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1469: nasce a Firenze, terzogenito di Bernardo e Bartolomea Nelli

1474-1487: Bernardo Machiavelli, Libro dei ricordi


Secondo il Libro dei ricordi del padre, relativo agli anni 1474-87, M. studiò grammatica dal 1476, abaco dal 1480 e dal 1481 seguì le
lezioni di latino di ser Paolo Sasso da Ronciglione, professore di "grammatica" nello Studio fiorentino. Dalla medesima fonte si
ricava che fin dall'adolescenza M. conosceva storici come Giustino e Livio, un codice del quale risulta che Bernardo avesse ricevuto
in compenso per la compilazione di un corposo indice toponomastico degli Annales ab urbe condita. Bernardo possedeva anche un
esemplare delle Deche di Biondo Flavio; il volume, recentemente identificato, reca dei notabilia di mano di M. (Martelli, 1990). Alla
piena giovinezza sembra appartenere una lettura filosoficamente impegnativa come quella di Lucrezio, documentata dal ms. Ross.,
884, della Biblioteca Apost. Vaticana, copia autografa e firmata del De rerum natura (e dell'Eunuchus terenziano)
Sulla base di una deformata notizia negli Elogia del Giovio ("constat eum, sicuti ipse nobis fatebatur, a Marcello Virgilio
[?] graece atque latinae linguae flores accepisse", a cura di R. Meregazzi, Roma 1972, p. 112), si può ipotizzare che il M.
frequentasse le lezioni di Marcello Virgilio Adriani, come docente privato o, dal 24 ott. 1494, come professore di poetica e retorica
allo Studio; non c'è tuttavia prova che conoscesse il greco. Per la sua competenza di letterato, fu incaricato di redigere, a nome
dell'intera Maclavellorum familia, una supplica (del 2 dic. 1497) al cardinale Giovanni Lopez nell'occasione di una lite con la
famiglia Pazzi per il patronato della chiesa di S. Maria di Fagna: è questo il suo più antico autografo datato (Firenze, Biblioteca
nazionale, Aut. Pal., Carte Machiavelli, I, 57)
1494, novembre: cacciata dei Medici, avvento di Savonarola
1498, maggio-giugno: segretario della II Cancelleria
1498, luglio: segretario dei Dieci di Balìa
M. si era avvicinato a quei settori dell'aristocrazia che, dopo una fase di ambiguo consenso, passarono all'opposizione aperta nei
confronti del frate. Un tono di sprezzante ostilità verso Savonarola, di fatto già sconfitto, si coglie nella lettera del 9 marzo 1498 a
Ricciardo Bechi (o Becchi), prelato di Curia a Roma: «el frate [scil. Savonarola] predichò la domenica del carnasciale [scil.
carnevale], e dopo molte cose dette, invitò tutti i suoi a comunicarsi el dì di carnasciale in San Marco [scil. il convento domenicano di
Savonarola in Firenze], e disse che voleva pregare Iddio che se le cose che egli haveva predette non venivano da lui, ne mostrassi
evidentissimo segno; et questo fece, come dicono alcuni, per unire la parte [scil. il partito] sua e farla più forte a difenderlo. […] Ma
havendo dipoi la Signoria scripto in suo favore al Papa, e veggiendo che non gli bisognava temer più degli adversari suoi in Firenze,
dove prima lui cercava di unire solo la parte sua col detestare gli avversari e sbigottirli col nome del tiranno, hora poi che vede non
gli bisognar più, ha mutato mantello, e quegli all’unione principiata confortando [scil. esortando gli avversari a proseguire l’alleanza
con i suoi seguaci], […] di inanimirli tutti contro al sommo pontefice cerca, e verso lui e [ scil. i] suoi morsi rivoltati, quello ne dice
che di quale vi vogliate scelleratissimo huomo [scil. ne dice ciò che qualsivoglia uomo scelleratissimo] dire si puote; e così, secondo
il mio giudizio, viene secondando i tempi e le sue bugie colorendo». I legami antisavonaroliani danno forse ragione del fatto che,
entrato in concorso fin dal febbraio per un minore ufficio, subito dopo il supplizio del Savonarola (23 maggio) il M. fosse designato
(28 maggio) e nominato (19 giugno) segretario della seconda Cancelleria; dal 14 luglio fu anche segretario dei Dieci (magistratura
deputata alla guerra e alla sicurezza nel Dominio). Può darsi che la nomina fosse favorita da Adriani, dal febbraio primo cancelliere
L'attività ufficiale del M., "segretario fiorentino", è documentata da un'imponente mole di scritti, per lo più corrispondenza
tenuta in nome degli organi di governo centrali con i funzionari e i comandanti militari sparsi per il dominio fiorentino (una gran
parte dei documenti è riferibile alla guerra per la riconquista di Pisa, che si era ribellata nel 1494). Ma è anche più importante, per
quella "esperienza delle cose moderne" che viene rivendicata nella prima pagina del Principe, il servizio diplomatico che al M. toccò
di svolgere presso le principali corti italiane e straniere con la qualifica di "mandatario" del governo (non con quella politica di
"oratore"). Poteva inoltre avvenire che al M. venissero richiesti, da membri della Signoria o di organi assembleari, speciali rapporti su
questioni del Dominio, ovvero sui risultati delle missioni oltre confine. Nel piccolo mondo della Cancelleria, che il M. animò per
quattordici anni, spiccano i nomi di Agostino Vespucci (di cui restano alcune, divertenti, lettere al segretario) e di Biagio
Buonaccorsi, modesto letterato in proprio e anche, come si è visto e meglio si vedrà, copista di scritti machiavelliani. L'amicizia
fraterna, e quasi gelosa, di "Blasius" per il M. si può seguire in un buon numero di lettere, dal 19 luglio 1499 al 27 ag. 1512
1499, maggio: Discorso sopra Pisa
Prima prosa politica conservata; breve riflessione sul modo di riconquistare la città ribelle, scritto forse in preparazione della consulta
del 2 giugno.
