di Manzoni. Quando Aribau pubblica su El Europeo l’Oda a la pàtria, il giornale ha
almeno due redattori italiani e lo stesso Aribau era esperto di letteratura italiana, tanto da
raccomandare all’amico Juan Nicasio Gallego di tradurre i Promessi sposi in spagnolo, cosa che
Gallego fece pubblicando Los novios (1837). Capiamo che è evidente che Manzoni era uno degli
autori prediletti da Aribau.
La Spagna e la rinascita della cultura catalana
Come viene vista la rinascita impetuosa della letteratura catalana? Lo spagnolo inizia a
considerarsi come lingua altra, dal 1833 si scriveva in catalano. Questo disturberà molto, perché si
associa la rivalutazione della propria patria come un fenomeno separatistico. Sull’onda espansiva
delle idee romantiche comincerà ad essere elaborato a partire dalla seconda metà del XIX secolo il
concetto stesso di “storia della letteratura catalana”.
Francisco María Tubino scrive Historia del Renacimiento literario contemporáneo en Cataluña,
Baleares y Valencia nel 1880. Nel prologo si nota la curiosità che spinge questo studio, ma
dall’altro comporta una preoccupazione che recepisce guardando in là nel tempo. Non c’è una
connessione politica, ma c’è l’idea di patriottismo: “El libro que ofrecemos al público no responde
a ningún fin concreto del orden político, ni lo ha engendrado interés alguno de escuela filosófica,
es sencillamente, una producción en que entran, por mitad, nuestras aficiones intelectuales y
nuestro patriotismo. Risolvere il problema vuol dire mettere un’ipoteca sul futuro più tranquilla.
Tubino interviene perché nota che all’estero la realtà culturale catalana interessa molto: sarebbe
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utile che anche gli spagnoli si interessino al problema. Tubino non vuole essere accusato di essere
un separatista: è un iberista che propone di avere un regno unito sotto forma di federazione, in
modo tale che ogni realtà preservi la propria cultura e i propri interessi. Il primo capitolo fa capire
come Tubino avesse un’idea della nazione catalana diversa comunque da quella che abbiano noi:
la Spagna è un insieme di altre nazioni. Tubino è da considerarsi un intellettuale d’avanguardia per
il periodo in cui scrive. In contemporanea a Tubino si sviluppa un altro tipo di pensiero, opposto a
quello di Tubino, che ha una serie intellettuali spagnoli che lo sostengono: idea di far cambiare
lingua agli scrittori catalani. Clarín e Galdós scrivono una serie di lettere a Narcís Ullet, uno
scrittore catalano, che ha pubblicato diverse opere e romanzi realisti in catalano. Lo invitano
espressamente a cambiare lingua: per avere una grande lingua e non un “mezzo dialetto” bisogna
passare allo spagnolo. Clarín lo fa in modo abbastanza contundente e non lo scrive solo in lettere
private, ma anche pubblicamente in un giornale, dove argomenta di voler convincere Ullet a
scrivere in spagnolo. Abbiamo un duplice atteggiamento: una certa disponibilità e apertura alla
realtà catalana da una parte e dall’altra un atteggiamento ostile nei confronti della lingua catalana.
L’articolo di Clarín diventa un caso politico: Enric Prat de la Riba risponderà in molto duro a Clarín
dandogli dell’irrispettoso e dell’ignorante.

2. GLI SPAGNOLI E LA CATALOGNA. I CATALANI E LA SPAGNA: VALENTÍ ALMIRALL ED ENRIC PRAT


DE LA RIBA.
L’idea di nazione catalana e l’elaborazione ottocentesca: Josep Torras i Bages ed Enric Prat de la
Riba
Josep Torres i Bages ed Enric Prat de la Riba sono due autori che si muovono entrambi all’interno
di un ambito cattolico, il primo essendo un vescovo, il secondo un liberale, un laico. Pur aderendo
allo stesso credo religioso, tuttavia i loro approcci nei confronti della Catalogna sono diversi.
Torras i Bages scrive un libro incentrato sulla questione regionalismo: La tradició catalana nel
1892. La tradizione catalana si presenta come un testo di storia della cultura e della letteratura
catalana, che contiene anche una parte di teoria politica riferita a quei sistemi liberali appiattenti e
artificiosi quali gli stati che oltraggiano l’organizzazione naturale basata sulle organizzazioni più
piccole.
Essendo vescovo di Vic, che si considera un faro per l’identità nazionalista catalana, è chiaro che
non potesse essere insensibile a questa tematica. L’idea centrale è che il regionalismo non è un
sistema, ma nasce dalle stesse viscere della società, quindi sta nella naturalità delle cose, idea che
riprenderà anche Enric Prat de la Riba. C’è una presa di posizione netta contro l’uniformità della
Rivoluzione francese che è stato il motivo per cui tutte le realtà francesi sono state cancellate. La
legge naturale della società prevarrà di fronte alle rivoluzioni proprio perché non si tratta di un
sistema artificiale, ma di una legge naturale.
Nel capitolo III si legge che la Chiesa è regionalista. La stessa religione garantisce il rispetto degli
elementi regionalisti. La Chiesa è regionalista perché è eterna. Non esiste per la Chiesa un dogma
per l’unità degli stati, che sono artificiali e possono quindi farsi e disfarsi. La durata di questi stati è
sempre limitata e quando si disfano riappaiono le antiche nazioni, le unità sociali naturalmente
formate non nei congressi diplomatici né nelle riunioni degli uomini di stato ma negli eterni
consigli della Provvidenza divina. Si dice che una determinata configurazione politica è frutto della
volontà divina: realtà metafisica che esula dalla politica. La religione è un fatto soprannaturale e
perciò cerca le entità naturali più che politiche: la regione più che lo stato in quanto essa è
divinamente naturalista.
Prat de la Riba e Torras i Brages:
- Per entrambi, gli stati sono organismi artificiali e le regioni naturali;

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- Non si trovano d’accordo riguardo il fatto che l’identità religiosa non è centrale per la
definizione della Catalogna: per Prat de la Riba la Catalogna può esistere indipendentemente
da questo.
Le idee di Prat de la Riba sono permeate dal diritto tedesco, che ammirava in modo particolare.
Anche Pasquale Stanislao Mancini, che aveva scritto sul diritto delle nazionalità, ha la sua influenza
nell’opera di Prat de la Riba.
La Nacionalitat Catalana
La Nacionalitat Catalana è l’opera di Prat de la Riba pubblicata nel 1906 e ripubblicata nel 1910. Fu
tradotta solo in spagnolo e in italiano nel 1924. Siamo ai primi anni del regime fascista. Fu
pubblicato in una collana, che si chiama “Biblioteca di Coltura Politica”, da un intellettuale fascista,
Cesare Giardini. La nazionalità catalana ha qualche cosa ha che fare con il fascismo? Cesare
Giardini spiega in una lettera a Estelrich perché traduce La Nacionalitat Catalana. La promozione
di questo testo arriva da Estelrich, promotore della cultura catalana all’estero. Cesare Giardini è un
ex attore che decide di abbandonare le scene e di occuparsi di letteratura. Viene assunto alla
Alpes, casa editrice. L’idea di Giardini che in parte si desume da questa lettera è quella di far
conoscere l’idea e il nazionalismo catalano dal punto di vista di una realtà che in Italia è quasi del
tutto ignorata. Questo testo contiene molte idee assolutamente idee incompatibili con il fascismo,
ad esempio il federalismo e che l’identità nazionale riguardi le piccole realtà, non le grandi nazioni.
D’altra parte, c’è un’idea imperialista che si rifà all’imperialismo culturale, non quello che
comporta la sottomissione e invasione di popoli. Questo libro contiene un’introduzione scritta da
Giardini, che spiega un po’ di storia della Catalogna basandosi sulle fonti di Estelrich o Rovira i
Virgili. Si tratta di un testo che non è incasellabile nel fascismo, nonostante abbia qualche punto di
convergenza sulla dottrina di imperialismo (che però per i catalani è di tipo culturale, come si è
detto).
La Catalogna esiste indipendentemente da qualunque religione. Le idee di decentralizzazione,
autogoverno, federalismo sono all’ordine del giorno per Prat de la Riba. Si trova un senso
romantico per cui c’è qualcosa di indicibile sotto il concetto e il senso profondo dello spirito di
popolo che struttura la Catalogna.
Prat de la Riba è stato un uomo pratico: la Catalogna doveva acquistare qualche diritto
istituzionale. Bisognava ritrovare una certa identità tramite il recupero dell’autogoverno (o di
frazioni ai autogoverno), dopo i “Decretos de Nueva Planta”, dal momento che la Catalogna non
poteva essere trattata con le istituzioni castigliane che tendevano ad appiattire tutto sul modello
delle istituzioni prodotte dai regni di Castiglia e applicate poi alla Catalogna. L’idea è quella di
arrivare a una maggiore divisione del potere e a una qualche cessione dello stato centrale agli enti
regionali. Prat de la Riba aderisce alla Lliga regionalista. Oltre ad avere questa attività politica ha
sempre un’attività culturale importante perché la politica non si regge senza un progetto culturale.
Le fasi di questo progetto culturale sono svolte da Prat de la Riba. Nel 1892 un gruppo di politici
catalani si riunisce a Marresa per produrre un testo giuridico, un possibile statuto per l’autonomia
della Catalogna: “Bases de Marresa”. Prat de la Riba viene eletto alla presidenza della provincia di
Barcellona. Prat de la Riba crea una struttura di governo che riuniva tutte le province catalane
sotto un’entità sub provinciale e che si concretizzerà solo nel 1914: Mancomunitat de Catalunya.
Questo organo di autogoverno agirà in modo autonomo su diversi fronti: creazione di un sistema
scolastico. Era comunque un’autonomia molto limitata che ebbe modo di esercitare fino alla sua
morte nel 1917. Nel 1921 arriverà in Spagna la dittatura di Primo de Rivera, che metterà fine alla
Mancomunitat de Catalunya.
Tutto questo attivismo politico e culturale comincia a turbare i sonni di molti intellettuali spagnoli
che vedono non messa in discussione la lingua castigliana, ma quella visione monolitica che hanno
della realtà. Clarín scrive un articolo su La Publicidad il 7 gennaio 1986. Clarín capisce che dietro la

