2020
La chanson de Roland è il primo capolavoro assoluto della letteratura francese. È il primo in ordine
cronologico, è stata scritta probabilmente nella seconda metà del secolo XI. Questa canzone è stata
famosissima nel medioevo, questo lo deduciamo dal fatto che sono giunti a noi alcuni, almeno una decina
di manoscritti, in lingua d’oil (antico francese, quello delle origini parlato fino al XV secolo). Dante la
chiamava “langue d’oil” perché in antico francese OIL significava “OUI”, cioè SI. Dante distingueva la sua
lingua (toscano) da quella d’oil parlata nel Nord della Francia. Nel Sud della Francia, “si” si diceva “OC” e
quindi, l’attuale occitano, era la langue d’OC. La canzone di Rolando nei testi più antichi che ci sono giunti è
stata scritta in lingua d’Oil, quindi in antico francese. La chanson de Roland è la più antica oltre che
assolutamente la più bella di un certo genere epico che si chiama CANZONE DI GESTA (CHANSON DE
GESTE). Le canzoni di gesta giunte sino a noi, delle quali possediamo almeno un manoscritto, sono
un’ottantina. Un centinaio almeno sono esistite perché a queste 80 di cui abbiamo sicure testimonianze, ce
ne sono altre delle quali consociamo magari solo il titolo, perché qualcuno lo ha citato. La canzone di
Rolando è probabilissimamente la più antica, senz’altro la più bella. Nessun’altra canzone di gesta può
rivaleggiare da un punto di vista estetico, letterario, narrativo, con la canzone di Rolando. È quasi
sicuramente anche la più antica di quelle giunte a noi.
Questa canzone potrebbe avere anche altri titoli, un altro titolo che ha avuto fino alla riscoperta
Ottocentesca della canzone di Rolando era “chanson de Roncevaux” che è il nome di una località (canzone
di Roncisvalle, località pireneica). A Roncisvalle si è combattuta senz’altro una famosa battaglia. Su questa
battaglia siamo ben informati, per esempio sappiamo giorno, mese, anno del combattimento. È il 15 Agosto
dell’anno 778. Questa battaglia forse però non è stata così importante come la tradizione letteraria ce la
presenta. La battaglia di Roncisvalle forse non è stata nemmeno, come ce la presenta la letteratura, uno
scontro militare tra un formidabile esercito cristiano, franco guidato da Carlo Magno e un ancora più
formidabile esercito arabo, come presentato nel poema. Nella storia addirittura si arriva a ritenere che la
battaglia di Roncisvalle non sia stata combattuta tra un esercito cristiano ed uno musulmano, ma sia stata
combattuta tra un esercito cristiano e un esercito altrettanto cristiano dal punto di vista religioso: sparsi
drappelli di montanari baschi. Questo pare che sia stato il fatto storico dal quale hanno preso spunto le
narrazioni antiche, tra le quali questo poema di straordinaria importanza e bellezza che è la canzone di
Rolando.
Carlo Magno era nato nell’anno 742. Era diventato re dei Franchi nell’anno 768. Egli era già figlio di un re
dei Franchi: suo nonno è Carlo Martello. Carlo Martello non era re dei Franchi, aveva il titolo di
maggiordomo (non per compiti di servitù, ma nel senso di maestro di palazzo), era una sorta di primo
ministro del re dei Franchi. Carlo Martello è rimasto nella memoria per una grande vittoria ottenuta contro
gli Arabi. Gli Arabi che a partire dal 711 avevano invaso la penisola Iberica e l’avevano conquistata non tutta
ma quasi, tranne alcune zone montuose del nord della Penisola Iberica, hanno poi nell’anno 732 cercato lo
sfondamento a Ovest e la conquista della Francia o di una porzione di questo. La battaglia in questo caso è
passata alla storia con il nome di Battaglia di Poitiers, nome attuale di un’importante città francese,
capoluogo della regione storica del Poitou. L’aggettivo connesso a questa località è “pittavino”, quindi
PITTAVINO sarà il dialetto parlato nella regione del Poitou e Pittavini saranno gli abitanti. Poitiers è il nome
del capoluogo della regione e quello che di solito è assegnato alla battaglia di Poitiers. Non siamo ben
informati sulle vicende della battaglia di Poitiers, tant’è che alcuni studiosi sostengono che la battaglia sia
stata combattuta nella città di Tours o forse la battaglia si è svolta effettivamente a metà strada tra Poitiers
e Tours. Alla storia è passata come battaglia di Poitiers. La battaglia di Poitiers è una grande vittoria dei
Franchi che quindi respingono per il resto della storia a venire, qualsiasi altro tentativo di espansione del
mondo islamico da un punto di vista militare, nel territorio della Francia. Carlo Martello non è stato re dei
Franchi MA ne ha svolto praticamente le funzioni: negli ultimi anni della sua vita ha governato il regno dei
Franchi senza essere stato incoronato come tale. Il figlio che ricordiamo di Carlo Martello è Pipino detto il
breve, padre di Carlo Magno. Pipino il breve a partire da un certo punto è diventato re dei Franchi. Il suo
erede, Carlo Magno, era destinato al trono dei Franchi. Al trono dei Franchi ci arriva Carlo Magno alla morte
del padre, nell’anno 768 (aveva 26 anni) ma la sua carriera politico-militare lo porterà ad un titolo ancora
più altisonante. Intanto, nell’anno 774, all’età di 32 anni, Carlo Magno diventa re dei Longobardi. Il titolo
più altisonante del quale parlavamo prima, Carlo Magno lo ha ottenuto nell’anno 800, nella notte di Natale,
quando diventa Imperatore del Sacro Romano Impero, un impero cristiano, tanto è vero che Carlo Magno è
diventato imperatore, ricevendo la corona imperiale dalle mani del papa a Roma, in Vaticano in una antica
basilica che non c’è più ma che corrisponde all’attuale basilica di San Pietro. Il regno di Carlo Magno è un
regno felice, coronato da costanti successi dal punto di vista militare, politico e anche culturale. Carlo
Magno, che forse era analfabeta e che forse sapeva scrivere soltanto la propria firma negli atti politici, che
forse non conosceva il latino ma semplicemente ha appreso di maniera discreta il latino negli ultimi anni del
suo regno, ha svolto un’importante funzione culturale, la RIFORMA CAROLINGIA. La riforma carolingia è
una riforma della cultura, del sistema scolastico che viene plasmato nuovamente da Carlo Magno, la
riforma è un tentativo in gran parte riuscito di restituire l’importanza e la correttezza grammaticale alla
lingua latina che, nei decenni precedenti, aveva perso parecchi colpi. Il latino era rimasto sempre più
appannaggio dei vescovi, delle autorità ecclesiastiche, da qualche intellettuale laico ma in generale era
stato smarrito progressivamente dalla gente dal popolo e anche da parecchi ecclesiastici che però avevano
appunto perso dei colpi sulla strada dell’apprendimento della lingua latina. Carlo Magno cerca di reagire a
questa situazione attraverso una riforma del sistema scolastico e attraverso un invito presso la sua corte a
vivere alla corte, rivolto a numerosi intellettuali ecclesiastici, profondi conoscitori della lingua latina che
sono riusciti nel loro intento di riportare ai massimi livelli consentiti la conoscenza e la diffusione della
lingua latina. Questo fatto però ha comportato da una parte una ripresa della correttezza agrammaticale
del latino sulla bocca, negli scritti dei dotti MA nello stesso tempo ha comportato una progressiva
distanziazione tra il latino dei dotti e quello della gente comune. Il latino acquistava importanza presso i
dotti ma nel frattempo perdeva sempre più piede nelle conoscenze della gente comune.
Carlo Magno muore nell’anno 814. Un anno prima si è svolto per suo impulso un fatto che riguardava la
chiesa, nell’813 la chiesa dei paesi soggetti a Carlo Magno ha organizzato un concilio celebre nella storia, il
concilio di Tours. A Tours si raduna un consiglio di vescovi per metà francesi e per metà tedeschi, vescovi
confinanti che hanno deciso cose importanti per quanto riguarda la religione, a noi interessa un piccolo ma
importantissimo particolare a proposito del latino. Nelle deliberazioni finali sottoposte a voti da parte dei
partecipanti del consiglio, nella deliberazione numero 17 si stabilisce che le prediche all’interno delle
celebrazioni liturgiche debbano essere pronunciate dal predicatore RUSTICA ROMANA LINGUA AUT
THIOTISCA (lingua tedesca). La RUSTICA ROMANA LINGUA è il francese, quello che sta per nascere come
lingua francese. Fino a quel momento compreso, la lingua della chiesa e quella del popolo erano in sostanza
il latino. La lingua della chiesa, dei vescovi acculturati era un latino elegante, raffinato o per lo meno
corretto; la lingua del popolo invece, era un latino ormai scorretto, corrotto, inquinato ed è il latino volgare
che ha fatto il suo percorso nella Francia. Viene chiamato nel 813 il latino in Francia come RUSTICA LINGUA,
cioè inquinata da latino volgare, in corretto ma la chiesa sente comunque il dovere, nonostante questo
giudizio che anche all’ora veniva dato circa il latino della gente comune, di impartire le nozioni relative al
catechismo, alla dottrina cristiana, in una lingua che possa essere facilmente capita dalle popolazioni. A
partire da questo momento lo schema all’interno della celebrazione della messa cattolica per secoli, fino
all’anno 1967 la struttura della messa, dal punto di vista linguistico era quella: messa celebrata interamente
in latino e soltanto a partire dal 1967, in conseguenza delle sedute del concilio ecumenico del Vaticano II si
è cominciata a sentire nel mondo iberico la messa in spagnolo, in Italia in italiano. Tutto il resto fino al 1967
era rimasto inalterato fino ai tempi del concilio di Tours: messa interamente in latino tranne per il
momento della predica, in quel momento il sacerdote si sforzava di scendere di livello linguistico, sempre
latino ma a portata della comprensione delle masse e dei fedeli.
Nell’814 muore dunque Carlo Magno e la data successiva da ricordare è quella dell’842. Carlo Magno ha
avuto parecchi figli ma nel momento della sua morte i suoi eredi sono in realtà uno soltanto, quindi non c’è
nessun problema di successione dinastica. Nello stesso 814 diventa imperatore del Sacro Romano Impero
suo figlio Ludovico detto il Pio (Louis le débonnaire). Ludovico il Pio morirà nell’anno 840. Alla sua morte
comincia una situazione incasinata dal punto di vista dinastico. Tre figli di Ludovico il Pio si contendono il
potere. I tre figli si mettono d’accordo sulla spartizione del potere territoriale tra territori franchi (francesi)
e territori germanici. Ci sono poi anche i territori longobardi. Il grosso problema era costituito dal fatto che
tutti e tre questi figli ambiscono al potere imperiale. Il primo di questi tre figli, quello che in teoria avrebbe
maggiori diritti alla successione imperiale, si chiama Lotario (Lothare). Lotario è il primogenito. Il secondo
figlio di primo letto è Ludovico, detto il Germanico perché lui personalmente parla attualmente una lingua
germanica e soprattutto i suoi sudditi parlano questa lingua. I suoi sudditi sono della componente
germanica dell’impero immenso che fu ai tempi di Carlo Magno. Ludovico il Germanico è fratello di Lotario.
Il terzo fratello, in realtà fratellastro perché figlio di secondo letto (Ludovico il Pio era rimasto vedovo, si è
risposato e da questa nuova moglie ha avuto un figlio), Carlo il calvo. Carlo il Calvo è allora figlio di secondo
letto e questo era un vantaggio, poiché sua madre era ancora vita. Sua madre fino all’840 vive a fianco di
Ludovico il Pio e ne erediterà anche il potere. Carlo il Calvo è di espressione linguistica francese, i suoi
sudditi e il suo esercito personale si esprimeva abitualmente in francese. C’è una battaglia dell’anno 841,
Lotario che aveva qualche diritto in più degli altri fratelli, di primogenitura, si trova a dover fronteggiare una
coalizione rappresentata in primo luogo dai suoi due fratelli, quindi sia una vera e propria alleanza politica e
militare tra Lodovico il germanico e Carlo il Calvo. Lodovico e Carlo sono in alleanza contro il fratello
maggiore. C’è una importante battaglia che è vinta dalle truppe alleate di Carlo il Calvo e Lodovico il
germanico, contro quelle di Lotario. L’anno dopo, l’842, le truppe di Carlo il Calvo e Lodovico il germanico
sono radunate nella città di Strasburgo, dove si tiene una cernobia nella quale si ribadiscono i vincoli di
fedeltà e alleanza che erano stati coronati nella battaglia dell’anno precedente. Siamo quindi nell’842 a
Strasburgo e qui si tengono i famosi giuramenti di Strasburgo (les serments de Strasbourg). Questi
giuramenti sono un importante fatto politico perché appunto ribadiscono che Carlo il Calvo e Lodovico sono
fedeli e rimarranno alleati e si giurano fedeltà reciproca. C’è un importantissimo fatto linguistico che accade
duranti questi giuramenti: un cugino di Lotario, Lodovico e Carlo il calvo, NITARDO (Nitard) che era un
letterato, cronista, uno storico scriverà pochi mesi dopo i giuramenti di Strasburgo, una storia dei figli di
Lodovico il Pio in buon latino, poiché Nitardo era colto e dotato. La scrive quasi completamente in latino,
però giunto alla data dei giuramenti di Strasburgo, giunto al momento di riportare il succo dei giuramenti fa
una scelta originale e importante: riporta fedelmente il testo dei giuramenti. I giuramenti di Lodovico e
Carlo e delle corrispettive truppe sono nel testo nelle lingue originali in cui furono pronunciate. A giurare in
francese fu Ludovico il germanico, quindi questo è il giuramento che ci interessa maggiormente. Questo,
dietro di sé ha delle truppe che parlano e capiscono tedesco ma lui deve farsi capire dalle truppe del suo
fratellastro Carlo il calvo, che sono di lingua francese, quindi giura in francese. Il giuramento di Carlo il calvo
è invece in lingua tedesca e non è assolutamente il più antico pronunciato in lingua tedesca.
Importantissimo è invece il giuramento di Lodovico il germanico che si esprime in lingua francese perché
questo è il più antico documento della lingua francese. La storia della lingua francese parte dall’842 con il
giuramento di Lodovico il germanico.
Nel 1971 un professore dell’università di Pavia pubblicò un’edizione critica della Chanson de Roland. Lui si
chiamava Cesare Segre. In tutta la sua vita fece molti altri studi di squisita fattura, è uno dei grandi nomi
della filologia romanza dei nostri anni. Dal punto di vista delle edizioni critiche il suo capolavoro è questa
edizione della chanson de Roland, pubblicata nel 1971 dall’editore Ricciardi. Cesare Segre si sposò con
Maria Luisa Meneghetti, autrice del volume “le origine delle letterature medioevali romanze”. Segre è
morto nel 2014 mentre sua moglie ancora vive, è del 1950.
Testo: un debutto cancelleresco: i giuramenti di Strasburgo (scansione 42)
I giuramenti di Strasburgo non sono il primo testo della letteratura francese bensì della storia della lingua
francese. È il primissimo testo giunto fino a noi della lingua francese.
Giuramenti di Strasburgo in francese: Lodovico, poiché era il maggiore (rispetto a Carlo il Calvo), ha parlato
per primo giurò che avrebbe tenuto fede a questi accordi. “Per l’amore di Dio e per la salvezza del popolo
cristiano e nostra comune salvezza (da intendersi come salvezza eterna) l’espressione DEO AMOR non è già
più latino. Amor in francese oggi è “amour” ma pronunciato allo stesso modo in cui si presenta in questo
tempo , da questo giorno in avanti, in quanto Dio mi conceda sapere e potere, procurerò io aiuto e
qualunque altra cosa a questo mio fratello Carlo, così come secondo giustizia ciascuno deve procurarli al
proprio fratello, a condizione che egli faccia altrettanto per me, e mai prenderò con Lotario qualsiasi
accordo che, per mia volontà, sia di danno a questo mio fratello Carlo”
Sequenza di Sant’Eulalia (di Aurelio Roncaglia, autore di una “antologia delle letterature medioevali d’oc e
d’oil, Milano, 1961)
Il testo viene presentato come di anonimo, Roncaglia si sente di proporre un autore di nome Hucbald.
Quando fu elaborata la poesia da quelle parti viveva un tale Hucbald poeta, letterato e musicista. Questo è
il primo testo letterario della storia della letteratura francese. La sequenza di sant’Eulalia passa per essere la
più antica poesia che ci sia giunta in lingua francese. Noteremo che qui si vedono tracce di una lingua che
ricorda molto più il francese che il latino. Santa Eulalia è vissuta nel II secolo d.C., una vergine e martire. Era
una giovinetta che è stata martorizzata subito dopo l’uccisione, in terra di Spagna. La sequenza di santa
Eulalia è posteriore di pochi anni ai giuramenti di Strasburgo. 882 non è la data sicura ma in questo anno a
scopo religioso si è verificato nel secolo IX un accordo tra due vescovi, uno spagnolo e l’altro francese del
nord-est della Francia. Questi si sono messi d’accordo per fare il loro dovere di vescovi e hanno escogitato
una serie di celebrazioni in onore di questa fanciulla morta ormai da alcuni secoli, della quale però erano
state conservate le reliquie. Si sa che le spoglie di Santa Eulalia sono partite nell’anno 878 dalla località
ispanica dirette verso la località di Valenciennes, dove si sarebbero tenute le altre celebrazioni. Le spoglie di
Eulalia per giungere nel nord della Spagna impiegarono due anni almeno, poiché la strada era molto lunga
e, inoltre, il viaggio doveva essere occasione di una serie di celebrazioni quindi in ogni città dove approdava
il corteo quindi le spoglie mortali di Eulalia erano occasione di messe, celebrazioni, ricordi del suo martirio.
Si ritiene che questo testo possa risalire al massimo 880, al massimo all’anno 882. È conservato un solo
manoscritto che su un foglio presenta da una parte una poesia in un buon latino di celebrazione delle virtù
e della morte di santa Eulalia, la vergine martire spagnola. Dall’altra parte del foglio c’è questo testo non in
latino ma in una lingua molto simile al francese della chanson de Roland, di diversa natura non solo
linguistica ma anche di concezione. Il testo in latino tende ad una esaltazione retorica delle virtù, dei meriti
di Santa Eulalia. Il testo in antichissimo francese invece ci racconta in termini molto semplici e schematici, la
vita o se vogliamo il martirio di Eulalia.
Per qualche decennio la si è chiamata “cantilena di santa Eulalia” poi ci si è raccolti che dal punto di vista
musicale rientra in un genere musicale chiamato sequenza: le sécuence de Sainte Eulalie. La poesia è breve,
sono 14 distici e quindi 28 versi, poi c’è un mezzo verso che termina elegantemente la poesia, della quale
non abbiamo la musica ma sappiamo che era musicata. Tutta la poesia francese delle origini è pressoché
quasi esclusivamente poesia per la musica. Anche la chanson de Roland si chiama così poiché era cantata e
musicata, purtroppo non ci è giunta traccia della musica. I versi sono decasillabi, organizzati in couplets,
cioè strofe di due versi a rima baciata. Qui propriamente non si tratta di rima, piuttosto di assonanza.
buona fanciulla fu Eulalia;
PULCELLA: Giovanna d’Arco è comunemente denominata “la pulcelle d’Orleans”, non perché fosse
originaria di quella città ma perché militarmente ha contribuito alla conquista o riconquista della città di
Orleans, durante la guerra dei Cent’anni nel conflitto tra francesi e inglesi quando lei si è trovata quasi alla
guida dei francesi e poi fu condannata a morte come strega. PULCELLE deriva dal latino “pulcella”: in latino
si parte da “pullus” (pollo, pulcino) che era anche qualsiasi animale maschio piccolino, appena nato. Pulla,
era la femmina. Pulla era la gallina. Pulcella, quindi “pullicella”, diminutivo di “pulla” era l’animaletto
appena nato ma anche la giovane donna che quindi assume anche il significato di “vergine”.
In questi primi due versi ci sono già dei piccoli artifizi retorici. Si vede il fenomeno della gradatio: il corpo era
bello, l’anima ancora più bella.
Né per oro né per argento, né per vesti preziose, (non da ascolto né per oro, argento, vestiti)
che la fanciulla sempre non amasse il servizio di Dio. (menestier da ministerium. Il ministero è il servizio, i
ministri sono al nostro servizio)
11.11.2020
Il testo che è giunto sino a noi della chanson de Roland ci fa ipotizzare una composizione della canzone
Rolando che oggi leggiamo che risale alla seconda metà del secolo XI. Si può anche portare in là questa data
e arrivare fino all’anno quasi 1100. Comunque, seconda metà del secolo XI, vuol dire che la chanson de
Roland è capolavoro assoluto che giunge prematuro in tempi nei quali la lingua e la letteratura francese si
sono appena formate.