1499, luglio: prima missione diplomatica di rilievo (presso Caterina Sforza Riario, contessa di Forlì, per
trattare la riconferma di una condotta a Ottaviano Riario)
1499: calata in Italia di Luigi XII re di Francia; alleanza con Firenze
Rifacendosi ai diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti, Luigi XII intraprese la spedizione del 1499-1500 in Italia. Preceduta da
un abile gioco diplomatico che gli aveva procurato l'aiuto di Venezia (a cui concesse Cremona e la Ghiara d'Adda), degli Svizzeri (ai
quali concesse la Contea di Bellinzona, corrispondente al Canton Ticino) e di papa Alessandro VI (al cui figlio, Cesare Borgia, aveva
concesso il Ducato di Valentinois e la mano di Charlotte d’Albret), la spedizione giunse con facilità alla conquista del Ducato di
Milano (1500)
1500, giugno-luglio: missione al campo sotto Pisa
Al seguito dei commissari Giovan Battista Ridolfi e Lucantonio Albizzi, M. poté assistere al disastroso sbandamento dei mercenari
svizzeri e guasconi condotti da Charles de Beaumont (10 luglio)
1500, luglio-1501, gennaio: ambasceria presso Luigi XII
M. è inviato, con Francesco Della Casa, al re di Francia per richiedere all'alleato un maggiore impegno bellico e,
contemporaneamente, contenere le sue esose richieste di tributi. La missione durò dal 18 luglio 1500 al gennaio 1501, e permise al
M. di mettere alla prova, sulla scena della grande politica internazionale, le sue meditazioni sulla virtù degli antichi. Spicca
l'ammonimento a seguire l'esempio di coloro "che hanno per lo addrieto volsuto possedere una provincia esterna", rivolto al primo
ministro di Luigi XII, il cardinale Georges d'Amboise, registrato nella lettera del 21 novembre (in Opere, a cura di C. Vivanti, II,
Torino 1999) e ripreso, quasi alla lettera, nel terzo capitolo del Principe
1501, gennaio (?): Discursus de pace inter imperatorem et regem
1501-1503: De natura Gallorum
Sono legati a questo soggiorno francese il Discursus de pace inter imperatorem et regem (gennaio 1501?) e i ricordi De natura
Gallorum (opera elaborata fino al 1503). Nel primo, riportando un colloquio, non si sa se reale o fittizio, con un personaggio della
corte, il M. ha modo di abbozzare le linee di un giudizio sulla monarchia di quel Paese, quale emergeva dalla distruzione delle grandi
potenze feudali. Il secondo testo è costituito da 19 brevi notazioni, psicologiche e politiche.
1501, autunno: sposa Marietta Corsini, dalla quale ha 7 figli
Il quartogenito, Guido, fu ecclesiastico e scrittore (1512/13-1567)
Sulla scia dell'invasione francese, le imprese di Cesare Borgia, duca del Valentinois, in Romagna acuivano l'instabilità di tutta l'Italia
centrale. La Repubblica fiorentina dovette fronteggiare sia le minacce dei Medici fuorusciti, sia i tumulti di Pistoia (in vista della
consulta del 22-23 marzo 1502, il M. scrisse una relazione De rebus Pistoriensibus, autografo in CM, I, 11). Il 4 giugno Arezzo si
rivoltò, spalleggiata da Vitellozzo Vitelli: Firenze ne recupererà il possesso solo nell’agosto 1502, grazie all’aiuto francese. Alla fine
di giugno, il M. coadiuvò Francesco Soderini nell'ambasciata a Cesare Borgia, allora impadronitosi di Urbino. Forte del successo, il
Valentino ("molto splendido et magnifico et animoso" lo descrive il M. nella lettera del 26 giugno) fece in quell'occasione gravi
pressioni su Firenze, chiedendo addirittura un mutamento del suo governo; tanto che il Soderini rimandò il M. (26 giugno) per riferire
a voce alla Signoria. In realtà, la posizione del duca era piuttosto fragile, come fu rivelato dalla ribellione dei suoi luogotenenti
(Vitellozzo Vitelli, Oliverotto Euffreducci, Paolo Orsini) nel settembre.
1502, settembre: Piero Soderini gonfaloniere perpetuo
M. gli si legò di sincera fedeltà, fino a diventarne il più fidato collaboratore («era una spia del gonfaloniere»: Bartolomeo Cerretani,
Ricordi), intervenendo a suo favore nei contrasti con gli ottimati, ad es. col poemetto in terzine dantesche Compendium rerum
decemnio in Italia gestarum
1502, ottobre-1503, gennaio: seconda legazione al Valentino
In coincidenza con la crisi del Valentino, dal 5 ott. 1502 al 21 genn. 1503 il M. svolse una seconda legazione presso di lui, per
offrirgli il sostegno di Firenze, e poté assistere al capolavoro di astuzia e crudeltà grazie al quale il Borgia liquidò i suoi nemici, e
anche i meno fidati tra gli amici (come Ramiro de Lorqua). Il fatto di Senigallia (31 dicembre) si trova descritto a caldo dal M. in un
frammento di lettera (post 14 genn. 1503), che anticipa la più meditata narrazione del Tradimento del duca Valentino (1514?). Il M.
fu presente anche alla conclusione della parabola politica borgiana.
1503, marzo: Parole da dirle sopra la provisione del danaio
Composte per il Soderini in vista della consulta del 28 marzo, anticipano temi presenti nella produzione successiva. Ad es.: «sanza
forze, le città non si mantengono, ma vengono al fine loro»
1503, luglio: Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati
Discorso incompiuto, prospetta un confronto tra l’accorto trattamento dei popoli latini ribelli da parte dei Romani antichi e
l’irresolutezza dei Fiorentini nei confronti di Arezzo: l’esempio romano insegna che «i popoli ribellati si debbono o heneficare o
spegnere, e che ogni altra via sia pericolosissima»
1503, ottobre-dicembre: a Roma, per il conclave
Dal 26 ottobre al 18 dic. 1503 fu a Roma per il conclave da cui uscì eletto Giuliano Della Rovere come papa Giulio II e vide e
commentò lucidamente gli errori del duca in quella, pur difficilissima, congiuntura (lettera del 14 novembre). L'esperienza di queste
tre legazioni si trova tutta rielaborata nel settimo capitolo del Principe
1504, gennaio-marzo: ambasceria presso Luigi XII a Lione
Guidata dall’ambasciatore Niccolò Valori, la legazione mira a consolidare l’alleanza con i Francesi in occasione della tregua
triennale fra questi e gli Spagnoli firmata l’11 febbraio
1504, aprile-1505 luglio: missioni in Italia
A Piombino da Iacopo IV Appiani; a Perugia da Giampaolo Baglioni; a Mantova da Francesco II Gonzaga; a Siena da Pandolfo
Petrucci
1504, ottobre: Compendium rerum decemnio in Italia gestarum
M. presentò il poemetto al vero capo degli ottimati fiorentini, Alamanno Salviati, a fini di captatio benevolentiae. È una vivida
cronistoria degli anni 1494-1504, connessa al progetto machiavelliano di una milizia «propria» della Repubblica. Fu dato alle stampe
solo nel febbraio 1506 col titolo Decennale, s.n.t. (ma Firenze, forse Bartolomeo de’ Libri), senza dedica ma con un’epistola in
limine di Agostino Vespucci ai Fiorentini che lo diceva «arra» di un più impegnativo lavoro storiografico in prosa. Una terza
versione del testo in bella copia autografa è nella Biblioteca del Seminario arcivescovile di Firenze, Mss., C.VI.27
1505, dicembre-1506, marzo: ordinamento della milizia «propria»
Dopo l’ennesimo fallimento dei mercenari assoldati da Firenze sotto Pisa (sett. 1504), M. propugna la costituzione della milizia
«propria», appoggiata dal card. Francesco Soderini e avversata da chi paventava un eccessivo rafforzamento del gonfaloniere. M.