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rivendicazione della lingua, forse c’è qualcos’altro. Percepisce che gli scrittori catalani non
intendono cambiare lingua, pur conoscendo perfettamente lo spagnolo. Dice che è sicuro che se si
fosse diretto ad altri autori, la risposta sarebbe analoga. Sostiene che il catalano sia un dialetto,
non una lingua, per cui non bisogna considerarlo dal punto di vista filologico come una varietà
collocata tra altre più importanti e accentuate. Risponde Prat de la Riba su La Renaixenca. La sua
è una risposta abbastanza dura.
Narcís Oller è ancora il protagonista del secondo scambio epistolare che abbiamo scelto per
esemplificare quanto la letteratura in catalano abbia costituito un elemento eterodosso poco
comprensibile nell’ottica prevalentemente “spagnolo-centrica” di molti importanti autori di questa
lingua. Si tratta dello scambio di lettere con Benito Pérez Galdós. Va detto che il rapporto del
grande romanziere delle Canarie con la Catalogna e la cultura catalana è molto articolato e non è
costituito solo dai fatti che qui ricorderemo. È tuttavia significativo che, nonostante le missive
siano assai note, questo aspetto, invero assai problematico che attesta un radicamento di
carattere quasi antropologico di talune posizioni, è per lo più sottaciuto da parte di certa critica
spagnola.
Tutto si svolge in un lasso di tempo abbastanza delimitato: fine Ottocento e primi del Novecento,
quando la rinascita della letteratura catalana mette in crisi la centralità della letteratura spagnola e
l’unitarietà della lingua e della letteratura si era data per scontata. Per Galdós la poesia può
scriversi in catalano, ma il romanzo no. “La novela debe escribirse en el lenguaje que pueda ser
entendido por mayor número de gente”. Le ragioni per cui Oller scrive in catalano attengono
fedelmente all’estetica realista: la credibile rappresentazione nel romanzo dei personaggi e del
loro mondo. Il romanzo è un mondo e in quanto tale i personaggi di questo mondo non
potrebbero mai parlare in spagnolo.
Un motivo ricorrente è quello di un più ampio pubblico potenziale per la lingua maggiore. Oggi, in
base a questo criterio, sarebbe meglio scrivere tutti in inglese o in cinese quanto a pubblico
potenziale. La poesia, elitaria per definizione, è l’unico genere che può essere appannaggio della
lingua catalana, ma appare evidente come per Galdós sia il romanzo a stare al centro della
creazione letteraria. Certo l’autore di Tristana aveva ben capito qual era l’importanza del genere
nel forgiare una nazione e come non potesse esserci la concorrenza di “un immaginario
romanzesco” alternativo a quello ispanico che ne mettesse a repentaglio la centralità e, in ultima
analisi, forse anche l’esistenza. In un testo, Timothy Brennan, coglie e sintetizza l’essenza del
problema. Il romanzo funziona come fucina dell’identità nazionale: “It was the novel that
historically accompained the rise of nations”.
Un altro grande teorico, laico, del catalanismo è Almirall, di cui Prat de la Riba parla.
Troviamo l’innata passione di Prat de La Riba del pensiero britannico: il self-government
riconosciuto a tutti gli enti sociali è il principio dell’autonomia. Qui si trova il massimo della libertà
con il minimo delle limitazioni.
La Catalogna non ha coscienza di sé per lungo tempo: l’essere stata conformata a immagine e
somiglianza della Castiglia ha portato la Catalogna e molti catalani a non avere percezione di se
stessi. Nel libro vengono invece sottolineati gli elementi di differenza: le diverse realità sono
separate dalla lingua. La lingua è un elemento che si può apprendere. La lingua è centrale nella
percezione della cultura e dell’unità catalana.
L’idea di nazione catalana e l’elaborazione ottocentesca in rapporto all’ambito letterario coevo e
del primo del Novecento
Lo Catalanisme (1886) è il primo dei testi di Valenti Almirall sul catalanismo, che precede i testi di
Torres i Bages e di Prat de la Riba. Almirall si colloca nella riflessione sull’idea di nazione in un
ambito ideologico diverso da quello degli altri autori già menzionati, dal momento che si colloca
sul piano del liberalismo; Almirall si colloca quindi non su un piano confessionale ma su un piano

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politico moderno che guarda a un modello, che è per l’autore il modello inglese. L’analisi storico-
culturale di Almirall risente del positivismo, ovvero del poter misurare tutto e di dare concretezza
a tutti i dati caratteriali. Tuttavia, un dato è comune a buona parte della riflessione teorica catalana
sul nazionalismo: ci troviamo di fronte a una riflessione sull’identità nazionale fondata sul
volontarismo, sulla capacità di esprimere una volontà e trasformarla in volontà politica. Ciò che
precede il progetto politico è l’analisi delle differenze tra il carattere castigliano e quello catalano.
Nella Penisola si possono classificare due grandi gruppi di popolazione: centro-meridionale –
personificata nella gente castigliana – e quella pirenaica – personificata nella gente catalana. La
prima zona si estende a tutte le zone riconquistate dalle armi castigliane (Castiglia la Vecchia e
Castiglia la Nuova), mentre la seconda (il gruppo nord-orientale) si compone degli antichi stati che
formarono la Confederazione aragonese-catalana, alla quale si devono aggiungere tutti i territori
che occupano il versante di una parte al di là e al di qua dei Pirenei fino al golfo di Biscaglia. Ci
sono più punti in contatto con le genti del nord, che vivono attorno al golfo di Biscaglia e a ridosso
dei Pirenei che con la zona del mezzogiorno della Penisola Iberica. Il popolo castigliano è il popolo
che ha i tratti distintivi più marcati di quelli che popolano l’Europa: secondo l’idea di Almirall
abbiamo un estremo occupato dal lato anglosassone e dall’altro un estremo occupato dal
mezzogiorno europeo. Nel lato anglosassone predomina il pensiero positivista, basato nel senso
pratico e individualista, mentre il lato castigliano è genuina espressione dell’idealismo e
dell’astrazione. I due personaggi che incarnano queste due realtà opposte sono il Don Chisciotte e
John Bull che non si sono mai potuti capire e mai si capiranno, non c’è possibilità di dialogo tra
queste due realtà. John Bull è disposto a dare l’indipendenza all’Irlanda come ha già fatto con il
Canada, l’Australia, il Capo di Nuova Speranza e altre colonie. Don Chisciotte, per evitare pericoli
ideali, espulse gli ebrei e i moriscos per l’idea della purezza della razza che sicuramente la
mentalità inglese non conosce, portando alla rovina attraverso il decadimento dei commerci e
delle industrie. I catalani si sentono più vicini alla mentalità più pragmatica inglese: dirige quindi
una critica all’idealismo castigliano che molto spesso non è altro che una repressione della volontà
di libertà dei popoli. Almirall insiste sull’idea dell’autonomia lasciata dall’Inghilterra, che ancora
oggi, attraverso il Commonwealth, dispone di relazioni relativamente buone con tutte le ex colonie
che riconoscono ancora la regina d’Inghilterra il capo di Stato. Questo non accade invece con la
Spagna. Almirall non è solo critico rispetto a questo aspetto della realtà culturale e dell’agire
storico castigliano, ma lo è anche rispetto allo “sciovinismo” catalano. Uno dei vizi che indica la
decadenza e il ritardo in cui si trovano i catalani sta nella petulante pretesa di trovare tutto ciò che
è catalano il migliore di tutti: coloro i quali dicono cose simili dimostrano una stupida vanità o
un’ignoranza deplorevole. Il carattere catalano è per Almirall l’opposto del carattere castigliano: se
abbiamo l’astrazione idealista da un lato, i catalani cercano vantaggi positivi e concreti. Se la
Castiglia è Don Chisciotte, forse la Catalogna si può identificare con Sancho Panza perché vede la
realtà. Per Almirall, uno dei grandi meriti della creazione di Cervantes è avere incarnato nella
figura del suo eroe la vera essenza del tipo castigliano: è disinteressato, amico delle buone forme e
specchio della cortesia. Tuttavia, è debole di corpo ma ancor di più di intelligenza nel senso di
capacità di comprendere la realtà. Si è fatto una legge della cavalleria e si è impegnato ad imporre
la sua idea sugli altri che non la ammettono e non la vogliono accettare. Se a Londra ci sono i
protestatari, ma non succede niente perché si rispetta la libertà di esprimere la propria opinione,
don Chisciotte invece è disposto a combattere per reprimere ciò che va contro i suoi ideali.
Caratteristiche politiche del carattere castigliano contro quello catalano: da una parte dominano
oligarchia e autoritarismo, idealismo generalizzatore e spirito di assimilazione e imposizione, non
interessato ma prodigo; dall’altra parte abbiamo il positivismo e un’accentuazione del particolare
sul generale, un disprezzo della raffinatezza e delle forme e una preferenza accordata alle

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istituzioni e non ai singoli uomini. Non ci si aspetta l’eroe, ma un’istituzione collettiva che funzioni;
nell’idea castigliana prevale un’idea più concentrata sugli uomini che sulle istituzioni.
Per Almirall gli Stati Uniti d’America e i modelli che si ispirano al sistema particolarista e
repubblicano sono preferibili. Le istituzioni americane, frutto della cultura anglosassone,
rispondono alle necessità di ciascuna realtà politica locale, di ciascuno stato. La forza e il vigore del
sistema federativo stanno nella decentralizzazione e nel rispetto del particolarismo, nella
consacrazione della varietà che lo trasformano nel regime naturale e genuino della libertà. Si
introduce il concetto del “dividi per unire”, ovvero più realtà che formano un unico
raggruppamento che rispetta le singole entità che la costituiscono.
In Catalogna l’intersezione l’elemento storico con l’elemento letterario è a tal punto inestricabile
che potrebbe dirsi che la storia politica catalana è anche una sua storia letteraria: la letteratura ha
contribuito in buona parte a definire lo stesso concetto nazionale della Catalogna anche quando la
storia stessa non lo ha permesso.
Nel 1887 Marcelino Menéndez Pelayo spiegava in una lettera a Juan Valera che il catalanismo
politico «puede ser peligroso si se apoderan de él los federales como Almirall, que ya han
comenzado a torcerle y a desvirtuar el carácter literario que al principio tuvo. El tal Almirall es un
fanático todavía de peor casta que Pi y Margall, a quién siguió en un tiempo, pero cuyo
catalanismo ya no le satisfece o le sabe a poco. Está haciendo una propaganda antinacional de mil
diablos». L’idea che il catalanismo da letterario diventa politica turba i sogni dei politici e dei
letterati spagnoli. L’idea che catalanismo da letterario diventa politica turba i sonni non solo dei
politici spagnoli ma anche dei letterati spagnoli perché c’è un dogma sottostante che viene dalla
Reconquista, ovvero dell’unità nazionale che è un dato intangibile, immodificabile e non soggetto
a discussione. Chiunque metta in discussione questo dato, o con richieste di autonomia o di
repubbliche federali, entra nell’ambito di ciò che va represso. Menéndez Pelayo è preoccupato di
questa propaganda antispagnola portata avanti da Almirall, così come lo erano Clarín e Galdós.
Prat de la Riba fa alcune osservazioni sull’opera di Almirall ne La Nacionalidad Catalana (1906).
Prat de la Riba fa suo, su basi leggermente diverse, il sistema particolarista proposto da Almirall:
non vuole una Catalogna isolata dal contesto iberico, ma la vuole all’interno di un sistema di
federazione iberica in cui la Spagna avrebbe un ruolo non più egemonico ma un ruolo che deve
condividere con le altre componenti significative della Penisola Iberica (compreso anche il
Portogallo). Anche de la Riba predilige il sistema inglese su quello francese: la libertà francese
livella e schiaccia, quella inglese è l’auto-governo riconosciuto agli uomini e a tutte le entità sociali;
è nel self-government che si trova il massimo della libertà e il minimo delle limitazioni. La figura di
Eugeni d’Ors influirà anche sul piano politico in Prat de la Riba. E Prat de la Riba sarà sempre un
faro per d’Ors. Il filosofo definirà il politico “seny ordinador de Catalunya”.
Un tema che si trova in Prat de la Riba è quello della teoria “imperialista”, affrontato nell’ultimo
capitolo de La Nacionalidad Catalana. Si tratta di una dottrina di Eugeni d’Ors che Prat de la Riba
aggiunge nel suo testo in un secondo momento. Un impero era si oppone alle aspirazioni
nazionaliste quando si tratta di un impero che schiaccia e domina. Qui abbiamo invece
un’adesione volontaria a un impero federale, che è risultato dell’armonizzazione delle correnti
nazionalista e universalista. Si trova espresso un principio preoccupante: i popoli barbari, o coloro
che vanno in senso contrario alla civilizzazione, devono essere sottomessi al potere delle nazioni
civilizzate. Dominare con la violenza è l’imperialismo selvaggio d’Oriente (imperialismo negativo),
mentre dominare attraverso la sola forza della civilizzazione e della cultura è l’imperialismo sano e
fecondo, ma incompleto della Grecia. Il terzo imperialismo che va perseguito: dominare attraverso
la forza della cultura e sostenuto dalla forza materiale è l’imperialismo moderno. L’impero è il
dominio di una civiltà sostenuto da una forza materiale.

