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Biondo Flavio
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Dotata di beni immobili, ma anche in difficili condizioni economiche (in una bolla
di Niccol V, 29 gennaio 1448, che sanziona la rinuncia dell'eredit, in favore di B.,
del fratello minore Matteo, sono ricordati i debiti lasciati dai genitori, pagati "ex
eius laboribus et industria", cit. in G. Mini, c. 54), la famiglia non risulta dalle
cronache come appartenente al novero dei maggiorenti cittadini; e la lacuna
lasciata da Giovanni di Pedrino, l dove avrebbe dovuto indicarne la "parentela"
(II, p. 397), nonch l'indicazione tardiva e senza altro riscontro del cronista
forlivese di fine '400, A. Bernardi, "B. di Ravaldino" (Cronaca, Bologna 1895, p.
344), dovuta verisimilmente all'omonimia di un personaggio della nobile famiglia
dei Ravaldini (cfr. Nogara, pp. XX s.), sembrano indicare che nell'ambiente
forlivese gi alla morte di B. il vero nome di famiglia fosse stato dimenticato.
Motivo di distinzione familiare furono le capacit professionali del padre, il
"providus vir ser Antonius Guasparini Blondi" (A. Zoli, p. 110), appartenente alla
categoria di notai, cancellieri e amministratori che prestavano i loro servizi presso
le comunit e corti signorili della Romagna. Lo troviamo presente alla corte di
Rimini per le nozze di Galeotto Malatesta, fratello di Carlo, nel 1395; inoltre
attestata la sua funzione di "massaro" (tesoriere) del Comune di Bagnacavallo,
"assumptum per magnificos dominos nostros de Polenta Oppizonem et Petrum
fratres" negli anni 1402-06. Non senza rapporto, forse, con le benemerenze
acquistate dal padre in questa, come presumibilmente in altre occasioni, il
privilegio, attestato per B. nel 1452, di "civis et habitator Ravenne"; e la sua fedelt
alla memoria degli antichi signori pu essere indicata dall'aver egli acquistato, il 12
luglio 1455, il diritto di sepoltura per s e la famiglia nel sepolcro dei Polentani
nella chiesa di S. Pier Maggiore (v. S. Bernicoli; G. Mini, c. 64).
ludovico trevisan
BIONDO FLAVIO
BIONDO Flavio. - Con poca esattezza si dice
comunemente Flavio Biondo, mentre Flavio un nome
secondario tratto, alla foggia umanistica, da Flavus,
traduzione latina di Biondo. Egli poi nella maggior
parte dei documenti si sottoscrive Blondus Forliv...
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BIONDO FLAVIO
Biondo Flavio Fra i piu illustri storiografi del
Quattrocento, Biondo Flavio impresse una svolta in
senso contemporaneo alla ricerca storica, misurandosi
con il monumento liviano che tratta dalla fondazione di
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dello Stato visconteo e il disfrenarsi dei particolarismi e delle lotte faziose (fra cui la
cacciata popolare di Cecco Ordelaffi nel 1405); le conquiste veneziane in
terraferma, i cui echi giungendo in Romagna suscitavano nel 1405 un effimero
tripudio a Forl, alla voce di una possibile sottomissione (Chronicon f. Hieronymi
de Forlivio, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XIX, 5, a cura di A. Pasini, p. 8); e infine
l'energica opera per la restaurazione dello stato ecclesiastico del legato pontificio B.
Cossa, entrato nel 1407 a Forl, dove, a memoria del governo dell'Albornoz,
rimaneva l'antico palazzo dell'erario, che, come ricorda B., "nos postea pueri ob
facti memoriam invisere delectabat" (Hist., p. 370). La provenienza da un centro
provinciale, ma politicamente nevralgico, e aperto perci all'influenza dei maggiori
stati, segner la carriera di B., e Milano, Venezia, oltre che, naturalmente, la corte
romana, rappresenteranno i punti focali, cos della sua vita come della sua opera
storiografica; mentre, pur nell'affezione verso la piccola patria forlivese e in genere
verso le terre della Romagna, e nei rapporti amichevoli, piuttosto che di natura
cortigiana, intrattenuti con le piccole corti signorili, sembra essere rimasto
estraneo a un municipalistico attaccamento al natio loco. Sintomatica al proposito
la radicata ostilit verso gli "archityrannuli" (Hist., p. 541) e le lotte faziose; e la
riluttanza, che si nota nelle Storie, a chiamare per nome le divisioni di guelfi e
ghibellini, indicate perlopi come "partes", "studia partium" ecc., trova
significativo riscontro nelle proibizioni di governanti energici, come l'Albornoz o i
Visconti, di fare professione nelle citt soggette di guelfismo e ghibellinismo. Per
gli stimoli culturali che B. pu aver ricevuto in patria, bisogna soprattutto guardare
agli influssi dell'importante centro di Padova e della corte carrarese, dove si
perpetuava e rinnovava l'eredit del Petrarca, in stretto contatto con il gruppo
fiorentino, e in particolare alle personalit di P. P. Vergerio e Ognibene Scola, non a
caso posti da B. alla testa del movimento culturale scaturito dall'insegnamento di
Giovanni da Ravenna (figura che nelle sue pagine appare piuttosto emblematica, in
omaggio alla patria adottiva, che concretamente storica, e in cui si confondono i
due omonimi G. Malpaghini e G. di Conversino; v. It. ill., p. 346). Che il Vergerio,
soprattutto, di cui sono noti i legami con la corte imolese, fosse stato un autore che
aveva avuto per lui un particolare significato, lo testimonia B. stesso con ripetute
menzioni nell'Italia illustrata, dove si compiace di citarne le lettere, e, a suo luogo,
con un elogio insolitamente enfatico, "quod... supra saepenumero diximus, inter
primos huius saeculi eloquentissimus" (p. 387; v. anche 345, 373).
