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LEZIONE 6 – 17/03/2021

Rossana Simeoli - Monia Taranto

[Digressione iniziale
All’interno del Werther, così come, più in generale, nella poetica di Goethe e di quella sturmeriana,
si inizia a constatare uno snodo fondamentale della cultura europea, in cui comincia a coagularsi,
affermarsi, diffondersi, una più chiara coscienza di una modernità, che risulta inizialmente come un
itinerario delineato in chiave ideale che si riempie man mano di contenuti e sperimentazioni
formali. Con Modernità si intende anche quella sensazione nella coscienza degli allora
contemporanei, una sensazione di “non ritorno” rispetto a quelli che erano i valori portanti
dell’Ancien Régime, che prevalentemente persistete nella prospettiva tedesca, ma esiste comunque
una sensibilità di questa classe borghese che manifesta il disagio di valori antagonisti rispetto a
quelli dominanti.]

L’ultima cosa detta a proposito della lettura e analisi testuale della poesia intitolata “Ganymed”, era
proprio il titolo. Per riprender il filo del discorso, ci accingiamo a leggere una delle lettere più
importanti dal punto di vista del precipitato di temi che caratterizzano questa esplorazione nuova,
moderna, della natura. In che cosa consiste questa modernità è la domanda cruciale, ma anche quali
sono le tracce testuali che noi vediamo, sempre idealmente spostandoci con sempre più
consapevolezza e maturità di sguardo, dalla prospettiva che noi abbiamo che è quella di lettori direi
“ingenui”, o anche superficiali, che registrano un testo relativamente in modo epidermico, a pelo
d’acqua, più o meno con delle suggestioni, per poi usare questi elementi di partenza, usare questa
iniziale prospettiva per approfondire, e quindi scavare anche a ritroso le ragioni che sono
nell’ispirazione dell’autore, ilmodo in cui ha lavorato, ha costruito a tavolino, a partire certo da
un’ispirazione con una consapevolezza costruttiva di cui noi vediamo i riflessi, vediamo
letteralmente il poeta all’opera. Con questo snodo, che chiamiamo la genesi della modernità
borghese, l’alba di questa nuova, moderna civiltà europea, ci accorgiamo che muta anche la
posizione stessa dell’artista. E in questa fase sturmeriana, preludio di questo grande immaginario,
grande e complessa costellazione culturale, che è la cultura romantica, ci accorgiamo che l’artista si
stilizza, quindi proclama la sua presenza sulla scena in questo caso precisamente letteraria, con tutta
l’urgenza di questo sentire, protagonismo di questa propria soggettività che diventa l’unità di misura
percettiva del mondo esterno. Abbiamo osservato come la congiuntura del maggio, come appunto la
cifra della primavera, quindi anche il momento per antonomasia di rinascita della natura, abbiamo
visto che appunto a partire da Meifest, questo gaudio, questa serenità non turbata da nessuna
interferenza, da nessun elemento di crisi, di rottura, nessun tipo di conflitto o contraddizione, vede
questo soggetto in una perfetta circolazione semantica potremmo dire; non soltanto delle frasi e del
contenuto concreto delle immagini che cantano una natura ridente, in fiore, che appunto si risveglia
dopo il letargo invernale, ma anche questa circolarità che è fatta anche dal rispecchiarsi delle rime,
di questa coesione che viene poeticamente e liricamente che viene orchestrata dal punto di vista
delle strofe, delle ricorrenze, dalla specularità di questi due elementi del componimento. Abbiamo
già visto che vi è la traccia di un dinamismo che attraverso l’immagine per esempio della danza, di
questo dringen, drengen, tutte cifre semantiche che rimandano a questo campo dell’urgere, di una
vitalità esuberante, che non vuole tollerare i confini. Dunque già si predispone trasferendo lo
sguardo sull’altra lirica, ci accorgiamo che c’è stato uno smottamento, che da questa regolarità
compositiva siamo passati invece ad un divolgimento che, per assecondare l’esuberanza di questa
effusione erotica, e anche cosmica, questo personaggio che dice “io”, che si rivolge al Geliebter,
che è la natura ed è anche il cosmo, questo “ich” ha questa esuberanza, questa addirittura
tracotanza, questo ardire, questo coraggio di proiettarsi in un impeto, in questo afflato erotico ed
insieme mistico rispetto al creato, quindi a questa superiore gerarchia che è quella del cielo,
invocando una parità, un amplesso, che in qualche modo che in qualche modo rappresenti ancora
una volta la simbiosi della circolarità, perché abbiamo visto che anche qui le parole funzionano
letteralmente in un’ottica di corrispondenza armonica e speculare.
Hinauf! Hinauf strebt's.
Es schweben die Wolken
Abwärts, die Wolken
Neigen sich der sehnenden Liebe.
Mir! Mir!
In eurem Schosse
Aufwärts!
Umfangend umfangen!
Aufwärts an deinen Busen,
Alliebender Vater!

