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Biondo Flavio in Dizionario Biografico Treccani

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Biondo Flavio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)


di Riccardo Fubini
BIONDO Flavio. - Nacque a Forl da Francesca e da Antonio di Gaspare Biondi nel
novembre o dicembre 1392. Il nome di famiglia, stabilito da pi generazioni (cfr. la
soscrizione "Blondus Antonii Blondi de Forlivio", in B. Nogara, tav. II; e la
menzione di "avum... meum Gasparem Blondum",Hist., p. 366), fu tuttavia ripreso
nel nome proprio "Blondus", da cui fu poi ricavata la designazione umanistica
"Flavius", propria specialmente del periodo giovanile; "Blondus Flavius" fu la
forma affermatasi, certo secondo l'intenzione dell'autore, nella tradizione
manoscritta delle opere e, di qui, nelle antiche stampe. L'ipotesi di G. Mini (v. c.
30) di una discendenza dalla stirpe magnatizia fiorentina dei Biondi, banditi e
trapiantati verso la met del sec. XIV in Romagna, non appare inattendibile; e se la
rivendicazione campanilistica di B. ai Biondi stabiliti a Castrocaro urta l'evidenza,
nulla esclude che il ramo collaterale di Gaspare abbia parallelamente acquisito la
cittadinanza forlivese (si noti il ricorrere nelle genealogie fiorentine relative dei
nomi di Gaspare, Antonio, Biondo, ecc.).

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Dotata di beni immobili, ma anche in difficili condizioni economiche (in una bolla
di Niccol V, 29 gennaio 1448, che sanziona la rinuncia dell'eredit, in favore di B.,
del fratello minore Matteo, sono ricordati i debiti lasciati dai genitori, pagati "ex
eius laboribus et industria", cit. in G. Mini, c. 54), la famiglia non risulta dalle
cronache come appartenente al novero dei maggiorenti cittadini; e la lacuna
lasciata da Giovanni di Pedrino, l dove avrebbe dovuto indicarne la "parentela"
(II, p. 397), nonch l'indicazione tardiva e senza altro riscontro del cronista
forlivese di fine '400, A. Bernardi, "B. di Ravaldino" (Cronaca, Bologna 1895, p.
344), dovuta verisimilmente all'omonimia di un personaggio della nobile famiglia
dei Ravaldini (cfr. Nogara, pp. XX s.), sembrano indicare che nell'ambiente
forlivese gi alla morte di B. il vero nome di famiglia fosse stato dimenticato.
Motivo di distinzione familiare furono le capacit professionali del padre, il
"providus vir ser Antonius Guasparini Blondi" (A. Zoli, p. 110), appartenente alla
categoria di notai, cancellieri e amministratori che prestavano i loro servizi presso
le comunit e corti signorili della Romagna. Lo troviamo presente alla corte di
Rimini per le nozze di Galeotto Malatesta, fratello di Carlo, nel 1395; inoltre
attestata la sua funzione di "massaro" (tesoriere) del Comune di Bagnacavallo,
"assumptum per magnificos dominos nostros de Polenta Oppizonem et Petrum
fratres" negli anni 1402-06. Non senza rapporto, forse, con le benemerenze
acquistate dal padre in questa, come presumibilmente in altre occasioni, il
privilegio, attestato per B. nel 1452, di "civis et habitator Ravenne"; e la sua fedelt
alla memoria degli antichi signori pu essere indicata dall'aver egli acquistato, il 12
luglio 1455, il diritto di sepoltura per s e la famiglia nel sepolcro dei Polentani
nella chiesa di S. Pier Maggiore (v. S. Bernicoli; G. Mini, c. 64).

ludovico trevisan

BIONDO Flavio si trova anche nelle opere

BIONDO FLAVIO
BIONDO Flavio. - Con poca esattezza si dice
comunemente Flavio Biondo, mentre Flavio un nome
secondario tratto, alla foggia umanistica, da Flavus,
traduzione latina di Biondo. Egli poi nella maggior
parte dei documenti si sottoscrive Blondus Forliv...
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BIONDO FLAVIO
Biondo Flavio Fra i piu illustri storiografi del
Quattrocento, Biondo Flavio impresse una svolta in
senso contemporaneo alla ricerca storica, misurandosi
con il monumento liviano che tratta dalla fondazione di

In quel di Bagnacavallo B., come si compiacque di ricordare, incontr Alberico da


Barbiano, impegnato nel recupero delle terre pontificie intorno al 1403 (Nogara, p.
171; A. Zoli, p. 116). Non senza influsso sulla sua opera e orientamenti futuri
saranno gli eventi salienti del tempo: l'ascesa di Gian Galeazzo Visconti, di cui la
Forl di Pino Ordelaffi rappresentava una sorta di protettorato, esaltato poi da B.
come meritevole del regno, con parole non dissimili da quelle del cronista forlivese
(Annales Forolivenses, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XXII, 2, a cura di G.

Roma ad Augusto mediante la narrazione ...


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dello Stato visconteo e il disfrenarsi dei particolarismi e delle lotte faziose (fra cui la
cacciata popolare di Cecco Ordelaffi nel 1405); le conquiste veneziane in
terraferma, i cui echi giungendo in Romagna suscitavano nel 1405 un effimero
tripudio a Forl, alla voce di una possibile sottomissione (Chronicon f. Hieronymi
de Forlivio, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XIX, 5, a cura di A. Pasini, p. 8); e infine
l'energica opera per la restaurazione dello stato ecclesiastico del legato pontificio B.
Cossa, entrato nel 1407 a Forl, dove, a memoria del governo dell'Albornoz,
rimaneva l'antico palazzo dell'erario, che, come ricorda B., "nos postea pueri ob
facti memoriam invisere delectabat" (Hist., p. 370). La provenienza da un centro
provinciale, ma politicamente nevralgico, e aperto perci all'influenza dei maggiori
stati, segner la carriera di B., e Milano, Venezia, oltre che, naturalmente, la corte
romana, rappresenteranno i punti focali, cos della sua vita come della sua opera
storiografica; mentre, pur nell'affezione verso la piccola patria forlivese e in genere
verso le terre della Romagna, e nei rapporti amichevoli, piuttosto che di natura
cortigiana, intrattenuti con le piccole corti signorili, sembra essere rimasto
estraneo a un municipalistico attaccamento al natio loco. Sintomatica al proposito
la radicata ostilit verso gli "archityrannuli" (Hist., p. 541) e le lotte faziose; e la
riluttanza, che si nota nelle Storie, a chiamare per nome le divisioni di guelfi e
ghibellini, indicate perlopi come "partes", "studia partium" ecc., trova
significativo riscontro nelle proibizioni di governanti energici, come l'Albornoz o i
Visconti, di fare professione nelle citt soggette di guelfismo e ghibellinismo. Per
gli stimoli culturali che B. pu aver ricevuto in patria, bisogna soprattutto guardare
agli influssi dell'importante centro di Padova e della corte carrarese, dove si
perpetuava e rinnovava l'eredit del Petrarca, in stretto contatto con il gruppo
fiorentino, e in particolare alle personalit di P. P. Vergerio e Ognibene Scola, non a
caso posti da B. alla testa del movimento culturale scaturito dall'insegnamento di
Giovanni da Ravenna (figura che nelle sue pagine appare piuttosto emblematica, in
omaggio alla patria adottiva, che concretamente storica, e in cui si confondono i
due omonimi G. Malpaghini e G. di Conversino; v. It. ill., p. 346). Che il Vergerio,
soprattutto, di cui sono noti i legami con la corte imolese, fosse stato un autore che
aveva avuto per lui un particolare significato, lo testimonia B. stesso con ripetute
menzioni nell'Italia illustrata, dove si compiace di citarne le lettere, e, a suo luogo,
con un elogio insolitamente enfatico, "quod... supra saepenumero diximus, inter
primos huius saeculi eloquentissimus" (p. 387; v. anche 345, 373).

flavo
flavo agg. [dal lat. flavus], letter. Di colore giallo,
biondo: Verde smeraldo, con f. iacinto (Ariosto); tra la
chioma flava Fioria quellocchio azzurro (Carducci).

flavdo
flavdo (raro flavdine) s. f. [lat. scient. flavedo, der. del
lat. class. flavus biondo sul modello di albedo (v.)].
1. In botanica, la parte pi esterna, gialla, della buccia
del frutto degli agrumi. 2. In patologia vegetale, sinon.
di clorosi.

Vedi tutti

B. segu il corso di grammatica poetica e retorica del maestro cremonese Giovanni


Balestrieri (cfr. It. ill., p. 362; si tratta di quello stesso "m Zohane grande m da la
scola", che nel passo di Giovanni di Pedrino, I, p. 120, relativo al 1425, risulta
godere di credito e notoriet a Forl); n forse senza rapporto con la sua istruzione
fu il passaggio per Piacenza, ricordato in It. ill., p. 358, in un periodo di poco
successivo alle devastazioni del 1402-04. Qui, nonostante le gravissime
devastazioni avvenute, era pur sempre la sede dello Studio generale, stabilito con
privilegio su tutto il ducato da Giangaleazzo Visconti e che soltanto nel 1412
sarebbe stato trasferito a Pavia. Considerati anche i tradizionali rapporti scolastici
tra Cremona, sede presumibile dell'insegnamento in quegli anni del Balestrieri, e
Piacenza (cfr. F. Bartoli, Lo studio di Cremona, in Circolo di studi cremonesi. Atti e
comun., I [1898], pp. 3-17), non sar forse arrischiato supporre che in tale sede
universitaria, cui erano annessi corsi di notariato, B. abbia conseguito il titolo:
"publica auctoritate imperiali notarius ac iudex ordinarius"; n fa difficolt la sua
pi tarda affermazione (Nogara, p. 130) di non essersi mai applicato allo studio
professionale del diritto, essendo a quell'epoca la "practica tabellionatus" disgiunta
dalla disciplina giuridica, e connessa, se mai, all'educazione grammaticale.
L'istruzione ricevuta in Lombardia, che in se stessa dovette avere una finalit
piuttosto professionale che scientifica, fu per altro occasione di stabilire legami con
esponenti della fiorente cultura viscontea. Ne sono indizio l'amicizia, attestata in
et successiva, con membri della corte milanese come G. Corvini e P. C. Decembrio,
e, ancora di pi, la precisa conoscenza che B. dimostra di uomini e testi
strettamente pertinenti all'ambiente, come per es. l'orazione "doctrina et rerum
variarum copia redundantem" di Pietro Filargo, arcivescovo di Milano, per
l'investitura ducale di Giangaleazzo (It. ill., p. 367). N del resto a uno sconosciuto
sarebbe stato affidato da copiare nel 1422 il codice ciceroniano di Lodi, nella quale
impresa era impegnato il cremonese Cosma Raimondi.

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Ben poco si sa del periodo trascorso da B. successivamente al ritorno in patria,


all'incirca negli anni 1410-20. L'invito rivoltogli insistentemente da Muzio
Attendolo, perch gli fungesse da segretario nelle Puglie (1412-13), suppone una
notoriet acquisita, per servizi cancellereschi, o d'altra natura, presso comunit e
corti locali; fra cui ricordiamo quella dei Malatesta di Rimini (la menzione relativa
nell'It. ill., p. 242, testimonia di un'intrinseca conoscenza); quella, insediata a
Castel Bolognese, di Bartolomeo Campofregoso e della moglie Caterina Ordelaffi,
dei quali vanter poi "l'amicizia e benevolenza" (Nogara, p. 61), e col cui figlio
Giano rimarr in corrispondenza, inviando una lettera di ammonimenti in
occasione della sua nomina a doge di Genova (1448; la risposta in R.
Sabbadini,Note umanistiche, pp. 301 s.); e, forse, quella di Mantova, dove nel 1410
Gian Francesco Gonzaga aveva sposato Paola di Malatesta dei Malatesti di Pesaro,
della cui familiarit con B. sono testimonianza gli straordinari elogi con cui la
ricorda nell'Italia illustrata (pp. 335, 361) e altrove (Nogara, p. 175).
I primi documenti diretti della sua attivit culturale sono due note di possesso agli
attuali mss. Vat. Ottob. lat. 61 (Liber B. forliviensis Dovadule habitus a ser Luca
notario MCCCCXX; v. Nogara, p. XI); e Vat. Ottob. lat. 123 (Liber Blondi Antonii
B. forl., quem habuit a M.ro Francisco ser Federici pro aliis libris sibi datis,
Forlivii MCCCCXXI; v. G. Mercati,Codici lat. Pico-Grimani-Pio, Roma 1938, pp.
278 s.). Oltre l'interessante attestazione di un commercio librario fra notai e
maestri di scuola locali, notevole la seconda soscrizione, che lascia supporre
un'attivit scrittoria svolta da B., in apparenza confermata sia dalla sua scrittura
dell'epoca, una semigotica "libera, svelta e corsiveggiante" (G. Cencetti, Lineamenti
di storia della scrittura latina, Bologna 1954, p. 265), sia dall'inconsueta perizia
nella decifrazione dei caratteri antichi, di l a poco dimostrata nella trascrizione del
codice ciceroniano di Lodi. Va inoltre rilevata la lettura filologicamente attenta del
testo (v. gli emendamenti in Ottob. 123 [S. Agostino,Soliloquia], alle cc. 4r, 6r,
8r-v, 12v, 14v, 15r-v, 16r, 17v): un piccolo documento insomma di un'attivit di
studio perseguita cos in ambiente illustre come umile, in un'applicazione continua
e senza clamore, segno di un puntiglioso e indipendente impegno personale.
Dell'ottobre 1420 l'episodio dell'incontro di B. con Guarino, che ne trasse
impressione entusiastica ("quantus litterarum ardor, quantum ingenium!") e lo
accolse nella sua amicizia (Ep., I, p. 306). B. era venuto a Verona presentato
dall'umanista e patrizio veneziano, A. Giuliano, cui diretta la lettera cit. di
Guarino, 15 ott. 1420. Sappiamo ora per altra via (cfr. S. Troilo,Andrea Giuliano...,
Genve-Firenze 1932, pp. 34-36) che nell'autunno di quell'anno, all'incirca fra
agosto e novembre, il Giuliano aveva soggiornato a Mantova per sfuggire alla
pestilenza. Argomento allora di discussione fra il Giuliano, Guarino e B. stesso era
lo scritto indirizzato da Guarino a L. Migliorati nel settembre 1420, "eane vocanda
sit oratio an epistula quam ad Ludovicum imperatorem dedi" (Ep., cit., p. 307).
Quest'ultimo, capitano al servizio di Carlo Malatesta, e allora in procinto di
affrontare il Carmagnola, come ricordato in Hist., p. 399, "venit... in Mantuanos",
dove verisimilmente ricevette l'epistola-orazione di Guarino, che appunto lo felicita
di avere in tal modo evitato il transito per il Veronese (Ep., I, pp. 300-03). Ci
giustifica il particolare interesse degli amici umanisti al soggetto, e costituisce un
indizio di come B. avesse occasione di frequentare l'ambiente mantovano, dove si
pu supporre pot conoscere il Giuliano e per tale via accreditarsi presso Guarino.
Dai rapporti col Giuliano, scolaro di G. Barzizza, e con Guarino B. fu indotto allo
studio di Cicerone, prendendo da loro a prestito i commenti alle Orazioni di
Cicerone di A. Loschi e di Asconio Pediano. Al Barzizza e agli studi ciceroniani
riporta pure il gi menzionato episodio di poco seguente, quando B., venuto a
Milano nell'ottobre 1422 "publicis patriae tractandis negotiis", trasse copia del
Brutus per Guarino e per L. Giustinian (oltre che, beninteso, per se stesso, cui
rivendica l'appartenenza del codice, ora Vat. Ottob. 1592), parte dall'apografo
eseguito per conto del Barzizza, parte direttamente dall'antico esemplare di Lodi.
Insieme egli copi l'allora recentissimo De militia di L. Bruni, episodio che
rappresenta la sua prima presa di contatto a noi nota con un autore poi
particolarmente influente su di lui, relativamente a un'opera dove, nella
comparazione di istituti antichi e recenti, appaiono tracciate le linee da cui si
sarebbe sviluppata la ricerca storico-antiquaria.
Gi inserito nelle linee maestre dell'umanesimo settentrionale, B. trasse ulteriore