cura personalmente il reclutamento e l’addestramento militare dei primi contingenti. La prima rassegna, di 400 fanti, si svolge il 15
febbraio 1506. Con scandalo degli ottimati, il 1° aprile è eletto capitano don Miguel Corella, il famigerato Micheletto, luogotenente e
boia del Valentino. A inizio novembre gli arruolati sono circa 5.000. La provvisione definitiva è votata il 6 dicembre 1506, sulla base
di un documento redatto da M., La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi e quel che bisogni fare (autogr. in CM, I, 78), interessante
anche per la chiarezza delle premesse politiche («chi dice imperio, regno, principato, repubblica, chi dice uomini che comandono
[…] dice iustizia e armi»)
1506, agosto-ottobre: al seguito della corte papale di Giulio II
Al seguito del papa in marcia attraverso l’Umbria e la Romagna per ridurre all’obbedienza Perugia e Bologna ribellate
1506, settembre-ottobre: Ghiribizzi al Soderino
Da un evento cruciale in quella spedizione, l'imprevista resa del "tiranno" perugino Giampaolo Baglioni al male armato Giulio,
traggono spunto questi famosi Ghiribizzi al Soderino, epistola responsiva del M. a Giovan Battista Soderini (la cui missiva è datata
12 settembre). Vi si teorizza che solo il felice "riscontro" fra il "modo di procedere" dell'uomo e la "qualità dei tempi" in cui ci si
trovi a operare, danno luogo alla vittoria; ma poiché gli uomini, osserva il M., "non mutono […] e loro modi di procedere", la teoria
giunge a contemplare la crisi della razionalità politica: "non consigliar persona, né pigliar consiglio […] eccetto […] che ognun facci
quello che li detta l'animo e con audacia". Probabilmente, la lettera, di cui è nota la tormentata minuta autografa (BAV, Cappon.,
107, vol. 2, cc. 219-220), non fu mai spedita, ma la sua materia passò in gran parte nel coevo capitolo Di Fortuna, in terzine,
indirizzato al Soderini; e di qui, con sensibili aggiustamenti, nel XXV capitolo del Principe e in Discorsi, III, 9
1507, gennaio-aprile: cancelliere dei Nove ufficiali della milizia fiorentina, recluta truppe nel contado
1507, giugno (?): Ingratitudine
Capitolo in terzine scritto forse allora per il disappunto di essere stato rimosso, a vantaggio di Francesco Vettori, dall’incarico di
ambasciatore designato presso Massimiliano I d’Absburgo per l’opposizione degli ottimati e debolmente difeso da Piero Soderini,
che però riuscì a inviare M. in Tirolo a fine anno. La missione doveva sondare gli eventuali vantaggi e svantaggi di una calata in
Italia dell’imperatore in opposizione ai Francesi
1507 ex. - 1508, giugno: missione presso Massimiliano I; Rapporto delle cose della Magna
Il Rapporto espone i limiti politici e personali di Massimiliano e individua nella «disunione» il difetto strutturale che rendeva la
Germania inferiore a Francia e Spagna
1508, dicembre: lega di Cambrai
Contro Venezia, per spartirsene i territori. Vi aderirono Massimiliano I, Luigi XII d’Orléans, Ferdinando II d’Aragona, Giulio II
Della Rovere, Alfonso I d’Este, Carlo II di Savoia, Francesco II Gonzaga e Ladislao II d’Ungheria
1508, dicembre-1511: guerra della lega di Cambrai contro Venezia
Venezia vince gli imperiali in Cadore (marzo 1509), ma viene sconfitta dai Francesi ad Agnadello (maggio) e dalla flotta ferrarese
alla Polesella (dicembre). Ma nel 1510 il Papa lascia la Lega per timore di uno strapotere francese e si allea con Venezia, e così nel
1511 anche Spagna e Impero, dando vita alla Lega Santa contro la Francia
1509, marzo-giugno: riconquista di Pisa
M. sovrintende le operazioni belliche per la riconquista di Pisa: va in missione a Piombino nel marzo, redige un piano di battaglia
(Provvedimenti per la riconquista di Pisa, fine marzo), controfirma la resa della citta nell’inizio di giugno. È il culmine della sua
carriera politica e delle fortune della Repubblica fiorentina: l’amico Filippo Casavecchia gli scrive il 17 giugno di vedere in lui «el
maggiore profeta che avessino mai gli Ebrei o altra generazione»
1509, novembre-dicembre: in missione a Mantova e a Verona, scrive forse il capitolo Dell’ambizione (a Luigi
Guicciardini)
Da Verona, dove recava un tributo di Firenze a Massimiliano, scrive la famosa lettera a Luigi Guicciardini dell’8 dicembre ( una
vecchia camiciaia lo porta quasi di forza nel suo negozio, lo lascia solo nel buio della stanza, lo invita a provare una “camicia” in
“vendita” ed esce chiudendosi la porta alle spalle; dall’oscurità sbuca una donna, evidentemente una prostituta, della quale
Machiavelli approfitta): «E facto che io l’ebbi, venendomi pure voglia di vedere questa mercatantia, tolsi un tizone di fuoco d’un
focolare che v’era e accesi una lucerna che vi era sopra; né prima el lume fu apreso che ’l lume fu per cascarmi di mano. Omè, fu’
per cadere in terra morto, tanto era bructa quella femina. E’ se le vedeva prima un ciuffo di capelli fra bianchi e neri cioè canuticci; e
benché l’avessi al cocuzolo del capo calvo, per la cui calvitie a lo scoperto si vedeva passeggiare qualche pidochio, nondimeno pochi
capelli e rari le aggiugnevono con le barbe loro fino in su le ciglia; e nel mezzo della testa piccola e grinzosa haveva una margine di
fuoco, ché la pareva bollata ad la colonna di Mercato; in ogni puncta delle ciglia di verso li ochi haveva un mazeto di peli pieni di
lendini; li ochi li aveva uno basso ed uno alto ed uno era maggiore che l’altro, piene le lagrimatoie di cispa ed enipitelli dipilliciati: il
naso li era conficto sotto la testa aricciato in sù, e l’una delle nari tagliata piene di mocci; la bocca somigliava quella di Lorenzo de’
Medici, ma era torta da uno lato e da quello n’usciva un poco di bava, ché per non haver denti non poteva ritener la sciliva; nel labbro
di sopra haveva la barba lunghetta ma rara: el mento haveva lungo aguzato, torto un poco in su, dal quale pendeva un poco di pelle
che le adgiugneva infino ad la forcella della gola. Stando adtonito ad mirar questo mostro, tucto smarrito, di che lei accortasi volle
