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PAVESE E PROUST: TRA ORIGINE E MEMORIA BIONDI MARIA

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Introduzione

Lo scopo del mio elaborato è quello di mettere a confronto due autori: Cesare Pavese e Marcel
Proust, sulla tematica del tempo: tra l’origine e la memoria.

Sono autori di due opere colossali la Recherche di Proust e la Bella Estate di Pavese, opera
con la quale l’autore vinse il “Premio Strega”, in cui intuibilmente il tema comune e
dominante di queste opere è visto nella memoria, nella ricerca delle radici, nelle stagioni
formative della vita e nel lascito.

Per questi autori si parla quasi di un tempo perduto e ritrovato attraverso la bellezza del
ricordo che sorprende perché sorge all’improvviso per il narratore, ma anche per il lettore.

Il punto di arrivo della ricerca stilistica di Pavese è quello che possiamo considerare il suo
capolavoro in stile tardo: La bella estate, che è un trittico, è come se Pavese accostando queste
tre narrazioni giungesse a una nuova idea di romanzo. L’autore definisce questi suoi racconti
come “la casa in cui abitare”.

Nei racconti di Pavese emerge forte la sua idea di retrovisione che costituisce l’idea del
passato e del ricordo. Questo è il punto di partenza di tutto, di quello che l’autore stesso
chiama gli “stampi memoriali”.

Pavese riesce ad entrare ed a uscire dalla dimensione temporale dei suoi racconti, ricercando
un’immagine mitica di sé, per verificarne l’immobilità, conferendo così alle sue opere una
dimensione tragica che vuol coinvolgere tutti gli uomini. In questo modo, il breve tempo delle
vicende pavesiane si allarga fino a diventare il tempo dell’uomo.

Proust, invece, racchiude questa tematica nella sua colossale opera la “Recherche” in cui
passato e memoria fanno da padroni, e mettendo in evidenza una distinzione importante per
l’autore tra memoria volontaria e quella involontaria: i ricordi, l’oblio, le oscurità, le
rivelazioni e le resurrezioni sono un insieme di parole che reggono un tema strutturale e
costante della riserva di Proust che si chiama appunto alla Ricerca Del Tempo Perduto. Questa
reminiscenza involontaria può essere dolorosa ma può essere al contempo anche pienamente
felice.

La Recherche è una vera e propria ricerca per stanare il “tempo perduto”. Proust vuole far
intendere in modo molto forte che il ricordo è qualcosa che non riguarda tanto l’anima, la
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psicologia, ma riguarda il corpo, poiché il soggetto ha bisogno di punti di appiglio, di termini
di riferimento, e questi vengono dal mondo esterno, in un momento, in un istante di estasi che
è al di fuori della durata temporale vera e propria.

1.Cesare Pavese e la sua cognizione del tempo ne “La luna e i falò”

Cesare Pavese (9 settembre 1908 - 27 agosto 1950) è stato uno scrittore, poeta e traduttore di
spicco nel panorama letterario del Novecento.

Cresce a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, nella provincia di Cuneo, da una famiglia di
abbienti commercianti. Nonostante l’agiatezza economica, Pavese non godette di una felice
infanzia, infatti fu colpito da gravi lutti già a partire dalla tenera età e fu cresciuto con autorità
dalla madre che gli diede una educazione rigorosa e severa, la quale contribuì ad accentuare
il suo carattere introverso1.

Influenzato da una visione tragica della vita, complice probabilmente il delicato periodo
storico che ha vissuto, lo scrittore si focalizzò soprattutto sulle problematiche esistenziali, il
mito e la realtà contemporanea. Dalle sue opere emerge, infatti, fortemente la sua personalità,
intesa come l’immagine di uomo in un continuo stato di inadeguatezza e analisi di sé.

Bisogna considerare, però, che Pavese non scrive perché spinto da ragioni sociologiche o
psicologiche, né tantomeno mira all’introspezione o al realismo del racconto, la sua infatti
non è un’intenzione autobiografica, piuttosto egli allinea “blocchi di eventi”, come ci fa notare
Gian Luigi Beccaria nella sua introduzione: egli compie un riecheggiamento memoriale e
simbolico più che una ricostruzione obiettiva2. Lo scrittore, infatti, amava il racconto scabro
e coinciso, la realtà dei fatti così come sono.