flavo
flavo agg. [dal lat. flavus], letter. Di colore giallo,
biondo: Verde smeraldo, con f. iacinto (Ariosto); tra la
chioma flava Fioria quellocchio azzurro (Carducci).
flavdo
flavdo (raro flavdine) s. f. [lat. scient. flavedo, der. del
lat. class. flavus biondo sul modello di albedo (v.)].
1. In botanica, la parte pi esterna, gialla, della buccia
del frutto degli agrumi. 2. In patologia vegetale, sinon.
di clorosi.
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intelligerent homines huius aetatis si qua strenue recteque aut contra nequiter et
perperam facerent, ea non modo vivos latere non posse, sed etiam nota posteritati
fore". Infine, in ossequio al principio della veridicit della storia, aveva
scrupolosamente vagliato le testimonianze: "Nam et plerisque ipse... interfuisti
rebus gerendis, et quibus minus interfuisses, eas investigando et percunctando ab
his apud quos gestae essent didicisti, e quibus locupletissimis testibus niterentur
pro veris probasti, quae vero sermonem vulgi auctorem rumoremque haberent, ut
falsa ac ficta omisisti". E ancora, attuando i classici precetti ("ordinem temporum,
locorum descriptiones, tum consilia, acta, eventus"), particolare cura aveva
prestato nel rispettare le ragioni dei singoli, "unicuique servata personarum
dignitate". L'Italia aveva cos trovato il suo nuovo storico, "inter veteres illos
praestantissimos rerum scriptores non immerito collocandus".
In un secondo tempo, scartato il piano dei decennali, B. dava nuova disposizione
alla materia, che si era ampliata, prendendo come punto di partenza il principato di
Filippo Maria Visconti (1412), e, con procedimento a lui caratteristico, elinunava
dalla circolazione la parte dapprima composta ed edita. Nel 1440 erano pronti nove
libri (non per ancora definitivi), mentre un decimo, poi soppresso, comprendeva
"multa... vetustissima veteribus ac novis immixta historiis" (Nogara, p. 104), segno
di un'esuberante erudizione, incapace di tenersi nei limiti dei precetti storiografici.
Il lavoro di revisione e completamento si protraeva fino al principio del 1443,
quando erano distribuiti 11 dei 12 libri composti, con scrupolo di sottoporli a
personalit politiche e culturali delle principali capitali: Guarnerio da Castiglione e
P. C. Decembrio a Milano, F. Barbaro a Venezia, L. Bruni a Firenze, e infine a
Leonello d'Este, che aveva patrocinato fin dal principio il lavoro.
A quest'epoca era gi incominciata la nuova parte dell'opera, "ab inclinatione
romani imperii", di cui inviava i primi 8 libri ad Alfonso d'Aragona (giugno 1443),
accreditato da P. C. Decembrio e dal Valla, e in concorrenza, ancora una volta, col
Bruni, suo costante termine di paragone, che l'anno precedente aveva inviato al
sovrano il suo De bello italico adversus Gothos ""nihil plus habet quam
Procopius",Hist., p. 43). Il nuovo disegno - anche se non va presa alla lettera la
giustificazione a posteriori di B., di avere cominciato "praepostero ordine" per
timore di non giungere a narrare i fatti recenti (lett. al re Alfonso, 13 giugno 1443
Nogara, p. 148) - fu concepito abbastanza precocemente, probabilmente prima del
1440, se egli afferma di essersi procurato Procopio direttamente da qualche dotto
bizantino ("nostra industria nuper habuit Italia",Hist., cit.), prima che il Bruni si
accingesse alla riduzione latina. Tracce del lavoro preparatorio sono in Vat. lat.
1795, sec. XIII-XIV, silloge di cronache medievali (fra cui, Gesta regum francorum,
Paolo Diacono,Hist. Langobardorum, Roberto Monaco,Hist. gestorum in concilio
claremontensi), che dai fogli di guardia, contenenti annali cittadini di fine sec. XIV,
appare di provenienza forlivese; e le numerose postille autografe, di tempi diversi e
relative anche a testi non adoperati (come Darete Frigio), lasciano pensare a un
interesse pi antico rispetto alla composizione delle Storie.
