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NATURA → La natura è un soggetto presente nelle poesie di molteplici autori ed ha assunto


visioni diverse in ciascuno di essi. Il rapporto uomo-natura può essere interpretato sia in chiave
pessimistica, come nel caso di Leopardi dove la natura arriverà ad essere matrigna nei
confronti dell’individuo, ma può anche essere interpretato come un tutto organico, una sorta di
simbiosi. Nel caso di D'Annunzio, la sua particolare visione della natura e il suo particolare
rapporto con essa sono ispirati dal Panismo vitalistico in voga nel primo ‘900. IL poeta vede la
natura come un universale principio di vitalità che tutto comprende in sé, un eterno flusso vitale
all’interno del quale l’io lirico aspira ad immergersi diventando tutt’uno con esso. Pan deriva dal
dio greco dei boschi e significa infatti “tutto”, la natura quindi è un tutto animato nel quale l’uomo
punta ad immergersi. Con il panismo si elimina la barriera fra la natura e l’io lirico, quest’ultimo
diventerà quindi parte vivente della natura. Il primo processo è quindi quello
dell’immedesimazione, durante il quale l’uomo perde i propri tratti fisici fondendosi con la
natura. L’io veniva messo in secondo piano, immergendosi completamente nella natura, ma
non nascondendosi del tutto in quanto il poeta era solito esprimere stati d’animo attraverso
oggetti naturali. Il panismo è presente in D’Annunzio sia in versi, nella poesia intitolata “Canto
novo”, sia in prosa, nella raccolta di novelle intitolata “Terra vergine”. Il panismo dannunziano è
evidente nella raccolta “Alcyone”, dove il tema principale è proprio la fusione fra uomo e natura
e in particolare è evidente in una delle poesie della raccolta intitolata “La pioggia nel pineto”: il
panismo diventa vera e propria metamorfosi che si esprime nella completa trasformazione dei
protagonisti (lui ed Ermione che sarebbe Eleonora Duse), ormai parte di quello stesso
paesaggio che all’inizio contemplavano semplicemente. Il risultato è la sublimazione degli
amanti, intesa come passaggio da uno stato umano a quello divino. Dal punto di vista stilistico,
assume una fondamentale importanza la musicalità delle parole che riesce a rappresentare la
musicalità della natura stessa. La poesia, infatti, diventa musica (d'altronde si tratta di una lirica
e la declamazione di questo genere inizialmente veniva accompagnata con uno strumento
musicale). La finalità del testo poetico è superomistica: diventare un'unica cosa con le forze
della natura e utilizzarle per ergersi su tutti. Tuttavia, il superuomo non è vincente,
fondamentalmente si tratta di un individuo fragile, come qualsiasi essere umano. Il panismo,
ovvero il fondersi uomo-natura avviene grazie alla pioggia, che bagna i volti, le mani, i vestiti e
la vegetazione del sottobosco: è la pioggia la vera protagonista.

RIVOLUZIONI → Analizzando la poesia di Ungaretti si può comprendere come il suo modo di