dire: “Che havete voi, messere?”; ma non lo dixe perché era scilinguata; e come prima aperse la bocca n’uscì un fiato sì puzzolente,
che trovandosi offesi da questa peste due porte di due sdegnosissimi sensi, li ochi e il naso, e messi ad tale sdegno, che lo stomaco
per non poter sopportare tale offesa tucto si commosse e, commosso, oprò sì che io le rece’ addosso; e così pagata di quella moneta
che la meritava mi partii. E per il cielo che io darò, io non credo, mentre starò in Lombardia, mi torni la foia»
1509-1512: Ritratto di cose della Magna
Stesura rielaborata del Rapporto delle cose della Magna del giugno 1508
1510, febbraio: pace tra Giulio II e Venezia
1510, giugno-ottobre: missione in Francia e stesura del Ritratto di cose di Francia
Missione effettuata per convincere Luigi XII a «non rompere col Papa», ma vanificata dall’aggressività di Giulio II verso gli Estensi,
alleati dei Francesi. Il Ritratto, lasciato incompiuto dopo il 1512, individua la principale «cagione» della potenza francese nel solido
rapporto fra monarca e baroni
1511, settembre-ottobre: in Francia, a esortare invano Luigi XII a una politica di pace
1511, ottobre: Lega Santa
Spagna, Giulio II, Venezia e Inghilterra si coalizzano contro i Francesi
1511, novembre: missione a Pisa
M. si porta presso il concilio dei cardinali filofrancesi riunito a Pisa: ne ottiene il trasferimento a Milano, ma ciò non attenua l’ostilità
di Giulio II verso la Repubblica
1512, aprile: vittoria francese presso Ravenna
1512, giugno: restituzione della Lombardia riconquistata ai Francesi dagli Svizzeri chiamati dal Papa
1512, agosto-settembre: deposto Pier Soderini per la minaccia spagnola su Firenze, tornano i Medici
A metà agosto truppe spagnole al seguito del card. Giovanni de’ Medici, legato pontificio, entrano in Toscana e annientano la
resistenza militare fiorentina, saccheggiando orrendamente Prato. A fine agosto Pier Soderini fugge da Firenze. A metà settembre i
Medici prendono il potere. M. fa un racconto degli eventi in una lettera a un’illustrissima gentildonna (la marchesa di Mantova?
Alfonsina Orsini de’ Medici? Sua figlia Clarice de’ Medici Strozzi, moglie di Filippo, amico devoto di M.?): «Concluso che fu nella
dieta di Mantova di rimettere i Medici in Firenze [a opera di Giulio II, protettore dei Medici e nemico della Repubblica fiorentina,
specie per l’appoggio dato da essa a Luigi XII nella guerra della Lega Santa], si dubitò in Firenze assai che ’l campo spagnolo non
venissi in Toscana: non di mancho non ce ne essendo altra certezza […], stemo con lo animo sospesi sanza fare altra preparazione,
infino a tanto che da Bologna venne la certezza del tutto. Ed essendo già le genti inimiche propinque alli confini nostri ad una
giornata, turbossi in uno tratto da questo subito assalto, e quasi insperato [scil. inaspettato], tutta la città; e consultato quello che fussi
da fare, si deliberò con quanta più prestezza si potessi, non possendo essere a tempo a guardare e passi de’ monti, mandare in
Firenzuola, castello in su’ confini tra Firenze e Bologna, 2.000 fanti, accioché li Spagnuoli […] si volgessino alla espugnazione di
quello luogo, e dessino tempo a noi d’ingrossare di gente e potere con più forze obstare alli assalti loro: le quali gente si pensò prima
di non le mettere in campagna, per non le giudicare potente a resistere alli inimici, ma fare con quelle testa a Prato, castello grosso
[…] e propinquo a Firenze a dieci miglia, giudicando quello luogo essere capace dello esercito loro e potervi stare sicuro, e per esser
propinquo a Firenze potere ogni volta soccorrerlo. […] Ma il viceré [spagnolo], la intenzione del quale era non combattere le terre,
ma venire a Firenze per mutare lo stato, sperando con la parte [scil. il partito mediceo sempre attivo a Firenze] posserlo fare
facilmente, si lasciò indreto Firenzuola, e passato l’Apennino scese a Barberino di Mugello, castello propinquo a Firenze diciotto
miglia, dove sanza contrasto tutte le castella di quella provincia, sendo abbandonate d’ogni presidio, riceverno i mandamenti suoi, e
provederono il campo di vettovaglie secondo le loro facultà. Sendosi intanto a Firenze condotto buona parte di gente, […]
consigliorono non essere da far testa a Prato, ma a Firenze […]. Piacque questa deliberazione, e in specie al gonfaloniere […]. E
trovandosi le cose in questi termini, mandò il viceré a Firenze suoi ambasciatori, i quali esposono alla Signoria come non venivono in
questa provincia inimici, né volevono alterare la libertà della città, né lo stato di quella, ma solo si volevono assicurare di lei che si
lasciassi le parti franzesi e aderissesi ad la lega [Santa]; la quale non giudicava possere stare secura di questa città, né di quanto se gli
promettessi, stando Piero Soderini gonfaloniere, havendolo conosciuto partigiano de’ Franzesi, e però voleva che deponessi quel
grado, e che il popolo di Firenze ne facessi uno altro come gli paressino. Al che rispose il gonfaloniere che non era venuto a quel
segno né con inganno né con forza, ma che vi era stato messo dal popolo; e però se tutti li re del mondo raccozzati insieme gli
comandassino lo deponessi, che mai lo deporrebbe; ma se questo popolo volessi che lui se ne partissi, lo farebbe così volentieri come
volentieri lo prese. […] Ragunò tutto il consiglio e notificò loro la proposta fatta, […] che essi giudicassino che della partita sua ne
havessi a nascere la pace, era per andarsene a casa […]. La quale cosa unitamente da ciascuno li fu denegata, offrendosi da tutti di
mettere insino alla vita per la difesa sua. […] L’altro giorno poi venne la nuova essere preso Prato, e come li Spagnuoli, rotto
alquanto di muro, cominciorono a sforzare chi difendeva, e a sbigottirgli; in tanto che dopo non molto di resistenza tutti fuggirono, e
li Spagnuoli, occupata la terra, la saccheggiorno, ed ammazzorno li huomini di quella con miserabile spettacolo di calamità. Né a V.