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beneficio dall'allontanamento forzato dalla patria nel 1423. Il bando, menzionato


per la prima volta in lettere di Guarino dell'estate 1423 (Ep., I, pp. 372-75),
coincide verisimilmente con la sommossa, guidata il 14 maggio dai principali
cittadini forlivesi, contro il governo di Lucrezia Ordelaffi e degli Imolesi, che apr le
porte alla diretta ingerenza viscontea. Quale fosse la parte avuta da B. rimane
oscuro. La spiegazione pi probabile che egli, piuttosto che per la partecipazione
alle fazioni cittadine, si sia compromesso per i servizi prestati ai suoi signori, di cui
esempio l'ambasceria milanese (forse riconoscibile in quella, menzionata da
Giovanni di Pedrino, I, p. 70, per chiedere un presidio al duca, contro le mire di
Caterina Ordelaffi). inoltre indicativo che subito dopo il bando si sia rifugiato a
Imola (v. Guarino,Ep., I, p. 374). Appare tuttavia inesatto attribuire l'esilio a uno
spirito anti-visconteo, mostrandosi B. nelle Storie altrettanto ostile alla fazione
filo-fiorentina, su cui Lucrezia fu indotta ad appoggiarsi ("quibus fideret civium
abiectioribus consilia credere coepit", p. 403), che i cronisti forlivesi coevi. Il
decreto di bando gli fu revocato per disposizione ducale nell'ottobre 1425.
Entro lo stesso 1423 B. spos la concittadina Paola di Iacopo Maldenti (v. A. Pasini,
nota a Giovanni di Pedrino, I, pp. 485 s.), da cui ebbe poi dieci figli.
Vagante dapprima fra Imola e Ferrara, accreditato da Guarino e dalla sua cerchia
(egli ricorda l'amicizia del giureconsulto veronese M. Maggi,It. ill., p. 376), B. entr
presto al servizio dei magistrati veneziani di terraferma. Segnalatosi alle
dipendenze di F. Barbaro, podest di Treviso nel 1423, lo segu a Venezia, e fu
quindi suo segretario nella podesteria di Vicenza (1424-25). In questa occasione, su
istanza di F. Barbaro, gli fu concessa, insieme al fratello Matteo e ai legittimi
discendenti, la cittadinanza veneziana "pro gratia de intus", per decreto del
Maggior Consiglio, II nov. 1424 (documento cit. in G. Mini, cc. 4, 38, 68; v. lettera
di F. Barbaro a N. Barbo, 25 maggio 1453, in A. M. Quirini, p. 305). Raccomandato
nell'ott. 1425 a F. Barbarigo, capitano a Padova, non accertato che accettasse
l'impiego, pensando allora al ritorno in patria per lo scadere del bando ("Flavio
locum ita cessit ut alia longe ei mens sit quam Patavium petere", Guarino,Ep., I, p.
496). Tuttavia egli era ancora al servizio veneziano dopo l'intervento della
Repubblica nella guerra contro Milano. Nell'aprile 1427 segretario al campo di P.
Loredan, provveditore a Brescia, con cui collabora nella difesa militare della citt.
Ancora a Brescia nel giugno, aspirava al ritorno in patria, dove nel 1426 il governo
della Chiesa era pacificamente subentrato a quello visconteo, e aveva perci
bisogno dell'autorizzazione dei magistrati veneti (in tal senso vanno interpretate le
raccomandazioni di Guarino al capitano di Brescia, N. Malipiero,Ep., I, pp. 574 s.).
Nel settembre era finalmente a Forl, dove veniva assunto al servizio del
governatore ecclesiastico D. Capranica.
Questa data segna la conclusione di un periodo della vita di B., del quale sono pure
notevoli le notizie degli studi compiuti, giovandosi della circolazione e divulgazione
di testi, di cui Guarino, era promotore. Lo vediamo cos disporre di Plutarco,De
liberis educandis, tradotto da Guarino (Ep., I, p. 375); delle Epistulae di Plinio, di
cui trae copia (ibid., pp. 387, 473); degli Academica posteriora di Cicerone; del De
doctrina christiana di s. Agostino (p. 465); di Giustino, di cui collabora con
Guarino al restauro del testo (p. 469); e infine del De legibus di Cicerone. Circa la
menzione di Guarino di un "inauditum ... opus de Caesaribus" (Ep., I, p. 374), a lui
segnalato da B., l'identificazione del Sabbadini con i Caesares di Aurelio Vittore
stata contestata, sia per ragioni di tradizione testuale, sia perch non si ritrova altro
indizio dell'uso di questo testo in B. (v. A. Momigliano,Secondo contributo..., pp.
182 s.). Da Guarino B. dovette pure essere invogliato allo studio del greco, come
indicano termini greci talvolta intercalati nelle lettere (v. Ep., I, pp. 355, 373 s.).,
ma tale applicazione rimase, come B. ammette (Hist., p. 43), di scarso profitto,
anche se mai interamente abbandonata.
Se importanti, forse decisive, furono le acquisizioni culturali derivate dalla
consuetudine con Guarino, non pu dirsi per questo che dal maestro veronese
ricevesse un pi preciso indirizzo di studi e di opere, n che i rapporti di amicizia
assumessero il carattere di un sia pur libero discepolato. In modo analogo le
benemerenze acquisite presso esponenti del patriziato veneto non lo indussero a
rinunciare alla propria libert di movimento e di scelta, per un pi stabile e

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politicamente responsabile impiego ai servizi della Repubblica. Alla partenza del


Capranica da Forl (gennaio 1430), le mire di B. erano ormai rivolte alla carriera
curiale. La lettera di F. Barbaro che ce ne informa (22 giugno 1430, per invitarlo
come segretario a Bergamo) anche notevole per il patronato da questi rivendicato
su B. e sulle sue decisioni future: "In qua re [sc. profectio in curiam romanam] ego
fortunae tuae consulam, tu vero habebis rationem dignitatis meae" (Nogara, p. LV,
n.). Quale fosse la sua destinazione negli anni 1430-31 si ignora; ma l'impegnativa
funzione di segretario di G. Vitelleschi, governatore della Marca d'Ancona dal
marzo 1432, in un periodo particolarmente denso di torbidi, attestata fino al 16
dicembre, presuppone un tirocinio curiale in veste non ufficiale, forse in
coincidenza con il pontificato del veneziano Eugenio IV (3 marzo 1431). Verso la
fine del 1432 B. era richiamato a Roma e nominato notaio della Camera apostolica,
importante ufficio esecutivo delle deliberazioni politiche e amministrative della
Chiesa. Quando, al principio del 1434, fu nominato segretario pontificio,
cumulando i due uffici e mantenendo una particolare attinenza con il camerlengo,
allora F. Condulmer, parente del papa ("Camere apostolice notarius, ss. d.ni nostri
et camerarii secretarius", Ottenthal, p. 231; nel 1436 entrer anche nella cancelleria
come scrittore delle lettere apostoliche), egli era ormai divenuto uno dei pi fidati
collaboratori di Eugenio IV, facilitato in questa rapida ascesa dalle condizioni
critiche in cui versava il suo pontificato, per il contrasto con il concilio di Basilea, la
defezione dei cardinali e la disgregazione dello Stato ecclesiastico. Inviato nel
febbraio a Bologna e nella Romagna - dove intimava a Guidantonio Manfredi la
restituzione dei castelli occupati nell'Imolese -, ag quindi a Venezia come
mediatore nella condotta stipulata dalla repubblica con Gattamelata da Narni, gi
al servizio pontificio, in un delicato gioco diplomatico, atto ad accordare gli
interessi veneti con quelli del papa, impossibilitato d'intervenire direttamente, e in
particolare a garantire la fedelt di Bologna. Torn in tempo per stipulare il patto
di Calcarella con F. Sforza (25 marzo; i termini del trattato furono concordati,
insieme a B., dal vescovo di Tropea, N. Acciapacci; opera di B. furono invece i
successivi patti di condotta - "meo adinventa et excogitata ingenio", Nogara, p. 171
-, trattati a Todi e stipulati a Firenze, 29 novembre 1434, in L. Osio, III, pp. 120
ss.). Nel maggio B. era nuovamente a Venezia con l'Acciapacci, per vincere la
riluttanza della Signoria a versare un contributo di denaro per la condotta dello
Sforza (Eroli, p. 287); di ritorno, in giugno, fungeva da intermediario fra Venezia
(di cui appare godere la fiducia, ibid., p. 273) e il governatore ecclesiastico di
Bologna, la cui politica di attesa di fronte alla minaccia viscontea aveva allarmato il
Senato. Ribellatasi Bologna, per il prevalere della fazione filomilanese dei
Cannetoli, egli partecip, apparentemente con funzione di commissario di campo,
allo sfortunato tentativo dei capitani veneziani di recuperare la citt e le rocche
romagnole (Hist., p. 480). Rientrato nella Curia, ora riparata a Firenze, lo vediamo
assistere il papa e il camerlengo negli atti fondamentali, spirituali e politici, del
pontificato. Tra gli estensori del trattato di pace del 16 agosto 1435, e della
susseguente bolla, 26 gennaio 1435, che lo denuncia (Libri commemoriali, IV, pp.
191, 202), svolse un'attivit particolarmente intensa durante la preparazione e lo
svolgimento del concilio di Ferrara-Firenze.
Il 20 luglio 1437 egli autentica l'accreditamento dell'imperatore e del patriarca
degli inviati greci G. Bissipato e E. Tarcagnota (Conc. florentinum, I, fasc. I, pp. 84
ss.); l'anno stesso presenzia alle riunioni del Concistoro, dando lettura delle
dichiarazioni di Eugenio IV, e delle bolle di convocazione del concilio e di
condanna dei Basileesi (ibid., III, fasc. 2, pp. 31 s.); redige in nome del camerlengo
i capitoli con Niccol III d'Este e quindi con la Signoria di Firenze per il
trasferimento del concilio nelle rispettive sedi (ibid., III, fasc. I, pp. 17 ss., 50 ss.);
sottoscrive, o redige, il decreto di condanna del concilio di Basilea, 4 sett. 1439, e
quindi il solenne anatema dei principi conciliari indirizzato da Eugenio IV
all'universit di Montpellier, 21 apr. 1441 (ibid., I, fasc. 2, pp. 101 ss.; fasc. 3, p. 35);
sottoscrive infine, solo fra i segretari, la "Bulla unionis Graecorum" (ibid., I, fasc. 2,
p. 77; Hist., p. 551; v. Conc. fl., III, fase. I, p. 79, per lo speciale versamento della
Camera apostolica a B. per tale atto), e cos pure quelle susseguenti di unione dei
Copti (4 febbr. 1442) e dei Maroniti (7 ag. 1445; ibid., I, fasc. 3, pp. 63, 65, 105). Il
31 ag. 1441, presentatosi al concilio l'abate Andrea, inviato del patriarca nestoriano
Giovanni XI, ne tradusse il discorso, volgarizzato dall'originale "ydiomite

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Syrorum", in eloquente latino (testo ibid., III, fasc. 3, p. 62).


Tra gli atti seguenti si distinguono le istruzioni diplomatiche, "date... per me
Blondum, de mandato S.D.N. Eugenii IIII, cuius Sanctitas eas viderat et
relegaverat, 1442 22 maii", per la legazione al re di Francia di Pietro del Monte,
vescovo di Brescia, intimanti il ritiro della prammatica sanzione e dell'appoggio al
concilio, e preludenti all'abbandono del sostegno papale a Renato d'Angi nel
Regno di Napoli (testo in A. Lecoy de la Marche, II, pp. 245 ss.); e si possono pure
menzionare i sondaggi sulla disposizione dei Bulgari verso il cattolicesimo e la
crociata, probabilmente nel 1443 (v. Nogara, p. 44: "quae mihi dudum pro magno
Eugenio agenti exploratissima fuere"). Vicino a Eugenio IV fu pure in una delle sue
attivit peculiari, la riforma e riorganizzazione dei conventi. Ci risulta non solo
dalle frequenti soscrizioni di bolle e brevi relativi (un es. significativo in Libri
Commemoriali, IV, p. 276), ma specialmente dalle commendatizie a lui indirizzate
da F. Barbaro (28 luglio 1435, per i gerolimini di Verona), e Alberto da Sarteano
(20 genn. 1446, per l'istituzione di un Ordine di clarisse a Brescia). Profittando
della posizione, B. promosse la carriera ecclesiastica del fratello Matteo (v. bolla di
Niccol V, 29 genn. 1448, cit., sui benefici conseguiti "ex procuratione, industria et
sollicitudine prefati Blondi"), dapprima assicurandogli la pieve di S. Reparata a
Castrocaro, non senza una delicata vertenza con la Signoria di Firenze (bolla di
Eugenio IV, 7 apr. 1435, cit. in G. Mini, c. 54), e quindi facendolo nominare,
consacrato monaco benedettino, abate di S. Maria della Rotonda a Ravenna (bolla
di Eugenio IV, 24 nov. 1440, cit. in G. Mini, c. 51), occupandosi anche, "propriis
pecuniis", del restauro degli edifici (bolla di Niccol V, cit.).
Segno dell'influenza acquistata in Curia da B. sono ancora richieste di
raccomandazione di personaggi eminenti, quali il legato apostolico in Inghilterra,
Pietro del Monte (lett. a Marco da Pistoia, 13 ag. 1440, per essere richiamato; v. J.
Haller,Piero da Monte, Roma 1941, p. 177) e il cancelliere del re d'Inghilterra,
Thomas Bekynton (lettera del 27 apr. 1441 per ottenere il vescovado di Bath; v.
Official Correspondence, p. 172). L. Bruni, inoltre, trovava in lui la persona idonea,
per posizione e congenialit di intenti, per accreditare la dedica a Eugenio IV della
versione della Politica di Aristotele (v. anche risposta di B., 8 marzo 1437: "Non
parvi etiam erit faciundum, qua re nostros fortassis aliquando superstitiosos cum
gentilium philosophis in gratiam redire facies", Nogara, p. 94).
N ci andava senza suscitare inimicizie, dentro e fuori la Curia, sia per motivi di
rivalsa politica - come il sequestro dei suoi beni, ordinato nel 1434 dal signore di
Forl, Antonio Ordelaffi, per essere egli "bono servidore" di papa Eugenio -, sia
anche per ragioni pi personali, favorite da certa sua rigidezza di carattere e
consapevolezza di s ("troppo spiacevole", appariva a un postulante fiorentino; ed
egli stesso, in diversa occasione, attesta come gli venissero rimproverate "tum
elationem, tum rusticitatem"; v. G. Mancini, p. 200; Nogara, p. 193). L'autorit
acquisita da B. e insieme le insofferenze suscitate appaiono da un documento,
risalente agli anni 1436-37 del soggiorno della curia a Bologna: "...indomita cervice
ferox,... ordinas et disponis... Nunc autem domina ambitio ad crimen ariolatus et
ydolatrie per inobedientiam te compellit" (Mathias dei gratia Linconiensis filius
regis Anglie Blondo s.d., Bergamo, Bibl. Com., cod. , V, 25, c. 48 r-v; dal contesto
il personaggio appare agire come procuratore della Chiesa a Parigi e Oxford, ed
aspirare, mediante i buoni uffici che B. avrebbe promesso e non mantenuto, a un
beneficio che lo liberasse del gravoso incarico).
A simili accuse, indipendentemente dalle beghe che potevano occasionarle, non
doveva esser disgiunto il proposito di colpire l'altro, fondamentale aspetto della
personalit di B., quello dell'umanista. Salito nella carriera curiale attraverso un
tirocinio essenzialmente politico, B. aveva trovato nell'ambiente di Firenze
l'occasione propizia per un'affermazione autonoma. Autore in precedenza di
piccole composizioni, destinate a non uscire da una cerchia di amici (a certi suoi
versi allude un epigramma anonimo: Flavio vati historico claroque, 1437 c.: "Iam
legi quam dulcis sit tibi fistula", Brescia, Bibl. Com., cod. A, VII, 7, c. 191v), ora
poteva non solo collaborare a imprese rilevanti, come gli emendamenti a Livio,
patrocinati dal card. Prospero Colonna, ma soprattutto misurarsi con gli umanisti
fiorentini, in particolare con il pi illustre, L. Bruni, cogliendo i frutti di una lunga