scrivere sia del tutto rivoluzionario, distaccandosi dai modelli precedenti. Ciò è ben visibile nella
poesia “Il porto sepolto” presente nella raccolta “L’Allegria”. Innanzitutto bisogna far attenzione
al titolo, che con Ungaretti assume un ruolo di fondamentale importanza: esso infatti rende più
facilmente comprensibile la poesia e il suo contenuto. Prendendo come esempio “Il porto
sepolto”, qui il titolo è indispensabile altrimenti non si capirebbe a cosa fa riferimento l’avverbio
con il quale inizia la poesia: “vi” cioè “lì”. Oltre al titolo spesso il poeta aggiunge anche una sua
interpretazione personale dei testi. Rivoluzionaria è anche l’assenza di punteggiatura, il
componimento non fa riferimento alla metrica tradizionale e utilizza gli spazi bianchi per
separare i brevi versi che lo compongono. In qualche caso i versi possono essere sostituiti
anche da una singola parola, in generale i versi sono sempre molto brevi ed infatti si parla di
versicoli raggruppati in strofette. La poesia nel momento in cui viene composta risulterà
rivoluzionaria, ma con un’analisi più approfondita ci si accorge che la poesia di Ungaretti è frutto
di un compromesso fra rivoluzione e tradizione, essendo scissa tra una rivoluzione formale, già
anticipata da Pascoli e D’Annunzio, e il sentimento di fedeltà alla tradizione lirica italiana ed
europea. La poesia di Ungaretti ha quindi una doppia natura. La rivoluzione formale consiste
nel rifiuto delle forme metriche della tradizione e questo era un modo di fare che a quel tempo
veniva paragonato alle forti rotture dei poeti delle avanguardie storiche. C’è anche la
cancellazione dei nessi logici, sostituiti dall’accostamento immediato tra pensieri ed emozioni
diverse. Questo è anche il modo in cui il poeta percepisce il suo possibile rapporto con il
mondo.

VIAGGIO E CONFINE → Uno dei punti più caratteristici della poetica di Pirandello è la
cosiddetta teoria delle maschere: l’identità non è altro che una maschera che ci mettiamo e che
gli altri ci mettono e sotto alla quale è nascosta la vita. Queste maschere sono viste però come
una sorta di limite, una trappola, un confine tra apparenza e realtà che l’uomo cerca
disperatamente di oltrepassare. L’ambiente in cui si manifestano con maggiore forza le
maschere sono la famiglia o il lavoro, essendo i contesti sociali in cui ci si aspetta sempre il
massimo da un individuo. Da questa trappola secondo Pirandello non si ha nessuna via d’uscita
storica, ma è possibile trovare delle valvole di sfogo dal tormento vissuto dall’uomo. La fuga
nell’irrazionale o nella follia è una valvola di sfogo, ma l’unico che può usufruirne è colui che ha
compreso come funziona la società: chi non capisce il gioco della società vive infatti
nell’inconsapevolezza, mentre chi ha capito come funziona realmente si auto-esilia per vivere
lontano dagli altri individui in modo da essere superiore. Questa viene chiamata la filosofia del
lontano: è necessario guardare la realtà in modo diverso da come la vedono tutti, la distanza
permette l’analisi critica portando l’individuo a concepire tutto ciò che prima veniva visto come
normale in forma straniata.
Le maschere come confine tra realtà e apparenza è un concetto perfettamente visibile nel
romanzo intitolato “Uno, nessuno e centomila”: ​La vicenda narra di un uomo,Vitangelo
Moscarda,che si stava guardando allo specchio e la moglie scherzosamente gli dice che il suo
naso pende un po’ da un lato, il protagonista scopre che l’immagine che aveva lui di sé non
corrisponde affatto a quella che gli altri hanno di lui,infatti la tranquilla esistenza di Moscarda
viene scombussolata quando egli inizia a riflettere sul concetto di identità che è puramente
illusorio. Questa presa di coscienza lo porta a fare gesti folli tanto da vendere tutti i suoi beni e
di fondare un ospizio per poveri nel quale si rinchiude lui stesso estraniandosi dalla vita.
Vivendo fuori di sé e rinunciando alla sua identità, esso comincia ad identificarsi in qualsiasi
cosa trovi di fronte a sé, risolvendo le sue nevrosi. Il protagonista quindi finisce per trasformare
la scoperta di non avere un’identità in un punto di forza.

