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Indice
Origine ed età ducale
La nascita del Ducato
La rivolta anti-iconoclasta
Il regime dei magistri militum
La conquista dell'elettività ducale
La caduta dell'Esarcato
Il tentativo di annessione franca
L'età dei Parteciaci: la nascita di Venezia e l'origine del legame con San Marco
L'invasione degli Ungari
Il Ducato tra Parteciaci e Candiani
La grande espansione marittima e l'età comunale
L'età degli Orseoli
La cacciata degli Orseoli e la prima legge costituzionale della Repubblica
L'espansione commerciale
La prima crociata e la prima guerra con Bisanzio
La nascita del Comune
I conflitti coi due Imperi
La terza crociata e la guerra di Zara
La Quarta Crociata e la conquista dello Stato da Mar
La guerra di San Saba e la rinascita dell'Impero bizantino
Venezia in bilico tra popolari e oligarchici
La formazione del sistema oligarchico
La crisi alla metà del Trecento
Le guerre di Trieste, Chioggia
L'espansione in Terraferma e l'età della Serenissima
Le guerre con Padova e Milano
La conquista del Veneto, del Friuli e della Dalmazia
L'apogeo e la nascita della Serenissima
La comparsa della minaccia turca e la guerra del Sale
L'acquisto di Cipro, le guerre d'Italia e il nuovo conflitto coi Turchi
La crisi dei commerci e la lega di Cambrai: l'Europa contro Venezia
La relativa pace a metà Cinquecento
Lepanto, la perdita di Cipro
Il XVII e il XVIII secolo, l'età del lento declino
Venezia contro la Spagna: la Guerra di Gradisca, la congiura di Bedmar e la Guerra di
Valtellina
La guerra di Candia
L'ultima vittoria: la spedizione in Morea
Il Settecento veneziano
La Caduta
Note
Esplicative
Bibliografiche
Bibliografia
Voci correlate
Nel 537 Venezia inviò navi armate a fianco della flotta bizantina
per rifornire e dare sostegno al generale Belisario assediato in
Roma dai Goti.[4] L'imperatore bizantino Giustiniano I
con il suo seguito, raffigurato in un
La provincia della Venetia et Histria venne travolta nel 568 mosaico della Basilica di San Vitale,
dall'invasione dei Longobardi, che ne occuparono l'entroterra, a Ravenna
relegando i Venetici nelle aree costiere e lagunari, dove si
svilupparono nuovi centri urbani: Grado, Caorle, Eracliana,
Equilio, Torcello, Rivoalto, Metamauco, Chioggia e altri.
Nel 580 l'imperatore Tiberio II tentò di riordinare l'assetto territoriale aggregando questi territori
nell'eparchia Annonaria, ma già nel 584 l'imperatore Maurizio separò i territori venetici da Ravenna,
costituendoli in distretto col nome greco di Venetikà.
Tra la fine del VII secolo e gli inizi dell'VIII secolo come le altre
province bizantine d'Italia la Venetia venne eretta in ducato[5][6],
con a capo un governatore sia militare sia civile avente il titolo di
dux. Secondo la tradizione il primo duca della Venetia fu
l'opitergino - o eracleense[5] - Paolo Lucio Anafesto, l'inizio del cui
governo è convenzionalmente posto nel 697, durante il regno di
Leonzio[5][6][N 1], posticipabile però al 698 stando alla Cronaca
Altinate[7], mentre il diacono Giovanni fa risalire l'evento
addirittura agli anni della reggenza imperiale di Anastasio II,
dunque attorno al 713[8], attribuendo inoltre l'elezione agli stessi
Venetici[N 2].
La rivolta anti-iconoclasta
La morte di Marcello Tegalliano giunse in un momento di grave crisi politica provocata dalle conseguenze
dei provvedimenti iconoclasti ordinati dall'imperatore Leone: nel 726 l'Italia cadde così preda di rivolte
intestine e molti ducati bizantini insorsero contro Costantinopoli e Ravenna. I veneti in rivolta nominarono
così autonomamente nel parlamento a Eraclea[4] tra i tribuni un dux (dal latino, <comandante>; da cui poi
sarebbe derivato il termine doge), nella persona di Orso Ipato[9]. Della situazione approfittarono nel 727 i
Longobardi che occuparono Bologna e minacciarono Ravenna, provocando la fuga dell'esarca Paolo. Per
reazione, papa Gregorio II esortò il duca Orso a fornire aiuto all'esarca. Nel 728 la capitale Ravenna venne
riconquistata dai Bizantini aiutati dai Veneziani; l'autorità di Orso Ipato fu legittimata l'anno successivo,
728, con la concessione imperiale del titolo di Ipato.
Agli inizi dell'VIII secolo una nuova e grave rivolta scosse l'Esarcato: guidata da Giorgio Ioanniccio, a
seguito dell'applicazione delle norme del concilio in Trullo, condannante la pratica latina del celibato
ecclesiastico, la ribellione assorbì l'attenzione del nuovo esarca Eutichio, che riuscì però infine a soffocarla.
L'esarca riuscì anche a riportare sotto il completo controllo bizantino la Venetia: approfittando infatti
dell'assassinio del duca Orso, coinvolto nell'ennesimo scontro tra Eracliana ed Equilio, Eutichio ordinò nel
738 che il governo del ducato fosse assegnato a magistrati militari annuali, i Magistri Militum. Garantitosi
così la fedeltà della Venetia e la riscossione delle sue tasse, Eutichio riparò nel 740 nelle lagune allorché i
Longobardi occuparono nuovamente Ravenna. L'anno successivo, 741, Eutichio riprese la città con l'aiuto
del magister militum Gioviano Cepanico, che venne in cambio nominato Ipato. Il potere bizantino sull'Italia
appariva tuttavia in inarrestabile declino, mentre nella Venezia si riaccendevano per l'ennesima volta gli
scontri tra le città rivali di Eracliana ed Equilio.
Il governo di Teodato dovette far fronte a una situazione di sempre crescente minaccia longobarda: nel 743
Liutprando si impossessò di Cesena e l'esarca Eutichio, sentendosi direttamente minacciato, chiese aiuto a
Papa Zaccaria, il quale intercesse presso il re per ottenere la salvezza di Ravenna, avviando al contempo i
primi contatti con Pipino, maggiordomo di palazzo del re dei Franchi Childerico III, alla ricerca di alleati in
grado di tener testa ai Longobardi.
Appena pochi anni dopo tuttavia, nel 751, il re longobardo Astolfo
prese d'assalto Ravenna, ponendo fine all'Esarcato. Eutichio si
rifugiò a Bari, ma non fu mai più in grado di riprendere la città. Di
fronte alla tragica situazione dei Bizantini, il Ducato di Venezia si
ritrovò quasi completamente isolato nell'Adriatico settentrionale. Il
duca Teodato, reagì rinforzando la propria frontiera meridionale,
rimasta sguarnita dopo la caduta di Ravenna, erigendo la nuova
fortezza della Torre delle Bebbe, nei pressi dell'antica foce
dell'Adige. Il nuovo assetto politico conseguente al declino del
potere imperiale influì anche nella componente amministrativa del
territorio: al trasferimento della capitale a Malamocco dovette
infatti coincidere anche la vittoria definitiva del partito insulano,
La Promissio Carisiaca: donazione di mercantile e legato ai commerci marittimi, contro quello dei
Pipino il Breve a papa Stefano II fondiari e degli agrari legato agli ultimi lembi di terraferma[13].
delle terre dell'Esarcato
La popolazione romanica dell'Esarcato, frattanto, perso il
riferimento rappresentato dall'Esarca, trovò come unico riferimento
il papato, che si poneva come erede del sistema giuridico e sociale imperiale: Stefano II, spaventato dal
successo di Astolfo, accelerò così l'alleanza con i Franchi di Pipino contro il re longobardo, inaugurando
una nuova politica per tutta la Chiesa occidentale[14]. Pipino, dal canto suo, inviò ambasciatori al Papa per
saggiarne la disponibilità a incoronarlo re dei Franchi al posto dell'imbelle Childerico: il papa puntualmente
ordinò l'arresto e la tonsura del re, che venne deposto, permettendo a Pipino di instaurare una nuova
dinastia. Fatto l'accordo, nel 754 i Franchi calarono in Italia, battendo Astolfo e costringendolo ad
abbandonare le recenti conquiste, consegnandole a papa Stefano II attraverso la Promissio Carisiaca.
Mentre accadevano proprio questi avvenimenti il ducato di Teodato venne bruscamente interrotto da una
congiura, che portò nel 755 brevemente al potere Galla Gaulo[15].
Dopo l'insignificante e brevissima reggenza di Galla Gaulo, terminata nel 756, seguì quella di Domenico
Monegario. Il nuovo duca vide però il proprio potere limitato dalla presenza di due tribuni, eletti per
affiancarlo e controllarne l'operato, forse per volontà del partito fondiario che trovava nell'antico sistema
tribunizio un sostegno al proprio potere agrario[N 6]. Nel corso degli otto anni successivi il Monegario tentò
invano di liberarsi della tutela tribunizia, ma, non riuscendovi, finì infine per soccombere: deposto e
scacciato, venne sostituito dall'eracleense Maurizio Galbaio[16].
L'atto non lasciò però indifferenti i Bizantini. L'imperatore Niceforo I, che già aveva inviato le proprie
truppe a riprendere il controllo della Dalmazia, occupata nell'806 dai Franchi, inviò nell'Adriatico una
potente flotta al comando del patrizio Niceta. Il duca Obelerio si affrettò dunque a rinnovare l'antica fedeltà
a Costantinopoli, ricevendone in cambio il titolo di protospatario. Le gerarchie filo-bizantine vennero
ripristinate[19] e il co-Dux Beato seguì Niceta a Costantinopoli con l'ordine di presentarsi al cospetto
dell'imperatore, dal quale fu benevolmente accolto, ricevendo il titolo di Ipato prima di poter rientrare a
Metamauco.
Nell'809 i Bizantini poterono così utilizzare liberamente la Venezia come base per le loro operazioni contro
i Franchi. Giunse infatti dall'oriente una nuova flotta, al comando del duca di Cefalonia Paolo, con
l'incarico di intavolare trattative con il nuovo re d'Italia, Pipino, figlio di Carlo, e, in caso d'insuccesso, di
passare alle vie di fatto. Fallite entrambe le opzioni, Paolo lasciò l'Adriatico, lasciando la Venezia sola
contro l'ira di Pipino. Il sovrano franco attaccò dunque il Ducato dalla terra e dal mare con l'intenzione di
annetterlo definitivamente. Dopo gli iniziali successi l'operazione si arrestò davanti alla strenua resistenza di
Metamauco. La parziale distruzione della flotta franca per opera dei Venetici e le notizie riguardanti
l'approssimarsi della flotta bizantina convinsero infine i Franchi ad abbandonare la Venezia e tentare
l'assalto alla Dalmazia, desistendo però anche qui al sopraggiungere dei Bizantini.