Cesare Pavese calò il sipario della sua vita in una notte tra il 26 e il 27 agosto del 1950, tra le
sue cose fu ritrovata una cartella contenente Il Mestiere, un diario nel quale l'autore annota,
sotto forma di appunti frammentari, i suoi pensieri e le sue sensazioni; leggendo questo diario
si può capire cosa lo abbia portato nel giro di pochissimo tempo all’apice del successo,

1
V. Arnone, Pavese: tra l'assurdo e l'assoluto, 1998, pp. 11-13.
2
G. Beccaria, Introduzione de La luna e i falò, 2000, p. V.
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sfumato poi nel suo suicidio anticipato nell'ultima dolorosa nota del diario, la quale conferma
ogni sua disillusione nei confronti del mondo e dell'amore:

« Non parole. Un gesto. Non scriverò più» 3.

Questa frase sembra congiungere i due lembi di un anello, è la fine di una serie di opere che
compongono un ciclo storico nel tempo intellettuale di Pavese.

Lo scrittore mostra un’ossessiva sensibilità nei confronti del tempo, scandisce ogni data per
ogni sua riflessione, ed è questa una tematica che abbraccia ciò che è la poetica di Pavese: la
cognizione del tempo.

L’intento dell’autore è quello di sfuggire al tempo.

Tale tematica è riscontrabile nella maggioranza degli scritti pavesiani e in maniera evidente
ne La luna e i falò, ultima opera dell’autore in cui “tutti i nodi vengono al pettine”, dove in
questo caso è chiaro che lo scrittore racconta del tempo semplicemente per sfuggirgli. La
drammaticità di questo romanzo sta nel fatto che il tempo viene visto come dolore: in
quest’opera viene svolto il tema del ritorno alle origini, non è un’autobiografia, ma appunto
il ritorno al luogo dove si nasce e si muore, come se si riprendesse quel famoso ciclo epico
sul mito dei Νόστοι: il mito del ritorno.

Anche gli inserti politici, considerabili i più deboli, in questo contesto giocano un ruolo
delicato, si fanno metafora come indicazione sostanziale di una ricerca di un rifugio in ciò
che non si trasforma, ma piuttosto come un qualcosa che resta immutabile.4

Ne La luna e i falò, la guerra, la politica, il sangue e la morte finiscono avvolti entro la


medesima intenzione di stabilire un’atemporalità immobile di ripetizioni esemplate sulla
natura di eventi delle stagioni e degli uomini, confusi in uno stesso ritmo.

Con Pavese vi è un costante ritorno del caos nell’ordine, come se attraverso i continui
flashback si rompesse quella linea del tempo costruita dall’autore e si perdesse in un certo
senso l’equilibrio; infatti, la particolarità delle trame è appunto il “ritorno indietro”, la
retrospettiva della “seconda volta”5 che è evidente nella Luna e i falò dove il protagonista,

3
C. Segre, Introduzione, in C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi 2000, p. VI.
4
D. Canelli, La cognizione del tempo nel “Mestiere di vivere” di Cesare Pavese, Rivista di letteratura italiana,
maggio/dicembre 2002, Vol. 31, pp 86-87.
5
M. Lanzillotta, Uno sguardo sulla violenza: l’ultimo Pavese tra mito e storia, in Il Romanzo in Italia, Carocci editore,
2018, Roma, p.363.
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Anguilla, riemerso dalle origini ormai superate e rimosse (la prima volta), ritorna per
comprendere meglio sé stesso (seconda volta): si denota infatti, che la ripetizione è un
elemento caratterizzante per la prosa dello scrittore, che prende forma anche attraverso parole
ritornanti.

Tutto ciò potrebbe riassumersi in una sorta di “poetica del destino”, per l’autore la volontà
dell’adulto è condizionata dalle decisioni prese dal sé bambino in stato di irresponsabilità, per
cui non vi è alcun libero arbitrio in quanto la vita si mostra già prefissata e lo rimarrà per
sempre. Le trame pavesiane, dunque, si ritrovano in un costante stato del “tra”, in cui il
bambino rivive nell’adulto. È uno stato compreso nello spazio centrale delle opere di Pavese,
tra l’inizio e la fine; una fine che riporta a quell’inizio, quasi come un circolo e risponde
all’idea di destino della poetica del mito. Il mito si radica nella concezione di un tempo-non
tempo.

