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stesso autore nel catalogo E i n a u d i

La principessa Brambilla
Romanzi e racconti
Gli elisir del diavolo
Mastro Pulce
Il vaso d'oro
E. T. A. Hoffmann
Racconti notturni

Introduzione d i Claudio Magris

Traduzioni d i Carlo Pinelli e Alberto Spaini

Einaudi
019691:1994 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino

La traduzione dell'Orco Insabbia e detla Chiesa dei Gesuiti di G.


h di Alberto Spaini. Tutti gli altri racconti sono stati tradotti da Carlo Pinelli

ISBN 8 8 - o 6 - i 7 7 i z - 5
L ' E S I L I O D E L BORGHESE

di Claudio Magris

I.

I n uno dei suoi ultimi racconti inÌ2Ìati poco prima di morire e


rimasti incompiuti, La guarigione, Hoffmann s'accinge ancora ima
volta a narrare la storia di un'idea fissa, quella di un vecchio ango-
sciosamente persuaso che la natura, adirata con gli uomini, abbia
fatto sparire dalla terra ogni traccia di verde, di «materno verde».
Con un'invenzione da grande scrittore d'avanguardia, Hoffmann
rappresenta in una parabola l'espatriazione dell'uomo e soprattut-
to dell'intellettuale moderno e la raffigura con un realismo all'inse-
gna dell'ambiguità, per cui La guarigione può presentarsi come una
favola o come i l resoconto d'un caso clinico, come un arabesco fan-
tastico o come una relazione oggettiva. I l racconto, ceno, riferisce
Ifi terapia di quell'idea fissa, la guarigione da quell'ossessione che
pc;rmette la struggente riscoperta del verde ma l'ironia e l'ambigui-
tà («involgono anche la terapìa, la felicità di quello psicodramma
in cui i l vecchio, trasportato durante un sonno profondo in un pae-

P fio primaverile in piena fioritura, si ridesta e ritrova i l colore


a terra. Se la mania del vecchio nevrotico è vista come una ma-
l^tia, i cui effetti sono manifestazioni meramente soggettive, un
tt^tile e amaro scetticismo pervade anche i l racconto della «guari-
^i^e», la scena del grande incontro liberatore con i l verde della
Qftùira; un incontro che può essere altrettanto illusorio, irreale e in-
gannevole quanto l'allucinazione precedente. A l limite, l'ironia po-
trebbe colpire proprio lo psicodramma, la menzognera pretesa della
scienza - o pseudoscienza - di restituire all'uomo un bene oggetti-
vamente perduto per sempre, un cordone ombelicale irreparabil-
mente reciso: restituendogli la capacità di scorgere un verde che
forse non esiste o non esiste più, la terapia scientifica toglierebbe al
vecchio, anziché ridargliela, la lucidità razionale e gli offrirebbe
tutt'al più una consolante capacità di autoillusione, una specie di
mentis gratissimus error come quello rimpianto da Orazio.
I n questa come in tante altre pagine hoffmanniane la «realtà»
sembra dunque dissolversi; più esattamente, Hofbiann infrange la
VIU CLAUDIO MAGRIS

finzione di una realtà univoca e chiaramente definita, cara ad ogni


realismo di stretta osservanza. Già nella sua prima novella, Il cava-
liere Gluck {1809), l'ambivalenza appare ÌI contrassegno distintivo
della condizione esistenziale e della sua fenomenologia: nella Ber-
lino del 1809 ua eccentrico musicista vestito all'antica si presenta
come i l famoso compositore Gluck morto più di vent'annì prima e,
entro certi limiti, Io è veramente senza che sia tuttavia esplicito
sotto quale profilo egli lo sia: maniaco affetto da una malattia cere-
brale, secondo l'interpretazione psicologica, ovvero creatura fiabe-
sca frutto di mera imagirterie dell'autore priva di alcun significato
concreto oppure, come vuole per esempio Hans Mayer, figura ricca
di implicazioni storico-sociali e cioè simbolo dell'antinomia fra
mondo ideale (fantasia, poesia, amore, libertà) e mondo reale della
deuische Misere.
Se è ancora possibile adottare per Hoffmann l'ormai scontata
definizione di narratore «realista», tale definizione va intesa come
acuta e sofferta consapevolezza, da parte dello scrittore, dei proble-
maticissimi rapporti intercorrenti tra la cosiddetta « realtà » e l'ope-
razione poetica, tra l'oggetto e la possibilità - e i limiti - d i rap-
presentarlo in una struttura narrativa. È proprio tale coscienza del-
l'ambiguità letteraria che ha portato Hoffmann ad alcune intuizioni
straordinariamente precorritrici i n merito alla natura e alla funzio-
ne del romanzo. All'inizio del terzo Makulaturblatt del Gatto Murr
(1820-22) Hoffmann interviene per esempio direttamente nel rac-
conto nella sua qualità d i «narratore» ben consapevole delle diffi-
coltà tecniche del suo lavoro; «... nulla è più seccante per uno sto-
riografo - o per un biografo — che dover saltare qua e là, per campi
e prati, come in groppa a un cavallo selvaggio, cercando vanamente
di ritrovare la via battuta. Ciò succede appunto a chi si è proposto
di scrivere per te, caro lettore, quanto è venuto a conoscere circa
l'avventurosissima vita del maestro Johannes Kreisler. G l i sarebbe
molto piaciuto poter incominciare così: "Nella cittadina di N . . .
(... o di B..., o di K...), i l lunedi d i Pentecoste (o i l giorno d i Pa-
squa) dell'anno tale 0 talaltro, venne alla luce Johannes Kreisler".
- Ma purtroppo l'infelice narratore non può osservare quest'ordine
cronologico, perché egli dispone unicamente d i notizie orali, fram-
mentarie - e deve subito elaborarle per non perdere d i vista l'as-
sieme della vicenda».
Interventi d i questo genere ricorrono molto spesso nell'opera
hoffraanniana: sì pensi all'analoga intrusione diretta dell'autore
nell'Orco Insabbia {1917) oppure ai numerosi casi in cui lo scritto-
re emerge indirettamente e cioè attraverso una mediazione comun-
L'ESILIO DEL BORGHESE JX
que più scoperta della finzione onnisciente; per esempio in veste di
Herausgeber, di editore della novella, come avviene negli Elisir del
diavolo (1815-16) o nelle Avventure della notte di san Silvestro
(1814-15), per citare solo due documenti cospicui. Hoffmann si
compiace spesso d i rompere la tensione epica e d i stabilire una di-
stanza critica nei confronti della «storia» chiamando in causa, con
ironia intellettuale, la stessa tecnica del narrare. Nell'Orco Insab-
bia viene esplicitamente puntualizzato i l tentativo di trovare i mez-
zi o gli espedienti per preparare il lettore ad una complessa e impre-
vedibile logica poetica: «Cosi provavo ima grande smania di rac-
contarti qualcosa della vita fatale di Nataniele. La sua stravaganza,
i; la sxia stranezza riempiva tutta la mia anima; ma appunto perciò e
perché, o mio lettore, volevo renderti subito incline ad accettare le
cose più straordinarie — che non è una cosa da poco — mi tormcnta-
:*t vo per incominciare la storia di Nataniele in modo simbolico, origi-
ni naie, commovente. "C'era una volta" - i l più bel principio di una
f Storia - ma troppo prosaico! - "Nella piccola città di S... viveva"
- è già un po' meglio, per lo meno prepara a qualcosa d'importan-
te - Oppure subito medias in res : - Andate al diavolo! - gridò pie-
no di furore e di spavento, con gli occhi stravolti, lo studente Nata-
ci' nide, quando i l mercante di barometri, Giuseppe Coppola [...] I n -
somma non mi veniva in mente ima sola parola. Decisi cosi di non
l ihcominciare i n nessun modo. Accetta perciò, benigno lettore, le
tre lettere che l'amico Lotario mi ha gentilmente comunicato, come
lo schizzo del quadro nel quale ora cercherò d i portare sempre più
viri e più vivi colori col mio racconto».
La tendenza a giocare apertamente con i propri strumenti ed a
XDÌstificare le difficoltà organizzative finisce per teorizzare una tec-
1;^ lUcft che supera o meglio capovolge la poetica romantica e anticipa
' !e grandi irmovazioni del romanzo novecentesco. Proprio nella più
V |!lcHnantica delle sue storie, nella biografia dell'infelice e straziato
nimicista Johannes Kreisler, Hoffmaim si distacca dal principio
, j W^;gettivo della creazione artistica come «creazione rivale» rispct-
j ità alla realtà, per usare le parole d i Sergio Perosa che ha indagato
i tctmiiù generali d i questo problema nel suo studio sulle vie della
V HjUTàtiva americana. L'autore si presenta non quale creatore arbi-
v^'ittò e sovrano ma quale «biografo» o «storiografo», dunque testi-
Ibone e portavoce di una realtà oggettiva riconosciuta come tale. La
illfcs operazione non consiste nella sfrenata invenzione dì un dìo che
Iteefra i propri fantasmi in sprezzante concorrenza col mondo o in
ÉS» demonica negazione d'ogni oggettività, secondo l'illusionismo
wS&flistico che caratterizza l'atteggiamento dei romantici. L'atti-
X CLAUDIO MAGRIS

vita dello scrittore si configura per Hoffmann come l'agostiniana


«creazione incrementizia» di cui parla Perosa, come la registrazio-
ne razionale di una realtà esistente per se stessa. Da una parte quin-
di l'autore respinge la pretesa di compiutezza assoluta e di totalità,
limitandosi a « scrivere quanto è venuto a conoscere » ; d'altro canto
questi elementi parziali e frammentari acquistano un valore inter-
soggettivo, vengono presentati come dati reali che lo storiografo ha
i l compito di comunicare. Lo scrittore rinuncia esplicitamente alla
libertà della creazione organica e conclusa, all'illusoria essenzializ-
zazione epica del caos esistenziale in un ordinato svolgimento con
inizio fine e immanente significato, rinuncia dunque all'arbitrarietà
del realismo con Ì suoi tagli nitidi e semphficatori: nella cittadina
di N... nel giorno tale vide la luce...
Questo recupero dell'oggetto in tutta la sua tentacolare e incom-
piuta indeterminatezza è strettamente connesso all'iniziale dissolu-
zione e deformazione di ogni realtà con le quali, sotto lo choc pro-
vocato dall'incontro col pensiero fichtiano, esordisce la narrativa
hoffmanniana che, nella breve e intensissima stagione creativa del-
lo scrittore (tutta compresa fra i l 1809, anno della pubblicazione
della prima novella // cavaliere Gluck, e i l 1822 anno della morte
per tabe dorsale), non subisce una sostanziale evoluzione ideologi-
ca o formale ma ritorna di continuo su alcuni grandi temi e interro-
gativi, variandoli con inesauribile fantasia e proponendo d i volta
in volta delle soluzioni antitetiche, ricorrenti alternativamente.
L'esperienza dell'idealismo fichtiano, con la sua dottrina del rap-
porto fra l'io e Ìl non-Ìo e la conseguente negazione della natura,
turbò profondamente la sensibilità di Hoffmann, non certo sorret-
ta da una rigorosa preparazione filosofica, ponendo lo scrittore di-
nanzi all'incubo della molteplicità, ossia della frantumazione del
reale e quindi anche della psiche, com'era già accaduto, sia pur in
forme diverse, a Jean Paul. Nella Clavis fichtiatta (1800) di que-
st'ultimo emerge infatti una grottesca dilacerazione dell'entità psi-
cologica, che si traduce fra l'altro nell'inquietante schiera di «so-
sia», d i DoppelCgànger presenti nelle pagine jeanpauliane, da
Schoppe a Siebenkks a Leibgeber. Sarà proprio Hoffmann a media-
re a Dostoevskij, suo grande ammiratore, questo tema del sosia,
ch'egli del resto visse anche a livello esistenziale come angoscia del-
lo sdoppiamento, secondo quanto testimonia una nota dei suoi dia-
ri del 6 novembre 1809: «Pazzesca anomalia! Straordinaria biz-
zarria al ballo del 6. M i sembra di vedere i l mio Io attraverso una
lente che lo rifranga e moltiplichi - tutte le figure che si agitano in-
tomo a me sono ^trettanti Io ed io m'adiro del loro modo d'agi-
L'ESILIO DEL BORGHESE XI
re...» Certo, in Hoflmann questo elemento inquietante trova su-
bito i l suo straniamento parodistico, per esempio nell'ironica cari-
catura del Gatto Murr (contrappunto filisteo gustosamente intrec-
ciato e frammischiato alla tragica storia di Kreisler) i n cui i l saggio
gatto tentenna nell'indecisione se mangiare o no ima testa d'aringa:
«Fu rame se qualcosa mi straniasse da me stesso mettendo con-
temporaneamente in rilievo i l mio " I o " autentico. Credo di esser-
mi espresso con sufficiente chiarezza: lo psicologo esperto e per-
spicace avrà compreso la singolarità del mio stato d'animo», ^ t r e
volte i l tema del sosia si trasforma i n una discesa negli abissi del-
l'inconscio e negli Ìnferi della schizofrenia come negli Elisir del dia-
volo oppure i n uno spumeggiante capriccio musicale come nell'in-
contro del protagonista col proprio Io danzante nella Principessa
Brambilla (1820-21), in cui lo sdoppiamento si traduce nel ritro-
vamento della pili autentica identità.
«Espressione dell'assurdità dell'esistenza umana, simbolo del
suo irreparabile sfacelo» secondo la definizione data da Werner
Kohlschmidt nel suo saggio Nihilismus der Romantik (1955), i l
motivo del sosia rispecchia i l « solipsismo cupo ed amaro» di cui ha
parlato Ladislao Mittner a proposito di Tieck, osservando che «U
mondo stesso si frantuma, perché è riflesso da uno specchio frantu-
mato, di cui ogni pezzetto offre un'immagine diversa della realtà».
Nelle favole tieckiane di Almansur (1890) o del Biondo Ecberto
(1796), che si collocano agli inizi del romanticismo tedesco, ogni
racconto può sempre capovolgersi o ricominciare daccapo o venir
riferito a qualsiasi personaggio, in un intreccio complicatissimo e
inconsistente che copre solo i l vuoto e fa emergere la consapevolez-
za del nulla. Sia Tiedk che Jacobi fanno risalire tale crisi e tale smar-
rimento a Fichte, i l primo raffigurandolo nel personaggio del de-
mente Balder nel suo romanzo William Lovell (1793-96), i l secon-
do accusandolo, come ha notato Valerio Verrà, di cercare proterva-
mente l'assoluto nelle sue rappresentazioni umane e contingenti,
mentre esso è per sua natura addila di quest'ultimo. Tale nichilismo
sì riflette spesso in una frantumazione delle consuete misure dello
spazio e del tempo, che caratterizza la pluralità dì plani dì molte
novelle hoffmanniane : personaggi del Cinquecento che si muovono
Jnella Berlino settecentesca della Scelta della fidanzata (1819-20),
lamanti che vivono al contempo a Dresda e nel favoloso regno d i
, Atlantide col benigno assenso di un « Archivarìus» i l quale si rivela
iil mitico principe delle salamandre (//vd50 d'oro, 1814-15); figure
p protagonisti che scendono da un'antica pittura anseatica (LaCorte
fdiArtu, 1816 {1819-21]); creature d i secoli passati o dì un tempo
XII CLAUDIO MAGRIS

prunordìale che entrano nella cronaca borghese quotidiana {Mae-


stro Pulce, 1822).
Tuttavia i l partecipe e insieme distaccato interesse per la dilace-
razione romantica costituisce per Hoffmann non già un impulso in
direzione d'un soggettivismo sfrenato bensì una spinta in direzione
opposta, l'avvio ad una presa di coscienza realistica e razionale, an-
che se affidata a mezzi estremamente audaci, dei processi psidiid
oppure della dimensione mitica. Le fantasticherie apparentemente
assurde che caratterizzano la narrativa hoffmanniana sì configurano
quali oggettive manifestazioni morbose registrate razionakiente
ovvero quali metafore della legge analogica die presiede all'attività
della vita psichica. £ noto l'interesse di Ho&nann per lo studio dei
fenomeni patologìa e «notturni» della psiche, che proprio ìn que-
gli anni, i n Germania, andava sviluppandosi e prendendo pi«le:
nelle novelle e nelle lettere hoffmanniane si trovano frequentissimi
riferimenti alle dottrine di Mesmer e Pinci, alle teorie sul sonno e
sul sonnamboUsmo di Nudow e Henning e a quelle sul magnetismo
di Kluge e Bartels, ai prìndpì d i Brown e Puységur, a discussioni
con medid quali Speyer, Marcus e Koreff. Echi ed esplicite menzio-
ni dì tali indirizzi sdentìfid o pseudosdentifid s'incontrarlo in mol-
ti racconti, dalla Casa disabitata {i%xy) al Maggiorasco (1817) al
Magnetizzatore {iSi4-iy) in cui le due correnti d d mesmerismo -
quelle d i Mesmer e d i Barbarìn - confluiscono ìn una sagadssìma
struttura narrativa, nella quale la cornice (la conversazione n d sa-
lotto) evoca e provoca U tragico intrecdo che a sua volta sfoda, gra-
zie ad alcuni Leifmotive ricorrenti, in uno straordinario scavo psi-
cologico nelle più sarete zone dell'anima umana, con risultati di
sorprendente modernità ottenuti per via analogica: per esempio il
motivo d d tiglio e la nevrosi d i Maria, i l transfert erotico di que-
st'ultima, i traumi infantili dovuti alla su^esrione paurosa delle
fiabe.
2.
Anche sotto questo profilo, i l «realismo» dì Hoffmann si misu-
ra, spede nei Racconti notturni, con la sccunposìzione della dimen-
sione quotidiana nelle fratture psicologiche e con la conseguente
«ricostruzione», sperimentale e frammentaria, della realtà. Que-
st'ultima appare comimque allo scrittore sempre polivalente, viel-
schichtig, come afferma Lothar Kohn, e la complessità dello stile
tende a scavare in tale stratificazione, die è insieme temporale e psi-
cologica. La narrazione apparentemente epica ed unitaria cela fre-
quenti mutamenti d i prospettiva, che penetrano nella realtà da o-
L'ESILIO DEL BORGHESE xin
gni parte. Nell'Orco Insabbia, sul quale Freud fermò la sua atten-
zione i n un celebre saggio, i l racconto degli incubi infantili di Nata-
niele è retto da tre diversi punti d i visu che si alternano di contì-
nuo: quello del narratore che riporta obiettivamente ima vicenda,
quello dì Nataniele adulto che ricorda episodi d'infanzia e quello
dello stesso Nataniele bambino, che prende a tratti i l sopravvento
ed affiora con tutta l'immediatezza del bambino di un tempo. Una
progressione magistrale conduce a questa regressione, sottolineata
anche nel passaggio dal preterito al presente, che rivìve dall'interno
l'esperienza dei fanciullo (una progressione stilìstica che una tradu-
zione non riesce a rendere se non debolmente e i n modo impreci-
so): « Come sempre sedeva immobile e silenzioso volgendo le spal-
le alla porta; non si accorse di nulla. I n un lampo fui dentro e nasco-
sto dalla tendina appesa davanti ad un armadio aperto che stava ac-
canto alla porta e nel quale erano appesì i vestiti d i mìo padre. I
passi rimbombavano, sempre più vicini, sempre più vicini - si sen-
tiva nel corridoio qualcuno die tossicchiava, trascinava i piedi e
brontolava in un modo bizzarro. I l cuore mi tremava dalla paura e
dall'attesa. - Vicino, proprio vicino alla porta, un ultimo passo pia
pesante - un colpo forte sulla maniglia — la porta si spalanca con
glande fracasso. - Sforzandomi d i farmi coraggio sporsi prudente-
mente i l capo dalla tenda. L'Orco Insabbia sta in mezzo dia stanza
in piedi davanti a mio padre; la luce della lampada lo colpisce in vi-
so. L'orco, il terribile Orco Insabbia è-il veccìiio avvocato Coppe-
Utts, che talvolta veniva a pranzo da noi a mezzogiorno » (il corsivo
è nostro).
Stupendo passaggio, che registra i diversi momenti della regres-
sione psicologica : i l racconto dello spavento diviene a sua volta spa-
vento («...la porta si spalanca!»), viene contenuto da un ultimo
sforzo d i distanza e controllo («Sforzandomi d i farmi coraggio»)
per piombare infine nell'assoluta immediatezza dell'esperienza in-
fantile («L'Orco Insabbia sta i n mezzo...») L'opera ho&nannia-
na è ricca d i esempi del genere: basterà citare gU appassionati ri-
cordi d'infanzia del Gatto Murr, ove Kreisler narra la morte della
zia Fiìsschen (la prima sublimazione erotica della fanciullezza, qua-
si una prefigura della rilkiana Abelone d d Malte) e, n d ricordo,
liafEonda ndla sua psiche d i bambino d i tre anni. Nell'Orco Jw-
ii^ia inattese e quasi inavvertite modifiche di prospettiva aprono
«furagli inquietanti e gettano l u d dì tragolia. Tutta la festa i n casa
d i Spallanzani viene contemplata da un punto dì vista oggettivo,
dal narratore oimisdente che descrive le danze, la ciaa passione di
Natanide, ìl rìso deg^ invitati e la goffaggine dì Olimpia ; ìmprowi-
XIV CLAUDIO MAGRIS

samcnte, al commiato fra i due amanti, le apparenze del reale ven-


gono osservate dalla visuale alterata d i Nataniele e acquistano un
tono spettrale e pauroso, scandito dalla suggestione fonica delle vo-
cali lunghe e cupe: «Der Professor Spalanzani schritt langsam
durch den leeren Saal, seine Schritte klangen hohl wieder und scine
Figur, von flackemden Schlagschatten umspielt, batte ein grau-
lidhes gespenstisches Ansehen». («Il professor Spallanzani stava
attraversando lentamente la sala vuota; i suoi passi destavano im'e-
co sepolcrale, e la sua figura su cui giocavano le ombre delle candele
morenti aveva un aspetto spettrale, pauroso»). Altre volte sì ha un
procedimento inverso, che ottiene un effetto ancor piò estraniante,
e cioè i l brusco passaggio dalla passionalità di Nataniele vissuta dal-
l'interno ad una glac^e distanza impersonale e obiettiva. Quando
Nataniele assiste alla distruzione di Olimpia ed è colto da follia o-
micida, i l narratore dapprima s'identifica con lo sventurato prota-
gonista sino a soffrire con lui le ossessioni e le allucinazioni e suc-
cessivamente si colloca d'improvviso all'esterno, ìn un angolo vi-
suale dal quale la follia non appare più quale disperato dolore ben-
sì quale furia bestiale: «Alla fine, unendo tutte le proprie forze, un
gruppo di più perscme presenti riuscì a ridurlo all'impotenza, a get-
tarlo a terra e a legarlo. Le sue parole si affievolirono e si spensero
ìn ruggiti bestiali e, ancora i n preda a questa furia, fu trasportato al
manicomio». Natamele appare completamente estraniato; verbi
aggettivi e sostantivi nonnìdmente applicati al mondo animale sot-
tolineano la sua degradazione a bestia. Un analogo effetto di distan-
za è ottenuto dai due perìodi finali della novella, «sintatticamente
staccati» - come afferma giustamente Lothar Kòhn - dalle righe
che l i precedono e che narrano l'orribile morte d i Nataniele: la
tranquilla felicità borghese dì Clara diviene, in seguito a quella con-
trapposizione, vm sinistro simbolo dell'impassibUita delle leggi co-
smiche e sodali dinanzi al dolore individuale.
Pochi scrittori adempiono magistralmente come Hoffmann al-
la funzione di «straniamento» teorizzata da Viktor Sklovskìf, alla
funzione artìstica di sottrarre «l'oggetto all'automatismo della per-
cezione» riscoprendolo quindi con occhi nuovi. Anche questo stra-
niamento presuppone l'esistenza d i una realtà effettuale ma non la
concepisce più come qualcosa d i tmitario e compiuto bcnsf come
qualcosa di frantumato: pezzi, bocconi, notizie, per dtarc ancora i l
menzionato passo d d Catto Murr. L'oggettività di Hoffmaim è co-
sì radicale e storicamente predsa da indurlo a respìngere ogtù sinte-
si idealizzante del materiale caotico, i l quale costituisce appunto
l'autentica realtà. Anziché far diventare sogno i l mondo e mondo ìl
L'ESILIO BEL BORGHESE XV
sogno oppure evadere i n paesaggi fiabeschi, Hoffmann si misura
con quel magma informe che è la vita di un uomo. I n questo rendi-
conto ciò che s'infrange è i n primo luogo i l «bell'ordine cronologi-
co». Hoffmann rifiuta l'artificio del narratore onnisciente e la sua
falsa obiettività e rinimcia a quel taglio arbitrario che è i l punto d i
vista circoscritto con la sua logica impeccabile. Molto prima di Con-
rad, egli intuisce uno dei presupposti del romanzo moderno e cioè
i l processo cronologicamente disordinato di ogni atto conoscitivo,
per cui gli avvenimenti vengono spesso appresi secondo un ordine
cronologico del tutto diverso dalla successione temporale in cui si
sono svolti. Cosi, pur tenendo sempre di mira delle vie ben traccia-
te, i l narratore non le può mai raggiungere, e deve procedere a salti
come su un selvaggio puledro ora di qua ora di là, oltre fossati e sie-
pi, campi e praterie,
E una vera e propria teorizzazione del time-shift, del procedi-
mento pendolare del tempo puntualizzato da Perosa. «L'impressio-
nismo che rende e non narra costringe infatti al time-shift: ossia al
procedere avanti e indietro della ricostruzione che per verosimi-
glianza rifiuta la cronologia convenzionale (quel che ora sì appren-
de, prima non lo sì sapeva, e quel che prima si sapeva ne viene mo-
dificato)». Gli studiosi, da Warren Beach a Perosa, hanno indivi-
duato in queste rivoluzionarie tecniche narrative la genesi del ro-
manzo sperimentale moderno, soprattutto ad opera di autori anglo-
sassoni: Conrad, Madox Ford, James. Eppure già Ìl Gatto Murr
contiene la teorizzazione e l'attuazione d i quel procedimento che
Conrad avrebbe più tardi chiamato chronological muddlement.
Confusione d i piani temporali che implica i l modified point of
vieto, e cioè i l moltiplicarsi, l'intrecciarsi e i l sovrapporsi degli an-
goli prospettici. I n questa faticosa ricostruzione da patte dell'arti-
sta la vita si presenta come un aggregato perennemente modificabi-
le e modificato dalla scomposizione cronologica e dall'altemarsi dei
i punti di vista. Se Joseph Warren Beach ha tradotto in uno schema
di lettere alfabetiche la rivoluzione dell'ordine cronologico operata
;da Conrad ìnLord Jim e citata come esempio di radicale anticipazio-
Qe dello sperimentalismo moderno, uno schema analogo che cercas-
se di ricostruire i l procedimento del Gatto Murr rivelerebbe una
struttura ben più complicata, per l'aggrovigliarsi dei differenti pun-
iti di vista, dei racconti all'interno del racconto, delle successioni pa-
.ttUele d i eventi diversi, senza contare l'intreccio continuo di tutti
iquesti elementi della storia d i Kreisler con le vicende del gatto
fMurr, che ne costituiscono i l rovescio parodistico e caricaturale.
Anche tenendo conto soltanto della parte «kreisleriana» del ro-
XVI CLAXmiO MAGRIS

man2o,e cioè della cosiddetta Biografia frammentaria del maestro di


cappella Johannes Kreisler, nella successione degli avvenimenti del-
la storia principale (cioè d i Kreisler) s'intersecano, i n un rapporto
dì reciproca indipendenza cronologica, diverse altre serie di succes-
sioni temporali: quelle deUe vicende del principato, della vita di
mastro Abramo, dell'intrigo dì corte, della biografia di Chiara e così
via. Talvolta la determinazione cronologica è data come cosa certa,
talvolta come approssimazione non accertabile; spesso Io scrittore
si compiace d i far risaltare la contemporaneità ovvero la disconti-
nuità delle varie serie cronologiche, cercando andbe di ricostruire la
successione intema a ciascuna dì esse; un determinato episodio (per
esempio quello della fuga dì Kreisler) ricompare più volte, ora tale
e quale ora solo parzialmente ora addirittura modificato. Inoltre
Hoffmann costruisce frequentemente una struttura ad incastro, ba-
sata sul «racconto nel racconto», come quando per esempio la nar-
razione oggettiva, durante i l venticinquesimo episodio, introduce
im racconto per bocca di Abramo ìl quale a sua volta fa ricostruire
im episodio a Chiara; i l tutto viene infine complicato dal plurali-
smo dei punri dì vista che informa U romanzo.
La complessità stmtturale non costituisce certo un gioco fine a
se stesso ma ha un preciso valore funzionale, sì palesa cioè come l'u-
nica forma suscettibile di captare l'esistenza. I l contrasto fra 11 tra-
dizionale bagaglio romantico e la lucida tecnica innovatrice viene
esplìcitamente additato da Hoffmann; i l citato intervento proble-
matico col quale prende avvio i l terzo Makulaturblatt del Gatto
Murr è immediatamente seguito da un brano che declina i n toni l i -
rici e incantari la più tipica sensibilità romantica: sole calante che si
stende sulla foresta «come un velo d'oro», tacita immobilità del
bosco, «silenzio pieno dì presagi », alberi e cespugli che attendono
la carezza del vento crepuscolare, sussurro del mscello su bianchi
ciottoli, muto dialogo fra le due fanciulle Itmgo i sentieri coperti d i
fiorì. La contrapposizione fra la prima e la seconda parte del brano,
intenzionalmente accentuata, ìndica tuttavia un'antìtesi più appa-
rente che sostanziale. Non v'è alcun contrasto fra sentimenti inef-
fabili e intelligenza architettonica, fra ìl mistero dell'irrazionale
(sempre presente, in im modo o nell'altro, in Hoffmann) e i l razio-
nale impiego degli strumenti tecnici. Proprio perché la vita gli ap-
pare cosi enigmatica e sfuggente, Hoffmann non può accettare l'ar-
tifidosa sintesi realistica; proprio perché la psidie di Kreisler è un
abisso insondabile e dilaniato, lo scrittore deve rìnimcìare alla fin-
zione della presa dì cosdenza totale. Hoffmaim introduce dunque
una tecnica scaltrita proprio in funzione ddl'ineffabiUtà romantica,
L'ESILIO DEL BORGHESE XVII

che in tal modo risulta concreta e credibile. Nonostante i l vivacissi-


mo emergere di fatti ed eventi, nel romanzo non sussiste una storia,
uno svolgersi organico di avvenimenti: si ha l'impressione e l'illu-
sione che tutto accada su un ideale piano sincronico, in un continuo
presente psicologico nel quale affiorano, a tratti, squarci del passa-
to, brandelli di tempo che trovano la loro unica dimensione nel tur-
bamento atemporale che l i rivive. I l cliché misterioso, da romanzo
poliziesco, obbedisce anch'esso a tale funzione: i l tema dell'inquie-
tante ritratto, che si ripete in continue variazioni, e tutto l'intrigo
della storia di Angela esemplificano, su ima trama da feuilleton,
l'incertezza della realtà. Anche il racconto nero viene dunque recu-
perato, persino nei suoi aspetti più grossolani, in un superiore si-
gnificato simbolico. La contemporaneità deUe diverse vicende dei
diversi protagonisti assume un significato estraniante e mfondc i l
senso di un parallelismo assurdo e casuale, suscettibile di punti
d'incontro anch'essi casuali ed assurdi. I l movimento pendolare del
tempo e il moltiplicarsi dei punti di vista generano quello che i teo-
rici anglosassoni avrebbero chiamato più di mezzo secolo dopo psy-
chological muddlement. La fisionomia dei personaggi, ricostruita
faticosamente, non è mai imivoca e lineare; la conoscenza che Ìl let-
tore ne acquista viene continuamente alterata, arricchita o Impove-
rita dai nuovi dati e dai nuovi angoli prospettici che li inquadrano:
pressoché ogni figura fornisce e a sua volta riceve cognizioni sulle
altre. Non vi è nel romanzo alcuna conoscenza progressiva, ma solo
I un continuo moto alterno di progresso e regresso nella conoscenza.
L'individualità d i Giulia per esempio affonda nell'ombra man ma-
no si susseguono gli eventi «chiarificatori»; la delineazione più net-
ta del carattere di Edvige è illusoria, perché finisce per avvolgerla In
un alone d i struggente inconoscibilità.
La psicologia del personaggi non è affatto autonoma; isolati dal
contesto e dai loro rapporti reciproci, essi svaniscono in un'cvane-
;i scente inconsistenza. Ognuno esiste soltanto in un rapporto; non è
la sua personalità a muoversi nello spazio e ad espandersi nel dialo-
go ma sono lo spazio e Ìl dialogo che la creano e la mutano di conti-
nuo. Non si potrebbe immaginare una contrapposizione più radica-
le alla fisionomia conchiusa delle figure del romanzo storico-reali-
stico, che preesiste all'azione e viene introdotta in essa come una
i ' realtà compiuta ed organica. Si pensi a Edvige, la più alta creazione
\l Murr ed una deUe più alte della letteratura tedesca,figuracreata
tC «%aì volta per un attimo e che incarna i l dolore dell'assenza d i du-
iu tata: Edvige è tale solo nel suo incontro con Kreisler, Giulia, Etto-
AI re. I n altro contesto ella sarebbe un altro personaggio, mentre - per
XVIII CLAUDIO MAGRIS

fare un esempio classico — don Abbondio è tale ìn se stesso e a prio-


r i , indipendentemente dalla dialettica in cui viene immesso.
Straniamento delle cose, dunque, e dei personaggi. La follia, che
incombe su tutta l'opera, rappresenta il caso estremo di questo stra-
niamento nelle sue molteplici sfiunature: la crudele idiozia del
principino Ignazio; la febbrile esaltazione di Kreisler; r«altro sta-
t o * , paranormale e insieme amoroso, in cui vive perennemente Ed-
vige come più tardi la Oarisse di Musil (Murr); la schizofrenia vis-
suta come dramma morale da frate Medardo [Elisir); la pazzia fu-
riosa di Nataniele, l'ossessione del pittore Molinari {La chiesa dei
gesuiti di G., 1817); la lucida, «pirandelliana» fissazione di Sera-
pione {I confratelli dì san Serapione, 18x9-21). Follìa come cifra
della tragedia esistenziale; incomunicabilità e pietà. Tale condizio-
ne, vista come un fenomeno oggettivo e contemplata dunque in una
luce d i razionalità, sì profila quale figura, sub specie psicologica,
della più generale dissoluzione dell'unità, di ogni unità umana e
culturale. Questo processo porta Hoffmann ad affrontare il grande
problema della sua epoca, e cioè i l tramonto di ogni «universale-
umano» in cui tutti gli uomini di una società e di una civiltà possa-
no riconoscersi. I l declino, in altri termini, del rapporto razionale
con la realtà, del sigiùficato oggettivo degli avvenimenti, dì ogni on-
nivalente punto di riferimento; la fine dei fatti esemplari e la fran-
tumazione irrazionale dell'esistenza. A suo modo, anche Goethe a-
veva tentato di opporsi a quel caos (per lui, al caos della rivoluzio-
ne) ma affidandosi a mezzi antiquati. Nelle sue Conversazioni di e-
migrati tedeschi {1795-97 ) Goethe era ricorso alla novella di tradi-
zione italiana e francese, rinunziando alla creazione individuale e ri-
narrando storie già risapute e conosciute per afferrarsi alla validità
di un genere letterario che gli appariva, come ha scritto Giuliano
Baioni, «la forma ideale di una cultura che riconosceva nella narra-
zionerigorosamenteoggettiva della novella classica l'espressione di
un universale-iunano cui tutti gli indivìdui dovevano adeguarsi».
Hoffmann riconosce la validità dell'esigenza dì Goethe, ma non
quella dei suoi strumenti. Per lui quel tipo d i oggettività, di «uni-
versale-timano», era ormai anacronìstico e impossibile; la razionali-
tà come valore immanente alle cose, cioè come realismo e «classici-
tà», gli si rivelava logorata e inconsistente. La novella classica, in
questo senso, aveva poco da dire e le possibilità decameroniane e-
rano pressocché esaurite. Sotto questo profilo la trasformazione del
nesso racconti-cornice operata da Hoffmaim nei Confratelli di san
Serapione è molto significativa. Dal fatto la razionalità andava spo-
standosi sul rapporto; la verità del lavoro poetico non sembrava
L ' E S I L I O D E L BORGHESE XIX

più risiedere nella rappresentazione realistica bensì piuttosto nella


tentacolare e fluida presa di coscienza della disgregazione; nell'ac-
quisizione analogica piuttosto che nella trasfigurazione del reale.
Tale presa dì coscienza significa, d'altra parte, dissoluzione del
mito e quindi, per usare la formulazione di Clemens Lugowski, pre-
sa di conoscenza dell'individualità, dell'isolamento dell'oggetto.
Hoffmann s'avvia cioè verso un realismo più autentico e più vero dì
quello tradizionale: il realismo di cui parla Cocteau, la cui funzione
consiste appunto nello svestire le cose dei loro nessi e delle loro ve-
stì convenzionali facendole apparire ìn tutto l'assurdo della loro es-
senza. L'esempio di Hoffmann suggerisce implicitamente un'alter-
nativa alla linea del realismo propugnata da Lukàcs, proponendone
un'altra che cerca di risolvere con mezzi completamente diversi i l
problema del reale e che in Germania parte dal grande modello del
nostro scrittore, Jean Paul, i l quale, come osserva Fritz Martini,
«visse per primo in modo consapevole l'emancipazione della real-
tà [...] dall'idea di un ordine superiore, normatrice di valori e dì si-
gnificati, che conduce la coscienza del soggetto ad una disperata so-
litudine».
Hoffmann si riallaccia a Jean Paul e, dietro a lui, a Sterne. Sarà
proprio riprendendo questo filone e superando tante orge solipsi-
stiche, che l'avanguardia moderna giungerà al recupero di una nuo-
va universalità, dopo i l tramonto di quella classica; è stato del resto
dimostrato, soprattutto da Giorgio Melchiori, come i padri dello
sperimentalismo contemporaneo si richiamino a quello settecente-
sco, per esempio Joyce a Sterne. I l cosiddetto realismo, teorizzato
ed esaltato da Lukacs, appare ormai come un suggestivo impressio-
nismo e nulla più, ricco dì sottili sfumature psicologiche ma inade-
guato allo sviluppo della realtà moderna. I l Brinkmann ha sottoli-
neato acutamente l'equìvoco di questo realismo soggettivo; special-
mente ìn Germania la tradizione «fantastica», la narrativa prolife-
rante ed «aperta» della linea Jean Paul - Hoffmann sì è rivelata la
più idonea a cogliere l'aggrovigliata situazione storico-sociale, a
scomporre l'oggetto nei suoi elementi e a considerarlo nella multi-
forme dialettica delle sue relazioni, come avrebbe detto più tardi
Lenin. È appunto ciò che attua la letteratura fantastico-razionale
dell'avanguardia, mentre i l realismo irrazionale coglie tutt'al più
ima vibrazione lirica dell'oggetto. Non è un caso che i l giovane
Marx, nel suo frammento narrativo Scorpion und Fe/ix (1836-37),
esprimesse la sua impegnata e graffante polemica contro la deut-
sche Misere in un bizzarro e grottesco «caprìccio» perfettamente
inserito nella lìnea ironica Sterne - Jean Paul - Hoffmann - Heine.
XX CLAUDIO MAGRIS

3-

La scomposizione dell'oggetto e la dissoluzione del mito per-


mettono dunque di ripercorrere la dinamica del reale, ricostruita i n
base ad una logica diversa da quella quotidiana, e cioè i n base alla
legge analogica, al processo associativo, al simbolo e alla metafora.
La conoscenza di una vastissima letteratura mistico-esoterica aiutò
Hoffmann a intuire tale funzione del simbolo: per lo più letture d i
testi di scienze occulte, di compendi di mistica d'ogni genere e d i
almanacchi di superstizione popolare, di libri di Wiegleb, Montfau-
con de Villars, Kunigsberger, Zimmermann, Arpe e soprattutto d i
Gotthilf Heinrich Schubert. Col suo studio degli aspetti « notturni »
delle scienze naturali e della simbologia onirica {Anskhten von der
Nachtseite der Naturwissenschafi, 1809; Symbolik des Traums,
1814) Schubert aveva cercato di individuare, in un curioso intrec-
cio di acute intuizioni e fumoso irrazionalismo, i l «linguaggio del
profondo» dell'anima, articolato secondo processi associativi radi-
calmente diversi da quelli dello stato cosciente. Un linguaggio che
esprimeva la vita più segreta della psiche, misteriosa ma nient'affat-
to irreale ofiabesca,e che mirava dunque a cogliere, per vìa meta-
forica, una realtà intersoggetriva: non a caso Schubert cercava d i
stabilire delle «chiavi dei sogni» valide su un piano generale, e sul-
la sua scia altri tentavano di fissare dei «cataloghi» d i simboli, Ì
quali si proponevano di offrire degli strumenti, seppur approssima-
ti, per cogliere le leggi generaU della fenomenologìa psidiìca. Era-
no gli anni in cui ìn Germania si sviluppavano le analisi del simbo-
lo e del mito considerati valori ermeneurici d i portata oggettiva;
Kluge insisteva al pari di Schubert sulla funzione rivelatrice e quin-
di sulla «verità» del sogno e Schelling, ìl cui pensiero esercitò ima
decisiva influenza su Hoffmann, identificava inconscio e oggettivi-
tà. Per Hoffmaim ìl punto dì passaggio e dì collegamento fra 1 di-
versi piani della realtà è rappresentato dal simbolo, che fonde i n
im'indìssolubìle unità significante e significato e costituisce Ìl perno
della legge analogica, alla luce della quale sì spiega l'apparente in-
credibilità dì tante situazioni hoffmanniane. NeUa correlazione me-
taforica una rosa trapassa in una figura di donna biancovestita, nel
volto celestiale di Aurelia; l'abito rosso-cupo di Aurelia, vago come
una pittura da vetrata gotica, sfuma ìn una suggestione di rose pro-
fumate o avvampa nell'ossessione omicida ed erotica del sangue,
nella furia autolesionista ed erotofaga di frate Medardo (Elisir). La
narrazione si regge sul filo sconvolgente ma coerente delle associa-
L'ESILIO DEL BORGHESE XXI

2ÌonÌ d'idee, che rivela in HoflEmann un precursore della tecnica sur-


realista e futurista: in nome di una logica metaforica cupe macchie
di sangue trascolorano successivamente i n rose scarlatte, in candi-
de braccia liliali e in mirti illuminati dal rosso del tramonto {Doge e
dogaressa, 1818 [1819-21]); altrove Io stesso procedimento meta-
forico esprime la turbata logica della pazzìa, come quella del pitto-
re Ettlinger: « Io sono l'avvoltoio rosso - e dipingo dopo aver divo-
rato raggi di colore. Si: posso dipingere soltanto se ho, come verni-
ce, del sangue sgorgato caldo dal cuore. Ho bisogno del tuo sangue,
piccola principessa! * (Murr). Spesso fra Ì due termini della simili-
tudine viene a cadere, come ha notato lo Harich, la congiunzione
grammaticale; nel Vaso d'oro, uno dei capolavori hoffmannianì, i l
nevrotico Anselmo vede trasformarsi i l battente della porta i n un
sogghignante volto di vecchia. Precorrendo i l Musil delle geniali
analogie, Hoflmann intuisce ìl processo dì trasposizione della vita
psichica, l'imprevedibilità delle concatenazioni d'idee, l'universale
legge analogica, rappresentando tutto ciò i n forma d i fiaba grotte-
sca e inquietante, riprendendo cioè 11 «genere» romantico del Mar-
che» (fiaba) come specchio, veritiero e sinistro, non già di una miti-
ca «essenza della vita» ma della struttura mentale dell'uomo.
Alcuni simboli ricorrenti, vere e proprie parole-mito, adempio-
no anche sul piano strutturale all'oggettivazione deUa fenomenolo-
gìa psichica. I I Leitmotiv del garofano, ripreso ritmicamente quale
ritornello musicale, esprime nei Kreisleriana ( 1810 [1814-15]) «le
malheur d'étre artiste» proiettando l'esasperata reattività di un a-
nimo dilacerato in immagini sinestetiche: colori suoni e profumi
sgorgano da raggi luminosi e si fondono in un delirante concerto,
aromi s'innalzano e sì dileguano come accordi di clarinetto o come
raggi sonori, garofani purpurei trascolorano in adagi musicali o in
Vene sanguigne dì roccia, nel canto dell'usignolo ì raggi assumono
un sembiante femminile mentre nel Don Giovanni (1813 [1814-
> 1815]) il bacio della donna viene recepito come un suono. Un caso
analogo è costituito, neUe Avventure della notte di san Silvestro
( r 8 i 4 - i 5 ) , dal tema del calice di cristallo, sìmbolo della fascinazio-
ne erotica e nevrotica subita dal protagonista e tipico esempio di si-
nestesia, che si profila inoltre come uno dei motivi ricorrenti su cui
, si svolge fl racconto secondo la tecnica della ripetizione e dell'auto-
citazione. (Quest'ultima sì svolge per cosi dire a gradi, intrecciando
intimamente cornice e racconto. All'origine della novella v'è un'e-
sperienza reale, un incidente avvenuto a un « tè » fra Hoflmann, l'a-
noata Giulia Marc che egli aveva appena perduta e ìl suo fidanzato.
I n un passo del diario d e l 6 . 9 . i 8 i 2 e i n una lettera d i scuse alla
XXII CLAUDIO MAGRIS

madre di Giulia del giorno seguente Hoffmann descrive le sue esal-


tate stranezze, che vengono ricalcate fedelmente nel racconto: le
buffonate nevrotiche, la tazza di tè rovesciata goffamente addosso
al consigliere e cosi via. Quest'episodio umiliante compare, in una
luce di struggimento e d i autolesionismo, anche nella novella Le
nuove avventure del cane Berganza (1814-15), ironica ripresa di
un motivo d i Cervantes. I l rapporto Hoffmarm-GiuUa-fidanzato
viene trasposto nel rapporto fra i l cane Berganza, la padroncina
Cecilia e Ìl suo volgarefidanzatoGeorge che osa grossolane carezze
e viene azzannato dal geloso Berganza, in una scena di grottesco e
amaro pandemonio. L'autoidentificazione di Hoffmann col cane
non è esente da un compiacimento masochistico ma si trasfigura in
un'abbandonata dedizione amorosa quando il cane contempla, nel-
la stanza da Ietto di Cecilia, la camicia da notte dell'amata: «Una
lampada di alabastro spandeva all'intorno la sua tenue luce lattigi-
nosa; spiegata sul divano vidi l'elegante veste da notte di Cecilia,
tutta pizzi e trùie».
Un Refrain di questa scena compare nelle Avventure della not-
te di san Silvestro: «... mi ritrovai, non so dirvi come, seduto su
un'ottomana, in uno studiolo illuminato da una lampada d i alaba-
stro. Accanto a me Giulia: Giulia col suo sguardo infantile e buo-
no di un tempo ». A sua volta la figura di Giulia, evocata dalla « lam-
pada di alabastro», diviene i l filo conduttore di tutto Ìl complesso
racconto. All'inizio, nel salotto del consigliere, essa appare i n una
luce di sogno amoroso: «Notai qualcosa di nuovo, cQ inconsueto
nella sua figura: mi parve più alta, più formata, di una bellezza qua-
si esuberante. I l tagHo speciale del suo vestito bianco, abbondante-
mente increspato, ricoprente soltanto per metà i l seno, le spalle, la
schiena, le ampie maniche rigonfie, fino al gomito, i capelli spartiti
sulla fronte e raccolti dietro la nuca in un abbondante viluppo di
trecce, le davano un certo non so che di arcaico, quasi la facevano
rassomigliare a una figura di fancixilla uscita da un quadro d i Mie-
ris». La descrizione, minuziosamente realistica, è tuttavia immersa
in un'atmosfera irreale; i l ritratto fedele diviene un mito e trapas-
sa nell'oscuro presagio di una dimensione al di là della realtà fisica:
«... e tuttavia mi pareva d'aver visto coi miei occhi non so dove la
creatura nella quale Giulia si era trasformata». Nel capitolo intito-
lato La storia del riflesso perduto, cioè nella vicenda di Erasmo Spi-
kher che costituisce un racconto nel racconto, la diabolica Giuliet-
ta viene descritta quasi con le stesse parole: «La veste bianca rica-
deva in ampie pieghe, ricoprendo soltanto per metà i l seno, le spal-
le, la schiena, le maniche a sbuffo scendevano fino al gomito; i ca-
L'ESILIO DEL BORGHESE XXIII

pelli, spartiti sulla fronte, si annodavano sulla nuca in un abbon-


dante viluppo di trecce. Collane d'oro e ricchi bracciali completava-
no l'acconciatura medievale della fanciulla, rendendola simile a
una figura di Rubens o di Mìeris».
La ripetizione regge le fila del racconto e ne permette, non solo
sul piano contenutistico ma anche su quello propriamente poetico,
lo svolgimento. Uscito disperato dopo l'incontro con Giulia, ìl pro-
tagonista sì accompagna all'omino che ha perduto l'immagine nello
specchio; da quest'ultimo emergono per allucinazione i tratti di
Giulia e l'ometto nel sonno mormora II nome d i Giulietta; nel so-
gno immediatamente successivo l'incontro con Giulia, la festa del
consigliere, le frasi sconnesse dell'omino a proposito di Giulietta e
Tincantesimo dello specchio si fondono in un imico incubo, che in-
troduce i l racconto nel racconto, e cioè la storia di Erasmo Spikher
e della sua immagine perduta. L'autentico nesso fra le due vicende
non consiste nell'espediente esteriore del manoscritto, bensì nella
legge analogica. La rievocazione dell'ultimo incontro con Giulia
sfuma in un'eco interiore e si moltiplica in confuse associazioni d'i-
dee; i frammenti di realtà oggettiva divengono un'ossessione in-
quietante e generano una sorta di sdoppiamento. Tale ossessione si
svincola progressivamente dall'iniziale dato reale e passa su un al-
tro piano narrativo, costituendo la storia nella storia, cioè l'avven-
tura di Erasmo. Questa in fondo non è altro che una trasposizione
dell'esperienza realmente vissuta, dell'incontro con Giulia: un'a-
mara vendetta fantastica che proietta la crudele doima amata in un
simbolo di maleficio. Giulia diviene la diabolica maga Giulietta, la
schiavitù amorosa assume l'aspetto di un incantesimo maligno, la
perdizione sentimentale si trasforma in una cupa dannazione. Se
già in casa del consigliere il viso angelico di Giulia si era deformato
per un attimo in una smorfia ripugnante, nel sogno lafigurafemmi-
nile diviene addirittura un'allegoria demoniaca come in un quadro
dlBrueghel: «Guardai Giulia e rabbrividii: effettivamente la sua
veste increspata, le maniche rigonfie, l'acconciatura dei capelli la
.tendevano quasi identica alle seducenti vergiru circondate da mo-
stri infernali come si vedono nei quadri di quei maestri». Nella sto-
ria di Erasmo la donna diverrà effettivamente una creatura diaboli-
ca; la sua personalità muta quindi radicalmente, passando da un po-
lo positivo ad tmo negativo - così come i l paragone pittorico passa
da Mieris a Rubens e infine a Brueghel - ma resta sempre affidata al-
la medesima suggestione, alle medesime parole-mito: Gewand,
hauschig, Armel (abito, a sbuffo, manica, ecc.). La ripetizione, os-
sia la legge analogica, collega e rinsalda le parti della novella, imifi-
XXIV CLAUDIO MAGRIS

candole all'interno di un'unica Stimmung psicologica che registra,


sulla base di alcuni dati ricorrenti e immutabili, ogni sorta di varia-
zioni e invenzioni fantastiche.
I l dato reale si converte di continuo in mito ed emerge successi-
vamente a intervalli regolari, come un Leitmotiv, secondo un pto-
cedimento stilistico che sarà caro anche a Thomas Mann. La ripeti-
zione, al contempo fedele e deformante, contribuisce anche a tra-
sformare la realtà in grottesco: si veda con quale artiglio, nel sogno
all'albergo, Hoffmann «citi», alterandola in un'angosciosa carica-
tura, la festa del consigliere. La citazione quindi snatura i l reale, lo
sveste impietosamente delle apparenze familiari per svelame l'in-
quietante allegoria. Ad esempio i l protagonista, i l quale abbando-
nando disperato la festa ha lasciato cappotto e cappello appesi ad
un Haken (cioè ad un attaccapaimi), nell'atrio del consigliere, più
tardi, all'osteria, fa un amaro gioco di parole su Haken, che signifi-
ca anche uncino, trasfigurando un banale particolare reale in i m tra-
gico simbolo: «Dio mio - lo interrappi - quanti uncini non ha pre-
parato i l diavolo per noi dappertutto, sotto le pergole, nelle spallie-
re di rose, alle pareti delle stanze dove passiamo e lasciamo brandel-
l i del nostro io. Si direbbe che, egregi signori, noi tutti abbiamo già
perduto qualcosa i n tal modo, benché a me manchino questa notte
soprattutto il cappello e i l pastrano. L'imo e l'altro sono appesi, co-
me sapete, a un imcmo nell'anticamera del consigliere! »

4-

I l campo più naturale in cui domina e si sviluppa la legge analo-


gica è, ovviamente, quello dell'esperienza onirica, che non a caso ha
offerto a Hoffmann l'occasione per indimenticabili pagine visiona-
rie dedicate alla descrizione di sogni. Negli Elisir del diavolo il tem-
po oggettivo viene abolito quasi completamente, assorbito nel de-
lirio e ridotto, secondo l'osservazione d i Hubert Ohi, ad una suc-
cessione di singoli punti temporali discontinui. Trasportando l'a-
zione all'interno di una psiche, Hoffmann sposta ìl centro dell'og-
getto; i l reale emerge in una ridda allucinata, cui è impossibile im-
porre un ordine e un filo conduttore. O meglio, l'unico legame è
costituito da immagini ricorrenti secondo la legge dell'associazione
analogica che sgorga dai cupi meandri dell'inconscio : nel magnifico
sogno d i Medardo ferito e delirante ìl sìmbolo del color rosso, da
cupa immagine di morte (il sangue pumlento), diviene emblema di
redenzione (Cristo), figura d'amore (Aurelia), corale appassionato
L'ESILIO DEL BORGHESE XXV

». dell'umanità, in uno sdoppiamento del soggetto che non ha prece-


M;. denti nella storia letteraria tedesca. Negli Elisir, che possono venir
m letti su diversi piani (come romanzo d'avventure, o psicologico, o
i poliziesco, o come racconto nero, «gotico» sul tipo del loro lonta-
% no modello. The Monk d i Lewis), gli ingredienti tipicamente ro-
M mantici, talora inclini persino a forme e strutture da letteratura
'I'' d'appendice, si trasformano in metafore visionarie e in gemali ìn-
% wizioni psicologiche, ìn allegorie di allucinanti avventure della psi-
P che. Intrecciando e sovrapponendo diversi piani della realtà ìn sì-
^? tuazioni apparentemente impossìbili, Hoffmaim è giunto ad ina-
t spettati, forse inconsapevoli risultati dì analisi psicologica. Lo
^ sdoppiamento del protagonista si configura ora come evento ìnspie-
^ gabile, ora come ossessione patologica, ora come ingrediente miste-
^ rioso spiegato sul piano naturale quale conseguenza del bizzarro
'intrecciarsi di fatti reali che vengono tuttavìa immediatamente
smentiti sicché la trama viene ricondotta alla sua assurdità — o me-
' ^ 0 al suo significato psicografico.
Ogni elemento, negli Elisir, è duplice e ambivalente. La fuga d i
Medardo dal convento, l'incontro col sosia e ìl suo ingresso nel ca-
^ Stello in qualità di conte Vittorioo travestito da Medardo (cioè qua-
le Io travestito da se stesso) rappresentano la traduzione d'un trau •
't ma psìchico in termini d'intreccio avventuroso; identici simboli ri-
correnti esprimono purissimi sentimenti d'amore e ossessioni de-
littuose; la devozione religiosa sfuma i n passione sacrilega trasfigu-
n t a a sua volta in grazia celeste non immune tuttavia dai demoni
d d profondo; ideali soavi s'intrecciano a voluttà perverse e ad incu-
' b i diabolici, come nel sogno-delirio in cui Medardo vede marcire e
putrrfarsì la carnale bellezza di Eufemìa, in im sabba degno del
pennello dì un Bosch. Negli Elisir confluiscono i più disparati moti-
v i e personaggi: la lieve santità dì Aurelia, oggetto dì una passione
ia cui si confondono sentimenti puri e profanatori; la bellezza de-
fOnùaca e distruttrice dì Eufemìa, sorella delle altre «donne vam-
piro» presenti nella narrativa hoffmanniana che anticipano anch'es-
«b l'affermazione della nietzscheana «volontà di potenza»; ìl folle
Bekampo, grottesco portavoce di verità come ì fools dì Shake-
Ideate. Nell'atmosfera romantica del brivido e dell'orrore v'è an-
die posto per la realìstica e ironica rappresentazione delle piccole e
toSCTonistiche corti tedesche, o per i l discorso del medico a Medar-
do, che costituisce una delle più belle pagine sul tramonto dell'ari-
stocrazia e sull'avvento dell'era borghese.
Nella storia del dflacerato Medardo e del suo folle sosia Hoff-
fluum ha creato ima splendida parabola, psicologica culturale e mo-
XXVI CLAUDIO MAGRIS

rale, della dissociazione d'un'anima. Psicografia d'una schizofrenia


ritratta con inquietante potenza espressiva, gH Elisir tracciano an-
che, attraverso la curva di un destino individuale, i l rendiconto eti-
co-culturale di tutta un'epoca con la sua crisi di valori e la conse-
guente resa compiaciuta alle forze demoniche dell'irrazionale: il te-
ma scontato e ritrito del viaggio in ItaHa diviene un'allegorica di-
scesa agli inferi, che rovescia i l iopos classico e pedagogico delle ob-
bligate italieniscke Reisen in una sinistra parodia delle pseudosu-
blimazioni di tante irrisolte vocazioni oscure della cultura tedesca.
I I romanzo si pone infine anche come una parabola morale perché,
a difierenza che in tante altre opere, Hoflmann pone l'accento sulla
coscienza, sull'incerta e disperata lotta contro le forze oscure (fl
fantasma insorgente del « fratellino»), suUa profanazione dell'amo-
re e sulla sua espiazione, elementi tutti che fanno degli Elisir del
diavolo una sorta di Delitto e castigo della letteratura romantica.

5-

Gli stessi termini che negli Elisir indicano dissociazione e follia


assumono invece, nella Principessa Brambilla, un positivo significa-
to di liberazione: Giglio, i l protagonista che soffre di «dualismo
cronico», ritrova e conquista proprio neUo straniamento dello
sdoppiamento e del sosia - «fratello», la dimensione dell'inconscio,
identificato, secondo Ìl pensiero schellinghiano, con l'oggettività e
quindi con l'arte'. I l problema che negli Elisir viene impostato co-
me dramma morale, viene invece risolto nella Principessa Brambil-
la in forma di balletto trascendentale, d i capriccio metafisico. La
crisi della coscienza individuale, determinata dall'improvvisa av-
vertenza dei limiti soggettivi che rompe l'armonia dell'immediatez-
za, si conclude col recupero di un'armonia più alta, con la reciproca
identificazione di ogni alterità, di protagonista e antagonista, mito
cosmico e cronaca borghese, archetipo e persona. La perdita dell'in-
dividualità (sdoppiamento di Giglio-Cornelio, Giacinta-Brambilla)
costituisce l'itinerario obbligato per una conquista della più auten-
tica dimensione personale nel superamento di tutte le contraddizio-
ni, di ogni dissidio soggetto-oggetto. È il momento in cui Hoffmarm
supera la crisi «fichtiana» grazie all'incontro con l'idealismo ogget-
tivo di Schelling, soprattutto con l'impostazione data da quest'ulti-
mo al rapporto tra finito e infinito nella Philosophie der Kunst
{1802-805 ), in cui, come ha sottolineato Rosario Assunto, la dialet-
tica verità-bellezza (cioè filosofia-arte o infinito-finito) viene risolta
L ' E S I L I O D E L BORGHESE XXVII

da Schelling in chiave rigorosamente paritetica, come identità di-


versa fra unità e molteplicità, assoluto e finitezza.
Nella Principessa Brambilla Hoffmann affronta appunto in ter-
mini schellinghiani l'antinomia della finitezza, intesa quale miste-
rioso rapporto tra individualità e totalità corale, operando uno
struggente tentativo di raggiungete l'identità tra l'unità indifferen-
ziata ed il particolare, che nasce e si dissolve nel ritmo del divenire.
Antiromanzo per eccellenza. La principessa Brambilla si configura,
svolgendosi secondo i l canone del «mito poetico trascendentale»
formulato da Schelling, come un balletto dell'individualità articola-
to, nella fantasmagoria del Carnevale romano, ìn un duplice e anti-
tetico movimento, in ima tensione alla liberazione dal magma del
caos e al ritorno nella beatitudine del Tutto: la realtà si trasfigura
in cristalli trasparenti ove mille strane figure lottano per acquistare
una individualità-forma. Giglio anela a dissolversi nel mare sconfi-
nato della nostalgia da cui escono le immagini finite, una nuvola che
esce da una bottiglia prende ìl volto della principessa Brambilla, un
corteo di fiabeschi personaggi svanisce per incanto in un'oscura
porticina. Poetica e ideologia dell'opera vertono sulla problematica
1 del principium individuationis, sullo sforzo di trattenere l'wawen-
tura favolosa» dandole una forma mentre sta per sparire nel nulla e
i sull'opposta e complementare nostalgia dì placare il dolore della se-
• parazione, dell'esistenza singola e finita separata dalla vita eterna
i; dell'universo. NeUa Principessa Brambilla vibra non tanto l'ebbrez-
Sa del cupio dissolvi quanto l'anelito alla comunione, air«onmes
: Jftetare in unum» di cui parla la Scrittura. L'insofferenza del limite
j,.4(finito» che impedisce la perfetta realizzazione dell'amore s'unisce
liall'esìgenza di salvare ogni individualità pur fragile e caduca; al de-
vSiderio di partecipare della vita del Tutto s'accompagna un deside-
rio altrettanto intenso di fermare ed inverare nel turbinio della vi-
. ta cosmica ogni creatura, ogni volto, ogni attimo e ogni palpito dì
Jbellezza e di sentimento: la figura ideale dì questo arabesco sembra
Riessere la rosa dei beati del paradiso dantesco.
Richiamandosi a Schelling, che aveva visto nell'immaginazione
—cioè nell'arte - la forza atta ad esprimere nelle forme finite l'asso-
luto, integro e indivisìbile in ogni individuazione particolare, Hoff-
tnaonn organizza il racconto secondo una struttura simbolica. I n que-
sto valore simbolico, ìn cui «il particolare significa l'universale e
l'universale il particolare», ogni cronologia convenzionale si dissol-
• W nel cubismo temporale della Brambilla, nella simultaneità di tut-
te le dimensioni del tempo stese come le facce di un prisma sulla
tdla, dalla cosmogonìa aurorale al carnevale romano, in una coinci-
XXVIII CLAUDIO MAGRIS

denza perfetta di essenza e apparenza, metafora e verità. Hoffmann


infatti esalta i l mutamento ma ne rifiuta la successione temporale,
che comporterebbe la continua e definitiva distruzione delle singo-
le individualità, e cerca invece di fermare in un eterno presente fan-
tasmagorico e rutilante tutta la dinamica della metamorfosi stessa.
Nella Brambilla non v'è dimque alcuna successione ma invece una
totale compresenza, scandita anche dalla struttura circolare del rit-
mo narrativo. La fuga dal teatro e i l ritomo nel teatro, le prove dal
sarto 0 la cenetta idillica dei due innamorati, la ricerca di Giacinta
e l'incontro con la ragazza, la trasmutazione in pappagallo e ìì recu-
pero del sembiante umano e tutte le altre incalzanti avventure non
avvengono «prima» o «dopo» l'una rispetto all'altra ma roteano
come in una girandola, si dispongono ìn una specie dì cerchio in cui
non esìste precedenza, in cui non v'è punto di partenza né punto
d'arrivo. I l girotondo della molteplicità-identità sì riassume allora
nella figura della maschera, che è contemporaneamente quella ma-
schera e i l volto che vi sì nasconde, volto sempre uguale celato e in-
sieme affiorante sotto infinite maschere diverse, che possono perciò
riconoscersi recìprocamente l'una nell'altra tramite la loro diversi-
tà segretamente identica, così come tutti coloro che s'affollano in-
tomo alla favolosa carrozza della principessa credono dì sedere nel-
la carrozza stessa perché i suoi sportelli sono altrettanti specchi.
Se la maschera è la figurazione del molteplice, ìl logico scenario
di quest'avventura metafisica è ìl carnevale, descritto sul modello
del Komisches Carneval di Goethe (1789), compreso nel Viaggio in
Italia e seguito fedelmente, anzi talora espressamente citato, da
Hoffmann. I l Carnevale rappresenta i l sovvertimento d'ogni norma
e restrizione, i l «pathos delle sostituzioni e dei mutamenti, della
morte e del rinnovamento» di cui ha parlato Michaìl Bachtin nel
suo studio su Dostoevskij; Carnevale come allegoria della libertà,
delle possibilità imprevedibili che rompono ogni abito precostitui-
to, ogni parabola esistenziale predeterminata e ogni ideologia rigi-
damente definita; soprattutto come libertà dal destino. I n tal senso
i l romanzo carnevalesco s'identifica col romanzo d'avventura, Ìl cui
carattere è appunto quello di svolgersi non già seguendo la traccia
di alcune situazioni ma dissolvendo quest'iUtìme ed ogni dato ac-
quisito in peripezie sempre nuove che pongono ogni volta ìl perso-
naggio dinanzi a tutte le infinite virtualità della vita. La principessa
Brambilla costituisce un «romanzo d'avventura» esistenziale e me-
tafisico, senza lìmiti dì tempo e dì spazio né rapporti dì causalità.
L'avventura camevalesca scioglie anche la pietrHcazione immuta-
bile (e perciò colpevole) della vita rappresentata dal passato, ripor-
L'ESILIO DEL BORGHESE XXIX

tando la condizione umana alla libertà di una potenzialità non an-


cora attuata e perciò infinita, al «fluido nocciolo infuocato della
creazione» come avrebbe detto plil tardi Musil. La stessa nostalgia
per il passato, che approda ad un ritorno al Medioevo tedesco e « al-
la moda della vecchia Franconia» e culmina in quella specie di
proustiana festa del tempo ritrovalo cui s'assiste nella novella //
cuore di pietra ( 1817 ), viene intesa come mania e malattia; Ìl Gloor
ha visto nell'orrore per l'automa un simbolo dell'avversione per i
lenomeni dal ciclo già concluso, privi cioè di ogni possibilità di scel-
ta e alternativa e, in quanto tali, manifestazioni diaboliche. È l'u-
morismo trascendentale che vince l'incubo del passato, dissolvendo
ogni stratificazione e distruggendo ogni determinismo nell'evane-
scente libertà d'una fantasia aerea e surreale, fatta di nuvole, «bel-
\e nuvole», e di apparenze lievi e spumeggianti come l'assurdo cor-
( teo della principessa Brambilla, tutto un proteiforme vibrare di lu-
ì'oc. Non a caso Baudelaire, nel saggio De l'essence du rire, afferma-
l'va che nella Principessa Brambilla «le désordonné Hoffmaim, le
vidrvin Hoffmann» aveva composto un «catéchismc de haute esthé-
rtique », cimentandosi con quel « riso » che il poeta francese conside-
un sigillo satanico, un frutto disceso d^'albero del bene e del
male. L'umorismo sembra promettere per un attimo U superamen-
l^to del dolore del principium individuationis nel palpito corale della
|.«festa», anticipando quella intonazione con cui il tema della festa
l'apparirà in tanti altri scrittori di lingua tedesca, da Grillparzer a
l'iÉhomas Mann: festa come nostalgia di comunione amorosa, desi-
l'iflerio di identificazione con ogni forma amata, «tranquiUo abban-
10 [e] riposo nelle braccia del mondo » per usare vm'appassionata
ìnizione scheUinghiana dell'arte.
Festa, umorismo e abbandono alla fantasia sono altrettante mc-
fore alle quali Hoffmann si affida per riparare al «peccato origina-
t», alla caduta dell'uomo costituita dal distacco dalle Madri, dalla
itumazione della primitiva armonia di spirito a natura, pensiero
t jpoesia — versione romantica del mito deU'età dell'oro. Il Giardino
I Urdar nella Principessa Brambilla, l'Atlantide del Vaso d'oro e U
jordiale regno vegetale di Maestro Pulce sono altrettante imma-
11 del beato «Primo tempo», deUa scheUinghiana indifferenza i-
ra di ogni scissione, della natura come poema e odissea dello spì-
itt) di cui si parla nel Sistema dell'idealismo trascendentale. La me-
'Ssima vita divina palpita in tutte le forme dell'essere, dall'uomo
animali alle piante alle gemme della terra, come nelle fiabe e
lo stesso Heinrich von Ofterdingen di Novalis; per re Ofioch,
iella Principessa Brambilla, la natura ha braccia amanti, comimica
XXX CLAUDIO MAGRIS

all'uomo ima comprensione immediata di tutta l'esistenza, non co-


nosce « separazione» {Absonderung) tra uomo e cosmo e ignora so-
prattutto - secondo un ideale caro all'anticapitalismo romantico -
la «città in muratura». Ogni hybris personale, non solo quella in-
tellettualistica («il pensiero distrugge l'intuizione», si legge nella
Principessa Brambilla) ma anche lo stesso impulso amoroso all'indi-
viduazione rompe, come nel Vaso d'oro e in Maestro Pulce, la bea-
ta unità indifferenziata, l'accordo prefilosofico dell'uomo e della na-
tura: l'amarillide difiammasi annienta nel bacio d'amore di Pho-
sphorus, re Ofioch cade in un'inguaribile malinconia e le felici crea-
ture dell'Eden vagano sperdute ed esiliate nel mondo della storia,
indossando grotteschi abiti borghesi ed esercitando mansioni fili-
stee. Archivista, mercante, attuario o consigliere di commercio, il
borghese di Hoffmann è sempre un angelo caduto e la sua dimen-
sione sociale, tragicomica al pari di quella degli impiegati di Gogol',
è la dimensione del suo esilio esistenziale.
La «caduta» viene spesso elEgiata, secondo una tipica formula-
zione romantica, sotto la forma di distacco dell'individualità dalla
madre. Il dolcissimo mormorio del Giardino di Urdar diviene riso
stridulo e demonico della madre che, adirata, cerca di far perire il
figlio; d'altronde l'incubo romantico di una natura ostile e nemica
assume di frequente, anche in altri autori, la veste di un complesso
edipico negativo: nella Montagna runica (1802) di Tieck, per e-
sempio, la grande donna nuda del monte e le gemme della terra tra-
scinano il protagonista alla morte, risucchiandolo magneticamente
nel grembo in una specie di nascita a ritroso. Il grembo della natu-
ra-madre è ora distruttore ora salvifico, è il grembo che dà vita e
che insieme richiama alla dissoluzione nel magma originario, è l'i-
dentità di Zeus e Hades di cui più tardi parlerà Schopenhauer. E la
materna cavità sotterranea in cui discende Heinrich von Ofterdin-
gen immergendosi nella beatitudine dell'acqua che scorre nella
grotta simile a oro acceso e a nuvola vespertina, ed è la caverna in
cui l'eroe delle Miniere di Falun (1819-21) viene disumanizzato e
distrutto dalla madre-regina della miniera. Talvolta, come in que-
st'ultimo racconto, la ripresa del tema mitico s'impernia sul simbo-
lo come proiezione di un inconscio collettivo efissaun ricchissimo
materiale etnologico, interpretando l'elemento folcloristico-leggen-
dario in chiave psicanalitica (la discesa nella voragine e la regina
della miniera come fantasie edipiche, il raggio di luce quale figura
dell'atto sessuale, il motivofiabescodel cadavere che rimane intat-
to negli anni e cosi via).
Anche nella Principessa Brambilla l'adirata natura genitrice vie-
L'ESILIO DEL BORGHESE XXXI

ne definita madre-regina della miniera, che allafineriassume il vol-


to consolante della madre-amante. Le varie fiabe del Giardino di
Urdar, del Cactus Zeherit, di Phosphorus e dell'amarillide {Bram-
billa, Maestro Pulce, Vaso d'oro}, per citare solo alcuni esempi, sim-
boleggiano il carattere estetico che assume, in Hoffmarm, la solu-
zione del conflitto dualistico, il recupero dell'armonia unitaria. So-
no la fantasia, l'umorismo, il mito, la poesia che riconquistano, al
livello della consapevolezza, la comimione con l'essere: re Ofioch e
la regina Liris si ridestano «in patria» e «si riconoscono», come il
novalisiano Giacinto aveva riconosciuto sotto il velo di Iside la sua
amata e abbandonata Fiorellin di Rosa; r « Adantide» viene scoper-
ta nell'idilKo borghese di Giglio e Giacinta, di Peregrino e Rbs-
chen, di Anselmo e Serpentina e «tutto viene ritrovato». Nel turbi-
ne della metamorfosi-identità cosmogonia e storicità, libertà uma-
na e necessitàfisicacoincidono perfettamente, come nell'amplesso
che riconduce la bella Dortje e George Pepusch alla loro primige-
nia essenza vegetale. «L'atte toma a congiungere ciò che la rifles-
sione aveva separato», osserva giustamente Rosario Assunto rife-
rendosi al pensiero di Schelling, per ìl qualefilosofiae scienze devo-
no tomare a confluire in quell'oceano deUa poesia da cui sono nate.

6.

Come negU scherzi del Carnevale affiora ìl mito del Giardino di


^tdar, cosi l'umorismo sì pone dunque per Hoffmann quale «meta-
iosa capacità del pensiero, nata dalla profonda meditazione sul-
natura, di creare un proprio sosia ironico, le cui strambe buffona-
glì permettono dì riconoscere [...] le buffonate di tutta la vita ter-
i». Le buffonate deUa vita terrena rimandano quindi a eterni ar-
!tipì, alla luce dei quali esse appaiono goffe come l'albatro di
lelaìre ma daUa certezza del quali dovrebbero trarre un conso-
te riscatto della loro grottesca e dolorosa parabola. Una consola-
le che tuttavìa non giunge sempre, giacché Hoffmann non po-
delle verità cui afferrarsi saldamente e stabUmente ma ìntrav-
a tratti alcuni sprazzi di luce e di conforto, che talora illumì-
il destino del personaggio e talora invece svaniscono lascìan-
ìn un'insensata oscurità. Ambivalente infatti è ìl destino del
lese hoffmannìano, àlbatro prigioniero e angelo decaduto, che
'scrittore storicizza individuandolo nella concretissima figura del
do-borghese tedesco ancor medievale e preìmprencUtorìale
rger e non citoyen, per citare la celebre formula di Lukacs), ìn-
xxxir CLAUDIO MAGRIS

carnazione dell'idillio sacro-romano-imperiale, corporativo e pro-


vinciale. «L'idillio - ha scritto Cesare Cases - tedesco precapitali-
stico, tra tetti aguzzi, archi a sesto acuto e bionde, ingenue fanciulle
con le trecce»; im idillio che sarà spazzato via - ma non certo defi-
nitivamente - dal Faust, come ha visto lo stesso Cases.
Nella narrativa di Hoffmann compaiono numerosi personaggi
ed ambienti che declinano lafisionomiadi questo mondo inconfon-
dibilmente tedesco: il Geheimer Kanzleisekretàr Tusmann, il refe-
rendario Gloxin, il consigliere Krespel, il legatore Lammerhirt, il
patrigno Drosselmeier, il professore Mosch Terpin, la Professorin
Helms, U Konrektor Paulmann, il Registrator Heerbrand, la Borsa,
la casa commerciale di Baldassarre Tyss, il caffè Klaus und Weber
nella Berlino autunnale affollata dì placidi borghesi, l'intimità na-
talizia fragrante di abete in casa Lammerhirt o in casa Sthalbaum, la
bellezza casalinga di Rosa, di Gretchen, della tondetta Rettelchen
maestra nel preparare ghiotti dolciumi o della bella Candida dalle
labbra di rosa rivolte all'insù che aveva letto e dimenticato Goethe
Schiller e Fouqué, la casetta nel bosco di betulle del signor von Bra-
kel o la corporazione di tinai e bottai di Norimberga. Prima di Hoff-
mann, Jean Paul era stato il grande cantore della provincia feudale
tedesca, dal particolarismo sacro-romano-imperiale, della deutsche
Misere: il pedagogo Quintus Fixlein, il maestro Maria Wuz, il cap-
pellano Schmelzle, il rettore Florian Falbel, il dottor Katzenberger
rappresentano la traduzione, in termini di interiorità psicologica,
del frazionamento particolaristico, della riduzione dell'impero ad
angusti orizzonti locali e corporativi. Fenomeno, questo, che ebbe
tanto peso sul pensiero politico tedesco, sulla concezione i/e//eliber-
tà dei ceti contrapposte dia libertà in senso democratico: si pensi
alla moralità degli Stànde ntU'Egmont goethiano o al Gòtz, e si pen-
si all'influsso della Reichshistorie in quel processo che Carlo Anto-
ni ha denominato «la lotta controia ragione». L'idillio tedesco, ov-
vero la risultante dell'Immobilismo sociale e del frazionamento po-
lidco di quella nazione che Herder definiva la « terra oboedientìae»
e Antoni «il popolo meno faustiano della storia europea», si riflette
nel patetico isolamento interiore e «apolitico», «disperatamente
tedesco», che giungerà sino alle Considerazioni di Thomas Mann e
che s'incarna nellafiguradel Sonderling, donchisciottesca e bizzar-
ra trasposizione psicologica della chiusura sacro-romano-imperiale
ed espressiwie, come ha scritto Giuseppe Bevilacqua, «di un pro-
fondo disagio fra ima natura particolarmente sensibile e una società
incapace d'offrire libero campo d'esplicazione alle sue doti partico-
lari». La fraseologia giuridica, presente nell'invenzione linguistica
L'ESILIO DEL BORGHESE XXXIII

di Jean Paul e di Hoffmann, non è cetto casuale, perché la fislono-


j mia dell'idillio provinciale era appunto legata al diritto comune sa-
cro-romano-imperiale, U quale avrebbe avuto un suo peso - anche
; se meno negativo di quanto si è voluto credere, come dimostra la
': polemica fra Savigny e Thibaut - sulla genesi dell'irrazionalismo
tedesco.
Hoffmann riprende quest'idillio cosi caro ai romantici, dalla
; Christenheit oder Europa di Novalis al «gutes altes Recht» di Uh-
iland. Charles Nodier osservava non a caso come lafiorituradel ge-
ì nere fantastico in Germania fosse da ricondursi alla sua « moltitudi-
j ne di circoscrizioni locali e di usi specie». Soprattutto verso la fi-
' ne della sua vita Hoffmann sembra tornare al vecchio idillio medie-
vale, afigurineun po' kitsch come Rosa, lafigliadi mastro Martino,
.i« proposito della quale lo scrittore cita esplicitamente la goethìana
Gretchen, il quadro di Peter Cornelius e le parole che esprimono la
inorale del ceto: non sono né bella né signorina. Cosi egli ritorna a
:£erta vecchia pittura tedesca divenuta di maniera ed evocata nel
personaggio dello stesso Diirer nel racconto II nemico. SÌ tratta di
una nostalgia per la « vecchia Franconia», espressa per esempio nel-
le novelle Mastro Giovanni Wacht e II nemico, nostalgia che affiora
lanche nel precedente racconto Mastro Martino il bottaio e i suoi
^gfirzoni: opere nate dalla lettura di vecchie cronache locali della
iclibera città imperiale» di Norimberga come quelle del Wagenseil,
;del Gundling o di Johannes ab Indagine, pervase da quel profumo
:éd passato die animerà più tardi le celebrazioni delle «freie Reichs-
:Stadte» sino alla polemica antinazista di Ricarda Huch e permeate
^iÌA quello spirito di corporazione che compare nell'orgoglio di ceto
ijitì mastro Martino, in cui par di sentir vibrare la serenità operosa
fifci maestri cantori e la morale dei Buddenbrooks, anche se Hoff-
poatm attenua la rigidezza deU'edca protestante-capitalistica (nel-
l'accezione weberiana) in una familiare e bonaria ironia.
I'I \a di quell'idillio e insieme demistificatore delle sue contrad-
'^Mnoni politico-sociali (e, con esse, di tante successive involuzioni
/livella civiltà tedesca), Hoffmann storicizza nel grottesco dolore del
'-^onderling la goffaggine esistenziale dei suol angeli caduti, ìncate-
I^Bstti in abiti stridenti e soffocanti, calati in una gabbia sociale ri-
,iÌRpetto olla quale la bizzarria e l'eccentricità si configurano come un
:;k]fiesso automatico e meccanico e, al contempo, come l'unico gesto
jlittievasione e di rifiuto. Riprendendo il vecchio motivo gotico, cln-
Ipiecentesco-luterano e provinciale, del Narr, «teutsch» come in
i^toia spigolosa xilografia, Hoffmaim popola il suo universo di Son-
•l^^rlinge, caricature e autocaricature di uomini cui il comico com-
XXXIV CLAUDIO MAGRIS

portamento e il comico abbigliamento non tolgono, sotto la smor-


fia, la dignità del dolore e di una tortuosa interiorità: l'avvocato
Musevius con la sua giacca color prugna e il suo cupo amore per la
musica, il signor Liscov (cioè mastro Abramo) con le maniche del
soprabito svolazzanti nel vento e il piccolo tricorno sulla parrucca
incipriata, lo scolaro di Tartini che strimpella il violino cavandone
dissonanze stridule che lo commuovono, Kreisler con la sua clow-
nerie metafisica e iimumerevoli altri personaggi. Tutte creature
che sotto un rigore legnoso tipicamente tedesco, da Herr Doktor,
svelano d'improvviso, con uno sberlefio, la loro natura di tragiche
marionette ammantate di dignità. Con questi ritratti, ispirati all'ar-
tiglio di un Hogarth e di un Callot, Hoffmann reca certo anche un
contributo di critica demistificante nei confronti dell'idillio tede-
sco, smascherando le segrete debolezze e Ì nodi oscuri di quel deco-
ro, cosi come satireggia le piccole e anacronistiche corti assolute nel
Murr e, nel Piccolo Zaccheo detto Cinabro (1819), il cuore stesso
di quel mondo e cioè l'ambiente accademico e goliardico delle Uni-
versità, tratteggiato con un sarcasmo che intreccia polemica antira-
zionalistica e parodia antiassolutistlca. Del resto anche nel Gatto
Murr Hoffmaim, che aveva dileggiato l'oscurantismo della Restau-
razione nell'episodio dì Knarrpantì di Maestro Pulce e il filisteismo
borghese (impersonato nella scimmia Milo) nei Kreisleriana, attac-
ca ferocemente pure l'opposizione esasperatamente nazionalistica
delle leghe studentesche, parodiando ìl loro rituale teutonomane e
guerresco in una Burschenschaft dì gatti, che praticano la Mensur e
nei petti dei quali «batte un fedele cuore tedesco». Patriota ma an-
tisciovinìsta, borghese liberale e geloso assertore della legalità sino
al punto di difendere per amor dì giustìzia l'aborrito Turnvater
Jahn, Hoffmann porta una lucida crìtica etico-politica alla deutsche
Misere, e in tal senso sì spiega in parte anche la caricatura del Son-
derling. Ma solo in parte, perché la caricatura include simpatia e
compartecipazione a quel segreto dolore e ne esalta gli errori sviati
ma anche la profondità sentimentale, come nella magnifica novella
Il consigliere Krespel, tragica storia d'una deviata passione artisti-
ca e dì imo struggente e sconfitto amore paterno in cui l'eccentricità
del Sonderling appare quale disperazione per l'assurdo dramma
della vita e quale autolesìonìstico senso di colpa: «Tutto ciò è suc-
cesso - dice il consigliere dopo la morte di Antonia - soltanto per-
ché qualche tempo fa mi feci fare una vestaglia in cui volevo appa-
rire come il destino o come Dìo!...»
L'ESILIO DEL BORGHESE XXXV

Con la balzacchiana figura di Krespel emerge» accanto a quello


dell'idillio tedesco, un altro mondo della narrativa hoffmanniana,
un altro spazio delle «buffonate della vita terrena»: quello dell'av-
ventura, del racconto realistico-awenturoso cui è in gran parte le-
gata l'eccezionale fortuna di Hoffmarm che fu, insieme a Heine, l'u-
nico scrittore tedesco fra Goethe e ì grandi della fin de siècle ad ave-
re una risonanza europea. Tradotto completamente in francese fin
dal 1833, in russo (tranne il M«rr)findal 1838, Hoffmann conob-
be una grande fama; dalla Francia alla Russia, da Baudelaire a Go-
gol' a Dostoevskij ai surrealisti francesi, un numero straordinario
— per qualità e quantità - di lettori si accostò alla sua narrativa, sal-
vandola da quell'isolamento provinciale, dovuto più a fattori socio-
culturali d'ordine generale che all'intrinseco valore estetico delle
opere, che nel secolo xix racchiuse il romanzo tedesco in un ambito
nazionale quando non regionale. E Hoffmarm continua, ancor oggi,
a venir letto da im vasto pubblico non specializzato, per il quale la
letteratura tedesca dell'Ottocento — a differenza di quella francese
russa inglese o americana - è una zona ignorata. Se è vero, per esem-
pio, che Berglinger, il musicista folle di Wackenroder, s'affianca i-
dealmente a Kreisler, è altresì vero che a Wackenroder ci si può av-
vicinare tramite l'intuizione dell'opera di genio ma non sul piano
del gusto; gli incubi di Hoffmann appartengono invece all'atmosfe-
ra romantica ottocentesca, di cui incarnano il gusto avventuroso e
•misterioso. Il mistero di Hoffmann non è, come in Wackenroder, il
mistero dell'Essere ma quello della psiche o, all'estremo opposto,
un caso poliziesco: del dottor Jekyll 0 magari di Sherlock
,Hokies. Se nei racconti di Tieck la vicenda par dileguare nell'eco di
ijuel corno silvestre tanto tedesco e così poco europeo, una Krimi-
algeschichte hoffmanniana quale La signorina di Scudéry (1819)
fj- per citare a caso una fra le niunerose opere di questo genere - si
lloca idealmente fra Balzac e Conan Doyle, in uno spazio comun-
ue europeo, che certo manca agli altri scrittori tedesdii del tempo,
|»cr esempio alle novelle surreali di Arnim.
Esponente del romanticismo ormai declinante, Hoffmann tra-
ne quest'ultimo nei termini di una koinè borghese ed europea,
gamente accessibile ad un pubblico internazionale, come tcstimo-
no anche racconti minori quali La marchesa de la Pivardière
4820), mediocre «giallo» che pur si riscatta nell'analisi psicologi-
ca d'una donna repressa e Haima-Haira (1819), delizioso «scher-
XXXVI CLAUDIO MAGRIS

20» e garbata caricatura di un topos favoloso quale il mito dei Mari


del Sud, che percorre la letteratura europea dalle utopie settecente-
sche alla narrativa del tardo Ottocento: in Haima-Haira s'incontra,
ante litteram, quel cliché narrativo ottocentesco che arriverà sino
ai personaggi di Jtiles Verne (lafiguradel «naturalista», l'eco ironi-
ca di avventure di mare). I l realismo di Hoffmaim è anche questo
realismo avventuroso, che lo scrittore traduce in i m linguaggio di
apertissima fruibilità. Numerosi racconti sono caratterizzati dalla
«tipicità» che contrassegna l'inizio della novella II voto (1817):
«Nel giorno di san Michele, mentre al convento dei carmelitani
suonavano il vespro, un'elegante carrozza da viaggio tirata da quat-
tro cavalli di posta attraversò rumoreggiando le viuzze di L..., pìc-
cola città sul confine polacco e andò a fermarsi davanti alla casa del
vecchio borgomastro tedesco». È un classico topos che ricorre in
tutto l'Ottocento, sino ai romanzi d'appendice, e che ha condizio-
nato sino a pochi anni fa anche i miti e le evasioni della fantasia
degli adolescenti; un cliché che sta morendo appena oggi, soppian-
tato da una nuova mitologìa, tecnologìcoavvenìrista e opposta ad
ogni ottimismo borghese. Un raffronto tra La marchesa di 0.
(1808) dì Kleìst e // voto di Hoffmann, novelle analoghe per il te-
ma e Tintreccìo, Ìndica subito, a parte la superiorità poetica del te-
sto kleìstiano, la dimensione europea del linguaggio hoffmannìano
presente pur nelle prove minori. Oppure si pensi al Maggiorasco, in
cui il romanzo gotico trapassa in quello d'avventura: ì pini selvag-
gi, la neve, la caccia, ì lupi, l'aspro scenario slavo-prussiano e il sof-
fio dell'Est che rappresentano il paese dell'anima dello scrittore.
Anche un semplice elenco di alcuni personaggi, raggruppabili In u-
na serie ben determinata, esemplifica questo gusto: il colonnello
G..., il giovane capitano di cavallerìa Maurizio diR...,il conte Ippo-
lito, Alberto di B... e Vittore di S... ufficiali nell'esercito prussiano,
ìl misterioso masnadiero, il vea:hÌo e scettico barone, il conte polac-
co Stanislao e altre consimili figure, cui fanno spesso da sfondo le
guerre napoleoniche, disegnate quale scenario avventuroso con una
magistrale pittura d'ambiente per lo più indifferente ai valori polì-
tici (per esempio nelle lettere sulla battaglia di Dresda).
Tali caratteristiche sono indirettamente docimientate non solo
dalla fortuna internazionale di Hoffmann ma anche dall'affinità che
lo lega a tanti coevi autori d'Europa, i quali cosi spesso lo imitaro-
no e ripresero suol spunti. Dal Doppeltgànger che rivìve nel sosia
di Pagarelski o nell'immortale eroe dostoevskìjano all'Incanto oni-
rico déì'Aurelie di Nerval, dal grottesco di Nodier ai motivi not-
turni che collegano lo scrittore tedesco a un Irving e a im Poe, dai
L ' E S I L I O D E L BORGHESE XXXVII

temi ripresi da Gogol' c Lermontov come da Dickens e Balzac al-


l'entusiasmo di Baudelaire, da tutta questa rete di rapporti si può
valutare i l significato europeo di Hoffmann. Già nel 1834 Herzen
avvertiva in un articolo sulla rivista «Teleskop» la sostanza reali-
stica dell'opera hoffmanniana ed è indicativo che egli ne riprendes-
se in qualche suo racconto alcuni tipici motivi, infondendo loro un
accentuato colore sociale: dal Dottor Krupow, psichiatra contesta-
tario per i l quale non esiste una netta linea di demarcazione fra la
salute e la follia alla Gazza ladra, dolorosa storia d'una appassiona-
ta anima d'artista schiantata dall'ingiustizia della società. L'intuito
rivoluzionario dì Herzen coglieva i l nodo centrale dell'arte hoff-
manniana nella sua polarità fra la nostalgia romantica e la capacità
di recuperare oggettivamente, sìa pure nella deformazione fantasti-
ca, una reahà storica.
Sono soprattutto alcuni temi comuni a più autori che indicano
come Hoffmann abbia attinto, magari inconsciamente, ad im gusto
internazionale. Gogol' cita ironicamente Io scrittore tedesco nella
sua Prospettiva Nevskij che in effetti ricorda, per certi scorci citta-
dini, Il sorteggio della sposa qualche elemento della Cajtf
disabitata (1817) richiama Lermontov; molte novelle di PuSkin ~
come La pistolettata e // fabbricante di bare ~ sono avvolte in un'at-
mosfera ho^manniana sia sotto i l profilo notturno-misterioso che
sotto quello epico; CardìUac, Torafo maniaco omicida della Signo-
rina di Scudéry, s'affianca a certe figure balzacchiane della Storia dei
tredici e la dorma di cuori dal volto dì Aurelìa che conduce Medar-
do alla vìncita e alla disperazione evoca l'angosciosa Dama di pic-
che di PuSkin. Proprio il motivo del gioco - trattato anche nel rac-
conto Fortuna al gioco e in altre novelle - fa toccare con mano come
Hoffmann sia uno dei più tipici interpreti di quel gusto ottocente-
sco che - nei caso specifico - passando pel Giocatore dì Dostoev-
skij arriva magari sino al gentiluomo sudista di un film quale Om-
bre rosse di John Ford. I n questa rete dì relazioni e di rapporti i l di-
scorso relativo al «gusto*, che riguarda - per la loro esemplarità —
anzitutto le opere minori, s'identifica col discorso in merito all'au-
tentica grandezza dello scrittore. Più che testimonianza e documen-
to, l'opera hoffmaimiana sì rivela creatrice e anticipatrice dì valori
di «gusto» e l i porta ad una nuova originalità poetica. Nella sapien-
te ripresa del cliché si scopre improvvisamente la novità sostanziale
dell'invenzione e l'artiglio del genio solitario e precursore. La regi-
strazione della «fortuna» di HoflEmann sì capovolge quindi nella
;denuncia di un'ingiustizia che, proprio nel fervore dei facUi entu-
siasmi, ha colpito la realtà più vera dell'arte hoffmanniana. Appun-
xxxvrii CLAUDIO MAGRIS

to per la sua polivalente ricchezza di piani la narrativa diHoffmann,


non solo conturbante nel suo nucleo più Ìntimo ma anche godìbile
nella sua colorita superficie, ha potuto venir apprezzata pure nella
sua misura meno impegnata e con le sue stesse seduzioni ha distolto
i lettori dal rivolgere l'attenzione più in profondo. Scheda ideale dì
lettura per la comprensione di quella koinè del gusto, l'opera dì
Hoffmann ha corso il rìschio di venir ridotta a una dimensione uni-
laterale dalla sua stessa disponibili tà.

8.

Avventura e triste idillio del borghese - angelo caduto dovreb-


bero tuttavia essere gesti e movenze di un balletto che s'invera in
un archetipo trascendentale e costituire il canovaccio simbolico di
im teatro del mondo. I l teatro s'ìdentifica con la fonte di Urdar ove
«la gente può vedere rispecchiato e riconoscere 11 proprio Io», la
scena in cui recitano Giglio e Giacinta sotto le maschere di Truffal-
dino e di Smeraldina coincìde con la mitica Atlantide della felicità.
Hoffmann glorifica la «commedia delle maschere» e in particolare
il teatro di Gozzi perché ìn quella malinconica leggerezza di meta-
morfosi e incantesimi s'illude di trovare, sulfilodella contradditto-
ria consonanza fra barocco e romanticismo, il superamento della
tragedia. Se, come diceva Schelling, tragiche sono soltanto le cose
finite e i singoli individui, fugaci e mortali, il magico trascolorare
delle forme sembra rivelare la coincidenza di molteplicità indivi-
duale e incorruttibile unità corale, l'universale e redentrice Identi-
tà delle forme finite; sembra cioè escludere la tragedia. NeUa Prin-
cipessa Brambilla si afferma infatti che il vero teatro è quello delle
maschere e della commedia e che la tragedia, legìttima e insostitui-
bile nell'età antica, non ha più senso alcuno in quella moderna. I l
mondo cristiano-romantico avrebbe dunque risolto ìl dramma del-
l'individualità, fonte del tragico; almeno cosi sembra sostenere
Hoffmann, con ima presa di posizione degna dello scrittore che du-
rante tutta la sua vita si cimenta, sotto tutti gli aspetti (tecnico, esi-
stenziale e simbolico), col problema teatrale, dalle opere musicali al
Signor Formica (1819) alle Curiose pene di un capocomico ( 1819 )
e cosi vìa, sino alle recensioni e alla stessa attività dì regista esceno-
grafo a Bamberg ( 1808-13 )- D'altra parte Hoffmann sembra procla-
mare, centocinquant'anni prima dì Durrenmatt, che Ìl carattere
«sentimentale» (nel senso schilleriano) della civiltà moderna non
permette più il pathos e la sublimità della tragedia. In uno stadio di
L ' E S I L I O D E L BORGHESE XXXIX

dviltà alessandrino-melodrammatica estranea al tragico afflato esi-


stenziale dell'antichità, in un'epoca ignara di ogni conchiusa gerar-
chia di valori, Hoffmann teorizza la trasformazione comico-parodi-
stica del tragico, esprimibile ormai soltanto attraverso la commedia
e lo «scherzo». Morte della tragedia dunque in senso sia positivo
che negativo, come decadenza o come superamento; in alcuni casi,
ad esempio nella Principessa Brambilla, come ebbrezza dionisiaca e
riso zarathustriano: il riso vitale di Ofioch e Liris, ebbrezza coscien-
te del bene e del male eppur esultante, per parafrasare le parole di
'Vittorio Mathieu a proposito di Nietzsche, «in essi e di essi». Esal-
tazione che accetta i l dolore e ne fa una fonte di felicità, che fìssa
:un limpido sguardo sulla vita e intona un ]a-und Amen-lied per ab-
Ibandonarsì all'entusiasmo della danza, della zarathustriana danza
U Giglio con la bella sconosciuta.
E tuttavia sembra che, d'improvviso, qualche personaggio pre-
scipiti fuori dalle quinte di questo rassicurante teatro del mondo,
^piombando nel più tragico squallore come i l nano Zaccheo con la
„«ua morte assurda e ripugnante. Gintemporaneamente alla soluzio-
IW positiva della Principessa Brambilla Hoffmaim scrive col Gatto
i^urr una delle più straziate tragedie moderne, i l disperato ritratto
jdi una solitudine umana cui non si profilano Madri, né alcuna cora-
tlità e salvezza. Riemerge, dunque, la tragedia, che si riflette anche
oel raffinato calcolo parodistico della citazione letteraria, giocata
su u n contrappunto ironico che svuota dall'interno una cultura tra-
dizionale giunta all'esaurimento. L a narrativa hoffmannìana è sot-
tesa da un continuo gioco, esplicito o nascosto, di citazioni o para-
iiÉtasi di innumerevoli autori: Shakespeare, Goethe, Schiller, Les-
jBÌfìg, Jean Paul, Tieck, libretti mozartiani, Knigge, Rousseau, Kant.
'Qtazioni « a doppio taglio », come ha osservato il Meyer, che ironiz-
lo sia i l passo originario sia la sua trasposizione in tutt'altro con-
:to, con un effetto estraniante che risalta soprattutto nella paro-
I delle liriche goethiane. I grandi ideali classico-romantici appaio-
a Hoffmann un retaggio del passato, imponente ma inattuale;
elle grandi parole si spezzano, perdono la loro carica vitale, si ri-
>no ad un calligrafico svolazzo, così come l'amore romantico
la natura viene ironizzato in forma di passione languorosa per
re-carota, signore di un regno della natura in cui l'ineffabile mi-
I novalisiano o tieckiano si capovolge nella prosaica realtà di un
io (La sposa del re, 1 8 1 9 - 2 1 ) mentre le celebri amicizie sentitnen-
Tieck-Wackenroder e Tieck-Novalis vengono dileggiate in ua
mico episodio del Murr. Hoffmaim si sente i l malinconico erede
-una grande età tramontata e sottolinea nell'ironia intellettualisti-
XL CLAUDIO MAGRIS

ca delle sue citazioni la frana spirituale di quegli anni, anticipando


la crisi di tanta letteratura posteriore e la dissoluzione stilistica che
contrassegna - si pensi a lliomas Mann - la consapevolezza dell'e-
pigono. Valga per tutti l'esempio del Gatto Murr, che oltretutto è
anche una caricatura del Màster goethiano, in cui nel contrappun-
to fra gh appassionati slanci di Kreisler e la saviezza disincantata
del gatto si attua, per usare le parole del Meyer, un*« agghiacciante
banalizzazione della parola poetica».
Nel grande monologo shakespeariano di Kreisler presso la bara
del giovane che egli ha ucciso per legittima difesa, la tragica «elo-
quenza» di Shakespeare viene ripresa in funzione non già parodi-
stica bensì altamente drammatica. In questo caso ìl linguaggio sha-
kespeariano è la spia che, penetrando oltre la superficie melodram-
matica del romanzo, ne illumina simbolicamente le profondità più
nascoste ed avvolte nel buio: l'ossessione della follia dì Kreisler, la
dilacerazione di Edvige, le tenebre di un cupo dolore esistenziale,
di i m mistero senza risposta e di una vita senza ragione. In tal sen-
so Hoffmann ha ritratto ìn Kreisler (votato, nel terzo e mai scritto
bensi solo progettato voliune dell'opera, alla pazzia), un moderno
Amleto, un disgregato intellettuale dell'età borghese. Altre volte,
su un piano ancor pìii sottile, la «letteratura» smaschera il reale, la
realtà interiore dell'uomo: spesso smaschera una distorta libido
poetica o una deformazione psicologica. Può essere il dramma di
Nataniele che intenzionalmente risuscita i suoi già svaniti incubi
che lo trarrarmo a rovina perché la sua «fantasia creatrice» ne ha
bisogno; oppure la reminiscenza shakespeariana della foresta avan-
zante che contribuisce anch'essa, affiorando inconsciamente, a di-
struggere l'equilibrio di per sé labile di un'anima esaltata pure dal-
la droga dell'arte, la cui «demonìcità» sì spoglia d'ogni convenzio-
nalità romantica per atteggiarsi ìn termini che sembrano anticipare,
secondo una proposta dì Furio Jesi, quelli mannìani. Sì pensi all'ar-
te come malattìa distruttrice e affascinante contro la quale combat-
tono invano, ìn tutta la loro grottesca grandezza, la coscienza mora-
le di Kreisler e l'amor paterno del consigliere Krespel.
Su tutti i piani operativi possibili Hoffmann perviene dunque
ad una scomposizione dell'oggetto, affermando in tal modo concre-
tamente la sua natura di scrittore d'avanguardia, di scrittore ogget-
tivo che cerca con (^ni mezzo di istituire un rapporto razionale con
ciò che lo circonda. In una delle sue novelle estreme, La finestra
del cugino (1822), la realtà, la realtà della città e della folla, si al-
lontana sempre di più e sempre più ascetica diviene la rinimcia ad
ogni arbitraria forzatura soggettiva e sintetica, sempre più intenso
L ' E S I L I O D E L BORGHESE XH

si fa lo sforzo di riprodurre l'oggetto, frammentario aperto e incon-


cluso. Con un anticipo di quasi un secolo stilla Lettera di Lord
Chandos di Hofmannsthal e sul Colloquio con l'ubriaco di Kafka,
questo itinerario conduce Hoffmann al naufragio della parola e al
silenzio: «Ma il malo demone dell'infermità gli aveva precluso la
via che il pensiero deve necessariamente seguire per prender forma
sulla carta: non appena voleva scrivere qualcosa, non soltanto le di-
ta si rifiutavano dì obbedirgli ma anche i l pensiero gli si inceppava
e svaniva. Ciò lo gettò nella piò cupa malinconia. - Cugino, - mi
disse un giorno, e in un tono che mi spaventò. - Cugino, è finita per
me! M i sembra d'essere come quel vecchio pittore distrutto dalla
. pazzia che sedeva per giornate intiere davanti a una tela ben tesa,
mesticata, bianca e decantava a tutti coloro che venivano a trovarlo
. le bellezze di quel suo meraviglioso quadro appena ultimato». Pur
; vicino, da una parte, alle radici del mitico e del favoloso, al conso-
> lante inesauribile patrimonio collettivo del «narratore» nel senso
I' dato a questo termine da Walter Benjamin, Hoffmann s'affaccia
: d'altro canto su un vuoto desolato e i l suo umore sanguigno si con-
\ verte in quello che Ìl Muscetta ha chiamato «un riso esistenziale e
, vertiginoso». Hoffmann approda dunque, secondo l'osservazione
\di Lothar Kbhn, alla solitudine del romanziere, all'espatriazione
trascendentale di cui parlaLukàcs ncUaTeoria del romanzo : all'cpo-
f pea di un «mondo abbandonato da Dio» in cui un'oggettività sem-
l' pre più elusiva s'allontana progressivamente dal soggetto. D e l re-
I; taggio epico e della tradizione popolare, alle cui linfe si nutre tutta
; la sua narrativa per poi staccarsene quasi orfana e privata del cor-
done ombelicale, rimane a Hoffmann soltanto un'estrema familia-
rità con la coralità della morte. I l «materno verde» ritrovato nella
'(Guarigione, che il protagonista invoca affinché lo accolga « nelle sue
èraccia», è anche U verde della terra in cui lo scrittore, come nota
Gabrielle Wittkop-Ménardeau, si accinge, scrivendo la frammenta-
Iria parabola, a ritornare.
f• CLAUDIO MAGSIS
NOTA A L L ' I N T R O D U Z I O N E

Per la bibliografia ci si permette d i rimandate ai nostri studi Per una let-


tura di E. T. A. Hoffmann (in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino,
voi. l o o , 1965-66, pp. 1-59) e E. T. A. Hoffmann e la «schone cbronologische
Ordnung» ( i n «Sigma», n . 15, settembre 1967, pp. 60-82}, editi ora nel volu-
me Tre studi su Hoffmann, JMilano-Varese 1969, ed ampiamente ripresi e uti-
lizzati nella presente introduzione; comunque si rimanda i n generate alla fon-
damentale bibliografia d i J. Voerster, 160 Jahre E. T. A. Hoffmann-Forschung
1805-1565. Bine Bibliographie, Stuttgart 1967.
Per gli studi critici citati nell'introduzione si vedano rispettivamente,
nell'ordine, H . M A Y E R , Die Wirklichkeit E. T. A. Hoffmanns, i n Von Lessing
bis Thomas Mann, Pfullingen 1959, p^. 198-246, spec. p. 211 ; s. P E R O S A . Le
vie della narrativa americana, Milano 1965, pp. i i j sgg.; w . K O H L S C H M I D T ,
Nihilismus der Romantik, i n Form und Innerlichkeit, B e m 1955, p. 169;
L . MiTTNER, Storia della letteratura tedesca dal Pietismo d Romanticismo
(ijoo-i82o), Torino 1964, p. 756; v . V E K R A , F . H . Jacobi. Dall'Illuminismo
all'Idealismo, T o r i n o 1965, pp. 256-59; L . K Ó H N , Vieldeutige Well. Studien
zur Struktur der Erzdhlungen E. T. A. Hoffmanns und zur Entwicklung sei-
nes Werkes, Tubìngen 1966, pp. 5. 107, 244; s. F R E U D , Das Unheimliche,
i n Gesammelte Werke, voi. X I I , London 1955, pp. 227-69; v. S K L O V S K I J ,
L'arte come procedimento, i n J formalisti russi, a cura d i T . Todorov e con
prefazione d i R. Jakobson, Torino 1968, p. 83; s. P E R O S A . L'impassibile ri-
costruzione di Ford Madox Ford, i n « I I V e r r i » , n . 13, M i l a n o 1964, p. 88;
j . W A R R E N B E A C H , Tecnica del romanzo novecentesco, trad. i t . d i A . Gimerino
e C. Izzo, M i l a n o 1948, p. 338; G . B A I O N I . Il problema della Rivoluzione e
della Restaurazione nell'opera di Goethe, Venezia 1963, p. 36; c. L U G O W S K I .
Die Form der ìndividualitàt im Roman. Studie zur inneren Struktur der frii-
hen deutschen Prosaerzahlung, Berlin 1932, pp. 56 sgg.; F . M A R T I N I , Das
Problem des Realismus im i j j . Jahrhundert und die Dichtung Wilhelm Raa-
bes, i n «Dichtung u n d Volkstum», 36, 1935, p. 276; G . M E L C H I O R I , )oyce e
la tradizione del romanzo, in I funamboli. Il manierismo nella letteratura in-
glese contemporanea, Torino 1963, pp. 49-68; R . B R I N K M A N N , Wirklicbkeit
und lllusion. Studien iiber Gehalt und Grenzen des Begriffes Realismus fur
die erzàhlende Dichtung des neunzehnten Jahrhunderts, Tùbingen 1966
(1957); w . HARiCH, E. T. A. Hoffmann. Das Leben eines Kiinstlers, 2 B.de,
Berlin 1920, Ed. I I , p. 323; H . O H L , Der reisende Ettthustast. Studien zurHal-
tung des Erzàhlers in den «Fantasiestiicken» E. T. A. Hoffmanns, Diss. Frank-
furt am M a i n 1955, p. 89; R. A S S U N T O . Estetica dell'Identità. Lettura della
filosofia dell'arte di Schelling, U r b i n o 1962, pp. 176, 22, 142, 149, 62, 97,
XLIV NOTA ALL'INTRODUZIONE

l o o ; M . BACHTiN, Dostoevskij, trad. i t . d i G . Garritano, T o r i n o 1968, p . 162;


A. GLOOR, E. T. A. Hoffmann. Der Dichter der entwarzelten Glistigkeit, Z i i -
rich 1947, p. 89; c. B A U D E L A I R E , ConscUs aux jeunes littérateurs, in CEuvres
complètes, a cura d i Y . G . Le Dantec e C. Pichois, Bruges 1961:, p. 483; Fa-
radis artificiels. i n op. cit., p. 324; De l'essence dti rire, i n op. cit., pp. 992,
980; A . S C H O P E N H A U E R , Aphorismen zur Lebensweisheil, i n Parerga und
Paralipomena, 1851, trad. d i E. Pocar, Aforismi sulla saggezza del vivere,
Milano 1968, p. 245; C. Cases, Introduzione a j . w . G O E T H E , Faust, trad. i t . d i
B. Allason, T o r i n o 1965, pp. X L - X L I ; C . A N T O N I . La lotta contro la ragione,
Firenze 1942, pp. 5y6y, Per l'interpretazione della filosofìa politica tedesca,
i n Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli 1946, p. 68; G . B E V I L A C Q U A . Let-
teratura e società nel secondo Reich, Padova 1965, p . 119; c. N O D I E R , Del
fantastico in letteratura, i n Racconti fantastici, Milano 1890, p . 2 1 ; v . M A -
T H I E U , Storia della filosofia, 3 voli., voi. H I , Brescia 1967, p. 159; H . M E Y E R ,
E. T. A. Hoffmann. Lebensansichten des Kalers Murr, i n Das Zitat als Erzdbl-
kunst, Shittgart 1961, pp. 118, 130; F . J E S I , Novalis e Hoffmann dinanzi al
patto di Faust, i n Letteratura e mito, T o r i n o 1968, pp. 61-76; w . BENjAMm,
Il narratore. Considerazioni sull'opera di Nicola Lescov, i n Àngelus Novus,
trad. i t . e introd. d i R. Solmi, Torino 1962, pp. 235-60; c. M U S C E T T A . Cultu-
ra e poesia di G. G. Belli, Milano 1961, p . 263; G . L U K A C S , Die Theorie des
Romans. Ein geschichtsphilosophischer Versuch iiber die Formen der gros-
sen Epik, Berlin 1920, p. 84; G . W I I T K O P - M É N A R D E A U , E. T. A. Hoffmann in
Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, iibertr. v. J . F. W i t i k o p , Hamburg
1966, p . 1 5 5 .
Per le citazioni d i altri autori cfr. inoltre F . H . j A C O S i s , Werke, Leipzig
1812-25, B d . I I , pp. 19 e 108, B d . I l i , pp. 36 e 44; R . M U S I L . Prosa, Dramen,
Spate Briefe, hrsg. v. A . Frisé, Hamburg 1957, p. 392; F . w. S C H E L L I N G S ,
Werke, hrsg. v. M . Schroter, Miinchen u n d Leipzig 1927 sgg. e più precisa-
mente Besonderer Theil der Philosophie der Kunst, 2, b , e Allgemeiner Theìl
der Philosophie der Kunst, Hauptband I I I e Ergànzungsband I I I , p . 427;
Philosophische Briefe iiber Dogmatismus und Kriiicismus, B d . I , p. 208
(trad. i t . d i G . Semerari, Firenze 1958, pp. 5-6); System des transzendentalen
Idealismus, i n op. cit., B d . I I , p. 629.
Le citazioni schellinghlane sono perlopiù desunte da R. Assunto, opere e
pagine citate.
c. M ,
NOTA B I O B I B U O G R A F I C A

Ernst Theodor Wilhelm HoHmann (il cui terzo nome, Wilhelm, fu mutato
i n Amadeus in segno d i omaggio a Mozart) nacque a Kònìgsberg i l 24 gennaio
1776 da Christoph Hoffmarm, severo giurista non privo d i inclinazioni artisti-
che, e da Luise Albertine Dorffer, donna dal temperamento ipersensibile e sog-
getta a vere e proprie crisi nevrotiche. Dopo la separazione dei genitori, avve-
nuta nel 1780, H o f f m a i m fu affidato alla famìglia materna ove passò la sua in-
fanzia, segnata da esperienze indelebili che non si cancellarono più dalla sua
mente e che emergono in molte delle sue opere. Fra queste, decisivo fu l'affet-
t o per la dolce zia Fiisschen, morta assai giovane e trasfigurata nel ricordo d i
Hoffmann come ìl simbolo della femminilità, come i l simbolo d i una sublimata
esperienza amorosa della fanciullezza i n cui lo scrittore vide la prima identifì-
cazione d i femminilità, Eros, musica e poesia. Accanto al prozio Vòthory, mo-
I; dello dell'indimenticabile Justitiarius del racconto Das Hajorat [ I l maggìora-
sco], lo zio O t t o Wilhelm Dorffer, rievocato più tardi, costituì i l primo incon-

É tro con quella c a t ^ o r i a dì personaggi bizzarri ed eccentrici che affollano la nar-


>^ rativa hoffmanniana e che Hoffmarm frequentò sempre con u n profondo i n -
\e psicologico, specie durante gli studi universitari a Kònigsberg (sino al
(',1796) ove, oltre a studiare legge e a disinteressarsi dell'insegnamento kantiano,
('coltivò una fervida amicizia per Theodor Hìppel, cui scrìsse interessantissime
' fcttere ricche d i confessioni autobic^rafiche, e visse la sua prima autentica pas-
^sionc amorosa, quella per Cora H a t t , che ispirò numerosi racconti. Apparten-
;;gbno a quegli anni, i n cui s'andava già delineando in Hoffmann la tendenza al-
' rinstabilità nervosa e all'eccitabilità, le entusiastiche letture del Werther, d i
Rousseau, Sterne, Jean Paul e d i opere care al gusto «notturno » come Der Ge-
nius d i Grosse.
Promosso nel 1796 referendario a Glogau, v i conobbe i l mefistofelico e
^ s t e r ì o s o pittore Molinarì, che egli ritrasse più tardi i n alcune delle sue figure
jSfitaniche dal tenebroso fascino meridionale. Nel 1798 visitò la Galleria d i Dre-
f w a ove s'entusiasmò, secondo un'esperienza obbligala per molti autori roman-
: per la pittura rinascimentale italiana. Dopo un'attività presso i l tribunale
'/iwunerale d i Berlino (1798-1800) e u n fidanzamento presto sciolto con M i n n a
;j;Dorffer, divenne assessore a Posen e v i rimase dal 1800 al 1802, dividendosi,
f.:In un'ardente febbre d i vivere, tra i l lavoro, la vita di società, gli amori, le ami-
ivdzie, la passione per l'arte e soprattutto per la musica, e le burle grottesdie co-
l i m e quella che gli costò i l trasferimento nella cittadina polacca d i Plock, dove
'' trascorse due anni solitari e difficili (1802-1804). Sposatosi nel 1802 con la po-
lacca e cattolica Michalina Rorer-Trzynska («Mischa»), fu trasferito nel 1804
if a Varsavia e v i rimase sino al 1807, risentendo un profondo influsso d i quel
XLVI NOTA BIOBIBUOGRAFICA

crogiolo d i civiltà slavo-tedesca. Ancor incerto sulle proprie altitudini e inde-


ciso fra pittura, letteratura e musica, Hoffmann tendeva sin da allora a quel
processo d i trasfigurazione continua della vita nell'arte e a quella compensazio-
ne e sublimazione estetica che contrassegnarono pìiì tardi la sua opera.
Perduto l'impiego dopo la sconfitta delta Prussia ad opera d i Napoleone e
la conseguente perdita dei territori polacchi, Hoffmann si recò a Berlino dal
1807 al 1808, ove la conoscenza d i Fichte, Schleiermacher e Chamisso gli fece
conoscere Ìl movimento romantico. Dal 1808 al 1813 fu a Bamberg facendo i l
recensore musicale, i l regista e lo scenografo, rappresentando per la prima volta
la Kdtchen voti Heilbronn di Kleist e inscenando anche alcune opere di Calde-
rón; a Bamberg it fascino del cattolicesimo barocco s'intrecciò all'amore per Ju-
lia Marc, modello d i quasi tutte te sue protagoniste femminili e identificata,
con u n processo tipicamente romantico e psicolc^camente assai interessante,
con l'amore per la musica vista ora come soavità celeste ora come potenza pa-
tologica e distruttrice. Nel 1809 uscf la sua prima novella Kitter Gluck [ I l ca-
valiere Glucic], intreccio di minuziosa realtà e fantasia surreale, prima raffigu-
razione del demone della musica e dell'inquietante «sdoppiamento» della psi-
che e del reale. Fortemente influenzato, durante u n viaggio a Norimberga nel
1812, dall'altro polo del gusto romantico (quello gotico, borghese e protestan-
te) Hoffmann visse da vicino (a Dresda e a Lipsia, nel 1813.14) le ultime cam-
pagne napoleoniche e riprese nel 1814 la sua professione dì giurista a Berlino
esercitandola sino alla morte, nonostante la vita dispersiva e la salute sempre
più minacciata, e mantenendo un'esemplare dignità e coerenza nell'oppressivo
clima della Restaurazione, che egli non mancò d i satireggiare al pari del filistei-
smo borghese e dello sciovinismo esasperato delle leghe studentesche.
Nel 1814-15 usci la prima raccolta d i novelle, i Phantasiestucke in Callots
Manier [Pezzi d i fantasia alla maniera d i Caltot] che rivelano già nel titolo i l gu-
sto del grottesco e della caricatura cari al grande dis^natore francese. I n que-
sta raccolta appare la tormentata figura del musicista Kreisler straziato intima-
mente dalla sua stessa passione musicale e sprezzato dal mondo borghese, un
autoritratto d i Hoffmarm che ritornerà i n tante opere. Mentre alcuni racconti
rivelano già un attento studio d i traumi psichici, allucinazioni e superstizioni
popolari, segnando cosf una delle direzioni del «realismo» hoffmanniano, e
mentre altri sfumano nel surrealismo della fiaba, la novella Dergoldne 7 o p / [ I I
vaso d'oro] indica i l superamento del dissidio interiore del dilacerato eroe ro-
mantico in una sintesi d i fiaba e realtà, i n una magica pacificazione dei contra-
sti che deriva soprattutto dalla mistica filosofia della natura d i Schelling, con-
ciliatrice di l u t t i gii opposti. Autore d i opere teatrali, musicali e critiche (per
esempio Prinzessin Blandina, 1815; l'opera Undine, 1S16; Seltsame Leitlen eines
Theaterdirekton [Le curiose pene d i u n capocomico], 1819), Hoffmann si av-
vicinò, tramite l'amicizia con alcuni medici, alla nuova scienza romantica, allo
studio per i fenomeni occulti, ipnotici, telepatici che affiorano nel grande lo-
raatnzo Die Elixiere des Teufeb [ G l i elisir del diavolo], 1815-16, magistrale «av-
ventura» d'una schizofreiùa i n cui si riassume la crisi d i tutta una civiltà, e nei
Nachtstucke (Racconti n o t t u r n i ] , 1817. I n questi ultimi l'analisi psicologi-
ca, che giunge a risultati d i sorprendente modernità come nel Sandmann [L'Or-
co Insabbia], si allaccia alle indagini della simbologia onirica e della vita
dell'inconscio svolte i n quegli anni daUo scienziato-teosofo G o t t h i l f Hein-
rich Schubert.
NOTA BIOBIBUOGRAFICA XLVn

Dalle serate berlinesi trascorse con Chamisso, Contessa, Fouqué e nume-


rosi medici e scienziati nacquero Ì racconti usciti a partire dal 1819 nella serie
Die SerapiombrUder, nello spirito del santo - e folle - Serapione che abolisce
c^ni distinzione fra realtà e sogno, natura e fantasia, i n un surrealismo ante lit-
teram: novelle che spaziano nei più diversi generi narrativi, dal racconto av-
venturoso o addirittura poliziesco allo studio patologico, dalla satira antibor-
ghese all'ironia contro i m i t i romantici, dalla fiaba surreale al capriccio musi-
cale. La statura europea dell'arte hoffmarmiana - Hoffmarm fu infatti ammi-
rato e imitato i n tutta Europa, da Baudelaire a Gogol', da Balzac a Herzen, da
Dostoevskij a Puskin, e le sue opere furono tradotte i n francese f i n dal 1833 e
i n russo, tranne ìl Murr, f i n dal 1838 - consiste infatti nella sua poliedrica
ampiezza spirituale: Hoffmann è stato al contempo l'anticipatore àcì realismo
borghese e del surrealismo, i l narratore scapigliato d i avventure ottocentesche
e l'analizzatore dell'inconscio, l'umorista trascendentale e Ìl sognatore delle fia-
be, l'antesignano dell'ai^oscia moderna e della dissociazione pirandelliana del-
la personalità, l'esponente dello slancio romantico e l'ironico superatore dei l i -
m i t i ideologici dei Romanticismo. N e i suoi racconti s'incontra la pittura del
mondo provinciale tedesco ancora sacro-romano-imperiale e la più alta dimen-
sione delle réverie romantica, l'ossessione freudiana del sosia e una vaga intui-
zione del mondo dell'Es, un gusto attualissimo della citazione letteraria e u n
interesse scientifico per i problemi psichici, i l più agile e brioso p ^ l i o dell'av-
ventura e la reviviscenza del romanzo gotico, lo sguardo nei più cupi abissi del-
l'inconscio e la pura liberazione nella fiaba, i l divertimento più spassoso e u n
procedimento strutturale per simboli d i straordinaria attualità. D e l 1819 è
Klein Zaches genannl Ztnnober [ I l pìccolo Zaccheo detto Cinabro], gustosa e
amara satira antilluministìca e antiassolutista, del 1820-21 la Prinzessin Bram-
billa, aereo balletto metafisico i n cui ogni dissidio fra I o e sosia, realtà e fanta-
sìa, molteplicità e unità sì compone ìn u n arabesco musicale dì derivazione
schellinghiana, Nelle Lebensansichten des Katers Murr nebst fiagmentarischer Bio-
]. ffophie des Kapellmeisters Johannes Kreisler in zufdlligen Makukturbldttem [Punti
; dì vista e considerazioni del gatto M u r r sulla vita nei suoi vari aspetti e biogra-
fìa frammentaria del maestro d i cappella Joharmes Kreisler su fogli d i minuta
casualmente inseriti], 1820-22, Hoffmann intreccia, con u n ardito e precorrì-
j tore sperimentalismo, tragicità e ironia, la straziata storia di u n Amleto roman-
\ e borghese dilacerato dall'arte e dalla nevrosi e la sua parodìa grottesca ed
I' estraniante incarnata nel personaggio d i u n gatto filisteo. Autore del Meister
' Floh [Maestro Pulce], 1822, deliziosa satira antìassolutistica e ai contempo al-
legoria della grazia poetica, H o f f m a n n compose numerosi racconti dì vario
, genere, da quello borghese-realistico a quello notturno a quello avventuroso
' 0 allegorico, continuando a lavorare freneticamente sino alla morte, awenu-
;' ta per tabe dorsale ìl 25 giugno 1822. D'incerta attribuzione è i l romanzo l i -
j bertino Schwester Monika erfàhrt und erzahlt [Esperienze e confessioni dì suor
! Monica], 1815.