In alto! In alto mi spinge


una forza. Le nubi
si librano in giù, le nubi
piegano al desioso amore.
A me! A me!
Nel vostro grembo
in alto!
Abbracciato e abbracciante!
In alto verso il tuo seno,
padre, infinito amore!

Eravamo rimasti sulla questione del titolo che ci riporta ad un contesto mitologico. Questo è molto
importante perché è una traccia che ci aiuta ad inaugurare un cammino parallelo rispetto alla
riflessione teorica di questa nuova gioventù, una gioventù “scapigliata”, che sta rivendicando un
sentire inedito, che si ribella ad un principio di autorità, che della natura vuole fare la propria
complice, la propria alleata, la propria forza travolgente in questo nuovo sentire, che rivendica
autenticità contro l’artificio della società, che rivendica dunque questo, non solo un protagonismo,
ma anche una elitaria sensibilità che è propria solo dell’artista, solo del Genio, di colui che è per sua
propensione custode dei valori estetici. Il resto del mondo è un mondo ottuso, sordo al richiamo
della gioia di vivere, dell’intensità dei sensi, il contraltare, le controfigure di questa generazione
così volitiva, sono in realtà in un certo senso di riflesso percepite e anche rappresentate come la
quintessenza della noia. Se noi leggiamo il Werther per intero, ci accorgiamo che tra la tipizzazione
del personaggio di Werther e la tipizzazione del personaggio di Alberto, che è tecnicamente il suo
rivale, il promesso sposo di Lotte, intercorre un abisso di vitalità, e anche fascino. È chiaro che
Goethe orchestra la distribuzione dei ruoli anche perché propende in questa fase per la sensibilità di
Werther, gli interessa affermare l’estremismo della parabola di un giovane che è disposto al
sacrifico della vita, infondo, per paradosso, per affermare il superiore valore della legge del cuore.
Cuore è l’epicentro sia sintomatico, cioè il luogo fisico, organico, naturale, dentro cui alberga la
sensibilità di questi nuovi personaggi, ma è anche la cifra simbolica di una rivoluzione di valori, di
una contestazione dei valori dominanti.
Ganymed è un nome mitologico, per tornare all’aspetto che avevamo lasciato fra parentesi, e
rimanda non per caso, alla narrazione di un principe troiano nella tradizione della letteratura greca
antica, e in particolare uni personaggio che si trova menzionato nei poemi omerici. Ovviamente ora
potremmo aprire un capitolo di indagine della mitologia che ci previene a noi post-moderni
attraverso una concatenazione stratificata di letture di miti che hanno diverse varianti, che hanno
diverse letture e valenze; però a noi qui non interessa l’indagine filologica, in termine di
ricostruzione delle fonti, ci interessa che la cifra Omero fa capolino in questa poesia così
programmatica dal punto di vista del sentimento della natura, un sentimento celebrato nella sua
interezza: non c’è rottura, non c’è inclinazione, c’è un momento un’utopica felicità della
corrispondenza. E questo è messo in equilibrio da Goethe con questa citazione dalla tradizione,
tradizione che si rifà ad un repertorio mitologico. È molto importante in questo momento anche
osservare in centro luce che i valori che sono sul tavolo, sono oggetto di questa negoziazione
culturale, di questa transizione di valori, di questa transizione di valori, di questa contrapposizione
di sistemi culturali c’è appunto in ballo anche un richiamo al passato.
Qual è però l’investimento di valore, questo è il vero snodo che dobbiamo osservare, perché
l’antichità classica, classica in senso lato (classica è già un’attribuzione di valore), l’antichità
definiamola su un piano puramente scientifico, greco-latina, rappresenta un sistema di riferimento
genetico per la cultura occidentale. Ogni epoca, ogni fase, fino ai nostri giorni, ritorna
periodicamente e ciclicamente con la memoria a dedicare uno sguardo critico e anche una rilettura e
di una riappropriazione selettiva di elementi che sono, in senso più vasto, del passato. Perché è
chiaro che ogni epoca, in particolare questa epoca, e questa in partorire, che sta creando una nuova
classe, una propria identità, ha bisogno di legittimazione, come in ogni avvicendamento culturale.
La legittimazione è cercata ancora una volta nel passato, ma quello che noi ci accorgiamo, sta per
modificandosi strutturalmente in questa rilettura della tradizione greco-latina, è appunto che valore
viene ad essa attribuito. In questa precisa congiuntura, che é ancora al di qua della separazione di
fronti tra un’ottica che chiamiamo, dal punto di vista storico culturale, romantica, e un ottica che
chiamiamo dal punto di vista storico culturale, classicista, o neoclassica, questo per quanto concerne
la sfera culturale di lingua tedesca, è qui che la divisone di fronti comincia a palesarsi. Goethe in
questa fase guarda con trasposto a questa antichità greco-latina, investendola di tutta l’aurea propria
del mito. Il mito è un elemento molto importante all’interno dell’immaginario romantico, questa
investitura di valore positivo, questa anche nostalgia di un tempo idealizzato come età dell’oro, il
momento in cui, secondo la prospettiva dei moderni si ha avuto una somma felicità, nel senso di una
perfetta tra natura e cultura. Se c’è una cosa che la modernità comincia a intravedere con una e
talora drammatica e tragica consapevolezza, se guardiamo l’esito del Werther, proprio
