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Cosimo de' Medici

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Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Cosimo de' Medici (disambigua).
Cosimo di Giovanni de' Medici, detto il Vecchio o Pater Cosimo de' Medici
Patriae (Firenze, 27 settembre 1389 – Careggi, 1º agosto
1464) è stato un politico e banchiere italiano, primo signore
de facto di Firenze e primo uomo di Stato di rilievo della
famiglia Medici. Pur non avendo mai ricoperto alcuna
carica di rilievo nella città (che si mantenne sempre
istituzionalmente una Repubblica), egli si poté considerare
il massimo uomo di Firenze all'indomani della morte del
padre Giovanni (dal quale raccolse l'eredità economica), e
in particolare con il ritorno glorioso dall'esilio nel 1434.

Grazie alla sua politica moderata, egli riuscì a conservare il


potere per oltre trent'anni fino alla morte, gestendo lo Stato
in modo silenzioso attraverso suoi uomini di fiducia e
permettendo, in questo modo, il consolidamento della sua
famiglia al governo di Firenze. Abile diplomatico, riuscì a
capovolgere le alleanze politiche italiane all'indomani della Pontormo, Ritratto di Cosimo il Vecchio,
morte di Filippo Maria Visconti, facendo alleare Firenze olio su tavola, 1519/1520 circa, Uffizi
con l'antica rivale Milano (guidata ora dall'amico Francesco
Sforza) contro la Repubblica di Venezia, risolvendo le Note allo stemma araldico qui di
guerre decennali italiane con la stipulazione della Pace di seguito:[1][2]
Lodi del 1454. Signore di Firenze
(de facto)
Amante delle arti, Cosimo investì gran parte del suo
enorme patrimonio privato (dovuto all'oculatissima gestione
del Banco di famiglia) per abbellire e rendere gloriosa la
sua città natale, chiamando artisti e costruendo edifici
pubblici e religiosi. Appassionato della cultura umanistica,
fondò l'Accademia neoplatonica e favorì l'indirizzo
speculativo dell'umanesimo fiorentino del secondo In carica 6 ottobre 1434 –
Quattrocento. Per i suoi meriti civili, all'indomani della sua 1º agosto 1464
morte la Signoria lo proclamò Pater Patriae, cioè «Padre Successore Piero il Gottoso
della Patria». La fama di Cosimo continuò a essere
Gonfaloniere di Giustizia
generalmente positiva nel corso dei secoli (eccetto Simondo
Sismondi che vedeva in Cosimo il tiranno, soppressore In carica gennaio 1435 –
delle antiche libertà repubblicane), in quanto la sua febbraio 1435 (I)
gennaio 1439 –
febbraio 1439 (II)
amministrazione della Repubblica gettò le basi per il Priore dell'Arte del Cambio
periodo aureo che toccò il culmine sotto il governo del
In carica 1415 –
nipote, Lorenzo il Magnifico.
1415

Nome Cosimo di Giovanni de'


completo Medici, detto il Vecchio
Indice
Altri titoli Pater Patriae[3]
Biografia
Origini familiari e formazione (1389-1410) Nascita Firenze, 27 settembre
Giovanni de' Medici e la Curia Pontificia 1389
(1410-1420)
Morte Villa medicea di
Concilio di Costanza
Careggi, 1º agosto
Banchieri di Martino V
1464 (74 anni)
Nascita del partito mediceo e fortuna del
Banco Medici Luogo di Cappelle medicee,
Esilio da Firenze sepoltura Firenze
Ritorno e trionfo politico Dinastia Medici
Signoria de facto (1434-1464)
Padre Giovanni di Bicci de'
Criptosignoria medicea
Medici
Riforme istituzionali e basi del sostegno
mediceo Madre Piccarda Bueri
Politica estera
Consorte Contessina de' Bardi
1434-1447: politica antiviscontea e
battaglia di Anghiari Figli Piero
1447-1464: rovesciamento delle Giovanni
alleanze e Pace di Lodi Carlo (illegittimo)
Concilio di Firenze
Religione Cattolicesimo
Ultimi anni
Anni '50
Lutti familiari e morte
Funerali e Cosimo Pater Patriae
Politica culturale
Premesse
Opere pubbliche
Convento di San Marco
Basilica di San Lorenzo
Badia Fiesolana
Fondazione della Biblioteca Laurenziana
Mecenatismo privato
Palazzo di Via Larga e Cappella dei Magi
Ville medicee
Umanesimo mediceo
Premesse
Umanesimo elitario
Neoplatonismo fiorentino
Attività bancaria
Giudizio storiografico
Giudizi di Guicciardini e di Machiavelli
Storiografia moderna e contemporanea
Personalità
Uomo politico
Vita privata
Discendenza
Ascendenza
Cultura di massa
Note
Esplicative
Bibliografiche
Bibliografia
Romanzi
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Biografia

Origini familiari e formazione (1389-1410)


Figlio di Giovanni di Bicci e di Piccarda Bueri[4], Cosimo fu educato presso il circolo umanista del
monastero dei Camaldolesi dove, sotto la guida di Roberto de' Rossi[5], apprese il latino, il greco, l'arabo e
nozioni teologico-filosofiche, oltreché artistiche[6]. Sensibile alla nuova cultura, Giovanni permise inoltre
che il figlio continuasse a frequentare i circoli umanistici anche dopo la fine del ciclo di studi, entrando in
confidenza con Poggio Bracciolini, Carlo Marsuppini e Ambrogio Traversari[7]. Oltre alla formazione
umanistica, Cosimo ricevette, secondo la tradizione familiare, nozioni di mercatura e finanza dal padre
Giovanni che, nel corso della sua vita, era riuscito a diventare il finanziatore della Chiesa Romana e a creare
un'immensa fortuna economica, rinforzando di conseguenza la posizione dei Medici a Firenze[8].

Giovanni de' Medici e la Curia Pontificia (1410-1420)


Lo stesso argomento in dettaglio: Giovanni di Bicci de' Medici.

Concilio di Costanza
Nel 1414 Cosimo, che sarebbe stato nominato priore di Firenze l'anno seguente[9], accompagnò l'antipapa
Giovanni XXIII (al secolo Baldassarre Cossa, esponente della fazione "pisana" durante il Grande scisma
d'Occidente) al Concilio di Costanza. Probabilmente Cosimo si trovò in compagnia degli umanisti Poggio
Bracciolini e Leonardo Bruni[10], all'epoca al servizio di Giovanni presso la curia pontificia[11]. Nel marzo
1415, dopo che Giovanni XXIII cadde in disgrazia e fu imprigionato a Heidelberg, Cosimo si allontanò da
Costanza, viaggiando prima in Germania e Francia e ritornando a Firenze solo nel 1416[12], data in cui
sposò la giovane Contessina de' Bardi, rampolla di una delle famiglie più antiche e insigni di Firenze[13].
Nel 1417, dopo l'elezione di Martino V, un agente del padre di
Cosimo si occupò della liberazione del Cossa, pagandone il riscatto
di 30 000 fiorini[14] e ottenendone il rilascio l'anno dopo[15]. Con la
morte dell'antipapa, Cosimo e il padre furono nominati esecutori
delle volontà testamentarie, curando a Firenze la realizzazione del
sepolcro del papa deposto nel Battistero di San Giovanni, opera di
Donatello e Michelozzo[15].

Banchieri di Martino V
Nonostante l'amicizia che legava Giovanni con il Cossa, i Medici
non persero il favore del nuovo pontefice Martino V, il romano
Oddone Colonna eletto papa dal Concilio. Questi, per la
restaurazione del dominio temporale pontificio, aveva bisogno di un
grande prestito finanziario in quanto vi erano numerosi signorotti
Agnolo Bronzino, Giovanni di Bicci
che, approfittando della debolezza papale, si erano slegati dalla
de' Medici, pittura ad olio, 1559-1569
ca, Galleria degli Uffizi.
fedeltà al pontefice[16]. Pertanto si rivolse anche lui ai Medici, i cui
interessi economici a Roma si consolidarono notevolmente, con la
nomina nel 1420 di Bartolomeo de' Bardi, socio di Giovanni, quale
gestore degli affari e dei conti della Curia[4].

Nascita del partito mediceo e fortuna del Banco Medici


Nel 1420 Giovanni de' Medici si ritirò dalla vita economica attiva[17][N 1], lasciando in mano ai figli Lorenzo
e Cosimo la gestione del Banco Medici[4]. Il vero artefice dell'ulteriore espansione della rete finanziaria
medicea fu però Cosimo: questi aprì filiali a Bruges, Parigi, Londra e nel resto delle principali città
d'Europa, permettendo di acquisire un patrimonio talmente enorme da poter manipolare, nel silenzio, la vita
politica della sua città. Si manifestò, infatti, fin dai primi incarichi politici (missioni diplomatiche a Milano
nel 1420; Lucca nel 1423 e Bologna nel 1424[9]), quella proverbiale prudenza di Cosimo che troverà piena
realizzazione nel suo governo trentennale. Nonostante ciò, anche in questo decennio Cosimo mostrò
notevole tatto politico, cercando di non far pesare eccessivamente la sua ricchezza economica e
accontentandosi di poche cariche[N 2]. In questo periodo entrò a far parte dei Dieci di balia e degli Ufficiali
del banco, incaricati della gestione del finanziamento della guerra della Repubblica fiorentina contro la città
di Lucca tra il 1429 e il 1433[4][18].