S.ria riferirò i particolari per non li dare questa molestia d’animo; dirò solo che vi morirono meglio che quattromila huomini, e li altri
rimasono presi e con diversi modi costretti a riscattarsi; né perdonarono a vergini rinchiuse ne’ luoghi sacri, i quali si riempierono
tutti di stupri et di sacrilegi. Questa novella diede gran perturbazione alla città, non di manco il gonfaloniere […] pensava di tenere
Firenze e accordare gli Spagnuoli con ogni somma di danari, pure che si escludessero i Medici. Ma andata questa commessione e
tornato per risposta come li era necessario ricevere i Medici o aspettare la guerra, cominciò ciascuno a temere del sacco, per la viltà
che si era veduta in Prato ne’ soldati nostri; il qual timore cominciò ad essere accresciuto da tutta la nobiltà, che desideravono mutare
lo stato, in tanto che il lunedì sera a dì 30 di agosto a due hore di notte, fu dato commessione alli oratori nostri di appuntare [ scil.
accordarsi] col viceré ad ogni modo. E crebbe tanto il timore di ciascuno, che il palazzo e le guardie consuete che si facìeno dalli
huomini di quello stato, le abbandonorono, e rimaste nude di guardie, fu costretta la Signoria a relassare molti cittadini, e quali senso
giudicati sospetti e amici a’ Medici, erano suti ad buona guardia più giorni in palazzo ritenuti; i quali, insieme con molti altri cittadini
de’ più nobili di questa città che desideravono di rihavere la reputazione loro, presono animo; tanto che il martedì mattina venneno
armati a palazzo, e occupati tutti i luoghi per sforzare il gonfaloniere a partire, furno da qualche cittadino persuasi a non fare alcuna
violenzia, ma lasciarlo partire d’accordo. E così il gonfaloniere accompagnato da loro medesimi se ne tornò a casa, e la notte venente
con buona compagnia, di consentimento de’ signori, si condusse a Siena. A questi magnifici Medici, udite le cose successe, non
parve di venire in Firenze, se prima non havìeno composte le cose della città con il viceré, con il quale doppo qualche difficultà
feciono l’accordo; ed entrati in Firenze sono stati ricevuti da tutto questo popolo con grandissimo honore […] Entrò il legato
[pontificio, scil. Giovanni de’ Medici] in Firenze, e con sua signoria vennono assai soldati, e massime italiani: ed havendo questi
signori ragunato in palazzo a dì 16 del presente più cittadini, e con loro era il magnifico Giuliano, e ragionando della riforma del
governo, si levò a caso certo romore in piazza, per il quale il Ramazzotto con li suoi soldati ed altri presono il palazzo, gridando palle
palle. E subito tutta la città fu in arme, e per ogni parte della città risuonava quel nome; tanto che e signori furono costretti chiamare
il popolo a concione, quale noi chiamiamo parlamento, dove fu promulgata una legge, per la quale furono questi magnifici Medici
reintegrati in tutti gli honori e gradi de’ loro antenati. E questa città resta quietissima, e spera non vivere meno honorata con l’aiuto
loro che si vivesse ne’ tempi passati, quando la felicissima memoria del magnifico Lorenzo loro [scil. di Giovanni e Giuliano] padre
governava»
1512, settembre-ottobre: stesura del «ragionamento sulle repubbliche» e appello Ai Palleschi
Vi allude l’attacco del cap. II del Principe: «Io lascerò indrieto el ragionare delle republiche, perché altra volta ne ragionai a lungo».
L’appello Ai Palleschi (forse fine ottobre; autogr. in ASFi, Torrigiani, V.XXV.13) esorta i Medici a proseguire la politica
antiottimatizia del Soderini
1512, novembre: M. è privato dell’ufficio e condannato a un anno di confino
Gli fu anche proibito di entrare nel palazzo del governo per un anno. Compone forse in quel mese la prima parte dei Discorsi sulla
prima Deca di Tito Livio
1513, febbraio: arresto di M., sospetto complice di una congiura antimedicea; morte di Giulio II
Agostino Capponi e Pier Paolo Boscoli ordiscono una congiura repubblicana, con qualche complicità di due amici di M., Niccolò
Valori e Giovanni Folchi. Il 12 febbraio M. è arrestato e sottoposto al tormento della fune. Cerca aiuto in amici potenti, come i
fratelli Paolo e Francesco Vettori, e soprattutto in Giuliano de’ Medici, cui invia due sonetti, Io ho, Giuliano, in gamba un paio di
geti e In questa notte, pregando le Muse (e, dopo scarcerato, un terzo, Io vi mando, Giuliano, alquanti tordi). Il primo recita: «Io ho,
Giuliano, in gamba un paio di geti / con sei tratti di fune in su le spalle: / l’altre miserie mie non vo’ contalle, / poiché così si trattano
e poeti! / Menon pidocchi queste parieti / bolsi spaccati [scil. mostruosamente gonfi] che paion farfalle, / né fu mai tanto puzzo in
Roncisvalle / o in Sardigna [scil. luogo fuori dalle mura di Firenze dove si buttavano le carcasse degli animali morti in città e
incommestibili e si uccidevano e scorticavano gli equini vecchi e inservibili; oppure reparto dell’antico ospedale di Santa Maria
Novella dove si curavano «piaghe fetenti» (Redi); oppure isola posta alla confluenza dell’Arno col Mugnone presso Ognissanti, a
Firenze, dove erano attive gualchiere e tintorie tessili] fra quegli alboreti, / quanto nel mio sì delicato ostello; / con un romor che
proprio par che ’n terra / fùlgori Giove e tutto Mongibello. / L’un si incatena e l’altro si disferra / con batter toppe, chiavi e
chiavistello; / un altro grida: è troppo alto da terra! / Quel che mi fe’ più guerra / fu che dormendo presso a la aurora / cantando sentii
dire: “Per voi s’òra”. / Or vadin in buona ora; / purché vostra pietà ver me si voglia, / buon padre, e questi rei lacciuol ne scioglia». Il
secondo: «In questa notte, pregando le Muse / che con lor dolce cetra e dolci carmi / dovesser visitar, per consolarmi, / vostra
Magnificenzia e far mie scuse, / una comparse a me che mi confuse / dicendo: “Chi se’ tu ch’osi chiamarmi?”. / Dissigli il nome, e lei
per straziarmi / mi batté al volto e la bocca mi chiuse, / dicendo: “Niccolò non se’ ma il Dazzo, / poiché ha’ legato le gambe e i
talloni, / e sta’ci incatenato come un pazzo”. / Io gli volevo dir le mie ragioni: / lei mi rispose e disse: “Va al barlazzo [ scil. in
malora], / con quella tua commedia in guazzeroni [scil. a brandelli]”. / Dàtegli testimoni, / magnifico Giulian, per l’alto Iddio, / come
io non sono il Dazzo ma sono io». Nella lettera a Francesco Vettori del 18 marzo 1513, M. riconosce di essere debitore della salvezza
a Giuliano de’ Medici e a Paolo Vettori: «posso dire tutto quello che mi avanza di vita riconoscerlo dal magnifico Giuliano e da
Pagolo vostro»
1513, marzo: elezione a Papa del card. Giovanni de’ Medici (Leone X)
M. beneficia di un provvedimento di amnistia per l’elezione papale e si ritira in villa, nel suo podere dell’Albergaccio, a S. Andrea in
Percussina, sempre sperando di ottenere qualche incarico dai nuovi governanti contando sul tiepido interessamento dei fratelli
Vettori. Francesi e Veneziani sottoscrivono un accordo a Blois; tregua fra Luigi XII e Ferdinando II d’Aragona (aprile). In giugno, a
Novara, nuova vittoria degli Svizzeri sui Francesi
1513, agosto-1514, marzo: stesura del Principe
Intanto, nel dicembre, muore Luigi XII, cui succede Francesco I. Dedicato a Lorenzo di Piero de’ Medici, cui Leone X aveva affidato