l’incompatibilità tra questi due sistemi: la rottura e la cultura. La modernità è un distacco
progressivo a questa iniziale appartenenza dell’uomo, in senso in qualche modo idealmente intero,
all’universo circostante della natura. La modernità è un processo di progressiva distanza,
progressiva lontananza e perdita. Perdita di questa unità che viene a posteriori proiettata in questa
aurea mitologica. In altre parole per la cultura romantica, non solo Omero, ma tutti i rispettivi
passati mitici delle culture europee, che possono essere le saghe germaniche, le saghe nordiche,
possono essere le gesta del medioevo, sono investiti di questo importante valore di rappresentare
una sorta leggendaria, mitica, antecedente età di cui si è tragicamente smarrito nel presente il filo.
La modernità è costruzione di cultura, civiltà e anche tecnicamente, nel senso proprio del termine, la
modernità è avanzamento tecnico nella capacità di controllo della natura, che dal punto di vista del
posizionamento del ruolo fra soggetto e oggetto, è naturalmente anche un rapporto di dominio. E
quindi non un rapporto di adesione e partecipazione, ma piuttosto di funzionalizzazione, ancora
oggi la civiltà occidentale, fonda il suo principale vettore di sviluppo sulla tecnica, intesa ancora
oggi con tutte le contraddizioni che questo comporta controllo della capacità tecnica di controllo
della natura, dalla meteorologia alla esplorazione dello spazio, l’ambizione, e anche la competizione
tra i diversi sistemi si gioca sul controllo della tecnica, che ha assurto valore assoluto dell’idea di
progresso. Allora, quello che invece, la cultura romantica comincia a contestare, e quindi
cominciamo a capire anche perché questa apoteosi della natura ha questo grande valore, è proprio il
fatto che progresso codificato, nel senso di un razionale controllo sulla prevedibilità della vasta
fenomenologia del cosmo, della natura in tutte le sue estrinsecazioni, sia effettivamente rispondente
alle più profonde rispondenze dell’Umano. Ora parliamo di umano con la lettera maiuscola,
significa la concezione antropologica; la cultura romantica contesta questo primato di una ragione
funzionale, strumentale, che lede sì dal punto di vista della genialità romantica questa possibilità di
afflato e di compartecipazione e di ideale ritorno ad una unione con il mondo circostante. Non si
tratta di applicare una logica di calcolo, di artificiosa riduzione della natura agli scopi dell’uomo,
ma si tratta di recuperare tutta la panica bellezza del creato. Ora questi elementi sono importanti
perché creano anche nella nostra visuale, anche gli scopi concreti del nostro discorso, ci fanno
intravedere con maggiore nitidezza la contrapposizione terminologica tra la sfera del “logos” e la
sfera del “mytos”, sostanzialmente il rapporto che qui incomincia a scindersi, il dualismo
prospettico che si delinea in questa fase è proprio quella tra l’idea di una logica del raziocinio come
misura di tutte le cose e come perno dello sviluppo culturale e concreto, pragmatico di una società;
e dall’altra l’elemento del mito, mito che naturalmente collide con l’esigenza organizzativa di una
società moderna, capitalista, borghese che sta fondando la sua credibilità, legittimità, identità e
sistema dei valori proprio su questa cifra (o anche chimera a seconda dei punti di vista) del
progresso. Per Werther, di cui andremo presto a parlare, questo è regressione; per i romantici questo
modello di cultura è la rovina dell’umanità e occorre quindi tornare indietro, proiettarsi nella
nostalgica ma anche eroica riconquista di questa anteriore capacità dell’umano di rappresentarsi e
vivere in comunione con la natura, in adesione profonda di sentimento. Ecco perché il segnale
Omero è importante nel tracciato che stiamo disegnando, ovvero significa che nella proiezione
nostalgica della cultura moderna romantica significa la cifra di una ideale stagione della cultura
umana, quella greco-latina, antica, non la chiamiamo classica in questo momento ma “antica”,
un’età dell’oro nell’avvicendamento delle epoche culturali nella quale l’uomo viveva in comunione
con la natura.
Questa originaria condizione viene codificata parallelamente da un altro importante potremmo dire
“compagno di strada” di Goethe ovvero Friedrich Schiller, viene codificata nella contrapposizione
anch’essa fondante dal punto di vista delle coordinate di fondo del discorso culturale dell’epoca pre-
romantica/romantica, sturmeriana ovvero romantica che è la distinzione dialettica fra il concetto di
“naïf” e “sentimentalisch”. Cosa vogliono dire questi due termini che molti di voi avranno già
incontrato e in che misura ci tornano utili per mettere a fuoco con nitidezza sempre maggiore quali
sono le grandezze in relazione e vieppiù antagonista, non è neutrale la propensione per l’una o per
l’altra perché si sta verificando in questa radicale rivoluzione culturale una polarizzazione e quindi
anche un riassortimento, una ricombinazione dei valori, è come se l’impatto della modernità
potremmo vederlo in questa prospettiva, e non sbaglieremmo perché ci sono tante, cospicue,
affascinanti teorie che vedono nella modernità sostanzialmente l’esperienza di un gravissimo