Cosimo cominciò, quando era ancora in vita il padre, a fondare la propria influenza grazie a una costante
opera di egemonizzazione delle cariche pubbliche, attraverso il ricorso spregiudicato a pratiche clientelari e
corruzione; ma fu solo dopo la morte di Giovanni, nel 1429, che Cosimo si trovò a essere il capofamiglia e
il rappresentante degli interessi medicei in Firenze[19]. Grazie alla ricchezza e al suo prestigio come
mecenate Cosimo creò, attraverso anche matrimoni e alleanze di varia natura, un vero e proprio partito
politico in grado di formare un'alleanza contro lo strapotere della fazione degli oligarchi guidata dagli
Albizzi:

«Il nucleo del partito, o fazione, era formato dai membri dei vari rami della famiglia stessa che si
allineavano al seguito della superiore forza finanziaria ed esperienza politica della famiglia di
Giovanni. Esso era poi ampliato da una serie di ben architettati matrimoni che legavano i Medici a
famiglie inferiori come ricchezza, ma più ricche di prestigio: i Bardi, i Salviati, i Cavalcanti, i
Tornabuoni. Si era poi ulteriormente esteso con l'acquisto di
una cerchia di vari gruppi di "amici", i quali se non erano
influenti erano però numerosi, e identificavano i propri
interessi con quelli dei Medici in cambio della loro
protezione.»

(Hale, p. 20)
Difatti, allearsi con alcune famiglie patrizie (si ricordi il matrimonio
del fratello Lorenzo con Ginevra Cavalcanti, quello di Cosimo Sandro Botticelli
stesso con Contessina de' Bardi e poi, dei suoi figli Piero con Adorazione dei Magi, 1475 ca,
Lucrezia Tornabuoni da un lato, e di Giovanni con Ginevra degli Galleria degli Uffizi, Firenze
Alessandri dall'altro[20]) era necessario perché i Medici, visti come Cosimo de' Medici è il personaggio
parvenu dall'aristocrazia fiorentina, avessero quel prestigio posto al centro della scena, nell'atto
necessario volto alla conquista del potere. di offrire i doni a Gesù bambino.

Esilio da Firenze
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Firenze § Tumulto dei Ciompi e Storia di Firenze §
L'ascesa degli Albizi.

I nemici di Cosimo, come accennato prima, erano le antiche


famiglie magnatizie degli Albizzi e degli Strozzi, a capo della
politica fiorentina da oltre cinquant'anni. Queste erano riuscite
infatti a prendere il potere a Firenze dal 1382, con la fine
dell'esperimento del governo del popolo minuto insediatosi in
seguito alla Rivolta dei Ciompi. Tra il 1382 e il 1417, le famiglie
aristocratiche furono guidate con autorità da Maso degli Albizzi, il
quale rafforzò la sua dittatura interna con la conquista di Pisa del
1406 e la vittoria sulle truppe di Giangaleazzo Visconti. Il prestigio
in politica estera acquisito da Maso degli Albizzi cominciò a
scemare col figlio Rinaldo, che condivise il potere con altri due
grandi magnati: Niccolò da Uzzano e Palla Strozzi[22]. Difatti, le
interminabili guerre contro Filippo Maria Visconti duca di Milano
Donatello non facevano che dissanguare Firenze di denaro e di uomini,
Niccolò da Uzzano, calco rendendo debole la posizione dei magnati e facilitando l'ascesa dei
dall'originale nel Museo nazionale del
Medici e dei loro alleati[23]. All'alba del 1430, Rinaldo e Palla
Bargello, Firenze
Strozzi si accorsero della grave minaccia che costituiva Cosimo per
Alleato di Rinaldo degli Albizzi,
Niccolò fu anch'egli nemico di il loro dominio e cercarono di intervenire esiliando con qualche
Cosimo, senza però condividere pretesto il ricco banchiere, conati falliti a causa dell'opposizione
l'oltranzismo dell'alleato, che dell'Uzzano[24][25]. Quando però questi morì nel 1432, l'opposizione
desiderava mandarlo a morte o in all'arresto di Cosimo venne meno e l'Albizzi e lo Strozzi
[21]
esilio . procedettero all'incarcerazione presso il Palazzo dei Priori il 5
settembre 1433[4], incolpandolo di aspirare alla dittatura[26]. Lo
stesso Cosimo raccontò in modo più dettagliato i particolari della
sua cattura attraverso i Ricordi da lui scritti:
«Seguì che a dì 7, la mattina sotto colore di volere la detta pratica, [gli oligarchi] mandarono per
me, e giunto in Palazzo trovai la maggior parte de' compagni e stando a ragionare, dopo buono
spazio mi fu comandato per parte de' Signori, ch'io andassi su di sopra, e dal capitano de' fanti fui
messo in una camera, che si chiama la Barberia, e fui serrato dentro.»

(Hale, p. 22)
In questo frangente di pericolo per la famiglia Medici, si temette per la vita di Cosimo, tanto che il fratello
Lorenzo lo credette ucciso in occasione della cattura[4]. Incarcerato su ordine del gonfaloniere Bernardo
Guadagni, Cosimo si rifiutò di mangiare il cibo passatogli dagli aguzzini, in quanto temeva di essere
avvelenato. Riuscito a ottenere che gli fosse portato il cibo da casa, Cosimo riuscì poi a corrompere con una
grossa cifra di denaro il suo guardiano, Federico Malavolti, ottenendo di avere delle comunicazioni con
l'esterno e favorire una sollevazione filo-medicea presso la popolazione[27]. Il governo oligarchico guidato
da Rinaldo degli Albizzi, scisso da opinioni diverse e spinto dagli altri Stati italiani perché Cosimo non fosse
condannato a morte[N 3], decise di commutare la pena dalla carcerazione all'esilio[28]. Scrive il Machiavelli
nelle Istorie fiorentine:

«Rimasta Firenze vedova d'uno tanto cittadino e tanto universalmente amato, era ciascuno
sbigottito; e parimente quelli che avevano vinto e quelli che erano vinti temevano.»

(Machiavelli, p. 361)

Ritorno e trionfo politico


Cosimo si trasferì prima a Padova e poi a Venezia, dove si trovava
una importante filiale del Banco Mediceo[29]. Ivi trascorse un esilio
dorato come un monarca in visita ufficiale, e grazie alle sue potenti
amicizie e alle buone riserve di capitali, poté influenzare, seppur da
lontano, le decisioni della instabile Signoria oligarchica col fine di
preparare il suo rientro[30]. Approfittando della crisi del regime
oligarchico, la Repubblica decise, nell'agosto del 1434, di nominare
una balìa interamente filo-medicea che, poco dopo il suo
insediamento, lo richiamò a Firenze[4]. Paradossalmente il bando dei
Medici da Firenze finì per consolidare il potere di Cosimo:
l'influenza che Cosimo godeva sia presso le corti straniere, sia
all'interno della stessa Firenze a causa delle sue fitte reti clientelari,
non fece che indebolire progressivamente Rinaldo degli Albizzi e il
governo a lui fedele[31]. L'entrata trionfale di Cosimo il 6 di
ottobre[32], acclamato dal popolo, che preferiva i tolleranti Medici
agli oligarchici e aristocratici Albizzi, segnò il primo trionfo della
Cosimo il Vecchio sulla mula bruna,
Casata[33].
dettaglio degli affreschi di Benozzo
Gozzoli nella Cappella dei Magi,
Palazzo Medici Riccardi, Firenze (al
Signoria de facto (1434-1464)
suo fianco il figlio Piero il Gottoso)

Criptosignoria medicea
Dopo aver spedito gli avversari a loro volta in esilio[34], Cosimo si affermò come arbitro assoluto della
politica fiorentina, pur senza coprire direttamente cariche (fu solamente due volte gonfaloniere di
giustizia[35]). Attraverso il controllo delle elezioni, del sistema tributario e la creazione di nuove magistrature
(come il Consiglio dei Cento) assegnate a uomini di stretta fiducia, Cosimo pose le solide basi del potere
della famiglia dei Medici, rimanendo comunque formalmente rispettoso delle libertà repubblicane e
mantenendo sempre una vita appartata e modesta come se fosse un privato cittadino[36]. Molti storici lo
hanno definito un criptosignore[N 4], cioè un Signore che, benché non avesse alcun ruolo istituzionale, di
fatto controllava lo Stato attraverso i suoi esponenti, adottando in tal modo una politica non troppo dissimile
da quella di Augusto nella Repubblica romana[37]. Cosimo infatti teneva le redini dello stato dal suo Palazzo
in Via Larga, dove ormai si recavano gli ambasciatori in visita per trattare degli affari di stato, dopo un
fugace saluto di circostanza ai priori di Palazzo della Signoria, scelti fra i sostenitori dei Medici[38]. Nella
gestione del potere, Cosimo si comportò con generosità e moderazione ma, ravvisandone la necessità, seppe
anche essere spietato. Quando Bernardo d'Anghiari, accusato di un complotto fu, per ordine dei priori,
precipitato da una torre, Cosimo commentò: «Un nemico precipitato giù da una torre non giova a granché,
ma neppure può far male» e aggiungendo che «gli stati non si governano coi paternostri»[39][40].

