Sei sulla pagina 1di 9

Uomini e mascolinità

Un filone significativo della storia di genere ispirato dal femminismo ha riguardato gli uomini come
soggetti storici anch’essi dotati di genere e ha esplorato le variazioni di significato di mascolinità.
Concentrazione dello storico sull’uomo in quanto tale e sui significati della mascolinità – perché è
importante? Perché la storiografia a lungo si è occupata dell’attività sociale, politica, economica
degli uomini senza considerarli come esseri dotati di un genere. Questi attori del processo storico
sono stati precedentemente visti come senza genere, senza corpo. Solo le donne erano pensate
nella loro dimensione corporea (come embodied) e infatti venivano definite come the sex (il
sesso). L’idea che il genere abbia influenzato attori sociali, processi ed eventi storici (guerra,
industrializzazione, impero, costruzione nazionale) a lungo è stata inesplorata. Coloro che hanno il
potere e ricoprono cariche sociali elevate non vedono sé stessi come un gruppo, ma si vedono
come ‘normali’, come l’universale senza un marchio, mentre gli altri sono diversi.
Lo sviluppo della storia di genere ha incoraggiato gli storici a porsi domande critiche su come la
mascolinità, il codice e le norme di questa siano stati intesi nel passato e come abbiano influenzato
sia la vita degli uomini che delle donne.
Nel capitolo la mascolinità si intende come le norme di genere, le aspettative, gli ideali e i tratti
associati all’essere uomo. È un termine che non è stato sempre usato nel passato e molto dipende
dalla lingua che si prende in considerazione. Il termine mascolinità deriva dal francese masculinité,
associato al concetto di virilité. Nell’accezione inglese del termine veniva impiegato prima del
Novecento per indicare ciò che non era femminile, insomma era implicato nella differenziazione di
cosa era maschile e cosa femminile. Poi assumerà tutt’altro significato.
Quindi, oggetto di analisi: come la costruzione sociale e l’esperienza di essere uomo hanno
influenzato le identità degli uomini e le loro attività, e come queste si sono differenziate attraverso
le culture e i gruppi e nel tempo. Gli studiosi impiegano il termine mascolinità al plurale, non al
singolare, in quanto insistono che non c’è mai stato un unico modo di essere uomo, ma anche allo
stesso tempo possono essercene molti. Cosa significa essere uomo o mascolino in un dato periodo
storico dipende dal contesto sociale in cui l’uomo ha agito. Gli uomini sono parte della famiglia,
dell’ambiente lavorativo, di associazioni solo maschili e sono parte di diverse istituzioni a seconda
della fase della vita (scuola, arma ecc). In ogni particolare periodo storico alcuni attributi della
mascolinità potrebbero diventare dominanti.
Egemonia (Raewyn Connell) – egemoniche sono le costruzioni culturali dominanti, il codice degli
attributi mascolini preminente. I tratti egemonici sono ritenuti naturali. Sembrano permanenti,
sembrano voler dire che così sono gli uomini e così dovrebbero essere, mentre in realtà tali tratti
sono contingenti, fluidi, costruiti storicamente, mutabili e sempre in divenire. Ci sono vari modelli
in competizione, per cui mascolinità = formazione di genere instabile.
Gli storici di genere ritengono che mascolinità e femminilità si definiscano in relazione l’uno con
l’altro. Riconoscono che le relazioni tra uomini e donne sono state non eque. Ma l’essere
mascolino storicamente non è semplicemente stato visto in opposizione all’essere donna. La
mascolinità nell’Ottocento in Inghilterra era solo secondariamente collegata alle donne. Si trattava
più che altro di caratteristiche interiori dell’uomo, il suo carattere, il tipo di comportamento che
esibiva di fronte al mondo. Essere uomo riguarda in grande misura sia le relazioni tra uomini che
una gerarchia di genere in cui gli uomini hanno il potere sulle donne. L’antropologo David Gilmore
sostiene che la mascolinità deve essere dimostrata, è uno status che deve essere testato e
provato. La mascolinità è sempre soggetta a scrutinio, in uno stato di contestazione perenne.