TEMPO → La dimensione del tempo è un elemento rilevante nelle poesie di Ungaretti. Il poeta
ha infatti frequentato le lezioni del filosofo Bergson e, come Proust, ha cercato di collegare il
passato con il presente, indagandone la possibilità. Il ritorno del passato nel presente non è
qualcosa che si limita al ricordo, in quanto il passato vive nel presente della psiche. Da Freud si
sa infatti che l’inconscio non conosce lo scorrere del tempo essendo che vive nella prospettiva
dell’eterno presente. La poesia di Ungaretti racconta la vita interiore, parlando dell’esperienza
del presente in modo particolare: esso sovrappone all’esperienza del presente quelle del
passato, parlando però della dimensione del passato utilizzando sempre il presente, come se
passato e presente fossero contemporaneamente presenti e tali sono in relazione all’inconscio.
La poesia “I fiumi” della raccolta “L’Allegria” evidenzia il particolare modo dell’autore di trattare il
tempo, che è essenzialmente un tempo psichico nella sua poesia. Il poeta parla di esperienze
del presente contrapponendole a quelle del passato, il passato però non viene mai trattato
come se fosse un ricordo storicizzato, ma viene fatto sempre risorgere nel presente attraverso il
meccanismo tipico dell’inconscio e si intreccia con esso. Passato e presente si intrecciano
quindi come in Svevo ne “La coscienza di Zeno”, dove il tempo è un tempo misto, soggettivo e
non segue un ordine cronologico. Nella poesia l’intreccio fra presente e passato è evidente: il
bagno nel fiume Isonzo fa riaffiorare l’esperienza vissuta nei vari fiumi che hanno caratterizzato
i momenti salienti della sua vita e le varie emozioni ad essa connesse. Per questo motivo il
titolo è al plurale; nel componimento non vengono solo ricordati, ma i ricordi passati vengono
anche analizzati.

CONFLITTI → Il rapporto con il padre è un elemento fondamentale per comprendere la figura di


inetto presente in tutti i romanzi di Svevo.
L’inetto è una figura incapace di realizzarsi concretamente nella vita: nonostante i protagonisti
siano inseriti nella società borghese, non riescono a realizzarsi sul piano sentimentale.
Questi personaggi sono tali perché non riescono ad assumere i tratti caratteristici della figura
paterna rappresentata da virilità e sicurezza. Sono proprio i capifamiglia a evidenziare
l’inettitudine e la debolezza di queste personalità.
Ne “La Coscienza di Zeno”, il conflitto genitore-figlio è palpabile.
Nel ritratto del padre definito da Zeno Cosini, dietro l’apparente affetto filiale appare una sorta di
disprezzo nei confronti di questa figura, la quale si rivela cattiva e pungente.
Inconsciamente Zeno vuole essere un inetto per contrapporsi alle solide certezze del padre
borghese; ciò è reso possibile dal suo continuo sottolineare la propria inconcludenza e diversità
rispetto al mondo borghese, di cui il genitore è modello esemplare.
Il conflitto fra il padre e il figlio raggiunge il suo apice nel quarto capitolo dell’opera riassumibile
con il titolo “alla morte del padre”: in questa situazione il padre dà uno schiaffo sulla guancia al
figlio mentre sta sul letto di morte. Zeno vuole autoconvincersi che il gesto compiuto dal padre
non abbia un’intenzione punitiva, ma sia stato dettato dallo stato di incoscienza nel quale si
trovava il padre. Quindi Zeno si costruisce un alibi falso per mostrare a se stesso che era privo
di colpe. In questo capitolo illustra inoltre il rapporto che avevano nella quotidianità i due: di
solito, quando si trovava a Trieste, lo passava a trovare al massimo per un’oretta al giorno
anche perché tra i due non c’era nessun punto in comune dal punto di vista intellettuale. Ma il
padre di Zeno gli rimproverava sempre due cose: la distrazione perenne e la sua banale risata
durante i discorsi seri. Eppure Zeno sostiene per tutto il capitolo che suo padre era la vera parte
debole della coppia e lui la forza.