La vittoria contro il fallito tentativo di conquista franco provocò come principale conseguenza il definitivo
successo del partito filo-bizantino. Il duca Obelerio venne deposto e consegnato al plenipotenziario
bizantino Arsacio, giunto per trattare la pace coi Franchi. Obelerio seguì l'ambasciatore prima alla corte
carolingia di Aquisgrana, infine a Costantinopoli, dove la missione dovette in fretta rientrare per
l'improvvisa morte del basileus Niceforo, caduto lungo la frontiera bulgara. Con la pax Nicephori, Carlo
Magno, ottenuto il riconoscimento del titolo imperiale, rinunciò al dominio sulla laguna veneta e sulla
Dalmazia. I Venetici rinnovarono la lealtà verso Bisanzio, mantenendo però i vecchi privilegi e le antiche
autonomie conquistate, tanto che le città adriatiche non furono incluse nel nuovo sistema burocratico
bizantino fondato sui themata[20]. La supremazia filo-bizantina venne infine suggellata dall'ascesa al trono
ducale di un nobile eracleense, Angelo Partecipazio, particolarmente distintosi nel corso del conflitto.
L'età dei Parteciaci: la nascita di Venezia e l'origine del legame con San
Marco
In un periodo che va dal 855 e l'880 la zecca veneziana prende forma ed incomincia a battere moneta[25].
Nell'864 il Tradonico venne trucidato all'uscita dalla messa di consacrazione della chiesa di San Zaccaria,
uno dei simboli del potere dei Parteciaci, che l'avevano eretta grazie alla generosa donazione fatta al doge
Angelo dal Basileus dei Romani Leone l'Armeno, che aveva inviato all'uopo il corpo di San Zaccaria e
l'oro necessario all'edificazione. L'assassinio contrassegnò il ritorno al potere dei Parteciaci, tra i quali venne
designato il nuovo doge: Orso I. Il doge, per fugare ogni dubbio di un suo coinvolgimento, perseguì
duramente gli assassini del Tradonico, ma al contempo allontanò da Rialto i fedelissimi del predecessore,
deportandoli, seppur tra concessioni e privilegi, nell'abitato di Popilia. Orso Partecipazio si rivolse prima
quindi contro i saraceni che sconfigge a Taranto nel 867 ed i pirati slavi, gli accordi coi quali tanto cari
erano costati alla sua famiglia, e successivamente verso Aquileia, dove strinse nell'880 un trattato con il
patriarca Valperto per porre fine alle scorrerie nel territorio di Grado. In quello stesso anno dovette però
subire un'incursione slava che portò al saccheggio di Cittanova. Frattanto Orso Partecipaeio aveva
rinsaldato i legami con Bisanzio, sposando una nipote dell'imperatore Basilio I il Macedone, dalla quale
aveva avuto quattro figli, e fregiandosi del titolo di protospatario. Il duca, il cui legame matrimoniale con
gli imperatori orientali proiettava la famiglia parteciaca a un livello mai conosciuto prima dagli esponenti del
patriziato venetico, consolidò la successione dinastica associando il figlio Giovanni II Partecipazio, che gli
succedette quindi regolarmente nell'881.
Il Doge Pietro Tribuno, nipote di Pietro Tradonico, il quale nel 900 si trovò ad affrontare l'invasione degli
Ungari che, approfittando del caos in cui erano sprofondati in quell'epoca i domini dei Franchi, avevano
preso a compiere scorrerie nell'Italia nord-orientale, sconfiggendo persino l'imperatore Berengario. Di
fronte alla minaccia il duca veneziano rafforzò le difese delle lagune, avviando anche la costruzione di
nuove mura per la difesa della nascente città di Venezia.
Gli Ungari, di ritorno vittoriosi verso le loro terre invasero il Ducato, prendendo d'assalto Cittanova
Eracliana, Equilio, Brondolo e le due Chioggie, avanzando quindi verso il porto di Albiola, poco a sud di
Metamauco, dove vennero però infine respinti e sconfitti. Il doge venne ricompensato con le lodi di
Berengario e col titolo di protospatario da parte di Leone VI il Saggio.
Nel 912, alla morte del Tribuno, il potere tornò nuovamente nelle mani di un esponente dei Parteciaci, Orso
II, il quale si impegnò immediatamente a rinsaldare i legami con Costantinopoli, inviandovi in ambasceria il
figlio Pietro e ricevendo in cambio dagli imperatori Alessandro e Costantino VII anch'egli il titolo di
protospatario. Nel 924, poi, il doge ottenne dal re d'Italia Rodolfo il rinnovo del privilegio di batter moneta,
che nella cronaca Altinate sembra fosse già stato una prima volta riconosciuto all'epoca di Carlo Magno.
Abdicando Orso II nel 932 gli succedette Pietro II Candiano, il quale rivolse la propria attenzione all'Istria,
le cui città costiere chiedevano protezione contro le scorrerie degli Slavi. Il trattato di alleanza provocò la
reazione del marchese dell'Istria Vintero, della famiglia dei Lanteri, il quale, irritato per il sopruso, confiscò
tutti i beni dei Veneziani nei suoi territori. La reazione di Pietro II fu un blocco navale che costrinse nel 933
Vintero a sottoscrivere con il Ducato di Venezia la pace di Rialto, con la quale si riconosceva libertà di
commercio e navigazione ai Veneziani sulle coste istriane. Il doge si rivolse poi contro Comacchio, che
risollevatasi, minacciava nuovamente gli interessi veneziani nell'Adriatico. La città venne assalita e costretta
a piegarsi, approfittando della debolezza del re d'Italia Ugo di Arles, troppo impegnato nel tentativo di
essere eletto imperatore e nelle dispute romane, dove il papato, proprio a seguito delle lotte di potere sorte
attorno alle incoronazioni imperiali, era sprofondato nell'epoca della cosiddetta pornocrazia e giaceva nelle
mani della spregiudicata senatrice Marozia.
Morto Orso, venne eletto doge per l'ultima volta nel 939 un Parteciaco,
Pietro II, figlio di Orso II, il cui breve e tranquillo dogado terminò nel 942,
quando venne eletto a succedergli Pietro III Candiano, figlio di Pietro II. Il
doge dovette intervenire con un blocco navale in favore del patriarca
Marino contro le minacce dell'aquileiense Lupo II, che il 13 marzo 944
firmò la pace e la promessa di non prendere mai più le armi contro Grado.
Nel 948 il Candiano inviò una spedizione di trenta navi contro i Narentani,
che disturbavano il commercio veneziano, ma il risultato fu un completo
fallimento, tanto che nel 945 questi arrivarono ad assalire la stessa Olivolo,
rapendone il 31 gennaio dalla cattedrale di San Pietro dodici fanciulle
durante la durante la processio scholarum, una festa dei matrimoni. Il doge
rispose inviando sulle tracce dei pirati la flotta, che li raggiunse il 2
Lo stemma di Pietro I febbraio a Caorle, sconfiggendoli e liberando le giovani donne. Nel 951,
Candiano e della sua poi, Pietro III strinse accordi con il re d'Italia Berengario II, cercando poi di
famiglia consolidare la dinastia candiana associando al trono il figlio Pietro IV
Candiano, ma questi, decisosi ad affrettare la successione, tentò di
rovesciare il padre, venendo sconfitto ed esiliato. Pietro IV, tuttavia,
alleatosi col re Berengario e col marchese di Ravenna, prese a minacciare la Venezia. Per questo motivo nel
959, Pietro III, colpevole di aver data salva la vita al figlio, venne deposto e i Venetici, per evitare la guerra,
si risolsero a richiamare Pietro IV dall'esilio e a farlo doge.
Appena eletto, il nuovo doge, Pietro I Orseolo, dovette sostenere i propri diritti presso l'imperatore tedesco
Ottone II, sobillato contro di lui dal patriarca Vitale Candiano e dalla principessa Valdrada, scampata
all'eccidio del padre e rifugiatasi presso l'imperatrice madre di Germania, Adelaide. Giunti a una
composizione, il doge e l'imperatore rinnovarono gli antichi accordi tra la Venezia e il Sacro Romano
Impero. Libero da questa incombenza Pietro I Orseolo poté così dedicarsi alla ricostruzione del Palazzo e
della basilica di San Marco, distrutti durante la rivolta assieme a una larga parte della città. Il suo ducato fu
tuttavia breve, più attirato dalle necessità religiose che dalle incombenze mondane, costantemente
minacciato dalle trame del patriarca Vitale, il doge rimase folgorato dall'incontro con l'abate di San Michele
di Cuxa, giunto a Venezia per adorare le spoglie di San Marco. La notte del 1º settembre 978, così, Pietro
Orseolo fuggì dalla città per ritirarsi in monastero sui Pirenei, dove morì diciannove anni dopo, meritando la
canonizzazione da parte della Chiesa cattolica.
La fuga di Pietro consentì il ritorno al potere dei Candiani. L'assemblea nominò infatti doge Vitale
Candiano, figlio di Pietro III e fratellastro dell'omonimo patriarca. La malferma salute del doge lo costrinse
però ad abdicare dopo appena quattordici mesi, ritirandosi nell'abbazia di Sant'Ilario.
Succedette dunque nel 979 il Doge Tribuno Memmo, il cui regno venne però turbato dalle discordie
interne. Inizialmente, infatti, l'imperatore Ottone II rinnovò i privilegi commerciali che già erano stati siglati
con molti dogi, il giorno 7 giugno 983. Successivamente, le tensioni tra la fazione che appoggiava il Sacro
Romano Impero, capeggiata dalla famiglia Coloprini, e quella più vicina all'impero d'oriente, appoggiata
dai Morosini, portarono l'imperatore d'occidente a imporre il bando dei commerci a Venezia, mentre in città
le proprietà dei traditori venivano prese d'assalto. Alla morte di Ottone II, avvenuta a Roma il 7 dicembre
983, i Coloprini ottennero il perdono e tornarono a Venezia: Tribuno Memmio mandò invano il figlio
Maurizio a Costantinopoli in cerca di sostegno, ma non ottenne nulla e nel 991 fu costretto ad abdicare e a
ritirarsi in convento. Nel 982 il Doge Tribuno Memmo cedette al monaco Giovanni Morosini l'isola di San
Giorgio ove venne fondata l'Abbazia di San Giorgio Maggiore in tale documento viene citato Domenico
Fiolarius fabbricante di ampolle. È il primo documento che riporta una lavorazione del vetro a Venezia.
