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WILHELM MEISTER E FRANZ BIBERKOPF: UNA NORMALITÀ FUORI DAL COMUNE

Franz Biberkopf , di fronte alla porta del penitenziario di Tegel, e Wilhelm Meister, in partenza per il
suo itinerario di formazione, si trovano nel momento centrale di un rito di passaggio, in uno stadio che
gli antropologi chiamano “zona liminare”. Esso si configura come un momento di “terribile
sospensione” in cui l’eroe non è più nessuno, non può tornare al sé stesso di prima e se non diventa un
altro rischia di scomparire per sempre. Ma i nostri eroi si salveranno dalla damnatio memoriae poiché
la passione autentica per il teatro di Wilhelm ed il proposito di rimanere anständig di Franz fanno dei
personaggi degli outsider che si affrancano da una concezione di vita basata sul “fare unicamente ciò
che riempie il borsellino e che procura un immediato guadagno”(Wilhelm Meister Lehrjahre, Libro I,
capp.2), la cui esistenza potrebbe ricondursi ad una “ Lebensunwertes Leben” vista dalla prospettiva di
personaggi come Werner e del padre di Wilhelm. Questi ultimi sceglieranno sempre la strada del
commercio e della partita doppia che prenderà i tratti di un’esasperata reificazione dell’individuo
nell’invettiva contro gli storpi pronunciata da Reinhold nel sesto libro dell’opera ”Berlin
Alexanderplatz” di Döblin.
Ma, allo stesso tempo, questa sete di individualismo di Franz e Wilhelm dovrà fare i conti con le
esigenze e le occorrenze della socializzazione, per questo i personaggi che incarnano una soggettività
esasperata senza mediazioni come Mignon, l’Arpista e la prostituta Mieze, che si getta
precipitosamente tra i seni di Eva, verranno allontanati dalla struttura teleologico-organicistica dei
romanzi quasi come fossero un rimbombo di morte e di disgregazione. Schiller , nella lettera del 2
luglio in riferimento al Meister goethiano, parla di un “sistema planetario” in cui ogni cosa è al suo
posto, dove anche le creature estranee a quest’ultimo non escono dall’orbita senza aver generato prima
un movimento poetico. Dunque il drammatico, l’assurdo, l’atipico e l’inammissibile vengono inclusi
all’interno dell’opera per far emergere ex contrasto una normalità spesso definita come “umarked”,
che trova il suo significato più in ciò che esclude che in ciò che contiene e che si dovrebbe guardare
dall’interno e gustare per la sua apparente ordinarietà.
In realtà, questi personaggi resistenti alle leggi della formazione e dell’educazione sono figure
funzionali alla narrazione, che mettono in discussione l’intero orizzonte assiologico in cui le accuse a
queste figure vengono mosse. La loro lucida follia mette a nudo il dilagante conformismo e la
corruzione di un mondo dove borghesi e delinquenti hanno gli stessi interessi. Essi incarnano
un’estrema estraneità rispetto a sé stessi ed al mondo ed , allo stesso tempo, ci mostrano i pericoli ed i
risvolti negativi di un individualismo svincolato dall’agire etico che si chiude in un ripiegamento
solipsistico ed in uno stato di paralizzante incapacità di evoluzione. Sono eroi che se non possono
crescere sono destinati a morire.
L’omoerotismo di Franz e Reinhold con l’annesso campo semantico relativo ai rapporti omossessuali
ed alla loro ghettizzazione (“Schwulen Buben”, “Schwul”) l’ermafroditismo di Mignon, etichettata
come “sciocca ed ambigua creatura” dalla sessualità indefinita ed inquietante per cui vengono utilizzate
denominazioni neutre come “das Kind” o “das Wesen”, il commercio di donne tra Franz e Reinhold
considerate unicamente come strumento per validare la propria virilità e come pedine di un gioco
omoerotico; e ancora l’ambiguità di personaggi come Mariane e Philine apparentemente indipendenti
ma che si fanno mantenere da papponi ricchi che non amano, il rapporto incestuoso tra Sperata ed
Agostino, lo stupro di Minna, l’uccisione plateale di Mieze in un bosco del Brandeburgo e la follia
dell’arpista emarginato da una società normativa fanno emergere le contraddizioni latenti di un’Europa
che porta ancora la ferita scoperta dell’89 e delle guerre napoleoniche nel Meister, e mettono a nudo le
ansie ed i pregiudizi dei contraddittori “goldene Zwanziger”, di una società nella quale la nascente