Andiamo nell’Europa del tardo medioevo. Ruth Mazo Karras ha studiato come i ragazzi diventano
uomini in questo periodo. In quest’epoca si diventava uomini, si era mascolini, dominando gli altri
uomini o competendo contro di loro con successo. La maggior parte degli uomini medievali dava
per scontato il posto subordinato della donna nella società, quindi la soggiogazione della donna è
sempre stata parte della mascolinità ma non sempre il suo obiettivo o la sua caratteristica
centrale. Ha analizzato tre gruppi di uomini – cavalieri, studenti universitari, artigiani urbani – in un
periodo tra 300 e 500. I cavalieri combattevano per impressionare gli altri uomini perché
sarebbero stati questi a valutare il giovane e confermare il suo essere uomo. Anche in ambito
universitario era fondamentale la competizione. Gli studenti affrontavano scontri intellettuali, per
loro la mascolinità era moderazione e razionalità, caratteristiche che li differenziavano da donne e
bestie. Nell’ambiente urbano degli artigiani essere uomo significava raffinarsi perfettamente nella
propria specialità/nel proprio mestiere, possedere doti, raggiungere l’indipendenza, dimostrare di
poter essere un cittadino degno.
Ora spostiamoci nell’Inghilterra della prima modernità, tra la metà del 500 e del 600 (analisi di
Shepard). Nei tratti medici e nelle opere letterarie che definivano la mascolinità patriarcale, ci si
riferiva alla mascolinità come un possedimento (estate), uno status cui erano connessi dei
privilegi. Tutto ciò era collegato all’essere il capo sposato di un ambiente domestico/unità
abitativa. L’età, lo stato civile e lo status sociale erano tutti modi di diventare uomo e godere dei
privilegi connessi all’esserlo. Le persone che erano giunte a questo stadio si riteneva avessero
qualità che permettevano loro di governare le proprie passioni, il comportamento dei subordinati
e di quelli di rango più basso. Altre caratteristiche importanti erano onestà, autorità e forza,
moderazione, razionalità e ingegno. Anche qui era uno status che ci si conferiva tra uomo e uomo.
Non tutti gli uomini riuscivano a raggiungere l’indipendenza economica. Quelli che erano giovani e
poveri trovavano modi alternativi di asserire la loro mascolinità. I giovani uomini sovvertivano i
codici patriarcali della mascolinità radicati nel controllo di sé e dell’ordine attraverso rituali di
eccesso, tra i loro compagni coetanei, uscendo di notte, bevendo fino all’eccesso, con atti di
violenza o vandalismo, sesso illecito, fatto su cui spesso le autorità locali tacevano mostrandosi
tolleranti. Per gli uomini lavoratori l’ambiente era ad esempio la taverna (bere grandi quantità di
alcool). Shepard presta grande attenzione al significato della violenza per la mascolinità. Violenza
che spesso veniva usata per rinforzare le norme patriarcali. Era un modo in cui si disciplinavano i
subordinati, si sfidava l’autorità, si difendeva la propria reputazione. Forma di mascolinità
alternativa che sfidava quella egemonica, rendendola instabile.
Kathleen Brown analizza l’instabilità della mascolinità patriarcale e egemonica nella colonia della
Virginia (in epoca coloniale). Come suggeriscono Shepard e Brown, la mascolinità patriarcale
inglese e l’autorità politica basata su di esso erano basati sull’ottenere lo status di capofamiglia
indipendente. Problemi della situazione nella colonia: carenza di donne inglesi, frequenti
incursioni degli indiani colonizzati, anni di lavoro al servizio di altri. Risentimento contro i ricchi
leader della colonia, specialmente contro il governatore della colonia William Berkeley accusato di
favoritismo. Gli uomini delle élite erano sfidati da donne, dissidenti religiosi, servi e schiavi
indisciplinati. Ciò alimentò una crisi nella leadership che portò a una ribellione nel 1676. Bacon’s
Rebellion = interpretata come conflitto tra due diversi tipi di mascolinità. I piantatori elitari che
esprimevano la loro posizione in termini di onore maschile si opponevano a capifamiglia bianchi
senza potere che tentavano di attestare la loro mascolinità con la pistola, difendendo sé stessi e la
propria proprietà dagli indiani. La ribellione terminò con la morte di Bacon (capo dei ribelli). Negli
anni successivi alla ribellione, un accordo politico fu raggiunto con il passaggio di leggi che ebbero
come effetto la formazione di una nuova mascolinità della classe anglo virginiana che definiva sé
stessa contro la mascolinità indiana e africana e contro le donne. Rivitalizzò le forme della società
patriarcale, rese più forte l’autorità domestica dell’uomo ordinario e aiutò a forgiare una identità
autentica anglo virginiana tra gli uomini delle élite. Grande importanza veniva data alla legittimità
e alla stabilità del loro status. Per i gentlemen coloniali, l’autorità era una questione delicata. Era
specialmente l’autorità domestica ad essere continuamente sfidata da servi, donne e bambini. Un
ideale di tranquillità domestica non fu mai sicuro perché era fondato sulla violenza e sulla
schiavitù. La violenza e le reazioni a questa avevano il potere di minare l’ordine patriarcale
confrontando i piantatori con il fatto che molta della loro autorità dipendeva dalla loro abilità di
infliggere il dolore.