Fra le varie edizioni complete delle opere si ricordano la prima, Gesatnmel-


teSchriften, 12 B.de, hrsg. v. G. Reimer, Berlin 1844-45 f"^" illustrazioni d i
; Theodor Hosemann); i Sàmtliche Werke in Bànden, hrsg. v . E. Grìsebach,
Leipzig 1900; ì Sàmtliche Werke, Historisch-kriiische Ausgabe m i t E i n l . A n m .

I
xLvm NOTA BIOBIBUOGRAFICA

und Lesartcn von C. G. v. Maassen, Bd. 1-4, 6-10, Mùnchen-Leipzig 1908-28;


i Werke in ly Teilen, hrsg. v . G . EUinger, 5 B.de {7 B.de), Berlin-Leipzig-
Wicn-Stuttgart 1912 (1927); i Sàmtliche Werke, 14 B.de, hrsg. v- L . H i r -
schberg, Berlin-Leipzig 1922; i Dicòtungen und Schriften sowie Briefe und Ta-
gebùcher, 15 B.de, hrsg- v. W . H a r i c h , Weimar i<^24;i Sàmtliche Werke. Ta-
gebiicher. Briefe, 11 B.de, hrsg. v . R. Frank, Munchen-Leipzig 1^24; i Sàmtli-
che Werke iny Bànden, hrsg, v . W . Miiller-Seidel, F. Schnapp, W . K r o n und
W . Segebrecht, Miinchen i<)6o-65; i Sàmtlichepoetischen We/iie, 3 B.de, hrsg.
V . H . Geiger, Berlin-Darmstadt 1963; i Gesammelte Werke, B d . 1-4 ff., hrsg.
V . N . E m é , Hamburg 1964-65 sgg.; le due scelte Poetische Werke, 6 B.de, Ber-
l i n 1958 e Werke in fiinf Bànden, 5 B.de, hrsg. v . G. Spierkòtter, Ziirich 1965;
Gesammelte Werke in Einzelausgaben, Textrev. u n d A n m . v o n Hans-Joachim
Kruse, Aufbau Verlag, Weimar 1976 sgg.; Sàmtliche Werke in 6 Bànden, hrsg.
von W u l f Segebrecht und H a r t m u t Steinecke. D t . Klassiker Verlag, Frank-
furt/Main 1985 sgg.

Per quel che concerne la bibliografia si rimanda, oltre agli studi menzionati
nella nota all'introduzione, a G . W T T T K O P - M É N A R D E A U , E. T. A. Hoffmann in
Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, iibertr. v. J . F. W i t t k o p , Hamburg 1966;
j . V O E R S T E R , 160JahreE. T. A. Ho^nam-Forscbung. i8oy-i^y. EineBiblio-
graphie, Stuttgart 1967; G . R . K A I S O R , E. T. A. Hoffmann, Metzler, Stuttgart
1988; K . K A N Z O G , E. T. A. Hoffmann-Literatur 'óó-'ó^. Bine Bibliographie, i n
«Mitteilungen der E. T . A . Hoffmann-Gesellschaft», 16 (1970), 28/40; K .
K A N Z O G , IO Jahre E. T. A. Hoffmann-Forschung. E. T. A. Hoffmann-Literatur
'jo-'8o • Etne Bibliographie, i n «Mitteilungen der E. T . A . Hoffmann-
Gesellschaft», 27 (1981), 35/103.
Si vedano inoltre le annatedelle «Mitteilungen der E. T . A . Hoffmann-
Gesellschaft», hrsg., V . W u l f Segebrecht et al., Bamberg.
La presente versione è stata condona sul testo dell'edizione E . T . A . H O F F -
M A N N , Poetische Werke, 12 B.de, hrsg. v . K. Kanzog, Berlin 1957-62.
C. M.
Racconti notturni
PARTE PRIMA
I

L'ORCO INSABBIA

Natamele a Lotario

Certamente sarete tutti sottosopra perché sono stato tanto, tan-


to tempo sen2a scrivervi. La mamma sarà certamente in collera, e
Qara crederà che Ìo qua mi dia alla bella vita e abbia dimenticato
la mia dolce immagine angelica che mi è cosi profondamente im-
pressa nel cuore e nell'animo. - Ma invece non è così; tutti i giorni,
tutte le ore penso a voi, e nei sogni più dolci la cara figura della mia
adorata Garetta mi passa davanti e mi sorride con gli occhi lumino-
si, con tanta grazia come era solita fare quando entravo in casa
vostra.
Ah, come v i avrei potuto scrivere nelle condizioni di spirito tur-
bate e sconvolte in cui mi trovo, e che mi agitano le idee! - Nella
't, mia vita è successo qualcosa di terribile. Oscuri presentimenti di un
"v.a'^roce destino che mi minaccia stendono su di me im'ombra di nu-
i ,vole nere, impenetrabile ad ogni amico raggio di sole. - Devo dirti
qual è i i male che mi ha colpito? Bisogna che lo faccia, Io compren-
da); ma quando vi ripenso, mi strappa le risa più pazze. - Ah, Lota-
rio del mio cuore, come fare perché anche tu possa ahneno i n parte
iscntire che quello che mi è avvenuto pochi giorni fa era veramente
(in grado di turbare in modo così ostile la mia vita? Se tu fossi qua,
^'potresti renderti conto di tutto coi tuoi occhi; ma invece cosi so co-
lisa penserai di me: che io sono un visionario senza giudizio. - I n -
i^^nuna, per farla breve, la cosa terribile che mi è successa e di cui mi
tiforzo invano di vincere la mortale impressione: alcuni giorni fa, e
|i|HrecÌsamente i l 30 ottobre, a mezzogiorno, un venditore di baro-
l^lhetri è entrato nella mia stanza e mi ha offerto la sua merce. Non ho
feomperato niente e l'ho minacciato di buttarlo giù per le scale, do-
fpo di che se n'è andato coi suoi piedi.
'('ì, Comprenderai che solo qualcosa di molto particolare, profon-
['tàunente radicata nella mia vita, poteva dare tanta importanza ad
Ijpin incidente cosi semplice soprattutto se la persona di quello scia-
Ijgurato mereiaio doveva farmi un'impressione addirittura insoppor-
tabile. E cosi è. M i sforzo di raccogliermi per raccontarti tranquil-
6 RACCONTI NOTTURNI

lamente e pazientemente qualche cosa della mia infanzia, in modo


che al tuo chiaro intelletto tutto si possa presentare con lucidità ed
evidenza, con immagini luminose. E mentre sto per incominciare
sento te che ridi e Clara che esclama: - Tutte queste sono ragazza-
te! -Ridete, v i prego, ridete di cuore alle mie spalle! V i prego dav-
vero. - Ma per Dio, mi si rizzano i capelli in testa e mentre vi sup-
plico di ridere dì me mi par di essere sull'orlo della disperazione e
della pazzia come Daniele quando rivolge la stessa preghiera a Franz
Moor. - Ma ora ascoltate!
Fuori dell'ora di pranzo, io e i miei fratelli e le mie sorelle vede-
vamo raramente mio padre durante la giornata. Può darsi che fosse
molto occupato per Ìl suo lavoro, ma dopo cena, che secondo una
vecchia usanza ci riuniva già alle sette dì sera, andavamo tutti in-
sieme con la mamma nella camera di lavoro dì nostro padre e ci se-
devamo intomo a una tavola rotonda. I l babbo fumava la pipa e
beveva intanto im bel bicchiere di birra. Spesso ci raccontava molte
storie straordinarie e si entusiasmava tanto che lasciava spegnere la
pipa; allora io avevo l'incarico di riaccendergliela con un pezzo di
carta infiammata, e questo era senza dubbio lo spasso migliore della
serata. Ma talvolta ci dava anche da guardare le immagini di qual-
che libro e lui stava sdraiato nella sua poltrona muto ed immobile
mandando in giro grosse nuvole di fumo, sicché ben presto tutti
quanti eravamo immersi i n mezzo alla nebbia. I n quelle serate la
mamma era molto triste e appena l'orologio batteva le nove, inco-
minciava a dire: - Su, bambini, a letto, a letto! Viene l'Orco Insab-
bia, l'ho bell'e visto —. E davvero ogni volta sentivo qualcosa che
saliva su per le scale con un passo lento e pesante, che rimbombava;
non poteva essere altri che l'orco. Una volta che quei passi lenti,
quel rimbombo erano particolarmente orribili chiesi alla mamma
die ci portava via; - Oh, mamma chi è questo cattivo Orco Insab-
bia che ci fa sempre andare via dal babbo? Com'è fatto? - Ma non
c'è nessun orco, piccolo mìo, ~ rispose la mamma; - quando dico:
viene l'Orco Insabbia, vuol dire solo che vi è venuto Ìl sonno e non
potete tenere più gli occhi aperti, come se qualcuno v i avesse butta-
to la sabbia in viso.
La risposta della mamma non mi persuase; anzi, nel mio animo
infantile si radicò l'idea che la mamma dicesse che l'orco non esiste-
va solo perché non avessimo paura dì lui; l'avevo sempre sentito
salire le scale. Tutto curioso di sapere qualcosa di più preciso di
questo Orco Insabbia e dei rapporti che aveva con noi bambini,
chiesi finalmente alla vecchia che faceva da balia alla mia sorellina
più pìccola che razza di uomo fosse l'Orco Insabbia.
L'ORCO INSABBIA 7
- Ehi, Tanielino, - mi rispose, - come mai non lo sai? È un uo-
mo cattivo; viene dai bambini quando non vogliono andare a letto e
' getta loro pugni di sabbia negli occhi, e glieli fa cadere insanguinati
fuori dalla testa; poi l i mette in un sacco e H porta nella Mezza Luna
per darli da mangiare ai suoi bambini. Stanno tutti nel nido e han-
no i l becco a punta come le civette; e cosi beccottano gli occhi dei
bambini maleducati.
Dentro di me si formò cosi un quadro orribile di questo feroce
; Orco Insabbia; e quando la sera sentivo i l suo passo pesante per le
scale, tremavo dalla paura e dallo spavento. La madre non mi potc-
' va levare altro di bocca che questo balbettato fra le lacrime: - L'Or-
co Insabbia, l'Orco Insabbia! - Poi scappavo subito nella camera
.da letto e per tutta la notte ero torturato dalla terribile apparizione
dell'orco.
Oramai ero già abbastanza grandicello per comprendere che
; quello che mi aveva raccontato la bambinaia dell'orco e del nido dei
\i bambini nella Mezza Luna, non poteva essere tutto vero; ma
lo stesso l'Orco Insabbia era rimasto per me imo spettro terribile
ed ero preso dal terrore, dallo spavento quando lo sentivo non solo
! salire su per le scale, ma aprire anche violentemente la porta di mìo
'padre e penetrare nella sua stanza. Talvolta restava a lungo senza
venire; poi all'improvviso ritornava per parecchie sere dì seguito.
'Questa storia durò per anni interi ed ìo stesso non potei mai abi-
tuarmi a questi rumori paurosi; e l'immagine del feroce Orco Insab-
H l ' t i a non impallidì dentro di me. Anzi la mia fantasia incominciò ad
\i sempre più di quello che poteva veiùre a fare da mìo pa-
f dre. Ma im timore invincibile mi tratteneva dal chiedere a mio pa-
'• dre una spiegazione; e invece con gli anni nasceva sempre più forte
I in me ìl desiderio dì svelare da me i l mistero e soprattutto di vedere
coi miei occhi l'orco favoloso. L'Orco Insabbia mi aveva messo sul-
j la via delle fantasìe meravigliose, straordinarie che così facilmente
l s'impossessano degU animi infantili. Non c'era nulla che mi pìa-
' cesse di più di ascoltare o leggere storie paurose di folletti, di stre-
fijie, di pollicini, e così via; ma in testa a tutti stava sempre l'Orco
Insabbia che non mì stancavo mai di disegnate nella figura più stra-
; vagante e repulsiva sugli armadi e sulle pareti col gesso o col car-
bone.
Quando ebbi compito dieci atuù la madre mi tolse dalla stanza
l dove dormivano gli altri fratelli e mì mise in una cameretta che da-
va sul corridoio, vicino alla stanza dì mio padre. Ancora, quando
l'orologio suonava le nove e lo sconosciuto si faceva sentire sulle
i scale di casa, dovevamo andarcene in fretta. Stando nella mìa came-
8 RACCONTI NOTTURNI

retta, sentivo come entrava da mio padre, e poco dopo sembrava


che per la casa si diffondesse un sottile vapore, con un profumo cu-
rioso. Sempre più, assieme alla curiosità, cresceva i l desiderio di
fare in un modo qualunque la conoscenza dell'Orco Insabbia. Spes-
so, quando la mamma se n'era andata, scivolavo rapidamente dalla
mia stanza, nel corridoio, ma non potevo scoprire nulla; perché
l'orco era regolarmente già scomparso dietro la porta quando rag-
giungevo il posto dal quale l'avrei potuto vedere. Finalmente, spin-
to da ima smania irresistibile, decisi di nascondermi dentro la stan-
za di mio padre e di aspettare là dentro l'arrivo dell'orco.
Una sera, dal silenzio di mio padre, dalla tristezza di mia madre,
compresi che l'Orco Insabbia sarebbe venuto; finsi perciò di essere
molto stanco, già prima delle nove me ne andai dalla stanza e mi na-
scosi in un angolo del corridoio, vicino alla porta. Udii scricchiolare
la porta di casa; nell'androne un passo lento, pesante, rimbombante
si diresse verso la scala. La madre mi passò in fretta davanti portan-
do via gli altri bambini. Adagio - adagio apersi la porta dello stu-
dio di mio padre. Come sempre sedeva immobile e silenzioso vol-
gendo le spalle alla porta; non si accorse di nulla. I n un lampo fui
dentro e nascosto dfdla tendina appesa davanti ad un armadio aper-
to che stava accanto alla porta e nel quale erano appesi i vestiti di
mio padre.
I passi rimbombavano, sempre più vicini, sempre più vicini - si
sentiva nel corridoio qualcuno che tossicchiava, trascinava i piedi
e brontolava in un modo bizzarro. I l cuore mi tremava dalla paura
e dall'attesa. - Vicino, proprio vicino alla porta, un ultimo passo
più pesante - un colpo forte sulla manlgha - la porta si spalanca con
grande fracasso. - Sforzandomi di farmi coraggio sporsi prudente-
mente ìl capo dalla tenda. L'Orco Insabbia sta in mezzo ^ a stanza
in piedi davanti a mìo padre; la luce della lampada lo colpisce in vi-
so. L'orco, il terrìbile Òrco Insabbia è - ìl vecchio avvocato Qippe-
lius, che talvolta veniva a pranzo da noi a mezzogiorno.
Ma la figura più orrìbile non mi avrebbe potuto incutere più
profondo spavento dì questo G^ppelius. Immaginati un uomo alto
di statura e largo di spalle, con una grossa testa informe, ìl viso
giallastro, due sopracìglia grige e arruffate sotto le quali scintilla
un paio di occhi pimgenti, verdi come gli occhi di un gatto, un gran-
de naso che pende sopra ìl labbro. La bocca storta sì spalanca spesso
per una risata odiosa; e allora sulle guance gli sì accendono due
macchie rosse ed uno strano sibilo gU esce dai denti stretti. G^ppe-
lius arrivava sempre con una giacca dì taglio antico, color grigio ce-
nere, panciotto e pantaloni uguali, calze nere e scarpe con una pìceo-
L'ORCO INSABBIA 9
ÌA fibbia. Aveva un parrucchino che gli arrivava a malapena a metà
'ideila testa; le ciocche appiccicate sopra due grandi orecchie rosse,
td un codino attorcigliato e spettinato che gli si alzava sopra la nuca
' ^ p r e n d o la fibbia d'argento che sosteneva la cravatta increspata.
Tutta la sua figura era repellente ed odiosa ma per noi bambini ci
facevano soprattutto senso i grossi pugni nodosi, coperti di pelo,
tanto che non potevamo più soffrire una cosa che egli avesse tocca-
i. Lui se n'era accorto e si divertiva di toccare con un pretesto o
icon l'altro un pezzettino di torta o un frutto dolce che la madre ci
messo di nascosto sul piatto, e noi allora con gli occhi pieni
li lacrime, pieni di nausea e di spavento, non potevamo più man-
ire i l dolce che ci avrebbe dovuto rallegrare. E faceva lo stesso
:he quando nei giorni di festa mio padre ci versava un bicchieri-
di vino dolce. Ci passava i n fretta sopra i l pugno o addirittura
rtcinava il bicchiere alle labbra bluastre, e rideva diabolicamente
' i noi che potevamo mostrare i l nostro dispetto solo piangendo sot-
•voce. Aveva l'abitudine di chiamarci le bestioline, e quando c'era
non potevamo pronunciare una parola e maledivamo perciò
d vecchio brutto e antipatico che ci guastava di proposito e con
tenzione anche i l più piccolo divertimento. Pareva che anche la
la odiasse come noi l'insopportabile Coppelius; perché appe-
si faceva vedere, la sua allegria, i l suo carattere gaio e spensie-
to cedeva i l posto ad un umore triste e tetro. D i fronte a fui mio
: invece si comportava come se fosse un essere superiore di cui
ignava sopportare gli sgarbi e che bisognava tenere i n tutti i
di buonumore. Bastava che facesse un piccolo cenno e subito
jvano preparati i suoi piatti preferiti o portate i n tavola botti-
di p r e ^ .
Non appena vidi questo Coppelius, nella mia anima nacque con
brivido la certezza che nessun altro che lui poteva essete l'Orco
abbia; ma ora l'orco non era più per me quello spauracchio della
a della bambinaia, che portava da mangiare occhi di bambini
sua nidiata di civette nella Mezza Luna - no, era divenuto un
stro odioso e spettrale che dovunque si presenta porta con sé
lori, angosce, eterna rovina.
Ero come incantato. Esponendomi al rischio di essere scoperto
^ tome m'immaginavo, severamente punito, rimasi dov'ero, spian-
con la testa fuori della tenda. Mio padre accolse Coppelius con
ennità. - Su, al lavoro! - esclamò questi con la sua voce rauca,
periosa, e si levò la giacca. Senza dir nulla e col volto imbroncia-
onche mio padre si tolse la veste da camera e tutti e due indossa-
' due lunghi camici neri. Dove l i avessero presi, non l'avevo vi-
IO RACCONTI NOTTURNI

Sto. Mio padre spalancò i battenti di un grande armadio; ma vidi


che quello, che per tanto tempo avevo creduto che fosse un arma-
dio, era invece im grande vano nero aperto nel muro, nel quale si
trovava un focolare. Gjppelius v i si avvicinò e ben presto una fiam-
ma azzurra incominciò a crepitare sul fornello. I n giro c'era ogni
sorta di arnesi e di attrezzi strani ed insoliti. Oh Dio! Quando il mio
vecchio padre si chinò sul fuoco, i l suo volto mi parve completa-
mente trasformato! Un dolore orribile, convulso pareva che avesse
sconvolto i suoi lineamenti dolci e sinceri trasformandoli in un'orri-
bile maschera diabolica. Assomigliava a Coppelius. Questi brandi-
va xm paio di tenaghe roventi e toglieva fuori da dense nuvole di fu-
mo masse di metallo incandescenti che batteva poi furiosamente col
martello. M i sembrava che tutto all'intorno comparissero volti u-
mani, ma senza occhi - con orribili, profonde occhiaie nere, invece
degli occhi. - Occhi d vogliono, occhi ci vogUono! - gridò Coppe-
lius con una voce profonda, rimbombante. Lanciai un urlo, in pre-
da al pili terrìbile spavento e ruzzolai fuori del mio nascondiglio,
sul pavimento.
Coppelius mi afferrò immediatamente. - Bestiolina - bestioli-
na! — gracidò con la sua voce fioca digrignando i denti, mi sollevò
da terra e mi buttò sul focolare tanto che lefiammeincominciarono
a bruciarmi i capelli. — Ecco che abbiamo trovato gli occhi, gli oc-
chi - un bel paio d'occhi di bambini - . Sussurrava Coppelius come
un pazzo e con le mani toglieva dalle fiamme grani di una materia
incandescente che mì voleva gettare negli occhi. Ma mio padre alzò
le mani supplicando e gridando: - Maestro, maestro, lasciate gli oc-
chi al mio Nataniele - lasciateglieli! - CoppeUus scoppiò in una ri-
sata stridula ed esclamò: — Che si tenga pure i suoi occhi e che ver-
si la sua parte di lacrime nella vita; ma almeno studieremo i l mec-
canismo delle mani e dei piedi - . E così dicendo mi afferrò con tanta
forza che le giunture mi scricchiolavano, mi svitò le mani ed i piedi,
riappiccicandomeli ora qua ora là. - Non stanno bene in nessun
posto; - era meglio come era prima. I l vecchio ha saputo fare le co-
se! - Brontolava e sussurrava così Ìl vecchio Coppelius, ma d'un
tratto fu circondato da una grande nuvola nera; una terribile con-
vulsione mi scosse le ossa ed i nervi - non sentii più nulla.
Sentii un alito dolce e tiepido sul volto; mi destai come da un
sogno mortale: la mamma stava chinata su di me. - È ancora qui
l'Orco Insabbia? - balbettai. - No, bambino mio, è andato via da
molto tempo; non t i farà più nessun male! - Cosi disse la mamma
baciando ed accarezzando Ìl suo caro figliolo ritrovato.
Perché t i devo aimoiare dell'altro, Lotario del mìo cuore? Per-
L'ORCO INSABBIA II

)dié t i devo raccontare tutti questi particolari, mentre mi rimango-


no ancora tante cose da dire? Basta cosi: ero stato scoperto mentre
Ipiavo nella stanza e Coppelius mì aveva malmenato. La paura e lo
Ipavento mi avevano procurato una febbre violenta che mi aveva
ittenuto a letto ammalato per molte settimane. - C'è ancora l'Or-
• Insabbia? - fu la prima parola che pronunciai ed era il segno che
jvo guarendo, che ero risanato. - Ed ora t i devo raccontare anco-
il momento più terribile della mìa infanzia; allora t i convincerai
non dipende da una particolarità dei miei occhi se d'un tratto
tto mi sembra senza colore, ma che un'oscura fatalità ha veramen-
teso un fosco velo di nubi sopra la mia vita, che forse potrò strap-
re solo morendo.
CoppeUus non si era fatto più vedere; si diceva che fosse partito
.città.
Poteva essere passato un anno, quando una sera secondo la vec-
abitudine stavamo seduti intorno al tavolo rotondo. Nostro
era molto allegro e ci raccontava una quantità di cose diver-
ti a proposito dei viaggi che aveva fatto da giovane. E d'un trat-
, mentre battevano le nove, udimmo all'improvviso cigolare la
"Ita di casa, e passi lenti, pesanti come i l ferro che rimbombavano
traverso l'androne e su per le scale. - Dìo mìo, è CoppeUus, - dis-
mìa madre impallidendo. - Si, è CoppeUus, - ripete mio padre
la voce smorzata. Le lacrime incominciarono a cadere dagli oc-
' dì mìa madre. - Ma papà, papà, - esclamò. - È proprio necessa-
)? — Questa è l'ultima volta, — egli rispose, — che viene da me; te
prometto. Ora va', va' coi bambini! - Andate - andate a letto!
"ona notte!
Mì sentivo come se fossi murato dentro una pietra gelida e pe-
ite — non riuscivo neanche a respirare. — E vedendomi là immo-
Ue mia madre mi afferrò per ìl braccio: - Vieni, Nataniele, vieni
ia! - M i lasciai condurre via, entrai nella mia cameretta. - Su, stai
iquillo! - Mettiti a letto! - Dormì - dormi! - esclamò mia ma-
: dietro di me; ma torturato da un'angoscia e da una inquietudine
iescrivìbile non potei chiudere occhio. L'odiato, spaventoso Cop-
Uus mi stava davanti con gli occhi fulminanti e rìdeva perfidamen-
dì me. Mì sforzavo inutilmente dì liberarmi dì questa immagine.
Probabilmente era già mezzanotte, quando sì udì un terrìbile
'po, come se avesse sparato un cannone. Tutta la casa rimbombò,
tii qualcuno che correva davanti alla mia porta e subito dopo ìl
Itone di casa che si rinchiudeva sbattuto con forza. — È Coppe-
! - esclamai spaventato, saltando giù dal Ietto. I n queUa sì sentì
12 RACCONTI NOTTURNI

un urlo tagliente, disperato; mi precipitai verso la camera di mio


padre. La porta era spalancata e mi venne incontro un fumo asfis-
siante. La serva gridò. - Ah, i l padrone! - Davanti, per terra da-
vanti al focolare da cui salivano nuvole di fumo, era steso mio pa-
dre, morto, col volto coperto di bruciature nere, spaventosamente
sconvolto, intorno a lui singhiozzavano e si lamentavano le sorelle
- la mamma gli stava stesa accanto, svenuta. - Coppelius, Satana
maledetto, hai ammazzato nostro padre! - gridai, e perdetti Ì sensi.
Due giorni dopo, quando mio padre fu steso nella bara, i lineamen-
ti del suo volto erano nuovamente miti e dolci come erano stati in
vita. Nell'anima mi nacque un pensiero confortante, che i l suo pat-
to col diabolico Coppelius non poteva averlo portato alla dannazio-
ne eterna.
L'esplosione aveva destato i vicini, l'incidente fu propalato, e
venne alle orecchie dell'autorità che voleva Interrogare Coppelius.
Ma questi era scomparso dalla città senza lasciare nessuna traccia.
Se ora t i dico, amico del mio cuore, che quel mercante di baro-
metri non era altro che l'infame Coppelius, credo che non mi rim-
provererai se sono persuaso che la sua sgradita comparsa significa
qualche grave sciagura. Non aveva piti gli stessi vestiti; ma la figura
ed i l volto di CoppeUus sono impressi troppo profondamente den-
tro di me perché sia possìbile im errore. Ed oltre a tutto Coppelius
non si è neanche cambiato il nome. Qui ìn città, come ho sentito, sì
spaccia per un meccanico piemontese e dice dì chiamarsi Giuseppe
Coppola.
Sono deciso ad affrontarlo ed a vendicare la morte di mìo padre,
qualunque cosa possa succedere.
Non dire nulla alla mamma della comparsa dì questo orribile
mostro! - Saluta la mia amata, soave Clara! Le scrìverò quando a-
vrò l'animo più tranquiUo. Addìo, ecc. ecc.

Clara a Nataniele

È vero che da molto tempo non mì hai più scrìtto; ma credo lo


stesso che mi porti viva nel pensiero e nel cuore. Perché dovevi
pensare molto vivacemente a me mentre volevi spedire la tua ulti-
ma lettera a mìo frateUo Lotario, e sull'indirizzo, invece del suo hai
scritto ìl mio nome. Ho aperto perciò tutta contenta la lettera e mì
sono accorta dell'errore solo alle parole: «Ah, Lotario del mio cuo-
re! » — A questo punto non avrei dovuto leggere più ma dare la let-
tera al fratello. Ma mi hai rimproverato troppo spesso e mi hai pre-
L'ORCO INSABBIA 13
in giro perché ho un animo troppo tranquillo, troppo riflessivo,
Ito che farei come queUa donna, e se la casa stesse per crollare,
la di scappare via aggiusterei una piega fuori di posto delle ten-
ie - perciò ti devo assicurare che l'inizio della tua lettera mi ave-
, profondamente commossa. Potevo a malapena respirare; mi gi-
va la testa. ~ Ah, Nataniele mio, amato dell'anima mia — che cosa
rribile doveva essere successo nella tua vita? Essere separata per
ipre da te, non doverti mal più rivedere - questo pensiero mi
isse il cuore come un pugnale rovente. Non potevo fare a meno
leggere, ho letto fino i n fondo. La tua descrizione dell'abomine-
jle Coppelius è spaventosa. Solo così ho appreso d i che terribile
irte violenta è morto il tuo vecchio e buon papà. I l fratello Lota-
), al quale ho restituito la sua lettera, ha tentato di tranquillizzar-
'; ma non si può dire che vi sia riuscito. Quel tale mercante di ba-
letri, Giuseppe Coppola, mi perseguitava dovunque andavo e
vergogno quasi di confessarti che era riuscito persino a turbare
n ogni sorta d i sogni stravaganti i miei sonni di solito così sani e
lianquilli. Ma ben presto, già il giorno successivo, tutto per me è ri-
mato in ordine. Non essere in collera con me. Mio caro amore, se
jtario t i dovesse dire che, ad onta dei tuoi strani presentimenti,
jCoppelius ti possa fare qualcosa di male, sono di un umore allegro e
^perturbabile come sempre!
Perciò t i voglio dire senza reticenze che sono persuasa dhe tutte
*e cose orribili e paurose delle quali tu parli, sono avvenute soia-
ente dentro di te, ma che Ìl mondo esteriore, vero e reale, vi abbia
1 parte. I l vecchio Coppelius dev'essere stato certamente un es-
! repugnante; ma poldié odiava i bambini, questo suscitò in voi,
iquando eravate piccoli, i l ribrezzo che provavate per lui.
Naturalmente nel tuo animo infantile lo spaventoso Orco Insab-
ia della fiaba si confuse col vecchio Coppelius, che, se anche non
credevi più all'orco, rimase per te un mostro spettrale, particolar-
jmente pericoloso per 1 bambini. Le misteriose operazioni che faceva
<li notte insieme con tuo padre erano forse una cosa molto semplice,
'e cioè la notte i due facevano insieme esperimenti alchimistici, per
cui tua madre non poteva essere tanto contenta giacché così si spre-
'Cava senza dubbio molto denaro e per giunta, come succede sempre
in queste manipolazioni, l'animo d i tuo padre, tutto occupato dal-
l'illusoria ricerca della saggezza, veniva estraniato alla famìglia. Non
c'è dubbio che tuo padre ha provocato la propria morte con qualche
imprudenza e che Coppelius non ne ha nessuna colpa. Vtiol cre<ìere
che ieri sera sono andata a chiedere al nostro dotto vicino, Ìl farma-
cista, se è possibile una simile esplosione che uccida qualcuno sul
RACCONTI NOTTURNI

colpo, mentre si fanno esperimenti d i chimica? Luì m i ha risposto:


~ E h , come no! - e m i ha descritto con i suoi soliti modi prolissi e
minuziosi come potrebbe avvenire una simile disgrazia, usando tan-
t i nomi stravaganti, che non me ne posso ricordare nessuno. O r a
senza dubbio stai andando i n collera contro la tua Clara, e mì pare
d i sentirti dire: « I n questo animo gelido non penetra neanche u n
r a ^ o dei misteri che tengono l'uomo nelle loro braccia i n v i s i b i l i ;
essa scorge solo la superficie colorata del mondo, e come Ìl più i n -
fantile dei bambini è piena d i gioia per i l f r u t t o dorato, dentro Ìl
quale si nasconde u n veleno mortale».
A h , Nataniele mio, amato del m i o cuore, non pensi che anche i n
animi sereni, tranquilli, imperturbabili può nascere i l presentimen-
to d i una forza oscura che si accanisce ostilmente contro d i noi e
cerca d i distruggerci nel nostro stesso Ìo? — M a perdonami se, da
quella ragazza semplice che sono, tento d i spiegarmi i n qualche
modo come concepisco dentro d i me ima simile lotta! H o paura d i
non trovare le parole giuste e che t u finisca col prendermi i n giro,
non già perché dico qualcosa d i stupido, ma perché l o dico i n modo
cosi impreciso.
Se v i è una forza oscura che ripone a tradimento nel nostro cuo-
re u n filo, col quale p o i cerca d i trascinarci su strade pericolose e
fatali dove altrimenti n o n c i saremmo mai avventurati — se esiste
una simile forza allora, dentro d i n o i , essa deve assumere i l nostro
aspetto, divenire anzi n o i stessi; perché solo cosi possiamo credere
i n essa e darle i l modo d i compiere la sua opera segreta. Se abbiamo
un animo forte, irrobustito dalla vita serena, per riconoscere come
tale un'influenza estranea ed a noi nemica e per seguire con passo
tranquillo la via su cui ci hanno indirizzato le nostre simpatie e la
nostra professione, allora quella forza paurosa si elimina nell'inuti-
le tentativo d i assumere la forma che dovrebbe essere i n certo modo
la nostra immagine riflessa. - E d è anche certo, - aggiunge a questo
punto Lotario, - che se ci abbandoniamo spontaneamente a questa
oscura forza fisica, essa attira spesso nel nostro cuore le figure estra-
nee che i l mondo esteriore ci fa trovare sulla nostra via, sicché i n
realtà accendiamo solamente i l nostro spirito che i n una strana i l l u -
sione d immaginiamo che parli da quella figura. È u n fantasma del
nostro proprio Ìo, la cui Ìntima affinità e la profonda influenza sul
nostro animo d fa predpitare all'inferno o d solleva i n paradiso.
V e d i dunque, mio amato Nataniele, che n o i due, ìo e i l fratello
Lotario, abbiamo discusso a fondo a proposito delle forze e delle e-
nergìe misteriose e che questo argomento, ora che ho trascritto n o n
senza fatica le cose principali che abbiamo detto, m i sembra vera-
L'ORCO INSABBIA 15

mente profondo. N o n riesco a comprendere a pieno le ultime parole


d i Lotario; ho solamente una vaga idea d i quello che v u o l dire, e
\e m i sembra che t u t t o sia vero. T i prego, band^ci corapletamcn-
] te dai t u o i pensieri l'orribile avvocato Coppelius e l'uomo dei baro-
m e t r i , Giuseppe Coppola. Persuaditi che queste figure estranee n o n
' hanno nessun potere su d i te! Solo la tua fede nella loro forza nemi-
ca te le può rendere nemiche d i fatto. Se i n ogni riga della tua letie-
ra n o n parlasse la più profonda agitazione del tuo animo, se la tua
; condizione non m i facesse soffrire fino i n fondo all'anima - davvero
m i sarebbe facile scherzare sull'avvocato Insabbia e sul mercante d i
barometri Coppelius. - Sii sereno - sereno! - M i sono proposta d i
comparirti davanti come i l tuo spirito protettore e d i far fuggire con
una bella risata l'orribile Coppola che volesse attentarsi d i oppri-
m e r t i i n sogno. I o non ho proprio nessuna paura né d i l u i né dei
suoi o r r i b i l i pugni pelosi; n o n ha i l modo d i sciuparmi né come av-
vocato u n pezzo d i torta, né come orco, g l i occhi.
Eternamente Nataniele m i o , amato con t u t t o Ìl mìo cuore, ecc.
ecc. ecc.

Nafaniele a Lotario

M i è molto dispiaciuto che Clara abbia aperto e letto l'altro gior-


no la lettera che io t i avevo mandato - per quanto comprenda l'er-
rore provocato dalla mia distrazione. M i ha scritto una lettera mol-
to profonda e filosofica nella quale m i dimostra per filo e per segno
che Coppelius e Coppola esistono solo dentro dì me e sono fanta-
smi del mio i o , che cadrebbero istantaneamente i n polvere se n o n
, appena l i riconoscessi come tali. Difattì, non si crederebbe che l o
spirito che trapela così spesso da quei due occhi chiari e sorrìdenti
d i bambina come u n sogno soave, possa essere cost giudizioso e fare
d i queste distinzioni scolastiche. Cita anche le tue parole. Avete d i -
scusso insieme su d i me. Sembra che t u le tenga i m corso dì logica
, perché impari a comprendere e a distinguere t u t t o cosi sottilmente !
E meglio che t u n o n l o faccia più!
D e l resto oramai è certo che i l mercante d i barometri Giuseppe
Coppola non è affatto i l vecchio avvocato Coppelius. I o seguo un
corso del nuovo professore d i chimica che è arrivato da poco e che,
come i l celebre naturalista, si chiama Spallanzani ed è d i origine ita-
liana. Egli conosce Coppola già da m o l t i anni, e per d i più si sente
benissimo dalla sua pronuncia che è veramente piemontese. Coppe-
lius era tedesco, per quanto, come m i sembra, poco leale. Però n o n
posso dire d i essere completamente tranquillo. T u e Clara potete
i6 RACCONTI NOTTURNI

continuare a giudicarmi u n fosco sognatore; ma n o n riesco a libe-


rarmi dall'impressione che m i tiene davanti i l volto maledetto d i
Coppelius. Sono lieto che, come m i dice Spallanzani, sia partito dal-
la nostra città. Questo professore è i m tipo stravagante. Piccolo,
grassotto, i l viso con g l i zigomi sporgenti, u n naso sottile, le labbra
tumide, g l i occhi piccoli ed acuti. M a meglio d i come te lo possa de-
scrivere i o , te l o puoi raffigurare guardando i l ritratto d i Cagliostro
disegnato da Chodowiecki i n qualche lunario berlinese. - Spallan-
zani è tale e quale coslf.
I e r i salivo le scale d i casa sua e m i accorgo che una tenda la qua-
le copre d i solito completamente una porta a vetri, lasciava aper-
to uno spiraglio da una parte. N o n so neppure i o come m i sia venu-
ta l'idea d i gettare un'occhiata curiosa nella stanza. C'era seduta
una figura dì donna molto alta e snella, d i proporzioni armoniose,
vestita splendidamente, e teneva le mani giunte, le braccia appog-
giate a u n piccolo tavolino davanti a lei. Era seduta d i fronte alla
porta, sicché ho p o t u t o vedere bene i l suo viso angelico. N o n m i è
parso che si accorgesse d i me, e anzi i suoi occhi avevano una stra-
na fissità - quasi direi che non avevano forza visiva; pareva che dor-
misse ad occhi aperti. Sentii u n profondo disagio e per questo sci-
volai silenziosamente fino nell'auditorio, che è là vicino. Più tardi
ho saputo che la figura che avevo visto è O l i m p i a , la figlia d i Spal-
lanzani che n o n si sa perché egli tiene sempre crudelmente rinchiu-
sa, sicché nessuno ancora ha potuto avvicinarla. - Probabilmente
c'è qualche cosa che non va, forse è debole d i mente, o qualcosa
cosf.
Chi sa perché t i scrivo tutto questo? T i avrei potuto raccontare
t u t t o molto meglio e con più particolari a voce. Perché devi sapere
che tra quindici giorni sarò d i nuovo con v o i ! Voglio rivedere Ìl
m i o dolce, caro angelo, la mia Clara. Come la nebbia si dissiperà al-
lora i l malumore che - devo confessarlo - quasi si sarebbe impos-
sessato d i me dopo quella lettera noiosa e giudiziosa. E per questo
anche oggi non le scrìvo.
M i l l e saluti, ecc. ecc.

N o n si può immaginare nulla d i più strano e d i più bizzarro dì


quello che è successo al mio povero amico, i l giovane studente Na-
taniele, e che ìo, benigno lettore, ho incominciato a raccontarti.
N o n è mai avvenuto nella tua vita qualcosa che prendesse possesso
del tuo cuore, dei tuoi sensi e dei t u o i pensieri, cancellandovi tutto
i l resto? Qualcosa fermentava e ribolliva ìn te; ha acceso fino al boi-
L'ORCO INSABBIA 17

:Iore i l sangue che avevi nelle vene e t i colorava le guance. Avevi


:uno strano modo d i guardare come se volessi afferrare nella stanza
vuota, figure invisibili per g l i occhi d i t u t t i g l i a l t r i , e ogni tuo di-
•scorso si spegneva i n foschi sospiri. A l l o r a g l i amici t i chiedevano:
— Cosa le succede, stimatissimo? - Carissimo, che cos'ha? - E d al-
lora volevi esprimere le immagini che avevi nel cuore con t u t t i Ì
;;più accesi colori e le ombre e le luci e t i sforzavi d i trovare le parole
per incominciare. M a t i pareva d i dover comprendere nella prima
;paroIa tutte le cose meravigliose, splendenti, spaventose, allegre,
; t e r r i b i l i che t i erano successe, i n modo da colpire g l i ascoltatori co-
me una scarica elettrica. M a ogni parola, t u t t o ciò che possiamo d i -
re coi nostri discorsi, d sembrava grigio, gelido, morto. A l l o r a cer-
cavi e cercavi, e balbettavi e restavi a bocca aperta, e le frasi prosai-
che degli amici penetravano come u n vento gelato nel tuo fuoco i n -
temo, finché l o facevano spegnere. Se invece come un pittore d i spi-
r i t o t u avessi gettato là con qualche segno ardito i c o n t o m i della
tua immagine interiore, avresti avuto poca fatica ad aggiimgervi
colori sempre più ardenti e i l groviglio vivente delle figure più sva-
riate avrebbe trascinato g l i a m i d che al pari d i te avrebbero scorto
la propria immagine nel quadro u s a t o dal tuo cuore.
I n realtà, come sono costretto a confessarti, benigno lettore, a
me nessuno ha chiesto la storia del giovane Natanìele, M a t u sai be-
ne che io appartengo a quella bizzarra razza d i autori i quali, se por-
tano dentro d i sé qualcosa del genere che ho scrìtto più su, ogni vol-
ta quando qualcuno viene vicino a loro hanno l'impressione d i sen-
tirsi domandare: — M a insomma, cosa succede? A n d i a m o , andia-
mo, racconti!
Così provavo una grande smanìa dì raccontarti qualcosa della
vita fatale d i Nataniele. La sua stravaganza, la sua stranezza riempi-
va tutta la mia anima; ma appunto perciò e perché, o mio lettore,
volevo renderti subito incline ad accettare le cose più straordinarie
- che n o n è una cosa da poco - m i tormentavo per incominciare
la storia d i Nataniele i n modo simbolico, originale, commovente.
«C'era una volta» - i l più bel principio d i una storia - ma troppo
prosaico! - «Nella pìccola città d i S. viveva» - è già u n p o ' meglio,
per lo meno prepara a qualcosa d'importante. ~ Oppure subito me-
dias i n res : - Andate al diavolo! - gridò pieno d i furore e d i spaven-
t o , con g l i occhi stravolti, l o studente Natamele, quando i l mercan-
te d i barometri, Giuseppe Coppola... - E difatti avevo già incomin-
ciato a scrivere così, quando m i parve d i scorgere qualcosa d i burle-
sco negli occhi stravolti dello studente Nataniele; ma ìn questa sto-
ria d i burlesco n o n c'è niente. Insomma n o n m i veniva ìn mente
r8 RACCONTI NOTTURNI

una sola parola che riflettesse anche solo minimamente g l i splendi-


d i colori dell'immagine che avevo dentro d i me.
Decisi cosi d i non incominciare i n nessun modo. Accetta perciò,
benigno lettore, le tre lettere che l'amico Lotario m i ha gentilmente
comunicato, come lo schizzo del quadro nel quale ora cercherò d i
portare sempre più v a r i e più v i v i colori col mio racconto. Forse m i
riescìrà d i prospettare come un buon ritrattista qualche figura i n
modo che t u la t r o v i slmile pur senza conoscere l'originale, anzi, i n
modo che t u abbia l'impressione d i aver veduto spesso coi t u o i oc-
chi quella persona. Forse, o mio lettore, allora crederai che nulla v'è
d i più stravagante e pazzesco della vita reale e che i l poeta la può co-
gliere solamente come u n oscuro riflesso dentro uno specchio senza
luce.
Affinché sia più chiaro quello che bisogna sapere fin da princi-
p i o , a quelle lettere bisogna aggiungere che poco tempo dopo la
morte del padre d i Nataniele, Clara e Lotario, figli d i u n lontano pa-
rente che l i aveva del pari lasciati orfani, furono accolti i n casa dalla
madre d i Nataniele. Clara e Nataniele concepirono u n violento af-
fetto l'uno per l'altro e credo che nessimo a questo mondo possa
avere nulla i n contrario. Erano perciò fidanzati quando Nataniele
abbandonò la cittadina per continuare g l i studi a G . Là lo troviamo
nella sua ultima lettera mentre segue i corsi del celebre professore
d i fisica Spallanzani.
Sicché ora potrei continuare tranquillo i l m i o racconto; ma i n
questo momento m i si presenta davanti agli occhi, così vivace l ' i m -
magine d i Q a r a , che non posso distoglierne lo sguardo, come m i è
sempre successo ogni volta quando m i ha rivolto i l suo soave sorri-
so. N o n può certo pretendere d i essere bella, Clara, questo l o dico-
no t u t t i che se ne intendono d i bellezza per ragioni d i ufficio, però
gli architetti lodano le pure proporzioni della sua figura. I p i t t o r i
pensano che forse i l collo, le spalle ed i l petto hanno forme troppo
caste, ma invece sono t u t t i assieme innamorati dei suoi meraviglio-
si capelli da Maddalena e vaneggiano d i u n colorito à la Battoni.
U n o d i loro, v i t t i m a della fantasia, ha avuto la strana idea d i con-
frontare g l i occhi d i Clara con u n lago d i Ruysdael, i n cui si rispec-
chia i l nitido azzurro d i u n cielo senza n u b i , u n rigoglio d i alberi e d i
fiori, la vita variopinta e serena d i u n ricco paesaggio. M a Ì poeti e
i musicisti sono più arditi ed esclamano; - M a che lago - che spec-
chio! - Possiamo guardare questa creatura senza che dal suo sguar-
do ci vengano i raggi d i canti meravigliosi e d i note celesti, le quali
ci penetrano nel cuore mettendo ìn movimento t u t t o quanto c'è
dentro d i noi? E se allora non cì è riuscito d i cantare qualcosa d i
L'ORCO INSABBIA 19

'^hen fatto, v u o l dire che n o n abbiamo nessuna stoffa, ed è proprio


Vguello che leggiamo chiaramente nel sottile sorriso che gioca intor-
nio alle labbra d i Clara quando ci attendiamo d i canticchiare qualche
Jcosa che avrebbe la pretesa d i essere vera musica.
(: Perché le cose stavano cosi: Clara aveva la vivace fantasia d i
'.ima creatura serena, limpida, infantile, un animo profondo e delica-
jto d i donna, u n cervello lucido e bene equilibrato. G l i amanti delle
ombre e delle nebbie n o n avevano forttma con lei; perché senza d i r
!lnolto, cosa che non era assolutamente nella natura silenziosa d i
I^Clara, quel suo sguardo trasparente e quel fine sorriso ironico, di-
jccvano: - Cari amici, come potete pretendere che i o consideri le
(iTOStre figure fosche e confuse come creature vere, piene d i vita e
•fidi sentimento? - C'era perciò molta gente che criticava Clara per-
jché era troppo fredda, senza sentimenti e prosaica; ma altri che co-
levano la vita i n maggiore, più lucida profondità, amavano oltre-
(inodo quel suo animo cosf sensibile, intelligente, infantile ma nes-
fjlJBuno come Nataniele che si muoveva con sicurezza e serenità nel
l^campo della scienza e dell'arte. Q a r a si sentiva trasportata con l u t -
a t a l'anima verso i l suo innamorato, e le prime ombre passarono sul-
: l a sua vita, quando si dovette separare da l u i . Con che trasporto vo-
li Jò perciò nelle sue braccia, quando, come aveva annunciato nell'ul-
ti Icima lettera a Lotario, arrivò veramente nella sua città natale ed en-
C trò i n casa della madre. Successe veramente come Nataniele aveva
Impensato; perché nello stesso istante i n cui rivide Clara non pensò
|lipiu né all'avvocato Coppelius né a quella lettera troppo giudiziosa.
Illbgni malumore era scomparso.
' - Eppure Nataniele aveva ragione quando aveva scritto al suo a-
qiico Lotario che la figura repugnante del mercante d i barometri
Coppola era entrata ostilmente nella sua vita. T u t t i se ne resero
•,<onto poiché fin dai p r i m i giorni Nataniele sì mostrò completamen-
1;': te trasformato nel suo carattere. Cadeva i n uno stato fosco e traso-
I gnato e si comportava i n u n modo così strano che nessuno l o ricono-
I sceva più. T u t t o , l'intera vita era diventata per l u i sogno e presentì-
mento. Diceva continuamente che t u t t i g l i u o m i n i , pur nell'ìllusio-
if'ipe d i essere lìberi, servono al gioco crudele d i oscure potenze; i n u -
!'•lilmente n o i d ribelliamo, n o n c'è altro da fare che adattard u m i l -
mente a quello che ìl destino ci ha mandato. Arrivava sino al punto
j ' d i sostenere che è una pazzia credere che nell'arte e nella scienza sì
I possa creare secondo Ìl Ubero arbitrio; perché quell'entusiasmo che
i f o l o d permette d i creare, non nasce dal nostro animo ma è l'ìn-
.ucnza d i u n principio superiore che risiede f u o r i dì noi.
' Questa esaltazione mistica dispiaceva profondamente a Q a r a ;
20 RACCONTI NOTTURNI

ma le sembrava impossibile mettersi a disputare. Solo quando Na-


taniele cercò d i dimostrarle che Coppelius era i l principio del male
che si era impossessato d i l u i al momento i n cui stava a spiare na-
scosto dietro alla tenda, e che questo sinistro demonio avrebbe or-
ribilmente distrutta la felicità del loro amore, Clara si fece molto se-
ria e disse: - Si, Nataniele, hai ragione: Coppelius è u n principio
ostile, è i l principio del male; può produrre effetti t e r r i b i l i come
ima potenza diabolica che entra visibilmente nella vita - ma solo
nel caso che t u non lo voglia bandire dai t u o i sensi e dai tuoi pensie-
ri. Finché t u credi i n l u i , esso esiste ed agisce; solo la tua fede crea
la sua potenza - . Nataniele, incollerito perché Clara insistesse a d i -
re che i l diavolo esisteva solo dentro d i l u i , voleva esporre tutta la
teoria mistica dei diavoli e delle potenze occulte. M a Clara lo inter-
ruppe d i malumore, mettendosi a parlare d i qualcosa d'indifferente
con non poco disappunto d i Nataniele. E g l i pensava che questi pro-
fondi misteri non si rivelano agli animi freddi e sordi, senza render-
si ben conto che i n questo modo egli annoverava Clara fra simili na-
ture inferiori, e perciò non smise coi suoi tentativi d i iniziarla i n
questi misteri. La mattina per tempo, mentre Clara stava preparan-
do la colazione, si presentò da lei e incominciò a leggere una quanti-
tà d i testi mistici, finché Qara non lo pregò: - M a , caro Nataniele, e
se io t i dicessi che sei t u ìl principio del male, ìl quale esercita im'ìn-
fluenza deleteria sul mio caffè ? Perché, se piantassi t u t t o come v u o i
t u e stessi a guardarti negli occhi mentre leggi, ìl caffè trabocche-
rebbe nel fuoco e restereste t u t t i senza colazione - . Nataniele infu-
riato chiuse i l libro e pieno d i rabbia corse f u o r i dalla stanza.
Una volta aveva dimostrato una particolare qualità per scrivere
racconti graziosi e vivaci, che Q a r a ascoltava col più profondo d i -
letto; ma ora queste sue composizioni erano fosche, incomprensibi-
l i , i n f o r m i sicché se anche Clara per riguardo non lo diceva, egli sen-
tiva bene che i l suo cuore rimaneva indifferente. Per Clara non c'e-
ra nulla dì peggio della noia, perché allora con g l i sguardi e le paro-
le rivelava una sonnolenza spirituale che non riusciva a vincere i n
nessun modo. E d i n f a t t i le composizioni d i Nataniele erano molto
noiose. La sua collera per l'animo freddo e prosaico dì Q a r a , au-
mentò ancora; Clara non poteva superare i l suo malumore per l ' o -
scuro fosco e noioso misticismo d i Nataniele, e cosf, senza renderse-
ne conto, nel loro cuore si allontanavano sempre più l'una dall'al-
t r o . La figura del brutto Coppelius, come Nataniele doveva ammet-
tere, era impallidita nella sua fantasìa e spesso g l i costava fatica rap-
presentarlo vivamente nelle sue novelle, dove compariva regolar-
mente come u n pauroso spauracchio del destino.
L'ORCO INSABBIA 21

Finalmente ebbe l'ispirazione d i usare come argomento d i una


"poesia i l fosco presentimento che Coppelius potesse distruggere i l
suo amore felice. Rappresentò se stesso e Clara congiunti i n xm a-
Jmore fedele; ma d i quando i n quando sembrava loro che un pugno
^nero penetrasse nella loro vita per strapparne ima gioia che aveva
l o r o brillato da lontano. Finalmente, quando già sono all'altare del-
j'ie nozze, appare l o spaventoso Coppelius che tocca i dolci occhi d i
^iClara; questi cadono sul seno d i Nataniele come scintille sangui-
( nanti, e l o ardono, lo mettono i n fiamme. Coppelius l o afferra e l o
f;spinge i n una ruota d i fuoco che gira con la rapidità della bufera e
l o trascina lontano nei suoi vortici. È u n u l u l o , come se l'uragano
'.sferzasse con ira le onde schiumanti del mare che si sollevano i n una
l o t t a rabbiosa come giganti neri dal v o l t o canuto. M a i n mezzo agli
•ululi selvaggi ode la voce d i Clara: - N o n m i puoi scorgere, Coppe-
}:lius t i ha ingannato. N o n erano i miei occhi che t i hanno bruciato i l
petto, erano gocce ardenti del sangue del tuo cuore. L i ho, i miei
occhi; guardami, dunque! - Nataniele pensa: « È Clara che parla,
ed i o sono eternamente suo». A l l o r a questo pensiero scocca con
tanta potenza attraverso cerchi d i fuoco, che lo costringe a fermarsi
e l ' u l u l o si spegne sordamente nell'abisso tenebroso. Natamele
guarda negli o c d i i d i Clara; ma è la morte che con gli occhi d i Clara
, amorosamente lo guarda.
Mentre Nataniele lavorava a questa poesia, era molto tranquillo
e riflessivo; limava e correggeva ogni verso e n o n si dette pace fin-
ché tutte le strofe n o n furono pure ed armoniose. M a quando ebbe
finalmente terminato e lesse la poesia ad alta voce, si sentì rabbrivi-
: dire per u n cieco spavento e gridò : - M a d i chi è questa voce racca-
pricciante? - ma subito dopo l'insieme tornò a fargli l'impressione
d i una poesia m o l t o bene riuscita e si consolò pensando che avrebbe
senza dubbio acceso l'animo gelato d i Clara, sebbene non gli fosse
, chiaro perché Clara dovesse essere accesa e che scopo potesse avere
spaventarla con quelle immagini orrìbili che presagivano una tre-
menda sorte, la rovina del suo amore.
Stavano seduti, Nataniele e Clara nel piccolo giardino della
madre. Clara era molto allegra perché da tre giorni, da quando ave-
va incominciato a scrivere la sua poesìa, Nataniele non l'aveva pìu
tormentata coì suoi sogni e i suoi presagi. Anche Nataniele parlava
vivacemente d i cose più divertenti del solito, sicché Qara disse:
- Finalmente ri ho ritrovato completamente. V e d i che siamo riu-
s c i i a cacciar vìa quell'odioso d i Coppelius? - A l l o r a Nataniele si
ricordò d i avere i n tasca la sua poesìa che le aveva voluto recitare.
Prese subito fuori i fogli e incominciò a leggere. Qara, rassegnata
22 RACCONTI NOTTURNI

all'idea d i dover sentire secondo i l solito qualche cosa d i noioso,


incominciò tranquillamente a fare la calza. M a quando le nuvole
fosche incominciarono ad addensarsi sempre più nere lasciò cade-
re la calza e g l i aghi e si mise a fissare Nataniele negli occhi. E g l i
si sentiva trascinato dai suoi versi, i l fuoco del cuore g l i aveva i n -
fuocato le guance; le lacrime g l i scorrevano dagli occhi. - Arrivò
finalmente alla chiusa, si sentiva spossato, non poteva trattenere 1
gemiti - p o i afferrò la mano d i Q a r a e sospirò come perduto i n u n
dolore inconsolabile: - A h ! - Clara - Clara! - Clara l o strinse dol-
cemente fra le braccia e disse sottovoce, ma m o l t o seriamente:
- Nataniele - caro Nataniele del mio cuore - butta nel fuoco questa
favola assurda, pazzesca! - A l l o r a Nataniele balzò i n piedi sdegna-
to e gridò respingendo Clara: - Maledetto automa senza vita! - e
scappò via, mentre lacrime amare scorrevano sul volto d i Clara,
profondamente offesa. - A h , n o n m i ha mai amato, perché non m i
comprende! — e scoppiò i n singhiozzi.
I n quel momento L o t a r i o entrò nella pergola. Clara g l i dovet-
te raccontare quello che era successo. Amava sua sorella con tutta
l'anima, ogni parola dei suoi lamenti cadeva nel suo cuore come una
scintilla, sicché i l malumore che da molto tempo sentiva dentro d i
sé per le fantasticherie d i Nataniele divampò i n un'ira sfrenata.
Corse da Nataniele, g l i rimproverò i l suo assurdo comportamento
d i fronte all'amata sorella, usò dure parole alle quali Nataniele, i n -
furiato, rispose non meno duramente. U n « pupazzo trasognato, i m -
pazzito», f u ribattuto con u n «miserabile, volgare borghese». D i -
verme cosi inevitabile u n duello. Decisero d i battersi la mattina se-
guente dietro i l giardino, secondo g l i usi accademici, con fioretti a-
cuminati. Durante tutta la giornata andarono i n giro col viso scuro
senza d i r parola. Clara aveva sentito la lite ed aveva veduto che ver-
so sera i l maestro d i scherma aveva portato i fioretti. Comprese
quello che stava per succedere. G i i m t i sul luogo del combattimento
Lotario e Nataniele, t u t t i e due foschi e silenziosi, avevano gettato
da una parte le giacche e con g l i occhi accesi dalla smania d i com-
battere, dalla sete d i sangue, stavano per precipitarsi addosso,
quando Clara comparve sulla porta del giardino. Fra i singhiozzi
incominciò a gridare: - Come potete essere cosi t e r r i b i l i , così cru-
deli! Uccidetemi prima d'incominciare a combattere; come potrei
vivere più a lungo suUa terra, se l'innamorato m i uccìde i l fratello
o se i l fratello m i uccide l'innamorato! — L o t a r i o abbassò la lama
guardando silenzioso a terra; ma ìn u n momento dì dolore laceran-
te nel cuore dì Nataniele sì riaccese t u t t o ìl suo amore come n o n
l'aveva mai sentito nei più bei gìomì della sua giovinezza per la dol-
L'ORCO I N S A B B U 23

Qara. L'arma omicida g l i cadde d i mano, si precipitò ai piedi d i


ca. - Potrai mai perdonarmi, unica, amata Q a r a mia? M i potrai
-ai perdonare, Lotario, fratello del mio cuore? - L o t a r i o si com-
)sse per i l profondo dolore dell'amico; fra mille lacrime i tre gio-
i i riconciliati si abbracciarono e giurarono d i non abbandonarsi
ai più, i n eterno amore e i n etema fedeltà.
Nataniele si sentiva dentro d i sé come se u n grave peso g l i fosse
i u t o dalle spalle, che prima l o aveva tenuto piegato al suolo, anzi
!JCome se resistendo alla forza tenebrosa che si era impadronita d i
l i , t u t t o i l suo essere si fosse salvato dalla rovina che l o minacciava,
"asso ancora tre giorni feHci insieme coi suoi cari; p o i ritornò a G .
Jdove pensava d i restare ancora per u n anno prima d i ritornare defi-
itiìtivamente nella città natale.
A l l a madre avevano tenuto nascosto t u t t o quello che si riferiva
Coppelius; sapevano che essa non poteva pensare a l u i senza u n
rande spavento, perché, come Nataniele, g l i attribuiva la colpa
della morte d i suo marito.

Come rimase meravigliato Nataniele quando, arrivato davanti


«Ila sua abitazione, vide che tutta la casa era bruciata e che dal muc-
i d o delle macerie n o n si alzavano più che i m u r i maestri n u d i e an-
:;)tieriti. Sebbene l'incendio fosse scoppiato nel laboratorio del far-
madsta che abitava al pianterreno, e la casa fosse bruciata dal basso
ìn alto, i coraggiosi e bravi amici d i Nataniele erano riusciti a pene-
trare per tempo nella sua stanzetta all'ultimo piano ed a salvare l i -
b r i , manoscritti e strumenti. Avevano portato ogni cosa ìn buon
ordine i n un'altra casa, dove avevano fissato senz'altro ima stanza
nella quale Nataniele potè andare subito ad abitare. N o n badò affat-
t o che i l suo alloggio sì trovava dì faccia a quello del professor Spal-
lanzani, e non fece neanche caso quando si accorse che dalla sua fi-
nestra poteva guardare dentro la stanza dove d i solito O l i m p i a se-
deva tutta sola, sicché poteva riconoscere chiaramente la sua figura,
sebbene i t r a t t i del v o l t o rimanessero lontani e confusi. M a a lungo
andare sì avvide che O l i m p i a rimaneva spesso per ore intere neUa
stessa posizione come l'aveva d i già scorta quel giorno attraverso la
porta d i vetro, seduta davanti a u n tavolino senza fare mai nulla, e
che evidentemente l o fissava senza staccargli u n momento g l i occhi
d i dosso; e dovette confessare anche a se stesso che non aveva mai
veduto ìn vita sua u n personale più bello. M a frattanto, col cuore
pieno d i Clara rimase completamente indifferente per quell'Ohm-
24 RACCONTI NOTTURNI

pia dura ed impalata e solo dì quando i n quando alzava per u n mo-


mento lo sguardo dalle sue dispense e dava un'occhiata alla bella
statua - questo era t u t t o .
Stava scrivendo una lettera a Clara quando sentì bussare l e ^ e r -
mente alla porta; alla sua risposta questa si aperse e si affacciò i l
viso antipatico d i Coppola. Nataniele senti un brivido dentro d i sé.
Tuttavia ricordandosi d i quello che Spallanzani g l i aveva detto a
proposito del suo compatriota ed anche d i quello che aveva promes-
so cosi solennemente alla sua innamorata a proposito dell'orco Cop-
pelius, si vergognò d i quella sua infantile paura dei fantasmi e fa-
cendosi forza disse con tutta la calma e la gentilezza d i cui f u capa-
ce: - N o n compro nessun barometro, amico mìo, vada pure! - M a
Coppola entrò Io stesso nella stanza e spalancando la bocca i n una
orrìbile risata mentre g l i occhietti g l i scintillavano sotto le lunghe
ciglia grige disse con la sua voce rauca: - E h , no barometri, no baro-
m e t r i ! - Avere bei o d - b d o d ! - Natanìele gridò spaventato:
- Pazzo, come puoi avere occhi ? - Occhi - occhi ?
M a nello stesso momento Coppola aveva messo da parte i suoi
barometri e affondando tutte e due le mani nelle tasche capaci del
cappotto aveva incomìndato a tirare f u o r i occhiali ed occhialetti,
disponendoli sul tavolo. - Sì, sì, - occhiali - lenti mettere sul naso,
ecco m i i ocì - bei o d ! - E intanto tirava f u o r i sempre più occhiali,
d i tutte le qualità, i n numero così grande che su t u t t o i l tavolino le
lenti incomindarono a scintillare e a brillare i n u n modo strano. M i -
gliaia d'occhi guardavano, sbattevano convulsamente, fissavano Na-
tanìde; ma n o n poteva distogliere lo sguardo dal tavolo e Coppola
gli metteva sempre più occhiali, nuovi occhiali e g l i sguardi scmtìl-
lanri si confondevano i n u n modo orribile e penetravano coi l o r o
raggi sanguinanti nel petto d i Nataniele. Quasi pazzo dal terrore,
esclamò: - Fermati, fermati maledetto! - e afferrò per i m braccio,
scuotendolo, Coppola che aveva rimesso le mani ìn tasca per tirar
fuori ancora altri occhiali, sebbene i l tavolino fosse già t u t t o coper-
to. M a Coppola si liberò con la sua risata rauca e odiosa brontolan-
do: A h •- no per lei? - A l l o r a ecco bella lente! - arraffò i n u n atti-
mo tutù g l i occhiali, se lì rimise ìn tasca e tirò f u o r i dalle tasche i n -
terne del pastrano una quantità dì tdescopi e d i cannocchiali grandi
e piccoli. Appena gH occhiali furono scomparsi Nataniele sì tran-
quillizzò e ripensando a Clara dovette persuadersi che quella terri-
bile visione era nata assolutamente dentro dì luì e che anche Coppo-
la era u n onorato meccanico ed u n bravo ottico, e non poteva essere
ìn nessun modo ìl fantasma del maledetto Coppelius. Inoltre t u t t i
i cannocchiali che Coppola aveva messo sul tavolo non avevano
L'ORCO INSABBIA 25
"ente di speciale e tanto meno poi qualcosa d i spettrale, e per ripa-
I a t u t t o decise d i comperare qualche cosa.
Prese u n piccolo cannocchiale tascabile molto ben lavorato e per
rovarlo guardò f u o r i della finestra. M a i i n vita sua aveva ancora
w v a t o lenti che portassero g l i oggetti così ben disegnati e chiari
-vanti agli occhi. Involontariamente guardò dentro la stanza d i
palianzani; Olimpia stava seduta come al solito davanti al suo ta-
volino tenendovi appoggiate le braccia, con le mani i n mano. Sola-
ite ora Nataniele potè scorgere i l meraviglioso visetto d i O l i m -
ia. G l i occhi tuttavia g l i sembravano troppo fissi, senza sguardo, e
- o r t i . M a guardando sempre p i t i acutamente attraverso Ìl suo can-
g i a l e g l i parve che negli occhi d i Olimpia si accendessero u m i d i
j i d i mare. Era come se all'improvviso Ì suoi sguardi si fossero
;si ed ora fiammeggiassero sempre più vivacemente. Nataniele
p m a s e alla finestra come incantato, continuando ancora a fissare la
leste bellezza d i Olìmpia.
Si svegliò come da u n sogno profondo sentendo qualcuno che
jiossicchiava e si raschiava i n gola dietro le sue spalle. Gjppola g l i
;M era avvicinato: - T r e zecchini, tre zecchini - . Nataniele si era
iiemplicemente dimenticato dell'ottico e g l i pagò I n fretta quello
iiie gH aveva chiesto. - N o vero? - Bella lente - bella lente ? - chie-
se Cbppola con la sua voce insopportabile e i l suo falso sorriso. — Sf,
igf, sì! - rispose Nataniele d i malumore. - A d d i o caro amico! - Cop-
jx)la uscì dalla stanza n o n senza aver guardato ancora u n paio d i
/Volte d i nascosto, con un'aria strana dalla parte d i Nataniele. Questi
'0 senti ridere forte sulle scale. «Si capisce, - pensò Nataniele, -
Iride alle mie spalle perché senza dubbio g l i ho pagato troppo caro
suo piccolo cannocdiiale - l'ho pagato troppo caro! » - e ripeten-
do queste parole sottovoce g l i parve d i sentire risuonare paurosa-
(mente n e l k stanza u n jìrofondo sospiro mortale. A Nataniele dallo
i^pflvento, si fermò il respiro i n gola. M a era stato l u i stesso a sospi-
'•rare; lo comprese iDenissimo. « Clara, - disse a se stesso, - ha dawe-
• to ragione quando dice che sono uno sciocco, i m visionario. Eppure
,è strano - ah, assai peggio che strano, che questo sciocco pensiero
di avere pagato troppo caro Ìl cannocchiale a Gappola, m i faccia
tanta paura; non posso comprenderne i l motivo».
Si rimise al suo tavolino per terminare la lettera per Clara; ma
uno sguardo gettato fuori dalla finestra l o convinse che Olimpia era
ancora seduta al suo posto, e nello stesso momento, come spinto da
una forza irresistibile, saltò i n piedi, afferrò i l cannocchiale d i Cop-
pola e n o n potè staccarsi dalla seduzione d i O l i m p i a , fin quando n o n
venne a chiamarlo Ìl suo amico e camerata Sigismondo, per andare
26 RACCONTI NOTTURNI

alla lezione del professor Spallanzani. La tenda davanti alla stanza


fatale era completamente chiusa e cosf n o n potè scorgere Olimpia
nella sua stanza né quel giorno, né i due giorni seguenti sebbene
non abbandonasse quasi mai la finestra e guardasse continuamente
attraverso la strada col cannocchiale d i ODppola. I l terzo giorno an-
che le finestre furono chiuse con una tenda. T u t t o disperato e spin-
to dalla nostalgia e da un'ardente brama usci d i città e si mise a cor-
rere per la campagna. La figura d i O l i m p i a g l i brillava davanti nel-
l'aria, g l i veniva incontro fra g l i alberi e l o guardava con i grandi
occhi luminosi dalle acque profonde e limpide dei ruscelli. L'imma-
gine d i Clara era completamente scomparsa dal suo cuore. N o n pen-
sava p i l i che ad O l i m p i a e si lamentava ad alta voce, piangendo:
- A h , subUme, meravigliosa stella dell'amore, perché t i sei alzata
per me nel cielo se dovevi subito scomparire e abbandonarmi i n
questa notte tenebrosa, senza speranza?
Mentre stava rincasando si accorse che i n casa d i Spallanzani
c'era u n gran da fare, gran chiasso e confusione. Le porte erano spa-
lancate, facchini trasportavano dentro ogni sorta d i mobili. Le fine-
stre del p r i m o piano erano completamente aperte; donne d i servi-
zio indaffarate spazzavano e spolveravano, ripulivano tutte le pare-
t i con grandi scope d i crine; dì dentro si sentivano falegnami e tap-
pezzieri battere e bussare. Nataniele sì fermò t u t t o meravigliato i n
mezzo alla strada e i n quella Sigismondo g l i sì avvicinò ridendo e
gli chiese: - Dunque cosa ne dici del nostro vecchio Spallanzani? -
Nataniele rispose che non aveva niente da dire, visto che non sape-
va assolutamente niente del professore ed invece constatava con
meraviglia che nella casa prima cosi tranquilla e piuttosto melanco-
nica si era scatenato all'improvviso t u t t o quel fracasso. A l l o r a Si-
gismondo g l i raccontò che i l giorno dopo Spallanzani voleva dare
una grande festa con ballo e concerto e che aveva invitato mezza
università. Aveva fatto sapere a t u t t i che Spallanzani avrebbe pre-
sentato per la prima volta i n società la sua figliola O l i m p i a che ave-
va tenuta per tanto tempo, paurosamente nascosta agli occhi d i
tutti.
Nataniele trovò u n biglietto d'invito e all'ora stabilita se ne an-
dò col cuore palpitante dal professore, quando già le prime carrozze
erano arrivate e le lampade erano state accese nelle sale guarnite.
La società era numerosa e magnifica. O l i m p i a comparve con u n ve-
stito ricco e pieno dì buon gusto. T u t t i dovettero ammirare ìl suo
bel volto, i l magnifico personale. L'eccessiva curva delle reni, la
sottigliezza da vespa della cintura parevano una conseguenza del
busto troppo stretto. Anche nel modo dì muoversi e d i tenersi c'era
L'ORCO INSABBIA 27

qualcosa d i troppo misurato e d i rigido che a qualcuno poteva di-


spiacere; ma t u t t i l o attribuivano alla soggezione che le incuteva la
società.
Incominciò i l concerto. Olimpia suonò i l piano con grande abi-
lità e contemporaneamente si mise a cantare un'aria d i bravura con
una limpida voce da campana d i vetro, forse u n tantino stridente.
Nataniele era come rapito; stava nell'ultima fila e nella luce abba-
gliante delle candele n o n poteva ben distinguere i lineamenti d i
Olimpia. Senza pensare, prese i l cannocchiale d i Coppola per guar-
dare la bella Olimpia. A h - allora si accorse che essa guardava con
nostalgia verso d i l u i , che ogni nota si trasformava palesemente i n
i m o sguardo innamorato che penetrava ed accendeva i l suo cuore.
I gorgheggi più ammirevoli sembravano a Nataniele i l grido d i
gioia dell'animo trasformato dall'amore e quando finalmente, dopo
una cadenza, u n limgo t r i l l o squillante risuonò attraverso la sala, si
senti come stretto fra due braccia ardenti e n o n potè più trattener-
si; per i l dolore e per l'estasi dovette gridare forte: - Olimpia! -
T u t t i sì voltarono verso dì l u i ; più d'imo scoppiò a ridere. M a l'or-
ganista del duomo fece u n viso più scuro d i prima e sì limitò a dire:
— Andiamo, andiamo! - I l concerto terminò. Incominciò ìl ballo.
«Poter ballare con lei - con lei !» - oramai questo era l'unico scopo,
erano i desideri, ì sogni d i Natanìele; ma come farsi tanto coraggio
e andare ad invitare l e i , proprio l e i , la regina della festa? Eppure
- luì stesso n o n avrebbe potuto dire come successe, che quando le
danze erano già incominciate sì trovò accanto ad Olimpia la quale
non era stata invitata da nessuno e che, capace appena d i balbettare
qualche parola, la prese per mano. Fredda come i l ghiaccio era la
mano d i Olimpia; si sentì attraversare da u n terrìbile brivido d i
morte. Fissò Olimpia negli occhi; si sentì colpito dai raggi dell'a-
more e della nostalgia e nello stesso momento g l i sembrò anche che
nella mano gelata incominciasse a battere i l sangue e ad ardere i l
calore della vita. E d anche nel cuore d i Nataniele divampò più for-
te l'amore; strinse la bella Olimpia fra le braccia e incominciò a gi-
rare con lei fra i gruppi dei ballerini.
Finora aveva sempre creduto d i saper ballare bene e a tempo;
ma la particolare sicurezza ritmica con cui ballava Olimpia e che
talvolta g l i faceva addirittura perdere i l tempo, lo convìnse presto
d i non avere addirittura i l senso del r i t m o . Tuttavìa giurò a se stes-
so che non avrebbe mai più ballato con un'altra donna e appena
qualcuno si avvicinava ad Olìmpia per invitarla avrebbe avuto vo-
glia d i assassinarlo. M a ìn realtà questo successe due volte sole; con
sua grande meravìglia Olimpia restava a sedere ad ogni ballo, ed
28 RACCONTI NOTTURNI

egli non mancava mai d i andarla a prendere. Se avesse avuto occhi


per vedere anche qualche altra cosa che non fosse la bella O l i m p i a ,
sarebbero senza dubbio scoppiati l i t i g i e scene d i ogni sorta; perché
non c'è dubbio che le risatine appena represse che scoppiavano qua
e là fra i crocchi d i giovani erano indirizzate alla bella O l i m p i a che
essi seguivano con un'aria molto curiosa - nessuno avrebbe potuto
dire perché.
Riscaldato dalla danza e dal vino bevuto abbondantemente, Na-
taniele aveva dimenticato la sua solita timidezza. Stava seduto ac-
canto ad Olìmpia tenendole la mano fra le sue e parlava t u t t o acce-
so ed entusiasmato del suo amore con parole che nessuno era capa-
ce d i comprendere, né O l i m p i a né l u i . O forse questa le compren-
deva perché lo fissava ininterrottamente negli occhi e n o n faceva
altro che sospirare d i continuo: - A h , - ah - ah! — ed allora Nata-
nìele le rispondeva: - O creatura meravigliosa, celeste, raggio d e l
paradiso promesso dell'amore, cuore profondo i n cui t u t t o i l m i o
essere sì rispecchia! - ed u n sacco d i ì^tre frasi d i questo genere; e
Olìmpia ogni volta tornava a sospirare: - A h - ah! - I l professor
Spallanzani passò u n paio d i volte davanti alla coppia felice, con
uno strano risolino soddisfatto.
Sebbene si trovasse completamente f u o r i d i questo mondo, d ' u n
tratto parve a Nataniele che sulla terra e ìn casa del professor Spal-
lanzani incominciasse a fare piuttosto buio. Si guardò all'intorno e
con non poco spavento si accorse che le due ultime candele si erano
consumate e stavano per spegnersi nella sala vuota. D a molto tem-
po erano terminate la musica e le danze. - A h , separarci, lasciarci! -
esclamò t u t t o sconvolto e disperato; baciò la mano d i O l i m p i a , si
chinò sulla sua bocca; due labbra gelate incontrarono le sue ardenti.
Come prima, quando aveva toccato la gelida mano dì O l i m p i a , si
senti preso da u n i n t i m o terrore. G U passò d'improvviso per la
mente la leggenda della fidanzata morta; ma O l i m p i a l o aveva stret-
to al proprio seno e sembrò che i l bacio riscaldasse e richiamasse
alla vita le sue labbra. - I l professor Spallanzani stava attraversan-
do lentamente la sala vuota; ì suoi passi destavano un'eco sepolcra-
le, e la sua figura su cui giocavano le ombre delle candele morenti
aveva u n aspetto spettrale, pauroso. - M i ami? - M i ami. O l i m -
pia? - U n a parola sola! - M i a m i ? - Gasi sussurrava Nataniele; ma,
alzandosi, O l i m p i a sospirò solamente: - A h - ah! - SI, soave, me-
ravigliosa stella dell'amore, disse Natamele, sei spuntata per me nel
cielo ed ora illuminerai e riscalderai per sempre i l mìo cuore ! - A h -
ah! •- Replicò O l i m p i a avviandosi. Natamele la seguì, sì trovarono
d i fronte al professore. - H a fatto ima conversazione animata con
L'ORCO INSABBIA 29

i mia figlia, - disse questi sorridendo. - Bene, bene, caro signor Na-
-taniele, se lei ci prova gusto a far chiacchiere con questa scioccherel-
l i , le sue visite saranno per me u n piacere.
Con tutto u n cielo luminoso, raggiante nel cuore, Nataniele usci
I d i là. I giorni seguenti nessxmo parlava d'altro che della festa d i
ISpallanzani. Sebbene i l professore n o n avesse trascurato nulla per
max una splendida figura le teste allegre raccontavano una quantità
i d i stranezze, d i contrattempi che si erano avverati e soprattutto si
|diiacchierava molto a proposito della rigidità e del silenzio d i O l i m -
. alla quale, ad onta della sua bellezza esteriore, attribuivano una
le ottusità d i spirito ed i n ciò si voleva vedere la causa per cui
aUanzani l'aveva tenuta nascosta tanto tempo. Nataniele n o n po-
sentire questi discorsi senza sentirsi sconvolto; ma n o n diceva
jUa perché, pensava, che scopo c'era d i mostrare a quei ragazzetti
: era proprio la l o r o ottusità i l m o t i v o per cui n o n potevano rico-
jscere i sentimenti profondi, meravigliosi d i OHmpia.
- Fammi i l favore, camerata, - disse u n giorno Sigismondo, - d i
p i i r m i come t i può essere venuto i n testa a te, che piire sei una perso-
||ta intelligente d i stupidirti dietro a quella faccetta d i cera, a quella
sboia d i legno? — Nataniele stava per andare i n furia, ma si trat-
j|i«nne e rispose: - D i m m i piuttosto t u , Sigismondo come al t u o
latdo che dì solito concepisce ogni bellezza, come al tuo spìrito
ìvace sia p o t u t o sfuggire U d i v i n o fascino d i Olìmpia? M a proprio
lesto è i l m o t i v o che, grazie alla nostra sorte, n o n sei mìo rivale;
lenti uno d i n o i due dovrebbe cadere nel proprio sangue - . Si-
ismondo, accorgendosi a che punto era arrivato i l suo amico, ebbe
.buon senso d i dargli ragione ed aggiunse, dopo avere osservato
i n fatto d'amore n o n si può mai discutere sull'oggetto amato:
• Però è strano che m o l t i d i n o i hanno su per giù la stessa opinione
Olìmpia. Per i l nostro gusto - non avertene a male camerata! c'è
sa un poco troppo rigida e senza spirito. H a u n personale m o l t o
ilare, è vero ed anche u n bel viso; potrebbe passare per una vera
lazza se ì suoi occhi n o n fossero cosf senza vita, starei per dire
sa sguardo. £ p o i cammina a passi misurati; ogni movimento
fa sembra che sia regolato dalie rotelle d i u n meccanismo.
i Q u a n d o suona, quando canta ha l o stesso r i t m o cosf sgradevole,
nso e senza spirito come una macchina cantante, e l o stesso si
isa quando balla. Insomma per n o i questa OUmpìa ha qualcosa
l'inquietante e n o n vorremmo avere nidla a che fare con lei. C i pa-
ra che facesse finta d i essere u n essere vivente e che sotto cì fosse
Icosa d i poco chiaro.
Nataniele non sì abbandonò affatto ai sentimenti dì amarezza
30 RACCONTINOTTURNI

che Stavano per impossessarsi d i l u i alle parole d i Sigismondo; do-


minò i l suo malumore e si limitò a dire con molta serietà; - Può
darsi benissimo che per v o i altre, creature fredde e prosaiche, O l i m -
pia sia fredda e inquietante. Solo ad u n animo poetico si rivela i m
animo ugualmente ispirato. Solo verso d i me è sceso i l suo sguar-
do innamorato illuminando i miei sensi e i miei pensieri; solo nel-
l'amore d i O l i m p i a ritrovo me stesso. A v o i probabilmente n o n
piace perché n o n sta a chiacchierare nelle più stupide conversazio-
n i , come altri spiriti p i a t t i . Parla poco, è vero; ma le poche parole
che prommcia si rivelano come autentici geroglifici d i u n mondo
interiore pieno d i amore e d i alti pensieri, d i una vita spirituale che
contempla i mondi etemi. M a v o i queste cose n o n le capite, ed è i -
nutile che perda fiato con te. - Q i e D i o t i protegga, caro camerata!
- disse Sigismondo dolcemente, quasi melanconicamente; - ma m i
sembra che t u t i sia messo per una b m t t a strada. P u o i contare su dì
me nel caso che tutto... M a no, non voglio dire altro - . A l l ' i m p r o v -
viso Nataniele ebbe l'impressione che i l freddo, prosaico Sigismon-
do fosse u n fedele amico; e scosse perciò con t u t t o i l cuore la mano
che g l i ofiriva.
Nataniele aveva completamente dimenticato che a questo mon-
do esisteva una Clara che tma volta aveva amato; - la madre — Lo-
tario - t u t t i erano come scomparsi dalla sua memoria. Viveva solo
per O l i m p i a con la quale passava giornalmente ore Intere fantasti-
cando del suo amore, della simpatia che si accende e diviene vita,
dell'affinità fisica - ed O l i m p i a ascoltava t u t t o con la più grande de-
vozione. D a i più profondi ripostigli della sua scrivania Nataniele
tirò t u t t o quello che aveva scritto i n vita sua; poesie, fantasie, visio-
n i , romanzi, racconti; e tutte queste opere aumentavano giornal-
mente con ogni sorta d i sonetti, stampe, canzoni, che spaziavano
nell'azzurro, e leggeva per ore intere d i seguito, ad O l i m p i a , senza
stancarsi mai. M a mai ancora i n vita sua aveva avuto un'ascoltatrice
cosi magnifica. N o n ricamava e n o n faceva la calza, non guardava
fuori della finestra, non dava Ìl becchime agli uccelletti, n o n gioca-
va col cagnolino, non prendeva i n collo i l gatto, n o n rigirava fra le
dita u n pezzetto d i carta o qualche altra cosa, non aveva bisogno d i
nascondere g l i sbadigli con qualche leggero e provvidenziale colpo
d i tosse. Insomma per ore intere essa fissava ininterrottamente sen-
za battere ciglio g l i occhi dell'innamorato, senza muoversi, né al-
zarsi, ed i l suo sguardo diveniva sempre più acceso, sempre più v i -
vace. Solo quando Nataniele finalmente si alzava e le baciava la
mano, o andie la bocca, diceva; — A h - ah! - e p o i aggiungeva:
- Buona notte, m i o caro! - O h , pura, meravigliosa anima, - escla-
L'ORCO INSABBIA 31

0iava Nataniele ritornato nella sua stanza, - solo t u , solo t u , m i sai


[ CÉKnpletamente comprendere - e tremava nell'estasi quando riflet-
^teva alla meravigliosa armonia che ogni giorno più si rivelava nella
;sua e nell'anima d i O l i m p i a ; poiché g l i sembrava che sulle sue ope-
sul suo dono d i poeta O l i m p i a stessa parlasse dal suo cuore, che
fosse la sua voce quella che risuonava dentro d i l u i . E doveva essere
sis«:ramente cosi; perché O l i m p i a non pronunciava mai una parola d i
d i quelle che abbiamo trascritte più sopra.
M a se anche Nataniele i n qualche momento d i lucidità, per e-
«empio la mattina appena desto, si ricordava veramente della piena
ssività e delle poche parole d i O l i m p i a , finiva lo stesso con l'e-
lamare: — Che cosa sono le parole? - Parole! - L o sguardo dei
>i occhi celesti dice più d i qualimque lingua su questa terra. Co-
e può una creatura del genere adattarsi al cerchio ristretto che è
Ito tracciato dai nostri miseri bisogni terreni?
I l professor Spallanzani sembrava t u t t o felice per la relazione
sua figlia con Nataniele; dava a quest'ultimo ogni sorta d i prove
. discutibili delia sua benevolenza ed u n giorno che Nataniele osò
.finalmente accennare da lontano ad i m legame con O l i m p i a , Ìl viso
^ixX professore si coperse d i u n sorriso d i soddisfazione e rispose che
avrebbe lasciato sua figlia completamente libera d i decidere. Inco-
Ipiggiato da queste parole, con i l cuore ìn fiamme per ìl desiderio,
fiatamele decise d i supplicare subito i l giorno successivo OUmpia
:hé pronimciasse schiettamente, a chiare parole quello che già
! tempo g l i avevano detto ì suoi dolci sguardi innamorati, cioè che
ilfOleva essere sua per sempre. Cercò l'anello che sua madre gli aveva
vAtìo al momento dell'addìo, per offrirlo ad O l i m p i a come sìmbolo
!ii(tella sua dedizione della sua nuova vita che germinava, fioriva con
;Ì(Ù. Così g l i caddero fra le mani le lettere d i Q a r a , d i Lotario, ma le
j|cttò con indifferenza da una parte, trovò.l'anello, l o mise i n tasca
«attraversò dì corsa la strada per recarsi da O l i m p i a .
G i à sulle scale, nel corridoio udì un fracasso straordinario che
tjiembrava venire dallo studio d i Spallanzani u n calpestio sul pavi-
.Riento - i m o scricchiolio - u n trapestio - colpì contro la porta - e
, mezzo urla e bestemmie. - Lascia — lascia! - Infame - Maledet-
to! - perché cì ho sacrificata tutta la vita! - H a , ha, ha, ha! - Così
%on era nei p a t t i ! — I o , ìo ho fatto g l i occhi. - E chi ha fatto ìl mec-
iWnismo? ! - V a i all'inferno col tuo meccanismo! - Povero somaro
4*un orologiaio! — Vattene, demonio! Fermati! - Fabbricante d i
Mpe - bestia infernale! - Ferma - via - lascia! - Erano le voci dì
>]^Jlan2ani e dell'orribile Coppelius che urlavano e si confondeva-
po così. Nataniele si precipitò nella stanza, preso da un'angoscia
32 RACCONTI NOTTURNI

indicibile. I l professore teneva una figura umana per le spalle, l'ita-


liano Coppola l'aveva afferrata per i piedi e la tiravano d i qua e d i
là girandola da tutte le p a r t i , combattendo t u t t i infuriati per i l suo
possesso. Terribilmente sconvolto Nataniele fece u n salto indietro,
quando vide che quella figura era O l i m p i a . Infiammato, accecato
dall'ira voleva strappare la sua amata ai due litiganti inferociti; ma
nello stesso momento Coppola, girandosi con ima forza da gigante,
strappò la figura dalle mani del professore e gliela dette i n testa con
un colpo cosi terribile che quello ricadde all'ìndietro sul tavolo do-
ve stavano le fiale, le storte, le serpentine, i c i l i n d r i d i vetro, perdet-
te l'equilibrio e ruzzolò a terra. T u t t i g l i arnesi andarono i n mille
pezzi con uno strepito del diavolo. A l l o r a Coppola si gettò la figura
sopra le spalle e con una orribile risata stridente si precipitò giù per
le scale sicché i piedi della figura che g l i penzolava tristemente sulla
schiena, urtavano sugli scalini con u n rumore d i legno, facendoli
rimbombare.
Nataniele era rimasto d i pietra. Aveva visto anche troppo chia-
ramente: i l viso d i O l i m p i a , pallido come la cera, come la morte,
non aveva più g l i occhi, ma invece due occhiaie vuote e nere; - era
una bambola inanimata. Spallanzani si rotolava sul pavimento; i
frammenti d i vetro g l i avevano tagliato la testa, i l petto e le braccia,
i l sangue g l i zampillava come da una fontana. M a riuscì a raccoglie-
re le proprie forze. - Corrigli dietro, corrigli dietro! Cosa aspetti?
- Coppelius, Coppelius! - Mì ha rubato u mio automa migliore.
- V e n t i anni d i lavoro - la vita cì avevo messo! - I l meccanismo - la
voce - ìl passo, mìo, t u t t o mio! G l i occhi - g l i occhi t i avevo ruba-
to. - Maledetto, dannato! - Corrigli dietro! - Riportami Olìmpia!
- Ecco g l i occhi ! - A l l o r a Nataniele vide che due occhi insanguinati
erano sul pavimento e l o fissavano; Spallanzani l i afferrò con la ma-
no che n o n era ferita e glieli gettò addosso colpendolo i n mezzo al
petto. A l l o r a la follia lo afferrò con i suoi artigli incandescenti e pe-
netrò nel suo cuore, dilaniando ì suoi sentimenti, i suoi pensieri.
- H o p - hop - hop! - G i r a t i - girati - giro dì fuoco - giro dì fuoco
- girati! - Allegro - allegro! - Bambola d i legno - hop - bella bam-
bolìna dì legno, girati! - E si gettò addosso al professore abbran-
candolo per la gola, l o avrebbe senza dubbio strozzato ma Ìl fracas-
so aveva fatto accorrere molta gente, penetrarono nella stanza, tira-
rono indietro Nataniele furioso e salvarono cosf ìl professore che
fu subito medicato. Per quanto fosse robusto, Sigismondo n o n r i u -
sciva a trattenere Nataniele che continuava a gridare dì continuo:
- G i r a t i , bambolina d i legno, girati! - menando i n t o m o a sé colpi
all'impazzata. Finalmente i n molte persone riuscirono a sopraffar-
L'ORCO INSABBIA 33
lo, buttandolo per terra e legandolo. Le sue parole finirono ben pre-
; sto in un orribile urlo bestiale. Cosi, in un orribile accesso di pazzia
.furiosa fu trasportato al manicomio.

Prima di continuare a raccontarti, o benevolo lettore, Ìl resto


ideila storia dell'infelice Natamele, posso assicurarti, nel caso che tu
. abbia preso una certa parte al destino dell'abile meccanico e del fab-
bricante di automi, Spallanzani, che egli guarì completamente delle
;sue ferite. Tuttavia fu costretto ad abbandonare l'università, per-
ché le avventure di Nataniele avevano suscitato molto scalpore e
'generalmente si riteneva che fosse stato un ingarmo della peggiore
•Specie avere contrabbandato in filosofici tè pomeridiani - che Olim-
;pia aveva frequentato con successo - una bambola di legno invece
;'di una persona vera. Alcuni giuristi anzi la definirono una truffa
r sottile, e che perciò doveva essere punita tanto più rigorosamente,
• perché era stata organizzata ai danni del pubblico e con tanta astu-
zia che nessuno, fatta eccezione di alcuni studenti più furbi, se n'era
accorto, sebbene ora tutti si dimostrassero molto accorti e citavano
, questo o quell'episodio che l i aveva messi in sospetto. Costoro però
; non rivelarono nessun particolare particolarmente piccante. Perché
tome mai a qualcuno poteva essere sembrato sospetto, mettiamo, i l
fatto che secondo la testimonianza dei più eleganti frequentatori di
tè, Olimpia contro tutte le abitudini era più portata a starnutire che
' a sbadigliare? Questi sternuti, cosi ragionava l'elegante in questio-
ne, erano invece i movimenti della molla segreta del meccanismo
che si ricaricava da sé; e si potevano udire chiaramente scricchiolii
ecc. ecc. I l professore di Poesia e di Eloquen2a pizzicò ima presa di
tabacco, richiuse con un colpetto la tabacchiera, tossicchiò e pro-
nunciò solennemente: - Stimatissimi signore e signori, non si sono
dunque accorti qual è i l veleno dell'argomento? Non si tratta altro
' che di una allegoria, - una metafora continuata. - M i comprendo-
no? - Sapienti sat!
Ma molti di questi onorarissimi signori non si tranquillizzarono
per questo; l'avvenmra dell'automa si era profondamente radicata
nella loro anima, e difatti incominciò a diffondersi ima sfiducia pie-
na di ribrezzo contro le figure umane. Per essere proprio sicuro dì
non essersi innamorato di una bambola di legno, più di uno spasi-
mante esigeva che la sua bella cantasse e ballasse un poco fuor dì
tempo, che durante ima lettura ricamasse, facesse la calza, giocasse
col bassotto, ecc. ma soprattutto che non si limitasse ad ascoltare
ma che parlasse anche in modo che quello che diceva lasciasse pre-
34
RACCONTI NOTTURNI

supporre che aveva anche sentito e pensato qualche cosa. I n queste


condizioni i legami amorosi d i m o l t i fortunati divennero più solidi
e quindi più piacevoli; altri invece pian piano si sciolsero. - N o n si
può essere mai sicuri d i niente, - dicevano questo e quello. Sui p r i -
m i tempi i n t u t t i i tè si sbadigliava m o l t o e n o n c'era pericolo d i
sentire uno starnuto, e cosi non furono suscitati n u o v i sospetti. -
Spallanzani, come si è detto, dovette andarsene per sfuggire all'i-
struttoria iniziata i n seguito all'introduzione fraudolenta d i u n au-
toma nella società umana. Anche Coppola era scomparso,..
Natamele si destò come da u n incubo pauroso. R i a p r i g l i occhi e
senti che u n indescrivibile senso d i gioia l o penetrava con soave ce-
leste tepore. Si ritrovò nel suo letto, nella stanza che occupava nella
casa paterna; Clara stava chinata sopra d i l u i e poco lontano stava-
no anche la madre e Lotario. — Finalmente, finalmente. Natamele
del mio cuore, - ora sei guarito d i questa terribile malattia, ora sei
nuovamente m i o ! - C o s i parlò Clara dal fondo della sua anima,
stringendo Nataniele fra le braccia. M a la grande nostalgìa dell'e-
stasi fece sgorgare dagli occhi d i quest'ultimo lacrime chiare e
cocenti, e gemette profondamente: - Clara - Clara mìa! - Sigi-
smondo che aveva fedelmente curato ìl suo amico ìn quei giorni dì
angoscia, entrò nella stanza. Nataniele g l i porse la mano: - Fedele
camerata, anche t u non m i hai abbandonato —, O g n i tratto d i pazzia
era scomparso; e ben presto Nataniele riprese le sue forze grazie al-
le cure premurose della madre, dell'innamorata e dell'amico.
I n t a n t o nella piccola casa era venuta davvero la fortuna: perché
l o zio, vecchio ed avaro, dal quale nessuno si era aspettato niente,
era m o r t o ed aveva lasciato alla madre insieme con u n patrimonio
non indiiferente, anche una viUetta ìn una piacevole posizione n o n
lontano dalla città. Decisero dì stabilirvìsi, la madre, Nataniele, con
la sua Clara che pensavano oramai d i sposarsi e Lotario. Nataniele
era divenuto più dolce, quasi più infantile, d i quanto fosse mai sta-
to e solamente ora comprese veramente la magnifica anima pura, ce-
lestiale dì Clara. Nessuno g l i rammentava mai, neppure con la più
leggera allusione, ìl passato. Solo quando Sigismondo si separò da
l u i , Nataniele g l i disse: - Per D i o , camerata, m i ero messo su una
brutta strada, ma un angelo mì ha ricondotto a tempo sul sentiero
della luce. - A h , ah, è stata la mia Gara! - Sigismondo non g l i per-
mise d i dire altro, per paura che rinascesse i n l u i , troppo chiaro e
fiammeggiante, quache ricordo doloroso.
Era venuto oramai i l momento i n cui quelle quattro creature fe-
l i c i avevano deciso dì recarsi nella viUetta. Verso mezzogiorno si
trovarono nel centro della città. Avevano fatto vari acquisti e Talta
L'ORCO INSABBIA 35

torre del municipio gettava la sua ombra gigantesca attraverso i l


mercato. — O h , - disse Clara, - andiamo ancora una volta là i n cima
a guardare le montagne lontane! - Detto, fatto. Entrambi, Natanie-
le e Clara incominciarono a salire; la madre si avviò verso casa con
i la servetta, e L o t a r i o che non aveva voglia d i fare t u t t i quegli scali-
n i , disse che l i aspettava da basso. E così i due innamorati si trova-
^rono a braccetto sulla galleria più alta della torre spaziando con l o
sguardo sulla distesa profumata dei boschi i n fondo alla quale le
' montagne azzurre si elevavano come una città dì giganti.
, - Guarda mi p o ' quello strano ciuffo grigio che sembra venire
direttamente addosso a noi ! - esclamò Clara. - Nataniele mise mec-
canicamente ima mano i n tasca e v i trovò i l cannocchiale dì Coppo-
la. Se l o mise davanti agli occhi. Clara venne a trovarsi davanti alle
. l e n t i . — Immediatamente sentì come una convulsione nelle vene e
; nei polsi — incominciò a fissare Clara, pallido come u n cadavere; ma
ben presto negli occhi stralunati g l i si accesero come correnti d i
fuoco scintillanti. Si mise ad urlare ìn u n modo terribile, come u n
animale ferito; p o i incominciò a saltare ridendo paurosamente e
gridando a perdifiato: - G i r a , gira marionetta... gira, gira mario-
netta! — G i r a t i , bambola dì legno! - G i r a t i bambola d i legno, gira-
t i ! - G i r a , gira marionetta... gira, gira marionetta! - E con una for-
za terribile afferrò Clara tentando d i buttarla da basso; mortalmen-
te spaventata, con uno sforzo disperato, Clara sì afferrò alla balau-
stra. L o t a r i o sentì le urla del pazzo, senti le grida d i angoscia d i Cla-
ra - i più neri presagì s'impossessarono d i l u i ; salì dì corsa nella tor-
re - la porta della seconda scala era chiusa a chiave - più forte si
sentivano risuonare le grida terrorizzate d i Clara. Pazzo dallo spa-
vento e dal furore si precipitò due, tre volte contro la porta, che
finalmente si spalancò. - Sempre più fievole diveniva la voce d i Cla-
ra, - A i u t o ! - A i u t o ! - Si udiva la voce morente nell'aria. - È cadu-
ta - assassinata da quel pazzo! - gridò Lotario. Anche la porta del-
la galleria era stata rinchiusa. La disperazione g l i dette forze gigan-
tesche - riuscì a scardinare la porta. D i o del cielo! Afferrata da Na-
tamele impazzito, Clara era sospesa per aria al d i sopra della galle-
ria - si teneva ancora afferrata alla ringhiera con una mano sola. Ra-
pido come i l fulmine L o t a r i o afferrò la sorella, la tirò dentro e nel-
lo stesso momento colpì con tutta la forza i l pazzo i n mezzo al viso,
che indietreggiò abbandonando la sua preda.
L o t a r i o corse giù, strìngendo fra le braccia la sorella svenuta.
L'aveva salvata. - Nataniele smaniava sulla galleria, saltava i n alto
e gridava: - G i r a , cerchio d i fuoco! - gira, cerchio d i fuoco! - Le
sue urla selvagge avevano fatto accorrere ai piedi della torre un
RACCONTI NOTTURNI
36

gruppo d i gente fra cui si ergeva gigantesca la figura dell'avvocato


G)ppelius i l quale era arrivato i n città i n quel momento, dirigendo-
si senz'altro verso la piazza del mercato. Qualcuno voleva salire
sulla torre per portare via i l povero pazzo; ma Coppelius scoppiò
i n una risata e disse: - A h , ah, aspettate, vedrete che viene giù da
sé! - e continuò a guardare come g l i a l t r i , col naso per aria. Nata-
niele si arrestò d'un tratto come incantato; si chinò sulla balaustra,
scorse Coppelius e con u n grido atroce: - A h , bei oci - bei o d ! -
saltò giù dalla torre.
Nataniele rimase steso sul selciato della piazza con la testa sfra-
cellata; nella confusione Coppelius scomparve.