Ne La luna e i falò il protagonista, Anguilla, giunge a scoprire il proprio destino segnato


nell’infanzia, attraverso l’indagine, vale a dire il recupero memoriale della “prima volta”.

Questo romanzo è stato scritto in sette settimane, ed è considerato dall’autore stesso come
una sorta di Divina Commedia, costituito da trentadue capitoletti, in cui Anguilla, come
Dante, compie un viaggio nel mondo dei morti e ha come guida Nuto, che gli fa da Virgilio
nel suo viaggio.

Anguilla, successivamente alla Liberazione, ritorna dall’America, ormai cresciuto e ricco,


decide di rientrare a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe dove è cresciuto, per
ritrovare la sua identità.

La sua ricerca inizia dalle poche certezze che ha: ovvero, è stato abbandonato da neonato sugli
scalini del duomo di Alba e di essere stato successivamente adottato da Virgilia e Padrino, in
cambio dell’indennità mensile data a chi adottava un trovatello.

Anguilla seppe della sua adozione a dieci anni, quando morì Virgilia:

«Adesso sapevo ch'eravamo dei miserabili, perché soltanto i miserabili allevano i bastardi dell'ospedale. Prima, quando
correndo a scuola gli altri mi dicevano bastardo, io credevo che fosse un nome come vigliacco o vagabondo e rispondevo
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per le rime. Ma ero già un ragazzo fatto e il municipio non ci pagava più lo scudo, che io ancora non avevo ben capito
che non essere figlio di Padrino e della Virgilia voleva dire non essere nato in Gaminella.»6

Da queste breve passo tratto dal romanzo di Pavese, si denota come il protagonista, Anguilla,
è sin dal principio cosciente del suo destino, e il ritorno dopo anni al casotto in cui era stato
adottato lo porterà a fare i conti con i ricordi.

La luna e i falò cela una metafora straordinaria: l’impossibilità di abitare stabilmente una
casa, il destino di essere dei vagabondi per le strade senza una metà. Per Anguilla seguire la
strada è conoscere la strada. La luna e i falò è il romanzo della vita errabonda, della strada,
della casa provvisoria: in nessun atro romanzo di Pavese vi sono tanti chilometri percorsi e
tante case provvisorie.

2.Marcel Proust: Alla ricerca del tempo perduto

Marcel Proust (luglio 1871- novembre 1922), è stato uno scrittore, saggista e critico letterario
francese, la cui opera più nota è il monumentale romanzo Alla ricerca del tempo perduto
pubblicato in sette volumi tra il 1913 e il 1927. L'importanza di questo autore, considerato
uno dei maggiori scrittori della letteratura francese, è legata alla potenza espressiva della sua
originale scrittura e alle minuziose descrizioni dei processi interiori legati al ricordo e al
sentimento umano; la Recherche, infatti, è un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda
tra vizi e virtù.7

La Recherche è un’opera anche saggistica, piena di richiami a una cultura passata,


ottocentesca di fine secolo, però questi materiali vengono continuamente sottoposti da Proust,
ad uno straniamento, è presente una continua funzione critica.

Proust è un autore molto calato nel suo tempo, un autore che sente come tutta la sua
generazione e la comunità francese di quegli anni, è molto addentro alle cose del suo tempo,
e riesce a declinarle in modo particolare nei suoi scritti come degli echi che giungono dalle
conversazioni dei salotti francesi dell’aristocrazia.

6
C. Pavese, La luna e i falò, Einaudi, 2014, Torino, p.4
7
Jean-Yves Tadié, Vita di Marcel Proust, pag. 566.
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La ricerca del tempo perduto è un’opera in cui i flashback, le improvvise aperture verso un
non tempo, le anticipazioni narrative, l’utilizzo voluto di effetti di anacronia, sono
assolutamente la sostanza del testo. Cioè è un testo in cui si va avanti e indietro
continuamente, c’è un saltellare della memoria che lo rende perfetto per quei discorsi su
fabula e intreccio che fondono ogni narratologia possibile; il punto è che Proust sperava (e ci
riuscì) di trascrivere la sostanza invisibile del tempo.