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preparazione, forse pi eclettica, ma anche pi vasta e meditata. Ci palese sin


dal suo primo scritto importante, il trattatello De verbis romanae locutionis (1
apr. 1435), sorto da una discussione tra segretari apostolici, e in cui B. sceglie come
interlocutore il Bruni.
Contro la supposizione di questi e di altri (C. Rustici, A. Loschi) della sussistenza di
un bilinguismo di dotti e indotti, "ut nunc est", nell'antica Roma, B., appoggiandosi
su di una serie di testimonianze di fatto (specie dal Brutus ciceroniano), nonch
sull'osservazione di sopravvivenze dialettali latine, afferma la sostanziale unicit
della lingua, concepita quale stabile istituzione dello stato romano, e quindi
corrottasi soltanto con le invasioni barbariche. Ma pi che nella tesi in se stessa,
una singolare originalit dimostrata nella coerenza metodica di attenersi a un
ordine di argomentazioni storiche e documentarie, in piena indipendenza dalle
nozioni scolastiche, grammaticali e retoriche, che avevano non poco contribuito a
confondere i termini della discussione. Per questo appaiono importanti la
distinzione fra gradi differenti di cultura e di propriet di linguaggio e i tre
tradizionali stili della retorica (Nogara, p. 125), e quella analoga fra grammatica
intesa come scienza, e grammatica come propriet comune di ogni linguaggio (p.
128). Lo scritto altres significativo nell'economia della produzione complessiva
di B., come scoperta consapevole di un campo autonomo di attivit rispetto alla
ricerca della "eloquentia", valore precipuo degli "humanitatis studia".
L'insufficienza stilistica stessa, da B. confessata (p. 116), non in realt che un
adeguamento, in una studiata e caratteristica complessit espressiva, all'inconsueta
preoccupazione di motivare e soppesare i giudizi, di tener conto, per quanto
possibile, dell'insieme dei dati relativi alla questione in esame. Carattere infine gi
qui ravvisabile, e comune poi ai suoi lavori maggiori, la tendenza ad allargare
l'ambito dell'indagine, per cui il risultato conseguito diviene spunto per nuova
ricerca, vale a suggerire audaci e precorritori, se non sempre realizzabili, temi di
studio. Alla questione della lingua B. pensava ancora nel 1445, proponendo al
benedettino Girolamo Aliotti come a sviluppo del suo trattatello, l'argomento
inedito di una storia della latinit corrotta fino alla recente rinascita ("ut
declinationem linguae latinae postquam fluere in deterius coepit eiusque
propagationem a paucis retro annis... adgrediar scribere", in H. Aliottus, Epistolae
et opuscola, Arezzo 1769, I, p. 148). E baster accennare alla continuit di simili
interessi nelle Decades, nell'Italia illustrata, nella Roma triumphans, dove il fatto
linguistico appare compiutamente risolto nella sua realt storica, istituzionale,
consuetudinaria.
Nel 1435 o poco oltre B. poneva mano a una pi ampia impresa, le storie del suo
tempo. Quella dello storico era per lui vocazione antica ("ab ipsa adolescentia",
come egli ricorda; v. Nogara, p. 31); ma ci che lo indusse a darle forma fu ancora
l'esempio di L. Bruni, allora impegnato nella stesura delle Storie fiorentine, non a
caso ricordate nel De verbis rom. locutionis; n ovviamente meno determinante
era la capacit di personale indipendenza e di accertamento dei fatti, che gli aveva
garantito l'alta posizione in Curia. Cominciando dalla morte di Martino V (l'attuale
libro V, decade III, v. Nogara, pp. 103, 146), e progettando un ordinamento per
"decennali", egli rendeva nota una prima parte in quattro libri nella primavera
1437; tra i primi a prenderne visione furono F. Barbaro, il vecchio segretario e
diplomatico di F. M. Visconti, Giovanni Corvini, e Leonello d'Este. Informa di
questa prima fase del lavoro l'epistola indirizzata a B. da Lapo di Castiglionchio,
Bologna, 10 apr. 1437 (Vat. Ottob. lat. 1667, cc. 208v-217r), importante anche
perch, in forma encomiastica, lo scrivente ripete le idee programmatiche che
aveva udito da B. stesso.
La disciplina storica, nonostante il suo grande pregio, era andata trascurata dai
moderni, ed era quindi tanto maggior merito applicarvisi, che non alle tradizionali
scienze della filosofia, geometria, musica e astrologia. Vero che Leonardo Aretino
l'aveva trattata da par suo: "tamen is patriae tantummodo res gestas complexus
est", mentre B. aveva colmato la lacuna, narrando i fatti "ex universa Italia", con
proposito di giovare non soltanto agli eruditi, "verum etiam multitudini". Tendenza
moderna era di rivolgersi esclusivamente alle cose antiche, dove era vano
gareggiare con i grandi autori, mentre B. aveva ritenuto altrettanto degni i fatti
moderni, "si quis in lucem proferre vellet", rivolgendosi cos "ad ea illustranda", "ut

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intelligerent homines huius aetatis si qua strenue recteque aut contra nequiter et
perperam facerent, ea non modo vivos latere non posse, sed etiam nota posteritati
fore". Infine, in ossequio al principio della veridicit della storia, aveva
scrupolosamente vagliato le testimonianze: "Nam et plerisque ipse... interfuisti
rebus gerendis, et quibus minus interfuisses, eas investigando et percunctando ab
his apud quos gestae essent didicisti, e quibus locupletissimis testibus niterentur
pro veris probasti, quae vero sermonem vulgi auctorem rumoremque haberent, ut
falsa ac ficta omisisti". E ancora, attuando i classici precetti ("ordinem temporum,
locorum descriptiones, tum consilia, acta, eventus"), particolare cura aveva
prestato nel rispettare le ragioni dei singoli, "unicuique servata personarum
dignitate". L'Italia aveva cos trovato il suo nuovo storico, "inter veteres illos
praestantissimos rerum scriptores non immerito collocandus".
In un secondo tempo, scartato il piano dei decennali, B. dava nuova disposizione
alla materia, che si era ampliata, prendendo come punto di partenza il principato di
Filippo Maria Visconti (1412), e, con procedimento a lui caratteristico, elinunava
dalla circolazione la parte dapprima composta ed edita. Nel 1440 erano pronti nove
libri (non per ancora definitivi), mentre un decimo, poi soppresso, comprendeva
"multa... vetustissima veteribus ac novis immixta historiis" (Nogara, p. 104), segno
di un'esuberante erudizione, incapace di tenersi nei limiti dei precetti storiografici.
Il lavoro di revisione e completamento si protraeva fino al principio del 1443,
quando erano distribuiti 11 dei 12 libri composti, con scrupolo di sottoporli a
personalit politiche e culturali delle principali capitali: Guarnerio da Castiglione e
P. C. Decembrio a Milano, F. Barbaro a Venezia, L. Bruni a Firenze, e infine a
Leonello d'Este, che aveva patrocinato fin dal principio il lavoro.
A quest'epoca era gi incominciata la nuova parte dell'opera, "ab inclinatione
romani imperii", di cui inviava i primi 8 libri ad Alfonso d'Aragona (giugno 1443),
accreditato da P. C. Decembrio e dal Valla, e in concorrenza, ancora una volta, col
Bruni, suo costante termine di paragone, che l'anno precedente aveva inviato al
sovrano il suo De bello italico adversus Gothos ""nihil plus habet quam
Procopius",Hist., p. 43). Il nuovo disegno - anche se non va presa alla lettera la
giustificazione a posteriori di B., di avere cominciato "praepostero ordine" per
timore di non giungere a narrare i fatti recenti (lett. al re Alfonso, 13 giugno 1443
Nogara, p. 148) - fu concepito abbastanza precocemente, probabilmente prima del
1440, se egli afferma di essersi procurato Procopio direttamente da qualche dotto
bizantino ("nostra industria nuper habuit Italia",Hist., cit.), prima che il Bruni si
accingesse alla riduzione latina. Tracce del lavoro preparatorio sono in Vat. lat.
1795, sec. XIII-XIV, silloge di cronache medievali (fra cui, Gesta regum francorum,
Paolo Diacono,Hist. Langobardorum, Roberto Monaco,Hist. gestorum in concilio
claremontensi), che dai fogli di guardia, contenenti annali cittadini di fine sec. XIV,
appare di provenienza forlivese; e le numerose postille autografe, di tempi diversi e
relative anche a testi non adoperati (come Darete Frigio), lasciano pensare a un
interesse pi antico rispetto alla composizione delle Storie.
Non si trattava, dal punto di vista di B., di un salto qualitativo rispetto al primitivo
programma, bens dello sviluppo dell'idea affermata nell'epistola di Lapo, di
coprire il campo lasciato aperto dagli scrittori antichi, a cui ora si ricollega dal
punto stesso in cui cessava il loro racconto, indottovi indubbiamente dalle buone
accoglienze ricevute e dal sentimento sempre pi alto del valore della propria
opera. Tuttavia egli non poteva tacere, in sede di introduzione, dei problemi affatto
nuovi di composizione e struttura che gli si erano presentati (discontinuit di
narrazione, ricorso a testi inadeguati e alla testimonianza di scrittori "etiam aliud
quam res gestas dicere intendentium",Hist., p. 4). L'ambito stesso dell'opera
rimaneva incerto: da una parte era la storia dell'"inclinatio" imperiale, e della
relativa sequela di sventure; dall'altra l'interesse si volgeva alle origini e vicende dei
popoli moderni, in particolare d'Italia, verso cui la narrazione doveva convergere.
Divulgando nel 1446 un'edizione provvisoria dei primi 11 libri, in una lettera a un
prelato (probabilmente Ermolao Barbaro) B. insisteva sull'aspetto, diciamo,
negativo dell'"inclinatio" (v. lett. di B., 1446, Nogara, pp. 161 s., importante anche
per la discussione sostenuta sulle ragioni della durata e decadenza dell'impero,
intorno a cui il corrispondente avrebbe voluto un maggiore ossequio alle
concezioni agostiniane); in una epistola dedicatoria inedita, di poco seguente, a

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Leonello d'Este, l'accento batte invece sulla variet inopinata e istruttiva dei casi
posti in luce (Modena, Bibl. Est., cod. Lat. 237, memb., 1446-47; contiene 11 libri e
parte del dodicesimo; risulta di qui come non fosse ancora contemplato
l'ordinamento per decadi).
Solo nel 1453, o poco prima, l'opera era compiuta ed edita, con il titolo Historiarum
ab inclinatione romani imperii decades (decade I, dal 412, - data posta per il sacco
di Roma di Alarico del 410, forse per gusto di artificiose concordanze cronologiche
- al 754; decade II, fino al 1402; decade III, 1412-1439; decade IV, libri I-II,
1440-41; l'ultimo libro era annesso all'edizione per quanto incompiuto, tanto da
non essere compreso nella prima distribuzione delle Storie contemporanee nel
1443).
Nonostante le sproporzioni evidenti, si trattava pur sempre per B. di un testo
unitario, nell'idea a lui cara del grande corpo storico in cui i popoli moderni
potessero imparzialmente riconoscersi, e nella cui attuazione egli vide con orgoglio
uno dei maggiori motivi di gloria della sua epoca (It. ill., p. 350). Le linee direttive
sono quelle indicate dalle concezioni umanistiche, cos per l'oggetto di indagine - le
tradizioni romane, l'Italia, l'Europa civile o Cristianit occidentale -, come per il
sentimento della rinascita e l'impegno culturale che ne consegue. In ci la frattura
con la concezione ancora vigente della storia universale non potrebbe essere pi
netta. La discussione sopra menzionata su s. Agostino mostra come la massiccia
impresa storiografica di B. non andasse esente dal proporre delicati quesiti
filosofici, e come tutt'altro che pacifica fosse una sua completa accettazione. In
effetti per B. il problema di un rapporto con la concezione biblicoprovvidenzialistica neppure sussiste. Per quanto egli possa menzionare miracoli e
appellarsi al volere divino, la sua rimane essenzialmente una storia positiva di fatti,
personaggi, istituzioni umane, nel termine costante di paragone con la pi
maestosa delle istituzioni umane, l'impero romano (su questo punto, v. in
particolare Nogara, p. 162). La discussione stessa sulla "inclinatio", dove
distinguendo il "principium" - irruzione dei Goti - dalle "causae" dell'avvenimento
pu accantonare, pur riferendole, sia la spiegazione "repubblicana" del Bruni, sia
quella etico-religiosa di Orosio, istruttiva, ed esclude l'ipotesi (S. Mazzarino, pp.
78 s.) di un'incidenza nel termine di concetti biblici. Privo di un autentico
sentimento provvidenzialistico, B. ugualmente poco disposto a concedere alla
fortuna: al centro della sua storia un robusto senso della capacit e responsabilit
umana, che si traduce talvolta in duri giudizi verso chi ne prescinda (per es. addita
l'errore di Filippo Maria Visconti nel licenziare il Carmagnola, "ut qui ingentes
rerum moles mirandum in modum vel attollere vel deprimere fortunam culpamus,
alieno id errato quam coeco, ut ferunt, versatilique illius ductu saepius fieri
intelligamus", p. 419; lo spunto suggerito dalla fonte usata, il cronista milanese A.
Biglia: "eodem tempore... fortuna aliud signum dedit", in L. A. Muratori, Rerum
Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 74). Da buon umanista, B. non manca di
assegnare un fine propedeutico alla storia; tuttavia egli evita studiatamente
l'accezione retorico-moralistica, intendendola essenzialmente come scuola di
prudenza politica, donde anche la dignit rivendicata allo storico di fronte ai
potenti (v. dedica cit. a Leonello d'Este, e anche le modificazioni recate al Proemio
dapprima scritto da F. Barbaro per l'Italia illustrata: questi encomia la storia,
"propter singularem utilitatem quam habet privatim et publice ad bene beateque
vivendum"; B.: "prudentia et exemplorum copia gerendis imperii rebus"). Nel
contesto della narrazione si ravvisa una certa rigidit di valutazione etica, o per
giudizio acquisito (per es. su Bonifacio VIII), o per motivi di avversione personale e
politica (per es. riguardo al Vitelleschi); n son evitati termini convenzionali di
riprovazione, come "perfidia", "iniquitas", ecc. (per es. verso le citt ribelli al papa,
o pi generalmente verso i "nemici del nome latino": gli imperatori tedeschi e
quelli bizantini, per non dire dei "barbari", dei saraceni e dei turchi). Ma
confrontando d'altra parte le Storie di B. con le cronache, antiche e
contemporanee, con cui si trova a che fare, si ha la misura di quanta parte dei
consueti moralismi sia da lui deliberatamente bandita. Le passioni e le rivalit
umane vengono accolte come dato di fatto, di cui lo storico deve tener conto. Tale
appunto il pregio delle "universale historie" su quelle "particulare", "perch la
natura de li homini sempre stata de havere invidia et vuluntiera supprimere laude
d'altri, in tanto che fradelli l'uno de l'altro et figliuoli, che li par valere, de padri

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occultano la gloria" (Nogara, p. 211). Di qui anche lo studio, caratteristico nelle


Storie contemporanee, di prescindere dagli intenti propagandistici, di cui era
intessuto il materiale documentario adoperato. Ed anche nel caso isolato del
solenne encomio di F. Barbaro, difensore di Brescia nel 1439 (sollecitatogli dallo
stesso interessato, con l'invio dei commentarioli di E. Manelmi, suo segretario, da
cui B. dipende; cfr. E. Manelmi,Commentariolum de obsidione Brixiae, Brescia
1728, p. 13; Hist., p. 547), egli risolve la propaganda del magistrato veneto su di un
piano pi generale, come modello del buon governo di un saggio, "ut intelligant hoc
exemplo populi quanta sit foelicitas sapientes viros et bonis praeditos artibus
publicis praefectos esse muneribus" (p. 547).
A informare i giudizi di B. essenzialmente il comune clima di opinione formatosi
nella sodalit umanistica; cos per es. nella condanna della milizia contemporanea,
che ripete uno spunto di L. Bruni (pp. 394, 488); o, contradittoriamente, nel
compiacimento per la sud periorit delle razionali tecniche di guerra degli Italiani
rispetto al "furore" dei transalpini (es. p. 469); o ancora, in altro campo, nel
caratteristico atteggiamento di sufficienza verso il clero contemporaneo, ignaro dei
suoi doveri (es. p. 435; Hay, p. 121). Motivo di fondo del racconto, come di tanti
altri testi contemporanei, l'aspirazione pacifista. Storico in larga misura di
battaglie, a un certo punto B. lamenta di aver speso troppe parole, "pro parva
rerum dignitate", nelle interminabili guerre che affliggevano da un capo all'altro
l'Italia (p. 514). La stessa storia dell'"inclinatio" in primo luogo quella di uno
stabile e pacifico assetto lacerato per catastrofe da una serie di sventure, fino alla
pressoch completa estinzione. Correlativo quindi l'ideale di un'effettiva autorit
di governo, che valga a proteggere dai tirannelli, dalle lotte faziose, dalle invasioni
esterne, e a incrementare le ricchezze e le buone arti. In tal forma presentato, per
bocca del legato veneto, il principato di Filippo Maria (pp. 422 ss.); biasimevole di
contro gli appare la situazione del Napoletano, conteso da due re in balia dei
rispettivi baroni, e sul disonore di tale "potentatus exilitas" B. prova persino
ritegno ad indugiare (pp. 569, 497, 552). Proiettato nel passato, lo stesso ideale
riconosciuto, non senza influenza sulla storiografia futura, in personaggi come
Teodorico e Carlo Magno, o in papi come Gregorio Magno e Adriano I (pp. 111, 154
s.).
Si comprende di qui che, come storico del passato - non diciamo medioevo -, B.
svincolato da tradizioni ideologiche e cronistiche, intendendo anzi,
storiograficamente parlando, inaugurare una tradizione nuova. L'impero
all'incoronazione di Sigismondo giudicato ormai "collapsum" (p. 469); ma gi la
fatidica deposizione di Romolo Augustolo gli suggerisce i termini di "imperii
romanorum non magis inclinationem quam occasum" (p. 30). Procedendo oltre, la
"translatio imperii" gli pare convalidata non soltanto dall'investitura papale, ma dai
suffragi dei popoli di tutt'Italia (p. 184). Non per questo perde di vista l'impero
orientale, e i contrasti tra questo e quello d'Occidente sono ritenuti causa prima
"inclinantis pridem imperii funditus evertendo" (p. 166). Pi sensibile alle
situazioni di fatto che a concezioni universalistiche, vede ben presto uscire
dall'ambito imperiale, e quindi dalle direttive della sua storia, le antiche province,
in quanto "sui iuris factae" (pp. 100, 133). D'altra parte, in un singolare impasto di
antico e moderno, il Sacro Romano Impero ben presente nel corso delle Decadi:
per es. alla sua "vacatio", dopo Federico II, "quo ad rem italicam", attribuito il
fenomeno delle usurpazioni signorili (p. 340). Nelle lotte con gli imperatori
germanici, B. naturalmente con la Chiesa e i Comuni. Ma non per questo pu
essere detto "guelfo", non soltanto perch rappresenta in un'accorata invettiva le
lotte di guelfi e ghibellini alla stregua di un'infezione sociale, disseminata da
Federico II in poi per tutt'Italia (pp. 288 s.), ma soprattutto in quanto considera la
fioritura cittadina quale fenomeno, politico ed economico, autonomo rispetto alla
Chiesa (p. 30; It. Ill., p. 349), pur negli alterni vincoli di alleanza. Storico in larga
parte dei papi (e cos pure, per ovvie preoccupazioni contemporanee, delle
crociate), B. guarda alla Chiesa con l'occhio del funzionario curiale laico, e cio in
quanto organismo disciplinare, organizzativo e politico (v. per es. Hist., p. 391, sul
decreto di Bonifacio IX di riserva sulla collazione di tutti i benefici: "rerum
novam... quae successores suos non minus orbis christiani quam Romae dominos
reddidit"; v. di contro p. 237, dove B. rileva con stupore l'impotenza politica dei
papi medioevali in Roma).