(forze “suon element” potrebbe essere il fuoco); Bensi ha cercato di leggere il senso dei due versi come se
fosse più complesso sintatticamente: “egli sostiene che il suo elemento (il suo corpo, la sua sostenza) meglio
sopporterebbe le torture (enpedements) piuttosto che perdere la propria verginità”
che perdere la sua verginità, (è già una metafora, non si tratta propriamente di verginità ma di purezza
espressa con questo termine)
vuole lasciare la terra, e prega Cristo (che le venga concesso il martirio. La parola martirio in sé significa
testimonianza e quindi lei desidera ardentemente di morire e dare questa ultima testimonianza della sua
fede cristiana)
In figura di Colomba volò verso il cielo (metafora che rappresenta l’anima della vergine che vola in cielo
come fosse una colomba, aspira il cielo e ne ottiene il contatto)
Tutti preghiamo (il poeta si rivolge al suo pubblico) affinché per noi (ella) si degni di pregare,
Dopo la morte, e che a lui ci lasci venire (che anche noi possiamo incontrarci con Dio come la santa)
Circa quasi due secoli dopo, intorno al 1040 verrà invece situato un capolavoro, un testo ben costruito con
una narrazione accattivante che fa riferimento ad una leggenda. Questo è noto con due titoli: Vita di
Sant’Alessio, oppure “canzone di Sant’Alessio”. Il termine “canzone” è stato eletto quasi per annunciare le
canzoni di gesta. D’altra parte, i primi testi “sequenza di santa Eulalia” e “vita di Sant’Alessio” sono i testi
più importanti e appartenenti allo stesso orientamento letterario, sono due testi religiosi, due vite di santi.
Gli altri testi di cui non abbiamo parlato, quelli dei secoli IX, X, II sono quasi tutti della stessa natura: sono la
cosiddetta “letteratura ageografica”, cioè vite di santi, episodi della vita di vari santi. Ci sono anche altri
testi di altra natura: antichissimo, segue di pochi anni la sequenza di santa Eulalia è il “sermone su Giona”,
sembra che si tratti degli appunti di un prete, sacerdote che si apprestava a presentare all’interno della
messa o al di fuori una omelia sul personaggio dell’antico testamento di Giona. Il testo è strano perché si
tratta proprio forse degli appunti di questo sacerdote che conosceva senz’altro il latino però aveva il dovere
in virtù del testo dell’813 del concilio di Tours, articolo 17, di presentare durante l’omelia dopo le letture
bibliche la propria parola in una lingua che fosse comprensibile per i fedeli che ascoltavano. Questo
sermone su Giona è scritto bizzarramente in qualche parola latina e parecchie parole francesi. Forse il
sacerdote faceva più fatica a cercare nella propria mente le parole francesi, di quanto non facesse fatica a
recuperare nella propria memoria le espressioni latine. Anche questo testo appartiene alla letteratura
religiosa.
Ci sono poi altri testi di poche righe che forse sono semplicemente delle prove di penna, sono proverbi,
modi di dire, cose molto brevi. C’è qualche testo importante, come “la vita di Santa Fede” e nel testo
compare come “Sainte Foy”. Di solito si dice “santa fede di Agen”, una località dalle parti di Bordeaux.
Anche questa è una storia di martirio e il testo questa volta è in lingua occitanica.
In lingua occitanica c’è un altro testo importante che è il “Boici”: vita non propriamente di un santo, non
propriamente un santo ma una buonissima persona cristiana, è un famoso filosofo medioevale, Severino
Boezio. Sepolto a Pavia a san Pietro in Celdoro. Boezio è uomo cristiano ma anche politico che alla fine è
stata eseguito per motivi politici. L’opera è in lingua d’Oc e ci presenta le vicende politiche, i contrasti che
hanno portato Severino Boezio a questo martirio che in realtà non è.
Intorno all’anno 1040 troviamo questa famosa, importante e bella “Vita francese di Sant’Alessio”. La
leggenda di Sant’Alessio risale a molti secoli prima e al mondo orientale. Siamo nell’impero di
Costantinopoli, detto anche impero bizantino, attualmente corrispondente a Istanbul. All’interno della
capitale dell’Impero romano d’oriente si è formata la leggenda di Sant’Alessio che è stata molto diffusa nel
mondo orientale. Ad un certo punto la figura di Sant’Alessio diventa importante anche per il cristianesimo
occidentale e si opera qualche cambiamento: questo personaggio che sarà vissuto in Siria, Turchia diventa
romano, nasce a Roma, quindi verrà cambiata in qualche aspetto della leggenda e viene tradotta dal greco
in latino e si hanno molte versioni in latino, una di queste è in prosa ed è il modello per il capolavoro del
quale stiamo parlando, la vie d’Alexis in antico francese. La vicenda quindi che è stata concepita in Oriente,
trasferita nel mondo occidentale cristiano è la storia di sant’Alessio che viene parzialmente modificata. In
sostanza mantiene qualche aspetto che ci fa pensare al cristianesimo orientale, altri orientati verso il
cristianesimo occidentale.
La storia è scritta nel 1040 in un francese che ormai è molto vicino a quello della chanson de Roland. Nasce
Alessio a Roma, figlio di un facoltoso patrizio romano. Quindi, a Roma nell’epoca in cui si registra la nascita
di Alessio c’è il potere che è condiviso tra il papa e l’imperatore. C’è ancora l’imperatore romano quindi
siamo prima del V secolo e c’è il papa che è in ottimi rapporti con l’imperatore. Il papà di Alessio si chiama
Eufemiano, è sposato e Alessio è loro figlio. È festa grande per questa famiglia alla nascita di Alessio perché
i due sposi erano sposati da tempo e avevano invocato a Dio un figlio e Dio per qualche tempo li aveva
tenuti in attesa e poi finalmente nasce Alessio. I genitori sono entusiasti di lui, Alessio sente nascere dentro
di sé improvvisamente una vocazione al servizio di Dio. Anche i genitori erano cristianissimi ma lui sente
un’urgenza tutta particolare al punto che il padre Eufemiano ha preparato per il giovane figlio
diciassettenne le nozze: ha trovato una sposa degna di lui, Alessio si sposa e però già alla sera, quando
dovrebbe il matrimonio essere consumato, Alessio lascia la sposa e parte andando lontano. La scena è
forte, Alessio si rivolge alla sposa e le manifesta la sua intenzione di partire per l’Oriente. Presenta in
termine che a qualche critico sono sembrati un po’ bruschi, il matrimonio come peccato dal quale Alessio si
sente in dovere di fuggire. Nello stesso tempo altri critici hanno notato non un discorso brusco ma un
discorso cristianamente certo eccessivo. Alessio parte per l’oriente, in particolar per una località celebre nel
mondo antico: la città di Edessa che è rimasta storicamente un luogo di culto cristiano nell’oriente
medioevale. Nell’oriente medioevale non erano molti i luoghi cristianizzati ed Edessa era uno di questi. Ad
un certo punto, ma qui siamo dopo la composizione della vita di sant’Alessia, si arriva alla costituzione
grazie alla prima crociata, si tratta di una costituzione di uno stato: la contea di Edessa che ha prosperato
per una cinquantina d’anni, dal 1098 al 1149. Questa è stata una importante nazione cristiana all’interno
del mondo orientale, sostenuta dalle truppe crociate. Alessio si è recato ad Edessa e lì ha vissuto 17 anni di
carità. Era noto come un uomo di Dio: un uomo che aveva deciso di consacrare tutta la propria esistenza al
servizio di Dio. Egli prega e si lascia mantenere dalla carità in condizioni miserabili. Egli ha la fama di uomo
di Dio ma questo non gli porta onori di denaro, vive in estrema povertà. A 34 anni decise di ritornare in
patria a Roma. È una delle scene più toccanti di questa narrazione quando Alessio si presenta al padre sotto
la figura di un barbone, questo barbone si presenta dal padre di Eufemiano e gli chiede ospitalità, senza
rivelare la sua identità. Eufemiano gli concede ospitalità: si tratta semplicemente di essere ospitato non
proprio all’interno della casa paterna ma in sottoscala, appena fuori la casa paterna. Sotto lo scalone della
casa paterna Alessio ottiene di essere ospitato: non viene onorato come uomo di Dio, bensì maltrattato dai
suoi stessi servitori che gli rovesciano addosso gli avanzi della mensa, lo trattano proprio come un
poveraccio, così come si era presentato. Con il tempo le cose migliorano e Alessio torna ad Edessa e si rifà
la fama di “uomo di Dio”. Nella scena finale Alessio si sente sul punto di morire e, poco prima di morire,
prepara un testo, un manoscritto nella quale si rivolge al padre, vuole farsi riconoscere dal padre dopo la
morte e nello stesso tempo rivolge un suo messaggio di natura politica e religiosa all’imperatore e al
pontefice romano. Così muore Alessio e termina la storia che ha trovato grande fama, soprattutto grazie ad
una versione francese che ci è trasmessa da vari manoscritti nei quali la vicenda è articolata in strofe
entastiche cioè di 5 versi e sono in numero di 125. La cosa è senz’altro calcolata: 125 x 5 fa 625. In questo
manoscritto principale, la vicenda di Alessio è raccontata in 625 versi decasillabi, assonanzati. Il termine
LASSA lo riserviamo alle canzoni di gesta e si distingue dalla strofa poiché la strofa ha un numero fisso di
versi. Le lasse della chanson de Roland vanno invece da un minimo di 5 versi e arrivano fino a 31 versi. Di
solito si sta nel mezzo tra le due cifre nella chanson de Roland. La vita di Sant’Alessio è di invece 125 strofe
di 5 versi assonanzati. L’assonanza si distingue dalla rima perché la rima prevede l’identità tra l’ultima
vocale tonica e di tutto ciò che la segue: esempio “ballo” rima con “cavallo”, “cristallo”: la rima è in “allo”,
l’ultima vocale tonica di “ballo”, “cavallo”, “cristallo” è la “a”, tutto ciò che segue “llo” in italiano devono
essere identiche per ottenere la rima. L’assonanza prevede la identità della ultima vocale tonica e delle
eventuali eventualmente presenti vocali atone finali. Le consonanti possono variare liberamente: “ballo”,
“nastro”, “marmo”: “a” vocale tonica fissa.
queste sono lasse perché la prima lassa è costituita da 9 versi; la seconda è invece di 14 versi. La terza è
costituita da 23 versi. Questo per dare l’idea della lassa. Anche guardando questa prima lassa vediamo le
ultime parole dove “magnes” assona con “espaigne” perché la “a” di magnes la troviamo in “Espaigne”. La
consonante in questo caso è tale e quale, sembrano rime all’inizio. Nel verso 5 si vede l’assonanza. Tutti i
versi sono decasillabi. Il decasillabo nell’antica letteratura francese può anche essere l’endecasillabo lirico,
questo è il tipico endecasillabo epico. Il decasillabo epico è caratteristico di quasi tutte le canzoni di gesta e
si definisce cesurato, cioè con cesura dopo la quarta sillaba, cesurato 4 + 6 = 10; ha dieci sillabe ma è
richiesto che ci sia una pausa un confine di parola dopo le prime quattro sillabe e prima delle quattro sei. In
qualche caso si fa fatica a contare le 10 sillabe.
1 verso= sono dieci sillabe e dopo la quarta abbiamo una virgola (decasillabo epico). C’è una sillaba in più in
ogni lassa che NON VA MAI CONTATA perché costituita da una “e” muta. Quando alla fine di una parola c’è
una “e” evanescente, corrisponde a quella che nel francese di oggi diventa una “e” muta. È muta la “e”
atona finale. La “e” evanescente non conta dal punto di vista metrico.
La “e” evanescente non conta nel verso decasillabico e non conta nemmeno alla fine del primo emistichio.
L’emistichio è un mezzo verso: “stico” è il verso. Nel caso della chanson de Roland non abbiamo mezzi versi
5 + 5 ma sono cesurati in 4 + 6.
6 verso: la quinta sillaba non conta, si legge ma non conta metricamente perché siamo alla fine del primo
emistichio.
7 verso: stesso fenomeno del verso 6. La quinta sillaba ha una “e” evanescente e non la conto.
Nel 1989 si è avuta la seconda edizione critica della chanson de Roland, sempre dovuta a Cesare Segre. Il
testo è stato leggermente migliorato ma questa edizione è famosa perché è tradotta in francese: quella di
Droz, casa editrice Svizzera che presenta piccoli cambiamenti ma non si sostituisce all’edizione del 1971.
Secondo Bensi per un italiano è più facile capire il testo della chanson de Roland piuttosto che per un
francese. I francesi d’oggi avendo la lingua subito profondissime modificazioni, fanno fatica a capire la
chanson de Roland.
C’è poi una terza edizione, ancora di Droz del 2003 dove l’editore (Segre) ha fatto qualche passo in avanti
per venire incontro alle esigenze del pubblico più vasto. Un’edizione critica è un’edizione caratterizzata
innanzitutto dal testo critico. Cesare Segre si è letto con pazienza infinita una decina di manoscritti, i famosi
dieci della canzone di Rolando e ha proposto alla fine il testo che a suo giudizio dovrebbe essere proposto ai
lettori. Nel caso della chanson de Roland Segre si è letto tutti i manoscritti. Ci ha impiegato 12 anni. Un
manoscritto “O”, che sta per la lettera iniziale per “Oxford”, trovato nel 1835 da uno studioso francese che,
due anni dopo, l’ha pubblicato: prima edizione della canzone di Rolando in questo manoscritto di Oxford.
Questo manoscritto si presenta ancora. Questo manoscritto non è solo migliore rispetto a tutti gli altri ma lo
è incommensurabilmente. Di solito si usa un aggettivo escogitato da Joseph Bédier, famoso critico,
“récelence”: vuol dire “molto più che eccellente”: non è solo il testo migliore ma lo è in modo
incommensurabile. Secondo Bedier il testo del manoscritto oxfordiano o oxfordiense è straordinariamente
migliore rispetto a tutti gli altri. Anche secondo Segre questo manoscritto è straordinariamente migliore dal
punto di vista testuale, rispetto a tutti gli altri. Segre ha ritenuto che il testo di Oxford sia il migliore nella
maniera indiscutibile ma non per questo può essere assolutamente esente da difetti. Quindi, mentre Bedier
qualche decennio prima fonda le sue edizioni critiche sul testo di Oxford, correggendolo si, quando è
assolutamente palese l’errore, però di solito non lo corregge e lo difende. Segre, invece, corregge talvolta il
testo di Oxford, sulla base del riscontro che ha effettuato su tutti gli altri manoscritti.
1 verso: le parentesi uncinate stanno prima della sequenza vocalica e consonantica “er”. Quello che è
successo è che Segre, ma questo lo ha fatto anche Bedier e anche Francisque Michelle, colui che scoprì il
manoscritto di Oxford nel 1835, pubblicato nel 1837. Nel primo verso c’è scritto in realtà “nostre emper
magnes”: mancava “er”, oppure un simbolino che stesse per quel “er”. Era una facile correzione: la parola
“emper” non esiste e soprattutto qui abbiamo bisogno di 10, eventualmente 11 sillabe e quindi nel testo di
oxford ne avremmo trovata una in meno, manca “er”.
Nella 1 nota Segre ribadisce quello che già accennava nelle parentesi uncinate, scrive in neretto che nel
testo di Oxford c’è scritto “empere” e poi aggiunge, or (corretto) da M. (Francisque Michelle) ecc, ecc (vuol
dire che dalla prima edizione le edizioni della canzone di Roland sono state tantissime, significa che tutti
hanno fatto questa correzione). La correzione è ovvia, lo si capisce dal testo.
Magnus: qui Segre si limita a registrare le varianti. A parte la piccola descrizione di “emperer” il manoscritto
è quello di oxford. Segre però segnala che in particolare un manoscritto v.4 al verso 8 ha messo “nostre
emperer de Franz”.
Elenco di sigle prima della nota 1: non compare nell’elenco la sigla “o” perché Segre il manoscritto di Oxford
lo segue abitualmente, è da sotto intendersi ed esiste tanto palesemente che non si scrive. Quello è
l’elenco dei manoscritti, non quelli della chanson de Roland ma dei manoscritti della chanson de Roland che
contengono questa lassa, che possono essere chiamati in causa per commentare la lassa.
Sono: manoscritto v.4, scritto in una strana lingua, chiamiamola lingua d’oil però è pasticciata e viene
chiamata comunemente “francoveneto”: sembra francese antico scritto da un veneto. Si chiama V4 perché
ai tempi era il quarto manoscritto della serie dei manoscritti francesi antichi presenti nella biblioteca di
Venezia, la famosa biblioteca Marciana di piazza S. Marco.
Poi abbiamo V7, manoscritto quasi uguale a quello di Chateauroux, è conservato come settimo manoscritto
ma gli hanno cambiato segnatura dei codici posseduti dalla biblioteca marciana di Venezia
n, K, w sono tre su quattro dei manoscritti che noi possediamo soltanto in una tradizione. N, vuol dire
“traduzione norrena” e l’aggettivo “norreno” vuol dire “antico norvegese”. Segre non ha potuto leggere
quel manoscritto in norvegese però c’è qualche studioso che la conosce e uno di questi l’ha tradotta in
francese. K, “antica versione tedesca”, questa volta “K” sta per il nome dell’autore, si sa che chi la tradusse
in tedesco era un prete, Kondrad. W è un’altra tradizione antica in lingua gallese, W sta per Wales.
16.11.2020
Stemma codicuum: è una rappresentazione grafica che, se fatta bene, può ambire a presentare la
ricostruzione della storia dei manoscritti, della tradizione manoscritta di una determinata opera. Lo stemma
della chanson de Roland (scan 15): è un piccolo scarabocchio fatto a mano da Bensi, però è lo stemma della
chanson de Roland, completo. Qui troveremo i manoscritti dei quali abbiamo già parlati poiché erano
all’appello della prima lassa del poema, altri importanti non compaiono poiché manca la prima lassa del
poema.
In testa allo stemma sta di solito l’originale. Per originale si intende nel migliore dei casi l’opera come gli
autori l’hanno concepita. Qui si può sperare di attingere, di intuire e raccogliere dati a proposito del
cosiddetto archetipo, cioè il punto più lontano per voi e quindi più vicino all’autore, punto che non è il testo
dell’autore ma è un testo abbastanza vicino alla volontà dell’autore. In testa c’è una sigla che è una lettera
greca minuscola, una omega. Molto spesso negli stemmi, il punto più alto al quale si riesce a risalire
confrontano i manoscritti tra di loro è indicato spesso con la lettera “O” che sta per “originale”. Spesso è il
punto più alto, più vicino alla volontà dell’autore al quale si riesce a risalire. Il codice “O” è anche la sigla del
codice principalissimo della chanson de Roland. Da omega vediamo che lo stessa dello chanson de Roland è
bipartito. Questo stemma della chanson de Roland non può ormai essere intaccato, corretto, aggiustato.
Forse, qualcosa potrebbe avvenire per i piani bassi dello stemma, nell’ultima riga ma comunque non
sarebbe di grande importanza. Si comincia a passare in rassegna tutti i manoscritti, anche se si ha la netta
impressione che il codice O sia straordinariamente più importante degli altri e migliore rispetto a tutti gli
altri, tutti gli altri manoscritti sono osservati nella maniera più attenta e scrupolosa possibile. Il metodo che
viene comunemente applicato è quello degli ERRORI: se io trovo nello stesso o in due manoscritti, uno
stesso errore nel quale i compilatori dei manoscritti non possano essere ricaduti, quindi un errore grosso
che implica una natura particolare, potrò dedurre che quei due, tre, quattro manoscritti che hanno
quell’errore, allora si riesce ad ipotizzare che quei manoscritti abbiamo quell’errore o quella serie di errori
perché derivano da altri manoscritti che non possediamo e che andiamo ad inserire nello stemma di solito
grazie all’ausilio grafico di una lettera greca da omega, quindi da quello che è molto simile all’originale e che
è un codice che NON possediamo sarebbero derivati due codici che noi ugualmente non possediamo e che
indichiamo con le lettere greche alpha e beta. Sono lettere dell’alfabeto greco, per cui noi non possediamo
né alpha né beta ma soltanto tracce lasciate da codici che possono essere stati copiati di alpha e beta o che
in qualche modo possono risalire ad alpha e beta. Bédier ma anche Segre hanno riconosciuto che il codice
O è il codice assolutamente più affidabile, del quale tenere principalmente conto nel momento di stabilire il
testo della chanson de Roland. Questo perché “O” vale tanto quanto tutti gli altri manoscritti poiché sta
appeso ad alpha ed alpha è in rapporto abbastanza diretto con omega. Quello che fa notare Segre è che se
O vale quanto tutti gli altri, tutti gli altri valgono quanto O poiché il confronto alla fine andrà fatto tra alpha
e beta, tutti i codici che dipendono da beta servono a ricostruire beta e allora beta varrà quanto alfa cioè
quanto O, poiché l’unico rappresentante di alpha che noi possediamo è O. “O” sta per Oxford, biblioteca
baudleriana dell’università di Oxford, digby 23.