15
Una delle battaglie del “Noucentisme” è proprio la battaglia per la cultura. Il Novecentismo ha
influssi in tutti i campi culturali: La Fundació Bernat Metge che nasce a Barcellona negli anni ‘20 e
che aveva come scopo quello di pubblicare in lingua catalana le collezioni dei grandi classici greci e
latini. L’idea di fondare questa fondazione per tradurre in lingua catalana i classici è frutto della
temperie culturale voluta dal Novecentismo. Joan Estelrich ha sempre lottato per affermare la
cultura catalana. In questo periodo viene scoperta la colonia greca di Ampurias: il mondo
mediterraneo era un mondo unico e i catalani si sentivano particolarmente vicini alla cultura
greca. Da qui nasce la necessità di fruire di una nobile eredità che gli appartiene e della quale non
godevano fino a quel momento. È una specie di nuovo Umanesimo che scaturisce nel primo
Novecento: grande volontà di conoscenza e di costituire una lingua basata su quella dei classici. Il
progetto culturale è di assoluta importanza. L’idea parte da Francesc Cambó (1876-1947), che
finanzierà questa impresa. Joan Estelrich è il coordinatore, l’artefice intellettuale del progetto.
Joan Crexells traduce Platone, Carles Riba è il grande grecista del gruppo. Anna Maria de Saavedra
i Macià ha tradotto Ovidio e Adela Maria Trepat i Massó che collabora nella traduzione di Ovidio e
altri autori latini.
Dal 1922 ad oggi la collana dei classici greci e latini della Bernat Metge ha pubblicato oltre 430
volumi, malgrado le interruzioni del primo Franchismo. Dal 2017 la collana fa capo alla Casa dels
clàssics e, di fatto, ha pubblicato tutti gli autori più significativi della classicità greca e latina. Nel
1918 Francesc Cambó disse a Josep Maria de Sagarra: «se un giorno io diventassi miliardario mi
piacerebbe fondare in Catalogna qualcosa di importante per i classici perché penso che quello che
serve di più al nostro paese sia la lettura dei classici antichi». Eugeni d’Ors non partecipa all’opera
ma ne è l’ideologo con la sua idea di mediterraneità. Tutti coloro che collaborano all’opera
vogliono dare alla cultura catalana una lingua letteraria fondata nell’esercizio e la traduzione dei
classici.

2/11/2020

Cultura catalana diversitá e critica / 1866 e vi sono periodi compresi nell’ultimo segmento del XIX.

Catalani piú vicini a Sancho Panza.

Sapendo che la Castiglia è stata formata nel creare la Spagna. Nel caso dei catalani consideriamo
che non si sentono riconosciuti a livello economico

Si preferiva il sistema inglese e non francese: tra le varie parte delle varietá in cui viene plasmato.

Eugeni d’Orsi > battalglia noucentisme.

Maragall > Eugenio Montale

Modernismo: MARAGALL

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- Ruolo della natura
- Artista che vive ai margini della realtá
- Contraddizione con i valori della borghesia
- Contestazione delle scelte dei genitori
- Idealismo versus materialismo borghese
- Arte come necessitá che marginalizza la ricompensa economica
- Attenzione ai movimenti europei e soprattutto nordeuropei

EUGENI D’ORS E IL NOUCENTISME

- Eugeni D’Ors e Prat de la Riba


- L’idea imperialista
- Teoria del noucentisme
- Critica del modernismo
- Centralitá della cittá
- Battaglia per la cultura
- Catalanismo
- La norma
- Ragione, ordine e misura
- Classicismo e mediterraneo

L’imperialismo è idea di nazionalismo


Glosas > politica, estetica e cultura connesse
Diventerá falangista/ fascista

Antoni Gaudí a Joan Maragall, 16 novembre 1906  visioni per un catalanismo


La Sagrada Familia > tempio in condivisione. Tutte le costruzioni hanno una struttura. Torre del
Redentore il senso di altezza
Architettura e poesia  tutte le statue percepite e pensate da Gaudí. Il dettaglio della stella
cometa, soffermazione di Margall.

Montserrat come i pinnacoli sono come dei cilindri e si innalzano in modo vertiginoso e
straordinario. Molti transitano per Montserrat e ispirerá a Gaudí, nell’ideazione della facciata della
Sagrada Familia

La poesia tot just ha començat


I es plena de virtuts inconegudes > D’Ors non riesce a leggere senza rabbrividire e alcune cose
completamente distanti dallo stesso. C’è qualcosa completamente distinto come il Noucentisme:
inseparabile da un’estetica. Non puó esistere un’arte non preventivata, semmai sí deve essere
pensato e programmato.

Non vi è segno in questa di razionalitá, ma di sentimento da parte del Enllá di Margall. Margall dirá
che sono le ragioni da cui è stata inventato il Noucentisme.

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Nell’estetica della parola viva vive il romanticismo. Il Noucentisme è come un classicismo rivisitato
del 900. Quindi, il sustrato di Margall da il voltastomaco allo stesso. La poesia del romanticismo
dará a favore dello spirito novecentista. Tutta questa si rappresenta da una nuova razza: Palomar,
grande poeta del Noucentisme.

La tecnica Noucenista non viene riconosciuta.

La poesia di Margall, quindi come si vede? Il glossatore si limita a constatare un fatto e si astiene.
C’è piú novitá spirituale, essenziale. Per questo la generazione Noucentista ha visto una duplice
visione, come in “gaia scienza”. Non ha altra utilitá che l’esempio. Secondo la sua visione estetica

D’Ors: dal nazionalismo all’imperialismo  con Maragall si esaurisce il Romanticismo.


D’Ors vs Maragall: il presunto nuovo contro il presunto vecchio

 sagrada familia inno alla cultura catalana, radicamento e consapevolezza. Gaudí non riusciva a
esprimersi in spagnolo, mentre sí in catalano

Due movimenti: Noucentisme e Modernismo

CLASE 9 DE NOVIEMBRE 2020

Facciata

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La facciata della nativitá, dettagli e allusioni della cultura morfologica della cultura della Catalogna:
la montagna del Monserrat.

D’Ors e Margall: falangista D’Ors nell’imperialismo.

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La architettura di Antoni Gaudí si opponeva a quella Noucentista di Barcellona. Fanno parte dei
posti meno noti: Gaudí sará dimenticato negli anni ’70 quasi ignorata e i giapponesi al giorno
d’oggi collabora nella spinta dell’interesse globale di Barcellona. Avremo una estetica modernista
e noucentista.

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Nasce nella Catalogna centrale e l’influsso della madre e della natura, lo orientano verso la
letteratura.

Barretil : vestimenta catalana (rossa con fascia nera), come segno nazionale della Catalogna.

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Sará il capoluogo del diocesano: non è grande, ma è una sede nazionale.

Vic è presente con la nebbia, mentre è anche una zona geografica ricca a livello naturale che
influenza Antoni Gaudí.

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Cittadina medieval di Ropit.

È molto importante nella biografia di Jordi Verdaguer: è un sacerdote in diversi aspetti, poiché il
personaggio di scrittore a volte prevale anche se a volte assolve il suo ufficio con ottima dedizione.
C’è la sacralitá, ma c’è anche il paganesimo e laico rappresentato dal dolmen davanti a una chiesa
(tipicamente catalano). La poesia è piena di riti magici e pagani.

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Nel 1870 nasce de la Vita (altro letterato catalano) e, pertanto, una rappresentazione dello stesso.
Nei Jocs Florals nascono dei poeti catalani poiché inviando queste composizioni vengono a loro
volta scoperti come poeti: vince un secondo posto al concorso. A fronte di molti, a 20 anni mostra
una precocitá.

L’esperienza che fa di alte cime, la trasferisce in un poema che aveva iniziato giá da giovane sulla
mitica Atlantide. Vi è un veneziano e genovese che sono venuti da un posto misteriosamente
scomparso.

L’elemento fondamentale è il contestuale: il movimento della provenza Felibrismo, con la variante


occitana. È la considerazione di questa lingua dei trovatori, che è la riscoperta che si riassocia alla
letteratura catalana. Di fatto, si considera fondamentale come lo stesso felibrige. Questo
movimento nasce come valore spontaneo come a tutte le leggi che avevano marginalizzato a cura
del paese, che aveva scacciato tutte queste lingue. Lo scopo, per tanto, era di portare l’occitano

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con una rilevanza del tempo. Il francese, secondo lo standard, era la lingua della libertá.

León Pagán racocglie tutte le interviste de Verdaguer, con le dichiarazioni interessanti in questa
slide presentata. Vi sono diverse idee del rinascimento e anche modernismo: la poesia per tanto
canta della natura, lirismo e non si tratta di essere degni del lirismo.