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L'interesse dell'opera di B. sta in una, non sempre armonica, combinazione di salde


convinzioni acquisite, di ampiezza di interessi e curiosit culturali e di scrupolo
documentario. Di qui quelli che sono ad un tempo i suoi pregi e limiti di storico.
Con caratteristico procedimento di obbiettivazione, egli mira a registrare
fedelmente la notizia, raramente avventurandosi in apprezzamenti pi generali,
nella misura in cui questa gli resa accessibile, e quindi via via a verificarla e
arricchirla di nuovi riferimenti, e a inserirla in una sempre pi ampia serie di
vicende. In tal modo la sua ricerca viene ad accrescersi su se stessa, per dir cos, a
macchia d'olio, secondo direttive un po' casuali, entro schemi prefissati che,
nonostante i suoi sforzi, rischiano di rimanerle estrinseci.
Circa l'uso del materiale documentario e la sua tecnica narrativa, nella parte
contemporanea evidente la preoccupazione di estrarre e concentrare (anche dal
punto di vista stilistico) l'essenziale, evitando amplificazioni (nello scrupolo, per
es., dei dati numerici) e particolari di colorito o interesse puramente locali. Storia
di fatti, tende a far risaltare plasticamente situazioni e ragioni obbiettive, ma
concede ben poco all'osservazione psicologica. In quanto "storia d'Italia", la parte
avuta dai potentati transalpini compare solo di riflesso, non senza pregiudizio per
la comprensione dell'insieme. L'oggetto , secondo le regole, militare e
diplomatico, con gusto tuttavia per particolari concreti, come per es. sullo stato
d'animo delle popolazioni (Hist., pp. 551, 565), o sul deprezzamento del debito
pubblico a Venezia, per il timore della defezione di F. Sforza (p. 575). Abbastanza
raramente il racconto si distende in squarci narrativi (come per la fuga di Eugenio
IV, una delle primissime parti composte) o oratori (per es. in occasione del
dibattito per l'entrata in guerra di Venezia nel 1426), e sobriamente son trattate le
concioni di rito dei capitani. Circa le questioni ecclesiastiche, per lo pi risolte nel
contesto politico, parte a s hanno, oltre un cenno sui decreti di Costanza e l'ovvia
condanna dei Basileesi, le digressioni sul concilio di Firenze, ove riporta il decreto
di unione delle Chiese, il discorso di Pietro Diacono, legato del patriarca copto
(Nogara, p. 20; Conc. florentinum, III, fasc. 3, p. 63), ragguaglia sulle credenze
religiose degli Armeni (Hist., p. 548) e sulla condizione e sito degli Etiopi, cos da
colmare una lacuna della geografia tolemaica (Nogara, pp. 22 ss.).
Per quanto riguarda le due prime decadi, l'intento critico risulta anzitutto tenendo
presente quanto delle tradizioni medioevali sia taciuto, come non meritevole di
discussione. Per esempio circa la mitica origine troiana dei Franchi, B. aveva
annotato a Gesta regum francorum, in Vat. lat. 1795, c. 10 r: "somnia"; ma nelle
Decadi si limita a scrivere: "Franci et ipsi Germani" (p. 12); lo stesso, fra l'altro, si
osserva per la donazione di Costantino.
Nell'uso della fonte narrativa, B. si attiene perlopi al procedimento consueto della
perifrasi letterale, raramente confortata da citazione, integrando ove possibile con
particolari desunti altrove. L dove egli pi decisamente innova nella ricerca
sistematica di tutti i testi accessibili (a volte anche redazioni diverse dello stesso
testo: v. Buchholz, p. 85, per il Liber pontificalis); nel conseguente postulato
metodico della preferenza da accordarsi all'autore pi vicino cronologicamente e
geograficamente al fatto (per es. al Liber pontificalis sui compendi del XIII-XIV
sec.), donde anche la predilezione per epistolari illustri, ampiamente citati (s.
Girolamo, Cassiodoro, Gregorio VII, Petrarca, ecc.); nella ricerca di attribuzione di
fonti anonime (come quella a "Petrus Guillermus bibliothecarius" del Liber
pontificalis, p. 140); nel ricorso infine alla pi ampia gamma di documentazione
sussidiaria come monumenti e pitture, il Decretum Gratiani e norme
consuetudinarie (p. 163, per Rimini), privilegi, trattati (pp. 238, 269, e Nogara, p.
34), e, per l'et pi recente, a tradizioni orali e memorie di famiglia. interessante
inoltre che, nonostante la condanna globale degli autori medioevali, di fatto egli
gradui la valutazione culturale della fonte ("Pandulphus... historiam diligenter
scripsit", "Ptolomaeus, alioquin vir doctus...", "Martinus Polonus errorum
ecclesiasticae historiae fomes", ecc., cfr. pp. 239 s.); e, per altro aspetto, che si
proponga quesiti non ovvi, per es. sul governo di Roma nel sec. IX (p. 172).
S'intende come in tale raccolta B. oltrepassi la concreta possibilit di un vaglio
metodico e organizzato dei dati; la sua stessa diffidenza critica tende inoltre a trarlo
in errore (per es. in modificazioni proposte alla serie dei papi, p. 140). Segno del
carattere precorritore dell'opera sono i suoi stessi scompensi letterari, del resto da

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B. stesso riconosciuti (v. Introd. a decade I), che approdano a un compromesso fra
una storia di tipo erudito, che inaugura, e una narrativa, retoricamente atteggiata,
da cui prende l'avvio (v. D. Hay, p. 124). Ma per B., in particolare, un risultato
importante era stato raggiunto. Partendo, nelle sue storie contemporanee, dalla
rivendicazione della "dignitas" riconoscibile alle cose moderne, e trattandole con
puntuale scrupolo documentario, egli era uscito dal puro ambito cos di una
narrazione retorica come di una storia strettamente politica, contando soprattutto,
al di l delle vicende alterne di successi e insuccessi, il quadro di civilt in cui esse
si svolgevano, alle cui pi significative manifestazioni (la saggezza di F. Barbaro e le
ricchezze di Cosimo de' Medici, la cupola del Brunelleschi e le prove di bravura
oratoria, la bombarda e il galeone veneziano, ecc.) non era mancato il debito
risalto. Rivoltosi al passato, l'attenzione veniva a vertere in eguale misura sui fatti
narrati e sulla loro eterogenea documentazione, testimonianza in se stessa dei
mutamenti sopravvenuti rispetto all'antico, istituzionali, ambientali, di
consuetudini, denominazioni, non senza compiacimento per le innovazioni
moderne (lo sviluppo delle citt, la polvere da sparo, ecc.). Per questo, nel
congiungere la prima alla seconda parte delle Storie, B. rivendica il diritto di usare
nomi "barbari", in quanto "rerum singularum, quas omnino ut sunt intelligi
oportet, vocabolorum mutatio talis est facta, ut si vetusta illis exponendis attulero,
mea ipse relegens scripta non intelligam" (p. 393). In altri termini, l'indagine
medioevale aveva avuto il valore di rafforzare la coscienza di un'Italia "nova" (p.
396) rispetto all'antica, volgendo l'interesse ai vari elementi che costituiscono gli
aspetti di una civilt. Ma al momento in cui B. pubblic le Decadi, tale sparsa
documentazione aveva gi trovato una sistemazione pi libera e adeguata nel
contesto descrittivo dell'Italia illustrata, per il tramite dell'indagine archeologicoantiquaria della Roma instaurata.
All'origine della Roma instaurata (pubblicata sulla fine del 1446) il clima creato
dal ritorno della curia a Roma nel 1443, e le susseguenti esigenze di riordinamento
amministrativo e urbanistico della citt. Gli interessi archeologici di B., gi attestati
in un passo delle Decadi relativo al 1434 (p. 479), erano inoltre stimolati dalla sua
frequenza nel circolo del card. Prospero Colonna, che accompagna e istruisce
nell'ispezione delle rovine. Una di queste gite narrata in una lettera a Leonello
d'Este (13 nov. 1444), che anticipa passi delle opere, e che si conclude con
l'affermazione che tali e tanti sono i monumenti di Roma e dintorni da riempire
"libri magnitudinem, vel parcissima narratione" (Nogara, p. 159). Tra i precedenti
di tali indagini si possono menzionare gli interessi archeologici ed epigrafici di
Poggio e della sua cerchia, ma probabilmente non, come si scrive di solito la
descrizione di Roma nel De varietate fortunae, edito solo nel 1448, in cui sono forti
indizi di dipendenza dalla Roma inst. (per es., circa la contiguit delle terme
Alessandrine al Pantheon, Poggio afferma semplicemente: "scimus", Opera, Basilea
1538, pp. 135 s.; la posizione dimostrata da B. in base al presunto Sesto Rufo, l. II,
par. 77; Poggio riconosce le terme di Domiziano nell'area della chiesa di S.
Silvestro, in base a quanto "scriptum in vita pontificum adverti"; la menzione
estesa della Vita di Silvestro in B., II, 12; il paragrafo sugli acquedotti appare una
riduzione della sezione relativa di B.; analoghe corrispondenze si notano a
proposito del Colosseo, dell'Agone, delle Terme).
Presupposto fondamentale dell'opera l'esperienza coeva delle Decadi, per
l'analogia stessa dell'intento sistematico di ricostruzione storica, in piena
autonomia dalla tradizione, in questo caso quella ancor vigente dei Mirabilia urbis.
La novit consiste appunto nella ricerca di dipanare l'antico dalle successive
trasformazioni ed edificazioni, l'attenzione per le quali non va disgiunta dallo
studio del materiale pi propriamente archeologico (e forte risalto assume
nell'insieme l'assetto monumentale della citt moderna). Frequente pertanto il
ricorso a testi medievali (Lib. pontificalis, martirologi, Gregorio Magno, Beda,
ecc.), in un caso anche all'archivio di una basilica (SS. Apostoli, III, 79).
Guida alla ricerca il Regionario da B. attribuito a Sesto Rufo, sulla base del codice
scoperto a Montecassino; la scoperta riguarda l'attribuzione, non il testo, gi
altrimenti noto; cfr. I, 18; e R. Valentini-G. Zucchetti, I, pp. 200, 204; IV, p. 251).
Tuttavia l'opera non si limita a una trattazione topografica in senso stretto,
tendendo di frequente a sconfinare nel campo pi ampio delle istituzioni

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(particolarmente ampia la digressione sui comizi, II, 67-72), o delle rievocazioni


storiche, antiche e anche medievali, secondo lo spunto offerto dai singoli luoghi e
monumenti. Anche per questo, le fonti letterarie, adoperate con tutta la consueta
larghezza di repertorio, finiscono per avere la prevalenza sui dati archeologici ed
epigrafici, pur attentamente considerati.
La prima parte dell'opera, pur con numerose digressioni, segue un ordine
topografico, passando in rassegna le porte (13 riconoscibili sulle 23 antiche) e i colli
(libro I), le terme e le regioni delle Carinae, Suburra, Tabernola e Sacra Via; quindi
(II, 40 ss.) d alla trattazione un'organizzazione sistematica secondo istituzioni
(religione, governo e, nel libro III, spettacoli pubblici); infine (III, 67 ss.) considera
in ordine sparso singole rovine e monumenti, rispondendo a quesiti che gli erano
stati posti, e confutando pregiudizi correnti (per es. sulla formazione del Testaccio,
III, 74). Notiamo le ampie disquisizioni sulle terme, sui giochi, in particolar modo
sul teatro, dove lamenta l'avvilimento dei moderni istrioni rispetto all'onorata
professione antica (II, 116); il compiacimento per supposte continuit di usanze
(sui giochi Apollinari, III, 39); i ragguagli su recenti scavi, come per es. quelli
lateranensi o la scoperta dell'iscrizione del teatro di Pompeo (I, 86; II, 109).
Evidente ovunque la preoccupazione di rifuggite, non soltanto dalle credenze
volgari, ma anche dall'ovvio o da opinioni assodate dei dotti (per es. sul termine
"trophaeum", II, 23; v. anche III, 56, sul "Marforio"). In quest'ordine di
considerazioni la digressione sulla rovina degli acquedotti, attribuita non gi ai
Goti, a torto calunniati, ma al venir meno di una tutela amministrativa e alle
susseguenti demolizioni, il cui perpetuarsi al presente motivo di alta deplorazione
(II, 98-101; III, 7). Verso il termine B. dichiara lo scrupolo metodico, "ne ignota
impudenter asserere aut impossibilia vane et leviter conari compelleremur", per
cui lascia la descrizione delle rovine anonime a coloro "quibus fortassis curae erit
hanc describere quam nostrum habet saeculum. Romam" (III, 77, 84). Nella nota
conclusione, insieme al riconoscimento della grande superiorit civile della Roma
antica su quella moderna, B. non manca di prestare ossequio alla Roma cristiana e
ai suoi luoghi sacri, per cui essa pu ancora dirsi capo del mondo. In questa pagina
non solo da sottolineare l'aspetto polemico verso un classicismo irriverente, ma
anche la sua studiata posizione nell'economia del lavoro, per cui distingue la
menzione delle mete di pellegrinaggio dall'oggetto fondamentale, di ricostruzione
storica e descrizione monumentale, della ricerca, marcando in definitiva, senza
offendere la sensibilit di papa Eugenio, dedicatario dell'opera, il distacco dalla
tradizione dei Mirabilia.
Recentemente stata segnalata (da G. Scaglia) la stretta corrispondenza, per
monumenti e didascalie, con la Roma inst., della pianta archeologica del cod.
Laurenz. Redi 77 (1471), copia di un prototipo anteriore al 1450, da cui furono
ricavate le illustrazioni di mss. tolemaici di Piero del Massaio (1452). L'ipotesi che
fosse stata una carta adoperata da B. senza dubbio erronea, trattandosi
chiaramente del rapporto inverso; ma comunque documento interessante di
quanto precocemente l'opera si fosse imposta, sia in campo archeologico e
letterario che, subordinatamente, geografico e artistico.
L'opera riconosciuta come la pi personale di B., l'Italia illustrata, fu anche l'unica
sua che abbia avuto origine da una commissione. Se bene intendiamo l'allusione,
nel 1447 Alfonso d'Aragona gli aveva richiesto, attraverso il vescovo di Modena
Giacomo Antonio della Torre, un catalogo degli uomini illustri del tempo, secondo
un intento probabilmente analogo a quello poi realizzato da B. Facio (v. il Proemio
di F. Barbaro, in Quirini,Diatriba, p. CLXXII: "Unde peragrare ac lustrare Italiam,
coepi,ut non solum cum praesentis aevi hominibus in Italia nunc essem,quod a
principio quaesiveram, sed... intermortuam culpa temporum memoriam cum
doctissimis hominibus huius aetatis in lucem revocarem"; corsivo nostro). Un
modello in tal senso gli era offerto dall'Itinerarium di Ciriaco d'Ancona (1443), che
, a suo modo, una rassegna dei dotti nelle varie citt, la cui scelta corrisponde
abbastanza da vicino a quella di B. Ma lo schema si era subito modificato nei
termini a noi noti della descrizione geografica, archeologica e storica di tutt'Italia.
A tal fine egli era soccorso dalla contemporanea fioritura di studi geografici e
cartografici (ovvio e documentato il suo interesse in materia nelle Decadi, per cui
richiese nel 1443 al re Alfonso di inviargli delle carte; l'idea stessa dell'"Italia nova"

