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Chiara Scionti

ODDO, NICCOLÒ E CARLO FORTEBRACCI

Alla sua morte nel giugno 1424, Andrea, detto Braccio, da Montone lasciava un figlio legittimo,
Carlo (1421-1479), ancora bambino, uno illegittimo, Oddo (1410-1425), e il nipote, Niccolò (†
1435).
Oddo era nato a Città di Castello il 15 febbraio 1410, e venne tenuto a battesimo dal Comune per
mezzo di quattro sindaci eletti il 17 dello stesso mese, ad divinam parentelam contrahendam cum
strenuo capitaneo. Assieme al padre Braccio e allo zio Giovanni è il destinatario del breve
pontificio con cui Giovanni XXIII conferiva la signoria di Montone ai Fortebracci (28 agosto 1414).
Nel marzo 1418 furono celebrati i suoi sponsalia de futuro con Elisabetta, figlia di Niccolò Trinci
signore di Foligno: “fu allora che Trevi passò dalla soggezione di Braccio a quella del Signor di
Foligno” (Fabretti, Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, 1842, I, p. 283). Nel 1423 il padre
gli affidò il controllo di Perugia, da cui Oddo si allontanò nella primavera del 1424 per sfuggire alla
peste, stabilendosi a Spello. In maggio represse una sollevazione a Città di Castello inviando 50
perugini e una simile sortita dei fuorusciti di Perugia, Spello e Spoleto contro Cesi, mandandone a
morte i capi. Quando si diffuse la notizia della morte di Braccio all’Aquila (5 giugno 1424), Oddo
tornò rapidamente a Perugia: lì convocò nel suo palazzo un consiglio che gli affidò la reggenza
della città a nome del fratellastro Carlo, ancora bambino, con l’assistenza di dieci esponenti delle
maggiori famiglie. Mentre nel frattempo il dominio dei bracceschi si sfaldava rapidamente, con la
perdita di Todi, San Gemini, Città della Pieve e altri centri, a Perugia l’azione congiunta di Martino
V, che prometteva toni concilianti se la città fosse tornata sotto il dominio della Chiesa, e di
Malatesta Baglioni spinse Oddo a rifugiarsi a Montone, lasciando il governo di Perugia ai Priori (1º
luglio), che prontamente sottoscrissero un accordo col papa. Machiavelli ricorda brevemente Oddo
Fortebracci nel libro IV delle Istorie fiorentine, poiché i fiorentini lo assoldarono nella guerra contro
Filippo Maria Visconti, ma “gli dierono per governatore Niccolò Piccinino, allievo di Braccio e più
reputato che alcuno altro che sotto le insegne di quello avesse militato”; i due si spinsero fino alla
Valle del Lamone, presso Faenza, ma “perché quella valle è fortissima e i valligiani armigeri, vi fu il
conte Oddo morto, e Niccolò Piccinino ne andò prigione a Faenza” (1º febbraio 1425): vi furono
anche sospetti che il Piccinino avesse in qualche modo concordato l’agguato a Oddo per rimanere
solo al comando delle armate braccesche. Il corpo di Oddo venne trasportato a Montone, dove fu
sepolto. Il suo fratellastro, Carlo, unico figlio legittimo di Braccio, aveva appena quattro anni e,
quando anche la madre del bambino morì nel 1428, passò allora sotto la tutela del cugino Niccolò.