INTELLETTUALE FRA CENSURA E LIBERTA’ → Montale fu uno dei poeti che si schierò
contro il fascismo. Nel 1925 infatti, dopo il delitto Matteotti, firmò il manifesto degli intellettuali
antifascisti, nello stesso anno in cui uscì la sua prima raccolta intitolata “Ossi di seppia”. Nel
corso della sua carriera viene anche nominato direttore del gabinetto scientifico letterario
Vieusseux, un incarico che porta avanti per 10 anni fino a che non è costretto ad abbandonarlo
a causa dell’avvento del fascismo al quale lui, coerentemente, non aveva voluto iscriversi.
Anche Ungaretti fu obbligato ad allontanarsi dal suo ruolo di insegnante che aveva ottenuto alla
Sapienza di Roma, ma le ragioni furono ben diverse rispetto a quelle di Montale. Infatti, esso fu
allontanato dalla sua attività a causa della caduta del fascismo, essendo lui un esponente del
fascismo al quale aveva aderito nel 1925.
Pirandello era un altro esponente del partito fascita, al quale aderirà nel 1924 a seguito del
delitto Matteotti: esso era convinto che il fascismo fosse l’unica alternativa alla mediocrità della
classe dirigente. Viene sostenuto dal partito fascista e aiutato economicamente, tanto da
permettergli di fondare il Teatro d’Arte di Roma nel 1925, iniziando una relazione artistica e
sentimentale con Marta Abba. Nel 1928 chiuderà l’esperienza del Teatro d’Arte a causa degli
eccessivi costi.

AFFERMAZIONE DEI DIRITTI SOCIALI → Uno degli autori che si interesserà alla problematica
dell’affermazione dei diritti sociali sarà Verga con la sua novella intitolata “Rosso Malpelo”. La
novella viene pubblicata per la prima volta nel 1878 e inclusa nella raccolta “Vita dei Campi”.
Nella scelta dell’ambientazione e del tema l'autore si ispira a un dibattito molto attuale nella
società dell’epoca, quello sulle condizioni di lavoro nelle miniere e sullo sfruttamento del lavoro
minorile, schierandosi dalla parte dei più deboli.
Malpelo è un ragazzino con i capelli rossi. All'epoca in cui è ambientata la novella di Verga, per
via delle superstizioni popolari, i capelli rossi erano indice di malizia e per questo motivo il
ragazzo viene trattato male dai concittadini. Preferisce, quindi, starsene per conto suo.
Neanche la madre lo ama molto: non ha mai accettato il fatto che abbia deciso di andare a
lavorare nella cava e non si fida di lui, pensa che rubi i soldi dello stipendio che porta a casa.
Pure la sorella lo accoglie sempre picchiandolo.L'unico con cui sembra andare d'accordo è il
padre, Mastro Misciu, il cui soprannome è Bestia. Anche il padre lavora alla cava ed è l'unico ad
avergli dimostrato un po' di affetto. Per questo motivo quando gli altri operai cercano di
prendere in giro il padre, Malpelo lo difende sempre. Un giorno Mastro Misciu, su ordine del
padrone, accetta di abbattere un vecchio pilastro inutile: il lavoro è pericoloso, gli altri operai si
sono rifiutati, ma Mastro Misciu ha bisogno di soldi. Prevedibilmente il pilastro cade addosso
all'uomo e Malpelo, disperato, comincia a scavare a mani nude sotto le macerie, si spezza le
unghie, chiede aiuto, ma quando gli altri arrivano il padre è ormai morto. Se prima Malpelo era
scorbutico e ringhioso, dopo la morte del padre il suo carattere peggiora. Inoltre comincia a
lavorare proprio nella galleria dove il padre era morto. Un giorno alla cava arriva a lavorare
Ranocchio, un ragazzino che si è lussato il femore e che non può più fare l'operaio a causa
della sua zoppia. Malpelo lo prende subito di mira e cerca di farlo reagire a suon di insulti e
botte. Ranocchio non si difende e Malpelo lo picchia sempre di più: vuole che Ranocchio impari
a reagire e che capisca che la vita non è facile, bensì una sfida continua. In realtà Malpelo si è
affezionato a Ranocchio e spesso gli dà parte del suo cibo e lo aiuta nei lavori più pesanti.
Finalmente viene recuperato il cadavere di Mastro Misciu e Malpelo tiene come un tesoro i
pochi oggetti posseduti dal padre. Purtroppo ben presto anche Ranocchio muore, di tisi,
Malpelo è sempre più solo (la madre si è risposata e non vuole avere a che fare con lui e anche
la sorella si è trasferita in un altro quartiere) e finisce per scomparire nella cava dopo che gli era
stato assegnato il compito di esplorare una galleria sconosciuta. Nessuno avrebbe mai
accettato un compito così pericoloso, ma Malpelo ormai non ha più niente da perdere: prende
pane, vino, attrezzi e vestiti del padre ed entra nella galleria per non uscirne mai più. La sua
unica vendetta da morto è aver instillato il terrore negli altri operai che hanno sempre paura di
vederlo spuntare fuori all'improvviso con i suoi capelli rossi e i suoi occhiacci.
Perciò la novella è un tentativo da parte dell’autore di sensibilizzare il lettore sullo sfruttamento
minorile: l’opera esce in un periodo dove esistevano ben due proposte di legge volte a limitare e
regolamentare il lavoro minorile. Verga non fu uno scrittore impegnato in politica, ma “Rosso
malpelo” fu anche un racconto politico, una presa di posizione su una questione sociale
ignorata dal pubblico borghese del nord al quale Verga si rivolgeva solitamente.

