Sei sulla pagina 1di 5

L’Inno alla notte di Novalis:

Musto in modo attinente ripercorre questi inni con risonanze, una spontanea associazione complementare
di un contributo che ha il suo centro proprio nella lettura, ha come itinerario attraverso le immagini, i ritmi.
Nel testo di Musto è ritrovata la complessa poetica romantica, lui afferma infatti che alla fine il
romanticismo è la nascita della coscienza moderna, ci riguarda profondamente per il percorso che stiamo
ricostruendo ma anche per la specificità dei singoli testi come alfabeto culturale, segnando le massicce di
un’epoca che con le sue radicali trasformazioni diventano delle rivoluzioni, segnando gli antecedenti ne
costruisce la medesima sensibilità di abitanti culturali della costellazione postmoderna, questa profonda
inquietudine appartiene alle anime più avvedute anche del nostro immediato contemporaneo. Siamo
costretti a quest’imposizione, il primo inno termina con il rammarico che la notte debba terminare, ad ogni
notte c’è un nuovo mattino, l’alternanza luce e buio in Novalis è contrastante, un movimento con un
indicazione di fedeltà al testo che è sempre la nostra bussola. Vige il tormento di cercare una strada che
non è solo un traguardo conquistato una volta per tutte come il culmine del primo inno, è una continua
ritmica che regola il testo secondo un gioco di andirivieni, di cesure e un respiro contratto e disteso. Dal
punto di vista metodologico, ovvero l’ indicazione generale, abbiamo diverse modalità di approccio: la
citazione quando siamo letterali, ovvero riprendiamo la filologia testuale, riproduciamo la lettera del testo,
poi abbiamo l’analisi, il commento con lo scandagliare, l’interrogare, guardare il ritmo e le immagini, come
sono fatte le parole, la poesia attiva per creare la dimensione estetica. Il bello da cosa dipende?
Comprendiamo l’intenzione dello scrittore, del poeta e la modalità che dobbiamo disimparare, una
consapevolezza progressiva è la parafrasi, una maniera inconsapevole, l’adesione priva di stanza
prospettica, invece di dire cosa Novalis mette in scena, aderisco alle sue immagini o addirittura le mimo. La
pietrificazione è uno strumento di quest’avventura traslata, è vittima della parabola dantesca, in realtà
sappiamo che c’è da una parte il testo di Dante e poi un corredo di parafrasi che ci fanno velo, lavorano
sulla suggestione vocativa, Dante si sforza di creare una nuova lingua con la transizione, lo sforzo titanico è
di dire il divino, l’indicibile, è una mirabile operazione di costruzione fonetica anche immaginifica e tutta
questa proiezione è lo sforzo di questo itinerario di dire come la mente riesca a proiettarsi verso le altezze
del divino. Dante è uno degli esempi più significativi di questo ‘malcostume scolastico’ che devia dal
rapporto con la letteratura finalizzata a costruire degli accessori di snaturare la lettera del testo e di disporci
nella posizione sbagliata, non dobbiamo raccontare Dante con le parole di un simil-Dante o simil-Novalis,
ma capire il perché di ciò che l’autore ha messo nel testo, un lavoro mentale di Novalis, quindi anche se
tutto ciò nasce da un dramma esistenziale, una visione paradossalmente antiromantica, dobbiamo ben
capire come funziona la scrittura di cui sono artefici, ovvero i ferri del mestiere, proprio leggendo la poesia
dobbiamo guardarci dall’errore di fuoriuscire dal registro e costeggiare le immagini, discernendo e
mettendoci consapevolmente in terza persona, più lontani siamo nella nostra ottica più paradossalmente
riusciamo ad entrare, quest’indicazione è concretamente rivolta anche per l’esame e per l’esposizione.