Niccolò era figlio di una sorella di Braccio, di nome Stella (pertanto è noto anche come Niccolò
della Stella), e di uno speziale di Sant’Angelo in Vado. Machiavelli, nelle Istorie fiorentine, libro V,
lo cita, assieme a Niccolò Piccinino, a capo della fazione braccesca, una delle due “sette di armi”,
assieme a quella sforzesca, cui “quasi tutte le altre armi italiane si accostavano”: sembra in effetti
che il Piccinino, forte di un grande prestigio personale, rivestisse un ruolo superiore, ma che i
rapporti fra i due ambiziosi uomini d’arme fossero comunque buoni. Al soldo della Repubblica
fiorentina, il Fortebracci conquistò nel 1429 Volterra e fu strumentale, nello stesso anno, allo
scoppio della guerra contro Lucca: sempre Machiavelli scrive infatti che “fu opinione, nel tempo
che messer Rinaldo [degli Albizzi] travagliò seco quella guerra, lo persuadesse a volere, sotto
qualche fitta querela, assaltare i Lucchesi, mostrandogli che, se e’ lo faceva, opererebbe in modo, a
Firenze, che la impresa contro a Lucca si farebbe, ed egli ne sarebbe fatto capo”. L’arrivo nel campo
nemico di Niccolò Piccinino determinò però la sconfitta di Firenze, e il Piccinino agì anche su
Niccolò Fortebracci, urtato per essere stato posposto a Guidantonio da Montefeltro al comando
dell’impresa, spingendolo a terminare la condotta con Firenze. Nel 1431 quindi il Fortebracci
rivolse le sue mire verso l’Umbria, muovendo contro Città di Castello, nonostante un’ambasciata da
Perugia tentasse di dissuaderlo, e Gubbio, occupate da Guidantonio da Montefeltro: Eugenio IV
riuscì a distoglierlo solo temporaneamente, nominandolo capitano di S. Chiesa e inviandolo,
nell’ambito della sua guerra contro i Colonna, a riconquistare Vetralla. La tregua col papa (grazie
alla quale Niccolò riuscì finalmente a ottenere, otto anni dopo la morte dello zio Braccio, che le
ossa del condottiero, che Martino V aveva ordinato fosse sepolto “in Roma, fuori della porta di S.
Lorenzo e in luogo profano”, fossero trasportate a Perugia) durò poco, perché, reclamando il
pagamento delle sue truppe, Niccolò tornò a dirigersi contro Città di Castello, ottenendo dapprima,
con bolla del 10 settembre 1432, il vicariato di Borgo S. Sepolcro, e quindi nell’aprile 1433
entrando trionfalmente in Città di Castello e assicurandosi anche la signoria di Assisi. Sempre in
quell’anno contrasse matrimonio con Ludovica, figlia del conte di Poppi, Francesco Guidi, al quale
Machiavelli riporta che affidò il comando di Borgo S. Sepolcro, riconquistata poi dal papa solo
grazie all’intervento di Firenze (Istorie fiorentine, libro V). Alleatosi coi Colonna, Niccolò occupò
Sangemini e Amelia, da dove partì per un attacco diretto contro Roma: fuggito Eugenio IV a
Firenze, la popolazione romana lo nominò gran gonfaloniere. Sconfitto poi da Giovanni Vitelleschi,
fu costretto a giungere a una pace col papa. Trovò infine la morte il 23 agosto 1435, mentre
assaltava Camerino, del conte Francesco Sforza. Significativo l’epitaffio che gli dedica il cronista
Niccolò della Tuccia di Viterbo: “Era stato detto Nicolò grand’omicidiale e aveva fatti guastare
molti omini, e quante terre li venivano alle mani, tutte le lassava disfatte”.