trauma: la tecnica sta alterando la naturalezza dell’individuo e dunque la sensibilità romantica
reagisce con un attaccamento forte, ostinato, regressivo potremmo dire per altri versi ad una
tradizione, un equilibrio che la modernità sta alterando, una modernità che sta cavalcando l’idea di
un progresso tecnico della capacità di tecnologie come la macchine a vapore di modificare
sostanzialmente il paesaggio antropico, cioè che gli umani abitano e trasformano con il loro
intervento sulla natura, questa trasformazione è avvertita come una violenza nei confronti sia della
natura intesa come paesaggio ma anche natura umana; convivere con questa rivoluzione comporta
sostanzialmente costruire una difesa, nel senso non soltanto retroattiva ma anche proiettiva, ideale,
utopica, che possa salvare quello che la cultura romantica sente in pericolo, cioè la salvaguardia
dell’autentico, ciò che Schiller codifica come l’ingenuità. È chiara nella prospettica dei moderni la
consapevolezza di una perdita irreversibile, la natura non è più l’habitat naturale come, secondo
questa prospettiva, lo era nel mondo greco antico, in questo mondo idealizzato proprio per questa
capacità naturale di convivenza tra il “logos” e il “mytos”, soprattutto per questa fiabesca
innocenza, addirittura dorata nel senso di una proiezione che mira a vedere in questa infanzia
dell’umanità un’età dell’oro, l’apice non più raggiunto di questa magica capacità di convivenza
armonica. Compito dei moderni nella percezione del Goethe autore del Ganymed, autore ora
vedremo di una lettera scritta maggio da parte di Werther quindi nella stessa congiuntura ariosa,
festosa, in cui per un attimo la postazione culturale dell’uomo moderno può dimenticare la frattura e
utopicamente illudersi di un ritorno a quella condizione che poi, guarda caso, in maniera
equivalente, simmetrica, coerente, di fatto la modernità codifica anche nella sfera dell’infanzia. È
come se ci fosse una sorta di corrispondenza biunivoca, la modernità sta all’età adulta come il
mondo antico, ingenuo sta all’infanzia; ecco che l’adulto è proprio quella condizione esistenziale e
culturale che è segnata dalla consapevolezza di una perdita, ed è quindi anche segnato da questo
investimento sentimentale, proiettivo, nostalgico nei confronti sia del passato culturale che ha alle
spalle sia del passato antropologico che è l’età dell’infanzia, dove appunto l’ingenuità del bambino
rappresenta la cifra di questa incosciente, in tutte le accezioni del termine, questa nozione del
mondo che si fonda non sul ragionamento, non sulla frattura del pensiero, della mente e quindi della
gerarchia e anche della mente che sopraffa l’aspetto istintivo, sensoriale ma al contrario proprio una
istintiva, spontanea appartenenza al mondo circostante.
Dunque Ganymed è il rimando, niente affatto casuale, programmatico a questa costellazione
omerica, che non è tanto la filologia dei singoli poemi, una incursione dettagliata nelle singole e
molteplici che sono consegnate alla narrazione omerica, non è neanche un’incursione nella
personalità dell’autore, interessa questa raccolta di miti; è come se questa cultura stesse dicendo, e
lo dice in altre sedi per esempio con un autore che ci limitiamo per ora solo a citare cioè Herder, che
in fondo la Bibbia sta ai poemi omerici, sta alle saghe germaniche; cioè c’è bisogno in questa
congiuntura della modernità di appellarsi a queste riserve mitologiche, a queste leggende, narrazioni
che in qualche modo si contrappongono al primato sterile nel senso di spoetizzante che è peculiare
nel mondo della ragione; invece il mondo romantico si proietta in questa Epopea di cui tenta in
modo sentimentale, dunque con la consapevolezza che è il risultato di un’operazione culturale di
riappropriazione, tenta questo recupero, che non può che essere utopico e in modo complementare
anche tendenzialmente effimero perché abitato dalla consapevolezza della fragilità di questa
prospettiva, perché la condizione moderna è oggettivamente una condizione di perdita di quella
naturalezza, non c’è più questo compartecipato rapporto con il cosmo; c’è però la poesia, poesia
come veicolo proiettivo, come trasporto, esattamente come lo stiamo vedendo nei primi brevi testi
che iniziamo a riconoscere come coerentemente allineati lungo la traiettoria di un tentativo di
recupero di questa pienezza, di questa circolare simbiosi che ancora l’io all’interezza del tutto,
possiamo anche dire che la natura è di per sé figura di una totalità che l’individuo moderno sente, e
direi che la cultura romantica sente con straordinaria precocità rispetto alla contemporaneità, sente
come degenerazione culturale, come perdita che va arginata; ed ecco questo proiettarsi con tutta
l’enfasi, il furore, l’ardore e l’ardire con questo coraggioso sbilanciarsi nel tentativo di recupero
all’indietro e idealmente in avanti, perché questa età dell’oro che si è perduta va idealmente
ripristinata nel futuro. Abbiamo dunque questa duplice dialettica complementare, scansione di
tempi: il presente è il momento dentro cui avviene la percezione dolorosa della lacuna, della perdita,
e soltanto in alcuni estemporanei attimi si palesa una felicità che però è consapevole della propria
vulnerabilità; il moderno è l’individuo sentimentale, è colui che può soltanto struggersi, nel senso di
una aspirazione.