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In questo, vi sono tutti gli autori intervistati che noi abbiamo studiato.

Politica e letteratura sono inscindibili in questo ambito poiché gli scrittori sono soggetti
interpretabili.

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Si ricordi la decadenza dell’imperialismo in America a fine dell’800. Il movimento letterario è
quello che scatena il politico.

Il movimento letterario è sia nazionale sia dei popoli.

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Montagne sacre per un popolo: Ararat per gli armeni. Verdaguer scrive il Canigó.
In questa montagna colloca le storie mitologiche come un elemento fondativo della nazione
catalana, con una certa facilitá.

È frutto di fonti medievali e, soprattutto, sul poeta di una base. Questo poema ha avuto giudizi
molto positivo dal punto di vista Castellano: Menéndez y Pelayo crea un giudizio, che si era

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formato in Fontanals. Non riconosce la sua indipendenza, come nemmeno nell’anno 2010.

È falso: ricostruito dal monastero originale di Cuxá della Francia.

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Monasteri ricostruiti.

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Mistral: incontro a Barcellona.

Vede in Atlantida un momento di glorificazione del filibrige . Mistral prende il premio nobel anche
se non interessa del tutto alla catalogna.

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Vi sono elementi iconografici di Gaudí sono ricchissimi di immagini piú o meno comprensibili, con
testimonianza di testi scritti nella letteratura catalana. Verdaguer e Gaudí amavano la Catalogna,
poiché a Gaudí gli interesseranno a Comillas e Astorga. Entrambi avranno in comune il misticismo:
lui viví nella Sagrada Familia. In entrambi viveva un momento onirico, mitologico che sempre
erano state nel momento popolare: la affabulazione famigliare, come l’inesplicabilitá della natura
lo si spiegava tramite i folletti.

Il fascino della cittá, pur essendo uomini di campagna e montagna, amano Barcellona: entrambi
avranno a che fare con il mecenatismo.

Anteriormente era un capio espiatorio  rivendicazione operaia in risposta sociale e rivoluzione


del sindacato, come momento di redenzione.

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Scrive nella settimana tragica di Barcellona  reazione popolare, con incendi di templi e chiese
alla morte di Ferrei Guardia, pedagogico che viene accusato di aver espresso un pensiero
eterodoxo.

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Non è centrale a Barcellona, ricostruisce il drago feroce che, ricostruito in ferro, fa la guardia alla
casa del conte Güell: il drago del nero abisso, diversamente dal Canigó.

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Invocazioni a Gesú, Giuseppe e Maria, come giuseppe in particolare. Non è ricordato come lo
stesso.

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Nona lezione: 02.11.2020

Dal Modernisme al Noucentisme in Catalogna (slides nona lezione)

Il modernismo è una corrente culturale-letteraria che in Europa identifica cose molto differenti tra
loro. Un conto è il modernismo in America latina, un conto quello in Catalogna.
Cominciamo con un testo di Maragall (1860-1911) grande poeta della grande poesia in lingua
catalana: Cant Espiritual, lui era cattolico ma sui generis, molto legato alla filosofia niceana e vicino
alla cultura tedesca (tradusse in catalano Novalis e Goethe). È un tentativo di conciliazione tra il
mondo religioso in cui lui crede e il mondo sensuale, dei sensi che ha frequentato attraverso molti
testi e che lo attrae. La sintesi di ciò è questo canto che Montale tradusse attorno agli anni 50’. Nel
suo quaderno di traduzioni da cui la traduzione è tratta tradusse anche molti altri autori tra i quali
Shakespeare. Non conosceva il catalano ma questa traduzione è accettabile, seppur adattata alla
sua personalità (non essendo credente ciò si riflette nel suo processo traduttivo).
[lettura testo tradotto in slide]
Ci sono nel testo catalano alcune peculiarità che la traduzione non recepisce come ad esempio
l’uso dell’allitterativo, molto importante in Maragall. L’elemento più importante nella poesia è
stato colto da Montale anche se ci sono cambiamenti sostanziali: vv. 1-2 della seconda pagina, “i el
compte de lo molt, i el poc, i el massa” (=e il conto del molto, del poco e del troppo) viene tradotto
con “perché il tutto è il nulla?” questo è il nichilismo che in Maragall non si trova.
Le evocazioni di quanta letteratura troviamo in questo testo: prima pagina, evocazione del Faust
“Chi mai non disse «fermati» a un momento, fuor di quello che gli portò la morte, non lo
intendo[…]”; chi non ha mai chiesto all’attimo di fermarsi per goderlo (per godere dei piaceri della
terra). Si trova un verso simile nel Faust.
Lello Voce (cantante e poeta napoletano) ha fatto una versione che divenne un classico.
Gli elementi caratterizzanti del modernismo catalano: si concretizza sia a livello letterario che in
architettura, dove in Catalogna si esprime col massimo furore. Margall è un modernista ma non
condividerebbe i punti 2 e 3 della lista perché era un grande borghese, benestante con famiglia
ricca, ha avuto 13 figli uno dei quali fu Pascual Margall. Sempre dediti a cultura, letteratura e
politica. Quindi non contraddice i valori della borghesia.

- Ruolo della natura: in moltissime poesie.

- Artista che vive ai margini della realtà

- Contraddizione con i valori della borghesia

- Contestazione delle scelte dei genitori

- Idealismo versus materialismo borghese

- Arte come necessità che marginalizza la ricompensa economica: si vive per l’arte.

- Attenzione ai movimenti europei e soprattutto nord-europei: il modernismo si ispira al nord


Europa. La Catalogna non guarda la Spagna ma altrove sia per Modernisme che per
Noucentisme.
Punti cardini del Noucentisme (Eugeni d’Ors 1881-1954):
- Eugeni D’Ors e Prat de la Riba

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- L’idea imperialista

- Teoria del Noucentisme

- Critica del Modernismo

- Centralità della città: natura come natura che sta al di fuori delle mura della città, sostituita
dalla centralità della città.

- Battaglia per la cultura: esiste solo una cultura alta classica, non popolare.

- Catalanismo

- La norma: bisogna dare a tutto delle regole, punto centrale che ha salvato la lingua catalana.
Era una lingua fino al 1913 che nessuno aveva incasellato in regole che ne stabilissero il
canone. Poi Pompeu Fabra elabora una grammatica normativa del catalano (basata sul
catalano centrale barcellonese) e un dizionario normativo.

- Ragione, ordine e misura: al centro della riflessione noucentista.

- Classicismo e Mediterraneo: non il nord Europa ma l’area mediterranea.


Eugeni d’Ors partendo da DOS LLIBRES formula una critica al modernismo. Non troveremo scritto
che il modernismo lo detesta, è molto sottile il suo pensiero e le differenze vengono filtrate. È
antecedente al Noucentisme il Modernisme. Il Noucentisme si pone proprio come modernita che
critica ciò che è venuto prima, del resto tutti i movimenti di avanguardia si propongono di
distruggere ciò che c’era prima. Il Noucentismo però non è così radicale, è un movimento
costruttivo e avanza delle critiche al modernismo a partire dalla recensione di due libri: La
Nazionalità catalana e un volumetto di poesie di Margall, Enllà:
“Due parole fondamentali ha avuto la forte generazione di Prat e Margall: el Nacionalisme e la Teoria de
la Paraula viva… ¡Gloriosa Catalogna! Non ce ne abbiamo abbastanza con due parole ideali così per
riempire tutto un secolo. Tu sei riuscita a portare a maturità in un’ora due cose così importanti. La storia
di questa maturazione del nazionalismo è il fondo bellamente eroico del libro di Prat de la Riba
(l’elemento dell’eroismo dell’uomo è molto importante per un noucentista, non esiste più lo spirito di
popolo come i modernisti ma si concentrano sull’individualismo eroico dell’uomo), il succo della
maturazione di quella teoria fermenta tumultuosamente negli ultimi versi di Margall.”
Fino a qui è molto positivo nella recensione.
“Orbene: Questi due capolavori della generazione maestra nostra (di noi), ¿Che ci portano a noi
novecentisti catalani queste due opere? (da notare come d’Ors parli di novecentisti catalani come se già
ci fosse un movimento). Abbiamo meditato a lungo su questo tema e diremo sinceramente,
chiaramente, il frutto della nostra meditazione. Il frutto della nostra meditazione è il seguente:
sappiamo, attraverso l’opera di Prat, che il nazionalismo della Catalogna ci è utile per la sua dottrina e il
suo esempio. Dubitiamo, per l’opera di Margall, se l’estetica della parola viva ci sia utile per la sua
dottrina e il suo esempio, o soltanto per il suo esempio… (perché questa critica alla dottrina: La dottrina
della parola viva è una rivalutazione di ciò che non è poi nei canoni dei noucentistas –individuo, eroe,
elite– ma ci riporta all’interno dello spirito di popolo (volksgeist) che Margall invece coltivava, lui che era
un borghese quanto d’Ors amava un’idea più orizzontale della società; quindi dice che Enllà, che è la
quinta essenza della dottrina della parola viva,non porta nulla all’idea noucentista della Catalogna.
Questa idea è un’estetica che sia finalizzata all’affermazione della civiltà, dell’imperialismo e di tutti i
valori che ha sempre coltivato e teorizzato d’Ors).”

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La dottrina della “paraula viva” di Joan Margall:
La lingua poetica di Maragall è proprio quella parlata e usa con un certo compiacimento forme
dialettali barcellonesi del catalano. Il poeta, che vuole introdurre la serenità in poesia, deve
adeguare il linguaggio che non sarà quello aspro dei poeti della Renaixença. Anche la metrica non
è mai un vincolo per Maragall. Arte e ragione non possono deformare la spontaneità della vita. “Il
poeta prendeva nota delle ‘parole vive’ quando gli sovvenivano e le annotavo in quaderni che
portava sempre con sé” [J.Ferrer-Vidal Turull, Maragall, Epesa, 1970, p. 106].