SOGNO → L’opera pirandelliana “Il fu Mattia Pascal” può essere interpretata come il sogno del
protagonista di riscattarsi socialmente. Il romanzo di Pirandello ci mette davanti a due temi che
da sempre assillano l'uomo: il sogno di evadere e la forza della realtà.
“Il fu Mattia Pascal” è un romanzo del 1904: è la storia di un piccolo borghese imprigionato nella
trappola di una famiglia insopportabile e in crisi economica.Il protagonista si trova
improvvisamente libero e, per vendicarsi di un amministratore ladro nel suo condominio, seduce
sia l'amante che la moglie Oliva mettendola incinta. Mattia sarà però costretto a sposare
l'amante in quanto l'amministratore riconoscerà il figlio di Oliva come se fosse il proprio per non
provocare uno scandalo. Il protagonista andrà a Montecarlo dove si arricchirà e, sul treno di
ritorno da Montecarlo, riceverà la notizia della scoperta di un cadavere nel quale era stata
riconosciuta la sua identità. Mattia approfitta di questa occasione per continuare a far credere
agli altri di essere morto in modo da costruirsi una nuova vita. In questo modo però scopre
comunque che l'identità che si è costruito, quella di Adriano Meis, è comunque una maschera
ed è quindi una condizione che lo allontana dalla vita. Arriverà quindi a pensare di fingere il
suicidio di Adriano per ritrovarsi nella condizione de il fu Mattia Pascal rimanendo quindi
ingabbiato nella sua condizione iniziale.
La speranza di poter ricominciare,il sogno di poter partire da zero, di avere un nuovo nome e
una nuova identità, quella di Adriano Meis, sono durate forse solo un attimo, quasi il tempo di
un sogno illusorio essendosi accorto della nuova trappola all’interno della quale si stava per
rinchiudere di nuovo.