la guida della famiglia a Firenze (ma in un primo momento M. aveva pensato di indirizzare l’opera a Giuliano, fratello del Papa e
gonfaloniere della Chiesa), il Principe ha un certo riscontro positivo: tra l’estate 1514 e la primavera 1515 M. è consultato da
Lorenzo in materia militare e compone forse per lui i Ghiribizzi d’ordinanza, in cui ribadisce la necessità di un ampio reclutamento di
fanti; Giuliano, aspirante a una signoria su Parma, Piacenza, Modena e Reggio, medita forse di prenderlo al suo servizio: cfr. la
lettera a Francesco Vettori del 31 gennaio 1515: «Pagolo vostro è suto qui con il Magnifico [scil. Giuliano de’ Medici], et […] mi ha
detto come sua Signoria gli ha promesso farlo governatore di una di quelle terre delle quali prende hora la signoria. Et havendo io
inteso, non da Pagolo, ma da una commune voce, che egli diventa signore di Parma, Piacenza, Modana et Reggio, mi pare che questa
signoria fosse bella et forte, et da poterla in ogni evento tenere, quando nel principio la fosse governata bene. Et a volerla governare
bene, bisogna intendere bene la qualità del subbiecto [scil. la natura dello stato che si acquista]. Questi stati nuovi, occupati da un
signore nuovo, hanno, volendosi mantenere, infinite difficultà. Et se si truova difficultà in mantenere quelli che sono consueti ad
essere tutti un corpo, come, verbigrazia, sarebbe il ducato di Ferrara, assai più difficultà si truova a mantenere quelli che sono di
nuovo composti di diverse membra, come sarebbe questo del signore Giuliano, perché una parte di esso [ scil. Parma e Piacenza] è
membro di Milano, un’altra [scil. Modena e Reggio] di Ferrara. Debbe pertanto chi ne diventa principe pensare di farne un medesimo
corpo, et avvezzarli a riconoscere uno [scil. un solo signore] il più presto può. Il che si può fare in due modi: o con il fermarvisi
personalmente, o con preporvi un suo luogotenente che comandi a tutti, acciò che quelli sudditi, eziam di diverse terre, et distratti in
varie oppenioni, comincino a riguardare un solo, et conoscerlo per principe. Et quando sua Signoria, volendo stare per ancora a
Roma, vi preponesse uno che conoscesse bene la natura delle cose et le condizioni de’ luoghi, farebbe un gran fondamento a questo
suo stato nuovo. Ma se e’ mette in ogni terra il suo capo, et sua Signoria non vi stia, si starà sempre quello stato disunito, senza sua
riputazione, et senza potere portare al principe riverenza o timore. Il duca Valentino, l’opere del quale io imiterei sempre quando io
fossi principe nuovo, conosciuta questa necessità, fece messer Rimirro [scil. Ramiro de Lorqua, il «Ramiro d’Orco» di Principe VII,
luogotenente generale del duca Valentino] presidente in Romagna; la quale deliberazione fece quelli popoli uniti, timorosi
dell’autorità sua, affectionati alla sua potenza, confidenti di quella; et tutto lo amore gli portavono, che era grande, considerata la
novità sua, nacque da questa deliberazione. Io credo che questa cosa si potesse facilmente persuadere, perché è vera; et quando e’
toccasse a Pagolo vostro, sarebbe questo un grado [scil. la carica di governatore generale] da farsi conoscere non solo al signore
Magnifico, ma a tutta Italia; et con utile et honore di sua Signoria, potrebbe dare riputazione a sé, a voi et alla casa sua. Io ne parlai
seco; piaccqueli, et penserà d’aiutarsene. Mi è parso scriverne a voi, acciò sappiate i ragionamenti nostri, et possiate, dove
bisognasse, lastricare la via a questa cosa: “Et nel cadere el superbo ghiottone / e’ non dimenticò però Macone” [Pulci, Morgante, I,
38]». Una “presidenza” di Paolo Vettori in Emilia pare a M. un’ottima occasione per reinserirsi nel gioco politico; ma il progetto
mediceo non si realizza. Del resto il veto contro M. è attestato da una lettera di Piero Ardinghelli a Giuliano de’ Medici del 14
febbraio 1515: «El cardinale de Medici mi domandò hieri molto strectamente se io sapevo che V. Ex.tia havessi preso a’ servitii sua
Nicolò Machiavelli; et respondendoli io che non havevo notitia, né lo credevo, S. S.ria rev.ma mi disse queste formali parole:
‘Anchora io non lo credo; tamen perché da Firenze ce ne è adviso, io li ricordo che non è il bisogno suo, né il nostro. Questa debbe
essere inventione di Paulo Vectori… Scriveteli per mia parte che io lo conforto ad non s’impacciare con Niccolò…’» (O.
TOMMASINI, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo. Storia ed esame critico , Bologna, il
Mulino, 1994-1999, vol. II, p. 1064). Di qui l’amarezza e lo sconforto della lettera al nipote Giovanni Vernacci del 18 agosto 1515:
«i tempi […] sono stati e sono di sorte che mi hanno fatto sdimenticare di me medesimo»
1514: scrive il secondo Decennale (forse) e il Tradimento del duca Valentino al Vitellozzo Vitelli, Oliverotto
da Fermo e altri
Il secondo Decennale è incompiuto, e narra gli eventi dal 1505 al 1509. Il Tradimento è una «memoria» o «novella tragica»
sull’eccidio di Senigallia (1503)
1515, maggio: Lorenzo de’ Medici capitano generale dei Fiorentini
1515, settembre: sconfitti a Marignano, gli Svizzeri abbandonano la Lombardia ai Francesi
1516, gennaio: muore Ferdinando II d’Aragona; gli succede il nipote Carlo d’Absburgo
1516, marzo: muore Giuliano de’ Medici
1516, agosto: Lorenzo de’ Medici è nominato dal Papa duca di Urbino
1516-1517: M. frequenta gli Orti Oricellari e compone i Discorsi e l’Asino, poemetto satirico incompiuto
Il gruppo di giovani letterati fiorentini che si riuniva nei celebri Orti Oricellari intorno a Cosimo Rucellai, coltiva idee
filorepubblicane (ma vi erano anche aristocratici filomedicei, come il futuro storico Filippo de’ Nerli, cui M. dedica l’epigramma
Dell’occasione, libera traduzione da Ausonio). La più antica testimonianza di rapporti fra M. e questo ambiente è nella lettera a
Lodovico Alamanni del 17 dicembre 1517, ma essa descrive relazioni già solide (i carteggi del 1516 sono però dispersi: restano due
sole lettere: al Vernacci del 15 febbraio e a Paolo Vettori del 10 ottobre). A Rucellai e Zanobi Buondelmonti sono dedicati i Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, il capolavoro di M., grandiosa opera di meditazione storico-politica in forma di libera glossa al
testo liviano
1518, marzo-aprile: viaggio a Genova
Viaggio compiuto per conto di mercanti fiorentini implicati in un fallimento
1518-1519: compone la Mandragola e l’Arte della guerra
L’Arte della guerra (vero titolo: De re militari) sono dialoghi ambientati nel 1516 tra il protagonista Fabrizio Colonna e gli
interlocutori Cosimo Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Battista Della Palla e Luigi di Piero Alamanni. In 7 libri, ribadiscono la
necessità di tornare ai principi dell’arte militare romana, e soprattutto al modello della «popolazione armata» contro l’uso moderno
dei mercenari, e al predominio della fanteria contro quello della cavalleria e dell’artiglieria. Lungo frammento autografo: BNCFi,
Banco rari, 29, cc. 25-118; idiografo: BCVr, Mss., 323
1519, gennaio: muore Massimiliano e Carlo di Spagna incamera il dominio familiare degli Absburgo
1519, maggio: muore Lorenzo de’ Medici; si attenua la diffidenza medicea verso M.