Gli succedette Ottone Orseolo, che rafforzò la posizione della dinastia sposando nel 1011 Maria Arpade,
sorella del re d'Ungheria Stefano I e promuovendo nel 1018 il fratello Orso, neppure trentenne, a patriarca
di Grado e facendogli succedere sulla cattedra torcellana l'altro fratello ecclesiastico, Vitale Orseolo, di soli
vent'anni, tra le proteste del patriarca di Aquileia Poppone, che denunciò l'irregolarità di queste elezioni e
immediatamente dopo assaltò Grado, approfittando del fatto che, divenuti invisi per il loro eccessivo potere,
il doge e il patriarca Orso erano stati esiliati in Istria. L'attacco aquileiense giocò però in favore di Ottone,
impegnato nella difesa vincente di Zara contro Cresimiro Re di Croazia, venne richiamato a Venezia, salvo
essere nuovamente deposto nel 1026 in una rivolta capeggiata da Domenico Flabanico: fu preso, gli fu
tagliata la barba e venne esiliato a Costantinopoli.
Succedette dunque come doge l'eracleense Pietro Centranico, ma la sua posizione risultava decisamente
precaria. Dall'Ungheria re Stefano, sobillato dagli Orseoli e proclamandosi difensore dei loro diritti, prese a
minacciare la Dalmazia veneziana, mentre il cognato di Ottone, divenuto imperatore d'Oriente come
Romano III, prese a premere su Venezia per favorirne il ritorno. Gli Orseoli, dal canto loro, approfittando
dell'assenza dalla città del Flabanico, protettore del doge, catturarono nel 1031 il Centranico e, riservandogli
lo stesso trattamento reso a Ottone, lo cacciarono dalla città.
La cacciata degli Orseoli e la prima legge costituzionale della Repubblica
Alla cacciata del Centranico, il patriarca Orso inviò immediatamente a richiamare dall'esilio il fratello
Ottone, per riassumere il ducato, ma questi preferì trattenersi ancora a Costantinopoli, affidando quindi la
reggenza in suo nome a Orso, in attesa che le condizioni si facessero consone a un proprio rientro. La
notizia dell'improvvisa morte di Ottone nel 1032 spiazzò però il reggente, che veniva di colpo a perdere i
fondamenti del proprio potere, senza che vi fosse un erede designato. Nella sua qualità di patriarca Orso si
affrettò a incoronare doge il nipote Domenico Orseolo, nella speranza che, presentandosi a cose fatte,
l'assemblea popolare approvasse la successione. L'assemblea, però, anziché approvare l'operato di Orso, si
sollevò contro Domenico, costringendolo alla fuga verso Ravenna. Dopodiché la Concio, esasperata dalle
continue rivolte e contese dinastiche, decretò, con quella che viene considerata la prima legge costituzionale
dell'ordinamento veneziano, la perpetua abrogazione della pratica dell'associazione al trono dei co-Dux,
l'allontanamento dal potere di tutti i discendenti della famiglia degli Orseoli e lo stabile affiancamento al
doge di due consiglieri ducali incaricati di sorvegliarne l'operato. Dopodiché elesse doge proprio il
Flabanico, che venne mandato a richiamare in città.
L'espansione commerciale
Il nuovo doge Vitale Falier intervenne con maggiore decisione contro i Normanni, sconfiggendoli a
Butrinto e costringendoli alla difensiva, sino a quando, con la morte del Guiscardo nel 1085 il suo esercito
abbandonò le posizioni raggiunte per ritornare in Puglia. Al doge l'imperatore bizantino concesse dunque il
titolo di Duca di Venezia, Dalmazia e Croazia e quello di Protosevasto, autorizzandolo al contempo a
battere moneta stampigliando, oltre al nome dell'imperatore, la frase S. Marcus Venecia. La morte nel 1089
di Demetrio, ultimo re croato, portò all'unione della sua corona con quella ungherese di re Colommanno:
l'evento, oltre a costituire un nuovo potente vicino per i possedimenti dalmati di Venezia, rinsaldò le pretese
croate sulla regione a quelle ungheresi risalenti al breve regno magiaro della dinastia orseola. Mentre la
nuova minaccia andava profilandosi all'orizzonte, a Venezia l'8 ottobre 1094, alla presenza del doge, del
patriarca e dell'imperatore Enrico IV, si tenne la solenne consacrazione della nuova basilica di San Marco e
le spoglie del Santo, miracolosamente ritrovate durante i lavori dall'antico nascondiglio in cui erano andate
perdute dopo l'ultimo incendio, vennero collocate nella cripta e nuovamente occultate in un luogo noto solo
al doge, al primicerio e ai procuratori di San Marco.
Nel 1095, mentre a Venezia diveniva doge Vitale I Michiel, in Francia, al concilio di Clermont, papa
Urbano II, accogliendo le richieste d'aiuto contro la minaccia selgiuchida portate dagli ambasciatori
bizantini, diede il via al movimento crociato. L'atto in realtà andava ben oltre la richiesta dell'imperatore
bizantino, il quale sperava semplicemente nell'invio di mercenari franchi per rinfoltire le sue truppe, ma la
grande partecipazione all'appello papale rese la partenza della crociata un evento inarrestabile. Venezia, al
contrario delle altre repubbliche marinare italiane, non seppe inizialmente interpretare correttamente la
portata del fenomeno: non fidando nella riuscita del progetto il doge rifiutò di prendere la croce, mentre
Pisani e Genovesi, dal canto loro, fornivano aiuto e navi alla spedizione di Goffredo di Buglione.
Quando nel 1098 i crociati
conquistarono Antiochia,
creando il primo nucleo
degli stati crociati, il doge
comprese finalmente
l'importanza e la portata
economica di questa
guerra d'occupazione e il
rischio connesso a lasciare
i conseguenti vantaggi
commerciali alle altre I percorsi seguiti dalle varie
repubbliche. Nel luglio del spedizioni della Prima Crociata
Papa Urbano II proclama la Prima 1099 salparono perciò da
Crociata al Concilio di Clermont Venezia ben 207 navi al
comando congiunto di Giovanni Vitale, figlio del doge, e del
vescovo di Olivolo, Enrico Contarini. A dicembre la flotta
veneziana intercettò a Rodi le navi pisane, alleate di Boemondo I d'Antiochia, entrato in contrasto con
l'imperatore bizantino Alessio, e le affondò. Poi, nella primavera del 1100, la flotta veneziana si diresse
verso le coste della Terrasanta, dove nel frattempo Goffredo di Buglione aveva preso Gerusalemme ma,
privato della flotta pisana, era impossibilitato a ricevere aiuti. Goffredo fu così costretto a scendere a patti
con i Veneziani, che concessero i loro servizi in cambio del possesso, in ogni territorio o città conquistata, di
un proprio quartiere non soggetto a dazi, tasse o gabelle. Ben presto caddero Haifa, Giaffa e i territori della
Siria costiera, con Mira, dalla quale i Veneziani asportarono le residue reliquie di San Nicolò, salvatesi dal
precedente passaggio dei Baresi, inviandole in patria. La spedizione rientrò quindi nel 1101. Il doge morì
nella primavera del 1102, proprio mentre il re croato-ungherese Colomanno, conquistata Zara, si faceva
incoronare Re d'Ungheria, Croazia e Dalmazia.
Nuovo doge venne eletto l'altro figlio di Vitale, Ordelaffo Falier. Preoccupato per la guerra con gli
Ungheresi, il nuovo doge ordinò nel 1104 la concentrazione di tutti gli squeri per la costruzione delle navi
nella parte orientale della città, creando il primo nucleo dell'Arsenale di Venezia. La guerra durò dal 1105 al
1115, quando Venezia riuscì alfine a riconquistare Zara e Sebenico. Nel frattempo Ordelaffo prende parte
alla crociata norvegese assediando vittoriosamente Sidone Al termine del conflitto Ungherese Ordelaffo fu
dunque libero di partire per la Siria, dove continuava l'espansione crociata, partecipando alla conquista della
città di Acri: dal locale convento greco di Cristo Pantocratore furono asportati oro e smalti che, inviati a
Venezia, formarono la Pala d'oro che decora tutt'oggi l'altar maggiore della basilica marciana. Rientrato in
patria il doge dovette nuovamente intervenire contro gli Ungheresi, morendo però in combattimento a Zara
nel 1117.
Il doge Domenico Michiel inviò come consuetudine nel 1118 ambasciatori al nuovo imperatore d'Oriente
Giovanni II Comneno per chiedere il rinnovo dei trattati tra Venezia e l'Impero, ma il sovrano greco, irritato
per la crescente arroganza dei mercanti veneziani e per il danno che la loro attività privilegiata portava
all'economia di Bisanzio, rifiutò di confermare i privilegi concessi nella bolla aurea del predecessore
Alessio, preferendo anzi favorire i mercanti pisani e genovesi. Approfittando della richiesta d'aiuto
provenienti dai franchi d'Outremer dopo la cattura del re di Gerusalemme Baldovino II da parte dei
Saraceni, Venezia si offrì prontamente di accorrere in soccorso, desiderosa di inviare una potente flotta in
Oriente. L'8 agosto del 1122, dopo aver nominato come reggenti il figlio e il nipote col titolo di Venetiarum
Praesides, il doge salpò verso oriente piombando quindi lungo il tragitto sulla bizantina Corfù, che resistette
però all'assedio. Nel 1123, però, la flotta veneziana si presentò nel mare greco devastando Chio, Lesbo,
Rodi e infine Cipro. Poi il doge decise di rivolgersi contro gli Egiziani, sostenendo i crociati nella conquista
di Ascalona[26]. Il Michiel strinse quindi accordi con il patriarca di Gerusalemme Guarmondo, il gran
connestabile del Regno Guglielmo di Bari e il segretario della Soria Pagano, cosicché, dopo aver trascorso
il Natale a Gerusalemme, garantito ai Veneziani il possesso di un quartiere in ogni città del Regno e la
completa esenzione da ogni dazio, la flotta di San Marco mosse contro Sidone e Tiro, conquistata con
l'inganno il 30 luglio 1124 dopo un assedio di cinque mesi. Liberatosi così dagli impegni con gli Stati
cristiani d'Oltremare, il Doge tornò a rivolgersi contro i bizantini, devastando Samo e Andro, facendo infine
ritorno nell'Adriatico per placare le mire di Stefano II d'Ungheria che minacciava i possedimenti veneziani.
Rientrato a Venezia, il doge riportava con sé, tra i numerosi bottini, i preziosi corpi di Sant'Isidoro e San
Donato. Nel 1126, di fronte alle nuove devastazioni veneziane delle isole di Modone e Cefalonia
l'imperatore orientale pose fine alla guerra emanando una nuova Crisobolla, riconoscendo tutti i precedenti
diritti già concessi dal padre e incrementandoli con nuove esenzioni e monopoli.
Nel 1130 al Michiel succedette nel dogado Pietro Polani. Durante il suo dogado, nel 1143 l'assemblea
popolare votò la costituzione di un Consilium Sapientium che operasse come propria rappresentanza
permanente e affiancasse il doge nel governo: questo organo fu il primo embrione di un nuovo sistema
comunale, simile a quelli contemporaneamente sviluppantisi in molte città italiane, sancito anche dalla
comparsa nei documenti pubblici della dicitura Commune Veneciarum.