AMORE → Uno degli autori che parlerà nuovamente di amore sarà Camillo Boito nella sua
novella “Senso”. Si tratta di una lunga novella per descrivere come il sentimento amoroso sia
cambiato rispetto al romanticismo. Prima era infatti visto come qualcosa di puro, che si
scontrava spesso con la realtà; ora l’amore è sinonimo di corruzione, di immoralità. Per
dimostrare ciò, viene scelto il tema della passione voluttuosa. Mettendo in scena l’amore tra
Livia e Remigio, Boito capovolge tutti gli stereotipi della narrativa sentimentale. In primo luogo
sceglie un’ambientazione scandalosa: i due si incontrano per la prima volta in una piscina
seminudi. In secondo luogo Livia non è attratta dal nobile animo di Remigio, la sua è solo
un’attrazione puramente fisica. Remigio è un personaggio spregevole, disinteressato a tutto ciò
che non sia il suo piacere e la degradazione morale dell’uomo è un altro aspetto che seduce la
donna. Remigio era il suo amante al quale presta denaro sottraendolo al marito e arriva a
corrompere un medico militare pur di evitare che Remigio partisse per la guerra. Livia però
scopre che l’uomo ha un’amante e quindi decide di vendicarsi: essa mostra prove schiaccianti
davanti ad un ufficiale austriaco la falsità del certificato e Remigio verrà punito con la pena di
morte. Nell’estratto “Tra vendetta e desiderio” viene narrata la scena dell’esecuzione della pena
di morte.
LA RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTA’ → La poetica di Pirandello si incentra sulla visione
della realtà collegata ad una concezione vitalistica di essa e sulla sua visione disorganica
dell’io. Parlando di concezione vitalistica della realtà, Pirandello disegna quest’ultima come un
perpetuo movimento vitale: tutto ciò è vita e ogni volta che un individuo si stacca da ciò si
stacca conseguentemente anche dalla vita. Quasi tutti gli individui si staccano dalla vita per
affermarsi individualmente in una personalità illusoriamente unitaria. Questa forma è la forma
dell'identità di noi stessi che ci costruiamo e che gli altri ci costruiscono. Da qui la teoria delle
maschere di Pirandello: l’identità non è altro che una maschera che ci mettiamo e che gli altri ci
mettono e sotto la quale c’è la vita. Dalla concezione vitalistica della realtà derivano importanti
conseguenze soprattutto sul piano gnoseologico, cioè sulla conoscenza della realtà: se essa è
un continuo divenire, non può essere posta su uno schema organico in quanto ciò
implicherebbe una visione soggettiva di essa. Un ‘altra conseguenza è quella che non esiste
più una verità assoluta, oggettiva fissata a priori: ci sono infatti tante verità e ognuno ha la
propria che nasce dal suo personale modo di vedere le cose. Ma se questo è vero, sorgono
problemi a livello di relazioni umane in quanto gli individui non sono più in grado di comunicare
tra loro. L’incomunicabilità accresce il senso di solitudine. Dalla sua concezione vitalistica della
realtà deriva anche la sua poetica, esposta in un saggio intitolato “L’umorismo” del 1908. In
questo saggio presenta la sua arte definendola moderna in contrasto con l’arte tradizionale, la
quale nasce dal libero movimento della vita interiore, ma la riflessione si nasconde e non
interviene sul sentimento. Il saggio può considerarsi una teorizzazione del modernismo. L’opera
moderna è un’opera umoristica: l’aggettivo deriva da una considerazione generale che fa
sull’arte comica. Distingue il comico dall’umoristico definendo il comico come l’avvertimento del
contrario e l’umoristico come il sentimento del contrario che nasce dall’approfondimento di
esso. A questo proposito fa l’esempio della vecchia imbellettata: il comico si limita a prendere in
giro l’aspetto oggettivamente ridicolo della signora, mentre l’umorista comincia a riflettere sulle
ragioni che hanno spinto la donna ad assumere quel determinato aspetto. Nell’opera umoristica
la riflessione non si nasconde e interviene sul sentimento, analizzandolo e cogliendone il
carattere molteplice nella misura in cui venga osservata la realtà da più punti di vista e non solo
da uno come accadeva nell’opera tradizionale. Nell’opera umoristica si ha quindi un intreccio di
sentimenti.

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