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gli era suggerita da termini cartografici: "tabulae novellae", per es. "Italia novella",
"Palestina novella" ecc., era la designazione tecnica delle carte moderne aggiunte
alle tolemaiche; v. G. Uzielli,P. dal Pozzo Toscanelli, p. 141). Vi era inoltre
l'esempio di descrizioni storico-topografiche, quali quelle di Creta e delle isole
dell'arcipelago di C. Buondelmonti, o la stessa Descriptio orae ligusticae di G.
Bracelli, che, gi composta nel 1442, egli si procurava nell'aprile 1448, attraverso i
buoni uffici del legato genovese a Roma, B. Imperiale (sulla data di composizione,
v. la lettera del Bracelli di presentazione dell'opera a A. Giustiniani, 10 apr. 1442, in
C. Braggio, p. 44; e la menzione nel testo al dogato attuale di Tommaso
Campofregoso, 1437-43; nella lettera di presentazione a B., 1 apr. 1448, in
Braggio, pp. 287 s., il Bracelli fa intendere di aver composto la Descriptio per
soddisfare la sua richiesta, ma si tratta evidentemente di una ricerca di
benemerenza dell'autore pi oscuro rispetto al pi illustre). Ma a segnare un salto
qualitativo, rispetto ai precedenti, era l'opera stessa precedentemente compiuta da
B.: la ricerca dell'Italia illustrata rappresentava per lui la prosecuzione di quella
della Roma instaurata, e su tutto stava il grande quadro storico delle Decadi, "per
eam quam sum nactus Italiae rerum peritiam" (St. ill., p. 293).
La stesura dell'opera si lega strettamente con l'episodio della temporanea disgrazia
di B. presso la Curia di Niccol V. Le difficolt dovevano gi essere cominciate nel
1448, se B. avvisava il doge di Genova, Giano Campofregoso, che gli richiedeva i
suoi buoni servizi in Curia, che i "tempora et vivendi... modus" andavano
cambiando (v. lett. del doge a B., 22 apr. 1448, in Braggio, p. 26); e se,
verisimilmente per una riduzione degli emolumenti, egli aveva bisogno di
procurarsi i favori di Alfonso d'Aragona, attraverso un complicato giro di
raccomandazioni, a iniziativa di P. C. Decembrio per il tramite di Iigo d'Avalos e
quindi del Bessarione (v. lett. di Iigo al Bessanone, 1448, Bibl. univ. di Genova,
cod. C, VII, 46, cc. 15r-16v). Dispersasi la Curia per la pestilenza scoppiata a Roma,
e ritiratosi il papa a Fabriano con pochi collaboratori (15 maggio 1449), B. vi
anticipava il ritorno in agosto, "ansioso di guadagno" (Poggio, lett. a A. Fiocchi, 12
ag. 1449,Epistolae, III, Firenze 1861, p. 10). Ancora presente in settembre (v. lett.
di F. Barbaro a B., 15 sett. 1449), poco dopo egli abbandonava l'ufficio, forse in
coincidenza col ritorno del papa a Roma (29 settembre), e si ritirava quindi
successivamente nelle sue dimore di Romagna (a Monte Scudo, presso Rimini, v.
It. ill., p. 342), di Ferrara (a San Biagio presso Argenta aveva acquistato [1443] un
podere; nel 1457 B. attestato come "civis ferrariensis"; v. G. Mini, c. 58) e di
Ravenna. In cerca di favori o unici, si rec inoltre a Milano, dove aveva come
fautore il Filelfo, probabilmente in occasione dell'insediamento di F. Sforza (marzo
1450), e a Venezia (estate 1451), dove incontr i legati di Alfonso d'Aragona, A.
Panormita e L. Despuig, attraverso i quali fece pervenire al sovrano la parte
composta dell'Italia illustrata, accreditata dalla dedica scritta da F. Barbaro. Nel
1452 era alla corte di Napoli, e alla presenza dell'imperatore Federico III, in aprile,
pronunci una solenne orazione per esortare alla crociata, nella dignit che gli
proveniva dall'essere lo storico dell'Europa e dell'Occidente latino (Oratio coram
serenissimo imperatore Frederico et Alphonso Aragonum rege inclito Neapoli in
publico conventu habita, in Nogara, pp. 107-114). Ritornato a Roma verso il
principio del 1453, dava ancora il suo contributo ai progetti caldeggiati per la
crociata con il trattatello De expeditione in Turchos, indirizzato ad Alfonso
d'Aragona il 1 ag. 1453 (Nogara, pp. 31-51), in cui passa in rassegna la situazione
dei popoli soggetti nella Grecia e nei Balcani; e inoltre, frequentando il card. D.
Capranica, ne assecond la missione diplomatica a Genova (nov. 1453) con un
indirizzo al doge Pietro Campofregoso (Ad Petrum de Campofregoso illustrem
Genuae ducem, in Nogara, pp. 61-71), per esortare alla pacificazione interna,
condizione per collaborare alla causa comune. Tuttavia soltanto il 1 ottobre egli
era riammesso dal papa in carica (v. lett. a F. Barbaro, 26 ott. 1453, in Nogara, pp.
166 ss.; un breve sottoscritto da B., in data 5 ott. 1453, in Arch. di Stato di Milano,
Sforza Pot. Est., 40).
La disgrazia di B. ebbe sicuramente uno sfondo politico, e insieme dei motivi pi
strettamente personali. La testimonianza di Enea Silvio (De Europa, cap. LVIII),
che fosse venuto in disfavore di Niccol V perch favorito dal predecessore, quella
che, debitamente precisata, pi ci accosta al vero. La carriera di B. si identificava
col pontificato di Eugenio IV, ed era, giova ricordarlo, una carriera essenzialmente

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politica, come sottolineato dall'attinenza mantenuta con la Camera apostolica e il


camerlengo. La funzione di segretario pontificio mancava tuttora di una precisa
configurazione e, cos come variava nei compiti e nelle responsabilit, era
ampiamente soggetta a un potere discrezionale. Si capisce come B., gi personaggio
influente, venisse con la morte del papa a trovarsi, per dir cos, allo scoperto, e
compromesso nei mutamenti di indirizzo politico. Egli stesso lamenta
esplicitamente il danno derivatogli dall'amicizia dei Veneziani "apud hostes et
aemulos suos", senza un'apprezzabile contropartita (lett. a F. Barbaro, cit., in
Nogara, p. 167). Possiamo ricollegare l'affermazione con l'allusione di Poggio al
fatto che B. aveva concepito grandi speranze, poi deluse, "ex alterius amplitudine
quae certa sibi futura videbatur" (lett. al Fiocchi, cit.); allusione che va con buona
probabilit riferita al card. camerlengo Ludovico Trevisan, potentissimo e ritenuto
papabile al conclave, e poi messo in disparte da Niccol V, proprio in coincidenza
con l'allontanamento di B. (v. P. Paschini,L. card. camerlengo, Roma 1939, p. 151).
D'altra parte B. incontr la particolare e accanita ostilit di un alto personaggio,
sulla cui identificazione con il card. vicecancelliere F. Condulmer possono
sussistere ben pochi dubbi (nella lett. a F. Barbaro, 26 ott. 1453, B. discorre del suo
"nemico" come morente; il Barbaro, il 6 nov., ne attesta la morte: F. Condulmer
mor il 30 ottobre; esso era "notissimum" al Barbaro, del quale il Condulmer si
professava "compater", Quirini, App. p. 27; nei rimaneggiamenti alla prima
edizione dell'Italia illustrata, insieme alla dedica e menzioni per Niccol V, sono
"accuratamente" soppresse quelle per il vicecancelliere: Nogara, pp. 217, 224; in
una lettera a G. Bracelli, 10 dic. 1454, Nogara, p. 168, B. attribuisce la sua disgrazia
ad alcuni "ex maioribus atque supremis e al vicecancelliere spettavano le sanzioni
disciplinari). Quali fossero le ragioni di tale avversione, rimane oggetto d'illazione;
certo soltanto, da quanto B. dichiara al Bracelli, che la sua attivit di studio influ
negativamente, in quanto giudicata, per pretesto o meno, incompatibile con
l'ufficio. Nell'insieme la spiegazione pi plausibile dell'episodio sembra essere che
B., visti compromessi il suo prestigio e i suoi emolumenti, abbia cercato
volontariamente fortuna altrove, incorrendo in sanzioni, che egli stesso e i suoi
sostenitori stentarono in seguito a sanare.
La redazione dell'Italia illustrata segu varie fasi, nella successiva rielaborazione dei
dati che B., direttamente o coll'aiuto altrui, andava raccogliendo. Con
procedimento gi sperimentato nelle Decadi, egli invi parti singole a personaggi
eminenti (come documentato per P. Colonna e Malatesta Novello, signore di
Cesena, v. A. Campana,Passi inediti), con dediche atte a procurargli collaborazione
e sovvenzioni, destinate peraltro a scomparire a opera compiuta. Di tale metodo ci
ragguaglia egli stesso, nella lettera a B. Facio, sett. 1451 : "in hoc: ... opere singulos
rogare et petere convenit, si quid sciant audiverintque in patria aut suae originis
regione", posto che "rudis et litterarum ignarus in soli patrii loco melius noverit
quam ego litteris copiosior" (Nogara, p. 106). Alle ricerche collabor F. Barbaro,
per cui richiesta il canonico udinese Iacopo Simeoni compose il trattatello De
nobilitate et antiquitate civitatis aquileiensis (1448 c.; ed. in Miscell. di varie
operette, II, Venezia 1740, pp. 105 ss.), e che cointeress anche Guarnerio
d'Artegna (lettera a Guarnerio, 20 maggio 1451 c., in A. M. Quirini, App., pp. 114
s.). Della fase preparatoria documento superstite il ms. della Romandiola
segnalato dal Campana; del testo presentato ad Alfonso d'Aragona nel 1451, ancora
privo delle regioni meridionali, resta la dedica scritta dal Barbaro; ancora
patrocinata dal Barbaro ("de Italia quod monuisti faciam", Nogara, p. 167) era la
redazione dedicata a Niccol V nel 1453, da cui B. con le modificazioni su esposte e
qualche correzione (Nogara, pp. 219-224) ricavava il testo poi passato alle edizioni
a stampa (per qualche pi tardo ritocco al testo, v. Nogara, pp. 225-227).
La struttura dell'opera deriva dall'intento di "accomodare" la configurazione
dell'Italia augustea al presente assetto, e la suddivisione delle 18 regioni
continentali ("Liguria sive Genuensis; Etruria; Latina sive Campania Maritima;
Umbria sive Ducatus Spoletanus; Picenum sive Marchia Anconitana; Romandiola
sive Flaminia et Aemilia; Gallia Cisalpina sive Lombardia; Venetiae; Italia
Transpadana sive Marchia Tarvisina; Aquileiensis sive Foroiuliana; Istria;
Samnium sive Aprutium; Terra Laboris sive Campania vetus; Apuliae; Lucania;
Salentini sive Terra Hydrunti; Calabria; Brutii"; realizzate solo le prime 14), pur
tenendo per base la descrizione di Plinio, risulta un compromesso di antico e

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moderno. Nell'incertezza delle denominazioni attuali, B. tiene presente l'uso della


Chiesa (per es. p. 295, per la qualifica di "civitas") e comunque si attiene a quello
storicamente affermato, anche se, come nel caso della Marchia Tarvisina, il nome
gli paia barbaro e assurdo (p. 374). Lo schema di descrizione in genere
abbastanza libero, anche in conseguenza della varit dei testi usati (Plinio,
Strabone, Tolomeo, Pomponio Mela, Solino, Anonimo Ravennate, ecc.), e alla
menzione dei confini ed estensioni, dei monti e fiumi, di citt e castelli, si
aggiungono all'occasione ragguagli sulle colture e prodotti, sulle bellezze naturali,
sulle strade, e quindi via via su memorie e episodi, sugli uomini notevoli passati e
presenti, su opere d'arte, su luoghi sacri, in una parola su quanto in un determinato
luogo appaia meritevole d'attenzione. L'Italia illustrata non tuttavia solo lavoro di
compilazione, ma anche di cernita critica. L'interesse di B. volto in primo luogo a
definire i mutamenti avvenuti (nell'introduzione premette la considerazione della
situazione demografica e urbanistica, per cui non ritiene l'Italia presente
ragguagliabile a quella antica); per questo cerca di verificare e aggiornare i dati dei
geografi antichi (come nel caso della rotta del Po a Ficarolo, non registrata nelle
carte, p. 355; v. anche pp. 351 s.), e talora di correggerli (per es. Plinio, sulle fonti
del lago Fucino, p. 320). L'opera vuol essere in egual misura una guida alla
conoscenza dei luoghi e un prontuario per intenderne la storia ("non parvae partis
historiarum Italiae breviarium", p. 294). Per questo le denominazioni moderne
sono scrupolosamente rispettate, non senza intento polemico verso il classicismo
degli autori contemporanei (v. Hist., pp. 294 s.). Di particolare interesse sono gli
excursus sull'origine delle citt, dove pi sensibile il distacco di B. dalle opinioni
correnti e dalle tradizioni municipalistiche. Il suo senso del concreto si nota, per
es., a proposito delle origini di Genova, quando, scartate le leggende etimologiche,
a cui ancora il Bracelli indulgeva, non ne ammette l'esistenza prima della menzione
di Livio al tempo della seconda guerra punica, e, nonostante il favorevole
retroterra, la ritiene sviluppata solo in et medioevale (p. 297); un'osservazione
analoga su Venezia, che riassunse la funzione giavuta nei traffici adriatici da
Spina, Adria e Aquileia (p. 385). A proposito di Siena, egli ricorre a documenti
originali (del monastero di S. Giorgio in Alga a Venezia, p. 307), e, per l'Aquila, a
tradizioni orali verificate su fonti scritte (p. 396).
La menzione dei personaggi, oltre i termini convenzionali di elogio, appare spesso
sfumata e frutto di meditato giudizio; in alcuni casi si tratta di preziosi
riconoscimenti precoci (come sul valore poetico del giovane Pontano, p. 330). Pur
ispirato ai criteri di valutazione umanistici, B. non pone rigide preclusioni, ed
elenca per es. fra i dotti Pietro Loredan, per il suo trattato della navigazione (p.
373). Debito risalto trovano le pi significative opere e iniziative culturali del
tempo, fra cui la fondazione della biblioteca medicea di S. Marco e della
Malatestiana di Cesena; e cos pure le realizzazioni tecniche, come nel passo
celebre sull'invenzione amalfitana della bussola. Nei singoli luoghi reso omaggio
alle corti signorili, famiglie patrizie e uomini di chiesa, con studiata preoccupazione
d'imparzialit; non mancano peraltro giudizi assai severi, per es. sul saccheggio di
Piacenza del 1447 da parte delle compagnie di F. Sforza (p. 359). Spunto critico
d'altro genere, influente sulla storiografia successiva, quello sull'"absurda
consuetudo" dell'incoronazione imperiale di Monza (p. 364). Caratteristica
dell'opera sono le digressioni, a cui motivi occasionali danno frequentemente
pretesto (per es. sulle "empie" consuetudini dei fraticelli, apprese da Giovanni di
Capistrano, pp. 337 s.). Le pi importanti sono quelle della Romandiola, dove, con
compiacimento patriottico, B. mira a trarre il succo della civilt del suo tempo:
cos, a proposito di Giovanni diRavenna, egli delinea gli sviluppi dell'umanesimo,
considerato negli aspetti tangibili del diffondersi delle scuole e della circolazione
libraria; e, alla menzione di Alberico di Cunio, ripercorre la storia d'Italia, che,
grazie all'iniziativa del grande condottiero, era giunta a darsi armi proprie,
limitando i danni della guerra e la fuoruscita delle ricchezze, s da godere ora di una
relativa prosperit, sconosciuta ai secoli precedenti (v. anche introd.: "saeculum
nostrum quod... quae ante patrum nostrorum aetates fuerunt saeculorum respectu
felix appellari potest", p. 294). Notevole interesse riveste pure la digressione sui
Longobardi (nella Marchia Tarvisina), considerati i veri eversori della civilt
romana, anche riguardo alla lingua, contrariamente a quanto era affermato nel De
verbis romanae locutionis ( qui, p. 374, l'importante specificazione degli elementi