Riforme istituzionali e basi del sostegno mediceo


Quando Cosimo rientrò a Firenze nel 1434 riuscì, grazie al potere
della balìa a lui completamente legata da vincoli economici, a
ottenere il controllo degli accoppiatori che, nel sistema delle elezioni
dei cittadini alle cariche repubblicane, erano deputati alla loro
Una lettera di Cosimo de’ Medici per estrazione e alla votazione da parte della Signoria[41]. La creazione
suo figlio Giovanni datata 24 giugno poi del Consiglio dei Cento, organo "mediatore" incaricato di
1442, codice autografo, Archivio di vagliare le leggi prima che passassero nel Consiglio del Popolo,
Stato di Firenze, V, 441.
determinò l'ulteriore rafforzamento del ruolo delle balìe filo-medicee
in quanto anche lui aveva il compito di nominare i cittadini a precise
[42]
cariche istituzionali . A incrementare ulteriormente la posizione di prestigio dei Medici, bisogna ricordare
anche la politica di promozione sociale di persone provenienti da ceti non abbienti[43] (politica che verrà
portata avanti anche sotto il figlio Piero e il nipote Lorenzo il Magnifico) e il mecenatismo nell'edilizia
pubblica (si ricordi, per esempio, il sostegno finanziario del Banco Mediceo per la costruzione della cupola
della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, opera del Brunelleschi).

Politica estera

1434-1447: politica antiviscontea e battaglia di Anghiari


In politica estera, Cosimo continuò la tradizionale politica d'alleanza con Venezia contro Milano, governata
dai Visconti. In quel momento era duca Filippo Maria Visconti (1414-1447) il quale, spinto sia dalle
ambizioni di ricostruire il vasto dominio del padre Gian Galeazzo, ma anche dalle insistenze degli esuli
fiorentini ostili a Cosimo, rinnovò la guerra contro Firenze. Il Duca, nel 1435, mandò l'esercito guidato da
Niccolò Piccinino in soccorso di Lucca, all'epoca nemica di Firenze. Firenze, estremamente debole dal
punto di vista militare, fu salvata grazie all'intervento di Francesco Sforza (all'epoca al soldo dei Veneziani,
coalizzati con Firenze contro Milano) nella battaglia di Barga (1437)[44]. Fu però nel 1440 che si giunse allo
scontro decisivo: l'esercito milanese, guidato sempre dal Piccinino, fu battuto nella Battaglia di Anghiari (29
giugno 1440) dall'esercito fiorentino guidato dal cugino di Cosimo, Bernadetto de' Medici, dal filo-mediceo
Neri di Gino Capponi e da Micheletto Attendolo[4]. I sette anni successivi videro un progressivo
avanzamento della lega veneto-fiorentina: l'indebolimento del
Visconti (favorito dall'atteggiamento caparbio di Piccinino) permise
a Venezia di assoggettare Ravenna (1441), mentre i Fiorentini
ottennero la dedizione della città di Sansepolcro, acquistata per
25 000 fiorini da papa Eugenio IV[45].

Dal punto di vista strettamente mediceo, estremamente importante


fu l'anno 1435, per il fatto che Cosimo ebbe l'opportunità di
conoscere personalmente Francesco Sforza, col quale strinse presto Giovan Battista Foggini, Sant'Andrea
legami amichevoli[46] che saranno fondamentali per la svolta delle Corsini guida i fiorentini nella
alleanze in seguito alla morte di Filippo Maria e alla conquista del battaglia di Anghiari, 1685-1687,
Cappella Corsini, Basilica di Santa
ducato da parte del capitano di ventura[47].
Maria del Carmine, Firenze. La
vittoria fiorentina fu decisiva nel
1447-1464: rovesciamento delle alleanze e Pace di Lodi fermare l'avanzata delle truppe
viscontee contro la città toscana.
Lo stesso argomento
in dettaglio: Pace di
Lodi.

Gli anni seguenti alla morte di Filippo Maria (1447-1450) furono


decisivi per l'ulteriore rafforzamento di Cosimo all'interno di
Firenze. Il Medici, infatti, da un lato entrò in rotta con Venezia per
questioni di carattere commerciale e finanziario[48] e, dall'altro,
aveva la necessità di un potente alleato che venisse in soccorso della
famiglia Medici qualora fosse stata in pericolo. Inoltre, Cosimo
temeva che un'eventuale vittoria della Serenissima rafforzasse
ulteriormente il suo potere militare a discapito dell'indebolito
L'Italia all'indomani della firma della
Ducato di Milano, determinando una rottura della politica
pace di Lodi (1454)
dell'equilibrio[49] e la cessazione dell'attività del Banco Medici in
terra meneghina[N 5]. La vittoria di Francesco Sforza e la sua
proclamazione a duca di Milano (ottenuta grazie a numerose sovvenzioni economiche da parte di
Cosimo[50]) permise al capofamiglia mediceo di ottenere un importante alleato, anche se dovette lottare per
far accettare l'alleanza con l'odiata Milano[4][51]. Se il cambio d'alleanza fu inizialmente dettato
principalmente per l'interesse della fazione medicea, l'opinione pubblica fiorentina si rivolse unanime contro
Venezia allorché questa, irritata per i dissidi con Firenze, s'alleò con Ludovico di Savoia, con Alfonso
d'Aragona re di Napoli e la Repubblica di Siena[50]. L'alleanza di Venezia con quest'ultima, acerrima nemica
di Firenze per il predominio in Toscana, suscitò un'ondata di sdegno nella Signoria, spingendo
definitivamente la politica estera fiorentina in direzione sforzesca[52]. La guerra che Venezia portò contro lo
Sforza si protrasse stancamente fino al 1454, allorché fu stipulata la pace di Lodi grazie alla mediazione di
Cosimo de' Medici e di papa Niccolò V, quest'ultimo intimorito per la caduta di Costantinopoli in mano a
Maometto II dell'anno precedente[50].

Concilio di Firenze
Lo stesso argomento in dettaglio: Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze.
Estremamente importante per il rafforzamento del prestigio di
Cosimo all'interno e all'esterno di Firenze fu il Concilio Ecumenico
che si tenne a Firenze nel 1439. In quell'anno, grazie a cospicue
elargizioni in denaro, Cosimo riuscì a convincere Papa Eugenio IV
(già residente a Firenze dal 1434 a causa di una sommossa
capeggiata dai Colonna a Roma[54]) a spostare il Concilio da Ferrara
a Firenze, nel quale si stava discutendo l'unione tra Chiesa latina e
Chiesa bizantina[55]. La presenza di delegati ecclesiastici cattolici e
ortodossi nella città toscana non era soltanto fonte di prestigio per la
piccola Repubblica e, di conseguenza, per Cosimo, ma anche per la
stessa economia: la presenza di un evento di importanza mondiale La bolla Laetentur Coeli firmata, al
termine delle sessioni conciliari (6
rivolse gli sguardi dei sovrani italiani ed europei su Firenze, oltreché
luglio 1439), da papa Eugenio IV e
degli stessi mercanti attirati da quell'ambiente cosmopolita[56].
dall'imperatore Giovanni Paleologo.
La bolla, scritta sia in latino sia in
L'arrivo dei delegati bizantini a Firenze, tra cui l'Imperatore
greco, fu supervisionata dal dotto
Giovanni VIII Paleologo e il Patriarca di Costantinopoli Giuseppe, monaco camaldolese Ambrogio
con tutta una corte di colorati e bizzarri personaggi dall'Oriente, Traversari e dal Bessarione[53].
stimolò incredibilmente la fantasia della gente comune e ancora di
più degli artisti fiorentini (in special modo Benozzo Gozzoli con il
ciclo d'affreschi nella Cappella dei Magi), tanto che da allora si iniziò a parlare di Firenze come della
"nuova Atene". A questa pletora di letterati e prelati orientali, detentori dell'antica cultura ellenica, corrispose
una straordinaria fioritura di studi della filosofia platonica e della letteratura greca, avvenuta grazie alla
costante presenza da allora di maestri originari di Costantinopoli (tra i quali spiccano per importanza
Giorgio Gemisto Pletone e il futuro cardinal Bessarione) e alla raccolta di codici greci nella biblioteca
personale di Cosimo a Palazzo Medici[57][58].

Ultimi anni

Anni '50
Al momento della stipulazione della pace di Lodi (1454), Cosimo
aveva sessantaquattro anni. Afflitto dalla gotta[59] e avanzato ormai
nell'età, il vecchio statista cominciò gradualmente a ridurre i suoi
interventi nella politica interna e nella gestione degli affari
economici del Banco. Nonostante questo progressivo defilarsi dalla
scena pubblica, Cosimo continuò comunque a seguire le vicende
della propria famiglia. Benché avesse lasciato la direzione del
Banco al secondogenito Giovanni e ai figli del deceduto fratello
Lorenzo nel 1453[60], il primogenito Piero lo descrisse ancora pochi
mesi prima di morire come un "bene avventurato mercatante"[4].
Pontormo. Ritratto di Cosimo il Nella sfera propriamente politica, Cosimo lasciò le principali
Vecchio, olio su tela, 1518-1520 ca, incombenze nelle mani di Luca Pitti, il cui governo si dimostrò però
Galleria degli Uffizi. estremamente impopolare[50] nella risoluzione del dissesto
economico della Repubblica dopo anni di guerra, stato che provocò
agitazioni e la congiura (fallita) di Piero Ricci nel settembre del
1457[N 6]. Tra le ultime iniziative politiche compiute da Cosimo vi fu la nomina di Poggio Bracciolini a
Cancelliere della Repubblica (1454-1459), dopo che l'umanista fu costretto ad allontanarsi da Roma in
seguito a degli screzi col giovane Lorenzo Valla[61].