L’energia emotiva creata dal ritmo, commozione dell’effetto dell’intensità che conquista, è il dispositivo
retorico cui Novalis affida come chiave di volta, l’ossimoro che è la capacità di coinvolgere sia il poeta che
scrive ma anche il lettore, nella tumultuosa vicenda di due mondi diversi e dei picchi diversi, vivere il mondo
della notte, che anche diventa gioco di luce, anche con tutta la gamma di associazione di opposti,
contrastanti tra giorno e notte, l’idea del contrasto come se dietro l’ossimoro dovessimo ritracciare la
densità della contraddizione umana, gestire la compresenza degli opposti nella vita è la sfida di esistere,
questo alternarsi inquieto di giorno e di notte è per un verso legato alla ciclicità biologica. Zagari è molto
complesso rispetto all’essere diretto di Musto, le frasi di Zagari raramente si concludevano, con l’andare
degli anni è stata ufficialmente riconosciuta come una scrittura contorta ed ermetica, espressione di una
cultura degli anni 70/80 che porta la traccia poetica di Croce, una formazione di altri tempi. Novalis che
muore nel progetto di romanticizzazione del mondo, faceva parte dei materiali che aveva approntato
immaginando la conclusione di questo grande romanzo che consiste in una sola metà, la sua ‘Bildung’,
formazione di persona a tutto tondo in chiave umanistica, questa seconda parte Novalis non è riuscita a
scriverla, ed era uno degli intermezzi lirici dentro cui c’era il disegno nelle carte di Novalis, c’è una
simmetria progettuale che delinea la notte e il progetto del romanzo, per Novalis la morte è compimento,
rafforzata affermazione della vita, è un trionfo ma non funebre e spettrale ma al contrario celebrato dal
tripudio del coinvolgimento della vita, è una rinascita, è una rarefazione astratta, la morte e anche la vita ed
è anche l’amore sommo come attributo della vita, l’amore per Sophie, l’amore diventa una celebrazione
d’incanto per la morte, la morte richiama la vita che richiama l’amore che richiama a sua volta la poesia, in
tal senso la ricerca del fiore blu è l’affermazione compendiata nella rarità del fiore azzurro che si distingue,
capace quindi di dischiudere l’accesso ad una sensibilità ulteriore, in contrasto con Goethe, intesa come
rinuncia che comporta il prezzo di rinunciare all’arte, che il romanticismo sposa come dimensione assoluta,
tutta questa gamma di simboli come il mondo della luce, dell’ottusità borghese, una ricchezza preclusa a
quest’umanità materiale, l’anima diventa inospitale alle ragioni della poesia e del cuore. Insieme ad
Holderlin siamo di fronte a dei poeti romantici, quasi tutti i poeti e filosofi si sono affacciati alla sua poetica,
acquisendo le sue immagini e usandole come vettori dell’immaginario moderno e postmoderno, Holderlin
finisce pazzo e non è una circostanza casuale, non smette nella sua condizione di labilità mentale di
terminare di scrivere poesie, li firma con un altro nome, la saga di questo poeta sulla travolgente poesia è
contemporaneamente lacerata dall’esperienza umana è la musicalità dei suoi versi, Holderlin si pone come
una personalità di grande complessità filosofica. Fortemente coinvolto negli eventi della rivoluzione
francese insieme a Schiller, cantarono un albero della libertà che celebrava la presa della Bastiglia,
romanticamente presa dalla folata di vento nuova che proviene dalla Francia, è un concetto un po’
sturmundiano, anche l’affermazione di principi più vicini alla sensibilità moderna con una nuova coscienza
di questi moti rivoluzionari e l’impatto traumatico di un processo involutivo di esplosione di violenza ma
anche l’involuzione autoritaria con la presa del potere di Napoleone. Ci dobbiamo spostare come storia sul
territorio frammentato delle diverse entità statali di lingua tedesca, Napoleone invade molti territori della
Francia trovando una popolazione che parteggia per questi frammenti rivoluzionari, dall’altra parte la
Germania vede nei francesi dei nemici, c’è questo nello sfondo del primo romanticismo. Holderlin è poi
