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EROS IN PLATONE E LE SUE STRAORDINARIE SFACCETTATURE NEL SIMPOSIO

Anno Accademico 2019/2020

INTRODUZIONE

Lo scopo del mio elaborato è un’attenta analisi dell’Eros nel Simposio di


Platone, attraverso un percorso tematico che ripercorre i sette discorsi
presenti nell’opera.

Tuttavia, la mia attenzione si sofferma in modo particolare sulle diverse


forme e funzioni attribuite ad Eros, privilegiando l’aspetto funzionale
assegnato al dio dell’Amore, tramite un’ascesa che va dal primo discorso alla
conclusione di Socrate, che incarna il pensiero vero e proprio del filosofo
Platone.

Il Simposio, dal greco Συμπόσιον (etimologicamente composto da syn,


“insieme”, e posis, “il bere”, significa letteralmente “bere insieme”) , noto
anche come Convito, è uno dei dialoghi più noti e con la più ampia fortuna
di Platone, composto intorno al 380 a.C.

Gli scritti di Platone sono per lo più in struttura dialogica, poiché Platone
stesso riteneva che il testo scritto fosse più debole ed incapace di giungere
alla verità a causa della sua rigidità argomentativa.

Un testo scritto a differenza di un dialogo non può essere interattivo né


tantomeno rispondere a quesiti posti, è dunque privo di quella scrittura
dell’anima, sempre aggiornata e reinterpretata, sempre nuova e per questo
reputata immortale.

L’obiettivo centrale del Simposio è la continua ricerca del Bello, un cammino


articolato in varie tappe, in corrispondenza ai vari modi di porsi di fronte
all’Eros.

Il sunto della considerazione platonica di Eros è presente nella parte finale


del dialogo del Simposio, con il discorso della sacerdotessa Diotima, dove
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Biondi Maria
Platone per spiegare e placare la sete umana di conoscenza ricorre al mito di
Eros, dio greco dell’amore e della forza, figlio di Poros, l’espediente, e di
Penia, la povertà.

In quest’opera il filosofo utilizza il mito, dunque per spiegare la sua teoria,


egli infatti ritiene che l’uso della mitologia sia utile per la comprensione.

La cornice del dialogo è l’incontro tra Apollodoro e diversi amici, tra i quali
anche Glaucone: questa è l’occasione per raccontare del Simposio tenutosi a
casa del poeta Agatone, per celebrare la vittoria di quest’ultimo all’agone
tragico delle Lenee nel febbraio del 416 a.C.

Tuttavia, prima che la scena principale abbia inizio, Platone, crea un


alternarsi di salti temporali che si incastrano perfettamente attraverso un
complesso intreccio narrativo.

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Biondi Maria
CAPITOLO I

L’EROS SECONDO I SERMONI DI FEDRO, PAUSANIA ED ERISSIMACO

1.0 Prologo del Simposio

E’ Apollodoro a dare il via al dialogo, egli essendo venuto a conoscenza del


racconto di quell’incontro da Aristodemo, ammiratore di Socrate che vi
partecipò personalmente, poté esaudire così il desiderio dell’amico Glaucone
di conoscere i fatti accaduti durante il Simposio.

In questo contesto si nota come Apollodoro ricopre interamente il ruolo di


narratore e si fa “ambasciatore” del racconto di Aristodemo, presentando in
questo modo al lettore il punto di vista di quest’ultimo, che pur partecipando
al banchetto, non ha pronunciato alcun tipo di discorso. Al termine di tutti gli
encomi, sarà il sermone di Socrate a presentare la dottrina platonica
relativamente all’eros.

Il narratore inizia così a raccontare che Aristodemo si imbatté in Socrate, il


quale si stava preparando per recarsi a casa di Agatone, ed esordì con:

«Mi sono fatto bello, per presentarmi bello al cospetto di un bello»1 (174a).

Con questa frase Socrate gioca ironicamente con il nome di Agatone e sulla
parola greca ἀγαθός, il cui significato, in greco, definisce anche l’area
semantica del “buono” e rimanda alla concezione etica arcaica per cui la
bellezza esteriore corrisponde alla moralità, ma che, in questo contesto, va

1
«ἐκαλλωπισάμην, ἑἵνα καλὸς παρὰ καλὸν ἴω» (174a)

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inteso esclusivamente nel valore di “bello” per l’appunto, indicando quindi
che anche Agatone è un bello.

In realtà nella visione del Socrate platonico, il “bello” è Socrate stesso, in


quanto è l’uomo più sapiente in assoluto.

Dopodiché Socrate invitò Aristodemo a seguirlo alla cena.

Al banchetto presero parte: Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane,


Agatone, Socrate e Alcibiade.

Alla cena giunse per primo Aristodemo, poiché Socrate, assorto dai suoi
pensieri, si appartò per qualche momento, per poi entrare poco dopo, al
termine della sua meditazione.

Dopo la cena Pausania, ancora pieno dalla bevuta del giorno precedente,
propose di bere con moderazione ed Erissimaco suggerì di trascorrere la
serata tessendo a turno le lodi d’Amore. Tutti i commensali acconsentirono
alla decisione di bere con moderazione e per il gusto di farlo senza alcun
obbligo, come erano soliti fare in queste occasioni, e di partecipare ai discorsi
su Eros.

L’ordine narrativo segue una linea ben precisa nel dialogo, infatti i
partecipanti prendono parola in base al posto che occupano al banchetto, solo
in due casi questo ordine viene sconvolto: in un primo momento, viene
stravolto a causa del singhiozzo del commediografo Aristofane e quindi
prende parola il medico Erissimaco; mentre, in un secondo momento per
l’inatteso arrivo di Alcibiade ubriaco, che compie un elogio dell’amato
Socrate, stravolgendo così i ruoli di ἐραστής ed ἐρώμενος, tipici della cultura
greca. Tutti i discorsi non sono compiuti in loro stessi ma si allacciano al
successivo: ognuno di essi, infatti, aggiunge ciò che manca a quello
precedente, preparando il terreno al discorso finale, quello di Socrate, che
incarna la visione di Platone sull’Eros filosofico.

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Biondi Maria
1.1 L’Eros in Fedro
Il primo a prendere parola è Fedro, eletto simposiarca, ovvero colui che
presiede il simposio. Nel dialogo in questione viene definito come “padre del
discorso”, infatti è proprio Fedro ad introdurre l’idea del simposio sull’amore
e ad incitare gli altri a discorrere su questo tema.

Fedro nasce intorno alla metà del V secolo a.C. e apparteneva al demo attico
di Mirrinunte.

In Platone, egli è presente oltre che nel Simposio anche in un altro dialogo, il
Protagora (appartenente al primo periodo dei dialoghi platonici, in cui viene
portato all’attenzione il tema dell’ « ἀρετή», ovvero la virtù), in cui ricopre il
ruolo di uno degli uditori dei sofisti.

Fedro è, inoltre, protagonista di un latro dialogo, a lui intitolato, nel quale


Platone discute sul problema della retorica e della scrittura, e il valore di Eros:
il Fedro.

Nel Simposio l’intervento di Fedro è quello di un giovane capace, bisognoso


di filosofia ma non ancora maturo abbastanza per esporre in modo critico e
convincente le proprie idee.

Il suo discorso, semplice e ben costruito evidenzia, anzitutto, l’antichità del


Dio Amore: primo carattere di Amore, dunque, è il fatto di precedere la
generazione degli altri dèi.

L’intervento di Fedro è caratterizzato dall’esame di alcuni exempla


mitologici, che chiariscono e meglio argomentano il suo assunto; infatti,

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Biondi Maria
concorda con lo stesso Esiodo che nella Teogonia, afferma che fu proprio il
dio Eros il primo ad avere origine dal χάος:

«τῇ δ' Ἔρος ὡμάρτησε καὶ Ἵμερος ἔσπετο καλὸς γεινομένῃ τὰ πρῶτα θεῶν τ'
ἐς φῦλον ἰούσῃ.»2

Questa stessa tesi viene confermata sia dallo storico e mitografo greco antico
Acusilao, il quale sostiene che dopo il Caos nacquero Terra e Amore, sia dal
filosofo Parmenide (178b):

« Primo fra gli dèi tutti meditò Amore.»3

Dopo aver riconosciuto Eros come il dio più antico, Fedro rimarca il concetto
dell’Amore come una sorta di guida (ricorre infatti il verbo ἡγέομαι) per
aspirare a imprese nobili e grandi, ed il concetto di vergogna (αἰσχύνη) di
fronte alle cose brutte (178d); spiega quindi l’importanza di Eros come guida
per gli uomini destinati a vivere in un mondo bello: sottolinea, pertanto,
quanto è importante per l’innamorato distinguersi agli occhi dell’amato:

«Lo stesso vale per l’amato, che sente vergogna soprattutto di fronte
all’amante, se lo si scopre immischiato in qualcosa di brutto.»4

Si evidenzia la contrapposizione tra il sentimento della vergogna sugli


uomini nell’essere scoperti a compiere azioni brutte e riprovevoli
dall’amante o dall’amato, e il proposito, invece, ad esser visti compiere azioni
belle dall’amato o dall’amante.

E, inoltre, aggiunge:

«Se si potesse fare in modo che una città o un esercito fossero


esclusivamente composti di amanti e di amati, si realizzerebbe il miglior
governo possibile in quanto essi si asterrebbero da qualsiasi azione
riprovevole.»

2
Es., Th. v.200-201
3
« πρώτιστον μὲν Ἔρωτα θεῶν μητίσατο πάντων »
4
«Ταὐτὸν δὲ τοῦτο καὶ τὸν ἐρώμενον ὁρῶμεν, ὅτι διαφερόντως τοὺς ἐραστὰς αἰσΧύνεται, ὅταν ὀφθῇ
ἐν αἰσχρῷ τινι ὤν.» (178e)

6
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Quindi se gli amanti lavorassero insieme, si compirebbero solo cose migliori
e con il massimo valore (179a).

Infatti, continua analizzando la relazione tra amato ed amante anche di fronte


all’estremo caso della morte, mettendo in luce fatti di noti personaggi del
mito classico:

«In verità solo gli amanti sono disposti a morire per gli amati, e non solo gli
uomini ma anche le donne.»5

Coloro che si amano sanno morire l’uno per l’altro, e non si fanno distinzioni
tra uomo o donna; l’amato combatte per l’amante, come Alcesti che accettò
di morire per il suo sposo, superando la morte con l’amore.

Fedro descrive in questo modo il gesto di Alcesti negli stessi termini di


Euripide, una tradizione simile possiamo leggerla anche nella versione del
mito nel primo libro della Biblioteca di Pseudo-Apollodoro, secondo la quale
Persefone, colpita dal sacrificio d’amore compiuto da Alcesti per il marito,
la rimandò nel mondo dei vivi.

Prima di iniziare a parlare della natura di Eros, la suonatrice di flauto viene


invitata ad andare in un’altra stanza a suonare per le altre donne (176e).

Una posizione simile sembra potersi leggere nel successivo discorso di


Pausania, assunto principale del quale è per l’appunto l’emarginazione della
donna. E analogamente, nel discorso successivo di Pausania, appare ovvio il
fatto che l’amore omosessuale era riservato ad ambienti socialmente più
elevati e privilegiati, di coloro che una volta adulti si dedicheranno alla vita
pubblica: l’amore omosessuale viene privilegiato rispetto a quello
eterosessuale, poiché il sesso maschile era considerato più forte e dotato di
maggior intelletto.

5
«καὶ μὴν ὑπεραποθνῄσκειν γε μόνὀι ἐθέλουσιν οἱ ἐρῶντες, οὐ μόνον ὅτι ἄνδρες, ἀλλὰ καὶ αἱ
γυναῖκες». (179b)

7
Biondi Maria
L’affermazione dell’amore omosessuale e l’emarginazione della donna
sorprendentemente non rappresentano, dunque, nel Simposio, nessun
elemento di novità.

Il gesto di Alcesti fu così grande e importante da ottenere dagli dèi il


privilegio di tornare dall’Ade:

«Ma l’anima di Alcesti la lasciarono tornare, ammirati dal suo gesto.»6

Al contrario, Orfeo fu rimandato a mani vuote dall’Ade perché non aveva


osato morire per amore7 di Euridice (179d), mentre Achille venne mandato
alle Isole dei Beati, poiché non solo si vendicò del suo amante Patroclo
morendo per lui, ma addirittura morì dopo di lui (179e):

«Così se gli dèi onorano soprattutto questo particolare tipo di coraggio che
si mette al servizio dell’amore, essi ammirano, stimano, ricompensano ancor
di più la tenerezza dell’amato per l’amante che quella dell’amante per i suoi
amati.

L’amante, infatti, è più vicino al dio dell’amato, perché un dio lo possiede.