La ricerca di Anne Lombard ci sposta nella nuova Inghilterra coloniale tra il finire del Seicento e
tutto il settecento. I puritani che erano immigrati nel Massachusetts vedevano l’essere uomo
nell’indipendenza economica, nel possedere una proprietà, nel lavoro autonomo, tutto questo era
il prerequisito dell’indipendenza. I caratteri dell’uomo si acquisivano, un uomo doveva dimostrare
di avere il controllo su sé stesso, su tutto ciò che era passionale e sensuale e naturale. La
mascolinità era in parte definita in contrasto con la femminilità, ma aveva la stessa importanza la
contrapposizione di questa all’adolescenza e alla dipendenza. Qualcuno che fosse un capofamiglia
indipendente e responsabile per una famiglia aveva più probabilità di essere definito un uomo. Il
puritanesimo era assolutamente centrale per gli abitanti della colonia. I padri governavano in
nome del controllo razionale, del controllo di sé stessi, sulle passioni. Importante ruolo del padre
nell’educazione dei figli, cui venivano inculcati gli stessi valori, necessari per diventare un uomo.
Ma nonostante l’autodisciplina e l’autocontrollo fossero enfatizzati, la forza fisica e la violenza
rimanevano associati alla mascolinità nel seicento e nel settecento nelle colonie della nuova
Inghilterra. I padri potevano usare la violenza per disciplinare figli mogli e dipendenti o altri uomini
che minacciavano la loro proprietà. Poi si verificò un declino in questa ultima forma di violenza, ma
aumentava il numero di scontri tra gentlemen e lavoratori. Il ricorso alla violenza per mantenere o
minacciare l’onore maschile preoccupava la mascolinità puritana basata sull’autocontrollo
razionale e sull’autorità patriarcale.
Gli studi analizzati suggeriscono che gli scontri / i confronti violenti tra uomini, e specialmente la
violenza dei patriarchi contro i subordinati, assalivano la mascolinità patriarcale di contraddizioni.
Confronti violenti che implicavano duelli tra uomini della stessa posizione sociale furono a lungo
usati in Francia. Secondo Robert Nye questo è un retaggio del codice d’onore medievale, fu
adottato dalla classe media fino all’Ottocento. Questi codici di onore regolavano le relazioni tra
uomini su vari livelli, professionale, sportivo, politico. Con il duello gli uomini difendevano il loro
onore pubblicamente e regolavano le dispute che sorgevano tra loro. Partecipando al duello un
uomo faceva mostra dell’eroismo fisico e del coraggio dell’uomo. Una seconda fonte di onore era
collegata all’eterosessualità maschile. Una varietà di discorsi medici e politici mostra che l’identità
di un uomo era radicata nel sesso del suo corpo e che le sue capacità e pratiche sessuali erano
sempre temi di preoccupazione pubblica. Il disonore era collegato anche ai disturbi/disordini della
sessualità. C’era ansia crescente in merito all’energia sessuale degli uomini negli ultimi decenni
dell’Ottocento e negli anni che hanno portato alla prima guerra mondiale. Calo delle nascite, paura
del declino della nazione, preoccupazioni per la degenerazione sessuale. Nye nota che mentre la
sessualità femminile era data per scontata, la sessualità maschile era vista come problematica. La
salute povera del corpo maschile era ritenuta responsabile per il declino della vitalità della nazione
francese. La fine dell’Ottocento in Francia vede quello che molti studiosi hanno definito una ‘crisi
della mascolinità’.