disilluso in un secondo momento, quello che è interessante è questo tentativo di guardare a fronte di
questa coinvolgente compagine di storia, con la permanenza dell’Ancien Regime, con un sistema arretrato
dominato da un sistema feudale conservatore e la spinta di una nuova classe portatrice di una nuova
concezione del mondo, Holderlin sente la natura come iscritta non solo nelle leggi cosmiche ma anche in
una prospettiva storica, nella natura avviene la storia, non è un universo separato, è piuttosto
quest’inquieto palcoscenico in cui si avvicendano costanti orizzonti, Holderlin nella sua prima fase giovanile
incontra collaborazioni varie e proprie di intelletti, studiano e condividono gran parte del loro intervallo di
formazione nei collegi, cioè in queste piccole enclavi della formazione che erano privilegio per pochi, con
l’istruzione e l’accesso al percorso accademico, Holderlin condivide con Schiller una parte del suo itinerario
di formazione e con lui condivide questo sguardo rivolto all’antichità, celebrato come misura di ingenuità,
un termine Schilleriano, con una florida dimensione di compenetrazione armonica tra cultura e natura che
tradizionalmente viene attribuita alla cultura greca latina. Holderlin sente con molta intensità e
esplicitamente drammatica la perdita, anche Schiller tra questa dicotomia di poesia ingenua e sentimentale
aveva sottolineato con incisività questa distanza dal mondo classico, l’unità alla cultura nel mondo naturale,
per Schiller Omero è l’esemplificazione, la poesia romantica nasce e si articola a partire da questa
consapevolezza di una perdita, guarda al modello della grecità antica, la poetica di Holderlin contribuisce a
connotarlo come poeta moderno, è stato un traduttore dei poeti greci come Sofocle e Pindaro, è un
confronto con un mondo altro, un adattamento dell’estraneo al proprio, specie di un rapporto di
adattamento sottinteso come la conversione della differenza nella presunta analogia, il tedesco nel 700 e il
greco ateniese, del 5 secolo A.C, la conversione della lingua è dotata di leggi proprie distanti dalla
consuetudine tedesca, una riconversione alla logica del tedesco, da non lasciare trasparire la provenienza di
questi testi tradotti da altri mondi culturali, introduce una poetica della traduzione del tutto innovativa,
forzare e introdurre nella sua versione dei classici della lingua tedesca, Holderlin inventa una poesia ardua
nella misura in cui si richiede al lettore di comprendere e assecondare, percepire questo trito e quindi
educare il gusto del lettore di una tradizione non sempre uguale, ma qualcosa di un altro mondo, richiede
un movimento diverso, la traduzione deve simulare la genesi o rivelare, rendere evidente la distanza che si
debba portare il lettore oltre il confine o il lettore rimane fisso nelle sue consuetudini, non è un problema di
statica o dinamica ma è una questione di costumi e anche la duttualità è proposta a suggerire e consolidare,
nel caso di Holderlin questo rapporto di grande fascinazione, la cultura romantica si connota con il rapporto
dell’antichità della perfezione perduta, la coscienza di non poter riprodurre un modello analogo ma poterci
approssimare, introduce un altro dei possibili elementi che lo caratterizza, c’è anche un litigio all’interno
delle tradizionali tradizioni letterali, è un classico o romantico? Il vero nodo è che si interessa, un po’ come
successe a Leopardi, all’anima inquieta che coltiva nelle lettere tragiche ma non per questo lui è classicista,
adora il mondo greco ma non in quanto misura di una concezione apollinea, cioè razionale, quindi ne deriva
una sorta di legge intesa come rispetto della forma, tutta una serie di norme che il romanticismo è
impegnato a sovvertire, lui di fatto legge l’antichità greca non come regno dell’armonia come perfezione
formale basata sull’ordine, bensì proporzione al contrario come modernità, paradossalmente romantica,
per Holderlin la traccia della Grecia è la sua capacità di dialogare con la morte, non compare quindi