[Digressione sulla Sehnsucht


Voi sapete che Sehnsucht (nach) è una parola cruciale nella congiuntura culturale del romanticismo
ed è anche un parola caratteristica nella misura in cui la definiamo “intraducibile”, non per una
definizione teorica ma per un’effettiva esperienza empirica perché peculiare di questa costellazione
romantica; la Sehnsucht, questo anelare, disperare, struggersi, è però (ed è questo l’aspetto peculiare
della sensibilità romantica) non soltanto un recupero nostalgico che guarda all’indietro, noi
sappiamo che nach è proiettivo anche in avanti, ed è questo il movimento strutturale della cultura e
anche dell’investimento utopico del romanticismo; l’idea che si possa e si debba recuperare e
dunque proiettarsi in un movimento, e qui troviamo un’altra parola importante nella gamma
semantica di questa cultura, un movimento progressivo, un movimento che tende all’infinito e si
realizza in questo cammino, nel percorso, nella tensione, in questa Sehnsucht nach, in questo
Streben nach.]

Breve pausa prima di leggere la lettera del 10 maggio, in cui noi troviamo ancora una volta il segno
che il laboratorio non solo degli strumenti stilistico ma anche dell’immaginario è concentricamente
diretto a esplorare quali strumenti sono alla sua portata, soprattutto quanta capacità di significazione
Goethe come autore, Werther come personaggio che viene mosso dall’autore, indirizzato a fare
certe esperienze, a perlustrare questo mondo circostante, qual è il repertorio di figure e quali sono
anche le esperienze dei sensi che sono alla portata di questo personaggio, e quali anche
investimento di totalità è all’orizzonte, questo miraggio è palesabile al signor Werther ma
naturalmente anche per Goethe che in questa natura, in questa ingenuità immaginata, sappiamo poi
che l’esito del Werther non è questa condizione di felicità e tantomeno di corrispondenza di amorosi
sensi con il cosmo circostante e con l’amata, l’equilibrio di Ganymed, l’equilibrio che era già stato
di Mai Fest è destinato tragicamente a franare, ed è questa la vera condizione della modernità: la
consapevolezza della fragilità di ogni idillio, la consapevolezza che in realtà il proprio tratto
distintivo è la consapevolezza del dolore, della perdita, dell’amputazione, della non corrispondenza;
ed è anche questo il motivo per cui Werther appare molto più moderno ma non nel senso di
un’astratta scala di valori ma nella capacità di dare forma ad una condizione che è oggettivamente
mutata nella cultura di questo tempo.

[Domanda e digressione su mytos e logos


Viene chiesto di ridare la spiegazione di “logos” e “mytos”: essi sono due termini greci, logos
significa logica, ragione, principio di parole molto importanti anche negli archetipi che stanno
depositati nelle sacre scritture; mytos è appunto la narrazione che precede l’inizio della storia, la
storia è quella che è tramandata da fonti, il mito è l’immaginazione anteriore nella quale noi
immaginiamo, noi sappiamo che ogni cultura si è data delle spiegazioni, però attenzione il mito è
diverso dalla scienza, nello spiegare le origini del mondo gli antichi ricorrevano a narrazioni
fiabesche, come Venere nata dalle acque, e soprattutto gli dei in quanto incarnazione della
fenomenologia del cosmo prima ancora che interpreti tutta una serie di vicende umane-divine, la
mitologia greca ha questa grandissima, affascinante proprietà di essere profondamente umana]