Ecco perché gli dèi hanno onorato Achille più che Alcesti, aprendogli la via
per le isole dei beati.» (180 a7-b5)

Fedro evidenzia che Achille era l’ἐρώμενος (l’amato) di Patroclo e non


l’ἐραστὰς (l’amante), in quanto era più giovane, e a sostegno di questa tesi
scambia la bellezza con la giovinezza, sostenendo che il sacrificio dell’amato
vale molto più rispetto all’amante, perché l’amante è invaso dalla divinità,
l’amato agisce di sua spontanea volontà. (180b)

Omero descrive l’amicizia tra Achille e Patroclo come un rapporto


fortemente legato da una grande passione, che va al di là dell’amicizia stessa.8
Un rapporto così forte da far sì che Achille, dopo la morte di Patroclo, affermi

6
«ἀλλὰ τὴν ἐκείνης ἀνεῖσαν ἀγασθέντες τῷ ἔργῳ.» (179c)
7
Virgilio, Georg., IV, 488.
8
Hom, Il., XVI, vv.7-40

8
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di avere un unico scopo di vita: vendicare l’amico e giacere con lui nella
stessa fossa, per sempre.

Quello di Achille e Patroclo divenne subito un legame archetipico maschile


per molte coppie di uomini nella cultura greca.

Tra il V e il IV secolo a.C. il legame tra Achille e Patroclo è stato visto più
come un rapporto pederastico tra ἐρώμενος9 e ἐραστής, anche se questi ruoli
risultano anacronistici ed invertiti, così come è invertito il rapporto d'età:
Achille, il più giovane, risulta dominante, avendo maggior fama di guerriero
(questo fa sostenere Platone a Fedro nel Simposio); mentre Patroclo, il più
adulto, svolge banali ruoli di servizio comune.

In questo contesto Fedro richiama il costume dell’amore pederastico, che


nell’antica Grecia rappresentava una vera e propria relazione “amorosa” tra
un maschio adulto (appunto ἐραστὰς) ed uno più giovane (ἐρώμενος).

La condizione della pederastia nel mondo greco è complessa, interessa non


solo l’aspetto amoroso, ma diviene anche un momento sociale importante, di
relazione familiare e non solo.

«Eros è il più antico e il più onorato degli dèi e per gli uomini il più efficace,
e in vita e in morte, al conseguimento della virtù (ἀρετῆς) e della felicità
(εὐδαιμονίας).» (180b)

Fedro, dunque, afferma che al fine di conseguire la vera virtù e felicità, valori
necessari per gli uomini belli dominati da Eros, è l’amato che deve essere
devoto ai sacrifici per l’amante anche difronte alla morte, poiché all’amante,
pervaso dal dio Eros, viene naturale sacrificarsi, mentre l’amato è colui che
con i veri sacrifici attribuisce onori all’amante e di conseguenza anche al dio.

1.2 L’Eros in Pausania

9
Hom, Il., XVI

9
Biondi Maria
Dopo il discorso di Fedro, Aristodemo introduce il pensiero di Pausania.

Pausania è un retore politico molto colto, appartenente al demo attico


Kerameis, ed amante di Agatone.

Egli vive intorno al V secolo a.C., ed è stato anche discepolo del sofista
Prodico.10

Pausania seguendo da principio la linea tematica iniziata da Fedro, proietta


nel suo discorso un razionalismo sofistico e difende a spada tratta il valore
della pederastia, egli propone una distinzione più specifica dell’Amore,
sostenendo che non c’è un unico Amore, ma ne esistono due:

«Ora tutti sappiamo che non c’è Afrodite senza Amore.»11

Con questa espressione Pausania allude alla tradizione mitica della nascita di
Afrodite, che è duplice: una più antica, che, come racconta Esiodo nella sua
Teogonia, nacque da Urano; quindi, figlia del cielo e priva di madre,
denominata Celeste (Οὐρανίαν); ed una, invece designata da Omero12 “più
giovane”, descritta come figlia di Zeus e Dione, e chiamata da Pausania
Volgare (Πάνδημον) (180e):

«Si abbandonava la divina Afrodite sulle ginocchia di Dione, sua madre.»

Proprio in virtù della doppia natura di Afrodite, Pausania distingue anche una
doppia natura di Eros.

Dopo aver rettificato il precedente discorso di Fedro, soffermandosi quindi


sulla duplicità di Eros, Pausania si interroga non su cosa sia Eros, ma sul tipo
di elogio che merita Amore.

Infatti, egli fa un’attenta analisi riguardo al criterio per stabilire la moralità


dell’azione e sostiene che ogni azione umana di per sé non è “né buona né

10
K.J. Dover, Commentary, in Plato, Symposium, Cambridge-New York, 1980, p.90
11
«πάντες γὰρ ἴσμεν ὅτι οὐκ ἔστιν ἄνεν Ἔρωτος Ἀφροδίτη.» (180d)
12
«ἣ δ' ἐν γούνασι πῖπτε Διώνης δῖ' Ἀφροδίτη μητρὸς ἑῆς.» Hom, Il, V, 370

10
Biondi Maria
cattiva” «οὔτε καλὴ οὔτε αἰσχρά», ma tale giudizio di merito dipende molto
dalle intenzioni con cui essa è compiuta:

«Del resto, qualsiasi azione è tale che in sé e per sé non risulta né bella né
brutta. Per esempio, in ciò che stiamo facendo ora, bere o cantare o
conversare, non c’è nulla che sia bello in sé, ma riesce tale nel farlo, voglio
dire per il modo come sia fatto; e cioè, fatto bene e secondo le regole, diventa
bello, in caso contrario brutto. Parimenti né l’amore né Amore sono in ogni
caso belli o degli di lode, ma solo Amore che induce ad amare conforme al
bene.» (180e-181a).

Di questo passo è necessario sottolineare la coloritura sofistica. Pausania dice


che non c’è niente che sia bello in sé e tale affermazione è massimamente
antiplatonica

Quindi l’Amore celeste e l’Amore volgare differiscono per le conseguenze


delle azioni: l’amore Volgare induce ad amare indistintamente donne e
uomini, ed è proprio delle persone vili, che si appassionano degli individui
ottusi, in quanto cercano più il corpo che l’anima, intenti unicamente a
soddisfare le proprie voglie e gli impulsi (181b).

L’amore Celeste, invece, è prettamente maschile ed è incontaminato poiché


privo di ὕβϱις; in ogni caso bisogna celebrare Eros solo nel momento in cui
porta ad amare nobilmente; dei maschi Pausania afferma che:

«Essi infatti non si innamorano dei ragazzi prima che questi siano entrati
nell’età della ragione, il che per lo più coincide col momento in cui spunta
la barba. In realtà coloro che si innamorano solo a partire da quel momento,
sono predisposti a stare insieme col ragazzo e a convivere con lui per tutta
la vita e non già a ingannarlo.» (181d)

Dunque, in questa espressione viene fatto pienamente riferimento alla


pederastia e all’assunto per cui gli uomini siano più intelligenti, vale a dire
che posseggono più νοῦς rispetto alle donne.

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Biondi Maria
In tal caso la distinzione delle due tipologie di amore non fa solo riferimento
all’amore prettamente omosessuale dell’Afrodite “Celeste”, ma rimarca la
qualità diversa dell’amore stesso: chi ama di un amore “Volgare” mira alla
sola ed unica soddisfazione immediata degli impulsi e delle voglie; chi,
invece, ama di un amore “Celeste” si predispone ad una comunanza di vita.

Pausania ritiene opportuno che si proceda anche alla formazione di un νόμος


che:

«Vietasse di amare i fanciulli, affinché non si dilapidassero tante energie per


un risultato così incerto: perché non si sa mai a quale risultato, buono o
cattivo, così nel corpo come nell’anima, tendano i fanciulli.» (182a)

Sostiene, pertanto, che ci si innamori dei giovani solo quando spunta loro la
barba, vale a dire al raggiungimento della maggiore età, quando hanno un
intelletto e di loro non si può abusare.

Dà, dunque alla pederastia una funzione quasi politica ed educativa,


consigliando di introdurvi delle leggi alla base affinché possa essere
regolarizzata secondo le varie regioni in cui è presente il suo “uso”.

Pausania prosegue il suo sermone con una breve digressione di carattere


sociologico in cui, confrontando regioni come l’Elide o la Beozia, per
l’assoluta mancanza di capacità persuasive che sarebbe tipica delle loro
popolazioni, ed altre regioni dove gli abitanti non sono abili nella dialettica,
in cui accettare l’omosessualità è un dato ovvio e aproblematico poiché
associata alla libertà politica, giacché appunto non essendo abili “parlatori”
si evita di convincere i giovani con la parola, con le genti della Ionia, regione
abitata da barbari e sotto il dominio persiano.

Egli dimostra che qui la pederastia è repressa come l’esercizio fisico o la


filosofia, dato che ai tiranni:

«Non giova che si formino tra i sudditi nobili aspirazioni e tantomeno salde
amicizie o società, quali soprattutto l’amore è solito suscitare» (182c).

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Biondi Maria
Ciò metterebbe a repentaglio il loro potere, come accadde ad Aristogitone ed
Armodio. Da Tucidide, infatti, sappiamo che Aristogitone amava Armodio,
il quale era insidiato da Ipparco, fratello del tiranno Ippia.13 Aristogitone ed
Armodio attentarono invano contro Ippia e Ipparco; caddero, dunque, loro
stessi in lotta e contribuirono indirettamente alla caduta della tirannide dei
Pisistratidi.14

Pausania considera più bello amare apertamente che in segreto, specialmente


se l'amato eccelle in virtù e nobiltà, più che in bellezza (182d).

Coloro che sono innamorati vengono incoraggiati da tutti, anche se il loro


comportamento potrebbe essere considerato una forma umiliante di schiavitù
volontaria (183a).

L'amore è una schiavitù volontaria, ma non è vile, se l’intento è quello di


rendere chi partecipa a questo legame migliore in sapienza (184c).

La pederastia in questo senso è una relazione educativa che ha lo scopo di


raggiungere la virtù:

«Tale è l’amore della dea celeste, ed esso stesso è celeste, e degno di sommo
onore così da parte della collettività come dei singoli, in quanto costringe
sia l’amante che l’amato a tendere alla virtù con tutte le loro energie, ognuno
per la sua parte. Tutti gli altri generi d’amore appartengono all’altra, alla
dea volgare» (185b-c).

L’intervento di Pausania, dunque, si può riassumere come il tentativo di


individuare una serie di differenze che contrappongono un amore buono ed
un amore cattivo, eterosessuale ed omosessuale; ed una legittimazione
istituzionale della pederastia attraverso i buoni costumi, in campo erotico e
pubblico, per un’educazione alla virtù.

13
Cfr. Tucidide, VI, 54
14
Cfr. Tucidide, I, 20 e VI, 54-59
È interessante che dietro la caduta del regime tirannico ci sia una storia di stupro, come per la
leggenda di Lucrezia e dei Tarquini per la caduta del regime monarchico a Roma. Tito Livio, Ab
urbe condita libri, I, 57-58 (182b-c)

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Biondi Maria
1.3 L’Eros in Erissimaco

Al termine del discorso di Pausania, sarebbe stato il turno dell’encomio del


commediografo Aristofane, che a causa del singhiozzo non ha potuto.

Il singhiozzo è visto come sinonimo di intemperanza ed incapacità di


autocontrollarsi.

Così la parola passa ad Erissimaco, un giovane medico figlio di Acumeno e


discendente da una famiglia di medici, che vive intorno al V- IV secolo a.C.
ed è coetaneo di Fedro.

Erissimaco procede con il suo discorso riagganciandosi a quello del suo


predecessore: non mette, infatti, in discussione che l’amore sia duplice, ma
sostiene che Eros non risieda solo negli uomini, ma che è presente anche
negli animali e nei vegetali.

Dunque, Erissimaco non solo corregge Pausania, ma si spinge in una nuova


dimensione: l’interpretazione di Eros quale principio ed attività cosmica.

Tale constatazione è stata possibile grazie alla medicina, che ha permesso di


osservare che l’amore è presente in ogni cosa che si genera e cresce sulla
terra:

«Questa è una verità che credo di aver appreso grazie alla nostra arte, la
medicina.»15

Erissimaco, attraverso la sua arte medica, sostiene che esiste un amore sano,
rivolto al bene, ed uno malato, volto al male; con questa affermazione

15
«καθεωρακέναι μοι δοκῶ ἐκ τῆς ἰατρικῆς, τῆς ἡμετέρας τέχνης.» (186a)

14
Biondi Maria
riprende anche un po' il pensiero di Empedocle, ovvero che il mondo ha
bisogno di equilibrio tra le due forze cosmiche (bene e male).

«Colui che riesce a distinguere fra l’amore bello e l’amore brutto, questi è
medico veramente competente.»