Lutti familiari e morte


Cosimo, ai primi degli anni '60, aveva raggiunto la ragguardevole
età di settant'anni. Poco prima di morire, Cosimo ebbe il dolore di
veder morire il prediletto figlio Giovanni[62], nel 1463. Nonostante
gli avesse dato parecchio dispiacere per la condotta di vita, Cosimo
pianse amaramente il figlio scomparso[63]: da un lato perché Cosimo
riponeva in lui tutte le speranze per la successione, visto il pessimo
stato di salute in cui versava il primogenito Piero, continuamente
afflitto dalla gotta; dall'altro, per la popolarità di cui Giovanni
godeva in città[64].

Entrato in una fase depressiva, Cosimo preparò la sua successione


La tomba di Cosimo il Vecchio, posta
affiancando al malato figlio Piero alcuni suoi stretti collaboratori,
nella cripta della basilica di San
quali Diotisalvi Neroni[65]. Unica gioia negli ultimi anni di vita fu la Lorenzo, Firenze. Si può notare
presenza del giovanissimo nipote Lorenzo, del quale ammirava l'epigrafe che il figlio Piero scrisse
l'intelligenza e lo spirito[65]: nonostante avesse soltanto quindici anni per il padre, la cui traduzione
alla morte del nonno, Lorenzo era molto più maturo della sua età, risuona: «Piero de' Medici si curò di
cosa che spinse Cosimo, sul letto di morte, a raccomandare a Piero fare per il padre».
di dare a Lorenzo e al fratello di lui Giuliano la migliore istruzione
in campo politico[66][67]. La morte colse Cosimo il 1º agosto del
1464 nell'amata villa di Careggi, ove il vecchio statista amava trascorrere periodi di riposo in compagnia di
Marsilio Ficino e dei membri dell'Accademia neoplatonica[4].

Funerali e Cosimo Pater Patriae


La morte di Cosimo de' Medici fu accolta con lutto e costernazione all'interno sia di Firenze, sia negli altri
potentati della Penisola. La Signoria, in segno di riconoscenza, desiderava che Cosimo ricevesse un solenne
funerale, come se fosse morto un capo di Stato. Il figlio Piero, però, volle che fossero rispettate le volontà
paterne e che fosse sepolto come un cittadino privato. Nonostante ciò, il nuovo capofamiglia dei Medici non
poté rifiutare l'onore che la Signoria e il popolo decisero di tributare a Cosimo scrivendo, nel 1465,
l'iscrizione Pater patriæ sulla lastra della sua tomba realizzata dal Verrocchio, lastra posta all'incrocio della
navata centrale col transetto posto dinnanzi all'altare della Basilica di San Lorenzo[9], in un luogo che nelle
basiliche cristiane era di solito riservato alle reliquie dei santi ai quali era dedicata la chiesa[68]. La tomba si
trova però nella cripta della Basilica.

Politica culturale

Premesse
Anche il mecenatismo fu un'arma nelle mani di Cosimo, intesa come fine investimento propagandistico.
Proteggendo gli artisti, finanziando i letterati e patrocinando la costruzione di edifici pubblici, ne decretò la
consacrazione a Pater patriæ con cui verrà conosciuto presso i posteri. La sua straordinaria saggezza fu
quella di non far dissociare mai il suo nome da quello di Firenze, permettendo così di mostrarsi ai suoi
concittadini come un benefattore della cittadinanza, piuttosto che come un oligarca altezzoso. Inoltre,
Cosimo si interessò anche del restauro di edifici esterni a Firenze, talvolta distanti dal capoluogo toscano
migliaia di chilometri: il Collegio degli Italiani di Parigi, andato distrutto; e l'Ospizio dei Pellegrini di
Gerusalemme[9].

Opere pubbliche
Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascimento fiorentino.

Convento di San Marco


Cosimo, sul versante delle opere destinate al culto, fece ricostruire il
convento di San Marco a metà degli anni '30[4], incaricando del
progetto il favorito Michelozzo[69][70], mentre commissionò al
conventuale Beato Angelico la decorazione delle celle claustrali[71],
una delle quali fu destinata a suo uso qualora avesse avuto bisogno
di meditare[72]. In cambio dei 10 000 fiorini spesi per il restauro e
La basilica di San Marco a Firenze, per ogni oggetto (sacro o profano) necessario ai monaci[73], Cosimo
annessa all'antico convento convinse papa Eugenio IV a introdurre in quel monastero i frati
domenicano. domenicani, scacciando invece i monaci silvestrini accusati di
lassismo morale[74]. Cosimo, erede della libreria dell'umanista
Niccolò Niccoli, la trasportò nel convento di San Marco rendendo
accessibile a chiunque la loro consultazione[75].

Basilica di San Lorenzo


Cosimo inoltre portò avanti i lavori a San Lorenzo, iniziatisi nel 1419 dal padre e progettati da Filippo
Brunelleschi[76]. Subito dopo la morte di Giovanni, nel 1429, assieme al fratello Lorenzo, incaricò
Donatello del completamento e della decorazione della Sagrestia Vecchia (1428)[76], assumendo con la
morte di questi l'intero rifacimento della chiesa dedicata col nome del fratello defunto[4].

Badia Fiesolana
Antichissima chiesa risalente all'XI secolo, successivamente
distrutta in seguito alla sottomissione di Fiesole da parte di Firenze e
poi ricostruita nel XV secolo, la Badia Fiesolana passò in mano
prima dei camaldolesi, poi dei benedettini e infine degli agostiniani
dopo il 1439. Fu proprio nel XV secolo che l'edificio e la comunità
religiosa in generale conobbero il periodo di massimo splendore,
grazie al mecenatismo di Cosimo de' Medici. Questi, nel 1456,
incaricò Michelozzo e Filippo Brunelleschi di ristrutturare la chiesa
Veduta della Badia Fiesolana e di abbellirla, oltre a dotare la comunità monastica di vari servizi
all'avanguardia quali l'infermeria, e altri più ordinari quali invece il refettorio, varie sale per le riunioni
dell'Ordine e, infine, una ricca biblioteca a usufrutto dei monaci[77].

Fondazione della Biblioteca Laurenziana


Nel 1444, Cosimo decise di rendere pubblico l'accesso della sua
immensa biblioteca[78]. Vespasiano da Bisticci, curatore della
Biblioteca Medicea (poi soprannominata Laurenziana in quanto
collegata colla Basilica di San Lorenzo[79]), ci descrisse molto
dettagliatamente non soltanto l'imponente numero dei manoscritti ivi
custoditi (più di duecento[N 7]), ma anche la cura e la sollecitudine
con cui il Medici volle che fosse completata e arricchita il prima
possibile. I volumi conservati spaziano dai Padri della Chiesa
(Origene, san Girolamo, san Gregorio di Nazianzo, Lattanzio, san Firenze, Biblioteca Laurenziana, sala
Gregorio Magno, san Tommaso d'Aquino e san Bonaventura da lettura
[80]
Bagnoregio, per esempio ) ai filosofi e scrittori dell'antica Grecia
e Roma (Aristotele, Tito Livio, Cesare, Svetonio, Plutarco, Valerio
Massimo, Virgilio, Terenzio, Ovidio, Seneca, Plauto e Prisciano, sempre per citarne alcuni[81]).

Mecenatismo privato
Oltre alla costruzione di conventi e al patrocinio della cultura a favore del popolo fiorentino e della chiesa
locale, Cosimo si dedicò anche alla realizzazione di ville e palazzi ad uso personale, chiamandovi artisti di
grido quali: Donatello, autore del celebre David realizzato su commissione di Cosimo[9]; Filippo Lippi,
Paolo Uccello, Luca della Robbia, Lorenzo Ghiberti, Desiderio da Settignano, Andrea del Castagno e il già
più volte citato Michelozzo[9].

Palazzo di Via Larga e Cappella dei Magi


Non appena divenne il capofamiglia, Cosimo decise di costruire un
palazzo in Via Larga, l'attuale Via Cavour, i cui lavori durarono
circa dieci anni[82]. Inizialmente, interpellò come architetto il
Brunelleschi ma, visto il progetto sontuoso che l'artista gli presentò,
Cosimo preferì chiamare al suo servizio Michelozzo, che invece gli
presentò un disegno molto più modesto[N 8]: era necessario, infatti,
non suscitare l'invidia dei nemici politici di Cosimo. La decisione è
sintetizzata con queste parole da Pierluigi De Vecchi ed Edda
Cerchiari: Giovanni Stradano, Giostra del
Saracino in via Larga, affresco,
1561, Palazzo Vecchio (sala di
«[Cosimo] continuava a improntare il suo comportamento a Gualdrada), Firenze. Il secondo
modelli derivati dallo stoicismo ciceroniano (ricerca del bene palazzo sulla destra è l'attuale
comune e non del potere o del prestigio personali, Palazzo Medici-Riccardi.
moderazione, rifiuto dell'ostentazione). In tale chiave va
interpretata la sobrietà delle opere di valenza anche pubblica
da lui commissionate, come Palazzo Medici o il Convento di San Marco.»

(De Vecchi-Cerchiari, p. 127.)


Vent'anni dopo la conclusione del Concilio, Cosimo pensò di eternare quell'evento (cui contribuirono
economicamente i Medici) commissionando, nel 1459, a Benozzo Gozzoli la decorazione della cappella
privata all'interno del Palazzo Medici, con la raffigurazione della processione dei Magi, metafora del
percorso mondano e spirituale della famiglia e del partito mediceo all'insegna della devozione[83].