Nel 1148, contemporaneamente all'elezione a nuovo doge di Domenico Morosini, il potere ducale ricevette
un nuovo colpo dall'istituzione della Promissio Ducis, un giuramento di fedeltà costituzionale da richiedere
al doge al momento dell'insediamento, che, a partire da questo momento verrà continuamente rinnovato a
ogni nuova elezione, limitando progressivamente sempre più i poteri del principe a vantaggio delle nascenti
istituzioni repubblicane: tutta presa dal riassetto politico interno, Venezia non partecipò alla Seconda
Crociata (1145-1149). In politica estera, si mostrò meno marcatamente filobizantino del predecessore,
ottenendo il ritiro dell'interdetto papale e incassando il riconoscimento della signoria sulle Marche con il
titolo di Dominator Marchiae. Il Morosini morì nel febbraio 1156.
Quando venne eletto il nuovo doge, Vitale II Michiel, la situazione politica internazionale si andava
facendo critica per Venezia. Gli ambasciatori inviati a Costantinopoli trovarono che Manuele I Comneno
aveva parificato i privilegi genovesi a quelli veneziani e pisani, a motivo degli screzi che si erano verificati
con il doge precedente, mentre l'imperatore tedesco Federico Barbarossa si preparava a scendere in Italia
per sottometterla nuovamente all'autorità sovrana. Oltre a ciò Venezia il patriarca di Aquileia Ulrico di
Treffen aveva saccheggiato Grado e necessitava di un'opportuna punizione. Nel 1163, il patriarca Ulrico
venne dunque sconfitto e imprigionato, salvo essere liberato per intercessione di papa Alessandro III dopo
la stipula da parte di Venezia, il 7 aprile 1167, presso l'abbazia di Pontida della Concordia con i comuni
della Lega Veronese e della Lega Lombarda in chiave anti-ghibellina. Il patriarca venne comunque umiliato
con l'imposizione di un omaggio feudale di dodici maiali recanti sulla schiena riproduzioni delle fortezze
patriarcali da consegnare in perpetuo ogni giovedì di carnevale. Frattanto Manuele Comneno aveva inviato
nell'Adriatico il Domestico d'Oriente e Occidente Giovanni Ducas con una potente flotta per sostenere
Ancona nella resistenza contro il Barbarossa. Non avendo trovato sostegno da parte di Venezia, irritata con
lui, Manuele inviò le proprie truppe a occupare la Dalmazia e spinse gli anconetani a danneggiare il
commercio veneziano. Poi, proprio quando la situazione sembrava ristabilirsi, improvvisamente il 12 marzo
1171, a seguito dell'incendio della colonia genovese di Galata, di cui vennero accusati i Veneziani,
l'imperatore ordinò l'arresto di tutti i cittadini veneti presenti in Romània e la confisca dei loro beni:
diecimila furono i prigionieri nella sola Costantinopoli. La guerra, inevitabile, investì per prima Ragusa,
colpevole di essersi rifiutata di fornire l'aiuto militare richiesto da Venezia, proseguì nell'Egeo, dove venne
posto l'assedio a Negroponte. Vitale II commise tuttavia l'errore di credere alle proposte di pace
dell'imperatore, consentendo così a quest'ultimo di raccogliere le forze e di chiamare in soccorso pisani e
genovesi. Decimata dalla pestilenza, la flotta veneziana fece così mesto ritorno in patria, dove, il 28 maggio
1172 il doge venne assalito e assassinato in una congiura ordita dagli ex-ambasciatori a Costantinopoli,
Ziani e Mastropiero. La morte di Vitale II fornì l'occasione al partito aristocratico per una resa dei conti
politica e una profonda revisione
costituzionale, spingendo
l'assemblea popolare a privarsi del
diritto all'elezione ducale,
affidandola a un collegio ristretto
di undici notabili.
L'abdicazione dello Ziani consentì l'elezione a doge del suo ex-collega di congiura Orio Mastropiero, il
quale, come primo atto, emanò la Promissione dal maleficio, compendio delle leggi vigenti e revisione delle
pene. Provvide inoltre a trasformare la Quarantia in Supremo Tribunale. Quando, nel 1181, durante il breve
regno di Alessio II Comneno, i coloni latini di Costantinopoli vennero massacrati, il doge riprese la politica
del predecessore di alleanza con i Normanni contro il reggente e poi imperatore Andronico I Comneno.
Nell'Adriatico, frattanto, il sovrano ungherese Bela III, in guerra anch'egli con Bisanzio, occupò nel 1183
Zara e la Dalmazia, provocando la
guerra con Venezia. Quando il
nuovo imperatore bizantino Isacco
II Angelo, attaccato nel 1185 dai
Normanni si dispose a trattare,
firmando la pace con Ungheresi e Duello tra Riccardo Cuor di Leone e
Veneziani e nominando il doge Saladino: la Repubblica di Venezia
protosevasto, le due potenze partecipò alla Terza Crociata per
sembrarono finalmente libere di accaparrarsi vantaggi commerciali in
rivolgersi l'una contro l'altra. Nel Oriente in concorrenza con Genovesi
1187, dunque, la flotta veneziana e Pisani, rinunciando
temporaneamente a riconquistare la
pose l'assedio a Zara, ma quando
Dalmazia
il 27 marzo 1188, nella cattedrale
di Magonza, l'imperatore
Lo stemma del doge Orio Barbarossa prese la croce per
Mastropiero
unirsi alla Terza Crociata, Venezia ritenne prioritario rivolgersi al grande
affare dei mercati orientali: l'assedio a Zara venne tolto e la flotta si preparò
a unirsi all'impresa nel Levante. Assieme alle altre repubbliche marinare
Venezia concorse dunque alla presa di Tiro, San Giovanni d'Acri e delle altre località costiere della
Terrasanta. Nel complesso, comunque, l'intervento occidentale si rivelò fallimentare: Gerusalemme rimase
in mano alla dinastia curdo-musulmana degli Ayyubidi e il regno crociato rimase confinato alla costa.
L'unico successo fu la creazione del Regno di Cipro a scapito dei Bizantini. La crociata era appena
terminata e la questione ungherese non era ancora risolta quando nel 1192, ormai troppo vecchio per
reggere il governo, il Mastropiero abdicò.
Abdicando, Orio Mastropiero consentì la trasmissione del dogado all'ultimo dei tre ambasciatori che
avevano assistito all'arresto dei Veneziani di Costantinopoli ai tempi di Manuele Comneno. Nuovo doge
divenne dunque l'energico ottuagenario Enrico Dandolo, il quale come primo atto decise di porre fine alle
minacce ai domini veneziani nell'Adriatico, inviando la flotta contro Zara. Questa, però, aveva chiamato in
soccorso i Pisani, i quali presero Pola prima di essere sconfitti nel 1195 e ritirarsi a Brindisi sotto la
protezione degli Altavilla. Nel 1201, poi, i Pisani occuparono Bari, nel tentativo di bloccare l'accesso
dell'Adriatico, ma vennero in breve scacciati. Nella stessa epoca Venezia si offrì di trasportare in Oriente
per 85.000 marche imperiali d'argento i pellegrini armati della Quarta Crociata, i quali iniziarono a
radunarsi per la fine di giugno del 1202. La scarsa partecipazione alla spedizione rese però impossibile ai
crociati raccogliere la cifra pattuita con Venezia, cosicché in cambio del trasporto venne promesso aiuto
contro la ribelle Zara. La flotta veneto-crociata, al comando dello stesso Enrico Dandolo, assediò dunque la
città, che venne presa l'8 novembre, mentre papa Innocenzo III lanciava la scomunica sulla spedizione,
colpevole di aver aggredito una città cristiana. A Zara la spedizione venne raggiunta da un'ambasceria del
principe bizantino Alessio Angelo, figlio del detronizzato imperatore Isacco II, il quale chiese aiuto ai
crociati per essere ristabilito sul trono. Avendo accettato i crociati di rispondere all'appello, il 25 aprile 1203
Alessio si unì alla flotta. Dopo un primo assedio di Costantinopoli da parte dei crociati l'imperatore fuggì e
venne ristabilito sul trono Isacco II, il quale il 1º agosto nominò come co-imperatore il figlio Alessio IV, il
quale permise ai crociati di svernare alle porte della città, promettendo loro aiuti in primavera per il
proseguimento della spedizione. Durante l'inverno, però, esplose una rivolta a Costantinopoli che
detronizzò Isacco e Alessio IV, portando al potere un nuovo imperatore, Alessio V Murzuflo, il quale
sbarrò le porte della città e ordinò ai Crociati di lasciare le sue terre. I crociati per risposta assediarono
nuovamente Costantinopoli e, il 12 aprile 1204 la città cadde. Gli occidentali vi crearono l'Impero Latino
d'Oriente, che assunse le forme tipiche della feudalità occidentale, e, avendo Enrico Dandolo rifiutato la
corona, proclamarono imperatore Baldovino di Fiandra. Venezia ottenne la costa occidentale della Grecia,
la Morea, Nasso, Andro,
Negroponte, Gallipoli, Adrianopoli e
i porti della Tracia sul Mar di
Marmara. Al doge veneziano venne
assegnato il titolo di Dominus
quartae partis et dimidiae totius
Imperii Romaniae ("Signore di un
quarto e mezzo dell'Impero Romano
d'Oriente"), oltre che la facoltà di
nominare il Patriarca latino di
Costantinopoli e i tre ottavi della città
di Costantinopoli. Enrico Dandolo
morì il 1º giugno 1205 all'età di 98
anni cadendo da cavallo di ritorno da
una campagna contro i Bulgari: fu
sepolto nella basilica di Santa Sofia. Il doge Enrico Dandolo annuncia la
partecipazione alla Quarta Crociata
Quando nel mese di agosto giunse a nella basilica di San Marco
Venezia la notizia della morte del
Stemma e lapide tombale
Dandolo venne eletto al ducato il
del doge Enrico Dandolo
nella basilica di Santa
figlio del doge Sebastiano Ziani,
Sofia di Costantinopoli: il Pietro, mentre a Costantinopoli i
doge fu l'artefice della coloni veneziani e i membri della
deviazione della Quarta crociata eleggevano Marino Zen.
Crociata e della Ristabilita la supremazia del proprio
conquista di titolo, Pietro Ziani si preoccupò di
Costantinopoli che portò riformare l'elezione dei membri del
alla nascita dell'impero Maggior e del Minor Consiglio,
coloniale veneziano nel sottratta all'assemblea popolare e
Mediterraneo orientale. affidata a un collegio di sette elettori.
