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I tre romanzi posti in esame, “il Giardino dei Finzi-Contini”, “Se questo è un uomo” e

“La vita agra”, ci immergono in realtà che hanno ben conosciuto le tre penne; realtà
difficili, asfissianti, impreviste; una realtà che li ha schiacciati, soffocandoli, non
potendo fare altro che subire il peso delle leggi che hanno guidato e dominato le loro
epoche. Leggendo il nero su bianco di quelle pagine capiamo quanto sia forte il senso
di emarginazione che attraversa i personaggi e i protagonisti dei tre capolavori della
letteratura italiana. Quando parlo di emarginazione, ne parlo tenendo conto di quanto
siano diversi i contesti storici, di quanto siano complessi i personaggi che si muovono
sulla “scena” e di quanto essi si riducano ad “automi” per poter continuare a campare.
Si delinea chiaramente una condizione di disumanità; sopravvivono, non vivono e
diventano macchine “produttrici” per scopi, ovviamente diversi. Ma facciamo
chiarezza: il romanzo da cui voglio cominciare è quelli di Bassani, Il giardino dei
Finzi -Contini al cui interno c’è solo il sentore della deportazione e che termina
immediatamente prima della distruzione totale. Il personaggio, che poi funge anche
da io-narrante è caratterizzato da una forte incapacità di esprimere i suoi sentimenti.
Si frena, si intimidisce e non riesce ad afferrare il momento giusto “senonché tacevo,
privo di coraggio anche in sogno”. L’elemento a cui bisogna prestare particolare
attenzione è il Giardino, luogo in cui si rinchiude il gruppo di amici e dove trascorre
la maggior parte del tempo, sottraendosi così dal mondo che al di fuori li sta
aspettando. Si delinea questo microcosmo di una borghesia ( di cui fa parte anche la
magna domus) che è testimone non solo della nascita del legame tra Micol e il
protagonista ma diviene una sorta di prigione bellissima in cui proteggersi e
difendersi. Esso è un locus amoenus a cui il narratore accede per la prima volta solo
nell’autunno del 1938, sebbene 10 anni prima ci fosse stato già un primo incontro
ravvicinato tra i due aspiranti amanti sul muretto. Il tempo, ineluttabile ed inesorabile
sembra prendersi una pausa. Sto parlano sia del tempo atmosferico, giacché si respira
ancora area estiva in autunno, sia del tempo che scorre.
In realtà l’isolamento della famiglia ferrarese comincia già molti anni prima, quando
muore il figlioletto e da lì decidono di vivere emarginati, chiudendosi nel loro
“ghetto” privato. Ad Alberto e Micol vengono impartite lezioni private e si tengono
lontani voluttuosamente. Sono diversi i Finzi contini non solo dal punto di vista
sociale ma anche perché non vogliono far parte di quel processo di ammodernamento
che sta investendo la comunità ebraica nel Ferrarese. Il muro, simbolo pregno si
significato separa il nucleo familiare da quel caos che sta fagocitando il mondo
all’esterno. Uno dei valori presenti nelle tre opere è proprio la solidarietà. Tant’è che
escono da quella emarginazione voluta solo dopo la promulgazione delle leggi raziali
del ’38 con l’intento di mostrarsi solidali con i propri concittadini. La solidarietà è
uno dei valori più importanti per la comunità ebraica. È Micol a dire “Cosa vuoi…
oramai siamo tutti quanti sopra la stessa barca. Al punto in cui ci troviamo,
continuare a fare tante distinzioni trovo anche io che sarebbe stato piuttosto ridicolo”.
E qual è l’epilogo di tutta la vicenda? Personaggi-fantasma che non sanno di esserlo
destinati alla morte. Il giardino diventa cimitero che ricorda la tragica e disumana fine
di migliaia di ebrei.
La solidarietà di cui parlavamo, nel terribile scenario dei cambi di concentramento
che riducono le vittime ad organismi privi di ogni cosa è presente anche in Se questo
è un uomo di Primo Levi. Il protagonista nonn ha più un nome. 174517 è la sigla
della sua vita in mano alle SS, quelli che rendono impotente il nemico perché ritenuto
inferiore e assolutamente da sterminare in massa. E si scelgono vie assurde e
infernali. La voce di Levi grida per raccontare una “industria” disumana creata ad hoc
e urla per ricordare tutte le minoranze: musulmani, inetti e tutti gli sfortunati del
mondo, insomma i sommersi. L’essere umano è tale solo se prova emozioni, se si
pone domande, se è ricco di valori, se si nutre di memoria, pensieri e sentimenti; tutto
questo scompare nei lagher e scompare perché non si riesce più a respirare e vivono
come se fossero morti ancor prima di morire veramente. Vengono ridotti a schiavi,
animali, senza personalità e dignità. Fin dove l’uomo può spingersi pur di annientare
un suo simile?
Seppur si sfondo storico completamente diverso la tematica dell’alienazione,
disumanità e inumanità dell’industria è presente anche in “la vita agra “di Bianciardi.
La sua è una denuncia ad un mondo che si sta trasformando e che corre veloce e si
mette a nudo l’io narrante, espone con un linguaggio particolareggiato e non
semplice, le sue illusioni e disillusioni. Il miracolo economico del periodo post
bellico pone le basi per una spersonalizzazione di cui ci parla Bianciardi col tipico
tono dell’invettiva semiserio ed ironico. Nonostante la sua opposizione, il
protagonista viene “tafanato” dagli impegni lavorativi, scadenze e difficoltà della vita
quotidiana. Si riduce egli stesso ad essere un automa e in un mondo moderno in cui
“bisogna coltivare le relazioni pubbliche, vedere gente, farsi conoscere, far girare il
nome” egli decide di sottrarsi dalla morsa caotica e si chiude in casa, lavorando
grazie anche alla collaborazione di Anna. Si trincera dal mondo e si isola ma sullo
sfondo c’è l’amore di e con Anna, un amore sincero, ma che è a servizio del lavoro e
del guadagno. Tanto è vero che nel libro si cita solo Mara, sua moglie, in quanto
parassita e in quanto riceve solo dei soldi dal narratore-protagonista-autore. Non è
quindi una “macchina che crea guadagno”.

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