Viene chiesto se in un certo senso mytos-logos e naïf-sentimentalisch sono due coppie tra loro
speculari, opposte; la risposta è affermativa e viene aggiunto: così come anche in questa
congiuntura culturale guardata anche nella storiografia letteraria del tardo ‘700 tedesco, questo
bellissimo riassunto viene descritto nella sintesi a cura di Ulrich Erkindel, una tedesca che scrive
una storia della letteratura tedesca in Italia, dunque è come se raccontasse agli italiani la specificità
dello snodo culturale tardo settecentesco nella cultura tedesca, che è diverso da quello delle altre
culture, in questa precisa congiuntura si contrappongono anche il concetto di romantico a quello
classico, nonché a quello illuministico, si contrappongono non perché siano in sequenza ma perché
convivono in questo paesaggio diverse letture innanzitutto di ciò che sta accadendo ma anche
dell’attribuzione di valori, cioè è bene dare priorità e primato alla ragione? C’è tutta una corrente
culturale europea che dice sì, che è fondamentale in quanto ci emancipa dall’oscurantismo, dal
potere assoluto, la possibilità di rivendicare autodeterminazioni a partire da questo strumento
fondamentale che è la ragione; quello che è importante vedere è che questa rivendicazione esiste
anche nel mondo culturale tedesco, il manifesto per eccellenza dell’illuminismo tedesco è però
contemporaneo, anzi successivo all’esplosione della sensibilità romantica.
Parlavamo l’altra volta dell’Emilia Galotti, questo dramma sentimentale che è scritto dall’autore
tendenzialmente considerato programmaticamente più esemplificativo dell’illuminismo tedesco che
è Lessing. In questa movimentata stagione in cui non soltanto convivono più spinte, ma anche gli
stessi protagonisti sono in una fase di evoluzione molto turbinosa ed estremamente significativa, in
quanto è una sorta di sondaggio simultaneo di tutta una serie di opzioni: che cosa è più importante
in tutto questo rivolgimento mentre in Europa si consuma la Rivoluzione Francese e
contemporaneamente sta accadendo la Rivoluzione Industriale e c’è tutto questo fervore.
Ad esempio, alcuni di questi giovani ragazzi quando sapranno che è scoppiata la rivoluzione a
Parigi pianteranno l’Albero della Libertà e saranno specificamente Hegel, Schiller, cioè protagonisti
che sceglieranno poi valori tendenzialmente legati alla salvaguardia della tradizione, eppure per un
momento hanno avuto questo coinvolgimento così passionale e non saranno gli unici, in quanto tutti
gli Sturmeriani saranno entusiasti fautori della Rivoluzione Francese.

[Digressione sulla Sehnsucht


Sehnsucht è un termine ritenuto “intraducibile” (dalla corrente di pensiero che fa capo alla Francia,
chiamata “Teoria degli Intraducibili”), nel senso che si tratta di un termine che non si riesce a
ricondurre ad una diretta equivalenza, poiché non si riesce a trasportare tutta la complessa
simultanea convivenza dentro il perimetro di questo verbo e per dirlo in italiano bisogna dire tante
cose. La cosa principale è che dobbiamo dire delle cose anche contraddittorie paradossalmente o in
qualche modo dialetticamente complicate: “Sehnsucht nach” significa simultaneamente “avere
nostalgia di qualcosa che è stato” e “aspirare, proiettarci in avanti” ed è questa bipolarità di questa
parola mondo, così chiamata in quanto contiene il portato di questa congiuntura culturale in cui
principalmente si contrappone al presente, al mondo dato, a tutto ciò che è esistente per rivalutare la
fiamma delle origini, l’incanto fiabesco da infantile, ingenua poesia del mondo rispetto a questa
ragione o a questo sistema organizzato che opera violenza rispetto all’incanto che corrisponde in
questa nostalgica proiezione alla felicità e però riproporsi di ricostruire questa felicità. È un compito
sentimentale, nell’accezione tecnica di questo termine che questa cultura codifica (sentimentale:
qualcuno che ha una nostalgia con la consapevolezza in fondo della vanità del proprio sforzo), ecco
che l’investimento anche dell’energia, il pathos, l’intensità di tutte queste proiezioni di Sehnsucht
sono anche volte a compensare attraverso il volontarismo della passione, l’utopica predominanza di
un sistema di valori antagonistico. Romantico è proprio anche nella sommaria quotidiana corrente
colloquiale accezione qualcuno che in realtà ha valori altri, che sta perso con la testa da qualche
altra parte, e la logica del mondo funzionale tende a sorridere o anche guardare con un certo sfregio
chi ha queste fantasie un po’ perse in un’altra scala di valori ideale, fantastica, immaginifica. La
scommessa avvincente della cultura romantica però è che qui risiede l’arte, cioè la capacità di
coltivare questi valori e di coltivare quindi anche la nostra anima, di proiettarci malgrado la sobria
prosa del mondo verso la poesia e l’incanto dell’anima. Sono anche locuzioni che questa cultura
mette letteralmente sul tappeto, in particolare l’idea che la realtà sia una prosa, nel senso traslato e
sia quindi disincanto, e che invece spetti all’artista romantico nella sua generosa capacità di
investimento romantico a ridipingere il mondo con altri colori, con un’altra capacità di poesia.
C’è un’ambivalenza strutturale nel termine che si ritrova nel mytos e logos, cioè la Sehnsucht è un
tentativo di proiettarsi oltre il logos che infondo è il principio dominante del mondo borghese
moderno, proiettarsi all’indietro nel recupero del mito. Non è casuale che Goethe intitoli una poesia
“Ganymed” sta parlando di un sentimento profondissimamente moderno, sta parlando di questa
rivoluzionaria dell’ingresso dei sensi nella poesia in questa forte coloritura erotica cosmica che però
nella sua modernità lui legittima richiamandosi al mito di Ganymed, richiamandosi ad un’epopea
omerica, proprio perché c’è bisogno di stabilizzare con dei modelli attinti nella tradizione antica alla
quale si attribuisce una sorta di consonanza con questi desideri. La Sehnsucht nach è proprio
un’idea omerica del mondo, una fantasia naturalmente, anche nel senso che Omero medesimo viene
riscritto e Ganymed è un esempio. Si chiama Omero il desiderio moderno di ritrovare una quiete
antica.]