Ville medicee
Amante della vita di campagna, Cosimo diede inizio all'edificazione
di alcune delle ville medicee, dove poter riposarsi dalla cura del
governo e degli affari. Nel Mugello, per esempio, fece ristrutturare
da Michelozzo le ville di famiglia del Trebbio e di Cafaggiolo[9]. A
Careggi fece pure costruire la villa dove si svolse gran parte della
sua vita familiare.

Umanesimo mediceo
La Villa di Careggi, costruita da
Michelozzo, vide Cosimo trascorrervi Lo stesso argomento in dettaglio: Umanesimo fiorentino.
buona parte del suo tempo, oltre ad
assistere alle riunioni dei neoplatonici
fiorentini. Premesse
Se oggi possiamo ammirare i grandi capolavori del Rinascimento,
fu grazie al rinnovamento culturale perpetrato da Francesco Petrarca
e favorito poi dai regimi rinascimentali nel corso del XV secolo. Infatti, l'umanesimo non fu soltanto un
fenomeno importante dal punto di vista strettamente culturale (riscoperta dei classici, sviluppo della scienza
filologica, rivoluzione filosofica in base all'antropocentrismo), ma anche sul piano politico-pedagogico: i
valori etici dell'antichità e la versatilità dell'ingegno che l'umanesimo favoriva era un ottimo mezzo per la
formazione di un'eccellente classe dirigente al servizio dei principi[84]. Inoltre, la promozione delle arti e del
pensiero da parte di una determinata dinastia era un potente strumento di promozione della propria
immagine: Cosimo de Medici ne fu uno dei primi (se non il più grande) sostenitore.

Umanesimo elitario
La politica culturale di Cosimo fu improntata, come già ricordato prima, alla promozione dell'immagine
della sua casata e di Firenze stessa. Aiutato da intellettuali di primo calibro come il vecchio Niccolò Niccoli,
il già citato Marsuppini (che succedette a Leonardo Bruni come Cancelliere della Repubblica) e da
Vespasiano da Bisticci, Cosimo promosse un umanesimo profondamente distante da quello della prima metà
del '400 fiorentino: non più civile e omaggiante nei confronti delle tre corone volgari (Dante Alighieri,
Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio), ma totalmente classicheggiante e impregnato di una profonda
vocazione filosofica. Per questi motivi, infatti, Cosimo e il suo entourage si scontrarono con gli umanisti
Leon Battista Alberti e Francesco Filelfo: il primo, "reo" di aver patrocinato il certame coronario sulla
poesia lirica volgare nel 1441, fu costretto a lasciare Firenze[N 9]; il secondo, per aver letto Dante nello
Studium nell'anno accademico 1431-32, fu l'oggetto di feroci invettive da parte di Niccolò Niccoli e di
Carlo Marsuppini. Per comprendere le motivazioni di tale attenzione nei confronti della politica verso la
realtà culturale dell'epoca, bisogna ricondursi alla dimensione "propagandistica" che la seconda serviva alla
prima, come esposto chiaramente da Paolo Viti:
«Nel 1431-32 lesse e commentò - primo fra gli umanisti -
Dante nello Studio, come palese atto di omaggio per il figlio
più illustre di Firenze, in ossequio ad una politica culturale
della fazione oligarchica dominante nella Repubblica, che
proprio dalla riscoperta di Dante traeva, allora, uno dei
principali motivi di affermazione civica: e per questa Lectura
Dantis il F[ilelfo] si scontrò con la fazione medicea che,
pretestuosamente, cercò di ostacolarlo in vari modi.»

(Viti)

Domenico Ghirlandaio, (da sinistra a


Neoplatonismo fiorentino destra) Marsilio Ficino, Cristoforo
L'incontro con i due dotti neoplatonici bizantini Pletone e Landino e Agnolo Poliziano,
Bessarione al Concilio del 1439 diede a Cosimo l'idea di creare in particolare tratto dall'Annuncio
dell'angelo a Zaccaria, affresco,
Firenze un fulcro per la diffusione delle teorie di Platone in terra
1486-1490, Basilica di Santa Maria
italiana, aumentando così il prestigio culturale e politico della Novella, Firenze
città[85]. Fortemente attratto dalla somiglianza tra platonismo e
cristianesimo, Cosimo e i membri dell'Accademia (tra cui
spiccavano Marsilio Ficino e Cristoforo Landino) intesero promuovere questa visione religiosa. Nicola
Abbagnano riassume così la weltanschauung neoplatonica fiorentina:

«Nel platonismo i seguaci dell'Accademia, e specialmente Marsilio Ficino e Cristoforo Landino,


vedevano la sintesi di tutto il pensiero religioso dell'antichità, e quindi anche del cristianesimo e
perciò la più alta e vera religione possibile [...] L'accordo di questa teologia col cristianesimo si
spiegava col riconoscere una fonte comune delle dottrine religiose di Platone e di Mosè...Cosicché
il ritorno al platonismo non significava, per i seguaci dell'Accademia platonica, un ritorno al
paganesimo, ma piuttosto un rinnovamento del cristianesimo, con la sua riduzione alla fonte
originaria, che sarebbe stata appunto il platonismo.»

(Abbagnano, pp. 66-67)


L'intellettuale di maggior spicco del suo entourage che lo aiutò in questo progetto fu Marsilio Ficino, figlio
del primo medico di famiglia dei Medici al quale Cosimo rimase legato da profondi vincoli d'amicizia[86].
Grazie alla competenza e all'erudizione di Ficino, Cosimo fondò l'Accademia neoplatonica[87], luogo ideale
per il ritrovo degli umanisti ove potevano scambiarsi le varie teorie filosofiche, dando in tal modo una svolta
radicale all'umanesimo fiorentino: dagli interessi "concreti" e pratici propri dell'umanesimo civile della
prima metà del secolo, si passò a un'attività speculativa e contemplativa, sintomo della fine delle libertà civili
e del dominio mediceo[88][89].

A favorire la diffusione della filosofia platonica fu però anche la scoperta del Corpus Hermeticum per opera
del suo scrittore privato, il monaco Leonardo da Pistoia. Questi fu incaricato da Cosimo di reperire per suo
conto antichi manoscritti in lingua greca e latina nei territori dell'ormai scomparso Impero bizantino. Nel
1460, durante un viaggio in Macedonia, il monaco scoprì i quattordici libri del testo greco di Ermete
Trismegisto: si trattava della copia originale appartenuta a Michele
Psello, risalente all'XI secolo. Ritornato a Firenze, Leonardo da
Pistoia consegnò il testo a Cosimo de' Medici che non più tardi del
1463 incaricò Marsilio Ficino di tradurre dal greco al latino[90].

Attività bancaria
Lo stesso argomento
La traduzione latina del Corpus in dettaglio: Banco
Hermeticum, curata da Marsilio dei Medici.
Ficino e stampata nel 1471
Sotto la sua direzione il
Banco Medici, che gestì da
1420 al 1464, divenne uno dei pilastri della finanza italiana ed
europea, tanto che Cosimo riuscì a raddoppiare, al momento della
sua morte, il patrimonio paterno[91]. Fondato nel 1397 dal padre
Giovanni, questi lasciò la sua gestione ai figli Cosimo e Lorenzo a
partire dal 1420, quando il Banco era diventato il principale
finanziatore del papato con filiali a Roma, a Firenze e a Venezia[92].
Nel corso dei decenni successivi Cosimo, che era il più dotato dei
due fratelli nella gestione degli affari[93], estese l'influenza anche nel
resto d'Europa: nel 1439 aprì una filiale nella città fiamminga di
Bruges, centro importantissimo per il commercio internazionale; nel Biblioteca Nazionale Centrale di
[94] Firenze, Ms. Panciatichi 71, fol. 1r.,
1446, invece, Cosimo estese la sua rete anche a Londra . Dopo la
XV secolo riportante il timbro usato
morte del fratello Lorenzo nel 1440, Cosimo viene affiancato nella
dalla Banca Medici per
gestione del patrimonio finanziario mediceo da Giovanni Benci[95],
l'autenticazione dei documenti
insieme con il quale estende ulteriormente l'influenza del banco finanziari e commerciali.
mediceo: nel catasto del 1457, si sono aggiunte le filiali di Milano
(aperta nel 1452 e retta da Pigello Portinari, divenuto l'uomo di
fiducia dell'amico e alleato di Cosimo, il duca Francesco Sforza[96]), Ginevra e Avignone, oltre al banco
minore di Ancona aperto già nel 1441[93]. Grazie a questi dati, si può comprendere il successo di Cosimo in
politica estera, il favore dei sovrani nei suoi confronti al momento del primo esilio e la grande reputazione di
cui lui godeva. Inoltre, grazie alla sua immensa fortuna, Cosimo influì nella politica interna anche di Paesi
stranieri e molto più potenti militarmente, quali il Regno d'Inghilterra: Edoardo IV, esponente della Casa di
York in lotta con quella dei Lancaster nella Guerra delle due rose (1455-1485), riuscì a mantenere l'esercito
grazie ai numerosi sussidi finanziari che Cosimo gli passava[97]. Nel patrimonio personale del Medici
figuravano inoltre numerose botteghe artigiane in città, ereditate dal padre o da lui comprate. Nel catasto del
1427, per esempio, Cosimo possedeva due lanifici (cui nel 1433 si aggiunse un setificio) che, benché non
rendessero quanto i suoi cambi, davano comunque lavoro a parecchi operai e stimolavano il commercio
cittadino, oltre a consolidare la posizione medicea presso gli strati popolari[98].