Queste annotazioni compaiono nel volumetto [J. Margall, Elogio della parola e della poesia, a cura
di Nancy De Benedetto, Napoli, Pironti, 2011, pp. 27-29].
“Ricordo una volta, sul nostro versante dei Pirenei […] avevamo perso tutti i riferimenti e inutilmente
interrogavamo con occhi inquieti la muta immensità delle montagne immobili. […] All’improvviso […]
sentimmo uno scampanar invisibile; i nostri occhi sbalorditi […] ci misero tempo a vedere un branco di
giumente che pascolavano in una valle di verde intenso. […]Trovammo il pastore che riposava, vicino a
una pentola fumante […]. Chiedemmo indicazioni e l’uomo, che sembrava una scultura di pietra, Girò
solo gli occhi nel volto fisso, alzò lentamente il braccio per indicarci un impreciso sentiero e mosse le
labbra: […] si udirono […] le parole che il pastore pronunciò ripetutamente: “Quel solco…” e indicò
vagamente in direzione delle montagne. […]“Quel solco”: che belle quelle due parole pronunciate così
gravemente nel vento! Erano piene di significato e di poesia. Il solco era la fenditura in cui scorrevano le
acque delle nevi sciolte. E non si trattava di un qualsiasi canalone scavato tra le rocce, ma precisamente
di quello che lui riconosceva alla perfezione tra gli altri per la forma che aveva: quel canalone era una
cosa precisa e aveva un’anima. Era “Quel solco….”. Ecco, per me questo è parlare.
I protagonisti non sono di elevata cultura, qui parla un pastore, poi una bambina nell’altro
episodio successivo, in questo caso Margall narra di una passeggiata sul versante francese dei
Pirenei, arriva con amici a un paese e chiedono a una bambina di dire a loro una parola nella sua
lingua (che non era il francese, bensì l’occitano): “le stelle”, cioè lei come parola esemplare della
sua lingua scegli le stelle. Ecco cosa intende per parola viva Margall.
(continuando il testo di prima ci imbattiamo nel concetto del poeta che dev’essere ingenuo):
“Solo il popolo può pronunciarle ingenuamente [parole come queste] e solo i poeti possono ripeterle
con ingenuità più intensa e maggior canto, con la luce della rivelazione, poiché il poeta l’uomo più
ingenuo e saggio della terra.”
Un appello all’ingenuità del poeta, deve sempre essere colto da meraviglia per tutte le cose che
vede nella terra.
Torniamo al rapporto tra Modernisme e Noucentisme. L’altra differenza è L’opera di “civiltà” dei
Noucentistes:
“Ripetiamo la domanda: “¿Che portano alla generazione noucentista catalana questi due libri della
loro generazione maestra: La Nacionalitat Catalana ed Enllà? Rispondiamo. Portano, il primo una
lezione doppia di esempio e di dottrina, lezione di esempio perché mostra superba esperienza
politica di come alcune idee nate nell’isolamento di una camaraderia scolastica divengono
rapidamente le idee che reggono la vita di tutto un popolo (dalla teorizzazione alla pratica). La
dottrina perché in questo libro di Prat, il Nazionalismo catalano, che forse in qualche momento la
generazione dei noucentisti ha potuto credere ostile al proprio pensiero (qui è d’Ors che parla che
ha ideato questa dottrina e la vuole far accettare come strumento politico a Prat e tutto il suo
seguito; cosa che interessava molto meno a Margall, meno interessato al potere) e si allarga
generosamente, fa entrare opportunamente nel suo seno il verbo politico della nuova
generazione: l’imperialismo. (qua siamo a distanze siderali dal modernismo. Torna su due concetti:
di arbitrarismo [versione della civiltà, della regola e dell’ordine nell’estetica=letteratura e
architettura] e l’imperialismo in ambito politico che si possono sintetizzare con quell’unica parola
della terzultima riga ovvero civiltà. E l’opera noucentista è civilista appunto.)

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L’imperialismo è opera di civilizzazione, non di conquista (opera trionfale del nazionalismo – opera
di conquista in senso culturale). Nella sintesi dice di aver parlato un po’ male di Margall… sono le
opere fondamentali di Eugenie d’Ors, e si tratta di interventi brevissimi chiamati “glosas”, che lui
pubblicava (sull’Aleu de Catalunya ?? non è scritto e lo ha pronunciato veloce come uno st****o,
non ho trovato riferimenti in Google, ma penso sia un quotidiano dal contesto; sorry) e davano
una specie di articolo di fondo culturale molto breve, le sue glosas davano il senso di quella che
era la cultura alta della Catalogna di quegli anni. Una di queste è la n. 28 – VI – 1906 (stesso anno
della Nacionalitat Catalana e Allà) e cerca di fare una specie di sintesi:
“Ormai il nazionalismo catalano ha cominciato la seconda funzione di tutti i nazionalismi, cioè quella
dell’influenza esterna e cioè la funzione imperialista. Oh Maestro grazie! (si rivolge a Prat de la Riba).
Vedete: noi noucentisti abbiamo dovuto soffrire molto questo nostro imperialismo, sembrava un sogno
incoerente da dilettanti, venivamo derisi (effettivamente molti modernisti deridevano questa idea).
L’avevano nominato come convinzione manicomiale di un pazzo che sta fuori le mura del manicomio. E
questo è successo meno di 1 anno fa (Un’altra volta quindi: oh! Strana Catalogna). Oggi questi giorni di
prova sono finiti per sempre, la spada del cavaliere ci ha armati cavalieri. Maestro (sempre a Prat de la
Riba, direttore dello stesso giornale sul quale scriveva d’Ors): perché la vostra dottrina è anche la nostra
dottrina, giuriamo fedeltà alla vostra dottrina… Questa è la doppia lezione del primo libro (quello di Prat
che evidentemente gli piace).”

Vediamo alcune caratteristiche di d’Ors che dal 1900 in poi abbandona la cultura catalana, passa a
Madrid per motivi abbastanza bassi e diventerà un falangista. Alcuni tratti della sua personalità
soprattutto in ambito politico si vedono già dalle prime glosse.
Vediamo cosa dice d’Ors della generazione che i novecentisti (che si identificano con Prat de la
Riba) invece vedono in Enllà (di là) di Margall. [“Enllà” i la generación noucentista – Le sublimi
anomalie del Modernismo secondo Eugeni d’Ors]:
“Capirete tutta la mia emozione davanti Enllà di Margall, quando io vi abbia detto che è un’opera
che mi turba e letteralmente mi spaventa, la capirete questa mia emozione? Che libro! Per fortuna
mai la parola umana è arrivata a così solenni estremi come in lui. A volte lo debbo confessare non
so pensare senza terrore al destino del nostro popolo, obbligato a sostenere, sulla sua povera
normalità così precaria, il peso, la grandezza e la gloria di queste due sublimi anomalie: la Sagrada
Familia e la poesia di Margalle.
Enllà è la nota più acuta, più stridente del romanticismo latino, forse del romanticismo di tutto il
mondo. Mi sembra che dire questo di un libro è già dire qualcosa, non so di nessun altra
letteratura in cui il verbo sia arretrato in modo così magnificamente spaventoso nel senso
contrario all’articolazione razionale, cioè al cammino dell’interiezione. (vuol dire che il linguaggio
diventa una balbuzie per il nostro Eugeni d’Ors, siamo proprio ritornati indietro). Passati i limiti di
questa poesia già il dire degli uomini non è più un dire, ma un suono naturale potente come la
musica delle cascate, del mare, dei venti e dei boschi… (in questi elementi viveva tutta la poesia
modernista di ambito catalano). E con questa naturalità e con questa potenza inumane sembra
sognare il nostro poeta che canta audacemente.

Vediamo l’anomalia sublime costituita dalla Sagrada Familia: perché è un’anomalia? Ricco di
simbologie di cultura catalana, monumento universale ma anche catalano. Antoni Gaudì e Margall
condividevano la fede, l’idea di Catalogna e una certa visione di essa non imperialista ma di
autonomismo radicale.
- Il Modernismo letterario e quello architettonico

- Grande amicizia tra Antoni Gaudí e Joan Maragall, testimonata


da molte lettere.

46
- Antoni Gaudí a Joan Maragall, 16 novembre 1906: Gaudì scrisse qualcosa e nell’archivio Joan
Margall sono conservate lettere che spediva a Margall.

- Mon afecte per V. tè un motiu més de excelsitud, no per això me dono per complert envers V.;
voldria tenir moltes ocasions de concòrdia i amor entre noaltros; ara rebo unes invitacions per
a unes apològetiques de les quals li faig participant; no dubto que els conceptes apològetics
vibraran al uníson dintre les nostres ànimes” [A. Gaudí, Escritos y documentos, a cura de Laura
Mercader, Barcelona, El Acantilado, 2002, p. 299] si capisce l’intimità ideologica e ideale di
sentimenti tra i due.
“Il mio affetto per lei ha un altro motivo di essere portato a un livello eccelso. Non per
questo mi do per soddisfatto nei suoi confronti (cioè si sente sempre un po’ a disagio Gaudì,
molto onesto, morto come un cane dopo essere stato investito da un tram a Barcellona).
Vorrei che ci fossero molte occasioni di concordia e amore tra noi, ora ricevo alcuni inviti per
certe conferenze apologetiche (=erano preti che parlavano di problemi culturali e cercavano di
cogliere da ogni aspetto degli autori considerati ciò che poteva essere utile ai figli
dell’apologia, della religione) delle quali vi rendo partecipe. Non dubito che i concetti
apologetici vibreranno all’unisono dentro alle nostre anime.”

In cambio Maragall sulla Sagrada Familia dice: (articolo del 19 marzo 1906) era iniziata da poco la
costruzione eppure Maragall conosce la grandezza del progetto, lo aveva visto e andava spesso a
visitarne il cantiere alla periferia della città.
“Mi sono dunque incamminato verso il tempio con quel timore reverenziale di sempre
che mai mi fa fare il viaggio invano. Già da lontano fui invaso dalla maestà del tempio,
come un ondata dagli effetti a me ben noti, eppure una sensazione sempre nuova,
perché la profondità del tempio è insondabile e la sua ricchezza inesauribile. Un
tempio, per quanto ci possa essere familiare, non lo è mai fino in fondo; ci rivela
sempre qualcosa d’ignoto, conserva sempre un alone di mistero. Questa è la sua
tremenda forza d’attrazione. E un tempio ancora in costruzione è affascinante…”
Ad oggi non è più un monumento ma una basilica per volere del Papa Benedetto XVI nel 2010.
Fino agli anni 70 la SF era una facciata dietro alla quale non c’era nulla. Un cantiere. Ad oggi è
circondato dalla città e dalla struttura a scacchiera voluta da Ildefons Cerdà. Maragall osserva:
“E il tempio mi apparve come sempre e come a molti: una grande rovina […]. Eppure io
mi compenetro maggiormente con la sensazione di rovina; mi lusinga in quanto,
sapendo che quella rovina rappresenta una Nascita, mi redime dalla tristezza di tutte le
rovine; e ormai da quando conosco questa costruzione che sembra una distruzione,
tutte le distruzioni possono sembrarmi costruzioni. […] Io lì [in quel sacro cantiere]
vedo che persino i bambini, che nulla sanno, giocano in modo diverso e persino nel
volto degli anziani [che lì stazionano] si legge un dolce oblio…”
= la chiama distruzione perché è in rovina. Bellissima frase. La sua idea è trascendentale, il
progetto è fatto da un architetto armato di una fede incrollabile, non si percepisce il distacco delle
Chiese di oggi. Gaudì era il grande architetto ma anche uomo di fede.
“[Davanti al portale d’ingresso: Facciata della Nascita]: [Stavolta, anziché entrare,
decisi di] fermarmi sulla soglia e alzare gli occhi e me lo vidi [il portale] interamente
sopra la mia testa, come se fosse stato innalzato su di me in quello stesso istante: teste
umane si affacciavano guardandomi, la stella cometa del Presepe irradiava sulla mia
fronte i suoi raggi di pietra; non avevo mai visto la pietra diventare luce e quello era un
torrente d luce. Non avevo mai sentito la pietra cantare, ma sentii il canto di pietra di
tutto il portale in un’assordante armonia. Ed entrai…od uscii. Non lo so, perché in