Non si trattava, dal punto di vista di B., di un salto qualitativo rispetto al primitivo
programma, bens dello sviluppo dell'idea affermata nell'epistola di Lapo, di
coprire il campo lasciato aperto dagli scrittori antichi, a cui ora si ricollega dal
punto stesso in cui cessava il loro racconto, indottovi indubbiamente dalle buone
accoglienze ricevute e dal sentimento sempre pi alto del valore della propria
opera. Tuttavia egli non poteva tacere, in sede di introduzione, dei problemi affatto
nuovi di composizione e struttura che gli si erano presentati (discontinuit di
narrazione, ricorso a testi inadeguati e alla testimonianza di scrittori "etiam aliud
quam res gestas dicere intendentium",Hist., p. 4). L'ambito stesso dell'opera
rimaneva incerto: da una parte era la storia dell'"inclinatio" imperiale, e della
relativa sequela di sventure; dall'altra l'interesse si volgeva alle origini e vicende dei
popoli moderni, in particolare d'Italia, verso cui la narrazione doveva convergere.
Divulgando nel 1446 un'edizione provvisoria dei primi 11 libri, in una lettera a un
prelato (probabilmente Ermolao Barbaro) B. insisteva sull'aspetto, diciamo,
negativo dell'"inclinatio" (v. lett. di B., 1446, Nogara, pp. 161 s., importante anche
per la discussione sostenuta sulle ragioni della durata e decadenza dell'impero,
intorno a cui il corrispondente avrebbe voluto un maggiore ossequio alle
concezioni agostiniane); in una epistola dedicatoria inedita, di poco seguente, a
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Leonello d'Este, l'accento batte invece sulla variet inopinata e istruttiva dei casi
posti in luce (Modena, Bibl. Est., cod. Lat. 237, memb., 1446-47; contiene 11 libri e
parte del dodicesimo; risulta di qui come non fosse ancora contemplato
l'ordinamento per decadi).
Solo nel 1453, o poco prima, l'opera era compiuta ed edita, con il titolo Historiarum
ab inclinatione romani imperii decades (decade I, dal 412, - data posta per il sacco
di Roma di Alarico del 410, forse per gusto di artificiose concordanze cronologiche
- al 754; decade II, fino al 1402; decade III, 1412-1439; decade IV, libri I-II,
1440-41; l'ultimo libro era annesso all'edizione per quanto incompiuto, tanto da
non essere compreso nella prima distribuzione delle Storie contemporanee nel
1443).
Nonostante le sproporzioni evidenti, si trattava pur sempre per B. di un testo
unitario, nell'idea a lui cara del grande corpo storico in cui i popoli moderni
potessero imparzialmente riconoscersi, e nella cui attuazione egli vide con orgoglio
uno dei maggiori motivi di gloria della sua epoca (It. ill., p. 350). Le linee direttive
sono quelle indicate dalle concezioni umanistiche, cos per l'oggetto di indagine - le
tradizioni romane, l'Italia, l'Europa civile o Cristianit occidentale -, come per il
sentimento della rinascita e l'impegno culturale che ne consegue. In ci la frattura
con la concezione ancora vigente della storia universale non potrebbe essere pi
netta. La discussione sopra menzionata su s. Agostino mostra come la massiccia
impresa storiografica di B. non andasse esente dal proporre delicati quesiti
filosofici, e come tutt'altro che pacifica fosse una sua completa accettazione. In
effetti per B. il problema di un rapporto con la concezione biblicoprovvidenzialistica neppure sussiste. Per quanto egli possa menzionare miracoli e
appellarsi al volere divino, la sua rimane essenzialmente una storia positiva di fatti,
personaggi, istituzioni umane, nel termine costante di paragone con la pi
maestosa delle istituzioni umane, l'impero romano (su questo punto, v. in
particolare Nogara, p. 162). La discussione stessa sulla "inclinatio", dove
distinguendo il "principium" - irruzione dei Goti - dalle "causae" dell'avvenimento
pu accantonare, pur riferendole, sia la spiegazione "repubblicana" del Bruni, sia
quella etico-religiosa di Orosio, istruttiva, ed esclude l'ipotesi (S. Mazzarino, pp.
78 s.) di un'incidenza nel termine di concetti biblici. Privo di un autentico
sentimento provvidenzialistico, B. ugualmente poco disposto a concedere alla
fortuna: al centro della sua storia un robusto senso della capacit e responsabilit
umana, che si traduce talvolta in duri giudizi verso chi ne prescinda (per es. addita
l'errore di Filippo Maria Visconti nel licenziare il Carmagnola, "ut qui ingentes
rerum moles mirandum in modum vel attollere vel deprimere fortunam culpamus,
alieno id errato quam coeco, ut ferunt, versatilique illius ductu saepius fieri
intelligamus", p. 419; lo spunto suggerito dalla fonte usata, il cronista milanese A.