Cristopher Forth analizza l’affare Dreyfus, uno scandalo politico avvenuto in Francia tra Ottocento
e Novecento. Alfred Dreyfus fu un capitano militare ebreo che fu accusato falsamente di aver
venduto segreti militari alla Germania nel 1894, dreyfus fu condannato ed umiliato
pubblicamente. Sia chi lo supportava che chi lo condannava mobilitò immagini di mascolinità nel
loro dibattito infiammato. C’erano in gioco due versioni della mascolinità, nell’ansia condivisa da
entrambe le parti per lo stato della mascolinità francese: una mascolinità tradizionale, di élite,
associata con l’azione e con l’avventura e un’altra associata con gli intellettuali, con gli uomini la
cui vita dipendeva dal lavoro intellettuale e non fisico. Nell’affare giocò un ruolo importante anche
l’antisemitismo, a causa della credenza che gli ebrei fossero deboli e codardi, libreschi ed
effeminati. Il dibattito su Dreyfus continuò anche nel primo decennio del Novecento, le accuse si
incentravano sulla sua mancanza di onore e sulla sua codardia. I difensori di Dreyfus si ritenevano
uomini/mascolini in quanto difensori della verità. Accusarono i loro difensori di essere deboli e
incapaci di controllarsi (effeminati quindi). Nell’ultimo decennio dell’Ottocento divenne
predominante in Francia una concezione muscolare dell’essere uomo, il che rese vani gli sforzi dei
sostenitori di Dreyfus che insistevano sulla mascolinità degli uomini intellettuali. La vera
mascolinità si doveva provare attraverso azioni che richiedevano forza. Forth analizza questa
cultura della forza associata all’allenamento fisico e la prestanza che influenzarono gli uomini che
si apprestavano a combattere nella prima guerra mondiale. La crisi di mascolinità in Francia fu
risolta, almeno in quel momento, con un codice di mascolinità aggressivo e muscolare che divenne
l’ideale celebrato. Forth nota che la crisi di mascolinità francese espressa nel caso Dreyfus si stava
verificando anche altrove e nello stesso momento in Occidente.
Anche in Europa e nel Nordamerica era diffusa l’ansia della natura dell’essere uomo. La
mascolinità era sotto assedio. Stava andando incontro a un periodo di decostruzione e
ricostruzione. Molte delle malattie sociali del tempo venivano attribuite al fallimento della
mascolinità: declino del tasso di natalità, debolezza fisica della gioventù lavoratrice in Inghilterra,
che veniva respinta dall’esercito, il declino delle industrie, gli scioperi, i crimini giovanili e altri.
Negli USA viene scoperta la neurastenia, che affliggeva i professionisti e gli uomini di affari perché
facevano un lavoro mentale e non fisico. I dottori si preoccupavano sempre più dell’omosessualità,
che vedevano come una malattia contagiosa e un’identità degenerata. L’uomo etero, aggressivo,
vigoroso divenne l’ideale maschile dominante. Negli stati uniti gli uomini della classe media
divennero insolitamente ossessionati con la mascolinità in quel periodo. In quel periodo in fatti
affrontarono diverse sfide che ebbero influenza sul loro senso di cosa significasse essere uomo.
Nell’Ottocento la mascolinità aveva enfatizzato autocontrollo, forza morale, un volere potente. Si
pensava che la forza derivasse dal porsi dei limiti/contenersi e dall’ammaestrare le passioni.
L’indipendenza economica e l’essere un capofamiglia erano obiettivi primari. Minacce alla capacità
degli uomini di stare al pare con questi ideali derivavano dalla crescente insicurezza economica,
dalle calanti opportunità di impiego, e dalle prospettive di carriera che stavano calando. Anche gli
uomini si sentivano minacciati su un numero di altri fronti: il movimento delle donne della classe
media minacciava il monopolio maschile sulla politica e sulle professioni, la crescita del
consumismo e dei nuovi modi di intrattenimento negarono l’etica del rinnegarsi e del duro lavoro
con un’altra che enfatizzava il divertimento e il piacere. Le agitazioni lavorative /scioperi e
l’immigrazione minacciavano il loro senso dello spazio. In molti modi provarono a ricreare la
mascolinità (ordini fraterni, celebrazione di sport muscolari, diffusione di organizzazioni come i
boy scout). Mascolinità intesa più materialmente, che esaltava tratti come aggressività, forza fisica
e eterosessualità virile.