K: sta per Kondrad, nome di un personaggio che nel medioevo e anticamente ha tradotto la canzone di
Rolando in antico tedesco, in ALTO tedesco.
non sono traduzione accurate e letterarie ma mirano semplicemente a riprodurre la sostanza del testo
senza cure particolari
Gamma, nella riproduzione dello stemma di Muller (Theodore Muller, grandse studioso della chanson de
Roland tra XIX secolo e inizio del XX che ha proposto questo stemma)) Bédier (studioso che ha confermato
lo stemma di Segre, ne ha confermato la validità) Segre (oltre a riconfermare la validità dello stemma
Muller- Bédiere ha anche cercato di precisare lo stemma in certi particolari dei piani bassi).
Piano gamma. Si suddivide in due rami: un ramo è rappresentato da un codice che noi possediamo. O e V4
fin ora sono sigle di manoscritti effettivamente posseduti, sono i primi due codici francesi che troviamo del
manoscritto di Rolando. V4 in realtà è un codice francoveneto, scritto in una lingua francese intaccata da
una patina veneta che lo rende più facile ad una primissima lettura per noi italiani, ma nello stesso tempo
non soddisfa certe esigenze grammaticali degli stessi francesi. È stato il quarto manoscritto di una certa
scaffalatura della biblioteca marciana di Venezia che un tempo raccoglieva i codici antichi francesi.
V4 è un codice realmente esistito, anzi esistente e presente, visitabile. Delta invece, è un codice ricostruito,
ipotizzato, fa parte dello stemma materialmente ma non esiste un codice materialmente al quale si
attribuisce un codice importante nella storia di traduzione della chanson de Roland. È una svolta però in
allontanamento dal testo originale. Il testo originale della Chanson de Roland, come viene presentato nelle
edizioni critiche, è un testo assonanzate e si tratta di lasse assonanzate. L’assonanza si distingue dalla rima
perché è un po’ più lassista, consente al poeta una qualche maggiore fedeltà. La rima prevede che tutto sia
uguale dall’ultima vocale tonica fino alla fine del testo. delta è un codice che noi non possediamo e
ricostruiamo sulla base di quelli che vediamo sotto e abbiamo ricostruito. Sarebbe il responsabile del
passaggio dall’assonanza alla rima. Nella storia della chanson de Rolanmd e di molti altri testi c’è un
notevole cambiamento nel passaggio dell’assonanza alla rima. Si arriva ad un certo punto nel quale
l’assonanza era stata all’origine della composizione del tema, passa di moda ed è sostituita dalla rima.
Questo vuol dire che delta e i suoi discendenti hanno deciso di salvare la prima parte del verso, sacrificando
un po’ violentemente la seconda parte del verso perché alla fine hanno voluto cocciutamente lasse intere
rimate che andassero a sostituirsi alle assonanzate della tradizione precedente, che vuol dire per noi che
materialmente la tradizione precedente è assonanzata da O e da V4. Materialmente noi possediamo in
redazione assonanzata O e V4, V4 resta assonanzato, ma non è più puramente e semplicemente francese,
bensì francoveneto.
O invece, è buona lingua d’oil, quindi è buono o eccellente antico francese, però anche O è contrassegnato
da certi fenomeni grafici o di pronuncia che ce lo fanno classificare come dialettale. I testi giunti fino a noi
sono tutti dialettali anche se nella maggior parte dei casi appartengono la lingua d’oil. Il primo dialetto nel
quale è scritto il codice O della chanson de Roland si chiama anglo-normanno, è francese, però in
particolare è un dialetto anglo-normanno, cioè il dialetto della lingua d’oil, è il francese che si è parlato nella
estremità settentrionale della Francia e nella estremità meridionale dell’Inghilterra in un periodo di più di
un secolo o più di due secoli durante i quali le popolazioni della parte settentrionale della Francia e
meridionali dell’Inghilterra, sono state soggette ad uno stesso governo francese. In seguito alla famosa
battaglia di Hustins, vittoria ottenuta da Guglielmo il conquistatore, normanno, sulle truppe inglesi. Da li per
centinaia d’anni i governanti della parte meridionale dell’Inghilterra e della parte settentrionale della
Francia sono stati dei Normanni e hanno imposto la loro lingua. In quei territori si è parlato francese a
livello letterario, documentale, amministrativo, il francese si è imposto. Quando dico si dice che O è il
codice eccezionalmente migliore intendiamo dal punto di vista testuale. Il codice O non è uno di quei
meravigliosi codici antichi medioevali che abbiamo potuto vedere in illustrazioni, libri. È facilmente leggibile
ma la scrittura non è raffinata. Si dice che il codice O sia da considerarsi un MANOSCRITTO DA GIULLARE. È
un povero manoscritto, la scrittura non è brillantissima, non c’è nessuna illustrazione, al massimo c’è quale
iniziale in rosso, non è elegante e pregiato ma è forse un codice da giullare, cioè che un giullare qualsiasi
infilava nel suo tascapane, accanto al cibo e a qualche sodo, saltava poi a cavallo e so portava con sé, quindi
sciupato. Resta però dal punto di vista testuale, formidabilmente superiore rispetto agli altro.
Con delta si attua la svolta in rima. Segre ha ritenuto di dover dividere la componente delta dello stemma in
due parti: delta uno e delta due, poiché ci sono ancora formidabili errori che permettono di distinguere il
ramo delta 1 dal ramo delta 2.
Da delta 1 scendono C e V7. C è il codice di Chateauroux. V7, codice che è molto ma molto simile a C. si dice
che C e V7 derivino da delta 1 perché sono stati esaminati con tutte le attenzioni possibili e sulla base del
metodo degli errori. C e V7 derivano da delta 1 che non possediamo, poiché sono quasi uguali. In quasi
tutte le rime c’è una piccola variante ma minima. V7 è il settimo manoscritto della serie dei 7 manoscritti
francesi posseduti dalla biblioteca Marciana di Venezia.
Ci sono tre importanti manoscritti dell’opera quasi completa, manca l’inizio. Derivano da delta 2: P, L, T. P
sta per Parigi, L sta per Lion, T sarebbe in una località celebre che è l’università di Cambridge, però siccome
l’iniziale C era già stata presa tradizionalmente da Chateauroux allora si è fatto ricordo al collegio di
Cambridge, quello della Trinità, dove il codice è effettivamente reperibili. F si lascia collocare accanto a P, l
accanto a L, B accanto a T poiché hanno rapporto stretti tra di loro. F sta per “frammenti”. l sta per altri
frammenti curati da uno studioso che si chiamava Lavergne e quindi sono siglati come “l” per questo
motivo. B viene dal nome dalla studiosa che ha curato l’edizione del frammento, una signora che si
chiamava Fannie Bogdanow. Per il testo critico della chanson de Roland B, l, F possono essere chiamati in
causa ma solo per una piccola porzione di testo. P, L, T sarebbero anche importantissimo ma sono spiazzati
perché sono risultati di conversione da assonanza a rima. Molto spesso il confronto testuale nel
ragionamento di Segre e non in quello di Bedier che da la sua preferenza spiccata ad O è tra O e V4.
verso 3: Tresqu’en deriva da “trans” che significa “al di là” ed è risultato in antico francese treque’en la mer,
fino al mare. Ora in francese “fino” a si dice “jusque”.
Il codice V4, al suo verso 10 che corrisponde al verso 3 di O presenta la sua versione “cusqu’a”. C3 e V7
riportano “jusque”
Nota 4: mostra come presenta Segre le sue osservazioni. Innanzitutto, presenta le varianti e dice che in
corrispondenza del verso 4 di O, C5 e V7 presentano “ne trouve”. N, così come C e V7 presentano la coppia
borgo o castello, laddove nel testo di Oxford si trova soltanto di Castello. La traduzione di K vede ancora
“borhi e castelli”. Poi c’è un testo gallese qui fornito in inglese moderno dove si legge “fortezze e castelli”.
Segre aggiunge poi le sue considerazioni che in questa edizione sono in italiano: beta aveva dunque quindi
contro il solo “castel” di O, m’endiadi “burc ne castel”. A favore di O, la spessa successione castels-murs. A
favore di O si trovi nelle riprese di questi versi inziali le stesse ripetizioni: castels-murs.
La chanson de Roland è costituita essenzialmente, proprio la sua linea stilistica più caratteristica, è
caratterizzata da continue riprese. Ai versi 236-238 si avrà la stessa sequenza: un elevato esponente del
consiglio dei Baroni francesi di Carlo Magno, si chiama Namo, al verso 236, parlando al suo re Carlo Magno
dice al verso 235 che il re Marsilio ormai è stato vinto e per esemplificare dice “gli avete tolto tutti i suoi
castelli, le mura avete infranto con le macchine, bruciate le città, gli uomini vinti” quindi c’è la stessa
sequenza castelli-muri-città. In altri due versi 704-questo verso riassume la situazione: resi i castelli, le città
violate. Queste sono pallide esecuzioni di un fenomeno, quello della RIPRESA SIMILARE: ripresa di interi
versi o mezzi versi che consentono di farsi una idea delle caratteristiche stilistiche dell’autore della chanson
de Roland che ama riprendere i propri versi. Al verso 2611: l’imperatore per sua grande forza…, prende
castelli e parecchie città. Questa ripresa del motivo dei castelli e delle vecchie città è caratteristica dello stile
del poema. Segre diceva che preferisce O perché la stessa successione castelli, mura e città si ritrova ai versi
236-237-238 e quindi è da preferire O rispetto al semplice borgo e castello che troviamo invece in V4, C7
quindi nella tradizione Beta.
TRADUZIONE:
La traduzione è di Francesco Cozzoli presente in una edizione dovuta principalmente a Anna Maria Finori.
Siamo nel 1984. L’editore è milanese, è Ugo Murcia. È un’edizione economica eccellente, la traduzione è
ben fatta ma le note sono purtroppo in fondo al volume e questo da fastidio al lettore comune.
Subito dopo il 1980 sono uscite altre edizioni. Nel 1981 esiste una edizione testa a cura di Graziano Ruffini,
Milano, Guanda, 1981. Poi c’è quella a cura di Anna Maria Finori, traduzione di Cozzoli. Nel 1965 Bensi ha
curato una edizione, “La canzone di Orlando”, a cura di Mario Bensi, introduzione di Cesare Segre e Bensi
ha fatto un’altra introduzione di carattere informativo, era una premessa al testo e poi la traduzione non è
di Bensi ma sue solo le note, sono più ricche rispetto a quelle della Finori. Bensi ha applicato delle note di
carattere strutturali per far vedere come ci sia una continua ripresa di termini, situazioni e schemi narrativi.
L’edizione di Bensi Milano, Bur (biblioteca universale Rizzoli), 1985. Nell’illustrazione si vede Carlo Magno
che sta tagliando la testa a quello che alla fine del poema risulterà essere il suo nemico mortale, quello più
pericoloso. Improvvisamente, bruscamente, sulla scena del poema irromperà un tale Balgdad, musulmano
e in particolare è l’emiro del Cairo. Nel poema il Cairo si chiama Babilonia, come si è chiamato nel tempo
cristiano antico. La traduzione è di Renzo lo Cascio. La casa editrice Rizzoli, la Bur, aveva già in precedenza
una edizione senza testo a fronte ma semplicemente in italiano dovuta a lo Cascio, per non spendere due
volte il compenso del traduttore, gli hanno dato meno soldi e gli è stata ripubblicata con la stessa
traduzione.
sette anni tutti pieni (interi) è rimasto in Spagna (letteralmente: è stato in Spagna)
sino al mare ha conquistato quell’altra terra (determinazione non tano morale ma fisica: la terra alta,
elevata poiché la Spagna è un territorio montuoso nel suo insieme)
nessuna fortificazione più gli è resiste/ non v’è castello che davanti a lui rimanga: ha conquistato davvero
tutta la Spagna né un muro, ne ha città gli è rimasta da abbattere (freindre)
serve Maometto invoca Apollo(qualcuno tra gli studiosi ha suggerito che sia strano che questo re
musulmano adori, invochi Apollo se pensiamo ad Apollo come divinità pagana dell’Olimpo greco, sembra
un po’ strano.)
Marsilio non si può guardare (non può evitare) che una qualche disgrazia, un male, non lo colpisca.
Qui è dichiarata la fede dell’autore della Chanson de Roland. Marsilio è un brutto tipo ma soprattutto
Marsilio ha il difetto di essere nemico della cristianità: era sovrano di tutta la Spagna, ha perso per opera di
Carlo Magno la Spagna, gli è rimasta soltanto Zaragoza ed è votato alla religione islamica. La religione
islamica, stando all’autore della chanson de Roland, in questa prima lassa, è molto vicina alla idolatria e
soprattutto al politeismo. Qui c’è questa stranezza, i musulmani sono monoteisti e questa stranezza sarà
confermata nel corso del poema. Maometto e Apollo, come sembra da questo verso, saranno poi anche nel
seguito del poema messi sullo stesso piano. Viene attribuita a Marsilio una sorta di religione politeista
perché lui adora Maometto che qui surge al rango di divinità, non è interprete di Dio ma è Dio egli stesso.
Con Apollo è stata ripescata questa divinità pagana dell’Olimpo greco. Queste due figure riappariranno nel
poema insieme ad una terza figura. Si potrà parlare quindi una certa di trinità pagana: Maometto, Apollo e
Tervagante per 7 volte. Anche Apollo 7 volte. Questo non è l’unico errore, l’unica infrazione rispetto alla
cultura del tempo che l’autore della chanson de Roland si permette di compiere, poiché il suo scopo è
quello di fornire una dimensione epica a ciò che sta trattando, proponendo a degli scarni e labili nel senso
di incerti ed eventualmente mal posseduti dati culturali. L’autore forse crede davvero che Marsilio abbia
potuto adorare tre divinità e c’è quindi questo stravolgimento dei dati teologici a proposito della religione
musulmana. Al verso 6 si dice che Zaragoza sia su una montagna: anche questo non è vero, forse l’autore
non lo sapeva, oppure ne aveva sentito parlare ma da persone inaffidabili. Lui sembra credere che Zaragoza
sia su di una montagna ma questa è sulla pianura del fiume Ebro. Non è un clamoroso errore perché una
montagnola accanto a Zaragoza c’è, è il monte Torrero (235 metri). È assolutamente falso anche che Carlo
Magno nell’anno 778 nel quale effettivamente ha combattuto in Spagna che avesse conquistato tutta la
Spagna sino al mare. La spedizione di Carlo Magno dell’anno 778 si è risolta interamente nel corso di
quell’anno. Non è cominciata un anno prima né finita un anno dopo ma si è svolta nel corso dell’anno 778.
Al verso 2 si parla di 7 anni, il numero ha carattere simbolico ed è possibile che l’autore della Chanson de
Roland non fosse informato sulla durata della spedizione di Carlo Magno. L’impresa militare non è stata
particolarmente significativa poiché secondo la fonte più attendibile cristiana, “vita Karoli” di Eginardo, la
battaglia di Roncisvalle è stata soltanto il triste esito di una aggressione perpetrata ai danni della
retroguardia dell’esercito di Carlo Magno, guidata forse da Rolando perpetuata non da cristiani ma da
cristiani, montanari baschi. Sarebbero stati i guerrieri di Carlo Magno, guidati probabilmente davvero da
Rolando, aggrediti a scopo di rapina quindi non per motivi di alta politica ma per motivi di raccolta di
bottino, da montanari baschi avversi a Carlo Magno, però cristiani. I saraceni c’entrano poiché Carlo Magno
era in Spagna, aveva combattuto dalle parti di Zaragoza un esercito musulmano ma non con lo spirito della
crociata, nell’anno 778 lo spirito della crociata doveva aspettare ancora più di 300 anni per farsi vivo, la
prima crociata è stata indetta nel 1097 e cominciata nel 1098. La cifra di 7 anni è anche funzionale alla
caratterizzazione di alcuni personaggi. C’è una famosa scena dove Rolando e Gano, che è cognato di Carlo
Magno che ha sposato la fratella di quest’ultimo. Questa sorella di Carlo Magno era però vedova e dal suo
primo matrimonio, aveva avuto come figlio proprio Rolando. Gano è cognato di Carlo Magno, sposo della
sorella di Carlo Magno è patrigno di Rolando. Questo dal punto di vista della parentela. Dal punto di vista
politico, Rolando giovane, si presenta come colui che vuole emergere politicamente, gerarchicamente
all’interno dei soldati, guerrieri di Carlo Magno. Rolando quindi, è il più bellicoso tra i consiglieri di Carlo
Magno, è quello sempre portato a menare le mani contro i Saraceni, lo si capisce dal primo discorso
improvvisato che fa ma che si inserisce in un seguito di prese di posizione di Rolando. Diverso,
l’atteggiamento di Gano che è più prudente, anziano, esperto e rappresenta un “partito” che già è in
posizione dominante. Rolando, è politicamente avversario di Gano. Gano è già un dirigente del suo partito
che lo vedremo spesso nel corso del poema, è destinato di solito a prevalere con risultati che nel caso della
battaglia di Roncisvalle sono assolutamente negativi per il potere di Carlo Magno. Autore e lettore questo
devono far finta di non saperlo, però. Caratteristica dello stile narrativo della canzone di Rolando è quella di
tener conto del fatto che i lettori, gli spettatori che nelle piazze o addirittura nelle corti ascoltavano i giullari
che raccontavano la canzone di Rolando. I fruitori della canzone di Rolando, l’idea che ci siamo fatti è che
conoscessero benissimo ciò che andavano ad ascoltare. È la grande descrizione che si suole fare parlando di
storie delle letterature francese e medioevale tra i due grandi generi narrativi che hanno contrassegnato la
letteratura francese medioevale: le canzoni di gesta, alla quale la canzone di Rolando appartiene; il
romanzo cortese, che sarà un genere che verrà fuori qualche tempo dopo le canzoni di gesta, nel XII secolo.
Le canzoni di gesta hanno a che fare con il rito, mentre il romanzo cortese ha a che fare con il mito. Le due
parole sono state prese poiché si assomigliano tra di loro. La differenza essenziale tra rito e mito, quindi tra
le chanson de geste e le roman courtois. Rito significa che come il fedele cristiano per esempio assiste alla
messa e si sente raccontare, leggere episodi del vangelo che, se ha una certa età, ha sentito già centinaia di
volte, gli viene costantemente rievocata in certe preghiere, la vicenda di Gesù Cristo, chi è stato Gesù
Cristo, chi la fede insegna che debba essere considerato così Cristo si sente richiamare costantemente
qualcosa che già sa e ha imparato da bambino al catechismo, allo stesso modo è il rito, la ritualità: si
partecipa ad un rito conoscendone gli scopi, il modo di presentarsi, sapendo già tutto. Così partecipiamo
anche noi al racconto delle canzoni di gesta. Tutto viene già detto nella prima lassa del poema, gli aspetti
generali. Addirittura, nel verso 9 della prima lassa considerata, dice che Marsilio non può evitare che una
qualche disgrazia non lo colpisca. Che senso ha per un narratore tradizionale che al verso 9 quindi nella
prima presentazione venga già detto che Marsilio è comunque destinato alla sconfitta? Tutto è anticipato e
il lettore è portato a rivivere un’esperienza narrativa che si capisce da moltissimi dati che egli ha già ben
presenti. Il romanzo cortese è diverso: poche cose sono conosciute dal lettore del romanzo cortese, molto
spesso capita che il protagonista del romanzo cortese non abbia un nome. A lungo andare, dopo cento,
duecento versi, finalmente il Cavaliere misterioso tipico del nostro immaginario avrà un nome, cognome
una provenienza ma da prima è essere misterioso sul quale l’autore vuole richiamare l’attenzione del
lettore sul mistero del personaggio, della donna che incontra e con la quale coronerà il suo sogno d’amore.
Questo è il mito, il racconto puro e semplice che deve appassionare poiché naturalmente non si sa come
andrà a finire. Le emozioni, le sorprese non ci sono affatto sottratte. Qui invece, nella chanson de Roland, al
verso 9 tutto ci viene anticipato. Inoltre, molte pagine prima ci verrà detto che Gano tradirà l’esercito
quindi non solo c’è l’informazione ma Gano verrà contrassegnato con le stesse parole con cui nel vangelo di
Luca e Matteo viene contrassegnato Luca. Sia di Gano che di Luca si dirà che poi questi faranno un
tradimento.