Giudizio storiografico

Giudizi di Guicciardini e di Machiavelli


Nonostante avesse oppresso de facto ogni iniziativa politica diversa
da quella impostata dalla fazione medicea, Cosimo gettò le basi
della fortuna non soltanto della famiglia (continuate poi dal figlio
Piero e dal nipote Lorenzo), ma anche di Firenze e, per questi due
aspetti, meritandosi presso gli scrittori a lui contemporanei, un
atteggiamento ondivago[99]. La chiave del successo di Cosimo fu, di
fatto, la moderazione: in una città come Firenze, ostile a ogni tipo di
dittatura, egli lasciò una parvenza di libertà, non ergendosi
esplicitamente mai al di sopra degli altri uomini politici, ma
comportandosi sempre come un modesto cittadino. Francesco
Guicciardini, nelle sue Storie Fiorentine, tratteggiò così la figura del
Medici:

«Fu tenuto uomo prudentissimo; fu ricchissimo più che alcuno


Santi di Tito, Niccolò Machiavelli,
privato, di chi s'avessi notizia in quella età; fu liberalissimo,
olio su tela, seconda metà del XVI
secolo, Palazzo Vecchio, Firenze. massime nello edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la
casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia di Fiesole, el
convento di San Marco, Careggio; fuori della patria sua in molti
luoghi, eziando in Ierusalem; [...] e per lo stato grande, chè fu circa a trenta anni capo della città,
per la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse dalla
declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva avuta mai tanta...»

(Guicciardini, p. 93)
Inoltre, tratteggiando la figura dell'altrettanto celebre nipote, Lorenzo il Magnifico, Guicciardini, benché
apprezzasse di entrambi le qualità politiche e umane, riconobbe la palma della grandezza a Cosimo: a
differenza del nipote, infatti, Cosimo fu un abile finanziere, un magnifico promotore del mecenatismo
pubblico (al contrario di Lorenzo che si concentrò principalmente nell'edilizia privata); al contrario, Lorenzo
fu indiscutibilmente più versato nelle lettere e nelle arti del nonno Cosimo[100]. Niccolò Machiavelli, nelle
Istorie Fiorentine, fu più esaustivo del suo contemporaneo Guicciardini, elencando tutti i meriti e le opere
buone compiute dal Medici. Ecco l'explicit del libro VII:

«Non di meno morì pieno di gloria, e con grandissimo nome nella città e fuori. Tutti i cittadini e
tutti i principi cristiani si dolgono con Piero suo figliuolo della sua morte, e fu con pompa
grandissima da tutti i cittadini alla sepultura accompagnato, e nel tempio di San Lorenzo sepellito, e
per publico decreto sopra la sepultura sua PADRE DELLA PATRIA nominato. Se io, scrivendo le
cose fatte da Cosimo, ho imitato quelli che scrivono le vite de’ principi, non quelli che scrivono le
universali istorie, non ne prenda alcuno ammirazione, perché, essendo stato uomo raro nella nostra
città, io sono stato necessitato con modo estraordinario lodarlo.»

(Machiavelli, p. 573)

Storiografia moderna e contemporanea


Il giudizio altalenante su Cosimo de' Medici continuò fino in piena età moderna. Più volte descritto come il
Signore di Firenze già dal nipote Lorenzo, Cosimo fu in realtà «un uomo assolutamente convinto di avere i
requisiti migliori per servire la sua patria come cittadino di primo piano, patrocinatore e protettore»[4].

Osannato dai Medici quando, con Cosimo I (1537-1574), diventarono prima Duchi di Firenze e poi
Granduchi di Toscana nel 1569[101], la storiografia tardo-settecentesca (scomparsa la dinastia medicea nel
1737 con la morte di Gian Gastone) e quella successiva si divisero tra chi considerava Cosimo «un tiranno
cinico, egoista e borghese» come lo svizzero Simonde de Sismondi[102] e chi, come gli storici George
Frederick Young, John Rigby Hale, Tim Parks e altri, vi hanno visto un governo illuminato e saggio,
nonostante la soppressione delle libertà repubblicane.

Personalità

Uomo politico
In base alle testimonianze dei suoi contemporanei, la figura di
Cosimo de' Medici rispecchia quella di un ottimo politico, capace di
mantenersi in equilibrio rispettando le libertà repubblicane e nel
contempo mantenersi al potere lasciando a uomini di sua fiducia i
posti chiave dell'amministrazione della Repubblica. Guicciardini
parla di «prudenzia» quale termine chiave della psicologia del
Medici[103], e lo stesso concetto è accolto da Hale[104]. Lo stesso
Vespasiano da Bisticci, suo bibliotecario e amico, si sofferma sulla
prudenza quale caratteristica principale dell'animo di Cosimo:

«Ritornando a Cosimo, quanto era cauto nelle sua risposte, dove


consiste assai la prudenza d'uno uomo [...] Tutte le sue risposte
erano condite col sale. Erano moltissimi cittadini che, per li casi
loro, andavano a Cosimo per consiglio.»

(Vespasiano da Bisticci, p. 261)


Di natura cordiale, amichevole e sincera[N 10], Cosimo era capace
nel contempo anche di estrema severità nella gestione dello Stato.
Secondo la testimonianza di Machiavelli Cosimo, a cui gli
rimproverava l'esilio nei confronti degli Albizzi e dei loro
La statua di Cosimo de' Medici nel
Loggiato del Palazzo degli Uffizi,
simpatizzanti, rispose con la celebre frase:
Firenze.
«Com'egli era meglio città guasta che perduta: e come due canne
di panno rosato facevano un uomo da bene; e che gli stati non si
tenevano con i paternostri in mano»

(Machiavelli, p. 570)
Tale atteggiamento si può riscontrare, nel caso specifico, nei confronti dell'umanista Francesco Filelfo. A
causa dei dissidi per la sua politica culturale antitetica a quella imposta da Cosimo, Filelfo fu oggetto di un
attentato il 18 maggio 1433 da parte di tal Filippo Casali, ma l'umanista pensò che dietro il mandante ci
fosse la longa manus del Medici[105].

Vita privata
Della vita privata di Cosimo, molte informazioni ci provengono da
Vespasiano da Bisticci, il quale ci informa di parecchi aneddoti
riguardanti il suo patrono: la grandissima memoria[106], la passione
per l'agricoltura che dimostrò nella cura dell'orto del Convento di
San Marco[107], la liberalità verso gli uomini di cultura e gli artisti,
coi quali non si limitava al semplice patronato. Vespasiano, all'inizio
della voce biografica dedicata al Medici, ricorda infatti:

«Ritornando a Cosimo, egli ebbe tanta perizia delle lettere latine,


che fu più, che a uno cittadino grande, pieno di tante
occupazioni, non si conveniva. Fu molto volto alla gravità, e a
usare con uomini grandi e alieni da ogni leggerezza...Era molto
affezionato agli uomini dotti, e conversava volentieri con tutti; e
Cristofano dell'Altissimo, Ritratto massime con frate Ambrogio degli Agnoli, e con messer
postumo di Contessina de' Bardi, olio Lionardo d'Arezzo, con Nicolao Nicoli, con messer Carlo
su tela, 1570-80 ca, Galleria
d'Arezzo, con messer Poggio [Bracciolini].»
Palatina, Firenze. Il matrimonio tra
Cosimo e Contessina fu dettato dalla
necessità di ricevere quel prestigio (Vespasiano da Bisticci, pp. 246-247)
perché i Medici acquisissero
Nei rapporti coi propri familiari, Cosimo mantenne, in linee
influenza nella vita politica cittadina.
generali, ottimi rapporti sia con la moglie Contessina, che con i due
figli Giovanni e Piero[108]. Della moglie di Cosimo, si ricorda che
«Contessina de' Bardi è un'ottima moglie, tutta dedita alla cura della casa e dei due figli»[109], e questa
visione emerge anche dalle trentacinque lettere conservate nell'Archivio Medici avanti il Principato[110].

Unico neo nella sua vita coniugale fu un'avventura extraconiugale con una giovane schiava circassa di
nome Maddalena comprata a Venezia e da cui ebbe un figlio naturale, Carlo (1428/1430 circa-1492),
ecclesiastico di notevole importanza e futuro canonico del Duomo di Prato[111]. Nonostante la sua
condizione di figlio naturale, Carlo fu accolto da Contessina come figlio suo, ed educato insieme ai suoi
fratellastri[110].

Discendenza
Cosimo si sposò nel 1415 con Contessina de' Bardi[4], figlia di Giovanni Conte di Vernio e di Emilia
Pannocchieschi dei Conti di Elci. Dal matrimonio nacquero:

Piero, detto il Gottoso (*1416 †1469), sposo di Lucrezia Tornabuoni e padre di Lorenzo e di
Giuliano de' Medici
Giovanni (*1421 †1463), sposo di Ginevra degli Alessandri, da cui non ebbe discendenza
Cosimo ebbe inoltre il già ricordato figlio naturale Carlo, avuto tra il 1428 e il 1430.

Ascendenza
Lo stesso argomento in dettaglio: Tavole genealogiche della famiglia Medici.

Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni


Salvestro Averardo[112]
"Chiarissimo"[113]
Averardo
Lisa Donati[114]
Giovanni di
Bicci
Francesco Spini

Giacoma degli
Spini[14][115]

Cosimo de'
Medici

Edoardo Bueri

Piccarda
Bueri

Cultura di massa
La figura di Cosimo è centrale nella serie televisiva I Medici (2016-2019), dove è interpretato da Richard
Madden[116]. È presente anche nel romanzo Una dinastia al potere (2016) e primo della tetralogia dedicata
ai Medici scritta dall'autore italiano Matteo Strukul[117].

Note

Esplicative
1. ^ In Machiavelli, pp. 193-192 si viene a sapere che Giovanni de' Medici morì nel 1429, all'età
di sessantanove anni, dopo aver ricordato a Cosimo e a Lorenzo di praticare sempre la
giustizia e la virtù, sia in ambito privato e politico, mirando non a togliere, ma a dare alla
comunità.
2. ^ Alla morte del padre Giovanni, Cosimo era l'uomo più ricco della città. Nonostante la
ricchezza, per non attirarsi le invidie delle altre famiglie fiorentine, Cosimo non ostentò mai
questa fortuna. A dimostrazione di questa linea diplomatico-culturale, Cosimo affidò
all'architetto Michelozzo l'edificazione di un modesto Palazzo in Via Larga, l'attuale Palazzo
Medici Riccardi (cfr. Cesati, p. 23).
3. ^ Hale, p. 23 ricorda infatti che Cosimo, grazie alla sua attività di banchiere, fosse riuscito a
stringere numerose amicizie a Ferrara e a Venezia, città che si offrirono di aiutarlo nel
momento del bisogno. Inoltre, lo stesso Eugenio IV fece sapere che la Chiesa non avrebbe
accettato che Cosimo, capo del banco mediceo che era la principale fonte finanziaria della
Santa Sede, fosse condannato a morte, come ricordato da Parks, p. 86.
4. ^ Per la figura e l'ascesa politica di Cosimo, si veda: Kent, DBI. Riguardo al metodo di
governo dei Medici tra il 1434 e il 1494, interessante è il saggio di Rubinstein, che mette in
luce in ambito estero il termine di "criptosignoria". Nella storiografia italiana, fondamentali gli
studi di Tabacco 1974, pp. 352-357, Sestan 1979, pp. 58-59 e Ascheri 1994, pp. 290-291,
che mettono in evidenza l'assoggettamento, da parte di alcuni signori, delle forme comunali,
mantenendone le apparenze democratiche.
5. ^ Parks, p. 130 ricorda la creazione di una filiale del Banco a Milano col fine di aiutare
Francesco Sforza nella gestione del potere. Nel quadro del rovesciamento delle alleanze,
infatti, lo Sforza e il Ducato di Milano erano geograficamente più vicini rispetto a Venezia,
cosa per cui poteva risultare più conveniente stabilire buoni rapporti con Milano piuttosto che
con la città lagunare, anche perché la guerra continua con uno Stato così potente era
deleteria per l'erario fiorentino (Young, p. 82; p. 84).
6. ^ Hale, p. 54. Gli anni '50. a causa del conflitto, di un'epidemia di peste nel 1448 e un
terremoto del 1453, aveva ridotto al lastrico l'economia fiorentina. A causa di queste difficoltà,
i nemici di Cosimo cercarono di riportare le votazioni al ballottaggio e non col sistema
mediceo degli accoppiatori. La congiura prima e il fallito golpe costituzionale poi permisero a
Cosimo di rafforzare ulteriormente la sua posizione in città (cfr. Parks, pp. 128-129).
7. ^ Il numero, riportato da Vespasiano da Bisticci, p. 255, è assai ragguardevole per l'epoca, in
quanto l'invenzione della stampa a caratteri mobili da parte del tedesco Gutenberg avverrà
poco meno di dieci anni dopo, nel 1450 ca.
8. ^ Anche se, come ricorda Young, p. 113, il Palazzo era considerato troppo sontuoso per un
semplice cittadino, visto che superava in splendore le regge degli stessi re di Francia e
d'Inghilterra, oltreché dell'imperatore di Germania.
9. ^ L'Alberti era fortemente critico verso il monolinguismo della cultura umanistica fiorentina
che, con l'avvento di Cosimo nel 1434, era diventata l'espressione del rinnovamento
culturale mediceo. Perciò fu costretto ad allontanarsi da Firenze per prendere la strada
ecclesiastica. Si veda Cappelli, pp. 309-310.
10. ^ Sempre secondo la testimonianza di Vespasiano da Bisticci, p. 263, Cosimo fu
«liberalissimo, e massime con tutti gli uomini che conosceva che avessino qualche virtù».
Sempre in Vespasiano da Bisticci, pp. 261-262 sono riportati casi di persone che,
lamentandosi di Cosimo, egli le fece chiamare per dimostrare l'infondatezza delle loro
accuse, ricordando molto l'atteggiamento mostrato da Traiano nei confronti di semplici
cittadini.

Bibliografiche
1. ^ Lo stemma dei Medici: le “palle” che cambiano di numero, su
curiositasufirenze.wordpress.com. URL consultato il 18 novembre 2016.
2. ^ Lo stemma Medici, su www.palazzo-medici.it. URL consultato il 18 novembre 2016 (archiviato dall'url
originale il 19 novembre 2016).
3. ^ Titolo onorifico post mortem.
4. Kent.
5. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 246.
6. ^ Young, p. 57.
7. ^ Hale, p. 12.
8. ^ Hale, pp. 10-11.
9. Cosimo il Vecchio.
10. ^ Kent:

«gli uffici del banco lo seguirono nel 1414 al concilio di Costanza, al quale si ritiene
che il M. abbia partecipato accompagnato da Poggio Bracciolini e da Leonardo
Bruni.»

11. ^ Young, p. 56.


12. ^ Vernon, p. 30 e Vespasiano da Bisticci, p. 247.
13. ^ Come delinea Vannucci, pp. 10-11, il matrimonio tra Cosimo e Contessina fu felice e ben
impostato su d'un'"armonia complementaria". La moglie di Cosimo, infatti, oltre a gestire la
casa e a curare i figli, aiutò il marito a gestire i traffici commerciali dell'ormai influente banco
mediceo, che aveva ramificazioni in tutta Europa.
14. Giovanni de' Medici.
15. Young, p. 43 e Kent.
16. ^ Bianca
«Avendo come principale obiettivo la ricostituzione dello Stato pontificio, M.
procedette a riconoscere situazioni già esistenti, tentando tuttavia di ribadire l'autorità
pontificia e al tempo stesso di regolare la riscossione dei censi: proprio da Mantova,
ad esempio, confermò i privilegi a Terracina (7 novembre 1418), conferì per un
triennio il vicariato di Imola a Ludovico Alidosi (13 novembre), quello di Forlì a
Giorgio Ordelaffi (29 novembre); ridusse a tre anni il vicariato a Malatesta Malatesta,
che invece Gregorio XII aveva concesso senza limiti temporali (29 gennaio 1419);
nel gennaio 1419 nominò duca di Spoleto Guidantonio da Montefeltro, con il quale
avrebbe mantenuto stretti rapporti tanto da concedergli in moglie nel 1424 la nipote
Caterina Colonna.»

17. ^ Kent
«Egli si era comunque ritirato dall’effettiva direzione del banco nel 1420 lasciando il
suo posto ai figli, il M. [Cosimo] e Lorenzo.»

18. ^ Hale, p. 21.


19. ^ Hale, p. 20.
20. ^ Walter.
21. ^ Cesati, p. 23.
22. ^ Per l'inquadramento storico generale, si veda Bosisio, p. 269.
23. ^ Parks, p. 79.
24. ^ Cesati, p.23.
25. ^ Machiavelli, pp. 350-355. In quest'ultimo, a p. 355, si riporta che

«Ma seguita la pace [con Lucca], e con quella la morte di Niccolò da Uzano, rimase
la città senza guerra e senza freno ... e messer Rinaldo, parendogli esser rimasto
solo principe della parte [degli oligarchi], non cessava di pregare ed infestare tutti i
cittadini, i quali credeva potessero essere gonfalonieri, che si armassero a liberar la
patria da quell'uomo [cioè Cosimo].»

26. ^ Montelli-Gervaso, p. 205.


27. ^ Machiavelli, pp. 358 e sgg.
28. ^ Cesati, p. 24 e Parks, p. 88.
29. ^ Cesati, p. 24.
30. ^ Hale, p. 24. Più dettagliato il rapporto esposto da Kent:

«Inoltre, la presenza internazionale del banco dei Medici e il suo legame con il
Papato accrebbero molto l’influenza personale del M[edici] presso principi italiani ed
europei, compresi i re di Francia e Inghilterra e l’imperatore, che disapprovarono
l’azione fiorentina contro i Medici.»

31. ^ Kent:
«La lealtà dei sostenitori dei Medici rimasti a Firenze e la pressione sul governo
cittadino da parte dei loro amici all’estero furono importanti per il mantenimento
dell’influenza del M[edici] e per prepararne il rimpatrio.»

32. ^ Young, p. 63.


33. ^ Hale, p. 24.
34. ^ Rinaldo morirà ad Ancona nel 1442
35. ^ Esattamente, come si deduce da Kent, nel gennaio-febbraio 1435 e nel gennaio-febbraio
1439
36. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 250:

«...e bisognò a Cosimo durare gran fatica a mantenersegli [i sostenitori della balìa
che lo fecero rientrare dall'esilio], e temporeggiare con loro; sempre dimostrare
volere ch'eglino vi potessino quanto lui; e andò, cuoprendo questa sua autorità
quanto eli poté nella città, e fece ogni cosa per non si scuoprire.»