1519, giugno: Carlo V d’Absburgo imperatore
1519-1520: Belfagor arcidiavolo
«Favola» antiuxoria di Belfagor arcidiavolo spedito sulla terra per indagare sulla malizia delle femmine. La data è quella presunta
dell’autografo (BNCFi, Banco rari, 240, cc. 1r-12r)
1520, marzo: première fiorentina della Mandragola; il card. Giulio de’ Medici riceve M. grazie a Lorenzo
Strozzi
Leone X vuole vedere rappresentata la Mandragola a Roma subito dopo la ‘prima’ fiorentina. La copia ms. (BNCFi, Redi, 129) reca
la data 1519; la princeps, intitolata Comedia di Callimaco e di Lucrezia, ha il centauro Chirone in frontespizio ed è absque notis; la
seconda edizione (forse Venezia, Bindoni) è del 1522
1520, luglio-settembre: Sommario delle cose di Lucca; Vita di Castruccio Castracani
In missione semiufficiale a Lucca per tutelare interessi fiorentini minacciati dal fallimento di un Michele Guinigi, compone il
Sommario, che riflette sull’ordinamento politico di quella Repubblica. La Vita di Castruccio è dedicata a Luigi di Piero Alamanni e
Zanobi Buondelmonti
1520, novembre: M. incaricato («condotto») dallo Studio di Pisa di scrivere una storia di Firenze
Oltre alla stesura degli annali fiorentini, la “condotta” prevede, a fronte di un magro compenso, il disbrigo di altre incombenze
politico-letterarie («ad componendum annalia et cronicas florentinas et alia faciendum»), fra cui il parere costituzionale Discursus
Florentinarum rerum post mortem iunioris Laurentii Medices (nov. 1520 - genn. 1521), che sostiene la restaurazione di un regime
repubblicano basato su quel Consiglio Maggiore che i Medici avevano soppresso nel 1512
1521, maggio: missione a Carpi
A Carpi, inviato dagli Otto di pratica presso il capitolo generale dei frati minori, con la richiesta (accolta due anni più tardi) di
costituire un’autonoma provincia francescana fiorentina e di ottenere, su istanza dei consoli dell’Arte della Lana, uno di quei frati
come predicatore in Firenze. Approfondisce in quell’occasione l’amicizia con Francesco Guicciardini, allora governatore di Modena
e Reggio per incarico di Leone X. Da lettera di Guicciardini a M. del 17 maggio 1521: «Machiavello carissimo. Buon giudizio certo
è stato quello de’ nostri honorandi consoli dell’Arte della Lana, havere commesso a voi la cura di eleggere un predicatore, non
altrimenti che se a Pacchierotto mentre viveva, fosse stato dato il carico, o a ser Sano [ scil. due noti fiorentini alieni da compagnie
femminili] di trovare una bella e galante moglie a un amico. Credo gli servirete secondo l’expettazione che si ha di voi; e secondo
che ricerca l’honore vostro, quali si oscurerebbe se in questa età vi dessi all’anima [scil. alla religione], perché havendo sempre
vivuto con contraria professione, sarebbe attribuito piuttosto al rimbambito che al buono». Gli scrive M. da Carpi lo stesso giorno:
«Io ero in sul cesso quando arrivò il vostro messo, ed appunto pensavo alle stravaganze di questo mondo, e tutto ero volto a figurarmi
un predicatore a mio modo per Firenze, e fosse tale quale piacesse a me. […] Eglino [scil. i Fiorentini] vorrìeno un predicatore che
insegnassi loro la via del Paradiso, ed io vorrei trovarne uno che insegnassi lor la via di andare a casa il diavolo; vorrebbono appresso
che fusse huomo prudente, intiero e reale, ed io ne vorrei trovare uno più pazzo che il Ponzo, più versuto che fra Girolamo, più
ippocrito che frate Alberto, perché mi parrebbe una bella cosa, e degna della bontà di questi tempi, che tutto quello che noi habbiamo
sperimentato in molti frati, si esperimentasse in uno, perché io credo che questo sarebbe il vero modo ad andare in Paradiso, imparare
la via dell’Inferno per fuggirla». Gli risponde Guicciardini: «Quando io leggo i vostri titoli di oratore di Repubblica e di frati e
considero con quanti re, duchi e principi voi havete altre volte negociato, mi ricordo di Lysandro, a cui doppo tante victorie e trophei
fu dato la cura di distribuire la carne a quelli medesimi soldati a chi sì gloriosamente haveva comandato; e dico: “Vedi che, mutati
solum e visi delli huomini ed i colori extrinseci, le cose medesime tucte ritornano; né vediamo accidente alcuno che a altri tempi non
sia stato veduto. Ma el mutare nomi e figura alle cose fa che soli e prudenti le riconoschono: e però è buona ed utile la hystoria
perché ti mette innanzi e ti fa riconoscere e rivedere quello che mai non havevi conosciuto né veduto”»
1521: ripresa della guerra tra Impero (alleati: Inghilterra, Chiesa) e Francia (alleati: Venezia, Svizzeri)
1521, agosto: stampa dell’Arte della guerra (Firenze, Giunti)
1521, novembre: gli imperiali occupano Milano e vi insediano Francesco II Sforza
1521, dicembre: muore Leone X
1522, gennaio-1523, settembre: papa Adriano VI Florenszoon Boeyens d’Edel
1522, maggio-giugno: scoperta e repressione di una congiura antimedicea
Ordita da Zanobi Buondelmonti e Luigi di Piero Alamanni, che si danno alla fuga; Luigi di Tommaso Alamanni e Iacopo Cattani da
Diacceto finiscono sul patibolo
1523, marzo: Agostino Nifo, De regnandi peritia
Il filosofo e amico dei Medici Agostino Nifo (1469/1470-1538) pubblica a Napoli questo trattatello in latino, che è per larga parte un
rifacimento «more nostro peripatetico» dell’allora ancora inedito Principe di M., ricomposto sul modello della Politica aristotelica e
purgato dall’irriverenza verso la religione. In cauda, un ritratto del buon principe cristiano, antìteto del tiranno
1523, novembre: il card. Giulio de’ Medici è eletto papa (Clemente VII)
1524, autunno: Discorso o Dialogo sulla lingua italiana