Quindi un medico competente deve saper distinguere tra i due tipi di Eros e
ogni qual volta un essere si ammala, allora, il bravo medico sa che il suo
compito consiste appunto nel contrastare questa tendenza insana favorendo
l'amore positivo. (186d)

Erissimaco, a questo punto, sottolinea l’importanza del dare equilibrio negli


opposti. Ad essere rappresentata in questi termini è l’opera stessa del mitico
iniziatore della medicina, Asclepio (dio tessalo della salute, figlio di Apollo
e Coronide, rappresentato dai poeti come un eroe):

«Per aver saputo ingenerare amore e concordia fra questi […] instituì la
nostra arte.»16

La ricerca di un equilibrio emerge in Erissimaco con una celebre


formulazione di Eraclito sulla tensione degli opposti:

«L’uno in sé discorde con se stesso, con se stesso s’accorda, come armonia


di arco e di lira.»17

Platone commenta la citazione di Eraclito come una “πολλὴ ἀλογία”,


“grande assurdità”, poiché «è illogico affermare che un’armonia discorda o
che consiste di elementi tuttora discordanti.»

Erissimaco non appare dunque in grado di comprendere il pensiero di


Eraclito eppure, “lo corregge” per adattarlo al suo rigido schematismo
concettuale, distorcendone il significato; la sua affermazione può essere
interpretata in modo che non sia contraddittoria solo se l'armonia non è un
impossibile accordo fra elementi che si oppongono reciprocamente, ma

16
«τούτοις ἐπιστηθεὶς ἔρωτα ἐμποιῆσαι καὶ ὁμόνοιαν […] συνέστησεν τὴν ἡμετέραν τέχνην.»
(186e1-3).
17
«διαφερόμενον αὐτὸ αὑτῷ συμφέρεσθαι, ὥσπερ ἁρμονίαν τόξου τε καὶ λύρας.» (187a)

15
Biondi Maria
συμφωνία e ὁμολογία fra termini distinti, in grado però di avere una reciproca
consonanza.

Erissimaco accomuna la musica alla medicina che, in quanto conoscenza


dell’armonia e del ritmo, è considerata una scienza dei fenomeni erotici.
(187c)

Riprende poi il discorso della duplicità dell’eros: celeste e popolare.


Erissimaco associa il primo tipo di eros alla musa Urania; il secondo alla
musa Polinnia.

Urania e Polinnia compaiono nell’elenco delle Muse in Esiodo nella


18
Teogonia , Erissimaco utilizza questi due nomi per differire fra Afrodite
celeste e Afrodite volgare di Pausania.

«L’eros cattivo o volgare, quello della musa Polinnia deve essere


somministrato con prudenza in modo che se ne colga il piacere senza che si
ingeneri incontinenza, così come avviene per i desideri stimolati dall’arte
culinaria.» (187e1-6).

In generale, in tutti gli ambiti dell'esistenza, dalla cucina all'agricoltura, dalla


meteorologia all'astronomia fino alla religione, l'ordine del mondo è
correttamente disposto quando le due specie di eros sono nel giusto equilibrio
(188a).

È caratteristica di Erissimaco proporre una trattazione dell’eros che vada


oltre la sua connotazione specifica, rifacendosi quindi al tentativo di correlare
sfere diverse dell’attività umana e dei fenomeni naturali, incentrando il suo
discorso sulla teoria dei contrari e sulla continua ricerca di equilibri.

Dunque, dal discorso di Erissimaco emerge la figura del medico saccente,


che ama assumere un tono ‘accademico’, quasi didascalico.

Egli afferma che il medico valente deve non solo saper distinguere l’eros
positivo da quello negativo presente nel corpo umano, ma essere anche in

18
Cfr. Hes. Theog. 177-206

16
Biondi Maria
grado di mutare quello nocivo in salutare ed ancor di più di suscitare l’amore
buono, quando non c’è, e di eliminare l’amore cattivo, dove c’è.

La sua visione è ben più ampia, grazie alla medicina, per quanto concerne il
concetto dell’eros e non si ferma soltanto all’aspetto prettamente umano ma
si allarga a tutto ciò che vive sulla terra.

17
Biondi Maria
CAPITOLO II

AMORE O AMORI? L’EROS SECONDO I SERMONI DI ARISTOFANE E


AGATONE

2.0 Eros in Aristofane e il mito dell’Androgino

Aristofane è stato uno degli esponenti principali della Commedia antica


ateniese del V-IV secolo a.C.

L’imbarazzante episodio del singhiozzo, che gli impedisce di svolgere il suo


elogio e che lo costringe a chiedere al medico Erissimaco un rimedio e
prendere momentaneamente parola al suo posto, è stato interpretato dai
filosofi come un modo di Platone per farsi beffa del commediografo stesso,
qualificandolo come un personaggio poco sobrio rispetto al medico; in tal
modo Platone crea una successione ordinaria: il poeta comico, tragico e
Socrate.

Aristofane, ripresosi dal singhiozzo, può così dare il via al suo encomio, ma
prima di iniziare è colto da uno starnuto: lo starnuto come il singhiozzo fanno
meravigliare Aristofane, che si stupisce di come il corpo, per trovare un
equilibrio, ricorre a simili rumori (189a).

In realtà, il singhiozzo e lo starnuto potrebbero fare da virgolette ad un


discorso non del tutto sano, o meglio, come se questo elogio fosse mancante
di qualcosa.

Aristofane inizia il suo encomio affermando che l'Eros ha un valore


terapeutico ed è fonte della più grande εὐδαιμονία per gli esseri umani:

18
Biondi Maria
«La più alta felicità per il genere umano.»19

Ma per capirlo è necessario comprendere la natura umana e le sue affezioni,


ed è in questo modo che Aristofane introduce il mito dell’androgino.

Egli sceglie, pertanto, il mito come mezzo della propria opinione su Eros;
racconta che originariamente la nostra natura era ben diversa da quella
attuale, in quanto possedeva tre generi invece di due: maschile, femminile e
androgino; espone così un’attenta analisi di tutte le possibili relazioni
amorose che possono essere allacciate dagli esseri umani (189e).

La narrazione del mito inizia con la spiegazione del sesso androgino, vale a
dire ἀνδρόγυνον che etimologicamente riprende sia i caratteri maschili (ἀνήρ)
sia quelli femminili (γυνή), ed era proprio degli esseri perfetti, in quanto
possedevano forma sferica ed erano, appunto, sia maschili che femminili:

«Il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso,
che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa
appunto della natura del sole e della terra.»20

Aristofane inizia così narrando la natura dei tre sessi: il maschio fu originato
dal sole; la femmina dalla terra; mentre l’androgino fu il frutto della luna, in
quanto la luna è da sempre stata vista, a partire dai filosofi antichi, come
l’elemento comune del sole e della terra, del maschio e della femmina.

Dunque, in quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due facce, entrambe
orientate in direzioni opposte ed una sola testa, quattro braccia, quattro mani,
quattro gambe e due organi sessuali ed erano di forma tonda, riconducibili
per somiglianza ai genitori.

Per via della loro potenza e intemperanza, gli esseri umani erano superbi e
tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dèi.

19
«μεγίστη εὐδαιμονία ἂν τῷ ἀνθρωπείῳ.» (189d)
20
«ὅτι τὸ μὲν ἄρρεν ἦν τοῦ ἡλίου τὴν ἀρχὴν ἔκγονον, τὸ δὲ θῆλυ τῆς γῆς, τὸ δὲ ἀμφοτέρων μετέχον
τῆς σελήνης, ὅτι καὶ ἡ σελήνη ἀμφοτέρων μετέχει» (190b).

19
Biondi Maria
Un racconto simile si può chiaramente leggere in Omero per quanto riguarda
i giganti Efialte e Oto21, i quali tentarono di assalire la rocca degli dèi
sovrapponendo il Monte Ossa al Monte Olimpo e sopra a questo il Monte
Pelio, ma Zeus li annientò.

Nel racconto di Aristofane, Zeus, dopo una lunga riflessione, escogitò un


modo per indebolirli senza sopprimerli: tagliarli in due, trasformandoli in
bipedi, in modo da ottenere anche il vantaggioso effetto di moltiplicarli.

«Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel


contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi; e
cammineranno eretti su due gambe. Se vedrò che continuano a imperversare
e non intendono stare tranquilli, allora li taglierò nuovamente in due, di
modo che debbano muoversi saltellando su una gamba sola.»22

In questo modo gli esseri umani furono divisi e s'indebolirono.

Questa separazione, spiega Aristofane, ha scaturito in entrambe le metà il


desiderio di natura erotica di ricongiungersi alla loro parte mancante. Così
essi sono perpetuamente alla ricerca della loro antica unità e della forza
perduta che possono ritrovare soltanto attraverso l’unione sessuale.

Da questa divisione in parti, infatti, si genera negli umani la nostalgica brama


di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che stringersi

21
«e generò due figli che vissero poco:
Oto simile a un Dio e il glorioso Efialte,
gli uomini più alti che la terra feconda abbia mai nutrito,
e di gran lunga i più belli dopo il nobile Orione; 310
a nove anni avevano raggiunto i nove cubiti
in larghezza e un’altezza di nove braccia.
Questi minacciarono anche gli immortali, dissero
che avrebbero portato sull’Olimpo la guerra violenta:
pensarono di sovrapporre il monte Ossa sopra l’Olimpo 315
e sull’Ossa il Pelio boscoso, per poter salire fino al cielo.
E lo avrebbero fatto, se avessero raggiunto la giovinezza,
ma il figlio di Zeus e di Leto dalla bella chioma li uccise
ambedue, prima che sotto le tempie spuntasse la peluria
e le guance fossero ornate di barba rigogliosa.» (Hom, Odissea, XI, 307-20)
22
«νῦν μὲν γὰρ αὐτούς, ἔφη, διατεμῶ δίχα ἕκαστον, καὶ ἅμα μὲν ἀσθενέστεροι ἔσονται, ἅμα δὲ
χρησιμώτεροι ἡμῖν διὰ τὸ πλείους τὸν ἀριθμὸν γεγονέναι: καὶ βαδιοῦνται ὀρθοὶ ἐπὶ δυοῖν σκελοῖν.
ἐὰν δ᾽ ἔτι δοκῶσιν ἀσελγαίνειν καὶ μὴ 'θέλωσιν ἡσυχίαν ἄγειν, πάλιν αὖ, ἔφη, τεμῶ δίχα, ὥστ᾽ ἐφ᾽
ἑνὸς πορεύσονται σκέλους ἀσκωλιάζοντες» (190d).

20
Biondi Maria
l'una all'altra, finendo così a morire di fame e di torpore per non volersi più
separare.

Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguessero, decise di spostare i
loro genitali davanti e mandò nel mondo Eros affinché, attraverso il
ricongiungimento fisico, essi avessero avuto la possibilità di ricostruire
“fittiziamente” l'unità perduta, così da provare piacere e riprodursi, in modo
da potersi poi dedicare alle altre incombenze, proprie della natura umana:

«Così dunque trasferì sul davanti le parti genitali […] e fece sì che grazie ad
esse generassero gli uni con gli altri, mediante il sesso maschile dentro
quello femminile. […] Se invece si imbatteva in un altro uomo, si ingenerasse
sazietà nello stare insieme e si staccassero per volgersi all’azione e per
occuparsi delle altre necessità dell’esistenza» (191c).

Ed è con questi termini che Aristofane spiega la natura della procreazione


umana e l’origine dell’omosessualità: i discendenti degli androgini sono
eterosessuali, quelli degli interi maschili o femminili omosessuali (191e). I
maschi che preferiscono i maschi, nel modo in cui riporta appunto Aristofane
riprendendo il discorso di Pausania, non sono svergognati come sostengono
alcuni, ma sono i migliori per audacia, coraggio e virilità, ed eccellono nella
politica (192a).

A questo punto, il commediografo, rimarca il concetto secondo cui se due


metà si ritrovano, desiderano stare insieme con un'intensità tale che non si
può spiegare se non unicamente con l'unione amorosa (192c):

«Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore.»23

Per concludere possiamo dire che il tratto singolare e, forse per questo, più
interessante del discorso di Aristofane risiede nel fatto che la relazione
erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere ad uno scopo
unico quale la procreazione, ma ha valore fine a se stesso, prescindendo così

23
«τοῦ ὅλου οὖν τῇ ἐπιθυμίᾳ καὶ διώξει ἔρως ὄνομα.» (192e-193a)

21
Biondi Maria
dalle conseguenze, come un tentativo di riempire una mancanza, un ritorno
all’antica natura.

Il risultato di questo encomio, è appunto il non essere una vera e propria


esaltazione del dio Eros, ma più il risultato di ciò che è compiuto dalla
divinità stessa.

Tuttavia, questo discorso rappresenta un’evoluzione rispetto ai discorsi


precedenti e presagisce successivamente una tesi del tutto nuova che sarà
sviluppata da Socrate.