Biglia: "eodem tempore... fortuna aliud signum dedit", in L. A. Muratori, Rerum
Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 74). Da buon umanista, B. non manca di
assegnare un fine propedeutico alla storia; tuttavia egli evita studiatamente
l'accezione retorico-moralistica, intendendola essenzialmente come scuola di
prudenza politica, donde anche la dignit rivendicata allo storico di fronte ai
potenti (v. dedica cit. a Leonello d'Este, e anche le modificazioni recate al Proemio
dapprima scritto da F. Barbaro per l'Italia illustrata: questi encomia la storia,
"propter singularem utilitatem quam habet privatim et publice ad bene beateque
vivendum"; B.: "prudentia et exemplorum copia gerendis imperii rebus"). Nel
contesto della narrazione si ravvisa una certa rigidit di valutazione etica, o per
giudizio acquisito (per es. su Bonifacio VIII), o per motivi di avversione personale e
politica (per es. riguardo al Vitelleschi); n son evitati termini convenzionali di
riprovazione, come "perfidia", "iniquitas", ecc. (per es. verso le citt ribelli al papa,
o pi generalmente verso i "nemici del nome latino": gli imperatori tedeschi e
quelli bizantini, per non dire dei "barbari", dei saraceni e dei turchi). Ma
confrontando d'altra parte le Storie di B. con le cronache, antiche e
contemporanee, con cui si trova a che fare, si ha la misura di quanta parte dei
consueti moralismi sia da lui deliberatamente bandita. Le passioni e le rivalit
umane vengono accolte come dato di fatto, di cui lo storico deve tener conto. Tale
appunto il pregio delle "universale historie" su quelle "particulare", "perch la
natura de li homini sempre stata de havere invidia et vuluntiera supprimere laude
d'altri, in tanto che fradelli l'uno de l'altro et figliuoli, che li par valere, de padri
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B. stesso riconosciuti (v. Introd. a decade I), che approdano a un compromesso fra
una storia di tipo erudito, che inaugura, e una narrativa, retoricamente atteggiata,
da cui prende l'avvio (v. D. Hay, p. 124). Ma per B., in particolare, un risultato
importante era stato raggiunto. Partendo, nelle sue storie contemporanee, dalla
rivendicazione della "dignitas" riconoscibile alle cose moderne, e trattandole con
puntuale scrupolo documentario, egli era uscito dal puro ambito cos di una
narrazione retorica come di una storia strettamente politica, contando soprattutto,
al di l delle vicende alterne di successi e insuccessi, il quadro di civilt in cui esse
si svolgevano, alle cui pi significative manifestazioni (la saggezza di F. Barbaro e le
ricchezze di Cosimo de' Medici, la cupola del Brunelleschi e le prove di bravura
oratoria, la bombarda e il galeone veneziano, ecc.) non era mancato il debito
risalto. Rivoltosi al passato, l'attenzione veniva a vertere in eguale misura sui fatti
narrati e sulla loro eterogenea documentazione, testimonianza in se stessa dei
mutamenti sopravvenuti rispetto all'antico, istituzionali, ambientali, di
consuetudini, denominazioni, non senza compiacimento per le innovazioni
moderne (lo sviluppo delle citt, la polvere da sparo, ecc.). Per questo, nel
congiungere la prima alla seconda parte delle Storie, B. rivendica il diritto di usare
nomi "barbari", in quanto "rerum singularum, quas omnino ut sunt intelligi
oportet, vocabolorum mutatio talis est facta, ut si vetusta illis exponendis attulero,
mea ipse relegens scripta non intelligam" (p. 393). In altri termini, l'indagine
medioevale aveva avuto il valore di rafforzare la coscienza di un'Italia "nova" (p.
396) rispetto all'antica, volgendo l'interesse ai vari elementi che costituiscono gli
aspetti di una civilt. Ma al momento in cui B. pubblic le Decadi, tale sparsa
documentazione aveva gi trovato una sistemazione pi libera e adeguata nel
contesto descrittivo dell'Italia illustrata, per il tramite dell'indagine archeologicoantiquaria della Roma instaurata.
All'origine della Roma instaurata (pubblicata sulla fine del 1446) il clima creato
dal ritorno della curia a Roma nel 1443, e le susseguenti esigenze di riordinamento
amministrativo e urbanistico della citt. Gli interessi archeologici di B., gi attestati
in un passo delle Decadi relativo al 1434 (p. 479), erano inoltre stimolati dalla sua
frequenza nel circolo del card. Prospero Colonna, che accompagna e istruisce
nell'ispezione delle rovine. Una di queste gite narrata in una lettera a Leonello
d'Este (13 nov. 1444), che anticipa passi delle opere, e che si conclude con
l'affermazione che tali e tanti sono i monumenti di Roma e dintorni da riempire
"libri magnitudinem, vel parcissima narratione" (Nogara, p. 159). Tra i precedenti
di tali indagini si possono menzionare gli interessi archeologici ed epigrafici di
Poggio e della sua cerchia, ma probabilmente non, come si scrive di solito la
descrizione di Roma nel De varietate fortunae, edito solo nel 1448, in cui sono forti
indizi di dipendenza dalla Roma inst. (per es., circa la contiguit delle terme
Alessandrine al Pantheon, Poggio afferma semplicemente: "scimus", Opera, Basilea
1538, pp. 135 s.; la posizione dimostrata da B. in base al presunto Sesto Rufo, l. II,
par. 77; Poggio riconosce le terme di Domiziano nell'area della chiesa di S.
Silvestro, in base a quanto "scriptum in vita pontificum adverti"; la menzione
estesa della Vita di Silvestro in B., II, 12; il paragrafo sugli acquedotti appare una
riduzione della sezione relativa di B.; analoghe corrispondenze si notano a
proposito del Colosseo, dell'Agone, delle Terme).
Presupposto fondamentale dell'opera l'esperienza coeva delle Decadi, per
l'analogia stessa dell'intento sistematico di ricostruzione storica, in piena
autonomia dalla tradizione, in questo caso quella ancor vigente dei Mirabilia urbis.