Centrale per una sorta di rinnovamento dell’idea della mascolinità fu la nozione di razza e
civilizzazione. La civilizzazione era vista come una fase dell’evoluzione che legittimava e spiegava il
dominio dell’uomo bianco. Il discorso della civilizzazione era fluido e poteva essere usato per
giustificare varie forme di potere, ma in particolare furono uomini bianchi della classe media e
delle elite che lo usavano per legittimarsi. Theodore Roosevelt è un modello che associa la virilità
a questo altro aspetto. Combina mascolinità e civilizzazione, moderno e primitivo, Roosevelt come
modello di un nuovo essere uomo per gli americani. Un nuovo tipo di mascolinità. Modo di
riaffermare una mascolinità imperialistica collettiva per la razza americana bianca. Questa
ossessione dell’America per la mascolinità tra Ottocento e Novecento può essere definita crisi?
No, perché le ideologie di genere sono sempre contestate e piene di contraddizioni e sono quindi
instabili. La mascolinità non si risolve mai – non è mai pienamente dimostrata, è soggetta ad
eterno dubbio, ha bisogno di validazione costante. Possibilmente a causa del fatto che gli uomini e
i tratti a loro associati sono strettamente associati con il potere politico sociale ed economico,
ecco perché è tanto importante definire la mascolinità. Secondo Amy Greenberg, nella metà
dell’Ottocento circa avvengono trasformazioni cruciali in America (opportunità di vita e lavoro
meno certe di prima, sfida politica delle suffragette all’ordine dei generi). Trasformazione di vita
sociale lavorativa e domestica tra il 1830 e il 1860. Questi cambiamenti portarono a una
competizione tra due idee di mascolinità: una marziale e una sobria/moderata/controllata. Quelli
che sposavano i valori del secondo tipo vedevano l’essere uomo come essere morale, affidabile e
coraggioso. Disprezzavano gli sport violenti, il bere, e al centro delle loro vite mettevano la
famiglia e la casa, supportando il ruolo domestico delle donne. La mascolinità martial, marziale, al
contrario, valorizzava l’aggressione fisica e l’abilità di dominare sia uomini che donne. Entrambe le
concezioni credevano nell’American Manifest destiny, ma differiva molto in modo in cui volevano
ottenerlo. Questa espressione fu coniata nel 1845 per riferirsi alla conquista americana del west e
alla espansione all’estero (annessione Texas e California e guerra col Messico). Si credeva in una
crescita dell’influenza americana nel mondo. Gli americani che supportavano la visione marziale
della mascolinità pensavano che gli USA avrebbero dovuto espandersi tramite la forza. Quelli che
favorivano la mascolinità controllata invece pensavano che l’american manifest destiny dovrebbe
essere raggiunto attraverso il commercio e attraverso la diffusione dei suoi ideali sociali, politici,
religiosi, piuttosto che attraverso l’espansionismo territoriale aggressivo. Questi dibattiti del
tempo secondo Greenberg non sono che dispute sui significati di genere. Negli anni cinquanta a
dominare nei dibatti sul ruolo dell’America nel mondo era l’ideale di mascolinità marziale. Quindi
si tratta secondo la Greenberg di una cultura fortemente influenzata dal genere, che all’epoca
incoraggiava alla violenza, ovvero alla soluzione violenta dei problemi personali e nazionali.