2.1 Dibattito tra Socrate ed Agatone. L’Eros in Agatone

Al termine del discorso di Aristofane, mancano ancora i sermoni del poeta


tragico Agatone24 (e fu proprio in occasione della vittoria di quest’ultimo
all’agone tragico, che venne organizzato il Simposio) e Socrate, i quali
scherzosamente fanno mostra di temersi a vicenda attraverso un breve
dibattito (194a).

Infatti Socrate coglie l’occasione della vittoria del poeta alle Lenee per
discutere con quest’ultimo: secondo Socrate, Agatone, essendo un poeta
molto in vista a quei tempi, sia per la saggezza che per la raffinatezza, non
può temerlo, in quanto abituato al pubblico nei teatri; ma Agatone ammette
che si vergognerebbe di fare qualcosa di vergognoso davanti a pochi sapienti,
poiché pochi uomini assennati sono ben più temibili di numerosi sciocchi
(194b-c):

«Ma se incontrassi altre persone, sapienti per davvero, probabilmente


proveresti vergogna di fronte a loro, se ritenessi di fare qualcosa di
sconveniente. Non è così?»

24
Agatone fu per molto tempo l’ἐρώμενος di Pausania; egli venne citato da Platone sia nel
Simposio che nel Protagora.

22
Biondi Maria
«Senz’altro! - rispose.»25

Riemerge da queste poche righe il concetto di «αἰσχύνη», vergogna, citato


precedentemente nel discorso di Fedro; in effetti viene sottolineato il
pensiero che bisogna distinguersi agli occhi del sapiente, l’unico dotato di
vera bellezza. Ma il dibattito dei due banchettanti è subito stroncato
dall’intervento di Fedro, il quale avendo il ruolo di simposiarca, invita i due
a «riscuotere il debito di un discorso» (194d).

Ed è dopo questo breve dibattito che riprende Agatone con il suo discorso, il
quale gode di grande cura formale per una sequenza elegante di frasi, che
celano per lo più un pensiero vacuo. Così attraverso le sue parole curate,
Agatone riesce ad attirare l’attenzione degli ascoltatori verso il suo discorso,
e contrappone il suo stesso discorso a quello degli altri ponendo per il suo
encomio due punti fermi: tutti hanno lodato i benefici prodotti da Eros, ma
nessuno ha elogiato Eros, che è la causa dei benefici stessi (195a).

«Dunque io affermo che se tutti gli dèi sono beati, Amore è fra di essi, se
dirlo è lecito e inoffensivo, il più beato, giacché è il più bello e il più insigne.»
(195a)

Il poeta pone per il suo encomio una serie di prove atte a dimostrare la
supremazia della bellezza di Eros rispetto alle altre divinità, trovandosi in
disaccordo con il precedente discorso di Fedro e asserisce che:

«E’ il più giovane degli dèi, e prova insigne ne offre egli stesso, in quanto
fugge di corsa la vecchiaia, per quanto questa sia notoriamente veloce.»
(195c-d)

Eros sempre rifugge infatti la vecchiaia e sempre accompagna i giovani, a lui


simili (195a8-b7).

25
«εἰ δὲ ἄλλοις ἐντύχοις σοφοῖς , τάχ ἂν αἰσχύνοιο αὐτούς , εἴ τι ἴσως οἴοιο αἰσχρὸν ὂν ποιεῖν : ἢ
πῶς λέγεις ;
ἀληθῆ λέγεις, φάναι» (194c).

23
Biondi Maria
Agatone dissente da tutti gli altri perché afferma che amore è giovane e fugge
dalla vecchiaia; emerge dunque il principio del «ὡς ὅμοιον ὁμοίῳ ἀεὶ
πελάζει», ovvero «il simile va sempre a fianco al simile», perché amore è
giovane e si accosta ai giovani. Per Agatone non vi è bellezza se non nella
giovinezza.

Riguardo a «τὰ δὲ παλαιὰ πράγματα περὶ θεούς», cioè «riguardo agli antichi
eventi divini» narrati da Esiodo e Parmenide sono da imputare alla
“Necessità”, ovvero al destino e non ad Eros: nella fase più antica della storia
del mondo, infatti, delle lotte tra gli dei narrate da Esiodo nella Teogonia e
da Parmenide fu responsabile Ἀνάγκῃ, quando Eros, il più giovane tra gli dei,
ancora non era in vita (195c).

Agatone sostiene dunque che Eros, oltre ad essere giovane è anche tenero, e
gli manca solo un poeta come Omero, che rappresenti la sua tenerezza
(195d):

Eros, infatti, pone la sua dimora nelle anime delle persone tenere.

Agatone fa un paragone con Ate, descritta da Omero nell’Iliade:

«τῇ μέν θ' ἁπαλοὶ πόδες»26

Il paragone con Ate si pone in linea opposta rispetto ad Eros, difatti Ate è una
figura mitologica che incita a peccare di ὕβϱις.

Ate non cammina coi piedi sul suolo ma, leggera, sul capo dei mortali e degli
dèi stessi, inducendoli in errore.

«Orbene egli è giovanissimo e tenerissimo, e oltre a questo, fluido nella


forma.»27

Eros, grazie al suo aspetto flessibile, entra ed esce dai cuori degli uomini
senza che questi possano esercitare un controllo; infatti non ci si accorge di

26
«Delicati i suoi piedi». Hom. Il., XIX, v.92, traduzione di Franco Ferrari.
27
«νεώτατος μὲν δή ἐστι καὶ ἁπαλώτατος , πρὸς δὲ τούτοις ὑγρὸς τὸ εἶδος.» (196a)

24
Biondi Maria
essere innamorati, e quando ci si accorge della propria condizione è già
troppo tardi per impedire l’amore. Lo stesso vale quando l’amore finisce.

Agatone attribuisce ad Eros le quattro virtù cardinali, come classificate nella


Repubblica.

Giustizia:

«Amore non fa e non riceve torti: né da un dio o a un dio, né da un uomo o


a uomo.» 28

Eros non fa e non subisce ingiustizia, né nei rapporti fra gli dèi né in quelli
fra gli esseri umani, e non è costretto né usa la violenza.

Temperanza:

«Ma oltre che di giustizia, Amore è dotato di somma temperanza.» 29

Se la temperanza è il controllo dei piaceri, ma, come si dice, nessun piacere


è più forte dell'amore, allora si può concludere affermando che Eros è
temperato perché controlla tutti i piaceri.

Coraggio:

«E quanto a coraggio neppure Ares resiste ad Amore.» 30

Ares, lo stesso dio della guerra, è stato preso dall’amore per Afrodite: quindi
l’amore essendo più forte di lui è anche più coraggioso.31

Sapienza:

«E certo diventa poeta, pur se prima era senz’arte, chiunque sia toccato da
Amore.» 32

28
«Ἔρως οὔτ᾽ ἀδικεῖ οὔτ᾽ ἀδικεῖται.» (196b)
29
«πρὸς δὲ τῇ δικαιοσύνῃ σωφροσύνης πλείστης μετέχει.» (196c)

30
«καὶ μὴν εἴς γε ἀνδρείαν Ἔρωτι “οὐδ᾽ Ἄρης ἀνθίσταται.”» (196d).
Soph. Thyest. Fr. 235; adattamento di Sofocle “neppure necessità può resistere ad Ares”.
31
Hom., Od.,VIII, VV.266-366
32
«πᾶς γοῦν ποιητὴς γίγνεται, “κἂν ἄμουσος ᾖ τὸ πρίν,” οὗ ἂν Ἔρως ἅψηται.» (196e)

25
Biondi Maria
Eros rende poeta anche chi non lo è mai stato, e quindi è esperto di μουσική
e, dato che genera tutti gli esseri viventi, si può concludere, con un'ulteriore
equivocazione, che è maestro di tutte le τέχναι (197a).

Per concludere con il discorso di Agatone si può dire che mentre i personaggi
precedenti avevano messo in luce i benefici prodotti dall’Eros, il discorso di
Agatone punta esclusivamente sul giudizio di valore. Eἶδος significa
"forma", o, platonicamente, idea.

Sta di fatto che per Agatone Eros sia un fluido nella sua idea e ciò gli permette
di non definire mai l'Eros, ma di elencarne soltanto le qualità, una delle quali
addirittura in comune con la discordia, infatti la paragona ad Ate.

Il suo intervento, però offre a Socrate la possibilità di una confutazione che


apre la strada a una nuova definizione di Eros.

La conclusione dell'elogio di Agatone fu seguita da un lungo applauso.

26
Biondi Maria
CAPITOLO III

L’AMORE SECONDO PLATONE

3.0 Socrate confuta Agatone

Dopo l’elogio di Agatone, Socrate confessa di sentirsi imbarazzato (198a) a


dover proferire parola dopo un simile discorso, tanto bello e articolato pari
alla fama dell’oratore che l’ha sostenuto, e si rivolge nuovamente ad
Erissimaco affermando che il suo timore di non esserne all’altezza non era
infondato (198a4-10), in quanto lo stile utilizzato da Agatone, soprattutto per
quanto riguarda la conclusione del discorso,

era paragonabile a quello di Gorgia, tanto è vero che arrivò a temere che alla
fine dell’encomio la testa del sofista gli sarebbe stata gettata dinanzi per
pietrificarlo, come quella della Gorgone Medusa33, in un episodio
dell'Odissea.34

Difatti Socrate, nonostante una confessione che suona come una critica
ironica alla retorica, riconosce la propria inadeguatezza e prima paragona
Agatone a Gorgia, “terribile oratore” che fa un utilizzo spregiudicato della
retorica, e successivamente propone un parallelo tra l'abilità pietrificante di

33
Creatura mitica che avrebbe trasformato in pietra chiunque avesse guardato il suo volto.
34
« A chiunque oltraggiarlo, e degli onori
Fraudarlo ardisce, questa invitta mano
Metterebbe nel core alto spavento.» Cfr. Hom, Od., XII, 632-34.

27
Biondi Maria
quest'ultimo e il volto anch'esso pietrificante della Gorgone Medusa,
giocando sull'assonanza dei due nomi.

Ma difatti, la chiave ironica di Socrate si evince dall’evocazione di Gorgia,


esaltando sarcasticamente il discorso di Agatone per bellezza e varietà di
stile, ma in realtà accusa l’eccessiva ricchezza formale derivata dalle norme
dell’Ars Retorica.

Pur nella leggerezza ironica, l’accusa di Socrate è grave: Agatone gioca


benissimo con le parole, infatti da buon allievo dei sofisti, la parola gli
permette “incantesimi” molto potenti; ma non c’è una parola di vero in quel
che ha detto Agatone, ciò porterà Socrate a pronunciare queste parole:
«Credevo che si dovesse dire la verità sull’oggetto del proprio elogio».
(198d)

Socrate dice di aver creduto che per fare un encomio fosse sufficiente dire
cose vere dell'oggetto da elogiare, scegliendone semplicemente gli aspetti
migliori (198c), senza attribuirgli le qualità più grandi e più belle,
indipendentemente dal fatto che le possegga o meno (198d):

«Invece, a quanto pare, il saper lodare come si deve non consiste in questo,
ma nell’ascrivere a una certa cosa le qualità più grandi e più belle
immaginabili, che poi esse ci siano realmente o no; e se si tratta di false
qualità, niente di grave.»35

Socrate è disposto a dire “la sua verità” su Amore, ma alla propria maniera,
senza retorica, per evitare, a suo dire, di rendersi ridicolo (199b), e per di più
ottiene anche il consenso di porre qualche domanda ad Agatone; in questo
modo oltrepassa convenzionalmente le regole del Simposio e rivolge la
discussione dalla retorica alla dialettica36.

35
«τὸ δὲ ἄρα, ὡς ἔοικεν, οὐ τοῦτο ἦν τὸ καλῶς ἐπαινεῖν ὁτιοῦν, ἀλλὰ τὸ ὡς μέγιστα ἀνατιθέναι τῷ
πράγματι καὶ ὡς κάλλιστα, ἐάν τε ᾖ οὕτως ἔχοντα ἐάν τε μή: εἰ δὲ ψευδῆ, οὐδὲν ἄρ᾽ ἦν πρᾶγμα.»
(198d-e)
36
Ovvero, discutere in maniera "più conversazionale" cioè interagire non competitivamente, bensì
collaborativamente. (199b-c)

28
Biondi Maria
Segue così una confutazione ironica, e attraverso le domande poste, Socrate
costringe Agatone ad ammettere di “non aver capito niente di ciò che ha
detto prima”.

Socrate loda dapprima Agatone in quanto, all'inizio del suo discorso, ha ben
chiarito che è necessario, innanzitutto, definire per bene che cosa sia Eros e
quale sia la sua funzione, e poi su quali siano le sue opere (199c). Però
Socrate ha bisogno di un chiarimento per quanto concerne la natura di
Amore: "Eros" è un termine che, così come alle parole "padre", "madre",
"fratello" e "sorella", designa una relazione; come chi è padre deve essere,
per definizione, padre di qualcuno, così l'eros è amore di qualcosa (199d).