18.11.2020
Rito e mito sono due termini che hanno suscitato ampio dibattito soprattutto nel secolo scorso in ambito
antropologico. In tempi più recenti, in ambito letterario si è andati a recuperare questi due termini e, tra l’
atro, li si è applicati a caratterizzare le due più importanti produzioni in ambito narrativo dei secoli
medioevali della letteratura francese in particolare. La canzone di Rolando è la più bella, la più famosa, più
tradotta fin dal medioevo e ancora oggi, della canzone di gesta. Forse, è stata anche la canzone di gesta più
antica. Siamo a conoscenza del titolo, dell’argomento di un centinaio di canzoni di gesta. Ne possediamo
almeno in un manoscritto, 80. Le canzoni di gesta sono connesse con il rito. Il rito è una maniera di
presentare le cose, determinate storie, che hanno tutte un qualche riferimento diretto o indiretto alla sfera
del sacro, che però si presentano nella forma narrativa. Il rito ha a che fare direttamente o indirettamente
con la sfera del sacro. In che modo la canzone di gesta rientra nell’ambito del rito? Perché il rito quando si
presenta in forma narrativa si offre al proprio pubblico di lettori, ascoltatori, spettatori nella forma di una
particolare condivisone. Il pubblico ascolta ma soprattutto si fa partecipe del messaggio, del racconto che
gli viene riferito. Il pubblico è già ben informato degli aspetti ideologici, teologici, comunicativi del
messaggio che gli viene riferito, rivolto. Il pubblico sa già tutto o comunque ne sa le cose essenziali. Ciò
nonostante, il pubblico partecipa appassionatamente perché il pubblico di lettori, ascoltatori condivide gli
aspetti ideologici, teologici della narrazione che gli viene riferita. Esempio: pubblico della messa, dei fedeli
cristiani, cattolici che frequentano la messa e si sentono raccontare dal prete aspetti della vita di Gesù, del
racconto dei vangeli, eccetera. sono tutte cose che i fedeli conoscono benissimo e hanno conosciuto al
catechismo. TUTTO QUINDI è BEN NOTO ED è ANCHE CONDIVISO. Si può quindi partecipare al racconto del
rito, non è un partecipare per conoscere nuovi aspetti del rito, ma è piuttosto per rivivere dentro di sé con
la propria partecipazione interiore il racconto proposto. Lo stesso si può dire per le canzoni di gesta e per la
canzone di Rolando. Possiamo immaginare che il pubblico delle canzoni di gesta era un pubblico che si
radunava nelle Sale eleganti delle corti, un giullare, un musico e un cantore cominciava a recitare il testo. lo
recitava e più che recitarlo lo cantava. Non sappiamo quasi nulla della musica che accompagnava questo
testo, sappiamo però che era cantati. La canzone di Rolando quindi, come le altre di gesta, era cantata.
Carlo, dal verso, 1 viene raccontato come compiere delle azioni che erano note già al pubblico. C’è chi li
sapeva tutti, chi sapeva solo gli elementi essenziali come la morte di Rolando, il recupero militare di Carlo
Magno che subito dopo vendica la morte di Rolando e ristabilisce la giustizia divina, fino alla morte
dell’ultimo uomo e l’annientamento dei guerrieri saraceni.
Nella canzone di Rolando cvi sarà dal punto di vista militare un ritorno del conflitto e l’arrivo inaspettato
dalle parti di Roncisvalle di un nuovo più consistente esercito guidato da Valigante, ufficialmente emiro del
Cairo, in pratica condottiero supremo delle truppe saracene a livello mondiale, universale. Ci sarà un nuovo
scontro militare tra l’esercito di Carlo Magno e di Valigante. Carlo Magno e Valigante si accordano tra di
loro per un duello personale, non ci sarà la battaglia ma il duello tra i due. Carlo Magno, pur vecchio e
stanco (il poema lo presenta come bicentenario), riesce a prevalere sull’emiro Valigante. Dal punto di vista
ideologico a questo punto il poema può considerarsi terminato. Il pubblico conosceva queste cose
benissimo, sapeva chi doveva vincere e se non lo sapeva il verso 9 “Marsilio non può evitare che male
l’incolga”: situazione ribadita varie volte dal narratore. Questo è il RITO: dal punto di vista narrativo è la
negazione della suspance. Il lettore della canzone di Rolando e gli ascoltatori erano lì per rivivere dentro di
sé con una nuova emozione dovuta all’arte dell’autore del poema o dell’esecutore, per rivivere, riprovare
dentro di sé, risentire dentro di sé, le emozioni che una vicenda di questo carattere poteva suscitare in uno
spettatore che era cristiano, portato a condividere gli obiettivi di Carlo Magno, a capirne i sacrifici.
C’è una edizione italiana Mondadori dove i cinque romanzi di Chrétien de Troyes sono raccolti sotto il titolo
di “romanzi cortesi”; altro termine che si può usare è “romanzi arturiani” poiché al centro, non come
protagonista ma come figura costantemente presente, si ha la figura di Artù, mitico iniziatore della
monarchia inglese, quindi il primo fondatore della monarchia inglese. La sua corte è quella Arturiana,
raccolta attorno al simbolo della tavola rotonda, chiamata così poiché nessuno, nemmeno Artù aveva il
dirotto di primeggiare sugli altri e per questo motivo la tavola era rotonda e i posti non erano stabiliti per
ordine di importanza. I romanzi arturiani sono tanti e di tanti autori ma ce n’è uno che brilla di più rispetto
agli altri: Chrétien de Troyes (città alla quale si pensa essere legato). Si tratta di un autore grandissimo, il
suo nome ha consentito ad un celebre studioso italiano ormai morto da qualche decennio, Antonio
Viscardi, che ci presentasse Chretien de Troyes come il più grande poeta fornito di none e cognome del
medioevo occidentale, prima di Dante. Chretien de Troyes si ritiene sia nato intorno al 1135 e si ritiene che
sia morto prima del 1190. Perché Viscardi diceva il più grande poeta fornito di nome e cognome del
medioevo occidentale? Perché altrimenti verrebbe fuori qualche critico a dire che l’autore della chanson de
Roland fosse più straordinario, il quale forse si chiama “Toroldo”, ma è sempre presentato come anonimo,
poiché non c’è affatto certezza che si chiami così. Poi c’è anche l’autore anonimo del Cantar del mio Cid o
“poema del Cid” che è il grand eroe del medioevo spagnolo. Anche l’opera di Per Habat è anonima. I
romanzi di Chrétien de Troyes sono cinque e sono ad attribuire senz’altro a Chrétien.
I romanzi di Chrétien de Troyes sono cinque: il primo prende il nome dei due protagonisti innamorati e
coniugati: Erec ed Elide ed il romanzo è noto come “Erec et Elide”che vivono le loro avventure da sposi che
mettono anche in discussione il loro affetto e matrimonio ma non fino al punto di vanificare il loro amore.
Erec è un cavaliere del re Artur; “Cligès” è un romanzo per lo più ambientato nel mondo orientale,
all’interno dell’impero Bizantino, romanzo di ambientazione originale, in una prima parte sono narrate le
avventure sentimentali ma soprattutto dinastiche del padre e della madre di Cligès Alessandro e
Sordamors, una seconda parte parla delle avventure di Cligès che deve anche recuperare il trono da lui
perduto e nello stesso tempo lo vede innamorarsi di Fenice. C’è poi un momento nel corso del romanzo nel
quale le avventure di Cligès si stabiliscono presso la corte di re Artù che per un certo momento ne è
cavaliere; il terzo romanzo è un romanzo celebre “Lancillotto”, che ha una specie di sottotitolo “il cavaliere
dalla carretta” perché mentre Lancillotto è dedito nella ricerca di Ginevra si trova ad essere appiedato e
non può fare niente per raggiungere Ginevra. Gli appare ad un certo punto in una radura una carretta però
destinato a trasportare al patibolo o comunque da un carcere ad un altro i delinquenti, Lancillotto potrebbe
salire sul carro, lo fa ma con un attimo di esitazione e per qualche secondo esita per la vergogna di dover
salire su un mezzo che è destinato ad ospitare persone malvage, per questo motivo esita. Ginevra lo
rimproverà per avere atteso un attimo nell’episodio della carretta .La vicenda della regina Ginevra, moglie
di re Artù che viene rapita e portata in un paese lontano misteriosissimo tanto che molti ritengono che sia
questo paese nient’ altro che il regno della morte, quindi sarebbe in pericolo la vita di Ginevra. Lancillotto è
il cavaliere che all’inizio non ha nemmeno un nome, poi si scoprirà essere uno dei più valorosi cavaliere di
re Artù, è l’innamorato segreto della regina Ginevra e cerca di liberarla, il romanzo non è concluso; il quarto
romanzo prende il nome del protagonista maschile “Yvain”, anche qui c’è una intensa storia d’amore ma
principalmente anche questa è una vicenda di avventura. Egli vive con la moglie serenamente ma sente di
essere giudicato dall’ambiente che lo circonda, un ambiente cavalleresco. Yvain quindi chiede alla moglie la
concessione di un periodo di libertà dai doveri coniugali, la moglie glielo concede per un tempo stabilito di
1 anno, Yvain dopodichè dovrebbe ritornare accanto a lei ma non lo farà per una distrazione. La moglie
respingerà le richieste di Yvain di ritornare presso di lei e solo alla fine tutto si risolvera, Yvain andrà
incontro numerose imprese, non sarà in formato del fatto che la moglie è comunque sempre accanto a lui e
lo assiste misteriosamente, senza farsi notare, fino a che ad un certo punto Yvain è in pericolo di vita e la
moglie lo salva e il loro amore viene ricelebrato. Anche Yvain ha un sottotitolo “il cavaliere dal leone”,
poiché durante queste avventure, quasi come surrogato della moglie Yvain trova aiuto e compagnia anche
in un leone. L’eroe arturiano di Chrétien de Troyes di solito vaga di corte in corte affrontando nemici,
uomini, giganti, mostri, creature fantastiche; l’ultimo romanzo è incompiuto anch’esso per via della morte
dell’autore ma è il più famoso perché qui si imposta il tema del sacro Grhaal, il titolo è “Percedal” o “le
conte du Grhal”. Il Grhal è un calice nel quale Gesù Cristo ha celebrato l’eucarestia e nello stesso calice
dopo la morte di Gesù e deposizione è stato raccolto il sangue sgorgato dalla ferita del costato di Gesù.
Questo però non si può giurare che sia l’oggetto di cui si parla nel romanzo di Chrétien de Troyes.
Purtroppo, il romanzo è incompiuto e il Grhal nel romanzo di Chrétien de Troyes resta ancora un oggetto
misterioso, c’è un’atmosfera di sacralità che vi aleggia attorno: ha la forma non tanto del calice ma
piuttosto del bacile, connesso probabilissimamente con tematiche cristiane ma non coì esplicitamente. Il
romanzo è quello della formazione di un cavaliere, all’inizio del romanzo Perceval è un ragazzino che vive
con la mamma appartato in un bosco, non sa nulla della vita, è dotato fisicamente ma non ha nessuna
esperienza culturale, non conosce una ragazza e ad un certo punto conosce la cavalleria e si presenta
questo ideale cavalleresco e Perceval è destinato a diventare uno dei migliori cavalieri ma questo avverrà in
altre tappe del romanzo. Qui c’è il MITO: il lettore, perché qui si tratta progressivakmente di lettori, poiché i
romanzi di Chrétien de Troyes areno destinati alla lettura affidata all’inizio ad un esperto che leggeva il
testo agli astanti che non saranno più cortigiani come nelle canzoni di gesta o abitanti di borghi che si
radunavano nelle piazze dei borghi, erano invece inizialmente analfabeti in un primo momento, in un
secondo momento la lettura sarà affidata al sin golo detentore del manoscritto che legge per sé il proprio
manoscritto. Dal punto di vista dell’opposizione tra rito e mito, non è esaltata e nemmeno sottolineata
l’adesione psicologica ai valori dell’amore coniugale ma questo è da scoprire come lo scoprono i personaggi
Yvain ma già prima Erec e da parte degli stessi lettori che però soprattutto sono attratti dalle avventure,
quindi c’è una componente psicologica interessante. Non c’è un’avventura che si ripeta, c’è sempre il
desiderio di novità che è caratteristica del MITO che significa racconto che deve svelare qualche cosa, fare
apparire contenuti o più banalmente avventure che possano essere gradite ai lettori. Quindi non un rivivere
appassionatamente vicende, dati sulla battaglia di Roncisvalle che erano largamente conosciuti come nelle
canzoni di Gesta. I personaggi di Chrétien de Troyes invece si rivelano, Perceval addirittura si rivela a sé
stesso: egli è un ragazzino stupidello e diventerà alla fine attraverso una progressione narrativa il principale
tra i cavalieri di Artù, anche se per definizione il migliore dei cavalieri di re Artù è un tale Galvano (Gauvan)
è l’ideale del cavaliere al quale tutti aspirano ad essere.
La traduzione della prima lassa: la metrica di Pozzoli vede tutti endecasillabi. L’endecasillabo italiano è un
verso di undici sillabe che corrisponde nella versificazione francese al DECASILLABO perché si contavano
dieci sillabe, anzi 4+6 sillabe, eventualmente poteva esserci una sillaba soprannumeraria dopo la quarta
sillaba, o che contenesse una e muta, evanescente, una sillaba soprannumeraria che si aggiungeva dopo la
decima sillaba. I versi della chanson de Roland in poche parole sono 4 + 6 che può diventare 5 +6 e allora
sono 11, può anche diventare 5 + 7 e allora sono 12 sillabe. Quelle che contano però sono sempre e soltano
4 + 6, cioè 10.
6 verso testo francese: non conto la “e evanescente” di “Sarraguce”. Anche ki ed “est” sono contate in
un’unica sillaba. Anche l’ultima “e” di “mountaigne” è sovrannumeraria, questo è un caso in cui abbiamo 12
sillabe e non 10, però due di esse non contano perché sono costituite da una e evanescente e si collocano
dopo la 4 e la decima sillaba. Questo è per dire che i decasillabi della versificazione francese di traducono
automaticamente in endecasillabi, passando alla versificazione italiana.
“Re Carlo il nostro imperatore grande” la “e” finale di grandE va contata. Sono 11 sillabe
È/sta/toin/spa/gna/per/sei/an/niin/te/ri: 11 sillabe
Sono tutti veri di 11 sillabe, non c’è cesura e soprattutto non c’è assonanza. “Grande” del verso 1 posso dire
che assoni con “mare” del verso 3 e basta. Pozzoli aderisce al testo con la sua traduzione in misura
superiore rispetto a quella di Renzo Lo Cascio.
Renzo Lo Cascio è il traduttore del quale si era già servito l’editore Rizzoli nella collezione “Bur” nel 1966
una traduzione della canzone di Rolando che, un po’ perché la casa editrice già la possedeva, un po’ perché
era assai valida, Lo Cascio si è messo d’accordo con Bensi decisero di ritoccare, rivedere la traduzione
poiché questa del 1966 non era stata effettuata sul testo Segre, poiché l’edizione era venuta fuori solo nel
1971. Siccome la edizione curata da Bensi è del 1985, ci voleva l’adeguazione tra testo tradotto e testo da
tradurre, quello antico francese, secondo gli aggiustamenti procurati da Segre.
Traduzione prima lassa di Renzo Lo Cascio, con ASSONANZA RISPETTATA: qui non si tratta di aderire al
verso principe della versificazione italiana, l’endecasillabo, egli fa anche lo sforzo di cerare o comunque di
impostare un verso che sia il più possibile vicino a quello originale quindi fa lo sforzo di un verso italiano che
però possa essere cesorato come quello originale in 4 + 6 sillabe, anche qui cesurato in 4+6 sillabe con
l’eventuale aggiunta di una sillaba sovrannumeraria dopo le prime 4 e di un’eventuale sillaba
sovrannumeraria dopo il gruppo di 6 sillabe:
Alla fine del verso 9, c’è una sigla: AOI (nello scan 44). Molto spesso, in corrispondenza della fine di una
lassa compare questa sigla della quale non si sa il significato. Diciamo che per 180 volte nel corso del
manoscritto di Oxford della chanson de Roland, capita che più o meno in corrispondenza della fine di una
lassa compaia questa sigla che è misteriosa: AOI, nessuno ha risolto in maniera persuasiva il mistero di
questa sigla. Più o meno in corrispondenza, qualche volta capita che la sigla per errore sia in corrispondenza
non del verso finale ma del verso primo della lassa successiva, è probabilmente errore del copista, qualche
volta anche a metà della lassa ma in misura talmente eccezionale da far ritenere che forse il copista
distratto abbia confuso il punto nel quale mettere AOI con la metà della lassa.
Che cosa può voler dire AOI? Nell’edizione della Finoli c’è un elenco di spiegazioni che sono state date,
molte ipotesi, nessuna delle quali però anche a giudizio della Finoli soddisfa pienamente. Per qualcuno si
tratterebbe di un ritornello musicale, per altri si tratterebbe di un vocalizzo, per altri di un indicazione per il
giullare in latino, per altri di un esortazione all’ascolto, per altri un abbreviazione di uno degli emistichi più
memorizzabili della Chanson de Roland, che significa “alti sono i foggi”, per qualcuno è l’abbreviazione di
“amen”, però non leggendo AOI ma “AM”, cosa strana dato che tutti leggono “AOI”, per alcuni sarebbero
lettere gnostiche, cioè con allusioni a qualche filosofia poco cristiana, per altro sarebbero grido di battaglia
del nemico che serve di timbro per il tradimento e per tutte le circostanze tragiche del poema,
abbreviazione di alleluia, esclamazione di incoraggiamento simile a certe marce tedesche (AHOI). Bensi
scrive: la parola AOI che chiude la prima lassa e riappare in numerose altre per lo più in prossimità del verso
finale nel solo manoscritto di Oxford, può rappresentare data la sua collocazione un suggerimento per
l’esecutore della canzone è sarà eventualmente da legare alla componente musicale originariamente
connessa al mondo, ipotesi queste ragionevoli quanto indimostrate: quindi potrebbe essere il suggerimento
al giullare di cambiare musica, di cambiare accordo (viella, strumenti a corde tipo chitarra, mandolini che
potevano realizzare determinati accordi).
verso 1: forse il fatto che Carlo venga subito definito il re è perché l’autore aveva la precisa intenzione di
collegare Carlo alla sua nazione: è il re perché è re di Francia. È imperatore, come viene detto nel secondo
emistichio perché così viene immediatamente collegato con l’impero che però era il sacro Romano Impero
e quindi viene collegato non solo con la nazione di Francia ma con la cristianità, con il mondo cristiano
d’occidente. L’aggettivo GRANDE (magnes, latinismo) ce lo fa collegare con la storia: Carlo Magno è grande
come lo è stato Alessandro magno, in rapporto alla storia. Anche l’aggettivo NOSTRO: inteso come “grande
imperatore” del medioevo però il possessivo NOSTRO esprime l’adesione incondizionata dell’autore e del
suo pubblico ai valori individuati dagli appellativi di Carlo. Ci sono i tre appellativi. Re, imperatore, Magno e
c’è questo aggettivo “nostro” che li riassume in una espressione semplice che esprime l’adesione
incondizionata e dell’autore e dal suo pubblico ai valori incarnati dall’aggettivo di Carlo. Qui siamo nel RITO
appunto perché NOSTRO esprime questa adesione incondizionata. Carlo, nel corso del poema avrà anche
dei momenti di cedimento, farà dei brutti sogni che gli presenteranno le sorti della battaglia di Roncisvalle,
però resterà esente da ogni sospetto, difetto, è anche lui responsabile in qualche modo della Battaglia di
Roncisvalle però è sempre il NOSTRO imperatore per il pubblico che lo legge, l’imperatore di tutti, colui che
incarna i sogni, desideri e aspirazioni di tutti i guerrieri della parte cristiana.
LASSA SECONDA:
Li/ reis/ Mar/si/lie/ (non conta) es/tait en/ Sar/ra/gu/ce (non conta).
ASPETTI METRICI: l’assonanza: siccome nella prima lassa quelle assonanze con l’eccezione del verso 5 si
richiamavano a vicenda, qui no. Il verso 10 termina con “Sarraguze”, l’assonanza sarà: 1-E. questa “e” non è
netta ma è evanescente. Lo stesso sarà per tutti i versi di questa lassa che va dal verso 10 al verso 23.
Nel verso successivo abbiamo “umbre”: la vocale tonica è la “u”, la vocale atona è la “e” evanescente. Tutto
quello che sta in mezzo può variare, qui abbiamo una serie di tre con sonanti, mentre nel verso precedente
avevamo semplicemente la “c”. nel verso 12 abbiamo “culched”, anche se la “e” atona non è finale ma è
seguita ancora dalla “d”, le due vocali che fanno assonanza sono la “u” e la “e”.