V a r i anni dopo qualcuno raccontò d i aver veduto i n una regione


lontana Clara seduta davanti alla porta d i una bella casa d i campa-
gna tenendo fra le sue le mani d i u n uomo simpatico, e guardando
due bei bambini che giocavano davanti a lei. Si potrebbe dedurne
che Clara era riuscita o stesso a trovare quella serena felicità dome-
stica che si meritava per i l suo animo sereno e vivace e che mai le
avrebbe potuto assicurare Nataniele con la sua natura infelice.
IGNAZIO D E N N E R

I n tempi remotissimi vìveva entro una foresta selvaggia e inabi-


"ta della regione dì Fulda i m bravo cacciatore d i nome Andrea '.
n passato egli era stato guardiacaccia personale del conte L u i g i von
,ach'; l o aveva accompagnato nei suoi lunghi viaggi per le belle
»ntrade italiane e, una volta, quando sulle malsicure vìe del reame
Napoli erano stati assaliti dai briganti, g l i aveva anche salvato la
ita con prontezza dì spirito e coraggio. Nella locanda napoletana
cui avevano preso alloggio viveva una meravigliosa giovinetta,
luna povera orfanella raccolta i n casa dall'oste, che però la trattava
ioon grande durezza, costrìngendola ai pìu u m i l i servizi, i n cucina e
l^a cortile. Andrea, spiegandosi a stento, aveva più volte tentato d i
fljrivolgerle alcune parole dì conforto, c la poverina si era presa d ' u n
' t a l e affetto per l u i da non volersene più separare; l o avrebbe segui-
ito, piuttosto, fin nella fredda Germania. I l conte v o n Vach, intene-
rito dalle preghiere d i Andrea e dalle lacrime della fanciulla, per-
, mise a costei cU sedere a cassetta accanto all'amato e d i ìntraprcnde-
' t e insieme a loro i l faticoso viaggio d i ritorno. Prima ancora d'aver
varcato ìl confine italiano, Andrea e Giorgina si sposarono e quan-
do furono d i nuovo i n patria, nei possedimenti del conte, questi
credette bene d i ricompensare i l fedele servitore nominandolo
guardiacaccia della propria bandita. Andrea andò dunque a vivere
con la sua Giorgina e u n vecchio garzone nel bosco solitario e sel-
vaggio, che avrebbe d'ora innanzi dovuto proteggere dai bracconie-
ri e dai ladri d i legna. M a invece dello sperato benessere promesso-
gli dal conte v o n Vach, l o attendeva colà una vita grama e faticosa,
d i miseria e d i stenti. I l magro stipendio i n denaro corrispostogli
dal conte g l i bastava si e no per vestire se stesso e Giorgina; le pic-
cole interessenze spettantigli sulle vendite d i legname erano rare

' Secondo quanto affetoia Kunz nella biografia hofmanujana d i Hìtzlg, questo nome sa-
rebbe una de^rmazione d i quello della guardia forestale Endres, d i Frensdorf, presso Bam-
berga, dove Hofmann e Kuoz si lecavana ipesso a csccia.
* I l nome d i questo conte immaginario deriva forse dal feudo d i Klcinvacli, presso
Kassel.
RACCONTI NOTTURNI
38
ed incerte e i l giardino assegnatogli da coltivare per proprio uso,
veniva d i continuo messo a soqquadro e devastato da l u p i e cinghia-
l i ; per quanto egli si a€aticasse a vigilare col suo garzone, spesso
avveniva che i n una sola notte t u t t o i l raccolto, su cui aveva fatto
conto per campare, andasse distrutto. I n o l t r e la sua vita era conti-
nuamente minacciata dai bracconieri e dai ladri d i legna. Da quel-
l'onest'uomo che era egli si opponeva sempre a qualsiasi tentativo
d i corruzione, preferendo la miseria al denaro male acquistato e
continuando a fare coraggiosamente e lealmente i l proprio dovere;
ma le insidie erano incessanti, e soltanto i suoi fedeli mastini riusci-
vano a difenderlo dalle incursioni notturne dei malfattori. Giorgi-
na, non avvezza a quel clima, a quel genere d i vita, andava deperen-
do a vista d'occhio; i l suo bel colorito bruno diveniva smorto, gial-
lastro, gli occhi vivaci, scintillanti si incupivano, le belle forme pie-
ne si facevano più scarne ed incavate d i giorno i n giorno. Spesso,
nel cuore della notte, si destava d i soprassalto: colpi d i fucile i n
lontananza... guaiti dei mastini... I l marito si alzava piano plano e
sgattaiolava fuor della porta, nel bosco, insieme al garzone, mormo-
rando qualcosa... A l l o r a lei pregava I d d i o e t u t t i i santi d i salvare i l
suo bravo Andrea e d i t r a r l i da quel luogo spaventoso e selvaggio,
da quei continui, mortali pericoli. La nascita d'un bimbo fece d i lei
im'inferma, inchiodata a letto; sentiva che le forze andavano ab-
bandonandola, che la fine era inmiinente. I l marito andava i n t o m o
cupo e pensieroso : con la malattia della moglie ogni felicità era sva-
nita. I l vento l o investiva, frusciando attraverso i cespugli, come i m
folletto maligno; tutte le sue fucilate andavano a vuoto, non riusci-
va più a colpire alcim animale e soltanto più i l suo vecchio garzone
- tiratore provetto - g l i procurava la selvaggina che egli era tenuto a
fornire al conte von Vach. Una sera Andrea sedeva accanto al letto
d i Giorgina fissandone intensamente le amate sembianze; la povera
donna giaceva spossata e non respirava ormai quasi più. Schiacciato
da u n dolore cupo e silenzioso egli le prese la mano, senza neppure
più udire i vagiti lamentosi del bimbo stremato dalla fame. I l gar-
zone era uscito fin dall'alba per recarsi a Fulda a comprare con g l i
u l t i m i risparmi un po' dì cibo per l'ammalata. A l l ' i n t o r n o , per un
raggio d i molte miglia, non c'era speranza d i trovare anima viva né
ima parola d i conforto: soltanto l'ululato terrificante e lamentoso
del vento fra i neri abeti e i guaiti dei mastini, che parevano pian-
gere sconsolati sulla sorte dell'infelice padrone. All'improvviso
Andrea udì dei passi avvicinarsi alla casa: credette fosse i l garzone,
d i r i t o m o da Fulda, benché non l o aspettasse ancora cosi presto. M a
i mastini si precipitarono fuori abbaiando furiosamente: doveva
IGNAZIO DENNER 39

dunque trattarsi di un forestiero. Andrea sì fece sull'uscio e si vide


venire incontro un uomo alto, magro, avvolto in un mantello scuro
e con un berretto da viaggiatore calcato sugli occhi. - Olà! — disse
Io straniero. - . . . Se sapeste quanto ho vagato per il bosco, senza riu-
• scire a trovare la strada!... I l vento soffia dalle montagne... avremo
im tempo orribile... Vorreste permettermi, caro signore, di entrare
in casa vostra a riposarmi e ristorarmi un po'?... La strada è stata
lunga e faticosa. - O signore, - rispose Andrea imbarazzato, - voi
^ entrate nella casa della miseria e del dolore. AU'ìnfuori di ima sedia
per riposarvi, temo proprio di non potervi offrire alcun altro risto-
ro. Non ho nulla da dare neppure alla mia povera moglie ammala-
ta; e il garzone che ho mandato a Fulda ritornerà soltanto stasera
tardi con qualcosa da mangiare - . Cosi dicendo entrarono neUa ca-
mera. Lo straniero si tolse il berretto e il mantello, sotto cui celava
uno zaino e una cassetta; si tolse di dosso anche imo stiletto e un
paio di pistole che depose sul tavolo. Andrea si accostò al letto di
G i o i t a : la donna era ormai priva di conoscenza. Le si accostò an-
che il forestiero, la scrutò a lungo con occhio attento e penetrante,
le prese la mano, le auscultò Ìl polso. - Oh Dio!... Ma sta moren-
do!..., — esclamò Andrea disperato. — Non sta morendo affatto, a-
mico mio, state tranquillo, - gli disse ìl forestiero. - Vostra moglie
ha soltanto bisogno d'un buon nutrimento sostanzioso; e per intan-
to le gioverà moltissimo un rimedio tonico e corroborante,.. Per
dirvi la verità non sono un medico, ma semplicemente un mercante,
anche se non del tutto digiuno di medicina; e possiedo da tempi im-
memorabili alcuni «arcani» che porto con me, per venderli anche,
quando capita - . Aperse la sua cassetta, ne trasse unafiala,fece ca-
dere alcune gocce d'un liquore rosso scuro su im po' di zucchero e
lo diede all'ammalata; poi le fece trangugiare alcuni cucchiai d'un
eccellente vino del Reno, versandolo da una bottiglietta sottile,
tratta dallo zaino; ordinò, infine, di adagiare il bimbo bene acco-
sto al seno della madre e di lasciare tranquilli entrambi. Andrea eb-
be veramente la sensazione che un santo fosse disceso dal cielo in
quel luogo abbandonato e selvaggio per recargli conforto ed aiuto.
Dapprincipio, lo sguardo falso, penetrante dello straniero gli aveva
quasi incusso timore ma poi il suo interessamento premuroso, il
provvidenziale soccorso prestato a Giorgina, lo conquistarono; e
così gli raccontò con grande sincerità tutta la propria storia: come
a causa del favore concessogli dal conte von Vach coli'intenzione
di fargli del bene sì fosse ridotto alla più nera miseria, e come da
quella situazione non sperasse di trarsi mai più, per quanto ancora
gU rimanesse da vivere. Lo straniero lo rincuorò, ricordandogli co-
40 RACCONTI NOTTURNI

me spesso sopraggiunga una qualche fortuna insperata a portarci


t u t t i i possibili beni della terra; e come sia necessario arrischiare
qualcosa per conquistare i favori della buona sorte... — A h , caro si-
gnore, — replicò Andrea. - I o ripongo tutta la mia fiducia i n D i o e
nell'intercessione dei santi; noi - mia moglie ed Ìo - l i preghiamo
con tanto fervore, ogni giorno... M a che cosa dovrei mai fare per
procurarmi denaro e fortuna?... Se I d d i o nella sua saggezza non me
l i ha destinati, sarebbe quasi una colpa aspirare a conquistarli. M a
se invece egli vuole ch'io ne entri i n possesso, già i n questa vita - e
io desidererei, signore, unicamente per amor d i mia moglie, che ha
lasciato la sua bella patria per seguirmi i n questo deserto!... - essi
m i verranno dati, anche senza ch'io arrischi la vita per amore delle
v i l i ricchezze terrene...
A l l e parole del buon Andrea Io straniero accennò uno strano
sorriso e fece per replicare qualcosa ma, i n quel momento. Giorgi-
na con un profondo sospiro si svegliò e disse d i sentirsi infinitamen-
te più i n forze; anche Ìl bimbo ora sorrideva, beato come u n angio-
letto, al seno della madre. Andrea, fuor d i sé dalla gioia, sì mise a
girar per la casa piangendo, pregando, esultando. Frattanto i l gar-
zone era rientrato e stava facendo del suo meglio per preparare,
con le provviste portate d i fuori, i l pranzo cui avrebbe dovuto par-
tecipare anche Io straniero. Questi preparò e cucinò con le sue stes-
se mani una minestra corroborante per Giorgina, mettendovi den-
tro ogni sorta d i spezie e d i ingredienti vari che aveva con sé. Si era
ormai fatto t a r d i ; lo straniero dovette inevitabilmente pernottare
in casa d i Andrea. E g l i pregò che g l i preparassero u n giaciglio d i
paglia nella stanza da letto d i Andrea e Giorgina, e cosi f u fatto. La
preoccupazione per la moglie non permise ad Andrea d i prender
sormo; perciò egli potè osservare che, se appena l'ammalata respi-
rava u n po' più forte, lo straniero sobbalzava, si alzava ad ogni ora,
si avvicinava piano al letto, le tastava i l polso e le somministrava
alcune gocce d i un medicinale.
Quando spuntò Ìl giorno, Giorgina apparve ancora notevolmen-
te migliorata. Andrea ringraziò d i tutto cuore l o straniero, chia-
mandolo ìl suo angelo custode - u n angelo, soggiunse Giorgina,
mandato da D i o , impietosito daUe sue fervide preghiere, per sal-
varla... Quelle calorose espressioni d i gratitudine parvero mettere
a disagio i l forestiero; evidentemente imbarazzato, egli disse, fra
l'altro, che avrebbe dovuto essere i m mostro per non soccorrere
un'inferma avvalendosi della propria pratica d i medicina e dei ri-
medi che aveva con sé. D e l resto, non Andrea a l u i , ma l u i a A n -
drea doveva riconoscenza per averlo accolto cosf ospitalmente, no-
IGNAZIO DENNER 41

Stante le mìsere condizioni della sua casa; non avrebbe assoluta-


ente mancato di soddisfare al proprio debito, disse; e, tratte al-
ne monete d'oro da ima borsa assai rigonfia, le porse ad Andrea.
- O signore! - esclamò costui, - &)me e perché dovrei accettare
tanto denaro da voi?,.. Ospitarvi in casa, dal momento che vi era-
ate smarrito in quella immensa foresta, è stato soltanto un dovere
...^ cristiano; e se per questo vi pare di dovermi qualcosa, me lo avete
già dato in abbondanza, ben più di quanto non sappia dire io stesso,
Strappando la mia cara moglie alla morte, con la vostra esperienza
i<lell'arte medica. O signore... mai dimenticherò quanto avete fatto
,per me; e voglia Iddio ch'io possa un giorno ricompensarvi per la
Vostra nobile azione, foss'anche con la mia vita, col mio sangue... -
: A queste parole un rapido bagliore guizzò negli occhi dello stranie-
ro. - Andiamo, brav'uomo, - insiste, - prendete questo denaro!...
Dovete assolutamente prenderlo, per vostra moglie... per poterle
: procurare cibo migliore c tutte le cure di cui ha bisogno. Non le oc-
I corre altro, ormai, per non ricadere nello stato di prima e poter nu-
; trire il bambino. - Vogliate perdonarmi, signore, ~ rispose Andrea.
- Ma una voce interiore mi dice ch'io non devo prendere, immeri-
tatamente, i l vostro denaro. Questa voce interiore io l'ho sempre
' attribuita a un'ispirazione del mio santo protettore; efinorami ha
guidato nella vita e preservato da ogm pericolofisicoe spirituale.
Piuttosto, se proprio volete essere generoso con me, poveretto, e
farmi un ultimo regalo, lasciatemi unflaconcinodel vostro rimedio
prodigioso, affinché mia moglie guarisca completamente - . Giorgi-
na si rizzò a sedere sul letto e gli lanciò un'occhiata piena di dispe-
razione e di tristezza, quasi per supplicarlo di non voler essere, per
una volta tanto, cosi severo con se stesso e di accettare i l dono di
quell'uomo caritatevole. Allo straniero non sfuggi quell'occhiata:
- E sta bene, - disse. - Se proprio non volete accettare il denaro, lo
darò a vostra moglie; lei non disdegnerà la mia buona intenzione,
che è quella di trarvi dall'estrema miseria in cui versate - . Frugò
un'altra volta nella borsa e, avvicinatosi a Giorgina, diede a lei tut-
to i l denaro poc'anzi offerto ad Andrea. Giorgina, con occhi lucidi
dalla gioia,rimasea contemplare estasiata quel bell'oro scintillan-
te; non fu capace di pronunziare una sola parola di ringraziamento
ma grosse lacrime presero a solcarle le guance. Lo straniero distolse
subito lo sguardo da lei e sirivolsead Andrea: - Statemi a sentire,
mio caro, - gii disse. - Voi potete tranquillamente accettare i l mio
dono: io di denaro ne ho anche troppo e non vi do che il superfluo.
Ecco, devo confessarvelo : non sono quello che sembro. Vedendomi
viaggiare a piedi, vestito semplicemente come un misero mereiaio
42 RACCONTI NOTTURNI

ambulante, m i avrete certamente preso per u n poveretto che stenta


la vita coi pochi soldi guadagnati ai mercati e alle fiere. Invece da
m o l t i anni commercio i n gioielli, ho avuto molta fortuna e sono d i -
ventato ricchissimo, p u r continuando a vivere semplicemente, al-
l'uso antico. I n questo zaino, i n questa cassetta ci sono gioielli me-
ravigliosi; pietre stupende, alcune d i taglio antico, per u n valore d i
molte, molte migliaia d i scudi. Questa volta a Francoforte ho fatto
o t t i m i affari; quanto ho dato a vostra moglie non rappresenta nep-
pure la centesima parte del mio guadagno! E p o i n o n crediate che
questo denaro Ìo ve l o dia per niente; v i chiederò i n cambio parecchi
favori ancora! I o volevo, come d'abitudine, andare da Francoforte
a Kassel ma, da Schluchten i n poi ho perso la strada giusta. H o sco-
perto, i n compenso, che questo sentiero, d i solito evitato dai viag-
giatori, è piacevolissimo per chi va a piedi e, d'ora i n p o i , lo ripren-
derò sempre e passerò davanti a casa vostra; perciò m i vedrete rica-
pitare due volte all'anno, e cioè a Pasqua, quando vado da Franco-
forte a Kassel, e nel tardo autunno, quando dopo la fiera d i san M i -
chele, a Lipsia, vado a Francoforte, e da Francoforte i n Isvizzera e
talvolta anche i n Italia. A l l o r a v o i , i n compenso d i quanto v i ho
dato, m i ospiterete i n casa vostra per uno, due, fors'anche tre gior-
n i . E questo è Ìl p r i m o favore che v i chiedo.
- V i prego inoltre d i tenere q u i , fino a quando ripasserò, nel
prossimo auturmo, questa cassetta: contiene merci d i cui a Kassel
non ho bisogno e i n viaggio m i imbarazzerebbero inutilmente. I l
contenuto, non ve lo nascondo, vale molte migliaia d i scudi. M a
non occorre ch'io v i raccomandi d i averne cura: la vostra onestà è
troppo evidente perché io n o n abbia piena fiducia i n v o i e n o n sia
sicuro che custocQrete gelosamente qualsiasi cosa, anche minima, io
v i affidi. E tanto più lo farete trattandosi d i oggetti cosi preziosi
quali questa cassetta contiene. Visto?... Questo è i l secondo servi-
zio ch'io desidero da v o i . I l terzo v i parrà forse i l più oneroso: ep-
pure è proprio quello d i cui ho maggiormente bisogno.
- V o i , Andrea, dovrete lasciare la vostra cara moglie per u n
giorno e accompagnarmi attraverso i l bosco fino alla strada d i
Hìrschfeld, dove devo recarmi da certi conoscenti, per p o i prose-
guire fino a Kassel. Perché non solo non sono molto pratico del bo-
sco e potrei smarrirmi una seconda volta, senza più avere la fortuna
d i imbattermi i n u n brav'uomo come v o i , ma questi paraggi non m i
paiono troppo sicuri. Con v o i , che siete u n guardiacaccia q u i del po-
sto, forse nessuno se la prenderà, ma u n viaggiatore solitario come
me potrebbe correre u n b r u t t o rischio. H o inteso parlare, a Fran-
coforte, d i una banda d i briganti che, prima, rendeva malsicuri i
IGNAZIO DENNER 43

dintorni di Schaffausen, spingendosi fino a Strasburgo, ed ora pare


si sia gettata nella regione di Fulda, perché i numerosi mercanti in
viaggio sulla via che va da Lipsia a Francoforte le offrirebbero una
preda assai ghiotta. È molto probabile che i malfattori mi abbiano
riconosciuto per un ricco mercante già a Francoforte... Dunque: se
salvandovi la moglie mi sono meritato la vostra riconoscenza me ne
ricompenserete abbondantemente facendomi da guida attraverso
la foresta - . Andrea era troppo felice per non dichiararsi disposto
a fare qualsiasi cosa gli venisse richiesta; e poiché lo straniero lo
desiderava sì preparò senz'altro a mettersi in viaggio. Indossò l'uni-
forme di guardiacaccia, prese la doppietta, si affibbiò il coltello da
caccia alla cintura e ordinò al garzone di mettere al guinzaglio una
coppia di mastini. Frattanto il forestiero aveva aperto la cassetta
estraendone una quantità di gioielli meravigliosi — collane, orecchi-
ni, fermagli - e spargendoli a piene mani sul letto di Giorgina, la
quale si mise a contemplarli, ammaliata, stupefatta, feUce. Lo stra-
niero la invitò allora a provarsi una delle collane più belle e ad ap-
poggiarsi suUe braccia, ch'ella aveva assai ben tornite, qualcuna di
quelle borchie stupende. Quindi le porse uno specchietto tascabile
affinché essa potesse contemplarsi a proprio piacere.
Mentre la donna si rimirava estasiata, gridando di gioia come
una bambina, intervenne Andrea, contrariato: — Ah, caro signore,
— disse allo straniero. - Come potete suscitare simili desideri neUa
mia povera moglie e metterle addosso cose che non potrà mai ave-
re... e che neppure le stanno bene. Non abbiatevene a male, signore,
ma il semplice filo di coralli rossi che portava al collo quando la vidi
per la prima volta, a Napoli, lo preferisco mille volte a tutta questa
gioielleria scintillante - frivola, falsa...
— Ma voi siete troppo severo! - replicò lo straniero con un sorri-
so sprezzante. - Non volete neppur concedere a vostra moglie am-
malata la gioia innocente di farsi bella con i miei gioielli?.., E non
sono affatto falsi, badate, ma veri, autentici!,.. Non sapete quale
piacere provino le donne a queste cose?... Tanto lusso non fa per
lei, voi dite, e neppure le sta bene: io invece sostengo il contrario.
Vostra moglie è graziosa quanto basta per adornarsi cosi; e voi non
potete sapere se un giorno non sarà ricca abbastanza per poter pos-
sedere e portare gioielli simili a questi.
— Vi prego, signore, - disse Andrea in tono grave ed energico,
- non fatemi discorsi oscuri e insidiosi. Volete proprio far girare la
testa a questa povera donna?... Farle desiderare eleganze, splendo-
ri mondani perché poi trovi ancor più dura la nostra miseria, e quel
poco di pace e dì serenità che ancora ci rimangono vadano distrut-
44 RACCONTI NOTTURNI

te?... Riponete queste gemme, caro signore, ve le custodirò fedel-


mente fino al vostro ritorno. M a ditemi, piuttosto: se per caso - i l
cielo non l o voglia! - dovesse capitarvi una disgrazia e non poteste
più ritornare a casa mia, a chi dovrò riconsegnare questa cassetta?
E per quanto tempo dovrò aspettarvi prima d i consegnarla a chi m i
direte?... A proposito: potrei pregarvi dì d i r m i anche ìl vostro no-
me?... - I o m i chiamo Ignazio Denner', - rispose l o straniero, - e
sono, come sapete, u n commerciante, u n mercante. N o n ho moglie
né figli, e i miei parenti abitano nel Vallese. M a non nutro per loro
affetto né stima perché quando ero povero e bisognoso non si sono
mai curati d i me. Se dovessi non farmi più vedere per tre anni, tene-
tevi pure tranquillamente la cassetta: v o i v i intesterete, già lo so, a
non voler accettare da me una simile eredità, perciò ne faccio dono
a vostro figlio. V i prego, anzi, d i fargli aggiungere i l nome dì Igna-
zio, quando lo cresimerete.
Andrea non sapeva veramente cosa pensare dì quello strano
personaggio e della sua rara generosità. Rimase a fissarlo silenzioso,
mentre Giorgina lo ringraziava della buona intenzione e g l i promet-
teva che avrebbe pregato I d d i o e t u t t i i santi dì proteggerlo nel cor-
so dei suoi lunghi e pericolosi viaggi e d i ricondurlo sempre felice-
mente alla loro casa. L o straniero abbozzò ancora quel suo indefi-
nibile sorriso: le preghiere d'una bella donna, disse, sarebbero cer-
tamente state più efficaci delle sue; perciò lasciava a lei quella pia
incombenza; per quanto l o riguardava, preferiva fare assegnamen-
to sulla vigorosa fibra del proprio corpo e sulla bontà delle proprie
armi.
All'onesto Andrea la sortita dispiacque enormemente, ma i n -
ghiottf quanto stava per dire e cambiò discorso, esortando lo stra-
niero a mettersi i n viaggio, altrimenti l o avrebbe costretto a rien-
trare a tarda notte e Giorgina sarebbe rimasta troppo i n pena.
Congedandosi dalla donna. Io straniero tornò ad accordarle ca-
tegoricamente i l permesso d i adornarsi con i suoi gioielli qualsiasi
volta ciò le facesse piacere: aveva cosf pochi divertimenti, i n quel
bosco solitario e selvaggio!... Giorgina arrossi d i gioia, incapace d i
reprimere la passione - comime a tutte le donne — per g l i oggetti dì

' Anche il nofn^ di Dennw avrebbe, sfondo Kunz, una sua Gtorìa. Due titrattl del pit-
tore Balthasar Denner esposti nella pinacoteca di Pommersfelden (presso Bamberga) avevano
suscitato l'entusiastica ammirazione di Hoffmann. Dopo aver tmtato inutilmente di procu-
rarsi pili precise notizie intorno a guell'irtisu, la cui vita, l a cui personalìtì umana e^i eia
convinto si identificassero col temperamento pittorico, Hofimann espresse l'intenzione di ri-
costruire poeticaracnie i l personaggio su tali basi in uno dei suoi Taniaiteslucke. Ma non lo
fece. Ne utilizzò invece i l nome per questo racconto, ambientandolo tuttavia in un mondo
diverso, lontanissimo da quello originariamente ispiratogli d a l pittore Denner e dai suoi
quadri.
IGNAZIO DENNER 45

lusso in generale, e le pietre preziose in particolare. E Denner con


Andrea si avviarono di buon passo per la foresta scura e deserta.
Nel folto della macchia i mastini si misero ad annusare guaiolando
e guardando il padrone con occhi assai eloquenti. - Qui c'è qualco-
sa che non va, — disse Andrea ; e, alzati i cani del fucile, passò davan-
. ti al mercante e riprese ad avanzare circospetto con i mastini. Più
/volte gli parve di udir frusciare fra gli alberi e di scorgere in lonta-
nanza delle sagome scure nell'atto dì sbucar dai cespugli e subito
di nuovo imboscarsi. Fece per sciogliere i mastini ma Denner gli
, gridò: - Non Io fate, mio caro! Non abbiamo assolutamente nufla
da temere, ve l'assicuro Non aveva ancor finito dì parlare quando
a pochi passi da loro sbucò dalla macchia un omaccione nero, con i
capelli irsuti, un enorme paio di baffi e lo schioppo in mano. Andrea
si portò il fucile alla spalla, pronto a far fuoco; - Non sparate, non
sparate! - lorlò Denner: il tipaccio nero gli fece un cenno d'intesa e
'^sparve fra gli alberi. Finalmente uscirono dal bosco, sulla strada
animata. - E ora grazie di cuore per l'accompagnamento, - disse
Denner. - Tomatevene pure a casa. E se doveste dì nuovo incontra-
' re qualcuno dì quei figuri, tirate dritto per la vostra strada come se
: non aveste visto nulla. Tenete i mastini al guinzaglio; arriverete a
casa sano e salvo, senza correre alcun perìcolo Andrea non sapeva
proprio che cosa pensare dello straordinario mercante capace - si
sarebbe detto - di tener lontani e paralizzare i nemici, come avreb-
• be potuto fare un esorcizzatore con gli spìriti. Non riusciva a capire
perché mai sì fosse fatto accompagnare nel bosco. Gjmunque, prese
tranquillamente la via del ritorno, non fece altri incontri sospetti e
rientrò a casa indenne. Giorgina, dì buon umore ed ìn forze, lo at-
tendeva alzata e gli si gettò fra le braccia con gioia. Grazie alla gene-
rosità del mercante straniero l'andamento della modesta vita dome-
stica di Andrea prese una nuova piega. Appena Giorgina fu del tut-
to ristabilita, Andrea la condusse con sé a Fulda e, oltre alle provvi-
ste necessarie, le comprò alcuni oggetti dì arredamento che subito
conferirono alla casa un certo qual tono di comodità e di benessere.
Inoltre, dall'epoca della visita dello straniero, Ì bracconieri e i ladri
dì legna parevano banditi dalla zona. Andrea poteva ormai prestar
servizio indisturbato; perfino a caccia aveva di nuovo fortuna - e
ben raramente gli avveniva dì fallire un tiro. Lo straniero ricompar-
ve a san Michele e si tratterme per tre giorni. Nonostante gli ostina-
ti rifiuti degli ospiti, volle essere generoso con loro come la prima
volta: era sua ferma intenzione, disse, portarli all'agiatezza; cosi
avrebbe reso ancora pili accogliente e piacevole il suo quartiere
provvisorio nel bosco.
46 RACCONTI NOTTURNI

O r a la graziosa Giorgina potè incominciare a vestirsi u n po' me-


glio. U n giorno confessò al marito d'aver ricevuto i n dono dallo
straniero uno d i quegli spilloni d'oro, finemente lavorati, che le
fanciulle e le donne d i certe regioni italiane usano appuntarsi nelle
trecce, attorcigliate intorno alla testa. Andrea fece u n viso scuro,
ma Giorgina scomparve d'un balzo nella stanza accanto e ricom-
parve, dopo pochi m i n u t i vestita e agghindata come Andrea l'ave-
va vista a N a p o l i . La bella spilla d'oro riluceva sui capelli neri, fra
i quali Giorgina, con m o l t o senso pittorico, aveva intrecciato anche
alcuni fiori dai colori vivaci. Andrea dovette convenire che lo stra-
niero aveva dimostrato molto i n t u i t o nello scegliere i l dono più a-
datto a far contenta Giorgina. L o pensò e lo disse francamente; al-
lora Giorgina tornò a ripetergli che quell'uomo era veramente i l
loro angelo custode: l i aveva t r a t t i dalla più squallida miseria e r i -
portati al benessere; non capiva come mai Andrea continuasse a
mostrarsi tanto C Ì I Ì U S O e avaro d i parole nei suol riguardi, né perché
fosse sempre cosi triste e soprapensiero.
- A h , moglie mia carissima! - rispose Andrea. - La voce inte-
riore che allora m i ammoniva a non accettare nulla dallo straniero,
non vuol saperne d i tacere neppure adesso; se sapessi quante volte
m i richiama e rimprovera!... M i pare che col denaro del forestiero
sia entrato i n casa u n bene illegittimo e disonesto. Perciò nulla d i
quanto esso ci procura m i fa veramente contento. O r a i o posso pas-
sarmi più sovente i l lusso d i una buona pietanza sostanziosa e d i u n
bicchiere d i vino, questo è vero; ma, credimi, cara Giorgina, quan-
do, allora, m i capitava una buona vendita d i legname e I d d i o m i
mandava u n paio d i soldarelli i n più, onestamente guadagnati, quel
bicchiere d i vinello m i pareva infinitamente migliore del vino squi-
sito che ci procura lo straniero. N o , non riesco proprio a fare amici-
zia con quello strano mercante, e la sua presenza spesso m i dà u n
senso d i paura. N o n hai notato, cara Giorgina, che non riesce mai a
guardarti d i r i t t o negli occhi?... Certe volte da quegli occhietti i n -
fossati guizza fuori u n bagliore stranissimo; e quando egli ascolta Ì
nostri discorsi alla buona scoppia a ridere i n modo cosi malizioso
da farmi venire i b r i v i d i . . . A h . . . potessero non avverarsi mai i m i e i
presentimenti!... M a ho la sensazione che i n fondo a t u t t o questo
si nascondano guai e malanni d'ogni sorta, e temo p r o p r i o che Ìl fo-
restiero finirà per procurarceli t u t t i i n una volta, dopo d i averci a-
bilmentc presi nella rete.
Giorgina tentò d i distoglierlo da quelle idee nere: al suo paese,
— disse — e specialmente nella locanda dei genitori adottivi, aveva
conosciuto molte persone dall'aspetto ancora più scostante, eppu-
IGNAZIO DENNER 47

re, in fondo, erano buonissima gente... Andrea parve darsi pace; ma


dentro di sé decìse di star bene ìn guardia.
Lo straniero ricapitò quando il bimbo - un bimbo meraviglioso,
il ritratto parlante della madre - compiva nove mesi. Per l'occasio-
, ne l'avevano fatto bello e vestito in un modo un po' insolito e biz-
zarro; era anche l'onomastico di Giorgina, la quale aveva indossato
il prediletto costume napoletano e preparato un pranzo migliore
del solito, completandolo con la bottiglia di vino pregiato portata
dallo straniero. Mentre sedevano a tavola allegri e contenti e il pic-
cino si guardava intorno con occhi straordinariamente vivaci, lo
straniero disse: - I l vostro bimbo promette molto bene giàfind'o-
ra: c'è qualcosa di speciale in lui. È un vero peccato che voi non
siate in condizioni di educarlo come si deve. Avrei da farvi una pro-
, posta; voi probabilmente non l'accetterete, pur rendendovi conto
che ve la faccio per il bene e l'interesse vostro. Come sapete, io sono
ricco e non ho figli. Mi piace questo bimbo - e gli vogUo molto be-
ne: datemelo! Lo porterò a Strasburgo, dove un'amica mia, una
anziana, degnissima signora, lo alleverà nel migliore dei modi, per
la vostra gioia e per la mia. Cosi vi toglierete un grosso peso; ma
dovete decidere subito perché sarò costretto aripartirestasera stes-
sa. Porterò 11 bimbo in bracciofinoal prossimo villaggio e là pren-
derò una vettura Senza lasciarlo finire. Giorgina gli strappò i l
bimbo dal grembo e se lo strinse impetuosamente al petto, con oc-
chi già pieni di lacrime.
- Vedete signore? - disse Andrea. - Vedete come risponde mia
moglie alla vostra proposta?... Io sento allo stesso modo. L'inten-
zione sarà buonissima, non dico; ma come potete pensare di toglier-
ci quanto abbiamo di più caro al mondo?... Sentite, signore: avete
detto voi stesso di non aver moglie né figli; perciò non potete cono-
scere la felicità immensa, che sembra riversarsi dalla gloria dei cieli
su un uomo e una donna alla nascita di un bimbo !... Non potete im-
maginare quale senso di tenerezza, di gioia sovrumana, invada i ge-
nitori in contemplazione del loro bimbo quando se ne sta buono e
quieto in braccio alla madre, - testimonianza silenziosa ma anche
troppo eloquente di felicità e di amore. No, caro signore! Per quan-
to grandi siano Ì benefìzi che ci avete reso, sono ancora ben lontani
dal valere il nostro bambino. Quale tesoro potrebbe mai paragonar-
si a un figlio?... Non vogliate tacciarci di ingratitudine, caro signo-
re, se respingiamo cosi recisamente la vostra offerta. Se foste padre
non avremmo bisogno di giustificarci più oltre.
— Bene, bene, — rispose lo straniero, gettando un'occhiata torva
di sbieco. - Pensavo di renderericcoe felice il bambino per il vo-
48 RACCONTI NOTTURNI

stro bene; ma se questo non v i garba n o n parliamone più Giorgi-


na intanto continuava a baciare e a vezzeggiare i l bambino come se
le fosse stato appena restituito, dopo aver corso u n grande pericolo.
L o straniero fece evidenti sforzi per mostrarsi disinvolto ed allegro
come se nulla fosse accaduto, ma diede a vedere anche troppo bene
quanto l'avesse contrariato i l rifiuto degli ospiti. N o n parti la sera
stessa, come aveva detto, ma sì trattenne altri tre giorni durante i
quali, invece d i tener compagnia a Giorgina com'era solito fare,
preferì uscire a caccia con Andrea e cogliere l'occasione per farsi
raccontare da luì molte cose riguardanti i l conte L u i g i v o n Vach.
Quando, tempo dopo, Denner ripassò dall'amico Andrea, non
parlò più del progetto d i prendere ìl bambino; si mostrò gentile
come sempre, a modo proprio, e come sempre colmò Giorgina d i
regali, invitandola d i nuovo a mettersi Ì gioielli affidati alla custo-
dia del marito qualsiasi volta le facesse piacere; la qual cosa, ella, d i
tanto i n tanto, già aveva fatto d i nascosto. Denner volle anche gio-
care col bambino, come al solito, ma questi si ribellò, pianse e n o n
volle assolutamente più saperne d i andare con I m , quasi come se
avesse intuito la sua intemione d i toglierlo ai genitori. Oramai le
visite periodiche delio straniero si ripetevano da oltre due,anni; i l
tempo e l'abitudine avevano finalmente avuto ragione d'ogni diffi-
denza o timore e Andrea si godeva tranquillo e sereno i l nuovo be-
nessere. Nell'autunno del terz'aimo, quando l'epoca della solita vì-
sita era già passata da un pezzo, durante una notte tempestosa qual-
cuno bussò violentemente alla porta. Andrea si sentf chiamare per
nome da u n coro d i voci aspre e sgradevoli. Spaventato balzò dal
letto, si fece alla finestra e domandò chi osasse disturbarlo cosi nei
cuor della notte; p o i minacciò d i sciogliere i mastini per scacciare
gli ospiti indesiderati. G l i venne risposto d i aprire, che c'era u n a-
mico. - Andrea riconobbe la voce d i Denner, andò ad aprire con u n
lume i n mano e se l o vide dtimanzì, solo. - G l i era parso d i sentirsi
chiamare da diverse voci, - disse Andrea. - Forse era stato inganna-
to dagli ululati del vento, - rispose Denner. Quando furono i n casa
e Andrea potè osservarlo più da presso rimase sbalordito nel vede-
re com'era i n arnese: invece del semplice vestito grigio, invece del
solito mantello, Denner indossava u n giustacuore scarlatto, stretto
da un cinturone d i cuoio i n cui erano infilati uno stiletto e quattro
pistole. Una sciabola completava ìl vistoso armamento. Perfino i l
viso sembrava diverso : non più quella fronte glabra, ma u n paio d i
sopracciglia foltissime e u n barbone nero ricoprente le guance -
perfino la bocca. - Andrea! - disse Denner fulminandolo con im'oc-
chiata d i brace. - Quando quasi tre anni fa salvai tua moglie dalla
IGNAZIO DENNER 49
Otte, tu mi dicesti die avresti diiesto al Signore la grazia di poter-
ricompensare per quel beneficio, foss'anche a prezzo del tuo
^gue, della tua vita stessa. Sei stato esaudito: è giunto il momen-
I di dkaostrarmi la tua riconoscenza e la tua lealtà. Vestiti, prendi
fucile e vieni con me. Appena saremo fuori, a pochi passi da casa,
"pprenderai il resto - , Andrea rimase interdetto, senza saper che
pensare della pretesa di Denner; ma ricordava benissimo la
ila data e si dichiarò disposto a fare qualsiasi cosa, purché non
ntraria all'onestà, alla virtù, alla religione. - In quanto a questo
loi stare tranquillo, — esclamò Denner con un sorriso, battendogli
mano sulla spalla. Frattanto anche Giorgina si era alzata per
igersi ad Andrea, tremante di paura. Denner la prese per un
l>racdo e la scostò, dicendole con dolcezza: - Lasciate che vostro
inarìto venga con me! Fra poche ore lo riavrete qui sano e salvo — e
forse vi porterà qualcosa di bello... Vi ho mai fatto del male?... Non
fono stato sempre buono con voi, anche quando fraintendevate le
mie intenzioni?... Siete ben curiosi e diffidenti voi due!... - Andrea
continuava ad esitare e non si decideva a vestirsi. Allora Dermer si
Volse a lui e gli disse con uno sguardo rabbioso: - Spero che man-
terrai la promessa; perché ora si tratta di dimostrarmi coi fatti la
sincerità delle tue parole - , Andrea si vesti in un baleno e mentre
varcava la soglia di casa con Detmer gli disse ancora : - Sono dispo-
sto a fare qualsiasi cosa per voi, caro signore, ma spero non vorrete
diiedermi nuUa di disonesto perché contro la mia coscienza assolu-
tamente non andrò - . Denner si incamminò a passo spedito senza
;rispondergli.Passando attraverso la macchia giunsero su uno spiaz-
zo erboso abbastanza vasto; Denner fischiò tre volte e tutt'intomo,
fffi i cespugli, si viderofiammeggiaredelle torce a vento, si udiro-
no tintinnii, passi pesanti e una moltitudine di orribili ceffi neri sbu-
carono dal buio e fecero cerchio intomo a Denner. Uno di essi usd
dal gruppo e domandò, facendo cenno ad Andrea: - È ben questo
il nostro nuovo compagno, non è vero comandante?... - Sf, - rispo-
se Denner. - L'ho tirato giù dal letto e fra poco lo metteremo alla
prova. Può venire senz'altro con noi ~. A tali parole Andrea parve
svelarsi da un greve torpore; aveva la fronte madida di sudor
freddo ma si dominò e investi Dermer con estrema violenza: - Co-
sa?... -gridò. - A h , maledetto imbroglione!... Ti spacciavi per un
mercante e invece facevi questo obbrobrioso mestiere ?... Sei im bri-
gante... uno scellerato!... Mai più ti sarò amico: hai cercato di ade-
scarmi con malizia satanica, ma io non prenderò mai parte alle tue
gesta criminose! Ledami andare, e subito, infame malfattore, e
sgombera questa zona, tu e la tua banda, altrimenti ti denunzio al-
50 RACCONTI NOTTURNI

l'autorità e avrai i l compenso che m e r i t i ! . . . Finalmente ho capito


chi sei: sei Ìl famigerato «Ignazio i l nero», i l capo della banda d i
assassini e d i ladri, aimidata sui nostri confini. Lasciami subito an-
dare: non voglio rivederti mai più! - Denner scoppiò a ridere for-
te: - Come, come, razza d i vigliacco?... - g l i disse. - Oseresti resi-
stermi?... O p p o r t i alla mia volontà?... Sottrarti alla mia autori-
tà?... M a t u sei dei nostri già da u n pezzo, mio caro!... V i v i col no-
stro denaro da quasi tre anni! E adesso che sei q u i i n mezzo a noi t i
rifiuteresti d i lavorare per i beni d i cui hai goduto?... Se non ci se-
gui, se non t i comporti da bravo compagno t i faccio legare e gettare
i n fondo alla nostra caverna; p o i i miei u o m i n i andranno a casa tua,
la metteranno a fuoco e sgozzeranno tua moglie e tuo figlio... M a
spero non m i costringerai con la tua ostinazione a ricorrere a misu-
re cosi estreme. Andiamo, scegli: è ora, dobbiamo muoverci - . A n -
drea comprese: la minima esitazione g l i sarebbe costata la vita del-
la cara Giorgina e del bimbo. Maledicendo i n cuor suo all'infame
traditore, decise tuttavia d i fingere, senza, naturalmente, macchiar-
si le mani d i f u r t i né d i d e l i t t i d i sorta. Avrebbe utilizzato la cono-
scenza del nascondiglio della banda per favorirne la distruzione o
l'arresto, al momento opportuno. Presa questa tacita decisione, d i -
chiarò a Denner che, malgrado simili imprese gH ripugnassero, a-
vrcbbe pur dovuto arrisclùarc qualcosa, per debito d i riconoscenza.
Avrebbe dunque partecipato alla spedizione ma, essendo alle prime
armi, Io pregava dì non affidargli alcuna parte attiva. Denner lodò
la sua decisione e precisò che non g l i chiedeva aflatto d i arruolarsi
formalmente nella banda, al contrario: avrebbe dovuto rimanere
un guardiacaccia perché, come tale, già si era reso utilissimo a lui ed
ai suoi; e cosi sarebbe stato per l'avvenire. L'impresa concertata per
quella notte consisteva nientemeno che nell'assalto e nel saccheggio
della casa d ' u n ricco fittavolo, assai discosta dal villaggio e non lon-
tana dal bosco. Si sapeva che i l fittavolo non soltanto possedeva de-
naro e oggetti preziosi i n quantità ma aveva anche, proprio i n quei
giorni, ricavato una notevole somma da ima vendita d i grano; i b r i -
ganti potevano dunque contare su u n ricco b o t t i n o . Le fiaccole ven-
nero spente e i malfattori, strisciando silenziosamente per le stra-
dicciole secondarie e 1 passaggi p r o i b i t i , si portarono a pochi passi
dal fabbricato; alcuni banditi lo circondarono, altri scavalcarono i l
muro d i recinzione e aprirono ìl portone dall'interno, altri ancora
furono posti d i sentinella a una certa distanza: fra questi era A n -
drea. Poco dopo egli udì che i briganti, sfondate le porte, facevano
irruzione nella casa; ne udì le grida, le imprecazioni, udì le grida de-
gli aggrediti. Poi una schioppettata: i l fittavolo, u n uomo animoso,
IGNAZIO DENNER 51

;. doveva aver tentato di difendersi. Ma allo sparo segui un silenzio.


Le serrature forzate scricchiolarono... alcuni briganti uscirono dal
; portone trascinandosi dietro delle casse. Uno degli uomini del fitta-
; volo doveva essere riuscito a svignarsela nel buio e a raggiungere il
•villaggio, perché all'improvviso la campana a martello rimbombò
•nella notte e poco dopo una turba di gente munita di torce si river-
J'BÒ sulla strada e accorse alla casa dell'agricoltore. Crepitò ima fitta
jsparatoria: i briganti si erano asserragliati in cortile e, riaccese le
j^ccole, stendevano a terra chiunque si avvicinasse al muro. Dal-
J'altura su cui si trovava, Andrea poteva osservare tutta la scena.
Con terrore scorse fra i contadini alcuni cacciatori in livrea: erano
'dipendenti del suo signore, il conte di Vach!... Che cosa doveva fa-
re?... Accorrere, unirsi a loro gli era impossibile... Soltanto fuggen-
•,do a precipizio avrebbe potuto salvarsi... Ma Andrea rimase là, co-
irne ammaliato afissarela lotta che andava facendosi sempre più ac-
canita, perché i cacciatori del conte von Vach, penetrati in cortile
per una porticina laterale, erano venuti alle mani con i malfattori.
•Questi furono costretti a ritirarsi. Sempre combattendo, uscirono
|dal portone e giunsero a pochi passi dal luogo in cui si trovava An-
drea. Egli vide Denner che ricaricava e sparava all'impazzata, senza
fallire un sol colpo. Un giovanottoriccamentevestito, in mezzo ai
.cacciatori del conte, sembrava aver assunto il comando del gruppo.

E
X)enner puntò l'arma contro di lui ma, mentre stava per premere il
"letto, lanciò un urlo soffocato e cadde colpito da un proiettile, I
;anti fuggirono; i cacciatori del conte accorsero verso il capo-
da ferito ma Andrea, come spinto da una forza irresistibile, con
! i n balzo fu accanto a Denner, se lo caricò sulle spalle robuste e cor-
i se via, portandolo ìn salvo. Non venne inseguito e potè raggiunge-
re felicemente il bosco. Si ud£ ancora qualche sparo isolato, poi tut-
i,to ripiombò nel silenzio; evidentemente i briganti rimasti illesi era-
no riusciti a imboscarsi nella macchia, dove ì cacciatori e i contadini
•non avevano ritenuto consigliabile spingersi. - Posami giù, Andrea,
disse Denner: - Mi hanno ferito aJ piede e... maledizione a me! ...
sono caduto... La ferita mi fa molto male ma non credo sia grave
Andrea Io depose a terra. Denner trasse di tasca una fialetta e la
aperse. Ne scaturì una luce vivissima che permise ad Andrea di e-
'splorare attentamente la ferita. Deimer aveva ragione: sì trattava
soltanto dì un brutto colpo dì strìscio al piede destro, che sanguina-
va copiosamente. Andrea fasciò la ferita col fazzoletto. Denner lan-
|dò unfischio,udìrisponderedì lontano e allora pregò Andrea di
iaccompagnarlo pian piano su per ìl sentiero del bosco: ìn breve sa-
srebbero arrivati. Difattì poco dopo videro baluginare le luci delle
52 RACCONTI NOTTURNI

fiaccole fra i l fogliame e si ritrovarono su quella stessa radura dalla


quale erano p a r t i t i e dove, frattanto, già si erano radunati i briganti
superstiti. Quando Denner comparve fra loro, t u t t i sì abbandona-
rono a grandi manifestazioni d i gioia e si rallegrarono con Andrea,
i l quale si teneva i n disparte, muto e accigliato. Si constatò che qua-
si la metà degli uomini erano rimasti sul luogo dello scontro, m o r t i
o gravemente f e r i t i ; per contro, ì briganti incaricau d i portare al si-
curo la refurtiva erano riusciti a trascinar via, durante i l combatti-
mento, parecchie casse dì oggetti preziosi e una considerevole som-
ma d i denaro. Q u i n d i , se l'impresa, per u n verso, era andata male,
i l bottino poteva considerarsi ingente. I m p a r t i t e le disposizioni ne-
cessarie, Denner, che frattanto era stato medicato a regola d'arte e
non accusava più alcun dolore, si rivolse ad Andrea e g l i disse: - I o
ho salvato tua moglie dalla morte e t u stanotte m i hai sottratto alla
cattura, vale a dire a morte certa. Siamo pari. Puoi pure ritornarte-
ne a casa. N e l prossimi giorni, forse già domani stesso, lasceremo
questa regione; quindi puoi stare tranqmllo - n o n pretenderemo
mai più servizi simili da te. T u sei u n povero pazzo, m i o caro, cosi
maledettamente timorato d i D i o , che proprio non cì servi. M a al-
la spedizione d i stanotte hai partecipato, m i hai salvato la vita e de-
v i avere la tua ricompensa. Prendi questa borsa piena d'oro e serba
u n buon ricordo d i me: fra u n anno spero dì ripassare a trovarti.
- I d d i o m i preservi dal toccare anche u n solo centesimo d i questo
sporco denaro rubato!... Soltanto le vostre tremende minacce m i
hanno costretto a seguirvi, e ne avrò etemo rimorso! È stata certa-
mente una colpa - iiìf ame ribaldo! - sottrarti alla giusta punizione ;
ma Iddìo, lassù nel cielo, sarà tanto misericordioso da perdonarmi.
I n quel momento m'è parso che Giorgina m i supplicasse d i salvarti
la vita perché t u avevi salvato la sua, e non ho potuto far a meno d i
strapparti al pericolo, mettendo a repentaglio la vita, l'onore, l'av-
venire d i mia moglie e d i mio figlio. Che cosa sarebbe avvenuto d i
loro, dirami, se m i avessero trovato m o r t o fra ì tuoi m a l ^ e t t ì b r i -
ganti?... E se m i avessero trovato ferito, che cosa sarebbe avvenuto
d i me?... M a se t u non te ne andrai da questa zona, se mì giungerà
notizia anche d'un solo delitto, d'una sola rapina compiuti q u i nel
d i n t o r n i , andrò difilato a Fulda e rivelerò i l tuo nascondiglio all'au-
torità, stanne certo - . I briganti volevano scagliarsi su d i l u i , con
intenzioni punitive, ma Denner l i trattenne : - Lasciatelo chiacchie-
rare questo povero sciocco: che cosa può importarcene?... Ascolta-
m i bene, Andrea: t u seì i n mìo potere; e tua moglie e tuo figlio an-
che. M a né a te né a loro verrà torto u n capello se m i prometti d i re-
startene quieto e d i n o n aprir bocca su quanto hai visto stanotte;
IGNAZIO DENNER 53

questo te lo consiglio caldamente, anzitutto perché la mia vendetta


ti colpirebbe tremenda, inesorabile, e in secondo luogo perché for-
se l'autorità non ti perdonerebbe tanto facilmente di aver parteci-
pato alla nostra impresa e goduto per tanto tempo del nostro dena-
ro. In compenso tomo a prometterti che sgombrerò definitivamen-
te la zona. Almeno per quanto riguarda me e la mia banda - in que-
sti dintorni di scorrerie non ne avverranno più - . Andrea, costretto
ad accettare le condizioni del capobanda, promise solennemente di
tacere e venne riaccompagnato da due uomini, per sentieri invasi
dalla boscaglia,finsulla strada grande. Era già giorno fatto quando
rientrò in casa e riabbracciò Giorgina, pallida come ima morta per
l'apprensione. Andrea si tenne sulle generali: si limitò a dirle che
Denner gli si era rivelato per 11 più abietto dei malfattori e perciò
egli aveva rotto qualsiasi rapporto con lui; mai più avrebbe rimesso
piede in casa loro: - Ma... e la cassetta dei gioielli?... - lo intermp-
pe Giorgina. Andrea provò una stretta al cuore: ai gioielU ricevuti
in custodia non aveva più pensato, e gli pareva inspiegabile che
Denner non gliene avesse detto parola. Che cosa avrebbe potuto
fare di quella cassetta ?... Pensò per im momento di portarla a Ful-
da e consegnarla all'autorità ma, come avrebbe spiegato il fatto di
esserne in possesso?... Poteva esporsi al tremendo pericolo di man-
care alla parola data a Denner ?.,. Fini col decidere di conservare ge-
losamente quel tesoro, almenofinoa quando il caso non gli fornisse
un'occasione di restituirlo al capobanda o, meglio ancora, di conse-
gnarlo all'autorità senza venir meno alla promessa.
L'assalto alla casa delfittavoloaveva suscitato non poco terrore
in tutta la regione, perché una scorreria cosi temeraria e vistosa non
era più stata tentata da molti armi; segno evidente che la banda,
fino a allora nota soltanto per qualche furto banale, per qualche ra-
pina ai danni di viandanti solitari, si era notevolmente rafforzata. I l
fittavolo doveva la salvezza della vita e della maggior parte del pro-
prio denaro unicamente a un caso fortunato: il nipote del conte von
Vach, scortato da numerosi uomini dello zio, trovandosi per combi-
nazione a pernottare nel vicino villaggio, al primo allarme era po-
tuto accorrere a prestar man forte ai contadini accerchiati dai bri-
ganti. Tre di questi, rimasti sul terreno, il giorno dopo erano ancora
vivi e in condizioni di cavarsela; vennero medicati con cura e rin-
chiusi nella prigione del viUaggìo. Ma quando, all'alba del terzo
giorno, le guardie si recarono a prelevarli, li trovarono morti, cri-
vellati di colpi da una mano misteriosa. Svani pertanto la speranza
di ricavare dai prigionieri più precise informazioni, utili alla giusti-
zia. Quando udì raccontare queste cose ed apprese che pareccH con-
54 RACCONTI NOTTURNI

tadini e cacciatori del conte erano caduti uccisi o gravemente f e r i t i ,


Andrea rabbrividì; pattuglie dì cavalieri, mosse da Fulda, perlu-
stravano ininterrottamente la foresta e spesso venivano a bussare
alla sua porta. E g l i p e r d o viveva nel continuo timore dì vederseli
capitare i n casa, u n giorno o l'altro, trascinando prigioniero Denner
o qualcuno della banda, i n grado d i riconoscerlo e denunziarlo co-
me partecipe alla famigerata impresa. Per la prima volta i n vita sua
Andrea provò le tormentose pene del rimorso; eppure soltanto per
amore della moglie e del bimbo sì era piegato all'iniquo volere d i
Denner! T u t t e le ricerche rimasero infruttuose né f u p i l i possìbile
rintraixiare i banditi. Pertanto Andrea si convinse che Denner ave-
va mantenuto la parola e abbandonato la zona con tutta la banda.
Quanto ancora g l i rimaneva del denaro ricevuto i n dono da l u i lo
ripose, insieme allo spillone d'oro, nella cassetta dei gioielli, per
non accrescere ancora la propria colpa continuando a godere d i be-
n i rubati. Natiu-almentc, n o n tardò a ricadere nella p r i m i t i v a mise-
ria; ma poiché i giorni passavano e nuUa più interveniva a turbare
la sua tranquillità, incominciò a riprendersi, a sentirsi più sereno e
sollevato.
Due anni dopo sua moglie partorì u n altro maschietto; n o n si
ammalò più come la prima volta ma sentf molto la mancanza del nu-
trimento migliore, e delle cure che allora le avevano tanto giovato.
Una sera, verso l ' i m b r i m i r e , Andrea sedeva accanto a lei, i n cordia-
le intimità familiare; Giorgina aveva al petto i l bimbo nato da po-
co mentre i l più grandicello correva i n t o m o giocando col grosso ca-
ne che, nella sua qualità d i beniamino del padixine, sì era conquista-
to i l d i r i t t o d i stare i n casa.
Entrò ìl garzone ad avvertire d'aver visto u n individuo molto
sospetto aggirarsi intorno aUa casa, già da quasi un'ora. Andrea pre-
se i l fucile e fece per uscire, quando si sentì chiamare d i f u o r i ; aper-
se la finestra e al p r i m o sguardo riconobbe l'odiato Ignazio Denner,
d i nuovo nel solito abito grigio da mercante e con una valigia sotto
i l braccio; - Andrea, - g l i gridò Denner appena l o vide. - D e v i dar-
m i ospitalità per questa notte: domani me ne andrò. - Come?!...
T u , sfrontato malfattore?... - g l i urlò d i rimando Andrea, fremen-
te d i collera. - H a i ancora i l coraggio d i farti vedere qui?... I o ho
tenuto fede alla mia promessa imìcamente perché t u mantenessi la
tua e lasciassi per sempre la nostra zona. M a i più t i permetterò d i
varcare la soglia dì questa casa!... Vattene, midedetto assassino!...
V i a dì corsa, o sparo!... N o . . . aspetta, aspetta! Devo prima renderti
l ' o r o e le gemme con cui volevi abbarbagliare mia moglie, b r u t t o
demonio... Te H b u t t o f u o r i e p o i t u te ne andrai. T i do tre giorni d i
IGNAZIO DENNER 55

tempo, e se ancora avvertirò in qualsiasi modo la presenza tua o del-


la tua banda, mi precipiterò a Fulda a rivelare all'autorità tutto
quello che so. Metti pure in atto le tue minacce contro di me e con-
tro mia moglie: io mi affido alla protezione di Dio... Ma guardati
dal mio fucile, canaglia!... - Andrea corse a prendere la cassetta per
gettarla dallafinestra,ma quando tornò ad affacciarsi Denner era
sparito, e non fu più possibile rintracciarlo neppure facendo batte-
;re dai mastini tutta la zona circostante. Andrea comprese la gravità
del pericolo: egli ormai era alla piena mercè del perfido Denner. Ri-
mase all'erta per tutta la notte ma poiché non accadde nulla si con-
vinse che il capobanda era venuto solo. Comunque, per liberarsi da
duello stato d'angoscia e mettersifinalmentela coscienza in pace,
decise dì non tacere più oltre; sarebbe andato a Fulda a informare
il consiglio dei suoi non colpevoli rapporti con Denner e a conse-
gnare la cassetta dei gioielli. Non se la sarebbe cavata senza una pu-
nizione, lo sapeva, ma contava di indiurre a clemenza i giudici con la
piena confessione e il pentimento sincero; e contava anche sull'in-
tercessione del conte von Vach, il quale non avrebbe mancato di
; mettere una buona parola in favore d'un servitore fedele. Perlustrò
ancora il bosco varie volte, insieme al garzone, senza tuttavia im-
battersi in nulla di sospetto; e quando si fu ben convinto che nes-
sun pericolo minacciava la mogUe decise di andare a Fulda. Ma la
mattina della partenza, quando era già vestito e pronto per metter-
si in viaggio, giunse all'improvviso un inviato del conte von Vach,
con l'ordine di seguirlo immediatamente al castello del suo signore;
perciò, invece di andate a Fulda, Andrea dovette seguire il messag-
gero al feudo dei Vach, non senza domandarsi con apprensione che
cosa potesse significare l'inattesa chiamata. Giunto al castello, fu
subito introdotto alla presenza del conte: - Rallegrati, Andrea! -
gli disse costui, appena lo vide entrare: - Ti è capitata ima fortuna
inattesa. Ricordi ancora il nostro vecchio oste brontolone, a Napo-
li?... I l padre adottivo ddla tua Giorgina?... Ebbene, è morto; ma
prima di morire si è pentito di aver tanto maltrattato la povera or-
fanella e le ha lasciato per testamento duemila ducati. La somma è
già stata versata, mediante una lettera di credito, a Francoforte, do-
ve potrai ritirarla dal mio bandhlere. Se vuoi andarci subito, ti fac-
cio preparare senz'altro il certificato necessario per incassare il de-
naro senza difficoltà —. Andrea rimase senza parola per la troppa
gioia - e della sua gioia godette silenziosamente anche Ìl conte.
Quando sì furipresodecìse di fare una lieta improvvisata alla mo-
glie; accettò la graziosa offerta del suo signore c, avuto ìl documen-
to dì legittimazione, si mise in viaggio per Francoforte. A Giorgina
56 RACCONTI NOTTURNI

mandò a dire che sarebbe rimasto fuori per alcuni giorni, avendogli
i l conte affidato certe commissioni importanti da sbrigare. G i u n t o a
Francoforte si presentò al banchiere del conte, i l quale l o indirizzò
a u n certo mercante, formalmente incaricato d i pagargli i l legato.
Andrea fini per trovare anche costui e ne ricevette la notevole som-
ma i n contanti. Sempre pensando soltanto a Giorgina e al modo d i
rendere ancor più completa l a sua gioia, comprò per l e i ogni sorta
d i cose belle e i m o spillone d'oro identico a quello donatole da Den-
ner. M a la sua sacca si era fatta troppo pesante per u n viaggiatore
appiedato, perciò egli dovette procurarsi anche u n cavallo. E cosi,
dopo sei giorni d i assenza, riprese allegro e giulivo la via del ritor-
no. I n breve giunse alla foresta, e quindi a casa. M a la casa la trovò
chiusa. Chiamò forte i l garzone. Giorgina... Nessuna risposta: sol-
tanto i sommessi guaiti dei cani chiusi dentro. Presagendo una gros-
sa sciagura, bussò con violenza alla porta e tornò a chiamare con
quanto fiato aveva i n gola : - Giorgina !... Giorgina !?... — O r a final-
mente la finestra del pianterreno cigolò, si aperse e apparve Giorgi-
na gemendo: - O h D i o ! . . . O h D i o ! . . . Andrea... sei tu?... Grazie al
cielo seì ritornato!... - Quando Andrea entrò i n casa la donna g l i sì
gettò al collo pallida, stravolta, piangente; egli rimase impietrito:
se la sentì venir meno fra le braccia e, prima d i e scivolasse sul pavi-
mento, la strìnse forte e la portò d i peso nella camera accanto. L'or-
rore, i l raccapriccio l o afferrarono alla gola con artìgli dì acciaio.
Orrendo spettacolo! Sangue dappertutto, sul pavimento, sulle pa-
r e t i ! . . . Disteso sul lettino, i l bimbo più piccolo m o r t o , rol petto
squarciato. - D o v ' è Giorgio... dov'è Giorgio?... - urlò Andrea con
disperazione selvaggia, ma i n quel momento udì i l ragazzino trotte-
rellare giù dalla scala chiamando - Babbo... b a b b o ! . . . . . . . B i c d i i e r i ,
bottìglie, p i a t t i r o t t i erano sparpaglìari dovunque. I l grosso tavolo
pesante, abitualmente addossato alla parete, era stato spinto i n
mezzo aUa camera e su dì esso posavano u n braciere dì foggia stra-
na, alcune fiale e una scodella piena dì sangue. Andrea sollevò i l suo
povero piccino dal letto; Giorgina comprese, portò alcune pezzuo-
le i n cui avvolsero i l corpìcìno e l o seppellirono presso la casa. A n -
drea ìntagUò una piccola croce dì quercia e la pose sul tumulo. N o n
una parola, n o n un lamento sfuggi alle labbra degli infelici genito-
ri: fecero t u t t o nel più cupo silenzio e p o i sedettero i n giardino fis-
sando l o sguardo immobile verso i l lontano orizzonte, nella luce del
tramonto.
Soltanto i l giorno seguente Giorgina f u i n grado d i raccontare
ad Andrea l'accaduto. Quattro giorni dopo la sua partenza ìl garzo-
ne, a mezzogiorno, disse d i aver d i nuovo scorto u n gran numero d i
IGNAZIO DENNER 57

' figuri sospetti aggirarsi nel bosco. Giorgina si augurò di tutto cuore
;che ìl maritoritornassepresto. Durante la notte venne destata da
grida e baccano, sotto lefinestre;ìl garzone accorse terrorizzato e
le disse che la casa era completamente circondata dai briganti: im-
possibile pensare a difendersi. I mastini si misero a latrare furiosa-
'jmente ma quasi subito parvero quietarsi, e qualcuno chiamò forte:
;- Andrea!... Andrea!... ~ I l garzone si fece coraggio, apri la finestra
e rispose che il guardiacaccia Andrea non era in casa. - E va bene,
non importa, -gridò un'altra voce. - Apri soltanto la porta, dobbia-
mo far sosta qui da voi; Andrea ci raggiungerà fra poco Al garzo-
ne nonrimasealtro che aprire; e un'orda dì banditi fece irruzione
lin casa salutando festosamente Giorgina come moglie del compa-
gno cui il capobanda doveva la libertà e la vita. Poi le chiesero di
preparare un pranzo coifiocchi,perché quella notte avevano lavo-
rato sodo, e con pieno successo. Tremante dì paura, la povera don-
na andò ìn cucina, accese un gran fuoco e preparò un buon pranzo
con la selvaggina, il vino e ogni sorta di ben di Dio, fomiti da im
•brigante addetto evidentemente alle mansioni di cuoco e cantinie-
re della banda. I l garzone dovette apparecchiare la tavola e mentre
,andava a prendere le stoviglie in cucina colse il momento opportu-
no per avvicinarsi alla padrona e sussurrarle, col terrore nella voce :
Avete sentito... avete sentito che razza di impresa hanno compiu-
to stanotte questi briganti ?... Dopo una lunga assenza e una lunga
.preparazione, alcune ore fa hanno assalito il castello del conte von
Vach; malgrado la disperata difesa, allafineìl conte e molti dei suoi
>8ono caduti uccisi... e ìl castello è stato dato allefiamme.- Ah, po-
vero signore!... Povero signore!... - gridò Giorgina, — Ah, se mio
.^marito fosse stato al castro!... - E intanto i banditi, nell'altra ca-
; mera, facevano baccano, cantavano e bevevano in attesa del pranzo,
r Verso l'alba apparve l'odioso Denner; le casse e i bauli trasportati
'dai briganti std dorso dei cavalli vennero aperti. Giorgina udì ìl tin-
, tirmio delle monete e delle argenterie, come se i briganti contassero
ed elencassero ogni cosa, pezzo per pezzo. Finalmente quando fu
giorno pieno la banda se ne andò. Deimer solorimase.Assunse
xm'aria disinvolta e cordiale e disse a Giorgina: - Certamente vi
, sarete molto spaventata, mia buona donna, perché mi pare che An-
ì'drea non vi abbia ancora detto di essere diventato imo dei nostri
già da molto tempo. Mirincresceproprio che non sìa ancora rien-
trato: forse avrà preso un'altra strada e non ha potuto trovarsi al-
l'appuntamento. Era con noi al castello di quel manigoldo, si, dico,
; del conte von Vach, che cì ha perseguitati in ogni modo per due an-
' ni, ma stanotte ha avutofinalmenteìl fatto suo. È caduto combat-
58 RACCONTI NOTTURNI

tendo, e proprio per mano d i vostro marito. M a calmatevi, mia ca


ra, calmatevi!... E dite ad Andrea che non m i rivedrà tanto presto
perché ora la banda si scioglie per un certo tempo. I o me ne vado
stasera... M a che bei bambini avete, cara la mia donna!... Anche
questo secondo maschietto è una vera meraviglia! - e così dicendo
le tolse i l bimbo più piccolo dalle braccia e seppe farlo giocare e di
vertire con tanto garbo che i l bimbo rìse, griderellò dalla gioia e r i
mase con l u i volentierissimo, fino a quando egli non lo restituì alla
madre. Verso sera Denner disse a Giorgina: - Benché, con grande
mio rammarico, io non abbia moglie né figli, come avrete notato, a
doro i bambini; non farei che giocare con loro e coccolarmeli. ~ Sto
per partire. - Ridatemi per pochi m i n u t i i l vostro piccino: ha appe
na compiuto nove settimane, non è vero?... - Giorgina assenti e
non senza u n oscuro senso d i riluttanza, g l i porse ìl bambino: Den
ner andò a sedersi davanti alla porta d i casa, tenendolo i n grembo, e
poi la pregò d i preparargli subito la cena perché sarebbe dovuto
partire entro un'ora. Giorgina si volse per andare i n cucina ma fece
ancora i n tempo a vederlo sgattaiolare nella camera attigua col bim-
bo i n braccio. Poco dopo tutta la casa f u invasa da uno strano fumo
maleolente che sembrava provenire dalla camera ìn cui era Denner
I n preda a u n terrore indescrivibile. Giorgina corse alla porta - la
trovò chiusa - le parve d i udire u n debole vagito del bimbo: - Sai
vaio!... Strappa ìl bambino dagli artigli dì quel mostro!... - gridò
presaga d i una orrenda sciagura, al garzone che stava rientrando.
Questi afferrò la scure e i n u n lampo sfondò la porta: un'ondata d i
fumo asfissiante l i avvolse entrambi. Giorgina con u n balzo f u nella
camera: i l b i m b o giaceva nudo su u n bacile entro cui sgocciolava i l
suo sangue. Ella vide ancora i l garzone vibrare la scure su Denner c
questi scansare ìl colpo, avventarsi sul garzone e lottare con luì. Le
parve d i udire una moltitudine d i voci sotto le finestre - p o i cadde
a terra svenuta. Riprese ì sensi a notte fonda; ma era cosf stordita c
intorpidita che non riuscì a muovere. Fìnalinente si fece giorno, e
allora ella vide con orrore che tutta la camera era inondata d i san-
gue: brandelli dell'abito d i Denner sparsi dappertutto... u n ciuffo
dì capeUi del garzone... la scure insanguinata K accanto. ... I l bim-
bo i n terra, col petto squarciato... Giorgina perse nuovamente ì sen-
si, credette d i morire. M a a mezzogiorno rinvenne d i nuovo dal so-
pore mortale, si rialzò a stento, chiamò forte Giorgio e non sen-
tendolo rispondere credette che avesse trucidato anche l u i . Con
la forza della disperazione corse f u o r i chiamando a squarciagola ;
— Giorgio!... Giorgio!... — Una vocina lamentosa le rispose tìmida-
mente dall'abbaino: - Mammit... mamma cara... sei l i ? . . . V i e n i su
IGNAZIO DENNER 59

da me... ho tama fame!... - Giorgina si precipitò di sopra e trovò il


bimbo che, spaventato dal pandemonio scatenatosi in casa, era cor-
so a nascondersi in soffitta e non aveva più osato uscir fuori. La ma-
dre se lo strinse al petto, ebbra di gioia, poi chiuse bene porte e fine-
stre, e tornò in soffitta ad attendere di ora in ora il ritorno di An-
drea, temendo però in cuor suo di non riveder più vivo neppure lui.
I l bimbo, dall'alto, aveva visto molti uomini entrare e uscirne in-
sieme a Denner, trascinando via un morto. Quando più tardi Gior-
gina vide il denaro e le cose beUe portate da Andrea, esclamò inor-
ridita: - Ma allora è vero?... Allora tu sei... - Andrea non la lasciò
finire e le raccontò per filo e per segno della fortuna toccatale e del
suo viaggio a Francoforte per riscuotere l'eredità. I l nipote del con-
te assassinato era succeduto allo zio nel possesso dei beni e del feu-
do. Andrea aveva intenzione di andare da lui a riferirgli onesta-
mente l'accaduto, indicargli il nascondiglio di Deimer e pregarlo di
dimetterlo da quel servizio che lo esponeva a troppi disagi, a troppi
pericoU. Ma Giorgina sola a casa col bimbo non l'avrebbe lasciata
più. Decisero pertanto di caricare le masserizie migliori e più facil-
mente trasportabili su im piccolo carro a rastrelliera, di attaccare Ìl
cavallo e andarsene per sempre, tutti e tre, da quei luoghi pieni di
orribili ricordi e dove mai più avrebbero potuto trovare tranquilli-
tà e sicurezza. Stabilirono di partire tre giorni dopo e stavano per
l'appunto imballando una cassa quando udirono avvicinarsi un fra-
goroso scalpitio di cavalli. Andrea riconobbe il guardiaboschi del
conte von Vach, abitante nei pressi del castello, e al suo seguito vi-
de venire un drappello di dragoni fuldesi.
- Eccolo, il malfattore!... - gridò un commissario giudiziale che
accompagnava gli armati. - Lo troviamo giust'appunto occupato a
portare al sicuro la refurtiva! - Andrea sussultò, sbalordito e ter-
rorizzato; ma gli uomini gli furono subito addosso, lo legarono, le-
garono sua moglie e li buttarono entrambi sul carretto, già pronto
dinnanzi alla porta. Giorgina suppUcò piangendo che, per l'amor di
Dio, non le togliessero il bambino. - Ah sì?... Perché tu trascini an-
che lui in perdizione?... - disse il commissario; e le strappòfibim-
bo dalle braccia. Mentre stavano avviandosi, il vecchio guardiabo-
schi - un uomo rude ma profondamente buono - si avvicinò al car-
ro e disse: - Andrea, Andrea... come hai potuto lasciarti indurre
dal demonio a commettere simili infamie?,.. Tu, così onesto, cosi
leale... - Ah, caro signore!... - esclamò Andrea affranto. - Com'è
vero che Iddio vive in cielo e ch'io spero di morire nella sua santa
grazia, sono innocente !... Voi mi conoscetefinda quando ero giova-
ne... Come potrei, senza aver mai fatto nulla di male, essere diven-
6o RACCONTI NOTTURNI

tato t u t t o ad u n tratto u n malfattore?... Si, lo so, anche v o i mì cre-


dete u n infame brigante... credete ch'io abbia partecipato al misfat-
to compiuto contro i l castello del m i o amato, infelice signore. M a
io sono innocente: ve l o giuro sulla mia vita, sull'anima mìa!... - E
va bene, - sospirò i l guardiaboschi. - Se è così, malgrado le molte
prove contro d i te, la tua innocenza finirà per venire alla luce. D e l
b i m b o e d i quanto lasci indietro m i prenderò cura ìo stesso; cosi,
quando avrai dimostrato la tua innocenza ritroverai ìl pìccolo sano
e salvo e le tue cose intatte I l denaro venne preso i n consegna dal
commissario giudiziale. Lungo via Andrea domandò a Giorgina do-
ve avesse nascosto la famosa cassetta; lei g l i rispose mortificata d i
averla restituita a Denner; e rimpiangeva d i averlo fatto perché ora
sarebbe stato utile poterla consegnare all'autorità. A Fulda Andrea
venne separato dalla moglie c gettato i n una profonda e oscura pri-
gione; alcuni giorni dopo venne tratto f u o r i e interrogato. L o accu-
sarono d i aver part^ìpato all'assassìnio per rapina nel castello dei
Vach esortandolo ad ammettere la propria colpa, già ampiamente
provata dai f a t t i . Andrea raccontò punto per pimto l'intera vicen-
da, dal giorno i n cui l'abominevole Deimer gU era capitato i n casa
per la prima volta, al momento dell'arresto. Sì accusò, pieno dì ri-
morso, dell'unico errore veramente commesso, e cioè d i essersi tro-
vato presente al saccheggio della fattoria e aver sottratto Deimer
alla cattura per salvare la moglie ed Ìl figlio. M a insistè n e l prote-
starsi totalmente estraneo all'ultima impresa criminosa compiuta
dalla banda perché, mentre avveniva ÌI fatto, egli si trovava a Fran-
coforte. A questo pimto, le porte sì aprirono e Deimer venne intro-
dotto nel tribunale. Come vide Andrea l'infame scoppiò i n una ri-
sata diabolica: - E cosi, camerata, - g l i disse sprezzante. - . . . T i sei
lasciato pescare anche tu?... Le preghiere dì tua moglie n o n sono
bastate a salvarti ? . . . - ! ! giudice l o invitò a ripetere k sua deposi-
zione sul conto dell'imputato. I l guardiacaccia del conte v o n Vach,
disse Denner additando Andrea, già da cinque anni sì era messo
d'accordo con l u i . Durante t u t t o quel tempo la sua casa nel bosco
g l i aveva offerto i l migliore, i l più sicuro dei nascondigli. Andrea
aveva sempre ricevuto la propria parte d i refurtiva, pur n o n aven-
do attivamente partecipato alle azioni se non due volte soltanto; e,
precisamente, al saccheggio della fattorìa — quando g l i aveva salva-
to la vita - e alia spedizione contro i l conte L u i g i v o n Vach, che a-
veva uccìso d i propria mano con u n colpo maestro. A l l ' u d i r e tali
spudorate menzogne, Andrea si infuriò: ~ Come?... - gridò. - A h ,
maledetto ribaldo! Osi accusarmi dell'assassìnio del mìo povero,
caro signore che t u stesso uccidesti?... T u , certo... Perché t u solo
IGNAZIO DENNER 6l

potevi essere capace di una simile azione!... Ma ti accanisci a perse-


guitarmi, vuoi vendicarti su di me perché ho sempre rifiutato di es-
serti complice, perché ho perfino minacciato <è ammazzarti, da
quell'empio predone assassino che sei, se ancora avessi osato var-
care la mia soglia. Perciò facesti irruzione in casa mia con la tua ban-
da, mentre ero assente, perciò trucidasti il mio povero bimbo inno-
cente e il mio bravo garzone !... Ma non sfuggirai alla tremenda ven-
detta della giustizia divina, anche se io dovrò soccombere alla tua
perfidia!... - E Andrea riconfermò la deposizione di poc'anzi, giu-
rando soletmemente di dire il vero. Dennerrisesprezzante e gli do-
mandò come ardisse mentire cosi di fronte al tribunale... A t ^ pun-
to temeva la morte?... Invocare Iddio e tutti i santi a testimoni di
asserzioni mendaci male si conciliava con la famosa «pietà» di cui
si era sempre tanto vantato!... I giudici erano indecisi e perplessi:
a vederlo, a sentirlo parlare, Andrea sembrava sincero; ma la fred-
da sicurezza di Denner li sconcertava. Venne introdotta Giorgina
che, affranta dal dolore, si gettò fra le braccia del marito piangendo
forte. Ma la sua deposizione risultò incoerente e sconnessa. Denner
non parve affatto indignato nel sentii^i accusare da lei dell'assassi-
nio del bimbo, anzi, tornò a confermare che la donna era sempre
stata tenuta all'oscuro delle imprese del marito ed era perciò del
tutto innocente. E Andrea venne ricondotto nella sua. prigione.
Qualche giorno dopo, il carceriere - una buona pasta d'uomo, in
fondo - gli disse che sua moglie,ripetutamentescagionata e da
Denner e dagli altri briganti, era statarimessain libertà, nulla es-
sendosi potuto provare a suo carico. I l giovane conte von Vach - un
signore molto magnanimo ~ che pareva dubitare perfino della col-
pevolezza di lui - di Andrea - aveva versato una cauzione d il vec-
chio guardiaboschi era venuto a prendere Giorgina con una bella
carrozza. Giorgina aveva inutilmente supplicato di poter rivedere
il marito: - su questo punto il tribunale era stato infiessibiie. Tali
notizie consolarono non poco il povero Andrea, assai più angustia-
to dal pensiero dei patimenti della moglie in prigione, che non dal-
la propria sventura. Come Denner aveva affermato, si accertò che
da cinque anni Andrea godeva di un certo benessere, la cui origine
non poteva spiegarsi se non con la sua partecipazione alle imprese
della banda. Andrea inoltre dovette ammettere che la sera del de-
litto al castello egli non si trovava in casa; dichiarò di esser andato
a Francoforte ma questa asserzione parve sospetta, non essendo e-
gli in grado diripetereil nome del mercante da cui aveva incassato
il denaro. I l banchiere del conte e il padrone dell'albergo in cui egli
aveva preso alloggio a Francoforte dichiararono entrambi di non ri-
62 RACCONTI NOTTURNI

cordare quel tale guardiacaccia, cosi come venne loro descritto. I l


legale del conte d i Vach, subito dopo aver redatto i l certificato per
Andrea era m o r t o e nessuno dei servitori sapeva nulla dell'eredità
perché i l conte con loro non ne aveva fatto parola; e Andrea s'era
ben guardato dal parlarne per non sciupare la sorpresa che deside-
rava fare alla moglie ritornando da Francoforte col denaro. Insom-
ma, d i tutte le circostanze da l u i addotte per dimostrare la propria
presenza a Francoforte mentre veniva commesso i l delitto non una
sola potè venire provata. Deimer invece rimase fermo sulla propria
deposizione, unanimemente confermata dagli altri malfattori. M a
t u t t o ciò non avrebbe ancora pienamente convinto i giudici della
colpevolezza d i Andrea, se due cacciatori del conte v o n Vach non
avessero testimoniato d i averlo visto e riconosciuto benissimo, alla
luce dell'incendio, proprio mentre colpiva a morte Ìl povero conte.
Da quel momento Andrea diveime agli occhi dei giudici u n delin-
quente indurito ed ipocrita; e, sulla base d i tante prove e testimo-
nianze, lo condannarono aUa tortura per piegarne la pervicacia e co-
stringerlo a dichiararsi colpevole. Andrea languiva i n carcere già da
oltre un anno; e le pene sofferte ne avevano intaccato le forze, inde-
bolito e fiaccato Ìl corpo robusto e vigoroso. Venne i l giorno tre-
mendo: la confessione d'una colpa non commessa doveva venirgli
estorta coi tormenti. L o condussero nella camera d i tortura, dov'e-
rano approntati g l i orrendi strumenti escogitati dalla più raffinata
crudeltà umana; e i carnefici sì apprestarono a compier l'opera loro.
Andrea venne ancora una volta esortato ad ammettere ciò che tante
concordanze d i f a t t i - e soprattutto la testimonianza dei due caccia-
tori - già comprovavano ampiamente. M a egli ancora una volta pro-
clamò la propria innocenza; riespose tutte le circostanze dei rappor-
t i avuti con Denner con le stesse parole usate durante ìl primo in-
terrogatorio. Allora i carnefici l o presero, l o l ^ r o n o e l o tortura-
rono slogandogli le membra e conficcandogli aculei d i ferro nelle
carni stiraccliiate. Andrea non potè resistere a tanto strazio: invo-
cando la morte, ammise t u t t o ciò che i giudici volevano, e venne
trascinato nella sua cella p r i v o d i sensi. Rianimato col vino, come si
usava fare dopo la tortura, cadde i n uno stato d i sopore angoscioso.
M a ad xm tratto g l i parve d i udire dei r u m o r i nel m u r o e p o i un
tonfo, come d'una pietra che cadesse sul pavimento della cella: da
un'apertura praticata nella parete, vide filtrare una luce rossastra e
quindi sbucare una figura umana che, p u r avendo ì t r a t t i dì Den-
ner, non g l i parve tuttavia essere Denner. G l i occhi erano più ar-
denti e scintillanti, più neri e arruffati i capelli, le sopracciglia fo-
sche più profondamente infossate nei muscoli grassi sovrastanti i l
IGNAZIO DENNER 63

naso aquilino; il viso appariva raggrinzito e distorto in modo stra-


no ed orribile; gli abiti erano di foggia straniera, stravaganti (Den-
ner non ne aveva mai indossati di simili...): un ampio manto scar-
latto con abbondanti guarnizioni d'oro gli pendeva dalle spalle, ri-
cadendo in piegherigonfie;posato di sghembo sulla testa, im cap-
pello spagnolesco, a tese abbassate, su cui ciondolava un pennac-
chio rosso; un lungo stocco alfiancoe sotto il braccio sinistro uno
scrignetto. La tristafiguraspettrale avanzò verso Andrea, dicendo-
gli con voce cupa e cavernosa: - Dunque, amico, ti è piaciuta la
tortura?... Tutto questo lo devi esclusivamente alla tua ostinazio-
ne: se avessi dichiarato di appartenere alla banda, a quest'ora tì a-
vrebbero già tratto in salvo. Ma se mi prometti di affidarti intiera-
mente a me e alla mia guida e se, vincendo ogni riluttanza, accon-
sentirai a bere alcune di queste gocce distillate col sangue tratto
dal cuore del tuo bimbo, cesserai all'istante di soffrire e ritornerai
sano e forte come prima. A trarti in salvo prowederò io L'orro-
re, la paxwa, lo sfinimento non permisero ad Andrea di profferir pa-
rola: egU vide il sangue di suo figlio rosseggiare come una fiammel-
la nellafialaprotesagli dallafiguraspettrale, £ allora pregò con fer-
vore Iddio e tutti ì santi di salvarlo dagli artìgli dì Satana, che lo
perseguitava per sottrarlo a quell'eterna salvezza cui egli sperava di
giungere anche a costo di subire una morte ignominiosa. Con ima
risata che echeggiò sinistra per tutto ìl carcere, lafiguradisparve ìn
una nube di fumo. Andrea si destò dal greve sopore e, benché in-
tontito,riuscia risollevarsi. Ma, oh stupore!... La paglia su cui ave-
va posato il capo frusciò... si sollevò... venne scostata: una pietra
del pavimento era stata rimossa e attraverso l'apertura qualcuno lo
chiamòripetutamenteper nome, a bassa voce. Andrea riconobbe la
voce di Denner: — Che vuoi da me?... — gli disse. - Lasciami in pa-
ce!,.. Non ho nulla a che fare con te!...
- Andrea, - disse Deimer. - Ho dovuto perforare parecchi sof-
fitti per salvarti; perché se; giungeremo sul luogo dell'esecuzione io
verrò salvato, ma tu sarai perduto. Ti aiuto unicamente per amor di
tua moglie, che mì sta a cuore assai più dì quanto tu non possa pen-
sare. Sei un poltrone, non hai un filo dì <x)ra^o ! Che cosa ti haimo
fruttato i tuoi pietosi dinieghi?... Io sono stato acciuffato soltanto
perché tu tardasti aritornaredal castello dei Vach e io mi trattenni
troppo con tua moglie,,. Ecco, a te: prendi questa lima e questa se-
ga e la prossima notte taglia le catene, fa' saltare la serratura, infilati
in corridoio: la terza porta a sinistra la troverai aperta e fuori ci sarà
imo dei nostri per farti da guida. Sta' ìn gamba!... - Andrea prese la
lima e la sega, e ricollocò la pietra nell'apertura, ben decìso a seguire
64 RACCONTI NOTTURNI

la voce della propria coscienza. Quando il mattino seguente entrò


il carceriere Andrea gli disse che doveva assolutamente venir con-
dotto alla presenza dei giudici, avendo importanti rivelazioni da
fare. Il suo desiderio venne esaudito ancor prima dì mezzogiorno,
nella convinzione che egli volesse rivelare qualche altro misfatto
della banda. Invece Andrea consegnò ai giudici gli utensili ricevuti
da Denner e raccontò quanto gli era accaduto durante la notte:
- Benché io soffra sapendomi innocente, - disse nel concludere la
deposizione, - mi guardi Iddio dal voler riacquistare la libertà in
modo illecito, perché ciò mi porrebbe nelle mani dell'infame Den-
ner che già mi ha trascinato nell'onta e alla morte; e allora io meri-
terei per davvero il castigo che sto per subire innocente —, I giudici
parvero meravigliati e impietositi. Ma erano troppo convinti della
sua colpevolezza, provata da tanti fatti e tante circostanze, per non
trovare sospetto i l suo comportamento. Tuttavia poiché alcuni
membri della banda vennero effettivamente sorpresi e acciuffati
nelle immediate vicinanze del carcere, come aveva preannunziato
Denner nel suo progetto dì fuga, la sincerità di Andrea venne dimo-
strata e ciò influì favorevolmente sulle sue sorti. Gli valse, per in-
tanto, il trasferimento dalla cella sotterranea in una camera lumino-
sa deUa prigione, accanto all'alloggio del carceriere. Egli vi trascor-
reva le giornate pensando alla moglie e al bambino e raccogliendosi
in devote meditazioni, in seguito alle quali si sentiva rincuorato e
disposto a gettare la vita - benché in modo tanto penoso - come un
inutile fardello. Tanta pietà sbalordì il carceriere e quasi lo indusse
a credere nell'innocenza dell'accusato.
Finalmente, dopo circa un altro anno ancora, l'intricato proces-
so contro Denner e i suoi complici si concluse. Veime accertato che
la banda depredava e assassinava già da moltissimo tempo, spingen-
dosifinoal confine italiano. Denner fu condannato alla forca, il suo
corpo a venire abbruciato. Anche all'infelice Andrea toccò la con-
danna al capestro ma, in considerazione del suo pentimento e della
rivelazione che aveva permesso di scoprire e sventare i l piano di
fuga concertato da Denner, sì decretò die il suo corpo venisse sep-
pellito nel luogo dell'esecuzione.
Giunse il mattino fatale. La porta della cella si aperse e il giova-
ne conte von Vach entrò. Appressandosi ad Andrea che pregava si-
lenziosamente in ginocchio: - Andrea, - gli disse, - Andrea, tu de-
vi morire. Allevia la tua coscienza con una sincera confessione!
Dimmi: hai ammazzato Ìl tuo signore?... Sei tu veramente l'assassi-
no di mio zio?... - Andrea scoppiò in pianto; tornò a ripetere tut-
to ciò che aveva detto in tribunale prima che gli strazi insopporta-
IGNAZIO DENNER 65

bili della tortura gli estorcessero la falsa ammissione. Oliamo Id-


dio e tutti i santi a testimoni della verità di quanto asseriva e della
sua piena innocenza per quanto riguardava la morte dell'amato si-
gnore. - E allora qui sotto c'è un mistero inspiegabile, - prosegui il
conte. - Io stesso, Andrea, ero convinto della tua innocenza nono-
stante tutte le prove in tuo sfavore. Sapevo che giàfinda ragazzo
fosti il più fedele dei servitori di mio zio e che tma volta, a Napoli,
lo salvasti dalle mani dei briganti arischiodella vita. Se non che,
soltanto ieri Francesco e Nicola, i due vecchi cacciatori deUo zio, mi
haimo nuovamente giurato di averti visto, in carne ed ossa, fra i
malfattori e proprio nel momento in cui stendevi a terra il conte - .
Un indicibile senso di pena e di orrore invase il povero Andrea: egli
pensò che Satana stesso avesse assunto le sue sembianze per rovi-
narlo. Infatti, anche Denner, in prigione, gli aveva assicurato di a-
verlo visto, e le sue false accuse in tribimale gli erano parse pronun-
ziate con intima e sincera commozione. Andrea ripetè francamente
tutte queste considerazioni al giovane conte e concluse rimettendo-
si al volere del ciclo. Accettava di far lafineobbrobriosa del malfat-
tore nella certezza che la sua innocenza sarebbe prima 0 poi venuta
in luce. I l conte von Vach parve profondamente scosso; riusd an-
cora a mala pena ad assicurare ad Andrea di aver taciuto la data del-
l'esecuzione all'infelice Giorgina, la quale si trovava ora al sìcaro
nella casa del vecchio guardiaboschi; e lo lasciò. Cupi, uguali, scan-
diti, rimbombarono sinistramente irintocchidella campana muni-
cipale. Andrea venne vestito e il corteo sfilò con la consueta solen-
nità fra la folla che si riversava verso la piazza dell'esecuzione. An-
drea pregava ad alta voce e la gente, al vederlo in atte^amento co-
sì devoto, taceva commossa. Denner aveva invece tutta l'aria del
delinquente arrogante e indurito, si guardava attorno allegro e spa-
valdo, derìdendo e schernendo mdignamente i l povero Andrea.
Toccò a questi di venir giustiziato per primo. Mentre saliva con
passo fermo la scala del p^co insieme al carnefice, una dotma lanciò
un grido straziante e cadde svenuta fra le braccia dì un vecchio. An-
drea guardò ìn basso e vide Giorgina. Allora pregò ad alta voce ìl
cielo di dargli fino all'ultimo la forza e la calma: — Lassù, lassù, ti
rivedrò, povera moglie mìa infelice!... Io muoio irmocente, - gridò
levando gli occhi al cielo. I l giudice disse al carnefice dì affrettarsi
perché fra la folla si stava levando un mormorio dì scontento e già
alcune pietre erano volate in direzione di Denner che, dal palco, ir-
rideva gli spettatori impietositi di Andrea. Mentre il carnefice po-
neva U cappio al collo del condannato si udf gridare da lontano:
-Ferma!... Ferma!... Per l'amor di Cristo, ferma!... Quell'uomo è
66 RACCONTI NOTTURNI

innocente!... State giustiziando un innocente!... - Ferma!... Fer-


mai... - gridarono mille voci; e i soldati di guardia riuscirono a
stento ad arginare la folla che si era precipitata in avanti per strap-
pare Andrea dalla scala.
L'uomo che aveva gridato per primo avanzò a cavallo c Andrea,
gettatagli un'occhiata riconobbe immediatamente U mercante da
cui aveva preso in consegna l'eredità di Giorgina a Francoforte. I l
petto parve schiantarglisi per la troppa gioia. Quando lo fecero
scendere dalla scala quasi non si reggeva più in piedi. I l mercante
disse al giudice che mentre veniva compiuta l'aggressione al castel-
lo dei Vach Andrea si trovava a Francoforte, molte miglia lontano,
e si dichiarò disposto a dimostrarlo, con documenti e testimoni, di
fronte al tribimale. - L'esecuzione di Andrea non può seguire, -
proclamò il giudice ad alta voce, - perché questa importantissima
circostanza dimostrerà - se comprovata ~ la piena innocenza del-
l'accusato Pertanto Andrea veime subito ricondotto in prigione.
Dermer aveva osservato tranquillamente la scena dall'alto del
palco; ma quando udì le parole del giudice sbarrò gli occhi, digrignò
i denti e urlò disperato, furente: - Satana, Satana, mi hai inganna-
to!... Ohimè... ohimè!... È finita... finita... Tutto è perduto!... - La
sua voce risuonò terrificante nell'aria, come l'urlo della follia.,.
Tratto giù dalla scala cadde a terra rantolando: — Voglio confessa-
re... voglio confessare tutto... - Anche la sua esecuzione venne so-
spesa ed egli pure venne ricondotto in prigione. Tutte le precauzio-
ni vennero prese per rendergli impossibile la fuga, benché l'odio dei
guardiani verso di lui costituisse la miglior difesa contro l'astuzia
dei suoi alleati. Pochi minuti dopo essere rientrato in casa del carce-
riere Andrea già stringeva Giorgina fra le braccia. - Andrea, An-
drea, - disse lei. - Ora veramente ti ho ritrovato, perché ora so che
sei innocente!... Anch'io avevo dubitato della tua onestà... della tua
pietà...! ~ Benché le avessero tenuta nascosta la data dell'esecuzio-
ne, quel giorno un senso d'angoscia indicibile, come uno strano pre-
sentimento, l'aveva indotta ad accorrere a Fulda dov'era giimta nel
preciso istante in cui il marito stava salendo la scala del palco fatale.
Durante tutto il periodo della lunga istruttoria, il mercante si
era trovato in viaggio, m Francia e in Italia, donde faceva ritorno
passando per Vienna e Praga. I l caso, o piuttosto una speciale gra-
zia del cielo, aveva voluto ch'egU giungesse sulla piazza dell'esecu-
zione nel momento decisivo, appena in tempo per salvare il povero
Andrea dalla morte ignominiosa del malfattore. Nella locanda ave-
va inteso raccontare tutta la storia dì Andrea e subito, con una
stretta al cuore, gli era balenata l'idea che potesse trattarsi di quello
IGNAZIO DENNER 67

Stesso guardiacaccia venuto da lui due anni prima ad incassare un'e-


redità lasciata alla moglie da certi parenti napoletani. Si era precipi-
tato fuori e, appena visto Andrea, si era convinto d'aver supposto
il vero. I l sollecito intervento del bravo mercante e del giovane con-
te von Vach riusci a dimostrare con assoluta esattezza la presenza
di Andrea a Francoforte nel giorno e nell'ora dell'incursione al ca-
•stello, scagionandolo così completamente dall'accusa di assassinio.
Dermer stessofinìper ammettere la verità delle dichiarazioni di An-
' drea circa i loro rapporti; e soggiunse che Satana doveva averlo ab-
bagliato perché egli realmente aveva creduto di vedere Andrea com-
, battere al propriofianco,nel castello dei conti von Vach. I giudici
• furono d'avviso che per la forzata partecipazione al saccheggio della
fattoria e la sottrazione di Denner ai rigori della legge, Andrea aves-
se già espiato abbastanza col lungo periodo di dura prigionia, la tor-
, tura, l'angosciosa attesa della morte; perciò, con regolare sentenza,
lo dichiararono non passibile di ulteriori punizioni e lo rimìsero in
ilibertà. Andrea si affrettò a recarsi, con Giorgina, al castello dei
Vach, dove ìl nobile e benefico signore gli diede alloggio in un fab-
; bricato annesso, affidandogli soltanto più alcuni piccoli servizi rela-
tivi alle proprie cacce personali. I l conte provvide altresì a pagare le
spese di giudìzio, cosicché Andrea e Giorgina poterono godere del-
l'intero loro patrimonio.
I l processo contro lo scellerato Ignazio Denner prese allora tut-
t'altra piega. Una radicale trasformazione pareva essersi operata in
quel tristo individuo ìn seguito al fatto accaduto sul luogo dell'ese-
cuzione; la sua diabolica, sprezzante alterigia appariva ormai rintuz-
zata. E da un Denner non più protervo ma prostrato e contrito si
ebbero ammissioni tali da farrizzarei capelli ìn testa ai giudici. Egli
sì accusò, mostrandosene profondamente pentito, di aver giàfinda
fanciullo stretto un patto con Satana, per il che l'inquisitoria dovet-
te proseguire con l'intervento della competente autorità religiosa.
Circa i lontani trascorsi della propria vita Denner raccontò cose tal-
mente inaudite da sembrare invenzioni d'una fantasia delirante. Ma
le informazioni assunte a Napoli ne confermarono la veridicità. Un
compendìo degli atti inviati dal tribunale ecclesiastico napoletano
forni le risultanze seguenti;
Moltissimi anni addietro vìveva a Napoli un vecchio dottore
stravagante di nome Trabacchio, soprannominato «il medico dei
miracoli» a motivo dì certe sue cure misteriose e infallìbili. Pareva
che l'età non potesse nulla su dì lui perché, quantunque già sull'ot-
tantina (... almeno, secondo i calcoli del concittadini...), continuava
a andarsene in giro con passo spedito e giovanile. Aveva un viso
68 RACCONTI NOTTURNI

grinzoso e contratto in modo strano ed orrendo, e non era possibile


guardarlo a limgo negli occhi senza sentirsi rabbrividire. Eppure
quel suo sguardo penetrante riusciva spesso benefico agli ammala-
ti: anzi, si diceva gli bastassefissareintensamente un infermo per
guarirlo dei mali più gravi ed ostinati. Usava vestire di nero ed av-
volgersi in un ampio mantello rosso, con galloni e nappe dorate, di
sotto le cui pieghe abbondanti pendeva una lunga spada. Vestito in
tal guisa e portando sotto il braccio una cassetta piena di rimedi da
lui stesso preparati, se ne andava per le strade di Napoli a visitare
gli infermi mentre tutti si scostavano, con sacrosanto terrore, al suo
passaggio. Soltanto in casi di estrema necessità la gente si rivolgeva
a lui; ma non accadeva mai che egli si rifiutasse di visitare un amma-
lato, anche quando sapeva di non poterne ricavare un grosso gua-
dagno. In breve tempo gli erano morte parecchie mogli, tutte molto
belle, tutte ragazze di campagna. Egli le teneva chiuse in casa e le
lasciava uscire soltanto per andare a messa, accompagnate da una
vecchia brutta e ripugnante ma assolutamente incorruttibile. Gra-
zie a costei i giovani libertini vedevano regolarmente fallire qualsia-
si tentativo, anche il più scaltro, di avvicinare le belle mogli di Tra-
bacchio. I l dottore si faceva pagare bene dai clienti ricchi; ma i suoi
guadagni non potevano assolutamente venir posti in rapporto con
le favolose ricchezze in denaro e gioielli che accumulava in casa e
non nascondeva a nessuno. Egli amava anzi mostrarsi liberale fino
allo scialo. Ogniqualvolta gli moriva una moglie aveva l'abitudine
di dare un banchetto cosi grandioso da costargli certamente il dop-
pio di quanto potesse rendergli la professione in un'intera annata
di lavoro. Dall'ultima delle sue mogli gli nacque im figlio che egli
tenne sempre rinchiuso e celato agli occhi di tutti, come le mogli
stesse. Lo mostrò soltanto, seduto accanto a sé, durante il banchet-
to offerto quando anche l'ultima moglie gli mori. I convitati rima-
sero stupefatti dall'intelligenza e la bellezza di quel bimbo treeime;
soltanto la statura ne rivdava l'età, perché a giudicare dal compor-
tamento lo si sarebbe detto un ragazzino di almeno dodici anni. In
tale circostanza il dottor Trabacchio dichiarò che essendo stato fi-
nalmente appagato Ìl suo antico desiderio di avere un figlio, non si
sarebbe sposato più. Ma le favolose ricchezze, la vita misteriosa e,
soprattutto, le cure prodigiosefinoall'incredibile — (bastavano tal-
volta poche gocce di certi suoi preparati, spesso anche un solo tocco
delle sue mani, un suo sguardo a guarire le malattie più ostinate) -
tutto ciò, insomma, fece nascere e dilagare per Napoli le dicerie più
svariate. Si incominciò col mormorare eh'egli fosse un alchimista,
un evocatore di demoni e lo si accusò infine di aver stretto un patto
IGNAZIO DENNER 69

con Satana. Quest'ultima voce si sparse in seguito a im fatto singo-


larissimo: alami gentiluomini napoletani stavano rincasando a tar-
ida notte dopo un festino ed essendo tutti un po' brilli persero la
strada e capitarono in im quartiere solitario, di dubbia fama. Al-
l'improvviso intesero come im sussurro, un fruscio e si videro din-
nanzi, con orrore, im gigantesco gallo rosso, fosforescente, con un
superbo trofeo di coma cervine sulla testa. L'animale mostmoso
^veniva alla loro volta ad ali spiegate,fissandolicon occhi umani. Si
trassero in disparte, addossandosi a un muro, e il gallo passò loro
davanti, seguito da una figura alta, avvolta in im mantello scintil-
lante di guarnizioni dorate. Appena i due furono passati oltre, imo
'dei gentiluomini disse sottovoce; - Era il dottor Trabacchio... Ìl
«medico dei miracoli!...» - Benché terrorizzati dall'apparizione
mostruosa, Ì giovani si fecero coraggio e seguirono il sedicente dot-
tore, guidati dalla fosforescenza del gallo die lo precedeva. Videro
le duefiguredirigersi effettivamente verso l'abitazione del dottore
: situata in una piazzetta deserta, fuori mano. Giunto diimanzi alla
casa, il gallo si librò nell'aria e sbatté le aH contro la grande finestra
; del balcone, che si apersetintinnando.Una voce di vecchia belò:
- Venite... venite a casa... I l letto è caldo, e la bella attende da tan-
i to... da tanto tempo!... - Parve allora che il dottore salisse su per
una scala invisibile e chiamasse il gallo dallafinestra;con un tintin-
; nio ed un fracasso die rimbombarono nella strada deserta la finestra
' venne quindi rinchiusa, e tutto ripiombò nel buio nero della notte,
lasdando muti e impietriti per lo spavento e l'orrore i nobiluominl
nottambuli. Questa apparizione e h convinzione espressa dai genti-
luomini che lafiguraappena intravista alla luce emanante dal gallo
infemale fosse quella del famigerato dottor Trabacchio, bastarono,
quando giunsero all'orecchio del tribunale ecclesiastico, a promuo-
vere segretissime e minuziose indagini sul conto del satanico tauma-
turgo. Si accertò infatti che in casa di costui appariva spesso un gal-
lo rosso. I l gallo e il dottore erano stati uditi accalorarsi ìn conver-
sazioni e dispute inverosimili, come avrebbero potuto fare due filo-
sofi dissertando sui punti controversi delle rispettive dottrine. I l
tribunale ecdesiastico già era sul punto di far arrestare il dottor
Trabacchìo sott'accusa dì stregoneria ma il braccio secolare lo pre-
cedette. Mentrerincasavadopo aver visitato un infermo, il dottore
venne acciuffato dagli sbirri e gettato in prigione.
La vecchia era già stata arrestata precedentemente, in casa; ma il
fandullo non fu trovato. Apposti i sigilli alle porte e circondata la
casa di sentinelle, venne aperto un procedimento giudiziale in base
ai motivi seguenti;
70 RACCONTI NOTTURNI

Da qualche tempo, a Napoli e nei dintorni, erano morte parec-


chie personalità eminenti; e morte, a unanime giudizio dei medici,
di veleno. La cosa aveva dato luogo a molte indagini rimaste infrut-
tuose fino a quando un giovane napoletano, noto dissoluto e scia-
lacquatore, il cui zio era pure morto avvelenato, finì per confessarsi
autore dell'orrendo delitto, dichiarando di aver acquistato il veleno
dalla vecchia governante di Trabacchio. Si spiarono allora le mosse
della vecchia e la si sorprese mentre stava portando vìa uno scri-
gnetto ben chiuso in cui vennero trovate numerosefialette,contras-
segnate coi nomi di diversi medicamenti ma contenenti tutte uno
stesso liquido velenoso. Sulle prime la vecchia non volle ammettere
ma, minacciata di tortura, confessò: il Trabacchio già da molti anni
preparava quel veleno artificiale noto sotto il nome di «Acqua tof-
fana» ' e ne faceva commercio clandestino traendone la massima
parte dei suoi proventi. Era inoltre cosa anche troppo certa ch'egli
fosse in rapporti con Satana e Io evocasse facendolo apparire sotto
diverse sembianze. Ognuna delle mogli gli aveva partorito un bim-
bo all'insaputa dì tutti, perfino dei casigliani, e non appena Ì bimbi
compivano nove settimane o nove mesi egli li sacrificava barbara-
mente squarciando loro il petto ed estraendone il cuore con rituali
e preparazioni solenni. A tali operazioni Satana interveniva sem-
pre, ora sotto questo, ora sotto quel sembiante, ma per lo più sotto
forma di pipistrello. Agitando le immense ali U pipistrello mostruo-
so attizzava il braccre sul quale Trabacchio cuoceva, col sangue trat-
to dal cuore dei figli, certe gocce preziose capaci di guarire qualsiasi
malattia. O>mpiuto il rito, Trabacchìo uccideva le mogli, e sempre
con mezzi tali da non lasciar traccia di delitto e trarre in inganno
anche i medici più esperti, Soltanto l'ultima delle sue mogli, quella
da cui aveva avuto il bimbo tuttora vivente, era morta di morte na-
turale.
I l dottor Trabacchio ammise tutto con sconcertante franchezza,
quasi come se provasse piacere nello sconvolgere ì giudici coll'orri-
pilante racconto dì così atroci misfatti e soprattutto dell'empia al-
leanza con Satana. I religiosi presenti al processo si adoprarono in
ogni modo per indurlo a pentirsi e a riconoscere le proprie colpe,
ma invano: Trabacchiorisposesempre schernendoli e dUeggiando-
li. La vecchia e il dottore vennero entrambi condannati al rogo. -
Perquisita la casa, tutte le ricchezze - (detratte le spese processuali )
- vennero devolute agli ospedali. Nella biblioteca non si trovò un
' Acqua tofìna, veleno a rapidissima azicme. sulla cui formula sono state azzardate di-
verse Ipotesi. Se ne attribuisce l'invenzione a una donna siciliana vissuta nel secolo xvil,
Tet^anfa di Adamo, la cui figlia, Giulia Tofana, lo avrebbe usato per prima a scopi criminali.
IGNAZIO DENNER 71

lo volume sospetto, né utensìli o arnesi tali da far pensare alle arti


taniche praticate da Trabacchio. Rimaneva ancora im'imica came-
chiusa, dalle cui pareti uscivano delle tubazioni: evidentemente
lello doveva essere il laboratorio. Si tentò dì aprirlo con ogni mez-
ma invano. Alla presenza dei giudici, fabbri e muratori sì accìn-
ro a forzare le chiusure ma, quando la porta stava per cedere, al-
'intemo della camera sì levò un coro di voci orrende... urla, sussur-
frusdì; In alto, ìn basso, dovunque. - Poi come uno sbatter d'ali
"'de sul viso degli operai - e una corrente d'aria tagliente, impe-
osa irruppe nel corridoio sibilando e gemendo paurosamente, per
che tutti fuggirono terrorizzati. E più nessuno osò awidnarsì a
ìquella porta, nel timore di impazzire per lo spavento,
t Ci si provarono alcuni religiosi ma con non miglior risultato,
iperdò nonrimasealtro che attendere l'arrivo da Palermo di lan vec-
chio domenicano, noto per la sua devozione e la sua fede incrollabi-
le, di fronte a cui tutte le arti di Satana sì erano sempre mostrate im-
potenti. Giunto a Napoli, il pio monaco, munitosi dì croce, dì acqua
benedetta, sì apprestò ad esorcizzare l'orda demoniaca nel labora-
torio di Trabacchio, accompagnato da sacerdoti e magistrati ì qua-
( li però sì tennero ben lontani dalla porta. Egli invece vi si accostò
^coraggiosamente, pregando; ma i sussurri, ì fruscìi sì fecero udire
ancora più forti e accompagnati, questa volta, da raccapriccianti ri-
sate di spiriti immondi. Senza lasciarsi intimorire, il vecchio dome-
nicano pregò con raddoppiato fervore, levando alto il crocifisso e
spruzzando la porta dì acqua benedetta. - Datemi un piccone! - gri-
dò infine. Un garzone muratore glielo porse tremando. I l monaco
non fece ìn tempo a vibrare il primo colpo che la porta si spalancò
con uno schianto orrendo: ne usci un'ondata di calore soffocante
- fiamme azzurrine già lambivano le pareti della camera. Ciò mal-
grado ìl domenicano fece per entrare - ma ìn quell'attimo stesso
crollò il pavimento - la casa tremò, e dalla voragine si levarono al-
tissimefiammepropagandosi in un baleno per ogni dove con furia
paurosa. I l domenicano e il suo seguito dovettero fuggire a precipi-
zio per nonfinirebruciati o travolti. Quando si ritrovarono in stra-
da già tutto l'edifido era infiamme.La gente accorse esultante e
levò alte grida di gioia nel veder bruciare la casa del maledetto stre-
gone; naturalmente nessuno mosse un dito per tentarne lo spegni-
mento. I l tetto era già crollato, lefiamme,levandosi dalle travature
interne lambivano le pareti; soltanto le enormi travi del piano su-
periore reggevano ancora alla furia del fuoco. Ad un tratto un urlo
di terrore si levò dalla folla: Ufigliododicerme dì Trabacdiio, con
una cassetta sotto ìl braccio, stava passando sopra una delle travi
72 RACCONTI NOTTURNI

infuocate. L a visione durò u n solo istante, p o i disparve inghiottita


dalle fiamme altissime. All'apprendere queste notizie i l d o t t o r Tra-
bacchio parve rallegrarsene enormemente; e si avviò alla morte con
sfrontata spavalderia. Quando l o legarono al palo scoppiò i n una
sonora risata e disse al carnefice che stringeva crudelmente le corde
con sadica gioia: - A t t e n t o , amico, che queste corde n o n abbiano a
scottare i t u o i polsi!... - A l frate che tentava d i accostarglisi per
un'ultima volta gridò con voce terribile: - I n d i e t r o ! . . . V i a da me!...
Credi ch'io sia cosf sciocco da morire fra g l i strazi per farvi piace-
re?... La mia ora n o n è ancora suonata!... - La catasta incominciò
ad ardere ma non appena le fiamme lambirono Trabacchio si levò
un'enorme vampata, come se si fosse incendiato u n mucchio d i pa-
glia; e da un'altura lontana sì udì echeggiare una squillante risata
d i scherno. T u t t i sì volsero rabbrividendo: i l dottor Trabacchìo era
lassù, vivo e vegeto, vestito d i neto, col mantello ribordato d'oro,
la spada al fianco, i l cappello spagnolesco a larghe tese, i l pennac-
chio svolazzante e la solita cassetta sotto i l braccio... tal e quale, in-
somma, come quando l o vedevano passeggiare per le vie d i Napo-
l i . .. Cavalieri, sbirri, centinaia d i popolani sì precipitarono sulla col-
lina. M a Trabacchìo era scomparso e n o n f u ritrovato mai più. La
vecchia invece rese lo spìrito fra le più atroci sofferenze, imprecan-
do e maledicendo all'empio padrone per cui si era macchiata d i i n -
numerevoli d e l i t t i .
I l cosiddetto Ignazio Denner altri n o n era se non i l figlio del
dottore. Avvalendosi delle sataniche arti paterne, egli era riuscito
a salvarsi e a porre ìn salvo la cassetta contenente r a r i e misteriosi
tesori. I l padre l o aveva iniziato alle scienze occulte fin dalla fanciul-
lezza, votandone l'anima al diavolo prima ancora ch'egli acquistasse
piena coscienza delle proprie azioni. Quando ìl dottor Trabacchio
venne gettato i n prigione i l ragazzo rimase chiuso nel laboratorio
segreto, insieme alle anime damiate imprigionate là dentro dagli in-
fernali esorcismi del padre; ma allorché la potenza del domenicano
spezzò l'incantesimo, egli fece funzionare certi meccanismi segreti
e i n pochi istanti tutta la casa andò i n fiamme. I l ragazzo potè attra-
versarla indenne e f u ^ i r e dalla città, ìn u n bosco indicatogli dal
padre. Poco dopo i l dottor Trabacchio Io raggiunse e fuggì Insieme
a l u i riparando fra i ruderi d i u n antico edificio romano, a tre giorni
d i viaggio da Napoli. I ruderi celavano l'ingresso dì ima spaziosa ca-
verna; e q u i ìl dottore f u accolto festosamente da una numerosa
banda d i briganti cui da molto tempo rendeva servizi inestimabili
con le proprie arti occulte. Per premio d i tali benemerenze ì brigan-
t i n o n seppero trovare d i meglio che offrìrgU dì mcoronarlo re, con-
IGNAZIO DENNER 73