Dopo aver concordato che l'amore deve avere un oggetto, Socrate chiede se
l'eros desidera ciò che ama. Agatone dice di sì.

«E ciò che desidera e ama, lo desidera e ama nel mentre lo possiede o quando
non lo possiede?»

«Quando non lo possiede, naturalmente» (200a).

Si desidera, quindi, non quanto abbiamo già, ma ciò di cui siamo privi nel
presente (200b), o ciò che temiamo possa venire a mancarci nel futuro (200d).
Dunque, “Eros è amore di qualche cosa ed è amore di quello di cui si ha
bisogno. Più precisamente, il concetto espresso da Socrate è che il desiderare
le cose che uno possiede al presente significa desiderare che gli siano
conservate anche per l’avvenire.”37

Socrate, a questo punto desidera ripercorrere con Agatone quanto


quest’ultimo ha sostenuto: Agatone, nel suo discorso, asserisce che gli dèi
hanno risolto i loro conflitti grazie all'amore di ciò che è bello, ἀγαθός:
termine che nell'uso greco, equivale a "buono" (201a-c); ma se l'Eros è
desiderio di ciò che manca ed è desiderio di bellezza, allora non può essere
né bello né buono, poiché se Eros è amore di ciò che è bello, e allo stesso

37
A. Motta, Leggere il Simposio di Platone, Ibis, Como-Pavia, 2020, p.89

29
Biondi Maria
tempo ne è desideroso in quanto ne è privo, conseguenzialmente non può
essere bello.

L'amore, come aveva intuito precedentemente Aristofane, è mancanza.

L’intenso intreccio del bello e del buono è il fondo della filosofia morale
socratica e di quella teoria delle idee esposta anche nella Repubblica, ove si
evince che l’idea che padroneggia su tutte è quella del bene ed è commisurata
al sole, fonte non solo di luce ma anche di vita.38

Agatone, a questo punto, riconosce di non essere in grado di contraddire


Socrate:

«-Io- disse Agatone- non saprei come contraddirti, o Socrate, e quindi sia
pure come dici tu.

È alla verità, o mio amato Agatone, che non sei in grado di controbattere,
non a Socrate, col quale non avresti problemi.» 39

3.1 Il discorso di Diotima

L’intermezzo tra Socrate ed Agatone costituisce la base del prossimo


encomio: quello di Socrate che si distacca nettamente da tutti gli altri discorsi
e dai modelli presi in considerazione dagli altri oratori.

Così, terminata la confutazione del discorso di Agatone, Socrate si accinge a


riferire il discorso che avrebbe udito un giorno da Diotima, una sapiente
sacerdotessa di Mantinea, che lo ammaestrò nelle cose d’Amore.

A questo punto si può già notare una “trasgressione” di Socrate, poiché


nonostante precedentemente le donne erano state invitate ad abbandonare la

38
Cfr. Plat, Resp. 6, 508d10-509a5.
39
«ἐγώ, φάναι, ὦ Σώκρατες, σοὶ οὐκ ἂν δυναίμην ἀντιλέγειν, ἀλλ οὕτως ἐχέτω ὡς σὺ λέγεις.
Oὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν
χαλεπόν.» (201c)

30
Biondi Maria
sala dove si stavano tenendo i discorsi d’amore, egli si fa portavoce di un
discorso di una donna. (201d)

Parte con l’encomio dalla confutazione di Agatone , o meglio, come afferma


dialetticamente Socrate, da ciò su cui lui e Agatone hanno trovato un’intesa,
ovvero di esaminare che cosa sia realmente Eros e quali siano le sue qualità
e funzioni, tra l’altro Platone rende Socrate portavoce diretto della
confutazione di Diotima nei suoi riguardi negli stessi termini in cui Socrate
ha confutato precedentemente Agatone, vale a dire sulla non bellezza di
Amore:

«E lei appunto mi confutò con gli stessi argomenti con cui io ho confutato
Agatone, ossia dimostrando che, in base al mio ragionamento, Amore non è
né bello né buono.»40 (201e)

Diotima rende noto a Socrate che essere non bello non significa
ineluttabilmente essere brutto; in termini logici, fra "bello" e "brutto" c'è una
connessione di contrarietà e non di contraddittorietà.

Secondo tale principio non si può essere contemporaneamente belli e non


belli, piuttosto è possibile essere allo stesso tempo non belli e non brutti.

Il discorso passa con naturalezza dalla opposizione bello/brutto e


buono/cattivo alla opposizione sapiente/ignorante; infatti Diotima prosegue
affermando che chi non è sapiente non è necessariamente ignorante:

«c’è qualcosa di intermedio fra sapienza e ignoranza.»41(202a3)

C’è un grado intermedio fra sapienza e ignoranza, definita da Socrate come


“ἡ ὀρθὴ δόξα” (l’opinione corretta):

40
«ἤλεγχε δή με τούτοις τοῖς λόγοις οἷσπερ ἐγὼ τοῦτον, ὡς οὔτε καλὸς εἴη κατὰ τὸν ἐμὸν λόγον οὔτε
ἀγαθός.» (201e)
41
«ἔστιν τι μεταξὺ σοφίας καὶ ἀμαθίας.» (202a3)

31
Biondi Maria
«Il saper formulare congetture pertinenti senza essere in grado di darne
ragione, non sai che non è né sapere […] né ignoranza […]: qualcosa di
intermedio fra comprensione e ignoranza.» (202a)

Eros similmente, non è né bello né brutto, né buono né cattivo, ma una via


intermedia tra due estremi.

«Eppure - obiettai - è opinione universale che sia un grande dio.»42

A questo punto Diotima spiega a Socrate che se si riconosce che gli dèi siano
felici e belli e che la felicità consiste nel possedere ciò che è bello e buono
(202c), allora Eros non può essere un dio, perché, desiderandole, è privo di
bellezza e bontà e diversamente dagli altri dèi, non è né bello né felice (202d).
Contemporaneamente, però, non può essere considerato neanche un mortale,
ma qualcosa che sta tra il mortale e l’immortale, ovvero un grande δαίμων:
viene quindi posta l’attenzione sul riconoscimento di Eros come un démone.

«È come dicevo prima, qualcosa di intermedio fra dio e mortale.

Che cosa?

Un gran demone. » 43

I demoni fungono da messaggeri, egli interpretano e riportano agli dèi quanto


accade agli esseri umani, e agli esseri umani quanto accade agli dèi,
occupando quello spazio vacuum intermedio che li separa, in modo che il
tutto sia connesso. (202e)

Gli dèi non si mescolano e non hanno contatti con gli uomini, ma ciò avviene
tramite i demoni:

42
«καὶ μήν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὁμολογεῖταί γε παρὰ πάντων μέγας θεὸς εἶναι.» (202b)
43
«ὥσπερ τὰ πρότερα, ἔφη, μεταξὺ θνητοῦ καὶ ἀθανάτου.
τί οὖν, ὦ Διοτίμα;
δαίμων μέγας.» (202d)

32
Biondi Maria
«Chi è sapiente in simili arti è uomo demonico, mentre chi è sapiente in
qualsiasi altra cosa, arte o mestiere che sia, è uomo che pratica il lavoro
manuale.»44

Chi possiede tale perizia è un uomo demonico; chi è esperto solo di τέχνη e
di artigianato è un mero meccanico, βάναυσος, infatti è attraverso il demonico
che intercede l’arte dei sacerdoti. (203a)

Diotima, spiegata la natura demonica di Eros passa a raccontarne la sua


nascita, e racconta che alla nascita di Afrodite gli dèi fecero una festa: tra gli
invitati c'era Poros, l'espediente, figlio di Metis, la saggezza. Penia, la
povertà, che mendicava al banchetto, approfittò, a causa della sua povertà
(203b), dello stato di ebrezza di Poros per concepire un figlio con lui.

Fu così che nacque Eros: egli però non è né ricco né bello, ma, grazie alla
madre, è duro, scalzo e senza fissa dimora, e convive con la miseria; ma,
grazie al padre, persegue il bello e il buono, è audace, ingegnoso e filosofo.

«Non è nato né immortale né mortale, ma in un’ora dello stesso giorno


fiorisce e vive, se la fortuna gli è propizia, in altra invece muore, ma poi
rinasce in virtù della natura del padre.»45

Eros per tanto passa la sua vita ad amare il sapere, e si trova in mezzo tra i
sapienti e gli ignoranti, e proprio per questo è un filosofo; mentre gli dèi
essendo già sapienti non hanno bisogno di cercare il sapere, dunque non sono
filosofi, analogamente l’ignoranza è soddisfatta di sé e non necessita di
rincorrere il sapere. Eros vive e muore ad intermittenza perché necessita
continuamente di ricerca nuova.

Ma Socrate si pone titubante di fronte a Diotima sulla natura demonica che il


filosofo condivide con Eros: (204a8-b8)

44
«καὶ ὁ μὲν περὶ τὰ τοιαῦτα σοφὸς δαιμόνιος ἀνήρ, ὁ δὲ ἄλλο τι σοφὸς ὢν ἢ περὶ τέχνας ἢ
χειρουργίας τινὰς βάναυσος.» (203a)
45
«καὶ οὔτε ὡς ἀθάνατος πέφυκεν οὔτε ὡς θνητός, ἀλλὰ τοτὲ μὲν τῆς αὐτῆς ἡμέρας θάλλει τε καὶ ζῇ,
ὅταν εὐπορήσῃ, τοτὲ δὲ ἀποθνῄσκει, πάλιν δὲ ἀναβιώσκεται διὰ τὴν τοῦ πατρὸς φύσιν.» (203d-e)

33
Biondi Maria
« Ma Diotima chi sono allora i filosofi, ossia gli amanti della sapienza, se
non sono né i sapienti né gli ignoranti?»46 (204a)

I filosofi, così come Eros sono di natura intermediari, ossia hanno una
funzione di mediatori tra ciò che è ragione e passione, tra l’essere e il
divenire. La sapienza è certamente fra le cose più belle: Eros, quindi, amando
il bello, è convenzionalmente amico della sapienza. Ciò è dipeso anche dalla
sua natura: per parte di padre è sapiente, mentre per parte di madre emerge
l’aporia. (204b)

Inoltre, Diotima asserisce che l’opinione comune, “Ἡ ὀρθὴ δόξα”, vede


l’Eros come bello perché gli attribuisce le qualità del lato passivo dell'amore,
quindi dell’ἐρώμενος. L’Eros, però, non è proprio dell’ἐρώμενος, bensì
dell’ἐραστής, il lato attivo dell’amore. (204c)

«E infatti l’oggetto d’amore coincide con ciò che è veramente bello e delicato
e perfetto e fortunato; invece ciò che ama ha precisamente l’aspetto che ho
descritto io.»47 (204c4-6)

A questo punto Diotima pone Socrate di fronte ad un’altra spiegazione:

«Se Amore è così, di quale utilità è per gli uomini?»48 (204c)

Diotima in questo caso proroga la risposta, così da chiarire la definizione di


Eros. Come è già stato affermato, l'Eros è desiderio del bello con il fine di
possederlo. Ma ora c’è da chiarire cosa avrà chi ottiene questo in possesso.

Socrate, suo malgrado, si mostra incapace di rispondere (204d). Di fronte a


tale ignoranza e per rendere la risposta più semplice, Diotima muta il bello
nel bene, che è da noi cercato per essere felici (204e).

«E infatti, i felici sono felici perché possiedono delle cose buone; e non serve
più domandare: “A che scopo vuole essere felice chi desidera esserlo?”.

46
«τίνες οὖν, ἔφην ἐγώ, ὦ Διοτίμα, οἱ φιλοσοφοῦντες, εἰ μήτε οἱ σοφοὶ μήτε οἱ ἀμαθεῖς;» (204a)
47
« καὶ γὰρ ἔστι τὸ ἐραστὸν τὸ τῷ ὄντι καλὸν καὶ ἁβρὸν καὶ τέλεον καὶ μακαριστόν: τὸ δέ γε ἐρῶν
ἄλλην ἰδέαν τοιαύτην ἔχον, οἵαν ἐγὼ διῆλθον.» (204c4-6)
48
«τοιοῦτος ὢν ὁ Ἔρως τίνα χρείαν ἔχει τοῖς ἀνθρώποις;» (204c)

34
Biondi Maria
La risposta è ormai sufficiente.» 49 (205a)

La felicità, non è desiderata per raggiungere altri scopi, ma è essa stessa il


fine ultimo comune a tutti. Questa parte del discorso gioca sul concetto
platonico del desiderio; benché l’argomento appaia di rilevanza soprattutto
etica, ha una radice nella natura stessa dell’uomo, e quindi nella struttura
della realtà di cui siamo parte: si desidera infatti ciò che non si ha, ciò che
non si è. Nella nostra anima è presente una scintilla ancora viva che proviene
dalla luce delle idee eterne ed è questa scintilla che ci spinge verso la
completezza attraverso Eros.