Secondo la Greenberg il modello di moderata divenne l’ideale preferito dopo la guerra civile
americana terminata nel 1865. Sul finire del secolo nuove ansie sull’essere uomo crebbero a causa
di nuovi cambiamenti politici, sociali ed economici che impattarono specialmente gli uomini della
classe media o alta. Kristin L. Hogan afferma che questi uomini temevano un declino nel carattere
maschile, e questo declino avrebbe intaccato la loro capacità di mantenere classe sociale, privilegi
razziali e nazionali, e il loro status in relazione alle donne (da non dimenticare la crescita del
movimento della Assertive New Women che sbeffeggiavano l’ideale di femminilità/donna
sottomessa. La Hogan analizza discorsi pubblici, retorici, sulla politica estera americana e in
particolare sui dibattiti che hanno portato alla guerra ispano americana e alla guerra filippino
americana (1898-1899). Queste ansie sulla virilità/mascolinità spinsero la nazione alla guerra
perché stimolavano un desiderio di sfide militari. I partecipanti ai dibattiti che sposavano
un’attitudine bellicosa erano chiamati jingoes, da Gingoismo o jingoismo (in lingua inglese
jingoism), che è il nome attribuito ad una corrente formatasi negli Stati Uniti d'America durante il
XIX secolo. L'Oxford English Dictionary lo definisce come "patriottismo estremista sotto forma di
violenta politica estera". Essi usavano immagini basate su genere per dipingere il destino di Cuba
in mani spagnole, e sostenevano che intervenire a Cuba per la sua indipendenza dalla Spagna
sarebbe stata un’opportunità per esercitare il loro dovere di uomini difendendo cavalleria e onore
degli americani. Gli imperialisti che sostennero la lotta prima a Cuba e poi nelle Filippine si
ritenevano giovani uomini virili, mentre gli anti imperialisti erano definiti come vecchie donne
lamentose. Gli oppositori di questa concenzione si consideravano mascolini anch’essi, ma si
ritenevano maturi, moderati e somiglianti ai padri della nazione. Sostenevano che i militaristi
avrebbero sovvertito la libertà di opinione, trasformando gli uomini americani in cittadini codardi.
Non tutti gli uomini quindi adottarono un piglio guerresco o una posizione pro guerra. Ciò che
interessa qui è che ogni partecipante del dibattito chiamava in causa una o l’altra forma di
mascolinità per portare acqua al proprio mulino e difendere la propria posizione. Non si vuole ire
che queste idea sulla mascolinità hanno causato le guerre, ma che una convergenza di fattori
sociali, economici e politici ha stimolato il dibattito sulla guerra e sull’impero.
Le connessioni tra mascolinità e relazioni di potere sono molto chiare nella politica coloniale
britannica in India. Mrinalini Sinha ha analizzato la pratica di governo nell’India Britannica, in cui
regnavano figure stereotipiche come ‘l’inglese virile’ e il ‘Bengali effeminato’. Queste immagini
costruite divennero basi su cui i coloni dominatori e le élite locali/indigene si relazionavano nel
tardo Ottocento. Sostiene che l’ideologia della mascolinità coloniale si era sviluppata in quella che
lei definisce una formazione sociale imperiale che includeva sia la Gran Bretagna che l’India.
Pertanto, l’inglese virile era una figura che emerse nel tardo Ottocento nel contesto delle ansie
sulla mascolinità sia all’interno della madrepatria britannica, data la percezione della minaccia del
femminismo insieme alla confluenza di disagio politico ed economico, che in India, come risultato
delle preoccupazioni per le richieste dei Bengalesi di condividere i privilegi dell’élite coloniale
britannica. Sinha mostrò che nel 1883-84 venne proposta una legge per permettere agli uomini
indiani di denunciare gli uomini britannici e sfidarli in tribunale. La stampa anglo indiana elaborò
l’immagine del Babu effeminato che non era adatto ad assumersi doveri così maschili. La
differenza di genere quindi si sovrapponeva a quella razziale e motivava i tentativi di giustificare le
differenze a affermare i propri interessi imperiali. Gli anglo indiani si opposero alla legge, in quanto
donne e uomini nativi locali erano ritenuti inadatti ad assumersi responsabilità nel pubblico.
Affermavano che i nativi era timidi per natura senza un corpo virile e un carattere maschile, quindi
incapaci di esercitare autorità sugli inglesi virili o su altre etnie più virili dell’India.