La novit consiste appunto nella ricerca di dipanare l'antico dalle successive
trasformazioni ed edificazioni, l'attenzione per le quali non va disgiunta dallo
studio del materiale pi propriamente archeologico (e forte risalto assume
nell'insieme l'assetto monumentale della citt moderna). Frequente pertanto il
ricorso a testi medievali (Lib. pontificalis, martirologi, Gregorio Magno, Beda,
ecc.), in un caso anche all'archivio di una basilica (SS. Apostoli, III, 79).
Guida alla ricerca il Regionario da B. attribuito a Sesto Rufo, sulla base del codice
scoperto a Montecassino; la scoperta riguarda l'attribuzione, non il testo, gi
altrimenti noto; cfr. I, 18; e R. Valentini-G. Zucchetti, I, pp. 200, 204; IV, p. 251).
Tuttavia l'opera non si limita a una trattazione topografica in senso stretto,
tendendo di frequente a sconfinare nel campo pi ampio delle istituzioni
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gli era suggerita da termini cartografici: "tabulae novellae", per es. "Italia novella",
"Palestina novella" ecc., era la designazione tecnica delle carte moderne aggiunte
alle tolemaiche; v. G. Uzielli,P. dal Pozzo Toscanelli, p. 141). Vi era inoltre
l'esempio di descrizioni storico-topografiche, quali quelle di Creta e delle isole
dell'arcipelago di C. Buondelmonti, o la stessa Descriptio orae ligusticae di G.
Bracelli, che, gi composta nel 1442, egli si procurava nell'aprile 1448, attraverso i
buoni uffici del legato genovese a Roma, B. Imperiale (sulla data di composizione,
v. la lettera del Bracelli di presentazione dell'opera a A. Giustiniani, 10 apr. 1442, in
C. Braggio, p. 44; e la menzione nel testo al dogato attuale di Tommaso
Campofregoso, 1437-43; nella lettera di presentazione a B., 1 apr. 1448, in
Braggio, pp. 287 s., il Bracelli fa intendere di aver composto la Descriptio per
soddisfare la sua richiesta, ma si tratta evidentemente di una ricerca di
benemerenza dell'autore pi oscuro rispetto al pi illustre). Ma a segnare un salto
qualitativo, rispetto ai precedenti, era l'opera stessa precedentemente compiuta da
B.: la ricerca dell'Italia illustrata rappresentava per lui la prosecuzione di quella
della Roma instaurata, e su tutto stava il grande quadro storico delle Decadi, "per
eam quam sum nactus Italiae rerum peritiam" (St. ill., p. 293).
La stesura dell'opera si lega strettamente con l'episodio della temporanea disgrazia
di B. presso la Curia di Niccol V. Le difficolt dovevano gi essere cominciate nel
1448, se B. avvisava il doge di Genova, Giano Campofregoso, che gli richiedeva i
suoi buoni servizi in Curia, che i "tempora et vivendi... modus" andavano
cambiando (v. lett. del doge a B., 22 apr. 1448, in Braggio, p. 26); e se,
verisimilmente per una riduzione degli emolumenti, egli aveva bisogno di
procurarsi i favori di Alfonso d'Aragona, attraverso un complicato giro di
raccomandazioni, a iniziativa di P. C. Decembrio per il tramite di Iigo d'Avalos e
quindi del Bessarione (v. lett. di Iigo al Bessanone, 1448, Bibl. univ. di Genova,
cod. C, VII, 46, cc. 15r-16v). Dispersasi la Curia per la pestilenza scoppiata a Roma,
e ritiratosi il papa a Fabriano con pochi collaboratori (15 maggio 1449), B. vi
anticipava il ritorno in agosto, "ansioso di guadagno" (Poggio, lett. a A. Fiocchi, 12
ag. 1449,Epistolae, III, Firenze 1861, p. 10). Ancora presente in settembre (v. lett.
di F. Barbaro a B., 15 sett. 1449), poco dopo egli abbandonava l'ufficio, forse in
coincidenza col ritorno del papa a Roma (29 settembre), e si ritirava quindi
successivamente nelle sue dimore di Romagna (a Monte Scudo, presso Rimini, v.
It. ill., p. 342), di Ferrara (a San Biagio presso Argenta aveva acquistato [1443] un
podere; nel 1457 B. attestato come "civis ferrariensis"; v. G. Mini, c. 58) e di
Ravenna. In cerca di favori o unici, si rec inoltre a Milano, dove aveva come
fautore il Filelfo, probabilmente in occasione dell'insediamento di F. Sforza (marzo
1450), e a Venezia (estate 1451), dove incontr i legati di Alfonso d'Aragona, A.
Panormita e L. Despuig, attraverso i quali fece pervenire al sovrano la parte
composta dell'Italia illustrata, accreditata dalla dedica scritta da F. Barbaro. Nel
1452 era alla corte di Napoli, e alla presenza dell'imperatore Federico III, in aprile,
pronunci una solenne orazione per esortare alla crociata, nella dignit che gli
proveniva dall'essere lo storico dell'Europa e dell'Occidente latino (Oratio coram
serenissimo imperatore Frederico et Alphonso Aragonum rege inclito Neapoli in
publico conventu habita, in Nogara, pp. 107-114). Ritornato a Roma verso il
principio del 1453, dava ancora il suo contributo ai progetti caldeggiati per la
crociata con il trattatello De expeditione in Turchos, indirizzato ad Alfonso
d'Aragona il 1 ag. 1453 (Nogara, pp. 31-51), in cui passa in rassegna la situazione
dei popoli soggetti nella Grecia e nei Balcani; e inoltre, frequentando il card. D.