: ferendogli il comando di tutte le bande sparse in Italia e nella Ger-


mania meridionale. I l dottor Trabacchio dichiarò di non poter ac-
cettare la dignità sovrana perché l'influsso di una particolare con-
giuntura astrale lo avrebbe d'ora innanzi costretto a una vita insta-
3Ìle e randagia, incompatibile con qualsiasi impegnofisso;avrebbe
tuttavia continuato a rendersi utile da lontano ed a farsi vedere di
quando in quando. Allora i briganti decisero di oÉErire la corona al
figlio dodicenne di Trabacchio. I l padre ne fu soddisfattissimo e da
quel giorno il giovinetto prese a vivere fra i ladroni diventandone,
quando ebbe compiuto quindici anni, il capo efiettivo. La sua vita
-fu perciò tutto un susseguirsi e un intrecciarsi di orrendi misfatti e
arti diaboliche. A completarne l'iniziazione satanica provvide il pa-
dre ritornando spesso a trovarlo e rinchiudendosi solo con lui nella
caverna, talvolta perla durata di intere settimane.
Le energiche misure prese dal re di Napoli per rintuzzare la sem-
pre crescente audacia dei masnadieri - ma ancor più i dissidi sorti
i fra i briganti stessi, infransero infine la lega delle molte bande riu-
nite sotto il comando di un unico capo supremo. Il giovane Trabac-
chìo resosi odioso a tutti per la sua superbia e la sua crudeltà, com-
prese che neppure le diaboliche arti paterne sarebbero più bastate
a proteggerlo dai pugnali dei subalterni. Fuggì perciò ìn Isvizzera,
assunse il nome di Ignazio Denner e, frequentando fiere e mercati
travestito da mereiaio ambulante, riusci infine a ricostituire con i
frammenti della grande masnada dìsciolta una banda più pìccola e a
farsi rieleggere da questa re e comandante supremo. Dermer ' assi-
curò i giudici che suo padre vìveva ancora e lo aveva visitato in pri-
gione promettendogli dì sottrarlo al supplizio. Soltanto il salvatag-
gio di Andrea avvenuto «in extremis» — (... ora se ne rendeva con-
to! ) per miracolosa intercessione del cielo, avevafinalmenteinfran-
to il potere del vecchio stregone; ed ota lui, Denner, voleva solen-
nementerinunziarea ogni arte diabolica e subire, da peccatore pen-
tito, la giusta pena di morte.
Nell'apprendere tutte queste cose dal conte von Vach, Andrea
non dubitò neppure per un istante che i briganti da cui, tanti anni
addietro, era stato aggredito insieme al suo signore nel territorio
napoletano, appartenessero alla banda di Trabacchio; e così piure sì
convinse che era stato Trabacchio ad apparirgli in prigione per ten-
tarlo, come avrebbe potuto fare Satana stesso, ad aderire al proprio
piano criminoso. Allora soltanto comprese veramente in quale im-

' Da questo puDto in poi. l'autDie continuerà a chiimare «Tiabaccbio» tanto U padre
quinto ilfiglio.Per maggior chiarezza preferiamo conservare a quest'ultimo i) nome iti Dea-
ner[N.*Ì.T.].
74 RACCONTI NOTTURNI

menso pericolo fosse venuto a trovarsi dal momento i n cui Denner


era entrato i n casa sua; ma ancora n o n riusciva a spiegarsi perché
mai lo scellerato avesse tanto insistentemente preso d i mira l u i e
sua moglie, per aversi i n cambio un favore apparentemente cosi ir-
rilevante come quello d'una saltuaria ospitalità nella loro povera
capanna. Dopo tali e tante tremende burrasche, Andrea si ritrovò
finalmente restituito alla felicità d'una vita tranquilla. Ma le scosse
subite erano state troppo violente per non lasciare una traccia peno-
sa. La sua robustissima fibra era stata rovinata dai patimenti della
lunga prigionia e dagli inenarrabili strazi della tortura; ed ora egli
era ridotto a trascinarsi malconcio e malaticcio, inabile perfino al-
l'antico mestiere d i cacciatore. M a i l dolore e l'orrore e la paura
avevano ancor più gravemente intaccato i l fisico meno resìstente,
meridionale, d i Giorgina. La povera donna, come consunta da un
divorante tormento, andò rapidamente sfiorendo e, priva ormai del-
le cure necessarie, morì pochi mesi dopo i l ritorno del marito. An-
drea f u sul punto dì darsi alla disperazione, ma trovò conforto nel
figliolo. Per amor d i quel bimbo intelligente e bellissimo - i l ritrat
to parlante della madre - volle continuare a vivere e ricuperare le
forze perdute; tanto che, dopo circa due anni, la sua salute si era già
notevolmente ripresa permettendogli d i organizzare d i nuovo alcu-
ne divertenti battute di caccia nella foresta. I l processo contro Den-
ner giunse finalmente alla conclusione e i l colpevole, come già molti
anni addietro suo padre, venne condannato a morire pochi giorni
dopo sul rogo.
Una sera, sull'imbrunire, Andrea stava rincasando dal bosco in-
sieme al suo ragazzo. Erano già vicini al castello quando intesero
u n gemito flebile proveniente - pareva - da u n fossato asciutto, lì a
pochi passi. Andrea accorse e vide disteso i n fondo al fosso u n uo-
mo sporco e cencioso, apparentemente ìn preda a atroci sofferenze
e sul punto d i render l'anima: allora gettò ìl fucile e i l carniere e
con molta fatica trasse f u o r i l'infelice. M a g l i bastò guardarlo i n vi-
so per riconoscere Ignazio Denner. Con i m fremito d'orrore balzò
indietro e lo lasciò ricadere nel fosso. - Andrea... Andrea, seì t u . •
- piagnucolò Denner con voce roca. - Per l'amor d i quel D i o cui ho
affidato l'anima mia, abbi pietà d i me!... Salvandomi salverai anche
un'anima dalla dannazione eterna, perché la morte sta per venire
e i o non ho ancora finito d i espiare!... - Maledetto ipocrita! - gridò
Andrea, - Assassino del mio bimbo e dì mia mogUe, Satana t i ha
forse ricondotto sul mio cammino perché t u m i r o v i n i un'altra vol-
ta?... N o n voglio aver più nulla a che fare con te... M u o r i e imputri-
disci come ima carogna, sciagurato!.., - e fece l'atto d i ricacciarlo
IGNAZIO DENNER 75

nel fossato, ma Denner implorò disperato: ~ Andrea!... Salvando-


mi salvi il padre di tua moglie.,. della tua Giorgina che prega per me
presso i l trono dell'Altissimo!... - All'udire il nome di Giorgina
Andrea fu invaso da un'immensa tristezza ma anche da un senso di
compassione per il distruttore della sua pace e della sua felicità. Si
caricò Denner sulle spalle e, faticosamente, lo portò fino alla pro-
pria abitazione, dove lo rianimò con un cordiale.
La notte prima dell'esecuzione un terrore mortale si era impos-
sessato di Deimer, ormai convinto che nulla più lo avrebbe salvato
dalla straziante fine sul rogo. In preda a folle disperazione squassò
le inferriate dellafinestrache gli si spezzarono fra le mani. Un rag-
gio di speranza si riaccese nell'animo suo: lo avevano rinchiuso in
ima torre eretta proprio sul fossato della città; e il fossato era a-
sdutto. Guardò in basso e in un attimo prese la decisione di tentare
il salto, per salvarsi o morire. Liberatosi con poca fatica delle cate-
ne, si gettò, perdendo subito i sensi. Quando rinvenne era già gior-
no chiaro; si avvide allora di essere caduto sull'erba alta, fra Ì cespu-
gli; ma aveva tutte le membra distorte e slogate e non riuscf ad al-
zarsi né a muoversi. Mosconi e altri insetti schifosi lo assalirono
pungendo a sangue il corpo seminudo senza che egli potesse scac-
ciarli. Trascorse cosi un'interminabile giornata di martirio e soltan-
to al calar della notte potè trascinarsifinoa un fossatello in cui ebbe
l'insperata fortuna di trovare un po' d'acqua piovana che sorbi avi-
damente. Ripresa un po' di forza si trascinò faticosamente più oltre,
raggiunse il bosco che non era lontano da Fulda e si estendeva quasi
fino al castello dei conti von Vach. Gli indidbili sforzi compiuti per
trarsi in salvo lo avevano talmente stremato che se Andrea fosse
sopraggiunto pochi minuti dopo soltanto Io avrebbe trovato motto.
Senza soffermarsi a pensare a ciò che avrebbe fatto in seguito di
quell'uomo sfuggito alla giustizia, Andrea lo condusse in una ca-
mera appartata, gli prestò ogni cura possibile e prese tutte le pre-
cauzioni necessarie affinché nessuno venisse a conoscenza del fatto.
Anche il ragazzo, abituato ad ubbidire decamente al padre, man-
tenne scrupolosamente il segreto.
Andrea domandò poi a Detmer se davvero egli fosse il padre di
Giorgina. - Lo sono, si, - rispose Denner. - Nei dintorni di Napoli
sedussi una bella fanciulla che mi diede una figlia. Come già sai, An-
drea, il capolavoro di mio padre era un liquore prodigioso, compo-
sto principalmente col sangue tratto dal cuore dì bimbi dì nove set-
timane, nove mesi o nove anni. I bimbi dovevano però venir conse-
gnati spontaneamente dai genitori, e quanto più stretto era il vinco-
lo di parentda che lì univa all'operatore, tanto maggiore riusciva
RACCONTI NOTTURNI

l'efficacia del loro sangue, sia nel restituire le forze e la giovinezza


sia per la preparazione deW'oro filosofico. Per questo mio padr
sgozzava t u t t i i suoi b i m b i ; ed i o stesso sarei stato felice d i sacrifi
care cosi barbaramente la mia figlioletta, nella certezza d i farlo pe
finalità superiori. N o n so ancora spiegarmi i n qual modo mia mo
glie riuscisse a presagire la mia intenzione criminale; sta d i fatt
che, prima che fossero trascorsi i nove mesi, essa spari con la bam
bina e soltanto m o l t i armi dopo venni a sapere che era morta a Na
poli. Sua figlia, Giorgina, era stata allevata da u n oste bisbetico e
spilorcio. Venni pure a sapere che si era sposata con te e dove foste
venuti ad abitare. Adesso potrai spiegarti, Andrea, perché io avess
un debole per tua moglie e insidiassi i tuoi b i m b i , piena come avevo
la mente delle mie maledette arti sataniche... M a a te soltanto e alla
tua prodigiosa salvezza, operata dall'onnipotenza d i D i o , io devo i
mio profondo pentimento, la mia Ìntima contrizione... La cassetta
piena d i gioielli consegnata a tua moglie è la stessa che salvai dal-
le fiamme per ordine d i mio padre. Puoi pure tenertela e serbarla
per i l tuo ragazzo. - M a Giorgina non ve la restituì, - lo interruppe
Andrea, - l o stesso giorno i n cui commetteste l'orrendo delitto?..
- Certo, - rispose Denner. - Senonché, all'insaputa d i Giorgina
la cassetta è ritornata i n vostro possesso. V a ' a vedere In fondo alla
grande cassapanca nera che sta nell'androne - . Andrea cercò nella
cassapanca e v i trovò i n f a t t i la cassetta, tal e quale l'aveva ricevuta
i n custodia da Denner la prima volta.
Con uno strano senso d'inquietudine e d i malessere, Andrea
non riuscì a reprimere i l rimpianto che Denner non fosse morto,
quando l o aveva trovato i n fondo al fosso. Per la verità, quel tristo
individuo gli sembrava sinceramente pentito; se ne stava sempre
rintanato i n casa e passava le giornate immerso i n letture devote. l i
suo unico svago era intrattenersi col piccolo Giorgio, per ìl quale
mostrava d i nutrire u n affetto sconfinato, Andrea decise, comun-
que, d i star bene all'erta e, per cominciare, alla prima occasione nar-
rò tutta la vicenda al conte von Vach, i l quale sì meravigliò non po-
co a quello strano gioco del destino. Trascorsero così alcuni mesi e
si giunse al tardo autunno. Andrea usciva a caccia p i l i spesso del so-
l i t o , lasciando i l piccolo ìn compagnia del nonno e d i un vecchio
cacciatore messo a parte del segreto. Una sera, al suo rientro, i l vcc
chio cacciatore gli disse con candida schiettezza: - Signore, v i siete
preso i n casa u n b r u t t o tipo: Berlicche l o viene a trovare entrando
dalla finestra e poi se ne va I n una nube d i fumo ~. Andrea, come
folgorato, comprese al volo e ancor meglio comprese quando i l vec-
chio cacciatore g l i riferì d i aver udito parecchie volte a tarda sera
IGNAZIO DENNER 77

uno strano vociare nella camera di Denner... come un cicaleccio, un


altercare confuso... Oggi, per la seconda volta, aprendo in fretta la
porta della stanza, gli era parso di veder starnazzare via dalla fine-
stra unafiguraavvolta in un manto rosso ribordato d'oro... Indi-
gnato, Andrea corse di sopra, da Denner, e gli ripetè quanto gli ave-
iva riferito il cacciatore, dichiarandogli chiaro e tondo che o rinun-
ziava ai suoi maneggi perversi o doveva rassegnarsi a ritornare in
^prigione. Denner senza scomporsi rispose tristemente: - Ahimè,
airo Andrea!... È purtroppo vero che l'ora di mio padre non è anco-
ra suonata! - Egli continua a perseguitarmi e a tormentarmi in mo-
do inaudito... Vuole ch'io ritorni a lui, riimeghi la religione, rinunzi
alla salvezza dell'anima mia... Ma io mi sono mostrato fermissimo e
credo non ritornerà più, essendosi reso conto di non aver più alcun
, potere su di me. Sta' tranquillo, mio caro figliolo, e consentimi di
morire in casa tua, da buon cristiano, riconciliato con Dio!... - In-
fatti per un certo tempo non si senti più parlare del diabolico figu-
ro; tuttavia l'antico fuoco sembrava riaccendersi nello sguardo di
Denner, e anche quel suo indefinibile sorriso sprezzante di im tem-
, po gli ritornava di frequente sulle labbra. Recitando con lui le pre-
ghiere serali, Andrea aveva spesso l'impressione di vederlo scosso
da un tremito convulso; e, come se ciò non bastasse, un'impetuosa
corrente d'aria irrompeva talvolta nella camera con im sibilo slni-
, stro scompigliando le pagine dei libri dì preghiere o addirittura
! strappandolo via dalle mani di Andrea, il quale gridava con voce
tonante : - Empio Trabacchio !... Satana maledetto !... Sei tu che fai
questi scherzi infernali?... Che vuoi da me?... Su di me tu non hai
idcun potere !... Vattene !... Via di qui !... - Allora si udiva echeggia-
re una risata dì scherno e poi come tmo sbatter d'ali contro la fine-
stra... Ma secondo Denner era sempre soltanto lo sbatter della piog-
gia contro i vetri, o il sibilar del vento autunnale attraverso le fes-
sure. Una sera, essendosi ripetuti questi fenomeni in modo più im-
pressionante del solito, tanto da far piangere di paura i l piccolo
Giorgio, Andrea perse la pazienza e dichiarò: - No!... Vostro pa-
dre, quel nemico di Dio, non potrebbe infestare cosi questa casa se
voi veramente aveste rotto ogni rapporto con lui. Dovete andarve-
ne di qui... La vostra dimora, la prigione del castello, è pronta ad
ospitarvi e vi attende da un pezzo... Là dentro potrete divertirvi
con i mali spiriti a pieno piacer vostro... - Dermer scoppiò a pian-
gere e lo supplicò, per amore di tutti i santi, di sopportarlo in casa;
e il piccolo Giorgio, senza ben comprendere che cosa significasse
tutta quella storia, si uni alle sue preghiere. - E sta bene, - sospirò
Andrea. - Vi permetto di rimanere ancora domani. Staremo a ve-
7» RACCONTI NOTTURNI

dere che cosa accadrà all'ora della preghiera, quando sarò rientra-
to dalla caccia.
L'indomani era una splendida giornata autunnale, d i quelle che
promettono ricchi carnieri. Rientrando dagli appostamenti a tarda
sera, Andrea si senti stranamente commosso e turbato: le sue incre-
d i b i l i peripezie, l'immagine d i Giorgina, del bimbo sgozzato g l i r i -
tornarono vivide alla memoria; e così assorto i n tali pensieri, ral-
lentò sempre più ìl passo, si distanziò dai cacciatori e procedendo
pian piano dove l o portavano ì piedi, finì per trovarsi solo ìn mezzo
al bosco, su u n sentierino laterale. Stava per riportarsi sulla strada
grande quando vide fiammeggiare fra i l fogliame una luce abba-
gliante. U n presentimento confuso g l i disse che colà stava accaden-
do qualcosa d i orrìbile: si aperse u n varco fra la macchia folta, si
avvicinò a] fuoco e vide... vide avvolto nel manto ribordato d'oro,
l'ampio cappello col pexmacchìo rosso sulla testa, la spada al fianco,
la cassetta deì medicinali sotto i l braccio, i l vecchio Trabacchio in-
tento a fissare con occhi sfavillanti le fiamme che lambivano come
serpentelli rossi e azzurrini i l fondo d i un enorme lambicco. Davan-
t i d fuoco, le membra nude divaricate e tese su una specie dì grati-
cola, giaceva Giorgio; e l'infame figlio del dottore satanico già stava
levando su d i luì u n coltello lucente, p r o n t o a vibrargli ìl colpo
mortale. Andrea lanciò u n grido d i orrore, l'assassino si volse d i
scatto - e i n quell'attimo stesso sibilò U proiettile partito dalla cara-
bina d i Andrea. Con la fronte fracassata, Denner precipitò i n avan-
t i sul fuoco che sì spense all'istante. I l dottore era sparito. Andrea
accorse, scostò i l corpo del caduto, sciolse ìl povero Giorgio dalla
graticola e l o riportò i n fretta a casa. I l fanciullo era illeso, ancorché
svenuto per l o spavento mortale. Andrea volle ritornare nel bosco
per convincersi della morte d i Denner e seppellirne subito i l cada-
vere; svegliò i l vecchio cacciatore, piombato i n u n sonno profondo
probabilmente per opera dello stesso Trabacchio, e, mimitosi dì
lanterna, zappa e pala, si diresse con l u i al luogo n o n lontano ov'era
successo i l fatto. Denner giaceva a terra sanguinante - ma appena
Andrea g l i si avvicinò erse per metà i l tronco e, fissandolo con uno
sguardo terrificante, rantolò: - Assassino!... Assassino del padre d i
tua moglie!... M a i mìei demoni non t i daranno pace!... - All'infer-
n o , satanico malfattore!... - gli gridò Andrea vincendo a stento l'or-
rore e i l ribrezzo che stavano pet sopraffarlo! - Vattene all'infer-
no!... H a i meritato cento volte la morte ch'io t i ho dato perché stavi
per assassinare mio figlio... Ìl bimbo d i tua figlia!... Falso era i l tuo
pentimento, falsa la tua pietà... fingevi per tradirmi, ignobile ipo-
crita! ... M a Satana starà ora preparando i meritati tormenti all'ani-
IGNAZIO DENNER 79

ma che tu gli vendesti! - Detmer cadderiverso,rantolando e ge-


emendo sempre più debolmente finché rese lo spirito. I due uomini
;scavarono una fossa profonda e vi gettarono dentro il cadavere:
I l suo sangue non ricada su di me! - disse Andrea. - Sono stato
prescelto da Dio a salvare mio figlio e vendicare centinaia di delit-
•ti... Ma pregherò ugualmente per l'anima sua e porrò una piccola
^croce sulla sua tomba —. Quando l'indomani ritornò per compiere
il pietoso ufficio trovò tutta la tetra sconvolta: il cadavere era scom-
•parso. Se ciò fosse avvenuto per opera dellefiereo in altro modo
,non lo si seppe mal.
Insieme al suo ragazzo e al vecchio cacciatore Andr^ si recò
' quindi dal conte von Vach a riferirgli fedelmente l'accaduto. I l con-
te approvò l'operato di Andrea e trovò giusto che per salvare suo
; figlio egli avesse freddato ua brigante, un assassino. Fece tuttavia
• Stendere un resoconto scritto della vicenda e deporre il documento
nell'archìvio del castello.
L'orribile fatto aveva scosso profondamente Andrea. Egli tra-
. scorse, manco a dirlo, una notte molto agitata, rigirandosi nd letto
senzariuscirea prender sonno. In qtiello stato di dormiveglia ango-
' sdoso gli parve dì udite intomo a sé degli scricchiolii, dei brusìi... -
: e di scorgere im bagliore rossastro attraversare la camera e scompa-
, rire. Allora aguzzò lo sguardo, tese l'orecchio e udì sussurrare:
• - Adesso sd un maestro I... Possiedi il tesoro... ìl tesoro è tuo... 0>-
manda!... Tua è la potenza!... - Una sensazione di benessere, un
desiderio di vivere mai prima d'allora provati s'impossessarono
poco a poco di lui. Ma non appena ì primi bagliori dell'aurora filtra-
rono attraverso lafinestraAiidrea riprese il domìnio di sé e, com'e-
V ra solito fare in simili casi, pregò con tutte le forze il Signore di
ìUimiìnarlo.
- Ora so che cosa mi rimane da fare per scacdare il tentatore e
tenere lontano il peccato dalla mia casa! - esclamò dopo aver fervi-
damente pregato. Prese la cassetta di Trabacchio e, senza aprirla,
andò a gettarla in un profondo crepaccio, fra ì monti.
E da qud giorno Andrea potèfinalmentegodere d'una vecchiaia
tranquilla e serena, non più turbata da alcuna potenza malefica.
L A C H I E S A D E I G E S U I T I D I G,

Impacchettato i n u n miserabile calessino che Ì tarli avevano ab-


bandonato per istinto, come già una volta i sorci la barcaccia d i Pro-
spero, dopo una corsa a rompicollo m i fermai finalmente con le ossa
mezzo fracassate davanti alla locanda, sul mercato d i G . Tutte le
disgrazie che m i sarebbero potute capitare, si erano invece precipi-
tate addosso alla mia carrozza che avevo dovuto lasciare, ridotta i n
pezzi, i n consegna al mastro d i posta dell'ultima stazione. Dopo
molte ore quattro cavallucci sfiancati, con l'aiuto d i svariati conta-
d i n i e del m i o cameriere i n persona, arrivarono trascinandosi dietro
la carcassa; si presentarono g l i esperti, e scuotendo preoccupati la
testa giudicarono che ci voleva una riparazione generale la quale
non sarebbe durata meno d i due o tre giorni. I l paese aveva un'aria
attraente, i luoghi erano ameni eppure m i spaventai all'idea d i que-
sto soggiorno coatto. Se t i è mai capitata la disgrazia, o benigno let-
tore! d i dover passare tre giorni i n una piccola città dove non cono-
sci nessuno - ma assolutamente nessuno, e se per caso i l gusto d i
una chiacchierata bonaria non t i è stato amareggiato da qualche
profondo dolore, avrai sentito anche t u quello che era i l m i o disagio
i n quel momento. Perché l o spirito della vita rianima le cose che ci
circondano, solo per mezzo della parola; ma g l i abitanti d i una pic-
cola città assomigliano a una orchestrina, chiusa i n sé, che suona per
conto suo e può cavarsela come si deve solo coi pezzi che ha già stu-
diato; ogni suono straniero è una stonatura per le loro orecchie, e
allora ammutoliscono e non si riesce più a cavar loro una parola.
Pieno d i malumore me ne andavo su e giù per la mia stanza; e
d ' i m tratto m i ricordai che t m mio amico, i l quale aveva passato
qualche anno a G., m i aveva spesso parlato d i una persona dotta e
spirituale con la quale aveva avuto lunghi rapporti. Per fortuna m i
sovvenne anche del nome: era i l professore Aloysio Walther del
collegio dei Gesuiti. Decisi d i andarlo a trovare, presentandomi a
nome del mio amico. N e l collegio m i dissero che i n quel momento
i l professore stava facendo lezione ma che avrebbe finito fra poco
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 8l

e mi invitarono a ritornare oppure ad attendere nelle sale esteriori,


a mio piacere. Decisi di rimanere. Dappertutto, i conventi, i collegi,
le chiese dei Gesuiti sono costruiti con quello stile italiano che, ispi-
^rato alle forme e allo stile degli antichi, preferisce la grazia delle
•linee e la sontuosità dell'aspetto, all'austerità e all'imponenza reli-
^osa. Cosi anche qui le sale alte, ariose, ben rischiarate erano orna-
te con una architettura molto ricca, e le immagini dei santi che era-
jno appese qua e là sulle pareti in mezzo alle colonne ioniche, con-
trastavano in modo abbastanza bizzarro con le decorazioni sopra le
porte le quali rappresentavano senza distinzione danze di gemetti
bppiure addirittura nature morte, con frutta ed altre leccornie.
I l professore entrò, io gli parlai del mio amico e gli dissi che du-
rante il mio soggiorno forzato volevo abusare della sua ospitalità.
1.0 trovai in tutto e per tutto come il mio amico me lo aveva descrìt-
;to: eloquente - mondano - insomma proprio come quei prelati di
rango superiore che, grazie a una cultura scientifica, hanno avuto
spesso l'occasione per guardare al di là del loro breviario e sapere
esattamente come è fatta la vita. Quando poi vidi che anche la sua
"stanza era ammobiliata con eleganza moderna, mi ritornò in mente
"l'osservazione che avevo fatto poco prima nelle sale esteriori, e ne
parlai col professore. - È vero, - rispose, - noi abbiamo bandito dai
nostri edifici quella fosca severità, quella maestà stravagante pro-
prìa di un tiranno spietato, che, nelle chiese gotiche, opprime il no-
'.«tro petto o suscita addirittura imo stato d'animo pauroso; ed è per
questo che cerchiamo di conferire alle nostre opere la vivace sereni-
;tà degji antichi. -- Ma non potrebbe darsi, - replicai, - che quell'ele-
'vata maestà della costruzione gotica che aspira al cielo, fosse pro-
dotta dal vero cristianesimo, il quale con la sua spiritualità contra-
sta proprio con lo spirito sensuale del mondo antico, sempre legato
: alla cerchia terrena?
I l professore sorrise. - Ah, - disse, ~ bisogna saper riconoscere
;, il regno di Dio anche in questo mondo ed è permesso di sollecitare
questo riconoscimento per mezzo di simboli lieti, quali ce ne offre
• la vita, o meglio lo spirito sceso nella vita terrena da quei regni su-
(periori. La nostra patria è senza dubbio lassù. Mafinchéviviamo
Vquì, i l nostro regno è anche di questo mondo - . Non fed parola
'. delle mìe idee, recisamente contrarie, al professor Aloysio Walther,
i il quale continuò cosi: - Quello che lei ha detto della sontuosità dei
' nostri edifid ìn questa dttà, siriferisceprobabilmente solo aUa gra-
! zia della forma. Ma qui, dove ìl marmo è introvabile, dove i grandi
; maestri della pittura non vengono volentieri a lavorare, ci siamo
, dovuti accontentare in un certo senso di surrogati. È già una fortu-
82 RACCONTI NOTTURNI

na quando possiamo arrivare fino al gesso patinato; per lo più è so.


lamente un pittore che ci procura - imitandoli - i diversi tipi di
marmi, come succede appunto adesso nella nostra chiesa che, grazie
alla generosità dei nostri protettori, si sta decorando a nuovo - . Gli
espressi Ìl desiderio di visitare la chiesa; il professore mi condusse
da basso e quando entrai nel colonnato corinzio che formava la na-
vata della chiesa, sentii bene l'impressione anche troppo gradevole
di quella graziosa costruzione. A sinistra dell'aitar maggiore era
costruita un'alta impalcatura dove stava arrampicato un uomo che
dipingeva le pareti dì giallo antico.
- Ehi, come va. Bertoldo? - gridò il professore alzando il capo.
I l pittore si volse verso di noi, ma si rimise subito a lavorare, bor-
bottando con una voce sorda e quasi incomprensibile: - Che stra-
zio - tutto legnaccio storto - non c'è una riga che serva - bestie -
scimmie - facce umane - grinte umane - oh ahimè, povero pazzo I
Quest'ultime parole le gridò forte con una voce che poteva na-
scere sólo dal turbamento di un grande dolore. Mi sentii strana-
mente sconvolto; quelle parole, l'espressione del viso, lo sguardo
che aveva gettato al professore, evocarono davanti ai miei occhi tut-
ta una vita perduta. Quell'artista sfortunato poteva avere poco più
di quarant'anni; la suafigura,anche se era un poco deformata dal
camiciotto da lavoro rozzo e insudiciato dai colori, aveva un'inde-
scrivibile nobiltà, e i l profondo corruccio aveva bensì fatto impal-
lidire il volto ma non aveva potuto spegnere il fuoco che gli irrag
giava dagli occhi neri. Chiesi al professore chi mai fosse quell'uo-
mo. - Un artista forestiero, - rispose, - che per caso si trovava qui
quando fu deciso i l restauro della chiesa. Ha accettato con gioia il
lavoro che gli avevamo proposto, ed in realtà la sua presenza è stata
una fortuna per noi; perché né qui né nelle vicinanze avremmo po-
tuto trovare un pittore cosi abile e cosi capace. Del resto è la miglio-
re creatura di questo mondo, tutti gli vogliono bene e perciò è stato
accolto cordialmente nel nostro collegio. Riceve uno stipendio rag-
guardevole ed inoltre mangia con noi; ma questo rappresenta vera-
mente una spesa minima perché è fin troppo temperato, probabil-
mente in conseguenza del suo stato malaticcio.
- Però, — non potei trattenermi dal dire, - oggi ha un'aria così
irritata - cosi eccitata. - E non senza motivo, - replicò 11 professo-
re, - ma venga a vedere alcuni bei quadri sugli altari laterali, che
abbiamo avuto recentemente la fortuna di procurarci. C'è un solo
originalefirmato,un Domenichino. Gli altri sono tutti di maestri
ignoti della scuola italiana ma, se lei non ha prevenzioni, dovrà am-
mettere che ognuno potrebbe esserefirmatocon un nome celebre - .
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 83

Dovetti ammettere che i l professore aveva ragione. La bellezza di


più d'uno di quei quadri anonimi mi commosse irresistìbilmente.
Sopra imo di questi quadri pendeva una tenda, ed io ne chiesi il mo-
tivo, — Questo quadro, — disse i l professore, - è U più bel quadro
che possediamo ed è opera di un giovane artista moderno - pur-
troppo, la sua ultima opera perché oramai la sua carriera è spezza-
ta... I n questi giorni siamo stati costretti a nasconderlo, per certi
motivi, ma spero di essere in grado di farglielo vedere domani o
doman l'altro.
Avrei voluto fargli altre domande, ma intanto il professore s'era
allontanato rapidamente giù per la navata, e questo m'era bastato
per comprendere che non aveva voglia di rispondere. Ritornammo
' nel collegio ed accettai volentieri l'invito dd professore di andare
con luì i l pomerìggio a fare una passeggiata ìn una viUa vicina. Ri-
tornammo ìn dttà solamente la sera tardi, si stava addensando un
temporale, ed avevo appena raggiunto la mia abitazione, che la
pioggia incomìndò a cadere a scrosdo. Verso mezzanotte i l cielo
: tornò a schiarirsi e si sentiva ancora solo qualche tuono da lontano.
; Dallafinestraaperta entrava nell'afa della stanza un'aria fresca, im-
pregnata di profumi, e - sebbene fossi piuttosto stanco - non potei
: resistere alla tentazione dì fare ancora una passeggiata; mi riesci dì
; sv^lìare un portiere brontolone che probabilmente stava russando
^ à da un paio d'ore e dopo avere cercato dì fargli capire che non
,«ia affatto una pazzia andare a passeggio dopo mezzanotte, mi tro-
vaifinalmenteìn mezzo alla s t r ^ . Passando accanto aUa chiesa dei
r Gesuiti mi colpì una luce accecante che splendeva attraverso le fine-
stre. La piccola porta laterale era aperta, entrai, e scorsi una fiacco-
.ia di cera accesa dietro a un grande schermo. Awidnandomì m'ac-
• corsi che sullo schermo età appesa una rete di filo dietro la quale
',unafigurascura si arrampicava su e giù per una scala disegnandovi
,«opra qualche cosa. Era Bertoldo il quale disegnava accuratamente
l'ombra della rete sopra lo schermo. Accanto alla scala, sopra un
cavalletto, c'era i l disegno di un altare. Non potd non ammirare
l'accortezza dì quell'invenzione che serviva a riprodurre sulla pare-
te, la quale non era piana, ma s'incurvava formando una lùcchia,
tutte le linee architettoniche dell'altare. Fed attenzione a non pas-
^«are davanti allafiaccolaper non tradire la mia presenza, ma mi av-
ivicinai abbastanza per osservare il pittore con attenzione. Mi sem-
'Brava completamente cambiato, forse era solo l'effetto della luce
dellafiaccola,ma aveva il viso più vivo, gli occhi lucidi come per un
intimo benessere, e quand'ebbe finito ìl suo disegno si piantò da-
vanti allo schermo con le mani sui fianchi e si mise afischiettareuna
84 RACCONTI NOTTURNI

canzoncina allegra, considerando il suo lavoro. Poi sì voltò per stac-


care la rete e cosi scorse la miafigura.- Ohilà! Ohilà! - gridò, -
siete voi, Cristiano?
Mi avvicinai e gli spiegai che cosa mi aveva attirato dentro U
chiesa e lodando il suo ottimo sistema di lavoro mi feci riconoscere
come un conoscitore e un adepto della nobile arte della pittura.
Senza rispondere alle mie parole, Bertoldo disse: - Quel Cristiano
è un bel poltrone, prima mi promette dì stare alzato tutta la notte
insieme con me ed ora chissà dov'è che se la dorme! - Devo manda-
re avanti il mio lavoro, perché di giorno sarebbe un affare indiavo-
lato lavorare su questo schermo — e da solo non posso fare niente
Mi offersi di aiutarlo. Scoppiò in una risata, mi afferrò per le spalle
ed esclamò: - Questa si die è una bella burla; cosa dirà domani
mattimi Cristiano quando vedrà che è un somaro e die Ìo me la sono
cavata benissimo senza di lui? Su, venite, garzone e fratello, aiuta-
temi a mettere su l'impalcatura - . Accese qualdie candela, ci met-
temmo a correre su e giù per la chiesa, a trascinare cavalietti ed assi,
e, ben presto, contro la parete si alzava una solida impalcatura. - E
adesso datemi una mano, ma svelto, - esclamò Bertoldo arrampi-
candosi su. Non potei non anunirare la rapidità con cui Bertoldo
riproduceva ìl disegno; tirava le sue linee ^ a svelta senza sbaglia-
re mai, sempre giuste e pulite. Poiché altre volte avevo già fatto si-
mili lavori, potevo aiutare il pittore a puntino tenendo le lunghe
righe al posto indicato, ora sopra, ora sotto di lui, temperando i
carboncini, porgendoglieli e cosi via. - Siete un aiutante in gamba,
- disse Bertoldo tutto contento. - E voi, - risposi, - siete veramen-
te il più bravo pittore di architettura che si possa trovare; ma - se
mi permettete ima domanda - come è possibile che con la vostra
mano cosf abile e svelta non abbiate mai fatto niente di meglio?
- Cosa sarebbe questo discorso? - disse Bertoldo. ~ Insomma,
— risposi, — mi pare che potreste fare ben altro che dipingere colon-
ne di marmo sulle pareti di una chiesa. Dipingerefigureumane, di-
pingere paesaggi è senza discussione opera più elevata... — Mentre
parlavo 0 pittore aveva messo giù Ìl pennello e mi ascoltava appog-
giando la testa alla mano, — Sconosduto amico, - incominciò a dire
con voce bassa e solenne, - sconosduto amico, è un delitto quello
che tu commetti se pretendi di disporre in ordine gerarchico i di-
versi rami dell'arte, come i vassalli intomo a un re; ed è un delitto
ancora peggiore stimare solo quegli artisti traviati che sono sordi
allo stridore delle catene terrene, e, senza sentimento per l'oppres-
sione di questa vita, pretendono di essere liberi, anzi di essere stati
creati da Dio apposta per operare e dominare sulla luce e sulla vita.
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 85

— Conosci la favola di Prometeo che voleva essere un creatore e ru-


bò il fuoco dal cielo per animare le suefigure?- L'impresa gli riu-
scf, lefigurevive camminarono sulla terra e nei loro occhi splende-
va il fuoco celeste che ardeva nel loro cuore; ma colui che aveva
osato toccare la divinità fu darmato a im tormento terribile ed eter-
, no: colui che aveva sognato il cielo sentf eternamente il dolore della
terra.
I l pittore rimane assorto nei suoi pensieri. - Però, - esclamai, —
però, Bertoldo, che rapporto c'è fra tutto questo e la vostra arte?
Io non credo che possa essere un peccato di orgoglio rappresentare
uomini, in pittura o in scultura Bertoldo scoppiò in una risata di
scherno: - Ah, ah — certo i giochi dei bambini non sono peccato! —
sono giochi da bambini quello che fa questa gente che intinge tran-
quillamente il permeilo nel vaso del colore e poi imbratta la tela con
la smania di rappresentare uomini; ma U più delle volte succede tut-
to il contrario; sognano di rappresentare uomini e non ne viene fuo-
ri niente. - Non sono peccatori, non sono colpevoli, sono poveri
stupidi! Ah, signore! quando si ha l'aspirazione suprema di rag-
giungere la natura divina, di mettere ndU'uomo la scintilla di Pro-
meteo - Signore! ci si trova d'improvviso su una rocda che stra-
piomba - l'abisso si apre davanti a noi! Ed un inganno diabolico d
mostra in basso, bene in basso, quello che avevamo sognato di ve-
dere sopra le stelle!
I l pittore sospirò profondamente, si passò una mano sulla fron-
te e rialzò lo sguardo. - Ma che cosa sto qui a chiacchierare con voi
di queste sdocchezze? E perché non dipingo più? Guardate un po'
qua, garzone, se questo disegno non è ben riusdto. Che meraviglia
è la buona regola! Tutte le linee concorrono a imo scopo predso, ad
un effetto determinato e ben calcolato. Non si potrebbe pensare che
Iddio d ha creato apposta per provvedere secondo regole esatte e
ben riconosàbili tutto quello che Gli occorre, cosi come noi per
conto nostro d costruiamo segherie e telai da tessere, che provve-
dano ai nostri bisogni? I l professor Walther sosteneva recentemen-
te che certe bestie sono state create solamente per essere divorate
da altre e che noi in condusione ne ricaviamo un vantaggio, cosi
come per esempio i gatti avrebbero l'istinto irmato di divorare i to-
pi affinché questi non ci buscherino lo zucchero preparato per la
nostra colazione, E può darsi che il professore abbia ragione. Le
bestie e noi stessi siamo macchine ben costruite per elaborare certe
materie e imbandirle sul tavolo di un sovrano sconosduto... Ma
ora in gamba, in gamba, garzone! dammi i vasi! - Ho preparato tut-
te le tinte ieri alla luce del sole per non sbagliare dipingendo con la
36 RACCONTI NOTTURNI

fiaccola. Guardali, sono in quell'angolo, tutti numerati. Dammi il


numero uno, ragazzo! - grìgio su grigio! - E che cosa sarebbe que-
sta vita magra e faticosa se il Signore non ci avesse messo fra le mani
qualdie giocattolo ben colorato? - Chi sa fare, non tenta di rompe-
re, come un ragazzino curioso, la cassettina dell'organetto che suo-
na quando si gira la manovella; ma dice a se stesso: è naturale che
suoni, visto che giro la manovella! - Una volta che ho disegnato
questa trabeazione da un esatto punto dì vista, è naturale che a chi
la guarda essa appaia in prospettiva... Su, dammi il numero due!
- Orafiniscodi dipingerlo nel colore intonato secondo la regola -
a quattro passi di distanza lo si vede benissimo. Lo so di certo, oh!
siamo di un'intelligenza stupefacente, noi... Com'è che in distanza
gli oggetti sembrano più piccoli? Una sola stupida domanda di un
pòvero cinese potrebbe mettere in imbarazzo un collegio di profes-
sori; ma questi si potrebbero sempre servire dell'organetto e di-
chiarare che girando la manovella si ottiene sempre il medesimo ef-
fetto... Viola numero uno, giovanotto! e un'altra riga! e pennelli
grossi e ben puliti! Ah, che cosa sono tutte le nostre lotte e tutta la
nostra ansia di raggiungere i l sublime se non ì gestì inconsci del
bambino che ferisce la balia senza saperlo! — Viola numero due - e
svelto! L'ideale è im sogno ingannevole provocato dai fermenti del
sangue... Via i vasi, ora - Ora discendo... I l diavolo ci prende in
giro offrendoci bambole infernali alle quali ha appiccicato ali d'an-
gelo!
Non mi sarebbe possibile diripeteretestualmente tutto quello
che disse Bertoldo mentre continuava a dipìngere e si serviva di me
come di un garzone. Continuò a schernire amaramente la limitatez-
za di ogni impresa terrena; ahimè, mi sembrava di guardare nelle
profondità dì un'anima che è stata ferita a morte, ma che osa lamen-
tarsi solo sotto il velo di una pungente ironia. Già spimtava l'alba e
la luce dellafiaccolaimpallidiva sotto l'irrompere dei raggi del sole.
Bertoldo dipìngeva sempre con furia, ma sì faceva sempre più silen-
zioso e aliafinedal petto oppresso non gli sfuggiva più che qualche
parola, qualche sospiro. Aveva disposto i colori fondamentali su
tutto l'altare, e la pittura aveva già un aspetto magnifico. - Vera-
mente è splendido, proprio splendido, - sciamai pieno di ammira-
zione. - Le pare, — disse Bertoldo con una voce stanca, — le pare ch
possa venirne fuori qualche cosa? - Per lo meno ho cercato in tutti
i modi di fare un disegno esatto; meglio di così non saprei. - Meglio
dì cosi non sarebbe possìbile, caro Bertoldo! - dissi, ~ è incredibile
che abbia potuto mandare cosi avanti in poche ore un'opera come
questa; ma lei s'affatica troppo e stempera le sue forze. - Eppure,
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 87

-rispose Bertoldo, - queste sono le mie ore felici... Forse chiacchie-


ro troppo, ma sono solo parole che servono a spegnere l'ardente
dolore dell'anima. - Mi pare che si senta molto infelice, mio povero
amico, - dissi, — come se qualche terribile avvenimento avesse di-
Strutta la sua vita!
I l pittore portò lentamente i suoi arnesi nella cappella, spense la
fiaax>la, poi mi tornò vicino, mi afferrò la mano e cQsse balbettan-
do: — Potrebbe sentirsi tranquillo, sereno, un solo momento della
sua vita, se avesse la coscienza di aver compiuto un delitto orribile,
imperdonabile? - Rimasi allibito. I raggi del sole cadevano sul vol-
to pallido, distrutto del pittore e quando usci vacillando dalla plc-
^ cola porta che metteva nell'interno del collegio, sembrava quasi un
fantasma.
I l giorno dopo aspettavo con ansia l'orafissatamidal professor
. Walther per un nuovo incontro. GU raccontai tutto quanto era suc-
cesso la notte scorsa, che mi aveva lasciato ima notevole eccitazio-
ne. Gli descrissi a colori vivaci il bizzarro comportamento del pitto-
re senza nascondergli nulla di quello che aveva detto, anche riguar-
do a lui. Ma per quanto io avessi sperato di trovare un certo interes-
se nel professore, egli mi apparve invece indifferente e allafine,ve-
ì dcndo che non cessavo di parlare di Bertoldo ed insistevo perché mi
; dicesse tutto quello che sapeva dell'infelice, si mise a sorridere di
i me in im modo insopportabile, - È un uomo un po' strano, quel pii-
; tore, - disse U professore, - tranquillo, bonario, lavora sempre, non
beve, come le ho già detto, ma è un po' debole di mente perché altri-
menti non si sarebbe lasciato dominare da un avvenimento della sua
s vita, sia pure da un delitto che egli possa avere commesso, per la-
t srìare la sua magnifica pittura e diventare un povero ìmbrattamu-
! xi Quest'espressione mi urtò, come del resto mi irritava tutta
l'indifferenza del professore. Cercai di fargli presente che ancora
; adesso Bertoldo era un artista degno di tutto il rispetto e soprattut-
; to di tutta la simpatia. - Via, vìa, - si decisefinalmentea dire 11 pro-
fessore, - se ha tanto interesse per Ìl nostro Bertoldo, le voglio rac-
contare tutto quello che so di lui, e non è poco. Ma per incomincia-
re, scendiamo subito nella chiesa! Siccome Bertoldo ha lavorato
durante tutta la notte, questa mattina si riposerà. Se lo trovassimo
' in chiesa, il mio scopo fallirebbe - . Scendemmo nella chiesa, il pro-
; fessore iect togliere il panno che copriva il quadro e mi apparve una
pittiura incantevole, quale forse non avevo mai veduto. La compo-
sizione era dello stile di Raffaello, semplice, elevata! Rappresentava
la Madonna e santa Elisabetta sedute sull'erba in un bd giardino,
, dinanzi a loro Giovannino e il Bambin Gesù che giocavano coi fio-
88 RACCONTI NOTTURNI

r i e, nello sfondo, da una parte, una figura umana i n preghiera. - I l


volto celestiale della Madonna, l'elevatezza e la pietà della sua fi^
gura m i ispirarono meraviglia e profonda ammirazione. Era bella,
più bella d i qualunque donna d i questo mondo, ma i l suo sguardo
annunciava la sublime potenza della Madre d i D i o cosi come quello
della Madonna d i Raffaello nella galleria d i Dresda. A h ! Davanti a
quegli occhi meravigliosi, velati da un'ombra profonda, i l cuore
dell'uomo non doveva sentire una nostalgia inestinguibile? Quelle
labbra tenere e lievemente aperte non parlavano, come u n coro
d'angeli, dell'infinita beatitudine del ciclo? Turbato da u n senti-
mento indescrivibile, incapace d i pronunciare una parola, non pote-
vo distrarre lo sjguardo da quel quadro incomparabile. Solamente
Maria e i bambini erano d i p i n t i completamente, alla figura d i Eli-
sabetta pareva che mancassero g l i u l t i m i ritocchi, e l'uomo i n pre-
ghiera era solamente disegnato. Avvicinandomi d i più riconobbi
nel volto dell'uomo i lineamenti d i Bertoldo. E b b i i l presentimen-
to d i quello che i l professore disse: - Questo quadro è l'ultima o-
pera d i Bertoldo; l'abbiamo ricevuto vari anni fa da N . , i n A l t a Sle-
sia, dove u n nostro collega lo aveva acquistato ad una vendita all'a-
sta. Sebbene non sia compiuto, lo abbiamo fatto mettere su questo
altare. Quando arrivò Bertoldo e scorse i l quadro, lanciò u n grande
grido e cadde svenuto a terra. I n seguito evitava quasi con paura d i
guardarlo e m i confidò che era stata la sua u l t i m a opera d i questo
genere. Speravo d i poterlo persuadere a poco a poco a terminare i l
quadro ma ogni volta egli respingeva la proposta con spavento, con
orrore. Per impedirgli d i rattristarsi e indebolirsi sempre più, do-
v e t t i far coprire i l quadro, almeno fin quando l u i lavora nella chie-
sa. Bastava che l o scorgesse perché, come se fosse spinto da una for-
za irresistibile, si gettasse a terra singhiozzando forte, g l i venissero
le convulsioni e restasse per giorni interi senza potersi muovere.
- Povero, povero infelice! - esclamai. - Che mano diabolica
può avere infierito i n u n modo così crudele nella sua vita?
- O h ! — disse i l professore, - la mano ed i l braccio che sono at-
taccati al suo corpo... Sì, sì! E g l i stesso è stato ìl proprio demone, i l
Lucifero che ha illuminato la sua vita con una fiaccola infernale. A l -
meno così sembra, conoscendo la sua storia - . Pregai i l professore
d i d i r m i subito quello che sapeva della vita del povero pittore. - Sa-
rebbe una storia troppo limga e m i costerebbe troppo fiato, - repli-
cò ìl professore. - N o n stiamo a guastarci questa bella giornata con
queste malinconìe! Facciamo colazione e p o i andiamo al mulino
dove cì attende u n buon pranzo - . N o n cessai d i insistere e final-
mente, dopo m o l t i discorsi, i l professore sì decìse a raccontarmi che
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 89

poco dopo l'arrivo del pittore nel collegio, un giovane studente ave-
va fatto grande amicìzia con lui sicché Bertoldo, un poco alla volta,
gli aveva raccontato tutte le avventure della sua vita e ìl giovane le
aveva trascrìtte con cura affidando il manoscritto al professor Wal-
ther. - Anche lui, - disse il professore, - era un entusiasta come lei,
caro signore, col suo permesso! Ma in realtà trascrivere le strane
avventure del pittore gli ha permesso dì fare un eccellente esercizio
di stile ~. A fatica potei ottenere dal professore la promessa che
quella sera, di ritorno dalla gita, mi avrebbe affidato il manoscritto.
Fosse la curiosità, o fosse veramente colpa del professore, non mì
sono mai annoiato tanto in vita mìa come ìn quel giorno.
Già la freddezza del professore nei riguardi di Bertoldo mì dava
ai nervi; ma i discorsi che fece con gli altri colleghì presenti al pran-
zo, mi convinsero che, ad onta della grande erudizione e della espe-
rienza mondana, la sua anima era completamente chiusa a d ò che è
devato e che egli era ìl più crasso materialista che sì potesse imma-
ginare. Aveva realmente adottato il sistema del «divorare ed essere
divorato» cui aveva accennato Bertoldo. Tutte le aspirazioni spiri-
tuali, ogni forza ddla fantasia e della creazione egli le derivava da
certe combinazioni dell'intestino e dello stomaco e imbandiva anco-
ra altre stupide enormità di questa fatta. Per esempio sosteneva se-
riamente che ogni pensiero viene generato dall'accoppiamento dì
due fibre nel cervello umano. Compresi in che modo i l professore
poteva torturare con queste assurdità il povero Bertoldo, che nella
sua ironìa disperata metteva ìn dubbio ogni benefico effetto dello
spirito; e cosi conficcava coltelli pungenti ndle ferite ancora sangui-
nanti. Finalmente venne la sera ed i l professore mi consegnò un
paio dì fasdcoli manoscritti, con queste parole: - Ecco qua, caro
entusiasta, l'opera dd nostro studente. Non è scritta male, ma in im
modo oltremodo stravagante e per di più i l signor autore sì è per-
messo dì riferire testualmente i discorsi dd pittore in prima perso-
na setiza darsi la pena di annunciarli secondo le regole. D d resto,
visto che lei non è uno scrittore, le voglio regalare questo scritto del
quale posso disporre a mia volontà. Lo so che l'autore ddle Fanta-
sie nello siile di Callot lo massacrerebbe a modo suo e poi lo fa-
rebbe stampare. Ma so anche che da lei non devo temere niente dd
genere.
Naturalmente ìl professor Aloysio Walther non aveva l'idea di
trovarsi proprio di fronte al viaggiatore entusiasta, per quanto se lo
sarebbe dovuto immaginare e cosi, benigno lettore, sono in grado
di offrirti la breve storia del pittore Bertoldo scritta dallo studente
dei Gesuiri. Lo strano aspetto con cui egli mi apparve viene cosi
90 RACCONTI NOTTURNI

chiarito e t u , caro lettore, apprenderai come possa avvenire talora


che i l gioco bizzarro del destino cì spinga a errori irreparabili.

- Tranquillizzatevi e fate partire vostro figlio per l ' I t a l i a ! Già


ora è u n bravo artista, ed anche q u i a D . n o n ^ mancherebbe l'oc-
casione d i studiare sui m i g l i o r i maestri; ma l o stesso, se partirà sarà
meglio. N e l sereno paese dell'arte g l i si deve rivelare qua! è la vita
del libero artista, là i l suo studio assumerà una forma vivificante e
genererà idee originali. Oramai stare semplicemente a copiare non
gli può giovare u n gran che. La pianta, nel suo sviluppo, deve avere
pìù sole per prosperare e portare fiori e f r u t t i . Vostro figlio ha vera-
mente l'anima dì xm puro artista, perciò n o n preoccupatevi d i t u t t o
ìl resto! - Cosi aveva detto ìl vecchio maestro Stefano Bìrkner ai
genitori d i Bertoldo. Essi misero insieme t u t t o quello dì cui poteva-
no privarsi nella loro vita modesta, e dettero al giovane l'occorrente
per i l Itmgo viaggio. E così i l desiderio pìù intenso d i Bertoldo,
quello d i andare i n Italia, f u adempiuto.
«Quando Bìrkner m i ebbe rivelata la decisione dei miei geiùto-
r i , m i misi a fare i salti per la gioia e l'entusiasmo. I giorni fino alla
naia partenza m i passarono come ìn u n sogno. N o n m i era più possi-
bile toccare U pennello nella galleria. L'ispettore, t u t t i g l i artisti che
erano stati i n I t a l i a , m i dovevano raccontare dì quel paese dove
l'arte fiorisce naturahnente. Finahnente giunsero U giorno e l'ora
fissati. I l congedo dai genitori f u doloroso, perché essi erano tor-
mentati dal fosco presentimento che n o n mì avrebbero riveduto,
e n o n avrebbero pìù voluto lasciarmi partire. Persino raÌo padre
che d i solito era u n uomo dedso, faceva i m o sforzo per dominarsi.
" L ' I t a l i a — vedrai l ' I t a l i a " , esclamavano g l i altri artisti mìei com-
pagni e fecero divampare ancora più fortemente i l m i o desiderio d i
partire. Rapidamente m i misi ìn viaggio : m i pareva che davanti alla
casa dei miei genitori incominciasse la strada che mena all'arte».
Bertoldo, ben preparato i n t u t t i i generi della p i t t u r a , si era de-
dicato particolarmente al paesaggio che curava con amore e dili-
genza. Credeva d i trovare a Roma u n ricco nutrimento per questo
ramo dell'arte; ma invece non f u così. Proprio nella cerchia dì arti-
sti e d i amatori nella quale egli viveva, t u t t i n o n facevano che dir-
g l i che solamente la figura umana rappresenta l'apice della pittura,
cui ogni altro genere è subordinato. G l i consigliavano, se voleva di-
ventare u n artista importante, d i lasciare ìl genere prescelto e d i de-
dicarsi a quello più devato, e questi discorsi, u n i t i all'impressione
mai prima sentita che g l i fecero ì grandiosi aSreschì d i Raffaello in
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 91

Vaticano, lo decisero veramente a non occuparsi più del paesaggio.


Disegnava sulle pitture dì Raffaello, ricopiava pìccoli qijadrì ad o-
lio dì altri celebri maestri; con la sua buona preparazione tutto gli
riescìva per bene; ma sentiva chiaramente che la lode degli altri ar-
tisti voleva solo confortarlo, incoraggiarlo. Vedeva da sé che ai suoi
disegni, alle sue copie, mancava completamente la vita degli origi-
nali. Questi sforzi vanì lo fecero diventare malinconico e spesso
, sfuggiva agli amici per andare di nascosto nei dintorni di Roma do-
ve disegnava e dipingeva gruppi d'alberi, o altri particolari paesi-
stici. Ma neppure questo gli riescìva più come una volta ed inco-
minciò a dubitare del suo talento. Le più belle speranze pareva che
dovessero fallire. «Ah, mio venerato maestro ed amico, - scriveva
Bertoldo a Bìrkner, - tu hai avuto troppafiduciaìn me; ma qui, qui
dovefinalmentela mia anima doveva essere illuminata, mì sono ac-
corto che quello che a te sembrava vero genio artistico, era sempli-
ce talento, abilità esteriore. Dì' ai miei genitori che ritornerò presto
per imparare im mestiere qualimque col quale guadagnarmi la vita,
ecc. ecc.». Bìrkner così gli rispose: «Oh, se potessi essere vicino a
j te, figlio mio, per sollevarti da questo scoraggiamento. Ma credi a
me, sono proprio questi dubbi che parlano ìn favore della tua voca-
zione d'artista. CohÀ che s'immagina di fare continui progressi, che
' ha unafiduciaimmutabile nelle proprie cose, è un povero pazzo, un
' illuso; perché gli manca i l vero impulso di ogni progresso, che na-
sce solo dal pensiero delle proprie mancanze. Tu devi perdurare!
. Ben presto ti sentirai più forte e senza curarti del giudìzio e del con-
sigilo dì amici, i quali non sono forse ìn grado di comprenderti,
continuerai più sereno per la strada che ti è prescritta dall'intima
natura della tua personalità. Che tu dipìnga paesaggi oppure figure
timane, non ha nessuna importanza, perché non si può pensare che
sieno ostilmente divisi i rami di imo stesso tronco».
Ora era avvenuto che proprio nell'epoca in cui Bertoldo aveva
ricevuto questa lettera così confortante del suo vecchio maestro ed
amico, a Roma aveva incominciato a diffondersi la fama di FUìppo
Hacfcert. L'esposizione dì alcuni suoi quadri, pieiù di grazia e di
chiarezza, confermarono questa fama e persino i pittori dìfigureu-
mane ammettevano che anche ìn quella semplice imitazione della
natura c'era qualcosa di grande e di eccellente. Bertoldo tornò a re-
spirare - non sentiva più schernire la sua arte preferita, vedeva ap-
prezzato e venerato un uomo che vi sì dedicava; come una scintilla
gli si accese nell'anima l'idea che egli sarebbe dovuto andare a Na-
poli a studiare con Hackert. Pieno di gioia scrisse a Birkner e ai suoi
genitori che dopo una diura lotta egU avevafinalmentetrovato la
92 RACCONTI NOTTURNI

giusta via e che sperava d i diventare ben presto u n buon artista


L'onesto Hackert accolse amichevolmente l o scolaro tedesco e ben
presto questi incominciò a gareggiare arditamente col maestro. Ber-
toldo raggiunse una grande abilità nel rappresentare fedelmente o-
gni sorta d i alberi e d i piante; e faceva miracoli i n fatto d i nebbie e
d i vapori, comequelli che si trovavano immancabilmente nel quadr
d i Hackert. T u t t o questo g l i procurò molte l o d i ma tuttavia qual-
che volta g l i pareva, chissà perché, che ai suoi paesaggi, e persino a
quelli del suo maestro, mancasse qualche cosa d i indefinibile ma
d i e ritrovava sempre nei quadri d i Claude Lorrain e persino nei
paesaggi deserti e selvatici d i Salvator Rosa. Tuttavia continuava a
lavorare religiosamente e diligentemente secondo ì modelli del suo
maestro, sicché i n breve tempo diveime quasi bravo come l u i . Cosi
successe che per i n v i t o d i Hackert dovette esporre u n grande pae-
saggio che aveva dipinto fedelmente secondo la natura, i n una mo-
stra composta quasi esclusivamente d i paesaggi e nature morte d i
Hackert. T u t t i g l i artisti e g l i intenditori ammirarono i l lavoro pre-
ciso e pulito del giovane, senza risparmiargli le lodi. C'era solo u n
uomo anziano, vestito i n maniera stravagante, che non disse nean-
che una parola a proposito dei quadri d i Hackert e si limitò a fare
u n sorrisetto eloquente mentre la folla intorno intonava elogi senza
fine. Bertoldo si accorse anche che l o straniero, dopo avere esami-
nato i l suo paesaggio, scosse la testa con im'espressìone d i profondo
compatimento e fece q u i n d i per andarsene. U n poco gonfiato dalle
l o d i generali, Bertoldo non potè vincere la stizza, si avvicinò allo
straniero e g l i domandò, accentuando forse le parole i m poco più
dei necessario: — M i sembra che n o n siate troppo soddisfatto d i
questo quadro, egregio signore, sebbene m o l t i bravi artisti si sieno
c o m p i a d u t i d i n o n trovarlo troppo cattivo. D i t e m i per favore la
vostra opiiuone perché possa correggere i miei errori secondo i l vo-
stro benevolo consiglio - . L o straniero guardò Bertoldo con uno
sguardo acuto e poi disse m o l t o seriamente: - Ragazzo m i o , t u avre-
sti potuto fare qualcosa d i molto buono ~. Bertoldo rimase spaven-
tato per lo sguardo e per le parole del vecchio, n o n ebbe i l coraggio
d i dire altro, né dì seguirlo quando quegli uscf lentamente dalla sa
la. Ben presto sopraggiunse Hackert e Bertoldo si affrettò a rac-
contargli r i n d d e n t e avuto con quell'uomo bizzarro. - A h ! - escla-
mò Hackert ridendo: - N o n te ne occupare! Era i l nostro vecchio
brontolone, che n o n è mai contento d i niente, che biasima sempre
t u t t o ; l ' h o incontrato mentre usava. È i m greco, nato a M a l t a . Uno
stravagante mo l to ricco, ed abbastanza bravo come pittore; ma tut-
t o quello che fa, ha un'aria fantastica e questo dipende probabil-
L A C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 93

mente dal fatto che egli si è messo in testa im sistema assurdo sugli
scopi dell'arte, che non vale un accidente. Lo so bene che non mi
stima affatto, ma io glielo perdono, visto che non mi può contesta-
) re ima fama ben meritata —. Tuttavia a Bertoldo pareva che il maltc-
„se avesse toccato una ferita nella sua anima, ma cosi, come fa un
chirurgo benefico, quando vuol guarire; nel frattempo dimenticò
tutte queste storie e continuò a lavorare allegramente come prima.
I l grande quadro cosi ben riuscito e tanto ammirato gli aveva
dato nuovo coraggio e pensò di incominciarne uno analogo. Hack-
ert in persona scelse uno dei più bei punti dei meravigliosi dintorni
di Napoli, e come il primo quadro aveva rappresentato un tramon-
, to, questo paesaggio doveva essere invece dipinto nella luce dcl-
l'aurora. Bertoldo avrebbe dovuto dipingere molti alberi rari, mol-
te vigne, ma specialmente molta nebbia e molti vapori.
Un giorno Bertoldo stava seduto sopra una grande pietra, nel
punto scelto da Hackert, e terminava i l primo schizzo del suo pae-
•saggio. - Ben riuscito, davvero! - esclamò una voce vicino a lui.
Bertoldo si volse e U maltese stava a guardare il suo disegno ed ag-
',^^unse con un sorriso sarcastico: - Vi siete dimenticato di una co-
sa, caro giovane amico! Guardate un po' laggiù il muro coperto d'e-
,' dera di quella vigna! La porta non è completamente chiusa; dovete
disegnare anche quella, con la sua ombra - una porta semichiusa fa
sempre un grande effetto! — C a r o signore, —risposeBeltoldo, - a-
• vete torto di scherzare! Questi particolari incidentali non sono af-
: fatto cosi disprezzabili come voi credete, ed i l mio maestro ha ra-
igione di servirsene. Non viricordatedi quel paimo bianco appeso
/ in mezzo al paesaggio di un maestro olandese, che, se mancasse, ro-
vinerebbe tutto i l quadro? Ma mi sembra che voi non abbiate nes-
, Sima simpatia per questo genere di pittura al quale mi sono invece
; dedicato corpo ed anima, e per questo vi prego di lasciarmi conti-
nuare tranquillo U mio lavoro.
! ' - Ti sbagU, e di molto, ragazzo mio, - disse i l maltese. - Te lo
' dico ancora una volta che tu avresti potuto fare qualcosa di molto
' buono; le tue opere dimostrano evidentemente una aspirazione in-
• frenabile verso l'alto, ma non raggiungerai mai la tua meta perché
la strada che hai scelto non vi conduce. Ascolta bene quello die ti
dico! Forse mi riuscirà di far divampare nella tua anima la fiamma
die tu, sdocco! t'immaginavi di soffocare, in modo che splenda e ti
illumini, e allora potrairiconoscereil vero spìrito che vìve ìn te.
Credi che io sìa cosi sdocco da subordinare il paesaggio alla figura
umana, da nonriconoscereche è unica la meta alla quale ogni pit-
tore deve aspirare ? L'intelligenza della natura, nei simboli più prò-
94 RACCONTI NOTTURNI

fondi dell'eterno spirito, che accende i n ogni creatura una vita su-
periore, questo è i l sacro scopo dell'arte. M a può mai condurvi una
semplice, pedantesca copia della realtà? L'iniziato sente la voce del-
la natura che con voci meravigliose g l i rivela misteri imperscrutabi
l i attraverso alberi, piante, fiorì, m o n t i e acque, e genera nel suo
petto u n presentimento d i v i n o ; allora, come lo spirito d i D ì o , scen
de su l u i Ù dono d i tradurre visibilmente questo presentimento nel
la sua pittura. - Studia dunque la natura con diligenza anche nella
parte meccanica, per raggiimgere la pratica della rappresentazione
ma non credere che pratica ed arte siano la stessa cosa. Quando sa-
rai penetrato nel senso più profondo della natura, spontaneamente
le sue immagini sì schiuderanno nel tuo animo con una sublime ma-
gnificenza - , I l maltese tacque, ma vedendo che Bertoldo era rima-
sto profondamente colpito, e stava col capo basso e senza parole, Io
lasciò dicendo: - N o n ho certo voluto turbarri nella tua professio-
ne; ma so che i n te è sopito u n altro spirito e l ' h o chiamato ad alta
voce perché si rìdesti e dischiuda liberamente le ali. A d d i o !
Bertoldo aveva la sensazione che U maltese avesse dato parole a
quello che g l i era sempre fermentato nell'anima; una voce interna
sì sciolse i n l u i : N o ! T u t t i questi sforzi, t u t t e queste ricerche sono
come i movimenti incerti e ingannevoli dì u n cieco! V i a , via tutto
quello che m i ha fuorviato finora! - N o n si sentiva pìù I n grado di
disegnare u n solo tratto del suo quadro. Abbandonò i l suo maestro
e se ne andò vagabondando t u t t o sconvolto supplicando che g l i fos-
se concessa q u d l a suprema illuminazione della quale aveva parlato
i l maltese.
N o n lontano da N a p o l i c'era ima villa che offriva magnifici pun-
t i d i vista sul Vesuvio e sul mare e perciò, per ordine del suo pro-
prietario, u n duca, era ospitalmente aperta agli artisti. Bertoldo v i
aveva spesso lavorato e spesso sì era abbandonato, i n una grotta del
parco, al gioco deì suoi sogni fantastici. Q u i , i n questa grotta, egli
stava u n giorno, tormentato da un'ardente nostalgia che g l i dilania-
va i l petto, e piangendo lacrime cocenti perché nessuna stella vole-
va illuminare la sua strada. D ' u n tratto senti u n sussurro fra le pian-
te e davanti alla grotta apparve la figura dì ima dontia meravigliosa.
« I raggi del sole cadevano i n pieno sul suo v o l t o angelico. - M i
guardò con uno sguardo indescrivibile. Era un'antica immagine già
nota - no, molto d i più - era ìl m i o ideale, veramente i l mio ideale !
- Trasportato dall'entusiasmo caddi ìn ginocchio, ma la figura
scomparve con i m tenero sorriso! - Le mìe appassionate preghiere
erano state esaudite.' »
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 95

Un amico entrò nella grotta, e si meravigliò che Bertoldo gli


gettasse le braccia al collo col volto trasfigurato. Aveva gli occhi
pieni di lacrime... - Amico, amico mio! - balbettò. - Sono felice,
beato... L'ho trovata, l'ho trovata! — Corse difilato nel suo studio
- preparò una tela, incominciò a dipingere. Come animato da una
forza divina egli riusd a evocare nel pieno fervore della vita la don-
na sovraterrena che gli era apparsa. Da questo momento il suo ani-
mo fu completamente trasformato. Invece della tristezza che gU a-
vcva divorato il cuore, sì sentiva sollevato da uno spirito lieto e se-
reno. Studiò intensamente i capolavori degli antichi maestri. Varie
copie gli riuscirono magnìficamente ed aUora incominciò a creare
lui stesso quadri che fecero stupire tutti gli intenditori. Non pensa-
va più ai paesaggi e lo stesso Hackert dovettericonoscereche sola-
mente ora il giovane aveva trovato la sua vera strada. Cosi aweime
che ebbe l'incarico di dipìngere varie opere dì grande formato, spe-
cialmente quadri d'altare. Sceglieva quasi sempre gli argomenti se-
reni delle leggende cristiane, ma in ogni opera splendeva la meravi-
gliosafiguradel suo ideale. Qualcuno scoperse che questa assomi-
gliava in tutto e per tutto al volto e allafiguradella principessa An-
giola T. Lo dissero anche al pittore e alcuni burloni sparsero la vo-
ce che il pittore tedesco era stato colpito nel profondo del cuore da-
gjà occhi dì fuoco della bellissima signora. Bertoldo si adirò moltis-
simo per queste sciocche chiacchiere della gente che con la sua vol-
garità avrebbe voluto diminuire ì doni del cielo. - Dunque credete,
— diceva, - che un simile essere potrebbe vivere sulla terra? La su-
blimità dell'arte mi è stata rivelata in una visione meravìgHosa;
quello è stato ìl momento della mia consacrazione...
E la vita di Bertoldo continuò così, facile e beata,finquando le
armate francesi, dopo le vittorie di Bonaparte in Italia, si avvicina-
rono al Regno di Napoli e scoppiò tma terribilerivoluzioneche
sconvolse ogni sereno e felice rapporto umano. I l re e la regina ave-
vano abbandonato Napoli. I l governorimaseai rappresentanti del-
la mimicipalità. I l viceré conchiuse col generale francese un armi-
stizio vergognoso e ben presto sì presentarono Ì commissari france-
si per riscuotere la somma che doveva essere pagata. I I viceré fuggì
per sottrarsi al furore del popolo il quale credeva di essere abban-
donato da lui, dalla municipalità, da tutti coloro che lo avrebbero
dovuto proteggere contro il nemico incalzante. Ben presto tutti ì
l^amì sociali furono spezzati; la plebe sfidava ìn piena anarchia
l'ordine e la legge; gruppi di forsennati percorrevano le strade al
grido di: - Viva la santa Fede! - saccheggiando e incendiando le ca-
se deiricchidai quali credeva dì essere stata venduta al nemico. Va-
96 RACCONTI NOTTURNI

n i furono g l i sforzi d i M o l i t e m o e d i Rocca Romana per trattene-


re quegli infuriati. I l duca Della Torre e Clemente Filomarino fu-
rono assassinati, ma con ciò la sete d i sangue della plebe scatenata
n o n f u ancora sazia.
A stento Bertoldo era riuscito a fuggire dalla sua casa incendia-
ta ed era andato a finire i n mezzo ad u n gruppo d i genia che, con le
fiaccole accese e i coltelli i n mano, correva verso i l palazzo del duca
d i T . Prendendolo per uno d i loro, essi l o trascinarono con sé, ur-
lando come pazzi - V i v a la santa Fede! - ed i n pochi m i n u t i Ìl duca,
i servitori, chiunque tentava d i opporre resistenza, furono assassi-
nati ed U palazzo messo i n fiamme. - Bertoldo era penetrato sempre
più profondamente nelle sale del palazzo. - U n fumo denso riempi-
va i lunghi corridoi. E g l i correva attraverso le stanze spalancate,
continuamente i n pericolo d i cadere fra le fianmie, cercando i n u t i l -
mente l'uscita. - D ' u n tratto u n urlo disperato d i spavento risuona
vicino a l u i - si precipita attraverso una sala - vede una donna che
lotta disperatamente con u n lazzarone, questi l'ha afferrata col pu-
gno tremendo e sta per immergerle nel seno i l coltello... £ la princi-
pessa - è l'ideale d i Bertoldo! - Stordito daUo spavento BÓ:toIdo
balza addosso al lazzarone, l o afferra alla gola, Io getta al suolo, lo
colpisce col suo stesso coltello... U n momento dopo alza la princi-
pessa fra le braccia, fugge con l e i attraverso le sale ìn fiamme - giù
per le scale - vìa, vìa ìn mezzo alla ressa del popolo - e t u t t o avvie-
ne i n i m baleno!
Nessuno tratteime nella sua fuga Bertoldo che, col coltello i n -
sanguinato ancora fra le mani, sporco d i f u m o , coi vestiti laceri, era
creduto dal popolo u n assassino e u n saccheggiatore che portasse ìn
salvo la sua preda. Cadde finalmente svenuto i n u n angolo deserto
della città, sotto u n vecdiìo mtiro dove era corso per istinto, per
sfuggire al pericolo. Quando ritornò i n sé la principessa g l i stava
inginocchiata accanto e g l i lavava la fronte con acqua fresca. — O h
grazie! - essa sussurrò con voce soave, - grazie ai santi che ritorni
i n te, m i o salvatore, m i o t u t t o ! - Beltoldo si era sollevato, credeva
d i sognare, fissava la principessa stordito. - Sì, era lei - la meravi-
gliosa figura celeste che aveva acceso nel suo petto la divina scintil-
la. - È possibile - è vero - sono ancora i n vita? - esclamò.
- Sì, sei i n vita, - disse la principessa, - sei vivo per me. Quello
d i e t u n o n osavi sperare, ora è avvenuto come per u n miracolo. O h ,
t i conosco bene, t u seì i l pittore Bertoldo, so che m i ami e che m i
glorifichi nei t u o i quadri meravigliosi. Sarebbe mai stato possìbile?
M a ora l o è, e per sempre. - O h , fuggiamo, fuggiamo insieme! ~ U-
no strano sentimento, come se u n Improvviso dolore avesse di-
L A C H I E S A D E I G E S U I T I D I G. 97

Strutto i sogni più dolci, sconvolse Bertoldo a queste parole della


principessa. Ma quando la dolce c r e a t i u ' a lo ebbe abbracciato con le
sue morbide, candide braccia, quando egli l'ebbe stretta violente-
mente al petto, si senti agitato da brividi dolci e mai conosciuti e
nella follia del rapimento, della più dolce voluttà, esclamò: - Oh,
no, non è un inganno del sogno, no, è la mia donna che io abbraccio
per non lasciarla più, è la mìa donna che placa la mìa più ardente
nostalgia!
Era impossìbile fuggire dalla città perché davanti alle porte sta-
va accampato l'esercito francese al quale per due giorni di seguito
il popolo, per quanto male armato e senza una guida, contrastò i l
passo. Finalmente Bertoldo riusd a fuggire con Angiola di ricove-
ro in ricovero, e quindi a abbandonare la dttà. Angiola, infiamma-
ta d'amore per il suo salvatore, non volle rimanere in ItaHa, la sua
famìglia la doveva credere morta e cosi Bertoldo sarebbe rimasto
per sempre suo. Una collana dì diamanti e alami andii preziosi che
aveva indosso, furono sufficienti perché a Roma, fin dove erano
giunti ìn un lento pellegrinaggio, sì potessero provvedere del ne-
cessario e arrivare felicemente ad M. nella Germania meridionale,
dove Bertoldo pensava dì stabilirsi e dì guadagnarsi la vita con la
sua arte. Non era una felidtà mai sognata, mai Immaginata, che An-
giola, la donna dalla divina bellezza, l'ideale dd suoi più deliziosi
sogni d'artista, ora gli appartenesse sebbene t u t t e le condizioni dd-
t la vita avessero devato im muro insormontabile tra lui e la sua a-
1 mata? In realtà Bertoldo non poteva comprendere la sua felidtà e
, si abbandonava a una gioia senzafine,quando sempre più forte una
voce interiore incominciò ad ammonirlo dì pensare nuovamente al-
l'arte. Pensò di consolidare la sua fama ad M. con un grande quadro
che avrebbe dipìnto per la chiesa della Madorma. I l soggetto gli era
ispirato da un'idea molto semplice, la Madoima e santa Elisabetta
sedute sull'erba in un bd giardino, e il Bambin Gesù e Giovannino
che giocano davanti a loro. Ma ìnutihnente egli tentava di ra^im-
gere una visione nitida e spirituale dd suo quadro. O^me nd mo-
menti più mfelìd della sua crisi, lefiguregli sì confondevano da-
vanti e non era la Madonna edeste, no, era una creatura terrena,
ahimè, era la sua Angiola in persona che gli appariva davanti gli
occhi dello spirito ddormata ìn modo paiuoso.
Tentò di resistere a questa potenza crudde che pareva sì fosse
impossessata dì lui, preparò ì colori, incomìndò a dipingere; ma la
sua forza era spezzata, tutto ìl suo lavoro era il vano tentativo dì un
ragazzo ignaro. Quello che egli dipìngeva era rìgido e senza vita e
persino Angiola - Angiola, il suo ideale - quando posava per lui ed
98 RACCONTI NOTTURNI

egli tentava dì ritrarla, appariva sulla tela come una morta figura d i
cera che lo fissava con occhi v i t r e i . Una tristezza sempre p i l i fosca si
impossessava della sua anima e g l i consumava ogni gioia della vita.
N o n voleva — non poteva p i l i lavorare e cosf incominciarono giorni
d i miseria che tanto più l o umiliavano perché Angiola non faceva
mai sentire i l m i n i m o lamento.
«L'angoscia che m i divorava sempre più, alimentata dalle spe-
ranze continuamente deluse, m i mise ben presto i n i m o stato che
somigliava alla pazzia. M i a moglie ebbe u n bambino, e questo fece
traboccare il vaso, Tira da lungo tempo trattenuta si cambiò i n u n
odio irresistibile. L e i , solo l e i era la causa della mia disgrazia. N o ,
lei non era l'ideale che m i era apparso, aveva assunto i l viso e l'a-
spetto d i quella creatura celeste solo per la mia rovina. Disperato
maledii leì e la nostra creatura iimocentc. A v r e i voluto che fossero
m o r t i per sentirmi libero d i quel tormento insopportabile che m i
dilaniava con coltelli roventi! - Nacquero i n me pensieri infernali.
Inutilmente i l volto pallido dì Angiola, le sue lacrime m i ammoni-
vano che stavo per commettere una follia, u n delitto. - " H a i rovi-
nato la mìa v i t a , dotma maledetta", urlai; e mentre mì cadeva ac-
canto senza forza e tentava d i abbracciarmi le ginocchia, la respinsi
vìa da me col piede».
I l folle, crudele comportamento dì Bertoldo verso la moglie e i l
bambino attirarono l'attenzione dei vicini che l o denunciarono al-
l'autorità. Volevano arrestarlo; ma quando le guardie entrarono
nella sua abitazione, era scomparso con la moglie e ìl bambino, sen-
za lasciare traccia. Poco dopo Bertoldo comparve a N . i n A l t a Sle-
sia; si era liberato d i sua moglie e del bambino e incominciò allegra-
mente a dipìngere i l quadro che aveva inutilmente incominciato a
M . M a potè terminare solo le figure della Madonna, del Bambin
G e s ù e d i Giovannino, p o i f u colto da una terribile malattia che per
poco non g l i costò la vita. Per poterlo curare avevano venduto tut-
to quello che possedeva ed anche i l quadro incompiuto; e quando
si f u , almeno i n parte, ristabilito, e potè partire, era ridotto un
mendicante. - I n seguito si guadagnò la vita con lavori dì decora-
zione che g l i venivano affidati qua e là.

- La storia d i Bertoldo ha veramente qualcosa dì terribile e d i


pauroso, - dissi al professore. - Sebbene egli non l'abbia mai am-
messo esplicitamente, credo che egli sìa l'assassino d i sua moglie e
del suo bambino innocenti. - È u n povero pazzo, - replicò Ìl pro-
fessore, - e io non credo che abbia mai avuto i l coraggio d i compie-
LA C H I E S A D E I G E S U I T I DI G. 99

re una simile azione. Del resto a questo proposito non ha mai detto
nulla di preciso, e io mi domando se, quella di essere il responsabile
della morte di sua moglie e di suo figlio, non sia semplicemente ima
sua immaginazione. Ora è giù che dipinge, probabilmente la prossi-
ma notte terminerà il suo altare, allora sarà di buon umore e forse
lei riuscirà a cavargli qualche cosa di più su questo punto scabroso.
Devo confessare che se mi immaginavo di trovarmi solo con
Bertoldo a mezzanotte dentro la chiesa, ora che avevo letto la sua
storia, sentivo un certo brivido giù per la schiena. Pensai che con
tutta la sua bonomia e i suoi modi cordiah fosse meglio non stuzzi-
carlo troppo e preferii perciò di andare a parlare con lui a mezzo-
giorno, alla luce del sole.
Lo trovai in cima all'impalcatura che stava disegnando le vene
nel marmo, tutto imbronciato e sopra pensiero; mì arrampicai ac-
canto a lui e incominciai a porgergli i vasi di colori. Mi guardò me-
ravigliato: - Sono il suo garzone, - dissi sottovoce, e lui non potè
trattenere un sorriso. Allora incominciai a parlare della sua vita in
modo che egli comprendesse che sapevo tutto e forse si immaginò
di avermela raccontata lui durante la notte. Senza parere venni a
jarlare della terribile catastrofe, e all'improvviso gU chiesi: - E al-
ota, in un momento dì follia lei ha ammazzato sua moglie e il bam-
bino?
Lasciò cadere i colori e ì pennelli efissandomicon uno sguardo
spaventoso e alzando i pugni al cielo gridò : - Queste mani sono pu-
re, non sono macchiate di sangue! Ancora una parola, e mi butto
insieme con lei giù da queste impalcature! Cì spaccheremo il cranio
sul marmo del pavimento! — In quel momento mi sentii in una posi-
zione veramente poco naturale e mi parve che la miglior cosa fosse
mettermi a parlare d'altro. - Oh, guardi là, caro Bertoldo, - dissi
con tutta la calma che mi fu possibile, - quella tìnta gialla come
scorre giù per la parete - . Egli si scosse e mentre stendeva ìl colore
col permeilo, scesì pian piano giù per la scala, abbandonai la chiesa
e mi recai dal professore per farmi prendere in giro per la mia scioc-
ca avventura.
La carrozza intanto era stata riparata e io abbandonai G. dopo
essermi fatto promettere solennemente dal professor Aloysio Wal-
ther che se fosse successo qualcosa dì particolare a Bertoldo, mì a-
vrebbe scritto immediatamente.
Erano passati circa sei mesi quando ricevetti veramente una let-
tera dal professore nella quale ricordava molto prolissamente il no-
stro incontro a G. A proposito dì Bertoldo scriveva quanto segue:
«Poco tempo dopo la sua partenza, al nostro stravagante pittore è
lOO RACCONTI NOTTURNI

successo qualcosa d i strano. Improvvisamente i l suo umore si ras-


serenò e terminò i n modo meraviglioso i l grande quadro i l quale
oramai fa stupire t u t t i coloro che l o vedono. Subito dopo scompar-
ve e poiché n o n aveva preso nulla con sé e dopo qualche giorno fu
rono trovati i l suo cappello e ìl suo bastone sulle rive del fiume, tut
t i si sono messi i n testa che egli abbia cercato la morte volontaria
mente».
I L SANCTUS

Il dottore crollò il capo preoccupato. - Ma come... - esclamò


"impetuosamente il maestro di cappella balzando in piedi. - Ma co-
irne!... Allora il raffreddore di Bettina, secondo voi, potrebbe essere
ì^^una cosa grave?... - I l dottore picchiò tre o quattro leggerissimi
"Colpetti sul pavimento con la sua caima dì bambù, trasse la tabac-
chiera e se la rimise ìn tasca senza aver preso tabacco,fissòlo sguar-
ido ìn alto come se volesse contare i rosoni del soffitto e tossìcolò
stonato. Ma non disse parola. Ciò mandò sulle furie il maestro. Egli
aveva capito benissimo che tutto quel gioco mimico del dottore,
' tradotto in parole povere, suonava esattamente cosi: ~ Un brutto,
^•un brutto caso... Non so che farci... non so che cosa consigliare e
'^'^meno il can per l'aia, annaspando con ì miei tentativi come quel
dottore nel Gilblas di Santillana Allora parlate chiaro una buo-
'ìhA volta!... - gridò il maestro adirato. - E non prendetemi così ma-
ledettamente sul serio una banale raucedine. Bettina se l'è buscata
' per aver commesso l'imprudenza di non mettersi lo scialle uscen-
do di chiesa... Dopo tutto non dovrà mica rimetterci la vita, povera
'pìccola!... - Ma neanche per sogno, - disse il dottore estraendo di
nuovo la tabacchiera e, questa volta, perfiutareveramente una pre-
sa, - Neanche per sogno. Ma molto probabilmente non potrà più
cantare una sola nota finché vivrà I l maestro sì mise le mani nei
capelli facendone uscire una nuvola di cìpria; poi prese a passeggia-
re avanti e indietro per la camera gridando come un ossesso: - Non
cantare più?... Non cantare più?,.. Bettina non cantare più?... Le
deliziose canzonette,,. ì boleri, le seguidille meravigliose sgorganti
dalle sue labbra come respiro dì fiori fatto musica,,. Morto, ffiiito
tutto?... QuegU Agnus così commoventi,., quel Benedictus cosi
consolanti... non sentirli mai più?... Oh... oh!... Mai più i Mìserere

' £ il dottor Sangrado, il medicastro datlauno di cui si parla nel secondo libro del Gii
BUa. Hofmann tuttavia fa qui una piccola confusione; perché non è Sangrado che tenta di-
versi metodi di cura ma il suo servitore e aiutante Gii Blas che lo consiglia io tal senso. £
Sai^rado sirifiutadi farlo (libro II, cap. vij).
I02 RACCONTI NOTTURNI

che Spazzavano via dalia mente ogni scoria d i meschini pensieri


mondani e facevano fiorire dentro d i me t u t t ' u n mondo d i temi
chiesastici immacolati?... Niente p i l i ? . . . O h . . . oh!... T u menti, dot-
tore, t u menti!... È Satana che t i suggerisce d i farmi del male... T i
ha corrotto l'organista del duomo, i l quale m i perseguita con la sua
invidia abietta da quando composi per la delizia del mondo, i l Qui
tollis a o t t o voci... T u v u o i gettarmi nella disperazione perché l o dia
alle fiamme la mia nuova messa... M a non c i riuscirai!... N o n ci riu-
scirete!... Q u i . . . q u i con me p o r t o g l i assoli d i Bettina (... e si batté
una violenta manata sulla tasca destra facendone risuonare i l conte-
nuto cartaceo...) e fra poco la piccola 11 canterà... e con voce argen-
tina, purissima, angelica! - I l maestro prese i l cappello e fece per
andarsene ma ìl dottore lo trattenne e glì sussurrò con dolcezza;
- Rispetto i l vostro sacrosanto entusiasmo, egregio amico. M a , cre-
detemi, n o n esagero. L'organista del duomo n o n l o conosco neppu-
re. Proprio cosf. D a quando Bettina ha cantato glì assoli del Gloria
e del Credo durante la funzione nella chiesa cattolica ha incomincia-
to a soffrire d i questa strana raucedine — o diciamo piuttosto afo-
nìa - rilselle a tutte le cure; e, come v i ho detto, ho motivo d i teme-
re che n o n possa cantare mai pìù. - E va bene, - esclamò i l maestro,
come rassegnandosi alla disperazione. - E allora datele dell'oppio,
e p o i ancora dell'oppio, fino a che si addormenti ìn una dolce mor-
te. Perché se Bettina n o n canta non può, n o n deve vivere. Bettina
vive solo quando canta - esiste uiucamente «nel canto». Dottore
carissimo, fatemi la grazia, avvelenatela... Pìù presto lo farete, tan-
to meglio sarà. H o delle relazioni alla corte criminale... ho studiato
a Halle col presidente: era u n grande cornista... suonavamo insie-
me certi duetti nottiumi con interventi corali obbligati dì caiù e d i
gatti !... N o n v i faranno nulla per questo pietoso omicìdio... Avvele-
nala... avvelenala dunque!... - Slamo già abbastanza avanti negli
anni, mì pare, - disse i l dottore interrompendo la focosa tirata del
maestro d i cappella. - D a i m pezzo dobbiamo incipriarci i capelli
ma, a quanto pare, specialmente se c'è d i mezzo la musica, slamo
vel quasi i m somaro... N o n si grida così, n o n si parla con tanta leg-
gerezza d i veneficio, d i omicidio! Andiamo: sedete tranquillo su
quel comodo seggiolone e statemi bene a sentire. - Q i e cosa mai m i
toccherà dì sentire!... — sospirò ìl maestro col pianto nella voce.
Tuttavia ubbidì. - Effettivamente, - incominciò i l dottore, - nello
stato d i Bettina c'è qualcosa d i molto strano ed insolito. Essa può
parlare ad alta voce e quando parla l'organo vocale funziona perfet-
tamente. N o n si può dunque pensare ad uno dei soliti mali dì gola.
Bettina è perfino i n grado d i emettere veri e p r o p r i suoni musicali;
I L SANCTUS 103

JBia se appena fa per cantare, nel pieno senso del termine, i m qual-
' cosa d i inafferrabile la paralizza... u n qualcosa che n o n si manifesta
icome una trafittura, u n p r u r i t o , u n solletico, né come qualsiasi al-
,tro sintomo morboso obiettivo, ma fa sì che ogni nota emessa, pur
senza suonare rauca, forzata, impura ~ catarrosa, diciamo - diventi
opaca, incolore e subito si smorzi... Bettina stessa paragona molto
^giustamente i l proprio stato alla sensazione che proviamo i n sogno
quando, pur essendo pienamente consapevoli d i poter volare, non
liusciamo, malgrado t u t t i g l i sforzi, a distaccarci da terra e levar-
ifà i n alto. Insomma, è uno stato morboso «negativo», ribelle a
qualsiasi trattamento e d i fronte al quale m i sento impotente. M i
«enibra, ecco, dì dover combattere contro u n nemico incorporeo,
p n ' o m b r a , u n fantasma invulnerabile. Che l'intera esistenza d i Bet-
;rina sia condizionata dal canto avete ragione d i d i r l o : potremmo
^ n c e p i r e u n uccelletto del paradiso togliendogli i l canto?... M a è
' roprio i l pensiero ossessivo d i aver perduto definitivamente la
jpossibilità d i cantare e d i stare soccombendo insieme alla propria
voce a porla i n uno stato d i continua agitazione. Questo, secondo
me, aggrava i l male e rende vani t u t t i Ì miei sforzi. Bettina, e l o ri-
ironosce l e i stessa, è per natura molto apprensiva. E d i o dopo aver
per mesi e mesi provato ogni possibile rimedio - (come u n nauf ra-
:go che tenti d i aggrapparsi a qualsiasi pezzo d i legno) - ed esseme
stato regolarmente deluso, credo ormai che la malattia d i vostra fi-
glia sia assai p i l i psichica che fisica. - Ben detto, dottore! - esclamò
U Viaggiatore Entusiasta i l quale da i m bel pezzo sedeva silenzioso
i n u n angolo a braccia conserte. - Ben detto!... Finalmente avete
toccato 3 punto giusto, dottore mio eccellentissimo!... L o stato
morboso d i Bettina è la ripercussione fisica d i un'impressione psi-
chica, e perciò appunto tanto più grave e insidioso. I o , i o soltanto
potrò spiegarvi t u t t o , signori!... - Che cosa m i toccherà mai d i sen-
tire! ... - gemette i l maestro d i cappella i n tono ancor più piagnuco-
loso d i poc'anzi. I l dottore accostò la sedia al Viaggiatore Entusia-
sta e l o fissò i n viso con ima strana espressione sorridente; ma que-
'sti senza degnar d'mio sguardo né l u i né i l maestro levò gli occhi i n
.alto e disse: — Signor maestro, i o v i d i una volta una piccola farfal-
, letta variopinta andarsi a cacciare sotto le corde del vostro clavicor-
d o a due tastiere. La poverina svolazzava su e gid e con le alucce
splendenti urtava ora le corde acute ora le gravi, traendone suoni
c accordi cosi tenui che soltanto rorccchio più fine ed esercitato a-
vrebbe potuto percepirli. L'animaletto pareva nuotare i n quelle
morbide, fluttuanti sonorità o meglio, pareva lasciarsi trasportare
sull'onda delle vibrazioni. M a ad u n tratto una corda urtata u n p o '
104 RACCONTI NOTTURNI

più forte, quasi per vendicarsi, colpi l'ala della beata nuotatrice e ne
fece cadere un po' di polline colorato. La farfallina senza badarci
continuò a frullare felice in quel mare di suoni e di canti; e altre
corde la colpirono ferendola sempre più crudelmente, fino a farla
cadere nell'apertura della cassa armonica. E tutto fu di nuovo silen-
zio. - Che cosa intendete dire con questo?... - domandò il maestro
di cappella. - Fiat applicatio, egregio signore! - disse il medico.
- Di una applicatio diretta non è i! caso di parlare, - prosegui l'En-
tusiasta. - Ma poiché ho veramente udito la musica di quella far-
falla, volevo soltanto accennare, così, in generale, a im'idea che al-
lora mi passò per la mente e che potrebbe, in un certo senso, prelu-
dere a quanto vi dirò sul male di Bettina. Potete anche prenderla
per un'allegoria e trascriverla nell'albo genealogico di una qualsi-
voglia virtuosa in tournée. Mi parve allora veramente che la natura
avesse costruito intomo a noi un gigantesco clavicordo a mille regi-
stri. Noi ci affanniamo, ci diamo da fare fra quelle corde, scambian-
done i suoni, gli accordi, per suoni ed accordi prodotti da noi, a no-
stro piacere. E spesso veniamo feriti a morte senza neppure sospet-
tare dì essere stati colpiti da una corda stonata, toccata a sproposi-
to... - Molto oscuro... - disse il maestro di cappella. - Oh!... - e-
sclamò il dottore ridendo. - Un po' di pazienza, poi balzerà sul suo
cavallo di battaglia e via di galoppo sfrenato nel mondo dei presen-
timenti, dei sogni, degli influssi psichici, delle simpatie, delle idio-
sincrasie eccetera eccetera... Ma giunto alla stazione del magneti-
smo si fermerà per fare una buona colazione!... - Piano, piano, dot-
tore mìo sapientissimo, - disse l'Entusiasta. - Non prendete così
alla leggera cose che, per quanto vogliate impuntarvi, dovrete pur
sempre umilmente riconoscere vere e altamente rispettare. Non a-
vete detto voi stesso, poc'anzi, che la malattia dì Bettina è causata
da un'eccitazione psichica, anzi, è una malattia psichica vera e pro-
pria?... - Ma che c'entra Bettina con quell'infelice farfalla?... - lo
interruppe il dottore. - Se proprio vogamo setacciare tutto quan-
to, - continuò l'Entusiasta, - e esaminare e spilluzzicare granello
per granello, non faremo che imiversalizzare la noia con questo
noiosissimo lavoro. Lasciate riposare in pace la farfalla nel clavicor-
do del maestro!... Del resto, ditemi voi stesso, maestro, non è una
vera sciagura che la musica sacrosantìssima sìa diventata parte inte-
grante delle nostre conversazioni?... Stiamo trascinando gli artisti
più eletti nelle meschine banalità della vita!... La musica, il canto,
anziché irradiare su di noi da inaccessìbili lontananze sacrali, come
dallo stesso regno dei cieli, ora ci vengono sottomano così, alla buo-
na. Sappiamo esattamente quante tazze dì tè debba bere la cantante
I L SANCTUS 105

tal dei tali o quanti bicchieri d i vino occorrano al basso talaltro per
trovare la giusta vena... Esistono talune associazioni, lo so, ove si
pratica e si studia la musica nel suo giusto spirito, con autentica de-
vozione non come fanno quei miserabili i n quincisquindi - belli,
l u s t r i , agghindati... M a non voglio arrabbiarmi!... Quando giunsi
q u i , l'anno scorso, la povera Bettina era d i gran moda; era, come si
suol dire recherchée... N o n si offriva u n tè sen2a i l condimento d'u-
' na romanza spagnola, d'una canzonetta italiana o d'una canzoncina
francese... [Souvent l'amour ecc. ) ~- naturalmente cantati da Betti-
tia... I o temetti seriamente che la povera bimba, malgrado le sue
iiBiagnifiche d o t i musicali, finisse per subissarsi i n quel mare d i tè...
ijCiò non avvenne; ma avvenne l a catastrofe. - Quale catastrofe?...
% esclamarono ad una voce i l dottore e i l maestro. - Vedete, cari si-
toiori, - continuò l'Entusiasta, - la povera Bettina è stata, come sì
WioI dire, «affatturata», stregata. E , quantunque m i riesca duro
I m m e t t e r l o , chi ha operato i l malefizio ed ora non riesce più a sdo-
ijì^lierlo - come l'apprendista stregone! - sono p r o p r i o io. - Scioc-
(Qiezzei... Sciocchezze!... E n o i ce ne stiamo q u i , buoni e tranquilli,
% farci prendere i n giro da questo briccone i n vena d i scherzare!...
> sbuffò i l dottore scattando i n piedi. - A l diavolo la catastrofe!...
quale catastrofe?... - gridò i l maestro d i cappella. - Calma, si-
r i , calma... ora vengo al fatto: a u n fatto vero, - ve l o posso ga-
tire - anche se v o i lo prenderete per uno scherzo. L o confesso,
'volta m i pesa assai sulla coscienza Ìl rimorso d'avere, senza voler-
e senza saperlo, servito da medium alla forza psichica misteriosa
influì su Bettina, causando e sviluppando i l suo male. Voglio di-
, h o fatto da «conduttore», sf, come avviene nella catena elettri-
, quando uno trasmette all'altro la scossa, senza volerlo... - H o p
p!... — fece i l dottore. - Attenzione: guardate che magnifiche
rbettes sta eseguendo i l cavallo d i battagHa!... - A l fatto, al fat-
p\ reclamò i l maestro d i cappella. - V o i , maestro, - riprese l'En-
ìUsiasta, - avete ricordato poc'anzi che Bettina cantò per l'ultima
§oIta, prima d i perder la voce, nella chiesa cattolica. Ricorderete
che ciò avvenne la domenica d i Pasqua dello scorso anno. V o i
issavate i l vostro bell'abito nero d i gala e dirigevate la stupenda
sa i n re minore d i H a y d n . Fra i soprani c'erano fior d i belle ra-
e giovani e eleganti che i n parte cantavano e i n parte no; e c'era
le Bettina, la quale eseguì con voce piena e magnifica i piccoli
l i della messa. Come sapete Ìo m i trovavo fra i tenori. Iniziò i l
nctus. I o ero così raccolto, cosi compreso, da sentirmi rabbrividì-

HoSmann allude a!U SimakiKltmie (Accademia d i canto) di Berlino.


io6 RACCONTI NOTTURNI

re per la commozione. Ad un tratto fui disturbato da un fruscio: mi


volsi istintivamente e vidi con stupore Bettina farsi largo fra i can-
tanti e le cantanti per lasciare il coro : «Vuole andar via?... », le sus-
surrai. «Ho fatto anche troppo tardi!», mjrisposegentilmente.
«Ora devo andare alla chiesa di *** dove ho promesso di partecipa-
re alla esecuzione di una cantata e prima di mezzogiorno devo anco-
ra provare un paio di duetti che eseguirò quest'oggi al tè musicale
in casa ***. Poi andrò a cena dai ***... Ci sarà anche lei?... Si can-
teranno due cori del Messia di Handel e il primofinaledelle Nozze
di Figaro». Durante questa conversazione l'offerta sacrificale del-
l'incenso e gli accordi pieni del Sanctus saUvano in alto, riempiendo
la cupola della chiesa dì fumo azzurrino e di musica. «Ma non sa»,
le dissi, «che a uscir di chiesa durante il Sanctus sì fa peccato?... E
si viene puniti?... Non canterà più tanto presto in una chiesa, glie-
l'assicuro! » Voleva essere uno scherzo ma, non so neppure io come
avvenne, le mie parole suonarono tutt'a un tratto solenni. Bettina
impallidi e usci in fretta senza dir altro. E da quel momento perse la
voce - . I l dottore era tornato a sedersi ed aveva appoggiato il men-
to sul pomo della canna ma non parlò. Invece il maestro di cap-
pella esclamò : - Straordinario !... Effettivamente... straordinario !...
- Io veramente parlai cosi senza pensare a nulla di preciso, - con-
tinuò l'Entusiasta, - e tanto meno misi poi comunque in rapporto
l'afonia di Bettina coll'incidente avvenuto in chiesa. Soltanto ora
quando, ritornando qui, ho appreso da voi, dottore, che Bettina
soffre ancor sempre di quel suo male, mi è parso di aver pensato
giàfinda allora a una storia letta tanti anni fa in un vecchio libro '.
Ve la voglio raa:ontare perché la trovo divertente e commovente.
- Raccontatecela! - gridò il maestro di cappella. - Forse mi sugge-
rirà l'argomento per un buon libretto d'opera. - Se voi, maestro, ve
la sentite di mettere in musica sogni, stati magnetici, presentimenti,
- disse il dottore, - avete trovato il fatto vostro; perché la storia,
immagino, tratterà di nuovo di queste cose L'Entusiasta, senza
rispondergli, si schiari la gola ed attaccò in tono solenne; — L'ac-
campamento di Isabella e Ferdinando si estendeva a perdita d'oc-
óào davanti alle mura di Granata. - Signore Iddio del cielo e della
terra!... - gemette il dottore. - Questo incomincia come se dovesse
andare avanti per nove giorni e nove notti... e io me ne sto seduto
qui, mentre i miei pazienti si lamentano... Me ne infischio io delle
vostre storie moresche... I l Consalvo da Cordova^ me lo sono già
' La storia è indubblamence inventata da Hofimann.
* GoHzdve de Cordove, ou Crinade reconquise {Paris 1700) di Jean Piene Oaris
Florian (17^3-94). Hofimann lesse quest'opera nella traduzione tedesca di Samuel Baur.
I L SANCTUS 107

letto, le seguidillas d i Bettina le ho sentite; e con questo, basta!...