Dopodiché passò a consolidare le La presa di Costantinopoli da parte
conquiste marittime, favorendo dei Crociati il 12 aprile 1204
l'invio di coloni in Oriente e le spedizioni private delle famiglie
patrizie per prendere possesso a titolo feudale dei territori assegnati
a Venezia. Nelle Cicladi nasce dunque il vassallo Ducato di Nasso: Nasso, Paro e Milo divengono feudo
dei Sanudo, Andro va ai Dandolo, Tino, Mykonos, parte di Serifo e di Ceo sono ai Ghisi, Santorini è dei
Barozzi, mentre i Querini ottengono Stampalia. Il complesso di questi vasti domini insulari e costieri venne
a costituire quello che i veneziani chiamarono lo Stato da Màr (cioè lo "Stato marittimo"). Tra il 1207 e il
1210, in particolare, particolare attenzione venne posta alla conquista del Regno di Candia(l'attuale isola di
Creta), eretto nel 1208 a Ducato di Candia, e delle isole di Corfù, Modone e Corone. Nel 1211 l'isola di
Candia venne suddivisa in feudi, assegnati alle principali famiglie veneziane. L'anno successivo i feudi
vennero quindi raccolti in sette regioni, una - con la capitale Candia - venne assegnata al diretto controllo
del Comune, le altre sei vennero invece assegnate ciascuna a uno dei sestieri di Venezia, dai quali vennero
inviati coloni al comando di capitani. Nel 1214 Venezia fu poi in guerra con Padova. Il problema maggiore
del dogato, l'eccessiva autonomia dei coloni veneziani a Costantinopoli, tornò presto a ripresentarsi e nel
1224 addirittura qualcuno propose di trasferire la capitale da Venezia alla città bizantina, proposta che non
passò per un solo voto. Nel febbraio 1229, infine, il doge abdicò, rifiutandosi però di vedere il suo
successore, Jacopo Tiepolo, esponente del partito popolare.
Il doge Tiepolo, che già era stato duca di Candia, dovette affrontare per prima la grave situazione di
quell'isola, preda di rivolte, inviandovi ingenti truppe. Al contempo cercò di garantire la pace con le vicine
città di terraferma favorendo quei nobili veneziani che vi si fossero fatti chiamare quali podestà. Nel 1234,
sventato anche il tentativo di annessione di Candia da parte dell'Impero di Nicea, la rivolta sull'isola venne
infine domata. Un nuovo fronte si aprì però in patria per le
scorrerie dei ghibellini di Ezzelino III da Romano sulla terraferma,
dove gli Ezzelini presero il controllo di Mestre e Treviso,
danneggiando il commercio veneziano con l'entroterra e
provocando l'intervento della Repubblica a fianco dei guelfi. Il
doge abdicò nel maggio 1249.
Il Ducato di Candia: per favorirne la
Succedette come doge Marino Morosini, il quale regnò colonizzazione il territorio fu diviso
brevemente, spegnendosi nel gennaio 1253. nel 1212 in feudi raccolti sulla base
dei sestieri di Venezia e vi venne
incentivata l'immigrazione, una
La guerra di San Saba e la rinascita settima parte venne invece
dell'Impero bizantino assegnata al diretto controllo del
Comune:
1. Sestiere di Santi Apostoli
Il nuovo doge, Renier Zen, nel
2. Sestiere di San Marco
1255 promosse una nuova riforma
3. Sestiere di Santa Croce
politica di stampo aristocratico, 4. Sestiere di Castello
con la creazione di un consiglio 5. Sestiere di San Polo
ristretto di governo da affiancare 6. Sestiere di Dorsoduro
al sovrano Maggior Consiglio: il
Consiglio dei Pregadi. In quello
stesso anno Venezia si scontrò
duramente con Genova per il
controllo dei mercati siriani. Il
casus belli fu la contesa per il
possesso del monastero di San
Saba a San Giovanni d'Acri,
Stemma del doge Renier capitale del Regno di Hyperpyron di Michele VIII
Zen Gerusalemme, sfociata in aperta Paleologo: nel 1261 Michele riprese
battaglia, con la distruzione del Costantinopoli ai Latini ridando vita
quartiere veneto e delle navi alla all'Impero di Bisanzio e sostenendo i
fonda nel porto da parte dei Genovesi. Venezia, dunque, strinse Genovesi nella guerra con Venezia
alleanza con Pisa, Marsiglia e le città della Provenza, affidando a
Lorenzo Tiepolo il comando di una flotta con cui piombò nel 1256
su Acri, forzarono il porto e distruggendo tutte le navi genovesi presenti, assalendo e incendiando il
quartiere rivale e conquistandone infine il castello, detto del Mongioia. Le due repubbliche raccolsero
quindi tutte le forze di cui disponevano in Oriente, giungendo allo scontro nelle acque di Cipro, dove i
Genovesi vennero battuti, consentendo al Tiepolo di bloccare ai rivali le rotte per i mercati levantini.
Genova, ripresasi nel 1257 dalle lotte interne cui la sconfitta l'aveva portata, riprese con maggior vigore la
guerra, ma il 24 giugno 1258, la sua flotta venne disastrosamente battuta nelle acque di Acri: venticinque
galee genovesi vennero catturate, i magazzini e il quartiere genovese nuovamente saccheggiati e distrutti.
Nonostante i tentativi di intermediazione di papa Alessandro IV il conflitto continuò, spostandosi nel campo
del traballante Impero Latino. Qui Venezia si sobbarcò quasi per intero la difesa del traballante trono di
Baldovino II, nel tentativo di difendere la propria posizione dominante nel mercato di Costantinopoli.
Genova, invece, strinse nel 1261 con il reggente dell'Impero di Nicea Michele Paleologo il trattato di
Ninfeo, che fornì ai Niceni la necessaria protezione per riuscire nell'impresa di riconquistare Costantinopoli.
Caduta la città con un colpo di mano il 25 luglio e acclamato il Paleologo nuovo basileus dei Romei, i
Genovesi si trovarono in una posizione di forza nel rinato Impero bizantino, scacciando i Veneziani dalla
loro posizione di predominio. Così rafforzati i Genovesi e i Bizantini non risposero alle provocazioni della
flotta veneziana inviata contro di loro e si rifiutarono di dar battaglia. La Repubblica sollecitò allora i
vassalli Duchi dell'Arcipelago a danneggiare il commercio greco, ma la loro flotta venne annientata da
quella greca. Nel 1262 i Veneziani riuscirono finalmente a intercettare la flotta genovese, battendola al largo
della Morea, ma lo scontro finale si ebbe nel 1264 nella battaglia di
Settepozzi, al largo della Sicilia, dove l'intera flotta de la Superba
venne annientata. Sconfitti i suoi alleati, il 18 giugno 1265 l'Impero
bizantino propose a Venezia un trattato di pace perpetua, ma
l'accordo non trovò l'approvazione ducale, venendo dunque ridotto
a una semplice tregua quinquennale. La Repubblica, frattanto, per
assicurarsi il dominio dell'Adriatico dispose la creazione di una
squadra navale permanente agli ordini del Capitano del Golfo. In
quegli stessi anni i mercanti veneziani Niccolò e Maffeo Polo
strinsero i primi contatti con il Gran Khan dell'Impero mongolo
Qublai Khan, corteggiato dalle nazioni occidentali alla ricerca di Il Ducato di Nasso: formato per
un'alleanza contro i saraceni che minacciavano di scacciarle iniziativa privata delle famiglie
definitivamente dagli ultimi avamposti in Siria. I mercanti veneti si patrizie Sanudo, Dandolo, Ghisi,
fecero così intermediari di una possibile alleanza ripartendo nel Querini e Barozzi sui territori
1266 dalla Cina con l'incarico di portare un'ambasceria del Khan a assegnati a Venezia, il ducato fu
papa Clemente IV per una possibile introduzione del Cristianesimo vassallo della Repubblica di Venezia,
in Cina. Renier Zen morì nel 1268. partecipando al fianco della
madrepatria alla guerra di San Saba
Giacché non si trovava accordo tra le diverse fazioni, nuovo doge venne infine eletto il 6 settembre 1275
l'anziano Jacopo Contarini. Questi, come primo atto, per porre fine allo scandalo provocato dai legami
matrimoniali della famiglia ducale del predecessore, promosse una legge per proibire al doge e ai figli di
sposare principesse straniere. Nel 1277 riprese poi la guerra tra Ancona e Venezia, da sempre rivali nel
commercio marittimo; inaspettatamente, la Serenissima venne sconfitta[27] Nel 1279, per aumentare
l'efficienza del governo, venne per la prima volta accresciuto il numero dei membri del Consiglio dei
Pregadi con la creazione di una Zonta. Il 6 marzo 1280, infine, il doge venne forzatamente spinto ad
abdicare, ritirandosi in convento dietro compenso di un vitalizio.
Venne dunque eletto doge Giovanni Dandolo, esponente del partito aristocratico, che in quel momento si
trovava in Istria, intento a sedare una rivolta. Nel 1281 il doge strinse un trattato con Ancona tutto a proprio
favore[27], per poter essere libero di agire contro i rivoltosi cretesi e istriani, questi ultimi sostenuti dal
Principato ecclesiastico di Aquileia e dal Ducato d'Austria. Nel 1282 rifiutò aiuto al papa contro gli
Aragonesi che avevano invaso la Sicilia, venendo per questo colpito assieme alla città dalla scomunica. In
Oriente, poi, Genova aveva acquisito dai Bizantini l'esclusiva sull'accesso alle acque del mar Nero, dove
aveva costituito le nuove colonie di Caffa e Pera. Venezia reagì stringendo alleanza con Pisa, ma questa il 6
agosto 1284 venne disastrosamente sconfitta nella battaglia della Meloria. Nonostante ciò e nonostante i
conflitti non accennassero a risolversi, il benessere del commercio veneziano venne testimoniato in quegli
stessi anni dal conio del primo Ducato Matapan, moneta destinata a diventare mezzo di scambio di primo
piano nel commercio mediterraneo. Gli interessi del doge erano tuttavia più orientati al successo politico del
partito aristocratico. Il 5 ottobre 1286, dovunque, propose una legge per circoscrivere alle famiglie già il
potere l'accesso al Maggior Consiglio. La proposta venne però clamorosamente respinta e per questo il 17
ottobre il Dandolo si risolse a presentare una soluzione meno radicale, chiedendo che l'elezione dei nuovi
membri fosse sottoposta all'approvazione della maggioranza uscente, ma nemmeno questa proposta trovò
accoglimento per la forte opposizione dei popolari. Il Dandolo morì il 2 novembre 1289.
Morto il Gradenigo venne eletto doge il 23 agosto Marino Zorzi, imparentato con la famiglia Querini, la cui
elezione doveva servire a sanare, almeno in parte, le conseguenze delle congiure e delle repressioni, oltre
che per favorire una riappacificazione col papa dopo il disastro della guerra di Ferrara. Morì il 3 luglio
1312.
Il 13 luglio divenne dunque doge Giovanni Soranzo, anch'egli imparentato coi Querini, il quale ottenne
finalmente nel 1313 la rimozione dell'interdetto papale sulla città. Durante il suo dogato venne a stabilirsi
definitivamente il sistema oligarchico, con una serie di leggi che tra il 1315 e il 1322 preclusero stabilmente
l'accesso al corpo patrizio, i cui membri vennero da allora registrati in un apposito Libro d'Oro. Nello stesso
periodo la città venne visitata dal poeta Dante Alighieri e riacquisì in Oriente gli antichi privilegi sui mercati
bizantini, controbilanciati però dalla proibizione del commercio coi musulmani decretata nel 1323 su
pressione di papa Giovanni XXII. Nel 1327, poi, anche le vie commerciali verso l'entroterra presero a
essere minacciate dall'espansione nel Veneto della signoria di Cangrande della Scala.