“gender euphoria” con gli annessi temi del travestitismo e transessualità̀ sono indice di un potenziale
eversivo tenuto troppo a lungo soffocato dal tappo autoritario del mondo guglielmino nel capolavoro
döbliniano.
Spesso la critica si è imbattuta in una visione dei romanzi piuttosto iniqua che vede il protagonista del
Meister come un semplice catalizzatore di eventi, come una marionetta docile senza volto i cui fili sono
mossi dagli adepti della Società della Torre ed il cui destino è già preconfezionato e racchiuso nella
lettera di apprendistato conservata nella Sala del Passato. Allo stesso modo, Franz viene etichettato
come il rappresentante della feccia della Repubblica di Weimar, uomo grossolano e massiccio di
aspetto ripugnante, intellettualmente limitato , personaggio irascibile e colerico che sembra essere
predeterminato dalla tara ereditaria dell’alcolismo. A mio avviso, si tratta di considerazioni indebite
poiché i due eroi non sono “puer aeternus” dalla seducente immacolatezza e dall’incapacità di
invecchiare e di formarsi, che resteranno per sempre al di qua della soglia, nella dimensione
dell’esitazione. Al contrario, Franz e Wilhelm avranno sempre la possibilità di scegliere tra arte e vita
attiva, tra crimine e moralità. Nel diciassettesimo capitolo del Meister, nel celebre colloquio sul destino
vengono reinterpretate in maniera radicale le categorie del caso e del destino e viene esposta l’idea di
plasmare la propria fortuna e di saper volgere a proprio favore il cossiddetto “Zufall”.
La critica letteraria risulta essere ingiusta anche nei confronti dello stesso capolavoro letterario di
Döblin che viene spesso etichettato come un “Verbildungsroman”, un Anti-Bildungsroman, vero
romanzo di deformazione o di malformazione. La catatonica deambulazione di Franz che gira per le
strade di Berlino travestito e ricercato per  l’assassinio di Mieze ed il suo successivo ricovero nel
manicomio di Buch potrebbero far pensare, ad una lettura superficiale, ad una sconfitta dell’eroe. Ma
sono unicamente le concezioni borghesi della vita a fallire. Sono i ruoli di genere, le categorie della
sessualità e del matrimonio ad essere messe in discussione, ma ciò risulta essere vero se restiamo
all’interno di uno schema di lettura imperniato sul modello dell’epica borghese, dunque all’interno di
una visione del mondo moralmente chiusa che presuppone una verità assoluta ed una realtà oggettiva.
Ma come direbbe Stefan Zweig, la verità univoca di cui si appropria il protagonista del “mondo di ieri”
non esiste più. Con l’avvento del ventesimo secolo la controparte del protagonista diventa la grande
metropoli descritta come demone apocalittico, Babilonia meretrice e madre di tutti gli orrori sulla terra.
Essa ci viene presentata come un’alienata realtà oggettiva che non offre alcuna possibilità di
identificazione affettiva. Si tratta di una metropoli che finisce per annichilire la presenza umana che
diventa a sua volta massa, cumulo incoerente e amorfo di popolazione sradicata da sé e dalla vita.
L’affermarsi della civiltà di massa e della conseguente industria culturale trasformano le condizioni in
cui viene elaborata e fruita l’opera d’arte, nell’opera döbliniana si parla di “Montagetechnik” con il
conseguente passaggio dall’immedesimazione (Einfühlung) ad un nuovo approccio più critico e
razionale (Episierung des Romans). Ciò comporta l’insostenibilità di un narratore onnisciente ed
esterno agli avvenimenti che commenta e da giudizi con atteggiamento distaccato. Nel Bildungsroman
novecentesco anche l’io-narrante è scisso e non può più garantire una rappresentazione coerente della
realtà ma deve limitarsi ad offrire quadri isolati, senza relazioni evidenti tra loro, dunque al procedere
dialogico segue quello monologico della narrazione e subentra il soggettivismo dei flussi di coscienza
ed il relativismo dei valori.
La verità non è più detenuta dal narratore e non verrà mai raggiunta dal ”feste Charakter” brechtiano. Il
protagonista della vicenda ora è l’uomo esteriorizzato, immerso nella frenetica vita urbana che scorre
inesorabilmente. É il flâneur in preda a stimoli uditivi e visivi, la cui scena d'amore in un cinema e le
prime riviste di sensibilizzazione erotica risvegliano in lui il desiderio di una donna.