Jkii dichiaro soddisfatto e v i saluto! - E i l dottore uscì i n fretta. I l
maestro d i cappella invece rimase tranquillamente a sedere, dicen-
do: - A quanto pare si tratta dì una vicenda della guerra fra Ì m o r i
f g l i spagnoli... D a tanto tempo ho una voglia matta d i comporre
(Qualcosadi simile!... Battaglie, t u m u l t i , romanze... parate... cimba-
Ji,.. corali... T a m b u r i e timpani... ah!.,. T i m p a n i soprattutto!... Già
siamo insieme, raccontate, raccontate gentilissimo amico...
issa quali semi farà cadere i n me la vostra storia... e quali gigli gi-
i n t i ne fioriranno!... - Per v o i , maestro, - rispose l'Entusiasta, -
i t t o diventa opera... Ecco perché le persone ragionevoli che trat-
t o la musica come una buona acquavite forte da centellinarsi d i
|(into i n tanto, a piccole dosi, come i m corroborante, qualche volta
' prendono per matto... M a la mia storia ve la racconterò ugual-
:nte. E v i autorizzo a inserirvi qua e là qualche accordo, se ve ne
je vaghezza...
Prima d i cedere la parola all'Entusiasta, chi scrive si sente co-
ietto a pregarti, lettore benevolo, d i volerlo perdonare se, per a-
>r d i brevità, quando i l maestro interverrà ad inserire i suoi accor-
" nel racconto invece d i scrivere: «... A questo punto i l maestro d i
ppella disse... ecc.», scriverà soltanto: i l maestro d i cappella.
: - L'accampamento d i Isabella e Ferdinando d'Aragona si e-
sndeva a perdita d'occhio d i fronte alle solide mura d i Granata,
fretto sempre più da presso, nella vana attesa dì soccorsi, Ìl vile
abdil andava perdendosi d'animo. Schernito e deriso dal popolo
lareggiato, che l o chiamava «il piccolo r e » , egli trovava ancora
'^[ualche effimero conforto dando sfogo alla sua crudele sete d i san-
ie. M a nella stessa misura i n cui l o scoramento e la disperazione
lavano d i giorno i n giorno dilagando fra la popolazione e l'eser-
"to d i Granata, sì accendevano le speranze d i vittoria e i l desiderio
* combattere nel campo spagnolo. N o n era neppure più necessario
assalto i n grande stile. Ferdinando si limitava a battere le f o r t i -
sioni nemiche e a respingere le sortite degli assediati: piccole
ramucce, assai più simili a gioiosi tornei che non a combattimen-
'. veri e p r o p r i . Perfino la morte d i chi cadeva sul campo contribui-
a sollevare g l i spiriti perché i caduti venivano solennemente glo-
ìcati nella pompa del culto cattolico e nella luce del martirio per
fede. Appena giunta al campo Isabella fece costruire al centro
' campo stesso u n edificio i n legno, sulle cui t o r r i sventolava la
idiera crociata. L'interno venne adibito a chiesa e a convento e
ìdato alle monache benedettine che ogni giorno v i facevano offi-
i servizi d i v i n i . La regina, con seguito d i dame e cavalieri, v i
io8 RACCONTI NOTTURNI

si recava tutte le mattine ad ascoltare la messa celebrata dal pro-


prio confessore personale e accompagnata dal coro delle religiose.
Una mattina Isabella udì levarsi dal coro una voce meravigliosa, so-
nora, argentina, ed emergere sopra tutte le altre: pareva di ascolta-
re i gorgheggi inebrianti dell'usignolo, quando il principe degli uc-
celli canori si esibisce per la gioia dei piccoli abitanti del bosco. Ma
la pronunzia delle parole era straniera e anche le inflessioni della
voce avevano un qualcosa di particolare, dì strano, come se la can-
tante, non ancora avvezza allo stile di chiesa, tentasse il primo e-
sperimento in quella sede. Isabella si guardò intorno stupita e no-
tò altrettanto stupore nel proprio seguito. Ma quando le cadde sot-
t'occhio il valoroso capitano Aguillar ebbe subito la percezione che
vi fosse in gioco qualcosa dì insolito. Inginocchiato sul banco, le
mani giunte, il capitano guardava fisso ìn alto, alle grate del coro,
con occhi ardenti, pieni di desiderio. Finita la messa Isabella andò
dalla madre superiora, suor Maria, a informarsi della cantante stra-
niera: «Oampiacetevi di ricordare, regina», le disse la madre supe-
riora, «che un mese fa don Aguillar tentò di conquistare d'assalto
quel bastione esterno, su cui i mori sistemarono una meravigliosa
terrazza adibendola a luogo dì divertimento. Tutte le notti giunge-
vano al nostro campo, come voci di sirene tentatrici, i canti lascivi
dei pagani; e Aguillar decise di distruggere quel covo di peccato. I l
bastione era già stato conquistato e le donne prigioniere portate via
mentre ancora ferveva il combattimento, quando un inatteso rin-
forzo nemico costrinse Ì nostri, malgrado l'accanita resistenza, a ri-
tirarsi nell'accampamento. I l nemico non osò inseguirli e perciò tut-
ti i prigionieri e l'intero bottino rimasero nelle nostre mani. Fra le
doime prigioniere ce n'era una il cui sconsolato dolore, la cui dispe-
razione attrassero l'attenzione dì don Aguillar. Egli le sì avvicinò e
lerivolsealcune parole di conforto; ma la doima velata, come se il
suo dolore non avesse altro linguaggio all'infuori del canto, trasse
alcuni vaghissimi accordi da una cetra che portava appesa al collo
con un nastro d'oro e incominciò a cantare una romanza o piuttosto
una lamentazione dolorosa, straziante, per il distacco dall'amato e
la perduta gioia di vivere. Profondamente commosso da quel canto
meraviglioso Aguillar decise dì rimandare la donna a Granata; la
donna gli si gettò ai piedi sollevando 11 velo. "Ma tu sei Sulema!
esclamò Aguillar fuori dì sé. "Sulema... la stella delle cantatricì dì
Granata!..." Cosi era infatti: il capitano aveva già conosciuto Su-
lema quando era stato inviato in missione alla corte dì Boabdil, e la
sua voce impareggiabile gli era rimasta impressa nell'animo. "Ti
rendo la libertà", le disse; ma intervenne il reverendo padre Ago-
I L SANCTUS 109

•Stino Sanchez col crocifisso i n mano: "Ricorda signore", l o ammo-


jaf, "che lasciando libera la prigioniera t u le fai grande torto. Sot-
tratta al servizio degli dei e trovandosi i n mezzo a n o i , potrebbe for-
fie venire iUimiinata dalla grazia d i D i o e ritornare al grembo della
i-diiesa". "Rimarrà con noi per u n mese", decise Aguillar, " m a se
4urante questo tempo Io spirito del Signore non scenderà su d i lei la
'rimanderemo a Granata". E cosi, o regina, Sulema f u accolta nel
tro convento. Dapprincipio si abbandonò alla disperazione, em-
pendo i l convento ora d i canti selvaggi da far rabbrividire, ora d i
ìe sommesse e dolorose, perché la sua voce squillante, argenti-
, penetrava dovunque. M a una volta, mentre eravamo riunite nel
ro, a mezzanotte, a cantare le bellissime sante O r e come ce le i n -
no i l grande maestro Ferreras la intravidi alla luce dei ceri nel
^ano della porta; se ne stava là, immobile c silenziosa e ci osservava
un'espressione seria e devota. Quando uscimmo a due a due nel
m d o i o la vedemmo inginocchiata davanti a un'immagine della
donna. L'indomani n o n cantò più alcuna romanza e rimase t u t -
j o i l giorno silenziosa e raccolta. N o n molto dopo la u d i m m o cerca-
ad orecchio, sulla sua cetra - accordata più bassa però ~ alcuni ac-
r d i del corale udito i n chiesa; p o i incominciò ad accennarne sot-
iitovoce la melodia tentando d i ripetere anche le parole; naturalmen-
le pronunziava i n modo curioso, come se avesse la lingua legata,
mpresi che l o spìrito del Signore le aveva parlato con la dolce e
nsolante voce del canto e perciò mandai da l e i suor Emanuela, la
piaestra del coro, raccomandandole d i ravvivare quelle prime scìn-
itìlle divine. E così ì sacri canti della chiesa accesero i n Sulema i l fuo-
della fede. Sulema non è ancora stata accolta nel grembo della
A i e s a mediante i l battesimo ma le abbiamo già concesso d i far par-
te del nostro coro e d i innalzare la sua voce meravigliosa per la glo-
)(ia della religione ». La regina intuì perfettamente che cosa fosse av-
venuto nell'animo d i Aguillar quando, dando ascolto all'obiezione
M padre Agostino, invece d i rimandare Sulema a Granata l'aveva
fatta entrare nel convento; e tanto più si rallegrò che la fanciulla si
se convertita alla vera fede. Pochi giorni dopo Sulema verme bat-
;ata e prese ìl nome d i G i u l i a ; testimoni del sacro rito furono la
a stessa, i l marchese d i Cadice, Enrico v o n Gusman e ì capita-
Mendoza e Vìllena. Sarebbe stato lecito supporre che i l canto d i
iulia dovesse d'ora innanzi conformarsi sempre più intimamente
itmo spirito sublime della nostra religione; e cosi f u , i n f a t t i , per u n
0 tempo. M a ben presto Emanuela notò che Giulia sovente i n -

' Ferreras non è un personaggio storico.


no RACCONTI NOTTURNI

terrompeva il corale per inserirvi taluni accenti, talune note estra-


nee. Avveniva di udire all'improvviso nel coro 1 suoni gravi di una
cetra dall'accordatura abbassata... suoni simili alle risonanze di cor-
de messe in vibrazione dal vento... Giulia diventava sempre più in-
quieta; ora le accadeva perfino di lasciarsi sfuggire senza volerlo
qualche parola moresca nel bel mezzo di un inno latino. Emanuela
la ammonì, la esortò a mantenersi salda contro le tentazioni del Ma-
ligno, ma lei non se ne diede per intesa e continuò a scandalizzare le
suore e a turbare la solennità del sacri corali del vecchio Ferreras
con frivoli canti d'amore pagani. Aveva di nuovo alzato l'accorda-
tura della cetra ed ora faceva uno strano effetto sentire, frammisti
al coro, quei suoni acuti e spesso sgradevoli come lo stridulo zufo-
lio dei piccoli flauti moreschi...
I L M A E S T R O DI C A P P E L L A «Flauti piccoli» Ottavini... Ma,
mio ottimo amico, iofinqui non ci vedo ancora nulla per un'ope-
ra... Non c'è esposizione... e l'esposizione rimane sempre la cosa
più importante. Però quelle accordature gravi e acute della cetra mi
tentano... I l diavolo dev'essere un tenore, non credete?... È falso..,
come il diavolo - e quindi deve cantare sempre falsetto!...
L'ENTUSIASTA DÌO del cielo! Ma voi diventate ogni giorno
più spiritoso, maestro!... Però forse avete ragione: lasciamo pure
al principio diabolico tutti i suoni sovracuti, iimaturali... strilli, si-
bili, squittii e via dicendo... E adesso permettetemi di continuare i!
racconto che mi fa sudar sangue perché tutti i momentirischiodi
omettere qualche episodio importante...
- Un mattino, mentre la regina accompagnata dai nobili capita-
ni del campo si recava, come d'abitudine, a sentire la messa nella
chiesa delle suore benedettine, vide disteso davanti alla porta un
mendicante cencioso; gli alabardieri lo sollevarono di peso per tra-
scinarlo via ma quello si svincolò e ricadde a terra piangendo. La re-
gina ne fu commossa ma Aguillar avanzò sdegnato e fece per sconta-
re col piede quel miserabile. L'uomo si eresse sul busto e gli gridò:
«Calpesta il serpente... calpestalo!... Ti morderà a morte!...» e con-
temporaneamente diede di strappo alle corde d'ima cetra celata
sotto le vesti cenciose e ne trasse un accordo cosi stonato, stridente,
orripilante da far indietreggiare tutti inorriditi. I l repellente indi-
viduo fu trascinato via dalle guardie: era un prigioniero moro, spie-
gò qualcuno, un povero pazzo 11 quale però suonava meravigliosa-
mente la cetra e con la sua musica e i suoi scherzi stravaganti faceva
divertire i soldati dell'accampamento.

' In iciliino nel tetto.


IL SANCTUS 11 r
- La regina entrò in chiesa e la funzione ebbe inizio. I l coro del-
le religiose intonò il Giulia, come sempre, doveva attacca-
re con voce chiara e potente il Pieni sunti coeli gloria tua, quando si
udf giunger di lontano uno stridulo accordo di cetra. Giulia chiuse
, in fretta il fascicolo e fece per andarsene: «Qie cosa fai?» le do-
. mandò Emanuela. «Oh... non udite?...», rispose Giulia. «Nonudi-
' te la musica meravigliosa del maestro?... Là, da lui... con lui devo
' cantare!...», e si affrettò verso la porta. «Peccatrice! », esclamò E-
manuela con voce grave e solenne. « Tu profani il culto del Signo-
re! ... Ne canti le Iodi con le labbra ma hai la mente piena di pensie-
'.rimondani!... Se te ne vai la forza del tuo canto sarà spezzata... e le
note sublimi, suscitate dallo spirito del Signore, si estingueranno
per sempre nel tuo petto!...» Come folgorata da quelle parole, Giu-
lia usc( barcollando. - La notte seguente, mentre le suore stavano
radunandosi per cantare le Ore, un fumo denso invase tutta la chie-
sa; crepitando e stridendo lefiammeeruppero dalle pareti dell'a-
diacente fabbricato e in breve sì appiccarono al convento; le suore
riuscirono a stento a trarsi in salvo. Squillarono trombe e corni nel
campo; i soldati, destati nel primo sonno, si ritrovarono in piedi
mezzo intontiti. I l capitano AguiUar fu visto precipitarsi fuori del
convento con i capelli scomposti e gli abiti abbruciacchiati dopo a-
ver inutilmente tentato di trarre in salvo Giulia. Ma Giulia era
scomparsa e di lei non si ritrovò più traccia. Vana risultò la lotta
contro lefiamme:attizzate da un vento improvviso, si diffusero do-
vunque e in breve tempo ridussero a un mucchio di cenere il magni-
fico, ricchissimo campo di Isabella. I mori vollero approfittare dì
quel disastro sperando di strapparefinalmenteuna vittoria ai cri-
stiani e tentarono una sortita in forze; e invece mai come quella not-
te fu sfolgorante il successo delle armi spagnole. Quando i vincito-
ri ritornarono alle loro linee fra gioiosi squilli di trombe, la regi-
na Isabella sali su un trono eretto all'aperto e ordinò che sul luo-
go dell'accampamento bruciato venisse costruita una città, per far
comprendere ai mori di Granata che mai l'assedio sarebbe stato
tolto.
I L MAESTRO DI CAPPELLA Se Soltanto ci si potesse azzardare
a portar sul teatro un soggetto religioso... (e invece è già tanto diffi-
cile far digerite qualche pizzico di corale, di quando in quando al
nostro diletto pubblico!...)... dovrei dire che la parte di Giulia non
è affatto male... Pensate: quei due stili diversi... prima le romanze,
poi i canti di chiesa... eh, sì!... Una cantante avrebbe modo di bril-
lare veramente in entrambi... Qualche canto spagnolo e moresco
motto carino l'avrei già bell'e pronto... Anche la marcia trionfale
112 RACCONTI NOTTURNt

degli Spagnoli non è male... I l discorso della regina penserei di trat-


tarlo in modo molto melodrammatico... Ma come si possa coordi-
nare tutto l'assieme, Dio solo lo sa!... Prego, raccontate: e ritornia-
mo a Giulia che, voglio sperare, non sarà bruciata...
L'ENTUSIASTA Pensate, caro maestro: la città costruita e cin-
ta di mura dagli spagnoli in ventun giorni esiste ancor oggi e si chia-
ma Santa Fé... Ma parlandovi cosi direttamente perdo il tono solen-
ne - l'unico adatto alla solennità dell'argomento... Suonatemi, per
favore, uno di quei Responsori di Palestrina che vedo aperti sul
leggio del pianoforte.
I l maestro di cappella lo accontentò e l'Entusiasta riprese:
- Mentre gli spagnoli costruivano la città i morì, resi temerari
dalla disperazione, non smisero mai di disturbarli ìn mille modi. £
vi furono combattimenti accaniti come non mai. Rientrando al cam
po con i suoi cavalieri dopo aver respinto entro le mura di Granata
un drappello nemico piombato addosso agU avamposti spagnoli, Ìl
capitano Aguillar si fermò presso un boschetto di mirti, non lonta-
no dalle prime linee fortificate. Per potersi meglio concentrare nei
suoi gravi pensieri e nei recenti dolorosi ricordi, fece allontanare
gli uomini del seguito. L'immagine di Giulia gli stava viva diimanzi
agli occhi della mente... Già durante Ìl combattimento gli era parso
di udirne la voce, ora minacciosa, ora piangente... E anche ades-
so gli pareva di udir sussurrare fra ì mirti scuri uno stranissimo
canto... un canto per metà moresco, per metà cristiano, chiesasti-
co... Quand'ecco, come un fulmine, saettò fuori dal bosco un cava-
liere moro, in armatura a squame, montato su un pìccolo cavallo a-
rabo... Un giavellotto scagliato con forza sibilò all'orecchio dì A-
guillar. Egli trasse la spada e fece per lanciarsi sul nemico ma un se-
condo giavellotto raggiunse il suo cavallo in pieno petto. Per non
rimaner preso sotto l'animale impazzito dal dolore il capitano do-
vette gettarsi prontamente di sella: il moro gli fu addosso e cercò
di colpirgli il capo scoperto con la spada ricurva... Aguillar parò con
destrezza il colpo mortale e rispose con un fendente cosi tremendo
che, per scansarlo, il moro fu costretto a piegarsi fin sulla sella
del cavallo; ma subito trasse il pugnale e Aguillar, premuto troppo
da presso per poter vibrare un secondo colpo, sì avvinghiò al cava-
liere nemico con forza sovrumana, lo trasse dì sella e lo atterrò; poi
gli premette un ginocchio sul petto, gli immobilizzò il braccio de
stro con la mano sinistra e alzò i l pugnale... ma mentre stava per
colpirlo alla gola, il moro gemette: «... Sulema!...» ... «Sciagura-
to!...», esclamò Aguillar fermando il braccio a mezz'aria. «Qii stai
chiamando?...» «G)lpisci... colpisci!...», rantolò i l moro. «Am-
•r; I L SANCTUS 113

mazza colui che giurò la tua rovina e la tua morte!... Si, certo!...
* Sappilo, cane cristiano; a H i c h e m t u rapisti Sulema... a H i c h e m ,
; l ' u l t i m o della stirpe d i Alhamar! I l mendicante cencioso che si tra-
' scinava per i l vostro accampamento fingendosi pazzo era H i c h e m ,
; sappilo!... Hichem incendiò la tetra prigione i n cui v o i , scellerati,
rinchiudeste la luce dei suoi pensieri... e liberò Sulema !... »
«Sulema!... Giulia... vive ancora?...», gridò Aguillar. H i c h e m
scoppiò i n una risata stridente, piena d i disprezzo e d i odio: « Si, v i -
, ve. M a i l vostro idolo imbrattato d i sangue e incoronato d i spine
l'ha resa schiava d i un sortilegio esecrando... e l'olezzante, ardente
fiore d i vita langue sotto i neri drappi mortuari d i quelle donne de-
' menti che v o i chiamatele spose del vostro ìdolo... Sappi che la m u -
isica e i l canto sono m o r t i i n lei... spenti...: soffocati come dall'alito
' velenoso del simun... Col dolce canto d i Suleraa anche la mìa felici-
,tà è morta... Perciò uccidimi... uccìdimi!... M e Io merito per n o n
essere stato capace d i vendicarmi su d i te, che già m i strappasti più
•della vita stessa!...» - Aguillar lasciò la presa, raccolse la spada e si
rialzò lentamente, «Hichem», disse. «Sulema che nel santo batte-
i i m o assunse i l nome d i G i u l i a , cadde mia prigioniera i n leale com-
i;)>flttimento sul campo. Illuminata dalla grazia del Signore rinunziò
falsa fede i n Maometto; e ciò che t u , moro cieco e stolto, credi
:Ì]ÓA conseguenza del malvagio sortilegio d i un idolo proviene i n ef-
dalla tentazione del Maligno, cui G i i d i a non seppe resistere.
•Se la tua amata si chiama Sulema, la dama dei mìei pensieri sia dun-
|que G i u l i a - la convertita alla fede - . Tenendola i n cuore, eccomi

f conto a contendertela i n leale tenzone, per la gloria del vero I d d i o .


^ iprendì le armi e attaccami come v u o i , secondo i l tuo costume»-
i p i c h e m agguantò fulmineamente la spada e l o scudo e fece per sca-
f a r s i contro Aguillar; ma inspiegabilmente sì arrestò d i b o t t o , cac-
;eiò u n u r l o altissimo, balzò i n sella e sì allontanò d i galoppo sfrena-
j | o . A g u i l l a r rimase d i sasso, senza capire... N o n sì era accorto che i l
.Reverendo padre Agostino g l i si era avvicinato e g l i stava alle spal-
«Hichem ha avuto paura d i me o del Signore che è ìn me, e i l cui
j^emore egli disdegna ?... » domandò i l vecchio sacerdote con un mite
(.sorriso. Aguillar g l i riferì quanto aveva appreso d i G i u l i a ; ed cn-
'trambi ricordarono le profetiche parole pronunziate da suor Ema-
«nuela quando Giulia, per seguire i l richiamo della cetra d i H i c h e m .
fàveva abbandonato i l coro durante i l Sanctus.
I L M A E S T R O DI C A P P E L L A O r m a i all'opera non penso più...
jPerò quel combattimento fra ìl moro H i c h e m i n corazza d i scaglie e
- i l capitano Aguillar m i si è subito tradotto i n musica... I l diavolo se
|;lo p o r t i . . . Come si potrebbe descrivere musicalmente u n duello me-
114 RACCONTI NOTTURNI

gUo di quanto fece Mozart nel Don Giovanni?... Ricordate, vero,


nella prima...
L'ENTUSIASTA Silenzio, maestro!... Lasciatemi dare l'ultimo
tocco a questo già troppo limgo racconto... Q sarebbero ancora tan-
te cose da dire e devo raccogliere le idee... Tanto più che sto ancora
sempre pensando a Bettina, e ciò mi turba non poco... Soprattutto
non vorrei che venisse a conoscenza della mia storia spagnola... E
invece ho la sensazione che stia origliando dietro la porta. Pura im-
maginazione, naturalmente... Dimque, andiamo avanti;
- Battuti e poi ancora battuti in tutte le battaglie, stremati dal-
la fame, i mori si videro costretti a capitolare. Fra le salve dei can-
noiù, Ferdinando ed Isabella in gran pompa entrarono solennemen-
te in Granata. I sacerdoti avevano consacrato la grande moschea e
il corteo si stava avviando verso la nuova cattedrale in cui doveva
celebrarsi la gloriosa vittoria sui seguaci del falso profeta Maomet-
to con una messa di ringraziamento e im solenne Te Deum. Si sape-
va anche troppo bene che la rabbia dei morì, a stento repressa cova-
va minacciosa sotto la cenere; perciò tutte le strade periferiche era-
no state presidiate da drappelli di soldati in assetto di guerra per
prote^ere il corteo che doveva sfilare nella via principale. Aguil-
lar, alla testa di un reparto di fanti, stava avviandosi da un quartie-
re lontano per recarsi alla cattedrale, dove la funzione era già inco-
minciata, quando si senti colpire da tma freccia nella spalla sinistra.
Contemporaneamente di sotto un porticato scuro balzò fuori un'or-
da di mori e piombò sui cristiani con furia disperata. Hichem, alla
loro testa, si avventò contro Aguillar il quale, fortunatamente non
impedito dalla lievissima ferita, parò con destrezza H terribile fen-
dente e dopo breve schermaglia stese a terra l'avversario con la te-
sta staccata dal busto. Gli spagnoli si lanciarono furibondi al con-
trattacco e i perfidi mori corsero, urlando, a barricarsi dentro una
casa di pietra, tenendone lontani gli avversari con un fitto lancio di
frecce. Aguillar ordinò di lanciare proiettili incendiari. Le fiamme
già salivano alte dal tetto quando, fra il rombar delle artiglierie, si
udi salire dalla casa incendiata una voce celestiale: «... Sanctus,
Sanctus Dominus Deus Sabaoth...» «Giulia, Giulia!...», gridò A-
guillar disperato. Ed ecco, la porta si aperse e ne usci Giulia, in abi-
to di suora benedettina, cantando a piena voce; «Sanctus, Sanctus
Dominus Deus Sabaoth » ; dietro di lei ì mori, a capo chino, le brac-
cia incrociate sul petto... Gli spagnoli indietreggiarono stupefatti e,
passando in mezzo alle loro file, Giulia, seguita dai mori, si diresse
alla cattedrale. VI entrò intonando il «Benedictus qui venit in no-
mine Domini»... Al suo passaggio il popolo istintivamente cadde m
I L SANCTUS

ginocchio, come dinnanzi a una santa discesa dal cielo ad annunzia-


re la santa parola ai benedetti del Signore... Con g l i occhi estatica-
mente r i v o l t i al cielo, G i u l i a avanzò a passo fermo verso l'aitar
maggiore, prese posto fra Ferdinando e Isabella e cantò tutta la
messa secondo i sacri canoni con intensa devozione. M a alle ultime
note del Dona nobis pacem cadde esanime fra le braccia della regi-
na. T u t t i i m o r i che l'avevano seguita si convertirono alla fede e i l
giorno stesso ricevettero i l santo battesimo.
L'Entusiasta aveva appena concluso i l racconto quando entrò i l
dottore con gran fracasso; — Eccoli ancora l i ! . . . - gridò incollerito
, picchiando stizzosamente la canna sul pavimento. - Eccoli ancora lì
i f l raccontarsi le l o r o sciocche storielle fantastiche, senza alcun r i -
• guardo per i vicini... per gli ammalati che, intanto, peggiorano!...
I — M a che accade, mio caro?... — esclamò i l maestro d i cappella spa-
|; ventato. - I o l o so benissimo, - disse l'Entusiasta imperturbabile.
\ Bettina ci ha sentiti parlare ad alta voce, è venuta nello studiolo
;qui accanto e adesso sa tutto. N é più né meno. - Proprio così! -
ittrìllò i l dottore sprizzando scintille - ... Con le vostre maledette
(frottole, con le vostre sciocchezze addirittura velenose per Ì tempe-
Siamenti sensibili, m i avete combinato u n bel guaio, pazzo d ' u n E n -
jitusiasta!... M a d'ora i n p o i farete i conti con me!... - Dottore mio
lentissimo, - l o interruppe l'Entusiasta, - non scaldatevi tan-
)! E ricordate; la malattia d i Bettina è una malattia psichica, e va
rata con rimedi psichici... E forse la mia storia...
- Z i t t o , zitto, - lo interruppe Ìl dottore rassegnato. - H o già ca-
Mto che cosa volete dire. - N o , per un'opera n o n può andare, - bo-
jnchiò i l maestro prendendo ìl cappello e avviandosi al seguito de-
l i amici. - Eppure ci ho sentito dentro certi accordi d'un sapore co-
! strano e originale...
Quando, tre mesi dopo, l'Entusiasta potè chinarsi a baciare la
i o d i Bettina la quale, ormai guarita, aveva cantato con voce
liante lo Stabat Mater d i Pergolesi (.•• se n o n proprio i n una
liesa, ìn una sala abbastanza spaziosa... ), ella g l i disse : — U n o stre-
me forse n o n lo sarete... M a un tantino ostinato certe volte lo sie-
: senza dubbio!
- ... Come t u t t i g l i entusiasti..., - commentò i l maestro d i cap-
la.
P A R T E SECONDA
LA CASA DISABITATA

Che fatti e personaggi della vita reale appaiano infinitamente


più imprevedibili e meravigliosi di tutto ciò che la più accesa fanta-
sia sia in grado di inventare, su questo punto ci trovammo d'accor-
do. - M i pare, - disse Lelio, - che la storia lo dimostri con abbon-
danza. Perciò trovo insulsi, insopportabili i cosiddetti «romanzi
storici» in cui l'autore ha la faccia tosta di associare ai grandi even-
t i operati dalle forze eteme reggitrici deU'imiverso, le puerili ìn-
venzioiù sbocciate nel meschino tepore del proprio cervello ozioso.
- Quando veramente ci afferra il senso profondo del mistero inson-
dabile che ci circonda, — intervenne Franz, - allora riconosciamo lo
Spirito da cui siamo governati e condizionati. - Ahimè, - sospirò
Lelio. - Riconosciamo, tu dici... E invece la terribile conseguenza
della nostra degenerazione seguita al peccato originale è proprio la
mancanza dì questa conoscenza!... - Molti sono ì chiamati, - lo in-
terruppe Franz, - e pochi gli eletti!... Ma tu non credi che la cono-
scenza, o ancor meglio, i l presagio del mistero della vita, sia con-
cesso a qualcuno, come un sesto senso?... Per risalire dalle oscu-
re regioni, dove potremmo smarrirci, e ritornare alla luminosa
realtà dell'attimo presente, v i propongo un paragone forse un tan-
tino risibile: gli uomini dotati di veggenza per le cose soprannatu-
rali mi sembrano un po' come Ì pipistrelli, in cui il valente anatomi-
sta Spallanzani' scoperse un sesto senso finissimo... una specie di
tuttofare burlone che non soltanto sostituisce ma supera di gran
lunga, in fatto di prestazioni, gH altri cinque sensi presi insieme.
- Oh oh!... - rise Franz. - Allora ì pipistrelli sarebbero veri e pro-
pri sonnambuli innati, naturali!... Ma voglio anch'io inserirmi nel
luminoso attimo presente, cui tu hai accennato, e farti notare che
quel prodigioso sesto senso può rendere capaci di scorgere in ogni
cosa - persone, fatti, avvenimenti - quel tanto di eccentrico per cui

' Ledere sopra il sospetto di un nuovo senso nei pipistrelli, dell'abate Lazzaro Spallan-
zani, con le risposte dell'abate Antonio Maria Vassalli, Torino 1794-
I20 RACCONTI NOTTURNI

nella nostra vita abituale non troviamo alcun termine di riferimen-


to, e che perciò definiamo «meraviglioso»... Ma che cos'è, poi, la
vita abituale?... Ahimè, è un eterno rigirarsi entro una cerchia ri-
stretta, un continuo batter di naso dappertutto, un andar di pic-
colo passo, misurato, monotono, anche se spesso tentiamo di in-
terromperlo con qualche virtuoslstica « c o u r b e t t e » I o conosco
qualcuno eminentemente dotato del dono di veggenza di cui stava-
mo parlando. Costui se appena nota un qualcosa di insolito nell'an-
datura, nel modo di vestire, nel tono, nello sguardo di una persona,
spesso anche sconosciuta, è capace di seguirla per giornate intere;
e poi di raccontare, sopra un fatto o un avvenimento di nessun con-
to che nessuno aveva notato, cose di una profondità imprevista...
capace di accostare elementi addirittura antipodici e di scovare cer-
te correlazioni a cui nessuno aveva pensato. - Alt, alt! - gridò Le-
lio. - Ma questo è i l nostro Teodoro!... E deve avere per l'appunto
qualcosa di speciale per la testa perché sta guardando nei vuoto con
certi occhi strani che ben gli conosco !... - Infatti, - incominciò Teo-
doro rompendo finalmente Ìl suo lungo silenzio. - Infatti: i l mio
sguardo era strano in quanto rifletteva le cose veramente strane
ch'io stavo contemplando con gli occhi dello spirito... Ricordavo
un'avventura occorsami poco tempo fa. - Raccontacela!... Raccon-
tacela!... -gridarono gli amici. - Ve la racconterò volentieri, - con-
tinuò Teodoro. - Ma prima devo dirti, caro Lelio, che gli esempi
addotti per spiegare la mia veggenza l i hai scelti piuttosto male. Co-
me avrai letto nella Sinonimica di Eberhard ' si definiscono «straor-
dinarie» (o inconsuete) tutte le manifestazioni della conoscenza e
del desiderio razionalmente ingiustificabili; «prodigioso» {o «so-
prannaturale») viene invece definito tutto ciò che si riterrebbe im-
possìbile, incomprensibile, in quanto sembra andar oltre le forze
naturali note e anche - aggiungo io - contrapporsi alla naturale ten-
denza delle medesime. Da ciò potrai comprendere come poc'anzi,
parlando della mia presunta veggenza, tu abbia confuso lo «straor-
dinario» col «soprannaturale». Certo è, comunque, che una cosa
deriva dall'altra: spesso noi non scorgiamo Ìl tronco soprannatura-
le da cui germogliano rami, foglie e fiori extraordinari... Nell'av-
ventura che sto per raccontarvi i due elementi si fondono in modo,
a mio avviso, molto impressionante —. Ciò dicendo Teodoro trasse

' Passo speciale che si fa eseguite al cavallo nell'alta scuola d i equitazione.


^ Johann Aufiusi Eberhard (1708-18051), popolare filosofo autore, fra l'altro, dell'opera,
notevole per i l suo tempo Saggio d'una sinonimica tedesca universale - dizionario crilico-
fiiosofico delle parole di significato afine nella lingua della Germania superiore, 6 voU., Hsllc
e Leipzig 179J-1802, voi. V I . pp. 91 sgg.
LA CASA D I S A B I T A T A 121

^ tasca un taccuino in cui, come gli amici ben sapevano, aveva an-
j^tato varie notizie del suo viaggio; e, gettandogli un'occhiata di
Jito in tanto, raccontò i l fatto seguente, a parer nostro non inde-
l o di venir trascritto;
- Voi sapete, - incominciò Teodoro, - ch'io passai tutta Testa-
scorsa a ***no '. M i trattennero colà 1 molti vecchi amici e cono-
ijcenti che vi incontrai, la vita libera, facile, piacevole, le manifesta-
tàoni artistiche, gli interessi scientifici. Non mi ero mai sentito cosi
•allegro in vita mia. Potevo abbandonarmi con passione alla mia an-
tica mania di bighellonare solo soletto per le vie, godermi ogni inci-
%ìone, ogni cartellone esposti in mostra, osservare i passanti e, a
•qualcuno, tentar perfino di tracciare un oroscopo, cosi, mental-
j'mente... La grande attrattiva di quelle passeggiate non era soltanto
•'la ricchezza degli oggetti d'arte e di lusso esposti nei negozi ma an-
'che il gran numero di edifici stupendi. I l viale fiancheggiato da edi-
fici del genere, che conduce alla porta * * *ghese ' è il luogo di ritro-
vo del gran mondo: vi convergono tutti i privilegiati per rango so-
ciale o per ricchezza, coloro i quali si possono godere abbondante-
• niente la vita. A l piano terreno di quei palazzi imponenti ci sono i
negozi, prevalentemente di oggetti di lusso; ai piani superiori abi-
tano i privilegiati di cui ho detto. Anche gli alberghi più eleganti e
quasi tutte le ambasciate straniere si trovano in quella via, di gran
lunga la più animata e movimentata della città. A giudicare da
quanto vi si vede, parrebbe di trovarsi in una città anche piti popo-
losa di quanto ***no non sia. L'afiluenza della gente è enorme: pur
di abitare in quella zona molti si accontentano di un alloggio più
piccolo del necessario; certe case brulicano di inquilini, come alvea-
ri. Avevo già percorso molte volte quel viale quando un giorno im-
provvisamente mi cadde sott'occhio una casa stranissima ', contra-
stante con tutte le altre, e in modo assai stridente; immaginatevi
una casetta larga quanto quattro finestre e cosi bassa da superare di
poco col suo primo piano i l livello delle finestre a pian terreno dei
due imponenti palazzi fra i quali era incastrata... Tetto in rovina,
muri scoloriti, vetri sfondati e sostituiti con fogli di carta, tutti i
segni d'un completo abbandono da parte del suo proprietario, in-
somma... Pensate un po' voi quale effetto possa fare una simile ca-
tapecchia accanto a stupendi caseggiati di lusso!... M i fermai a os-

' Berlino,
' Si tratta della porta Brandenbutghese; i l viale è i l celebre Unter den Linden,
' Questa casa, situata al n . 5 dell'Unter den Linden, «ppartencva alla vedova del mag-
giore von A m i m , n a u Wegclin. Non si è potuto accertare se nella storia della sua famiglia v i
fosse qualcosa d i conispondenie ai fatti narrati da Hoflmann.
122 RACCONTI NOTTURNI

servarla meglio e notai che tutte le finestre erano velate, all'inter-


no, da pesanti tendaggi e quelle a piano terreno addirittura murate.
Sul portoncino laterale, - unica porta d'ingresso, non vidi né i l so-
lito campanello, né serrature, né maniglie. M i convinsi che quella
casa era assolutamente disabitata. Per quante volte v i passassi da-
vanti a tutte le ore del giorno, mai e poi mai riuscivo a scorgervi la
benché minima traccia di presenza umana. Una casa disabitata in
quel quartiere della città! Ecco, quello era un fenomeno straordi-
nario... ma non impossibile a spiegarsi in modo semplice e natura-
le: i l proprietario poteva star facendo un lungo viaggio, o forse es-
sersi stabilito altrove, lontano... Non voleva vendere né affittare
quella casetta per potere, all'occorrenza, disporre di un alloggio
provvisorio, ritornando a ***no. Cosi pensai... Eppure, non so per-
ché, ogni volta che passavo davanti a quella casa abbandonata dove-
vo fermarmi come ammaliato e immergermi, o piuttosto lasciarmi
irretire, in un groviglio di pensieri stranissimi... Voi tutti ben sape-
te, miei cari compagni della lieta giovinezza, voi ben sapete che io
mi sono sempre atteggiato a «veggente»... Immagini strane d'un
mondo soprannaturale tentavano spesso di inserirsi nella mia vita e
voi regolarmente le ricacciavate indietro, le rinnegavate col vostro
spietato raziocinio... Ebbene! Fate pure i l viso lungo quanto vi pa-
re, smaliziatissimi e perspicaci amici miei: sono pronto ad ammet-
tere di aver molte volte ingannato me stesso, e in che modo!... Con
la faccenda della casa disabitata pareva dovesse accadermi altret-
tanto e invece... la morale della favola v i metterà a terra! A l fatto.
State bene a sentire. Un giorno, all'ora in cui i l bon ton esige che si
passeggi avanti e indietro per quel viale, mi ritrovai, immerso come
sempre in profondi pensieri, fermo davanti alla casetta deserta. Ad
un tratto, senza voltarmi, sentii che qualcuno mi si era avvicinato e
mi stava fissando: era i l conte P. ': già in varie circostanze mi si era
rivelato affine, sotto molti aspetti, perciò fui subito certo che ancb'e-
gli avesse avvertito i l mistero di quella casa. Tanto più rimasi colpi-
to quando, dopo avergli descritto la strana impressione suscitata in
me dallo squallido edificio situato nella zona più movimentata della
città, lo vidi sorridere ironico. La spiegazione venne fuori subito: i l
conte P, era andato più avanti di me; a furia di coincidenze e dì os-
servazioni, credeva di essere riuscito a scovare la chiave del miste-

' Er« i l conte von Piidder-Moskiiu (1783-1871), ottimo amico d i Hoffmann. A quel
tempo - a circa trentun anni - aveva gii un pawato molto avventuroso - campagne d i guerra,
viaggi, ecc. I n campo letterario sì era già f i t t o conotccte con un volume d i poesie; noa la sua
attività letteraria vera e propria iniziò soltanto molli anni dopo la morte d i Hofimann, nel
1830, con le Lettere di un trapassato, che fecero molto rumore.
LA CASA D I S A B I T A T A 123

ro; e per giungere a tanto aveva arzigogolato una storia così straor-
dinaria quale soltanto sarebbe potuta scaturire dalla fervida fanta-
sia di un poeta. Ricordo anche troppo bene quella storia e sarebbe
giusto che ve la raccontassi; ma sono cosi preso da quanto realmen-
te accadde in seguito che devo sorvolare e andare avanti. I l conte
aveva appena finito di elaborare la sua bella storia quando venne a
sapere - e ci rimase malissimo!... - che dentro la famosa casa c'era-
no semplicemente 1 laboratori dell'elegante pasticceria situata nel
fabbricato adiacente; al pianterreno i fornì - ed ecco perché le fine-
stre erano murate — al piano superiore i magazzini; e ì pesanti ten-
daggi servivano a riparare dal sole e dagli insetti i dolciumi già
pronti!... Quella notizia fu, per Ìl conte prima e per me poi, una au-
tentica doccia fredda; il demone nemico d'ogni volo poetico aveva
dato ima maliziosa — e dolorosa - tiratina di naso a noi due, eterni
sognatori di dolci sogni... Eppure... malgrado quella prosaica spie-
gazione, tutte le volte che passavo davanti alla casa disabitata non
potevo fare a meno di fermarmi: che cosa mai ci potrà essere là
dentro?, mi domandavo; e la mia fantasia sì sbrigliava, suggerendo-
mi ogni sorta di immagini strane, che mi davano piccoli brividi in
tutte le membra. Dolciumi, dunque?... Marzapani, confetti, torte,
frutta zuccherate... No; quella storia non riuscivo assolutamente a
mandarla giù. Per una bizzarra associazione di idee la paragona-
vo alle parole dolciastre che sì dicono per tranquillizzare la gente:
«... No, non si spaventi amico mio: siamo tutti quanti dei buoni, dei
cari bambinelli... ma fra un attimo cadrà un piccolissimo fulmi-
ne... » Poi mi dicevo: Ma non sai che sei proprio un bel matto a vo-
ler tirare ìn ballo il soprannaturale ad ogni costo, anche nelle situa-
zioni più naturali?... Non haimo ragione i tuoi amici di chiamarti
im visionario esaltato?... — La casa rimase tal e quale e, dato lo sco-
po cui si diceva fosse destinata, non c'era da aspettarsi altrimenti;
perciò mi abituai a vederla cosi e le deliranti immagini fantastiche
che prima sembravano trasudare da quelle pareti a poco a poco sva-
nirono. Un caso imprevisto le resuscitò. Tanto quanto, ero riuscito
a reinserirmi nella prosaica realtà quotidiana... Ma voi conoscete
troppo bene Ìl mio carattere e la mia religiosa, cavalleresca fedeltà
al soprannaturale per stupirvi se vi dico che continuai a tener d'oc-
chio la casa favolosa. E così una mattina, sul mezzogiorno, mentre
facevo la solita passeggiata lungo Ìl viale, diressi lo sguardo alle fi-
nestre velate, e vidi... vidi ondeggiare la tenda dell'ultima finestra
- quella proprio accanto alla confetteria - e apparire una mano, poi
un braccio. Trassi di tasca i l binocolo da teatro c osservai meglio:
era una mano bella, bianchissima, al cui dito mignolo scintillava un
124 RACCONTI NOTTURNI

brillante di insolita luce... e al braccio, pieno, ben tornito, vidi uno


stupendo braccialetto... La mano depose sul davanzale una botti-
glia di cristallo, d'una strana forma allungata, e poi scomparve die-
tro la tenda... Rimasi di sasso! Una strana, deliziosa sensazione
d'inquietudine mi percorse le membra come una calda corrente e-
lettrica... La fatale finestra tenne inchiodato il mio sguardo molto a
lungo; e probabilmente un profondo sospiro di desiderio mi sfuggi
dal petto... Quando infine mi scossi, mi trovai attorniato da una
piccola folla di persone d'ogni ceto, tutte col naso all'aria, a guar-
dare in su incuriosite. La cosa mi irritò. Ma subito ricordai che la
gente è uguale in tutte le città del mondo: sempre pronta ad affol-
larsi davanti a una casa per godersi e commentare per ore intere lo
spettacolo d'im berretto da notte caduto dal sesto piano senza nep-
pure smagliarsi. Me ne andai quatto quatto, mentre il demone pro-
saico mi sussurrava chiaramente all'orecchio che la moglie del ric-
co confettiere, vestita a festa, aveva semplicemente deposto sul da-
vanzale un flacone d'acqua di rose vuoto, o qualcosa di simile. - In-
credibile ma vero!... mi venne improvvisamente un'idea geniale:
tornai indietro e entrai difilato nella confetteria, tutta scintillante
dì specchiere, attigua alla casa disabitata. — Soffiando via la schiuma
bollente dalla cioccolata, buttai là con noncuranza: «Perbacco, co-
me ha ingrandito la sua azienda nella casa qui accanto!... » I l confet-
tiere introdusse sveltamente un paio di confetti colorati in un car-
toccio, porse i l cartoccio medesimo alla graziosa fanciulla che stava
servendo, si sporse molto in avanti sul banco, puntellandovisi a
braccia tese, e mi guardò con un'espressione sorridente e interroga-
tiva come se non mi avesse ben compreso. Ripetei che aveva fatto
bene a installare i forni nella casa accanto. «Certo», soggiunsi,
«quella casupola cosi ìn cattivo stato è un po' triste e deprimente a
vedersi, ìn mezzo a tanti bei caseggiati pieni dì vita... » - «Ma, caro
signore», disse ìl confettiere, «dii le ha detto che quella casa ap-
partenga a noi?... Purtroppo ogni tentativo dì acquistarla è stato
inutile. E, dopotutto, forse è meglio cosi perché là dentro ci dev'es-
sere qualcosa che non va... »
— V i lascio immaginare, amici carissimi, come mi elettrizzai a
quella risposta; e non sto a soggiungere che pregai Ìl confettiere dì
dirmi qualcosa dì più. «Già, signor mìo», disse lui, «dì spedale, di
preciso non so nulla. La casa, questo è certo, appartiene alla contes-
sa von S. che v:ve nelle sue proprietà di campagna e non viene più a
***no da molti aimì. Quando ancora non esisteva nessimo dì que-
sti bei palazzi, quella casupola pare ci fosse già — cosi, almeno, mi
hanno raccontato - ed era tal e quale com'è adesso. Perché per anni
LA CASA DISABITATA 125

ed anni si è provveduto soltanto a quel minimo di manutenzione


indispensabile ad evitare che andasse in completa rovina. Ora è abi-
tata da due soli esseri viventi: un amministratore misantropo e de-
crepito e un cagnolino bisbetico, vecchio e malridotto quasi quanto
i l suo padrone; certe volte lo sentiamo abbaiare alla luna nel cortile
dietro casa. È voce generale che la casa sia infestata dagli spiriti; e
difatti mio fratello - i l proprietario della confetteria - ed io, già
molte volte, specialmente verso Natale, trattenendoci qui Jn nego-
zio per i l nostro lavoro, nel silenzio della notte abbiamo udito ve-
nir dall'altra parte del muro degli strani lamenti, e stridori, e fra-
cassi cosi spaventosi da farci inorridire. Poco tempo fa, sempre di
notte, abbiamo udito un canto d'una stranezza addirittura indescri-
vibile. Era senza dubbio la voce d'una vecchia; ma avreste dovuto
sentire, signore, che note chiare, squillanti, che fioritura di cadenze
su, negli acuti, che trilli lunghi, scanditi... Mai sentito niente dì si-
mile: e sì che dì cantanti, in Italia, in Francia, in Germania ne ho
sentite tante!... M i parve che cantasse ìn francese; ma non ne sono
sicuro perche quella voce inverosimile, spettrale, mi faceva rizzare i
capelli in testa e non ho resistito a starla ad ascoltare a lungo... Cer-
te volte, quando si abbassano un po' i rumori della strada, anche dal
retrobottega sì sentono profondi sospiri - rìsa soffocate che sem-
brano rimbombare dì sotto i l pavimento; ma appoggiando l'orec-
chio alla parete si sente benìssimo che provengono dalla casa accan-
to... Osservi signore - (... mi condusse nel retrobottega e mì indicò
la finestra...) - osservi quel tubo dì latta che esce dal muro: certe
volte fuma talmente, anche ìn piena estate quando nessuno riscalda
pili, che mìo fratello, temendo un incendio, ha dovuto litigare con
l'amministratore. I l vecchio si è scusato dicendo che sì fa da man-
giare; ma che cosa mangi lo sa ìl cielo perché, specialmente quando
U tubo manda fuori molto fumo, sì sente in giro un puzzo che non le
dico...»
- La porta a vetri cigolò; ìl confettiere corse al banco e mì lan-
ciò un'occhiata d'intesa ammiccando al cliente entrato in quel mo-
mento. Compresi al volo : chi altri poteva essere quel curioso perso-
naggio, se non l'amministratore della casa misteriosa ?... Immagina-
tevi un ometto piccolo, secco, con un vìsino color mummia, naso
appuntito, occhi verdi, sfavillanti come quelli di un gatto, labbra
sottili e serrate ma atteggiate a un perenne sorriso dì demente. Sul-
la testa, im torreggiante « toupet » di capelli abbondantemente inci-
priati, con boccoli e grosso codino, postìllon d'amour... Un abito al-
l'antica, color caffè, stinto ma ben tenuto e spazzolato; calze grige,
grosse scarpe ottuse con fibbiette metalliche... Strano a dirsi, eppu-
126 RACCONTI NOTTURNI

re anche cosi piccolo e secco sembrava di costituzione robusta e vi-


gorosa: lo si capiva specialmente dalle mani enormi, dalle dita lun-
ghe e fortissime... L'ometto, dxmque, si avvicinò al banco sorriden-
do e, senza toglier gli occhi dai barattoli pieni di confetterie, chiese
con una vocina lamentosa, debolissima: «Un paio dì arance candi-
te... un paio d'amaretti... un paio di marroni...»
- Cercate di immaginarvelo come ve l'ho descritto e ditemi se
avessi o no motivo di subodorare qualcosa di insolito!... - I l con-
fettiere mise insieme i dolciumi richiesti. - «Li pesi, li pesi, egregio
signor vicino! », piagnucolò U curioso vecchietto; e intanto trasse
di tasca un borsellino di cuoio e, con molti gemiti e sospiri, inco-
minciò a frugarci dentro faticosamente... I l denaro che posò sul
banco - notai - era uno strano assortimento di vecchie monete, in
parte anche fuori corso. Durante quest'operazione lo udimmo ge-
mere: «Dolce... dolce... Per conto mìo, tutto dev'essere dolce...
dolcissimo... Satana spalma di miele la bocca della sua sposa... di
miele puro...» I l confettiere mì guardò sorridendo e disse al vec-
chietto: «Oggi non andiamo troppo bene, vero?... Già... Eh!... L'e-
tà... l'età !... Le forze ci abbandonano giorno per giorno ». « L'età ?...
L'età?...» strillò i l vecchietto con voce acuta ma senza mutare e-
spressione. «Le forze cì abbandonano?... I o debole?... Cadente?...
Oh oh... Oh oh!...», e, picchiando un pugno contro l'altro così for-
te da farsi scricchiolare le giunture, spiccò un salto e, a mezz'aria,
batté insieme i piedi con tale violenza da far tintinnare ì vetri del
negozio.
- Udimmo un orribile guaito: ricadendo, ìl vecchio aveva pe-
stato i l cane nero entrato nel negozio al suo seguito e accucciatosi
accanto ai suoi piedi. «Maledetta bestia!... Cagnaccio del diavo-
lo!...», imprecò ìl vecchio sottovoce, come poc'anzi; poi tolse dal
cartoccio un grosso amaretto e Io porse all'animale. I l cane che si
lamentava i n modo quasi umano tacque immediatamente, si rizzò
sulle zampe posteriori e prese a rosicchiare l'amaretto come uno
scoiattolo. Finirono insieme, il cane dì rosicchiar l'amaretto, il vec-
chio dì richiudere ìl cartoccio e Infilarselo in tasca. «Buona notte,
egregio signor vicino», disse ìl vecchio dando al confettiere una
stretta dì mano tale da fargli cacciare un urlo di dolore. «Il povero
vecchio cadente le augura la buona notte, signor confettiere illu-
strìssimo», ripetè, e uscì dal negozio seguito dal cane nero intento a
leccarsi via dal muso le ultime briciole di amaretto. Io ero là, impie-
trito dallo stupore. I l vecchio pareva non avermi neppure osserva-
to. «Ha visto», mi disse i l confettiere. «Ha visto?... Quel vecchio
originale capita qui almeno due, tre volte al mese. Ma non sì riesce
LA CASA D I S A B I T A T A 127

A cavargli fuori nulla: dice di essere Stato, un tempo, cameriere del


conte von S., di essere, attualmente, l'amministratore della casa e di
stare aspettando da un giorno all'altro (... ma questo lo ripete già da
molti anni!...) la famiglia del signor conte e perciò di non poter af-
fittare lo stabile... Non una parola di più. Una volta mio fratello gli
saltò agli occhi a motivo degli strani rumori notturni di cui le ho
detto; quello gli rispose senza scomporsi: "Eh già!... La gente dice
che la casa è infestata dagli spiriti... Ma non lo creda!... Non può es-
. sere vero!..."»
- Era giunta l'ora in cui i l bon ton esigeva che ci si recasse in
quella corìetteria; la porta si aperse, i l gran mondo si riversò nel
negozio ed io non potei interrogare più oltre il confettiere. Comun-
que avevo ormai accertato alcune cose: le notizie datemi dal conte
P. circa i l passaggio di proprietà e la nuova utilizzazione di quella
casa erano false - il vecchio amministratore, malgrado le sue smen-
tite, non era il solo ad abitarla; e là dentro si voleva certamente na-
scondere qualche segreto agli occhi del mondo... Potevo non mette-
te in relazione quello stranissimo canto orripilante con l'apparizio-
ne del braccio femminile alla finestra?... Quel braccio non si adat-
tava, non poteva adattarsi, al corpo di una vecchia grinzosa, né la
voce descrittami dal confettiere uscir dalla gola di una fiorente gio-
vinetta. Ma il braccio l'avevo visto io stesso e, poggiandomi su quel
dato di fatto, riuscii facilmente a convincermi che forse poteva es-
sere stato un inganno acustico ad alterare la voce e farla sembrare
vecchia, stridente, al confettiere inebetito dal terrore. Ripensai poi
al fumo, allo strano odore, alla boccetta di cristallo dalla forma in-
consueta e in breve diedi vita, nella mia fantasia, a una stupenda
creatura implicata in una fosca vicenda di magie... I l vecchio di-
venne l'odioso stregone, i l mago maledetto; forse l'antico came-
riere si era reso indipendente dalla famiglia dei conti von S. ed ora
intesseva per proprio conto chissà quali sinistri maneggi nella casa
disabitata... La mìa fantasia si era messa all'opera! E quella notte
stessa, non tanto in sogno quanto nei deliri del dormiveglia, vidi
chiaramente la mano e i l braccio, con l'anello e i l bracciale scintil-
lanti... Poi, come da una leggera nebbiolina grigia, usci e prese for-
ma poco a poco un viso delizioso, con due grandi occhi cilestrini,
tristi, imploranti; e dopo il viso apparve per intiero una meraviglio-
sa figura di fanciulla nel pieno fiore della giovinezza. Non tardai a
rendermi conto che quella specie di nebbia era un sottile vapore u-
scente in tortuose volute dall'ampolla dì cristallo fra le mani del-
l'apparizione. «O magica, soave visione!...», esclamai estasiato. «O
soavissima fata... dove sei?... Dimmi, chi t i tiene prigioniera?...
128 RACCONTI NOTTURNI

Oh!... Com'è pieno di tristezza e d'amore Ìl tuo sguardo! Lo so... lo


so... sei prigioniera delle arti d'un negromante... Sei la schiava infe-
lice di quel perfido demone che se ne va in giro per le confetterie in
parrucca e codino, vestito color caSè... e spicca grandi salti perché
vorrebbe fracassare ogni cosa, e invece calpesta i suoi cani inferna-
l i , nutriti di amaretti... I cani che di notte ululano litanie sataniche
in cinque ottavi'... Oh, so tutto, deliziosa, sublime creatura!...
Quel diamante è i l riflesso del fuoco che arde in te!... Come potreb-
be scintillare cosi, rifrangere la luce in mille stupende gradazioni di
colore, mai viste da occhio mortale, se tu non l'avessi imbevuto del
tuo sangue?... I l braccialetto che ti cinge Ìl braccio... lo so... lo so..,
è l'anello d'una catena che l'uomo color cafiè chiama "magneti-
ca"... Non crederlo, divina!... La vedo, la vedo pendere sopra un
lambicco incandescente... Ma Ìo rovescio i l lambicco, e tu sei libe-
ra!... So tutto... tutto, ne sei convinta, amore mio?... Ora, o fan-
ciulla, dischiudi quella tua bocca dì rosa e dimmi...» - Ma in quel-
l'attimo una mano nodosa mi passò sulla spalla e fece per ghermire
l'ampolla di cristallo che si polverizzò in mille frammenti... Con un
gemito soffocato, la deliziosa figura disparve nel buio della notte...
Ah!... Vedo dai vostri sorrisi che ritrovate in me i l visionario esal-
tato. - Eppure v i posso assicurare - vi piaccia o no recedere da que-
sta definizione - che i l mio sogno aveva tutte le caratteristiche d'u-
na visione autentica. Ma giacché, nel vostro scetticismo prosaico,
continuate a ridere di me, non voglio insistere su questo punto e va-
do avanti in fretta. Non appena si fece giorno, pieno d'inquietudine
e di trepidazione corsi nel viale e mi piazzai davanti alla casa miste-
riosa: oltre che dalle tende inteme le finestre erano chiuse da fitte
persiane. La via era ancora totalmente deserta. Mì avvicinai a una
finestra del pianterreno, tesi l'orecchio, ascoltai... Nulla... Silenzio
dì tomba. I l sole sì fece più alto, ìl traffico cittadino si animò e do-
vetti andarmene. Ma perché annoiarvi col resoconto dei miei in-
successi?... Per giorni e giorni mi aggirai intorno alla casa senza sco-
prire nulla di nulla... Indagai, mi informai senza ricavarne la mini-
ma notizia precisa... Così la bella immagine della mia visione inco-
minciò a impallidire... Finalmente, rincasando da una passeggiata a
tarda sera passai davanti alla casa misteriosa e vidi la porta socchiu-
sa... M i avvicinai... I l vecchio color caffè fece capolino... La mia de-
cisione era già presa: «Non abita qui i l consigliere ministeriale di
finanza Binder?», domandai al vecchio, quasi sospingendolo in

' I ritmi quinari, oggigiorno abbastanza consueti, non erano praticati all'epoca d i Hoff-
mann. I l «cinque ottavi» lo possiamo immaginare come un tempo d i giga zoppicante e squa-
drato. Perciò H o f m a n n lo associa all'idea de! diabolico [N, d. T.].
LA CASA DISABITATA 129

un'anticamera debolmente illuminata. «No... Non abita... non ha


mai abitato qui e non ci abiterà mai... E non abita neppure in questo
viale», mi rispose i l vecchio sottovoce, guardandomi col suo sempi-
terno sorriso. «La gente dice che questa casa è infestata dagli spiri-
t i , ma le posso assicurare che non è vero... Questa è una casa tran-
quilla, graziosa... E domani arriverà l'illustre contessa von S. Buo-
na notte, caro signore!...»; così parlando il vecchio aveva manovra-
to ìn modo da spìngermi fuori della porta; e quando fui fuori mi
; chiuse la porta sulla faccia... Lo udii allontanarsi per Ìl corridoio
col tintinnante mazzo di chiavi bofonchiando e tossicolando... mi
parve anche di sentirlo avviarsi giù per una scala... I n quei brevis-
; simi istanti avevo tuttavia notato che Ìl corridoio era tappezzato di
arazzi a colori vivaci ed ammobiliato come una sala, con grandi pol-
trone imbottite di damasco rosso... Ìl che era abbastanza strano a
vedersi.
- E da quel momento, come suscitata dalla mia intromissione,
; si scatenò l'avventura della casa misteriosa. - Pensate, pensate;
quando, i l giorno seguente verso i l mezzodì, andai a passeggio per
i l viale e già di lontano diressi involontariamente lo sguardo alla ca-
sa disabitata, vidi scintillare qualcosa alla finestra del piano supe-
riore. - Avvicinandomi, notai che la persiana estema era spalanca-
ta e la tenda, all'interno, sollevata per metà... M i salutò lo scintil-
, lìo del brillante ! - O cielo !... - Appoggiato al palmo della mano vi-
: di sorridermi triste, supplicante i l volto apparsomi in sogno... Ma
1 come potevo starmene là, impalato, fra quel continuo andirivieni di
• passanti?... Sul viale, proprio davanti a me c'era una panchina pub-
J blica, ma aveva lo schienale rivolto alla casa... Ci andai di corsa, mi
sedetti e rigirandomi indietro e sporgendomi sullo schienale potei
riprendere ad osservare indisturbato la fatale finestra... Sì!... Era
proprio lei, la graziosa, la soave fanciulla, lei, tale e quale. - Soltan-
, to, i l suo sguardo sembrava incerto - non era diretto a me come
m'era parso poc'anzi... e gli occhi avevano ima fissità mortale... Ec-
ico, se non avesse mosso di tanto in tanto un braccio o una mano a-
• vrei potuto prenderla per una figura dipinta. Assorto com'ero nel-
l'eccitante contemplazione della meravigliosa creatura non avevo
' udito la voce chioccia di un mereiaio ambulante italiano che, forse
,^già da un bel pezzo, insisteva nell'oflrÌrmÌ le sue chincaglierie.
' Quando finalmente mi scosse per un braccio, mi volsi di scatto, ir-
ritato, e lo respinsi, credo, piuttosto in malo modo. Ma quello con-
tinuò a pregare, a piatire... non aveva ancora guadagnato neppure
un centesimo, quel giorno... gli comprassi almeno un paio di mati-
; te... un mazzetto di stuzzicadenti... M i spazientii e, pur di liberar-
I30 RACCONTI NOTTURNI

mi in fretta di quel seccatore, cacciai la mano in tasca per prendere il


borsellino. «Anche qui dentro ci sono tante altre cose belle...», dis-
se il mereiaio aprendo l'ultimo tirettino della sua cassetta: era pie-
no di specchietti tascabili. Ne trasse fuori uno rotondo e me lo mo-
strò, tenendolo un po' di lato a una certa distanza. E io vidi... la ca-
sa disabitata dietro di me e, a tratti chiarissimi, l'angelica figura
della mia visione. O^mprai subito lo specchietto, così avrei potuto
guardare la finestra sedendo in posizione comoda e senza dare nel-
l'occhio alla gente. Ma mentre concentravo lo sguardo su quell'im-
magine riflessa venni a poco a poco invaso da una sensazione inde-
scrivibile... la sensazione, direi, di stare sognando ad occhi aperti...
Ero come paralizzato da una specie di catalessi; paralizzato non tan-
to nei movimenti, quanto nello sguardo che mi sembrava dì non po-
ter più distogliere dallo specchio...
- Devo confessarvi con rossore che mi ritornò alla mente una
certa favoletta della mia primissima infanzia: me la raccontava U
balia per farmi andare a letto quando, la sera, mi divertivo un po'
troppo a guardarmi nella grande specchiera di mio padre. Se i barn
bini si guardano nello specchio, mi diceva, a im certo momento ve-
dono apparire, al posto del loro, un viso mostruoso dal quale non
riescono più a staccare gli occhi. La cosa mì terrorizzava, ma la cu-
riosità di vedere quel viso mostruoso era troppa perché io potessi
fare a meno di continuar a gettare qualche occhiata allo specchio;
finché un giorno mi parve veramente di veder balzar fuori un paio
d'occhi orrendi, lampeggianti, puntati su di me... Lanciai un urlo e
svenni; poi caddi ammalato d'una lunga e grave malattia. Ma l'im-
pressione d'essere stato veramente fissato da quei due occhi sfavil-
lanti mi è rimasta, e perdura ancor oggi, - I n breve: mi ritornarono
alla mente tutti quei favolosi e insensati ricordi d'infanzia... e un
brivido gelato mi percorse le membra... Avrei voluto gettar via lo
specchietto ma non ci riuscii... Ora i grandi occhi azzurri dell'incan-
tevole figura mi guardavano... sì, Ìl loro sguardo era diretto a me, e
mi penetrava fino in fondo al cuore...
- Quell'improvvisa sensazione di orrore mi lasciò e fece posto a
un anelito di desiderio dolce e doloroso insieme, - bruciante come
ima carica elettrica. «Grazioso quello specchietto», disse una voce
accanto a me. M i destai dal sogno e con grande stupore mi vidi at-
torniato e osservato da una moltitudine di visi sorridenti d'un sor-
riso ambiguo. A l a m i passanti si erano seduti sulla mia stessa pan-
china, mentre lo fissavo lo specchietto con occhi sbarrati, facendo
probabilmente chissà quali ridicole smorfie, nello stato d'eccitazio-
ne in cui mi trovavo... Senza alcun dubbio dovevo aver dato un di-
LA CASA D I S A B I T A T A

vertente spettacolo a mie spese... «Grazioso quel suo specchietto»,


ìxipeté la persona alla quale non avevo risposto; e Io disse con uno
l^guardo che poteva significare, a un dipresso: «... Ma mi vuol dire
^ r c h c si ostina a fissarlo con quell'aria demente?... Che cosaci ve-
de?... Spiriti forse?... Fantasmi?...» Era un uomo già piuttosto a-
jvanti negli anni, vestiva con molta proprietà e nel tono delle sue pa-
^role, nel suo sguardo, c'era qualcosa di insolitamente bonario che
ispirava fiducia... Gli risposi senza reticenze che stavo guardando u-
pa bellissima ragazza affacciata alla finestra della casa alle nostre
Spalle. Anzi, andai più oltre e gli domandai se non avesse notato an-
d^'egli quel bel visino. - «Lassù?... I n quella vecchia casa?... Al-
l'ultima finestra?...», mi domandò il vecchio signore stupito. «Cer-
to, certo», risposi. Egli sorrise, indulgente: «Quand'è cosi, è stata
una curiosa illusione... I mìei vecchi occhi... Dio l i abbia in gloria i
miei occhi... Ah ah, signore, ho visto si, cosi a occhio nudo, un bel
idsino a quella finestra; ma era soltanto, almeno, cosi mi è parso, un
(ritratto... un quadro ad olio, di ottima fattura... » - M i volsi di scat-
to: tutto era sparito, la finestra era chiusa, la persiana abbassata...
inGià», continuò i l vecchio. «È cosi, signore. Adesso è troppo tardi
per convincersene... Un momento fa il domestico che, a quanto so,
ffìve tutto solo, con mansioni di intendente nel quartìerino della
pontessa von S-, ha spolverato i l quadro, lo ha ritirato e ha richiuso
k persiana...» — «Ma... era proprio un quadro?... Ne è certo?...»,
àomandai di nuovo, sconcertato. «Si fidi dei miei occhi», rispose i l
vecchio. «Lei ne ha visto soltanto i l riflesso nello specchio e ciò ha
favorito l'illusione ottica. All'età sua anch'io, gliel'assicuro, avrei
taputo dar vita con la fantasia all'immagine dì una bella ragazza».
^ « Ma muoveva le braccia... le mani!... », protestai. - « Si si, le muo-
veva... muoveva tutto...», mi disse i l vecchio sorridendo e batten-
idomi un leggero colpetto sulla spalla; poi si alzò e si accomiatò con
jun cortese inchino dicendomi: «Si guardi dagli specchietti tascabi-
l i ! . . . Sono dei mentitori sfrontati!... Servitor suo devotissimo». V i
Uscio immaginare se rimasi male nel sentirmi trattare come un vi-
sionario imbecille. E miope per giunta. Ma mi convinsi che i l vec-
chio aveva ragione; tutto quel giochetto illusionistico intorno alla
casa misteriosa me l'ero fabbricato da me... avevo volgarmente im-
brogliato me stesso, per mia somma vergogna...
' - Corsi a casa, scontento e depresso ma fermamente deciso a
•cacciare per sempre ogni pensiero concernente la misteriosa casa
disabitata, deciso a non ritornare in quel viale almeno per alcuni
giorni. E mantenni l'impegno. Trattenuto alla scrivania, durante i l
giorno da affari divenuti ormai urgenti e trascorrendo le serate in
132 RACCONTINOTTURNI

compagnia di amici allegri e spiritosi, natm:almente riuscii a scorda-


re quasi del tutto i l mistero. Soltanto, quando dormivo mi accade-
va talvolta di venir svegliato di soprassalto come da un contatto e-
sterno; e allora ero certo che a svegliarmi era stato i l pensiero della
misteriosa creatura apparsami alla finestra della famigerata casa.
Perfino quando lavoravo, o conversavo animatamente con gli ami-
ci, quel pensiero mi aggrediva all'improvviso senza alcun motivo,
come una scossa elettrica. Ma erano solo impressioni rapide e fuga-
ci. Lo specchietto tascabile che mi aveva dato l'illusione di riflette-
re quel viso incantevole lo destinai ad usi più prosaici - ad esempio
per annodarmi la cravatta. Ma una volta, proprio mentre stavo
compiendo quell'importante lavoro, mi accadde di vederlo un po'
offuscato. Come sempre si fa in tali casi gli alitai sopra e feci per pu-
lirlo. .. I I cuore mi si arrestò di botto... un tremito di voluttuoso sgo-
mento mi percorse... Sì: cosi devo definire la sensazione che mi so-
praffece quando, sulla superficie dello specchio appannata dall'ali-
to vidi apparire in una nebbia azzurrina l'angelico viso - e fissarmi
con uno sguardo triste da trafiggere il cuore... Ridete?... Ho già ca-
pito: per voi io sono un inguaribile sognatore... Ma pensate, dite
pure ciò che volete. Tanto è così: la mia fata mi guardava dallo
specchio. Ma non appena l'appaimatura si dissipò anche il viso di-
sparve nello scintillio del cristallo. - Basta. Non voglio stancarvi ri-
ferendovi, minuto per minuto, la successione e la concatenazione
dei fatti... V i dirò soltanto che ripetei continuamente Ìl tentativo di
far riapparire l'immagine amata alitando sullo specchio, talvolta
con successo, talaltra no. Allora ripresi a passeggiare come un paz-
zo davanti alla casa disabitata fissando le finestre ma non vidi più
comparire nessuno. Vivevo unicamente nel pensiero di lei... tutto
il resto era morto per me. Trascuravo gli amici, gli studi - stavo in-
somma cadendo in imo stato di dolore torpido, dì nostalgia sognan-
te. L'immagine in taluni momenti sembrava perdere vita e forza
ma poi, tutt'a un tratto (... lo ricordo con autentico terrore...), ri-
tornava viva, ossessionante. Poiché sto parlandovi di uno stato d'a-
nimo che avrebbe anche potuto distruggermi, non troverete, spero,
signori increduli, motivo di ridere né di prendermi in giro. Ascolta-
temi piuttosto, e cercate di sentire con me ciò ch'io soffersi. - Come
vi ho detto, quando l'immagine impallidiva fino quasi a sparire,
spesso mi sentivo invadere da un autentico malessere fisico; allora
la figura tornava a balzar fuori con tanta evidenza da darmi la sensa-
zione di poterla afferrare. - Ma provavo anche un'altra terribile
sensazione: quella di essere Ìo stesso la figura velata dall'appaima-
tura dello specchio... Era uno stato penosissimo, seguito da un for-
LA CASA D I S A B I T A T A

i'.te dolore di petto e da un'assoluta apatia; da tutti i sintomi, insom-


^ma, più caratteristici e preoccupanti d'un grave esaurimento nervo-
fo. Quando mi sentivo in quel modo, ogni tentativo di far apparire
figura sullo specchio regolarmente falliva, mentre quando ero di
-uovo un po' in forze e riuscivo a vedere l'apparizione, la cosa era
accompagnata, non lo nego, da un'eccitazione fisica insolita e anor-
imale. Ma le conseguenze di quella contìnua tensione furono disa-
«rose: mi trascinavo pallido come un morto, fisicamente distrutto,
li amici, credendomi veramente ammalato, a furia di raccoman-
zioni, mi indussero a pensare seriamente alla mìa salute. Per ca-
o intenzionalmente uno dì essi, studente di medicina, dimenticò
casa mia i l volume di Reìl sulle malattie mentali?... Incomìn-
ìi a leggerlo... quell'opera mì appassionò... Ma immaginate che
>sa provai ritrovando ìn me tutti i sintomi d'una autentica forma
pazzia?... M i vidi sulla strada del manicomio e ciò mi incusse un
'rrore tale da indurmi a riflettere e a prendere una fermissima de-
"sione. La misi subito in atto: mi cacciai in tasca Io specchietto e
rsi dal dottor K. celebre per aver curato e guarito molti malati
mente mediante un profondo sondaggio della psiche, la qual cu-
può spesso causare, ed anche guarire, perfino certe malattie fisi-
le. G l i raccontai tutto, non gli tacqui il benché minimo particolare
lo scongiurai dì salvarmi dall'atroce sorte da cui mi credevo mi-
acciato. Egli mi ascoltò calmissimo; ma nel suo sguardo notai un
tofondo stupore. - « 11 pericolo», disse, «non è ancora cosi immi-
"cnte come lei crede, anzi, - posso assicurarglielo - è ancora evita-
ìlissìmo. Lei ha subito, su questo punto non cì sono dubbi, un ter-
>ilc trauma psichico; ma sarà proprio la chiara coscienza del trau-
a, dell'aggressione da parte di un elemento malefico, a darle ìn
iano le armi per difendersi. M i lasci ìl suo specchio tascabile, si co-
strìnga a un qualsiasi lavoro - impegni a fondo le facoltà mentali. Sì
:etta a lavorare di buon'ora e continui finché resiste, poi vada a far-
si una bella passeggiata... Cerchi la compagnia degli amici che non
vedono più da tanto tempo, mangi cibi nutrienti, beva del buon
10 generoso... Come vede, io intendo soltanto cancellarle dalla
lente l'idea fissa, vale a dire l'apparizione di quel viso conturban-
sia alla finestra che nello specchio, condurre i l suo spirito verso
itrì oggetti e rinforzarle l'organismo... Collabori, la prego, onesta-
mente con me...» Distaccarmi dallo specchietto mi fu duro. 11 dot-
tore, dopo avermelo preso, parve rendersene conto; cì alitò sopra e
Johann Christian Rcil, Rapsodie sull'impiego del me/odo di cura psichica nelle perlur-
iazioni mentali. Halle 1803.
' £ i l dottor Koreff, amico di Hoffmann.
134 RACCONTI NOTTURNI

mostrandomelo mi domandò: «Vede qualcosa?...» - «Assoluta-


mente nulla», gli risposi, com'era vero. - «Ora faccia lei altrettan-
to», disse lui porgendomelo. Ubbidii, e la magica figura riapparve,
più chiara che mai: «Eccola!...», gridai. I l medico guardò nello
specchietto e poi disse: «Io non ci vedo assolutamente nulla; ma
non posso nasconderle che mentre guardavo ho provato un brivido
strano, inquietante... Come vede, sono sincero e perciò credo di
meritare la sua piena fiducia. Riprovi, per favore». Riprovai. I I
dottore mi passò un braccio intorno alla schiena: sentii la sua ma-
no sulla spina dorsale. La figura riapparve; i l dottore, fissando lo
specchio insieme a me, impallidì, poi me lo tolse di mano e andò a
chiuderlo sotto i l leggio ribaltabile della scrivania; ma prima dì
riawicìnarsì a me rimase per alcuni istanti immobile e silenzioso,
passandosi una mano sulla fronte. - «Si attenga scrupolosamente
alle mìe prescrizioni», mì disse infine. «I momenti ìn cui lei è fuori
di sé e avverte i l proprio " i o " con un senso dì sofferenza fisica mì
sono ancora molto oscuri, glielo confesso. Ma a questo proposito
spero di poterle dire qualcosa dì più, molto presto».
— Con volontà ferma, incrollabile — e quantunque la cosa mi
riuscisse difficile! - mì imposi di vìvere secondo le prescrizioni del
medico. Non tardai ad avvertire l'influenza benefica delle nuove oc-
cupazioni mentali e della dieta prescrìttami; ma le terribili crisi
continuarono a ripetersi regolarmente e verso mezzogiorno e, anco-
ra più forti, intorno alla mezzanotte. Perfino mentre stavo bevendo
e cantando in allegra brigata mi avveniva di sentirmi improvvisa-
mente trafiggere l'anima come da mille pugnali acuminati e roventi.
Allora non c'era forza dì volontà che tenesse; dovevo allontanarmi
subito e potevo ritornare soltanto quando mì ero riavuto dallo sta-
to di collasso. - Una volta mì aweime dì partecipare ad una serata
ìn cui si parlò molto dì suggestioni, di influenze psichiche e di quel-
la materia oscura e sconosciuta che è i l «magnetismo». Si discusse
soprattutto della possibilità di influire psichicamente su persone
lontane, e tale possibilità venne dimostrata con molti esempi. Un
giovane medico, pratico di magnetismo, spiegò come egli stesso e
molti altri - per non dire tutti indistintamente gli ipnotizzatori po-
tenti - potessero influire di lontano, con la sola concentrazione del
pensiero e della volontà, sui propri soggetti passivi. Tutti gU argo-
menti, insomma, trattati da Kluge, Schubert, Bertel ecc. riemerse-
ro uno dopo l'altro. - «La cosa più importante», disse infine uno
dei presentì (un medico noto per i l suo acuto spirito dì osservazio-
ne), «la cosa più importante rimane, per me, sempre ìl fatto che i l
magnetismo ci additi e sveli misteri laddove noi non vorremmo ve-
LA CASA D I S A B I T A T A

(lerne, e cioè in certe semplici, banalissime esperienze di vita. Na-


tiu:almcnte è necessario procedere con grande cautela. Come succe-
.<de, ditemi, che senza alcun apparente motivo, intrinseco o estrinse-
co, anzi, spezzando i l corso dei nostri pensieri, ci venga i n mente
tosi, all'improvviso, una certa persona, o l'immagine di un avveni-
mento, e questa immagine si impadronisca di tutto i l nostro " i o "
jn una prepotenza tale da farci stupire. Ed è ancor più sbalordìti-
' che lo stesso fenomeno ci colga di sorpresa quando sogniamo. I l
^ìpgno che stiamo facendo svanisce nel buio, e nel nuovo sogno, del
*tto indipendente dal primo, ci vediamo balzare incontro im'im-
agine eccezionalmente vivida che, di colpo, ci trasporta in regioni
:>ntanissime e cì riaccosta a persone apparentemente estranee, alle
quali non pensavamo più da anni... Ma c'è di più! Spesso vediamo,
elio stesso modo, persone assolutamente sconosciute, persone che
jnosceremo - forse - soltanto molti anni dopo... Quante volte ab-
iamo detto o sentito dire: "Mio Dio!... Quell'uomo... quella don-
1... mi sembra proprio di conoscerli... credo di averli già visti in
laiche posto...", ma i n verità non l i abbiamo visti mai e quindi,
ifcoolto probabilmente, non si tratta che dell'oscuro ricordo di uno
a sogni di cui ho detto... E se quell'improvvisa, prepotente intro-
issione di figure estranee nel corso dei nostri pensieri, fosse cau-
"ta dalla forza psichica di una terza persona?... E se, in certe parti-
lari condizioni, fosse possibile a una volontà estranea alla nostra
•.bilire un rapporto magnetico con noi e costringerci a subirlo pas-
samente?...» - «Se cosi fosse», disse ridendo uno dei presenti,
un solo brevissimo passo ancora, e verremmo a trovarci nel cam-
delle stregonerie, delle statuette fatturate, degli specchi magi-
"... di tutte le assurde superstizioni, insomma, di epoche ignoranti
stolte, ormai scadute di attualità da molto tempo!...»
- «Eh, no!», lo interruppe i l dottore. «Nessuna epoca storica
ò scadere di attualità e, tanto meno, venir definita stolta e igno-
ite - sempreché non vogliamo definire tali tutte le epoche, la no-
compresa - da quando l'uomo ha incominciato a pensare... È
affare serio voler recisamente negare cose accertate e spesso an-
e suffragate da prove rigorosamente giuridiche... E benché io sia
ivinto che, nel regno oscuro e misterioso in cui viviamo, i nostri
"veri occhi miopi non possano scorgere una sola fiammella di au-
itica luce, pure è certo che la natura non ci ha negato i l talento e
tendenze della talpa... Ciechi come siamo, cerchiamo di avanzare
1 tastoni aprendoci la via nelle tenebre... E, appunto come fanno ì
:hi quando, dal fruscio degli alberi, dal gorgoglio delle acque,
vvertono la vicinanza del bosco nella cui frescura troveranno risto-
136 RACCONTI NOTTURNI

ro, del ruscello a cui potranno dissetarsi, così anche noi, sfiorati dal-
l'impercettibile colpo d'ala, dal respiro di spiriti ignoti, presentia-
mo che i l nostro peregrinare ci conduce alla sorgente della luce alla
quale i nostri occhi si apriranno».
- Non potei più trattenermi: «Lei dunque sostiene», gli do-
mandai, «la possibilità di soggiacere passivamente a una forza spi-
rituale estranea?...» - «Ritengo», rispose il medico, « ritengo - per
non andare troppo lontano — non soltanto possibile questa itifluen-
za, ma anche perfettamente analoga ad altre operazioiù dell'agente
psichico, ormai note attraverso lo stato magnetico». - «E per con-
seguenza», continuai, «potrebbe anche essere consentito a certe
forze sataniche di influire dannosamente su di noi?...» - «Allude
alle maligne gherminelle delle anime dannate? », domandò il medi-
co sorridendo. «No! a quelle non dovremo soccombere! Comun-
que , vi prego : questi miei sono puri e semplici cenni. Vogliate pren •
derli per tali. Non credo assolutamente - aggiungo - al predominio
di un'entità spirituale su un'altra - a meno che uno stato di sogge-
zione 0 di debolezza di una delle due volontà, o una particolare rea-
zione reciproca non dia luogo a tale predominio». - «Ora soltan-
to», disse un signore di mezz'età i l quale si era limitato a tacere c
ascoltare con attenzione. «Ora soltanto posso, fino a un certo pun-
to, aderire alle sue strane idee circa taluni misteri che per noi do-
vrebbero rimanere tali. Se misteriose forze attive possono aggredir-
ci e recarci danno, ciò avviene unicamente perché un'anomalia del
nostro organismo spirituale ci toglie la forza e i l coraggio di respin-
gerne l'aggressione. I n una parola: soltanto una malattia spirituale,
(e cioè i l peccato), ci può rendere schiavi di una forza demoniaca.
Dai tempi del tempi le forze demoniache si sono sempre esplicate
facendo leva sulle nostre passioni più sconvolgenti. Non è curio-
so?... Intendo parlare degli incantesimi d'amore di cui sono piene
le cronache. Nei paradossali processi delle streghe ritroviamo sem-
pre la stessa cosa. Perfino nei codici di uno stato molto illuminato '
si fa menzione dei "filtri d'amore" - filtri destinati ad agire specifi-
camente suUa psiche, vale a dire, non a suscitare in noi una frenesia
amorosa generica, ma a legarci indissolubilmente a una determinata
persona. Questi discorsi mi ricordano un tragico fatto avvenuto po-
chi armi fa, e proprio in casa mia. Quando le armate di Bonaparie
invasero il nostro paese, un colonnello della guardia nobile italiana
si acquartierò presso di me. Era uno dei pochi ufficiali della cosid-

' Sj aHudc al codice civile per g l i stati prussiani entrato in vigore i l i° giugno 1794 (par-
te l i , cap. XX, SS 867-69) ove sì fa divieto d i usare filtri d'amore capaci d i provocare conse-
guenze dannose.
LA CASA D I S A B I T A T A 137

detta "Grande Armata" che si distinguessero per un contegno si-


i gnorile, riservato, silenzioso. L'estremo pallore, lo sguardo cupo,
'denotavano un cattivo stato di salute o quanto meno una profonda
^'malinconia. Era in casa mia da soli pochi giorni quando i l male da
•,fui era affetto si manifestò: mi trovavo per combinazione in came-
lia sua - tutt'a un tratto lo vidi portarsi una mano al petto - o direi
^piuttosto allo stomaco - sospirando e gemendo come colto da dolo-
"^•fì mortali... Non potè più parlare, fu costretto a gettarsi sul sofà,
Stralunò gli occhi e si irrigidi svenuto... Finalmente ebbe un fremi-
{to, parve svegliarsi, e rinvenne; ma era talmente spossato da non
^potersi muovere. Mandai .subito a chiamare i l mio medico i l quale,
[jdopo aver inutilmente provato diversi rimedi, lo trattò " magnetica-
•;mente"; e ciò parve giovargli. Ma la cura dovette ben presto venir
j!interrotta perché i l dottore stesso, mentre magnetizzava l'ammala-
.;to, veniva colto da un senso di malessere insopportabile. Egli sì era
però conquistato la fiducia del colonnello i l quale gli disse che, pri-
jna delle crisi, vedeva awlcinarglisi la figura d'una donna conosciu-
|;ta a Pisa... i l suo sguardo ardente gli penetrava fino in fondo all'ani-
jttia e allora egli provava spasimi cosi atroci da fargli perdere cono-
Jjscenza. Dopo le crisi gli rimaneva un sordo mal di capo e un senso
idi spossatezza, come se si fosse abbandonato ad intemperanze amo-
;^K)se. Circa i suoi rapporti con quella donna egli non volle dir nulla
lidi preciso. Le truppe si ritirarono; venne i l giorno della partenza.
I I A carrozza del coloimello era già pronta e carica di tutto i l baga-
|glio, davanti alla porta. L'ufficiale fece colazione ma, mentre stava
'portandosi alle labbra un bicchiere di madera, emise un lamento
^^ffocato e ruzzolò dalla sedia: morto. I medici parlarono di apo-
fjplessia nervosa. Alcune settimane dopo mi venne consegnata una
lettera indirizzata al defunto: non ebbi alcun ritegno ad aprirla,
^ella speranza di poter forse apprendere qualcosa di più preciso cir-
Icet i parenti del colonnello e avvertirli della sua morte improvvisa.
;'La lettera veniva da Pisa, non era firmata e conteneva soltanto que-
fl'stc poche parole: "Sciagurato!... Oggi, 7... a mezzogiorno, la fede-
/jle Antonia è morta stringendo appassionatamente al petto la tua ef-
je mendace! " Andai a guardare i l calendario in cui avevo annota-
nte i l giorno della morte del colonnello, e constatai che Antonia era
ftnorta nello stesso giorno, alla stessa ora...» ... Non potei ascoltare
la conclusione del racconto: avevo riconosciuto nello stato del co-
ìjpmiello italiano i l mio stato stesso; e al terrore che ne provai, seguì
ulan tale accesso d i desiderio, folle, straziante, di rivedere la meravi-
jgliosa figura sconosciuta, che mi costrinse a scattare in piedi e a pre-
cipitarmi alla casa fatale. DÌ lontano mi parve di veder filtrare un
RACCONTI NOTTURNI

po' di luce attraverso le persiane chiuse, ma quando mi avvicinai la


luce si spense. Reso addirittura frenetico dal desiderio di amore, mi
scaraventai contro la porta, che cedette all'urto. M i ritrovai nel cor-
ridoio debolmente illuminato, immerso in una atmosfera pesante,
viziata... Avevo il aiore in gola per l'impazienza e la trepidazione...
Ed ecco una nota lunga... tagliente... emessa senza dubbio da im'u-
gola femminile. Non so dirvi neppure io come avvenne, mi vidi in
una sala illuminata da molte candele... una sala arredata nel gusto
sfarzoso di una volta, con mobili dorati e strani vasi giapponesi.
Una nube azzurrina di fumo fortemente aromatico mi avvolse...
«Benvenuto, benvenuto mio dolce sposo!... L'ora è giunta... Le
nozze sono imminenti!...», esclamò una voce di donna, salendo di
tono... E, come non vi ho saputo dire in che modo giungessi in quel-
la sala, tanto meno so dirvi come io vidi all'improvviso risplende-
re in mezzo alle nubi di fumo una snella figura giovanile, sfarzosa-
mente vestita... «Benvenuto, mio dolce sposo», ripete la donna con
voce stridente e mi venne incontro a braccia spalancate... M i vidi
fissare da un orrendo viso giallo, sfigurato dagli anni e dalla follia.
Indietreggiai vacillando, inorridito... ero come ipnotizzato dallo
sguardo penetrante di un serpente a sonagli e non riuscivo più a di-
stogliere gli occhi da quella laida figura di vecchia né a muovere un
passo... La vecchia mi si avvicinò e allora mi parve... mi parve che
quella grinta orrenda fosse soltanto una leggera maschera di garza,
attraverso la quale trasparissero i tratti del visino soave apparsomi
nello specchio... La donna stava già per toccarmi, quando lanciò un
urlo acutissimo e mi cadde ai p i ^ i . Alle mie spalle una voce gridò:
«Ehi!... ehi!.,. Ci risiamo?... I l diavolo sta ricominciando a giocare
a cavalluccio con vostra grazia?... A letto, a letto, illustrissima... al-
trimenti sono botte... botte da orbi!...»

- M i volsi di scatto e vidi i l vecchio amministratore, in camicia


da notte, nell'atto di far roteare una terribile frusta sopra la testa...
Mentre stava per colpire la vecchia che si contorceva sul pavimento
gridando, io gli afferrai il braccio ma egli si svincolò con uno strat-
tone: «Per Giove, signore!», gridò. «Questa vecchia strega l'a-
vrebbe ammazzata se non mi fossi messo di mezzo!... Via, via.
via!...» Corsi fuori della sala, cercando inutilmente la porta d'usci-
ta nel buio fitto... Udii gli schiocchi della frusta e le grida di dolore
della vecchia... Feci per chiamare aiuto ma la terra mi mancò sotto
i piedi, ruzzolai giù per una scala, andai a sbattere violentemente
contro una porta, la apersi di schianto e caddi lungo disteso in una
cameretta. Dal letto ancora disfatto, dall'abito color caffè appeso su
una sedia riconobbi subito la camera dell'intendente. Pochi istanti
LA CASA D I S A B I T A T A 139

dopo qualcuno scese precipitosamente la scala, i l vecchio irruppe


^ella camera e mi si gettò ai piedi: «Per l'amor del cielo!...», sup-
|)licò levando le mani. «Per l'amor del cielo, chiunque lei sia e co-
iinunque l'illustrissima strega maledetta l'abbia attirata qui dentro,
piccia ciò che ha visto!... Altrimenti perderò l'impiego e i l pane!
[Sua eccellenza,,, la pazza ha avuto i l fatto suo... adesso e legata nel
letto... Oh, dorma bene anche lei, egregio signore... E sogni d'o-
s a i . . . Sì, si, dormirà bene certamente... è una cosi bella, calda notte
idi luglio... senza luna, magari, ma tutta stellata,,. Dunque, buona
notte... Felicissima notte...» Così dicendo i l vecchio si risollevò,
òrese un lume, mi ricondusse di sopra, al piano terreno, mi spinse
fuori e richiuse la porta dietro di me, con molti giri di chiave,
ii: - Corsi a casa sconvolto; e, come potrete capire, durante i primi
giorni ero ancora troppo profondamente preso da quello spavente-
ifole mistero per poter comunque ricostruire e ricollegare i fatti con
tìn minimo di verisimiglianza... Una sola certezza: ero caduto vìt-
tima di un sortilegio malefico ma finalmente me n'ero liberato. I l
Sttiorboso desiderio dì rivedere la magica apparizione nello specchio
era svanito. Ben presto, ripensando all'irruzione nella casa mìste-
ȓosa mi sembrava di essere capitato per caso in un manicomio.,.
Che all'intendente fosse stata affidata la mansione dì carcerìere-ti-
l-aimo addetto alla persona d'una vecchia pazza dì nobili natali, i l
ifcuì stato doveva forse venir tenuto nascosto agli occhi del mondo,
iéu questo punto non v'erano dubbi... Ma... e lo specchio?.,, E tutta
Quell'inverosimile maUa?... Andiamo avanti... andiamo avanti!...

i•

- Tempo dopo, durante un grande ricevimento, mì avvenne dì


'incontrare Ìl conte P. M i trasse ìn disparte e mi disse sorridendo:
i'«Lo sa che ì misteri della nostra casa abbandonata incominciano a
^chiarirsi?...» — I o rizzai gli orecchi ma mentre i l conte stava inco-
minciando a raccontare sì spalancarono le portiere della sala da
Jipranzo e ci si avviò per andare a tavola. Tutto immerso nel pensic-
f ro dei fatti misteriosi cui il conte mi aveva accennato, porsi ìl brac-
cio a una signora e mi inserii meccanicamente nel corteo degli ìnvi-
f'tati, procedente a passo lentissimo, secondo ìl rigido cerimoniale.
^Condussi la mìa dama al primo posto libero che ci si presentò din-
' aanzi e soltanto allora la guardai : era la figura apparsami nello spec-
"'chio... tal e quale.,, senza possibilità di errore. Come potrete imma-
i'gìnare sussultai e mì sentii turbato; ma posso assicurarvi che non
ì vibrò in me neppure la più tenue risonanza della folle, deleteria fre-
l-nesia amorosa che mi invadeva quando evocavo la magica appari-
140 RACCONTI NOTTURNI

zione alitando sullo specchio. La sorpresa, ancor più, lo sbigotti-


mento, dovettero leggermìsi in viso perché la fanciulla mi guardò
meravigliata. Io cercai di dominarmi e dissi, col tono più disinvolto
possibile, che avevo l'impressione, anzi, i l chiaro ricordo di averla
già vista in qualche posto. Impossibile, mi rispose lei; era arrivata
soltanto il giorno avanti e prima di allora non era mai stata a * * *no.
Piuttosto sconcertato - è la parola - da quella breve e decisiva spie-
gazione, ammutolii. Ma Io sguardo angelico di quei due occhi stu-
pendi mi aiutò a riprendermi!... Voi sapete come in certe circostan-
ze si protendano le antenne sensoriali dello spirito e si cerchi, e si
sondi, piano piano, fino a trovare i l punto rispondente alla nota vo-
luta. Cosi feci io; e non tardai a rendermi conto di avere accanto a
me una creatura tenera, soavissima, ma di una ipersensibilità psi-
chica quasi morbosa. Quando, ad esempio, la conversazione pren-
deva una piega piuttosto allegra ed io gettavo là qualche parola un
po' ardita o bizzarra, come un pizzico di buon pepe di Caienna, lei
sorrideva, si, ma d'un sorriso strano, dolente, come se la cosa la ur-
tasse, la ferisse... - «Sbaglio, o lei non è di buon umore, egregia
signorina?...», disse alla mia dama un ufficiale seduto molti posti
più in là. «Forse la visita di stamane...», ma subito i l suo vicino lo
prese per un braccio e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre
una signora, all'altro lato della tavola, divenendo di fiamma e lan-
ciando all'ufficiale certe occhiate da incenerirlo, attaccò a parlare ad
alta voce di un'opera magnifica, già rappresentata a Parigi, e della
sua curiosità di confrontare l'esecuzione parigina con quella cui a-
vremmo assistito la sera stessa. La mia vicina aveva gli occhi pieni
di lacrime: «Sono una sciocca, newero?», mi disse. «Non è nul-
la! », risposi con noncuranza alludendo al mal di capo di cui s'era la-
gnata poc'anzi. «Dopo un'emicrania nervosa succede sempre cosi.
E per questo non c'è rimedio migliore dello spirito gaio e leggero
sprizzante dalla schiuma del nettare dei poeti!», soggiunsi riem-
piendole una coppa di champagne. Lei dapprima rifiutò ma poi vi
mtinse le labbra, ringraziandomi, con un'occhiata eloquente, di a-
ver interpretato in quel modo le sue lacrime. Poco a poco parve
rasserenarsi, e tutto sarebbe andato per i l meglio se io non avessi
urtato senza volerlo i l bicchiere inglese posto davanti a me. I l cri-
stallo emise un suono acuto, tagliente... la mia vicina impallidi co-
me una morta e anch'io fui colto da un senso dì gelo improvviso,
perché quel suono rassomigliava troppo alla voce della vecchia paz-
za, nella casa misteriosa. Mentre prendevamo i l caffè trovai modo
dì avvicinare i l conte P. Egli comprese al volo i l perché della mia
mossa: «Lo sa che la sua vicina era la contessa Edvìna von S.?... E
LA CASA D I S A B I T A T A 141

e ìn quella casa abbandonata è tenuta rinchiusa la sorella dì sua


re, pazza inguarìbile già da molti anni?... Stamane la signorina
sua madre sono andate da quella sventurata. I l vecchio ìntenden-
Tunico in grado di dominare gli accessi di pazzìa furiosa della
ntessa, è ammalato... i n punto dì morte... E pare che la sorella si
finalmente decìsa a confidare i l segreto al dottor K., il quale farà
estremo tentativo, se non di guarire l'ammalata, per lo meno dì
itarle le periodiche, terrificanti crisi di furore. Per ora non so dir-
altro...» Qualcuno si avvicinò e la nostra conversazione verme
terrotta.
- I l dottor K. era per l'appunto quello stesso medico al quale
ero rivolto per consigliarmi sul mìo male misterioso. Appena mi
possibile - occorre dirlo?... - mì precipitai da lui e gli r^erii fe-
lente l'accaduto, dal giorno del nostro incontro ìn poi. Lo pre-
i , - per mìa tranquillità, - dì raccontarmi tutto ciò che sapeva
*a vecchia pazza, ed egli, dopo avermi fatto promettere ìl più as-
_uto riserbo, non fece difficoltà a confidarmi quanto segue:
- «La contessa Angelica von Z., pur avendo già oltrepassato la
•lina, era ancora una donna meravigliosa, un fiore dì bellezza,
ido i l conte von S., molto più giovane di lei, la vide a corte, qui
***no, e se ne innamorò perdutamente. Incominciò subito a cor-
ria con assiduità e quando ella ritornò nei possedimenti del
, parti al suo seguito per manifestare al vecchio conte i l suo
ìderìo e le sue intenzioni, che Angelica mostrava di condivìdere,
appena giunse a destinazione e vide Gabriella, la sorella minore
Angelica, fu come se si ridestasse da un incantesimo. Dì fronte
grazia, alla bellezza di Gabriella, AngeUca gli parve sbiadita,
'ta; e, senza più badare a lei, chiese la mano della sorella più
ane. I l conte fu felicissimo di concedergliela, anche perché la
'ulla aveva mostrato una netta inclinazione per i l giovane pre-
ente. Angelica non manifestò i l minimo disappunto per i l tra-
sento dell'innamorato; "Sciocco ragazzo. Crede di avermi ab-
idonata! andava dicendo con sprezzante alterigia. "Non sì ac-
ge che non è stato luì a lasciare me, ma ìo a gettare vìa luì, co-
un giocattolo frusto! ". E infatti sì comportava ìn modo tale da
creder sìnceri la sua indifferenza e il suo disprezzo. Ma quando ìl
Eamento del conte con Gabriella divenne ufficiale smise quasi
farsi vedere, non scese più a tavola, prese l'abitudine di andar gi-
agando tutta sola nel bosco vicino, divenuto la meta prediletta
e sue passeggiate. Un caso insolito venne a turbare l'uniforme
quìllità della vita al castello: i cacciatori del conte, spalleggiati
numerosi contadini, avevano finalmente catturato una banda dì
142 RACCONTI NOTTURNI

zingari, cui si attribuiva la responsabilità d'una serie di delitti, in-


cendi, ruberie, compiuti di recente in quei dintorni. Vennero radu-
nati tutti nel cortile del castello: gli uomini legati ad una Ixmga ca-
tena, le donne e i bambini pigiati su un carro. Visi tracotanti, dallo
sguardo ardente e feroce di tigre in prigionia, - visi di assassini e di
briganti ce n'erano parecchi; ma più di tutti dava nell'occhio un'or-
ribile dorma, alta, magra, avvolta dalla testa ai piedi in uno scialle
scarlatto. Ritta in piedi sul carro, gridava con voce imperiosa che la
lasciassero scendere; e fu fatta scendere. Intanto U conte von Z. era
sceso ìn cortile e aveva incominciato a dare disposizioni sul modo
dì distribuire la banda nelle varie celle del castello. Quand'ecco
precipitarsi fuori Angelica, coi capelli sciolti, pallidissima, stravolta
dall'orrore e dalla paura: "Lasciate questa gente! ", gridò. "Lascia-
teli liberi!... Sono iimocenti... innocenti!... Padre, lasciateli anda-
re!... Se una sola goccia del loro sangue verrà versata mi immergerò
questo coltello nel petto"; e, levando in alto una lama scintillante,
cadde priva di sensi. "O mia bella bambolina... Bambina mia d'o-
ro... Lo sapevo che non avresti tollerato una cosa simile!...", graci-
dò la vecchia dallo scialle rosso, rannicchiandosi accanto alla fan-
ciulla e ricoprendole i l viso e Ìl petto di schifosissimi bacì. "Candi-
da figlia... figlia immacolata", continuò a mormorare. "Svegliati...
svegliati... Arriva lo sposo... l'illustre sposo... viene..."; e, tratta u-
na fiala entro cui un piccolo pesce d'oro pareva guizzare in un l i -
quido spiritoso, argentino, la depose sul petto della fanciulla la qua-
le rinveime all'istante. Come vide la zingara balzò in piedi, la ab-
bracciò con effusione e corse con lei dentro i l castello. I l conte von
Z., Gabriella, i l fidanzato frattanto sopraggiimto, assistettero a
quella scena impietriti da un indicibile senso di raccapriccio. GH
zingari invece rimasero assolutamente calmi e indifferenti. Venne-
ro sciolti dalla catena e gettati separatamente nelle varie prigioni
del castello. I l mattino seguente i l conte l i fece di nuovo riunire e li
dichiarò tutti quanti innocenti del delitti commessi nei dintorni.
Concesse loro libero transito attraverso le proprie terre, l i fornì di
salvacondotti e H liberò, fra lo stupore generale. La donna dallo
scialle rosso non fu riveduta. Qualcuno mormorò che fi, capo degli
zingari (riconoscibile per una catena d'oro al coUo e un cappello
spagnolesco a tese abbassate, con grande permacchio rosso), duran-
te la notte era stato nella camera dei conte. - Qualche tempo dopo
veime dimostrato in modo inconfutabile la non partecipazione de-
gli zingari ai misfatti commessi nei dintorni. Gabriella, ormai pros-
sima alle nozze, un giorno vide con stupore che si stavano caricando
alcuni carri di mobilia, indumenti, biancheria, di tutto l'occorrente,
LA CASA D I S A B I T A T A

insomma, per arredare una casa; i l mattino seguente apprese che


jiAngelica era partita durante la notte, accompagnata dal cameriere
|i;del conte e da ima donna travestita, assai rassomigliante alla vec-
jtljjjia zingara dal manto rosso. I l conte von Z. le spiegò di essersi tro-
|Wto costretto, per speciali motivi, ad esaudire i l desiderio indub-
Ifciamente strano - di Angelica e cioè a donarle la casa di ***no e
|òermetterle di condurvi una vita propria, del tutto indipendente.
Il^veva perfino accettato la condizione che nessuno della famiglia
. lui compreso - potesse porre piede in quella casa senza il formale
lesso di lei. Poiché Angelica lo desiderava tanto, le aveva anche
ll^ncesso di portarsi con sé il suo cameriere.
«Vennero celebrate le nozze. I l conte S. si recò a D. con la mo-
ie e colà gli sposi trascorsero un anno in perfetta letizia. Poi i l
ante incominciò a soffrire di certi singolari malesseri: pareva che
segreto dolore gli andasse togliendo ogni energia, ogni gioia di
ivere, consumandolo, distruggendolo a poco a poco. Quando tale
tato di prostrazione giunse al punto di far temere per la sua vita,
li cedette Infine alle pressioni dei dottori e partì - si disse - per
sa. Gabriella non potè accompagnarlo, essendo ormai prossima
; parto che avvenne invece parecchie settimane dopo »,
— «A questo punto», disse Ìl medico, «il racconto della contes-
, si fa talmente frammentario che soltanto l'occhio più perspicace
>trebbe coglierne i nessi. Basta. Gabriella mise al mondo ima bim-
che scomparve misteriosamente dalla culla e non fu ritrovata
;rado ogni ricerca. I l suo dolore divenne disperazione quando i l
te le diede un'altra tremenda notizia: aveva rintracciato il gene-
I — (che credeva in viaggio per Pisa)-a ***no, nella casa di Ange-
i, colpito da apoplessia. Angelica era impazzita. Egli - concluse
, conte Z. - sentiva di non poter sopravvivere a lungo a tanto do-
Non appena si fu rimessa un po' in forze, Gabriella si recò nei
)ssedimenti del padre. Rigirandosi insonne, durante la notte, con
sgU occhi l'immagine del bimbo e del marito perduti, le parve di
•e un lieve vagito di fronte alla porta della propria camera. Ac-
un lume e uscì a vedere: accovacciata per terra, avvolta nello
le rosso, stringendo fra le braccia una creaturina piangente, la
lia zingara la fissava negli occhi con uno sguardo vitreo, privo
vita. La contessa provò un tuffo al cuore; era la sua bimba... la
Iglioletta perduta!... Strappò la creatura alla zingara, la quale roto-
sul pavimento come u n fantoccio inanimato. All'urlo di terrore
i contessa tutti si destarono, accorsero, tentarono invano di ria-
IJQimare la vecchia: era morta. - I l conte la fece seppellire. Che cosa
rimaneva da fare se non accorrere a * * * n o dalla figlia pazza, e
144 RACCONTI NOTTURNI

cercar di chiarire il mistero della bimba ritrovata?... A ***no tutto


era cambiato; la pazzia furiosa di Angehca aveva cacciato di casa
tutta la servitù femminile; era rimasto soltanto più i l vecchio ca-
meriere».
- «All'arrivo del conte, Angelica pareva di nuovo tranquilla e
ragionevole. Udita da lui la storia della bimba di Gabriella, batté le
mani ed esclamò ridendo forte: "La bambolina è arrivata?... Dav-
vero è arrivata?... Sepolta?... Sepolta?... O Gesù, come starnazza il
fagiano dorato!... Avete mai sentito parlare del leone verde dagli
occhi azzurri, che sembrano di brace?..." I l conte inorridf: col ri-
destarsi della follìa i l viso di Angelica sembrava assumere ì linea-
menti delia vecchia zingara... EgU decise di condurre via con sé la
poveretta ma il vecchio cameriere gHelo sconsigliò: al minimo cen-
no di partenza, di trasloco, la demente dava in escandescenze. Du-
rante un intervallo di lucidità, Angelica scongiurò i l padre dì la-
sciarla morire ìn quella casa; il conte, conmiosso, acconsenti. Ma la
rivelazione che ella sì lasciò sfuggire la attribuì a im nuovo accesso
dì follia: gli confessò, infatti, che ìl conte von S. era ritornato fra le
sue braccia, e che la bimba portata dalla zìngara nella casa del conte
von Z. era ìl frutto della loro unione. I n città si crede che i l con-
te von Z. abbia ricondotto la sventurata nei propri possedimenti; e
invece essa è qui, affidata alla custodia del cameriere, ben nascosta
in quella casa abbandonata. I l conte von Z. è morto da qualche tem-
po; e la contessa Gabriella von Z. è venuta a ***no con Edmonda '
per sistemare alcune faccende di famìglia e non ha saputo far a me-
no di andare a trovare l'infelice soreUa. Durante quella visita de-
v'essere accaduto qualcosa di sensazionale. La contessa non volle
parlarmene e mi disse soltanto, cosi, genericamente, che si era reso
necessario togliere la sventurata dalle mani del vecchio cameriere.
Pare che una volta egli tentasse dì domare gli accessi dì follìa furio-
sa con crudeli maltrattamenti; ma poi Angelica, lasciandogli inten
dere dì essere capace dì fabbricare l'oro, lo avrebbe indotto ad in-
traprendere insieme a lei ogni sorta di strane operazioni e a fornir
le tutto l'occorrente per le medesime. - Sarebbe assolutamente su-
perfluo», concluse il dottore, « richiamare la sua attenzione sul neb-
so misterioso e profondo intercorrente fra tutte queste incredibili
vicende. Fu proprio lei, ne sono certo, a provocare la catastrofe che
condurrà la vecchia aUa guarigione o alla morte. Non posso infine
nasconderle che rimasi letteralmente atterrito quando, dopo esser-
mi messo ìn rapporto magnetico con lei, vidi anch'io l'apparizione:

' HoSmann confonde, i l nome delU fanciulla È Edvina; cit. p. jSSlN.d.T.].


L A CASA D I S A B I T A T A 145

nello specchio. Ora sappiamo entrambi che quello era Ìl viso di Ed-
monda».
- Così come il medico non credette opportuno aggiungere alcun
commento, anch'io ritengo perfettamente inutile diffondermi a
spiegarvi quali misteriosi rapporti si fossero stabiliti fra Angelica,
Edmonda, il vecchio cameriere e me... inutile indagare nel gioco de-
moniaco di quelle arcane reazioni reciproche... V i dirò una sola co-
sa ancora: in seguito a quegli avvenimenti un opprimente senso dì
disagio mi spinse a lasciare ***no. Dopo qualche tempo quell'inde-
finibile sensazione mì abbandonò di colpo; e ìo sono convìnto che
nel momento stesso ìn cui ciò avvenne, e mi sentii invadere da un
, indicìbile senso dì benessere, la vecchia sia morta...
Cosi Teodoro concluse i l proprio racconto. Gli amici si soffer-
marono ancora un po' a commentarlo; e convennero che Teodoro
j aveva avuto ragione dì affermare che ìn quell'avventura l'imprevì-
, sto e ìl soprannaturale sì fondevano in modo assai strano e impres-
sionante.
Quando sì congedarono, Franz prese la mano di Teodoro e scuo-
, tendogllela piano gli disse con un sorriso quasi mesto: - Buona-
>notte, tu, pipistrello di Spallanzani!...
I L MAGGIORASCO

N o n lontano dalle sponde del Baltico sorge i l castello avito dei


baroni von R., detto castello d i R..5itten '. I dintorni sono b r u l l i e
deserti; qualche raro filo d'erba spunta qua e là fra quelle sabbie
m o b i l i dal sottosuolo privo d i humus. I n luogo del parco che usual-
mente abbellisce le case signorili fa seguito alle mura spoglie, dalla
parte dell'entroterra, u n misero boschetto d i pinastri eternamente
funerei, anche d i primavera. Q u i v i non si ode mai i l lieto cinguettio
degli uccelli ridestati a nuova gioia ma soltanto i l lugubre gracidare
dei corvi e l'acuto stridio delle procellarie. M a a un solo quarto d'o-
ra d i cammino i l paesaggio improvvisamente cambia aspetto: come
per incanto ci si ritrova i n mezzo a distese d i f e r t i l i campi, d i prate-
rie fiorite, e si scorge i l grande e ricco villaggio con l'Imponente ca-
sa dell'ispettore d'azienda. Sulla sommità d'una amena collinetta,
in mezzo agli ontani, sono ancora visibili le fondamenta d ' u n gran-
dioso castello fatte porre da uno degli antichi proprietari, i cui d i -
scendenti, essendosi stabiliti nelle rispettive proprietà d i Curlan-
dia, avevano lasciato la costruzione interrotta. Neppure i l barone
Roderico von R., ritornato a vivere nel feudo dei padri, aveva fat-
to riprendere e portare a termine ì lavori perché al suo cupo tempe-
ramento d i misantropo si confaceva meglio l'isolamento dell'antico
castello; e, dopo averlo fatto bene o male riattare, v i si era rinchiu-
so con u n maggiordomo bisbetico e pochissima servitù. Raramente
si faceva vedere al villaggio; andava spesso a cavalcare sulla spiag-
gia e, a quanto credeva d i sapere chi lo aveva osservato da lontano,
parlava alle onde e tendeva l'orecchio allo sciacquio della risacca
come se udisse risposta dalla voce degli spiriti marini. Nella came-
ra più alta della torre d i vedetta aveva allestito u n gabinetto con
un'apparecchiatura astronomica completa; e d i lassù, con l'aiuto
del cannocchiale, durante i l giorno osservava le navi trascorrere sul
lontano orizzonte, simili a candidi uccelli marini, e durante le n o t t i

' Rossitten, villaggio suH'ìslmo di Curlandia.