Il 4 gennaio 1329 divenne doge Francesco Dandolo. In quell'epoca ormai gli Scaligeri si erano resi signori
di Vicenza, Padova, Feltre e Belluno, giungendo ai margini della laguna, ponendo a Marghera la dogana.
Venezia dal canto suo tentò nuovamente di impadronirsi di Ferrara, approfittando della sua agitazione
interna, ma il progetto venne bloccato dall'interdetto di papa Clemente V. Nel 1336 la Repubblica entrò in
lega con Firenze, Siena, Bologna, Perugia e altre città minori contro le mire espansionistiche di Mastino II
della Scala. Nel 1337 la coalizione si allargò e Mastino non fu più in grado di tener testa ai suoi nemici:
Padova tornò nel dominio dei Carraresi e Venezia il 29 settembre prese il Castello di Mestre, avanzando
nell'entroterra. Il 2 dicembre 1338, poi, Venezia conquistò Treviso, primo nucleo dei suoi domini terrestri, la
cui signoria gli venne quindi riconosciuta con la pace del 24 gennaio 1339, a Venezia. Il Dandolo morì il 31
ottobre di quello stesso anno.
Nuovo doge fu Bartolomeo Gradenigo, il quale, già vecchio, morì il 28 dicembre 1342, mentre a Creta
nuove rivolte scuotevano il dominio veneziano.
Eletto risultò, il 4 gennaio 1343, Andrea Dandolo, il quale aderì alla crociata indetta da papa Bonifacio IX
contro i Turchi Ottomani, che minacciavano Costantinopoli. La flotta veneziana conquistò così Smirne, ma
ben presto il dogado del Dandolo venne funestato dapprima dalla ribellione di Zara (1345-1347), subito
ripresa, e poi, nel 1348, dal diffondersi della peste nera giunta in Italia a bordo delle galee genovesi di
ritorno da Caffa, assediata dai Tartari. La peste colse la città già indebolita da un recente terremoto,
sterminando in poco tempo i tre quinti della popolazione e provocando danni economici immensi, aggravati
dalla costruzione di una nuova colonia genovese sul Bosforo, usata per sbarrare il passo alle navi
veneziane. Nel 1350, dunque,
nonostante i tentativi di
mediazione del poeta Francesco
Petrarca, Venezia - ripresasi in
parte dalla peste - dichiarò guerra
a Genova dando così inizio alla
guerra degli Stretti. Il conflitto
però iniziò male e Negroponte
venne assediata dai Genovesi.
L'anno successivo i Veneziani
risposero saccheggiando Galata e
spingendo l'imperatore Giovanni
I Dieci mentre assistono alla VI Cantacuzeno a schierarsi
decapitazione del doge apertamente contro Genova. Nel Diffusione della peste nera dal 1347
traditore Marin Falier sulla 1352 un grande scontro tra le due (marroncino) al 1351 (giallo)
Scala dei Giganti
flotte rivali si risolse senza
vincitori, ma nel 1353 i Veneziani
ottennero infine una vittoria nelle acque di
Alghero, ma l'anno successivo dovettero subire la distruzione di Curzola,
Lissa e Parenzo. Il 7 settembre 1354 il doge, affranto, morì di crepacuore.
Venne eletto doge Giovanni Dolfin, comandante delle truppe incaricate della difesa di Treviso. Una pesante
sconfitta a Nervesa nel febbraio 1358, segnò il destino negativo della guerra e Venezia si rassegnò, con la
Pace di Zara del 18 febbraio 1358 a rinunciare alla Dalmazia. Il doge fu costretto ad assumere il titolo di
Dux Veneticorum et coetera ("Duca dei Veneti e altri"). Frattanto Padova iniziò a bloccare il commercio
veneziano lungo il Brenta. Come conseguenza di tutti questi eventi, per Venezia si aprì dunque una fase di
profonda crisi economica. Il dogado del Dolfin si concluse con la sua morte il 12 luglio 1361.
Divenne quindi doge Lorenzo Celsi. Nel 1363 la crisi veneziana sembrò accentuarsi ulteriormente con lo
scoppio della grande rivolta di Candia, che coinvolse, oltre alla nobiltà e alla popolazione greca, gran parte
dei coloni veneziani, i quali, gravati dall'eccessiva pressione fiscale, tentarono di rendersi indipendenti dalla
madrepatria. Il fatto era per Venezia intollerabile è la Repubblica si preparò ad una grande spedizione
punitiva per reprimere la ribellione, inviando a Creta nel 1364 il generale Luchino Dal Verme. L'esercito
sbarcò sull'isola nel maggio successivo ed ebbe rapidamente ragione degli insorti. Dopo questo evento
l'isola perse per sempre la propria organizzazione feudale, le assemblee e i magistrati, finendo sotto il diretto
controllo della Repubblica. Il doge morì, si sospetta avvelenato, il 18 luglio 1365.
Il nuovo doge, Marco Corner, si prodigò per il ripopolamento della colonia di Creta, gravemente
danneggiata dalla rivolta.
Il 7 gennaio 1414 venne eletto doge Tommaso Mocenigo e nel 1416 viene inviato Pietro Loredan a
Gallipoli per aprire il dialogo con il nuovo sultano Mehmet I. La missione del Loredan però viene fraintesa
e scoppia la battaglia. La flotta ottomana viene colata a picco. Nel 1415 il concilio di Costanza, tenuto sotto
il patrocinio del re d'Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo del Lussemburgo pose
fine allo scisma d'Occidente accettando l'abdicazione di Gregorio XII e degli antipapi e portando
all'elezione nel 1417 di papa Martino V. Forte di questo successo l'imperatore strinse nel 1418 una
minacciosa alleanza anti-veneziana con il nuovo patriarca d'Aquileia, Ludovico di Teck. Nella guerra che
ne seguì, nonostante fosse attaccata su due fronti, Venezia passò presto all'offensiva, conquistando l'intero
Friuli e il Cadore, che vennero infine annessi ai Domini di Terraferma nel 1420, pur mantenendo
formalmente il ruolo temporale del Patriarca di Aquileia. Nel 1419 scoppia anche la seconda guerra di
Scutari in Croazia. Soprattutto, però, la pace con l'Ungheria restituì a Venezia il possesso della Dalmazia.
Tommaso Mocenigo fu l'ultimo doge ad agire nel nome del Commune Veneciarum. Il nuovo ciclo
espansivo della Repubblica coincise infatti con la liberazione dalle ultime vestigia - seppure puramente
formali - del periodo comunale. Il dogado del Mocenigo venne contrassegnato anche da un crescente
fermento edilizio, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione in forma monumentale del Palazzo
Ducale, cuore dello Stato. Nonostante le forti pressioni contrarie, comunque, il doge realisticamente preferì
sempre frenare la spinta espansionistica della città, ricordando in continuazione, persino nel proprio
testamento, i rischi connessi all'avventurarsi in lunghe e onerose guerre che avrebbero solamente spostato il
baricentro dello Stato dal mare alla terraferma. Dopo lunga malattia, il doge morì il 4 aprile 1423, a quasi
ottant'anni.
Nonostante il testamento del predecessore, che pregava di non eleggerlo, il 15 aprile 1423 divenne
puntualmente doge Francesco Foscari. Il Maggior Consiglio decretò per l'occasione la definitiva abolizione
della Concio popolare e gli organi pubblici smisero così da quel momento di fare riferimento all'antico
Comune. Il doge prese così il titolo di Serenissimo Principe e con lui il supremo organo di presidenza delle
assemblee statali prese a chiamarsi Serenissima Signoria, mentre lo Stato tutto divenne la Serenissima
Repubblica.
In quello stesso anno, approfittando della debolezza del morente Impero bizantino, venne approvato
l'acquisto in Oriente della grande città commerciale di Tessalonica. La città, allora sotto assedio da parte
degli Ottomani, venne ceduta a Venezia dal despota Andronico Paleologo, nella speranza di salvarla dalle
mani degli infedeli. La bandiera di Venezia venne dunque issata il 14 settembre 1423 e le difese vennero
assegnate a Pietro Loredan.
Fu però nel 1426 che la politica espansionistica del Foscari si concretizzò con l'entrata in guerra contro il
Ducato di Milano.A luglio 1427 avviene la Battaglia di Cremona e il 17 ottobre 1427, vittoriosa, al
comando del conte di Carmagnola, nella battaglia di Maclodio sui Milanesi, Venezia portò il proprio
confine sull'Adda, conquistando le città lombarde di Bergamo, Brescia, Crema e i territori della Valle
Camonica, che vennero a costituire la Lombardia veneta.
Nel 1430, tuttavia, i successi in
Italia vennero parzialmente
offuscati dalla perdita di
Tessalonica (Salonicco), infine
conquistata dai Turchi. Frattanto
nel 1431 a Roma venne eletto
papa il patrizio veneziano
Gabriele Condulmer, che prese il
nome di Eugenio IV. Sul fronte
del conflitto, invece, Venezia subì
una serie di rovesci militari in
Il doge Francesco Foscari: il Lombardia che portarono
all'accusa di tradimento al Possedimenti veneziani nell'Egeo
suo dogado segnò l'apogeo
alla metà del XV secolo: la caduta di
della Serenissima Carmagnola, che venne per questo
Costantinopoli il 20 novembre 1453
Repubblica, decretandone al giustiziato il 5 maggio 1432.
segnò la fine di quel mondo nel quale
contempo l'irreversibile
era cresciuta la potenza di Venezia.
spostamento del baricentro Preoccupato per il crescente
dai tradizionali interessi potere dell'Impero ottomano, nel
mercantili e marittimi verso 1438 il Doge accolse
quelli nei Domini di benevolmente l'imperatore Giovanni VIII Paleologo, giunto in missione
Terraferma. diplomatica in Occidente alla disperata ricerca di aiuto. L'imperatore al
Concilio di Firenze giunse a proclamare persino l'effimera riunificazione
della Chiesa ortodossa con quella cattolica.