l’armonia classica, solare, classica nel senso di quest’affermazione di ordine e compostezza, in questa
sfrenata presenza della morte come esperienza che scompagina l’ordine delle cose e la misura, non a caso
traduce Pindaro, quindi c’è una ricerca della grecità di questa vibrazione dionisiaca, ovvero antenato del
latino Bacco, associato al caos legato all’incoscienza, alla perdita di razionalità e di contorni e in una celebre
lirica legata al pane e vino. In Holderlin le immagini sono tentativo di mettere insieme il pane dell’eucarestia
cristiana e il vino dionisiaco, una cosa è molto importante, si rifà a Nietzsche, con il mondo greco antico ha
avuto una sua concretezza storica e di volta in volta le culture successive hanno celebrato in una scala di
valori l’armonica compenetrazione a misura di uomo, questa misura delle cose che appunto risulta o si
staglia come lezione dominante attraverso lo studio della letteratura o della cultura greco-latina, nel caso in
cui il romanticismo afferma, predilige ma anche prescrive come norma l’ossequio di tutti i dettami della
tradizione classica, agisce nella norma rivendicando la libertà del genio contro il principio di imitazione, c’è
la ricerca in piena autodeterminazione del genio di questa scelta, di questa gamma di accordi del modello
prestabilito, Holderlin si distanzia da questa supina imitazione dei canoni della classicità, si pone in un ottica
di scandaglio e empatia con la cultura greca letta come sentimento, serbatoio di una componente
profondamente irrazionale, per Holderlin la classicità è disordine, passione, ebbrezza nel senso della
violazione dell’idea di ordine che si sottrae dall’ordine di acquisire la forma. Il primo testo già ci dà
l’inquietudine che non solo è proverbiale, da uno spirito scompigliato è un testo che è interessante perché
ha un principio di sovversione, la prospettiva è nucleata sin dal titolo che recita l’immaginazione della sera.
Holderlin non è un classicista perché non condivide uno sguardo all’antichità greca come olimpica
realizzazione, svilisce o impoverisce la complessità greca, Holderlin è romantico lo usiamo in maniera
schematica quando vogliamo tipizzare ciò che una certa mentalità attribuisce alla sensibilità romantica,
declinazione composita di stili perché ciascuno inventa un linguaggio, insofferenza creativa nei confronti di
un mondo che si sta organizzando secondo certi parametri, questa riproposizione statica di un modello di
un presunto ordine, nella dicotomia classico romantico in fondo Goethe si schiera contro la rivoluzione
francese, ma rifiuta ogni modifica o modernità, per Holderlin la poesia greca è uno stimolo, una fonte di
intensa temperatura rispetto ai conflitti della realtà e del mondo, non interessa l’ossequio esteriore della
forma, Holderlin si destreggia in tutte le forme dell’antichità greca, conosce a fondo i ferri del suo mestiere,
la differenza e discrepanza sta nella lettura e nel disvalore di cosa sia la classicità, per l‘illuminismo la
classicità è oscurantismo e si propone di illuminare, la cultura stessa è un dislivello di valori, non ci deve
sorprendere che in ogni epoca distribuisce in maniera diversa gli accenti. Abendphantasie, 1799, sono anni
di fioritura produttiva questi giovani artisti pensano e scrivono, le congiunture simboliche si somigliano, la
notte, la sera in una tempesta spirituale, di una dimensione notturna in senso congeniale all’ispirazione
romantica, dal punto di vista formale questo testo sembra classico, perché rispecchia un ordinata presenza
strofica. Dal punto di vista della raffigurazione, dell’inquadratura della fantasia serale, sembra avere i
connotati bucolici di una scena di campagna, con la quiete dinnanzi la sua capanna siede il contadino che
usa l’aratro, è una forma sostantivata, colui che sa accontentarsi, appagarsi che quanto ha è abbastanza,
utilizzare l’aggettivo parco, il focolare al luogo, interessante è il fatto che Holderlin introduca i soggetti in un
secondo momento, di tutti verbi statici che sembrano indurre a chi legge questa dimensione di