Morto Niccolò, le sorti dei bracceschi passarono dunque definitivamente nelle mani dell’erede
legittimo, Carlo. Nato a Perugia il 1º settembre 1421 da Braccio e dalla moglie Nicola da Varano
(alla sua nascita, come scrive lo storico secentesco Pellini, “furono fatte in Perugia per due giorni
pubbliche feste”: Pellini, Dell’historia di Perugia, II, p. 257), e già nel 1423 promesso con
sponsalia de futuro ad Anna Colonna, immediatamente dopo l’improvvisa morte del padre e la
perdita di Perugia si rifugiò con la madre a Città di Castello. Scomunicata da papa Martino V,
Nicola venne cacciata dalla popolazione e dovette riparare col bambino a Camerino, dove morì nel
1428. Anche Carlo intraprese la carriera delle armi; scampato alla battaglia in cui morì il cugino
Niccolò, Carlo si legò quindi a Niccolò Piccinino e ai suoi figli Francesco e Jacopo: partecipò con
loro alla celebre battaglia di Anghiari (30 giugno 1440), che si risolse in una pesante sconfitta per le
armate del Piccinino, e, nel novembre 1442, ebbe un ruolo importante nella presa di Assisi per
conto di Perugia. Dopo la morte del Piccinino (ottobre 1444), nel 1445 entrò al servizio di
Sigismondo Malatesta (di cui aveva sposato in seconde nozze la figlia, Margherita) e dalla base di
Montone compì varie scorrerie nei territori umbri, in particolare contro Gubbio occupata dai
Montefeltro. Nel 1447 passò al servizio di Venezia, senza però perdere i contatti con la città natale:
d’altra parte, a Perugia da tempo i nostalgici del dominio braccesco guardavano a lui con favore e
speranza, e per tutta la sua vita Carlo poté contare su un trattamento di riguardo da parte dei
perugini, che non gli negarono donativi, prestiti, contribuzioni, come risulta dalla lettura dei registri
di Consigli e riformanze dei Priori; Pio II, con breve del 3 aprile 1462, si lamentava con i priori del
fatto che “alcuni Perugini avevano tenuto commercio per lettera col conte Carlo Fortebracci, le
quali benché si possa supporre che nulla contenessero di male, tuttavia siccome quello era genero di
Sigismondo [Malatesta] nemico della Chiesa, poteva temersi di una tale corrispondenza, la quale
per più motivi poteva sempre cagionare varie novità” (secondo il regesto dell’erudito settecentesco
G. Belforti). Nel 1476, dunque, Carlo “deliberò vedere se, con il nome suo e riputazione del padre,
ritornare negli stati suoi di Perugia poteva. […] Venne per tanto Carlo in Toscana; e trovando le
cose di Perugia difficili, per essere in lega con i Fiorentini, e volendo che questa sua mossa
partorisse qualche cosa degna di memoria, assaltò i Sanesi, allegando essere quelli debitori suoi per
servizi avuti da suo padre nelli affari di quella repubblica, e per ciò volerne essere sodisfatto, e con
tanta furia gli assaltò, che quasi tutto il dominio loro mandò sottosopra” (Machiavelli, Istorie
fiorentine, libro VII). Nel 1478 Venezia lo richiamò al proprio servizio per presidiare i confini
orientali dello Stato, minacciati dall’avanzata turca: Carlo sconfisse la cavalleria nemica a Cividale
del Friuli nell’agosto 1478. Nell’aprile 1479 la Repubblica di Firenze chiese di potersi avvalere del
condottiero contro il papa, nella guerra scoppiata a seguito della congiura dei Pazzi: Carlo, assieme
a Deifobo Piccinino, figlio di Jacopo, ottenne un’importante vittoria presso Pisa contro Roberto da
Sanseverino. “Ma – riferisce sempre Machiavelli (Ist. fior., libro VIII) – sendo in quello esercito,
per la venuta del conte Carlo, Sforzeschi e Bracceschi, subito si risentirono le antiche nimicizie
loro; e si credeva, quando avessero ad essere lungamente insieme, che fussero venuti alle armi.
Tanto che, per minore male, si deliberò di dividere le genti, e una parte di quelle, sotto il conte
Carlo, mandare nel Perugino”. Questo trasferimento rialimentò le speranze di Carlo di riconquistare
la città un tempo governata dal padre: nonostante la perdita, nel 1477, del feudo di famiglia di
Montone, assieme al figlio Bernardino si spinse fino alle mura di Perugia, assaltando Porta S.
Angelo. Ma la sollevazione dei partigiani bracceschi non ci fu: Carlo, ritiratosi, già malato, a
Cortona, vi morì il 17 giugno 1479.
BERNARDINO FORTEBRACCI (ca. 1441-1532)

Figlio di Carlo Fortebracci (e presumibilmente della sua prima moglie, Anna Colonna), nacque nel
1441 circa, a Montone o a Perugia. Abbracciò la carriera delle armi e militò, come il padre, al soldo
della Repubblica di Venezia. Fabretti (Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, 1842, III, p.