Capranica, ne assecond la missione diplomatica a Genova (nov. 1453) con un
indirizzo al doge Pietro Campofregoso (Ad Petrum de Campofregoso illustrem
Genuae ducem, in Nogara, pp. 61-71), per esortare alla pacificazione interna,
condizione per collaborare alla causa comune. Tuttavia soltanto il 1 ottobre egli
era riammesso dal papa in carica (v. lett. a F. Barbaro, 26 ott. 1453, in Nogara, pp.
166 ss.; un breve sottoscritto da B., in data 5 ott. 1453, in Arch. di Stato di Milano,
Sforza Pot. Est., 40).
La disgrazia di B. ebbe sicuramente uno sfondo politico, e insieme dei motivi pi
strettamente personali. La testimonianza di Enea Silvio (De Europa, cap. LVIII),
che fosse venuto in disfavore di Niccol V perch favorito dal predecessore, quella
che, debitamente precisata, pi ci accosta al vero. La carriera di B. si identificava
col pontificato di Eugenio IV, ed era, giova ricordarlo, una carriera essenzialmente
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dell'antica civilt andati perduti, cos poi parafrasata da Machiavelli nelle Storie
fiorent., I, 5: "le leggi, i costumi, il modo di vivere, la religione, la lingua, l'abito, i
nomi"). Non c' dubbio che l'Italia sia sentita da B. come un'unit viva; ma,
nonostante la delimitazione geografica, tale per lui soprattutto l'Italia centrosettentrionale. Giunto alle regioni del Regno, ammette egli stesso un senso di
estraneit ("maius solito negotium"), dando un sommario della sua storia a partire
dai Normanni, proprio in quanto ritenuta poco nota (p. 389). Di fatto la
descrizione di questa parte appare pi spoglia delle precedenti, limitandosi
perlopi ai dati geografici e archeologici (per Napoli e dintorni); e se egli omise le
ultime regioni, avendo appena cominciata la Puglia, la vera ragione fu in un difetto
di conoscenza intrinseca, piuttosto che nella giustificazione contingente poi
addotta, di avere anticipato la pubblicazione a rimedio di un'edizione abusiva
(Nogara, pp. 227 s.).
Il significato dell'opera era sintetizzato da B. stesso nella Prefazione (ancora
modificando il testo del Barbaro), nell'immagine del grande naufragio della storia,
da cui trarre pazientemente a riva i relitti, "supernatantibus aut parum
apparentibus tabulis": non pi un sentimento vago del mutare delle umane cose,
ma i due saldi, perch culturalmente qualificati, punti d'orientamento del presente
e dell'antichit, tra i quali era aperto il campo per una consapevole e concreta
indagine.
Dopo il ritorno in Curia, B., pur reintegrato nel collegio dei segretari, non svolse
effettivamente che un'attivit ridotta. Dal 1454 non sembra che il suo nome
compaia pi nei brevi pontifici (v. i numerosi originali presso l'Arch. di Stato di
Milano), e si riscontra soltanto in certe bolle (p. es. 27 apr. 1455, 22 apr. 1460, nella
Bibl. Com. di Forl). Un breve di Callisto III, che gli prolunga un permesso
d'assenza "quamdiu libet", indizio ulteriore di tale disimpegno (Milano, Bibl.
Ambros., cod. N 54 sup., c. 36v). A Roma ricordato come frequentatore dei circoli
e delle biblioteche dei cardinali Capranica e Bessarione. Tra i viaggi compiuti
notevole un soggiorno presso la corte di Urbino (1456 c.), con cui B. si dimostra in
rapporti confidenziali (v. Roma triumph., p. 193; Nogara, p. 175); nell'estate e
autunno 1456 dimora a Ravenna. La lettera a Nicodemo Tranchedini, datata da
Firenze, 28 febbr. 1457 (ma 1458, se, come possibile, adotta lo stile locale) - in cui
sollecita l'ambasciatore sforzesco a Firenze ad accorrere "pro negotiis et necessitate
illius fratris mei domini Cosmi", alludendo a una situazione che "in dedecus ipsius
domini Petri et omnium nostrorum redundare posset" - fa pensare, piuttosto che
ad "affari privati" (Nogara, p. 169), a una sua collaborazione politica con i Medici,
in un momento di crisi del regime (v. N. Rubinstein,The governm. of Florence
under the Medici, Oxford 1966, pp. 88 ss.; cfr. anche la lettera di Latino Orsini a
Lorenzo de' Medici, Roma, 20 apr. 1473, commendatizia per Matteo, "gi fratello
de messer Biondo da Forl, secretario apostolico, quale, come dovete sapere, fu
caro amico de la bona memoria de Cosmo et degli altri vostri", Arch. di Stato di
Firenze, MAP XLVI, 221).