Frattanto la difficile situazione militare di Venezia vide Brescia sempre più duramente stretta d'assedio, tanto
da spingere la Repubblica a progettare nel 1439 una impresa colossale (Galeas per montes), per trasportare
via terra dall'Adige, all'altezza di Rovereto, fino al lago di Garda, presso Torbole, di una flotta composta da
2 galee (40 m di lunghezza per 250 tonnellate di peso l'una) e 25 altri navigli minori, per correre in soccorso
la città assediata. Nel 1441, comunque, la pace di Cremona sancì il possesso veneziano di Peschiera,
Brescia, Bergamo e parte del Cremonese. Nello stesso anno la Repubblica acquistò il possesso delle
pontificie Ravenna, Rimini, Faenza, Imola e Cesena, e della trentina Rovereto. Nel 1444 sbaragliando
definitivamente i pirati Narentani ne conquista la roccaforte ad Almissa. Nel 1445, poi, Venezia pose
ufficialmente fine al potere temporale del Patriarcato di Aquileia, annesso ai Domini di Terraferma. Con la
morte di Filippo Maria Visconti a Milano nel 1447, poi, la dinastia viscontea venne deposta e sostituita
dall'Aurea Repubblica Ambrosiana. Venezia ne approfittò per occupare Lodi e Piacenza, ostili al nuovo
governo milanese, che dichiarò dunque guerra, chiamando in soccorso il capitano di ventura Francesco
Sforza. Questi però, dopo gli iniziali successi sui Veneziani con la Battaglia del Monte di Brianza e di
Caravaggio si rivoltò contro la Repubblica Ambrosiana venendo sconfitto a Cantù e Asso e prendendo
Milano il 22 marzo 1450, dopo un lungo assedio, e diventandone nuovo duca. Frattanto, Venezia
nell'Adriatico conquistò Almissa, portando alla definitiva sottomissione delle genti narentane, seguiti pochi
anni dopo dalla dedizione nel Levante dell'isola di Egina. La potenza veneziana venne suggellata nel 1451
anche dal punto di vista religioso con la soppressione formale del patriarcato di Grado e l'elevazione della
diocesi di Castello a Patriarcato di Venezia. Nonostante i successi in Oriente e in Occidente, il mondo
veneziano mutò radicalmente allorché il sultano ottomano Maometto II conquistò Costantinopoli il 20
novembre 1453, ponendo fine, con la morte dell'imperatore Costantino XI Paleologo, alla plurimillenaria
storia dell'Impero romano. Per punire i Veneziani dell'aiuto prestato ai difensori greci, il sultano fece
decapitare il bailo Girolamo Minotto e suo figlio e i notabili della Serenissima, fece poi incarcerare diversi
mercanti Veneziani e vendette come schiavi gli altri coloni di Costantinopoli. Ormai prive di una guida, le
isole greche di Skyros, Skiathos e Skopolos si concessero a Venezia, che il 18 aprile 1454 firmò coi Turchi
un fragile trattato di pace che ripristinava i privilegi commerciali già vigenti sotto i Bizantini. Quasi
contemporaneamente, il 19 aprile, la pace di Lodi pose fine alle guerre in Italia, riconoscendo il confine
veneziano sull'Adda. Dopo la scoperta da parte dei Dieci di un accordo tra gli Sforza e Maometto II per
favorire il rientro in patria di Jacopo Foscari, esiliato a Creta per aver tentato di assassinare un magistrato
del Consiglio dei X, il giovane Foscari venne tradotto in città e giustiziato, il 12 gennaio 1457. Il 23 ottobre,
quindi, tre consiglieri dei Dieci ordinarono al vecchio doge, ormai ottuagenario, di deporre le insegne ducali
e abdicare, ponendo fine al più lungo tra tutti i dogadi veneziani.
Il 17 maggio i quarantuno elettori scelsero dunque Cristoforo Moro, il quale si affrettò ad accogliere la
dedizione della greca Monemvasia, che così sperava di salvarsi dai Turchi. Nel 1463, però, questi
attaccarono Argo, provocando la prima guerra turco-veneziana. La Repubblica cercò allora alleati in
Occidente, alleandosi con Mattia Corvino, re d'Ungheria. Per il resto, però, trovò disposto ad ascoltarla solo
papa Pio II, il quale mise a disposizione una flotta e un contingente armato. Nel tentativo di arginare la
pressione ottomana Venezia strinse alleanza anche con il beg dei Turcomanni Kara Koyunlu, Jihan Shah. Il
doge Moro, sebbene riluttante a prendere personalmente il mare (tanto da dovervi essere costretto dal
governo), il 12 agosto 1464 giunse ad Ancona per ricongiungersi al Papa e alla squadra pontificia, ma
l'improvvisa morte di Pio II il 15 agosto lo convinse a rientrare in laguna. Di fronte alla debolezza del Moro
nel 1468 il Maggior Consiglio ripristinò i poteri del Consiglio dei Dieci: «informerà sui tradimenti, sulle
cospirazioni, sulle sette. Conoscerà gli atti la cui natura minaccia la pace dello Stato, le convenzioni aventi
l'effetto, sia all'esterno che all'interno, di cedere una parte del territorio, di ogni cosa in una parola che
esige di essere affrontata molto segretamente», diceva la legge. In Oriente frattanto la flotta veneziana forzò
i Dardanelli, in sfida ai Turchi, evitando d'un soffio a Rodi la guerra con gli Ospitalieri, che avevano
assalito navi veneziane cariche di mercanti mori. Il comandante Vettor Capello conquistò Modone, Imbro,
Taso, Samotracia e, per un breve periodo, la stessa Atene, eccitando in Albania il principe Scanderbeg
contro i Turchi, i quali dal canto loro stavano dilagando in Europa e nel 1469 giunsero a minacciare l'Istria.
Alla morte dello Scanderbeg, poi, Venezia accorse a occupare Croia (Kruja). Furibondo, nel 1470
Maometto II in persona giunse ad assediare la colonia di Negroponte, realizzando un ponte di barche per
collegarla al continente e permettere alle sue truppe di sbarcarvi in forze. L'indecisione del Capitano
Generale da Mar Antonio da Canal, che non si risolse ad attaccare il cordone di barche, provocò il 12 luglio
la caduta della città. Negroponte venne distrutta e la popolazione sterminata: la sorte del bailo Marco Erizzo
fu quella di essere segato a metà.
Il 25 novembre 1471 venne eletto nuovo doge Nicolò Tron, il cui figlio, Giovanni, era appena morto segato
vivo dai Turchi. Date le crescenti necessità di legname per le esigenze belliche della flotta e il crescente
lavoro dell'Arsenale di Venezia, in quello stesso anno lo Stato decise la demanializzazione della collina del
Montello, i cui boschi di roveri fornivano un eccellente materiale per la
costruzione delle galee. Nel 1472, poi, grandi speranze nutrì la Repubblica
dal matrimonio tra la veneziana Caterina Corner e il re di Cipro Giacomo
II di Lusignano, l'improvvisa morte del sovrano il 6 luglio 1473 aprì però
una grave crisi dinastica, con Caterina sola sul trono e priva di eredi
minacciata da numerosi Stati che rivendicavano il suo regno e dalle
cospirazioni della nobiltà cipriota. Pochi giorni dopo, il 28 luglio, anche il
doge Tron morì.
Breve fu pure il dogado di Andrea Vendramin, che vide Lepanto resistere strenuamente all'assalto dei
Turchi, frattanto entrati nel Friuli e giunti fino al Tagliamento e all'Isonzo. Il doge morì il 5 maggio 1478.
Più duraturo fu il dogado di Giovanni Mocenigo, eletto il 18 maggio. In quel periodo Scutari venne
duramente bombardata e Croia cadde in mano musulmana. Frattanto crebbe la preoccupazione per le
imprese esplorative intraprese dal Portogallo, il cui esploratore, Bartolomeo Diaz raggiunse in quello stesso
anno il capo di Buona Speranza, estremità meridionale dell'Africa. Perdute gran parte delle Cicladi e l'intera
isola di Eubea, il 25 gennaio 1479 la Repubblica, esausta e impossibilitata a proseguire l'impari lotta contro
lo strapotere ottomano che stava gravemente danneggiando i commerci, firmò infine una pace umiliante.
Appena conclusa la guerra giunse inaspettata la peste che falciò la maggior parte della popolazione
cittadina. Nel 1480, poi, i Turchi occuparono nello Ionio le napoletane isole di Santa Maura e Cefalonia,
incendiando Otranto e realizzando un porto militare a Valona. Contemporaneamente, poi, aumentò la
tensione nella terraferma, dove il re di Napoli fomentava Ercole d'Este a rivendicare il possesso del Polesine
e a minacciare il monopolio di Venezia nel commercio del sale creando nuove saline nelle Valli di
Comacchio. Nel 1482, dunque, la Serenissima strinse alleanza con papa Sisto IV e mosse guerra a Ferrara:
era la cosiddetta guerra del Sale. Mentre le operazioni militari procedevano un furioso incendio devastò a
Venezia il Palazzo Ducale, i cui lavori di ricostruzione iniziarono immediatamente. Nonostante il tradimento
del papa, passato dalla parte degli Estensi, lanciando l'interdetto su Venezia e costringendo il Consiglio dei
Dieci a minacciare di morte i preti che si fossero rifiutati di officiare la messa. Nel maggio 1484 la flotta
Veneziana espugna la città di Gallipoli in Puglia nel Regno di Napoli. Il 7 agosto 1484 venne firmata la
pace di Bagnoli, che sancì la vittoria veneziana. Nell'estate 1485 il doge Mocenigo venne colpito per la
seconda volta dalla peste, morendo il 14 settembre, venendo sepolto in tutta fretta e in segreto per evitare
che l'assembramento di popolo potesse favorire il contagio in città.
Carlo VIII di Francia si irritò così tanto che con un editto proibì ai Veneziani ogni commercio nelle terre di
Francia.[28]
Nella lontana India, però, il 20 maggio 1498 il navigatore portoghese Vasco de Gama raggiunse per la
prima volta Calicut, aprendo definitivamente la rotta circumafricana. Quell'anno per l'ultima volta le mude
veneziane non ebbero sufficiente oro in Oriente per caricare tutte le spezie presenti nei mercati. Così,
mentre nel 1499 il nuovo re Luigi XII di Francia scendeva in Italia, questa volta alleato di Venezia,
conquistando Milano e i Turchi muovevano nuovamente guerra nel Levante e, nonostante la sconfitta nella
battaglia della Sapienza, conquistavano Lepanto, Corone, Modone e quanto rimaneva della Morea,
dilagando in Dalmazia, il sistema commerciale su cui la Repubblica aveva fondato le proprie fortune entrò
irrimediabilmente in crisi. Il 13 maggio 1501 venne stipulata un'alleanza con il Regno d'Ungheria, mentre
una flotta veneto-spagnola giungeva sino ai Dardanelli. Venne conquistata Santa Maura e sventata
l'invasione di Cipro, ma nel mese di settembre il doge Barbarigo morì.