Nel romanzo ci sono pochi punti di riferimento, eppure non è disordinato come sembra; cioè
nelle prime pagine di Swann, il narratore annuncia che esplorerà le stanze del ricordo
nell’ordine in cui la memoria le presenterà, ma in effetti non fa tanto così, in quanto la scrittura
ha continue analessi e prolessi, però segue abbastanza fedelmente l’ordine cronologico. Il
disordine, il tempo labirintico non è nella fabula, nella disposizione delle storie, ma nella
composizione di strati relazionali diversi.

La Recherche non è soltanto il romanzo della vocazione all’arte della liberazione,


dell’intelletto dalle possessioni della vita mondana e quindi dalla capacità di concettualizzare,
è anche il romanzo della forma di socializzazione; cioè Proust Marcel dà l’impressione di
credere sempre di più, lungo i sette romanzi, nel sentimento dell’amicizia e in quello che gli
altri possono dargli, ad esempio in Un amore di Swann vi è raccontato l’amore di Swann con
Odette, la cui figlia Gilberta sarà coetanea del protagonista nonché la prima di cui lui si
innamora, e questo amore ci viene rappresentato in terza persona, in modo anche più
convenzionale rispetto al resto del romanzo; Combray, invece, ci parla della memoria del
protagonista, del suo corpo, delle sue sensazioni, del suo modo di interpretare e di fissare
quello che ricorda, e quindi ci parla di infanzia, di sessualità.

La Recherche inizia con una frase molto breve, che Proust scrive riscrive più volte, fino a
che non si convince che così deve iniziare il suo romanzo:

“A lungo mi sono coricato di buon’ora”.8

Una frase in cui la prima parola francese, lointaine, a lungo, riassume l’idea che un po’ tutti
hanno sul romanzo: ovvero, la Recherche è un romanzo lungo, composta da migliaia di
pagine, ma questa lunghezza era necessaria a Proust, il quale sperava di mostrare come il

8
M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1927
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tempo passi sulle nostre vite e ci trasformi, ma come malgrado tutto, noi questo tempo
possiamo trattenerlo.

Questa frase iniziale è una sorta di ponte che apre il libro sul tempo, sulla memoria,
sull’insonnia e segna sin da subito il contrasto con un tempo in cui il narratore “dormiva
bene”.

Proust, in questo senso mette in scena un protagonista, quello che c’è subito dopo la prima
frase, cioè il secondo narratore: è il protagonista che non dorme più, quel qualcuno che
durante le sue insonnie, ricorda il tempo in cui dormiva.

Il protagonista insonne si ricorda di un tempo intermedio in cui ricordava la propria infanzia,


ed entriamo così nel tempo della Recherche, nel racconto delle stanze diverse della sua vita.

Proust si ricorda del suo passato di narratore delle cronache mondane, delle riviste alla moda
e si mette a scrivere questi ritratti fortemente satirici, che però hanno uno scopo poetico e cioè
quello di restituire l’idea del tempo che passa, del tempo che sfigura i volti, che può avere una
funzione olistica e addirittura epifanica come accade al narratore, che attraverso il tempo può
ritrovare se stesso, può trovare una propria dimensione, o viceversa può soltanto far
degenerare qui corpi e trasformarli in maschere di una grottesca pantomima.

Anche questo è Proust, ma in entrambi i casi il concetto è quello di un tempo lungo; cioè la
Recherche è la storia di un tempo molto lungo, che si rispecchia anche nel periodare lungo e
questo per molto tempo gli è valso il marchio di autore classicista nella forma e più
novecentesco nella sostanza.

Tempo perduto, tempo ritrovato, questa è l’assiologia importante per comprendere la


Recherche, e nelle ultime righe del primo tomo della Recherche, si legge:

«La realtà che avevo conosciuta non esisteva più. Bastava che Madame Swann non giungesse, identica, nel medesimo
istante perché il viale fosse altra cosa. I luoghi che abbiamo conosciuti non appartengono solo al mondo dello spazio
dove per semplicità li collochiamo. Essi non erano che una parte esigua del complesso di sensazioni confinanti che
formavano la nostra vita d'allora; il ricordo d'una certa immagine non è che il rimpianto d'un certo istante; e le case, le
strade, i viali sono, ahimè, fugaci come gli anni.»