contemplazione propria di questa attribuzione poetica di queste immagini, l’implicito contrasto è il lavoro
della campagna, l’uomo pago è colui che ha soddisfatto i suoi bisogni di questa immagine, in senso ospitale
risuona alle orecchie del viandante nella quiete del villaggio, del tranquillo villaggio le campane della sera,
la suggestione leopardiana del tipo di atmosfera del sabato del villaggio, di un mondo in se concluso che in
se trova la sua ragione di essere, non è un caso che sia un soggetto dentro cui si realizza la percezione del
quadro, il villaggio come ospitale, ‘jitz’ è una forma antiquata di ‘jetz’ fanno rientro i naviganti all’interno
del loro porto in città remote, si spegne nel senso uditivo, il brusio umoreggiante di questo alacre rumore
del mercato, il fogliame quieto rinuncia e splende, il pasto socievole agli amici, c’è la restituzione
progressiva di una comunità, il viaggio con il suono della campana del vespro, tutti fanno ritorno alle loro
case, il focolare domestico con la convivialità di una comunità e conta lo spazio degli ospiti, il primo
contrasto, non ci sono ritmi che stridono, c’è piuttosto una scelta, tutto un ricomporsi di una forma, misura
del vivere che sembra lieta non è una sensazione, tutto si ricompone e torna alla sua forma ma c’è subito
un contrasto ‘wohin’, è un avverbio di movimento, verso dove sono diretto io, verso quale posizione, ‘denn’
risulta come avverbio di contraddizione, una dissonanza con questa cornice, i mortali vivono nella
ricompensa, nella redistribuzione, del lavoro alternandosi in fatica e in riposo e tutto è gioia e se tutto è
gioia, perché io sono tormentato da questo pungolo che inquieta il mio animo mentre sono tutti appagati
da questo ciclo di lavoro e ricompensa, di questa sera che sopraggiunge che non dà tregua all’io che non
solo è isolato ma avverte di non essere pago e integrato ma piuttosto tormentato isolatamente. Il tormento
è gravoso perché non è condiviso, nel cielo della sera si schiude una primavera, innumerevoli fioriscono le
rose e risplende il mondo dorato, prendetemi con voi nuvole infuocate, figura di questa primavera, questo
fiorire e che rappresenta la venuta della sera, dileguano in me l’amore e il dolore possano tramutarsi in luce
e in aria, evaporazione simbolica del dolore dell’amore verso l’infinita proiezione del cielo, doch enfatica
del denn, cesura con il trattino rafforzata con il doch, questo anelito ad una redenzione dal tormento è di
per se sufficiente a rendere vago, questa fantasia serale, era un vagheggiamento, si proiettava oltre la
realtà, contemporaneamente il cielo si fa scuro e fa solitudine, è a tutti gli effetti una locuzione
impersonale, scende la solitudine, lo star soli sotto al cielo come sempre sta l’io, c’è una cesura,
l’interruzione, nella centralità enfatica di questa solitudine così disaggregata rispetto la compagine del testo
e delle immagini che in qualche modo contribuiscano nel disegnare un quadro dove tutto è in qualche
modo collegato, le luci, il radunarsi, la sofferenza gli rende impossibile appartenere a questa comunità e
soprattutto dimenticare il suo dolore, orsù vieni dolce sopore, torpore, ovvero sonno anche parola utilizzata
da Novalis come attributo della notte, il cuore desidera troppo, troppo brama il cuore ma tu finalmente
giovinezza, questa implorazione che insieme è invocazione della giovinezza, pian piano ti stai spegnendo,
giovinezza che arde e si consuma che inquieta senza pace, quasi citando il canzoniere di Petrarca, pace
anelita di quest’anima che non ritrova la propria requie, sognatrice vanesia, pacifica e serena. La vecchiaia,
cioè un secondo tempo, un momento ulteriore che sembra palesarsi quasi come un miraggio che si
contrappone all’inquietudine della giovinezza densa di quest’ intensificarsi della sofferenza. L’Infinito fa
sempre un po’ capolinea, il tramonto, lo spettacolo nel senso più pieno del termine, satellite protagonista
del cielo, ci ha emozionato perché ricorda o attinge a questa dimensione sensitiva in cui noi esseri umani ci