37. ^ Lo stesso Kent, senza pur nominare Augusto, si rifà al modello del princeps nella Roma
repubblicana:

«Ma soprattutto la posizione del M[edici] a Firenze dipendeva, come quella dei
principes civitatis della Roma repubblicana, da quella indefinibile qualità alla quale
Vespasiano da Bisticci si riferiva come "autorità".»

38. ^ Parks, p. 126.


39. ^ Qualche decennio dopo questa frase fu commentata da Girolamo Savonarola in una delle
sue prediche: «E se avete udito dire che "gli stati non si governano coi paternostri",
rammentatevi che questa è la regola dei tiranni, la regola dei nemici di Dio e del ben
comune, la regola per opprimere, e non per sollevare e liberare la città.»
40. ^ Montanelli-Gervaso, p. 205.
41. ^ Kent:

«Le elezioni ai pubblici uffici furono controllate da Balie dominate da amici dei
Medici, i quali acquisirono poteri straordinari: designavano accoppiatori di loro
fiducia per riempire le Borse elettorali con i nomi dei sostenitori del Medici.»

42. ^ Hale, p. 34.


43. ^ Parks, p. 93 ricorda che «il capo degli operai di una bottega della lana dei Medici alla fine
era diventato gonfaloniere di giustizia».
44. ^ Bosisio, pp. 362-363 e Machiavelli, p. 396.
45. ^ Bosisio, p. 363. La somma di 25 000 fiorini si può stimare equivalente a circa 2 800 000
Euro e 5 000 000 000 di lire italiane in uso fino al 2002.
46. ^ Pizzagalli, p. 33 e Young, p. 68.
47. ^ Kent:

«Nella sua voluminosa corrispondenza, sia ufficiale sia privata, il M[edici] dimostra
un notevole interesse e una notevole competenza nella strategia militare. Definito
«un condottiere d’huomini» (De Roover, 1953, p. 472), il M[edici] fu ammiratore dei
più esperti capitani di ventura del suo tempo, che furono impiegati dal Comune
fiorentino durante la guerra contro Lucca, tra il 1429 e il 1433. Strinse amicizia con
Niccolò Mauruzzi da Tolentino, Micheletto Attendolo e, più tardi, con Francesco
Sforza. Un componimento poetico pubblicato da Lanza e attribuito al M[edici] è
indirizzato a Francesco Sforza e vi si esprime l’ammirazione per il condottiero
secondo i principî che per il M[edici] erano necessari nella politica, nella vita e
nell’arte.»

48. ^ Menniti Ippolito:

«Le motivazioni dello scontro erano molteplici: alle contese territoriali tra Milano e
Venezia, si aggiungevano i contrasti tra Firenze e Venezia in materia di presenza di
mercanti toscani nei mercati orientali...»

49. ^ Bosisio, p. 364. Dello stesso parere anche Guicciardini, p. 85.


50. Bosisio, p. 364.
51. ^ Young, p. 84.
52. ^ Machiavelli, pp. 523-524.
53. ^ Cappelli, p. 119.
54. ^ Hay:

«Gli effetti di tale espediente furono di breve durata, e l'incapacità del papa di
controllare lo Sforza lo spinse a servirsi di Giovanni Maria Vitelleschi, che con
estrema brutalità sottomise i Colonna e i loro alleati. Davanti a loro nel 1434 il papa
era dovuto scappare da Roma in barca lungo il corso del Tevere fino al mare, dove
aveva preso una galera per Pisa e di lì si era recato a Firenze.»

55. ^ Hay:

«Frattanto i Greci, vale a dire l'imperatore Giovanni VIII Paleologo, il patriarca di


Costantinopoli e circa ventidue vescovi, avevano dato inizio a Ferrara ai negoziati
per la riunificazione proseguiti dopo il gennaio 1439 a Firenze, dove E[ugenio] aveva
trasferito il concilio.»

56. ^ Young, p. 72.


57. ^ Cappelli, p. 117.
58. ^ Young, p. 73.
59. ^ Parks, p. 131.
60. ^ Young, p. 53.
61. ^ Cappelli, pp. 210-211.
62. ^ Parks, p. 132.
63. ^ Cesati, p. 27.
64. ^ Young, p. 106. Si ricorda inoltre un aneddoto, riportato da Machiavelli, p. 572, secondo cui
Cosimo, subito dopo la morte del figlio Giovanni, si sarebbe fatto portare in lettiga per le
varie stanze del Palazzo di Via Larga commentando: «Questa è troppo gran casa a sì poca
famiglia».
65. Cesati, p. 29.
66. ^ Hake, p. 53.
67. ^ Young, pp. 106-107.
68. ^ L'intera vicenda del funerale e la dedicazione del titolo onorifico datogli post mortem è
esposta in Young, p. 107.
69. ^ Cesati, p. 26.
70. ^ Parks, p. 109.
71. ^ De Vecchi-Cerchiari, p. 136.
72. ^ Young, p. 94.
73. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 252.
74. ^ Parks, p. 108.
75. ^ Vespasiano da Bisticci, pp. 252-253:
«Non avendo Cosimo tanti libri che bastassino a una sì degna libreria, come è detta
nella Vita di Nicolao Nicoli, tutti gli esecutori del testamento furono contenti per
adempire la voluntà del testatore, che fussino in Santo Marco, a comune utilità di
quelli che n'avessino bisogno; e in ogni libro, per memoria di chi fuorono, vi è come
erano stati della redità di Nicolao Nicoli.»
76. De Vecchi-Cerchiari, p. 78.
77. ^ Il contenuto della sezione è ricavabile dall'articolo sulla Badia Fiesolana.
78. ^ Young, p. 80.
79. ^ Biblioteca Medicea Laurenziana.
80. ^ Vespasiano da Bisticci, pp. 255-256.
81. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 256.
82. ^ Young, p. 77.
83. ^ De Vecchi-Cerchiari, p. 128.
84. ^ Cappelli, pp. 125-126.
85. ^ Kent:

«L’interesse del M[edici] per le idee neoplatoniche si espresse con il patrocinio


dell’attività di Marsilio Ficino, figlio del primo medico di famiglia dei Medici.»

86. ^ Cfr. per le informazioni biografiche, la voce del DBI curata da Vasoli.
87. ^ Vasoli:

«Si sa però che egli [Ficino] indicò proprio questi anni come il tempo della rinnovata
Accademia platonica che si sarebbe formata a Careggi sotto la protezione di
Cosimo.»

88. ^ Garin, p. 94.


89. ^ Ferroni, p. 36.
90. ^ Per l'intera vicenda storico-filologica, si veda Kristeller, p. 238.
91. ^ Young, p. 88.
92. ^ Porisini, pp. 366-367.
93. Porisini, p. 367.
94. ^ Parks, p. 100.
95. ^ Parks, p. 101.
96. ^ Parks, pp. 149-150.
97. ^ Young, p. 89.
98. ^ Parks, p. 74.
99. ^ Kent, non a caso, scrive, riguardo ai giudizi storiografici dei contemporanei, che:

«La fama del M[edici] presso gli scrittori contemporanei fu alterna: criticato per
l’accentramento del potere nelle sue mani, fu però anche apprezzato per la sua
saggezza e il suo equilibrio, nonché per il suo successo.»

100. ^ Guicciardini, pp. 182-183.


101. ^ Si ricordino gli affreschi di Giorgio Vasari, Storie di Cosimo il Vecchio, in Palazzo Vecchio
commissionati su ordine di Cosimo I (cfr. Cosimo il Vecchio).
102. ^ Young, p. 109.
103. ^ Guicciardini, p. 93.
104. ^ Hale, p. 46:

«Come uomo prudente, dignitoso, riservato e severo che aveva larghi interessi in
gioco nell'ordine interno e nella prospettiva cittadina...»

105. ^ Viti:

«Il 18 maggio 1433 [...] fu ferito al volto con un coltello da Filippo Casali, del contado
di Imola, e la cicatrice gli sarebbe rimasta per sempre. Nel successivo processo lo
stesso rettore dello Studio, Girolamo Broccardi - col quale il F[ilelfo] già in
precedenza aveva avuto violenti scontri - si accusò come mandante, ma il clamore
del fatto e il clima di generale conflittualità portarono a vedere, dietro il sicario,
Cosimo de' Medici.»

106. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 258.


107. ^ Vespasiano da Bisticci, p. 259.
108. ^ Hale, p. 25.
109. ^ Cesati, p. 97.
110. Contessina de' Bardi.
111. ^ Carlo di Cosimo.
112. ^ Young, p. 24.
113. ^ Young, p. 25.
114. ^ Daniell.
115. ^ Daniell, 2.
116. ^ I Medici.
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Romanzi
Matteo Strukul, I Medici. Una dinastia al potere, Firenze, Newton Compton Editori, 2016,
p. 382, ISBN 978-8854194793.

Voci correlate
Medaglia di Cosimo il Vecchio
Ritratto di Cosimo il Vecchio
Storia di Firenze
Lorenzo de' Medici
Banco dei Medici
Tavole genealogiche della famiglia Medici

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Collegamenti esterni

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Cosimo il Vecchio (1389-1464), su palazzo-medici.it, Palazzo Medici Riccardi, 2007. URL
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ttps://opac.vatlib.it/auth/detail/495_21250) · CERL cnp01262870 (https://thesaurus.c
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