Secondo Heather Streets la ribellione indiana del 1857 fu un evento cruciale nella costruzione
dell’idea di stirpe/razza marziale. La ribellione fu etichettata come l’attacco di codardi Hindu non
veri uomini contro donne britanniche e bambini. Le truppe che difendevano il dominio britannico
invece erano definite in termini opposti. I Sikh del Punjab, gli Highlander scozzesi, i Gurkha del
Nepal erano descritti come eleganti, feroci, onorabili e coraggiosi alla luce delle loro azioni durante
la ribellione. Anni dopo gli ufficiali militari britannici li vedevano come esemplari di mascolinità
militare in quanto accerchiati da minacce espansionistiche russe e tedesche e dal nazionalismo
indiano e irlandese. Tutte queste sfide, inclusa la sfida delle campagne femministe per l’abolizione
della prostituzione autorizzata in India, erano percepite come sfide non solo all’impero ma anche
alla mascolinità britannica. La Streets sostiene che il linguaggio di questa mascolinità marziale
tipica di una razza era una strategia di dominio usata per scopi politici. Durante la seconda guerra
afgana che si ebbe tra il 1878 e il 1880, l’ufficiale Roberts usava la stampa britannica per
pubblicizzare le sue prodezze militari, descriveva le innumerevoli difficoltà affrontate dai soldati
che hanno richiesto la partecipazione di Sikh, Highlander e Gurkha, portatori di prodezza fisica,
coraggio senza limiti e solidarietà spirituale negli interessi della difesa dell’impero. I suoi commenti
sui successi delle sue truppe approfondirono la convinzione che ci fossero alcune razze i cui uomini
erano particolarmente uomini o mascolini. L’esistenza di razze bellicose come Highlander o quelle
del sud dell’Asia entrò a far parte della cultura popolare britannica. La Street sostiene che si
temeva che l’incontro di queste razze bellicose/marziali con il nemico europeo o con la civiltà
avrebbe potuto domare questa mascolinità. Anche negli Stati Uniti c’è un ambivalente fascino del
primitivo in quel periodo. Secondo Gail Bederman, gli uomini bianchi dichiararono la loro
superiorità sugli uomini afro americani caratterizzandosi come uomini primitivi – muscolari, forti
fisicamente, dotati di spirito aggressivo. Dopo che il lottatore di colore Jack Johnson sconfisse per
titolo di campione dei pesi massimi il pugile bianco Tommy Burns nel 1908, gli americani bianchi
chiesero che Jim Jeffress, un campione bianco ormai ritiratosi dallo sport, tornasse sul ring per
riappropriarsi del titolo e dimostrare che un uomo bianco è meglio di uno nero. La battaglia che si
tenne in Nevada nel 1910 fu poi vinta da Johnson. Nel paese scoppiarono risse, i bianchi
espressero la loro furia contro i neri che acclamavano la vittoria di Johnson. L’ufficio investigativo
nazionale tentò di screditare Johnson e questi dovette lasciare il paese per evitare la prigione.
Dopo una serie di convincenti vittorie, Jack Johnson nel 1908 divenne il primo pugile di colore ed il
primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione
in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio
razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo. Nel 1910 fu protagonista in ciò che
divenne noto come "incontro del secolo", per via anche dell'enorme caratura del suo avversario –
l'imbattuto James J. Jeffries – il quale lo affrontò per "difendere l'orgoglio bianco". Johnson ne uscì
vittorioso. La razza, la mascolinità e la boxe erano temi importanti anche altrove nel mondo, come
ha mostrato Patrick McDevitt. Nel 1908, Johnson batté Tommy Burns in un incontro organizzato in
Australia contro Burns che era canadese. La lotta attirò un grande interesse in Australia, dove mesi
prima dell’incontro se ne era discusso e si era discusso delle caratteristiche di uomini bianchi e
neri. In tutto il Commonwealth se ne era parlato. In seguito al match, la House of Commons
inglese discusse l’eventualità di proibire i video della lotta, e in particolare in Sud Africa, dove la
questione razionale era più spinosa, se ne proibì la visione. Si tentò addirittura di evitare lo scontro
con Jeffries, il pugile preferito dai britannici. Nel 1912, Il Congresso degli Stati Uniti proibì la
distribuzione di film che contenessero immagini di incontri di pugilato professionistici (il bando
venne tolto solo nel 1940). Questo caso impedì fino agli anni Trenta che in suolo britannico si
scontrassero grandi nomi neri e bianchi. Mcdevitt sostiene che il motivo del divieto era che se un
uomo britannico avesse vinto un match del genere, questo avrebbe eroso l’immagine della
superiorità britannica a casa e nel resto del mondo. Durante questo periodo comunque, la boxe
divenne sempre più popolare in quanto era una lotta tra corpi virili, di uomini che dominavano
altri uomini, e allo stesso incarnava la paura degli uomini bianchi verso gli uomini neri e la
degenerazione nazionale.