30) lo ricorda già nel 1463 all’assedio di Trieste, nella guerra fra questa e Venezia. Nell’estate del
1477, mentre il padre era impegnato in Toscana, Bernardino si occupò della difesa del castello avìto
di Montone, assediato da Federico da Montefeltro al servizio di papa Sisto IV, e con l’appoggio
della città di Perugia. Nonostante la resistenza, Bernardino, assieme a Margherita Malatesta,
seconda moglie di Carlo, consegnò infine il castello alle truppe del papa il 27 settembre 1477: gli
occupanti vi distruggevano il palazzo di Braccio che, secondo Bonazzi (Storia della città di
Perugia dalle origini al 1860, 1959, I, p. 546), “era uno de’ più belli d’Italia”. Finiva dunque il
dominio dei Fortebracci su Montone, che divenne immediatamente soggetta alla Chiesa e poi feudo
della famiglia Vitelli fino al 1646.
L’estremo tentativo dei discendenti di Braccio di restaurare il proprio dominio in Umbria avvenne
nel 1479, quando Carlo, e con lui il figlio Bernardino al comando di tre squadre, mossisi dal Veneto
verso Firenze per combattere nella lega antipontificia, ne approfittarono per spingersi contro
Perugia, assaltando Porta S. Angelo. Ma di lì a poco Carlo morì (17 giugno 1479): nei mesi
successivi, Bernardino e Roberto Malatesta, suo zio, proseguirono nelle loro devastanti scorribande
nei territori umbri, saccheggiando Passignano, Preggio, Vernazzano, Fontignano, San Feliciano, il
castello di Zocco, Migianella dei Marchesi, Solfagnano, Monte Colognola, Montegualandro, fino ad
assediare Castiglion del Lago, ma la pace tra Firenze e Sisto IV (13 marzo 1480) segnò il definitivo
tramonto delle speranze dei discendenti di Braccio di costituire una propria signoria in Umbria.
Dopo la morte di Carlo, il Senato veneziano riconobbe Bernardino quale capo della fazione
braccesca; anche i suoi due fratelli minori, Braccioforte e Francesco, vennero inquadrati nei ranghi
della Repubblica veneta.
Iniziò dunque un rapporto insolitamente, per l’epoca, lungo e privo di frizioni fra la Repubblica e
Bernardino (secondo Fabretti, III, p. 51, egli fu “sommamente caro ai Veneziani”, ed espressioni di
estrema fedeltà da parte di Bernardino si ritrovano nella sua lettera del 20 luglio 1495 indirizzata
alla signoria, riportata in Bonazzi, II, pp. 546-547), che conobbe il suo punto più alto per il
condottiero nella battaglia di Fornovo contro l’esercito di Carlo VIII (6 luglio 1495), in cui
Bernardino riuscì a tenere il tentativo di sfondamento dei francesi in direzione del campo
veneziano, pur riportando gravi ferite.
Sebbene il Senato veneziano non gli affidasse mai compiti prettamente politici, preferendogli
sempre altri condottieri quali Giovanni Francesco Sanseverino o, in seguito, Giampaolo Baglioni,
non mancò di dimostrargli particolare favore con sovvenzioni, donativi e condotte, anche dopo la
sconfitta nella battaglia di Agnadello (14 maggio 1509) contro l’esercito di Luigi XII di Francia, che
significò per Venezia la perdita di gran parte dei domini della terraferma, in cui Bernardino rimase
coinvolto nel disastro collettivo.
Nel 1511 il Senato veneziano affidò il comando generale dell’esercito al perugino Giampaolo
Baglioni: nonostante l’inimicizia tra i Fortebracci e i Baglioni, Bernardino gli prestò obbedienza e
non partecipò alla congiura ordita da altri condottieri dell’esercito veneziano, contrari alla venuta
del nuovo comandante.
Negli ultimi anni della sua vita Bernardino si ritirò a Padova, dove morì il 21 maggio 1532:
sopravvisse ai suoi due figli, Carlo e Oddo, entrambi impegnati nel mestiere delle armi ed entrambi
morti in battaglia (Carlo nel 1513 e Oddo nel 1529). La discendenza dei Fortebracci proseguì con
Braccioforte (fratellastro di Bernardino), come riferito da Gio. Vincenzo Giobbi Fortebracci nella
sua Lettera istorico-genealogica della famiglia Fortebracci da Montone (Bologna, 1689).
FONTI E BIBLIOGRAFIA

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