Ora, però, l’interrogativo che ci si pone è che se tutti hanno il medesimo


scopo, perché alcuni amano e altri no. In questo contesto Diotima spiega che
si designa come Eros solo una certa forma di amore che impropriamente si
tende a generalizzare ad una più ampia totalità. (205b) Ci si comporta
analogamente anche con la poesia (ποίησις) che è creazione di ogni attività
compiuta tramite τέχνη: tutti gli artigiani, meritano di essere detti poeti.
Generalmente, però, si denomina poesia solo una parte di queste attività,
quella toccante la μουσική e il metro (205c).

«Eppure sai che non si chiamano poeti, ma hanno altri nomi, e che una sola
parte, separata da tutta la poesia, quella che riguarda la musica e le
composizioni metriche, viene designata con il nome dell’intero.» (205c4-7)

Ugualmente l' Eros, è qualcosa che va oltre nell'accezione ordinaria


dell’amore: è il desiderio del bene e della felicità, variamente perseguito con
la finanza, la ginnastica o la filosofia (205d).

Chiaramente, definire l’Amore come ricerca della propria metà


significherebbe generalizzarlo come concetto: Eros non è né della metà né
dell’intero, bensì il desiderio di conseguire sempre il bene, e di possederlo in
eterno. (205e-206a) A questo punto, Diotima introduce la definizione di Eros

« κτήσει γάρ, ἔφη, ἀγαθῶν οἱ εὐδαίμονες εὐδαίμονες, καὶ οὐκέτι προσδεῖ ἐρέσθαι ἵνα τί δὲ
49

βούλεται εὐδαίμων εἶναι ὁ βουλόμενος; ἀλλὰ τέλος δοκεῖ ἔχειν ἡ ἀπόκρισις.» (205a)

35
Biondi Maria
come il desiderio dell’immortalità e dell’eterna bellezza e cioè del bene
eterno.50

Platone fa completare a Diotima la sua spiegazione con qualcosa che Socrate


non comprende:

«E’ il partorire nel bello, sia secondo il corpo, sia secondo l’anima»
(206b7)51

L'amore è il desiderio di procreare nel bello secondo il corpo e secondo


l'anima, l’Eros appare avere uno sbocco che va al di là della persona che ama,
in questo senso l’immortalità è fatta discendere da un generare qualcosa che
si pone al di fuori del generante e ne conserva il ricordo nel futuro.52

Tutti gli esseri umani concepiscono, nel corpo o nell'anima ed il


concepimento ha luogo nella bellezza e non nella bruttezza (206c): è
generazione e procreazione nel bello (206e), alla ricerca dell'immortalità;
poiché ciò che è divino non può essere presente nel brutto, ma concorda
prettamente solo con il bello.

Ed il motivo per cui gli esseri umani sono così disposti verso l'eros, è perché
i mortali, come spiega Diotima, possono essere partecipi dell'immortalità
solo essendo continuamente in divenire e lasciando dietro di sé qualcosa di
nuovo a sostituirli, tale modo assicura la prosecuzione di se stessi contro la
morte (207d).

«E lo può solo per questa via, cioè attraverso la generazione, in quanto


abbandona ogni volta un essere nuovo in luogo di uno vecchio.» (207d2-4)

Ciò vale non solo per il corpo (207e), ma anche per la conoscenza (208a),
costantemente presa di mira dalla dimenticanza (λήθη): mentre gli dèi
rimangono sempre gli stessi, i mortali hanno la necessità di rinnovarsi
perennemente per non morire, per non dimenticare:

50
A. Motta, Leggere il Simposio di Platone, Ibis, Como-Pavia, 2020, pp.103-104
51
« ἔστι γὰρ τοῦτο τόκος ἐν καλῷ καὶ κατὰ τὸ σῶμα καὶ κατὰ τὴν ψυχήν.» (206b7)
52
V. Di Benedetto, in Platone Simposio, Bur, 2016, pp.43-46

36
Biondi Maria
«La dimenticanza è il ritirarsi di una conoscenza, mentre lo studio, istillando
al contrario un nuovo ricordo al posto di quello che si è ritirato, salva la
conoscenza, tanto che sembra che sia sempre la stessa. E questo è il modo
in cui si salva tutto ciò che è mortale.» (208a5-9)53

Diotima fa qui riferimento allo sviluppo del pensiero che è ricordo e


considerazione di conoscenze che si rinnovano; ed è ciò che conduce
all’eterna vita dell’anima, quindi al processo di procreazione.

3.2 “I piccoli ed i grandi misteri” enunciati da Diotima

Diotima, a questo punto, attraverso la rivelazione dei misteri intorno ad Eros,


è giunta al culmine del suo discorso e procede a spiegare, come anche l’amore
che può provare un genitore nei confronti del proprio figlio può indurre alla
morte: ed è un amore che si eleva al di sopra di quello descritto da Fedro con
il racconto di Alcesti, è un amore che induce al desiderio di immortalità.

«Se vuoi considerare anche l’ambizione degli uomini, ti meraviglieresti della


loro irrazionalità, se non rifletti a ciò che volevo dirti, osservando come gli
uomini sono investiti dalla veemente passione di diventare celebri e di lasciar
gloria immortale per l’infinito avvenire, e per questo pronti ad affrontare
qualsiasi pericolo ancor più che per i propri figli.» (208c-d1)

È quindi la φιλοτιμία, ovvero l’ambizione che spinge i mortali a compiere le


azioni più ardue e irragionevoli purché si raggiunga la gloria immortale. Tale
immortalità si esprime in due forme diverse, ossia di natura fisica ed
intellettuale. Nel primo caso vediamo che è la procreazione a garantire

53
« λήθη γὰρ ἐπιστήμης ἔξοδος, μελέτη δὲ πάλιν καινὴν ἐμποιοῦσα ἀντὶ τῆς ἀπιούσης μνήμην σῴζει
τὴν ἐπιστήμην, ὥστε τὴν αὐτὴν δοκεῖν εἶναι.» (208a5-9)

37
Biondi Maria
l’immortalità della specie; l’anima invece, ha il compito di produrre prudenza
e ogni altra virtù attraverso i ragionamenti.

Questa fecondità spirituale appartiene ai poeti e agli artigiani inventivi, e


porta alla formazione della giustizia e della σωφροσύνη per l'ordinamento
delle case e delle città (209a).

«Sapienza e ogni altra virtù, appunto a questa categoria appartengono tutti


i poeti cosiddetti creatori e gli artigiani che sono detti inventivi; ma la
sapienza di gran lunga più grande e più bella ha per oggetto l’ordinamento
delle città e delle case a cui si dà il nome di temperanza e giustizia.»54 (209a)

Si vengono in tal modo ad instaurare relazioni interpersonali con una


comunanza molto più salda di quella dei figli, perché hanno termini più
avvenenti e immortali (209b-c), come in passato è stato messo in mostra dalle
illustri opere di Omero ed Esiodo, oppure, come è evidente nelle leggi di
Licurgo e Solone (209d); personaggi dotati di grandi anime che hanno
permesso loro di guadagnarsi la gloria immortale. In questa fase dell’ascesa
verso il Bello si mettono, così, in risalto i benefici di questa straordinaria
visione del Bello assoluto.

Quello che Diotima ha enunciato fino a questo momento sono quelli che
vengono definiti i “piccoli misteri”, vale a dire quell’educazione che aiuta i
giovani iniziati ad indottrinarsi e a nutrirsi su ciò che conferisce
l’immortalità.

C’è però una seconda fase di educazione erotica, più completa e complessa,
che conduce all’emancipazione dal particolare verso l'universale, quella dei
“grandi misteri”.

«Per altro in queste cose d’amore forse, o Socrate, avresti potuto iniziarti
anche da solo; ma dubito che saresti capace di percorrere i gradi della

54
«φρόνησίν τε καὶ τὴν ἄλλην ἀρετήν—ὧν δή εἰσι καὶ οἱ ποιηταὶ πάντες γεννήτορες καὶ τῶν
δημιουργῶν ὅσοι λέγονται εὑρετικοὶ εἶναι: πολὺ δὲ μεγίστη, ἔφη, καὶ καλλίστη τῆς φρονήσεως ἡ περὶ
τὰ τῶν πόλεών τε καὶ οἰκήσεων διακόσμησις, ᾗ δὴ ὄνομά ἐστι σωφροσύνη τε καὶ δικαιοσύνη.»
(209a)

38
Biondi Maria
visione suprema, in cui hanno radice anche le cose d’amore, se si segue una
via d’indagine.» (209e5-210a2)

In questo contesto, Socrate appare agli occhi di Diotima come un allievo


incapace di raggiungere quel processo di iniziazione erotica al di là di quelli
che sono i “grandi misteri”, ma in realtà Diotima, sebbene si mostri disposta
a fare da “insegnante” al suo “discepolo”, evidenzia come sia difficoltoso ora
raggiungere il punto culmine dei grandi misteri. In quanto è un livello non
raggiungibile da tutti.

Il punto massimo del discorso di Diotima viene raggiunto con la descrizione


della Scala amoris55, attraverso la quale è possibile capire concettualmente
non soltanto la duplicità, ma anche la molteplicità della bellezza.

Si sta passando, dunque, dai “piccoli misteri” che permettono la


procreazione, che quindi garantiscono l’immortalità, ai “grandi misteri” dove
l’oggetto di contemplazione è il Bello assoluto e puro.

Il primo scalino dell'ascesa riporta al concetto d'amore per un bel corpo. Ciò
implica una moltiplicazione e un'unificazione del molteplice: l’amante si
rende conto che, allora, più che amare il bel corpo, è più giusto amare «la
bellezza nella sua forma» , ἐπ’εἶδει56. Quindi è necessario giungere al bello
universale, che permette di ispirare verso nobili discorsi: si può, talvolta,
passare dall'ammirare la bellezza del corpo a quella dell'anima (210b-c);
successivamente si passa a ricreare quei ragionamenti che migliorano i
giovani iniziati, per educarli a scoprire la bellezza delle istituzioni e dei νομοί
(210c); tutto ciò per poi giungere alle scienze, liberandosi dalla schiavitù di
un singolo per rivolgersi al gran mare del bello e, attraverso la
contemplazione arrivare a generare bei pensieri ricchi di nobile sapienza, vale
a dire filosofici (210c-d).

55
«Vera e propria iniziazione ai ‘misteri d’amore’». A. Motta, Leggere il Simposio di Platone,
Ibis, Como-Pavia, 2020, p.111
56
Platone, Simp., 210b2

39
Biondi Maria
« Chi sia stato educato fin qui in quanto concerne l'eros, contemplando
ordinatamente e correttamente ciò che è bello, giunto ormai al suo
compimento, avrà all'improvviso davanti agli occhi qualcosa di
meraviglioso, bello nella sua natura: proprio per questo, Socrate, sono stati
sofferti tutti i precedenti travagli: qualcosa che in primo luogo è per sempre,
e non nasce né muore, e non cresce né diminuisce; e inoltre, non è bello per
un verso e per un verso brutto, né ora sì e ora no, né bello rispetto a una cosa
e brutto rispetto a un'altra, né qui bello e là brutto, così da essere bello per
alcuni e brutto per altri.» (210e2-211a)

Diotima esclude a priori la visione comune del Bello, ma lo presenta come


eterno e immutabile e assoluto.

«Cominciando dalle cose belle di qui, salire sempre più, quasi usandole come
gradini, in vista del bello supremo, da una a due e da due a tutti i bei corpi,
e dai bei corpi alle belle istituzioni, e dalle belle istituzioni alle belle nozioni,
finché dalle nozioni si trovi compimento in quella nozione, che non è nozione
d'altro se non del bello stesso, e così, in conclusione, si conosca ciò che è il
bello in sé.»57 (211b8-211c)

Ne conviene che l’amore del filosofo ha per oggetto in primo luogo i


ragionamenti e le scienze, i quali fanno da gradini per giungere alla
contemplazione della bellezza pura e assoluta; i discorsi fanno, perciò da base
al raggiungimento del fine ultimo: la contemplazione del bello in sé.