sembriamo parte, di questo avvicendarsi della sera, del tramonto, della notte, in tutto quello che è
percezione visiva o interiore, quello che è interessante qui nella frattura programmata è il continuo
inciampare perché il quadro iniziale, apparente quiete di questo villaggio che legittimamente celebra la sera
come momento di riposo dopo una giornata di fatica, spicca l’io che contrasta perché non integrato, non
soltanto nella circostante dimensione del villaggio ma più in generale con la concordanza delle immagini,
condanna ad una solitudine e al vivere la giovinezza come uno spegnersi repentino dell’energia vitale che
preclude all’ulteriore malinconia, povertà spirituale, il divenir vecchi, lo spegnimento della passione come
rinuncia dell’intensità mentale, c’è un gioco di richiami ritmici con il doch e il denn. Potessero mai dileguare
questo mio dolore, anche l’imperativo, che è un vocativo, che è diverso anche dalla spinta ovalisiana che
nella notte questa proiezione onirifica trovava appagamento nella notte, qui invece la pace giunge con la
vecchiaia, nel segno di una perdita irreversibile della giovinezza, Novalis celebra l’introspezione come
appagamento mentre Holderlin ne soffre, c’ una rappresentazione dei sentimenti contrastati, è anche un
contrasto di esiti, già nel primo inno in questa celebrazione della notte con l’incalzare del ritmo, con il
momento di appagamento, quel che resta della fantasia serale, perché tale è stata evocata già dal titolo, la
notte non è la finzione che mira di questo miraggio che è appagamento, nel caso di Holderlin quel che resta
è l’amara consapevolezza della vita vissuta, è una visione postuma, posticipata. La sera è per eccellenza,
come si vede in Foscolo, Leopardi, è una congiuntura lirica per eccellenza, suggestiona l’anima per i poeti,
dovrebbe cercare di tenere insieme anche la phantasie, potremmo anche chiamarla illusione ottica di una
fantasia, è un ottativo, l’enunciazione di un desiderio, è la fantasia di una prospettiva immaginaria, l’io è
collocato fuori o dentro? Dove si trova? Gli altri stanno a cena qui invece la fantasia è dettata dal dionisiaco
da uno stato conscio irrazionale. La gioventù è terminata, quella è il lutto della vecchiaia, è fortissima la
sottrazione della vita e dell’economia in base alla quale ha disposto le sue immagini, il fatto che tutto
questo il reale e la fantasia in cui è un proiettarsi oltre. La proiezione verso la vecchiaia e che orienta lo
sguardo verso la giovinezza che lo tormenta, la vecchiaia riconciliata si vede già come prossimo della morte,
così come il tramonto come proiezione del giorno, il tramontare della luce e lo spegnersi è simmetrico in
chiave con la vecchiaia, la fantasia più che essere paragonata alla giovinezza è la cornice dentro cui
giovinezza e vita si corrispondono così come tramonto e vecchiaia, il processo raffinato che Holderlin mette
in scena in questa fantasia è il progressivo isolamento dell’io a cui proviene la vecchiaia, può giungere ad un
senso di pacificazione, andamento, accumulo di figure che ci portava ad un culmine, c’è un arresto al
cospetto della vecchiaia, non c’è un culmine, non c’è un recupero dei motivi, la pace della vecchiaia è anche
una pace amputata di tutta la sua pienezza, la pace fa capolinea solo alla fine all’interno di una solitudine
già predominante, in un attributo quasi esclusivo dell’io, quest’invocazione è altrettanto fantasia,
interessante è l’inversione, il sostantivo alla fine facendoci ripercorrere virtualmente un analogia, c’è una
progressiva gratificazione di una scenario in cui la vecchiaia celebra il suo trionfo non con una pace
gratificante, con uno spegnimento della giovinezza, quel focolare che bruciava l’inizio è anche nel sistema
metaforico del testo, attributo di questo calore del focolare, nel momento in cui l’io è stato introdotto nel
paesaggio come particella sradicata, la solitudine è già misura preponderante e quindi la partecipazione del
villaggio è già preclusa.

Potrebbero piacerti anche