Ci sono dei versi che metricamente ma anche sul piano del senso non si capisce bene che cosa vogliano
dire, si usa la cosiddetta “crux desperziones” cioè la croce di disperazione che è un simbolino che viene
applicato spesso nel corso del poema
TRADUZIONE LETTERALE:
Il re Marsilio è figura che non ha corrispondenza nella storia vera del 778, gli avversari di Carlo Magno
erano musulmani, in realtà montanari baschi, non erano comunque quelli di Marsilio, quindi non è
personaggio storico. Nell’anno 778 Carlo Magno si trovava in Spagna a combattere dei musulmani ma non
si può parlare di crociata, poiché per queste bisogna aspettare qualche secolo, ma non si può nemmeno
parlare di spirito di crociata perché sappiamo che Carlo magno si trovava in Spagna per combattere dei
Musulmani ma alleato di altri Musulmani. Quindi i Musulmani dal tempo di Maometto si erano già decisi in
due tipi di partiti, si sa che c’erano i Musulmani Almoravidi e altri partiti. Quindi, Carlo Magno era lì a
combattere certi musulmani ma alleato e quindi per conto di ALTRI musulmani. In più, c’è il fatto che per
qualche motivo Carlo Magno viene richiamato ed è indotto a ritornare in patria, il grosso dell’esercito si
dirige verso la Francia e un drappello costituito da guerrieri particolarmente addestrati guidati da Rolando,
costituisce la retroguardia. Le truppe di Carlo magno stanno avviandosi verso la Francia e sono guardati alle
spalle da un drappello, uno schieramento di guerrieri particolarmente validi. Questi saranno aggrediti nella
vera storia forse da montanari baschi. Nel poema questa retroguardia è formata invece da 20mila guerrieri
guidati da Rolando che saranno aggrediti da 400m ila saraceni, guidati da Marsilio e altri capi musulmani al
servizio di Marsilio.
su una grossa pietra di marmo venato di blu (bloi deriva dal germanico blao) si corica
Egli si volge, chiama ai suoi duchi e ai suoi conti: (notiamo che il mondo musulmano utilizza però, talvolta,
spesso, termini propri del mondo degli avversari, non che manchi nel corso della chanson de Roland il
ricordo a termini che richiamano ciò che l’autore sapeva del mondo Musulmano ma qui il termine duca e
conte sono termini che sarebbero più naturali sulla bocca di Carlo Magno che ha dei duchi e dei conti,
anche Rolando è un conte. Strano quindi che l’autore faccia parlare Marsilio così)
- Odite signori, quale disgrazia incombe su di noi (forse “encumbret” ha piuttosto l’idea di incontro,
inciampo, imbarazzo)
L’imperatore Carlo di Francia dolce (è un po’ strano l’aggettivo dolce se messo sulla bocca del capo dei
musulmani che non può ritenere dolce la Francia. L’espressione “dolce Francia” incredibilmente ha resistito
ai secoli quindi per la prima volta troviamo un’espressione che è stata costantemente usata per tutti i secoli
a venire sino ad un cantautore francese che nasce nel 1914 e muore nel 2001, Charles Trennet che scrisse
“la mère”, famosa perché è incappata in una traduzione in lingua inglese affidata a un cantante americano
molto celebre Bobby Darin che negli anni ’60 l’ha tradotta ed è diventata “beyond the sea” ed è stato un
successo strepitoso all’epoca. Recentemente anche Robbie Williams ha riproposto questa canzone e anche
Rod Stewart ha fatto la sua più recente versione nel 2020 di Beyond the sea. Charles Trennet è anche
l’autore di “que est-il de nos amour” dove c’è un mezzo verso famoso che parla di “baisers volés” che
significa “baci rubati” ed è anche il titolo di un famoso film di Francois Tropeau. Tra le canzoni celebri di
Tronnet c’è anche appunto “douce France”, canzone celebre il cui titolo stupisce venire citato parecchi
secoli prima dall’autore di Chanson de Roland)
Non ho un esercito che possa dargli battaglia (cosa vuol dire dato che l’esercito di Marsilio è di 400mila
saraceni? Lo si interpreta così “non ho un esercito che sia all’altezza del nemico” quindi l’esercito è
immenso ma a livello tattico e organizzativo non sembra funzionare)
Nessuno ha il coraggio di rispondere (tutti sono presi dalla paura o dall’imbarazzo nel cercare una soluzione
al problema delle truppe di Marsilio)
23.11.2020
Lassa seconda: questa lassa va confrontare con la lassa CLXXXVI (scansione 46). La lassa 186 può essere
definita la prima lassa della seconda parte del poema. La prima parte del poema vede innanzitutto il
cosiddetto “consiglio dei baroni saraceni”, nonostante sia strana la parola “baroni” per caratterizzare o
richiamare elementi della feudalità saracena, araba. All’inizio del poema troviamo quindi “consiglio dei
baroni saraceni”, Marsilio è in una brutta situazione. Come diceva il verso 9 del poema della lassa numero 1
“non può evitare che una qualche disgrazia non lo colpisca”. Nella seconda lassa Marsilio, re di Zaragoza ed
un tempo re della Spagna islamica che però ormai ha perso completamente il proprio potere su tutti i
territori della Spagna con l’eccezione di Zaragoza. Marsilio raduna un consiglio di suoi baroni e chiede
consiglio. È a Zaragoza, questo ce lo dice il verso 10, è in un giardino “è andato all’ombra di un albero in un
giardino”. Nel verso 12 si dice che Marsilio si è coricato su di un pietrone di marmo azzorrato. Al verso 13 si
vedono intorno a lui un numero di rappresentanti dell’esercito o società saracena, 20mila uomini. Dopo di
che Marsilio si rivolge ai suoi baroni o conti e chiede consiglio dopo aver dichiarato quale sia la sua
situazione: è nei guai. Al verso 15, l’imperatore Carlo di Francia dolce è venuto ad annientare, contrastare il
poco potere rimasto a Marsilio. Marsilio non ha un esercito che possa mettersi a confronto con quello di
Carlo Magno, per motivi tattici-strategici. Subito dopo viene anche detto “anche la popolazione arruolata
alle truppe di Marsilio non è paragonabile a quella di Carlo Magno” dal punto di vista del valore militare
anche individuale. Marsilio chiede consiglio ai suoi sabi in modo da essere eventualmente salvato dalla
morte e dalla vergogna. Nessuno risponde poiché nessuno ha l’idea buona, tranne Biancandrino che avrà
quella che in apparenza sembra un’idea buona e la presenterà a partire dalla lassa terza. Biancandrino gli
suggerisce una astuzia e perfidia ai danni di Carlo Magno e dell’esercito cristiano: gli suggerisce di far finta
di voler intavolare trattative di pace con le truppe cristiane e questo consiglio è accolto da Marsilio e
organizza una spedizione guidata dallo stesso Biancandrino la quale si recherà al campo cristiano a
colloquio con Carlo Magno presentando le proprie proposte di pace. In realtà Biancandrino suggerisce a
Marsilio di intavolare queste trattative di pace ma solo per guadagnare tempo, riorganizzare l’esercito e
combinare qualcosa che per ora non è ancora nella loro mente. Biancandrino alla guida di altre nove
guerrieri si recano al campo di Carlo Magno, fanno la loro proposta di pace e nasce un dibattito all’interno
del campo cristiano. Alcune sono le figure che si esprimono a proposito di questa proposta di pace
saracena, c’è qualcuno che sembra volentieri aderirvi e c’è qualcuno come Gano e il suo figliastro Rolando
che invece esprimono pareri nettamente contrapposti. Gano, è per la pace. È una persona che è stata
provata dall’esperienza dei setti lunghi anni che l’esercito cristiano ha passato in Spagna e che lo inducono
a proporre di accettare le proposte di pace di Marsilio. Rolando la pensa oppostamente, sa che già in
passato ci furono proposte di pace dai saraceni a Carlo e queste si erano rivelate un inganno che aveva
fatto delle vittime cristiane. Inoltre Rolando è proprio per la guerra ad oltranza, in più qui sospetta che ci
possa essere un qualche inganno. Alla fine il parere che prevale è quello tragico, si decide di accettare la
pace e quindi prevale il parere di Gano, di Namo (principale consigliere di Carlo) e poi anche dello stesso
Carlo Magno il quale è saggio ma in questo caso sente la responsabilità come Gano dei setti anni di guerra.
Si tratta quindi di decidere subito nello stresso consiglio cristiano chi, tra i principali esponenti dell’esercito
di Carlo possa recarsi al campo saraceno a discutere a proposito delle trattative di pace. Si offrono in
parecchi, alcuni esponenti dell’esercito cristiano, anche Rolando si offre ma la sua candidatura viene
respinta. Carlo non può accettare che Rolando ma anche Oliviero possano essere esposti al rischio di
un’ambasceria presso il campo saraceno. Oliviero per Rolando è un amico con il quale Rolando condivide
tutti i pericoli, sofferenze della guerra. In più, Rolando è fidanzato con Alda che è la sorella di Oliviero.
Quindi c’è questa grande amicizia che nella chanson de Roland ha il nome “champaignance”. Il pubblico era
già al corrente del fatto che Rolando avesse una promessa sposa, Alda, sorella di Oliviero. A questo punto è
lo stesso Rolando che con un piccolo di malizia nei confronti del patrigno propone Gano come ambasciatore
presso il campo saraceno. Gano non può rifiutarsi ed è costretto dalle circostanze ad accettare questa
incombenza, però dichiara esplicitamente che a questo punto i suoi rapporti con Rolando si sono
definitivamente deteriorati e dichiara il suo odio per Rolando, Oliviero, per i dodici pari (Rolando, Oliviero e
altri 10 costituiscono un drappello di eroi al servizio di Carlo Magno). Gano parte verso il comando Saraceno
accompagnato da Biancandrino e mostrerà ancora un residuo del suo valore indiscutibile nel presentare la
posizione di Carlo a Marsilio, non presentandola con timore ma con le circostanze di rancore che nutre nei
confronti di Rolando che inducono Gano al tradimento. Non è un proprio tradimento al 100%, Gano quando
poi alla fine del processo verrà condannato potrà difendersi dichiarando che lui non ha agito per podio nei
confronti di Carlo ma per odio nei confronti di Rolando. Gano accetta dei doni da Marsilio e organizza
insieme a questo qualche mossa militare che dovrà portare alla morte di Rolando. Si organizza il fatto che
una volta che Marsilio si sarà accordato con Carlo Magno questo sarà indotto a partire per la Francia e
lasciare la Spagna soltanto per garantirsi un rimpatrio sicuro, Carlo lascerà dietro di sé una retroguardia di
20mila soldati dei quali faranno parte anche i dodici pari, quindi compreso Rolando. Dopodiché si avrà la
battaglia di Roncisvalle. La retroguardia rimane indietro di qualche km e quindi viene attaccata
improvvisamente da un esercito saraceno di 400mila soldati come riportato nella chanson de Roland e
comincia la battaglia di Roncisvalle. La battaglia di Roncisvalle è narrata prendendo in considerazione non
tanto i 400mila saraceni e 20mila cristiani ma prendendo in considerazione i principali eroi. Ci sono degli
eroi saraceni che si propongono come guida della battaglia e poi Rolando e i dodici pari dall’altra. C’è anche
la figura di Torpino, conosciuto anche come “l’arcivescovo” è un ecclesiastico combattente, ha compiti
religiosi di assistenza spirituale per gli eroi cristiani ma è un combattente come tutti gli altri. La battaglia
termina quando Rolando si trova ad essere l’unico combattente cristiano rimasto, è aggredito da quello che
rimane dell’esercito saraceno perché il paradosso di questa battaglia è che alla fine i 20mila soldati di Carlo
Magno starebbero quasi per prevalere su quello saraceno. Rolando rimane solo con pochissimi avversari
ma muore. Egli non viene ucciso, rimane un certo mistero da parte dell’autore sul motivo che ha condotto
Rolando a morte. Rolando muore forse soprattutto perché ha dato tutto di sé nella battaglia, ha combattuto
più che valorosamente nessuno l’ha ferito a morte e forse per l’esaurimento delle proprie forze ad un certo
punto cade morto. Oppure, si può anche pensare ad un particolare sul quale l’autore insiste abbastanza
cioè che Rolando si sia battuto con tale impegno che dalle orecchie, fronte gli esce della materia. Prima di
Rolando muore anche Oliviero ma prima di morire sono note due scene: le scene del corno. Oliviero, eroe
formidabile come Rolando o quasi è però definito “saggio”, mentre Rolando è definito semplicemente
“rode”. Oliviero ad un certo punto della battaglia di Roncisvalle la retroguardia cristiana è comunque
destinata alla sconfitta e chiede allora a Rolando di suonare il corno chiamando in aiuto Carlo Magno.
Rolando, veniamo a sapere dalla narrazione che aveva tante specialità belliche, una di queste era la sua
formidabile abilità nel suonare il corno, il famoso corno di Rolando che viene chiamato “olivante” perché è
di avorio, ricavato da una zanna di elefante. Rolando però è orgoglioso e non vuole suonare il corno poiché
sarebbe un segno di cedimento nei confronti del nemico, non vuole che Carlo agno venga a salvarli ma
vuole salvare tutti lui. Questa è la prima scena del corno nella quale Oliviero richiama anche la fidanzata di
Rolando per convincerlo a suonare il corno. Rolando però non risponde e in tutta la chanson de Roland non
manifesta un solo pensiero per la fidanzata. Ci sarà poi una seconda scena del corno: Rolando ad un certo
punti, resosi conto che è necessario il soccorso di Carlo Magno si offre di suonare il corno e questa volta
Oliviero gli consiglia di farne a meno poiché ormai è troppo tardi. Alla morte di Rolando si vede che lui si
decide finalmente a suonare il corno. L’esercito di Cralo e Cralo in prima persone sente il richiamo
proveniente da km e km di lontananza del formidabile corno. Gano naturalmente fa finta di non aver
sentito e poi di non considerare quel suono. Alla fine, l’esercito di Carlo Magno fa finalmente marcia
indietro, arriva a Roncisvalle, vendica la retroguardia guidata da Rolando e i famosi 400mila guerrieri
saraceni che già non sono più di 400mila vengono annientati dall’esercito di Carlo Magno. Con questa
vittoria di Carlo Magno sulle troppe di Marsilio il quale nel testo della tradizione beta ha perso un braccio.
Nella tradizione alpha Marsilio perde soltanto il pugno quindi la mano destra e quindi il suo principale
strumento di battaglia. Marsilio è sconfitto, Carlo è trionfante ma nello stesso tempo ha perso il fiore del
suo esercito, identifica il cadavere dei principali suoi guerrieri perlustrando il campo di battaglia e qui finisce
la prima parte del poema. Con la lassa LXXXXVI inizia la seconda parte del poema nella quale quasi subito si
segnalerà l’arrivo di un ancora più formidabile esercito musulmano condotto da Valigante, guerriero del
Cairo. È un esercito ancora più attrezzato, numeroso di quello di Marsilio ed è il nuovo nemico che si
presenta a Carlo. Marsilio però è ancora vivo e adesso l’autore della canzone di Rolando nella lassa
LXXXXVI.
LASSA CLXXXVI
Sarebbe un perfetto esempio di lassa similare alla lassa II che termina con la presentazione di Biancandrino
che sta per prendere la parola nel consiglio dei baroni saraceni. Per esempio, durante la battaglia di
Roncisvalle i dodici pari troveranno dei temibili avversari e 12 guerrieri saraceni che prima si presentano
uno per uno, hanno diritto ciascuno di essi ad una lassa o a mezza lassa per presentarsi e dichiarare la loro
volontà di combattere strenuamente per la vittoria di Marsilio. Questa è la scena che si chiama
comunemente delle “vanterie dei guerrieri saraceni” tutti si vantano anche in maniera colorita e lo faranno
poi anche se alla fine risulteranno tutti uccisi. Queste 12 lasse nelle quali i guerrieri saraceni vantano le loro
virtù militari sono costruite allo stesso modo ma non sono noiose perché l’autore riesce a connotare
ciascuna di queste lasse con esperienze particolari, pur ripetendo gli stessi contenuti. Queste sono un
esempio di lassi similari, lo saranno anche lasse che parlano dei guerrieri cristiani e saraceni. Gerino e
Gerriero sono un altro esempio di compagnoinance e sono amici e combattono insieme. Le varie scene di
battaglia che sono efficaci nella chanson de Roland sono anche costruite nello stesso modo, per questo
lasse similari. Lo stile e tecnica narrativa della canzone di Rolando è il cosiddetto stile formulare che
organizza tutto il poema: ci sono delle formule che compaiono in maniera ossessiva.
Confronto tra lassa II e XLXXXVI: caso eccezionale di lasse similari dove l’intenzione del narratore è di
costituire una cerniera tra la prima parte e la seconda parte del poema. La similarità serve per far vedere
come la situazione di Marsilio che a noi lettori sembrava già disperata nella seconda lassa si fa ancora più
grave a partire dalla lassa XCXXXVI perché Marsilio ormai è sconfitto ed affida le sue sorti all’eventuale
vittoria di Valigante su Carlo, lui ormai è fuorigioco e morirà alla fine del poema in un modo che ricorda un
passo della Bibbia, a letto sofferente e con la testa sofferente verso la parete.
Verso I lassa 186: costruito nello stesso modo: il re Marsilio fugge a Zaragoza
Non solo il primo emistichio ma anche le ultime quattro sillabe del II emistichio sono identiche.
c’è il senso del peggioramento della situazione: prima era un semplice trasferimento nello spazio, ora è uno
scendere (da cavallo probabilmente)
verso III lassa II: su una terra di marmo azzurro siede, se uno si corica, si siede è comunque sempre in una
situazione di dignità.
Verso 2573: sull’erba verde, molto sconciamente, disfatto, si stende. Quindi qui si perde tutta la dignità.
Quella che era in partenza una situazione dignitosissima di Marsilio poggiato su di un lastrone azzurro,
adesso è diventato un prato verde d’erba sulla quale Marsilio si lascia cadere in modo disfatto. Ha perso
quindi ogni dignità. Subito dopo ci viene spiegato che nella lassa cento ottantasei che ha perso tutta la
mano destra. Sviene e sente tutta l’angoscia del sangue che ne esce dalla sua mano.
Si parla poi della moglie di Marsilio che si chiama Bramimonda e nelle lasse finali della chanson de Roland si
convertirà al cristianesimo davanti a lui, piangendo e grida e forte si lamenta e insieme a Marsilio ci sono
ancora più di 30mila uomini. Questi 30mila uomini sarebbero nel manoscritto di Oxford 20mila, soltanto
che mancherebbe una sillaba e Segre ha risolto il problema aggiungendo un simbolo del “10” e quindi i
ventimila sono diventati trentamila, i quali maledicono Carlo e la “dolce Francia”, termine già trovato nella
lassa II al verso XVI.
La parola “unt” in assonanza al verso 2582 l’avevamo già trovata nella lassa II al verso 21.
Verso 11: le varianti in questo verso ci dice che V4, il principale e attendibile rappresentante della
tradizione beta perché ne è l’unico che per gran parte del poema sia assonanzato come O, ha il suo verso
17. V4 al verso 17 ci dice che “de sot une olive seit a l’ac all’onbre” : sotto un ulivo se n’è andato all’ombra.
Verso 2571 lassa CLXXXVI: si tratta sempre del codice O a questo verso non ha più il verger ma l’olive,
“un’olive”. Così recita O nella lassa 286. Questo è un buon indizio per correggere mentalmente il verso 11.
Forse, su suggerimento di V4, “verger” sarebbe da sostituire con “olive”. V4 ma anche C7 anche l’olivo,
quindi l’olivo è caratteristico della tradizione beta. Anche N, tradizione norvegese, dice ancora “olivo” e
anche K, traduzione tedesca. Segre allora dice che, secondo lui, ha ragione O. soltanto per estrema
prudenza, siccome questo è il codice più autorevole, diamo ragione ad O. una cosa che Segre nota è che
l’ulivo potrebbe differenziare Marsilio da Carlo, o meglio l’esercito Cristiano da quello saraceno. Se si
guarda il testo della chanson de Roland si vede che quando ci sono scene saracene, l’ulivo prevale sul pino e
alla fine si arriverà ad ipotizzare che il pino è l’albero dei cristiani, l’olivo è quello dei saraceni. Il clima è
l’albero della natura nordica, il pino invece è mediterraneo. Segre lascia quinti capire che anche lui sarebbe
tentato a preferire questa variante di “olive” piuttosto che “verger” ma comunque non se la sente di
correggere O stavolta.