Goethe, I dolori del giovane Werther - Lettera del 10 Maggio


La lettera scelta è quella del 10 Maggio, in quanto se si segue la traccia filologica si ricostruisce
letteralmente il paesaggio della scrittura di Goethe, cioè là dove lui si è industriato con le parole e
ha cercato un equilibrio anche ritmico. Questa lettera è parte del primo segmento della narrazione
epistolare, in cui Werther è un giovane romantico ancor prima di innamorarsi, è un “perdigiorno”
come direbbe un borghese. Werther è dedito al culto della natura, nella quale riconosce la fonte
primigenia della sua sensibilità estetica ed infatti egli ama non per caso anche disegnare. Il quadro
che lui ritrae in questa scena è quello di una panica felicità di compenetrazione con la bellezza del
cosmo in una giornata primaverile.

Da notare quanto importante sia nella lettera il termine “ganz”, dove “ganze Seele” corrisponde al
“ganzem Herzem”: c’è una totalità dell’io, della soggettività, di questa istanza che è proiettata
nell’altrettanta interezza di questo mattino di primavera contraddistinto da questa meraviglia e
serenità. Vi è una dinamica di proiezione, in cui la pienezza non è soltanto l’esuberanza di una
natura in fiore, ma anche questa corrispondenza, questa elargizione da parte della natura che
incontra una sensibilità ad hoc proprio in un’anima fatta come quella di Werther, ciò significa che ci
vuole un’anima di artista perché la natura nel suo essere possa trovare corrispondenza. La prosa
ottusa del borghese è insensibile al richiamo dei sensi, è insensibile anche a questa avventura
estetica che la contemplazione della natura in sé riserva.

Werther in questa lettera ci dice qualcosa che pare quasi un paradosso: nel momento in cui la
pienezza del sentire è così esuberante, lui in realtà deve semplicemente vivere, essere e cioè,
secondo l’immagine ingenua del mondo antico e omerico, non staccarsi e riflettere abbandonando lo
stato di grazia, ma rimanere dentro questa perfetta magia e serenità di questo attimo. Egli ci dice
che non riuscirebbe a disegnare nemmeno una singola linea – qui troviamo lo snodo del paradosso -
eppure non è mai stato un pittore più grande che in simili attimi. Werther si riempie di tutta la carica
di ispirazione che la natura sa elargire, però non può fuoriuscire da questo stato di grazia, motivo
per cui fa provvista di momenti di esaltazione estetica, compenetrazione armonica con la natura e
sta. La pienezza della condizione ingenua è proprio quella che non ha bisogno di fuoriuscire, ha una
pienezza in sé compiuta.

Si assiste all’accumulo di “wenn, wenn, wenn” che termina poi con un “dann” e questo è un
sillogismo poetico, in cui si intende dire che quando la natura è nel pieno della sua fioritura, e
quindi questa bellezza si declina in tante diverse immagini, allora Werther è all’apogeo della sua
felicità. Questa è la struttura formale che prende spazio nell’economia di questa lettera e poi
cadenza nel ritmo che ci riporta al “ritmo del cuore”, cioè questo movimento di sistole e diastole, di
andata e di ritorno e qui Goethe tenta di mimarlo attraverso la scansione di queste singole unità che
sono però idealmente a volte contenute nell’economia di un solo periodo. “Dann” rappresenta una
cesura, cioè c’è tutto un accumulo di circostanze, anche nel senso del pathos, della sospensione che
appunto poi culmina in questo “dann”. Nel momento precedente al “dann” si stanno solo
accumulando le sensazioni, quel momento di interezza e di compiuta appartenenza alla natura, in
cui Goethe racconta del Werther e quindi esprime anche la sua visione estetica, non è possibile per
l’artista che sia moderno, ma idealmente capace di ritrovare lo stato di grazia ingenuo: in quel
momento si è un tutt’uno con la natura e non si può scrivere, tantomeno tratteggiare come pittore le
bellezze che vengono percepite, perché lì risiede il culmine di un’estasi che non può essere rotta
dalla riflessione e dal distaccarsi e dal fare il resoconto di questo istante. L’istante va vissuto e
assaporato in tutta la sua ricchezza di risonanza.