47
questo tempio c’è più luce dentro che fuori [J. Maragall, Vida escrita, Madrid, Aguilar,
1959, pp. 372-374]”
= la simbologia della facciata è propria del modernismo ma richiama anche la cultura catalana,
rimanda al Canigò di Verdaguer. Connessione poesia-architettura. Immagini relative alla nascita,
alla rivalutazione del Padre e della Sacra Famiglia, nella vulgata è + importante la Vergine in
quanto madre e in questo caso è contrario; ci hanno lavorato molti scultori ma tutto è stato
pensato da Gaudì. Dettaglio della stella cometa del Presepe, posizionata verticale con pungiglioni.
Importanza della natura: foto slides dei pinnacoli del massiccio presso il monastero di Montserrat
(a qui si ispirano le estremità della facciata).
Dopo questa parentesi torniamo ad una citazione di Enllà di Maragall (1906): sono gli ultimi 6
versi, la parte che Maragall chiamò Escolium. Questi due versi di M. fanno uscire di senno Eugenie
d’Ors.
“La poesia è appena cominciata ed è piena di virtù sconosciute”
D’Ors dice: “Ecco qui qualcosa che io non so leggere senza rabbrividire… ma anche, ecco qui molte
delle cose completamente distanti dallo spirito dell’opera del noucentisme. – L’azione civilistica in
cui abbiamo messo l’anima e il cuore ed è essenzialmente inseparabile dall’estetica.”
Non può esistere una virtù sconosciuta della poesia secondo il noucentista, tutto deve essere
preventivamente pensato, scritto quando viene detto e non può essere qualcosa che non
sappiamo cosa sia.
Leggiamo i versi per intero:
“Adalaisa(Adelais - si pronuncia), Adalais(a)Per pietà,
nel tempo ci sono ancora cose
che ignoriamo:
la poesia è appena iniziata
ed è piena di virtù sconosciute
ma ora hai ragione, ne abbiamo parlato abbastanza
e aspettiamo in silenzio altri arrivi.”
= il senso che interessa a d’Ors è che qui non c’è nessun tipo di azione e razionalizzazione. Tutto è
lasciato al sentimento, al tardo Romanticismo e quindi questi vv si collocano al polo opposto di
quella che è l’azione di civilizzazione che vuole fare il Noucentisme.
Alla fine della sua critica a M. arriva a dire che sono le ragioni per le quali si è costruita la nuova
estetica noucentista per far capire a contrariis come Enllà dica il contrario di ciò che vuole il
Noucentisme.
Enllà affretterà, a contrariis, la nascita della nuova estetica:
“Nell’estetica arbitraria vediamo il sostrato teorizzato dal classicismo come nell’estetica della parola viva
c’è il sostrato teorizzato al Romanticismo. (Poli opposti. Il Noucentisme si propone come una sorta di
neoclassicismo secondo i canoni del 900. Infatti sono critiche simili a quelle che avrebbe potuto fare un
neoclassicista al Romanticismo e quindi il sostrato di M. è il Romanticismo che d’Ors schifa perché
preferisce un sostrato teorizzato al Classicismo. Vede che ci sono dei sintomi che fanno capire come la
poesia del modernismo stia per essere abbandonata tra virgolette a favore dello spirito novecentista). In
questo si esprime in una nuova formula la caratterizzazione di una nuova razza, mai come ora così
numerosa e attiva come ha scritto Alomar nel suo studio sull’Estetica Arbitraria. – Mille sintomi, da tutti
notati, si sono prodotti ultimamente in questa direzione… Forse non si ha ancora una chiara coscienza
del fenomeno e della sua legge: ma ci arriveremo presto – E non dubito che la pubblicazione di Enllà
avrà affrettato, per contraccolpo, in molti spiriti, la produzione di quella coscienza che lo critica. (che
critica Enllà, il modernismo e anche Maragall).”
Queste glosas (testi brevi) che dovevano elogiare due libri, finiscono con l’elogiarne solo uno,
quello di Prat de la Riba a cui d’Ors ha collaborato, e finisce per gettare alle ortiche l’estetica
modernista poco adeguata secondo lui ai tempi nuovi.
La poesia di Maragall non ha altra utilità che l’esempio: (29 – VI – 1906)

48
“Come si vede, il glossatore si vuole astenere da ogni giudizio. Si limita a constatare un fatto. E il fatto è:
che c’è, più che indipendenza, contraddizione, tra l’Estetica della Parola viva, che ha avuto la sua
manifestazione più significativa in Enllà, e l’Estetica Arbitraria, novità spirituale essenziale nella
generazione novecentista. – per questo la generazione novecentista, che nella Nazionalità Catalana di
Prat ha visto oggi una duplice utilità di esempio e di dottrina, dubita se nell’opera del suo essenziale
“Maestro in Gaia Scienza” (titolo che M. aveva conquistato nei giochi floreali [gare di versificazione] ed
era il titolo massimo) (davvero questo, e da molti prima che nei diplomi di calligrafia gotica lo cantassero
= era davvero maestro in Gaia Scienza prima ancora che lo cantassero gli autori che usavano i caratteri
gotici, quindi nel medioevo), se nei versi del nostro grande Poeta delle Cose estreme (la morte, il
giudizio finale, l’inferno e la gloria), può trovarci qualche cosa di più che una semplice utilità–altissima
questo sì– di esempio.”
L’opera di Maragall può essere solo un esempio, magari negativo dal quale allontanarsi. Cos’ d’Ors
ha steso una pietra sull’opera di Maragall secondo la sua visione estetica. Ancora oggi è una poesia
tra le più grandi di tutti i tempi scritta in catalano. La sua scelta estetica è comunemente sentita e
percepita come viva ancora oggi, lo è meno l’Estetica Arbitraria di d’Ors.
D’Ors: dal nazionalismo all’imperialismo:
“Concludendo: dalle sue origini, una duplice corrente, politica ed estetica, sta nutrendo di linfa vitale il
Catalanismo. – Due opere della più grande importanza hanno segnato oggi il punto raggiunto più alto
per questa duplice corrente.
L’avvento della generazione noucentista non cambia il corso della corrente politica. Prat de la Riba è
venuto a mostrarci l’unità del cammino. – Così come, nello trascorrere del tempo, il provincialismo è
diventato regionalismo e il regionalismo nazionalismo, senza reazione ne contraddizione, così ora con
identica felicità il nazionalismo diventa tra di noi imperialismo.
Al contrario, per quanto riguarda l’estetica dell’avvento della generazione novecentista, quello che
contraddice in ambito estetico, con direzioni nuove, la direzione anteriore. = i noucentistas si
oppongono a ciò che è venuto prima, ovvero al modernismo e alle sue direzioni estetiche. La direzione
estetica antecedente al Catalanismo era prodotta sempre in uno stesso senso, quello Romantico, (e non
era un nazionalismo imperialista quello ma un nazionalismo provinciale. È una critica politica perché
d’Ors vuole che il suo novecentismo porti il nazionalismo al massimo livello, mentre il Romanticismo
rappresenta solo un gradino inferiore) da Piferre, il nostro primo grande romantico, fino a Maragall, il
nostro ultimo grande romantico. – Tra loro, il caso isolato di Costa i Llobera non conta. […]
Era dovere del glossatore annotare con fedeltà queste palpitazioni del tempo.”
(=tutte le cose attuali che emergono, sintagma molto utilizzato da d’Ors. E quindi il Romanticismo
per lui è una fase antecedente, conclusa, preparatoria certo, ma conclusa dal Noucentisme).

Le foreste e le palme della Sagrada Familia > Verdaguer fa riferimenti.

Schneider ha fatto uno studio fondamentale dello stesso.

LA CATALOGNA E LA CULUTRA CATALANA DAI “FELICI” ANNI VENTI ALLA GUERRA CIVILE

 Eugeni d’Ors (1920 rompe con la Catalogna e andrá a Madrid), Josep Maria de Sagarra e il
“romanzo urbano”.

Si parla della “defenestrazione” di D’Ors per la cacciata dalle istituzioni di Catalunya. 1917 Morte
di Enric Prat de la Riba e Josep Puig i Cadafalch diventa il presidente della Mancomunitat de
Catalunya. Nel 1914 Prat de la Riba duró abbastanza e questo Mancomunitat non ha potere,
mentre la Catalunya è l’unica che dá importanza alle province in una regione, di coordinamento
all’interno della regione. In questa Mancomunitat D’Ors e Prat de la Riba si concorrevano: non si
sono mai guastati i rapporti, anche se si guastano con alcuni giornali della Catalunya (Veu de
49
Catalunya) e D’Ors si lamenta con Prat del fatto di non avere conseguito la cattedra nella facoltá di
Psicologia a Barcellona.

D’Ors Abbandona gli incarichi a Barcellona e si trasferisce fisicamente e culturalmente a Madrid.


All’inizio del 1920 d’Ors si dimette dalla funzione del Istituto di Istruzione dall’irregolaritá
amministrativa (spese con denaro pubblico). Enric Jardí, uno dei biografi di D’Ors prestava
attenzione al suo conseguimento con la Falange. D’Ors rompe con la Lliga si avvicina al pensiero
Falangista e collaborará col regime franchista.

Laddove vi è benessere c’è la borghesia.

Importante: nel 1925 Primo de Rivera cancella la Mancomunitat.

En 1932 esce il romanzo di Josep Maria de Sagarra: romanziere di Shakespeare e diversi testi
teatrali.

50
Vida privada di romanzo urbano  Barcellona è protagonista

Il Barcelonisme  madre della cittá, ritorno alla madre terra e al suo cuore.

Goytisolo e Montalbán la tradurranno in modo efficace che lo interpreteranno in un analisi iniziale


- si lascia la natura per andare in cittá

51
Elegiaco  triste (nostalgico di un mondo passato)

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È come un Oscar Wilde: sempre una battuta al rispetto.