Lassa III
Biancandrino viene presentato nella lassa II e qui ci viene spiegato chi sia. Egli sparirà dopo la scena del
tradimento di Gano senza che sia morto o partito.
Settecento cammelli e mille astori (uccelli idonei alla caccia simili agli sparvieri) “muers” vuol dire “che
hanno ultimato la muta delle penne” legato al fenomeno di cambio delle piume negli animali. “muers” è
l’aggettivo riferito alla muta delle penne. Perché l’autore specifica che gli autori hanno superato la muta
delle penne? Perché la muta delle penne talvolta metteva in pericolo la vita degli astori
così che Carlo potrà ben ricompensare i propri soldati in realtà ai tempi di Carlo Magno non si usava pagare i
soldati, quindi non è che l’oro, l’argento e cinquanta carri possano essere consegnati ai soldati, si usava
arruolare i soldati e il procedimento si chiamava “ost (esercito) banie (bandito” cioè esercito arruolato
tramite un bando
in Francia ad Ains intende rifugiarsi. Questa città si chiama anche Aquisgrana, in tedesco si chiama “Achen”
ed è in Germania, nella regione della Renania ed è quasi ai confini con il Belgio e con l’Olanda. Questa città
Achen in francese si chiama Aix-la-Chaitelle perché la cappella di Aix era particolarmente famosa e quindi
questo è il nome per indicare la località. In Italiano, la località è Aquisgrana. Sembra che nel 778 era sentita
come la capitale dell’impero di Carlo Magno ma nel 778 non c’era nemmeno l’impero. Qualche anno dopo
il 778 diventa capitale dell’impero. Aquisgrana era una città termale. Marsilio consiglia a Carlo di recarsi ad
Ains per la testa di san Michele, figura angelica di grande importanza. C’è un celeberrimo santuario nella
località “Mont San Michelle, dove c’è questa abazia che è collegata al continente soltanto da una tenue
striscia di terra che, in caso di marea, scompare e fa sii che questa località rimanga isolata dai paesi vicini.
persino i figli di noi alti dignitari, inviamogli i figli delle nostre mogli
fosse anche ucciso, io manderò il mio Biancandrino espone quindi anche suo figlio per il bene della patria
Lassa IV: RIPETIZIONE DEGLI STESSI CONTENUTI, RALLENTAMENTI DELL’AUTORE DELLA CHANSON DE
ROLAND
Sembra che una certa azione sia ripetuta, in particolare quando carlo Magno perlustra il campo di battaglia
di Roncisvalle alla ricerca dei cadaveri, quando egli fa questa operazione, sviene per il dolore. Sembra,
leggendo il poema, che gli avvenimenti siano tre e per tre volte lui cade per terra e invece no: è la tecnica
narrativa della chanson de Roland che blocca metaforicamente certe immagini che sono per l’autore di
grande interesse
non avrà da noi parole né notizie (non gli faremo sapere niente)
25.11.2020
Seconda parte del poema: manca la figura centrale di Rolando. Nell’edizione curata da Bensi spesso
all’interno del poema compaiono dei commenti di tipo strutturale, cioè che cercano di dimostrare i rapporti
tra le varie lasse. C’è un commento per esempio alla lassa 1 che è fondamentale, poi un commento dalla 2
alla 7 lassa, dopodiché un commento dalle lasse 8 alla 11 e così si va avanti fino alla famosa lassa 186 dove
troviamo un commento a varie lassi, la prima è la 186 dove si trova la nuova rappresentazione del dramma
di Marsilio re di Spagna. Il gioco dei parallelismi tra la lassa II e 186 vedeva che Marsilio nella lassa II
manteneva un’autorità, mentre nella lassa 186 le stesse parole esprimevano un concetto quasi negativo.
Nella lassa 187 si annuncia l’arrivo di Valigante, figura che sorge all’improvvisa. Egli è l’emiro del Cairo,
luogo che nel poema è chiamato Babilonia, con parole bibliche che evocano la torre di babele. Era stato
chiamato in soccorso da Marsilio e giunge quando ormai per Marsilio non c’è più niente da fare, può ancora
però Valigante risollevare le sorti dell’islamismo perché lui ne è il supremo comandante, responsabile
dell’islamismo internazionale.
Nella lassa 188 si presenta Valigante, viene dato qualche ragguaglio sul suo viaggio: egli parte da
Alessandria, giunge in Spagna e marcia verso Zaragoza, nel nord della Spagna. Tra le lasse 186 e 201
Valigante assume ogni potere, quindi prende il posto e le autorità di Marsilio con il suo consenso e procede
ai preparativi di una nuova guerra contro Carlo Magno.
Altro raggruppamento lasse dalla 202 alla 212: sono le scene che vedono Carlo piangere davanti al
cadavere di Rolando. Carlo compie la sua perlustrazione del campo dio battaglia, molti intorno a lui
provvedono al seppellimento dei combattenti cristiani, Carlo in particolare ha una meta certa che è il
cadavere di Rolando e piange davanti a questo. Rolando nel corso della battaglia aveva giurato a sé stesso
di non ritirarsi mai, di combattere fino in fondo e quindi alla fine è rintracciato da Carlo anche perché è il
guerriero cristiano che si è spinto più innanzi verso il nemico. Il suo impegno era quello di morire con lo
sguardo rivolto verso il nemico e così Carlo Magno lo ritrova. Seguono le onoranze funebri tributate ai
guerrieri cristiani ed in particolare a quelli che sono i TRE PERSONAGGI PRINCIPALI NELLA FASE DELLA
BATTAGLIA: ROLANDO, OLIVIERO che muore per terz’ultimo, poi ci sarà la moglie di Torpino e di Rolando,
TORPINO. Questi tre guerrieri vengono inviati da Carlo Magno verso la Francia, verranno sepolti nella
località di Blaye in una chiesa dove si hanno delle testimonianze estranee alla chanson de Roland che
confermerebbero la sepoltura di Rolando per lo meno a Blayes in questa chiesa. Sono due testimonianze e
una di queste testerebbe che le reliquie di Rolando sarebbero state ancora visitabili a Blayes nei primi anni
del secolo XVI quindi molto molto tempo dopo. Rolando è morto quasi sicuramente il 15 agosto del 788
nella battaglia di Roncisvalle. Oliviero è un personaggio fantastico. Noi non sappiamo nulla della presenza
nella battaglia di Roncisvalle di Oliviero. Torpino è invece un personaggio storico realmente esistito MA si sa
per certo che nel 778 era ancora vivo, che alcuni anni dopo sia morto ma quindi non ha partecipato in alcun
modo nella battaglia di Roncisvalle, è morto nel suo letto qualche anno dopo la battaglia di Roncisvalle, è
stato semplicemente richiamato a servizio dall’autore della chanson de Roland.
Lasse tra 213 e 235: in questo gruppo di lasso viene preparato dall’autore il confronto tra i due eserciti,
quello cristiano e quello saraceno ma per come l’autore ha manipolato, presentato la situazione, in un
certo senso quello che viene preparato è il confronto diretto tra Carlo e Valigante, che ad un certo punto ci
sarà davvero. Vengono descritti analiticamente i due schieramenti ma comincia ad affiorare che il confronto
decisivo sarà un duello tra i due.
Lasse dalla 236 alla 266: la battaglia ormai è preparata e si svolge. I due eserciti sono in campo aperto, sul
campo di battaglia che è PIANO, il che significa che i vari componenti dell’esercito di Carlo Magno possono
vedere a grande distanza ma senza ostacoli, lo schieramento dell’esercito saraceno. La battaglia ci sarà in
queste lasse, ci sono degli scontri che si rappresentano consecutivamente e dissimilarmente scontri
individuali. La battaglia c’è ma noi lettori avvertiamo e sentiamo progressivamente che questa battaglia è
principalmente in tesa come un preludio a quello che sarà un duello singolare tra i due anziani comandanti
supremi dei due eserciti. Succede infatti che, caduti entrambi da cavallo quando a cavallo si erano scontrati
con le lance e poi, caduti da cavallo, passeranno alle spade. Carlo vince. Carlo stava per soccombere nel suo
affronto ma prega Dio che gli manda aiuto nello spirito di San Gabriele che soccorre, assiste, sostiene
moralmente Carlo nel momento in cui è sul punto di cedere e alla fine riesce a prevalere su Valigante.
All’interno di questo gruppo di lasse ci sarà poi la fuga dei pagani, ci sarà un breve accenno alla morte di
Marsilio che soffre enormemente per la perdita della mano, fino al polso, muore. Il potere monarchico di
Spagna è subito associato alla moglie di Marsilio, Bramimonda. Segue il battesimo di massa dei saraceni.
Questa pratica del battesimo di massa, ottenuto anche grazie alla violenza, dopodichè si ha il ritorno del re
Carlo ad Aquisgrana. I versi sono 3667-3671: l’autore non ha difficoltà ad ammettere la violenza usata verso
i saraceni per portarli alla conversione. Se ne battezzano più assai di 100mila, però non la regina, che
condurranno in Francia in prigionia, il re la vuole per lui convertire. La conversione di Bramimonda sarà
narrata nella penultima lassa del poema.
Lasse 267-276: dedicate al processo di Gano. C’è una lassa dedicata alla morte di Alda, che nel poema in
francese moderno si traduce con “Aude”. Alda è la fidanzata di Rolando. L’imperatore tornato è dalla
Spagna al miglior luogo di Francia (Aquisgrana, che ora è in Germania), ad Aquisgrana, giunto al palazzo
viene dentro la sala Alda, una bella signora, si fa innanzi e dice “dove è Orlando, il capitano che mi giurò di
prendermi a compagnia? Alda non la mette sul sentimento, Orlando è colui che le ha promesso di sposarla,
quindi la condizione matrimoniale prevale, mia gran dolore mia grande angoscia Carlo. Carlo si mette a
piangere, tira la barba bianca e le da la notizia e dice “sorella, amica, d’un morto mi domandi, ma io ti
voglio dare un bel contraccambio, Ludovico (il Pio)” quindi in cambio per Alda c’è la prospettiva di sposare
Ludovico il Pio, il mio figliolo, che terrà le mie marpie. . Alda risponde “sono parole strane, non piaccia a Dio,
né agli angeli, né ai santi, che dopo Orlando io viva rimanga” Alda perde il colore, cade ai piedi di Carlo,
subito è morta, e Dio ne colga l’animo, tutti i baroni di Francia la piangono. Quando si dice che la chanson
de Roland è un maestro di sobrietà: la commozione per Alda è facilmente intuibile, palesemente dimostrata
da questa lassa e nello stesso tempo non c’è alcuna accentuazione di sentimentalismo ma fredda
registrazione del dolore di questa ragazza, Alda è morta. Questo è un minimo passaggio che introduce al
processo di Gano. Il processo ha qualche cosa del processo inteso da noi oggi, Gano può difendersi, è
accusato di tradimento e si difende dichiarando che lui non ha tradito poiché non ha agito contro Carlo ma
si è semplicemente vendicato di Rolando. Dichiara che il suo nemico fosse Rolando, il quale lo aveva
sfidato, aveva giurato odio a Rolando, Oliviero, e di tutti gli altri dieci che costituiscono l’insieme dei 12 pari.
I giudici sono stati ovviamente scelti tra imminenti dignitari della parte cristiana, francese. I giudici già
sembrano prendere per buona la giustificazione di Gano. A questo punto interviene Pinabello, parente di
Gano, in sua difesa ma non sta a difenderlo con argomenti giuridici ma la butta sul suo carattere bellicoso,
lui, Pinabello è disposto a sfidare chiunque voti per la morte di Gano. Pinabello il poeta della chanson de
Roland ce lo presenta sobriamente ma si capisce che è figura temibilissima dal punto di vista militare,
atletico, ha la fama di essere un valorosissimo combattente. Ecco che allora i giudici stanno per assolvere
Gano, quando interviene un guerriero valoroso che non incute timore o rispetto perchè è piccolino,
Teodorico d’Angiò e questo per amore della giustizia e riguardo nei confronti di Rolando, accetta la sfida di
Pinabello. Ci sarà dunque un duello nelle lasse successive.
Lasse 277-290: Teodorico vince nel duello contro Pinabello, inaspettatamente, e Gano è condannato a
morte. Subito si procede all’esecuzione della condanna a morte di Gano: il supplizio di Gano. Il supplizio è
raccapricciante: le due mani e i due piedi sono legate alla coda di quattro cavalli che vengono frustati e
spediti quindi in quattro direzioni. È il supplizio dello squartamento. Alla fine il corpo di Gano sarà diviso in
quattro parti. Nella penultima lassa del poema, la 289esima, la regina Bramimonda saracena si converte al
cristianesimo, cambia nome e si chiamerà Giuliana. Ultima lassa, la 290: l’autore si rivela grande anche in
quest’ultima lassa. La lassa 290 non comprende il trionfo di Carlo. Carlo ancora termina l’ultimo verso con
una nuova malinconia, quella che lo ha caratterizzato dall’inizio alla fine del poema. A Carlo Dio assegna
ancora attraverso l’arcangelo Gabriele un nuovo impegno: Carlo sentiva fortemente il peso dei sette anni di
guerra, la sua responsabilità e adesso non può andare incontro ad un meritato riposo ma gli viene affidato
un impegno nella terra di Biran dove un re cristiano è ancora oppresso da infedeli e Carlo deve
occuparsene. Dio disse quanto penosa è la mia vita e dopo comincia a piangere, la barba bianca tira.
L’ultimissimo verso è quello dove compare il nome dell’autore presunto del poema. Il poema termina con la
MESTIZIA di Carlo che naturalmente è pronto a cogliere la chiamata di Dio, però prova una sorta di mestizia
“così penosa è la mia vita”.
TRADUZIONE FRANCESE:
Joseph Bédier ha imposto un modo di condurre l’edizione critica della chanson de Roland impostato sulla
preciélance de O (Oxford, Biblioteca baudleriana dell’università di Oxford) del quale sostiene con eccellenti
mezzi dialettici la PRECIELANCE, quindi che il testo di O vada difeso a spada tratta e senza esitazioni. Segre
propone una soluzione di conciliazione tra il testo di O e la verosimiglianza del testo di O che spesso è
criticabile per tanti motivi. In quei casi Segre o ritiene di correggere il testo di O, avvalendosi del riscontro
con V4 per esempio della tradizione Beta che pur essendo linguisticamente disastrato può fornire una sua
più attendibile versione in tanti casi in cui Segre acconsente a raccogliere la sua versione. Oppure, Segre
come nel caso del verso 11 rinuncia a correggere O ma segnala da qualche parte nell’apparato che avrebbe
il desiderio di correggere O ma non si azzarda a farlo perché non ha tutti gli elementi che gli consentano di
operare una correzione. Bédier è stato senz’altro il più grande filologo francese della storia e in particolare
adesso lo raccomandiamo come TRADUTTORE della chanson de Roland. La prima edizione della chanson de
Roland con la tradizione di Bédier è del 1922,ne seguono molte altre in cui cerca di migliorarsi. L’ultima
edizione, la definitiva, è del 1937: è lo stesso Bédier a chiamarla definitiva, poiché Bedier muore nel 1939.
Bédier e Segre non si sono mai conosciuti.
V LASSA:
TRADUZIONE:
Ha convocato Clarin de Balaguét. (nomi di FANTASIA, sono nomi che non alludono neanche tanto a nomi
islamici, sono di fantasia che alludono un pochino a nomi orientali, che un occidentale poteva percepire
come di provenienza orientale. Il traduttore Pozzoli traduce con “Balaguer”. Esiste in Catalogna una città di
Balaguer, dovrebbe essere questa)
Estremarin (nel codice O è scritto “Estamarin”. In un altro poema verrà fuori due volte il nome di un
personaggio che si chiama “Estramarin” ai versi 941, dove appare come “Estramariz”, al verso 1304
comparirà nella forma del caso regime. In antico francese, in lingua d’oil si sono conservati spesso due
residui dei CASI LATINI, i quali erano 6 e si chiamavano: nominativo ed era il caso del soggetto, genitivo
(caso del complemento di specificazione, dativo, caso del complemento di termine, accusativo caso del
complemento oggetto, vocativo, caso del complemento di specificazione, l’ablativo serviva per tantissimi
complementi che però nel passaggio alle lingue romanze è stato abolito e preceduto da proposizione. Dei
sei casi latini si segnala che il caso nominativo è di grandissima importanza, poiché del soggetto, anche il
caso accusativo lo è. Di questi sei casi latini, la lingua d’oil ne ha conservati due: nominativo ed accusativo.
Nella lingua d’oil per i sostantivi di qualsiasi genere, anche nomi propri, abbiamo questi due residui di
declinazione: DECLINAZIONE DECASUALE, sono rimasti solo due casi. Nominativo: Cas- sujet, caso soggetto;
accusativo: cas – régime, o caso OBLIQUO. Il caso soggetto è quello del soggetto. Il caso regime non + più
come nel latino, il caso del complemento oggetto MA è il caso di tutti i complementi. Deriva certo
dall’accusativo, però come uso vale per tutti i complementi: oggetto, tempo, luogo…. Estramarin, questo
nome ricompare al verso 941 nella forma ESTRAMARIZ, perché è soggetto. Il caso soggetto è Estremariz, il
caso regime è ESTRAMARIN, la cui forma ricompare al verso 1304 dove si parla di un guerriero cristiano che
colpisce Estramariz, con la “z” ma ancora caso regime. Il solo Estramarigi sarà altrove nominato ai versi 941,
durante i preliminari della battaglia di Roncisvalle e al verso 1304 nel corso della battaglia di Roncisvalle.
Può essere legittimo il soggetto che l’Estramarigi scelto come ambasciatore al verso 64 della lassa 5 sia
soltanto un omonimo di quello presentato al verso 941 e poi colpito a morte da Berengario, nel verso 1304.
Allora forse ci sarebbe anche da riflettere sulla forma: al verso 64 la prima “r” di Estremarin è compresa tra
due parentesi ulcinate, vuol dire che Segre ha corretto il testo inserendo quella “r”. il codice O di Oxford
vede “Estamarin”) e Eudropin, suo pari (pari grado, suo compagno d’armi)
E Blancandrino ad esporre il suo pensiero (non quello di Blancandrino, anche se lo è, qui vuol dire che
Blancandrino viene nel consiglio ad esporre il pensiero che ormai è divenuto quello di Marsilio)
nel seguito del poema, questi nomi, con l’eccezione apparenti di Estramarin e Blancandrin, questi
personaggi non vengono più nominati.
- Signori Baroni, andrete da Carlo Magno; (Baroni, termine che fa parte delle civiltà OCCIDENTALE,
qui però Marsilio si rivolge stranamente ai musulmani)
egli è all’assedio della città di Cordoba (quasi tutti sono d’accordo che si tratti di Cordoba, ma ci sono delle
difficoltà geografiche: Cordoba è in Andalucia, nel sud, invece Zaragoza è molto lontana. Si risolve pensando
che Marsilio è a Zaragoza e dice che a lui risulta che Carlo si trovi a Cordoba. La difficoltà è anche costituita
dal fatto che poi verrà fuori che Carlo sia a Cordoba ma l’assedio è terminato)
I pagani che avevano detto prima “può ben essere”, adesso dicono “Questo è molto”, “ di ciò abbiamo
molto” (vuol dire che queste cose che ci sono state elencate: oro, argento, terre e feudi, sono un bel
bottino e quindi sono beni considerevoli. “ASEZ” del verso 77 compariva già due versi prima, sempre con lo
stesso significato. Due ASEZ devono sconcertare: l’autore sta ben attento a non ripetere sempre la stessa
parola in una stella lassa, anche se nella lassa IV c’è la parola “TESTES” ripetuta due volte in due versi
consecutivi, in assonanza. Quindi sembra non proprio vero che l’autore sia così attento. Forse Segre dice
che TESTES non sarebbe in assonanza con TESTES ma con PERDENT. Bèdier traduce “De co avum asez!”
così: “c’est nous combler!”. In italiano letteralmente “c’est nous combler” vorrebbe dire “questo è
colmarci”, ma il senso vero è “siamo veramente soddisfatti”. Questo verso è comunque sospetto dal punto
di vista testuale per quella ripetizione dell’ASEZ, quando l’autore evita questa facile soluzione al problema
dell’assonanza, ripetendo una certa parola)
LASSA VI
TRADUZIONE
Senza che io lo seguirò (promette di seguirlo) con mille dei miei fedeli
Se per caso chiede degli ostaggi, ne avrà (mi impegno a fargliene avere), in verità
Disse Biancandrino: “avrete in tal modo un accordo molto buono” (se farete davvero così, questio accordo
sarà molto buono per noi)
LASSA VII
TRADUZIONE
che gli aveva mandato il re di Suatilie (località probabilmente fantastica, inventata dall’autore anche per
risolvere il problema dell’assonanza)
le bianche mula hanno freni d’oro (le briglie) e le selle ornate di argento,
sono saliti sulle mule coloro che erano destinati a far la parte degli ambasciatori (i messaggeri vi sono
montati)
nelle loro mani portano rami d’ulivo (l’ulivo a noi ricorda la domenica delle palme però più in generale, i
rami d’ulivo significano PACE E UMILTA’, certo all’interno del mondo cristiano. Non è il caso forse di
pensare alla Bibbia o al vangelo, basta l’Eneide di Virgilio dove già i rami d’ulivo avevano questa funzione.