Sulla «lingua fiorentina» di Dante, M. vi sostiene la tesi di Ludovico Martelli del primato del fiorentino, in polemica con la tesi
‘italiana’ di Giovan Giorgio Trissino. Ma la paternità di M. è dibattuta
1525, gennaio: prima rappresentazione della Clizia
In casa del ricco fornaciaio Iacopo Falconetti. Basandosi sulla Casina di Plauto, M. vi ironizza il proprio innamoramento senile per la
cantante Barbara Salutati, per la quale scrisse almeno due madrigali
1525, febbraio: sconfitta francese di Pavia; Francesco I prigioniero degli Imperiali
1525, maggio-giugno: M. presenta a Clemente VII gli 8 libri delle Istorie fiorentine
Dalla fondazione della città al 1492, M. ripensa la storia di Firenze, straziata dalla partigianeria, a contrasto con quella di Roma
antica, dove la disunione di plebe e Senato, saggiamente istituzionalizzata, rese libera e potente la Repubblica
1525, giugno-luglio: è in Romagna, presso Guicciardini, dove cerca invano di organizzare una nuova
Ordinanza
1525, agosto: a Venezia, per conto dell’Arte della Lana
1526, marzo: liberazione di Francesco I
Che però viola i patti, promuovendo una lega antimperiale col Papa e Firenze (Lega di Cognac)
1526, aprile: a Roma, per presentare la Relazione di una visita fatta per fortificare Firenze
È incaricato di seguire i progetti dell’ingegnere Pietro Navarra per migliorare la fortificazione di Firenze
1526, maggio: M. provveditore e cancelliere dei Procuratori alle mura; Lega di Cognac (Francia, Roma,
Venezia, Milano, Firenze…) contro Carlo V
Chiede a Guicciardini di influire su Clemente VII per indurlo a prender parte alla guerra contro Carlo V: «Io ho inteso i romori di
Lonbardia [scil. i tumulti del popolo milanese contro gli occupanti imperiali], et conoscesi da ogni parte la facilità che sarebbe trarre
quelli ribaldi di quel paese. Questa occasione per l’amor di Iddio non si perda, et ricordatevi che la fortuna, i cattivi nostri consigli et
peggiori ministri harìeno condotto non il re [di Francia], ma il papa in prigione: hannonelo tratto i cattivi consigli di altri et la
medesima fortuna. Provvedete, per l’amor di Iddio, hora in modo che S. S. tà ne’ medesimi pericoli non ritorni, di che voi non sarete
mai sicuri, sino a tanto che gli Spagnuoli non siano in modo tratti di Lonbardia, che non vi possino tornare. […] Voi sapete quante
occasioni si sono perdute: non perdete questa né confidate più nello starvi [scil. nello star fermi], rimettendovi alla Fortuna et al
tempo, perché con il tempo non vengono sempre quelle medesime cose, né la Fortuna è sempre quella medesima. […] Liberate
diuturna cura Italiam, extirpate has immanes belluas, quae hominis, preter faciem et vocem, nichil habent [cfr. Livio 39, 51:
«Liberemus… diuturna cura populum Romanum»]»
1526, luglio-dicembre: missioni di M. presso Guicciardini al campo della Lega; Milano si arrende agli
Imperiali
Il tentativo di migliorare l’efficienza delle truppe medicee fallisce ancora. Guicciardini scrive a Roberto Acciaiuoli il 18 luglio: «El
Machiavello si truova qua. Era venuto per riordinare questa milizia, ma, veduto quanto è corrotta, non confida averne onore. Starassi
a ridere degli errori degli uomini, poi che non gli può correggere». Nel settembre M. partecipa anche all’assedio di Cremona: vittoria
della Lega vanificata dall’aggressione dei Colonnesi ai palazzi pontifici e dalla conseguente tregua firmata dal Papa
1526, novembre: calata dei Lanzi luterani; morte di Giovanni de’ Medici delle Bande Nere
M. scrive a Bartolomeo Cavalcanti, post 6 ottobre: «I lanzichenecchi imperiali di Georg von Frundsberg entrarono in Italia all’inizio
di novembre; il 25 si scontrarono con le “bande nere” di Giovanni de’ Medici, che restò ferito a morte». Nel novembre M. è a
Modena presso Guicciardini: constatata l’impossibilità di qualsiasi trattativa diretta con i lanzi, rientra a Firenze
1527, febbraio-aprile: missioni di M. al campo della Lega
Lasciata la cancelleria dei Procuratori alle mura al figlio Bernardo, M. è ancora accanto a Guicciardini nel tentare di organizzare le
forze della Lega a Parma, Bologna, Forlì, ma invano: gli alleati sono indecisi e il Papa spera in un accordo col nemico. Si tratta di
difendere Roma dall’attacco dei lanzi, passati sotto il comando del transfuga Charles de Bourbon. Con le truppe pontificie residue
Guicciardini muove verso il Lazio, preceduto di qualche giorno da M., incaricato di provvedere agli alloggiamenti. Ma i lanzi sono
più veloci
1527, maggio: sacco di Roma; espulsione dei Medici da Firenze
M. è raggiunto dalla notizia a Bracciano o a Civitavecchia. Accorre a Firenze, dove è restaurata la Repubblica, ma l’incarico di
segretario dei Dieci, anziché essergli riassegnato, resta al mediceo Francesco Tarugi: a M. viene dato solo il piccolo incarico di
sorvegliare il riattamento di un tratto delle mura cittadine
1527, giugno: M. muore
Minato nel fisico dagli affanni e dagli strapazzi dei due anni precedenti, si spegne il 21, alla presenza di pochi amici (Buondelmonti,
Alamanni, Strozzi, Nardi), ed è sepolto l’indomani in Santa Croce. Così il figlio Piero ne comunica la morte a Francesco Nelli (ma la
lettera è forse un falso): «Non posso far di meno di piangere in dovervi dire come è morto il dì 22 di questo mese Niccolò nostro
padre di dolori di ventre, cagionati da uno medicamento preso il dì 20. Lasciossi confessare le sue peccata da frate Matteo, che gl’à
tenuto compagnia fino a morte. Il padre nostro ci à lasciato in somma povertà, come sapete»

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