I L MAGGIORASCO M7

I Stellate, sì immergeva negli studi astronomici (o, a quanto si crede-


;va d i sapere, astrologici), assistito dal vecchio maggiordomo. Gar-
reva voce che si dedicasse alle cosiddette «arti nere» e fosse stato
costretto a lasciare la Curlandia per aver mortalmente offeso, con
un'operazione fallita, un'eminentìssima famiglia principesca. I n -
f a t t i i l benché minimo accenno al soggiorno i n Curlandia Io scon-
(volgeva; tuttavia egli attribuiva la rovina della propria vita unica-
ìfliente all'abbandono del feudo avito da parte dei predecessori. E,
^appunto per legare a quelle terre almeno i l capofamiglia, aveva sta-
|)ilito che la proprietà passasse sempre al primogenito. I l sovrano
era stato ben felice d i convalidare l'istituto del maggiorasco, nella
(Speranza dì riacquistare al paese una famiglia cavalleresca, ricca
y i virtù, d i cui m o l t i rami già si erano abbarbicati i n terra straniera.
G ò nonostante, né Uberto, figlio d i Roderico, né l'attuale primoge-
h i t o chiamato anch'eglì Roderico come i l nonno, avevano voluto
[Stabilirsi nel castello d i R..sitten ed erano rimasti i n Curlandia. En-
t r a m b i allegri e amanti della vita, non potevano certo sentirsi at-
t r a t t i dalla sinistra e solitaria residenza del tenebroso antenato. I l
èarone Roderico ospitava e manteneva nel castello due vecchie so-
téle del padre, n u b i l i entrambe e sprovviste d i beni, le quali altri-
«lenti sarebbero state costrette a vivere nelle ristrettezze. A t t u a l -
mente esse occupavano insieme a un'anziana domestica u n apparta-
taentino caldo nell'ala laterale. O l t r e a costoro ed al cuoco, allog-
giato i n una grande camera attìgua alla cucina, a pian terreno, negli
alti, vastissimi ambienti del fabbricato principale si aggirava bran-
cicando u n unico guardiacaccia decrepito, con funzioni anche d i
'maggiordomo. La restante parte della servitù alloggiava nella casa
idell'ispettore aziendale, al villaggio. Soltanto a tardo autunno, al
cader della prima neve, quando si aprivano le cacce al lupo e al cin-
;ghìale, Ìl castello abbandonato e deserto tornava ad animarsi; i l ba-
i o n e Roderico giungeva dalla Curlandia con moglie, parenti, amici e
t m numeroso seguito d i guardiacaccia; la nobiltà dei dintorni e tut-
t i i conoscenti appassionati d i caccia convenivano dalla città vicina.
A l l o r a i l corpo principale c l'ala laterale del castello bastavano ap-
pena ad accogliere tanti ospiti. T u t t e le stufe, t u t t i i camini, accesi
senza economia d i legna, crepitavano allegramente, g l i spiedi cigo-
lavano nelle cucine dall'alba alla notte, su e giù per le scale era u n
continuo andirivieni dì signori, servitori, gente allegra; e dovun-
: que u n tintinnar d i bicchieri, canti d i caccia, assordanti musiche da
ballo e scalpicciare d i danzatori, e grida, e risate... E cosf, per u n
perìodo d i quattro, sei settimane, i l castello rassomigliava assai più
a u n sontuoso albergo situato su una strada d i grande transito che
148 RACCONTI NOTTURNI

non alla dimora d i u n feudatario. Quel periodo i l barone Roderico


10 dedicava, per quanto possibile, agli affari, si teneva appartato dal
trambusto degli ospiti allegri e disimpegnava i doveri impostigli dal
maggiorasco; non soltanto si faceva dar conto esatto d i tutte le en-
trate ma ascoltava qualsiasi proposta d i miglioria e perfino le più
f u t i l i lagnanze dei sottoposti cercando, nel limite delle proprie for-
ze, d i appianare le controversie, d i impedire ingiustizie ed abusi. I n
tale attività era onestamente assistito dal vecchio avvocato V . , per
antica tradizione d i famiglia agente d i affari e legale della proprietà
situata a P. L'avvocato giungeva ad R..sitten o t t o giorni prima del
barone.
Nell'anno 179..., al momento d i partire, i l vecchio avvocato,
pur sentendosi ancora energico e vitale abbastanza, malgrado i suoi
settant'anni, giudicò opportuno farsi dare una mano per sbrigare
quel lavoro. U n giorno m i disse come per scherzo: - Cugino, - ( m i
chiamava cosi benché g l i fossi, i n effetti, pronipote, perché portavo
11 suo stesso nome d i battesimo). - Cugino, pensavo: che ne diresti
dì prendere una boccata d'aria d i mare e venire con me a R..sit-
ten?... A n z i t u t t o potresti essermi d i grande aiuto i n quegli affari,
talvolta ingrati; e p o i potresti anche provare i m p o ' la rude vita del
cacciatore... Vedere, ad esempio, se Ù giorno dopo aver redatto u n
protocollo ineccepibile, t u sia capace di guardare negli occhi - e
magari d i abbattere con una buona schioppettata! - u n animale
scorbutico come u n terribile lupo dal pelo lungo o un cinghiale dal-
le zanne taglienti...
N o n avrei dovuto udire tante storie interessanti e curiose sul-
l'allegro periodo delle cacce a R..sitten, né essere tanto affezionato
al vecchio, straordinario prozio per n o n esser felice che egli voles-
se condurmi con sé. Avendo già ima certa pratica d i simUi S a r i , po-
tei promettergli che avrei messo t u t t o i l m i o impegno per alleviar-
g l i la fatica e le preoccupazioni. I I giorno dopo, ben imbacuccati
nelle pellicce, siedevamo già i n carrozza, d i r e t t i a R.,sitten, i n mez-
zo a una bufera d i neve. Strada facendo lo zio m i raccontò molte stra-
ne cose sul conto del barone Roderico, l'istitutore del maggiorasco,
da cui parecchi anni addietro era stato nominato, malgrado la gio-
vane età, esecutore testamentario e legale d i famiglia. Parlò del ca-
rattere brusco e scontroso del vecchio signore e della evidente ere-
ditarietà d i tale carattere perché perfino i l feudatario attuale, man-
sueto e affabile quasi all'eccesso, i n gioventù, stava diventando
d'anno i n armo sempre più simile al noruio. M i raccomandò d i mo-
strarmi deciso e disinvolto se volevo venir preso i n qualche consi-
derazione dal barone Roderico, e passò quindi all'argomento del-
I L MAGGIORASCO 149

l'alloggio. Egli si era scelto, una volta per tutte, u n appartamenti-


no caldo, comodo, isolato, i n cui avremmo potuto sottrarci quan-
do e come ci fosse piaciuto al trambusto e al chiasso degli invitati
i n festa. G l i preparavano sempre due camerette sofficemente tap-
. pezzate, nell'ala laterale del castello, proprio accanto alla sala delle
' udienze e dirimpetto all'appartamento delle due vecchie damigelle.
i D o p o u n viaggio rapido ma disagevole giungemmo finalmente a
tR..siiten ch'era già notte fonda. Attraversammo i l villaggio; era
(domenica; nell'osteria si suonava, si ballava, si faceva festa; la casa
dell'ispettore aziendale era tutta illuminata, dall'interno giungeva
• musica, canto. Tanto più sinistra ci apparve la zona desertica i n cui
,subito dopo ci addentrammo. I l vento marino passava sopra d i noi
i sibilando e gemendo, Ì pinastri scuri, come destati da u n magico
sonno, gemevano anch'essi cupamente. A d u n tratto vedemmo sor-
jgere dal fondo nevoso le mura nere, spoglie, del castello. C i fer-
"tnammo d i fronte al portone chiuso; bussammo, chiamammo,
schioccammo la frusta: non una luce alle finestre, silenzio d i tom-
ba. A l l o r a lo zio urlò con voce stentorea: - Franz... Franz... Dove
v i siete cacciato?... Muovetevi, corpo del diavolo... Stiamo gelan-
;do, qui sulla porta... La neve ci sferza a sangue la faccia!... Corpo
del diavolo, muovetevi! — N e l cortile un cane si mise a guaire, al
pianterreno vedemmo vagare una luce: udimmo u n tintinnare d i
^.chiavi e d i l i a poco ì pesanti battenti cigolando si apersero.
V - A h . . . benvenuto, benvenuto signor avvocato... che schifoso
^tempaccio!... - esclamò i l vecchio Franz tenendo alta la lucerna, si
d i e la luce g l i cadde i n pieno viso : era u n viso rugoso, stranamente
'distorto i n u n sorriso cordiale. La carrozza entrò nel cortile, scen-
i^'demmo, e soltanto allora afferrai bene la curiosa figura del vecchio
•'• servitore, nella troppo ampia livrea d i guardiacaccia con abbondan-
t i e stravaganti guarnizioni d i passamanerie, ormai f u o r i moda. Sul-
la vasta fronte bianca spiovevano un paio d i ciocche grige, i musco-
l i contratti davano al viso, sanamente abbronzato nella parte infe-
'ìiore, l'aspetto d i una stranissima maschera; ma la bonarietà, forse
perfino un po' stolida, che g l i brillava negli occhi e si esprimeva nel-
l'atteggiamento della bocca tornava subito ad armonizzare t u t t o
l'assieme della fisionomia.
- Dunque, vecchio Franz, - disse l o zio quando fummo nell'a-
t r i o , scrollandosi la neve dalla pelliccia, - t u t t o è pronto?... Avete
•Spazzolato le tappezzerie nelle mie stanze?... I Ietti sono a posto?
I e r i e oggi avete riscaldato bene?... - N o , - rispose Franz tranquil-
lissimo. - N o , illustre signor avvocato. N o n è stato fatto niente d i
t u t t o questo. - D i o buono! - esclamò lo zìo. — Eppure ho scritto
150 RACCONTI NOTTURNI

per tempo, m i pare! E arrivo sempre dopo la data stabilita!... Che


balordaggine è questa?... Adesso m i toccherà stare nelle camere ge-
late... - E h , già, illustre signor avvocato, - prosegui Franz smocco-
lando meticolosamente i l lume con la forbice e spegnendo col piede
i l pezzo d i stoppino caduto sul pavimento. - Già, vede... t u t t i que-
sti preparativi non sarebbero serviti u n gran che... specie i l riscal-
damento, per via del vento e della neve che entrano dalle finestre
fracassate, c allora...
- Come?! - l o interruppe lo zio spalancando la pelliccia e pun-
tandosi i pugni sui fianchi. - Come?... Le finestre sono rotte e voi,
maggiordomo d i casa, non le avete fatte riparare?... - Vede, illustre
signor avvocato, - continuò i l vecchio imperturbabile. ~ I l fatto è
che n o n c i si può molto avvicinare alle finestre per via dei mucchi
d i sassi e d i calcinacci... - Corpo d i t u t t i i diavoli, - imprecò lo zio.
- Sassi e calcinacci i n camera mia?,.. E come ci sono capitati?...
I o starnutai. - Salute e felicità, giovane signore! - m i disse i l
vecchio con u n ossequioso inchino; e subito soggiunse. - Dalla pa-
rete centrale, che è crollata.
- Avete avuto i l terremoto? ~ sbottò irosamente lo zìo.
- Questo no, signor avvocato, - rispose i l vecchio con tutto i l
viso che g l i sorrideva. - M a tre giorni fa è crollato, con u n fracasso
spaventoso, Ìl soffitto soppalcato della sala d'udienza.
- E allora questo significa che... — e q u i l o zio, impetuoso e col-
lerico com'era, stava per sbottare i n una pesante bestemmia ma tut-
t'a u n tratto si fermò; levò la mano destra al cielo, scostò con la si-
nistra i l berretto d i pelo dalla fronte e m i disse scoppiando a ride-
re: - Chiudiamo la bocca, cugino, per carità, e non domandiamo al
t r o se non vogliamo sentirne dì peggio!,.. Purché non ci crolli Ìl ca-
stello sulla testa!... Però, - soggiunse rivolgendosi al vecchio, - pe-
rò v o i , Franz, non potevate farmi pulire e riscaldare im'altra came-
ra?... E sistemare alla svelta una sala qualsiasi per i l giorno d'u-
dienza?...
- G i à fatto, - disse i l vecchio indicandoci gentilmente la scala e
incominciando a salire.
- V e d i i m p o ' che bel tipo! - esclamò l o zio avviandosi insieme
a me.
Percorremmo lunghi corridoi dalle altissime volte; la lucerna d i
Franz gettava una luce tremula nella tenebra fitta; colorme, capitel-
l i , archi affrescati, ci apparivano a tratti come sospesi nell'aria e al
passaggio delle nostre ombre fluttuanti, gigantesche, le strane figu-
re dipinte sulle pareti sembravano ondeggiare, tremare, bisbiglian-
do nell'eco dei passi rimbombanti: «Non ci svegliate!... N o n sve-
I L MAGGIORASCO 151

gliate questo assurdo mondo magico addormentato fra le antiche


pietre!»
Dopo averci condotto attraverso una lunga fila d i camere buie e
gelide, Franz apri finalmente la porta d i una sala i n cui d accolse i l
domestico saluto d i una bella fiammata crepitante nel camino. Ap-
pena entrato io m i sentii subito meglio; ma lo zìo si fermò i n mezzo
alla sala e domandò con gravità quasi solenne: - Questa dunque sa-
rebbe la sala d i giustizia? - Franz, alzando la lucerna i n modo da
far risaltare una macchia chiara, grande come una porta, sulla vasta
parete scura, disse i n tono cupo e doloroso: - Q u i dentro si è già
fatta giustizia. - Che cosa v i viene i n mente, vecchio?... - esclamò
l o zio liberandosi i n fretta della pelliccia e avvicinandosi al fuoco.
- H o detto cosi, per dire, - rispose Franz. E, accesi i l u m i , apri la
stanza attigua preparata per accoglierci con ogni comodità. D i I I a
poco già sedevamo a una bella tavola imbandita davanti al camino.
A parecchie buone pietanze seguì, per somma soddisfazione e risto-
ro dello zio e del sottoscritto, un'ottima tazza d i punch preparato
alla maniera tipicamente nordica. Appena finito d i mangiare l o zio,
stanco del viaggio, andò a letto.
M a i o ero troppo eccitato dalla novità, dalla stranezza del luogo
e - perché no? - anche dall'ottimo punch, per poter pensare a dor-
mire. Franz sparecchiò la tavola, attizzò i l fuoco e, con u n gentile
inchino, m i lasciò.
E cosi rimasi solo nella vasta e alta sala delle cerimonie. L a ne-
ve aveva smesso d i cadere, l'uragano d i imperversare. O r a i l cielo
era sereno e la luce chiara della luna piena filtrava attraverso le lar-
ghe finestre ad arco, illuminando magicamente t u t t i g l i angoli del-
l'originaUssimo ambiente i n cui la luce fioca delle candele e del ca-
mino non riusciva a penetrare. Come i n m o l t i altri castelli antichi,
anche q u i i l salone aveva u n soffitto a cassettoni pesanti, le pareti
erano decorate con pitture fantastiche e bassorilievi colorati e do-
rati. D a i grandi quadri raffiguranti, per la maggior parte, movimen-
tate e sanguinose scene d i caccia all'orso e al lupo, balzavano f u o r i
teste d i u o m i n i e dì animali intagliate i n legno e poste a completare
i corpi d i p i n t i ; e sotto la luce oscillante e sfavillante della fiamma e
della lima le scene diventavano paurosamente vìve e reali. Fra que-
ste pitture erano inseriti r i t r a t t i a grandezza naturale d i cavalieri i n
costume da caccia : probabilmente antenati del feudatario, cacciato-
r i appassionati. Sia i d i p i n t i che i bassorilievi recavano la patina
scura degli oggetti molto antichi, e perciò tanto più dava nell'oc-
chio la macchia chiara fra le due porte che conducevano nella came-
ra attigua. Si trattava certamente d i una porta murata abbastanza
152 RACCONTI NOTTURNI

d i recente: la muratura nuova, non dipinta né decorata, strideva


assai col resto della parete. C h i non conosce la potente e misteriosa
suggestione degli ambienti strani e inconsueti?... I n una valle rac-
chiusa entro pittoresche pareti dì roccia, nella penombra d i una
chiesa ecc., anche la fantasia più pigra si desta al desiderio d i sensa-
zioni mai provate. Si aggiunga che avevo vent'anni - e parecchi bic-
chieri d i punch forte i n corpo - e m i si crederà se affermo che i n
quella sala m i sentii come non m i ero sentito mai. Immaginate: nel
silenzio notturno i l cupo fragore del mare, g l i ululati del vento simi-
l i a registri d ' u n organo mostruoso suonato da fantomatiche mani...
le n u b i fluttuanti, a chiazze chiare, luminose, simili a giganti i n ag-
guato dietro i vetri tintinnanti delle finestre ad arco... Come non av-
vertire, nel b r i v i d o sottile che m i correva lungo le membra, la pos-
sibilità d i vedere, d i percepire da un momento all'altro u n mondo
sconosciuto?... Quella sensazione rassomigliava tuttavia al brivido
pungente ma piacevolissimo che si prova nel sentir raccontare sto-
rie d i fantasmi. M i verme un'idea: quale stato d'animo avrebbe po-
tuto essere più adatto alla lettura del Visionario d i Schiller? '. Co-
me t u t t i i miei contemporanei appassionati d i romanticismo, quel
libro lo portavo sempre i n tasca. M i immersi dunque nella lettura
e leggendo la mia fantasia si riscaldò sempre più. Giunsi alla descri-
zione potentemente suggestiva della festa nuziale i n casa del conte
von V . , e, proprio al punto i n cui stava comparendo la figura insan-
guinata d i Geronimo, la porta verso l'antisala si aperse con un ter-
ribile schianto. Balzai i n piedi terrorizzato, U l i b r o m i cadde d i ma-
no. M a nello stesso istante t u t t o ritornò silenzioso ed i o m i vergo-
gnai d i essermi impaurito come u n bambino: forse la porta era sta-
ta spalancata da una corrente d'aria o si era aperta cosi, natural-
mente.
«Non è niente, - pensai. - La fantasia sovreccitata m i fa vedere
spettri dappertutto...» — Tranquillizzato, raccolsi i l Hbro e m i ab-
bandonai sulla poltrona. M a ecco: u n passo lieve, lento, cadenzato
percorse diagonalmente la sala... e fra u n passo e l'altro gemiti, so-
spiri... come d i una creatura umana affranta, disperata... «Ah!...
- pensai. - Forse avraimo chiuso qualche animale malato giù al pia-
no d i sotto... Le soHte illusioni acustiche della notte: i suoni lonta-
n i sembrano vicini... che c'è da spaventarsi ? . . . » - Mentre stavo cer-
cando d i tranquillizzarmi, per la seconda volta qualcuno incomin-
ciò a grattare alla porta murata d i fresco sospirando più forte, più

' I I romanzo incompiuto d i Schiller Der Geisterseher (1787-89) ebbe grande successo.
Q u i Hoffmann confonde i l cootc von V . col marchese del M**te IN. d. T,],
I L MAGGIORASCO I53

profondamente, come i n preda agli spasimi strazianti dell'agonia.


- «Sf... C'è proprio una povera bestia ciiiusa là dentro, - pensai an-
cora. - Chiamerò forte... picchierò col piede contro i l pavimento...
L'animale tacerà, o sì farà sentire più chiaramente, con la sua voce
naturale». M a intanto avevo la fronte madida d i sudore freddo e
me ne restavo là, paralizzato sulla mia poltrona, incapace d i alzarmi
e tanto meno dì chiamare. Finalmente l'orribile grattamento ces-
sò... ma i passi tornarono a farsi sentire. Ritrovai d i colpo la vitali-
tà e ì movimenti, balzai i n piedi, feci due passi avanti: una corrente
d'aria gelida attraversò la sala e, contemporaneamente, la luce della
luna cadde sul ritratto d ' u n uomo dall'aspetto severo, quasi pauro-
so... Come sussurrate dalla voce ammonitrice d i quello sconosciu-
t o , i n mezzo al forte fragore del mare e ai sibili acuti del vento not-
turno, intesi chiaramente queste parole: - Fermati... n o n u n passo
d i più... o precipiti negli o r r o r i dell'oltretomba e sei perduto! - E d
ecco, con u n secondo terribile schianto, la porta sì richiuse... U d i i
distintamente ì passi allontanarsi nell'antisala, poi i l portone prin-
cipale del castello aprirsi e richiudersi cigolando... infine sentii co-
me se u n cavallo venisse condotto fuori e ricondotto dentro la stal-
la. Poi d i nuovo silenzio d i tomba. I n quel silenzio u d i i lo zìo sospi-
rare e gemere penosamente nella camera accanto... Ripresi coscien-
za, afferrai u n candeliere ed accorsi. I l vecchio pareva lottare con u n
orrìbile incubo. - Si svegli... sì svegli!... - gridai prendendogli dol-
cemente una mano e facendogli cadere sul viso la luce delle candele.
I l vecchio sobbalzò con u n grido soffocato, poi m i guardò con occhi
affettuosi e disse: - H a i fatto bene a svegliarmi, cugino... A h . . . sta-
vo facendo u n sogno orrendo... T u t t a colpa d i questa camera e del-
la sala l i accanto: m i haimo fatto ricordare ìl passato e certi fatti sin-
golarissimi avvenuti q u i dentro... E adesso facciamoci una bella
dormita! - Si riawolse nelle coperte e parve riaddormentarsi subi-
to; ma quando m i f u i coricato ed ebbi spento i l u m i lo sentii prega-
te sottovoce.
I I giorno dopo ci mettemmo al lavoro. Venne l'ispettore azien-
dale con i conti, parecchie persone chiesero udienza per conciliare
una lite o sistemare qualche faccenda. A mezzogiorno l o zio salì con
me nell'ala laterale ad ossequiare nella debita forma le vecchie ba-
ronesse. Franz ci annunziò. Dovemmo attendere alcuni istanu e
quindi una vecchietta sessantetine, tutta curva, vestita d i seta sgar-
giante, qualificandosi «la cameriera delle loro eccellenze», ci intro-
dusse nel sacrario ove fummo ricevuti, con u n comico cerimoniale,
dalle due anziane signore vestite alla moda d i non so quanti anni fa.
I o , soprattutto, f u i oggetto d i grande meraviglia; e quando lo zio
154 RACCONTI NOTTURNI

m i presentò molto scherzosamente come i l suo giovane assistente


legale lessi i n viso alle due damigelle la convinzione che i l benesse-
re della comunità d i R..sitten fosse gravemente minacciato dalla
mia giovane età. Una scenetta, tutto sommato, abbastanza bufla.
Ma i o m i sentivo ancora nella pelle i b r i v i d i della notte scorsa, sen-
tivo d'esser stato sfiorato da una forza sconosciuta, o meglio, avevo
la sensazione d i essere a u n passo dal limite varcato i l quale sarei
precipitato irrimediabilmente... Avvertivo la certezza d i dover usa-
re tutta la mia forza d'animo per difendermi da u n terrore cui usual-
mente segue soltanto la pazzia inguaribile. Perciò le due vecchie ba-
ronesse dalle curiose pettinature torreggianti e le inverosimili vesti
guarnite d i fiori c nastri d'ogni colore non m i parvero affatto ridi-
cole, bensì spettrali - paurose. M i parve altresì d i leggere i n quei vi-
si raggrinziti e giallastri, i n quegli occhi scintillanti, dì intendere
nella raganella del pessimo francese uscente per metà dalle labbra
livide e contratte, per metà dai nasi aguzzi delle due vecchiette, che
costoro vivessero per l o meno i n buona armonia col fantasma i m -
perversante nel castello, quand'anche non facessero a gara con esso
nel produrre fenomeni terrificanti. L o zio, ìn vena dì allegria, e con
la sua solita arguzia, irretì le due vecchie i n u n tale guazzabuglio d i
ciance che, se la mìa disposizione d'animo fosse stata diversa, dav-
vero n o n avrei saputo trattenermi dallo scoppiare a ridere. M a , r i -
peto, le baronesse col loro cicaleccio continuavano a raggelarmi co-
me apparizioni spettrali; e Io zio, i l quale s'era prefisso d i procurar-
m i u n divertimento prelibato continuava a guardarmi stupito.
Quando fummo soH a tavola, i n camera nostra, sbottò: - M a cugi-
no, i n nome del cielo, m i v u o i dire che cos'hai?... N o n r i d i , non par-
l i , n o n mangi, n o n bevi... Sei malato?... Qualcosa non va?... - Allo-
ra, senza tanti complimenti, g l i raccontai per filo e per segno l ' o r r i -
bile, spaventosissimo fatto deUa notte precedente. N o n g l i tacqui
nxilla, neppure dì aver Ietto Visionario d i Schiller e bevuto molto
punch. - Devo confessare anche questo, - spiegai, - cosi apparirà
chiaro che e stata tutta una creazione della mia fantasia sovreccita-
ta e che quei fenomeni esìstevano soltanto nel mio cervello Cre-
devo che l o zio sì scagliasse con pesante ironia sui visionari credu-
l o n i come me, invece diveime serissimo, fissò ìl pavimento per al-
cuni istanti p o i gettò indietro la testa e disse guardandomi con oc-
chi accesi: - N o n conosco quel l i b r o , cugino. M a la visione non è
certamente dipesa dalla lettura né dal contenuto alcoHco del punch.
Sappi che le stesse cose io le ho sognate; m i pareva d'esser seduto i n
poltrona davanti al camino, com'eri t u , ma ciò che t u hai udito con
le orecchie, i o l ' h o visto chiaramente con g l i occhi interiori. Si, ho
TL MAGT.TORASCO

visto entrare quel demone terrificante, l'ho visto strisciare impo-


tente davanti alla porta murata e grattare disperatamente alla pare-
te fino a sbranarsi, a farsi sanguinare le unghie... l'ho visto scende-
re, tirar fuori i l cavallo e ricondurlo nella scuderia. H a i sentito co-
me cantava i l gallo nel villaggio q u i vicino?... T u m'hai svegliato e
i o ho subito v i n t o i l terrore causatomi dall'orribile uomo i l cui spet-
t r o riesce ancora a turbare la serenità della nostra vita - . I l vecchio
esitò e tacque. I o non g l i feci domande pensando che m i avrebbe
spiegato ogni cosa non appena Io avesse creduto opportuno. DopK)
qualche istante d i raccoglimento lo zio proseguì: - Cugino, ora che
sai come stanno le cose avresti Ìl coraggio dì assistere ancora una
volta all'apparizione del fantasma, insieme a me? - Risposi, natu-
ralmente, che m i sentivo forte abbastanza. — Allora la notte prossi-
ma veglieremo insieme, - concluse luì. - Una voce interiore m i dice
che lo spirito malvagio arretrerà davanti alla mia forza spirituale e
davanti al mio coraggio, basato su una fermissima fede. N o n è un'a-
zione sacrilega ma un'opera santa arrischiare la vita per bandire dì
q u i i l perfido mostro che tiene lontano i figH dal castello dei padri.
E p o i non si tratta d i arrischiare niente, perché quando uno è ani-
mato da intenzioni ferme e rette come le mie e sostenuto da una re-
ligiosa fiducia i n D i o , esce sempre vittorioso da simili scontri. Ciò
nondimeno se è nella volontà d i Dìo che quella forza malefica possa
recarmi offesa t u , cugino, dovrai far sapere a t u t t i che sono caduto
combattendo valorosamente da buon cristiano contro uno spirito
infernale, perturbatore della pace. M a t u , m i raccomando, tieniti
lontano!... N o n t i succederà niente!
Fummo distratti da varie faccende e la giornata passò i n u n ba-
leno. Franz sparecchiò la tavola e portò i l punch come la sera pri-
ma. La luna piena risplendeva attraverso le nubi luminose, ìl mare
rumoreggiava, i l vento della notte ululava facendo tintiimare i ve-
t r i delle finestre. Dominavamo entrambi l'agitazione interiore co-
stringendoci a parlare d i cose insignificanti; lo zio aveva posato sul
tavolo i l suo orologio con suoneria. Batté la mezzanotte. Con uno
schianto orribile la porta sì spalancò, Ìl passo lieve, lento, attraver-
sò d i nuovo diagonalmente la sala, d i nuovo si udirono ì gemiti, i so-
spiri. L o zìo era impallidito ma nei suoi occhi brillava u n fuoco i n -
solito. Si alzò dalla poltrona, sì erse i n tutta la sua statura e cosi, con
la mano sinistra puntata sul fianco e la destra tesa verso ìl centro
delia sala m i parve veramente u n eroe imperioso e risoluto. I gemiti
e i sospiri si fecero sempre più chiari e più f o r t i ; e d i nuovo «qual-
cuno» incominciò a grattare alla parete i n modo ancor più orrendo
della notte precedente. Allora i l vecchio avanzò diritto verso la por-
156 RACCONTI NOTTURNI

ta murata, si fermò davanti al punto da cui provenivano i r u m o r i e


chiamò, con una voce vibrata e soleime che non g l i avevo mai udi-
t a : - D a n i e l e , Daniele!... Che cosa fai qui a quest'ora?... - Udimmo
u n urlo raccapricciante seguito da u n tonfo sordo, come se un gros-
so peso fosse caduto sul pavimento. - V a ' a implorar grazia e mise-
ricordia davanti al trono dell'Altissimo! Quello è i l tuo posto! -
tuonò Io zio con voce ancor più poderosa. - Esci da questa vita, cui
non potrai appartenere mai più! - U n gemito sommesso parve aleg-
giare nell'aria e perdersi nel fragore della bufera incipiente. Allora
lo zio andò alla porta e la richiuse con violenza. I l colpo rimbombò
nell'antisala deserta. C'era nella voce, negli atteggiamenti del vec-
chio zìo qualcosa dì veramente sovrumano, che m i incuteva un sa-
crosanto timor reverenziale. Quando sedette ìn poltrona, i l suo
sguardo era come trasumanato. L o v i d i congiunger le mani e racco-
gliersi i n silenziosa preghiera. Trascorsi alcuni m i n u t i m i domandò
con quella voce ch'egli sapeva rendere cosi carezzevole e toccante :
- Dunque, cugino?... - Ancora i n preda ai b r i v i d i , all'orrore, alla
paura, caddi i n ginocchio e g l i intrisi la mano d i lacrime cocenti.
E g l i m i serrò fra le braccia e stringendomi forte m i disse con grande
dolcezza : - E adesso cerchiamo d i farci un bel sonno beato, caro cu-
gino! - E cosi facemmo. E poiché durante la notte non si verificò
più nuUa d i sinistro ritrovammo la nostra consueta allegria, a spe-
se delle anziane baronesse, sempre u n tantino spettrali, nella loro
stramberia, ma d i una spettralìtà assai divertente, specialmente se
stuzzicata dall'arguzia del vecchio zio.
Dopo parecchi giorni giunse finalmente i l barone con la moglie e
u n numeroso seguito dì cacciatori; giunsero g l i i n v i t a t i , e l'anima-
zione chiassosa più sopra descritta si scatenò tutt'a u n tratto nel ca-
stello. I l barone venne subito da n o i e sì mostrò assai contrariato
dalla nostra nuova sistemazione. Gettò uno sguardo torvo alla por-
ta murata e, volgendosi i n fretta, si passò la mano sulla fronte come
per scacciare u n ricordo penoso. L o zio lo informò del disastro av-
venuto nella sala d'udienza e nelle camere attigue. I l barone deplo-
rò che Franz n o n c i avesse alloggiati meglio e raccomandò allo zio
d i impartire liberamente g l i ordini necessari, qualora g l i mancasse
qualche comodità nel nuovo appartamento, assai peggiore d i quel-
l o i n cui soleva alloggiare. L'atteggiamento del barone verso Io zìo
era n o n soltanto cordiale ma anche, d i r e i , rispettoso, quasi filiale;
e questo era l'unico tratto che, i n u n certo senso, m i riconciliasse col
suo carattere che andava dimostrandosi sempre più brusco e dispo-
tico. A me sembrava badar poco o affatto; evidentemente m i consi-
derava uno scribacchino qualsiasi. La prima volta che m i occupai d i
I L MAGGIORASCO

un contratto seppe subito trovar qualcosa a ridire nella stesura del


documento. I l sangue m i sali alla testa e g l i avrei risposto per le r i -
me se l o zio non si fosse intromesso dicendo che avevo fatto le cose
secondo le sue indicazioni; e, dal punto d i vista legale, la responsa-
bilità era esclusivamente sua. Quando rimanemmo soli m i lagnai con
l u i : i l barone, dissi, m i stava diventando sempre più insopportabi-
le. - Credimi, cugino, ~ m i rispose, - i l barone, malgrado le sue ma-
niere un po' sgarbate è l'uomo migliore del mondo. È diventato co
si, come t i ho già detto, da quando ha ereditato la signoria del mag-
giorasco; prima era u n ragazzo mite e modesto. E, i n fin dei conti,
non è poi cosi insopportabile come t u dici. V o r r e i proprio sapere
perché lo t r o v i tanto antipatico... — queste ultime parole me le disse
con un certo sorrisetto ironico. M i sentii avvampare: potevo non
rendermi conto che quell'inspiegabile odio era nato dall'amore - o,
per meglio dire - dal fatto d i essermi innamorato d i colei che m'e-
- ra parsa la più sublime, la più stupenda creatura giammai passata
sulla terra?... E quella creatura era la baronessa!... Già fin dal gior-
no del suo arrivo, da quando, cioè, l'avevo vista passare attraverso
i corridoi e le sale del castello i n una pelliccia d i zibellino russo ade-
rentissima alle forme aggraziate e col capo avvolto d i ricchi veli, già
fin da allora essa aveva esercitato su d i me u n fascino irresistibile.
La seguivano a piccoli passi saltellanti, una a destra, l'altra a sini-
stra, gargarizzando frasi d i benvenuto i n francese, le due vecchie
zie, vestite e pettinate i n modo ancor più inverosìmile del consueto.
La bella signora avanzava lanciando intorno occhiate d'una dolcez-
za indicibile, salutando le varie persone ferme al suo passaggio con
affabili cenni d i testa, rivolgendosi ora all'uno, ora all'altro in dia-
letto curlandese purissimo inframmezzato da qualche parola flauta-
ta i n tedesco,
L'assieme d i tutte queste cose formava u n quadro d'una singola-
rità straordinaria che io incoscientemente associavo alle sinistre
manifestazioni notturne: la baronessa era l'angelo della luce giun-
to a piegare le forze degli spiriti maligni. Quella donna meraviglio-
sa la vedo ancora come se fosse viva, con gU occhi della memoria.
Poteva, allora, avere diciannove anni ; i l viso, delicato come l'intera
persona, era improntato a un'espressione d i angelica bontà. Io
sguardo degli occhi neri, talvolta adombrato d i lunare malinconia,
aveva u n fascino veramente indescrivibile, i l sorriso dischiudeva
u n paradiso d i delìzie. Spesso ella pareva smarrirsi totalmente i n se
stessa e allora un'ombra passava sul suo bellissimo viso. Sì sarebbe
potuto supporre che portasse i n sé i m tormentoso segreto; ma io
supponevo, invece, che i n tali momenti fosse assalita dal presenti-
158 RACCONTINOTTURNI

mento d ' u n avvenire fosco e gravido d i sventure; e, p u r senza sa


permene dar chiaro conto, mettevo i n relazione anche questa sfu-
matura espressiva col fantasma del castello. La mattina dopo l'ar-
r i v o dei baroni, quando g l i invitati si riunirono per la prima cola-
zione, l o zio m i presentò alla baronessa. Come sempre accade a chi
si trova nello stato d'animo i n cui ero Ìo, m i comportai i n modo i n -
dicibilmente sciocco. La bellissima donna m i rivolse le solite do-
mande insignificanti — (... m i piaceva i l castello ?... m i ci trovavo be-
ne?... ecc.) ed i o risposi impegolandomi i n u n lungo e ingarbuglia-
to discorso senza capo né coda; tanto che le due vecchie zie, attri-
buendo i l m i o imbarazzo al profondo rispetto per la signora, cre-
dettero bene d i prendere le mie difese. E m i lodarono molto defi-
nendomi «un garijon très joli» u n ragazzo molto valente e come si
deve. La cosa m i seccò; ripresi subito i l controllo dì me e gettai là
una battuta dì spirito i n u n francese migliore d i quello parlato dalle
due vecchie, le quali m i guardarono con tanto d'occhi affrettandosi
a i m b o t t i r d i tabacco i lunghi nasi appuntiti. Dallo sguardo lanciato
d i sfuggita dalla baronessa ad tm'altra signora, compresi che la mia
sortita era stata u n po' troppo spinta. Questo m i seccò ancora d i
più e i n cuor mìo mandai mille volte all'inferno le due vecchie. L'e-
tà dei languori pastorali, delle infelici infatuazioni puerili era passa-
ta da u n pezzo; a farmela passare aveva provveduto la sferzante iro-
nia dello zio; ma la baronessa m i aveva colpito ben più profonda-
mente d i qualsiasi altra dorma, e d i questo ero certo. Vedevo, udi-
vo l e i soltanto, ma m i rendevo perfettamente conto che voler ten-
tare una qualsiasi avventura sarebbe stato un'assurdità, una follia,
cosi come m i rendevo conto della impossibilità d i anunirarla, d i a-
dorarla da lontano come u n ragazzino innamorato, senza dovermi
vergognar dì me stesso. Avvicinare quella donna meravigliosa sen-
za lasciar trapelare nulla dei miei sentimenti, suggere i l dolce vele-
no dei suoi sguardi, delle sue parole e poi andarmente e portarmela
i n cuore a lungo, forse per sempre: questo volevo e potevo fare!
Quell'amore romantico, diciamo pure cavalleresco, ribollendo i n
me durante le n o t t i insonni m i esaltava talmente e m i rendeva i n -
fantile al p u n t o d i farmi parlare da solo e gemere fra i sospiri: - Se-
rafina... o h , Serafina!... - Una notte l o zio si svegliò e m i disse:
- Cugino, cugino!... Credo che t u stia farneticando ad alta voce!...
Fallo d i giorno, se possìbile, ma d i notte lasciami dormire! - M i
preoccupai molto al pensiero che l o zio, avendo già notato la mia
eccitazione all'arrivo deUa baronessa, ora m i avesse anche inteso
pronunciare i l suo nome e m i bersagliasse dì frecciate sarcastiche.
Invece, la mattina dopo, mentre stavamo entrando nella sala dì u-
I L MAGGIORASCO

dienza m i disse soltanto: - D i o conceda a n o i t u t t i la necessaria do-


se d i sano buon senso e l a capacità d i tenerselo da conto. Trovarsi
da u n momento all'altro trasformato i n u n birbante è u n gran brut-
to affare - . Cosf dicendo sedette al grande tavolo e soggiunse:
- Scrivi chiaro, caro cugino, m i raccomando, i n modo ch'io possa
leggere senza inciampi.
La grande stima, i l rispetto filiale che i l barone portava allo 2Ì0
; si manifestavano i n ogni circostanza; a tavola, ad esempio, mio zio
doveva sedere al posto invidiato da t u t t i , accanto alla baronessa. I o
; invece sedevo u n po' qua u n p o ' là, ma quasi sempre venivo seque-
: strato da u n paio d i ufficiali g i u n t i dalla vicina capitale i quali si sfo-
- gavano a raccontarmi tutte le ultime novità, più o meno divertenti,
, 'Cogliendo l'occasione per bere con abbondanza. E cosi, per m o l t i
I, giorni consecutivi sedetti lontanissimo dalla baronessa, all'opposta
/estremità della tavola; p o i finalmente u n caso fortunato m i permi-
• se d i avvicinarla. U n giorno, mentre la sala da pranzo veniva aperta
.agli ospiti, la dama d i compagnia della baronessa, una signorina non
più giovanissima ma non brutta né priva d i spirito, aveva avviato
1; con me una conversazione che sembrava piacerle. Com'è consuetu-
! dine dovetti porgerle i l braccio, la baronessa le fece u n gentile cen-
: no d'intesa e, con mia somma gioia, la signorina le sedette accanto.
(Come si potrà immaginare da quel momento ogni mia parola f u in-
^ tenzionalmente diretta non già alla vicina d i tavola bensì alla baro-
f nessa. N o n so se fosse l'eccitazione interiore a dare un'enfasi parti-
•-colare al mio discorso, fatto si è che la signorina si fece sempre più
liattenta e finì per lasciarsi prendere completamente dal variopinto
r panorama d i immagini sempre cangianti che le sciorinavo davanti
agli occhi. Come già ho detto, non era priva d i spirito e così la no-
! stra conversazione non tardò a rendersi indipendente dalle chìac-
chiere superficiaU e incoerenti degli altri commensali... E qualche
'^scintilla andò a cadere là dove io desideravo! M i avvidi che la mia
> vicina lanciava occhiate significative alla baronessa e questa si sf or-
; iZava d i ascoltare. Ciò avvenne specialmente quando i l discorso cad-
f de sulla musica ed io m i misi a parlare con acceso entusiasmo d i
') quell'arte stupenda e divina confessando, infine, d i saper suonare
r discretamente i l pianoforte, e anche cantare, e d i aver perfino com-
; posto qualche canzone, ad onta dell'arida e noiosa giurisprudenza
cui m'ero dedicato. Frattanto eravamo passati nella sala attigua per
''prendere i l caffè e Ì l i q u o r i . T u t t ' a u n tratto - non so neppure Ìo co-
irne awerme - m i ritrovai d i fronte aUa baronessa, la quale subito
m i rivolse la parola tornando a domandarmi (... ma questa volta con
u n tono d i voce assai più cordiale, come se parlasse a u n vecchio a-
i6o RACCONTI NOTTURNI

mico...), se m i piacesse vivere al castello, eccetera eccetera. Risposi


che durante Ì p r i m i giorni i l desertico squallore dei dintorni c Ìl ca-
stello stesso cosi severo ed antico, m i avevano messo i n uno stato
d'animo particolare; ma proprio da tale stato d'animo erano nate in
me molte bellissime idee e pertanto speravo d i venir dispensato dal-
le cacce crudeli cui non ero abituato.
- Capisco benissimo, - disse la baronessa sorridendo, - che i
passatempi brutali nelle nostre foreste d i p i n i n o n debbano andarle
molto a genio. L e i è musicista e - se non m i inganno - dev'essere
anche poeta. A m o appassionatamente sia la musica che la poesia!
Suono u n pochino l'arpa, ma q u i a R..sitten devo rinunciarvi per-
ché mio marito n o n m i permette d i portarla con me. La voce del-
l'arpa è troppo flebile e delicata e si fonderebbe male con g l i halloh
forsetmati, con g l i striduli squilli d i corno dei cacciatori! E q u i non
è lecito ascoltare altri suoni. D i o mio... come m i farebbe piacere un
p o ' d i musica!...
Pur d i esaudire Ìl suo desiderio avrei messo tutta la mia arte a
sua disposizione, risposi... Indubbiamente nel castello c'era u n pia-
noforte, foss'anche vecchio... - La signorina Adelaide (cosi si chia-
mava la dama d i compagnia) scoppiò i n una chiara risata; al castel-
l o n o n si era mai udito altro strumento all'infuorì delle trombe gra-
cidanti, dei lamentosi corni da caccia,... e forse si potevano ancora
aggiungere i violini rechi, i contrabbassi stonati, g l i oboi belanti dei
suonatori girovaghi! N o n lo sapevo?... La baronessa tornò ad espri-
mere i l desiderio d i udire u n p o ' d i buona musica... voleva assolu
tamente sentirmi suonare. E , con Adelaide, incominciò a passare in
rassegna t u t t i i possibili mezzi per procurarsi u n «fortepiano» pas-
sabile.
I n quel momento i l vecchio Franz attraversò la sala.
- Ecco l'uomo capace d i trovare rimedio a t u t t o ! . . . D i procura-
re anche le cose più inverosimili e inaudite!... - esclamò Adelaide
facendogli segno d i avvicinarsi; e mentre g l i spiegava d i che cosa si
trattasse, la baronessa la stava ad ascoltare con le mani giunte, la te-
sta leggermente protesa i n avanti, spiando l o sguardo del vecchio
con u n sorriso dolcissimo. Era deliziosa a vedersi: sembrava una
bella bambina impaziente d i stringer fra le mani i l giocattolo desi-
derato. Franz dapprima enumerò, nel suo solito stile prolisso, i
m o l t i e svariati m o t i v i che rendevano assolutamente impossìbile
procurarsi cosi su due piedi uno strumento tanto raro, poi sì acca-
rezzò la barba e disse con u n sorriso sornione; - Però... la moglie
dell'ispettore aziendale, là al villaggio, è bravissima a suonare i l
clavicembalo, sì, dico... quello strumento che loro chiamano con
I L MAGGIORASCO

u n nome straniero... E canta anche, con voce così deUcata e lamen-


tosa da far venire g l i occhi rossi, come quando si tritano le cipol-
le - . Sì, a sentirla verrebbe perfino voglia d i mettersi a ballare.
— E possiede u n pianoforte?... - lo interruppe la signorina Ade-
laide. - E h , sicuro.., arrivato direttamente da Dresda, - precisò i l
vecchio. — Proprio un... - Ma è magnifico! — esclamò la baronessa
senza lasciarlo finire. - ... u n bello strumento, - prosegui Franz, -
ma u n p o ' delicatino; perché quando l'organista, poco tempo fa, ci
ha suonato sopra i l corale In tutte le mie azioni, lo ha completamen-
te sfasciato, e così... - O D i o ! . . . - esclamarono la baronessa e la si-
gnorina Adelaide ad una voce. - E così, - riprese Franz, - haimo
dovuto mandarlo a R. ' a riparare. C i haimo speso u n occhio della
testa. - Adesso è d i nuovo qui? - domandò la signorina Adelaide
con impazienza. ~ M a certo, egregia signorina. E la moglie dell'i-
spettore sarà ben onorata d i . . . - I n quel momento passò i l barone,
sì volse a guardare ìl gruppo, rimase u n po' interdetto e sussurrò
alla baronessa con u n sorriso ironico : - Franz è stato dì nuovo chia-
mato a dare i suoi soliti buoni consigli?... - La baronessa abbassò
gli occhi arrossendo; Franz tacque dì botto e si irrigidì ìn posizione
d i attenti, i l capo eretto e le braccia bene aderenti al corpo. L e vec-
chie zie avanzarono fino a n o i veleggiando nelle seriche vesti e tra-
scinarono via la baronessa. I o rimasi là, incantato... Insieme all'in-
dicibile gioia d i poter forse avvicinare la mia adorata, la regina d i
t u t t o l'esser mìo, provavo u n senso d i indignazione, dì sordo ranco-
re nei confronti del barone, i n cui vedevo u n rudissimo despota. Se
fosse stato altrimenti, u n vecchio servitore coi capelli grigi sì sareb-
be comportato così, come uno schiavo?...

- M i vedi, m i sentì finalmente?... - gridò lo zio battendomi u n


colpetto sulla spalla. Salimmo i n camera nostra. - N o n ronzare tan
to intorno alla baronessa, - m i disse n o n appena fummo soli. - Che
senso c'è?... D i giovani bellimbusti donnaioli è pieno i l mondo!...
Queste cose lasciale fare a loro! - Raccontai com'erano andate le
cose e lo pregai d i d i r m i francamente se meritavo i l suo rimprovero.
-- H m , h m . . . - fece l u i senza rispondermi; e, infilatasi la vestaglia,
sedette i n poltrona, accese la pipa e incominciò a parlare della cac-
cia del giorno prima, sfottendomi per ì mìei t i r i andati a vuoto.
I l castello era piombato nel silenzio: signore e signori sì erano
r i t i r a t i nelle rispettive camere e stavano vestendosi e facendosi bel-
l i per la serata. Quei tali suonatori d i v i o l i n i arrochiti, contrabbassi
stonati, oboi belanti, cui aveva accermato la signorina Adelaide era-

' Frobabìtmente; « K » , cioè Kóntgsberg.


l62 RACCONTI NOTTURNI

no arrivati per davvero; e quella sera ci si attendeva niente meno


che u n ballo i n piena regola. L o zio, che a tali frivolezze preferiva
una buona dormita, rimase i n camera; io invece m i vestii per i l bal-
l o , ed ero già pronto quando qualcuno bussò piano alla porta. Entrò
Franz ad armunziarmi con u n sorriso soddisfatto che i l clavicembalo
della moglie dell'ispettore era giunto su una slitta poco prima e sta-
vano trasportandolo nella camera dell'illustre signora baronessa.
La signorina Adelaide m i pregava dì salire. Immaginate con quale
batticuore, con quale dolce trepidazione spinsi la porta ed entrai...
da l e i ! . . .
M i veime incontro la signorina Adelaide tutta feHce. La baro-
nessa, già vestita per i l ballo, sedeva davanti alla misteriosa cassa
entro cui sonnecchiavano i suoni ch'ero stato chiamato a ridestare.
Quando m i vide si alzò: era d'una bellezza cosf radiosa ch'io rima-
si a fissarla senza riuscire a profferir parola. - Bene, Teodoro, - m i
disse con cordialità, - (secondo la gentile costumanza nordica, che
si ritrova anche all'estremo sud, essa chiamava t u t t i per nome di
battesimo). - Bene, Teodoro, lo strumento è arrivato. Voglia i l cie-
l o che n o n sia indegno della sua arte!... - Come sollevai i l coperchio
u n groviglio d i corde rotte quasi m i saltò sulla faccia ronzando. Pro-
vai a mettere giù i m accordo ma le corde ancora intatte erano stona-
te, perciò ne usci qualcosa d i orripilante. - Evidentemente ci sono
d i nuovo passate sopra le manine garbate dell'organista, - commen-
tò la signorina Adelaide ridendo. - A h i . . . Che disdetta!... ~ escla-
mò la baronessa contrariata, - possibile ch'io non debba avere que-
sta gioia?... - Cercai nel contenitore dello strumento e trovai, per
fortuna, alcuni r o t o l i d i corda, ma non la chiave per accordare. -
Nuove esclamazioni d i disappunto! - Qualsiasi chiave è buona,
— spiegai, — purché la mappa sì adatti al pirolo della corda - . Imme-
diatamente la baronessa e la signorina Adelaide corsero a frugare
dappertutto, felici; e poco dopo sulla cassa d i risonanza avevo un
intero emporio d i chiavette lucenti.
Assistito ed aiutato dalla baronessa e dalla signorina Adelaide
m i misi al lavoro; tentai varie chiavi: finalmente u n pirolo restio
parve muoversi. - Va'... va' !... - gridarono le due signore con gioia.
M a ecco, la corda gemette tendendosi fino alla nota giusta... e saltò!
Balzammo indietro spaventati. La baronessa si dava da fare cercan-
do d i districare con le delicate manine le ribelli corde metalliche, m i
porgeva i numeri che via via le chiedevo, reggeva con cura ì rotoli
mentre ìo lì svolgevo. Improvvisamente una corda ci sfuggi d i ma-
no e schizzò vìa ronzando: la baronessa lanciò u n piccolo - A h ! .-•
- d'impazienza, la signorina Adelaide scoppiò a rìdere. Inseguii i l
I L MAGGIORASCO 163

rotolo ingarbugliato fin nell'angolo opposto della camera e, tutt'e


tre insieme, cercammo d i ricavarne una corda senza piegature peri-
colose. La montai, la tesi e quella, per la nostra disperazione, d i
nuovo si spezzò. Finalmente trovammo i r o t o l i buoni; le corde i n -
cominciarono a tenere, dal ronzio stonato uscirono a poco a poco
accordi chiari, p u l i t i . - A h . . . ci siamo, ci siamo... lo strumento si ac-
corda!... - esclamò la baronessa guardandomi con u n soave sorri-
' so... A h , come fece i n fretta quel lavoro comune a scacciare i l senso
d i distacco, d i freddezza, generato dalle convenienze sociali!... I n
quei pochi m i n u t i si era stabilita fra n o i una corrente, direi elettri-
ca, d i intimità e aveva dissipato i n u n baleno l'agghiacciante imba-
, razzo che m i mozzava i l respiro.
I l pathos tutto speciale, proprio d i chi è innamorato come lo ero
: i o , m i aveva totalmente lasciato; e cosi, quando infine i l pianoforte
;;fu accordato i n modo passabile, invece d i tradurre i miei sentimenti
, i n fantastiche improvvisazioni - come avrei voluto fare - andai a
-cadere nel repertorio delle languide canzonette amorose pervenute-
ci dal meridione. Durante t u t t i quei: «Senza d i te»... «Sentimi, i -
,dol mio»... «Almen se non poss'io»... «Morir m i sento»... «Ad-
L'dio!»... « O h Dio!...»,gH occhi d i Serafina diventavano sempre più
: lucenti. M i sedeva talmente vicina che ne sentivo l'alito sfiorarmi le
guance. Mentre stava così, appoggiata allo schienale della mia seg-
igiola, un nastro bianco del suo grazioso vestito da ballo si sciolse,
imi ricadde sulla spalla e, mosso dall'emissione della mia voce e dai
'lievi sospiri di lei, continuò a svolazzarmi intorno accarezzandomi
come un fido messaggero d'amore... F u u n vero miracolo se n o n
persi la ragione!... A u n certo punto, mentre vagavo fra gU accordi
Cercando d i ricordare una certa canzone, la signorina Adelaide, se-
duta nell'angolo della camera, balzò i n piedi, corse ad inginocchiar-
si davanti alla baronessa e prendendole le mani, e premendosele al
seno, la supplicò: — O baronessa... Serafinuccia cara... adesso devi
ìtantare anche t u ! . . . - M a che cosa t i viene i n mente, Adelaide?...,
- rispose la baronessa. - Come potrei far sentire i l m i o povero can-
to al nostro virtuoso?... - Era incantevole a vedersi mentre, com-
battuta fra la timidezza e i l desiderio, abbassava gli occhi arrossen-
do come una bimba vergognosa. Immaginerete quanto la supplicai
anch'io; e quando la sentii far cenno a certe canzoncine popolari
Curlandesi non le diedi tregua fino a che l e i non allungò la mano si-
nistra sulla tastiera tentando d i trovare alcune note introduttive.
Feci per lasciarle i l posto ma lei non volle: disse d i non saper suo-
nare neppure un accordo e che senza accompagnamento i l suo canto
Sarebbe risultato ben magro e malcerto. Finalmente, con voce tene-
104 RACCONTI NOTTURNI

ra e purissima, una voce sgorgante dal fondo del cuore, intonò una
canzone la cui semplice melodia aveva i n tutto e per t u t t o Ìl caratte-
re d i quei canti popolari cosi schietti, immediati, luminosi da farci
riconoscere la nostra superiore natura poetica. Le parole del testo,
per lo più insigiùfìcanti, diventano geroglifici dei sentimenti ine-
sprimibili d i cui abbiamo l'anima ricolma. Chi non ricorda la can-
zonetta spagnola i l cui testo dice a u n dipresso: «Navigavo sul ma-
re con la mia ragazza. Scoppiò la burrasca e la mia ragazza prese ad
ondeggiare spaventosamente su e giù. N o ! M a i più navigherò sul
mare con la mia ragazza! », o non molto più d i cosi? La canzoncina
della baronessa diceva invece: «Ballai col mio tesoro a una festa d i
nozze - le cadde u n fiore dai capelli - lo colsi - glielo diedi - Quan-
do, fanciulla, - le dissi - andremo ancora a nozze?...»
Quando accompagnai arpeggiando la seconda strofa della can-
zoncina e, trascinato dall'entusiasmo, riuscii a carpire le melodie
delle canzoni successive direttamente dalle labbra della baronessa,
dovetti apparire agli occhi suoi e della signorina Adelaide i l più
grande dei maestri v i v e n t i , perché entrambe m i colmarono d i lodi.
Vedemmo filtrare dalle finestre le luci già accese della sala da ballo,
situata nell'ala laterale del castello. Una fanfara stonata d i trombe
e corni ci annunziò che era ora d i recarsi alla festa. - A h . . . devo an-
dare! - esclamò Serafina. - L e i m i ha fatto passare un'ora magnifi-
ca... forse la prima ora serena ch'io abbia mai trascorso a R..sitten,
- e m i porse la mano. Balzai i n piedi, inebriato, estasiato, m i pre-
m e t t i la sua mano alle labbra, sentii le pìccole dita pulsare violente-
mente fra le mìe !... N o n so d i r v i come entrai nella camera dello zio
e quindi nella sala da ballo... « Quel Guascone teme la battaglia per-
ché, essendo t u t t o cuore, qualsiasi ferita g l i riuscirebbe morta-
le!...» Altrettanto avrei dovuto dire d i me, altrettanto dovrei dire
d i chiunque sì t r o v i nel mìo stato d'animo d i allora... Quando sì è i n
quello stato ogni contatto diventa mortale... La mano della baro-
nessa, le sue dita pulsanti m i avevano colpito come frecce avvelena-
te... i l sangue m i ribolliva nelle vene!
Pur senza avermi rivolto alcuna domanda, l o zio la mattina do-
po già conosceva la storia della serata da me trascorsa con la baro-
nessa; ed ìo rimasi non poco imbarazzato quando, dopo avermi par-
lato allegramente, sorridendo, sì fece tutt'a un tratto serissimo e m i
disse: - T i prego, cugino, reagisci a questa follìa! Quello che stai
facendo, per quanto innocente possa sembrare, potrebbe avere con-
seguenze tremende. Tienilo a mente... Nella tua incoscienza stai
camminando su una sottile crosta dì ghiaccio che t i si spezzerà sotto
i piedi, quando meno te lo aspetti... Se t i vedrò sprofondare m i
I L MAGGIORA S CO 165

guarderò bene dal trattenerti per le falde della giacca perché, già lo
I so, bene o male t i tirerai f u o r i da solo e, pur colpito a morte, t i d i -
I r a i : Questo p o ' d i raffreddore me lo sono buscato i n sogno - . E i n -
vece una febbre maligna t i consumerà fino al midollo, e dovranno
Ijpassare anni ed anni prima che t u t i riprenda... I l diavolo si p o r t i
|.Ìa musica se con essa non sai far niente d i meglio che turbare la pa-
ce delle donnicciole sentimentali !... - M i è forse mai passato per la
I mente d i fare i l cascamorto con la baronessa?... - protestai risenti-
I to. - Babbeo ! - gridò l u i . - Se sapessi una cosa simile t i butterei dal-
l l a finestra! - Sopraggiunse i l barone a interrompere i l penoso col-
l^loquio; mettendomi al lavoro m i strappai all'amoroso fantasticare
i d i Serafina, e p o i ancora d i Serafina. I n società la baronessa si l i m i -
jtava a rivolgermi qualche parola gentile d i quando i n quando; ma
.quasi non passava sera senza che m i facesse segretamente invitare
I t a l i a signorina Adelaide a salire da lei. A l l a musica alternavamo
conversazioni d i vario genere. La signorina Adelaide, anche troppo
I ijngenua ed estrosa per la sua non più giovanissima età, quando io
e Serafina incominciavamo ad addentrarci nel campo dei presagi e
dei sogni sentimentali, saltava f u o r i a sproposito con certe sortite
Infacete e piuttosto c o l i s e . D a alcuni accermi dovetti ben presto
I convincermi che la baronessa aveva veramente nell'animo u n qual-
,die grave motivo d i turbamento, come m'era parso d i leggerle ne-
Lgh occhi la prima volta che l'avevo vista. Ripensai all'influsso male-
I fico del fantasma d i famiglia: qualcosa d i spaventoso era accaduto
I o stava per accadere... N o n so quante volte f u i sul punto d i raccon-
|,tarle come fossi stato sfiorato da quel nemico invisibile, e come Ìl
Invecchio zio lo avesse scacciato forse per sempre. M a nel momento
i'm cui stavo per parlare u n inspiegabile ritegno mi paralizzava la
'lingua.
; U n giorno la baronessa non scese a pranzo, pareva fosse indi-
sposta e non potesse lasciare la camera. Qualcuno si fece premura
idi domandare al barone se si trattasse d'un malanno serio. Coa u n
, odioso sorriso amaro, sprezzante, egli rispose; — Soltanto u n lieve
raffreddore... Colpa del nostro crudo vento dì mare che non può
soffrire le vocine dolci e tollera una sola musica: i brutali halloh del-
la caccia - ; e cosi dicendo lanciò un'occhiata tagliente nella mia dl-
: rezione; io gli sedevo quasi dirimpetto : non aveva parlato al mio v i -
i i d n o , ma proprio a me! La signorina Adelaide, seduta al mio fianco,
si fece d i brace, abbassò g l i occhi e, scarabocchiando con la for-
chetta sul fondo del piatto, mormorò: - ... E oggi t u vedrai Serafi-
na... e oggi ancora le tue dolci canzoncine blandiranno i l suo cuore
malato... - Anche Adelaide aveva parlato a me ; ma ìn quel momen-
i66 RACCONTI NOTTURNI

to m i parve d i essere i n u n rapporto equivoco, illecito con la baro-


nessa, u n rapporto che si sarebbe p o t u t o conchiudere soltanto nel-
l'orrore, nel delitto. G U ammonimenti del vecchio zio m i ricaddero
pesanti sul cuore. Che cosa dovevo fare?... N o n rivederla più?...
Fintantoché stavo al castello questo n o n era possibile; e se anche
m i fosse stato lecito andarmene, ritornare a N . , n o n ne sarei stato
capace. Ahimè!... Sentivo anche troppo bene d i n o n essere forte ab-
bastanza per scuotermi da quel sogno fallace d'una impossibile fe-
licità. I n certi momenti Adelaide m i pareva poco meno che una vol-
gare mezzana ed ero tentato d i disprezzarla, p o i subito m i ripren-
devo, vergognandomi della mia stupidità. Che cosa era accaduto,
dopo t u t t o , durante quelle deliziose ore serali?... SÌ era forse stabi-
l i t o u n rapporto dì intimità, fra me e Serafina, ìn qualche modo i n -
compatibile con le convenienze, i l decoro?... Come m i permettevo
d i pensare che la baronessa provasse qualcosa per me?... Eppure
ero convinto della pericolosità della m i a situazione!
Q si alzò da tavola prima del solito perché si doveva ancora
uscire a caccia dì certi l u p i apparsi nella pineta, a pochi passi dal ca-
stello. L'idea della caccia armonizzò m o l t o bene col mìo stato d i ec-
citazione. Dissi al vecchio che volevo andare anch'io. - Bravo, m i
fa piacere! - m i rispose sorridendo soddisfatto. - I o resto a casa:
p u o i prendere la mia carabina. E n o n dimenticare d i allacciarti alla
cintura i l coltello da caccia: è un'arma sicura e fidata, purché uno
non perda la testa.
La zona del bosco i n cui si erano radunati i l u p i venne circonda-
ta dai cacciatori. Faceva u n freddo tagliente, i l vento ululava fra i
p i n i sbattendomi sulla faccia i l bianco nevischio; incominciò ad
i m b r u n i r e , i o non vedevo a oltre sei passi d i distanza. Intirizzito
lasciai i l posto assegnatomi per andare a cercar riparo nel folto del
bosco. M i appoggiai a un albero, col fucile sotto i l braccio e... scor-
dai la caccia: i miei pensieri m i avevano ricondotto nella camera se-
greta, là, da Serafina!... Echeggiò qualche sparo, lontano... Quasi
contemporaneamente u d i i u n fruscio nel canneto e, a meno d i dieci
passi da m e , v i d i passare correndo u n grosso l u p o . Imbracciai l'ar-
ma, sparai... fallii i l colpo... L'animale, con occhi dì brace, m i si av-
ventò... Sarei stato spacciato se non avessi avuto la presenza d i spi-
r i t o d i trarre U coltello da caccia e immergerglielo nella gola nell'i-
stante i n c u i stava per azzannarmi. I l sangue m i schizzò sulla mano
e sul braccio. U n o dei guardiacaccia del barone, appostato non lon-
tano da me, sopraggiunse gridando, e al suo reiterato richiamo, tut-
t i si precipitarono intorno a n o i . I l barone accorse verso dì me:
- Per l ' a m o r dì D i o . . . L e i sanguina?... Sanguina... è ferito?... - Lo
I L MAGGIORASCO 167

assicurai che non lo ero; allora egli si scagliò contro i l guardiacaccia


appostato vicino a me e l o colmò d i rimproveri perché non aveva
immediatamente sparato quando m i aveva visto sbagliare i l colpo;
e benché l'altro spergiurasse d i n o n aver assolutamente p o t u t o far
fuoco perché i l lupo m i era già addosso e avrebbe rischiato d i colpi-
re me, i l barone insistette nel dire che, essendo io un cacciatore ine-
sperto, m i si doveva sorvegliare i n modo specialissimo. Frattanto i
guardiacaccia avevano sollevato l'animale: era i l più grosso lupo
che mai si fosse visto da tanto tempo. T u t t i rimasero stupiti ed am-
m i r a t i del mio coraggio e della mia decisione, quantunque a me
sembrasse d i aver fatto una cosa naturalissima; ed effettivamente
non avevo neppure pensato d i star correndo u n cosf grave pericolo.
I l barone si mostrò più premuroso d i t u t t i ; n o n finiva più d i do-
mandarmi se, pur n o n essendo stato ferito dalla belva, non temessi
le conseguenze dello spavento. P o i , affidato i l fucile a u n guardia-
caccia, m i prese sotto braccio come u n amico e, ritornando al castel-
lo, continuò a parlare della mia eroica impresa. F i n i i per credere io
stesso al m i o eroismo, persi ogni imbarazzo, convinto d i essermi af-
fermato d i fronte al barone come u n uomo eccezionalmente corag-
gioso e risoluto. L o scolaretto aveva superato brillantemente i l suo
esame e non era più u n ragazzino umile e tremebondo. I l d i r i t t o d i
conquistarmi i favori d i Serafina m i parve u n fatto acquisito. È no-
to d i quah accostamenti sia capace la fantasia dj u n giovane irma-
morato. Quando fummo r i u n i t i attorno al camino, davanti a una
caraffa d i punch fumante, potei pavoneggiarmi come l'eroe della
giornata. O l t r e a me soltanto i l barone aveva abbattuto u n bel lupo ;
gli altri dovettero accontentarsi d i attribuire i p r o p r i t i r i f a l l i t i al
maltempo o all'oscurità, e d i raccontare terrificanti episodi d i cacce
fortunate e d i pericoli corsi... i n passato. Certissimo d i raccoglier le
l o d i e l'ammirazione dello zio, g l i raccontai abbastanza per disteso
la mia avventura, non dimenticando d i descrivere a colori assai v i -
v i d i l'aspetto feroce della fiera assetata dì sangue. L o zio m i rise sul-
la faccia e commentò : - D i o è forte nei deboli !
Quando, stanco d i bere, stanco d i stare i n compagnia, m i avviai
lungo i l corridoio, v i d i davanti a me una figura col lume i n mano
sgattaiolare nella sala d'udienza; v i entrai anch'io e riconobbi la si-
gnorina Adelaide: - Bisogna p r o p r i o andare vagando come fanta-
smi, come sonnambuli, per trovarla, mio valoroso cacciatore d i l u -
p i ! - m i sussurrò prendendomi per mano. Le parole «fantasma»,
«sormambulo», pronunziate i n quel luogo m i caddero pesanti sul
cuore, richiamandomi istantaneamente alla memoria le apparizioni
d i quelle due n o t t i tremende. I l vento d i mare ululava come allora,
i68 RACCONTI NOTTURNI

nei suoi profondi registri d'organo, filtrando con sibili e scricchiolii


paurosi attraverso le finestre ad arco. La luna proiettava la sua pal-
lida luce esattamente sulla parete misteriosa contro cui avevo udito
grattare; ora m i parve d i scorgervi una macchia d i sangue. La signo-
rina Adelaide, continuando a tenermi per mano, dovette sentire i l
gelo che m i correva per le vene. - Che cos'ha, che cos'ha? - m i do-
mandò sottovoce. - È tutto intirizzito... Aspetti, ora la richiamo
alla vita! Sa che la baronessa muore dall'impazienza d i rivederla?...
N o n vuole credere che quel terribile lupo non l'abbia morso... Sta
terribilmente i n pena... A h , amico mio, che cosa ha fatto alla piccola
Serafina ?... N o n l ' h o mai vista cosi !... U h h !... Adesso sf che Ù polso
riprende a battere... Guarda guarda come si è svegliato all'improv-
viso questo signore che pareva morto! Bene: venga, ma faccia pia-
no, m i raccomando. Dobbiamo andare dalla piccola baronessa.
M i lasciai condurre tacendo. I I modo i n cui Adelaide parlava
della baronessa m i pareva indegno... e quell'accenno a un'intesa fra
noi, addirittura volgare. Quando entrai, Serafina lanciò u n piccolo
- A h ! . . . - e fece quattro o cinque passi d i corsa per venirmi incon-
tro; p o i si fermò i n mezzo alla camera come pentita. A r d i i prender-
le la mano e premermela alle labbra. - M a , santo I d d i o , - disse lei
lasciando la mano fra le mie. - Le sembra cosa adatta al suo mestie-
re prendersela coi lupi?... I tempi favolosi d i Orfeo e d i Anfione
sono passati da u n pezzo, non Io sa?... E g l i animali feroci hanno
perso ogni rispetto anche per ì cantori più subHml - . Questa gra-
ziosa sortita m i tolse ogni possibilità dì male interpretare i l vivo
interessamento della baronessa per me, facendomi immediatamen-
te ritrovare i l giusto tono. N o n so neppure Io come aweime; ma in-
vece d i sedere, come sempre, davanti allo strumento, sedetti sul di-
vano accanto a lei. - Dunque, m i dica, come è accaduto?... - Con
questa domanda Serafina stabili subito la comune intesa d i dedicare
la nostra serata non già alla musica ma alla conversazione. Raccon-
tai la mia avventura nel bosco e accennai al v i v o interessamento del
barone, soggiungendo che non l'avrei creduto capace d i tanto. - A h ,
come deve sembrarle brusco e impetuoso m i o marito! - m i disse lei
con una sfumatura d i tristezza nella voce dolcissima. - M a , m i cre-
da, soltanto quando si trova fra queste mura cupe e sinistre, soltan-
to durante le cacce feroci i n queste desolate foreste d i pini, diventa
così: cambia addirittura carattere, o almeno, si atteggia, si compor-
ta i n modo affatto diverso dal solito. L o turba soprattutto l'osses-
sione che q u i debba accadere qualcosa d i terribile... E perciò la sua
disavventura, rimasta fortunatamente senza conseguenze irrepara-
b i l i , deve averlo profondamente scosso. N o n tollera d i sapere espo-
I L MAGGIORASCO

Sto al pericolo neppure l ' u l t i m o dei suoi servitori... Figuriamoci un


, caro amico acquistato da poco! Se veramente ritiene G o t t l i e b col-
, pevole d i averla piantato i n asso, lo punirà, quand'anche non con la
; prigione, per lo meno infliggendogli i l castigo più umiliante per u n
, cacciatore: quello d i farlo partecipare a una caccia senza fucile, con
u n randello i n mano... Le cacce, come si fanno q u i , non sono mai
prive d i pericolo; perciò, i l fatto che i l barone, pur temendo sempre
una sciagura, v i partecipi egli stesso come se si divertisse a sfidare
la mala sorte, basta già a metterlo i n uno stato d i rimorso, d i con-
j flirto interiore, che ha ripercussioni penose anche su d i me. Si rac-
,.pantano molte strane cose sul conto dell'antenato che istituì i l mag-
-giorasco... So benissimo che queste mura celano u n tenebroso se-
, greto d i famiglia, che un terrificante fantasma tiene lontano d i q u i i
proprietari, i quali resistono a vivere nel castello soltanto per i l bre-
ve periodo delle cacce, i n mezzo a una compagnia sfrenata e chias-
sosa. M a io?... Pensi come devo sentirmi sola ita tanta confusio-
ne!... Come deve turbarmi i l sinistro mistero che trasuda da tutte le
pareti!... Con la sua arte, mio caro amico, lei m i ha procurato le pri-
me, le sole ore piacevoli e serene ch'io abbia mai trascorso q u i den-
t r o ! N o n potrò mai ringraziarla abbastanza - . M i porse la mano ed
i o gliela baciai, confessandole d i aver avvertito con mio sommo ter-
rore l'atmosfera sinistra dell'ambiente già fin da] primo giorno, an-
zi, dalla prima notte; e mentre cercavo di attribuire tale sensazione
all'architettura del castello e in special modo alle decorazioni della
sala d'udienza, lei m i guardava fisso negli occhi... Probabilmente
l'espressione, i l tono del mìo discorso erano tali da lasciar capire
che intendevo alludere a un'altra cosa, perché quando tacqui la ba-
ronessa protestò impetuosa: - N o , no... Deve esserle accaduto
qualcosa d i spaventoso i n quella sala i n cui io non posso entrare
senza rabbrividire... La scongiuro, m i dica tutto! - Poiché si era fat-
ta pallida come una morta, compresi che sarebbe stato più prudente
riferirle con sincerità com'erano andate le cose piuttosto che lasciar
sorgere nella sua fantasia sureccitata uno spettro forse ancor più
terrificante d i quello autentico. Serafina m i ascoltò con ansia ed an-
goscia crescenti. Quando le dissi d i aver sentito grattare alla parete,
esclamò: - Che orrore!... Si, si... lo spaventoso segreto si cela die-
t r o quel muro - ... Raccontai ancora come i l vecchio zio, con la sua
grande forza d'animo, avesse esorcizzato i l fantasma; essa trasse al-
lora u n profondo sospiro d i sollievo e, abbandonandosi contro lo
schienale del divano, si coperse i l viso con le mani. Soltanto allora
m i accorsi che Adelaide ci aveva lasciati soli. Avevo già terminato
da u n pezzo i l mio racconto e Serafina continuava a tacere: m i alzai
RACCONTI NOTTURNI

senza far rumore, sedetti allo strumento e, traendone una serie d i


accordi pieni, solenni, feri del mio meglio per evocare spiriti conso-
latori capaci d i strappare Serafina dal mondo tenebroso i n cui l'a-
vevo introdotta col mìo racconto. Poi, con la massima dolcezza pos-
sibile, intonai u n canto sacro dell'abate Steff ani '; alla malinconica
frase « Occhi, perché piangete » Serafina parve destarsi da u n son-
no pieno d i torbidi sogni e rimase i n ascolto con u n mite sorriso sul-
le labbra e gli occhi imperlati d i lacrime... Come avvenne che m i
inginocchiai ai suoi piedi, e lei si chinò su d i me, ed Ìo la strinsi fra
le braccia, e u n lungo bacio ardente m i si posò sulle labbra?... Come
avvenne ch'io non persi Ì sensi e la sentii stringersi dolcemente a
me, e poi la lasciai, m i rialzai i n fretta e andai allo strumento?...
Dandomi le spalle, la baronessa fece qualche passo verso la finestra,
p o i si volse e ritornò verso d i me dignitosa, quasi superba, come
non ero solito vederla: - Suo zio è la persona più degna ch'io m i
conosca, - m i disse guardandomi d i r i t t o negli occhi. - È l'angelo
protettore della nostra famiglia...
~ Possa ricordarmi nelle sue sante preghiere!
I o non riuscivo a parlare: i l mortale veleno bevuto insieme a
quel bacio, m i ribolliva nelle vene, nei nervi.
Entrò la signorina Adelaide; la tempestosa lotta interiore si l i -
berò in un fiotto d i lacrime cocenti, irrefrenabili. Adelaide m i guar-
dò stupita con u n sorriso ambiguo: m i sarei sentito d i ucciderla.
- A d d i o amico mio, - m i disse la baronessa con indicibile soavità,
porgendomi la mano. - Stia bene, e ricordi che mai nessuno ha com-
preso la sua musica meglio d i me. A h ! . . . Queste note risuoneranno
per tanto, tanto tempo nell'animo mio! - Balbettai a stento alcune
frasi sciocche e incoerenti e corsi i n camera mia. I l vecchio era già
andato a dormire. M i fermai nella sala, caddi i n ginocchio, scoppiai
i n pianto, invocai ad alta voce Ìl nome dell'amata, m i abbandonai,
insomma, a tutte le insanie del furore amoroso; e soltanto quando
i l vecchio zio, svegliato dalle mie escandescenze, gridò: - Cugino,
sei ammattito?... O stai forse d i nuovo azzuffandoti con u n lupo?--.
Fila a Ietto, fammi i l santo favore... - soltanto allora m i ritirai i n
camera mia col fermo proponimento d i sognare unicamente Serafi-
na. Ma non riuscii a prender sonno. Poteva essere circa mezzanotte
quando m i parve d i udire un insolito andirivieni, u n parlottare lon-
tano, un aprirsi e richiudersi d i porte. Rimasi i n ascolto: sentii ap-
pressarsi dei passi, i n corridoio, e p o i qualcuno entrare i n sala e

' Agostino StcfTani (itìj4-i/i8), co :ii pò siluri: d i opere e d i musiche strumentali e d i


chiesa,
' I n italiana nel testo.
I L MAGGIORASCO

Russare alla nostra porta. - Chi è là?... - domandai ad alta voce.


Signor avvocato, signor avvocato, si svegli!... - Era Franz, lo r i -
^conobbi alla voce; e mentre g l i domandavo: - V a a fuoco i l castel-
^ ? . . . - l o zio si svegliò urlando: — Cos'è che va a fuoco?... Sta d i
nuovo accadendo qualche altra diavoleria?... - A h , si alzi, signor
avvocato! - insistette Franz, - i l signor barone chiede d i lei!
'r, - Che cosa vuole i l barone da me, a quest'ora?... - tornò a do-
iinandare Io zio. — N o n Io sa che la giustizia va a letto insieme al giu-
stiziere e dorme altrettanto sodo?... - A h , caro signor avvocato, si
alzi!... - supplicò Franz con affanno. - L'illustre signora baronessa
lè i n fin d i vita ! - Con u n grido d i sgomento balzai i n piedi. - A p r i la
p o r t a a Franz! — m i urlò lo zio; io già correvo per la camera come
impazzito senza riuscir a trovare la porta né la serratura. Dovette
venirmi i n aiuto lo zio. Avevamo appena finito d i infilarci g l i abi-
tti i n fretta e furia quando u d i m m o i l barone chiedere dalla sala:
i- Posso parlarle, caro V.?...
l' - Perché t i sei vestito, cugino? - m i domandò Io zio. - I l baro-
n e ha chiesto soltanto d i me, non hai sentito? - Devo scendere, -
i-risposi cupo, come annichilito dalla disperazione. - Devo vederla...
le p o i morire. - Davvero?... Quand'è cosi hai ragione, cugino, - r i -
•spose l u i sbattendomi la porta sul naso con tanta energia da farne
•scricchiolare i cardini e chiudendola dall'esterno. Indignato da
:,quell'atto d i prepotenza ebbi la tentazione d i sfondare la porta a
•spallate; ma p o i riflettei che u n simile gesto d i furore scatenato a-
* vrebbe potuto avere conseguenze disastrose e m i rassegnai ad atten-
dere i l ritorno del vecchio; p o i sarei sfuggito alla sua sorveglianza,
l a qualsiasi costo. L o u d i i parlare concitatamente col barone, u d i i
;pronunzÌare parecchie volte i l mio nome ma n o n potei afferrare
* niente d i più. A d ogni secondo che passava la mia situazione diven-
tava sempre più angosciosa. Finalmente u d i i sopraggiungere qual-
cuno con u n messaggio per i l barone e questi allontanarsi d i corsa.
L o zìo rientrò i n camera. - È morta? - urlai precipitandomi incon-
•tro. - E t u sei impazzito, - completò l u i calmissimo prendendomi
;Ì per le spalle e costringendomi a sedere. - Devo scendere, - ripresi a
gridare. — Devo scendere... vederla... dovesse costarmi la vita! — Fa'
; pure, caro cugino, - rispose l u i richiudendo la porta e infilandosi la
chiave i n tasca. I n t m parossismo d i furore presi la carabina carica e
, urlai: - Q u i . . . sotto i suol occhi, m i caccerò una palla nella testa se
> non m i apre subito la porta! - Allora egH m i venne vicinissimo e in-
. chiodandomi con uno sguardo penetrante m i disse: - Credi, ragaz-
zo, d i potermi spaventare con questa mescliina minaccia?... Credi
. che m i i m p o r t i molto della tua vita se t u sei tanto sciocco e puerile
172 RACCONTI NOTTURNI

da volerla gettare come u n giocattolo frusto?... Che c'entri t u con


la moglie del barone?... Chi t i dà i l d i r i t t o d i immischiarti come un
bellimbusto importuno, dove non è i l tuo posto, dove non t i si vuo-
le?... Vorresti giocare al languido pastorello innamorato perfino
nell'ora solerme della morte?... - Crollai su ima poltrona armichili-
to. Dopo qualche istante l o zio riprese i n tono più rabbonito:
- Tanto perché t u l o sappia, la baronessa probabilmente non corre
alcun pericolo. La signorina Adelaide perde la testa per u n nonnul-
la: se le cade una goccia d i pioggia sul naso subito strilla: Che spa-
ventoso acquazzone!... Disgraziatamente, l'allarme è giimto fino al-
le vecchie zie, le quali sono accorse piangendo indecorosamente con
u n intero arsenale d i gocce tonificanti, elisir d i v i t a , o che altro so
ancora... Soltanto una crisi, u n deliquio... - A questo punto esitò:
certamente si era accorto della lotta scatenatasi i n me. Passeggiò al-
cune volte su e giù per la camera e riprese: - Cugino, cugino... che
razza d i sciocchezze m i stai combinando ?... M a h !... O r m a i è fatta...
Q u i dentro Satana si sbizzarrisce con le sue diavolerie... t u g l i sei
andato allegramente a cadere fra le grinfie e adesso balla i l suo bal-
letto anche con te... - Tornò a far q u a t t r o passi su e giù e soggiun-
se: - D i dormire ormai non si parla più... Pensavo: se d facessimo
una pipatina e trascorressimo cosi queste ultime due orette nottur-
ne?... - Andò a prendere una pipa dì terracotta nell'armadio a mu-
ro, la caricò adagio, adagio, con cura, mugolando una canzoncina,
p o i cercò i m foglietto frugando i n i m gran mucchio d i carte, lo arro-
tolò, ne fece ima mìccia, la accese. Sbuffando dense nuvole dì fumo
mormorò fra i denti; - Dunque, cugino, come te la sei vista col lu-
po?... - Quel modo d i fare t r a n q u i l l o , la lentezza dei suoi movi-
menti m i fecero u n effetto stranissimo: m i parve ad u n tratto d i
non trovarmi più a R..sitten, m i sentii lontano, lontanissimo dal-
la baronessa... Potevo raggiimgerla soltanto più sulle ali del pensie-
ro!... Tuttavia, la domanda del vecchio m i urtò:
- La trova proprio cosi divertente, cosi ridicola la mìa avventu-
ra d i caccia?... - sbottai. - M a niente affatto, - rispose l u i , - niente
affatto!... Soltanto, non puoi credere che viso comico sia capace d i
fare, che atteggiamenti buffi sia capace dì assumere uno sbarbatello
come te quando ìl buon Dìo sì degna d i concedergli, per una volta
tanto, un'avventura eccezionale... A v e v o u n compagno d i universi-
tà, u n ragazzo tranquillo, giudizioso, i n pace con se stesso... L u i ,
che mai avrebbe dato occasione a i n c i d e n t i del genere, per puro
caso si trovò coinvolto i n una faccenda d'onore... La maggior parte
degli anziani lo considerava u n debole, u n minchione; e invece egli
si comportò con u n coraggio, una decisione tali da conqiùstarsi
I L MAGGIORASCO 173

l'ammirazione d i t u t t i . M a da quel giorno si trasformò; i l buon ra-


gazzo zelante, ragionevole, divenne uno smargiasso, un attaccabri-
ghe insopportabile... Gozzoviglie, baldorie, duelli per qualsiasi
sciocchezza... F i n i per offendere volgarmente i l seniore d i una fa
colta... e venne ucciso i n duello... T i ho raccontato questo fatto co-
si, tanto per parlare, caro cugino... Pensane ciò che vuoi!... M a pei
tornare alla baronessa e al suo malessere... - I n quel momento u-
d i m m o u n passo leggero nella sala: m i parve che u n gemito racca-
pricciante corresse per l'aria... U n pensiero m i colpi come una fol-
gore micidiale: - È morta!,,. - L o zio si alzò i n fretta e chiamò for-
te: - Franz, Franz! - SÌ, caro signor avvocato, - rispose l'altro d i
fuori. - Franz, attizza u n poco i l fuoco nel camino, - continuò lo
zio. - E, se possibile, preparaci due buone tazze d i tè... Q u i fa u n
freddo cane, - soggiunse volgendosi a me. - Meglio andare d i là a
raccontarci qualcosa d i bello davanti al camino - . Aperse la porta;
io l o seguii meccanicamente.
- Come va dabbasso? - si informò lo zio. - A h , niente d i grave,
- rispose Franz. - L'illustre signora baronessa sta d i nuovo benissi-
mo... Attribuisce quel piccolo svenimento a u n brutto sogno - . A-
vrei voluto gridare dalla gioia ma lo zio m i inchiodò con un'occhiata
severa. - Già, - disse p o i . - T u t t o sommato sarebbe meglio posa-
re la testa sul cuscino per u n par d'orette. Lascia stare i l tè, Franz.
- Come comanda, signor avvocato, - rispose Franz; e lasciò la sala
augurandoci la buona notte — benché fuori già cantassero i galli.
- Ascolta, cugino, - m i disse i l vecchio svuotando la pipa nel cami-
netto. - È già tma buona cosa che n o n t i siano accadute disgrazie
coi l u p i e le carabine cariche! - A l l o r a compresi t u t t o e m i vergo-
gnai d'avergli dato occasione d i trattarmi come u n bambino cat-
tivo.
- Fammi i l favore, caro cugino, - m i disse l o zio la mattina se-
guente. — Scendi a informarti come sta la baronessa. Se credi, puoi
domandare della signorina Adelaide: quella t i fornirà u n bollettino
csaurientissimo —. Immaginerete se m i precipitai. M a mentre stavo
per bussare piano all'anticamera della baronessa la porta si aprì e ne
uscì i n fretta i l barone che si fermò squadrandomi con occhio pene-
trante e severo. - Che cosa vuole, l e i , qui? - m i domandò. I l cuore
m i batteva forte ma m i dominai e risposi con voce ben ferma: - I n -
formarmi per incarico dello zio, come sta l'illustre signora. - O...
non è stato nulla... Una delle sue soUte crisi d i nervi. Adesso dorme
tranquilla e sono certo che scenderà a tavola i n perfette condizioni.
L o dica, lo dica... - C'era, nel suo modo d i parlare, u n certo impeto
passionale che me l o rivelava più preoccupato d i quanto non voles-
174 RACCONTI NOTTURNI

se sembrare. M i voltai per andarmene ma egli improvvisamente m i


afferrò per un braccio dicendomi con occhi fiammeggianti: - Devo
parlarle, giovanotto ! - Potevo n o n vedere i n l u i unicamente i l mari-
to offeso?... N o n temere una scenata destinata forse a conchiudersi
i n modo ignominioso per me?... E r o disarmato; ma i n quel momen-
to ricordai d i avere ancora i n tasca i l coltello a serramanico regalato-
m i dallo zio appena arrivati a R..sitten. Seguii i l barone, che m i fa-
ceva strada a grandi passi, ben deciso a n o n risparmiare la vita di
nessuno se appena avessi corso i l rischio d i venir trattato indegna-
mente. I l barone m i condusse nella sua camera, chiuse la porta die-
t r o d i sé, passeggiò alcune volte avanti e indietro, con le braccia
conserte, p o i m i si fermò d i fronte e ripetè: - Devo parlarle, giova-
notto - . M ' e r a venuto addosso u n coraggio addirittura temerario e
non esitai a ribattere: - Spero d i poterla ascoltare senza esser co-
stretto a reagite I l barone m i guardò stupito, come se non m i ca-
pisse. Poi fissò a terra uno sguardo tetro, si mise le maiù dietro la
schiena e riprese a passeggiare su e giù. Staccò una carabina dalla
parete, infilò la bacchetta nella catma come per accertarsi se fosse
carica o no... I l sangue m i diede u n tuffo: portai la mano al coltello
e m i accostai al barone per rendergli impossibile pimtare l'arma
contro d i me. - Bel fucile, - disse l u i , riponendolo i n u n angolo. In-
dietreggiai d i alcuni passi; ora f u l u i ad avvicinarsi a me e, batten-
d o m i sulla spalla una manata anche più energica del necessario, mi
disse: - Devo sembrarle eccitato e turbato, Teodoro, ed infatti lo
sono, perché ho vegHato tutta la notte, fra mille affanni. La crisi
nervosa d i mia moglie n o n è stata affatto pericolosa, ora me ne ren-
do conto; ma q u i , i n questo castello dove vaga uno spirito tenebro-
so, temo sempre le cose più o r r i b i l i ; ed era anche la prima volta che
mia moglie si ammalava q u i . La colpa è tutta sua, signore, esclusi-
vamente sua! - Risposi calmissimo che non avevo la minima idea
d i come ciò potesse essere vero. — O h ! — continuò l u i . ~ O, se quella
maledetta, quella malaugurata cassa della signora ispettrice si fosse
fracassata i n mille pezzi sul ghiaccio!... O h , se lei... M a no, no... Do-
veva andare cosi. La colpa è stata tutta mia: quando lei ha incomin-
ciato a far musica nell'appartamento della baronessa toccava a me
metterla al corrente della situazione, spiegarle lo stato d'animo di
mia moglie - . Feci per parlare: - M i lasci dire, - continuò l u i tron-
candomi la parola. - Devo impedirle d i formulare qualsiasi giudìzio
affrettato... L e i m i crederà u n uomo rude, u n nemico dell'arte. N o n
è affatto vero. M a sono profondamente convinto d i non dover la-
sciar entrare q u i dentro, per misura precauzionale, nessuna musica
capace dì commuovere, d i turbar l'animo d i chicchessia, compreso
I L MAGGIORASCO

i l mio. Sappia che mia moglie soffre d'un'ipersensibìlità nervosa ta-


le da toglierle tutta la gioia d i vivere. D i solito sono crisi saltuarie,
preludenti talvolta a una malattia vera e propria - ; ma q u i , fra que-
ste fantastiche mura, lo stato d i sovreccitazione n o n recede mai. M i
domanderà con ragione perché io non risparmi a una donna cosf de-
licata questo soggiorno sinistro, questa brutale e chiassosa vita d i
caccia. La chiami pure una debolezza: ma sta d i fatto che n o n m i è
possibile lasciarla indietro, sola... Sarei continuamente i n pena, pie-
no d i mille paure, incapace d i far nulla d i serio... I l pensiero d i t u t t i
i terribili guai che potrebbero accaderle m i perseguiterebbe anche
nel bosco, nella sala d'udienza, dovunque, lo so... E p o i credo che a
una donna cosi sensibile e delicata questo genere d i vita possa, i n
fondo, giovare, come una specie d i bagno ferruginoso rinforzante...
L ' u r l o caratteristico del vento d i mare fra i p i n i , l'abbaiar roco dei
cani, l'allegro e battagliero squillo dei corni devono sopraffare, vin-
cere i languidi piagnistei del pianoforte. U n uomo n o n dovrebbe
mai suonare c o s i . Invece lei si è prefisso d i tormentare a morte
mia moglie, metodicamente... - Disse queste parole alzando la vo-
ce, con u n bagliore crudele negli occhi. I l sangue m i sali alla testa,
feci i m nervoso cenno d i mano, cercai d i parlare ma egH me l o i m -
pedi: - So che cosa v u o l dire, - riprese, - e le ripeto che lei stava
uccidendo mia moglie. N o n gliene faccio una colpa ma, l e i capisce,
devo mettere freno alla cosa. Insomma: l e i dapprima ha eccitato
mia moglie con la musica, i l canto; e quando essa già vagava alla de-
riva sul mare sconfinato dei presagi, delle visioni oniriche evocato
dalla mafia della musica, l'ha tirata a fondo raccontandole d'aver
assistito a una paurosa manifestazione spiritica nella sala d'udien-
za. Suo zio m i ha riferito ogni cosa ma, la prego, m i ripeta t u t t o ciò
che ha visto, o creduto d i vedere, t u t t o ciò che ha udito, percepito,
sospettato - . Raccolsi le idee e raccontai con calma l'accaduto, da
capo a fondo. I I barone si lasciava sfuggire d i tanto i n tanto qual-
che breve parola d i stupore. Quando descrissi come l o zio avesse af-
frontato i l fantasma con religioso coraggio per p o i scacciarlo con le
sue energiche parole, i l barone levò le mani giunte al cielo ed escla-
mò con fervore; - Si, è l'angelo tutelare della nostra famiglia!... L a
sua spoglia mortale dovrà riposare nella cripta degli antenati! -
Quand'ebbi finito riprese a passeggiare avanti e indietro per la ca-
mera a braccia conserte mormorando come tra sé; — Daniele, Da-
niele... che cosa f a i q u i a quest'ora?... - N o n c'è altro, barone?
- domandai ad alta voce, facendo l'atto d i andarmene. E g l i parve
svegliarsi d i soprassalto, m i prese affabilmente per mano e m i dis-
se: - Già, caro amico; senza volerlo lei ha ridotto mia moglie i n
176 RACCONTI NOTTURNI

questo stato... ed ora dovrà aiutarla a rimettersi. L e i solo può far-


lo - . M i sentii arrossire: se fossi stato davanti a uno specchio avrei
certamente visto una faccia alquanto sciocca e confusa. I l barone
sembrava godere del m i o imbarazzo: m i guardava fisso negli occhi
con u n sorriso insopportabile: - M a , i n nome del cielo... come po-
trei fare una cosa simile?... - riuscii finalmente a balbettare. - V i a ,
via, - m i interruppe l u i . ~ N o n avrà a che fare con una paziente pe-
ricolosa! Ora io faccio espressamente appello alla sua arte: la baro-
nessa ormai si è lasciata attrarre nel cerchio magico della musica e
volerla strappar via all'improvviso sarebbe stolto e crudele. Conti-
n u i dunque a far musica. Qualsiasi sera lei sarà i l benvenuto nelle
camere d i mia moglie; però cerchi d i passare gradualmente a musi-
che più energiche, alterni con scaltrezza i l genere gaio a quello se-
r i o . E soprattutto le ripeta molto spesso Ìl racconto della sinistra
apparizione cui ha assistito: la baronessa v i si abituerà, e la storia
finirà per non farle maggior effetto d'una delle tante favolette che
già avrà potuto leggere i n u n qualsiasi romanzo, i n una qualsiasi
raccolta d i storie d i fantasmi. Faccia cosi, caio amico! - Con queste
parole m i congedò. M i ritirai annientato, svilito al rango d'un ra-
gazzino stolto e insignificante! E i o , pazzo, avevo creduto che po-
tesse essere geloso d i me!... Egli stesso m i mandava da Serafina, m i
considerava u n « mezzo » p r i v o d i volontà da usarsi o gettarsi via, a
proprio piacere! Pochi m i n u t i prima lo temevo ancora, perché co-
vavo i n fondo alla coscienza u n senso d i colpa... ma era proprio quel
senso d i colpa a farmi sentire con chiarezza la vita più alta, più me-
ravigliosa per cui m i ero reso maturo... O r a t u t t o ripiombava nella
tenebra nera, e io vedevo soltanto più uno sciocco ragazzo cosi pue-
rilmente infatuato da porsi sul capo una corona dì carta e crederla
d'oro vero... - Corsi dal vecchio, i l quale già stava aspettandomi:
- Allora, cugino, si può sapere dove t i eri cacciato?... - m i gridò ve-
dendomi entrare. - H o parlato con Ìl barone, - risposi frettolosa-
mente sottovoce, senza guardarlo. - Corpo d i Bacco! - esclamò l u i
fingendosi stupito. - Corpo d i Bacco... l o avevo immaginato!... Ti
barone t i avrà certamente sfidato a duello, non è vero, cugino? - E
su questa sortita scoppiò i n una sonora risata, dandomi ad intende-
re d'avermi una volta d i più - come sempre - letto nell'anima.
Strinsi i denti e non risposi sillaba ben sapendo che lo zio n o n atten-
deva d i meglio per annientarmi con le canzonature che già g l i friz-
zavano sulla punta della lingua.
La baronessa scese a tavola i n una graziosa veste da mattina, i l
cui smagliante candore superava quello della neve caduta d i fresco.
Era pallida e sbattuta; ma quando, nel parlare melodiosamente sot-
I L MAGGIORASCO

tovoce, sollevava l o sguardo, u n lampo di desiderio, d i dolce strug-


gimento le guizzava negli occhi scuri e appassionati, e u n fugace
rossore le imporporava le guance pallide come gigli. Era più bella
che mai. C h i può commisurare le follie dì u n giovane dalla testa, dal
cuore i r r o r a t i d i sangue troppo caldo ?... L'amaro rancore suscitato
i n me dal barone l o riversavo sulla baronessa. T u t t o m i sembrava
un'infame presa i n giro e perciò volevo dimostrarmi nel pieno pos-
sesso delle mie facoltà mentaU e straordinariamente perspicace. E-
vitai la baronessa come avrebbe potuto fare u n bambino imbroncia-
t o , sfuggii agli inseguimenti della signorina Adelaide riuscendo a
, prender posto, proprio come volevo, i n fondo alla tavola, fra i due
soliti ufficiali, coi quali m i misi a sbevazzare gagliardamente. A l l e
f r u t t a toccammo svariate volte i bicchieri e, come spesso accade
quando sì è i n u n certo stato d'animo, m i comportai i n modo insoli-
tamente allegro e chiassoso. U n domestico m i porse alcuni confetti
. su u n piatto sussurrandomi; — D a parte della signorina Adelaide - .
L ì presi, e subito mì avvidi che su uno d i essi erano state scaraboc-
d i i a t e a matita queste parole: « E Serafina?» - I l sangue mì r i b o l l i
•nelle vene. Guardai Adelaide la quale m i ricambiò un'occhiata scal-
; t r a , maliziosa, accompagnandola con u n impercettibile cenno d i te-
sta. Quasi senza volerlo mormorai: - Serafina!... - e, preso i l bic-
chiere, l o svuotai t u t t o d ' u n fiato.
^! I l m i o sguardo volò a lei: v i d i che anch'essa aveva bevuto e sta-
;Va appunto deponendo i l bicchiere. I nostri occhi sì incontrarono:
; u n demone maligno m i bisbigliò all'orecchio: - Sciagurato!... Ep-
p u r e lei t i ama! - U n o dei commensali si alzò per brindare aUa pa-
,;Jrona d i casa, secondo l'usanza nordica. I bicclfieri tintinnarono fra
• i l chiassoso tripudio generale. Delizia e disperazione m i laceravano
.;ÌÌI cuore, i l calore del vino m i saUva alla testa, t u t t o m i girava intor-
iflo... m i pareva dì dovermi gettare ai piedi d i l e i , sotto g l i occhi d i
^.tutti, e render l'anima!... - Che cos'ha, caro amico?... - m i doman-
•;dò i l m i o vicino. Questa domanda m i fece ritornare i n me : ma Sera-
(.ifina era scomparsa. Si levaron le mense. Volevo andarmene ma
;;AdeIaide m i trattenne parlandomi d i non so quante cose, senza
ìch'io udissi né comprendessi una sola parola. A d u n tratto m i prese
Ih mani e m i gridò qualcosa all'orecchio ridendo forte. Rimasi mu-
lto, immobile, come colpito dalla paralisi. So soltanto che alla fine le
tolsi meccanicamente d i mano u n bicchiere d i liquore, lo svuotai e
p o i m i ritrovai solo davanti a una finestra. A l l o r a corsi via a p r c d -
•pizio, giù per le scale, f u o r i , nel bosco. La neve cadeva fitta, i pìna-
(fstri gemevano squassati dalla bufera. M i misi a correre i n tondo co-
le u n pazzo, ad ampi cerchi, ridendo e gridando selvaggiamente:
178 RACCONTI NOTTURNI

- G u a r d a t e . . . guardate!... Olà!... I l diavolo fa i l suo balletto col ra-


gazzino che voleva gustare Ì f r u t t i rigorosamente p r o i b i t i ! . . . — D i o
solo sa come sarebbe finito quel gioco se ad u n tratto non m i fossi
sentito chiamare forte, per nome. L'uragano s'era calmato, la luna
splendeva chiara fra le nubi lacerate... Sentivo i mastini battere i l
bosco. Poi v i d i avvicinarsi una sagoma scura: era i l vecchio guar-
diacaccia. - Ehilà!... Caro signor Teodoro... Come mai è venuto a
sperdersi i n questa tormenta d i neve?... I I signor avvocato la atten-
de con grande impazienza! - L o seguii i n silenzio. Trovai lo zìo al
lavoro nella sala d i udienza. — H a i fatto bene, — m i disse vedendomi
entrare. - H a i fatto benìssimo a uscire u n po' a rmfrescartì... N o n
bere tanto vino: sei ancora troppo giovane, n o n t i fa bene - . Sedet-
t i al tavolo senza dire una parola. - M a , d i m m i , caro cugino, - ripre-
se l u i , — che cosa t i voleva dire dì precìso Ìl signor barone?... - G l i
raccontai t u t t o e conchìusi dichiarando che non intendevo affatto
cooperare alla problematica «cura» proposta dal barone. - E I n o-
gni caso non sarebbe possibile, - disse luì senza lasciarmi finire,
- perché partiamo domattina presto, caro cugino ~. Cosi facemmo,
infatti. Serafina non la r i v i d i mai più!
Appena giunti a K., i l vecchio zìo si lagnò d'aver risentito più
del solito degli strapazzi del viaggio. I l suo silenzio cupo, imbron-
ciato, interrotto da violenti sfogfu d i malumore, preannunziava i l
ritorno d'uno dei soliti attacchi d i podagra. U n giorno venni chia-
mato d'urgenza: trovai lo zio a letto, colpito da apoplessia, privo
della favella. Nella mano spasmodicamente contratta stringeva una
lettera stazzonata; riconobbi la scrittura dell'ispettore aziendale d i
R..sÌtten ma, sconvolto dal dolore e convìnto che lo zio stesse per
morire, non osai togliergli i l foglio dì mano. Invece, prima ancora
che arrivasse i l dottore, i l polso riprese a battere, la eccezionale fi-
bra del vecchio settanterme reagì all'attacco mortale e entro la gior-
nata stessa i l medico potè dichiararlo f u o r i pericolo. A u n inverno
più rigido che mai segui una primavera piovosissima e cosi, non
tanto i l colpo apoplettico quanto la podagra fomentata dal clima av-
verso, costrinsero i l vecchio zìo a una lunga degenza. Durante quel
periodo egli decise d i ritirarsi completamente dagli affari, trasferi
ad altri t u t t i i p r o p r i incarichi dì legale e con ciò svani ogni mia spe-
ranza d i mai più ritornare a R..sitten. L o zio tollerava soltanto la
mia assistenza, soltanto da me si lasciava distrarre, tenere allegro.
M a neppure quando, nei momenti d i tregua, g l i ritornava i l buonu-
more e ci rimettevamo a chiacchierare senza risparmio dì scherzi
grassocci, neppure quando andavamo a ricadere nelle storie dì cac-
cia e io m i aspettavo da u n momento all'altro dì sentir saltar f u o r i
I L MAGGIORASCO 179

la mia eroica gesta del lupo ucciso a coltellate, neppure allora g l i av-
veniva - né mai più g l i avvenne - d i lasciarsi sfuggire u n solo accen-
no al nostro soggiorno i n R..sitten; e, come chiunque potrà com-
prendere, la mia naturale timidezza m i impediva - e m i impedi sem-
pre - d i ricondurlo su quell'argomento. Le gravi preoccupazioni, la
faticosa, incessante assistenza allo zio malato, avevano risospinto
i n secondo piano i l ricordo d i Serafina. M a non appena lo zio inco-
minciò a migliorare l'attimo felice della camera della baronessa m i
ritornò più vivo che mai alla memoria, come una stella luminosa
tramontata per sempre. U n fatto singolare ridestò p o i all'improvvi-
so tutta la mia pena, facendomi raggelare come u n messaggio d'ol-
tretomba. Una sera, aprendo i l portafogli che avevo portato a
R..sitten, ne v i d i cadere d i fra le carte u n ricciolo bruno legato con
u n nastro bianco: riconobbi immediatamente i capelli d i Serafina!
Osservai meglio i l nastro: era macchiato d i sangue!... Forse, du-
rante la folle esaltazione d i quegli u l t i m i gioriù, Adelaide era riu-
scita a infilarmi abilmente i n tasca quel ricordo... M a perché le goc-
ce d i sangue?... Perché quel pegno d'amore quasi esageratamente
pastorale assumeva ad u n tratto le proporzioni d i tremendo richia-
mo a una passione che veramente poteva costare i l prezioso sangue
del cuore?... Si: era lo stesso nastro bianco che durante i l m i o p r i -
mo incontro con Serafina m i ero visto svolazzare intorno, lieve e
leggero, come i n u n frivolo gioco; ed ora le potenze tenebrose g l i
avevano impresso i l marchio della ferita mortale. I fanciulH n o n de-
vono giocare con armi d i cui n o n comprendono la pericolosità !...
G l i acquazzoni primaverili avevano finalmente smesso d i i m -
perversare, l'estate reclamava i suoi d i r i t t i . E se prima Ìl freddo era
insopportabile, agli inizi d i luglio divenne insopportabile i l caldo.
I l vecchio zio si rimetteva a vista d'occhio e aveva ripreso a recarsi
a passeggio i n u n giardino d i periferia. Durante una serata tiepida
e tranquilla sedevamo sotto u n pergolato odorante d i gelsomino.
Lo zio era insolitamente allegro, ma non i n vena d i umorismo sar-
castico, come d'abitudine, bensì d i dolcezza, quasi d i tenerezza.
- Cugino, - m i disse, - non capisco che cosa m i stia accaden-
do: oggi m i sento come non m i sentivo più da m o l t i anni: sono tut-
to pervaso da un senso dì benessere stranissimo, da una specie d i
calore elettrico... Credo m i preannunzi la morte vicina... - Cercai d i
distoglierlo da quel fosco pensiero. - Lascia andare, cugino, - r i -
spose. - N o n rimarrò più per molto tempo quaggiù. M a prima vo-
glio saldare u n debito con te. Pensi ancora all'auturmo trascorso ad
R..sitten?... - Questa domanda m i colpì come una folgore ma, sen-
za darmi i l tempo d i rispondere, lo zìo continuò: - I l cielo ha volu-
i8o RACCONTI NOTTURNI

to che t u entrassi i n quel luogo i n u n modo assai singolare e venissi


coinvolto, contro la tua volontà, nei più gelosi segreti della famì-
glia. O r a è tempo che t u sappia t u t t o . Troppe volte, cugino, abbia-
mo parlato d i cose che t u i n t u i v i più d i quanto non capissi. La na-
tura riproduce simbolicamente i l ciclo della vita nel giro delle sta-
gioni : questo l o dicono t u t t i , ma Ìo lo intendo diversamente dagli
altri. Le nebbie primaverili si diradano, evaporano le foschie esti-
ve: e soltanto la purissima, trasparente aria autunnale permette di
scorgere i l paesaggio lontano, almeno fino a quando i l nostro pove-
ro mondo non ripiomba nella notte invernale. Con questo intendo
dire che i n vecchiaia si vedono più chiari i segni della potenza im-
perscrutabile. A i vecchi è concesso gettare uno sguardo alla terra
promessa verso cui ci si può avviare soltanto dopo la morte corpo-
rale. Come m i appare chiaro i n questo momento i l tragico destino
d i quella famiglia cui io f u i u n i t o da legami più solidi dei vincoli di
parentela!... Sapessi come t u t t o è evidente agli occhi del mio spiri-
to... Eppure l'essenziale non te l o posso ripetere a parole: nessun
linguaggio umano ne sarebbe capace. Ascolta, figlio mio, ciò che sa-
rò capace d i raccontarti come una storia straordinaria - ma vera-
mente accaduta. - E convinciti profondamente che la misteriosa
trama d i eventi I n cui t u forse stavi per lasciarti coinvolgere senza
esserci stato chiamato, avrebbe potuto essere la tua rovina!... Ma
adesso è passato... è passato...
La storia del maggiorasco d i R..sitten, cosi come me la raccontò
i l vecchio zio (parlando d i se stesso i n terza persona), m i è rimasta
cosf bene impressa nella memoria che credo d i essere i n grado d i ri-
peterla quasi con le stesse parole.

Durante una burrascosa notte autunnale dell'anno 1760, uno


schianto, u n boato spaventevole, come se l'intero castello fosse
crollato i n mille frantumi, destò d i soprassalto la servitù addormen-
tata. I n u n baleno t u t t i furono i n piedi... Si accesero i l u m i . I l mag-
giordomo pallido, terrorizzato, accorse ansimando col suo mazzo di
chiavi. I I gruppo procedette per le gallerie, passò d i camera i n ca
mera, d i sala i n sala, i n i m silenzio dì tomba r o t t o soltanto dal cigo-
lio delle serrature aperte a fatica e dal sinistro rimbombare dei pas
si: procedette con crescente stupore perché t u t t i g l i ambienti appa-
rivano i n t a t t i : non la minima traccia d i devastazione o d i danno, in
nessun luogo. I I vecchio maggiordomo f u colto da u n fosco presen-
timento. Salì nella grande sala dei cavalieri sapendo che Ìl barone
Roderico quando si dedicava alle osservazioni astronomiche solevii
I L MAGGIORASCO l8l

riposare i n u n salotto laterale, fra la cui porta e quella d i u n altro sa-


lotto ve n'era una terza la quale, per uno stretto passaggio, adduce-
va direttamente alla torre astronomica. Quando Daniele - i l mag-
giordomo - apri quella porta l'uragano g l i scagliò sulla faccia, ulu-
lando e sibilando spaventosamente, u n getto d i detriti e calcinacci.
E g l i balzò indietro inorridito, lasciò cadere i l doppiere - le cui can-
dele si spensero scoppiettando - e gridò: - O Dìo del cielo... i l ba-
rone si è sfracellato!... - I n quel momento si udirono esclamazioni
accorate provenienti dalla camera da letto del barone. Daniele ac-
corse e vide g l i altri servitori radunati attorno al cadavere del pa-
drone: lo avevano trovato cosi, seduto sulla sontuosa poltrona, ve-
stito d i t u t t o punto e più sfarzosamente del consueto, col viso com-
posto i n una calma solenne, come se riposasse dopo u n importante
lavoro: e dormiva invece i l sonno della morte. Quando si fece gior-
no si constatò che la vetta della torre era sprofondata; le grosse pie-
tre quadrate avevano sfondato soffitto e pavimento dell'osservato-
rio astronomico e, precipitando con forza raddoppiata insieme alle
poderose travature sulla volta sottostante, avevano sfondato anche
quella. N e l crollo erano stati travolti anche una parte del muro
esterno e dello stretto passaggio adducente alla torre. N o n si pote-
va fare u n passo oltre la porta della sala senza correr pericolo d i pre-
cipitare i n una voragine profonda almeno ottanta piedi.
I l vecchio barone aveva esattamente previsto e comunicato al
figlio primogenito la data e l'ora della propria morte. Perciò i l baro-
ne Volfango von R., nuovo signore del maggiorasco, i l giorno dopo
giungeva già a R..sitten. Raggiunto a Vienna, dove si trovava ìn
viaggio, dalla lettera fatale, aveva dato giusto credito al presenti-
mento del vecchio padre ed era subito accorso. I l maggiordomo a-
veva fatto parare a l u t t o la grande sala e q u i v i esposto i l barone, co-
sì com'era stato trovato, su u n sontuoso letto funebre circondato da
alti candelieri d'argento. Volfango salì la scala i n silenzio, entrò
nella sala, si avvicinò al catafalco e là rimase a braccia conserte, cu-
po, accigliato, rigido come una statua, a fissare senza una lacrima Ìl
volto cereo del padre. Infine, agitando i l braccio destro a scatti qua-
si spasmodici i n direzione del morto, mormorò cupamente: - T i
costrinsero le stelle a rendere miserabile i l figlio che amavi?... -
Gettò indietro le mani, arretrò d i u n passo, volse lo sguardo al sof-
fitto e soggiunse a bassa voce, quasi con dolcezza: - Povero vec-
chio stolto!... La carnevalata con le sue sciocche illusioni è finita!
Adesso potrai constatare come i beni d i questa terra, d i s t r i b u i t i con
tanta avarizia, n o n abbiano nulla i n comune col mondo d i là, al d i -
sopra delle stelle... Quale forza, quale volontà continua a valere o l -
l82 RACCONTI NOTTURNI

tre la tomba?... - Tacque d i nuovo per alcuni istanti p o i proruppe


con violenza: — N o ! . . . La tua ostinazione non dovrà rubarmi nep-
pure un'oncia d i quella felicità che cercasti d i distruggere - . E, trat-
ta d i tasca una carta piegata, la tese verso uno dei ceri reggendola
con due dita; la fiamma lambì i l foglio, lo accese, divampò alta; i l
riverbero tremò sul viso del cadavere dando la sensazione che i mu-
scoh si contraessero e i l vecchio pronunziasse parole prive d i suo-
no. I servitori, schierati a una certa distanza dal catafalco, rabbrivi-
dirono i n o r r i d i t i . I l barone terminò con calma l'operazione, lasciò
cadere l ' u l t i m o pezzetto d i carta ancora accesa, l o spense accurata-
mente col piede, lanciò un'ultima occhiata torva al padre e uscì i n
fretta dalla sala.
I l giorno dopo Daniele lo informò del crollo della torre e g l i de-
scrisse con dovizia d i parole quanto era accaduto durante la notte
i n cui i l compianto signore aveva perso la vita. Era consigliabile e
urgente - concluse - far riparare la torre, altrimenti nuovi crolli a-
vrebbero, se n o n proprio distrutto, quanto meno gravemente dan-
neggiato l'intero castello.
- Ricostruire la torre?.,. - lo aggredì Ìl barone con occhi fiam-
meggianti d i collera. - Questo mai!... M a non capisci, vecchio, -
soggiunse più calmo, - che la torre non sarebbe potuta crollare co-
sì, senza alcun motivo?... E se fosse stato mìo padre stesso a deside-
rare la distruzione del laboratorio i n cui effettuava le sue sinistre
operazioni astrologiche?... E se avesse applicato egli stesso u n con-
gegno tale da permettergli d i far crollare al momento voluto la vet-
ta della torre e travolgere t u t t o , all'interno?... Comunque sìa: crol-
l i pure t u t t o i l castello, per me va benissimo... Credete forse ch'io
abbia intenzione d i venirmi a stabilire i n questo assurdo nido d i ci-
vette?... N o ! . . . Seguirò l'esempio del saggio antenato che fece por-
re le fondamenta d i u n nuovo castello là, nel bel fondovalle. Quel-
l'antenato m i ha preceduto, ha lavorato per me. I o continuerò...
- E cosi i vecchi e fedeli servitori dovranno far fagotto, - com-
mentò Daniele a mezza voce. — Naturalmente n o n ho intenzione d i
farmi servire da vecchi invalidi e malfermi sulle gambe. M a scaccia-
re non scaccerò nessuno. N o n avendo più da lavorare, i l pane della
carità sarà già anche d i troppo per voi...
- I o . . . i l maggiordomo... r i d u r m i così, all'inattività... - escla-
mò i l vecchio con grande amarezza. A l l o r a Ìl barone che già g l i ave-
va voltato le spalle per uscire, tornò improvvisamente a voltarsi,
rosso i n viso per la collera, e gridò con voce terribile mostrandogli
i pugni: - Come u n cane rognoso dovrei scacciarti, vecchio birban-
te ipocrita, che esercitavi le male arti con mio padre, lassù nella tor-
I L MAGGIORASCO 183

re, e t i eri posato sul suo cuore come u n vampiro, e forse hai ap-
profittato della sua demenza senile per convincerlo a prendere le
diaboliche decisioni che m i hanno portato sull'orlo del disastro... A
calci, come i m cane rognoso dovrei scacciarti... — A l prorompere
della tremenda sfuriata i l vecchio maggiordomo era caduto i n gi-
nocchio davanti al signore; e poiché nella collera i l corpo spesso se-
gue meccanicamente U pensiero, nel pronunziare le ultime parole i l
barone, forse senza volerlo, vibrò veramente una pedata e colse i n
pieno petto Daniele con tanta forza da farlo ruzzolare sul pavimen-
to. Daniele crollò con u n grido soffocato; p o i si rialzò a stento e-
mettendo uno strano mugolio, simile al gemito d i u n animale ferito
fl morte e fissando sul barone uno sguardo carico d i disperato furo-
re. La borsa d i danaro gettatagli dal suo signore prima d i andarsene
la lasciò sul pavimento senza nemmeno toccarla.
Erano giunti frattanto Ì parenti prossimi abitanti nelle vicinan-
ze. I l vecchio barone verme tumulato con gran pompa nella tomba
d i famiglia, situata entro la chiesa dì R..sitten. R i p a r t i t i gU ospiti, i l
nuovo signore del maggiorasco parve scordare i pensieri foschi e
rallegrarsi molto dei beni acquisiti. Dopo aver parlato con V . , pro-
curatore legale del defunto padre, g l i diede piena fiducia e lo ricon-
fermò nella carica. Fece quindi t m conto esatto dei proventi del
maggiorasco e cercò d i stabilire d i quale somma potesse disporre
per le necessarie migfiorie e per la costruzione d i u n nuovo castello.
A giudizio d i V . non era possibile che i l vecchio barone avesse con-
sumato per intero Ì redditi annuaU. Fra le corrispondenze e le carte
erano state trovate soltanto alcune somme irrilevanti In banconote,
e poco più d i mille talleri entro una cassetta d i ferro: c'era dunque
certamente dell'altro danaro nascosto da qualche parte. E chi altri
poteva saperlo se non Daniele?... Ostinato e caparbio com'era, for-
se aspettava soltanto che glielo domandassero ; ma forse anche si sa-
rebbe lasciato uccidere piuttosto che rivelare Ìl nascondìglio d i e-
ventuaH tesori; e non certo per avidità (...che cosa avrebbe potuto
farsene d'una così grossa somma d i danaro quel vecchio senza figli,
che non desiderava altro se non d i finire ì p r o p r i giorni nel castello
d i R..sitten?...) ma per vendicarsi della grave offesa subita. I l baro-
ne, molto preoccupato, riferì a V . l'incidente occorsogli con Danie-
le, spiegandogli d i aver saputo da diverse f o n t i che era stato soltan-
to l u i , i l vecchio maggiordomo, ad alimentare nel padre quell'in-
spiegabile mania d i non voler rivedere ì p r o p r i figli nel castello d i
R..sìtten. L'avvocato dichiarò totalmente false tali voci: perché
nessun individuo al mondo sarebbe mai stato i n grado, non diciamo
d i provocare, ma neppure dì influenzare le decisioni del vecchio ba-
i84 RACCONTI NOTTURNI

rone; e prese su d i sé l'incarico d i strappare a Daniele i l segreto d i


eventuali somme nascoste i n qualche angolo. N o n gH costò molta
fatica. N o n ebbe che da dire: ~ Come mai, Daniele, i l vecchio si-
gnore ha lasciato COSI poco denaro liquido?... — e l'altro rispose con
u n indisponente sorriso: - Allude a quei miserabili quattro talleri
t r o v a t i nella cassetta, signor avvocato?... I l resto è nella cripta ac-
canto alia camera da letto del compianto signore. M a i l meglio, -
proseguì mentre quel suo sorriso si trasformava i n u n orrendo sog-
ghigno e u n bagliore rossastro g l i guizzava negli occhi: - i l meglio,
e cioè molte, molte migliaia d i monete d'oro, è sepolto laggiù, sotto
le macerie!
L'avvocato chiamò subito i l barone: andarono nella camera da
letto, Daniele toccò qualcosa nel tavolato della parete e apparve u-
na serratura lucente. I I barone la esaminò con occhi pieni d i cupidi-
gia, trasse a stento d i tasca u n grosso e tintinnante mazzo d i chiavi,
si inginocchiò, incominciò a provarle ad una ad una. A l l o r a Danie-
le si erse I n tutta la sua statura, lanciò dall'alto, sul padrone ingi-
nocchiato, i m o sguardo pieno d'orgoglio e d i cattiveria e disse con
voce tremante e la morte dipinta sul viso ; - Se sono u n cane, signor
barone illustrissimo, del cane ho pure conservato la fedeltà ! - e con
queste parole g l i porse una lucida chiave d'acciaio. I l barone gliela
strappò d i mano con cupidigia febbrile e aperse la porta senza diffi-
coltà. Entrarono i n una cripta angusta, bassa, videro u n grosso for-
ziere metallico aperto; sui sacchetti d i denaro d i cui era colmo c'era
u n biglietto. Con i suoi ben n o t i caratteri grandi, antiquati, i l vec-
chio barone aveva scritto:

C e n t o c i n q u a n t a m i l a talleri i m p e r i a l i i n vecchi federichi d'oro. Q u e s t a


s o m m a , r i s p a r m i a t a s u i p r o v e n t i de] feudo d i R . . s i t t e n , è destinata alla co-
struzione d e l castello. C o n essa i l m i o successore dovrà i n o l u c far costruite ed
accendere t u t t e l e notti p e r l a sicurezza d e i naviganti u n grande faro sulla col-
l i n a p i l i alta, situata a oriente della torce che troverà crollata.