Nel luglio 1454 B. pubblicava un ristretto di storia veneziana fino al 1291 (De
origine et gestis Venetorum, dedicato a F. Foscari), sia per soddisfare a richieste
pervenutegli (v. Nogara, pp. 167 s.), che per esortare alla crociata. Ma questi anni
furono soprattutto dedicati all'ultima grande opera, la Roma triumphans.
Il precedente pi notevole era il De potestatibus romanorum di A. Fiocchi (1424
c.). Ma l'innovazione sostanziale, non solo per la considerazione di parti da
questo trascurate (per es. l'et imperiale), ma perch non vuole essere un manuale
("commentariolum") delle magistrature sacre e profane, ma una ricostruzione
sistematica della vita pubblica e privata romana; non un sussidio alla lettura degli
storici, ma un'indagine indipendente di aspetti da questi non espressamente
trattati. Qui trova la sua pi matura affermazione l'assunto metodico di B., per
nulla ovvio al tempo, di perseguire l'accertamento del fatto, indipendentemente da
enunciazioni retoriche, filosofiche e giuridiche, nel punto stesso in cui egli ha a che
fare con oratori, filosofi e giuristi (la distinzione posta da B., pp. 54, 167, 181). Al
solito fatto ricorso a tutto il materiale accessibile, latino e, se possibile, greco,
"uno specimen... della coltura storica e filologica dell'Italia verso la met del
Quattrocento" (Nogara, p. CLV). Il modello di Varrone gli ovviamente presente,
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cui il nuovo materiale (compreso il libro I, dec. IV) appariva separato dal resto, che
si pu identificare con quella predisposta da Gaspare Biondi per un'edizione poi
non realizzata (v. dedica a D. Domenichi, 10 dicembre 1474, all'ed. princ. dell'It.
Ill., Roma 1474: "quam [historiam] tribus et triginta libris usque ad sua tempora
scripsit"). L'appartenenza a B. di detti libri confermata da ulteriori prove interne
ed esterne, che chi scrive si riserva di documentare in sede di edizione del testo. Si
accenner soltanto che essi furono noti agli autori contemporanei; per es. L.
Crivelli, scrivendo di B. nel 1464, si riferisce a "tribus decadibus suis iam magna ex
parte editis" in L. A. Muratori,Rerum Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 629);
e sopratutto furono ampiamente sfruttati dal Platina (Vitae pontificum) e da G.
Simonetta, che nei suoi Commentarii sulla vita di F. Sforza rifuse in blocco tutta la
parte aggiunta, a partire dal novembre 1440 (libri V-XX).
La prima parte delle nuove storie, senza dubbio quella di cui parla il Domenichi, e
destinata a colmare la lacuna cronologica fra la seconda e la terza decade, comincia
dalla morte di Giangaleazzo Visconti, e si sofferma in particolare sulle vicende dello
scisma e del concilio di Costanza, sulla conquista veneziana di Padova e su quella
fiorentina di Pisa; pi di sfuggita sono trattati i fatti di Milano e della Lombardia.
Le fonti principali sono le cronache fiorentine dell'Anonimo (P. Minerbetti) e di D.
Buoninsegni, e il Liber pontificalis; ma pure fatto ricorso a vari testi sussidiari,
non sempre identificabili, e forse anche a memorie personali.
Nei piani di B. era un completamento della decade IV, perlomeno fino alla pace di
Lodi (v. lettera a F. Sforza, 28 genn. 1463, cit., p. 212: "dicte due parti [sc. la vittoria
a Napoli di Alfonso e la spedizione lombarda di Renato d'Angi, 1453]... haveranno
a essere in la quarta deca"). A tal fine rielabor la materia gi trattata, scartando il
libro XXXII dell'edizione del 1453 (che forse per ci escluso dalle edizioni a
stampa), e proseguendo il libro XXXI, sulla falsariga della documentazione
sforzesca, fino al matrimonio di F. Sforza e la pace di Cremona (novembre 1441; cc.
304v-320r). Il libro II termina con l'insediamento del nuovo duca a Milano, e qui
l'opera rimane incompiuta, verisimilmente ancora bisognosa dell'ultima revisione.
La narrazione appare assai spoglia, senza alcuna concessione alla retorica e
all'encomio, a singolare contrasto con la storiografia cortigiana del Simonetta, che
l'avrebbe di l a poco rielaborata. Ci che sta al centro degli interessi dell'ultimo B.
, potremmo dire, il problema del potere: la sua, cos per il principio del secolo
come per i fatti pi recenti, essenzialmente una storia, disincantata e senza
simpatia, di atti, spogliazioni, delitti politici. Non a caso, vantando le proprie
benemerenze storiografiche allo Sforza, egli sceglieva l'esempio di Ezzelino da
Romano, "crudele tiranno": "pur mo sanno molti chi et como ello fo grande et
tenuto in Italia" (Nogara, p. 211).