Non sappiamo se l’autore della chanson de Roland avesse letto o meno l’Eneide, sappiamo certamente che
avesse letto la Bibbia. Potremmo affermare che l’autore della chanson de Roland fosse un ecclesiastico,
poiché presenta una conoscenza delle questioni ecclesiastiche che va oltre i limiti di un cittadino comune)
il verso 95 ricorda alla lassa I, quella introduttiva vediamo che al verso 9 comincia con lo stesso emistichio,
si parla di Marsilio e viene detto che “non può evitare che una qualche disgrazia non lo colpisca”. Dalla lassa
II alla lassa VII è un nucleo dell’autore, e al verso 95 della lassa VII troviamo la stessa struttura.
Egli (Carlo) non può evitare che in qualche modo lo ingannano (non può guardarsi dall’inganno)
Comincia adesso il nucleo rappresentato dalle lasse VIII- XI: noi leggeremo fino alla X.
30.11.2020
LASSA VIII
l’imperatore si sente diventare baldo e lieto (è baldo e lieto). Questo è uno dei pochissimi momenti nei
quali l’imperatore di Carlo Magno è soddisfatto di sé, della sua sorte e truppe. È il momento dell’esaltazione
vittoriosa per lui dell’assedio di Cordova.
Che non sia morto o divenuto cristiano (erano stati forzati a convertirsi al cristianesimo)
Tra i versi 104 e 107 vengono nomi nati 6 dei dodici pari. Orlando, Oliviero, Sansone, Anseis, Gerino e
Geriero. Orlando ed Oliviero sono legati da un particolare rapporto nella vita privata ma anche in battaglia.
Sansone ed Anseigi sarà il resto del poema a mostrarci quanto spesso agiscano insieme o addirittura
affiancato. Gerino e Geriero (si capisce anche dalla sillaba allitterante) sono uniti da un particolare
rapporto, agiscono sempre l’uno accanto all’altro, a volte combattono contro lo stesso avversario e saranno
entrambi uccisi dallo stesso avversario.
I PARI: costituiscono la scorta personale dell’imperatore. Tutti moriranno nella battaglia di Roncisvalle
Estraneo al gruppo dei pari è solamente il gonfaloniere (colui che porta l’insegna nel combattimento)
Goffredo d’Angiò. Gli altri sei pari presentati nel resto del poema saranno: Ottone e Berengario, Ivo ed
Ivorio, uniti da un rapporto più stretto, Engeliero di Vescovia e Geraldo di Rossiglione. La canzone offra una
lista completa dei dodici pari nella lassa 176. Anche altre due lasse avrebbero probabilmente la medesima
intenzione, come suggerisce la tradizione beta dei manoscritti della chanson de Roland, mentre in O la lista
dei dodici pari compare nella lassa 176 perché nelle altre occasioni mancano sempre dei nomi.
Per il valore simbolico del NUMERO DEI PARI: i pari sono 12, come lo sono gli apostoli nei Vangeli, anche se
qui la figura di Rolando rientra nel numero dei 12, laddove nei Vangeli la figura di Cristo esorbita rispetto al
numero 12. Qui il traditore, che svolge la parte di Giuda, è però ESTRANEO al gruppo dei 12.
15mila soldati della Dolce Francia (abbinamento Francia e Dolce, e “dulz” a precedere France)
L’ASSONANZA NELLA LASSA E’ SEMPRE IN “E”. Pozzoli ha rinunciato a riprodurre le assonanze e si atteneva
allo schema del verso che era endecasillabico, laddove Lo Cascio costruiva dei versi di 4 sillabe + 6 sillabe,
adattate alla sillabazione italiana
Su tappeti bianchi siedono coi cavalieri (l’idea è di rappresentare in vari gruppi alcuni gruppi di combattenti
e le loro occupazioni nei momenti di riposo ripatite: alcuni cavalieri siedono su tappeti bianchi per
divertirsi)
Giocano alle tavole per divertire sé stessi, distrarsi(oggi è un gioco ancora praticato anche in Italia, oggi
chiamato il gioco “della tavola reale” o anche “il gioco del tric-trac”. È anche praticato con un nome inglese,
quello più diffuso, “back gammon”. È un gioco di fortuna, c’è una specie di tavola sulla quale si gioca, ci
sono dei simboli disegnati e si tratta di guadagnare punti facendo avanzare la propria posizione nel corso
del gioco)
Altri, che sono più anziani e saggi, giocano agli scacchi (eschecs)
I bacellieri (i giovani) agili si danno alla scherma (la barola “bacheler” ai tempi della chanson de Roland
significa “giovane, soldato”. Nella canzone i bacellieri sono i cavalieri più giovani e prestanti, oggi il termine
“bacheliers” significa “giovani studenti” che ricevano il baccalaureato, dopo aver terminato l’esame di
maturità)
c’era un trono fatto tutto di oro puro (Questa è la soluzione adottata da Segre. Nel testo di Oxford, accolto
e difeso da Bédier abbiamo invece l’eliminazione della virgola, diventa “hanno fatto un trono tutto d’oro”.
Segre osserva che un trono di quel tipo non lo si costruisce in qualche ora, quindi diventa “c’era un trono
fatto di oro puro”. La correzione di Segre sarà stata ispirata alla tradizione Beta)
faldestoed: significa E’ QUI UN TRONO. Si tratta di un imperatore. Più in generale, è un sedile pieghevole e
trasportabile e qui è chiaramente il trono di Carlo, trasportabile. Carlo ne ha uno ad Acquisgrane ed uno
pieghevole che lo accompagna nelle trasferte militare. La parola in italiano esiste ma è poco usata:
faldistorio. È curioso sapere che esiste ancora in francese moderna, tradotta a significare la poltrona,
“fauteuil” e significa “poltrona” in francese)
Bianca ha la barba (Carlo Magno, pare che invece non l’avesse, secondo le poche testimonianze attendibili
dell’aspetto fisico del volto dell’imperatore ce lo presentano con baffi e non con barba) e tutto fiorito il
capo ( nella chanson de Roland, Carlo Magno è molto vecchio, o comunque all’apparenza, anche se il verso
famoso nel quale si dice che Carlo ha più di 200 anni non è attribuibile all’autore ma è un ambasciatore,
forse lo stesso Blancandrino che nelle successive trattative dirà che Cralo è molto anziano. L’autore questo
non lo dice ma lo lascia intuire)
Ha il corpo valido, e l’atteggiamento fiero. (qui Segre interviene perché nel testo di Oxford c’era scritto “la
contenance”, Segre l’ha corretto per motivi metrici e anche perché altrove si ritrova il termine “le
contenant” per indicare il portamento, l’atteggiamento)
Se c’è qualcuno che per caso volesse incontrare Carlo Magno, chiedere di lui, non è necessario indicarglielo
(perché l’aspetto di Carlo Magno lo rende subito riconoscibile tra mille)
Gli ultimi due versi sono riferiti ai messaggeri inviati da Marsilio presso Carlo Magno:
COMMENTO DALLE LASSE XIII- XI: la lassa VIII presenta ai versi 120-121 l’arrivo dell’ambasceria saracena al
campo di Caro ma sembra avere la funzione di suggerire il clima di euforia e di appagamento che si respira
nell’esercito cristiano in modo di preparare l’accoglimento dell’invito di Gano alla transizione da Marsilio.
Seguirà poi il nuovo consiglio dei baroni cristiani durante il quale Carlo Magno chiederà un parere ai suoi
principali comandanti cristiani sull’opportunità o meno di dar retta alle proposte di pace avanzate dagli
ambasciatori di Marsilio. Gano sarà favorevole alle proposte dell’ambasceria inviata da Marsilio. Si tratta di
intendere tutto ciò come una preparazione per la proposta di Gano: Gano potrà permettersi di accettare le
proposte di pace, perché ormai c’è un’atmosfera rilassata nel campo di Gano, di euforia e appagamento:
sono bemn lieti della situazione ed appagati delle loro vittorie che hanno portato a conquistare tutta la
Spagna, tranne Zaragoza. Sempre nella lassa VIII vengono nominati per la prima volta Orlando ed Oliviero
con alcuni altri personaggi eminenti della parte cristiana. A Carlo è dedicato un breve ed efficace ritratto. Le
lasse IX e X contengono il discorso di Blancandrino, riproduzione di quello prodotto nelle lasse V e VI, a sua
volta fondate sul discorso di Blancandrino nelle lasse II e III. Le reazioni di Carlo a questo discorso di
Blancandrino sono appuntate alla fine della lassa IX e X e sintetizzate al verso 176.
LASSA IX
Rolando prima di morire si rivolge alla sua spada, che non verrebbe abbandonare
LASSA 170
Sente Rolando che sta perdendo la vista
Si drizza in piedi e si sforza quanto più può (ricorre alle sue ultime forze)
Nel volto ha perso il colore
Davanti a sé ha una pietra, masso scuro. Lo colpisce dieci volte
Con rabbia e rancore
Stride l’acciaio ma non si spezza né si scheggia
Il conte dice “santa Maria, aiutami”
“o dorendala così valida, come sei finita male”
Quando io sarò perduto, io non potrò avere più cura di voi
Tante battaglie campali io ho vinto con il vostro sostegno
E tante terre vaste ho conquistato
Terre che oggi Carlo governa, Carlo che ha la barba bianca.
Non posso accettare l’idea che voi siate posseduta da un qualsiasi altro guerriero che sia un vile
Perché voi siete stata per lungo tempo posseduta da me che sono un ottimo vassallo
Mai ce ne sarà uno tale in Francia (probabilmente sta parlando di sé stesso, potrebbe anche riferirsi alla
spada)
LASSA 171
Rolando colpisce sulla pietra di Cerdania (CERRITANIA: regione dei Pirenei ricca di granito)
Stride l’acciaio ma non si spezza né si scheggia
Rolando sta cercando di spezzare la sua spada perché non cada in mano nemica
Quando si accorge di non riuscire a romperla
Comincia a piangerla tra sé
Oh, dorendala, quanto sei chiara e bianca
Quanto brilli al sole
Qui Rolando ricorda come si è procurato quella spada:
Carlo si trovava nella regione di Morriana (regione francese che fa parte della Savoia)
Quando Dio dal cielo gli mando per mezzo di un suo angelo la mandò (la spada)
Perchè Carlo la donasse ad un conte capitano (Rolando)
A quel punto il gentile re me la cinse
Ora Rolando, tipicamente del suo temperamento, si compiace e ricorda delle seu vittorie
Con questa spada per Carlo io ho conquistato l’Angiò e l Bretagna,
il Poiteau e il Meins, la libera Normandia, la Provenza e l’Aquistania,
la Lombardia e la Romagna, la Baviera e le Fiandre, la Bulgaria e la Polonia
Costantinopoli e anche in Sassonia Carlo comanda
Ho conquistato per lui la Scozia, l’Irlanda e l’Inghilterra che egli considerava come sua sede preferita
Scozia, Inghilterra e Irlanda Carlo non le ha mai conquistate però Guglielmo il conquistatore si, quindi
potrebbe essere un’allusione all’importanza di questi territori per l’autore.
Nella scena del tradimento di Gano si parlerà ancora dell’Inghilterra ma anche della conquista della Puglia e
Calabria di Carlo Magno. Se Guglielmo il conquistatore ha conquistato il sud dell’Inghilterra, negli stessi anni
Roberto il Guiscardo aveva conquistato effettivamente la Puglia e Calabria. Anche lì potrebbe esserci un
suggerire all’idea che le conquiste di Carlo siano una premonizione delle future conquiste di altri francesi e
Turoldo potrebbe alludere a queste vittorie normanne
Ho conquistato paesi e terre tanti che oggi occupa Carlo, che ha la barba bianca
Per questa spada ho dolore e affanno
Preferirei morire piuttosto che la spada resti tra i pagani
O padre, non lasciare che la Francia resti disonorata
LASSA 172
Rolando colpisce la spada in una pietra grigia
Ne spezza (la pietra) più di quanto ne possa dire
La spada stride ma non si rompe né si scheggia
Verso il cielo rimbalza in alto
Quando il conte si accorge che non è in grado di spezzare la spada
La piange tra sé e sé
Oh dorendala, tu che sei bella e santa. Nell’impugnatura d’oro ci sono grandi reliquie
(aveva fatto inserire nell’elsa della spada un dente di san Pietro, del sangue di san Basilio e capelli del
monsignor Sandiomigi e un frammento della veste di santa Maria)
Non è giusto che i pagani ti posseggano
Solo da cristiani devi essere usata, non voglio che tu sia posseduta da uomo codardo
Estese terre avrò conquistato con voi
Terre che Carlo occupa, che ha la barba fiorita
L’imperatore grazie a noi è diventato potente e ricco
Le ultime tre lasse sono quelle nelle quali domina alla fine il motivo religioso. Il poema è guerresco però è di
ispirazione religiosa
LASSA 173 (SCAN 50)
Sente Rolando che la morte lo prende
Giù dalla testa sino al cuore gli scende.
Sotto un pino è andato correndo (ce la fa ancora a correre)
Si è coricato sull’erba verde a faccia in giù (sui denti)
Sotto di sé colloca la sua spada e l’olifante (lo scopo è sempre quello di sottrarli al nemico e li difende con il
proprio corpo)
Volse la testa verso i pagani; (Rolando si dispone nella morte in modo da essere rivolto verso il nemico.
Quando Carlo lo troverà, apprezzerà il fatto che Rolando sia morto da vincitore, ancora volto verso il
nemico)
Per questo l’ha fatto, perché vuole che Carlo e la sua gente dica
Che il gentile conte è morto da vincitore
Batte la propria colpa (mea culpa) spesso
Per i suoi peccati offre a Dio il proprio guanto, lo tende verso Dio (verso simbolico)
LASSA 174:
Rolando sente che non ha più tempo da vivere
Verso la Spagna è su di un poggio aguzzo
Con una mano si è battuto il petto (qui arriva il MEA CULPA)
Signore, mia colpa nei confronti della tua grandezza (prova un grande senso di colpa)
Colpa per i miei peccati grandi e piccoli
Che ho fatto dall’ora in cui nacqui fino a questo giorno
Nel quale sono qui colto dalla morte
il guanto destro Rolando lo ha teso verso Dio
Ed ecco che degli angeli hanno sceso verso lui
LASSA 175
Il conte Rolando giace sotto un pino
Verso la Spagna ha volto il proprio viso
Incominciò a ricordarsi di parecchie cose
Dio tante terre che lui il prode ha conquistato
E poi della dolce Francia, degli uomini della sua stirpe
Di Carlo Magno, che lo ha allevato
Non può cessare di piangere e di sospirare
Ma non vuole dimenticare, mettere in oblio, sé stesso
Dichiara le sue colpe e prega la misericordia (chiede a Dio la misericordia)
Padre che mai mentisti
Che hai resuscitato Lazzaro (resurrezione di Lazzaro) da morte
E hai salvato Daniele (libro biblico di Daniele) dai leoni
E ora salva la mia anima da qualsiasi pericolo (di eterno castigo)
Per i peccati che ho compiuto nella mia vita
Presenta a Dio il suo guanto destro
San Gabriele lo ha preso dalla sua mano (dalla mano di Rolando)
Nota al verso 2390: il testo oxfordiano è largamente sospetto. È per questo motivo che vediamo prima del
verso una croce (croce della disperazione) che vuol dire che Segre riconosce l’inadeguatezza di questo verso
ma non riesce a correggerlo non solo per l’ipometria del secondo emistichio (sono 5 sillabe e noi abbiamo
bisogno di sei). Probabilmente lo stesso Segre riuscirebbe ad inserire un a sillaba in più. Il problema è anche
nel fatto che l’arcangelo Gabriele sembra entrare in scena solo successivamente con l’angelo cherubino e
san Michele al verso 2695. Non si capisce perché Gabriele scenda al verso 2390, dato che al verso 2395 si
riparla della sua ridiscesa. La tradizione antioxfordiana beta sembra aver conservato qualche traccia del
verso in questione.
Sul braccio teneva il capo chino (appoggia la testa sul braccio e così muore)
Con le mani giunte (in preghiera) si è indirizzato alla morte
Dio gli mandò il suo angelo cherubino (i cherubini erano cori angelici) e
(anche in questo verso c’è una stranezza)
Che guarda dai pericoli (dal mare del pericolo. Legata al pericolo del mare. Di solito, anche nella chanson de
Roland si parla dell’arcangelo Michele come san Michele del pericolo del mare che protegge coloro che
staranno per morire in mare). Qui stranamente viene detto “Michele del mare e del pericolo” che è strano.
Qualcuno ha interpretato “il mare del pericolo” come metafora dell’abisso del peccato.
Insieme ad essi vi giunse anche san Gabriele
L’anima del conte (cherubino, Michele e Gabriele) la portano in paradiso.
Nella lassa successiva, ormai Rolando è morto, si comincia con l’affermazione “morto è Rolando, Dio tiene
la sua anima nei cieli”.
Nel verso successivo: “l’imperatore giunge a Roncisvalle”. Tutto è immediato: dopo tanti rallentamenti
l’imperatore giunge a Roncisvalle e trova tutti i suoi cavalieri morti in battaglia.
16.12.2020
LASSA 1 (scan 44)
COMMENTO LINGUISTICO:
CARLES: nel poema alcune edizioni hanno un indice dei nomi che registra tutte le volte che il nome di Carlo
compare nel poema. Compare in una quantità considerevolissima di volte nella forma “Carles”.
Naturalmente, nella quasi totalità die casi il nome “Carles” è soggetto. La differenza tra caso soggetto e caso
regime non riguarda solo nomi propri ma anche sostantivi, pronomi, aggettivi, articoli. In questo caso
“Carles” deriva dal nominativo latino. Anche in latino il nominativo era il caso del soggetto. L’altro caso,
essendo una declinazione bicasuale, è il caso regime e fa riferimento in generale all’accusativo latino, caso
del complemento oggetto. Carles compare numerosissime volte, compare molte volte come soggetto anche
“Carle”, senza la -s finale una sola volta. Compare 8 volte nella forma “Karles” scritto con l’iniziale “K”.
Compare 5 volte con la palatalizzazione della consonante iniziale “Charles”. Il caso regime presenta varie
forme, principale sarebbe nella lingua d’oil la forma “Carlon”, in realtà questa forma nel manoscritto di
Oxford della chanson de Roland e quindi nelle principali edizioni è registrata soltanto una volta, è la forma
che dovrebbe essere canonica però il manoscritto di Oxford è stato steso da un copista anglonormanno,
una delle più evidenti caratteristiche della scripta anglonormanna è quella di sostituire la “o” chiusa di
Carlon, con una “u”. Quindi, moltissime volte nel poema troviamo la forma caso regime “Carlun”. Poi ci sarà
la forma “Charlun” un certo numero di volte, la forma “Karlun” tre volte, una volta forse per errore anche
qui, per distrazione, “Karlon” con iniziale “K” ma usato come soggetto. Un’altra volta c’è “Carluns”, usata
come soggetto.
Il noma CARLES è di origine germanica ed è come ancora oggi in tedesco “Karl”, nome non molto usato ma
esistente. Karl Marx ad esempio, oppure Karl Heinz, nome di origine germanica, anzi di orgine francone
(lingua dei franchi). Nell’antico germanico il nome significava “uomo” ma nel senso di “maschio” e
“marito”. Poi, il significato che è prevalso ma sempre anticamente è quello di “uomo libero”, cioè non
schiavo, di condizione libera. Però, questo nome germanico ha avuto la sua traduzione, il suo adattamento
in lingua latina. Due sono in realtà gli adattamenti in lingua latina: caso nominativo e caso accusativo,
“Carolus” e l’accusativo “Carolum”. La “m” finale non era già più pronunciata in latino dai tempi di Plauto,
che è un illustre e interessante commediografo, nato nel III secolo a.C e morto nel II secolo a.C, epoca nella
quale la “m” finale in parole che non siano monosillabiche ha cominciato a non essere più pronunciata. Ha
continuato fino ad oggi ad essere scritta ma ha cominciato a non essere più pronunciata.