Fino a qui il capitolo si è concentrato su esempi scelti dagli storici di genere tratti da discorsi
sull’essere uomo oppure sulla rappresentazione della mascolinità soprattutto nell’ambito delle
relazioni fra uomini. Cosa si può dire sulle vite degli uomini in casa, con le loro famiglie? Lo studio
pioneristico di Leonore Davidoff e Catherine Hall sul genere e sul costituirsi della classe media tra
Settecento e Ottocento in UK, Family Fortunes, dimostra la centralità del matrimonio e della
paternità nelle vite degli uomini. Sotto l’influenza dell’evangelismo, la domesticità era la base della
vita morale e religiosa sia per uomini che per donne. La famiglia e la casa erano le fondazioni delle
imprese, così come le imprese avevano per scopo il benessere e il mantenimento della famiglia. Gli
uomini si ritiravano il prima possibile dal mondo degli affari soprattutto per avere un maggiore
coinvolgimento nella vita familiare. Gli autori hanno analizzato migliaia di testimonianze che
provano l’interesse maschile per i bambini e la vita domestica. Ispirandosi a Family Fortines ed
esaminando lettere private e diari, John Tosh ha analizzato le vite degli uomini della classe media
nell’Inghilterra vittoriana e ha provato quanto la domesticità fosse una componente importante
della mascolinità per tutta la seconda metà dell’Ottocento. Domesticità non è solo un tipo di
residenza o una serie di obblighi, ma anche un attaccamento profondo uno stato mentale e un
orientamento fisico. La domesticità maschile fu esaltata dal 1830 al 1860. In questi anni la
separazione tra casa e lavoro giunge al suo apice, la casa era idealizzata come rifugia dal lavoro.
Ma Tosh mostra alcune contraddizioni nella gestione del tempo a casa e del tempo speso in altri
tipi di relazioni, in particolare associazioni o amicizie. La domesticità non era compatibile con ideali
di mascolinità eroica ed avventurosa. Affetto domestico misto a percezione dell’acuta differenza
tra sessi, i bambini maschi sono allontanati per la loro educazione dall’ambiente domestico a
maggioranza femminile, e nella seconda metà dell’Ottocento il femminismo arrivò a minacciare
ancora di più il potere degli uomini. Quindi sul finire del secolo il richiamo dell’avventura si fece
più forte, e cresceva il fascino di associazioni di vario tipo tutte al maschile. ‘la mascolinità
domestica venne attaccata perché gli uomini erano chiamati a colonizzare l’impero e difenderlo in
momenti difficili’. Gli uomini della classe media iniziarono a sposarsi più tardi, alcuni uomini
rimanevano single. Tosh sostiene che ci fu una fuga dalla domesticità. Le storie familiari che ha
analizzato, unite allo studio di discorsi pubblici sul matrimonio, mostrano come alla fine del secolo
la contraddizione tra i diversi stili di vita degli uomini e le contraddizioni insite nel modello di
domesticità divennero esplicite. Questa tesi di Tosh è stata molto influente, ma è stata anche
molto criticata. Martin Francis sostiene che le risposte degli uomini alla vita domestica sono state
complesse per tutto l’ottocento e il novecento. ‘c’è un viaggiare degli uomini dentro e fuori la
casa, attratti allo stesso tempo da responsabilità di mariti e padri e dalle fantasie di una vita
energica, avventurosa e con altri uomini’. Francis critica anche la tesi che le devastazioni della
prima guerra mondiale abbiano portato a una re domesticizzarsi della mascolinità. Questo entrare
e uscire dai confini del domestico c’è sempre stato. Studia i militari (in particolare piloti e altri
membri di truppe durante la seconda guerra mondiale), per i quali, come scrivevano loro stessi,
era importante il sostegno della famiglia che viveva vicino alle basi. Nel dopo guerra pianificavano
una famiglia che offrisse sicurezza materiale. Quindi Francis critica la tesi della fuga dalla
domesticità. David B. Marshall ha esaminato la vita del ministro presbitero canadese Reverendo
Charles Gordon, in particolare esaminando come uomini canadesi tra il 1880 e il 1930
rispondevano agli ideali dominanti di mascolinità in quel tempo. Uomini come Charles Gordon
cercavano di fuggire dalle costrizioni della vita di città. Gordon si è diretto in un cottage nel verde
con la sua famiglia, e vedeva nel ritiro nella natura un aiuto nel crescere il figlio in modo da farlo
diventare un uomo indipendente. Gli trasmetteva i valori di un cristianesimo muscolare, militare e
atletico, e Marshall conclude che questa fuga nei boschi non era una fuga dalla domesticità, ma
un’estensione di questa.

Potrebbero piacerti anche