La sacerdotessa pone in analisi un'ascensione dal sensibile all'intelligibile,


dal particolare all'universale. Questo processo mostra come nessuno degli
strumenti in nostro possesso, che riflettono alla conoscenza e al sapere, è

57
« τοῦτο γὰρ δή ἐστι τὸ ὀρθῶς ἐπὶ τὰ ἐρωτικὰ ἰέναι ἢ ὑπ᾽ ἄλλου ἄγεσθαι, ἀρχόμενον ἀπὸ τῶνδε
τῶν καλῶν ἐκείνου ἕνεκα τοῦ καλοῦ ἀεὶ ἐπανιέναι, ὥσπερ ἐπαναβασμοῖς χρώμενον, ἀπὸ ἑνὸς ἐπὶ
δύο καὶ ἀπὸ δυοῖν ἐπὶ πάντα τὰ καλὰ σώματα, καὶ ἀπὸ τῶν καλῶν σωμάτων ἐπὶ τὰ καλὰ
ἐπιτηδεύματα, καὶ ἀπὸ τῶν ἐπιτηδευμάτων ἐπὶ τὰ καλὰ μαθήματα, καὶ ἀπὸ τῶν μαθημάτων ἐπ᾽
ἐκεῖνο τὸ μάθημα τελευτῆσαι, ὅ ἐστιν οὐκ ἄλλου ἢ αὐτοῦ ἐκείνου τοῦ καλοῦ μάθημα, καὶ γνῷ αὐτὸ
τελευτῶν ὃ ἔστι» (211c)

40
Biondi Maria
capace di porci di fronte alle verità eterne e di poterle possedere. Possiamo
sentirne esclusivamente la mancanza e rincorrerle.

«Pensi forse che sarebbe di poco valore la vita di un essere umano che
mirasse a ciò, contemplando quel bello coll'occhio col quale va contemplato,
e vivendoci in comunione? Non consideri - disse - che unicamente così,
contemplando il bello attraverso ciò che lo rende visibile, gli avverrà di
generare non immagini di virtù, perché non afferra un'apparenza, ma virtù
vera, in quanto afferra il vero? E che, avendo procreato e allevato virtù vera,
gli sarà possibile diventare caro agli dèi, e anch'egli immortale, se mai altro
uomo? » (212a)

L'immortalità di Diotima è quella delle idee, che oltrepassano il concetto di


individualità: i mortali è attraverso questo processo di procreazione fisica e
spirituale che si vedono concedere una possibilità di immortalità.

Socrate termina il suo discorso asserendo di essere stato persuaso dalla


sacerdotessa di Mantinea: e afferma che saper imparare dagli altri in un luogo
competitivo, quale è in questo caso il simposio, è un atto d'amore e di
filosofia.

Socrate conclude il suo discorso tra gli applausi dei conviviali, ma non è
questo il termine del discorso, bensì sarà il discorso di Alcibiade a chiudere
il simposio. Il suo discorso non sarà rivolto ad Eros, ma ad una persona:
l’amato Socrate.

41
Biondi Maria
CAPITOLO IV

IL DISCORSO DI ALCIBIADE

4.0 L’ingresso di Alcibiade ubriaco


Vi è a questo punto dell’opera platonica un improvviso cambio di scena, che
pone fine a quell’atmosfera iniziatica raggiunta con l’apice della scala
amoris; questo improvviso mutamento è dovuto dall’irruzione di Alcibiade58
ubriaco.
Alcibiade, che in un primo momento non si accorge che è presente anche
Socrate, dichiara di essere venuto per incoronare Agatone: (212e)
« Io infatti, ieri, non sono stato capace di venire, e vengo ora, con i nastri in
testa, per spostarli dalla mia testa e incoronare la testa dell’uomo più
sapiente e più bello. Ridete di me perché sono ubriaco? Ma io, anche se

58
Alcibiade, figlio di Cleinias (450–404 aC), dal demos di Scambonidae , fu un oratore e generale
ateniese.

42
Biondi Maria
ridete, so bene lo stesso che dico la verità. E comunque rispondetemi subito:
entro o no? Bevete con me o no?» (212e5-213a2)
Alcibiade è così invitato a restare, e scorge che Socrate è seduto vicino ad
Agatone, e gli fa scherzosamente una scena di risentimento, come di gelosia
(213a-c); infatti a tutti è ben chiaro che egli è innamorato di Socrate e fa
notare che quest’ultimo si è seduto di fianco al più bello della compagnia:
Agatone, per l’appunto. Socrate quasi intimorito dal terribile amore di
Alcibiade, che lo ha messo nella condizione dell’amato59, chiede ad Agatone
di difenderlo e di aiutarli a riconciliarsi. (213d)
Tuttavia, Alcibiade dopo aver incoronato Agatone incorona anche Socrate,
perché «αὐτὸν δὲ νικῶντα ἐν λόγοις πάντας ἀνθρώπους»,60 ed egli dunque,
divenuto simposiarca, si autonomina “capo della bevuta” affermando che
desidera continuare a bere (213e), e fa bere del vino anche a Socrate, che
sebbene, per quanto lo si faccia bere, nessuno è mai riuscito a farlo ubriacare
(214a).
Allora, il medico Erissimaco che al principio del simposio suggerì la sobrietà
assoluta, interviene , per ricordare le regole del simposio (214b).
«Ma come facciamo, o Alcibiade? Non diciamo nulla sul bicchiere? Non
cantiamo? Beviamo così, proprio come gli assetati?»61(214a7-b2)
Alcibiade decide di prestare ascolto alla prescrizione del medico; ed egli
sceglie, però, di non lodare Eros, ma lo stesso Socrate, incaricandosi di dire
la verità. (214d)

4.1 L’elogio a Socrate


Alcibiade inizia il suo elogio a Socrate per immagini: il ricorso a tale uso è
tipica espressione ‘comica’, ma in questo caso colui che ne fa uso ha l’intento
di mostrare la verità senza cadere nel ridicolo, e per questo paragona il suo

59
Socrate passa da essere l’amante nell’Alcibiade I, all’amato nel Simposio, un amato
paragonabile ad un dio al quale offrire sacrifici.
60
«Vince tutti nei discorsi». (213e3)
61
«ὦ Ἀλκιβιάδη, ποιοῦμεν; οὕτως οὔτε τι λέγομεν ἐπὶ τῇ κύλικι οὔτε τι ᾁδομεν, ἀλλ᾽ ἀτεχνῶς ὥσπερ
οἱ διψῶντες πιόμεθα;» (214a7-b2)

43
Biondi Maria
amato a una di quelle statuette di Sileno (215a), che nonostante siano di
aspetto tozzo, posseggono al loro interno simulacri di dei.
«Costui è somigliantissimo a quei sileni esposti nelle botteghe degli scultori,
che gli artisti figurano con zampogne e flauti, i quali, se li apri in due,
mostrano dentro simulacri degli dèi. E dico ancora che lui assomiglia al
satiro Marsia, e che almeno nell’aspetto tu sia uguale a costoro, o Socrate,
nemmeno tu potresti negarlo.» (215a7-b6)
Questa parte dell’elogio sembra essere riferita all’aspetto fisico di Socrate,
ma più di tutto al contrasto tra l’essere e l’apparire, tra l’esteriore e l’interiore,
tra bruttezza e bellezza.
Lo paragona al satiro flautista Marsia62; ma sostanzialmente a differenza di
Marsia, Socrate non necessita di strumenti: gli sono sufficienti i «nudi
discorsi» per ottenere l’eccitazione entusiastica. (215c)
Socrate con la sua arte da seduttore delle anime, riesce a superare anche
l’abilità oratoria di Pericle o qualche altro bravo oratore.
Ascoltando Socrate, ci si rende conto di trovarsi in una condizione simile a
quella di uno schiavo:
«Infatti quando l’ascolto molto più che agli invasati dal delirio coribantico
il cuore mi si ferma e lacrime sgorgano sotto i tuoi discorsi, e vedo che anche
moltissimi altri provano le stesse cose.» (215e)
Egli pone come rimedio l’unica soluzione di sottrarsi ai suoi discorsi, così
come Odisseo scappò al canto delle Sirene63:
« Anche adesso sono conscio fin dentro me stesso che se volessi offrirgli
ascolto, non gli resisterei e proverei tutto questo. Infatti, mi costringe a
convenire che, pur essendo molto carente, continuo a trascurare me stesso,
eppure mi occupo degli affari degli Ateniesi. A forza dunque mi allontano in
fuga da lui come dalle sirene, con le orecchie tappate per non invecchiare
seduto al suo fianco.» (216a3-7)

62
Marsia incanta gli uomini con i suoi strumenti musicali.
63
Le sirene hanno il volto di donne e coda di pesce; esse attirano gli uomini con il loro irresistibile
canto per poi mangiarli e ricoprire la loro scogliera con cumuli di ossa. Hom., Od., XII

44
Biondi Maria
Alcibiade si sente combattuto tra il desiderio di possedere Socrate e di
volerlo, invece, tra i morti; egli sa bene che qualora lo perdesse sarebbe
abbandonato ad un dolore insopportabile. Giunge così alla consapevolezza
che la vita del politico è destinata ad una esistenza da schiavo, al servizio di
chi gli concede il potere a cui si mira.
Ed è da questa dichiarazione che Alcibiade si mostra tanto più innamorato
dell’anima di Socrate, piuttosto che del corpo.
Non gli importa dell'aspetto, né della ricchezza, Alcibiade è conscio che
dietro la sua dissimulazione è presente qualcosa di divino. (216e)
Racconta di avere cominciato ad isolarsi con lui, aspettando che egli si
proponesse, invitandolo anche a fare ginnastica e a cenare insieme, senza
ottenere alcun appagamento. Solo alla fine riesce a dichiararsi, dicendogli
che è il suo unico ἐραστής e poiché il suo unico scopo è arricchire se stesso,
è giusto compiacerlo in tutto (218c).
Socrate gli risponde ironicamente:
«Caro Alcibiade, forse non sei uno sciocco, se quanto dici di me è
effettivamente vero e in me c'è una qualche potenza in grado di farti
diventare migliore: in me devi vedere una bellezza irresistibile, di gran lunga
superiore alla tua grazia. E se tu, considerandola, metti mano a far comunità
con me e scambiare bellezza contro bellezza, intendi approfittare non poco
di me, cercando di acquistare bellezza vera in cambio di bellezza opinabile
e di scambiare il bronzo con l'oro. Ma guarda meglio, benedetto amico: ti
potrebbe sfuggire che io non sono nessuno. E' vero che la vista
dell'intelligenza comincia a diventare acuta quando quella del corpo inizia
a declinare: ma tu sei ancora lontano da quel momento.» (218d-219a)
Socrate mette così in allerta Alcibiade, esortandolo a guardare meglio,
affinché non eluda che Socrate non è nulla; in questo modo si evince che per
l’anziano oratore il giovane amante è vittima dell’inganno della vista.
Infatti, l’amante Alcibiade desidererebbe scambiare la sua apparente
bellezza esteriore con quella completa e assoluta di Socrate.

45
Biondi Maria
Alcibiade però, incapace di capire che è stato respinto, avvolge Socrate col
suo mantello e si sdrai vicino a lui per tutta la notte, senza ottenere niente.
Solo allora si rende conto di essere stato mortificato.
«Ma essendomi comportato in questa maniera, lui si mostrò così superiore e
disprezzò la mia bellezza e se ne fece beffe e la umiliò.»64 (219c3-5)
Per Alcibiade dormire con Socrate è stato come dormire con un padre, e ciò
lo ha reso disonorato e perplesso, in quanto è proprio la stranezza di Socrate
a generare in lui sentimenti tanto contrastanti; infatti combatte tra il proprio
orgoglio e l’irresistibile fascino delle virtù di Socrate.
Per tanto, nonostante la delusione del rifiuto, Alcibiade vuole esaltare gli
aspetti più straordinari delle virtù di Socrate attraverso alcuni episodi: il
primo che narra è connesso alla spedizione contro Potidea65, qui Socrate dà
prova di straordinaria resistenza in ogni cosa, sia di fame che di freddo.
(219e-220b)
Alcibiade richiama poi all’attenzione un ulteriore episodio intorno alle
capacità di concentrazione di Socrate: come gli è di consueto, un giorno si
isolò per pensare, fra lo stupore dei presenti:
«Aveva preso a meditare su qualcosa e si era fermato in piedi fin dall’alba
nello stesso posto a riflettere, e siccome la cosa non gli riusciva, non lasciava
perdere e rimaneva fermo in piedi a indagare.» (220c3-5)
Alcibiade riporta così una scena che riprende un po' quella iniziale del
simposio da Agatone; dove Socrate si isola per i suoi consueti esercizi
spirituali, necessari a distaccare l’anima dal corpo66.
Successivamente riporta un episodio avvenuto durante il combattimento del
432 a.C., dove Socrate salvò la vita e l'onore di Alcibiade, e insistette affinché
il riconoscimento per il suo valore andasse a lui. E si comportò valorosamente
anche in occasione della sconfitta di Delio, quando gli Ateniesi dovettero
ritirarsi perché assaliti dai Tebani. (221a)

64
«ποιήσαντος δὲ δὴ ταῦτα ἐμοῦ οὗτος τοσοῦτον περιεγένετό τε καὶ κατεφρόνησεν καὶ κατεγέλασεν
τῆς ἐμῆς ὥρας καὶ ὕβρισεν.» (219c3-5)
65
(430-429 a.C.) è una piccola città della penisola calcidica, che nel 432 si ribellò al dominio
ateniese.
66
N. Loraux, Donc Socrate est immortel, 3,1982, pp.20-46