Werther è sdraiato nella natura e troviamo il rapporto micro-macrocosmo: lo stare di nuovo a


contatto con la terra, naturalmente idealmente mirando il cielo, questa ancora una volta sferica
misura della percezione che congiunge idealmente il cielo e la terra, ma soprattutto in questo caso
l’attenzione sta al micro e al macrocosmo, perché il gioco è fra l’infinitesimale e l’infinito e si vede
anche il gioco di lavoro sui diminutivi che vi è nel testo. La cosa interessante è il rapporto di
prossimità tra questi vermetti, questi piccoli moscerini con il cuore, quindi questo epicentro del
sentire che a sua volta è una sorta di misura sferica del mondo, perché è da qui che promana
un’avvolgente prospettiva. In questo percepire i piccoli esseri infinitesimamente così messi a terra
accanto al dio che è sdraiato in questo prato, a questo punto sente la presenza dell’Onnipotente. È
importante questa ulteriore simmetria che legittima l’esuberanza creativa dell’artista prometeico o
comunque ardimentoso e programmaticamente proiettato verso il protagonismo della sua sensibilità
è anche una continuazione della creazione divina, cioè il Genio, l’artista sturmeriano, prometeico,
romantico è colui che di fatto continua in sintonia con l’opera del Creatore la stessa capacità di
forgiare forme attraverso l’arte.

Quando accade lo struggimento, questa passione proiettiva in avanti, cioè ci si protende in questo
sentire così intenso e nuove, si pensa potessi infondere alla carta tutto ciò che si vive in maniera
così piena, calda, bramosa che diventa lo specchio dell’anima così come l’anima è specchio
dell’infinito, ma Werther affonda in tutto questo, soccombe, soggiace. Ci si rende conto che
nell’involucro idealmente sferico di questa lettera che è costruita su una serie di premesse che
portano a certe conseguenze, c’è tutto un lavoro di circolarità di immagine simile (indicate nel
testo).
Se si guarda nuovamente la poesia Ganimede ci si accorge della ricorrenza anche di questa presenza
e soprattutto del lavoro sull’immagine dell’amata che è un tutt’uno con questo gaudio che in quanto
tale richiede soltanto la capacità di essere nel presente, di non riflettere e non spezzare l’equilibrio
magico di questo incantesimo che ha a che fare con la percezione di essere tutt’uno, perché è un
rapporto ancora una volta fisico: è lo stare sdraiati, il percepire la vicinanza delle piccole bestioline
che sono insetti e vermi piccolini che però richiamano la vastità del cosmo, cioè ognuno di questi
elementi è in equilibrio mirabile con l’interezza del cosmo. Ecco che ritornare ad essere parte di
questa interezza, di essere tutt’uno, impedisce consapevolmente a Werther di riflettere, di pensare e
di fare un passo di lato per restituire queste sensazioni. È ovvio che è un gioco di simulazione, di
finzione letteraria perché è chiaro che qui c’è un lavoro di scrittura e sul tentativo di dire con le
parole l’estasi che è questa soggettività in questo momento per il Werther precario, è un momento
fugace di felicità che vuole essere restituito nella sua interezza. Gli organi principali di percezione
sono la Seele e lo Herz, l’anima e il cuore, cioè proprio i due bottoni trainanti della sensibilità
sturmeriana in cui risiede tutta questa proiezione che insieme è nostalgica, ma anche proiettiva e
dunque è sedimento della memoria, che rimanda e vibra in consonanza con il mondo antico, e
contemporaneamente si proietta con la consapevolezza moderna di un’operazione utopica e quindi
fragile, in questo senso sentimentale che è un termine in bilico: si fa molto alla vibrazione e
l’intensità del sentimento, ma con la percezione che è anche u po’ un calco e cioè è sentimentale chi
si attarda nel sentimento, non chi lo vive, è probabilmente qualcuno che ha vissuto il sentimento e
ne ha nostalgia ed in tal senso ne è fuoriuscito; è uscito da questo cerchio magico che in questa
lettera non è soltanto la felicità del nostro Werther prima della tragedia che lo attende, ma anche una
costruzione a tavolino geniale di Goethe che ha messo letteralmente in cerchio tutti gli elementi di
questo disegno costruendo una perfetta corrispondenza che, se si guardano i tre testi analizzati, ci si
accorge sono su una traiettoria di profonda coerenza lirica e la ricerca di Goethe si è concentrato su
come raccontare la natura come sentimento moderno, nel senso si un recupero dell’ingenuità e
quindi nel tentativo di raccontare l’esuberanza dell’anima e del cuore e la loro felice corrispondenza
con il mondo naturale. Il mondo naturale viene esplorato, nei suoi micro e macro-elementi, ma
sempre nell’idea che poi in questa solitudine c’è la pienezza del tutto.

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