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dell'antica civilt andati perduti, cos poi parafrasata da Machiavelli nelle Storie
fiorent., I, 5: "le leggi, i costumi, il modo di vivere, la religione, la lingua, l'abito, i
nomi"). Non c' dubbio che l'Italia sia sentita da B. come un'unit viva; ma,
nonostante la delimitazione geografica, tale per lui soprattutto l'Italia centrosettentrionale. Giunto alle regioni del Regno, ammette egli stesso un senso di
estraneit ("maius solito negotium"), dando un sommario della sua storia a partire
dai Normanni, proprio in quanto ritenuta poco nota (p. 389). Di fatto la
descrizione di questa parte appare pi spoglia delle precedenti, limitandosi
perlopi ai dati geografici e archeologici (per Napoli e dintorni); e se egli omise le
ultime regioni, avendo appena cominciata la Puglia, la vera ragione fu in un difetto
di conoscenza intrinseca, piuttosto che nella giustificazione contingente poi
addotta, di avere anticipato la pubblicazione a rimedio di un'edizione abusiva
(Nogara, pp. 227 s.).
Il significato dell'opera era sintetizzato da B. stesso nella Prefazione (ancora
modificando il testo del Barbaro), nell'immagine del grande naufragio della storia,
da cui trarre pazientemente a riva i relitti, "supernatantibus aut parum
apparentibus tabulis": non pi un sentimento vago del mutare delle umane cose,
ma i due saldi, perch culturalmente qualificati, punti d'orientamento del presente
e dell'antichit, tra i quali era aperto il campo per una consapevole e concreta
indagine.
Dopo il ritorno in Curia, B., pur reintegrato nel collegio dei segretari, non svolse
effettivamente che un'attivit ridotta. Dal 1454 non sembra che il suo nome
compaia pi nei brevi pontifici (v. i numerosi originali presso l'Arch. di Stato di
Milano), e si riscontra soltanto in certe bolle (p. es. 27 apr. 1455, 22 apr. 1460, nella
Bibl. Com. di Forl). Un breve di Callisto III, che gli prolunga un permesso
d'assenza "quamdiu libet", indizio ulteriore di tale disimpegno (Milano, Bibl.
Ambros., cod. N 54 sup., c. 36v). A Roma ricordato come frequentatore dei circoli
e delle biblioteche dei cardinali Capranica e Bessarione. Tra i viaggi compiuti
notevole un soggiorno presso la corte di Urbino (1456 c.), con cui B. si dimostra in
rapporti confidenziali (v. Roma triumph., p. 193; Nogara, p. 175); nell'estate e
autunno 1456 dimora a Ravenna. La lettera a Nicodemo Tranchedini, datata da
Firenze, 28 febbr. 1457 (ma 1458, se, come possibile, adotta lo stile locale) - in cui
sollecita l'ambasciatore sforzesco a Firenze ad accorrere "pro negotiis et necessitate
illius fratris mei domini Cosmi", alludendo a una situazione che "in dedecus ipsius
domini Petri et omnium nostrorum redundare posset" - fa pensare, piuttosto che
ad "affari privati" (Nogara, p. 169), a una sua collaborazione politica con i Medici,
in un momento di crisi del regime (v. N. Rubinstein,The governm. of Florence
under the Medici, Oxford 1966, pp. 88 ss.; cfr. anche la lettera di Latino Orsini a
Lorenzo de' Medici, Roma, 20 apr. 1473, commendatizia per Matteo, "gi fratello
de messer Biondo da Forl, secretario apostolico, quale, come dovete sapere, fu
caro amico de la bona memoria de Cosmo et degli altri vostri", Arch. di Stato di
Firenze, MAP XLVI, 221).
Nel luglio 1454 B. pubblicava un ristretto di storia veneziana fino al 1291 (De
origine et gestis Venetorum, dedicato a F. Foscari), sia per soddisfare a richieste
pervenutegli (v. Nogara, pp. 167 s.), che per esortare alla crociata. Ma questi anni
furono soprattutto dedicati all'ultima grande opera, la Roma triumphans.
Il precedente pi notevole era il De potestatibus romanorum di A. Fiocchi (1424
c.). Ma l'innovazione sostanziale, non solo per la considerazione di parti da
questo trascurate (per es. l'et imperiale), ma perch non vuole essere un manuale
("commentariolum") delle magistrature sacre e profane, ma una ricostruzione
sistematica della vita pubblica e privata romana; non un sussidio alla lettura degli
storici, ma un'indagine indipendente di aspetti da questi non espressamente
trattati. Qui trova la sua pi matura affermazione l'assunto metodico di B., per
nulla ovvio al tempo, di perseguire l'accertamento del fatto, indipendentemente da
enunciazioni retoriche, filosofiche e giuridiche, nel punto stesso in cui egli ha a che
fare con oratori, filosofi e giuristi (la distinzione posta da B., pp. 54, 167, 181). Al
solito fatto ricorso a tutto il materiale accessibile, latino e, se possibile, greco,
"uno specimen... della coltura storica e filologica dell'Italia verso la met del
Quattrocento" (Nogara, p. CLV). Il modello di Varrone gli ovviamente presente,

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ma, almeno in forma dichiarata, B. non sembra richiamarvisi specificatamente (il


termine stesso di "antiquitates", che si afferma pi tardi, non espressamente
enunciato); del resto, come in tutte le sue opere, pur nella generica imitazione degli
antichi, egli si riserva ampio margine per un'organizzazione personale della
materia. Questa divisa secondo lo schema quadripartito, divenuto poi
istituzionale: religione (libri I-II: divinit, sacerdozi, culto, cerimonie);
amministrazione (libri III-V: magistrature; governo provinciale, comizi, senato,
cariche amministrative, diritto e procedimenti penali, cittadinanza, condizione dei
servi, ordinamento fiscale); milizia (libri VI-VII: composizione e gradi dell'esercito,
disciplina militare ricompense e privilegi ai soldati, congedo, ordinamento di
battaglia, insegne, flotta, ecc.); istituzioni private (libri VIII-IX: matrimonio,
divorzio, educazione, agricoltura, edifici urbani e rustici, suppellettili, vesti, strade,
mezzi di trasporto; per il l. X, v. oltre).
L'esposizione segue un metodo minutamente analitico, partendo, al modo dei
giuristi, dall'esposizione dei termini, dell'etimologia e del significato, per poi
procedere a pi ampia disamina, adducendo il passo della fonte opportuna,
confrontato e discusso con altri testi. I passaggi da un argomento all'altro appaiono
spesso fortuiti, si da creare tensione fra l'intento sistematico e la ricerca in atto.
L'esposizione qua e l ravvivata da digressioni metodiche, per es. dove B.
denuncia l'irresolubile difficolt nel ragguagliare sul sistema monetario romano
(pp. 112 s.), oppure dove, a proposito della sontuosit delle abitazioni private
romane, tanto superiore alla presente e testimonianza della ricchezza diffusa,
esprime tutto l'entusiasmo di una personale scoperta. Al caso cita ampiamente testi
poco noti, come Erodiano (sul culto imperiale, pp. 44 s.) e Onosandro (sull'ottimo
generale, pp. 152 ss.), nelle versioni recenti di Ognibene Leoniceno e Niccol
Sagundino. Un'ampia citazione di Giovanni Crisostomo gli serve a far risaltare le
realizzazioni civili dell'impero, rispetto ai disagi dei tempi dei patriarchi (pp. 201
s.).
L'ordinamento sistematico non gli impedisce di tener conto dell'evoluzione degli
istituti, specie nel trapasso dalla repubblica all'impero. L'uso delle fonti , almeno
in via di principio, informato a questo criterio ("ratio temporis et locorum", p. 187);
per es. Vegezio non considerato testo valido per la milizia repubblicana se non
quando segue Sallustio (p. 128). Lo stesso si osserva nell'uso del Digesto,
ampiamente confrontato con le autorit storiche e letterarie. Importanza talora
determinante ha il ricorso alle iscrizioni (per es. p. 33, sui legati ai collegi
sacerdotali). In un luogo notevole B. trova conferma a Livio, sul numero dei
senatori, in Maccabei, I, 8, 15. Pi di una volta discute testi antichi (Valerio
Massimo, Gellio, pp. 41, 74, 83), e anche in Livio ravvisa oscurit e contraddizioni
(p. 60, sulla distribuzione censitaria e i primi conii del denaro). Nel campo delle
consuetudini private attento alla sopravvivenza di tradizioni popolari (pp. 173,
181, ecc.); in un'occasione ricorre per questo a un antico strumento dotale (p. 174).
Il libro VII, a conclusione della parte sulla milizia, contiene una rapida sintesi della
storia romana, rimasta esclusa dalle Deche superstiti di Livio, e quindi un
ragguaglio delle fonti dell'et imperiale e della successione degli imperatori, fino al
terminus ad quem della "inclinatio". Fedele all'intento di registrare fatti e non di
pronunciare giudizi, B. evita di manifestare una preferenza per la repubblica o
l'impero (p. 148, su Cesare: "Nec satis scimus neque etiam nostri propositi est
discernere plus ne boni an mali rebus attulerit romanis sua... opinio principatus").
Di fatto la natura dell'opera non consente un'interpretazione coerente dell'una o
dell'altra et; tuttavia manifesto che la rappresentazione di Roma di B. converge
verso l'et imperiale, specie nella sua esaltazione della concessione universale della
cittadinanza, considerata come il massimo frutto della civilt romana (pp. 2, 106, e
passim). Tra le opere positive degli imperatori sono inoltre ricordate la
sollecitudine per le province, l'assistenza al popolo, la disciplina militare (pur
deplorando per altro la sediziosit dei pretoriani).
Il decimo e ultimo libro dedicato ai trionfi, simbolo della grandezza romana, e
termina vagheggiando un trionfo cristiano, modellato all'antica, a conclusione della
crociata contro i Turchi, e riaffermando quindi l'idea della Chiesa quale vera erede
dell'universalit di Roma. Di qui proviene il titolo dell'opera, che B. accredita con

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l'autorit di s. Agostino, il quale avrebbe desiderato assistere a un trionfo ("qualem


beatus Aurelius Augustinus triumphantem, videre desideravit", p. 2; "quam
[formam triumphi] inspexisse Aurelium Augustinum optasse refertur", p. 212; non
chiaro a che B. precisamente alluda).
tuttavia evidente che non soltanto lo spunto conclusivo rimane estrinseco
rispetto alla sostanza dell'opera, ma che il ricorso al nome di s. Agostino
pretestuoso. Una visione globale di Roma antica, additata a modello ai popoli
partecipi della sua eredit, non poteva non opporsi alla concezione che di essa si
era perpetuata nella tradizione cristiana dalle pagine del De civitate Dei. Trattare
in particolare della religione, significava ricostituire Varrone al di l di s. Agostino;
ed palese in questo caso lo sforzo di B. di giustificare i Romani, attribuendo ad es.
le credenze pi riprovevoli a culti esterni, che gi gli antichi saggi condannavano
(pp. 10, 23; in implicita discussione con Agostino, B. asserisce inoltre la credenza
nell'immortalit, in base ai legati testamentari a istituti sacri, p. 34). Attenzione
prestata agli aspetti umani e sociali del culto, proponendo alcuni parallelismi con
rituali cristiani (pp. 18, 28); analogamente le entrate dei collegi sacerdotali
vengono equiparate ai proventi del clero moderno, con uno spunto non privo di
intenzioni polemiche (pp. 31 ss.; pi, esplicitamente, p. 15). I temi dell'apologetica
cristiana in B., come in altri testi umanistici del tempo, non sono ritenuti pertinenti
nell'apprezzamento dell'antichit. Per es., a proposito del valore delle lettere di
assegnare lodi e biasimo, egli cita s. Agostino, che, se non apprezz le lodi "ex
christianae religionis institutis", "vituperationes tamen evitandas... innuit" (p.
100). Su questo punto cruciale, - l'"amor laudis", tacciato da Agostino come "unum
vicium" su cui riposavano le virt gentili - la polemica diventa esplicita. Giunto a
trattare delle virt pubbliche e private alla base della buona amministrazione di
Roma, "vix solis philosophis per aetatem nostram relictae" (p. 120), B. non manca
di attestare il dissenso dei pi dei suoi contemporanei, i quali, "solis
philosophantes verbis, cum re ipsa longe a vera absint philosophia" (p. 117),
lodavano i Romani a denti stretti, rattenuti dalla condanna dell'amore di gloria. Per
B. al contrario lo stimolo della gloria e l'amore della virt "propter se ipsam"
valevano come condizione per la salvaguardia del vincolo sociale, e, nonch di
pregiudizio, erano di vantaggio per la salute stessa dell'anima. Come gi nelle
Decadi, non si pone problema di conciliare antichit e cristianesimo in una visione
storica generale; anzi la menzione di Paolo Diacono come "primo degli storici
cristiani" (p. 70) sembra indicare una pi decisa esclusione della storia
ecclesiastica dal rango della storia propriamente detta. L'accordo stava in sostanza
nelle personali convinzioni etiche, a cui B. riconduce la pur sincera devozione
religiosa. Ci espresso con particolare vigore nelle due lettere che scrisse a
Galeazzo Maria Sforza (22 nov.; 12 dic. 1458, Nogara, pp. 170-178; 179-189,
sull'educazione umanistica e religiosa del principe), interessanti anche per quel che
attestano della vivace reazione di ambienti ecclesiastici alle sue concezioni. In lui
l'educazione cristiana intesa, non differentemente da quella degli "humanitatis
studia", come guida alla virt sugli esempi illustri del passato. in questo contesto
che egli accenna a una significativa condanna delle tradizioni agiografiche
leggendarie (sull'esiguit del numero dei martiri, "certis ab auctoribus"; v. Nogara,
p. 182).
Gli ultimi anni di B. furono amareggiati dalle persistenti strettezze economiche, s
da indurlo, mal ripagato dai lavori maggiori, a comporre e a progettare nuove
opere, che potessero far valere il suo talento e la sua reputazione presso i potenti
del momento.
Di questa natura il trattatello Borsus sive de militia et iurisprudenzia praticamente un sunto delle questioni trattate nella Roma triumphans -,
occasionato alla dieta di Mantova dalle tradizionali dispute sulla preminenza
dell'uno o dell'altro ordine (su cui cfr. G. Salvemini,La dignit cavalleresca nel
comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 43-49) e indirizzato al marchese estense il 10
gennaio 1460 (Nogara, pp. 130-144).
Analogamente nel 1462 egli dedicava a Pio II un libro di supplemento all'Italia
illustrata (Additiones correctionesque Italiae illustratae, Nogara, pp. 227-239), per
la gran parte a celebrazione dei fatti notevoli del suo pontificato, al fine di

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ottenerne il patronato per un'eventuale riedizione dell'opera intera, ove fosse


colmata la lacuna delle regioni meridionali (v. Nogara, p. 228). La medesima
ricerca di favori ravvisabile nei trattatelli epistolari d'argomento archeologico
indirizzati a uno dei pi vicini collaboratori del papa, Gregorio Lolli (12, 18, 30 sett.
1461; Nogara, pp. 193-207). Verso B., tuttavia, - legato al card. P. Barbo e a prelati
veneti come E. Barbaro e D. Domenichi - Pio II ebbe piuttosto considerazione di
stima che una reale familiarit (la lettera di D. Domenichi a E. Barbaro, 1 febbr.
1462, cit. in Nogara, p. CLXXIV, sui mancati aiuti a B., indica come le pi tarde
accuse del Filelfo non mancassero di qualche fondamento).
Un disegno d'altro genere, non andato in porto, fu una storia "navigationum
expeditionumque atlanticarum" dei Portoghesi, rivelatrice di cose ignote agli
antichi, richiestagli, attraverso il legato a Roma G. Fernndez, dal re Alfonso V,
senza che poi venisse inviato il materiale opportuno (lett. ad Alfonso, 1 marzo
1459, e a G. Fernndez, 30 genn. 1461, in Nogara, pp. 190-193).
Un altro progetto, a cui pens di applicarsi, fu la storia di Venezia, facendo
eccezione ai suoi principi di storico "generale". Alla dieta di Mantova egli pose la
sua candidatura ufficiale, in concorrenza con retori come Mario Filelfo, Giorgio
Trapezunzio e Pietro Perleoni, legati alla repubblica da condotte di insegnamento e
pertanto, come risulta, pi graditi al senato (v. lettera di L. Foscarini a B., Udine, 1
luglio 1462; Treviso, Bibl. Com., cod. 85, cc. 464 ss.). Appoggiato da patrizi come il
Foscarini e G. Barbarigo, nonch da E. Barbaro, B. si accinse sul principio del 1462
al lavoro, per cui aveva anche richiesto l'accesso agli archivi (v. lett. del Foscarini,
cit., c. 467: "maioribus officiis... coeptis tuis favebo, quam, tu studiis ex annalibus,
etiam, ut plerumque dixisti, ex archiviis senatus res venetas perquisiveris").
L'opera tuttavia non and oltre una breve trattazione delle origini, che d modo a
B. di insistere sul pacifismo delle tradizioni veneziane (Populi veneti historiarum
liber primus, Nogara, pp. 77-89; notevole peraltro che dal frammento di B.
prenda spunto la storia delle antichit venete di B. Giustinian).
Ma l'impegno maggiore fu riservato al compimento delle Decadi, a cui pensava gi
da tempo (v. lettera a G. Bracelli, 10 dic. 1454, per avere cronache genovesi), e a cui
era spinto da richieste insistenti degli interessati, fra cui Luigi XI di Francia (v.
Nogara, p. 212). In particolare B. fu in trattative con F. Sforza, che mise a
disposizione il materiale documentario relativo alla sua ascesa al ducato (lettera a
B., senza data, in F. Gabotto, p. 101). Al principio del 1462 B. aveva composto un
libro, che incominciava "dai tempi di papa Bonifacio IX", e lo inviava a Ermolao
Barbaro con il titolo di Nosce teipsum, a sottolineare il crescente senso di sfiducia e
disillusione (v. lettera di D. Domenichi a E. Barbaro, cit., Vat. Ottob. 1035, c. 36r-v;
v. anche Roma triumph., p. 216: "si eos qui ad clavum sedent rei publicae
christianae principes se ipsos nosse et quam susceperint curam mente et animo
considerare meliori solito Dei munere contingeret"). Nel gennaio 1463 era in
trattative con lo Sforza per il compenso (notevole il cenno sprezzante alla
storiografia cortigiana, le "frappe vane de le quali vi vogliono vestire alcuni",
Nogara, p. 212, che si riferisce probabilmente alla Sforziade del Filelfo). Le
trattative si prolungarono fino alla morte di B., avvenuta a Roma il 4 giugno 1463
(v. Arch. di Stato di Milano, Sforz. Pot. Est., 55, n. 217, dispaccio dell'oratore
Ottone del Carretto, 17 giugno: "A d. Biondo non far l'ambasciata, imperoch egli
andato a l'altro mondo, et io per adesso non mi curo andarli adietro").
Questa parte, considerata come smarrita o mai scritta, invece conservata nel
volgarizzamento del fiorentino Andrea Cambini, in Bibl. Naz. di Firenze, cod. II,
III, 59. Il Cambini, che volgarizz entro il 1491 l'intero corpo delle Decadi su
commissione dei duchi di Ferrara, dove era stato agente diplomatico nel 1482-83
(v. G. B. Picotti,La giovinezza di Leone X, Milano 1927, pp. 254, 287; Bibl. Naz. di
Firenze,Fondo ms. Ginori-Conti, 29, n. 22), si attribuisce abusivamente non solo le
parti aggiunte, ma, ignaro del testo vulgato, anche il libro XXXI con cui terminano
le edizioni a stampa (ed. princ., Venezia 1483), che appare peraltro ritoccato in
qualche punto ("libro adgiunto da A. Canbini", cc. 101-102, dopo la decade II, anni
1402-1417; "Libro primo, libro secondo adgiunto da A.C. alla storia di messer
Biondo da Furl", cc. 284-320, dopo la decade III, anni 1440-1450, preceduti da un
Proemio). Risulta pertanto evidente che il traduttore disponeva di una redazione in