Wilhelm e Franz sono personaggi poli paradigmatici, che cedono facilmente ad impulsi esterni e non
affideranno mai il senso della propria vita ad una sola attività che li determina preventivamente. Essi
galleggiano sugli eventi senza capirli, non hanno convinzioni particolari, diventeranno strilloni di
giornali nazionalsocialisti solamente per un bisogno ancestrale di pace. Ma sarà proprio la loro
malleabilità e la loro alta disponibilità al cambiamento che permetteranno la realizzazione di una
Bildung esteriore ed interiore. Wilhelm si sottoporrà senza resistenze alla guida di Jarno e Franz, dal
suo canto, sarà costantemente influenzato dalla presenza di Reinhold e dei membri della Pumskolonne ,
i quali tenteranno di traghettarlo a più riprese nel mondo del crimine e dell’immoralità senza riuscire
mai ad intaccare la profonda umanità del personaggio. Per queste ragioni, a cospetto del romanzo
goethiano, in questo caso si potrebbe parlare di fallimento eterodiretto. Ma il proposito di rimanere
onesto di Biberkopf non fallisce. E l’ambizione di Wilhelm di calcare le scene per parlare al cuore degli
uomini e toccare le loro anime non fallisce. Wilhelm non parlerà ad una cerchia ristretta di spettatori
ma alla platea del mondo e Franz riuscirà a riconciliarsi con la Großstadt che gli aveva inflitto i tre
fatali colpi.
La discriminante risiede nella fede ad un valore più alto che è quello dell’amore incrollabile nei
confronti dell’intera umanità. La discriminante risiede nel sentimento di appartenenza ad un qualcosa di
più grande che scalfisce un esasperato ed inconcludente individualismo. Il soggetto moderno, uscito
dall’antico terrore del trascendente, si scontra con il problema della nuova libertà che viene percepita
come un eccesso di responsabilità, Franz di fronte al “rote Mauer” del penitenziario di Tegel esclamerà
“die Strafe beginnt”. È la pena di sprofondare nella tracotanza dell’anarchia. Il romanzo di formazione
si veste dunque della “risposta alla patogenesi della soggettività moderna”. E la risposta risiede
nell’equilibrio, nell’agio della civiltà di cui ci parla Franco Moretti, nella pacificazione di ogni conflitto
e nello spegnimento del desiderio di un ulteriore metamorfosi. La tensione tra l’ideale
dell’autodeterminazione e le esigenze della socializzazione si risolve in una sintesi in cui, per dirla in
termini herderiani, la legge del cuore non è in contrasto con il corso del mondo, in cui lo sviluppo
dell’uomo per sé sartriano coincide senza crepe con quello dell’io per gli altri.
Nel nono libro del “Berlin Alexanderplatz” il cammino terrestre di Franz é finito, “der Mann ist
kaputt”. É la prossimità della morte e l’angoscia che essa genera che permette una nuova vita. Essa
brucia e devasta, strappa e ricuce, soffoca e guarisce, abbatte e ricostruisce. La storia di Biberkoft è
quella di una conversione, si parla di un’«educazione sentimentale del furfante» che è consumato da
una fame di destino che viene poi placata in nome della vita. La città è rimasta uguale, è Franz che è
cambiato. Ora ha un «cuore sano», egli ha riconosciuto e integrato il suo passato, i suoi lutti ed i suoi
delitti, ha compreso che non è un atomo nella metropoli, ma che ci sono anche gli altri, una comunità di
destini che si possono cercare. Siamo di fronte alla scomparsa della Hure Babylon ed al trionfo
dell’”uomo accanto agli uomini”.

L’accettazione del pane quotidiano tanto respinto nelle Bewertungen non è spia di un realismo assunto
a principio unico di vita, non si trasforma mai nel lasciapassare per una sopravvivenza tranquilla da
percorrere a testa bassa, significa amare la vita esclusivamente per sé, per l’atto di vivere, come ricorda
il monito affisso all’ingresso della Sala del Passato. Significa trovare in questo tanto soddisfacimento
da non poter più essere da nulla turbato, né spinto fuori dai cardini dell’esistenza. Si tratta di una
Vernunft che integra l’utile ed il bello, l’intelletto e l’invenzione, germanesimo e classicismo, il
mercante e l’artista. Una Vernunft che rende possibile la doppia operazione di “esprimere sé stessi” e
“comprendere gli altri”, per cui bisogna perdere qualcosa per evitare di perdersi.

ILENIA MARASCA
Bibliografia:
W. Goethe, Wilhelm Meister Lehrjahre
A. Döblin, Berlin Alexanderpltaz
F. Moretti, Il romanzo di formazione
R. Ascarelli, U. Bavaj, R. Venuti l’Avventura della conoscenza: momenti del Bildungsroman dal
“Parzifal” a Thomas Mann

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