R . . s i t t e n , l a notte d i s a n M i c h e l e d e l l ' a n n o 1 7 6 0 .
R o d e r i c o , barone d i R.

Soltanto dopo aver estratto dallo scrigno e lasciato ricadere ad


u n o ad u n o t u t t i i sacchetti, godendo all'udire i l tintionio dell'oro,
i l barone si volse i n fretta al vecchio maggiordomo, Io ringraziò per
quella prova d i fedeltà, scusandosi d i averlo maltrattato per aver
prestato fede a chiacchiere calunniose. N o n soltanto doveva rima-
nere al castello, ma conservare la carica d i maggiordomo con sti-
pendio raddoppiato. - T i devo una grossa riparazione, - concluse
abbassando l o sguardo davanti al vecchio e additandogli l o scrigno
I L MAGGIORASCO 185

cui si era d i nuovo avvicinato per soppesare i sacchetti. - Se v u o i


dell'oro, prendi uno d i questi...
I I maggiordomo si fece d i fiamma. D I nuovo emise quel racca-
pricciante mugolio simile al gemito d'un animale ferito a morte,
descritto dal barone all'avvocato. Questi rabbrividì, perché gli par-
ve dì sentirlo mormorare fra ì denti qualcosa come: - Sangue... n o n
oro!... - Immerso nella contemplazione del suo tesoro, i l barone
non si era accorto d i nulla. Daniele, scosso i n tutte le membra da u-
na specie d i spasmo febbrile, g l i si avvicinò umilmente a capo chì-
: no, g l i baciò la mano e disse con voce piagnucolosa passandosi I I
fazzoletto sugli occhi come per tergersi le lacrime: - A h , mio caro,
m i o buon signore... che me ne farei dell'oro i o , povero vecchio sen-
^ za figli?... M a i l doppio stipendio l o accetto con gioia. Farò i l m i o
' servizio con t u t t o l'Impegno!
I l barone, senza badargli troppo, lasciò ricadere i l pesante co-
perchio dei forziere, sf che tutta la cripta ne rimbombò, e dopo a-
- verlo richiuso e ritirata la chiave, gettò là i n fretta: - Bene, bene,
vecchio... - Quando furono d i nuovo nella sala soggiunse: - Però,
non avevi anche parlato d'una gran quantità d i monete d'oro sepol-
te sotto le macerie della torre?...
I l vecchio si avvicinò alla porta ìn silenzio e, con molta fatica, la
àpd.
M a appena ebbe smosso i l battente l'uragano irruppe nella sala
trascinandovi u n fitto turbine d i neve; i m corvo impaurito si mise
a svolazzare i n tondo gracidando e sbattendo le ali contro le finestre
• e, ritrovata l'uscita, si tuffò nel baratro. I l barone uscì nel corridoio,
gettò uno sguardo i n basso e subito si ritrasse Inorridito. - Spaven-
,,toso... - b a l b e t t ò . - . . . M i girala testa... - e si abbandonò quasi sve-
n u t o fra le braccia del legale. M a si riprese quasi subito, scrutò i l
vecchio con uno sguardo indagatore e g l i chiese: - Là sotto?... -
• Daniele aveva frattanto richiuso la porta e continuava a rirare con
, tutte le sue forze, mugolando e ansimando, per togHere la chiave
«dalla serratura arrugginita; quando l'ebbe tolta si volse al barone e,
'iacendola dondolare insieme alle altre grosse chiavi, rispose con
; uno strano sorriso: - Si, là sotto c'è roba per migliaia e migliaia d i
/talleri... t u t t i i begli strumenti del compianto signore... telescopi,
quadranti, globi, riflettori... t u t t o fracassato fra le macerie, sotto le
pietre e le travi...
- M a denaro... denaro Hquido... - insistette i l barone. - N o n
:«vevi parlato d i monete d'oro, vecchio?... - Intendevo soltanto...
:^Oggetti che sono costati molte migliaia d i monete d'oro, - rispose
j l ^ n l e l e . E n o n c i f u verso dì cavargli una parola d i più. I I barone
i86 RACCONTI NOTTURNI

sembrava felice d i aver trovato ad u n tratto i mezzi necessari per


attuare Ìl progetto che più g l i stava a cuore: la costruzione d'un
nuovo, grandiosissimo castello. Per dire i l vero, l'avvocato era del
parere che i l defunto avesse inteso alludere unicamente alle ripara-
zioni, alla integrale ricostruzione dell'antico castello, perché ben
difficilmente u n edificio nuovo ne avrebbe eguagliato la maestosa
grandiosità, lo stile semplice e severo. M a i l barone rimase fermo
sulla sua decisione; sostenendo che per le disposizioni non contem-
plate dall'atto istitutivo del maggiorasco, la volontà del defunto ri-
maneva f u o r i causa. Lasciò peraltro intendere che riteneva suo do-
vere abbellire la residenza d i R..sitten compatibilmente col clima,
i l luogo, i d i n t o r n i , perché aveva intenzione d i condurre i n moglie,
entro breve tempo, una donna amatissima e pienamente degna di
qualsiasi sacrificio. I l tono misterioso i n cui parlò d i questo matri-
monio, forse già celebrato segretamente, precluse all'avvocato la
possibilità d i porgli altre domande; tuttavia la decisione del baro-
ne i n u n certo senso Io tranquillizzò ; perché quella sua affannosa ri-
cerca d i denaro poteva forse attribuirsi non tanto a cupidigia vera e
propria quanto al desiderio d i far dimenticare alla donna amata la
patria lontana. A l t r i m e n t i avrebbe dovuto considerarlo un uomo
d'una avarizia, o quanto meno d'una avidità intollerabile: mentre
frugava nell'oro ed esaminava le vecchie monete lo aveva ben sen-
tito mormorare: - I l vecchio briccone ci ha certamente taciuto i l
nascondiglio del tesoro più grosso... M a la prossima primavera farò
rimuovere le macerie della torre sotto i miei occhi...
Giunsero alcuni architetti. Insieme ai quali i l barone studiò lun-
gamente i progetti del nuovo edificio. Scartò disegni su disegni non
parendogli nessuna architettura ricca e grandiosa abbastanza. Poi
provò a disegnare egli stesso, ci prese gusto perché tale lavoro gli
metteva continuamente sott'occhlo i l radioso quadro d'un avveni-
re felice, diverme d'un buonumore talvolta quasi sfrenato e ne con-
tagiò t u t t i . La Hberalità, l'opulenza con cui accoglieva i suol ospiti
dissiparono ogni residuo sospetto d i avarizia. Anche Daniele pare-
va aver ormai completamente dimenticato i l torto ricevuto; si com-
portava con taciturna umiltà verso U barone i l quale (sempre a mo-
t i v o del possibile tesoro sepolto...) spesso lo seguiva con occhi pìe-
ni d i diffidenza. M a la cosa più stupefacente era che II vecchio pare-
va ringiovanire d i giorno i n giorno. Forse aveva molto sofferto per
la perdita dell'anziano padrone ed ora incominciava a riprendersi,
forse g l i giovava n o n essere più costretto a trascorrere intere notta-
te insoimi lassù nella torre, al freddo, e poter consumare buon vino
e cibo migliore, a volontà. Fatto si è che sembrava volersi trasfor-
I L MAGGIORASCO 187

mare i n u n uomo vigoroso, ben n u t r i t o , dalle guance piene e san-


guigne; camminava con passo energico, apprezzava g l i scherzi e ne
rideva forte insieme agli altri.
La vita allegra al castello venne interrotta dall'arrivo d i u n uo-
mo che pure si sarebbe dovuto supporre appartenesse all'ambien-
te. Quest'uomo era Uberto, i l fratello cadetto d i Volfango, i l quale
non appena lo vide esclamò impallidendo come u n morto : - Sciagu-
. rato, che v u o i t u qui?... — Uberto g l i si gettò fra le braccia ed egli lo
I trascinò i n ima camera appartata, al piano d i sopra. Rimasero chiu-
si là dentro per parecchie ore, p o i Uberto ridiscese sconvolto e or-
dinò che g l i preparassero i cavalli. L'avvocato cercò d i sbarrargH la
strada e poiché l'altro insisteva nel voler ripartire lo pregò d i trat-
' tenersi ancora per u n paio d'ore, con la segreta speranza d i poter
'v forse porre fine a u n mortale dissidio tra fratelli. I n quel momento
'(ridiscese anche i l barone implorando: - R i m a n i , Uberto!... Rifletti,
muterai consigHo!... - L o sguardo d i Uberto si rischiarò; egli ripre-
i l domino d i sé, si tolse l'elegante pelliccia, la gettò al domestico
e stringendo la mano al fratello g l i disse con u n sorriso sprezzante:
- A quanto pare Ìl signore del maggiorasco ha deciso d i sopportarmi
i n casa sua!...
I l disgraziato malinteso, esasperato dalla lontananza, si sarebbe
forse chiarito, osservò V , Uberto prese le pinze d i ferro appoggiate
: al camino, attizzò i l fuoco e spaccando u n grosso ciocco fumante,
disse: - Come lei vede, signor avvocato, ìo sono u n uomo alla buo-
na, adatto a t u t t i ì servizi domestici... M a Volfango è pieno d i stra-
nissimi pregiudìzi... ed è anche u n inguaribile piccolo spilorcio...
' V . non giudicò opportimo interferire nei rapporti fra ì due fra-
t e l l i , tanto più perché l'espressione, i l comportamento, i l tono d i
' voce d i Volfango ', tradivano chiaramente l'uomo combattuto da
molte e svariate passioni.
A tarda sera tuttavia si recò dal barone per conoscerne le deci-
; sioni circa u n certo affare concernente i l maggiorasco. Estremamen-
• te turbato, Volfango misurava la camera a grandi passi, le mani
1 strette dietro la schiena; quando vide l'avvocato si fermò, g l i prese
le mani e disse con voce rotta, fissandolo cupamente negli occhi:
- È arrivato m i o fratello... - V . aperse la bocca per parlare: - So
che cosa v u o l dire, - lo interruppe i l barone. - A h , ma l e i non sa
nulla!... L e i n o n sa che U m i o sciagurato fratello - ... si, sciagurato
voglio chiamarlo... - sempre e dovunque mì sbarra i l cammino, co-
me uno spirito maligno perturbatore della mìa pace... N o n è certo

' L ^ g i : d i Uberto. Si tratta evidentemente d'una svista dello scrittore [N.d.T.l


i88 RACCONTI NOTTURNI

merito suo se non sono finito i n miseria... l u i ha fatto i l possibile


perché ciò avvenisse, ma i l cielo n o n l'ha voluto... Da quando è sta-
ta resa nota l'istituzione del maggiorasco m i perseguita con odio
mortale, m i invidia i l possesso d i questa fortuna che nelle sue mani
sarebbe sfumata come pula al vento... È Ìl più pazzo degli scialac-
quatori che esistano al mondo... I l cumulo dei debiti supera d i mol-
to la metà dei suoi beni i n Curlandia... E d ora, perseguitato, anga-
riato dai creditori, corre q u i a mendicare u n p o ' d i denaro. - E lei,
suo fratello, gUelo nega?... - domandò V . interrompendolo. - Tac-
cia... basta! - gridò ìl barone con violenza lasciandogli le mani e fa-
cendo u n gran passo indietro: - Sì, gliel'ho negato!... D e i proventi
del maggiorasco n o n posso dargli e non g l i darò u n solo tallero!...
M a stia a sentire che cosa ho proposto a quell'insensato alarne ore
fa, e p o i giudichi del mìo senso del dovere... I l patrimonio svincola-
to, i n Curlandia, come l e i sa, è considerevole. Ebbene, ero disposto
a rinunziare alla mia metà, ma i n favore della sua famiglia. I n Cur-
landia Uberto ha sposato una signorina, bella ma povera, che g l i ha
messo al mondo due figli e fa la miseria insieme a loro. I beni do-
vrebbero venire amministrati e dalle rendite si dovrebbe trarre la
cifra necessaria al loro sostentamento; i creditori potremmo taci-
tarli con una transazione... M a che se ne fa, l u i , dì una vita tranquil-
la e senza preoccupazioni, che gliene importa della moglie e dei fi-
gli?... Denaro, grosse somme d i denaro contante, vuole avere, per
poter scialacquare con vergognosa incoscienza !... Chissà chi diavolo
g l i avrà rivelato i l segreto dei centocinquantamila talleri: ora ne e-
sige la metà sostenendo, da quel pazzo che è, che quel denaro è da
considerarsi parte del patrimonio svincolato, n o n appartenente al
maggiorasco. Devo rifiutarglielo, e gUelo rifiuterò. M a sospetto che
egh stia macchinando la mia rovina! - N o n essendo molto al corren-
te della situazione, V . tentò d i dissipare i l sospetto del barone ver-
so i l fratello avvalendosi d i argomenri morali generici e piuttosto
fiacchi; ma n o n riuscì nell'intento. I l barone l o incaricò d i trattare
con l'avido e malfido U b e r t o ; V . lo fece con ogni cautela e rimase
non poco soddisfatto quando Uberto finalmente dichiarò: - Sta be-
ne; accetto le proposte del signor primogenito. M a a condizione che
m i versi subito inille scudi d'oro i n contanti perché i creditori i m -
placabili sono sul p u n t o d i farmi perdere per sempre l'onore e i l
b u o n nome. Esigo inoltre che t i generoso signor fratello m i permet-
ta d'ora i n p o i d i stabilirmi almeno per u n certo periodo q u i a
R..sitten.
- Questo mai! - gridò i l barone quando V . g l i riferì le contro-
proposte del fratello: - Quando avrò condotto q u i mia moglie non
I L MAGGIORASCO 189

permetterò che Uberto rimanga i n questa casa neppure per u n i -


stante!... Vada, m i o caro amico, dica a quel guastafeste che avrà
d u e m i l a scudi, e n o n come anticipo ma come regalo... Soltanto che
sene vada... V i a d i q u i , v i a ! . . . - V . apprese così tutt'a u n tratto che
, i l barone era già sposato, all'insaputa del padre; e comprese che la
' causa prima del dissidio fra i due fratelli doveva essere stato pro-
p r i o quel matrimonio. Uberto ascoltò ìl messaggio con cipiglio alte-
\. to ma senza scomporsi; e quando l'avvocato ebbe finito disse cupa-
: mente: - C i penserò. I n t a n t o rimango q u i ancora qualche giorno.
Vedendolo cosi insoddisfatto, V . cercò d i dimostrargli che i l ba-
rone stava facendo d i t u t t o per indennizzarlo nella massima misura
!. possibile, cedendogli gran parte del patrimonio non vincolato. N o n
aveva q u i n d i assolutamente m o t i v o dì lamentarsi, benché i n una
iiistituzione che favoriva tanto i l primogenito a scapito degli altri fi-
I g l i ci fosse innegabilmente qualcosa d i odioso... - Uberto aperse
i kopetuosamente i l giustacuore dall'alto al basso, con uno strappo,
ìcome se si sentisse mancare i l respiro, infilò una mano nell'apertu-
ira della camicia, puntò l'altra sul fianco, piroettò agilmente su u n
ffpiede solo come u n ballerino e disse con voce tagliente : - Bah !... Le
?cose odiose nascono dall'odio P o i scoppiò i n ima risata stridente
soggiunse: — Però... com'è generoso i l signore del maggiorasco
i;inel gettare i suoi scudi d'oro al povero mendicante!... - A questo
• p t m t o V . si rese conto che a una riconciliazione tra i fratelli non era
I neppure i l caso d i pensare.
U b e r t o andò ad occupare le camere assegnategli nell'ala latera-
f'ie del castello e, con grande disappunto del barone, v i sì installò co-
j me per i m assai lungo soggiorno. SÌ notò che parlava spesso lunga-
mente col maggiordomo i l quale talvolta l o seguiva perfino a caccia
: d i l u p i . D e l resto Uberto sì faceva vedere pochissimo ed evitava
jwcnipolosamente dì incontrarsi a quattr'occhi col fratello, con gran-
sollievo d i costui. - V . avvertiva t u t t o i l disagio della situazione
! « doveva ammettere, i n cuor suo, che Uberto col suo strano e i n -
Iquìetante modo d i comportarsi, d i parlare, d i agire, pareva fatto
:'.apposta per turbare ogni gioia; e trovava ora spiegabilissimo i l so-
: prassalto del barone quando l'aveva visto apparire.
Una sera V . sedeva solo nella sala d'udienza fra le sue carte
^quando entrò Uberto, più calmo e più serio del solito, e g l i disse
*0on voce quasi afflitta: - Accetto anche le ultime proposte d i m i o
^^atcllo. Faccia i n modo che i duemila scudi d'oro m i vengano con-
jiSegnari oggi stesso. Intendo partire stanotte - a cavallo - da solo.
ft" Col denaro? ! - domandò V . - H a ragione, - rispose Uberto. - So
9che cosa v u o l dire : i l denaro pesa... N o . L o trasferisca con ima lette-
RACCONTI NOTTURNI

ra d i credito a Isak Lazarus, a K. Conto d i arrivarci entro stanotte.


Devo andarmene: i l vecchio con le sue stregonerie ha attirato qui
dentro gH spiriti maHgni! - Sta parlando d i suo padre, signor baro-
ne? - domandò V . facendosi molto serio. Uberto aveva le labbra
tremanti e si appoggiava alla sedia per non cadere. A d u n tratto, r i -
preso i l controllo d i sé, esclamò: - Dunque, entro oggi signor av-
vocato, - ed uscì reggendosi a stento sulle gambe.
— Finalmente ha capito che più nessun imbroglio è possibile...
sa d i non poter nulla contro la mia fermissima volontà, - disse i l ba-
rone intestando l'assegno a Isak Lazarus. La partenza de] fratello
nemico g l i toglieva u n peso dal cuore. A cena si mostrò allegro co-
me n o n i o era più da tanto tempo. Uberto si era fatto scusare e nes-
simo parve rimpiangerlo.
V . alloggiava i n i m a camera piuttosto appartata, le cui finestre
davano sul cortile. Durante la notte si destò d i soprassalto con l ' i m -
pressione d'essere stato svegliato da u n gemito lontano. Tese l'o-
recchio, rimase a lungo i n ascolto: silenzio d i tomba. Pensò quindi
d i aver sognato. Tuttavia si sentì invadere da u n così strano senso
d i angoscia, d i terrore, da non poter più restare a letto. Si alzò, andò
alla finestra. N o n dovette attendere molto: vide aprirsi U portone
del castello e uscirne una figura con i n mano una candela accesa. La
figura attraversò i l cortile: V . riconobbe i l vecchio Daniele; l o vide
aprire la porta della scuderia, entrare, uscirne poco dopo conducen-
do f u o r i u n cavallo sellato. D a l buio emerse una seconda figura, i m -
pellicciata, con i n testa u n berretto d i pelo d i volpe {...era Uber-
to...), parlò concitatamente per a l a m i miinuti con Daniele, poi sì ri-
trasse. Daniele ricondusse i l cavallo nella scuderia, richiuse la por-
ta, riattraversò Ìl cortile, rientrò nel castello richiudendone i l porto-
ne. Era dunque chiaro che Uberto aveva deciso d i partire e all'ulti-
mo momento aveva cambiato idea. E d era altrettanto chiaro che
egli stava armeggiando qualcosa d i pericoloso con la complicità del
vecchio maggiordomo. V . attese i l mattino bruciando dall'impazien-
za d i riferire al barone quanto era accaduto nella notte: ora si trat-
tava davvero d i premunirsi contro le macchinazioni preaimunzìate
i l giorno prima dal malvagio Uberto i n una crisi d i turbamento.
La mattina seguente, dunque, all'ora i n cui ìl barone era solito
alzarsi, V . intese u n grande andirivieni, u n aprirsi e richiudersi d i
porte, u n sovrapporsi d i voci, d i grida confuse. Uscito dalla camera
si imbatté ad ogni passo i n servitori pallidi e stravolti che andava-
no, venivano, correvano su e giù per le scale passandogli accanto
senza badargli. Finalmente riuscì a farsi dire da qualcuno che i l ba-
rone era scomparso : lo stavano cercando già da parecchie ore. Si era
I L MAGGIORASCO 191

coricato alla presenza del guardiacaccia, ma p o i doveva essersi alza-


to per uscire i n vestaglia e pantofole, con u n candeliere i n mano,
perché appunto quegli oggetti mancavano. Colto da un sinistro pre-
sentimento, V- corse nel fatale salone i l cui salottino laterale V o l -
fango, come già suo padre, aveva scelto come camera da letto. La
porta d i accesso alla torre era spalancata: - Si è sfracellato... là i n
fondo! - urlò V . inorridito. E cosi era. A causa della neve da poco
caduta, dall'alto n o n si poteva scorgere che i l braccio dell'infelice,
irrigidito fra Ì sassi. Occorsero parecchie ore prima che g l i operai, a
rischio della vita, riuscissero a scendere servendosi d i scale legate
insieme e a tirar su i l cadavere con le corde. L'unico membro illeso
del corpo orrendamente straziato nella caduta sulle pietre aguzze
era la mano spasmodicamente serrata sul candeliere d'argento.
Sconvolto dalle furie della disperazione, Uberto accorse quando
già la salma era stata recuperata e deposta su un lungo tavolo al
centro della sala, esattamente come poche settimane prima quella
del vecchio Roderico: - Fratello... o povero fratello m i o ! - gridò,
annientato dall'orrendo spettacolo. - No!... Questo n o n lo avevo
chiesto ai demoni da cui ero posseduto!...
A l l ' u d i r e tali ambigue parole V . trasalì, ed ebbe l'unpressione
di doversi scagliare contro Uberto come se fosse stato l u i l'assassi-
no del fratello. M a Uberto era caduto a terra p r i v o d i sensi. L o por-
tarono a letto, g l i somministrarono alcuni cordiali ed egli si riebbe
abbastanza facUmente. Pallidissimo, g l i occhi semispenti pieni d i
cupa afflizione, disse abbandonandosi sfinito su una poltrona : - H o
-<Ìesiderato la morte d i mio fratello perché nostro padre, con quel-
•:l'assurda istituzione, g l i aveva lasciato la parte migliore dell'eredi-
:tà... O r a egli è morto i n quell'orribile modo e Ìo sono diventato i l
'signore del maggiorasco... M a ho i l cuore spezzato... non posso, n o n
potrò mai più esser felice... La riconfermo nella sua carica, le confe-
risco i più ampi poteri per quanto riguarda l'amministrazione d i
questo feudo, i n cui io n o n potrò risiedere mai più!... - Ciò detto
lasciò la camera e i m paio d'ore più tardi era già sulla via d i K.
Si credette d i poter concludere che Volfango si fosse alzato du-
>rante la notte, forse per andare nell'altro salotto i n cui aveva siste-
iinato una biblioteca; intontito dal sonno aveva aperto per sbaglio
kina porta per un'altra ed era precipitato. Questa spiegazione appa-
^riva tuttavia per m o i r i versi forzata. Se i l barone era andato i n b i -
Uoteca a prendere i m libro perché n o n riusciva a dormire, ciò e-
ludeva che fosse i n t o n t i t o dal soimo... E che cos'altro avrebbe po-
i t o fargli sbagliare porta?... Fra l'altro, la porta dell'antica torre
;,era pesantemente sprangata e molto difficile da aprirsi...
192 RACCONTI NOTTURNI

- A h , caro signor procuratore... le cose non sono andate cosi!


- esclamò Franz, i l guardiacaccia personale del defunto barone,
quando V . ebbe espresso i p r o p r i dubbi dinnanzi alla servitù riuni-
ta. - E come allora?... — domandò V . - Franz, u n tipo onesto e fe-
dele che avrebbe seguito U suo padrone anche nella tomba, non vol-
le dire d i più i n presenza degH a l t r i : ciò che sapeva lo avrebbe con-
fidato soltanto «al signor giustiziarlo». V . apprese cosi che Ìl baro-
ne parlava sovente con Franz d i probabiH tesori sepolti laggiù, sot-
to le macerie... E molto sovente, d i notte, come sospinto da imo spi-
r i t o mahgno, andava ad aprire la malaugurata porta d i cui si era
fatto dare la chiave da Daniele e scrutava avidamente i l fondo della
voragine, dove supponeva giacessero tante ricchezze. Era dunque
certo che la notte fatale, lasciato solo dal guardiacaccia, era ritorna-
to ancora una volta alla porta della torre e, colto da un'improvvisa
vertigine, era precipitato. Daniele, apparentemente molto scosso
dall'orrenda fine de! barone, osservò che sarebbe stato bene mura-
re quell'apertura pericolosa, ìl che f u fatto immediatamente.
I l barone Uberto von R., nuovo signore del maggiorasco, ritor-
nò i n Curlandia e non si fece più vedere a R..sitten. V . , come si è
detto, aveva avuto da l u i i pieni poteri per l'amministrazione del
feudo. La costruzione del nuovo castello rimase interrotta, mentre
i l castello antico verme restaurato nel l i m i t i del possibile.
Dopo m o l t i anni, a tardo autuimo, Uberto ricomparve per la pri-
ma volta ad R..sitten e, trascorsi parecchi giorni nei propri apparta-
menti insieme a V . , ritornò i n Curlandia. Durante questo soggior-
no era apparso profondamente mutato dì carattere ed aveva più
volte accennato a certi suoi presagi d i morte imminente. I presagi si
avverarono, poiché egli m o r i l'armo successivo. Suo figlio - d i no-
me Uberto come l u i - si affrettò a venire dalla Curlandia, seguito
dalla madre e dalla sorella, per prender possesso del ricco maggio-
rasco. Quel giovane sembrava assommare i n sé tutte le cattive qua-
lità degli antenati e fin dal momento del suo arrivo a R. .sìtten sì mo-
strò superbo, altezzoso, collerico, avido d i denaro. Pretese d i cam
biare su due piedi t u t t o ciò che, per u n motivo o per l'altro, non gli
andava a genio, gettò i l cuoco f u o r i d i casa, fece per bastonare il
cocchiere e n o n d riuscì unicamente perché l'erculeo giovanottone
ebbe la sfrontatezza d i non lasciarsi bastonare; insomma pareva ìn
gran vena dì mettersi a recitare fin da principio la parte del feudata-
rio inflessibile, quando V . lo affrontò e g l i (Èsse con grande fermez-
za che neppure una sedia doveva venire spostata, neppure u n gatto
doveva venir costretto a lasciare la casa se preferiva restare, prima
dell'apertura del testamento. - L e i sta ribellandosi al signore del
I L MAGGIORASCO 193

maggiorasco! - saltò su i l giovanotto schiumante d i rabbia, ma V .


non lo lasciò finire e squadrandolo con un'occhiata penetrante pre-
cisò: - N o n precipitiamo le cose, signor barone. L e i q u i n o n può
assolutamente disporre d i nulla prima dell'apertura del testamen-
to. Per adesso, i o , i o solo sono i l padrone, e saprò oppormi alla pre-
potenza con la prepotenza. Ricordi che, i n forza dei miei pieni po-
teri d i esecutore testamentario, i n forza delle disposizioni dell'auto-
rità giudiziaria, sono autorizzato a interdirle d i risiedere a R..sit-
ten. E a scanso d i spiacevoli incidenti la consiglio d i ritornarsene
tranquillamente a K.
La serietà, i l tono deciso del procuratore d i giustizia diedero la
necessaria efficacia al discorso. E così i l giovane barone che voleva
attaccare a testa bassa, con corna forse u n po' troppo appuntite, la
solida rocca, avverti la debolezza delle proprie armi e credette bene
d i mascherare lo smacco con una risata sprezzante.
Trascorsi tre mesi giunse i l giorno i n cui, secondo la volontà del
defunto, doveva venir aperto i l testamento a R..sitten, dove era sta-
to depositato. O l t r e ai funzionari del tribunale, al barone e a V . , si
presentò i n sala d'udienza anche u n giovane sconosciuto, d i nobile
aspetto; era stato introdotto da V . e, a m o t i v o d'un rotolo d i docu-
menti sporgente dall'apertura della giacca, t u t r i lo presero per i l
suo scrivano. I l barone l o squadrò dall'alto i n basso, come soleva
fare con t u t t i , e ordinò con tempestosa impazienza che la noiosa e
superflua cerimonia venisse sbrigata alla svelta, senza tante parole
e tante scritture.
N o n capiva, soggiunse, che cosa potesse dipendere dal testa-
mento i n quella faccenda d i successione, almeno per quanto riguar-
dava i l maggiorasco. E d'altronde l'osservare o meno le eventuali
disposizioni testamentarie sarebbe dipeso unicamente da l u i . Get-
tato u n rapido sguardo imbronciato al documento, dichiarò d i rico-
noscere la scrittura e Ì sigilli del defunto padre; e mentre i l cancel-
liere del tribxmale sì disponeva a dar pubblica lettura del testamen-
to gettò i l braccio sinistro sulla spalliera della sedia, tese i l destro
sulla tavola occupata dai funzionari e prese a tamburellare con le di-
ta sulla tovaglia verde volgendosi a guardar fuori dalla finestra con
aria indifferente. Dopo una breve premessa, i l defunto barone l i -
berto v o n R. dichiarava d i non aver mai tenuto i l feudo i n qualità d i
vero signore del maggiorasco, ma d i essersi limitato ad ammini-
strarlo i n nome dell'xmico figlio del defunto barone Volfango v o n
R. A costui soltanto, chiamato Roderico come i l nonno, veniva a
toccare i l maggiorasco. U n resoconto esattissimo della consistenza
patrhnoniale, degli i n t r o i t i , delle spese ecc., lo si sarebbe trovato
194 RACCONTI NOTTURNI

nel suo lascito. VoHango v o n R. - spiegava Uberto nel testamento


— durante u n viaggio a Ginevra aveva conosciuto la signorina G i u -
lia de St-Val e concepito per lei una simpatia cosi forte da n o n vo-
lersene più separare. G i u l i a de St-Val era molto povera e la sua fa-
miglia, benché d i buona nobiltà, non figurava fra le più eminenti.
Questo soltanto sarebbe bastato a togliergli ogni speranza d'ottene-
re i l consenso del vecchio Roderico, sollecito unicamente d i confe-
rire sempre maggior lustro al maggiorasco. Volfango ardi tuttavia
confessargli la propria inclinazione scrivendogli da Parigi. M a , co-
m'era prevedibile, i l vecchio dichiarò recisamente d i aver già scelto
egli stesso la sposa per i l signore del maggiorasco; e d i un'altra non
era neppure ìl caso d i parlare. Volfango, invece d i imbarcarsi per
l'Inghilterra come avrebbe dovuto, ritornò a Ginevra sotto i l nome
d i Born, sposò G i u l i a e nel giro d ' u n anno ebbe da lei i l figlio che,
alla sua morte, divenne l'erede del maggiorasco. I l fatto che Uber-
t o , al corrente d i t u t t o , avesse taciuto per tanto tempo, assumendo
la gerenza del feudo spettante al nipote, poteva attribuirsi ad ac-
cordi precedentemente intervenuti con Volfango; ma i m o r i v i ad-
d o t t i parevano insufficienti e campati i n aria.
Come folgorato, i l barone fissava con occhi sbarrati i l cancellie-
re giudiziale che g l i aimunzlava con voce gracidante e monotona
tanta sciagura. Quando questi ebbe terminato d i leggere, V . si alzò,
prese per mano i l giovane che aveva condotto con sé e disse inchi-
nandosi ai presenti: - Signori, ho l'onore d i presentarvi i l barone
Roderico v o n R., signore del maggiorasco d i R..sitten! - I l barone
Uberto lanciò tm'occhiata piena d i rabbia repressa al giovane pio-
vuto dal cielo a sottrargli i l ricco feudo e la metà del patrimonio
svincolato, i n Curlandia, serrò i pugni i n un gesto d i minaccia e cor-
se via senza profferir parola. A richiesta dei funzionari del tribuna-
le, i l barone Roderico esibì i documenti comprovanti la propria i -
dentità, e cioè u n estratto legalizzato dai registri della chiesa i n cui
suo padre si era sposato, da cui risultava che i l giorno tale i l mer-
cante Volfango B o r n , nato a K., e la signorina G i u l i a de St-Val si
erano u n i t i i n matrimonio religioso alla presenza d i testimoni. I l
giovane produsse inoltre i l proprio certificato d i battesimo (era sta-
to battezzato a Ginevra, come figlio legìttimo del mercante B o r n e
d i sua moglie, G i u l i a de St-Val), nonché diverse lettere del padre
alla madre, morta da molto tempo, tutte però firmate soltanto con
una V . V . esaminò t u t t i i documenti con viso scuro e richiudendo
i l fascicolo disse piuttosto preoccupato: - E d ora, che I d d i o ci
aiuti!...
L'indomani stesso i l barone Uberto v o n R. presentò alle autori-
I L MAGGIORASCO

tà governative per mezzo del suo procuratore legale un'istanza i n


cui si chiedeva nientemeno che l'immediata consegna del maggiora-
sco d i R..sitten. - Era ovvio - argomentava l'avvocato - che i l de-
funto barone Uberto v o n R. non aveva facoltà d i disporre del mag-
giorasco né per testamento né i n alcun altro modo. I l suo testamen-
to non era dtmque nient'altro che una dichiarazione scritta e legit-
timata, attestante la volontà del barone Volfango von R. d i lasciare
i l maggiorasco a u n figlio ancora vivente. I l documento non aveva
maggior forza probante d i qualsiasi altra testimonianza e non pote-
va perciò i n alcun modo portare al riconoscimento del presunto ba-
rone Roderico v o n R. Spettava invece al pretendente esporre i pro-
p r i eventuali d i r i t t i ( q u i espressamente contestati) nel corso del
processo e rivendicare i l maggiorasco che ora, per d i r i t t o d i succes-
sione, passava al barone Uberto v o n R. I n seguito alla morte del pa-
dre, la proprietà andava direttamente al figlio, ed a questi non oc-
correva alcuna dichiarazione per accedere all'eredità, non potendo-
si abrogare la clausola della successione i n linea d i primogenitura.
Perciò l'attuale signore del maggiorasco non doveva venir impedito
nel godimento dei p r o p r i d i r i t t i da pretese assolutamente illegitti-
me. I m o t i v i per cui i l defunto aveva creduto bene d i proporre u n
altro erede erano del t u t t o indifferenti. Si doveva tuttavia prender
atto (e all'occorrenza lo si sarebbe potuto documentare) che Ìl de-
funto aveva avuto una relazione amorosa i n Isvizzera e pertanto i l
cosiddetto «figlio del fratello» era forse d i fatto figlio suo, f r u t t o d i
u n amore illecito; e a quel figlio, i n una crisi d i rimorso, aveva vo-
l u t o lasciare Ìl maggiorasco.

Per quanto verosimili fossero ì f a t t i asseriti nel testamento, e


benché l'istanza del barone Uberto suscitasse l'indignazione dei
giudici {specie per l ' u l t i m o capoverso ove i l figlio non aveva ritegno
d'incolpare U defunto padre d i u n misfatto), pure l'impostazione
del caso, dal punto d i vista giuridico, parye giusta; e f u unicamente
grazie agli sforzi incessanti d i V . , alla sua esplicita assicurazione d i
produrre entro breve tempo i documenti comprovanti l'identità e Ì
d i r i t t i del barone Roderico v o n R., che l'attribuzione del maggiora-
sco veime rimandata e l'amministrazione provvisoria mantenuta
fino alla conclusione della vertenza,
V . si rendeva perfettamente conto della difficoltà d i mantenere
i l suo impegno; aveva già rovistato fra tutte le carte del vecchio Ro-
derico senza trovare una sola lettera, u n solo rigo relativo ai rap-
p o r t i d i Volfango con la signorina de St-Val.
Una sera egH sedeva al tavolo nella camera da letto del vecchio
Roderico (... già frugata da capo a fondo...), assorto nella compila-
196 RACCONTI NOTTURNI

zione d i u n esposto per u n certo notaio d i Ginevra che g l i era stato


raccomandato come persona intelKgente e attiva e avrebbe dovuto
procurargli alcune notizie atte a chiarire la situazione del giovane
pretendente. Era ormai mezzanotte. La luce della luna piena filtra-
va chiara attraverso la porta spalancata sull'attiguo salone. Quan-
d'ecco parve a V . d i udire u n passo lento, pesante sulle scale... un
armeggiare, u n tintinnio d i chiavi. V . tese l'orecchio, sì alzò, andò
nella sala e udì distintamente i passi avvicinarsi, i n corridoio... Po-
chi istanti dopo la porta si apri ed entrò u n uomo i n camicia da not-
te, pallido, stravolto, con u n candeliere i n una mano e u n grosso
mazzo d i chiavi nell'altra. V . riconobbe subito i l maggiordomo: fe-
ce per domandargli che cosa volesse, dove stesse andando a quell'o-
ra d i notte ma tutt'a u n tratto avvertì con u n brivido d i orrore un
che d i sinistro, d i spettrale nella figura, nel viso impietrito, cadave-
rico del vecchio; e comprese d i trovarsi d i fronte a u n sonnambu-
lo... Camminando a passi cadenzati, come i m automa, Daniele at-
traversò diagonalmente la sala, puntò d i r i t t o verso la porta murata
che u n tempo adduceva alla torre, v i si fermò davanti ed emise dal
profondo del petto ima specie d i ululato che echeggiò sinistro nel
salone; V . sussultò inorridito. Poi i l vecchio posò a terra i l cande-
Here, si allacciò le chiavi alla cintura e incominciò a grattare i l mu-
ro con ambo le mani, freneticamente,... ansimando, gemendo come
i n preda a u n tormento indicibile... Ben presto i l sangue prese a
sprizzare dalle imghie sbranate... A d u n tratto i l vecchio smise d i
grattare ed accostò l'orecchio alla parete; rimase alcuni istanti i n
ascolto facendo cenni con la mano come per imporre ìl silenzio a
qualcuno; p o i riprese i l candeliere e si avviò verso la porta a passi
misurati e silenziosi, com'era venuto. Armatosi, anch'eglì d ' u n can-
deliere, V . l o segui guardingo e scese la scala dietro d i l u i . I l vec-
chio aperse i l portone principale del castello, sgusciò fuori, si dires-
se alla scuderia e v i entrò. Con grande stupore, V . l o vide posare i l
candeliere i n modo da illuminare t u t t o l'ambiente senza pericolo dì
dar fuoco, prendere sella e finimenti e sellare con grande cura un
cavallo, tirando bene la cinghia, fermando le staffe alla sella, facen-
do passare u n ciuffo d i crini sotto la testiera e rassettandolo con la
mano. Poi, preso l'animale per la briglia, lo condusse f u o r i batten-
dogli leggermente la mano sul collo e facendo schioccare la lingua.
I n cortile rimase fermo per alcuni istanti, nell'atteggiamento d i chi
stia prendendo o r d i n i e... ricondusse i l cavallo nella scuderia, lo dis-
sellò, tornò a legarlo alla greppia, riprese ìl candeliere, richiuse la
scuderìa, rientrò al castello e disparve nella propria camera spran-
gandola ben bene dall'interno. Profondamente impressionato da
I L MAGGIORASCO 197

questa scena, V . avvertì con certezza l'imminenza d'un orrendo m i -


sfatto; tale presentimento prese corpo ditmanzi a l u i , come u n nero
i spettro infernale, e non l o lasciò più; sapendo i n pericolo i l p r o p r i o
, patrocinato, V . pensò dì poter almeno volgere a suo vantaggio
; quanto aveva visto... La sera dopo, verso i l crepuscolo, Daniele sì
\ò da l u i per ricevere alcune disposizioni relative al governo del-
; la casa; allora V . lo afferrò per le braccia con fare confidenziale
; e spìngendolo a sedere g l i disse: - Senti vecchio amico Daniele...
\a tanto tempo volevo domandarti: che cosa ne pensi dell'ìmbro-
j g l i o i n cui ci ha cacciati lo strano testamento d i Uberto?... Credi
ì d i e quel giovanotto sia veramente figlio legìttimo dì Volfango?...
— Bah... — rispose i l vecchio con cipiglio arcigno volgendosi verso
; l o schienale della poltrona per evitare lo sguardo d i V . - Bah... Può
• darsi che l o sia... e può anche darsi che non lo sìa... Padrone q u i
f-dentro lo diventi chi vuole... a me che me ne importa?... - M a vole-
Ivo dire, - continuò V . avvicìnandoglìsi ancor più e ponendogli una
mano sulla spalla. - I l vecchio barone aveva piena fiducia ìn te e
• n o n t i avrà certamente taciuto la situazione dei figli. T i ha mai par-
i lato del matrimonio contratto da Volfango contro la sua volontà?...
[•- N o n riesco proprio a ricordarmene, - rispose i l vecchio sbadi-
i''j;liando i n modo sconveniente. - T u hai sonno, vecchio, - osservò
•V. - Forse hai passato una cattiva nottata... - N o n saprei, - rispose
'Daniele, come infreddolito. - M a adesso devo andare a ordinare la
tena... - e cosi dicendo si alzò, fregandosi le spalle curve e sbadi-
g l i a n d o ancor più smodatamente della prima volta,
i- - Fermati ancora, vecchio, - esclamò V . prendendolo per una
fluino e tentando d i costringerlo a sedere d i nuovo. M a Daniele r i -
imase ìn piedi davanti alla scrivania, v i si pxmtellò con le mani pìe-
ìgandosi i n avanti verso V . e ripetè imbronciato: - E p o i , che c'en-
Itro io?... D e l testamento, della Ute per i l maggiorasco, che cosa me
importa?... - N o n parliamone più, - lo interruppe V . - O r a si
itratta d'altro, caro Daniele: t u sei dì cattivo umore, sbadigli... tut-
sintomi d i stanchezza... D i r e i quasi che fossi proprio t u , stanot-
'*te... - Che cosa ho fatto stanotte ?... - domandò i l vecchio senza mu-
•^ar posizione. - Verso mezzanotte, - proseguì V . , - mentre ero nel-
[lo studiolo del vecchio signore, t u seì entrato nel salone, tutto rigi-
Jdo, pallido, t i sei avvicinato alla porta murata e t i sei messo a grat-
jtare la parete con tutt'e due le mani, gemendo come se soffrissi le
fpene dell'inferno... Sei per caso sonnambulo, Daniele?... - Senza
[^profferir parola i l vecchio ricadde d i schianto sulla sedia che V . f u
p r o n t o a spingergli sotto. L'oscurità già fitta gU celava i l viso; ma
V . sentì che aveva ìl fiato corto e batteva i denti. - Già, - disse aUo-
198 RACCONTI NOTTURNI

ra dopo u n breve silenzio. - Strano fenomeno quello del sonnambu-


lismo... U n o va i n giro, si muove come se fosse sveglio, e i l giorno
dopo n o n ricorda più niente... - Daniele continuava a tacere. -
M i era già accaduto d i vedere qualcosa dì simile... Avevo un amico
che, i n tempo d i lima piena, usciva regolarmente a passeggiare, co-
me f a i t u . . . Certe volte si metteva p e À i o a scrivere delle lettere...
M a la cosa più straordinaria era questa: sussurrandogli piano all'o-
recchio riuscivo a farlo parlare... Come costretto da una forza irresi
stibile, rispondeva sensatamente a tutte le domande. E diceva an-
che certe cose che da sveglio si sarebbe ben guardato dal dire... Dia-
volo! ... Credo proprio che a u n lunatico, quando è i n quello stranis-
simo stato, si potrebbe far confessare perfino u n delitto taciuto da
anni... Buon per chi ha la coscienza pulita come noi due, mio caro
Daniele!... Potremmo anche essere sonnambuli, nessuno riuscireb-
be mai a farci confessare u n delitto... M a ascolta Daniele: quando
gratti i n quell'orribile modo alla porta murata, t u vorresti certa-
mente salire nella torre astronomica e metterti al lavoro come face-
va i l vecchio Roderico, n o n è vero?... Basta. Questo te lo farò dire
la prossima volta! - Mentre V . cosi g l i parlava, Daniele era stato
preso da u n tremito che si faceva sempre più forte, scuotendolo tut-
to; infine, i n preda a una convulsione parossistica, scoppiò ad ulu-
lare parole monche, incomprensibili. A una scampanellata del pro-
curatore accorsero i servitori coi l u m i , sollevarono i l vecchio che
continuava a dibattersi come u n fantoccio meccanico e lo portaro-
no a letto. A l l a terribile crisi che durò più d'un'ora seguì uno stato
d i sopore simile a u n profondo delìquio. Appena si riebbe Daniele
chiese u n po' dì v i n o , p o i mandò vìa ì servitori incaricati d i vegliar-
l o e si chiuse a chiave i n camera come faceva sempre.
Già durante i l colloquio sopra riportato, V . aveva deciso d i fare
u n esperimento, p u r sapendo che Daniele ormai conscio (e forse
per la prima volta) d'essere soimambulo, avrebbe fatto d i tutto per
evitare la crisi; e d'altronde una confessione resa i n quello stato
non sarebbe stata molto attendibile. Comunque verso mezzanotte
andò nel salone sperando che Daniele, come t u t t i i malati della sua
specie, sarebbe stato costretto ad agire involontariamente. A mez-
zanotte si levò u n grande strepito i n cortile. V . udì chiaramente ìl
rumore d'una finestra sfondata, corse sotto e mentre attraversava i
corridoi f u investito da un'ondata d i fumo soffocante - provenien-
te - se ne rese subito conto - dalla camera del maggiordomo... E i l
maggiordomo stavano appunto trasportandolo, rigido, esanime, i n
un'altra camera per metterlo a letto. E d ora ecco i l racconto dei do-
mestici: verso mezzanotte u n garzone era stato svegliato da u n sor-
I L MAGGIORASCO 199

do rumore d i colpi; temendo che fosse accaduto qualcosa al vecchio


Daniele, stava per alzarsi ed accorrere i n suo aiuto quando i l guar-
diano, giù i n cortile, si era messo a gridare a piena voce: - A l fuoco,
al fuoco !... La camera del signor maggiordomo è i n fiamme !... - A l -
le grida erano accorsi parecchi servitori, ma ogni tentativo d i forza-
re la porta risultava vano. A l l o r a si erano precipitati i n cortile ma i l
guardiano, con grande presenza d i spirito, aveva già sfondato la fi-
nestra - (la camera era a piano terreno) - e strappato le tende i n
fiamme; con u n paio d i secchi d'acqua i l principio d'incendio era
stato spento immediatamente. I l maggiordomo giaceva i n mezzo al-
la camera, svenuto, stringendo ancora i n mano i l candeliere, le cui
candele avevano appiccato Ìl fuoco alle tende. A l c u n i brandelli d i
tessuto i n fiamme gli avevano bruciacchiato le sopracciglia e buona
parte della capigliatura. Se i l guardiano non si fosse accorto i n tem-
po dell'incendio i l vecchio sarebbe sicuramente m o r t o bruciato.
Con non lieve stupore i servitori avevano constatato che la porta
della camera era stata sprangata dall'interno con due catenacci nuo-
v i , applicati da poco perché la sera prima non c'erano ancora.
V . comprese che Daniele aveva tentato d'impedirsi d i uscire dal-
ia camera ma non era riuscito a vincere l'impulso cieco del suo ma-
•vle. Dopo questo fatto i l vecchio cadde gravemente ammalato; n o n
parlava più, si nutriva appena, guardava fisso davanti a sé con occhi
;*di moribondo, come inchiodato da u n pensiero orribile. V . credet-
'ite che non si sarebbe alzato mai più. O r m a i quant'era possibile fare
per i l suo protetto lo aveva fatto e doveva soltanto più attendere
• tranquillamente l'esito del processo. Decise perciò d i ritornare a K.
f e fissò la partenza per ìl giorno seguente. A tarda sera, mentre rac-
^•COglieva le proprie carte, gU capitò fra le mani u n pìccolo involto sì-
;f gillato, con sopra la scrìtta: «Da leggersi dopo l'apertura del m i o
fftestamento». - Q u e l l ' i n v o l t o glìel'aveva consegnato i l barone U -
"berto von R., e inspiegabilmente non g l i era mai avvenuto d i farcì
•;,caso prima d i allora. Stava dissigillandolo quando la porta si aperse
i^e Daniele entrò, silenzioso come uno spettro, depose sulla scrìva-
•-nia una cartella nera, cadde i n ginocchio e stringendo spasmodica-
fmente le mani dell'avvocato disse con voce sepolcrale: - N o n vor-
ità. morir sul patibolo!... Quello lassù giudicherà!... - Si rialzò a fa-
tica, ansimando penosamente, e se ne andò com'era venuto.

V . trascorse tutta la notte a leggere Ìl contenuto della cartella


•nera e del pacchetto d i Uberto. T u t t o coincìdeva perfettamente e
-indicava senza possibilità d i errore le decisioni da prendere.
Appena arrivato a K., V . sì recò dal barone Uberto v o n R. i l
lale l o accolse con sgarbata alterigia. M a la stupefacente conclu-
200 RACCONTI NOTTURNI

sione del colloquio, iniziato a mezzogiorno e terminato a tarda not-


te, f u che i l barone i l giorno dopo dichiarò davanti al tribunale d i
conformarsi al testamento del padre e riconoscere nel pretendente
al maggiorasco i l figlio legittimo del barone Volfango v o n R. e del-
la signorina G i u l i a de St-Val.
La carrozza, equipaggiata con cavalli d i posta, era già alla porta;
e, appena uscito dalla sala d'udienza, Uberto parti i n tutta fretta la-
sciando alla madre e alla sorella una lettera piena d i espressioni e-
nigmatiche, i n cui diceva, fra l'altro, che forse non l'avrebbero r i -
veduto mai più.
Roderico, stupitissimo dell'inatteso voltafaccia, pregò V . d i
spiegargli come avesse potuto operare un simile miracolo e quali
misteriosi elementi fossero entrati i n gioco. V . preferi rimandare le
spiegazioni a dopo avvenuta la presa d i possesso del maggiorasco,
la qual cosa per i l momento non poteva aver luogo, perché i giudici,
insoddisfatti delle dichiarazioni d i Uberto, pretendevano una legit-
timazione ineccepibile d i Roderico.
V . propose al barone d i prendere alloggio i n R..sitten e sog
giunse che la madre e la sorella d i Uberto, trovandosi i n momenta-
neo imbarazzo i n seguito all'improvvisa partenza d i l u i , avrebÌ>ero
preferito u n soggiorno tranquillo nel feudo alla vita frastornante e
costosa della città. La gioia d i Roderico al pensiero d i vivere, alme-
no per u n certo periodo d i tempo, sotto l o stesso tetto insieme alla
baronessa e sua figlia dimostrò quale profonda impressione avesse
prodotto su d i l u i la bella, l'incantevole giovinetta Serafina. E sep-
pe infatti utilizzare così bene quel soggiorno i n comime da conqui-
starsi, nel giro d i poche settimane, e l'amore d i Serafina e Ìl consen-
so della madre alle nozze. M a a giudizio dì V , t u t t o ciò era intempe-
stivo perché i l riconoscimento d i Roderico a legittimo signore del
maggiorasco continuava a rimanere assai dubbio. Alcune lettere
dalla Curlandia vermero ad interrompere quell'idìllica vita al castel-
l o : Uberto, senza neppur mostrarsi nei p r o p r i possedimenti, era an-
dato direttamente a Pietroburgo, aveva preso servizio nell'esercito
russo e sì trovava ora a combatter la guerra appena scoppiata con-
t r o i persiani. Ciò rese necessaria la partenza immediata della baro-
nessa e dì sua figlia per recarsi nelle loro tenute ove regnavano d i -
sordine e confusione. Roderico, considerandosi già membro della
famìglia, non si trattenne dal seguire l'amata; V . riparti per K. e i l
castello ritornò deserto come prima. La grave malattia del maggior-
domo andò ancora aggravandosi col passar dei giorni e, deposta o-
gni speranza d i guarigione, i l suo incarico venne affidato al vecchio
guardiacaccia Franz, fedele servitore d i Volfango. E finalmente, do-
I L MAGGIORASCO 20I

po lunga e trepidante attesa, V . ricevette ottime notizie dalla Sviz-


zera: i l parroco che aveva celebrato i l matrimonio d i Volfango era
morto da molto tempo ma aveva aimotato d i proprio pugno nei re-
gistri della chiesa che l'individuo unitosi i n matrimonio con la si-
gnorina G i u l i a de St-Val sotto i l nome d i «Born» si era ineccepibil-
mente legittimato per Volfango v o n R., figlio primogenito del baro-
ne Roderico da R..sitten. Si erano inoltre rintracciati i due testimo-
n i alle nozze, e cioè u n mercante d i Ginevra e un. vecchio capitano
francese recatosi poi a Lione, ai quali pure Volfango aveva rivelato
la propria identità. La testimonianza giurata d i questi due perso-
naggi convalidò l'annotazione del sacerdote nei registri parrocchia-
l i . Con alla mano tale documentazione redatta i n forma giuridica V .
potè perciò dimostrare senza possibilità d i dubbio i d i r i t t i del pro-
prio patrocinato. N u l l a dunque più si opponeva alla assegnazione
del maggiorasco, fissata per l'autunno seguente. Uberto era caduto
nel p r i m o combattimento cui aveva preso parte: g l i era toccata la
stessa sorte del fratello minore, morto anch'eglì ìn guerra u n anno
prima deUa scomparsa del padre. E cosi i beni d i Curlandia passa-
rono alla baronessa Serafina von R.: la cospicua dote giunse ad ac-
crescere la felicità del fortunatissimo Roderico,
Verso i p r i m i d i novembre la baronessa, Roderico e la fidanzata
rientrarono a R..sitten. A l l a consegna del maggiorasco seguirono le
nozze dei due giovani e, dopo alcune settimane d i baldoria, g l i ospi-
t i , ormai arcisatollì, incominciarono ad andarsene, con grande sol-
lievo d i V . , i l quale non voleva lasciare Ìl feudo senza aver messo be-
ne al corrente i l giovane signore della sua nuova situazione patrimo-
tiiale. L o zio dì Roderico aveva tenuto esattissimo conto delle en-
trate e delle uscite e poiché i l giovane percepiva soltanto una picco-
la somma annua per i l proprio mantenimento l'eccedenza del red-
d i t o aveva notevolmente ingrossato i l capitale lìqmdo trovato nel
lascito del defunto barone. Soltanto per Ì p r i m i tre anni Uberto
aveva speso per sé i proventi del maggiorasco, garantendone però
la restituzione mediante un'ipoteca sulla propria parte dei beni i n
Curlandia.
D a quando sì era accorto che Daniele era sonnambulo, V . aveva
occupato la camera da letto del vecchio Roderico per poter spiare e
carpire i l segreto che Daniele doveva, i n seguito, rivelargli sponta-
neamente; e ìn quella camera, e nella grande sala attigua, egli aveva
preso l'abitudine d'incontrarsi col barone per discuter d'affari.
Una sera i due sedevano insieme al grande tavolo presso i l ca-
mino acceso; V . con la penna i n mano, assorto ad armotare cifre ed
a calcolare le ricchezze del maggiorasco, i l barone col braccio ap-
202 RACCONTINOTTURNI

poggiato sul tavolo e l o sguardo fisso sui documenti e i registri.


Nessuno dei due udiva i l cupo muggito del mare, lo stridio ango-
scioso dei gabbiani che svolazzavano intorno e venivano a sbattere
contro le finestre annunziando tempesta; nessuno dei due, verso la
mezzanotte, fece caso allo scatenarsi dell'uragano che investì furio-
samente i l castello, si insinuò nei corridoi, negli anditi, nei camini
suscitando u n coro confuso d i ululati, d i sibili, d i voci sinistre.
Quando, dopo un colpo d i vento che fece tremare l'intero edificio,
la grande sala si trovò immersa i n una fosca luce lunare, V . final-
mente esclamò: - Ohe tempaccio!...
- Davvero, molto burrascoso... - rispose con indifierenza i l ba-
rone, assorto a studiare l'elenco delle ricchezze da poco acquisite; e
con u n sorriso soddisfatto fece per voltare una pagina del registro
delle entrate ma tutt'a u n tratto balzò i n piedi, come percosso dal
ferreo pugno del terrore: la porta del salone si era spalancata e una
figura pallida, spettrale, col v o l t o segnato dalla morte stava avan-
zando-
Daniele, che V . , che t u t t i credevano a letto ammalato, incapace
d i muovere u n passo, d i nuovo i n preda a una crisi d i sonnambuli-
smo aveva intrapreso la sua deambulazione notturna. I l barone
dapprima rimase a fissarlo senza dir motto, ma quando ìl vecchio
incominciò a grattare alla parete sospirando angosciosamente come
un'anima i n pena i n o r r i d i : pallido come u n morto, coi capelli r i t t i
sulla testa, si slanciò minaccioso verso d i l u i gridando: - Daniele,
Daniele!... Che fai t u q u i , a quest'ora?... - La sua voce stentorea
rimbombò per tutta la sala. A l l o r a ìl vecchio emise quel mugolio
raccapricciante, simile al gemito d i un animale ferito a morte, esat-
tamente come quando V o l f ango g l i aveva offerto dell'oro i n cambio
della sua fedeltà, e crollò a terra. V . chiamò i servitori; risollevaro-
no l'infelice, ma ogni tentativo d i rianimarlo risultò vano. - Mìo
D i o , m i o D i o ! . . . - esclamò i l barone fuori d i sé. - Tante volte l o a-
vevo sentito dire... l o sapevo che i sonnambuli possono morire sul
colpo se l i si chiama per nome!... I o , io sciagurato, ho ucciso questo
povero vecchio!... N o n avrò più un'ora d i pace i n vita mìa!... -
Quando ì servitori ebbero portato vìa i l cadavere, V . prese per ma-
no i i barone che seguitava ad accusarsi, lo condusse senza parlare
davanti alla porta murata e g l i disse: - L'uomo caduto q i u morto ai
suoi piedi, barone Roderico, era l'infame assassino d i suo padre - .
I l barone lo fissò con occhi slaarrati come se vedesse g l i spìriti infer-
nali. - È giunto i l momento d i svelare l'orrìbile segreto che incom-
beva su quel mostro, - proseguì V . , - e l o sospingeva a vagare du-
rante le ore notturne sotto ìl peso della sua maledizione. Per volere
I L MAGGIORASCO 203

dell'onnipotente i l figlio ha vendicato i l padre. Le parole con cui lei


ha folgorato l'orrendo sonnambulo, gridandogliele nelle orecchie,
furono le ultime pronunziate dal suo sventurato padre!...
Tremante, incapace d i parlare, i l barone sedette accanto a V . ,
davanti al camino. E l'avvocato incominciò. Parlò dapprima dello
scritto lasciatogli da Uberto con la raccomandazione d i dissigillar-
lo soltanto dopo l'apertura del testamento, scritto i n cui egli, Uber-
t o , si accusava non senza espressioni d i profondo rimorso, d'aver
concepito u n odio implacabile verso U fratello maggiore fin dal gior-
no i n cui i l vecchio Roderico aveva istituito Ìl maggiorasco. O g n i
arma g l i era stata sottratta perché, quando anche fosse riuscito con
la malizia a mettere i l padre contro i l fratello, ciò non g l i sarebbe
servito a nulla, i n quanto Io stesso Roderico n o n avrebbe più avuto
la facoltà d i privare i l primogenito dei d i r i t t i d i primogenitura; i l
che, d'altronde, i suoi principi non g l i avrebbero mai consentito d i
fare, indipendentemente da ogni sentimento personale nei confron-
t i del figlio.
Soltanto quando Volfango iniziò i l proprio romanzo d'amore
con G i u l i a de St-Val a Ginevra, Uberto credette d i poterlo rovina-
re; f u allora che, complice i l vecchio Daniele, cercò con perfidi rag-
giri d i indurre i l padre a prendere decisioni tali da portare Volfango
alla disperazione. Roderico era convinto - e Uberto ben lo sapeva -
che soltanto l'unione con una delle più antiche famiglie del paese
avrebbe potuto assicurare duraturo splendore al maggiorasco; tale
unione egli l'aveva letta nelle stelle, e opporsi al disegno delle co-
stellazioni sarebbe stato un delitto foriero dì rovina per l'istituzio-
ne. N e l matrimonio d i Volfango con G i u l i a egli vedeva pertanto u n
delittuoso attentato ai decreti della potenza che sempre l'aveva as-
sistito i n ogni impresa; vedeva i n Giulia una specie d i incarnazione
demoniaca rivoltasi contro d i l u i e g l i sembrava lecito ricorrere a
qualsiasi mezzo per rovinarla. L'amore dì Volfango per lei rasenta-
va la follia: perderla significava l'infelicità, forse la morte; Uberto
questo non lo ignorava; e tanto più volentieri sì era fatto complice
attivo del vecchio padre i n quanto egli stesso, U b e r to, aveva conce-
p i t o una passione colpevole per G i u l i a e sperava d i conquistarsela.
M a la provvidenza aveva voluto che le armi velenose dell'insidia si
spuntassero contro la risolutezza d i Volfango e fosse questi a ingan-
nare i l fratello tenendogli nascosta l'avvenuta celebrazione del pro-
prio matrimonio e la nascita del figlio.

Presago della prossima morte, i l vecchio Roderico aveva i n t u i t o


che Volfango potesse aver sposato Giu l ia, la nemica dei suoi dise-
g n i ; nella lettera i n cui g l i ingiungeva d i trovarsi a R..sitten i n quel
204 RACCONTI NOTTURNI

determinato giorno per prendere possesso del maggiorasco, minac-


ciava d i maledirlo se non avesse infranto la propria imione. Volfan-
go bruciò poi quella lettera presso i l cadavere del padre. I l barone
Roderico aveva scritto anche a Uberto per annunziargli i l matrimo-
nio d i Volfango e la propria decisione d i farlo armullare. Uberto
aveva preso la notizia per una immaginazione del vecchio sognato-
re; ma rimaneva atterrito quando i l fratello, a R..sitten, gli confer-
mava francamente l'esattezza del presentimento paterno, soggiun-
gendo che G i u l i a aveva dato alla luce u n bambino; la moglie conti-
nuava a crederlo i l mercante von B o r n , da M . , ed egH fra breve la
avrebbe resa felice informandola della sua nuova situazione e delie
immense ricchezze toccategli. Voleva andare egli stesso a Ginevra a
prenderla, ma la morte l o aveva colto prima che potesse mettere in
atto tale proposito. Uberto tacque gelosamente quanto aveva ap-
preso circa l'esistenza d ' u n figlio legittimo d i Volfango e Giulia, a-
vocando a sé i l maggiorasco spettante al nipote. M a dopo pochi an-
n i fu preso dal rimorso. I l destino g l i aveva ricordato la propria col-
pa con un ammonimento terribile: l'odio ogni giorno crescente fra
i suoi due figli. - T u sei u n miserabile pezzente! - aveva detto i l
primogenito - u n fanciullo dodicenne - al fratello minore. - Quan-
do morirà nostro padre io diventerò padrone del feudo d i R..sit-
ten... E se vorrai u n po' d i denaro per comprarti u n abito nuovo
dovrai baciarmi umilmente le mani!... - i l ragazzo esasperato da
queste parole orgogliose e sprezzanti, scagliava contro i l fratello un
coltellaccio mancando poco ad ucciderlo.
N e l timore d'una sciagura irreparabile, Uberto mandò i l secon-
dogenito a Pietroburgo, dove più tardi i l giovane cadde combatten-
do contro i francesi, presso Suvarov. N o n osò rivelare al cospetto
del mondo l'inganno, la disonestà d i cui si era macchiato per non
coprirsi d'onta; ma da quel momento non volle più sottrarre nep-
pure un centesimo al legittimo proprietario. Attinse informazioni
a Ginevra e venne a sapere che la signora Born, sconsolata per l'in-
spiegabile scomparsa del marito, era morta; i l giovane Roderico,
invece, era stato preso ed allevato da u n uomo dabbene. Allora U-
berto si fece v i v o sotto falso nome, come u n parente del mercante
B o r n scomparso i n mare, inviando somme d i denaro sufficienti ad
assicurare im'educazione conveniente ed accurata al giovane signo-
re del maggiorasco.
Con quanto scrupolo egli accantonasse i redditi eccedenti e qua-
l i disposizioni testamentarie prendesse, è noto. Circa la morte del
fratello Uberto si era espresso i n termini strani ed enigmatici, tali,
tuttavia, da lasciar trapelare u n torbido retroscena e fors'anche un
I L MAGGIORASCO 205

orrendo misfatto d i cui egli si sarebbe reso complice, almeno i n d i -


rettamente. I l contenuto della cartella nera aveva p o i chiarito ogni
cosa. Fra la corrispondenza clandestina d i Uberto con i l vecchio
maggiordomo c'era u n foglio scritto e firmato da Daniele; V . lesse
una confessione che lo fece fremere fin nel profondo. Era stato Da-
niele a far venire Uberto a R..sÌtten avvertendolo del ritrovamento
dei centocinquantamila talleri. G i à sappiamo come Uberto venisse
accolto dal fratello e, deluso i n tutte le sue speranze, volesse andar-
sene ma fosse trattenuto da V . - Daniele ardeva dal desiderio d i
vendicare nel sangue l'offesa ricevuta dal giovane signore che aveva
voluto scacciarlo come u n cane rognoso; e f u l u i a soffiare nel fuoco
da cui Uberto, già i n preda alla disperazione, era divorato. Durante
una caccia al lupo nella foresta, sotto l'imperversare d'una bufera
d i neve, i due decisero dì sbarazzarsi d i Volfango, - Liquidiamolo!
- mormorò Uberto imbracciando i l fucile e volgendo l o sguardo
dall'altra parte. - Si, l o liquideremo! - ghignò Daniele. - M a non
cosi, non c o s i !... - ; ed ebbe i l coraggio d i dichiarare chiaro e tondo
che avrebbe assassinato i l barone senza farsene accorgere da nessu-
,,no. Ricevuto finalmente i l denaro, Uberto provò orrore per quel
complotto e decise d i andarsene per sottrarsi a ogni altra tentazio-
ne. Daniele stesso, durante la notte, sellò i l cavallo e l o condusse
!,(!hiori dalla scuderia, ma quando i l barone fece per montare i n sella
:' g l i disse con voce tagliente: - Pensavo, barone Uberto, che saresti
rimasto nel feudo d i cui sei diventato i l proprietario i n questo mo-
,mento. I l superbo signor primogenito è laggiù, sfracellato nella vo-
;,ragine della torre!
- Daniele aveva osservato che Volfango, travagliato dalla sete del-
!jl'oro, spesso si alzava d i notte per andare presso l'antica porta della
ftorre a guardare con occhi pieni d i cupidigia i l luogo i n cui suppone-
Wa si celassero ancora considerevoli tesori. Quella notte fatale Da-
^niele si mise d i sentinella alla porta della sala; n o n appena udì i l ba-
i t e n e aprire la porta della torre crollata gli si avvicinò alle spalle. I l
'barone, già sull'orlo del precipizio, si volse, lesse negli occhi dello
^ìBcellerato la volontà del delitto e gridò i n o r r i d i t o : - Daniele, Da-
niele,,, che fai t u q u i a quest'ora?.., - G i ù , cane rognoso! — ruggì
Paniele scaraventandolo nel vuoto con una violenta pedata. - Scon-
v o l t o dall'orrendo misfatto, i l barone non ebbe più pace nel castel-
la i n cui Ìl padre era stato assassinato. Ritornò nelle proprietà d i
"urlandia e prese l'abitudine d i venire a R.,sitten una sola volta al-
'anno, d i autunno,
Franz, i l vecchio Franz, disse che lo spettro d i Daniele (del cui
elitto egli sospettava) riappariva spesso durante le n o t t i d i pieni-
206 RACCONTI NOTTURNI

l u n i o ; e l o descrìsse esattamente come più tardi V . lo vide e Io esor-


cizzò. La scoperta d i tali circostanze infamanti per la memoria del
padre indusse anche ìl giovane barone Uberto ad andare i n giro per
i l mondo.
Terminato così i l proprio racconto lo zìo m i prese la mano e sog-
giunse teneramente, mentre g l i occhi g l i si riempivano dì lacrime:
- L'infausto destino, la sinistra potenza annidati i n quel castello
feudale haimo colpito anche « l e i » , la soavissima donna... Due gior-
n i dopo la nostra partenza da R..sìtten, ìl barone, per conchiudere i
feste^ìamenti, organizzò una gita i n slitta; si mise alla guida della
slitta i n cui sedeva la moglie ma, scendendo a valle, ì cavalli improv-
visamente, inspiegabilmente, si imbizzarrirono e scalpitando, sbuf-
fando, partirono al galoppo sfrenato. - I l vecchio... i l vecchio ci in-
segne!... - gridò la baronessa con voce acutissima; nello stesso i -
stante la slitta si ribaltò ed essa venne scaraventata lontano... La r i -
trovarono esanime... Si, è morta!... I l barone n o n se ne consolerà
mai più. Apparentemente è calmo, ma la sua è la calma dì u n mori-
turo. M a i più ritorneremo a R..sìtten, cugino!...
I l vecchio zio tacque. L o lasciai col cuore spezzato; soltanto i l
tempo, risanatore dì tutte le piaghe, riuscì a mitigare quel dolore
che credevo dovesse distruggermi.
Trascorsero m o l t i anni; V . riposava ormai da tanto tempo nella
tomba, i o avevo lasciato la mìa patria. La bufera della guerra ' sca-
tenatasi su tutta la Germania m i aveva sospìnto verso n o r d , a Pie-
troburgo. Durante i l viaggio d i ritomo, i n ima fosca notte d'estate,
mentre costeggiavamo le sponde del Baltico nei pressi d i K., v i d i
splendere nel cielo, davanti a me, una grande stella lucente. Quan-
do funmio più vicini m i accorsi che n o n d i una stella doveva trat-
tarsi, ma d i u n gran fuoco, senza tuttavia capire come quella fiamma
rossastra potesse ardere cosf, sospesa nell'aria. - A m ic o, - doman-
dai al postiglione, - che cos'è quell'incendio laggiù, davanti a
noi?... - E h , n o n è mica i m incendio, - rispose luì. - È i l faro d i
R..sitten.
R..sìtten!... Quel nome ridestò vivo nella mia memoria ìl ricor-
do delle fatali giornate d'autuimo trascorse colà. R i v i d i i l barone...
Serafina... le due vecchie zìe strambe... R i v i d i me stesso col chiaro
viso d i latte, ben pettinato e arricciato, vestito dì celeste tenero...
Si, m i r i v i d i nella parte dell'innamorato «che sospira come una stu-
fa per le ciglia della propria bella» \..!

' Si allude alle guerre di liberazione, iSij-ijf.


' Shakespeare, Come vi piace, atto I I , scena vii.
I L MAGGIORASCO 207

Nella tremenda malinconia che m i invase, le robuste facezie d i


V . si riaccesero come l u m i n i multicolori; e le trovai ancor p i t i dì-
vertenti dì allora! Cosf, combattuto fra i l dolore e ima strana sensa-
zione d i piacere, sul far del giorno scesi a R..sitten, davanti alla sta-
zione dì posta. Riconobbi la casa dell'ispettore aziendale e chiesi dì
l u i . - Con vostra Kcenza, - m i rispose l o scrivano dell'ufficio to-
gliendosi la pipa d i bocca e toccandosi la berretta da notte. - Con
vostra licenza, q u i non c'è nessun ispettore aziendale. Questo è u n
ufficio regio, e i l signor consigliere sta ancora dormendo Feci al-
tre domande e appresi che i l barone Roderico v o n R., u l t i m o signo-
re del maggiorasco, era morto già da sedici anni senza discendenti e,
secondo una clausola dell'istituzione, la proprietà era passata allo
stato. A n d a i al castello: trovai u n cumulo d i rovine. G r a n parte del
pietrame era stata utilizzata per la costruzione del faro; cosf m i dis-
se u n vecchio contadino ch'era sbucato dalla pineta e aveva attacca-
to discorso con me. Sapeva t u t t o anche dello spettro, u n tempo an-
nidato nel castello, e me ne parlò, assicurandomi che ancora adesso,
specialmente quand'è lima piena, fra quei ruderi si odono terrifi-
canti voci lamentose.
Povero vecchio, miope Roderico!... Quale malvagia potenza e-
vocasti dall'abisso per avvelenare ed estìnguere fin dai p r i m i ger-
mogli i l ceppo che credevi d'aver saldamente radicato, per tutta l'e-
ternità?...
I L VOTO

I l giorno d i san Michele, mentre al convento dei carmelitani


suonavano i l vespro, un'imponente carrozza da viaggio tirata da
quattro cavalli d i posta attraversò rumoreggiando le viuzze dì L . ,
piccola città sul confine polacco, e andò a fermarsi davanti alla casa
del vecchio borgomastro tedesco. Teste d i b i m b i curiosi si sporsero
dalle finestre. La padrona d i casa si alzò da sedere e gettando con-
trariata sul tavolo g l i arnesi da cucito, disse all'anziano marito ac-
corrente dalla camera attigua: - Ecco d i riuovo dei forestieri che
haimo scambiato la nostra pacifica casa per una locanda!... T u t t a
colpa dell'insegna : perché hai fatto dorare la colomba d i pietra sul-
la porta?... - I l vecchio abbozzò u n sorriso sornione carico dì sot-
tintesi ma non rispose. I n u n attimo si era sfilata la veste da camera
e infilato l'abito da cerimonia appeso sullo schienale della sedia e
spazzolato d i fresco per la funzione i n chiesa d i poc'anzi; e prima
che la moglie stupita potesse aprir bocca stava già là, col berrettino
d i velluto sotto Ù braccio e la testa canuta risplendente nella luce
del crepuscolo, davanti alla portiera della carrozza, aperta i n quel-
l'istante da u n servitore. Ne scesero una signora attempata i n man-
tello da viaggio, grigio, e una giovane donna alta, col viso ricoperto
da fitti veli, la quale sì appoggiò al braccio del borgomastro ed en-
trò i n casa vacillando. Appena f u nella camera si abbandonò quasi
esanime sulla poltrona spinta prontamente avanti dalla padrona d i
casa ad i m cenno del marito. - Poverina! - sussiu:rò mestamente la
signora attempata al borgomastro. - Dovrò rimanere ancora alcuni
m i n u t i con lei E, toltosi i l mantello da viaggio, premurosamente
aiutata dalla figlia maggiore del borgomastro, apparve I n veste mo-
nacale: sul petto le scintillava la croce d i badessa d ' u n convento d i
suore cistercensi. La signora velata non aveva dato fin q u i altro se-
gno d i vita all'infuori d'un gemito appena percettibile, ma a questo
punto chiese per favore u n bicchier d'acqua. La padrona d i casa si
affrettò a portarle un'intera farmacia dì essenze e gocce tonificanti
decantandone le virtù miracolose e pregando la povera signora d i
I L VOTO 209
togliersi quel velo così fitto e pesante che le impediva d i respirare
liberamente; ma l'ammalata scostò la doima con la mano e gettò in-
dietro la testa con un gesto d i orrore. E quando infine acconsentì a
fiutare un'essenza e a trangugiare alcuni sorsi d'acqua i n cui la sol-
lecita massaia aveva versato poche gocce d'un elisir d i provata effi-
cacia, lo fece senza sollevare minimamente i l velo.
- Dunque, m i o caro signore, - disse la badessa rivolgendosi al
borgomastro, - avete preparato t u t t o come si desiderava?
- Sf, signora, - rispose i l vecchio. - I l serenissimo principe sarà
contento d i me, spero. E spero l o sarà pure questa signora, per cui
son p ronto a far qualsiasi cosa, nel limite deUe mie possibilità.
- Bene, - approvò la badessa. - E adesso lasciatemi sola per qual-
che istante con la mia povera figliola.
La famiglia dovette lasciare la camera. Senza propriamente met-
tersi ad origliare, la padrona d i casa rimase sulla porta e udì: udì la
badessa parlare concitatamente, con untuosa dolcezza, alla signora
velata e questa risponderle con accenti che penetravano fino i n fon-
do al cuore; ma poiché parlavano i n italiano la scena le parve anco-
ra più misteriosa e ìl turbamento che già le chiudeva la bocca au-
mentò.
Dopo aver mandato moglie e figlia a prendere vino e rinfreschi
v a r i , i l vecchio rientrò. La signora velata era i n piedi, a mani giunte
e capo chino, davanti alla badessa e sembrava già u n po' più calma
e rassegnata. La badessa fece onore al rinfresco e quindi disse: - E
ora - ; la giovane donna cadde i n ginocchio, ella le pose le mani sul-
la testa e pregò sottovoce; p o i , con le guance solcate dì lacrime, se la
strinse al petto come i n u n impeto d i dolore irrefrenabile. M a subi-
to si ricompose; calma e dignitosa impartì la benedizione alla fami-
glia e, accompagnata dal borgomastro, ritornò i n fretta alla sua vet-
tura. I cavalli dì posta cambiati dì fresco attendevano nitrendo for-
te; e, incitati dagli squilli d i corno, dalle grida gioiose del postiglio-
ne, ripartirono verso la porta della città.
Avendo visto scaricare dalla vettura e portare i n casa u n paio d i
pesanti valìge, la padrona sì era resa conto che la signora velata si
sarebbe probabilmente trattenuta a limgo; allora uscì nell'atrio, sì
parò dinnanzi al marito che stava rientrando e gli sussurrò ango-
sciata: — Per l'amor d i Dìo... Si può sapere che razza d i ospiti ci por-
t i i n casa?... T u sapevi t u t t o dì questa storia, e n o n mì hai detto
niente!...
- T u t t o quello che so dovrai saperlo anche t u , - rispose ìl vec-
chio senza scomporsi. - A h , povera me, - riprese lei sempre più an-
gosciata. - M a t u forse proprio tutto non sai!... Appena partita la
210 RACCONTI NOTTURNI

badessa, l'altra signora dev'essersi sentita soffocare sotto quei veli


perché si è tolta Ìl lungo manto d i crespo che le scendeva fino alle
ginocchia... e io ho visto...
- Bene, che cosa hai visto?... - la incoraggiò i l marito vedendo-
la guardarsi i n t o m o tremante come se le fosse apparso uno spettro.
- Be', - riprese la donna. - I t r a t t i del viso n o n ho potuto di-
stinguerli bene attraverso ì veli... ma i l colore cadaverico... ah, quel-
l'orribile colore cadaverico!... E p o i , vecchio mio, apri gli occhi... è
evidente... è chiaro come i l sole... quella signora è incinta!... Que-
stione d i poche settimane e...
- L o so, l o so, moglie mia, - bofonchiò i l vecchio accigliandosi.
- E per non lasciarti morire d i curiosità e d'inquietudine t i spieghe-
rò t u t t o i n due parole. Dunque : i l principe Z., i l nostro illustre pro-
tettore, m i ha scritto alcune settimane fa che la badessa del conven-
ite cistercense d i O . m i avrebbe condotto ima signora perdbé io la
accogliessi i n casa evitando nel modo più assoluto d i far strepito e
d i dare nell'occhio. La signora (che vuole essere chiamata semplice-
inente Celestina) attenderà q u i da n o i l'epoca del parto, poi verran-
no a prenderla con Ìl bambino. Aggiungo: i l principe m i ha caloro-
samente raccomandato d i averle tutte le cure possibili e, per le pri-
me spese, per i l nostro disturbo, m i ha consegnato una bella borsa
piena d i ducati - (potrai trovarla e contemplarla nel mio comò...)
- D e tt o questo suppongo che tutte le tue perplessità svaniranno.
- E cosf noi dovremmo forse tener mano a i m o d i quei b r u t t i
peccati che usano commettere i gran signori?... - protestò la buo-
na massaia; ma prima che i l marito potesse ribattere entrò la figlia
a chiamarla: perché l'ospite desiderava riposare e pregava d i venir
condotta nella propria camera.
I l borgomastro aveva fatto rimettere i n ordine ed arredare nel
miglior modo possibile due camerette al piano superiore; e rimase
piuttosto male quando Celestina g l i domandò se n o n avesse, oltre
a quelle, un'altra camera con le finestre sul retro. Rispose negativa-
mente ma dovette precisare, per eccesso d i scmpolo, d i avere si u n
altro locale con finestra sul giardino, ma non certamente degno d i
chiamarsi «una camera», trattandosi d i u n bugigattolo, i n cui a-
vrebbero trovato posto a mala pena i m letto, u n tavolo e una se-
dia... Qualcosa come una squallida cella d i convento insomma. Ce-
lestina chiese d i vedere subito la cameretta i n questione e appena
entrata la dichiarò perfettamente conforme alle proprie necessità;
quando le circostanze avessero reso necessaria la presenza d i un'in-
fermiera si sarebbe trasportata i n u n locale più spazioso; per intan-
t o desiderava sistemarsi là dentro.
I L VOTO 211

Se i l borgomastro aveva t u t t o subito paragonato quell'angusto


sgabuzzino a ima cella d i convento, l'indomani esso poteva vera-
mente dirsi tale. Celestina aveva appeso alla parete im'immagine d i
' Maria e posto u n crocifisso sul sottostante vecchio tavolo d i legno;
. i l letto consisteva ìn u n saccone pieno d i paglia e una coperta ài la-
na; uno sgabello e u n tavolino d i legno grezzo completavano l'arre-
damento: Celestina non aveva voluto altre suppellettili.
Poiché t u t t o nel modo d i essere, d i comportarsi della giovane
donna rivelava la creatura tormentata da u n dolore profondo, strug-
gente, la padrona d i casa, i n cuor suo, sì riconciliò con lei; e credet-
te dì poterla rasserenare tenendole compagnia e scambiando le soli-
! te chiacchiere; ma l'ospite la pregò con parole commosse dì non
turbare una solitudine i n cui essa trovava conforto unicamente r i -
volgendo i l pensiero alla Vergine e ai santi. O g n i mattina, all'alba,
: Celestina sì recava a sentir la prima messa nel convento del carme-
l i t a n i ; i l resto della giornata sembrava dedicarlo esclusivamente ad
esercìzi dì pietà: per quante volte credessero necessario salire ìn ca-
: mera sua, la trovavano sempre intenta a pregare o a leggere libri dì
, devozione. Mangiava esclusivamente verdure, rifiutando qualsiasi
; altro cibo, e beveva soltanto acqua. Per indurla a prendere dì tanto
i n tanto u n p o ' dì brodo d i carne e qualche sorso d i vino ci vollero
• le insistenze del vecchio borgomastro, i l quale le fece presente co-
: me i l suo stato e la creatura vìvente ìn lei esigessero un'alìmentazio-
: ne migliore.
: L a gente d i casa interpretava quella vita rigidamente claustrale
' come una penitenza per espiare chissà quale grave peccato; ciò non-
: dimeno ne provava rispetto e compassione profondi. A d accrescere
; tali sentimenti contribuivano non poco la nobile figura, l'autorità,
; l'innata grazia della «santa-forestìera»; e se essa ispirava insieme
u n certo qual senso dì inquietudine, dì turbamento, d ò era dovuto
! unicamente al fatto d i n o n voler mai deporre i l velo né lasciarsi ve-
' dere i n viso. Chì altri l'avvicinava all'infuori del borgomastro e
>, delle donne d i casa?... E come avrebbero potuto costoro, non es-
sendo mai usciti dalla loro cittadina, riconoscere u n viso mai visto
e venire a capo dell'enigma?... Perché dunque velarsi?..,
La fervida fantasia delle comari non tardò ad escogitare una fa-
i veletta orripilante: ìl v o l t o dì quella dorma era orrendamente sfi-
' gurato da u n marchio tremendo, l'unghiata del diavolo!... Ecco i l
; perché dei veli ! I l borgomastro ebbe i l suo daffare a frenare le chiac-
'ì chìere e ad impedire che, almeno davanti alla porta d i casa, si sus-
surrassero cose troppo strampalate sul conto della sconosciuta, ìl
•'Cui recapito era ormai noto a tutta la d t t à . La gente l'aveva vista re-
212 RACCONTI NOTTURNI

carsi al convento dei carmelitani e già la soprannominava «la dama


nera del borgomastro», associando, naturalmente, a tale sopraimo-
me l'idea d'tma manifestazione spettrale. Caso volle che u n giorno,
mentre la figlia dei padroni d i casa serviva i l pranzo i n camera al-
l'ospite, una corrente d'aria investisse e sollevasse i l famoso velo.
La donna si volse fulmineamente per sottrarsi allo sguardo della
fanciulla la quale, tuttavia, quando ridiscese era pallida e treman-
te: n o n aveva visto, disse, i l viso d i pallor cadaverico notato dalla
madre, ma piuttosto u n viso «di marmo» con le orbite infossate,
dal cui fondo guizzavano strani bagliori. G r a n parte d i questa de-
scrizione i l borgomastro la attribuì aUa fantasia della giovinetta;
ma poiché, i n fondo, sentiva e pensava anch'egli come g l i a l t r i , si
augurò che quella creatura così conturbante, malgrado le innegabiH
manifestazioni d i pietà religiosa, se ne andasse al più presto dalla
sua casa.
Poco tempo dopo g l i toccò svegliare la moglie nel cuor della not-
te per dirle che da alcuni m i n u t i g l i sembrava d i sentir gemere, e
lamentarsi, e bussar piano nella camera d i Celestina. La moglie
comprese al volo dì che si trattasse e corse dì sopra. Trovò Celesti-
na distesa sul letto, semisvenuta ma completamente vestita e velata
e n o n stentò a rendersi conto che stava per partorire. Prontamente
si misero i n atto le misure prese da tempo, e dì K a poco veime alla
luce u n bel bimbo sano. L'evento, benché previsto, parve coglier
t u t t i d i sorpresa, e le sue conseguenze valsero a dissipare quel senso
dì disagio così opprimente nei rapporti fra la famiglia del borgoma-
stro e la forestiera. Mediatore innocente, i l bimbo parve r iaw ic i n a -
re Celestina alle cose umane. Poiché le condizioni della giovane
donna n o n tolleravano alcun esercizio ascetico e rendevano ìndi-
spensabile la presenza d i chi la curava con amorevole sollecitudine,
essa sì abituò sempre più a vedersi intorno quelle persone. D a l can-
to suo, la padrona dì casa potendo ora assisterla personalmente, e
preparare per lei, e portarle minestre n u t r i e n t i , scordò, grazie a tali
mansioni domestiche, tutte le malevole congetture formulate sul
conto dell'enigmatica ospite. Così, ad esempio, smise dì pensare che
la sua casa onorata potesse servire a nascondere colpe ignominiose.
I l vecchio pareva ringiovanito dalla gioia, neanche g l i fosse nato u n
nipotino: n o n si stancava dì vezzeggiare ìl bimbetto e, come t u t t i
gli a l t r i , sì era ormai abituato ai sempitemi veli che Celestina non
aveva voluto deporre neppure durante ìl parto. L a levatrice aveva
dovuto giurarle che, se le fosse avvenuto dì perdere conoscenza,
glieli avrebbe sollevati l e i sola e nessun altro, anche ìn caso dì peri-
colo mortale. L a vecchia, dimque, l'aveva certamente vista senza
I L VOTO 213
v e l i , ma si era limitata a dire: - Quella giovane signora, poverina,
è proprio costretta a velarsi cosi!...
A l a m i giorni dopo venne i l monaco carmelitano che aveva bat-
tezzato i l bambino e si intratteime a colloquio con Celestina per o l -
tre due ore. D i h i o r i l i udirono parlare animatamente e pregare i n -
sieme. Uscito i l monaco trovarono Celestina seduta i n poltrona col
bimbo i n grembo: i l piccolo aveva uno scapolare sulle minuscole
spalle e i m Agnus Dei appuntato sul petto. Contrariamente a quan-
to credeva i l borgomastro e alle assicurazioni dategli dal principe
v o n Z., trascorsero settimane e mesi senza che nessimo venisse a
prendere Celestina. O r a essa avrebbe potuto entrare nella pacifica
cerchia della famiglia e farvi parte se non fosse stato per quegli i n -
sopportabili veli che impedivano d i compiere l ' u l t i m o passo verso
una veramente cordiale intimità. I l vecchio si assunse l'incarico d i
dirglielo francamente, ma si sentì rispondere i n tono cupo e solen-
ne: — Questi veli cadranno soltanto alla mia morte!... - E g l i n o n
insistette ma tornò ad augurarsi i n cuor suo che riapparisse la car-
rozza della badessa.
E verme la primavera. La famiglia del borgomastro stava rien-
trando da una passeggiata con le braccia cariche d i fiori, destinati i n
gran parte alla pia Celestina, quando f u raggiunta da u n cavaliere
. che chiese con urgen2a del borgomastro. I l vecchio si diede a cono-
;' scere e disse d i trovarsi davanti alla propria abitazione. A l l o r a i l ca-
ivaliere balzò d i sella, legò i l cavallo allo stipite e si precipitò d i cor-
-sa su per le scale gridando a squarciagola: - È q u i ! . . . L e i è q u i ! . . . -
' S i udì l o sbattere d i una porta seguito da u n urlo agghiacciante d i
fi Celestina. I l vecchio, i n o r r i d i t o , accorse. L'uomo, u n ufficiale della
(guardia francese col petto carico d i decorazioni, aveva strappato i l
b i m b o dalla culla e l o stringeva col braccio sinistro avvolto nel man-
rtcUo respingendo col destro Celestina che cercava con tutte le forze
idi trattenere i l rapitore del bimbo. Nella colluttazione l'ufficiale le
'strappò via i l velo: si trovò d i fronte u n viso rigido, morto, u n viso
\àà marmo incorniciato da riccioli neri... bagliori d i fuoco lo dardeg-
•giavano dal fondo delle orbite infossate, mentre acute esclamazioni
idi dolore continuavano a uscire dalle labbra semiaperte, i m m o b i l i .
O r a anche i l borgomastro vide e finalmente comprese: Celestina
portava sul volto una maschera bianca, aderentissima.
- O r r i b i l e donna, - urlava l'ufficiale cercando d i svincolarsi.
V u o i proprio che la tua pazzia frenetica colga anche me ?... - e con
n violento strattone la gettò a terra. M a Celestina g l i si avvinghiò
"e ginocchia implorando con accenti così disperati da strappar l'a-
i m a : - Lasciami Ìl bambino!... O h , lasciami i l bambino!... N o n
214 RACCONTI NOTTURNI

puoi r u b a r m i l'eterna salvezza... Per amor d i Cristo, della Vergine


santa... lasciami i l bambino... lasciamelo! - E a tali inumane grida
d i dolore non u n muscolo d i quel v o l t o cadaverico si contraeva, le
labbra continuavano a rimanere i m m o b i l i . . . I l vecchio, la moglie,
tutte le persone accorse si sentirono gelare Ìl sangue nelle vene!
- N o ! . . . - riprese ad lu-lare Tufficiale disperato e furente. - N o ,
donna spietata e disumana... Potrai strapparmi i l cuore dal petto
ma non t i permetterò d i rovinare con la tua funesta follia la creatu-
ra venuta a lenire questa ferita sanguinante!... - I l piccino, senten-
dosi stringere sempre più forte, si mise a piangere. - Vendetta...
- imprecò sordamente Celestina. - Sf... la vendetta del cielo ricada
su d i te, assassino!...
- Lasciami... vattene, larva infernale, - ruggi l u i scaraventan-
dola lontano da sé con uno scatto convulso del piede. E sì precipitò
verso la porta; i l borgomastro tentò d i sbarrargli ìl passo ma egli
estrasse una pistola e pimtandoglìela contro ìntimo: - Una palla nel
cervello a chiimque tenti d i strappare i l bimbo a suo padre! - E , r i -
discesa la scala a precipizio, sempre col piccino ìn braccio, balzò a
cavallo e vìa dì galoppo.
La padrona dì casa era troppo preoccupata per la povera Celesti-
na e ansiosa d i soccorrerla per non vìncere ìl senso dì terrore causa-
tole dall'orrenda maschera mortuaria ed accorrere i n suo aiuto. M a
con immenso stupore la trovò i n piedi i n mezzo alla camera, con le
braccia penzoloni, immobile e muta come una statua. Le parlò, non
ne ebbe risposta. N o n riuscendo a sopportare la vista della masche-
ra, raccolse ì veU caduti sul pavimento e glieli rimise sul capo. Cele-
stina pareva caduta ìn uno stato d i automatismo e n o n reagf. La
buona doima, d i nuovo invasa da i m senso dì patita e dì pena, pregò
ardentemente Iddìo d i liberarla dalla sconcertante straniera. La sua
preghiera venne esaudita all'istante: la carrozza che aveva portato
Celestina si fermò davanti alla porta dì casa. Ne scese la badessa e
con l e i l'illustre protettore del vecchio borgomastro, i l prìncipe Z.
t i quale, informato dell'accaduto, disse tranquillamente con dolcez-
za: - Dunque, siamo arrivati troppo tardi. Sìa fatta la volontà d i
D i o ! - Celestina, sempre rìgida e muta sì lasciò condurre dabbasso
e mettere ìn vettura senza reagire né dar segni dì possedere ancora
una volontà propria. L'equipaggio riparti velocemente.
Poco tempo dopo i l verificarsi dei fatti sopra narrati nella casa
del borgomastro dì L . , nel convento delle suore cistercensi d i O .
veime sepolta con insolita soleimità una certa suora guardiana. Si
mormorava che la defunta suora fosse la contessa Ermenegilda von
C , la quale avrebbe dovuto invece trovarsi i n Italia con la sorella di
I L VOTO 215
SUO padre, principessa von Z. Nello stesso periodo d i tempo, i l pa-
dre d i Ermenegilda, conte Nepomuceno von C , giunse a Varsavia e
trasferì mediante u n atto legale i n piena regola l'intero suo cospi-
cuo patrimonio ai due n i p o t i , figli del principe Z., conservando per
sé soltanto una piccola proprietà i n Ucraina. A chi l o interrogava
circa la sepoltura della figlia rispondeva cupamente levando al cielo
g l i occhi pieni d i lacrime: - Sì... L'hanno sepolta!... - e non si l i m i -
tava a confermare la notizia della morte d i Ermenegilda avvenuta
nel convento d i O . , ma parlava senza reticenze della tragica sorte
che ne aveva fatto una martire, conducendola prematuramente alla
tomba. U n gruppo d i patrioti, piegati ma non spezzati dal crollo
della loro nazione, cercarono d i riattrarre i l conte nelle organizza-
zioni segrete tendenti alla restaurazione dello stato polacco. N o n
trovarono più l'uomo ardente d i amore per la libertà e per la patria,
pronto a partecipare con indomito coraggio alle imprese più rischio-
se, ma trovarono u n vecchio impotente, disfatto dal dolore, distac-
cato ormai da tutte le cose d i questo mondo e sul punto d i isolarsi
i n assoluta solitudine. Dopo la prima spartizione della Polonia,
quando si organizzavano i m o t i insurrezionali, la tenuta del conte
Nepomuceno v o n C. era i l centro d i ritrovo dei patrioti; là, duran-
te solenni banchetti, si accendevano g l i animi per la causa della pa-
tria perduta; là, nella cerchia dei giovaiù e r o i, era apparsa come u n
angelo inviato dal cielo per consacrarsi a quella causa, Ermenegilda.
Come tutte le sue coruiazionali, anch'essa, benché appena sedicen-
ne, partecipava attivamente ai convegni e perfino alle discussioni
politiche; soppesava, valutava attentamente la situazione, ed espri-
meva quindi i l proprio parere, spesso contrastante con quello dì
t u t t i gU altri ma sempre talmente lucido, preciso, prudente da ave-
re i l più delle volte i l sopravvento. Dopo di lei, chì possedeva al
massimo grado la facoltà d i afferrare rapidamente e inquadrare con
• esattezza le situazioni era ìl conte Stanislao v o n R., \m giovane ven-
• tenne pieno d i entusiasmo ed eccezionalmente dotato. Accadeva
•quindi sovente che Ermenegilda e Stanislao dibattessero l o r o due
•soli i problemi proposti, soppesando, accettando, respingendo con
' rapide discussioni le varie proposte o prospettandone altre. E ìl ri-
sultato d i tali dibattiti veniva i l più delle volte riconosciuto come
Inquanto d i meglio sì potesse decidere, perfino da parte degli anziani
'ted esperti u o m i n i dì stato r i u n i t i a consìglio. C'era dunque qualco-
sa dì più naturale che pensare all'unione dì quei due giovani, dalle
•Cui meravigliose virtù sembrava dovesse rifiorire la salvezza della
^patria?... Politicamente opportuna appariva, inoltre, ìn quel parti-
iColare momento anche l'unione delle rispettive famìglie fra cui sì
2l6 RACCONTI NOTTURNI

diceva esistesse qualche contrasto d'interessi, caso d'altronde n o n


infrequente fra le eminenti famiglie polacche.
Più che mai compresa dell'importanza d i tali argomentazioni,
Ermenegilda accettò lo sposo a lei destinato come u n dono della pa-
tria. E cosi, i n occasione del solenne fidanzamento dei due giovani
vennero organizzati e decisi i convegni patriottici da tenersi i n casa
del conte Nepomuceno.
Gsm'è noto, i polacchi furono sconfìtti '. Con la caduta d i Kos-
ziusko falli un'impresa troppo esclusivamente basata su una ecces-
siva fiducia nelle forze a disposizione e nelle possibilità del valore
cavalleresco. I n considerazione della sua giovane età, del valore e
dei brillanti trascorsi m i l i t a r i , al conte Stanislao era stato assegnato
un posto preminente nell'esercito. E d egli si batté infatti con leoni-
no coraggio ma sfuggi a stento alla cattura e rientrò mortalmente fe-
rito. Lo tenne i n vita i l pensiero d i Ermenegilda, l'illusione d i ritro-
var conforto e speranza fra le sue braccia. Guarito quasi per miraco-
lo, si affrettò a ritornare nelle tenute del conte Nepomuceno, ma v i
ritornò unicamente per ricevere una seconda e più crudele ferita.
Ermenegilda lo accolse con raggelante disprezzo: - Rivedo l'eroe
che voleva andare alla morte per la patria ?... - esclamò quasi scher-
nendolo, come se nella sua folle esaltazione lo avesse scambiato per
un favoloso paladino capace d i annientare da solo intere armate con
la propria spada.
A nulla valse spiegare che nessuna forza al mondo avrebbe po-
tuto opporsi alla travolgente, irresistibile fiumana nemica riversata-
si sul paese; a nulla valsero le suppliche, le appassionate proteste d i
amore. Come se i l suo cuore d i ghiaccio fosse capace d i accendersi
soltanto per i grandi eventi storici, Ermenegilda rimase ferma sulla
decisione d i non concedere la propria mano al conte Stanislao se
non dopo la cacciata dello straniero dal suolo della patria.
I I conte si avvide troppo tardi che quella fanciulla non Io aveva
mai amato. La condizione impostagli da lei chissà quando si sarebbe
verificata... forse mai! Perciò, dopo averle giurato fedeltà fino alla
morte la lasciò, prese servizio nell'armata francese e partì per le
campagne d ' I t a l i a .
A quanto si dice, le donne polacche pare si contraddistinguano
per un carattere particolarmente capriccioso. U n variopinto miscu-
glio d i profonda sensibilità e d i f r i v o l i abbandoni, d i stoica abnega-
zione, d i passionalità ardente e d i mortale freddezza, genera alla su-
perficie u n singolare gioco d i umori mutevoli, simile al sempre mu-

' Bittaglia presso Maciejpvice, io ottobre 1794.


I L VOTO 217
tevolc gioco delle onde sulla superficie d'un ruscello m o l l o mosso
e agitato nel fondo. Ermenegilda si separò con indifferenza dal fi-
danzato, ma dopo pochi giorni f u presa da una nostalgia indescrivi-
bile; nostalgia quale soltanto u n amore ardentissimo poteva gene-
rare. Passata la bufera della guerra venne proclamata l'amnistia e
gli ufficiali polacchi prigionieri furono rimessi i n libertà. Perciò
parecchi compagni d'armi d i Stanislao ricomparvero nella tenuta
del conte. Ritrovandosi, rievocarono le infauste giornate con pro-
fondissima pena ma anche accendendosi d'entusiasmo al ricordo del
leonino coraggio con cui t u t t i si erano b a t t u t i , e più d i t u t t i Stani-
slao: quando già la situazione appariva disperata, aveva ricondotto
al fuoco i battaglioni i n rotta riuscendo a sfondare lo schieramento
nemico con la cavalleria. Le sorti della giornata ritornavano già a
pendere incerte quando Stanislao, al grido d i «Patria... Ermenegil-
d a ! . . . » , cadeva da cavallo colpito da i m proiettile.
O g n i parola d i questo racconto colpi Ermenegilda come una sti-
lettata i n pieno cuore. - N o ! - proruppe ad u n tratto scoppiando i n
lacrime. - N o n sapevo d'amarlo tanto... d i averlo sempre immensa-
mente amato, fin dal primo momento che l'ho visto!... Quale ingan-
no diabolico è riuscito ad illudermi d i poter vivere senza d i l u i ,
ch'era tutta la mia vita?... E io l'ho mandato a morire!... N o n ritor-
nerà mai più!... - Quel pianto, quelle invocazioni disperate com-
mossero t u t t i i presenti.
Ermenegilda trascorse una notte insorme, tormentata, inquieta,
vagando nel parco e continuando a lanciare nell'aria i suoi richiami
come se Ìl vento notturno U potesse portare all'amato lontano:
— Stanislao, Stanislao... r i t o m a . . . Sono i o . . . È Ermenegilda d i e t i
chiama... N o n m i senti?... Se non r i t o m i morirò d i rimpianto e d i
disperazione!...
I l suo stato d i esaltazione minacciava d i degenerare i n una au-
tentica forma d i follia. Angosdato e preoccupato per la salute della
figlia diletta, i l conte Nepomuceno credette nell'opportunità d i u n
intervento medico; e riuscì infatti a trovare u n dottore disposto a
trascorrere i m periodo d i tempo i n casa sua e a prendere i n cura
l'ammalata. Benché i l metodo terapeutico, volto assai più alla psi-
che che non al fisico, fosse indubbiamente ben calcolato e desse r i -
sultati innegabili, la possibilità d i conseguire una guarigione vera
e propria sì delineava tuttavia assai dubbia perché dopo una lunga
remissione le strane crisi parossistiche si erano inaspettatamente
ripetute. Una singolare avventura diede poi una nuova piega alla
cosa.
Ermenegilda aveva poc'anzi gettato rabbiosamente nel fuoco ìl
2l8 RACCONTI NOTTURNI

SUO «piccolo ulano», u n pupazzetto che da qualche tempo soleva


stringersi al cuore chiamandolo con i n o m i più dolci, come se fosse
l'amato; lo aveva gettato nel fuoco perché l'ulano testardo s'era re-
cisamente rifiutato d i cantare «Podrosz twoia nam niemila, milsza
pryiaszn w K r a i w b y l a , ecc., ecc....» '.
Compiuta quest'impresa, mentre si avviava per rientrare nelle
proprie stanze passando per l'anticamera, udì dietro d i sé un tintin-
nio d i speroni, u n passo... Si volse e vide un ufficiale della guardia
francese i n alta uniforme col braccio sinistro fasciato, appeso alla
benda. Vederlo, gettarglisi al collo esclamando: - Stanislao... Sta-
nislao!... - e venir meno f u t u t t ' u n o . L'ufficiale, impietrito dallo
stupore, fece non poca fatica a reggerla col solo braccio disponibile
perché Ermenegilda era una ragazza alta e d i forme assai floride. La
strinse a sé sempre più forte, ne sentf i l cuore battere contro i l suo e
incominciò a d k s i che una più deliziosa avventura n o n gli era mai
capitata. I n t a n t o i secondi passavano: l'ardore amoroso emanato
dalla figurina stretta fra le sue braccia pareva scaricarsi su d i luì ìn
miriadi d i scintille elettriche; l'ufficiale si senti salire i l sangue alla
testa e incominciò ad imprimere bacì appassionati su quelle dolcis-
sime labbra. I l conte Nepomuceno uscendo dalla propria camera l i
vide cosf: - A h ! - esclamò trasalendo d i gioia. - Conte Stanislao!...
- I n quell'istante Ermenegilda ritornò i n sé e d i nuovo abbracciò
con trasporto l'ufficiale esclamando: - M i o adorato... sposo mio! -
L'ufficiale fece i m passo indietro sciogliendosi dolcemente dall'ab-
braccio frenetico della fanciulla; tremante, sconvolto, col viso dì
brace, trovò appena la forza d i balbettare: - È stato i l più dolce
istante della mìa vita... M a lo devo a u n errore e non voglio goder-
ne oltre i l lecito... I o n o n sono Stanislao... non lo sono, purtroppo!...