46
Biondi Maria
A questo punto del discorso, Socrate che dopo aver raggiunto l’apice della
contemplazione con la sacerdotessa Diotima, e dopo l’elogio da parte di
Alcibiade riprende possesso quella dignità da cittadino modello e virtuoso,
dedito alla πόλις, tipico della tradizione ateniese.
Alcibiade chiude così il suo encomio dal punto di inizio: vale a dire con il
paragone ai Sileni annotando che:
« I suoi discorsi sono quasi identici ai sileni che si aprono in due. Chi dunque
si mette a sentire i discorsi di Socrate, sulle prime li troverebbe del tutto
ridicoli, tali sono le parole e le espressioni di cui s’avvolgono di fuori,
qualcosa come la pelle d’un satiro insolente: parla di asini bastati, di certi
fabbri, ciabattini e conciapelli e con le stesse voci pare sempre che ripeta le
stesse cose. Cosicché ogni inesperto o sciocco potrebbe riderci sopra a
questi discorsi. Ma chi li veda aperti e vi penetri dentro, troverà innanzitutto
che essi soli, fra tutti i discorsi, hanno una mente, e poi che sono i più divini
e pieni di ogni immagine di virtù e tendono a ciò che v’è di più grande, anzi
a tutto quanto bisogna mirare per chi vuole diventare un uomo nobile ed
eccellente.» (221d7-222a6)
In questo contesto è ben evidente come il divino presente nell’anima di
Socrate padroneggia anche il suo aspetto corporeo.67
Alcibiade infatti, concretizza in quest’ultima fase del discorso ciò che aveva
precedentemente detto, ovvero che Socrate nei suoi discorsi è paragonabile
alle statuette dei sileni, cioè presenta una duplice apparenza poiché da una
parte, per i suoi discorsi a cui fa riferimento attraverso immagini quasi
sconnesse, può apparire ridicolo; ma al contrario, i suoi discorsi presentano,
se si arriva a fondo, delle immagini divinatorie: il divino in Socrate, dunque
è visto solo da chi sa apprendere con gli occhi dell’anima.
In tal modo Alcibiade dichiara di aver capito l’insegnamento di Socrate,
ovvero quella che è la differenza tra l’esteriorità e l’interiorità dell’anima, ma
non riesce a penetrare a fondo in questi discorsi.

67
La sostanziale relazione che vi è tra il corporeo e il divino è ben tematizzata sia nell’Alcibiade I
che in questo caso, nel Simposio.

47
Biondi Maria
Quest’ultimo discorso di Alcibiade potrebbe essere considerato come il
fulcro di tutto il dialogo Platonico in questione, dato che il Simposio stesso
appare come la descrizione fatta da Alcibiade di Socrate; infatti, riuscire a
penetrare realmente al suo interno è l’unico modo per arrivare al vero sé e di
conseguenza all’immortalità, poiché si arriva a far valere di più la parte
interna, ossia l’anima, su quella esterna, ossia il corpo. Alcibiade nel suo
discorso si presenta come un veritiero, ma non possiede gli strumenti giusti
per arrivare a queste verità, e dunque alla natura di Eros.
Al termine del Simposio, si crea una situazione in cui Socrate si compiace per
essere stato paragonato ad un satiro e sileno, ma al contempo considera
l’elogio di Alcibiade come un modo per creare attrito tra lui e Agatone:
«Mi sembri tutt’altro che ubriaco, o Alcibiade. Altrimenti non avresti
arzigogolato con tanta scaltrezza per mascherare la vera ragione per cui hai
detto tutte queste cose: hai accennato, a quella ragione, solo di passaggio
verso la fine, come se non avessi pronunciato ogni parola per seminare
zizzania fra me e Agatone.» 68(222c3-8)
Analizzando il contesto si nota come Alcibiade si frappone tra Agatone e
Socrate sia in termini fisici poiché si pone in mezzo ai due, sia
figurativamente tentando di ostacolare un eventuale rapporto tra i due.
Platone, però inserisce al termine di tutta l’opera un ulteriore cambio di
scena: infatti, lo scambio di battute fra i tre viene bruscamente interrotto
dall'ingresso di un altro gruppo di gaudenti, che creano scompiglio al
simposio (223b2-6).
Fedro, Erissimaco si congedano; mentre Aristodemo e i convitati rimasti
sono tutti addormentati, tranne Socrate, Agatone e Aristofane, che bevono a
turno da una grande coppa, da sinistra a destra, ancora secondo le regole
stabilite all'inizio. (223c)
Socrate costringe Agatone e Aristofane a confermare che una medesima
persona può comporre sia tragedie che commedie, e che un autore tragico ha

68
«Νήφειν μοι δοκεῖς, φάναι, ὦ Ἀλκιβιάδη. οὐ γὰρ ἄν ποτε οὕτω κομψῶς κύκλῳ περιβαλλόμενος
ἀφανίσαι ἐνεχείρεις οὗ ἕνεκα ταῦτα πάντα εἴρηκας, καὶ ὡς ἐν παρέργῳ δὴ λέγων ἐπὶ τελευτῆς αὐτὸ
ἔθηκας, ὡς οὐ πάντα τούτου ἕνεκα εἰρηκώς, τοῦ ἐμὲ καὶ Ἀγάθωνα διαβάλλειν.» (222c3-8)

48
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le stesse competenze per essere anche comico: così Socrate mostra quanto di
vero è presente nel precedente discorso di Alcibiade in cui ha descritto
l’amato con una immagine che pare quasi ridicola, ovvero il sileno, ma il suo
scopo, in realtà, non è stato quello di far ridere ma di mostrare la verità. I
conviviali però non riescono ad arrivare a queste verità, si soffermano
ridendo alla parte superficiale del suo discorso, abbandonandosi alla
leggerezza del clima che si è creato.
« Loro due, costretti a convivere su questi argomenti e incapaci di seguire
con precisione, cascavano dal sonno, e per primo si addormentò Aristofane
e , quando ormai era giorno, Agatone. Socrate invece, dopo averli fatti
addormentare, si alzò e se ne andò. Andò al Liceo e, dopo essersi lavato,
come altre volte trascorse il resto della giornata, finché verso sera tornò a
casa a riposare.» (223d6-d12)
Concluso il discorso di Socrate, sia Aristofane che Agatone crollano
addormentati. Socrate, dopo averli messi a dormire e aver compiuto il suo
dovere, si incammina presso il santuario di Apollo Liceo, dove si abbandona
ad un bagno e rincasando alla sera per riposare.

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CONCLUSIONI

Il lavoro che ho svolto ha come scopo l’analisi dei vari aspetti di Eros presenti
nel Simposio, capolavoro indiscutibile di Platone.
In quest’opera Eros viene ad essere il filosofo stesso, ed è una conclusione a
cui si arriva dopo una serie di ragionamenti e di analisi portati avanti dai vari
personaggi dell’intera opera. Platone crea, attraverso i discorsi dei suoi
simposiasti, una sorta di scala che conduce in conclusione alla sua massima
idea di Eros.
È Fedro ad essere posto per primo in analisi, il quale riconosce nel dio
dell’Amore la sua natura più antica, e che induce l’uomo a distinguersi agli
occhi dell’amato per virtù e coraggio. Fedro, dunque, nel suo encomio, segue
la tradizione degli exempla mitologici, come si evince dalle vicende portate
in analisi di Alcesti e Achille.
Il secondo a prendere parola è Pausania. Il quale, invece, riconosce la
duplicità di Eros così come quella di Afrodite: ‘Celeste’ e ‘Volgare’. Ogni
azione svolta non è né buona né cattiva, ma dipende tutto dallo scopo finale
per cui è compiuta, e merita lode solo se è per cose giuste. Mentre l’amore

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che cade nel volgare dipende dall’uso poco consono che viene fatto di esso,
mirando esclusivamente al corpo della persona amata. Pausania gioca,
dunque, sulle disposizioni di Eros che ruotano attorno all’opposizione di
amore ‘buono’ e ‘cattivo’, ossia tra eterosessuale e omosessuale.
Viene posto poi il pensiero del medico Erissimaco, che segue la linea della
duplicità di Eros tra ‘buono’ e ‘cattivo’, mutandoli in ‘sano’ e ‘insano’. I due
tipi di Amore sono presenti in tutti i fenomeni naturali e in particolar modo
egli sostiene la teoria degli opposti; infatti, per la sua professione medica
occorre combattere ciò che è malato e compiacere il sano, facendo sì che gli
opposti si attraggano fino a raggiungere un armonico equilibrio.
Aristofane invece, espone il mito dell’androgino. Secondo il suo pensiero in
origine i sessi erano tre: maschile, femminile e androgino. Essi erano di forma
sferica e formati da quattro braccia e quattro gambe, dotati di una superbia
tale che Zeus fu costretto a dividerli per metà. Così questi esseri sono in
perenne ricerca della loro metà mancante; a questa costante ricerca della parte
perduta si dà il nome di ‘amore’. Quindi Aristofane pone la relazione erotica
come un desiderio di completamento per ciò che all’uomo manca.
Agatone, invece, non fa altro che esporre una serie di elenchi che mirano a
descrivere le qualità di Eros, visto come il più bello e beato tra gli dèi, grazie
al quale ogni discordia è messa a tacere, attraverso una serie di immagini
eleganti secondo le norme della retorica gorgiana.
Socrate per il suo discorso si rifà alle parole udite dalla sacerdotessa di
Mantinea, Diotima, in cui Platone personifica la sua idea di Eros. Secondo la
quale Eros ha origine da Povertà e da Espediente, e non è né bello né brutto,
né buono né cattivo, né immortale né mortale, ma un intermediario tra gli
opposti: esso è un démone. Spiega come l’immortalità può essere raggiunta
in due modi: fisicamente con la procreazione, per l’immortalità della specie;
attraverso azioni eroiche e virtuose, per l’immortalità dell’anima. Diotima
segue una scala amoris che porta al concetto unico di bellezza, che è comune
a tutti i corpi belli; infatti, dall’amore per la bellezza di un corpo l’amante
passa a bramare la bellezza presente in tutti i corpi belli, fino a giungere a

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quella in tutte le istituzioni, le scienze, finché giunge all’idea del bello in sé,
immutabile e perpetuo.
L’opera si conclude con l’elogio di Alcibiade ubriaco, rivolto a Socrate
piuttosto che ad Eros, sconvolgendo i piani del simposio.
Egli esalta la figura di Socrate non tanto quanto un maestro, poiché ammette
di non aver seguito gli insegnamenti di Socrate, ma come il suo amato,
paragonandolo ad una statuetta di sileni, con lo scopo di essere veritiero senza
cadere nel ridicolo.
In conclusione, si può dire che il discorso di Alcibiade fa da chiave di lettura
per tutto il Simposio, in cui Platone traccia un graduale percorso iniziatico
per il riconoscimento della figura di Eros.

BIBLIOGRAFIA

V. Di Benedetto, in Platone Simposio, Bur, 2016


K.J. Dover, Commentary, in Plato, Symposium, Cambridge-New York, 1980.
Es., Th., V
F. Ferrari, La via dell’immortalità. Percorsi platonici, Rosenberg e Sellier,
Torino, 2019.
Hom., Il., XVI
Hom., Od., VIII
Hom., Od., XI, 307-20
Tito Livio, Ab urbe condita libri, I, 57-58
A. Motta, Leggere il Simposio di Platone, Ibis, Como-Pavia, 2020
Tucidide, VI, 54
Tucidide, I, 20 e VI, 54-59
Virgilio, Georgiche, IV

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INDICE
CAPITOLO PRIMO
L’EROS SECONDO I SERMONI DI FEDRO, PAUSANIA ED
ERISSIMACO

1. Prologo del Simposio ……………………………………………...p. 4


2. L’Eros in Fedro……………………………………………………p.6
3.L’Eros in Pausania…………………………………………………p.11
4.L’Eros in Erissimaco………………………………………………p.15

CAPITOLO SECONDO
AMORE O AMORI? L’EROS SECONDO I SERMONI DI
ARISTOFANE E AGATONE

1. Eros in Aristofane e il mito dell’Androgino………………………p.19


2. Dibattito tra Socrate ed Agatone. L’Eros in Agatone………………p.23

CAPITOLO TERZO

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L’AMORE SECONDO PLATONE

1. Socrate confuta Agatone……………………………………p.28


2. Il discorso di Diotima………………………………………p.31
3. “I piccoli ed i grandi misteri” enunciati da Diotima…………p.38

CAPITOLO QUARTO
IL DISCORSO DI ALCIBIADE

1. L’ingresso di Alcibiade ubriaco……………………………p.43


2. L’elogio a Socrate…………………………………………p.44
CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA

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