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cui il nuovo materiale (compreso il libro I, dec. IV) appariva separato dal resto, che
si pu identificare con quella predisposta da Gaspare Biondi per un'edizione poi
non realizzata (v. dedica a D. Domenichi, 10 dicembre 1474, all'ed. princ. dell'It.
Ill., Roma 1474: "quam [historiam] tribus et triginta libris usque ad sua tempora
scripsit"). L'appartenenza a B. di detti libri confermata da ulteriori prove interne
ed esterne, che chi scrive si riserva di documentare in sede di edizione del testo. Si
accenner soltanto che essi furono noti agli autori contemporanei; per es. L.
Crivelli, scrivendo di B. nel 1464, si riferisce a "tribus decadibus suis iam magna ex
parte editis" in L. A. Muratori,Rerum Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 629);
e sopratutto furono ampiamente sfruttati dal Platina (Vitae pontificum) e da G.
Simonetta, che nei suoi Commentarii sulla vita di F. Sforza rifuse in blocco tutta la
parte aggiunta, a partire dal novembre 1440 (libri V-XX).
La prima parte delle nuove storie, senza dubbio quella di cui parla il Domenichi, e
destinata a colmare la lacuna cronologica fra la seconda e la terza decade, comincia
dalla morte di Giangaleazzo Visconti, e si sofferma in particolare sulle vicende dello
scisma e del concilio di Costanza, sulla conquista veneziana di Padova e su quella
fiorentina di Pisa; pi di sfuggita sono trattati i fatti di Milano e della Lombardia.
Le fonti principali sono le cronache fiorentine dell'Anonimo (P. Minerbetti) e di D.
Buoninsegni, e il Liber pontificalis; ma pure fatto ricorso a vari testi sussidiari,
non sempre identificabili, e forse anche a memorie personali.
Nei piani di B. era un completamento della decade IV, perlomeno fino alla pace di
Lodi (v. lettera a F. Sforza, 28 genn. 1463, cit., p. 212: "dicte due parti [sc. la vittoria
a Napoli di Alfonso e la spedizione lombarda di Renato d'Angi, 1453]... haveranno
a essere in la quarta deca"). A tal fine rielabor la materia gi trattata, scartando il
libro XXXII dell'edizione del 1453 (che forse per ci escluso dalle edizioni a
stampa), e proseguendo il libro XXXI, sulla falsariga della documentazione
sforzesca, fino al matrimonio di F. Sforza e la pace di Cremona (novembre 1441; cc.
304v-320r). Il libro II termina con l'insediamento del nuovo duca a Milano, e qui
l'opera rimane incompiuta, verisimilmente ancora bisognosa dell'ultima revisione.
La narrazione appare assai spoglia, senza alcuna concessione alla retorica e
all'encomio, a singolare contrasto con la storiografia cortigiana del Simonetta, che
l'avrebbe di l a poco rielaborata. Ci che sta al centro degli interessi dell'ultimo B.
, potremmo dire, il problema del potere: la sua, cos per il principio del secolo
come per i fatti pi recenti, essenzialmente una storia, disincantata e senza
simpatia, di atti, spogliazioni, delitti politici. Non a caso, vantando le proprie
benemerenze storiografiche allo Sforza, egli sceglieva l'esempio di Ezzelino da
Romano, "crudele tiranno": "pur mo sanno molti chi et como ello fo grande et
tenuto in Italia" (Nogara, p. 211).
La diffusione dell'opera di B. fu immediata e d'ambito europeo. Quella che incontr
maggiore favore fu la Roma instaurata, unita spesso all'Italia illustrata; le Decadi,
divulgate pi spesso parzialmente che intere, ebbero la maggiore area di
penetrazione: le ritroviamo in biblioteche principesche, vescovili, monastiche, in
case borghesi. Personaggi come J. Hinderbach, vescovo di Trento, o H. Schedel ne
posseggono l'opera intera. Come gi accennato, Gaspare B. cur l'edizione degli
scritti paterni negli anni 1470-74 c. (v. Pomponio Leto, dedica a G. B. dell'edizione
di Nonio, Roma 1472), sotto il patrocinio del Domenichi; solo per le Decadi, uscite
per ultime, sembra non sia stato rispettato tale piano editoriale, forse per gli
interessi di chi si era appropriato dell'ultima sezione composta.
Un altro figlio, Gerolamo, chierico e dottore in legge, raccolse una silloge di scritti
minori e di lettere, che tuttavia rimase senza eco.
L'uso delle opere di B. come testo primario ha la durata di circa un secolo. La Roma
instaurata (di cui si conoscono gli esemplari postillati da G. Marcanova e dal
circolo pomponiano: G. Valentinelli,Bibl. mss. adS. Marci Venetiarum, VI, p. 103,
e V. Zabughin, P. Leto, Roma 1909, I, p. 208) fu compiutamente superata dalla
seconda edizione della Topografia antiquae Romae (1544) di B. Marliani; cos
l'Italia illustrata era soppiantata dalla fortunata Descrittione di tutta l'Italia
(1550) del domenicano bolognese L. Alberti (un filone particolare della fortuna di
B. presso i domenicani di Bologna desumibile dalla Chronica... civitatis Bononiae

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[1497] di G. Borselli, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XXIII, 2, a cura di A. Sorbelli,


p. 4). Fuori d'Italia l'opera offriva il modello per l'impresa di K. Celtis e degli
umanisti tedeschi di riconoscere l'identit nazionale nella somma delle sue
tradizioni. La Roma triumphans, d'ambito troppo vasto per essere direttamente
ripresa, influenzava disquisizioni storiche sul diritto romano (Aimar du Rivail, A.
d'Alessandro), e a partire dalla met del sec. XVI era sostituita da trattati su
particolari settori antiquari (Panvinio, Sigonio, Ciacconio, ecc.). Le Decadi
contribuirono potentemente al fiorire della storiografia umanistica tra la fine del
sec. XV e il principio del XVI.
Ancora in circolazione sul principio del '700 (Voltaire annotava nei suoi taccuini
inglesi, 1726: "Quaere Romam triumphantem de autore Flavio",Notebooks, I,
Genve 1959, p. 45), B. estende la sua influenza anche quando i suoi testi erano
ormai divenuti ampiamente inadeguati. G. Voss, nel definire la scienza antiquaria
rispetto alla "historia iusta", parafrasa il proemio dell'Italia illustrata: "Antiquitates
sunt reliquiae antiqui temporis, tabellis alicuius naufragii non absimiles" (De
Philologia, 1650; v. A. Momigliano,Ancient history, p. 76); la prima ricerca
medievistica del Muratori, De corona ferrea (1698), prende spunto dal giudizio di
B. sull'"absurda consuetudo" di Monza (v. S. Bertelli,Erudizione e storia in L. A.
Muratori, Napoli 1960, p. 45); Gibbon, se non altro, gli deve il titolo della sua
storia.
In et romantica e positivistica B. fu riconosciuto, nei rispettivi ambiti,
"quodammodo parentem" (W. A. Becker, 1842) delle moderne discipline
scientifiche. Si tratta tuttavia di un apprezzamento a posteriori, che vale a suggerire
una continuit di sviluppi, che non fu nella realt. Resta da spiegare la
sproporzione fra l'effettiva importanza dell'opera e i riconoscimenti saltuari,
raramente disgiunti da riserve, che sin dal suo tempo gli furono tributati, nonch il
rapido affievolirsi della memoria dell'uomo.
Autodidatta introduttore di schemi culturali nuovi, egli si afferm piuttosto
collateralmente che al centro del movimento culturale umanistico. Gi alla morte
appariva fuori moda; il severo giudizio di Pio II, di aver badato pi alla quantit
che alla qualit, rispecchia tale situazione, e non sostanzialmente dissimile da
quello, pur di pi equo riconoscimento, di P. Cortesi. Pomponio Leto, salvo che in
dediche precoci a Gaspare B., ne evit un'esplicita menzione; a Raffaele Volterrano
non appariva abbastanza raffinato ("non admodum cultus"). All'organizzazione
sistematica si preferisce ora l'agile manuale, la pubblicazione e commento di testi,
la raccolta miscellanea, il calco sull'antico. I pi tardi trattati sistematici raccolgono
i risultati di tali indagini specializzate, prescindendo ormai dalle precoci sintesi di
B., che continuano peraltro a circolare, grazie a un fortunato rilancio editoriale,
come testi indipendenti.
In sede storiografica le nuove esigenze retoriche e precettistiche lasciano scarso
margine per un apprezzamento di B. ("Quid attinet vera scribere, si omnia obscure
perturbaveris?": P. Cortesi, p. 228). D'altra parte, nel prevalere delle storie
"particulare", cortigiane, dinastiche, cittadine, non raro il compiacimento di
coglierlo in fallo (v. per es. Platina, Hist.... Mantuae, o B. Giustinian). In P.
Prisciani la sua stessa materia diviene oggetto di curiose contaminazioni
astrologiche. Nell'ambito della storia generale, dove pi B. fa testo, i suoi materiali
e spunti vengono assunti negli schemi pi tradizionali della biografia (Platina),
della cosmografia e storia universale (Enea Silvio, Sabellico), dell'enciclopedia
(Raffaele Volterrano). Le Decadi (prima e seconda) furono pi lette nella fortunata
Abbreviatio diPio II (di cui si serve il Platina) che nell'originale, venendo cos
smembrate della parte storiograficamente pi valida delle storie contemporanee.
La fama di B. si consolid con la fioritura cinquecentesca in Italia di studi
archeologici e antiquari, e fu appunto essenzialmente fama di archeologo e
antiquario. Per il Giovio suo reale titolo di gloria era la Roma instaurata; un
antiquario, Lucio Fauno, ne cur la traduzione delle opere presso lo stampatore
veneziano M. Tramezzino. Su B., come storico d'Italia, pes inoltre la stroncatura
del Sigonio,De regno Italiae (1574), che influenz il Muratori, il quale, forse anche
per questo, lo escluse dalla raccolta dei Rerum Italicarum Scriptores.
Come per la produzione umanistica in genere, il corpus intero dell'opera di B. fu

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Biondo Flavio in Dizionario Biografico Treccani

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affidato alle stampe transalpine. Due eruditi transalpini, J. J. Boissard e G. Voss


furono tra quelli che ne trattarono pi compiutamente. Nel nuovo interesse
settecentesco per il "rinascimento delle lettere", notevoli contributi
bio-bibliografici su B. furono offerti da A. Zeno e G. Tiraboschi. Ma fu solo nel sec.
XIX che venne rivendicata la sua importanza storiografica, cio essenzialmente
come storico precoce del medioevo; tra i primi, al solito, Burckhardt. Alla scuola di
J. Voigt si deve la prima indagine sulle Decadi, nonch la prima monografia
sull'autore; per l'Italia ricordiamo, sotto questo riguardo, i nomi di G. Carducci, P.
Villari, G. Romano. Mancarono tuttavia indagini dell'ampiezza di quelle dedicate
ad altri umanisti, e il nome di B. rimase per lo pi legato a tradizioni erudite locali.
Lo stesso ampio studio di B. Nogara, pi che da un interesse specifico, fu
occasionato dallo spoglio dei fondi mss. vaticani. Osservazioni importanti, pur di
carattere marginale, su B. si trovano in opere di storia della storiografia o su singoli
problemi storiografici; nuovo interesse ha inoltre incontrato in pi recenti studi di
storia dell'antiquaria.
Iconografia: dal ritratto, che secondo Vasari (Vita di Frate Giovanni da Fiesole)
Giovio avrebbe tratto dagli affreschi del Beato Angelico nella distrutta cappella del
Sacramento, fu ricavata l'incisione in P. Giovio,Elogia virorum literis illustrium,
Basileae 1577, p. 27, anche altrove riprodotta (Boissard, Graevius); e la copia,
commissionata da F. Borromeo, ora in Pinacoteca Ambrosiana, con la didascalia
Blondus Historicus (v. E. Mntz,Le Muse des portraits de P. Jove..., in Mmoires
de l'Acadmie des Inscriptions et Belles lettres, XXVI, [1900], 2, p. 237; Guida
sommaria per il visitatore della Biblioteca Ambrosiana e collezione annessa,
Milano 1907, p. 127; G. Mini, cit., c. 1); per il ritratto perduto di G. Bellini nella sala
del Maggior Consiglio di Venezia, v. P. Gothein, F. Barbaro..., Berlin 1932, p. 139.
Fonti e Bibl.: Le citaz. dal testo sono tratte dall'ediz. di Basilea,De Roma
triumphante libri decem... Romae instauratae libri tres,Italia illustrata;
Historiarum ab inclinato Romano imperio decades tres. Omnia multo quam
antea castigatiora, Froben 1531, 1559 ( compreso anche il De origine gestis
Venetorum; le Decadi hanno numerazione di pagine autonoma, e si trovano anche
in volume separato; l'impaginazione non varia nelle ristampa del 1559). Le opere
minori e le lettere sono raccolte in Scritti inediti e rari di B.F., con introduzione di
B. Nogara, in Studi e testi, XLVIII, Roma 1927 (la numerazione araba relativa ai
testi, quella romana all'introduzione). Supplementi all'epistolario sono in: T.
Bekynton,Official Correspondence, I,Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores,
in Rolls Series, London 1872, pp. 169 s., 172 s.; A. Pasini,Un'ignota lettera di B.
F..., in Atti e mem. della Deput. di st. patria per la Romagna, s. 4, XXIII (1933),
pp. 282 s. La lettera alle pp. 101-104 data in redazione migliore da A. Wilmanns,
in Gttingische gelehrte Anzeigen, 21 (1884), pp. 874-877.
Passi della Roma instaurata sono editi criticamente in R. Valentini-G.
Zucchetti,Codice topografico della citt di Roma, IV,Fonti per la storia d'Italia,
XCI, Roma 1953, pp. 237-255. La sezione inedita delle Decadi in corso di
pubblicazione per un "Quaderno" della rivista Rinascimento.
Edizioni antiche: Decades: Venetiis, Octavianus Scotus Modoetiensis, 1483; ibid.,
Thomas de Blavis, 1484. Roma instaurata: Romae 1470-71 c. (con De romana
locutione; Hain, 3242; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, 4422); Veronae,
Boninus de Boninis, 1481-82 (con De origine et gestis Venetorum e Italia
illustrata; v. C. Perpolli,L'"Actio Panthea" e l'umanesimo veronese, in Atti e mem.
dell'Accad. di agricoltura,scienze e lettere di Verona, s. 4, XVI [1915], p. 21);
Venetiis, B. Venetus de Vitalibus, 1503 (stesse opere); ibid., G. De Gregoriis, 1510.
Italia illustrata: Romae, Philippus de Lignamine, 1474; e inoltre, Augustae
Taurinorum, Bartholomeus Sylva, 1527 (a cura di G. Bremio). Un
compendio,Flavius de locis et civitatibus Italiae, in P. Victor,P. Laetus,Fabricius
Camers,Raffaeles Volterranus de Urbe Romae scribentes, Bononiae,
Hieronimus de Benedictis, 1520 (a cura di G. B. Pio). Roma triumphans: s. l. e d.
(Brescia, Georgius et Paulus Theutonici, 1473-75 c.: Hain, 3244,Gesamtkatalog,
4424; v. U. da Como,In brixianam editionem principem librorum de Roma
triumphante a F. B. conscriptorum brevis adnotatio, Bologna 1927); Brixiae,
Bartholomaeus Vercellensis, 1482; ibid., A. Britannicus, 1503; Venetiis, P. Poncius,

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1511; Parisiis, S. Colinaeus, 1533.