53
Durante la Repubblica questo romanzo giró, mentre durante il franchismo fu censurato.

14 APRILE DEL 1931: REPUBBLICA CATALANA E REPUBBLICA SPAGNOLA

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CONLLEVAR : sopportare / tollerare  problema che non si puó evitare

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La cosa irrisolvibile è tutto ció che significa minaccia e tutto ció che è la minaccia per dissociare alla
radice la convivenza tra Catalogna e il resto della Spagna. La sovranitá centrale sará a Madrid. Se
alcuni pretendono di strappare la nostra antica convivenza, è molto piú grande e numeroso il
blocco degli spagnolI risolti a continuare riuniti con i catalani. Ortega y Gasset lo dice nel 1937:

59
frutto della democrazia.

Nel 1932 vi è la approvazione delle Cortes dello statuto catalano.

1934 preparazione guerra civile: la Proclamazione dello Stato Catalano entro la Repubblica
Federale Spagnola ad opera del Presidente Lluís Companys, poi incarcerato. Pericolositá e
incarcerati.

Companys: fucilazione da parte dei nazisti.  15 ottobre 1940

60
Regione di frontiera  unica zona praticamente libera nel 1939 e anche l’Aragona, unica zona da
dove potessero passare i vinti.

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Proteste nel periodo in cui viene riconosciuta come Rosa di Fuoco, si crede in un incrocio di altri
movimenti che altra cittá trovano movimenti fertili.

Nel 1937 ci sará una guerra civile nella guerra civile: tra repubblicani vi sono due punte
fondamentali sia degli anarchisti sia del Partido Obrero sia dei staliniani (con vincere la rivoluzione
prima e fare la rivoluzione). Fare la rivoluzione vuol dire saccheggiare le chiese. Si scatena una
violenza revoluzionaria che porta all’incendio di cattedrali.

64
A questo avvenimento, si cita un autore franquista con estilo español di José María Gironella.

Si da un punto di vista della Guerra Civile e dal punto di vista catalanista non condiviso da molti,
non solo dal punto di vista peninsular.

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Sará una democrazia che non viene assistita e ciascuno voleva raggiungere il potere anche da
parte del partito politico. Il fatto che ci sia una guerra in corso, ha determinato alcune azioni
politiche che accesamente sará rivoluzionario. Questo sará della famiglia ideologia, presso la linea
di pensiero che era andata fatta prima.

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Se fossero concepiti in catalano, avrebbero avuto certamento un altro punto di vista. Il fatto che vi
sia il catalano come rossi e separatisti e mentre per altri è considerata come lingua nazionalista.

Josep Maria Corredor  esule dello stesso stato catalano.

Abbiamo un elemento bellico che si ripete, per cui molti narratori prendono un’altra strada ed è
tornata in vigore oggi.

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Comunque l’idea della guerra civile, sparirá in qualche modo.

Romanzi autobiografici, anche se non si riferiscono direttamente alla guerra civile, ma vi sono
sempre riferimenti: Nella saga del Pesce.

Non bisogna dimenticare i piú grandi letterati di Spagna furono negli anni ’30 e ’40: George Orwell,
poiché erano un’aurea mitica della guerra civile spagnola, dispiegando un interesse sia spagnolo
sia internazionale.

Weintraub aveva definito “l’ultima grande causa”.

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L’ambito catalano ha una variazione, rispetto a quella Spagnola: arrivando la dittatura tutti
perdono libertá, peró questo è diventato un incubo con la propria lingua proibita. Solo negli anni
50-60 riusciranno a riacquistare alcuni diritti.

69
Gli esuli pirenaici  quanto caotica sia stata la fuga verso la Francia nel 1939.

Giraud lo spiegava e descriveva.

Era piú semplice valicare la frontiera a piedi. Non vi erano solo esuli catalani, ma anche con mezzi

di fortuna.

70
71
I letterati sono fondamentali poiché daranno una figura positiva o negativa da parte dei franchisti
o dei repubblicani e si forma cosí un eroe. (mitopoeiesi: Moscardó alcázar di Toledo che non lo
riuscirono a consegnarlo ai suoi franchisti; La Pasionaria Ibarruri era famosa per accendere una
forte leadership, con “l’altro mito” come la rivoluzionaria completamente al lavoro).

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Incierta Gloria  importante

Manuel de Pedrolo “La terra proibita”. Presentano un ciclo. Fino agli anni ’60 non si poterono
pubblicare. In qualche modo si poterono pubblicare ma non erano i romanzi che si poterono

pubblicare.

La guerra civile continua di fatto anche nel dopoguerra, come la guerra mondiale: furono passate
per le armi molte persone che avevano partecipato nell’area repubblicana alla guerra civile.
Avevano zone delle fucilazioni: del Forum (area di fucilazione degli oppositori). Si trova
73
compromesso negli affari della lotta politica. Anche l’idea che la letteratura possa rigettare mondi,
la Spagna Franchista non dará in qualche modo qualche parvenza politica. Monserrat parla di
questa Catalogna rinunciataria perché le lotte e un cimento impossibile, di fatto.

La voce di José Luis Gironella, vicino alle posizioni del franchismo è una voce dissonante.

Eugeni D’Ors passerá al bando franchista.


Julio Rodríguez Puértolas  Literatura Fascista Española (l’elenco)

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Da Madrid vi erano segnali positivi, come la Repubblica, ma dopo il conflitto vi sará una relazione
fredda nei confronti degli scrittori. Si guarderá quindi al “nord” : esuli catalani in Francia, América,
etc. Molti rimasero e morirono in esilio. Lo scrisse anche il poeta “Assaig de Cantic”. 
Meditazione della catalogna e della Spagna. Questo libro scritto negli anni ’50 fino a questi anni
potevano anche non circolare.

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Vi è una terza Spagna che non si schieró con nessun bando.

Battaglia del Ebro  quella piú pesante. Bombardamenti dagli italiani nel 1938.

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Marina Ginesta (assieme a Robert Capa) scattata in plaza Cataluña, dove c’era un hotel a cui lei
doveva fare come difesa. Come una minorenne porta le armi.

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LA LETTERATURA E LA CULTURA CATALANE DURANTE IL FRANCHISMO

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Cosa succede dopo il 26 gennaio 1939 in Catalogna: fucilazione di gente di delitti gravi, per essere
stati repubblicani, nel Camp de la Bota (in direzione della spiaggia).

La repressione linguistica è dell’ambito specifico del catalano, era la piú diffusa. Questa riguarda le
minoranze allofone in Spagna, ma in particolare i catalani. Il catalano diventa oggetto di una
sistemica persecuzione.

«Acabada la guerra civil, quan Catalunya va caure sota la revenja dels governs franquistes,
els catalans ens varem trovar sense cap ajut. Exterior per poder contrarestar el genocidi culturar» (F.
Ferrer i Girones).

LE FASI DELLA REPRESSIONE LINGUISTICA FRANCHISTA

Si distinguono i periodi, con l’anno 1946 come anno forte, mentre si allarga qualche maglia perché
si possa accettare un minimo dato linguistico. La prima fase coincide con il periodo della
persecuzione linguistica: divieto assoluto coincide con il secondo periodo della Seconda Guerra
Mondiale. Repressione fisica brutale (esecuzioni sommarie) e persecuzione linguistica. I pochi libri
che si pubblicano in catalano fino al 1946, o sono stampati all’estero o in Catalogna (con falsi
frontespizi: prima pagina).

Furono stampate, per esempio, a Sabadell nel 1943 le Elegies di Bierville di Carles Riba, in quel
momento in esilio: il frontespizio del libricino è peró falso, dato che indica “Buenos Aires 1942 “.
Un amico di Riba, di Frederic-Pau Verrié trovó un tipografoa “disposto a correre il rischio della
clandestinitá” J. Medina.

La censura cerca di correre ai ripari: “travolta dal numero pubblicazioni e edizioni clandestine”, la
censura cercó di correre ai ripari facendo circolare la voce che i libri, se in catalano, non sarebbero
stati necessariamente resinti. Si trattava ovviamente di un pericoloso allentamento che avrebbe
potuto (e questo era lo scopo) far conoscere chi stava dietro le edizioni di libri in catalano. Infatti,
temendo la trappola della censura, la seconda edizione delle Elegie si pubblicó (davvero) a Santiago
de Cile (1949).

La seconda fase, dal 1946 all’inizio degli anni Sessanta, con la sconfitta delle potenze dell’Asse, la
Spagna si trova isolata internazionalmente ed il governo spagnolo è visto come un retaggio dei
totalitarismi sconfitti. Per rimanere in sella, Franco attenua quindi la durezza della repressione e
della censura. Per quanto riguarda i libri, viene concesso di pubblicare qualche titolo in catalano,
inizialmente solo poesia e classici catalani medievali, piú tardi anche romanzi. Tra il 1956 e il 1962
infatti vengono stampati, tra gli altri, due romanzi chiave della letteratura catalana del Novecento:
Incerta gloria di Joan Sales e La Plaça del Diamant di Mercé Roboreda. La seconda fase aveva
come scopo quello di rendere il catalano perfettamente invisibile a livello pubblico. Qualunque
produzione culturale in catalano, malgrado gli “allentamenti”, la proscrizione di fatto, tramite la
frapposizione di ostacoli e difficoltá di varia natura. La lettura viene considerata attivitá
“minoritaria”, quindi soggetta ad attenzione particolare solo per i generi potenzialmente
“pericolosi” (romanzi e saggi).

La terza fase dagli anni Sessanta fino alla morte di Franco (1975) i cui effetti si prolungano fino al
1979. Si avvia un recupero lentissimo della presenza pubblica del catalano e delle edizioni di questa
lingua, ma permangono moltissimi ostacoli (anche dopo il 1975). Le azioni del regime del generale
Franco contro la lingua catalana comprendevano un’ampia gamma di misure repressive, tra queste
si possono ricordare:

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- Revoca totale dell’uso ufficiale della lingua.
- Divieto di pubblicare libri in catalano (con gli allentamenti che abbiamo visto)
- Divieto di usare la lingua catalana nei media, cioè giornali, radio e cinema.
- Divieto d’insegnarla a tutti i livelli (limitatamente alle “concessioni” degli anni Sessanta, per cui
si avviano delle cattedre di letteratura catalana)
- Eliminazione dei libri in catalano dalle biblioteche scolastiche. Una espurgazione linguistica.
- Divieto di registrare nomi in catalano all’anagrafe.
- Divieto di usare toponimi catalani e nomenclatura stradale catalana.
- Divieto (con sanzioni per i trasgressori) di usare il catalano per annunciare prodotti sui giornali
o per le insegne dei negozi.
- Dissuasione sia per l’uso pubblico che privato del catalano: “Aquí se habla la lengua del
Imperio”, “si eres español, habla español”, “habla en cristiano” (Monserrat, libro)

Le campagne di allora:

Anche nel 2017, viene ripreso il lema “Si eres español, habla español”:

«Viva España, mi amada tierra,


Y si no te gusta, ahí tienes la frontera.
España te amo, y también a los TOROS,
El jamón y Rivera, político de primera.
No como el Coletas, Pusdemón o el Rufián,
Que miren su DNI que esto no es “Españistán”.
Rojos o indepes dicen que estamos mal,
pero eso son fake news que vienen de Irán.
Viva España, tierra de picaresca,
de Rafa Nadal, de Dios y el resto es ETA.
“A por ellos, oe” cantamos en democracia,
Esto no es Venezuela, aunque a alguno le duela.
Aquí se habla español y ya está,
Si hablas otra cosa eres un nazi talebán.»