La diffusione dell'opera di B. fu immediata e d'ambito europeo. Quella che incontr
maggiore favore fu la Roma instaurata, unita spesso all'Italia illustrata; le Decadi,
divulgate pi spesso parzialmente che intere, ebbero la maggiore area di
penetrazione: le ritroviamo in biblioteche principesche, vescovili, monastiche, in
case borghesi. Personaggi come J. Hinderbach, vescovo di Trento, o H. Schedel ne
posseggono l'opera intera. Come gi accennato, Gaspare B. cur l'edizione degli
scritti paterni negli anni 1470-74 c. (v. Pomponio Leto, dedica a G. B. dell'edizione
di Nonio, Roma 1472), sotto il patrocinio del Domenichi; solo per le Decadi, uscite
per ultime, sembra non sia stato rispettato tale piano editoriale, forse per gli
interessi di chi si era appropriato dell'ultima sezione composta.
Un altro figlio, Gerolamo, chierico e dottore in legge, raccolse una silloge di scritti
minori e di lettere, che tuttavia rimase senza eco.
L'uso delle opere di B. come testo primario ha la durata di circa un secolo. La Roma
instaurata (di cui si conoscono gli esemplari postillati da G. Marcanova e dal
circolo pomponiano: G. Valentinelli,Bibl. mss. adS. Marci Venetiarum, VI, p. 103,
e V. Zabughin, P. Leto, Roma 1909, I, p. 208) fu compiutamente superata dalla
seconda edizione della Topografia antiquae Romae (1544) di B. Marliani; cos
l'Italia illustrata era soppiantata dalla fortunata Descrittione di tutta l'Italia
(1550) del domenicano bolognese L. Alberti (un filone particolare della fortuna di
B. presso i domenicani di Bologna desumibile dalla Chronica... civitatis Bononiae
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storia degli studi classici, Roma 1955, pp. 69-77; D. Maffei,Gli inizi
dell'umanesimo giuridico, Milano 1956, pp. 114 ss. (rec. di A. Momigliano, ora in
Secondo contributo, cit., p. 418 s.); R. Weiss,Lineamenti per una storia degli studi
antiquari in Italia dal XII secolo al sacco di Roma nel 1527, in Rinascimento, IX
(1958), pp. 162 ss.; E. Mandowsky-C. Mitchell,Pirro Ligorio's Roman antiquities...,
in Studies of the Warburg Institute, XXVIII, London 1963, pp. 12 ss.; Per la Roma
inst. v. anche G. Scaglia,The origin of an archeological plan of Rome by
Alessandro Strozzi, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXVII
(1964), pp. 137-159.
Per giudizi indicativi di contemporanei: B. Fonzio,Oratio in historiae laudationem,
in Orationes, s.l. e d. (ma Firenze 1490 c.: Hain, n. 7227), pp. non numerate; R.
Maffei (Volterrano),Commentariorum urbanorum libri, XXI, Lugduni 1552, p.
640; E. S. Piccolomini (Pio II),Commentarii rerum memorabilium, Romae 1584,
p. 766; L. Crivelli,De vita rebusque gestis Sfortiae bellicosissimi ducis ac initiis filii
eius Fr. Sfortiae Vicecomitis Mediolanensium ducis commentarius, in L. A.
Muratori,Rerum Italic. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 629; B. Sacchi
(Platina),Historia urbis Mantuae,ibid., XX, Mediolani 1731, coll. 814 s.; P.
Cortesi,De hominibus doctis, a cura di G. C. Galletti, Florentiae 1847, pp. 228 ss.;
Vespasiano da Bisticci,Vite di uomini illustri del secolo XV, Bologna 1892, II, pp.
232-234; per un giudizio di A. Patrizi, v. R. Avesani,Per la biblioteca di Agostino
Patrizi Piccolomini,vescovo di Pienza, in Mlanges Eugne Tisserand, VI,Studi e
testi, CCXXXVI, Citt del Vaticano 1964, pp. 26 s. Per saggi sull'uso dei testi di B.:
V. Rossi, rec. a G. Lesca,I Commentari di E. S. Piccolomini, in Rassegna
bibliografica della letter. italiana, II (1898), pp. 185 s.; L. La Rocca,Il primo libro
delle Storie fiorentine di N. Machiavelli e del parallelismo con le Decadi di F. B.,
Palermo 1904, R. Bersi,Le fonti della prima Decade delle "Historiarum
venetarum" del Sabellico, in Nuovo Arch. Veneto, n.s., XIX (1910), pp. 422 ss.; XX
(1910), pp. 115 ss.; G. Gayda, prefazione a B. Platina,Liber de vita Christi ac
omnium pontificum, in Rerum Italic. Script., 2 ed., III, 1, a cura di G. Gayda, pp.
XXXV ss.; F. Guicciardini,Le cose fiorentine, ora per la prima volta pubblicate da
R. Ridolfi, Firenze 1945, pp. XXX ss. e passim; A. Rotond,Pellegrino Prisciani, in
Rinascimento, XI (1960), pp. 102 ss.; N. Rubinstein,Poggio Bracciolini cancelliere
e storico di Firenze, in Atti e mem. dell'Accademia Petrarca di lettere,arti e scienze
di Arezzo, n.s, XXXVII (1958-1964) pp. 230 s.
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BIONDO FLAVIO > IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO - POLITICA
(2013)
Biondo Flavio Fra i piu illustri storiografi del Quattrocento, Biondo Flavio impresse una svolta in senso
contemporaneo alla ricerca storica, misurandosi con il monumento liviano che tratta dalla fondazione di Roma ad
Augusto mediante la narrazione ... Leggi
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