Siamo nel Viale delle Acacie, il narratore ha raccontato la sua infanzia a Combray, si reca al
Bois de Boulogne e si accorge di come sia passato il tempo; le donne un tempo ammirate sono
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tutte invecchiate, le case, le strade, i viali, sono ormai ricordi fugaci: la Recherche si può
quindi considerare come un libro sulla perdita e sulla consapevolezza della perdita.

Il narratore qui sembra malinconico e rassegnato al tempo perduto, ma questa sensazione è


passeggera perché se leggiamo le lettere di Proust ci renderemo conto che questa conclusione
è soltanto provvisoria, poiché ci troviamo in una fase in cui Proust non ha ancora compreso
come ritrovare il tempo.

Infatti, se ci si ferma a leggere solo il primo romanzo, si avrebbe l’impressione che il tempo
sia perduto, sia inattingibile.

Il passo citato poc’anzi annuncia la scoperta del narratore della memoria involontaria, che è
il grande nodo per capire Proust.

Il protagonista è invaso da una immensa felicità dopo un’esperienza banale, perché una
situazione imprevista può darti l’impressione di ritrovarti a rivivere nel passato; pertanto,
Proust, qui parla di memoria involontaria; fa riferimento a quello che potrebbe essere un
odore, un rumore, tutto ciò che resuscita nella mente dei ricordi.

Proust parla proprio di resurrezione della memoria, un tempo dimenticato.

Se nulla esiste più per l’intelligenza, tutto sopravvive in una memoria sepolta e solo un
incontro fortuito può far tornare questi ricordi. E è appunto la poetica delle reminiscenze: una
poetica che riguarda le sensazioni, il corpo, l’intuito prima che l’intelligenza, che riporta in
uno stato quasi di semicoscienza o addirittura di sonno o, ancora, di sogno, e che è aleatoria,
può avere effetti positivi e può avere effetti negativi, si tratta di una memoria spontanea,
ambivalente.

Dunque, Proust è legato alla memoria, un tipo di memoria che assedia, che fa male, è una
memoria che è un disturbo legato alle intermittenze del cuore, come scrive Samuel Becket nel
suo saggio su Proust9, Beckett scrive la sua tesi di dottorato su Proust e la sua concezione del
tempo come un tempo dell’anima e del corpo, assediato dai fantasmi estenuanti e assedianti
della memoria, una memoria che può far male, che non solo non ti fa ritrovare niente di buono
ma ti provoca ulteriormente dolore.

9
S. Becket, Proust, 1931
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La Recherche è costellata di momenti di un amore che urta e che fa male, eppure è un insieme
di romanzi a lieto fine.

Si conclude infatti, con la famosa matinée a casa dei Guermantes in cui una madeleine,
restituisce una possibile redenzione, un’estasi positiva.
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BIBLIOGRAFIA

Arnone 1998 = V. Arnone, Pavese: tra l'assurdo e l'assoluto, 1998, pp. 11-13.

Beccaria 2000 = G. Beccaria, Introduzione de La luna e i falò, 2000, p. V.

Becket 1931= S. Becket, Proust, 1931.

Canelli 2002 = D. Canelli, La cognizione del tempo nel “Mestiere di vivere” di Cesare Pavese,
Rivista di letteratura italiana, maggio/dicembre 2002, Vol. 31, pp 86-87.Vol. 31.

Lanzillotta 2018 = M. Lanzillotta, Uno sguardo sulla violenza: l’ultimo Pavese tra mito e storia, in
Il Romanzo in Italia, Carocci editore, 2018, Roma, p.363.

Pavese 2014 = C. Pavese, La luna e i falò, Einaudi, 2014, Torino, p.4.

Proust 1927 = M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto.

Segre 2000 = C. Segre, Introduzione, in C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi 2000, p. VI.

Tadié 1999 = J.Y. Tadié, Vita di Marcel Proust, pag. 566.

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