L’altra variante è quella sempre latina, molto usata anch’essa, il nome è “Carolo”, “Carolonem”. Le
declinazioni in latino sono 5: la terza latina è il grosso scoglio dei latini perché ha una serie di combinazioni
possibili. C’è il caso dei cosiddetti “imparisillabi” della terza coniugazione latina: sono parole che si
chiamano così perché nel caso nominativo presentano un certo numero di sillabe e invece un numero
maggiore di sillabe nel resto della declinazione o in alcuni casi della declinazione. Per esempio, la parola
“ladrone” in latino è “latro” nel nominativo e diventa invece “latronem”, da cui la parola italiana “ladrone”
nel caso accusativo e così sul modello di questa e di altre parole latine abbiamo ad intendere il nome di
“Carlo”, “Carlo”- “Carolonem”.
Nella chanson de Roland si ha il tipo: Carles, Carl, Karles, Karl, Carlun quasi esclusivamente al caso regime.
La forma più normale è “Carlon” e la forma più frequente nel codice O della chanson de Roland è “Carlun”.
CAROLUS: è una parola di tre sillabe. Le parole di almeno tre sillabe qualora siano anche accentate sulla
terz’ultima sillaba (il caso di Carolus) presentano, nel passaggio dal latino volgare alle lingue romanze, in
particolare all’antico francese, il fenomeno della SINCOPE DELLA POSTONICA. La terzultima sillaba, la sillaba
“Ca” in questo caso è quella tonica. Quella che cade è la vocale atona della sillaba successiva, in poche
parole “Carolus” diventa “Carlus”. C’è poi un altro fenomeno importantissimo perché caratteristico di
tantissime parole nel passaggio all’antico volgare all’antico francese: APOCOPE. La formula lunga è:
apocope della vocale atona di sillaba finale. Vuol dire che nelle parole latine si registra regolarmente la
caduta che in questo caso si chiama apocope, della vocale atona dell’ultima sillaba della parola. È
semplicemente la CADUTA DELL’ATONA FINALE, questa però non è una definizione precisa, l’atona finale
vorrebbe dire che questa sia l’ultimo elemento della parola, invece qualche volta non è l’ultima lettera di
una parola, che ha ancora una lettera “S” finale. Quindi in CARLUS, la U cade e abbiamo CARLS. È però
terribile pronunciare CARLS e allora si dice che la lingua antica francese ha generato una vocale atona che è
la famosa “e evanescente”, che oggi è diventata la E MUTA caratteristica della lingua francese. Per motivi di
pronunciabilità viene aggiunta questa E evanescente, così che la parola diventi CARLES. Questa e
evanescente si fa sentire si e no nella pronuncia.
Piccola nota terminologica: sono due serie ternarie di elementi terminologici. Prima terna: quella di aferesi,
sincope, apocope.
AFERESI: nel passaggio da una fase all’altra nella lingua si verifica la caduta di qualche vocale, consonante
all’inizio della parola.
SINCOPE: quando si verifica una caduta all’interno della parola
APOCOPE: quando si verifica una caduta alla fine o verso la fine della parola
Seconda terna: prostesi, epentesi, EPITESI
PROSTESI: quando nel corso dell’evoluzione della storia della lingua si aggiunge un qualcosa, una vocale o
consonante, all’inizio della parola. Esempi: “scrivere” in francese diventa “écrire”, che anticamente in lingua
s’oil era “escrir” e qui c’è stata l’aggiunta di una “e” iniziale
EPENTESI: si aggiunge qualche cosa all’interno della parola
EPITESI: si aggiunge qualche cosa alla fine della parola
La E aggiunta a CARLES è una E EPITETICA, definita anche come evanescente. L’epitesi della E ha il solo
scopo di rendere la parola pronunciabile
Il manoscritto di Oxford ed in generale i manoscritti antichi medioevali, utilizzano per comodità, perché è
più facile, un sistema di abbreviazioni. Esempio: il nome di Rolando compare a volte con il nome scritto per
intero che è “Rollant”, oppure c’è anche la forma “Rollanz”. Prevalentemente questo è un richiamo per il
caso soggetto, la “z” finale di solito rappresenta il caso soggetto. Il nome di Rolando compare
numerosissime volte nel corso del poema. Sono abbastanza rare le forme “Rollant e Rollanz”, di solito
appare l’iniziale “R.” e l’altra abbreviazione “Roll.”: ci sono tantissime abbreviazioni, purtroppo non sono
relative solo al nome di Rolando ma a tutti i nomi.
EMPERE (corretto “emperere”): una delle due sequenze ER che compaiono nella parola sarebbe potuta
essere, probabilmente doveva essere abbreviata, quindi doveva essere “empere”, con un trattino sopra le
due lettere “er” che significava “da leggersi due volte”, invece poi per errore materiale questo segnetto non
è stato inserito e quindi nel manoscritto è scritto “empere” senza nessun segno di abbreviazione.
CARLES LI REIS: ARTICOLO LI: in antico francese, la lingua d’oil, manteneva una declinazione bicasuale tanto
nel singolare quanto nel plurale, nei nomi propri ma anche in generale nei sostantivi, aggettivi, participi,
pronomi e avveniva anche nell’articolo. La cosa più importante da dire è che la lingua d’oil deriva dal latino
come tutte le lingue romanze, in questo caso l’articolo deriva dal latino, però in latino gli articoli non
esistevano, vengono formati solo nelle lingue romanze. Il rumeno non li colloca nella posizione in cui la
collochiamo noi ma alla fine della parola, però ci sono. L’articolo, quindi, è una parte del discorso che il
latino non conosceva.
Articoli in latino francese: MASCHILE SINGOLARE: caso soggetto: LI; caso regime: ci sono due alternative, LO
e in un secondo momento si è imposta la forma in LE, pronunciato con una E evanescente ma non muta.
MASCHILE PLURALE: caso soggetto: LI; caso regime: LES
FEMMINILE SINGOLARE: caso soggetto e caso regime: LA
FEMMINILE PLURALE: caso soggetto e regime: LAS, che diventerà poi LES, uguale al caso regime plurale del
maschile.
“LI”: Deriva da un pronome dimostrativo presente nella lingua latina: in italiano abbiamo “questo” e
“quello”. “Quello” in latino si diceva “ILLE”. Il nostro “LI” deriva in un certo senso da questo ILLE. Non
proprio però da ILLE ma dal latino volgare “ILLI”. Perché ILLE diventa ILLI nel latino volgare? Si dice per
livellamento analogico rispetto al corrispondente pronome relativo e anche interrogativo “QUI”. Cos’ come
QUI termine per “i” anche ILLE ha cominciato per terminare per “i”.
Lo stesso ILLE o ILLI del latino classico e del latino volgare è anche all’origine del pronome personale
soggetto di terza persona singolare che in francese ancora oggi è “IL”, quindi pronome personale soggetto
di terza persona singolare in italiano è EGLI. EGLI in francese si dice “il”. Quest’ultimo, IL, pronome
personale soggetto di III persona singolare, è nato da un ILLI o ILLE che aveva mantenuto il proprio accento
tonico. ILLE o ILLI ha l’accento tonico sulla “i” iniziale della parola. Quindi da ILLI o ILLE si è apocopata la
seconda parte, la seconda sillaba della parola ed è diventata semplicemente IL ma ha mantenuto l’accento.
Invece, l’articolo LI è generato a partire da ILLI ma un ILLI privo della propria autonomia e del proprio
accento. La propria autonomia perché quell’ILLI che ha generato l’articolo dell’antico francese LI, era di
solito strettamente legato al nome che lo seguiva. Esempio: in latino volgare era “ILLI REX” ma tanto
strettamente legato nel discorso quotidiano venivano pronunciati insieme che alla fine si è persa la parte
iniziale della parola, la prima sillaba della parola. Quindi, mentre nel pronome restava IL, questa volta cade
la prima parte della parola e diventa LI REX e poi LI REIS.
In latino l’accusativo era ILLUM. È da ILLUM che deriva quel LO, poi destinato a trasformarsi in LE. Il
nominativo plurale era ILLI e diventa LI. ILLOS era in latino l’accusativo plurale, quello destinato a diventare
LES. ILLA, al femminile, quando è nominativo è ILLA e da luogo a LA, quando è accusativo è ILLAM e diventa
LA. ILLAS al plurale è diventato dapprima LAS e poi LES.
Da che cosa derivano gli articoli indeterminativo? Sono principalmente UN, UNE. Questo derivano dal
numerale “uno”. Quindi l’articolo diventa indeterminativo. C’è anche un plurale: UNS e UNES che però non
sono articoli ma pronomi e si traducono con “alcuni/alcune”, quindi pronomi.
REIS: si potrebbe partire dal nominativo REX. Partiamo invece dall’accusativo, perché le parole delle lingue
romanze possono anche far riferimento al nominativo latino ma il più delle volte fanno riferimento
all’accusativo latino: REGEM (con la e lunga). La i breve, confondendosi con e lunga da luogo alla E chiusa
(con un puntino sotto). La e chiusa quando seguita da palatale, come qui “g”, suono palatale (nel latino
classico era suono velare) ecco che la E chiusa ha dato luogo al dittongo “ei”. Di solito, questo dittongo “ei”
è destinato come gli altri dittonghi a diventare “oi”. Esempio: tela (con e lunga) è diventato prima TEIL e poi
TOIL e poi, un seguito di pronunce sempre medioevale, tra 5 e 600 TUEL e poi all’epoca della rivoluzione
francese TOILE. Lo stesso accaso nel caso di REGEM: da regem arriviamo a REIM, poi REIE, poi c’è un altro
fenomeno caratteristico della lingua antica francese cioè le vocali che cadono per apocope, di 5 vocali 4
cadono regolarmente. Una di queste vocali è la E, O, U, I. resta la A. in antico francese cadono quasi tutte le
vocali atone della sillaba finale. Fa eccezione la A, la quale non cade ma si trasforma in E evanescente,
quindi poi destinata a diventare muta. Qui è una E e questa cade. Da REGEM, REGE, REIE, REI alla fine, per
apocope della vocale atona di sillaba finale. Nel seguito della storia della lingua è destinata a diventare
scritta ROI fino al francese di oggi ROIS.
Perché qui è REIS? Semplicemente perché la lingua ha escogitato un sistema per ottenere la solita
opposizione tra caso soggetto e regime. Essendo caso soggetto si è aggiunta una -s finale che non è
etimologica ma viene introdotta per distinguere REIS caso soggetto da REI caso regime.
NOSTER: in NOSTER pratichiamo l’apocope della vocale atona di sillana finale. Otteniamo un quasi
impronunciabile NOSTR e quindi, come abbiamo visto in un esempio precedente, la lingua aggiunge una E
epitetica inserita alla fine della parola: NOSTRE.
Primo fenomeno: apocope; poi epitesi di e, aggiunta di una E epitetica per motivi di pronunciabilità.
EMPERERE: deriva dal latino IMPERATOR, che all’accusativo è un altro imparisillabo della III declinazione
latina. Al nominativo era IMPERATOR, all’accusativo è IMPERATOREM. L’italiano IMPERATORE deriva
dall’accusativo IMPERATOREM. In antico francese c’è la parole che deriva da “imperatorem”, che era
“empererum”.
IMPERATOR: la “i” iniziale è una i breve. La i breve, confondendosi con e lunga (quando si dice
confondendosi con “e lunga”, come la u breve può farlo con o lunga, non vuol dire confondersi nel senso di
confusione, è un sinonimo di “fusione”. Parole che avevano la i breve e la e lunga, danno luogo entrambe
alla e chiusa) diventerà in prima istanza “EMPERATOR”.
Poi c’è un’altra regola che è quella della A tonica in sillaba libera. La A di “emperator” è una A tonica in
sillaba libera, sciolta. Vuol dire che l’accento picchia sodo su questa A. in sillaba libera vuol dire che quella
vocale lì, all’interno della sillaba che la ospita è l’ultimo elemento. Im/pe/ra/tor. RA: l’ultima lettera della
sillaba è A, quindi A è in sillaba libera. Se c’è ancora un elemento dopo quella vocale tonica, è il caso della
SILLABA IMPEDITA. In antico francese, la A tonica in sillaba libera diventa una E. questa volta si dice una E
piuttosto aperta. Emperator diventerà a questo punto EMPERETOR, con una E abbastanza aperta.
L’altro fenomeno è l’APOCOPE DELLA FINALE ATONA DI SILLABA FINALE: EMPERETOR diventa EMPERETR.
C’è la difficoltà della pronuncia e aggiungeremo una E EPITETICA: EMPERETRE. Il nesso TR, quando si trova
tra due vocali, insieme all’atro nesso DR: sono entrambi nessi di consonanti dentali l’una sorda (TR), l’altra
sonora (DR) precedute e seguite da vocali, quindi intervocalici, danno come esito R o anche RR. EMPERETRE
DIVENTA EMPERERE.
Esempio: PATREM. Diventerà PATRE. La A è tonica in sillaba libera, quindi diventerà PETRE. Poi però
abbiamo anche il passaggio ella dentale sorda che accede al grado di dentale sonora, poi cade e alla fine
otterremo PèRE che è in antico francese e francese moderno.
Altro esempio: ITERARE (iterare un esame, cioè fare un esame). Qui fa riferimento all’etimo “iter” che
voleva dire “cammino, viaggio, spostamento” e infatti da ITERARE che ha la I iniziale breve. Questa diventa
e chiusa, dando luogo ad ETERARE. La seconda E è destinata a cadere e allora si genera il nesso TR,
preceduto e seguito da vocale e l’esito sarà R o RR, in questo caso RR. ITERARE diventa ERRER, errare nel
senso di vagabondare, camminare.
Esempio: CUADRATUM: CARRE
DESIDERARE: cade la seconda E, diventa quindi DESIDRARE, diventa quindi DESIRARE, la A tonica in sillaba
libera diventerà una specie di E aperta e avremo DESIRER. Questo, nella pronuncia del francese moderno è
DESIRER
MAGNES: deriva da MAGNUS. La regola generale è quella secondo la quale cadono tutte le vocali atone
finali, cioè assistiamo all’apocope della vocale atona della sillaba finale. La U cade, abbiamo la difficoltà di
pronuncia e quindi aggiungiamo una E epitetica all’interno della parola e otteniamo MAGNES.
SET: deriva dal latino SEPTEM (non era un monosillabo, quindi la M sparisce). Nell’incontro tra la P e la T di
SEPTEM, quindi tra l’occlusiva bilabiale sorda e l’occlusiva dentale sorda in quest’incontro si verifica
l’assimilazione tra le due consonanti che si incontrano, cioè che una si assimila all’altra: vince la T, che
troviamo in SET. In questo caso si dice ASSIMILAZIONE REVERSIVA perché è la seconda delle due consonanti
che si incontrano che assimila a sé stessa quella precedente. Da SEPTEM arriviamo a SETTE, la E finale cade
e rimane SET. Come mai in francese oggi sette si scrive SEPT? Questi sono quei fenomeni di
IPERCORRETTISMO: di solito nell’umanesimo e rinascimento qualche grammatico ha raccomandato di
scrivere la parola come se volesse mantenere un forte ricordo dell’origine latina.
ANZ: talvolta, l’apocope della vocale atona di sillaba finale, determina invece l’incontro tra due consonanti
e quindi la formazione di nessi consonantici. Alcuni nessi consonantici, come quello visto prima
dell’occlusiva dentale sorda o sonora + R. questa volta abbiamo l’occlusiva dentale sorda + S o la dentale
sonora + sibilante, danno esito entrambi Z sorda. Non è il caso della nostra parola.
Esempio: NATUS: diventa NEZ in antico francese. La A tonica in sillaba libera diventa E, apocope della vocale
atona in sillaba finale NETS, poi TS diventa Z, quindi NEZ
Esempio: NUDOS: apocope della vocale atona di sillaba finale diventa NUDS, incontro tra nesso
consonantico tra DS si risolve in Z
ANNUS: la A rimane A perché non è tonica in sillaba libera, lo è ma in sillaba impedita. L’incontro tra N e S,
soprattutto perché preceduto da un’altra N si risolve in ANZ.
TUZ: la U è forse il primo esempio che troviamo di una chiara grafia anglonormanna (anche CARLUN). TUZ
dovrebbe essere TOZ in antico francese della lingua d’oil. Questa è proprio una caratteristica del copista
anglonormanno che ha l’abitudine di scrivere questa U in luogo della O chiusa.
TOZ: deriva dal latino TOTUS con la o lunga, però questo TOTUS ha cambiato leggermente di significato ed è
stato usato nel senso di “ogni”. Poi c’è stato, partendo da TOTUS il fenomeno di raddoppiamento
espressivo che si spiega di solito con ragioni di espressività: TOTTUS. Caso regime plurale: TOZ, perché
deriva da TOTTOS. Abbiamo l’apocope della vocala tona di sillaba finale. TS danno luogo a Z.
Caso soggetto plurale maschile: TUIT, che parte da TOTI. Qui il fenomeno si chiama METAFONESI o
METAFONIA, cioè la chiusura della vocale tonica che si verifica per effetto della presenza nella sillaba finale
di una vocale I o U. la I finale di TUTI comporta a questo fenomeno di metafonesi. Il resto della declinazione
è regolare: TOT, TOTS, TOTE, TOTES. TUITS è caso soggetto plurale maschile, diverso per via della
metafonesi
Esempio: in dialetto napoletano c’è una parola con la O che diventa “UO”. C’è questa dittongazione UO
PLEINS: PLENOS in latino. La E chiusa si è dittongata, quindi avremo PLEINOS, apocope della vocale atona di
sillaba finale diventa PLEINS. Il passaggio successivo non si è verificato, essendoci di mezzo la nasale N il
dittongo si è generato normalmente quindi la E chiusa è diventata EI, poi però non si è più avuto nient’altro.
Il dittongo EI non è diventato OI per via della presenza della nasale
AD: da ABET
ESTET: deriva da STATUM. Qui si ha avuto la PROSTESI DI E che si ha di solito in parole che iniziano per S,
seguite da consonanti. Anche la U, vocale della sillaba finale cade. Al punto in cui la parola è STATU, la A
tonica si trova in sillaba libera e diventa una E abbastanza aperta, quindi STETU. La U finale cade e avremo
STET, però adesso possiamo praticare il fenomeno della prostesi: c’è, una E prostetica, aggiunta cioè
all’inizio della parola.
ESPAIGNE: la “i” non è da tener conto. Deriva da HISPANIA. La “i” è breve, quindi confondendosi con e
lunga da luogo ad e chiusa, quindi troveremo ESPANIA. La “i” non è una vocale ma è una “i semivocalica o
semiconsonantica”, cioè la “i” di Piero, non di “pino”. La N seguita da questo YOD (i semivocalica) in italiano
ma anche in antico francese si risolve in una grafia GN. L’apocope della vocale atona della sillaba finale non
si verifica per la A, che viene risolta in una E evanescente, fatta diventare muta nella parola attuale
ESPAIGNE.
TRESQU’: deriva da TRANS, che vuol dire “al di là”, con l’aggiunta di “QUE”. Sostituito in francese moderno
oggi da JUSQU’E. la A è diventata una E, strano perché è tonica in sillaba impedita. Il nesso NS si è ridotto
per assimilazione a S. quindi TRESQUE
EN: in latino era IN, diventa EN con la e chiusa
MER: mare. Deriva dal latino MARE con la A lunga tonica destinata quindi a diventare una A piuttosto
aperta. Diventa MERE, poi la E finale cade e diventa MER. la cosa più interessante è che MARE in latino era
NEUTRO. Allora la curiosità è constatare che in italiano è diventato maschile mentre in francese diventa
femminile.
CASTEL: deriva dal latino CASTRUM, ma da un diminutivo di questo latino CASTELLUM. La M cade e la U
cade per apocope della vocale atona di sillaba finale. La doppia L non ha più ragione di esistere se non
seguita da vocale e quindi abbiamo CASTEL.
CITET: deriva da CIVITATEM. La M non la consideriamo. Quindi CIVITATE. Nelle parole di almeno quattro
sillabe, possono suddividersi in due tronconi, oppure in tre più due. Apocope della vocale atona della sillaba
finale. Però, nelle parole con almeno quattro sillabe e che quindi possiamo mentalmente dividere in due
tronconi, si può applicare il ragionamento che abbiamo applicato alla vocale atona della sillaba finale anche
alla vocale atona finale della prima parte della parola: CIVI/TATEM. Quindi avremo CIVTATE. È caduta la I in
quanto vocale atona finale della prima parte della parola. C’è l’incontro tra due vocali la V fricativa velare e
la T dentale occlusiva sorda. C’è l’assimilazione regressiva anche in questo caso quindi avremo CITATE. La A
è tonica in sillaba libera. Il passaggio successivo sarà CITETE. Adesso, pratichiamo l’apocope della vocale
atona di sillaba finale e avremo CITET, da pronunciarsi poi ZITET.