La silloge di Gerolamo Biondo descritta dallo Herschel, F. B., in Serapeum, XV
(1854), pp. 225-228, ed edita per la prima volta da O. Lobeck, in Zeitschr. fr
vergl. Literaturgesch., X (1892), pp. 223-248; XI (1893), pp. 513-541; e in
Programm des Gymnasiums zum heiligen Kreuz, Dresden 1892, pp. VII-XXII.
Riduzioni: Decades: Abbreviatio Pii II pontificis maximi supra decades Blondi ab
inclinatione romani imperii usque ad tempora Iohannis vigesimi tertii pontificis
maximi (1463; ed. princ., Romae 1481; v. Hain, 259); per l'epitome della decade III
aggiuntavi da Albino Lucano, v. T. de Marinis,La biblioteca napoletana dei re
d'Aragona, Milano 1947, I, p. 102; per l'aggiunta analoga di un sunto incompiuto
della decade III, per opera o per conto di D. Domenichi, nel 1476, v. G.
Valentinelli,Bibl. Mss. ad S. Marci Venetiarum, Venezia 1873, VI, p. 103. Roma
instaurata: per l'epitome di A. Ivani, dedicata nel 1481 a Lorenzo de' Medici, v. R.
Valentini-G. Zucchetti,Codice topografico, vol. cit., p. 253. De origine et gestis
Venetorum: un sunto di E. S. Piccolomini, in Opera inedita, a cura di G. Cugnoni,
in Mem. Acc. Lincei, CCLXXX (1882-83), pp. 482-94.
Volgarizzamenti: Andrea Cambini volgarizz le intere Decadi (v. Proemio, cit.); il
cod. Il, III, 59 della Bibl. Naz. di Firenze, evidentemente il vol. II dell'opera,
comincia dal libro VIII, decade II; la traduzione autografa della decade I in cod.
Laurenz. Ashburn. 541. Per la traduzione cinquecentesca del forlivese A. Numai, v.
F. Cavicchi,La prima delle Historiarum decades di F. B. volgarizzate da A. Numai,
in Atti e mem. della deputaz. di storia patria per la Romagna, s. 4, VIII (1918), pp.
281-296. Una traduzione completa recente delle Decadi quella di A. Crespi, a cura
del comune di Forl, 1963 (ma 1964).
Le traduzioni di Lucio Fauno uscirono nel seguente ordine: Le Historie di B. da la
declinatione di Roma insino al tempo suo (che vi corsero circa mille anni) ridotte
in compendio da papa Pio e tradotte in buona lingua volgare, Venetia, Michele
Tramezzino, 1542, 1543, 1544, 1547; Seguito delle Historie del B. tradotte, 1544;
Roma ristaurata et Italia illustrata, 1542, 1543, 1548, 1558; Roma trionfante,
1544, 1548, 1549, 1588.
Per le biografie antiche si rimanda a A. Masius,F.B. Sein Leben u. seine Werke,
Leipzig 1879 (v. anche U. Chevalier,Rpertoire des sources historiques du moyen
ge, I, Paris 1905, s.v.); la trattazione pi esauriente di B. Nogara, op. cit. pp.
VII-CXCIII. Per notizie e documenti biografici particolari: [A. M. Quirini],Diatriba
praeliminaris..., Brixiae 1741; Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae,
ibid. 1743,passim (e inoltre R. Sabbadini,Centotrenta lettere inedite di F. Barbaro,
Salerno 1881, pp. 101 s.; V. Branca, Un codice aragonese scritto dal Cinico. La
silloge di epistole di F. Barbaro offerta dal figlio Zaccaria a re Ferrante, in Studi
di bibliografia e storia in onore di Tammaro de Marinis, Verona 1964, I, pp. 214
s.); A. Wilmanns, rec. a Masius, in Gttingische geleherte Anzeigen, 2 (1879), pp.
1478-1499; C. Braggio,Giacomo Bracelli e l'umanesimo dei Liguri al suo tempo, in
Atti della Societ ligure di storia patria, XXIII (1890), pp. 188 ss. dell'estr. e
passim; F. Gabotto,Alcune idee di F.B. sulla istoriografia, in La Biblioteca delle
scuole italiane, II (1891), pp. 99-103; R. Sabbadini,Note umanistiche. F.B., in
Giornale ligustico, XVIII (1891), pp. 301-309; Id., rec. a O. Lobeck, in Giornale
storico della lett. italiana, XXI (1898), pp. 425-429; A. M. Kemetter,F.B.'s
Verhltnis zu Papts Eugen IV., in Jahresbericht des K. K. Staats-Gynmasiums im
VI. Bezirke von Wien,fr das Schuljahr 1895-96, Wien 1896, pp. I-XXXVII; L.
Colini-Baldeschi,Studio critico su F.B., Macerata 1896; Id.,F.B. segretario del
vescovo G. Vitelleschi legato della Marca anconitana, in Rivista delle Biblioteche e
degli Archivi, X (1899), pp. 122-125; A. Zoli,Bagnacavallo dall'anno 1392 al 1408,
in Arch. storico italiano, ss, XXI (1898), pp. 110 ss.; S. Bernicoli,F.B. in Ravenna,
in Il Ravennate. Corriere di Romagna, n. 278, 14 dicembre 1900; R.
Rocholl,Bessarion. Studien zur Geschichte der Renaissance, Leipzig 1904, pp. 103,
164 (e L. Mohler,Kardinal Bessarion, Padeborn 1923, pp. 252, 330); J. Guiraud,La
Chiesa e le origini del Rinascimento, trad. it., Siena 1905, pp. 108 ss., 156, 186 s.;
G. Mancini,La vita di L. B. Alberti, Firenze 1911,passim; G. Mini,Lo storico F.B. di
Castrocaro... ? Studio storico-genealogico-critico (1912), Bibl. com. di Forl, ms.
Piancastelli IV, 58; Epistolario di Guarino Veronese, a cura di R. Sabbadini,

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Venezia, 1915-19,passim (v. anche A. Momigliano,Per una nuova edizione


dell'"Origo gentis romanae", ora in Secondo contributo alla storia degli studi
classici, Roma 1960, pp. 182 s.); A. Campana, rec. a Nogara, in La Romagna, XVI
(1927), pp. 487-498; Giovanni de M. Pedrino depintore,Cronica del suo tempo, a
cura di G. Borghezio-M. Vattasso, note storiche di A. Pasini, in Studi e testi, L,
Roma 1929,passim; LXII, ibid. 1934,passim. Per contributi minori, v. A.
Vasina,Cento anni di studi sulla Romagna. Bibliografia storica, Faenza 1963, II,
pp. 184 s.
Per l'ambiente d'origine, v. J. Larner,The Lords of Romagna, New York 1965. Per
l'ufficio e l'attivit diplomatica in Curia, v. A. Lecoy de la Marche,Le roi Ren. Sa
vie,son administration,ses travaux artistiques et littraires, Paris 1875, II, pp.
245-251; Documenti diplomatici tratti dagli archiji milanesi, a cura di L. Osio, III,
Milano 1877, pp. 120 ss.; G. Eroli,Erasmo Gattamelata da Narni, Roma 1879, pp.
236-273; E. von Ottenthal,Die Bullenregister Martin V. und Eugen IV., in Mittheil.
des Instit. f. Oesterreich. Geschichtsforschung, Ergnzungsband I, 3 (1885), pp.
431 ss. (v. anche G. Mercati,Ultimi contributi alla storia degli Umanisti,Studi e
testi, XC, Citt del Vaticano 1939, p. 105); I libri commemoriali della repubblica di
Venezia, a cura di F. Predelli, IV, Venezia 1896,passim; W. von
Hofmann,Forschungen zur Geschichte der kurialen Behrden, Rom 1914, I, pp.
271 s.; II, p. 111; L. von Pastor,Storia dei papi dalla fine del medioevo, trad. it. A.
Mercati, nuova edizione, I, Roma 1931,passim; Epistolae pontificiae ad concilium
Florentinum spectantes, a cura di G. Hofmann, in Concilium
Florentinum,Documenta et Scriptores, serie A, I, 1-3, Romae 1940-46,passim;
Acta Camerae Apostolicae et civitatum Venetiarum,Ferrariae,Florentiae,Ianuae
de concilio florentino, a cura di G. Hofmann,ibid., III, 1, Romae 1950,passim;
Fragmenta,Protocolli,Diaria privata,Sermones, a cura di G. Hofmann,ibid., III, 2,
Romae 1951, pp. 30 ss.; Orientalium documenta minora, a cura di G.
Hofmann,ibid., III, 3, Romae 1953, p. 62.
Gli inediti citati nel testo sono segnalati in: F. P. Luiso,Studi sull'epistolario e le
traduzioni di Lapo di Castiglionchio juniore, in Studi italiani di filologia classica,
VII (1899), pp. 245 s.; p. O. Kristeller,Iter italicum, I, London-Leiden 1963, pp. 11,
33, 245, 335.
Opere. De verbis romanae locutionis: R. Fubini,La coscienza del latino negli
umanisti: "an latina lingua romanorum esset peculiare idioma", in Studi
medievali, s. 3, II (1961), pp. 505-550, e bibl. ivi cit. Decades, studi specifici: P.
Buchholz,Die Quellen der Historiarum Decades des F.B., Naumburg 1881; D.
Hay,F.B. and the Middle Ages, in Proceedings of the British Academy, XLV (1959),
pp. 97-125; v. anche G. Arnaldi,Come nacque l'attribuzione ad Anastasio del Liber
pontificalis, in Bullettino dell'Ist. Stor. Ital. per il Medio Evo, LXXV (1963), pp.
334 ss. Per un inquadramento: G. Romano,Degli studi sul Medioevo nella
storiografia del Rinascimento in Italia, Pavia 1892; W. Rehm,Der Untergang
Roms in abendlndischen Denken, Leipzig 1930, pp. 50 ss.; G. Falco,La polemica
sul medioevo, Torino 1933, pp. 19 ss.; E. Fueter,Storia della storiografia moderna,
trad. it., Napoli 1944, I, pp. 128-132; W. K. Ferguson,The Renaissance in historical
thought, Boston 1948, pp. 20 ss.; B. B. Reynolds,Latin historiography: a survey,
1400-1600, in Studies in the Renaissance, II (1955), pp. 10 ss.; S. Mazzarino,La
fine del mondo antico, Milano 1959, pp. 77 ss.; A. Tenenti,La storiografia in
Europa dal Quattro al Seicento, in Nuove questioni di storia moderna, II, Milano
1964, pp. 1002 ss. Italia illustrata: G. Uzielli,Paolo dal Pozzo Toscanelli iniziatore
della scoperta dell'America, Firenze 1892, pp. 141 ss.; Id.,La vita e i tempi di P. dal
Pozzo Toscanelli, Roma 1894,passim; J. Clemens Husslein,F. B. als Geograph des
Frhhumanismus, Wrzburg 1901; A. Campana,Passi inediti dell'Italia illustrata,
in La Rinascita, I (1938), pp. 93-97; Id.,Due note su Roberto Valturio; Valturio e
B.F., in Studi riminesi e bibliografici in onore di Carlo Lucchesi, Faenza 1952, pp.
12-17. Roma instaurata e Roma triumphans: Chr. Callmer, F. B., in Skrifter
utgivna av Svenska Institutet i Rom, XVIII (1954), pp. 39-49; R. Weiss,B. F.
archeologo, in Studi romagnoli, XIV (1963, ma 1965), pp. 335-341; per un
inquadramento: G. F. Savagnone,Gli umanisti italiani e la storia del diritto
romano, in IlCircolo giuridico, XXIV (1903), pp. 257-281, 291-306; A.
Momigliano,Ancient history and the Antiquarian (1950), ora in Contributo alla

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storia degli studi classici, Roma 1955, pp. 69-77; D. Maffei,Gli inizi
dell'umanesimo giuridico, Milano 1956, pp. 114 ss. (rec. di A. Momigliano, ora in
Secondo contributo, cit., p. 418 s.); R. Weiss,Lineamenti per una storia degli studi
antiquari in Italia dal XII secolo al sacco di Roma nel 1527, in Rinascimento, IX
(1958), pp. 162 ss.; E. Mandowsky-C. Mitchell,Pirro Ligorio's Roman antiquities...,
in Studies of the Warburg Institute, XXVIII, London 1963, pp. 12 ss.; Per la Roma
inst. v. anche G. Scaglia,The origin of an archeological plan of Rome by
Alessandro Strozzi, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXVII
(1964), pp. 137-159.
Per giudizi indicativi di contemporanei: B. Fonzio,Oratio in historiae laudationem,
in Orationes, s.l. e d. (ma Firenze 1490 c.: Hain, n. 7227), pp. non numerate; R.
Maffei (Volterrano),Commentariorum urbanorum libri, XXI, Lugduni 1552, p.
640; E. S. Piccolomini (Pio II),Commentarii rerum memorabilium, Romae 1584,
p. 766; L. Crivelli,De vita rebusque gestis Sfortiae bellicosissimi ducis ac initiis filii
eius Fr. Sfortiae Vicecomitis Mediolanensium ducis commentarius, in L. A.
Muratori,Rerum Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 629; B. Sacchi
(Platina),Historia urbis Mantuae,ibid., XX, Mediolani 1731, coll. 814 s.; P.
Cortesi,De hominibus doctis, a cura di G. C. Galletti, Florentiae 1847, pp. 228 ss.;
Vespasiano da Bisticci,Vite di uomini illustri del secolo XV, Bologna 1892, II, pp.
232-234; per un giudizio di A. Patrizi, v. R. Avesani,Per la biblioteca di Agostino
Patrizi Piccolomini,vescovo di Pienza, in Mlanges Eugne Tisserand, VI,Studi e
testi, CCXXXVI, Citt del Vaticano 1964, pp. 26 s. Per saggi sull'uso dei testi di B.:
V. Rossi, rec. a G. Lesca,I Commentari di E. S. Piccolomini, in Rassegna
bibliografica della letter. italiana, II (1898), pp. 185 s.; L. La Rocca,Il primo libro
delle Storie fiorentine di N. Machiavelli e del parallelismo con le Decadi di F. B.,
Palermo 1904, R. Bersi,Le fonti della prima Decade delle "Historiarum
venetarum" del Sabellico, in Nuovo Arch. Veneto, n.s., XIX (1910), pp. 422 ss.; XX
(1910), pp. 115 ss.; G. Gayda, prefazione a B. Platina,Liber de vita Christi ac
omnium pontificum, in Rerum Italic. Script., 2 ed., III, 1, a cura di G. Gayda, pp.
XXXV ss.; F. Guicciardini,Le cose fiorentine, ora per la prima volta pubblicate da
R. Ridolfi, Firenze 1945, pp. XXX ss. e passim; A. Rotond,Pellegrino Prisciani, in
Rinascimento, XI (1960), pp. 102 ss.; N. Rubinstein,Poggio Bracciolini cancelliere
e storico di Firenze, in Atti e mem. dell'Accademia Petrarca di lettere,arti e scienze
di Arezzo, n.s, XXXVII (1958-1964) pp. 230 s.

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BIONDO FLAVIO > ENCICLOPEDIA ITALIANA (1930)


BIONDO Flavio. - Con poca esattezza si dice comunemente Flavio Biondo, mentre Flavio un nome secondario tratto,
alla foggia umanistica, da Flavus, traduzione latina di Biondo. Egli poi nella maggior parte dei documenti si sottoscrive
Blondus Forliv... Leggi

BIONDO FLAVIO > IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO - POLITICA
(2013)
Biondo Flavio Fra i piu illustri storiografi del Quattrocento, Biondo Flavio impresse una svolta in senso
contemporaneo alla ricerca storica, misurandosi con il monumento liviano che tratta dalla fondazione di Roma ad
Augusto mediante la narrazione ... Leggi

Isidro

Valla, Lorenzo

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Biondo Flavio in Dizionario Biografico Treccani

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Isidro (russo Isidor). - Ecclesiastico (n. probabilmente

Valla, Lorenzo. - Umanista (Roma 1407 - ivi 1457). Di

a Monemvasia, Peloponneso, circa 1380 - m. Roma

famiglia piacentina, studi a Roma, dove il padre era

1463), comp gli stud a Costantinopoli, dove si fece

avvocato concistoriale. Nel 1429 lasci Roma per

monaco basiliano e divenne abate del monastero di

Pavia: qui insegn eloquenza sino al 1431; due anni

Demetrio. Nel 1434 fu uno dei legati greci a Basilea,

dopo, lo scandalo destato tra i giuristi dello Studio

dove collabor alla preparazione del concilio per

dalla sua Epistola de insigniis et armis lo costrinse ad

l'unione delle Chiese; fu poi nominato (1437)

abbandonare la citt. Peregrin allora per diversi

metropolita di Kiev e di tutta la Russia. Nel 1438,

luoghi, finch nel 1437 si stabil a Napoli, segretario di

nuovamente delegato presso il concilio, riconobbe

re Alfonso di Aragona, che costantemente lo protesse

Eugenio IV e raggiunse Ferrara, dove fu tra i pi decisi


sostenitori dell'unione

Leggi

Leggi

Lto, Pomponio

Alessandri, Alessandro

Lto, Pomponio (lat. Pomponius Laetus; anche Giulio

Alessandri ( d'Alessandro), Alessandro. -

Pomponio, lat. Julius Pomponius). - Umanista (Diano,

Giureconsulto e umanista (n. Napoli 1461 - m. 1523).

Lucania, 1428 circa - Roma 1498). Erudito

Scolaro a Roma di Francesco Filelfo, applic allo

ed appassionato cultore dell'antichit classica, insegn

studio del diritto la sua larga esperienza filosofica e

alla Sapienza e fu il fulcro dell'Accademia romana,

umanistica. Con i suoi Genialium dierum libri sex

cenacolo di letterati entusiasticamente dediti allo

(1522), dove tenta, tra l'altro, una restituzione delle

studio della romanit. Scrisse opere di grammatica

leggi delle XII Tavole, precorre l'opera della cosiddetta

e di storia e cur edizioni di testi classici. Vita. Fratello

scuola dei culti.

naturale di Roberto di Sanseverino, principe di


Salerno; ignoriamo il suo nome di battesimo. Fu
discepolo di L

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