Un testo fondamentale, basato su fonte storica è di Josep Benet, L’intent franquista de genocidi
cultural contra Catalunya, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1995.

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Dal punto di vista letterario, si spiega la “resilienza” catalana in condizioni quasi terminate, come in
Elegies de Bierville de Carles Riba

Súnion! T'evocaré de lluny amb un crit Sunio! T’evocheró da lontano con grido
d'alegria, d’allegria,
tu i el teu sol lleial, rei de la mar i del vent: tu col tuo sole leale, re del mare e del vento:
pel teu record, que em dreça, feliç de sal per il ricordo di te, che mi eleva, felice di sale
exaltada, esaltato,
amb el teu marbre absolut, noble i antic jo col tuo marmo assoluto, io come questo
com ell. nobile e antico.
Temple mutilat, desdenyós de les altres Tempio mutilato, sdegnoso delle altre colonne
columnes che giú nel profondo, sotto l’onda ridente
que en el fons del teu salt, sota l'onada rient, dormono eterne! Tu vigili bianco sull’altura,
dormen l'eternitat! Tu vetlles, blanc a l'altura, per il marinaio che riceve da te la sua rotta
pel mariner, que per tu veu ben girat el seu migliore;
rumb; per chi, del tuo nome inebriato, tra la nuda
per l'embriac del teu nom, que a través de la sterpaglia
nua garriga ti cerca, postremo come certezza divina;
ve a cercar-te, extrem com la certesa dels per l’esiliato che tra le arboree penombre ti
déus; scorge
per l'exiliat que entre arbredes fosques t'albira d’un tratto, oh preciso, oh fantomatico! E
súbitament, oh precís, oh fantasmal! i coneix apprende
per ta força la força que el salva als cops de dalla tua forza la tua forza che lo salva
fortuna, dall’incerta fortuna,
ric del que ha donat, i en sa ruïna tan pur. ricco di quello che ha dato, puro nella sua
rovina.

Bierville è stata la cittá di esilio di Carles Riba e negli ultimi anni gli fu consentito il ritorno. Era un
classicista, greca e classica, traducendo al catalano. Muore nel 1959 relativamente giovane. In
questa poesia si coniuga la parte storica con la sua autobiografia. Sunio che era un capo greco, usato
da diversi scrittori, conosciuto come il sole che tramonta, esilio e la classicitá al tempo di ercole
viene ricordata per parlare dell’esilio, come la rovina del tempio greco e dello stesso poeta.
L’identitá e la rovina in sovrapposizione è una delle cose piú riuscite in questa elegia. La
dislocazione solitaria di Capo Sunio, sul precipizio da dove caddero delle colonne, con marmo
assoluto che perde pezzi è una metafora come Carles Riba che possiede la cultura che solo essa lo
puó salvare, poiché l’esterno produce un decadimento. In quanto alla metrica, é quantitativa e come
alcuni scrittori italiani useranno.

81
La poesia catalana di protesta è rappresentato da Salvador Espriu contro Franco (1960), lui stesso
sefardita di origine ebrea:
De vegades és necessari i forçós A volte è necessario e inevitabile
que un home mori per un poble, che un uomo muoia per un popolo,
però mai no ha de morir tot un poble ma non dovrà morire mai tutt’un popolo
per un home sol: per un uomo solo:
recorda sempre això, Sepharad. ricorda sempre questo Sepharad.
Fes que siguin segurs els ponts del diàleg Fa che siano sicuri i ponti del dialogo
i mira de comprendre i estima e guarda di capire e apprezzare
les raons i les parles diverses dels teus fills. le ragioni e gli idiomi diversi dei tuoi figli.
Que la pluja caigui a poc a poc en els Che la pioggia cada a poco a poco sui
sembrats seminati]
i l’aire passi com una estesa mà e l’aria passi come una mano aperta
suau i molt benigna damunt els amples soave e benevola sopra i vasti campi.
camps. Che Sepharad viva eternamente
Que Sepharad visqui eternament en l’ordre i nell’ordine e nella pace, nel lavoro,
en la pau, en el treball, nella difficile e meritata
en la difícil i merescuda llibertat. libertà.

Pau Alabajos: utilizza i testi poetici catalani e valenzani.

Salvador Espriu, «Assaig de càntic en el


temple». A: Obres completes – Edició crítica.
Barcelona: Edicions 62 i Centre de
Documentació i Estudi Salvador Espriu,
2008, vol. XII.

Saggio di cantico nel tempio


«Assaig de càntic en el temple»
Oh, quanto sono stanco della mia
Oh, que cansat estic de la meva codarda, vecchia, così selvaggia terra,
covarda, vella, tan salvatge terra, e come mi piacerebbe allontanarmene,
i com m’agradaria d’allunyar-me’n, verso nord,
nord enllà, dove dicono che la gente è schietta
on diuen que la gent és neta e nobile, colta, ricca, libera,
i noble, culta, rica, lliure, sveglia e felice!
desvetllada i feliç! Allora, nel capitolo, i fratelli direbbero
Aleshores, a la congregació, els germans disapprovando: «Come l’uccello che lascia il
dirien nido,
desaprovant: «Com l’ocell que deixa el niu, così l’uomo che se ne va dal suo posto»,
així l’home que se’n va del seu indret», mentre io, ormai lontano, mi riderei
mentre jo, ja ben lluny, em riuria della legge e dell’antica sapienza
de la llei i de l’antiga saviesa di questo mio arido popolo.
d’aquest meu àrid poble.
Però non seguirò mai il mio sogno
Però no he de seguir mai el meu somni
e resterò qui fino alla morte.
i em quedaré aquí fins a la mort.
Perché anch’io sono codardo e selvaggio
Car sóc també molt covard i salvatge
e amo, inoltre,
i estimo a més amb un
con disperato dolore
desesperat dolor
questa mia povera,
aquesta meva pobra,
sudicia, triste, sventurata patria.
bruta, trista, dissortada pàtria.
82
“Saggio di cantico nel tempio” in Poesia catalana di protesta, Bari, Laterza, 1968, pp. 54-55.

Significato: Lamentela della Catalogna e malgrado si è rovinata, lui volle sostenerla.

 Climax: da povera a sventurata. Perpiñán è la cittá francese dove si faceva scorta dei libri che
non venivano distribuiti in Spagna, come i film.

Nonostante la repressione franchista emergono scrittori catalani fra i maggiori del XX secolo:

- Mercè Roboreda
- Joan Sales
- Manuel de Pedrolo
- Joan Perucho
- Pere Calders
- J. V Foix
- Joan Fuster
- Josep Pla > annotatore, giornalista (40 volumi di saggistica)
- Miquel Martí i Pol > poeta operaio “la Fabrica”

Joan Sales e Mercè Roboreda sono entrambi esiliati. Sales permette essere editore e scrittore,
tutt’ora con la nipote a capo oggigiorno.

Ecco cosa scrive Sales al capo dei censori (Pérez Embid): “yo corregí a fondo todo lo que me
indicaron, hasta el punto que la nueva versión es una verdadera refundición general del libro [y]
[e]stoy dispuesto a suprimir o enmendar en la forma en que se me indique todo lo que un lector
religioso entendido y bien intencionado me hiciera ver como
herético o inmoral, pues nada más lejos de mi intención que el de
ser un escritor irreligioso o libertino.”

Probabilmente lo scrisse in Messico, dove fondó una rivista in


Catalano (Quaderas del Exili: articoli politici, altri temi letterari).
Quando rientrerá a Barcellona dopo un allentamento, con un rientro
travagliato per essere stato soldato repubblicano, riuscí a essere
direttore. Nel 1955 vince un premio Martorell di Incerta Gloria. Il
romanzo viene censurato e si inizia uno scambio epistolare con
Pérez Embid. Sales era cattolico ma non lo agevolava, nemmeno
con le diverse censure.

1969: allenta le maglie della censura, mentre quella intera con brani
integrati bisognerá aspettare fino al 2010. Risente della censura al
successivo intervento a mani estranee dell’autore. Visse di traduttore di libri in catalano.

Mercè Roboreda con La Plaça del Diamant: storia della riacquisizione di un’identitá. Storia di una
donna, nome vero di Natalia con il nome da parte del marito (appassionato di colombi), la chiama
Colometa. Un uomo (Quimet) che impone tutto alla moglie, senza preoccuparsi minimamente della
sua felicitá di lei. È un romanzo che tratta in un certo senso la Guerra civile. La Plaça del Diamant è
la piazza di Catalogna, si festeggiava ad agosto e prima era una cittá e oggi è un quartiere. È un

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romanzo-cronaca di una “liberazione”. Scritta in prima persona. Per parlare della grandezza di
questo romanzo, possiamo parlare di Gabriel García Márquez che la ritiene uno dei piú grandi
romanzi dopo la Guerra Civile. I suoi libri lasciano intravedere una sensibilitá quasi eccessiva e un
amore per la sua gente e per la vita del suo quartiere che forse proprio ció che dà respiro universale
ai suoi romanzi.

“Con uno stile falsamente semplice, con uno stile falsamente piano, con una miscela di banalità e
poesia, [LPdD] conduce il lettore ad una emozione profonda […] Vedere il mondo con occhi di
bambino, in un costante meravigliarsi, è un privilegio concesso solo ai grandi poeti.
[Sull’importanza degli oggetti nella narrativa: mobili, orologi, lancette, pendoli, dipinti, forma e
colori dei divani ecc. ecc.] Mi sono resa conto della grande importanza delle “cose” nella narrativa,
dopo aver letto il romanzo d’Alain Robbe-Grillet Le voyeur. [M’interessa] lo stile “cosista” che è
stato subito battezzato come “Scuola dello sguardo”. [Pròleg a La Plaça del Diamant, Editorial
HMB, 1982, pp. 10-11]. Mercè Roboreda, infatti, aveva come oggetto fondamentale i fiori.

C’è un libro di scambio epistolare tra Roboreda e Sales, di letteratura, si parla della sua opera
tradotta a altre lingue. Sales volle fare conoscere a Roboreda a livello mondiale: si tradurrà, in
primo luogo, in inglese, al francese e italiano nel ’70.

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