Ermenegilda balzò indietro inorridita, scrutò attentamente l'uf-


ficiale e quando sì rese conto d'essere stata ingannata dalla straordi-
naria rassomiglianza dì costui con l'uomo amato corse via urlando
e gemendo.
L'ufficiale si diede a conoscere: era i l conte Saverio von R., cu-
gino d i Stanislao. I l conte Nepomuceno stentò a credere che i l ra-
gazzino Saverio potesse essersi fatto i n cosi breve tempo un simile
giovinottone... Indubbiamente g l i strapazzi della guerra avevano
conferito al suo viso, al suo portamento u n carattere anche più vi-
rile d i quanto sarebbe stato lecito attendersi. I l conte Saverio aveva
infatti lasciato la patria insieme al cugino Stanislao, d i l u i più anzla-

' « Il tuo viaggio non ci è caro - più cara ci era la tua amicìzia qui in pattia> - dal te-
sto di una «polonaise» che si cantava nel 1797 alla partenza di Kosciuszko per l'America.
I L VOTO 219
no, e preso servizio nell'eserciio francese, e combattuto i n Italia al
suo fianco. A soli diciott'anni si era subito talmente distinto per i n -
telligenza, asseimatezza e leonino coraggio da meritarsi la promo-
zione ad aiutante d i campo del generale. E d ora, a vent'anni, era già
maggiore. Costretto ad u n periodo d i riposo dalle ferite riportate
i n guerra, appena rientrato i n patria era subito accorso dal conte
Nepomuceno per recare u n messaggio d i Stanislao alla sua amata...
ed era stato accolto come se fosse Stanislao ìn persona.
Ermenegilda, annientata dalla vergogna e dal dolore non voleva
più uscire dalla propria camera fintantodié Saverio fosse rimasto ìn
casa. I l padre e i l dottore fecero l'impossibile per rìcondurla alla
calma, ma inutilmente.
Saverio, fuori d i sé al pensiero d i non poterla più rivedere, le
scrisse dicendole che g l i sì faceva pagar troppo caro una rassomi-
glianza dì cui n o n aveva colpa alcuna; e non luì soltanto ma anche
Stanislao avrebbe scontato le conseguenze del malaugiu^to equi-
voco se al latore del dolce messaggio amoroso veniva preclusa la
possibilità d i consegnarlo personalmente aggitmgendo a viva voce
ciò che egli, nella fretta del momento, n o n aveva p o t u t o scrivere.
Una cameriera, conquistata alla causa dì Saverio, sì assimse l'inca-
rico d i consegnare la lettera a Ermenegilda; e ciò che non era riusci-
to al padre né al dottore lo ottenne Saverio col proprio scritto. Er-
menegilda si decìse a rivederlo. L o ricevette silenziosa, ad occhi
bassi, nella propria camera. Saverio le sì avvicinò a passi l i e v i , esi-
t a n t i , prese posto davanti al divano su cui sedeva lei ma p o i , chinan-
dosi i n avanti per parlare, venne a trovarsi piuttosto inginocchiato
che seduto. Con le espressioni più commoventi, col tono d i chì sì
accusi d'ima colpa imperdonabile, la suppUcò dì n o n riversare sul
suo capo la responsabilità dell'equìvoco che g j i aveva concesso dì
assaporare la felicità spettante al carissimo amico. N o n Saverio a-
veva abbracciato nella gioia dell'incontro inatteso, ma Stanislao.
Le consegnò quindi la lettera ed incominciò a parlarle d i luì: anche
nell'infuriare delle più sanguinose battaglie - disse - i l pensiero d i
Stanislao era costantemente rivolto alla sua «dama»... Ìl suo cuore
ardeva soltanto d'amore per la libertà, per la patria, ecc., e c c . Tra-
scinata dal racconto focoso e vivace dì Saverio, Ermenegilda scordò
a poco a poco ogni timidezza e incominciò a sollevare su d i luì lo
sguardo f a s c i n a n t e dei suoi occhi dì cielo. Novello Kalaf colpito
dagli sguardi dì Turandot stordito da una dolcissima sensazione

' Vedi Turandot di Carlo &>^Ì, atto I I , aceoa v. Questa favola cìaat h nota soprattut-
to nella tielaborazionc di Schiller (Tiibingen 1801, atto I I , scena iv).
220 RACCONTI NOTTURNI

d i piacere, Saverio riusci a stento a proseguire nella narrazione.


Senza quasi rendersi conto d i ciò che diceva tanto era i l tormento
della lotta interiore contro la passione che minacciava d i prorom-
pere come u n incendio, si perse i n una prolissa descrizione d i vari
fatti d'arme, parlò d i cariche d i cavalleria, d i sfondamenti, d i batte-
rie conquistate... - O h , basta con queste scene sanguinose! - Io in-
terruppe Ermenegilda spazientita. - Questi sono spettacoli infer-
nali!... D i m m i , d i m m i soltanto che l u i , Stanislao, m i ama!... - A l -
lora Saverio rincuorato le prese una mano e se la premette impetuo-
samente al cuore esclamando: - Ecco... ascolta come t i parla Stani-
slao - : e le più incandescenti dichiarazioni d'amore, quelle che sol-
tanto la follia d'una passione divorante può suggerire, scaturirono
a fiotti dalle sue labbra. N e l parlare cosf era caduto i n ginocchio e
Ermenegilda l o aveva cinto con le braccia; ma quando egli balzò i n
piedi e fece l'atto d i stringerla a sé si senti respingere bruscamente.
Ermenegilda fissò per alcuni istanti su d i l u i uno sguardo strano e
disse con voce sorda: - Presuntuoso fantoccio!... Anche se t i rav-
v i v o al calore del mio seno t u n o n sei Stanislao... e n o n potrai mai
diventarlo!... - Ciò detto lasciò la camera a passi lenti e silenziosi.
Saverio si avvide troppo tardi della propria sconsideratezza. Si
rendeva ormai anche troppo chiaramente conto d'essersi iimamo-
rato alla follia d i Ermenegilda, la fidanzata del cugino, capiva che
qualsiasi cosa facesse per favorire la propria assurda passione si sa-
rebbe macchiato d i slealtà e tradimento verso l'amico. Doveva par-
tire immediatamente senza pìii rivedere Ermenegilda; e, presa su
due piedi l'eroica decisione, ordinò d i preparargli i l bagaglio e at-
taccare la carrozza. Quando volle congedarsi dal conte questi rima-
se altamente meravigliato; fece del proprio meglio per trattenerlo
ma Saverio (sorretto assai più da una specie d i irrigidimento inte-
riore che n o n da vera forza d'animo...) insistette nel dirsi costretto
a partire da particolari m o t i v i . G i à s'era affibbiato la sciabola alla
cintura e se ne stava là, col berretto d'ordinanza i n mano mentre
dabbasso, davanti all'ingresso, i cavalli nitrivano impazienti, quan-
do la porta si aperse ed apparve Ermenegilda: - Dunque, vuole
proprio andarsene, m i o caro Saverio? - g l i disse con u n delizioso
sorriso. - Speravo d i farmi raccontare ancora tante cose del mio
Stanislao!... N o n l o sa che le sue conversazioni m i confortano i m -
mensamente?... - Saverio abbassò g l i occhi arrossendo. I tre sedet-
tero. I l conte Nepomuceno ripetè i n t u t t i i toni che da m o l t i mesi
non vedeva più Ermenegilda cosi rilevata e dì buon umore. Quando
fu una cert'ora i domesrici, a u n ceimo del padrone, apparecchiaro-
no la tavola per la cena i n quella stessa camera.
IL VOTO 221

Mentre u n nobilissimo vino ungherese scintillava nei bicchieri


ed Ermenegilda, con le guance d i fiamma, l o centellinava celebran-
do i l ricordo dell'amato, la libertà, la patria, Saverio pensava: « Par-
tirò stanotte...» - Finita la cena domandò al suo domestico se la
carrozza stesse ancor sempre aspettando. - La carrozza, - rispose i l
domestico, - era stata distaccata già da u n bel p o ' , e scaricata del ba-
gaglio e riportata nella rimessa, per ordine del conte Nepomuceno.
I cavalli mangiavano i n scuderia e Woyciech stava russando sul sac-
cone d i paglia Saverio non fece obiezione e lasciò correre. L'inat-
tesa ricomparsa d i Ermenegilda l o aveva convinto che rimanere era
non soltanto possibile ma anche consigliabile e piacevole; da tale
convinzione im'altra n'era nata; che cioè si trattasse unicamente d i
vincersi, d i reprimere qualsiasi sfogo passionale per n o n eccitare
Ermenegilda e peggiorarne i n ogni senso lo stato d i turbamento
mentale. E se p o i i n seguito Ermenegilda riavendosi dai p r o p r i so-
gni avesse preferito i l sereno presente a u n avvenire oscuro, ciò sa-
rebbe dipeso unicamente dalle circostanze, dalle costellazioni; n o n
era q u i n d i i l caso d i parlar d'infedeltà e d i tradimento nei confronti
dell'amico.
Quando la rivide, l'indomani, riuscì infatti a dominarsi egregia-
mente, evitando con la massima cura t u t t o ciò che avrebbe potuto
portare a bollore i l suo sangue già fin troppo caldo. Mantenendosi
.jdunque nei l i m i t i delle più rigide convenienze, osservando addirit-
,1 tura u n gelido cerimoniale, egU diede al proprio discorso quel tono
41 zuccherina galanteria che si insinua n d l ' a n i m o delle donne come
jvUn mortale veleno. Saverio, i l ragazzo ventenne inesperto d i arte
}: amatoria, guidato dall'infallibile istinto del male, seppe dispiegare
i l e arti del maestro provetto. Parlò esclusivamente d i Stanis ao, del
(SUO indicibile amore per la dolcissima sposa, lasciando però abil-
jmente intravedere i n t u t t o quell'ardore la propria figura; tanto che
Sa u n certo punto Ermenegilda quasi n o n riusciva più a scinderla da
Vquella dell'assente Stanislao. I n tanta confusione ed esaltazione d i
/ Bcntimenri, la compagnia d i l u i le divenne ben presto indispensabi-
^fjte; e cosi i due finivano per stare quasi sempre insieme, e i l più delle
evolte nell'atteggiamento d i due innamorati i n dolce colloquio. Nel-
la stessa misura i n cui la consuetudine prendeva Ìl sopravvento sulla
ritrosia della fanciulla, Saverio tendeva a varcare i l i m i t i del gelido
;'ferimonìale entro c u i , dapprincipio, si era molto saggiamente ripa-
rlato. O r m a i passeggiavano insieme nel parco tenendosi sotto brac-
c o e i n casa, quando Saverio le sedeva accanto parlandole del for-
' tunato Stanislao, lei gli lasciava volentieri la mano fra le sue. Ecce-
ftlon fatta per g l i affari d i stato e le questioni riguardanti la « causa
222 RACCONTI NOTTURNI

patriottica», i l conte Nepomuceno n o n era u n uomo capace d i ve-


dere molto profondo: si accontentava d i quanto poteva scorgere
alla superficie e le fugaci immagini della vita si riflettevano nella sua
mente, chiusa a t u t t o ciò che n o n fosse politica, attimo per attimo,
come sulla superficie d i uno specchio, per subito svanire senza la-
sciar traccia. N o n comprendendo la realtà interiore d i Ermenegilda,
egli si accontentava d i veder sostituiti da u n uomo i n carne ed ossa
i pupazzetti che un tempo la fanciulla, demente, trattava come se
fossero l'uomo amato; e molto astutamente credeva d i prevedere
che Saverio avrebbe finito per prendere i l posto d i Stanislao; dopo-
t u t t o , per l u i u n genero valeva l'altro. E cosi al fedele Stanislao non
pensò più.
La stessa cosa ormai credeva Saverio perché, trascorsi u n paio d i
mesi, Ermenegilda, quantunque ancor sempre piena del ricordo
d i Stanislao, si lasciava sempre più apertamente corteggiare.
Una mattina corse voce che Ermenegilda si era chiusa nelle pro-
prie stanze con la cameriera e non voleva assolutamente vedere nes-
suno. I l conte Nepomuceno, convinto si trattasse d i una nuova cri-
si, pregò Saverio d i esercitare sulla figlia la propria influenza; ma
con suo sommo stupore Saverio non soltanto si rifiutò d i interveni-
re ma si mostrò radicalmente cambiato: la sua quasi eccessiva disin-
voltura era sparita; egli sembrava i n t i m o r i t o , come se avesse vedu-
to uno spettro; ìl suo tono dì voce era incerto, i suoi discorsi opachi
e incoerenti. Disse dì dover assolutamente partire per Varsavia, d i
non voler più rivedere Ermenegilda; negli u l t i m i tempi lo squilìbrio
mentale della fanciulla g l i aveva fatto orrore e paura; all'amore, alla
felicità egli aveva ormai rinunziato perché la fedeltà, rasentante la
follia, d i Ermenegilda per Stanislao g l i aveva fatto sentire tutta la
propria slealtà verso l'amico e provarne vergogna; non gli rimaneva
dunque altro scampo che la fuga. I l conte Nepomuceno comprese
assai poco d i t u t t o questo discorso; una cosa sola g l i parve chiara:
che la pazzia della figlia aveva contagiato i l giovane Saverio. Cercò
dì dimostrarglielo, ma invano; cercò dì dimostrargli la necessità d i
guarire Ermenegilda dalle sue bizzarrie, e pertanto d i rivederla: la
resistenza dì Saverio sì fece sempre più accanita. E la disputa n o n
durò a lungo. Come sospinto da una forza invisibile ma irresistibile,
Saverio corse via, balzò i n carrozza e p a r t i .
I l conte Nepomuceno indignato per ìl comportamento dì Erme-
negilda non si occupò più d i l e i ; e cosi essa trascorse parecchi giorni
indisturbata nei p r o p r i appartamenti n o n vedendo nessuno ad ecce-
zione della cameriera.
U n giorno, mentre Nepomuceno sedeva assorto a meditare sulle
I L VOTO 223

eroiche imprese dell'uomo che allora Ì polacchi adoravano come u n


falso idolo la porta si apri e Ermenegilda entrò; era tutta vestita
a lutto con u n lungo velo vedovile; si avvicinò al padre a passi lenti
e solenni, cadde i n ginocchio e g l i disse con voce tremante: — O h
padre mio... i l conte Stanislao, i l mio sposo amatissimo non è più!...
è caduto combattendo da prode... Q u i , i n ginocchio davanti a te,
vedi la sua povera vedova!... - I l conte Nepomuceno aveva ricevu-
to i l giorno prima buone notizie del conte Stanislao; credette quin-
d i che si trattasse d'una nuova crisi dì squilìbrio mentale. - Tran-
quillizzati, cara figliola! — le disse rialzandola con dolcezza, — Stani-
slao sta bene e presto accorrerà fra le tue braccia - . Ermenegilda
trasse u n sospiro come se rendesse l'anima e si abbandonò affranta
sul divano; ma dopo alcuni istanti sì ricompose e disse con una cal-
ma stupefacente: - Lascia ch'io t i racconti come sono andate le co-
se, caro padre. D e v i sapere t u t t o per potermi considerare veramen-
te la vedova del conte Stanislao von R. Sei giorni fa, all'ora del tra-
monto, i o m i trovavo nel padiglione meridionale del nostro parco.
T u t t i i mìei pensieri, t u t t o l'esser m i o erano r i v o l t i a l u i . A d u n
tratto sentii che g l i occhi mì sì chiudevano e caddi, n o n dico addor-
mentata, ma i n uno stato strano - n o n saprei definire se non d i « so-
gno ìn stato d i veglia»... M a poco dopo u n frastuono infernale si
scatena intorno a me... Sìbili, rombi... sparì fittissimi, uno sull'al-
tro... M i sveglio dì soprassalto e con immenso stupore mì trovo i n
una tenda da campo... I n ginocchio ai mìei piedi c'è Stanislao!... L o
abbraccio, me lo stringo alcuore... - « D i o sìa lodato! », esclama luì.
« T u v i v i . . . e sei mìa!...» - M ì dice che subito dopo ìl nostro matri-
monio i o sono svenuta... E io, sciocca, soltanto allora ricordo che
padre Cipriano (ìl quale stava uscendo dalla tenda ìn quel momen-
to...) ci aveva sposati poc'anzi, nella vicina cappella, sotto i l fuo-
co delle artiglierie, ìn mezzo all'orrendo fragore della battaglia... M i
vedo brillare la fede d'oro i n d i t o . . . La gioia con cui riabbraccio m i o
marito è indescrivibile... m i sento inondare da una delizia mai pro-
vata... sono una sposa finalmente felice!... E perdo i sensi. Una ven-
tata gelida mì investe. Riapro g l i occhi: ...orrore! . . . M i trovo i n
mezzo all'infuriare della battaglia... vedo davanti a me, i n fiamme,
la tenda da cui evidentemente mì avevano messa al riparo... E più
i n là Stanislao, circondato, premuto da cavalleggerì nemici. A l c u n i
camerati accorrono per salvarlo... Troppo tardi... U n cavalleggero
l o colpisce alle spalle, lo abbatte... - Sopraffatta dal tremendo dolo-
re, Ermenegilda cadde nuovamente ìn delìquio. Nepomuceno corse

' Napoleone I .
224 RACCONTI NOTTURNI

a prendere un cordiale ma non ce ne f u bisogno; con forza prodigio-


sa la giovane si riprese: — La volontà del cielo si è compiuta, — disse
con cupa solennità. - M i o dovere non è lamentarmi ma essergli fe-
dele fino alla morte. Nessun legame terreno dovrà mai più divider-
m i da l u i . . . Piangere, pregare per la nostra salvezza sarà d'ora i n poi
la mia sola missione... e nuUa dovrà distogliermene.
I l conte Nepomuceno credette a ragione che quella visione aves-
se fatto finalmente esplodere la pazzia latente nella figlia. M a poi-
ché quel voler portare i l l u t t o per i l marito i n claustrale raccogli-
mento non era, i n fin dei conti, una manifestazione clamorosa o co-
munque inquietante e l'arrivo del conte Stanislao v i avrebbe messo
fine, i l padre si senti un p o ' più sollevato. N e i giorni seguenti provò
a gettar là qualche allusione ai vaneggiamenti, alle visioni: ogni
volta, Ermenegilda si portava alle labbra la fede d'oro sorridendo
dolorosamente e la intrideva dì lacrime cocenti. I l padre notò con
stupore che quell'anello g l i tornava nuovo: non lo aveva mai visto
prima i n dito alla figlia! M a poiché poteva esserselo procurato i n
mille m o d i non si diede la pena d i indagare. Assai più importante
gli parve una cattiva notizia giunta dal fronte : i l conte Stanislao era
caduto prigioniero; e, per d i più, Ermenegilda pareva n o n sentirsi
bene; senza essere propriamente ammalata, si lagnava spesso d'una
strana sensazione d i malessere generale. I n quel periodo d i tempo
giunsero i l principe Z. con la moglie la quale avendo fatto da vice-
madre a E r m e n e ^ d a rimasta prematuramente orfana, venne da l e i
accolta con affetto e devozione filiale. L a giovane si confidò piena-
mente con la principessa, dicendosi amareggiata d i vedersi trattare
come una pazza soltanto per aver asserito - e ampiamente dimostra-
to! - d i essersi effettivamente unita i n matrimonio con Stanislao.
La nobildonna, al corrente della situazione e convinta d i aver a che
fare con ima squilibrata, si guardò bene dal contraddirla, limitando-
si a tranquillizzarla: col tempo - le disse - t u t t o si sarebbe chiarito;
e per intanto era meglio rimettersi umilmente al volere del cielo.
Quando però Ermenegilda le parlò delle proprie condizioni fisiche
e le descrisse le strane crisi d i malessere, la principessa si fece più
attenta; e continuò p o i a sorvegliarla con sollecitudine ansiosa, mo-
strandosi tanto più preoccupata quanto più la giovane andava m i -
gliorando.
A u n certo punto Ermenegilda parve completamente ristabilita:
le guance pallidissime avevano ripreso i l loro bel colore, g l i occhi
avevano perso quei bagliori t o r b i d i , inquietanti, l o sguardo era r i -
tornato mite e tranquillo, le forme tendevano ad arrotondarsi sem-
pre più; Ermenegilda, insomma, era ridiventata u n fiore d i gioven-
I L VOTO 225

t u e d i bellezza. Eppure la principessa pareva considerarla più am-


malata che mai. — Come stai?... Che cos'hai, bimba mia?... Come
t i senti?... - le domandava inquieta se soltanto la sentiva sospirare
o la vedeva u n tantino impallidire.
I l conte Nepomuceno, i l principe, la principessa si consultarono
sul da farsi per togliere a Ermenegilda quella idea fissa d i credersi
la vedova d i Stanislao. - Credo, purtroppo, - disse i l principe, - che
la sua pazzia sia inguaribile. Perché fisicamente è sanissima mentre
si direbbe che cerchi d i alimentare con tutte le forze i l proprio tur-
bamento mentale... G i à , - continuò mentre la principessa guardava
fisso davanti a sé con aria afilitta, - proprio cosi: è sana come u n pe-
sce, malgrado i l nostro torto dì voler continuare a curarla, a viziar-
la, a tormentarla come se fosse ammalata... - La principessa, cui
queste parole erano dirette, guardò bene negli occhi i l conte Nepo-
muceno e disse secco e reciso: - N o ! Ermenegilda non è ammalata.
M a se non m i fosse impossibile crederla capace d i aver fatto u n pas-
so falso sarei convinta che... sia i n stato interessante - . Ciò detto si
alzò e usci dalla camera.
I l conte e i l principe rimasero a guardarsi inebetiti. I l p r i m o a
ritrovar la parola f u i l principe: anche sua moglie - disse - soffriva
talvolta d i stranissime allucinazioni... M a i l conte Nepomuceno r i -
batté serissimo: - La principessa ha ragione d i escludere come i m -
possibile l'ipotesi d'un passo falso... Però devo d i r t i una cosa: i e r i ,
mentre Ermenegilda m i passava davanti, n o n so come mai, m i è ba-
lenato i m pensiero assurdo: «Guardate u n p o ' » , m i sono detto «la
giovane vedova è incinta!...» Forse l'idea me l'avrà suggerita la sua
figura... non so... M a sapendo questo troverai naturale che le parole
della principessa m i abbiano riempito d i sgomento e d i preoccupa-
zione... - Quand'è cosf, - rispose i l principe. - Sarà bene sentire Ìl
parere d ' u n medico o d'una levatrice... Nient'altro potrebbe smen-
tire l'ipotesi avventata d i mia moglie o... renderci certi della nostra
vergogna... - Continuarono a discutere per parecchi giorni senza
pervenire ad alcuna conclusione. Le forme d i Ermenegilda appari-
vano ormai sospette ad entrambi: toccava alla principessa decide-
re sul da farsi. Essa n o n volle saperne d i immischiare nella faccenda
u n medico forse pettegolo... E n t r o cinque mesi, soggiimse, sarebbe-
ro forse stati necessari altri aiuti. — Quali aiuti?... - esclamò i l con-
te Nepomuceno sbigottito. - Si, - continuò la principessa alzando
la voce. - O r m a i non c'è più alcun dubbio: o Ermenegilda è l'ipo-
crita più perversa che mai sia esìstita, oppure... q u i sotto c'è u n m i -
stero insondabile... Morale: Ermenegilda è incinta!
I m p i e t r i t o dallo sgomento i l conte Nepomuceno n o n riuscì a
226 RACCONTI NOTTURNI

parlare. Finalmente, facendosi forza, scongiurò la nobildonna d i


interrogare l e i stessa Ermenegilda: doveva farsi dire a qualunque
costo chi fosse l o sciagurato d i e aveva gettato quell'onta incancel-
labile sulla sua casa. - Ermenegilda non sa ancora che io ho capito,
- rispose la principessa : - Dicendoglido spero d i cavarle fuori tut-
to. Colta d i sorpresa getterà la maschera dell'ipocrisia, oppure do-
vrà dimostrarmi la propria innocenza i n chissà quale inverosimile
modo... benché n o n riesca assolutamente a immaginare come una
cosa simile possa essere accaduta.
La sera stessa si incontrò a quattr'occhi con Ermenegilda, la cui
prossima maternità appariva d'ora i n ora più evidente, la prese per
e braccia, la fissò bene negli occhi c le disse i n tono reciso; - Cara...
t u aspetti un bambino! — Ermenegilda volse al cielo uno sguardo e-
statico ed esclamò fremente d i gioia; - O madre, madre... lo so!...
Da tanto tempo l o sentivo che, quand'anche i l mio caro marito fos-
se caduto sotto i colpi d d crudele nemico, io avrei avuto questa im-
mensa consolazione... Si!... I l momento della suprema felicità ter-
rena continua a vivere i n me... I o l o riavrò tutto intero i l mio spo-
so amatissimo, nel prezioso pegno della nostra dolce unione La
prindpessa senti come se tutto le girasse intorno e per poco n o n
venne meno... I l tono d i sincerità, lo slancio d i Ermenegilda, quel
suo trasfigurarsi per la gioia escludevano qualsiasi possibilità d i ipo-
crisia, d i finzione...
Eppure bisognava essere pazzi per prendere sul serio le sue af-
fermazioni... Formulato tale pensiero, la principessa respinse con
violenza Ermenegilda esdamando: - Insensata!... U n sogno t i a-
vrebbe dunque messa n d l o stato che ci copre t u t t i quanti d'onta e
d i vergogna?... Credi d i potermi abbindolare con le tue sciocche
storielle?... Ritorna ìn te... cerca dì ricordare t u t t i i fatti dei giorni
scorsi... Confessa... p e n t i t i . . . forse potremo ancora perdonarti...
- Sopraffatta dal dolore, Ermenegilda si gettò ai piedi della princi-
pessa implorando fra le lacrime: - Madre... anche t u m i tratti come
una visionaria... non v u o i credere neppure t u che la Chiesa mì ha
u n i t o ìn matrimonio con Stanislao, e che ìo sono sua moglie ?... M a
guarda questo anello!... Che dico?... T u , t u conosci i l mio stato, e
ciò n o n basta a convincerti ch'io non ho sognato?... - La prindpes-
sa sì rese conto con profondo stupore che Ermenegilda n o n era
neppure sfiorata dal pensiero d'aver commesso u n passo falso... i l
suo accenno a una simile possibilità n o n lo aveva neppure afferrato,
non l o aveva capito... E intanto Ermenegilda continuava a suppli-
carla prendendole le mani e premendosele al petto, dì voler credere
al suo matrimonio... Come poteva dubitarne, conoscendo i l suo sta-
I L VOTO 227

to?... E la nobildonna, sbalordita e sgomenta, non sapeva più che


cosa dirle né come venire a capo d i tanto mistero...
Soltanto dopo parecchi giorni dichiarò al marito e al conte Ne-
pomuceno che Ermenegilda era troppo convinta d'essere stata resa
incinta dal marito perché fosse possibile farle dire qualcosa d i più
e d i diverso. I due u o m i n i , ribollenti d i collera, definirono Ermene-
gilda un'ipocrita. E i l conte Nepomuceno giurò che se non fosse riu-
scito con le buone a farla desistere dallo stolto proposito d i dargli a
bere la insulsa favoletta, sarebbe ricorso a misure più severe.
La principessa lo disapprovò: qualsiasi atto d i severità sarebbe
stato una crudeltà inutile. - Ermenegilda - ne era certa - non fin-
geva ma era i n perfetta buona fede: - C i sono ancora m o l t i misteri
nel mondo, - soggiunse, - che noi non siamo assolutamente ìn gra-
do d i comprendere. E se una intensa reciprocità dì pensiero potesse
aver conseguenze anche fisiche?... E se u n incontro spiritaale fra
Stanislao ed Ermenegilda avesse veramente messo la fanciulla nel-
l'ìnspiegabìle stato i n cui si trovava?...
Malgrado tutta la loro collera e la penosità della situazione i l
prìncipe e i l conte Nepomuceno n o n poterono trattenersi dallo
scoppiare ìn una sonora risata: l'idea della principessa - dissero -
era i l più sublime tentativo che mai fosse stato compiuto dì «eteriz-
zare» la natura umana... Rossa ìn viso, la nobildorma ribattè che gli
u o m i n i rozzi mancavano d i sensibilità per queste cose. La situazio-
ne i n cui la povera bimba (... nella cui innocenza fermamente crede-
va...) era caduta era terribile, scandalosa; i l miglior mezzo per sot-
trarla ai commentì malevoli e allo scherno della gente era portarla
via, i n viaggio...
I l conte Nepomuceno f u assai soddisfatto deUa proposta; poiché
Ermenegilda stessa non faceva mistero del proprio stato, se sì vole-
va salvare la sua reputazione non rimaneva davvero che allontanar-
la dall'ambiente delle conoscenze.
Ciò stabilito d i comune accordo, t u t t i si sentirono più tranquil-
l i . Vista la possibilità d i nascondere l'onta agli occhi del mondo ed
evitarne i l ludìbrio, che g l i era più amaro dì qualsiasi altra cosa, i l
conte Nepomuceno quasi non pensò più all'inquietante mistero;
data la stranezza del caso, lo stato d'animo d i Ermenegilda e la sua
accertata sincerità, n o n rimaneva altro da fare che lasciare al tempo
la soluzione del singolarissimo enigma.
Accordatisi su questi p u n t i , i tre signori stavano per separarsi
quando l'improvviso arrivo del conte Saverio v o n R. lì ripiombò
nell'imbarazzo e nell'ansia. Accaldato per la lunga galoppata, i m -
polverato da capo a piedi, questi irruppe i n salotto come chì sìa so-
228 RACCONTI NOTTURNI

Spinto da una passione selvaggia; senza salutare, senza curarsi i n


alcun modo delle buone creanze, gridò a piena voce: — I I conte Sta-
nislao è morto!... N o n è caduto prigioniero.., no... è stato abbattuto
a sciabolate dai nemici... qui ci sono le prove!... — e, tratte affanno-
samente d i tasca alcune lettere, le porse al conte Nepomuceno che
incominciò a leggerle, sbalordito. La principessa gettò uno sguardo
ai fogli e appena ne ebbe afferrato poche righe esclamò congiungen-
do le mani e volgendo g l i occhi al cielo: — Ermenegilda!... A h , po-
vera piccola!... Che mistero insondabile!... - Aveva letto che tutto
era andato esattamente come lei aveva visto i n sogno... anche il
giorno della morte coincideva...
- È morto, — ripete i n fretta e focosamente Saverio. - Ermene-
gilda è libera... Niente più m i sbarra la strada... io l'amo come la
mia vita... Chiedo la sua mano!
I I conte Nepomuceno non f u capace d i rispondere; parlò per l u i
i l principe, spiegando come qualmente certe circostanze renciessero
assolutamente impossibile prendere i n considerazione la propo-
sta... I n quel momento egli - Saverio - non avrebbe neppure potu-
to rivedere Ermenegilda... meglio che se ne andasse i n fretta com'e-
ra venuto...
Se si alludeva, com'era probabile, al turbamento mentale d i Er-
menegilda - rispose Saverio - egli lo conosceva bene; ma non lo
riteneva un ostacolo, anzi, era certo che i l matrimonio avrebbe po-
sto fine alla cosa.
Intervenne la principessa: Ermenegilda - disse - aveva giurato
fedeltà eterna a Stanislao e avrebbe respinto qualsiasi proposta d i
matrimonio. D'altronde - soggiunse - non era neppure più al ca-
stello.
Saverio scoppiò a ridere; g l i occorreva soltanto i l consenso del
padre - disse. - Toccare ìl cuore dì Ermenegilda era affar suo.
Indignato dalla petulante indiscrezione del giovane, i l conte
Nepomuceno g l i rispose d i non sperare nel suo consenso. Avrebbe
fatto meglio ad andarsene subito.
I l conte Saverio lo guardò fisso e andò ad aprire la porta dell'an-
ticamera: - Woyciech! - chiamò. - Porta dentro la valigia, dissella
i cavalli e conducili nella stalla! - p o i ritornò indietro, si gettò a
sedere su u n seggiolone accanto alla finestra e dichiarò, serio e tran-
q u i l l o , che senza aver visto Ermenegilda e parlato con lei non se ne
sarebbe andato, A meno che l o cacciassero via con la forza.
- Quand'è così, - rispose ìl conte Nepomuceno, - temo dovrà
trattenersi molto a lungo. A me permetterà, tuttavìa, dì lasciare i l
castello! - Ciò detto uscì col prìncipe e la principessa per cercar di
IL VOTO 229

mandar via Ermenegilda i l più presto possibile. Caso volle che essa,
contrariamente all'abitudine, fosse scesa a passeggiare nel parco;
dalla finestra Saverio la vide i n lontananza, corse sotto e la raggiun-
se proprio mentre stava entrando nel fatale padiglione situato sul
lato meridionale del parco. L o stato d i prossima maternità della
giovane donna era ormai evidente a chiunque. — Potenze celesti!...
- esclamò Saverio quando le f u d i fronte; e, cadendo i n ginocchio
ai suoi piedi, la scongiurò, con appassionate proteste d i amore, d i
farlo felice e diventare sua moglie.
Ermenegilda rimase sconvolta dalla sorpresa e dallo spavento.
- L o aveva condotto la mala sorte a turbare la sua pace! - g l i rispo-
se. — Aveva giurato d i serbarsi fedele fino alla morte al suo amato
Stanislao. M a i e p o i mai sarebbe diventata moglie d i u n altro! -
Saverio insistette a pregarla, a scongiurarla; p o i , reso quasi folle
dalla passione, le spiegò che stava ingannando se stessa perché già
gli aveva donato i più dolci attimi d i amore; ma quando balzò i n
piedi e fece per stringerla fra le braccia lei l o respinse con orrore e
ribrezzo: - Miserabile pazzo egoista! - esclamò. - Com'è vero che
non potrai distruggere i l dolce pegno della mia unione con Stani-
slao, non potrai i n d u r m i a tradirlo!... Vattene!
Saverio scoppiò I n una risata selvaggia, sprezzante e, tendendo
i l pugno verso d i lei, urlò: - Pazza!... N o n l'hai già violato t u stessa
quello stupido giuramento?.,. I l bimbo che p o r t i i n seno è m i o . . .
me hai abbracciato q u i , i n questo stesso luogo... Sei stata la mia a-
mante... e tale rimarrai se non farò d i te mia moglie! - Ermenegilda
Io fissò (aveva i l fuoco dell'inferno negli occhi). - Mostro! - gridò
con voce acuta e stridente. E stramazzò al suolo come colpita a
morte.
Come inseguito dalle furie, Saverio rientrò d i corsa al castello,
si imbatté nella principessa, la afferrò impetuosamente per una ma-
no trascinandola dentro: - M i ha respinto con orrore, - le disse.
- M e . . . i l padre del suo bambino!... - Per t u t t i i santi!.,. Tu?... Sa-
verio?... M i o D i o . . . parla... Com'è possibile?... — esclamò la princi-
pessa inorridita. — M i condanni chi vuole, - proseguì Saverio già u n
p o ' più calmo. - M a chiunque altro avrebbe peccato come me se si
fosse sentito ribollire Ìl sangue nelle vene come l'ho sentito io i n
quel momento!... Trovai Ermenegilda nel padiglione, addormen-
tata sul divano... ma i n uno stato stranissimo, impossibile a descri-
versi. Appena entrai l e i si alzò, m i venne incontro, m i prese per ma-
no e m i fece attraversare la camera camminando a passo lento e so-
lenne; quindi si inginocchiò e si mise a pregare. Inginocchiato al
suo fianco n o n tardai ad accorgermi che essa credeva d i vedere u n
230 RACCONTI NOTTURNI

prete davanti a n o i . A d u n certo punto si sfilò dal d i t o un anello e


l o porse all'invisibile sacerdote... L o presi l o e, a mia volta, m i sfi-
lai i m anello d'oro e glielo misi al dito... A l l o r a lei m i cadde fra le
braccia, pazza d'amore... M e ne andai lasciandola immersa i n u n
sonno profondo...
— O r r i b i l e uomo!... A b . . . che mostruoso delitto!... — esclamò la
principessa f u o r i d i sé.
I l conte Nepomuceno c i l principe, informati i n poche parole
della confessione d i Saverio, èjrono d'accordo nel n o n giudicare
cosi imperdonabile la sua ignobile azione, tanto più se egli intende-
va riparare sposando Ermenegilda. Ciò feri profondamente l'animo
delicato della principessa: - N o ! - disse costei. - M a l Ermenegilda
concederà la propria mano a colui che, con Infernale malizia, ha o-
sato avvelenare i l momento supremo della sua v i t a , macchiandosi
d ' u n così mostruoso misfatto! - E invece dovrà concedermela per
salvare i l suo onore! - ribattè Saverio con orgoglio freddo e sprez-
zante. - I o rimango q u i . E t u t t o sì aggiusterà... - I n quel momento
si u d i i n giardino u n andirivieni, u n parlottare confuso : i l giardinie-
re aveva trovato Ermenegilda svenuta nel padiglione e stavano r i -
portandola nel castello.
La coricarono su u n divano: prima che la principessa potesse
impedirglielo, Saverio entrò e le prese una mano. A l l o r a la giovane
si rizzò a sedere d i scatto lanciando u n urlo inumano, u n urlo lace-
rante d i belva ferita e, tutta stravolta da uno spasimo convulso, a-
troce a vedersi, rimase a fissare i l conte con occhi fiammeggianti dì
collera. Come folgorato da quello sguardo, Saverio indietreggiò va-
cillando. - ... I cavalli... subito... - balbettò i n modo appena com-
prensibile. A d u n cenno della principessa, ì servitori l o accompa-
gnarono al piano d i sotto. - V i n o . . . vino! - gridò l'infelice quando
fu alla porta; e dopo averne tracannato alcuni bicchieri per ripren-
dere u n po' d i forza, balzò ìn sella e partì d i galoppo.
L'opaca demenza dì Ermenegilda minacciò d i degenerare I n
pazzìa furiosa e ciò indusse ìl conte Nepomuceno ed i l principe a
mutar parere circa l'orribile, imperdonabile azione dì Saverio. Pro-
posero d i mandar a chiamare u n medico ma la principessa si oppose
perché, a suo avviso, soltanto un aiuto spirituale avrebbe potuto
giovare alla povera giovane. Invece del medico giunse dunque i l
monaco carmelitano Cipriano, confessore dì famìglia i l quale mira-
colosamente riuscì a trarre Ermenegilda dalla fissità incosciente del-
la follia. E più ancora; riuscì a restituirle la calma e i l domìnio d i sé.
Esprimendosi ìn modo del t u t t o coerente e sensato, Ermenegilda
manifestò alla principessa ìl desiderio d i ritirarsi, subito dopo i l
I L VOTO 231
parto, nel convento cistercense d i O . , per trascorrervi i l resto della
propria vita nel l u t t o e nella penitenza. Da quel giorno, oltreché
vestirsi d i nero, si ricopri la testa d ' u n velo e n o n lo sollevò mai più.
I l padre Cipriano lasciò i l castello, ma per ritornare dopo pochi
giorni. Frattanto i l principe Z. aveva scrìtto al borgomastro d i L .
informandolo che Ermenegilda avrebbe atteso ìl periodo del parto
i n casa sua, dove sarebbe stata accompagnata dalla badessa delle
suore cistercensi, parente della famiglia. La principessa sarebbe i n -
vece partita per l ' I t a l i a , lasciando credere dì condurre con sé Erme-
negilda.
Mezzanotte. La vettura che doveva condurre Ermenegilda al
convento era alla porta. Affranti dal dolore, Nepomuceno, Ìl p r i n -
cipe e la principessa attendevano la sventurata fanciulla per conge-
darsi da lei. Avvolta nei suoi veli, condotta per mano dal monaco,
Ermenegilda entrò nella camera vivacemente illuminata da nume-
rose candele.
- La suora laica Celestina, - annunziò padre Qprìano con voce
soleime, - ha gravemente peccato quand'era ancora nel mondo. La
malizia del diavolo ha macchiato la sua purezza. M a u n voto indis-
solubile le ridarà pace e conforto, la restituirà all'eterna salvezza!...
M a i più ìl mondo potrà scorgere ìl volto la cui bellezza sedusse i l
demonio. Guardate!... Cosf Celestina inizia e termina la propria e-
spiazione! - e cosi dicendo sollevò H velo. Con ima fìtta al cuore i
presentì videro l'angelico viso d i Ermenegilda chiuso per sempre
sotto la pallida maschera mortuaria!...
Incapace d i pronunziare una parola, la fanciulla sì congedò dal
padre, sconvolto dal dolore Inumano, convìnto dì n o n poter soprav-
vivere. I l principe, pur sempre cosi padrone d i sé, sì sciolse i n lacri-
me e soltanto la principessa, facendo appello a tutta la sua forza d'a-
n i m o , riusci a mantenersi serena e composta d i fronte allo strazian-
te spettacolo dì quell'orrìbile voto.
I n qual modo ìl conte Saverio riuscisse a scoprire ìl rifugio dì
Ermenegilda e perfino a venir a sapere che ìl neonato doveva venir
consacrato alla Chiesa, rimase u n mistero. Poco g l i giovò rapire ìl
bambino, perché quando giunse a P. per consegnarlo a una donna
fidata, ìl povero pìccolo n o n era soltanto svenuto, intirizzito dal
freddo, ma morto.
Dopo questo fatto i l conte Saverio disparve senza lasciar traccia
d i sé. Si pensò che si fosse tolto la vita.
M o l t i anni dopo, ìl giovane prìncipe Boleslav von Z., durante u n
viaggio a N a p o l i , capitò nei pressi d i Posillìpo e volle salire al con-
vento dei Camaldolesi situato i n ima località stupenda, per godersi
232 RACCONTI NOTTURNI

u n panorama che aveva inteso decantare come i l più suggestivo d i


tutta Napoli. Valicato uno sperone roccioso, stava per addentrarsi
nel giardino descrittogli come la località più bella dei d i n t o r n i ,
quando vide, seduto su una grossa pietra, u n monaco con i n grem-
bo u n l i b r o aperto e l o sguardo fisso al lontano orizzonte. A w i c i -
nandoglisi, osservandolo meglio, i l principe credette d i ritrovare
u n oscuro ricordo. Si avvicinò ancora, quasi d i soppiatto e vide che
i l l i b r o d i preghiere era scritto i n polacco. Allora pronunziò una fra-
se d i saluto i n quella lingua. I l monaco si volse sbigottito, l o vide,
si tirò i l cappuccio sul viso e fuggi, come sospinto dallo spirito ma-
ligno, sparendo fra i cespugli. Dopo aver raccontato quest'avventu-
ra al conte Nepomuceno, i l principe Boleslav g l i diede per certo che
quel monaco a l t r i n o n era se non i l conte Saverio v o n R.
I L CUORE D I P I E T R A

I l viaggiatore proveniente dal meridione, giungendo dì buon


mattino a una mezz'oretta d i strada dalla cittadina d i G . ', non potrà
non notare, a mano diritta della via maestra, un'elegante casa dì
campagna, eminente fra la folta boscaglia con i suoi bizzarri pinna-
coli e comignoli multicolori. La boscaglia circoscrive i m vasto giar-
dino che si estende fin giù, verso i l fondovalle. Se t i avvenisse d i
capitare i n quel luogo, lettore mio amatissimo, non risparmiarti né
ima breve sosta né la piccola mancia che dovrai forse dare al giardi-
niere, ma scendi fiducioso dalla carrozza e fatti aprire la casa e i l
giardino col pretesto d i aver conosciuto molto bene a G. i l consi-
gliere aulico Reutlinger, proprietario d i quella amena residenza
campestre. Potrai farlo, i n fondo, a buon d i r i t t o ; perché, se t i com-
piacerai d i leggere fino alla fine quanto m i accingo a narrare, i l con-
sigliere Reutlinger, col suo strano modo d i essere e d i agire, lo avrai
così v i v o davanti agli occhi che t i parrà d i averlo veramente cono-
sciuto. - G i à le facciate esterne della villa le troverai decorate con
fregi variopinti, arcaici, grotteschi; e, a ragione, deplorerai i l pes-
simo gusto dì tali pitture murali. M a osservandole meglio ne senti-
rai scaturire uno spirito singolarissimo, sicché, passando nell'atrio,
avrai già avvertito un lieve brivido. Sulle pareti marmoreggiate e
suddivise i n tanti riquadri, vedrai arabeschi a colorì stridenti: un
bizzarro groviglio d i figure umane, animali, fiori, pietre, e crederai
d i poterlo interpretare senza l'aiuto d i alcuna spiegazione. Nel salo-
ne, largo quanto tutto 11 piano inferiore e alto oltre ìl livello del se-
condo piano, t i parrà dì rivedere, tradotti plasticamente i n sculture
dorate, t u t t i ì soggetti cui le pitture avevano appena accennato. A l -
la prima occhiata sarai tentato d i parlare del gusto corrotto del seco-
l o d i L u i g i X V I , dì accanirti contro quello stile baroccheggìante,
sovraccarico, strìdente, privo dì gusto; ma, se appena t u m i sei un
tantino affine e n o n manchi dì quella fantasia pronta che ìo sempre

' Glogau.
RACCONTI NOTTURNI

presuppongo nel mio benevolo lettore, scorderai ben presto cotante


pur innegabili, mende. A v r a i dapprincipio la sensazione d i trovarti
dinnanzi a un gioco pittorico arbitrario, sregolato, 11 gioco dell'ar-
tista padrone assoluto d i coordinare u n mondo figurativo abbando-
nandosi al proprio estro soltanto; ma p o i , a poco a poco, tutte quel-
le figurazioni le vedrai concatenarsi i n un'allusione alle cose uma-
ne, un'allusione piena d i quell'amara ironia peculiare degli spiriti
profondi ma mortalmente offesi. T i consiglio, amato lettore, d i v i -
sitare le camerette del secondo piano, situate intorno al salone co-
me una galleria e le cui finestre guardano dall'alto nel salone stesso.
Q u i le decorazioni sono molto semplici; ma qua e là incapperai i n
certe iscrizioni tedesche, arabe e turche assai singolari a vedersi.
Ora andiamo i n giardino. È u n antico giardino alla francese, con
ampi e lunghi sentieri racchiusi fra alte pareti d i tasso, e pieno d i
boschetti, statue, fontane. I o non so, amico lettore, se g l i antichi
giardini alla francese diano anche a te quell'impressione d i severa
solennità che danno a me; non so se anche t u , come me, non prefe-
risca tale tipo d i giardinaggio all'insulsa paccottiglia d i ponticelli,
fiumicelli, tempietti, grot ticine artificiali d i cui sono adorni i cosid-
detti giardini « all'Inglese ». I n fondo al parco verrai a trovarti i n u n
oscuro boschetto d i salici piangenti, betulle pendule e p i n i d i Wey-
mouth. I l giardiniere t i iiiformerà che quel boschetto ha forma d i
cuore, e potrai constatarlo guardandolo dall'alto della villa. I n mez-
zo al bosco sorge u n padiglione d i marmo nero slesiano; all'interno
è pavimentato d i marmo bianco con incastrato nel centro u n cuore
d i pietra rossa, a grandezza naturale. Chinati, e vedrai incisa sul
cuore la parola: « R i p o s a ! »
N e l padiglione, presso i l cuore d i pietra che allora non recava
ancora alcuna iscrizione, nel giorno della natività d i Maria — e cioè
l'S settembre dell'armo i 8 o . . . - , si trovavano u n vecchio signore
alto, distinto, e un'anziana signora, entrambi vestiti molto elegan-
temente alla moda degli anni sessanta.
- M a come le è venuta i n mente, - domandò la vecchia signora,
- come le è venuta i n mente, mio caro signor consigliere, l'idea
stramba - macabra, vorrei dire - dì far costruire i n questo padiglio-
ne la futura tomba del suo cuore, là, sotto quella pietra rossa?...
- Per favore, cara signora, - rispose luì, - non ne parliamo... La
chiami pure ima stramberia... la stramberìa morbosa d i u n animo
ferito... la chiami pure come vuole... M a sappia una cosa: io v ì v o
q u i , ìn mezzo a tutte queste ricchezze, largitemi da una sorte mali-
gna come u n giocattolo che si dà ad u n bimbo incosciente per fargli
dimenticare i suoi mali incurabili; e ciò malgrado talvolta m i afferra
I L CUORE D I PIETRA 235
un'amarissima malinconia... t u t t o i l dolore sofferto si ridesta... e
allora soltanto q u i , fra queste mura riesco a trovare un po' d i con-
forto e d i pace... Stille del mio sangue hanno tìnto d i rosso quella
pietra: ma è fredda come Ìl ghiaccio... e presto, poggiando sopra i l
mio cuore raffredderà la passione funesta che ardeva i n esso... - La
signora chinò mestamente l o sguardo al pavimento e due grosse la-
crime, scintillanti come perle, caddero sul cuore d i pietra; i l consi-
gliere le prese la mano: nei suoi occhi guizzò u n lampo d i ardore
giovanile, si riaccese per u n istante tutto u n passato dì amore e d i
felicità; f u come i l rapido riapparire d i u n meraviglioso paesaggio
verde e fiorito - ma immensamente lontano! - immerso nelle rosse
luci del crepuscolo: - G i u l i a , G i u l i a ! . . . — esclamò con voce soffoca-
ta dalla commozione... - E anche lei ha potuto ferire a morte questo
mio povero cuore! - N o n accusi me, - rispose la dama con grande
tenerezza. - N o n accusi me, Massimiliano!... N o n f u forse l'impla-
cabile inflessibilità dei suo carattere a distaccarla da me?... Eh si, fu
proprio quella manìa vaneggìante dì credere nei presentimenti, nel-
le strane visioni d i cattivo presagio, che finalmente m i indusse a da-
re la preferenza all'altro mio pretendente, tanto più mite e arrende-
vole d i l e i . A h , Massimiliano!... Come ha p o t u t o non sentire quan-
to i o la amassi?... M a con la sua eterna smanìa d i tormentare se
stesso ha tormentato anche me... m i ha tormentata a morte, fino a
spossarmi.
- O h , ha ragione, signora, - ammise i l consigliere lasciandole la
mano. - I o devo star solo. Nessun cuore umano può piegarsi alle
esigenze del mio. T u t t o ciò che è capace dì amicìzia, d i amore, rim-
balza via senza effetto da questo mio cuore d i pietra. — Come è ama-
r o , - l o interruppe la signora, - come è amaro ed ingiusto con sè
stesso e con g l i a l t r i , Massimiliano!... T u t t i conoscono la sua gene-
rosa bontà verso i bisognosi, i l suo incrollabile amore per la giusti-
zia, per l'onestà... M a quale destino avverso ha mai gettato nell'ani-
mo suo la spaventosa diffidenza che le fa scorgere ìn uno sguardo,
ìn una parola, i n un qualsiasi fatto, anche nel meno intenzionale,
presagi d i rovina e dì sventura?... - N o n tratto forse con incondi-
zionato amore chiunque m i avvicini?... ~ disse dolcemente ìl consi-
gliere con le lacrime agli occhi. - . . . M a quell'amore, anziché nutrire
l'animo m i o me l o strazia... A h , - proseguì alzando la voce. - A l -
l'imperscrutabile spirito reggitore del mondi piacque largirmi un
dono che, strappandomi alla morte, mì uccide cento volte!... Come
l'ebreo errante ìo scorgo i l segno invisibile dì Caino sulla fronte del-
l'ipocrita perverso !... I o comprendo ì misteriosi m o n i t i che l'arcano
signore del mondo, da noi chiamato «caso» ! - getta sul nostro cam-
236 RACCONTI NOTTURNI

mino, spesso sotto forma d i spassosi indovinelli... Un'angelica fan-


ciulla ci guarda con quel suoi l i m p i d i , chiari occhi d i Iside!... ma
colui che non risolve i l suo enigma, quello lo afferra con t e r r i b i l i
zampe leonine e lo scaraventa nel precipizio! — Ancora, — disse la
dama, - ancora sempre questi malaugurati vaneggiamenti!... E
dove è andato a finire i l figlio d i suo fratello minore, quel bimbo
cosi bello, COSI gentile che lei accolse con tanto amore, qualche an-
no fa?... N o n le era parso d i poter trovare i n l u i affetto e confor-
to?... - L'ho scacciato, - rispose i l consigliere con voce aspra. - Era
un infame - un serpe ch'io m£ covavo i n seno per la mia rovina...
- U n infame?... U n bimbo d i sei anni?... - esclamò la signora stu-
pefatta. - L e i conosce la storia d i mio fratello, - prosegui i l consi-
gliere. - M i ingannò innumerevoli volte - e lei lo sa - nei modi più
abietti; soffocò ogni sentimento fraterno e rivolse contro d i me co-
me armi 1 benefici ch'Io g l i resi... Macchiare i l mìo onore, rovinare
la mìa esistenza... nulla gli importava, pur d i perseguire i suoi sco-
p i . Poi quando, anrù fa, cadde nell'assoluta miseria, verme da me,
quell'ipocrita, per farmi credere dì voler mutar v i t a , ridestare l'af-
fetto fraterno... I o m i presi cura dì luì, l o ospitai ìn casa mìa ed egli
ne approfittò per sottrarmi certi documenti... M a , per carità, non
parUaraone!... I l suo b i m b o m i piacque. E quando luì, sciagurato,
visti scoperti i raggiri che avrebbero dovuto trascinarmi i n i m pro-
cesso infamante, f u costretto a fuggire, ìl b i m b o me Io leimi con me.
M a p o i u n cermo premonitore del destino m i liberò anche dì quella
piccola canaglia. - Q u e l cenno del destino sarà stato senza dubbio
uno dei suoi soliti sogni cattivi, no?... - disse l'anziana signora.
- M i ascolti, G i u l i a , e p o i giudichi, - continuò l u i . - La diabolica
perfidia d i mio fratello, lei lo sa, f u i l colpo più duro della mìa v i -
ta... a parte, s'intende, quell'altro... ma lasciamo andare. Ammettia-
mo pure che l'idea d i far costruire ima tomba per i l mìo cuore ìn
questo bosco sìa da attribuirsi alla malattìa nervosa che m i colpi.
Comunque, l'idea m i venne. Feci piantare i l bosco ìn forma dì cuo-
re, feci costruire i l padiglione. Gli operai stavano già lavorando ai
marmi del pavimento; ìo entrai per dare un'occhiata ai lavori e
scorsi là fuori, a una certa distanza, i l ragazzino M a x - ( g l i avevano
dato i l mio nome) - che, saltando e correndo e rìdendo come i m
matto, faceva rotolare qualche cosa... E b b i u n oscuro presentimen-
to, m i avvicinai e rimasi senza fiato: quel qualcosa con cui i l fan-
ciullo giocava era la pietra rossa i n forma d i cuore, già pronta per
essere collocata q u i , nel padiglione.
- Ragazzo!... T u giochi col mìo cuore, come tuo padre! - g l i gri-
dai; e quando mì si avvicinò piangendo lo scacciai con orrore. I l mìo
I L CUORE D I PIETRA

amministratore ricevette le disposizioni necessarie per sbarazzarmi


d i l u i e da quel giorno non l o r i v i d i più. - O r r i b i l e uomo! - esclamò
la vecchia signora; ma i l consigliere, con i m cortese inchino, la prese
sotto braccio e la condusse f u o r i , nel parco, dicendole: - I grandi
t r a t t i d i fondo del destino non si confanno al deUcato nonpareil del-
le signore.
I l signore anziano era i l consigliere aulico Reutlinger e la dama
la moglie del consigliere segreto Foerd. I l giardino offriva uno spet-
tacolo dei più curiosi. U n gran numero d i signori d'età - consiglieri
segreti, consiglieri aulici ecc. - erano convenuti dalla città vicina
con le rispettive famiglie. T u t t i , perfino 1 giovanotti e le fancitìlle,
vestivano rigorosamente alla moda dell'anno 1760: grandi parruc-
che, abiti r i g i d i , alte pettinature, crinoline e vìa dicendo; e i l colpo
d'occhio era tanto più strano ed insolito i n quanto 'ù. vecchio giar-
dino alla francese si adattava perfettamente a tali costumi. La ma-
scherata era nata da un'idea bizzarra d i Reutlinger. O g n i tre aimi,
nel giorno della natività d i Maria, egli celebrava nella propria villa
la festa del buon tempo antico; invitava chiunque volesse venire
dalla città ma alla perentoria condizione che ogni invitato indossas-
se ua costume dell'anno 1760. A alcuni giovani sarebbe stato diffi-
cile prociurarsì simili costumi, ma 11 consigliere l i aiutava egli stes-
so, mettendo a l o r o disposizione u n ricco guardaroba. Evidente-
mente, per i tre giorni che durava la festa, egli voleva darsi alla paz-
za gioia nel ricordo dei bei tempi giovanili.
Emesto e Willìbald sì incontrarono i n u n vialetto laterale; r i -
masero per u n istante a guardarsi ìn silenzio e p o i scoppiarono ìn
una cordiale risata: - M I sembri i l cavaliere errante nel labirinto
d'amore!...' - esclamò W i l l i b a l d . - E ìo ho proprio l'impressione
d i averti già visto nella Banisa asiatica\... - disse a l u i Ernesto. -
T u t t o sommato, - riprese W i l l i b a l d , - la trovata del vecchio consi-
gliere n o n è p o i tanto malvagia... È ancora u n uomo vigoroso e i n
gamba per la sua età, quel ReutUnger... ha una carica vitale inesau-
rìbile, una freschezza d i spirito, una prontezza, un'estrosità da fare

' Si allude a un romanzo di J. Gottfried Schnabel (autore de L'isola di Felsenburg), ap-


parso a Nordhausen nel 1738 con l'indicazione di tin luogo di pubblicazione fittizio (War-
nungsstadt - Città dei Presagì), e intitolato come segue; Il cavaliere vagante nel labirinto
d'Amore - ovverossia la storia dei viaggi e degli amori del signor o. St..., nobiluomo tede-
sco, il quale, dopo molti eccessi amorosi, dovette finalmente avvedersi come il cielo punisca
in vecchiaia t peccati di gioventù. I l 3 maggio 1817, a Berlino, HoSmann pregò i l biblioteca-
rio Kralowski di dargli un romanzo che Io aiutasse a immedesimarsi nello «stile galante».
Egli ci parla del romanzo dì cui sopta, ma pare invece che gli venisse data da Kralovraki La
Banisa asiatica, dì Heinrich Ansehn von Zìegler (1663-96), uno dei romanzi più sensazionali
del secolo xvn. Goethe ancora Io tesse, in gioventù. Ed ora cccone i l titolo integrale: La Ba-
Hisa Asiatica, ovvero il Pegu insanguinato ed eroico, tutto fondato su verità storiche, ancor-
ché ammantate d'unafittiziavicenda d'eroismo e ài amore, Leipzig 1689.
238 RACCONTI NOTTURNI

invidia a parecchi opachi giovanotti della nostra età... M a per una


volta tanto vuole ingannare se stesso, rievocando come per magia ì
tempi i n cui viveva per davvero... N o n deve temere che qualcuno
parli o si comporti i n modo da stonare col costume che indossa:
questo, i l costume stesso lo rende impossibile!... Guarda, guarda
soltanto come passeggiano dignitose e affettate le nostre giovani si-
gnore i n crinolina... e come sanno maneggiare i ventagli!... D e l re-
sto anche io, da quando m i sono infilato questa parrucca sulla petti-
natura alla « T i t o » , m i sento pieno d'uno spirito d i «courtoisie»
d'altri tempi. Ecco, adesso per esempio, che sto vedendo la figlia più
giovane del consigliere Foerd,la carissima,l'incantevole GÌulÌa,non
so chi m i tenga dall'avvìcinarmi a leì, ìn atteggiamento umile e sot-
tomesso, e renderle omaggio parlandole così; «Bellissima G i u l i a ! . . .
Quando mì verrà alfin concessa la tanto agognata pace?... Quando
saprò da te ricambiato l'amor mio?... N o n è possibile, no, che i l
tempio dì tanta bellezza alberghi u n idolo d i pietra!... La pioggia
consuma i l marmo... ìl vìi sangue intenerisce i l diamante... D o v r ò
dunque paragonare i l tuo cuore a ima incudine, che i colpì rendono
sempre più dura?... Quanto più f o r t i sono ì palpiti del mìo cuore,
tanto più t u diventi insensibile!... D e h ! , fa' ch'io sìa l'oggetto dei
tuoi guardi!... V e d i come arde ì l c u o r mìo, e come l'anima mìa riar-
sa anela al fresco ristoro sgorgante dalle tue grazie!... A h i m è ! . . .
Vorrai t u affliggermi col tuo silenzio, o crudele?... Pur anche le
fredde rocce rispondono con l'eco a chi le invoca... e t u vorresti n o n
degnar d'una risposta me, sconsolato ?... O bellissima ! . . . » ' . — T i pre-
go! - disse Ernesto interrompendo quella perorazione accompagna-
ta da una mimica coloritissima. - T i prego, fermati!... A furia d i
fare ìl matto non t i sei accorto che G i u l i a , mentre già stava avvici-
nandosi a noi tutta sorridente, si è fatta rossa e ha scantonato... P u r
senza capire che cosa stessi facendo, avrà certamente creduto, come
chiunque altro al posto suo, che la stessi prendendo i n giro... Ecco
come t i crei la fama d i cattiva lingua inguarìbile, e trascini ìn disgra-
zia anche i nuovi venuti... G i à la gente parla d i me guardando d i tra-
verso e dicendo con un sorrìso acido; «Quello è un amico d i W i l l i -
bald.. . » - Lasciali dire ! - rise W i l l i b a l d . - L o so benissimo che mol-
te persone, e specialmente molte fancìulline sedici, dicìassettermi
piene d i belle speranze, m i sfuggono come ìl diavolo l'acqua santa...
M a conosco la meta a cui conducono tutte le strade... e so pure che
Giulia, incontrandomi colà, o meglio, trovandomici già installato

' Tutta questa tirata è tolta di peso dal romanzo La Banisa asiatica, di cui si è detto nel-
la nota precedente.
I L CUORE D I PIETRA 239
come i n casa mia, m i porgerà la mano con la più affettuosa cordiali-
tà. - A l l u d i a una riconciliazione?... Come nella vita eterna, quando
ci siamo scrollata d i dosso ogni umana aspirazione ?... - O h , t i pre-
go! - lo interruppe W i l l i b a l d . - Siamo ragionevoli!... N o n toc-
chiamo questi vecchi argomenti r i t r i t i i n un momento cosi inoppor-
tuno: per ora non possiamo fare d i meglio che abbandonarci alla
suggestione del quadro inconsueto, i n cui l'estro d i Reutlinger ci ha
cosi bene incorniciati... Guarda, laggiù, quell'albero... con quegli
enormi fiori bianchi mossi dal vento!... U n «cactus grandlflorus»
non può essere, perché i l cactus fiorisce solo a mezzanotte... e p o i 11
suo aroma dovrebbe giungere fin q u i . . . D i o sa quale altra rarità bo-
tanica i l consigliere avrà d i nuovo coltivato nel suo «Tusculum»...
- G l i amici si avvicinarono all'albero prodigioso ma, con n o n poco
stupore si trovarono d i fronte a u n folto cespuglio dì sambuco: Ì
grandi fiori bianchi altro non erano se n o n parrucche incipriate ap-
pese ai r a m i , parrucche con tanto d i boccoli e codini, ondeggianti
come curiosi giocattoli al soffio d'un estroso venticello del sud. D i
dietro i cespugli si udiva giungere u n coro d i risate squillanti; una
numerosa brigata d i signori piuttosto anziani ma allegri e ben por-
tanti si era radunata su i m praticello circondato dalla boscaglia; ì
signori, toltesi le giacche e appese al sambuco le opprimenti parruc-
che, giocavano al pallone. I n questo gioco Reutlinger era imbattibi-
le: sapeva lanciare la palla a un'altezza incredibile e con tanta bra-
vura da farla ricadere esattamente a tiro dell'avversario. I n quel
momento si udì i n lontananza, i m ' o r r i b i l e musica d i pifferi acuti e
stridenti e d i sordi tamburi barbareschi. I signori interruppero su-
b i t o i l gioco e si rimisero giacche e parrucche. - Che cosa succede d i
nuovo?... - domandò Ernesto. - Scommetto, - rispose W i l l i b a l d ,
- che sta arrivando l'ambasciatore turco. - L'ambasciatore tur-
co ?... - fece Ernesto stupito. - I o l o chiamo cosi, - continuò W i l l i -
bald, — ma è i l barone v o n Exter, che attualmente risiede a G . T u l o
conosci troppo poco per sapere che è una delle macchiette più spas-
sose del mondo. M o l t i anni fa è stato effettivamente ambasciatore
della nostra corte a Costantinopoli e continua tuttora a crogiolarsi
nel ricordo d i quella che f u , probabilmente, l'epoca più splendida e
felice della sua vita. T i descrive la sua residenza d i Pera come u n pa-
lazzo d i diamante, u n palazzo incantato da M i l l e e una notte... e la
vita che v i conduceva pare fosse simile a quella del saggio re Salo-
mone; egli p o i vanta ancora un'altra affinità con i l biblico re: 11 do-
m i n i o sidle forze naturali sconosciute. E d i f a t t i , pur con tutte le sue
millanterie, con tutta la sua ciarlataneria, i l barone Exter u n certo
non so che d i misterioso ce l'ha per davvero... u n qualcosa che con-
240 RACCONTI NOTTURNI

trasta stranamente col suo aspetto fisico piuttosto banale, ma tutta-


via sovente m i lascia interdetto... E proprio a motivo d i questo, in-
tendo dire della sua effettiva pratica dì scienze occulte, Exter è tan-
to i n t i m o dì Reutlinger, dedito anch'egli anima e corpo all'occulti-
smo. Sono, ciascuno a proprio modo, due sognatori originali, - en-
trambi mesmeriani convìnti - . Cosi conversando g l i amici giunsero
presso ìl grande cancello del parco, proprio nel momento i n cui
l'ambasciatore turco stava facendo i l suo ingresso solenne. L'amba-
sciatore era u n omino rotondetto, con indosso ima bella pelliccia
turca e i n testa uno scialle multicolore arrotolato a m o ' dì turbante.
Per forza d'abitudine non aveva saputo rinunziare all'aderente par-
rucca inglese, a riccìoletti, per forza d i necessità aveva d o v u t o tene-
re g l i stivali d i feltro da podagroso, I l che, senza dubbio, recava gra-
ve ingiuria all'esotismo del costume. G l i esecutori dell'orripilante
frastuono musicale al suo seguito erano comicamente camuffati da
m o r i , con i n testa certi cappelH appuntiti dì carta colorata non dissì-
m i l i dai cosiddetti «Sanbenìto»; ma nonostante ìl travestimento e
ì visi impiastricciati dì fuliggine, Willìbald non stentò a riconoscere
ìn essi i l cuoco e altri servitori del barone. L'ambasciatore turco
conduceva sotto braccio u n vecchio ufficiale che, a giudicare dall'u-
niforme, si sarebbe detto risorto da u n qualche campo d i battaglia
della guerra dei Sette aiml. Era costui 11 generale Rixendorf, coman-
dante la guarnigione dì G , e, come g l i ufficiali del suo seguito, aveva
indossato quell'antica uniforme per compiacere al padrone dì casa.
- Salama milek! - esclamò Reutlinger abbracciando ìl barone Ex-
ter. I l turco sì tolse i l turbante e se lo ricollocò sulla parrucca dopo
essersi terso la fronte sudata con u n fazzoletto Indiano. I n quel mo-
mento sì mosse fra i rami d'un ciliegio la macchia luccicante, dorata,
che Emesto stava osservando da u n pezzo senza riuscir a capire che
cosa fosse; era semplicemente ìl consigliere commerciale Harscher,
ìn abito dì gala dì tessuto dorato, calzoni della stessa stoffa e pan-
ciotto d i raso argenteo punteggiato dì mazzolìnì dì rose azzurre.
L'esimio commercialista sì districò dal fogliame e scese la scaletta a
pioli abbastanza agilmente per la sua età, cantando - o piuttosto
squittendo —con una vocetta sottilissima: — A h ! c h e v e d o - O D Ì o
che sento! - Come mise piede a terra corse ad abbracciare l'amba-
sciatore turco. I l consigliere Harscher aveva trascorso la giovinezza
i n Italia, era u n valente musicista e pretendeva ancor sempre d i can-
tare alla maniera d i Farinelli *, ìn u n falsetto f m t t o dì lunghe esercì-

' « Salve, mio te! »


' Carlo Biosdii, detto Farinelli (1705-S1}; i l pili famoso sopranista (castrato) del seco-
lo i m n
I L CUORE D I PIETRA 241
tazioni. - Sono sicuro, - disse W i l l i b a l d , - che Harscher si è riem-
pito le tasche d i ciliege per farne omaggio alle dame con l'accompa-
gnamento d i u n dolce e lamentoso madrigale. M a poiché anch'egli
ha l'abitudine d i portare i l tabacco da naso sciolto nelle tasche, sen-
za tabacchiera, come faceva Federico i l Grande, la sua galanteria
g l i frutterà soltanto m o l t i cortesi rifiuti... e m o l t i visi scuri... -
L'ambasciatore turco e l'eroe della guerra dei Sette anni vennero
accolti da t u t t i con gioioso entusiasmo. Giulietta Foerd, con atto d i
infantile luniltà, fece per baciare la mano all'ufficiale, ma i l turco si
interpose esclamando indignato: - Sei matta?... Sciocchezze!... - e
la abbracciò con effusione, pestando brutalmente i piedi al povero
Harscher, che emise un flebile miagolio d i dolore e si allontanò i n
fretta trascinandosi via Giulia sotto braccio. L o si vide gesticolare
enfaticamente, togliersi e rimettersi d i continuo i l turbante... — Ma
che diavolo può avere da dire 11 vecchio a quella ragazza?... - do-
mandò Ernesto. — I n f a t t i , — rispose W i l l i b a l d , - dev'esserci qualco-
sa d i grosso perché, quantunque Exter sia i l padrino dì Giulia e
straveda per quella ragazza, non ha l'abitudine dì appartarsi con lei
quando è i n società - . I n quel mentre i l turco si fermò, rese i l brac-
cio destro e gridò: — A p p o n e ! - con tanta forza da farsi udire i n
t u t t o i l giardino. W i l l i b a l d scoppiò a ridere: - H o capito! - disse.
- Sta semplicemente raccontandole per la centesima volta la storia
della foca! - Ernesto volle assolutamente conoscere quella storia
straordinaria.

- E allora ascolta, - disse Willìbald, ~ i l palazzo d i Exter era


situato proprio a piombo sul Bosforo; una scalinata d i finissimo
marmo carrarese scendeva, dai giardini, direttamente nel mare. U n
giorno, mentre Exter sedeva nel loggiato, un grido altìssimo, stra-
ziante, lo distolse dalle sue profonde meditazioni. Guardò ìn basso,
e che vide?... Una mostruosa foca, emersa dal mare, aveva strappa-
to i l bimbo dalle braccia d i una povera donna turca seduta sugli sca-
l i n i , ed era scomparsa nei flutti. Exter corse giù, la donna gli si get-
tò ai piedi piangendo disperata; egli non ci pensò due volte, e, sce-
so fin sull'ultimo scalino, lambito dal mare, tese i l braccio e coman-
dò con quanto fiato aveva ìn corpo «Apporta! »... Immediatamente
la foca riapparve col bimbo fra le fauci, Io riconsegnò garbatamen-
te, sano e salvo, al mago e, schiva dì ringraziamenti, sì rìtuffò sot-
t'acqua.
— Questa è forte... è u n po' forte!... — esclamò Ernesto. — Guar-
da, - continuò W i l l i b a l d . - Ora Exter sì sfila un pìccolo anello dal
d i t o e l o mostra a Giulia... lo vedi?... N o n c'è virtù senza premio...
N o n contento d i averle salvato i l figlio, quando apprese dalla donna
242 RACCONTI NOTTURNI

che SUO marito era u n povero facchino e si guadagnava a mala pena


i l pane quotidiano, Exter le donò qualche oggettino d'oro ed alcu-
n i gioielli - una sciocchezza, s'intende!... del valore d i venti, tren-
tamila talleri al massimo... - Allora la donna si tolse dal d i t o u n pic-
colo zafBro e costrinse i l suo benefattore ad accettarlo: era u n pre-
zioso oggetto d i famiglia, spiegò, e soltanto un'azione nobile come
quella compiuta da Exter rendeva degni d i possederlo. Exter lo pre-
se giudicandolo, l i per l i , u n oggettino d i scarso valore; ma osser-
vandolo meglio apprese, da una scritta araba pressoché invisibile,
d i avere al dito ìl sigillo del grande AH Immagina la sua meravi-
glia!... O r a , grazie a quel talismano, è i n grado dì chiamar giù dal
cielo le colombe d i Maometto e d i conversare con loro...
- Cose sbalorditive!... - esclamò Ernesto ridendo. - M a lascia-
m i vedere che sta succedendo laggiù, ìn quel gruppo riunito intorno
a una cosina minuscola che gorgheggia e saltella birichina, come u n
diavoletto d i Cartesio... - 1 due amici si avvicinarono ad uno spiaz-
zo erboso su cui sedevano i n circolo signore e signori, giovani e vec-
chi; al centro, una damìna alta non più dì cinque piedi, vestita a co-
lorì vistosi, con una testolina simile a una mela ma ancor sempre u n
p o ' troppo grossa per i l corpo su cui poggiava, girava i n tondo sal-
tellando, facendo schioccare le piccole dita e cantando con una vo-
cetta sottile Amenez vos troupeaux, bergères! ~ L o crederesti?... -
disse W i l l i b a l d . - Quella fìguretta ingenua e charmante è la sorella
maggiore d i Giulia !... Come vedi, appartiene purtroppo a tma cate-
gorìa d i donne dì a i i la natura si è presa gioco con amara ironìa, con-
dannandole ad un'infanzia sempiterna... Essendo come sono sì cre-
dono autorizzate a civettare con ingenuità infantile anche quando
l'infanzia è passata da u n pezzo... e con ciò si rendono cordialmente
antipatiche e si fanno rider dietro da t u t t i - ... La damìna, col suo
melenso cicaleccio francese riuscì insopportabile ai due amici, i
quali se la svignarono com'erano venuti e preferirono unirsi all'am-
basciatore turco; entrarono al suo seguito, quando ìl sole già stava
tramontando, nel salone dove t u t t o era pronto per i l concerto i n
programma. Aperto i l pianoforte a coda Oesterlein ' e disposti op-
portunamente i leggìi per g l i esecutori, g l i invitati incominciarono
ad affluire numerosi, mentre circolavano i rinfreschi, serviti entro
preziose porcellane antiche. I l concerto ebbe inizio: Reutlinger i m -
bracciò ìl violino ed esegui con vigore e bravura una sonata dì Co-
r e l l i , accompagnato al pianoforte dal generale Rixendorf; p o i Hars-

' AH Ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto. CaliSo dal 6)6 al 66r.
' Costruliorc di pianoforti, berlinese.
I L CUORE DT PIETRA

cher, nel suo sgargiante vestito d'oro, si dimostrò u n autentico mae-


stro d i tiorba; e finalmente la signora Foerd cantò con rara espres-
sione una grande scena italiana dì Anfossi: la voce era vecchia, tre-
mula, disuguale, ma la maestria del canto faceva scordare ogni d i -
fetto. Reutlinger la ascoltava rapito d i piacere e d i ammirazione: i
suoi occhi estasiati si erano riaccesi al ricordo della giovinezza lon-
tana. Terminato l'adagio, Rixendorf attaccò l'allegro; ma a questo
punto la porta si spalancò con violenza e u n bel giovanotto elegante
irruppe nella sala trafelato, ansante e si gettò al piedi del pianista e-
sclamando come fuor d i sé: - O signor generale!... L e i m i ha salva-
t o ! . . . L e i solo!... O r a tutto è a posto... t u t t o va bene!... M i o D i o , co-
me potrò ringraziarla?... - i l generale, evidentemente imbarazzato,
risollevò con dolcezza i l giovane, g l i disse qualcosa per tranquilliz-
zarlo e Io condusse fuori, i n giardino. Questa scena inattesa lasciò
sbalorditi g l i astanti: avevano riconosciuto nel giovanotto i l segre-
tario del consigliere Foerd e t u t t i gli sguardi si erano appuntati su
costui. Foerd continuava a fiutare tabacco, presa su presa, e a parla-
re i n francese con la moglie ; ma a u n certo punto l'ambasciatore tur-
co g l i si avvicinò quasi naso a naso, dicendogli chiaro e tondo; - I o
non so assolutamente spiegarmi, illustrissimo, che razza d i malo
spirito abbia scaraventato q u i dentro Ìl mio Max, né che cosa signi-
fichino quei suol ringraziamenti esaltati. M a avrò l'onore d i saperlo
subito E uscì, immediatamente seguito da W i l l i b a l d . Le compo-
nenti i l terzetto Foerd, e precisamente le sorelle Nannette, Cle-
mentina e Giulia, reagirono ìn tre maniere diverse. Nannette, lavo-
rando d i ventaglio, parlò d i etourderie, e p o i volle cantare d i nuo-
vo Amenez vos troupeaux, fra la disattenzione generale. Giulia sì
era ritirata ìn u n angolo, volgendo le spalle alla gente, come se vo-
lesse nascondere non soltanto i l rossore ma soprattutto le lacrime,
che già qualcuno aveva notato... - Dolore e gioia feriscono i n modo
ugualmente doloroso ì cuori dei poveri mortali... ma la goccia d i
sangue stillante da una puntura d i spina non ravviva forse i l vermi-
glio della pallida rosa?... - declamò con u n pathos degno d i Jean
Paul madamigella Clementina, stringendo dì soppiatto la mano a
un grazioso giovìnottino biondo, ìl quale molto avrebbe pagato per
hberarsì dai lacci dì rose, non certo p r i v i dì acumìnatissime spine,
ìn cui la fanciulla cercava dì irretirlo...
- O certo, certo, carissima, - approvò costui con u n sorriso piut-
tosto melenso, sbirciando intanto con la coda dell'occhio u n bic-
chiere posato lì accanto; glì sarebbe piaciuto vuotarlo, quel bicchie-
re, alla salute della sentimentale sentenza d i Clementina... ma aveva
la mano sinistra immobilizzata da quella della fanciulla e non gli fu
244 RACCONTI NOTTURNI

possibile... Riuscì tuttavia ad impossessarsi d'una fetta d i torta, con


la destra...
I n quel momento W i l l i b a l d rientrò. T u t t i g l i furono addosso e
lo tempestarono d i domande... come?... cosa?... d i dove?... per-
ché?...
Egli sulle prime non volle saperne d i rispondere e fece u n viso
più seccato che mai. M a non gli diedero tregua: era stato visto i n
giardino intento a discutere animatamente col consigliere Foerd, i l
generale Rixendorf e i l segretario Max... - Se dovrò parlarvi del
fatto p i l i importante del nostro tempo, - disse infine, - consentite-
m i , signore e signori illustrissimi, dì rivolgervi prima alcune do-
mande T u t t i furono d'accordo nel consentirglielo. - Loro t u t t i
conoscono, - continuò WiUibald ìn tono patetico, - Max, ìl segre-
tario del consigliere Foerd; lo conoscono per u n uomo dabbene,
pieno dì doti e d i belle qualità naturali, non è vero?... - Sì... sì!...
risposero i n coro le signore. - Ne conoscono pure la buona volontà,
la cultura scientifica, l'abilità negli affari... - Sì... si!... - gridarono
i n coro i signori... - Era o non era Max - continuò W i l l i b a l d ~ un t i -
po sveglio, sempre pronto alla barzelletta, allo scherzo?... Era o non
era così notoriamente bravo nel disegno, che perfino Rixendorf, pit-
tore dilettante d i non comune livello, non disdegnava dì dargli per-
sonalmente lezione?... - Sì... si... si!... - esclamarono signore e si-
gnori u n i t i i n u n unico coro. - E adesso state a sentire, - disse W i l -
libald iniziando ìl racconto. - Qualche tempo fa u n giovane sarto-
retto andò a nozze. Le cose furono fatte ìn grande stile: si sentiva-
no tonfare i contrabbassi e squillare le trombe fin nella strada. Gio-
vanni, i l servitore del consigliere segreto, se ne stava tutto malinco-
nico col naso i n su a a guardare le finestre illuminate... g l i pareva dì
distinguere fra l o scalpiccio dei ballerini ì passi della sua Enrichet-
ta, che era stata invitata alla festa, e sì sentiva spezzare ìl cuore...
M a quando Enrichetta si fece per u n istante alla finestra non si trat-
terme più: corse a casa, indossò l'abito migliore e ritornò coraggio-
samente a presentarsi nella sala ìn cui si festeggiavano le nozze. L o
lasciarono entrare ma alla dolorosa condizione che, nei balli, lascias-
se la precedenza a t u t t i i sard; i n altre parole: g l i sarebbero toccate
soltanto le ragazze brutte, o comunque difettose, con le quali n o n
voleva ballare nessuno. Enrichetta aveva t u t t i i balli impegnati ma
non appena vide l'innamorato scordò ogni unpegno. U n sartorello
striminzito si fece avanti e reclamò la precedenza i n malo modo; e
Giovanni, ormai rincuorato, con i m o spintone lo mandò a ruzzola-
re tre o quattro volte sul pavimento. F u i l segnale della grande ba-
ruffa. Giovanni si difese come un leone, distribuendo fiancate e cef-
I L CUORE D I PIETRA

foni a dritta e a manca ma dovette cedere alla preponderanza nume-


rica dei sarti e venne scaraventato ignominiosamente giù dalla sca-
la. Disperato, imbestialito, voleva fracassare le finestre a sassate,
imprecando e maledicendo, quando sopraggiunse Max che stava
rincasando; intervenne appena i n tempo per toglierlo dalle mani
d'una pattuglia d i ronda già sul punto d i arrestarlo. I l povero Gio-
vanni g l i rinnovò le sue lamentele e ci volle tutta la diplomazia d i
M a x per farlo recedere dai forsennati propositi d i vendetta; ma per
giungere a tanto Max dovette promettergli che avrebbe provvedu-
to egli stesso a vendicare l'affronto, e ìn modo tale da lasciarlo sicu-
ramente soddisfatto.
Q u i W i l l i b a l d tacque all'improvviso. - E allora?... E allora?...
E poi?... Le nozze dì un sarto... due innamorati... un parapiglia...
beh ?... Che sugo c'era ?... — protestarono gli invitati, da tutte le par-
t i . . . - Prego, prego, illustrìssimi, - riprese W i l l i b a l d . ~ Mì permet-
tano d i far loro presente che — per dirla col celebre tessitore Bot-
t o m ' - i n questa commedia d i Giovanni e Enrichetta v i sono alcune
cose che non garberanno a nessuno... Raccontandole rischìerò per-
fino di offendere le convenienze... - Saprà cavarsela, saprà cavarse-
la, caro signor W i l l i b a l d !... - lo incoraggiò la moglie del consigliere
capitolare von K r a i n battendogli u n colpetto suUa spalla. - I n quan-
to a me non tema: ho la pelle dura!... - Max, - prosegui W i l l i b a l d ,
- i l giorno dopo sedette al tavolo, prese u n bel fogUo, grande, d i
carta velina, matita, inchiostro, e disegnò molto veristicamente u n
grosso caprone. La fisionomia d i quello straordinario animale a-
vrebbe potuto fornire ampia materia d i studio a qualsiasi fisiono-
mista... Nello sguardo degli occhi intelligenti c'era u n che d i esalta-
to... d i spaventato... I l muso e la barba sembravano scossi da u n tre-
m i t o convulso... l'assieme del lineamenti, insomma, esprimeva stra-
zio indicibile. E d infatti i l buon caprone era disegnato nell'atto d i
dare alla luce, i n modo naturalissimo, se vogliamo, ma non per que-
sto meno doloroso, una legione dì graziosissimi sartorelH, armati dì
forbici e ferri da stiro, i quali, appena venuti al mondo, si riunivano
ad esercitare i l proprio mestiere i n vari gruppetti molto originali e
curiosi... Sotto la vignetta c'era u n verso. Purtroppo l'ho dimentica-
to ma, se non sbaglio, incominciava così: «Ahimè, povero becco -
che cosa avrà mangiato?...» — Basta... basta!... — protestarono le si-
gnore. - Basta con quell'orribile bestia... D i Max, d i Max vogliamo
sapere! - E Max appunto, - riprese W i l l i b a l d , - rifinì a regola d'ar-

' Shakespeare, Sogno d'una notte d'eHale, atto I I I , scena i ; «BOTTOM: There are
things in this comedy of Pyramus aiìd Thisby that will never please...»
246 RACCONTI NOTTURNI

te i l riuscitissimo quadretto e lo consegnò a Giovanni, i l quale sep-


pe così bene esporlo all'esterno della sartoria, che per t u t t o i l gior-
no g l i sfaccendati non si stancarono dì rimirarlo... N o n poteva più
passare per la strada i m garzone d i sartoria senza che ì monelli lo
acclamassero sventolando i berretti, gridando e cantando: « A h i m è ,
povero becco, che cosa avrà mangiato?...» ... « È stato M a x , Ìl se-
gretario del consigliere, a disegnare quel foglio, e non n o i ! », disse-
ro i p i t t o r i . « È stato M ax, e nessun altro, a scrivere quei versi! »,
dissero i maestri dì calligrafia, quando l'onorevole corporazione dei
sarti raccolse le debite informazioiù. M a x venne dunque accusato,
e, n o n essendo i n grado dì smentire ì fatti vide incombere sul pro-
prio capo una non lieve pena detentiva. Consultò t u t t i g l i avvocati
della città: crollarono ìl capo, aggrottarono le ciglia e l o consiglia-
rono d i negare, negare ostinatamente. M a x era troppo onesto, e la
cosa non gU piacque. Corse allora disperato dal suo protettore, ìl ge-
nerale Rixendorf ìl quale invece g l i disse: « H a i fatto una bella scioc-
chezza, figliolo caro... G l i avvocati non t i salveranno ma io sì; e sol-
tanto, bada, perché nel tuo disegno - che ho già visto - ho notato
una tecnica corretta e una costruzione razionale. Nella figura princi-
pale, quella del becco, c'è atteggiamento, espressione, e ì sarti for-
mano un bel gruppo piramidale, ricco ma non intricato tanto da
confondere l ' o c c l i o . H a i molto intelligentemente trattato come fi-
gura principale d i questo gruppo i l sarto che tenta disperatamente
dì trarsi fuori dal pigia-pigia: sul suo viso c'è tutta l'ambascia d i
Laocoonte!... I sarti che stanno cadendo n o n volteggiano nell'aria
ma cadono per davvero - quantunque n o n precisamente dal cielo...
E anche questo è lodevole... Certi scorci u n p o ' arditi sono garbata-
mente mascherati dai ferri da stiro... ed hai pure saputo accennare
con vivace fantasìa alla speranza d i nuove nascite... » - Le dame i n -
cominciarono a mormorare impazientì e ìl commercialista dal vesti-
to dorato sussurrò: - M a... e i l processo, illustrissimoi... - Willì-
bald continuò: - Per contro, - glì disse ancora i l generale, - non a-
vertene a male, ma l'idea del disegno non è tua : è vecchissima ; e per
l'appunto questo t i salverà. Così dicendo frugò nella vecchia scriva-
nia e ne trasse una borsa da tabacco, sulla quale M a x rivide ìl pro-
prio disegno, eseguito quasi nell'identico modo. Rixendorf gH die-
de la borsa da tabacco, raccomandandogli d i fame buon uso e così
t u t t o andò a posto. - M a come?... M a come?... - gridarono i pre-
senti, dandosi sulla voce; c'erano fra essi anche alcuiù giuristi, ì
quali scoppiarono a ridere. I l consigliere Foerd, entrato ìn quel mo-
mento, spiegò sorrìdendo: - M a x ha negato Vanimum injuriandi,
l'intenzione dì offendere, insomma, ed è stato assolto. - I n altre pa-
I L CUORE D I PIETRA 247
role, - Io interruppe W i l l i b a l d , - M a x ha detto cosi: «non posso
negare che i l disegno sia d i mia mano. Senza alcuna intenzione d i
offendere la corporazione dei sarti, che altamente stimo, l'ho copia-
to dall'originale, e cioè, come potrete vedere, da questa borsa d i ta-
bacco, regalatami dal mio maestro d i disegno, i l generale Rixen-
dorf. Alcune varianti, naturalmente, sono d i mia fantasia. I l dise-
gno mì è sparito dalle mani; ma n o n l'avevo mai mostrato a nessu-
no aé, tanto meno, l'ho appeso dove è stato visto. Questa circostan-
za, i n cui sola risiederebbe Tlngiuria, deve venire provata». L'ono-
revole corporazione del sarti non f u ìn grado d i provarla e perciò
M a x oggi è stato assolto. D ì q u i i suol ringraziamenti al generale e
la sua gioia smodata - . T u t t i furono concordi nel giudicare spropor-
zionati alle circostanze quel ringraziamenti e quella gioia quasi fre-
netica. Soltanto la signora Foerd spiegò con voce commossa: - Max
è u n ragazzo estremamente suscettìbile... ha u n senso dell'onore più
v ì v o d i chiunque altro... Dover subire una pena corporale lo avreb-
be messo alla disperazione e allontanato per sempre da G . - Forse,
- soggitmse Willìbald, - c'è sotto ancora qualche altra cosa. - È co-
sì, caro W i l l i b a l d , - disse Rixendorf. - E proprio così; e, se Dìo
vuole, presto t u t t o sì chiarirà nel migliore e nel più lieto dei modi - .
Clementina trovò tutta quella storia molto indelicata e volgare;
Nannette n o n ne pensò assolutamente nuUa... ma Giulia divenne
allegrissima. Reutlinger esortò g l i i n v i t a t i alle danze; e subito quat-
t r o tiorbisti, rinforzati da u n paio d i cornette, v i o l i n i , contrabbassi,
attaccarono una patetica sarabanda. Danzarono solo ì vecchi: ì gìo-
varù stettero a guardare. I l commercialista vestito d'oro si distinse
per le evoluzioni aggraziate ed ardite. La serata trascorse ìn allegria
e così pure la mattinata seguente. Anche la seconda giornata dì festa
doveva conchiudersì con u n concerto ed u n ballo. I I generale Rixen-
dorf sedeva già al pianoforte, ìl commercialista vestito d'oro e la si-
gnora Foerd erano p r o n t i , l ' u n o con la tiorba, l'altra con lo spartito
ìn mano; sì attendeva soltanto più U rientro del padrone d i casa.
Quand'ecco qualcuno chiamò affannosamente aiuto dal giardino...
ì domestici accorsero e poco dopo ricomparvero portando a braccia
i l consigliere Reutlinger pallidissimo, stravolto: l o aveva trovato i l
giardiniere per terra, svenuto, poco lontano dal padiglione. Con xm
grido d'angoscia Rixendorf balzò ìn piedi: t u t t i si fecero attorno al
consigliere, adagiato su u n divano, per somministrargli dei cordiali
e massaggiargli le tempie con acqua dì Colonia. L'ambasciatore tur-
co si fece largo gridando: - Indietro... indietro... n o n sapete... non
ve ne intendete!... I l consigliere è sano come u n pesce... e voi lo in-
debolite, me ne fate u n invalido !... - Così dicendo scagliò i l turban-
248 RACCONTINOTTURNI

te i n giardino, facendolo volare al disopra delle teste e, dietro i l tur-


bante, la pelliccia; p o i , col palmo della mano aperta, incominciò a
descrivere strani cerchi nell'aria intorno al consigliere, restringen-
d o l i sempre più, fin quasi a sfiorargli le tempie e la regione cardia-
ca; infine g l i alitò leggermente stil viso. Reutlinger apri subito gli
occhi e disse con voce spenta: — Exter... hai fatto male a svegliar-
m i ! . . . L a potenza oscura m i ha preannimziato la morte imminente e
forse mì sarebbe stato concesso dì passare dolcemente dal deliquio
al sonno etemo. - Sciocchezze!... Sognatore!... - esclamò Exter. -
L a tua ora non è ancora suonata. Guardati intorno, fratello... Vedi
dove sei, e sta' allegro... Allegro devi stare!... - I l consigliere sì re-
se conto d i trovarsi nel salone pieno dì i n v i t a t i , si rialzò prontamen-
te, andò nel centro della sala e disse con i m cordiale sorriso: - V ì ho
dato un brutto spettacolo, egregi amici... M a n o n è dipeso da me se
quegli ignoranti m i haimo portato proprio q u i , nel salone... V ì a ,
sorvoliamo su questo spiacevole intermezzo c balliamo... balliamo!
- La musica attaccò subito; ma mentre t u t t i s'inchinavano e piroet-
tavano pateticamente al ritmo del primo minuetto, Reudìnger sgat-
taiolò via i n fretta con Exter e Rixendorf, Quando furono i n una ca-
mera lontana e appartata, Reutlinger sì lasciò cadere esausto su una
poltrona, si copri i l viso con le mani e disse con voce rotta dal dolo-
re: - O amici,., amici miei!... - Exter e Rixendorf supposero con
ragione che qualcosa d i terribile g l i fosse accaduto e l o esortarono a
spiegarsi: - Parla, vecchio amico, - disse Rixendorf. - Qualcosa...
Dìo sa che cosa... tì dev'essere capitato i n giardino, non è vero?...
- Eppure, ~ fece Exter, - non riesco a capire che cosa possa es-
sergli accaduto dì male proprio quest'oggi... Ù suo tema astrale n o n
si era mai presentato cosi puro, così stupendo come i n questo gior-
no!... - Ma che... M a che... - disse cupamente ìl consigliere, - Ex-
ter, siamo alla fine!... I l veggente temerario n o n ha bussato impune-
mente alle porte tenebrose... T I ripeto: la misteriosa potenza m i ha
permesso d i scorgere dietro ìl velo... la morte... Forse un'orribile
morte, mì è stata preannunziata! - E allora raccontaci che cosa t i è
successo! - l o interruppe Rixendorf impaziente. - Scommetto che
tutta questa storia si ridurrà a ima delle tue solite immaginazioni.
V ì state rovinando la vita con le vostre fantasticherie, t u ed Exter.
- Ebbene, sappiate, - proseguì ìl consigliere alzandosi dalla pol-
trona e interponendosi fra ì due amìcì, - sappiate che furono lo spa-
vento... i l terrore a farmi perderei sensi... V o i eravate già t u t t i riu-
n i t i ìn sala quando m i sentii sospinto, non so neppure i o da che co-
sa, a fare ancora u n giretto i n giardino, da solo. Involontariamente
m i diressi verso i l boschetto... m i parve dì sentir giungere dal padì-
I L CUORE D I PIETRA

gjione come u n sordo rumore dì colpì - poi una voce sommessa e la-
mentosa. M i avvicinai - la porta era aperta - guardai dentro e v i -
d i . . . me stesso!... M e stesso!... M a cosf com'ero trent'annì fa, con lo
stesso vestito che indossavo nel giorno fatale quando, disperato,
volevo por fine alla mia mìsera v i t a , quando G i u l i a mì apparve, co-
me l'angelo della luce, vestita da sposa. Era i l giorno d ^ e sue noz-
ze: quell'uomo - Ìo... l o ! . . . - giaceva sul pavimento e picchiava sul
cuore d i pietra, facendo rimbombare la cavità vuota e mormoran-
do: « M a i , dunque, m a l , riuscirai a intenerirti, o cuore d i sasso?...»
Rimasi a fissare la scena come paralizzato... sentivo la gelida morte
corrermi per le vene... Quand'ecco dai cespugli uscì G i u l i a , vestita
da sposa, nel pieno fulgore della sua meravigliosa giovinezza... con
atto d i struggente desiderio la v i d i tender le braccia a quell'uomo...
a me... a me giovinetto!... A l l o r a persi ì sensi e c a d d i - . Reutlinger
si abbatté sulla poltrona e per poco non svenne d i nuovo. Rixendorf
glì prese le mani, gliele scosse e gridò a piena voce: - Questo hai v i -
sto?... Questo hai visto, fratello?.,, E niente altro?... Evviva!... Fa-
rò sparare a salve ì tuoi caimoni giapponesi per festeggiare la vitto-
ria!... M a che morte imminente... ma che apparizione!,,. Niente...
niente d i t u t t o questo! T i scuoto, t i scuoto perché t u t i svegli dai
sogni angosciosi e viva risanato e felice per m o l t i e m o l t i aimì an-
cora! ... - Rixendorf esultante corse fuori più velocemente d i quan-
to l'età paresse consentirgli. Abbandonato sulla poltrona, ad occhi
chiusi, Reutlinger aveva inteso ben poco delle parole d i Rixen-
dorf. Exster continuò a passeggiare su e giù, a grandi passi, cor-
rugando la fronte: - Scommetto, - disse infine, - che l'amico Ri-
xendorf vorrà d i nuovo spiegarci tutto nel suo solito modo... ma
non glì sarà facile, vero, mìo pìccolo consigliere aulico?,.. D ì appa-
rizioni noi ce ne intendiamo... Avessi soltanto ìl turbante e la pel-
lìccia!... - Per averU diede i m fischio acuto servendosi dì u n pìcco-
lo fischietto d'argento che portava sempre cx>n sé e subito u n moro
del suo seguito ^ recò g l i indumenti desiderati. Poco dopo entrò
la signora Foerd seguita dal marito e da Giu l ia. Reutlinger balzò
i n piedi, e tanto assicurò d i sentirsi dì nuovo perfettamente bene,
che fini col ritornare a sentirsi bene sul serio; pregò d i dimentica-
re l'accaduto e t u t t i si disposero a rientrare nel salone; t u t t i eccet-
to Exter i l quale, sdraiato sul sofà, nel suo bel costume turco, sor-
biva i l caffè e fumava una pipa smisuratamente lunga, facentlo ci-
golare contro i l pavimento le rotelle su cui poggiava la testa della
pipa medesima... M a ìn quel mentre la porta sì spalancò e Rixen-
dorf entrò a precipizio trascinando per mano i m giovanotto i n anti-
co costiune tartarico: era Max. Reutlinger vedendolo rimase senza
250 RACCONTI NOTTURNI

fiato. - Guardalo q u i i l tuo « i o » , la tua visione!... - gU disse Rixen-


dorf... - Sono stato io a trattenerlo q u i , i l nostro o t t i m o M a x , e a
fargli dare dal tuo cameriere g l i abiti adatti alla mascherata... abiti
t o l t i al tuo guardaroba, naturalmente... Era l u i inginocchiato nel
padiglione davanti al cuore d i pietra... Si: davanti al cuore d i pietra
dello zio duro e insensibile stava inginocchiato i l nipote... quel n i -
pote che t u spietatamente scacciasti per dar retta a una fantasia... a
ima chimera... Se tuo fratello si è reso colpevole verso d i te, da mol-
to tempo ha espiato la sua colpa, morendo nella più nera miseria. E
qui c'è suo figlio... l'orfano... tuo nipote, si chiama M a x come tee t i
assomiglia nel corpo e nello spirito come u n figlio al padre... Si è
mantenuto bravamente a galla, da fanciullo e p o i da giovanotto,
sulle ostili correnti della vita... Suvvia, accoglilo... commuoviti,
stendigli una mano benefica a cui possa appoggiarsi, almeno quan-
do l'uragano diventerà troppo impetuoso - . I l giovane, con occhi
pieni d i lacrime, si era umilmente avvicinato al consigliere. Reut-
linger, pallido come uno spettro, l o sguardo acceso, i l capo superba-
mente eretto, lo fissava rigido e m u t o ; ma quando M a x volle pren-
dergli la mano fece due passi Indietro, levò le braccia i n atto d i dife-
sa e gridò con voce terribile: - Scellerato... v u o l la mia morte?...
T o g l i t i dai miei occhi t u , che giochi col m i o cuore... con me !... E an-
che t u , Rixendorf, anche t u eri d'accordo nell'ammannirmi la stupi-
da burattinata?... Via... via... ch'io non tì veda mai più... T u , nato
per la mia rovina... t u , figlio dì quel vergognoso delìn... - Basta! - e-
splose Max all'improvviso, sprizzando collera e disperazione dagli
occhi. - Taci, zìo snaturato, fratello snaturato e senza cuore!... Col-
pa su colpa, onta su onta accumulasti sul capo del m i o sventurato
padre, responsabile, sì, dì molte leggerezze, ma n o n dì d e l i t t i ! . . .
Stolto, pazzo ch'io f u i a credere d i poter mai commuovere ìl tuo
cuore dì sasso... d i poter riscattare la colpa dì mio padre circondan-
d o t i d i affetto!... Povero, abbandonato da t u t t i ma fra le braccia d i
un figlio, mìo padre chiuse la sua trìbolatissima vita... « M a x , sii u n
bravo ragazzo... cerca dì riconciliarti con l'implacabile fratello
mio... dì diventare suo figlio... », queste furono le sue ultime parole.
M a t u m i respingi, come respìngi chiunque tì avvicini con amore e
con devozione... e permetti al diavolo stesso dì prendersi gioco d i te
con sogiù menzogneri!... M u o r i dunque, solo c abbandonato... Pos-
sano g l i avidi servitori spiare ansiosi la tua morte per p o i dividersi
i l b o t t i n o , non appena avrai chiuso g l i occhi... Invece del pianto sin-
cero, dei lamenti sconsolati d i coloro che avrebbero voluto esserti
affezionati e devoti fino alla morte, che t u possa udire le risate d i
scherno, g l i scherzi volgari degli indegni che sì presero cura dì te
I L CUORE D I PIETRA

perché t u l i pagavi con vile denaro !... M a i , mai più m i rivedrai !... ^
Come i l giovane fece per slanciarsi fuor della porta, G i u l i a cadde a
terra singhiozzando. M a x ritornò indietro d'un balzo, la prese fra
le braccia e se la strinse impetuosamente al petto esclamando con
accento straziante: - Giulia... Giulia... O g n i speranza è perduta!...
- Reuthnger, tremante i n tutte le membra, incapace d i profferire
parola, rimase immobile a guardare... ma quando vide Giulia fra le
braccia d i M a x lanciò u n urlo folle, avanzò decìso, la strappò dal-
l'abbraccio d i M ax, la sollevò d i peso e le domandò con voce appe-
na percettibile; - Giulia... t u ami Max?... G i u l i a ! . . . - C o m e la mia
vita, - rispose G i u l i a fra le lacrime. - Come la mìa vita stessa... I l
pugnale che lei infigge nel cuore dì M a x colpisce anche i l m i o ! - I l
consigliere allentò la stretta e lasciò scivolare dolcemente la fanciul-
la su ima poltrona. Poi restò immobile premendosi le mani giunte
sulla fronte. I n t o r n o era silenzio dì tomba: nessuno osava muove-
re né fiatare!... Reutlinger cadde ìn ginocchio - i l sangue era torna-
to ad affluirgli al viso, g l i occhi glì si erano r i e m p i t i d i lìmpide lacri-
me - erse ìl capo, tese le braccia al cielo e disse sottovoce, solenne-
mente: - Eterna, imperscrutabile potenza, suprema reggitrìce del
mondo... fosti t u a volere che la mìa vita sbagliata fosse soltanto co-
me u n seme deposto nel grembo della terra affinché ne germoglias-
se un giovane arbusto carico dì fiori e f r u t t i meravigliosi?... O G i u -
lia... G i u l i a ! . . . O h , pazzo, cieco ch'io f u i ! . . . — Reutlinger nascose i l
viso fra le mani - e pianse. M a per pochi secondi soltanto, pqi si
scosse, si precipitò verso Max, che l o guardava attonito, se l o strin-
se al petto e gridò, come fuor d i senno: - T u ami Giulia... t u sei mìo
figlio!... N o . . . d i più... d i più... t u sei «me stesso»... T u t t o quello
che ho t i appartiene... sei ricco... molto ricco; hai una tenuta... ca-
se... denari... Lasciami rimanere con te: mì darai i l pane della cari-
tà nei miei u l t i m i giorni... Vero che lo farai?... T u m ì v u o i bene, ve-
ro?... D e v i volermene, perché t u sei «me stesso»... N o n temere più
i l mio cuore d i pietra: stringimi soltanto forte a te, e i l pulsare del
tuo sangue l o intenerirà, vedrai... Max... Max... figlio mio... amico
mìo... mìo benefattore!... - Prolungandosi u n po' troppo quelle ef-
fusioni esaltate, ì presenti incominciarono a preoccuparsi: ìl consi-
gliere pareva i n preda a una crisi d i sovreccitazione nervosa... Ri-
xendorf, l'amico d i buon senso, riuscì finalmente a calmarlo; e sol-
tanto quando f u più tranquillo, Reutlinger potè rendersi pieno con-
to d i quale guadagno avesse fatto ritrovando l'affetto dì quell'otti-
mo ragazzo; e si rese pure conto, con profonda commozione, che
anche la signora Foerd vedeva nell'unione della sua G i u l i a col nipo-
te d i luì i l rifiorire d ' u n lontano tempo perduto. I l consigliere
252 RACCONTI NOTTURNI

Foerd, continuando a prender tabacco, espresse la sua piena soddi-


sfazione i n u n francese abbastanza corretto, a prescindere dalla pro-
nunzia nostrana. Per prima cosa si volle comunicare la notizia alle
sorelle d i G i u l i a ma non si riusci a scovarle i n nessun luogo. SÌ cer-
cò perfino nel grandi vasi giapponesi disposti attorno all'atrio pen-
sando che la piccola Nannette, per essersi sporta u n p o ' troppo sul-
l'orlo d i uno d i essi, v i fosse caduta dentro. M a Naimette dentro i
vasi non c'era: la si ritrovò addormentata sotto u n cespuglio d i ro-
se, dove nessuno l'aveva vista. Clementina invece fu rintracciata i n
u n viale lontano dalla villa, mentre inseguiva invano i l bel giovi-
nottino fuggiasco gridandogli dietro: - Ahimè... Spesso l'uomo
troppo.tardi si avvede d i quanto fosse amato!... Troppo tardi si av-
vede d i essere stato volubile e ingrato... e comprende tutta la gran-
dezza del cuore da l u i misconosciuto!... — Entrambe le damigelle
misero su u n p o ' d i broncio per 11 matrimonio della sorella più gio-
vane - e tanto più graziosa e affascinante! - d i loro. Specialmente
Naimette, la malignetta, torse alquanto i l nasino rincagnato; ma
Rixeindorf la prese i n braccio e la consolò dicendole che u n giorno o
l'altro anche l e i avrebbe trovato u n marito, e forse ancora più d i -
stinto e più ricco d i Max. Nannette ritornò subito d i buon umore e
cantò daccapo: Amenez vos troupeaux, bergères! Clementina sen-
tenziò, seria e dignitosa: - Le piccole gioie tranquille, le piccole co-
modità racchiuse fra quattro pareti non sono che una componente
accidentale della felicità domestica: i l nerbo, lo spirito della vera
felicità sono le sorgenti d i nafta infocata che sì riversano dall'un
cuore all'altro dì due esseri Innamorati ed affini...
G l ì invitati r i u n i t i nel salone erano già stati informati dei fatti
imprevisri ma lieti e attendevano con impazienza g l i sposi per poter
dare la stura ai rallegramenti dì r i t o . I l commercialista vestito d'o-
ro - che aveva visto e u d i t o ogni cosa dalla finestra - commentò
molto sottilmente: - Adesso capisco perché la faccenda del becco
fosse così importante per ìl povero M a x : se l o avessero messo ìn
prigione non avrebbe mai più potuto pensare a riconciliarsi con lo
zìo! - A u n segnale d i W i l l i b a l d t u t t i applaudirono l'acuta osserva-
zione. - I n t a n t o Reutlinger, i Foerd, Rixendorf, ì due giovani, sta-
vano, come si è detto, per rientrare i n sala. L'ambasciatore turco se
n'era rimasto a lungo silenzioso, sdraiato sul sofà, limitandosi a ma-
nifestare la propria presenza col cigolio della pipa a rotelle contro i l
pavimento e la propria partecipazione agli eventi con le smorfie più
strane; ma ad u n tratto balzò ìn piedi e sì interpose fra i due inna-
morati gridando come u n ossesso: - M a come... M a come!... Spo-
sarvi... così, su due piedi?... Con t u t t o i l rispetto per la tua Jntelli-
I L CUORE D I PIETRA

genza e la tua buona volontà, mio caro M a x , t u sei ancora uno sbar-
batello... manchi d i esperienza... d i cultura... non conosci la vita...
Cammini con i piedi i n dentro... t i esprioii setiza garbo, come ho no-
tato poco fa quando, parlando a tuo zio, ìl consigliere aulico Reut-
linger, g l i hai dato tJd t u . . . V ia, per i l mondo!... A Costantinopo-
l i ! . . . L à imparerai quanto t i occorre, per tutta la vita... Poi r i t o r n i e
ti sposi tranquillamente la mia cara bambina... la deliziosa Giuliet-
ta —. A l l ' u d i r e questa proposta t u t t i rimasero alquanto sorpresi. M a
Exter trasse da parte 11 consigliere e ì due amici parlottarono per u n
p o ' , ponendosi vicendevolmente le mani sulle spalle e scambiandosi
alarne parole ìn arabo. Poi Reutlinger sì avvicinò a M a x , l o prese
per una mano e g l i disse i n tono molto dolce e suadente: - Figliolo
m i o caro... mio ottimo Max, fammi questo piacere: va' a Costanti-
nopoli. Sarà questione d i sei mesi al massimo... p o i io, q u i , penserò
a preparare i l tuo matrimonio - . Vane furono le proteste della fi-
danzata: Max dovette andare a Costantinopoli.
A questo punto, lettore mio amatissimo, io potrei anche con-
chiudere i l mio racconto perché Max, come t u ben potrai immagi-
nare, appena ritornato da Costantinopoli (dove vide la scala su cui
la foca aveva riportato 11 bambino e molte altre meraviglie), sposò
veramente la sua G i u l i a ; e non t i interesserà dì sapere come fosse
vestita la sposa né quanti figli allietassero la felice unione...
Aggiungerò soltanto ancora che, nel giorno della natività d i Ma-
ria dell'almo 18..., M a x e G i u l i a si inginocchiarono l'uno d i fronte
all'altra nel padiglione, accanto al cuore rosso: e copiose lacrime
caddero su quella fredda pietra perché sotto d i essa giaceva i l cuo-
re - ahimè, troppo crudelmente ferito! - del benefico zio.
N o n per voler imitare la tomba dì lord H o r i o n \a perché gli
era parso dì riassumere così tutta la dolorosa vicenda terrena del
povero zio, M a x aveva scolpito dì propria mano sul cuore dì pietra
la parola:
Riposa!

' NeH'Hesperus di Jean Paul, Lord Horion si uccide dentro la cripta sepolcrale della
tua amau, dopo avet Eatto deporre una lapide con la propria epigrafe mortuaria.
«Accorremmo al cespuglio e, alla luce di due torce funebri vedemmo che If accanto era
•tata scavata una seconda fossa, coperta da una lastra di marmo nero di sotto aìla quale usciva
un lembo dell'abito nero del Lord: egli si era suicidato dentro quella fossa. Sulla lapide di
tuarmo nero - come su quella che copriva U tomba dell'amata - c'era un pallido cuore di ce-
nere e sotto i l cuore, incisa a lettere bianche, la parola; "Riposa"» (Jean Paul, Opere, 2*
ed., voi. IV, p. 131, Berlin 1826).
p. vu L'esilio del borghese di Claudio Magris
xuii Nota all'introduzione
XLV Nota biobibliografìca

Racconti notturni

PARTE PRIMA

5 L ' O r c o Insabbia
37 Ignazio Denner
80 L a chiesa d e i g e su iti d i G .
loi I I Sanctus

PARTE SECONDA

119 L a casa d i s a b i t a t a
146 I I maggiorasco
208 II voto
233 I I cuore d i p i e t r a
Stampato per conto della Casa editrice Einaudi
presso Mondadori Printing S.p.A., Stabilimento N.S.M., Cles (Trento)

C.L. 17712
Edizione

2005 ZO06 2007 2C

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