Il 1499 è un annus horribilis per Venezia: impegnata in due guerre contemporaneamente, una in terraferma
con Milano e una per mare contro gli ottomani, subisce una vera e propria crisi bancaria, si ritrova a dover
contrastare il panico scatenato da una successione di fallimenti bancari a Rialto. In gennaio 1499 una corsa
al prelievo fa saltare il banco Garzoni, uno dei più importanti della città. È l’ambasciatore di Milano, il
vescovo Cristoforo Lattuada, a spiegare in tempo reale quanto stia accadendo. In una lettera mandata a
Ludovico il Moro annota: "Questa matina el bancho di Garzoni, quasi primo bancho di questa terra, è
fallito". Successivamente è il turno del Banco Lippomano, racconta il cronista Domenico Malipiero che la
Serenissima Signoria decide di sostenere il banco approvando uno stanziamento di dieci mila ducati,
utilizzando fondi che lo stato ha ricevuto in prestito da privati. Tale decisione per quanto calmierante non
riesce a impedire il diffondersi della sfiducia dei depositanti. Avviene così iI fallimento del Banco
Lippomano (1.248 clienti, 700 dei quali patrizi) che ne fa fallire diversi altri, ad esempio quello di Maffeo
Soranzo, che commercia e raffina argento per loro conto, e due banchi di cambiavalute. Intanto il banco
Agostini restituisce buona parte dei suoi depositi, mentre si fa sempre più forte la pressione sul banco
Pisani, un'altra banca di primaria grandezza che però sopravviverà alla crisi.[29]
Quando il doge, in virtù delle proprie antichissime prerogative episcopali pretese di nominare il nuovo
vescovo di Vicenza, i principali Stati europei trovarono il casus belli per attaccare la Repubblica, accusata
di prevaricare il diritto pontificio sui Vescovi. Il 23 marzo 1500 Giulio II aderì pubblicamente alla lega di
Cambrai con la Francia, l'Impero, la Spagna e il Ducato di Ferrara, lanciando l'interdetto sulla Serenissima e
nominando il duca Alfonso I d'Este Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa.[32] Il Consiglio dei Dieci
rispose all'interdetto proibendone la pubblicazione nei territori di Venezia e minacciando di morte i preti che
si fossero rifiutati di officiare la messa. Il 10 maggio 1509 il Marchesato di Gonzaga attacca e perde durante
la battaglia di Casaloldo. Luigi XII di Francia scese dunque in Italia e il 14 maggio sconfisse le forze
veneziane nella battaglia di Agnadello, provocando l'evacuazione dei Domini di Terraferma e lo
scioglimento dei reggimenti dall'obbligo di fedeltà: le città della Lombardia veneta aprirono dunque le porte
ai francesi oppure caddero con la forza. Le forze del Pitigliano, Capitano Generale di Terraferma,
asserragliarono quindi Verona, mentre da nord gli Imperiali dilagavano nel Friuli e nel Veneto. Il 31 maggio
Venezia diede l'ordine di affondare la flotta del lago di Garda, per impedire che cadesse in mano ai francesi,
e ordinarono la ritirata a Mestre, ultimo baluardo difensivo della laguna: dell'intera Terraferma resisteva solo
Treviso sotto assedio, la cui dedizione all'Impero venne impedita da una sollevazione popolare, ottenendo
in cambio dalla Serenissima l'esenzione quindicennale della città dai tributi.[33]
Nonostante i successi della Lega esplosero però dissidi tra Venezia e l'Imperatore, che si rifiutava di
consegnare le città venete in suo possesso. Morto Giulio II il 21 febbraio 1513, Venezia passò dunque dalla
parte dei francesi, che riuscirono così a riprendere Milano, mentre i tedeschi dilagavano nuovamente nel
Veneto. Sconfitti poi i francesi dagli svizzeri nella battaglia di Novara, i veneziani vennero battuti il 7
ottobre dagli spagnoli nella battaglia de La Motta, ma la Lega non
riuscì ad approfittare dei propri successi, trascinando stancamente il
conflitto per tutto il 1514. Asceso Francesco I al trono di Francia il
1º gennaio 1515, una nuova armata francese scese in Italia,
battendo la Lega nella battaglia di Villafranca e congiungendosi il
13 settembre alle forze veneziane nella battaglia di Marignano,
dove venne conseguita la vittoria finale.[38] A marzo del 1516 i
Veneziani cingono d'assedio gli imperiali ad Asola che sono
obbligati a ripiegare verso il Tirolo. I trattati di Noyon e di
Bruxelles posero fine alla guerra nel 1517, facendo
sostanzialmente tornare la mappa dell'Italia allo status quo
precedente il conflitto. Mentre dunque si festeggiava la vittoria un
nuovo colpo giunse però per i mercanti veneziani: conquistata
infatti Ormuz dai portoghesi e conquistate Siria ed Egitto dagli Raffigurazione della battaglia di
Ottomani, si iniziarono a risentire gli effetti del blocco imposto ai Marignano
traffici di spezie anche attraverso la via terrestre passante attraverso
l'Iran. Il doge Loredan morì la notte tra il 20 e il 21 giugno 1521.
Nel 1545 divenne doge Francesco Donà, mentre a Trento, il 13 dicembre si apriva solennemente il concilio
convocato per porre freno alle conseguenze della riforma luterana. Venezia in quest'epoca di relativa pace
fu al centro di un imponente fermento edilizio, che portò a una trasformazione in senso monumentale del
cuore della città, dai palazzi privati a quelli del potere. Nel 1551 ad esempio le autorità veneziane indissero
un bando per il rifacimento del Ponte di Rialto, allora ancora in legno e levatoio, per consentire il passaggio
delle navi. Architetti famosi e già impegnati nei vari cantieri edilizi cittadini come Jacopo Sansovino,
Andrea Palladio e il Vignola, presentarono progetti di approccio classico, con diverse arcate, che non
furono giudicati adatti alla situazione, venendogli preferito il progetto di Antonio da Ponte, del quale venne
avviata la realizzazione.
Succedette Lorenzo Priuli, durante il cui dogado si rafforzò la rigida neutralità veneziana nello scontro che
contrapponeva Francia e Spagna per il dominio sull'Italia. Nel 1559, mentre il Priuli moriva, la Pace di
Cateau-Cambrésis portò al definitivo trionfo della Spagna.
A Lorenzo Priuli succedette il fratello maggiore Girolamo, che dovette affrontare la ripresa degli attriti coi
Turchi, i quali nel 1562 iniziarono a pianificare l'invasione di Cipro, cominciando a radunare ingenti forze a
Satalieh, sulla costa anatolica rivolta verso Cipro. Nel 1563 venne chiuso il concilio tridentino e negli atti
finali, accanto ai riferimenti ai vescovi e ai principi le formule dovettero fare uno speciale riferimento al
doge di Venezia, nella sua particolare condizione di principe e di vescovo della Chiesa di San Marco.
Frattanto le scaramucce tra le flotte veneziana e quella turca aumentavano sempre più. Il doge morì di colpo
apoplettico il 4 novembre 1567.
Fu dunque doge Pietro Loredan, il quale nel 1568 si oppose al papa, che chiedeva l'espulsione dei non
cattolici dai territori della Repubblica. Poco prima di morire, il 28 marzo 1570, il doge ricevette dal sultano
Selim II un ultimatum per la cessione di Cipro[39], che venne rifiutato sdegnosamente.
Nel luglio 1574 il doge accolse a Venezia la storica visita di Enrico III di Francia, in viaggio verso la
Polonia, della quale stava per ricevere la corona. Alvise Mocenigo morì il 4 giugno 1577.
Con la dignità ducale venne dunque ricompensato con elezione all'unanimità, all'età di ottantuno anni, il
vincitore di Lepanto, Sebastiano Venier, il quale morì però nel 1578, colpito da infarto dopo un incendio
che aveva pesantemente danneggiato il Palazzo Ducale.
Più duraturo fu il dogado di un altro ottuagenario Nicolò Da Ponte, durante il quale vennero riordinati i
meccanismi finanziari alla base dell'economia statale. Il Da Ponte morì il 30 luglio 1585.
Si elesse quindi doge Pasquale Cicogna. Nel 1587 per sostenere l'economia venne istituito il Banco di
Piazza, la prima banca pubblica al mondo, finanziata con le risorse dello Stato.
Nel 1591 si elesse a succedere al Cicogna Marino Grimani. Sotto di lui vennero emesse numerose leggi
limitatrici del potere papale che garantivano, al contrario, il massimo controllo statale sulle strutture clericali.
Preoccupata per il potere austro-spagnolo sull'Italia, la Repubblica decise di rinforzare la frontiera orientale
creando una vasta città-fortezza nel Friuli: la città venne fondata il 7 ottobre 1593 con il nome di Palma, tra
le vive proteste austriache, nel timore che Venezia se ne potesse servire come base avanzata per occupare la
contea di Gorizia. Alla fine del 1605 si giunse persino a imprigionare due ecclesiastici come criminali
comuni, senza riconoscere loro i privilegi spettanti al clero, provocando così il risentimento di papa Paolo
V. Il doge morì il 25 dicembre dello stesso anno.
Il 10 gennaio 1606 divenne doge Leonardo Donà. Egli dovette affrontare subito le pretese pontificie
rispetto agli eventi innescatisi durante il dogado precedente, che avevano provocato il lancio dell'interdetto
da parte di papa Paolo V. La Repubblica rispose nominando proprio consigliere teologico fra Paolo Sarpi,
il quale espose in un Protesto le ragioni della nullità dell'atto papale, esortando il clero a proseguire le
proprie funzioni, pena l'espulsione dalle terre di Venezia. I Gesuiti, che non si vollero piegare al diktat,
vennero scacciati. Il 21 aprile 1607, tramite la mediazione francese, si giunse infine a un accordo: la
consegna dei due ecclesiastici arrestati alla Francia in cambio della revoca dell'interdetto. Nel 1609 Galileo
Galilei presentò alla Signoria, sul campanile di San Marco, la sua nuova invenzione: il cannocchiale. Il
doge si spense il 16 luglio 1612.
Marcantonio Memmo divenne doge il 24 luglio. Nel 1613 Venezia
iniziò la guerra contro i pirati Uscocchi, protetti e armati
dall'Austria, che presero a essere combattuti con azioni di blocco e
di sterminio.
La guerra di Gradisca riprese con rinnovato vigore nel giugno 1617, quando caddero sul campo sia il
comandante austriaco sia quello veneziano, mentre il castello veniva per la terza volta stretto d'assedio,
giungendo sul punto di cadere. A quel punto la Spagna minacciò l'intervento. A luglio, poi, giunse
all'orecchio dei Dieci la notizia che il marchese di Bedmar, ambasciatore di Spagna, stava ordendo una
congiura contro il governo dotandosi di un'ampia rete di spionaggio. A quel punto Venezia rispose
stringendo contatti con la Francia, che si offrì di favorire le trattative di pace. Il 6 novembre venne dunque
stipulato un trattato a Madrid con il quale veniva ristabilito lo status quo ante. L'Adriatico venne però al
contempo dichiarato mare veneziano, precluso a qualunque vascello da guerra non autorizzato. La
Repubblica, poi, si alleò con la Repubblica delle Sette Province Unite, entrando in guerra con il Regno di
Napoli e provvedendo ad armare, accanto alla tradizionale Armada Sottile di galee, una Armada Grossa di
velieri: mercantili armati e vascelli noleggiati a olandesi e inglesi, per affrontare la potenza spagnola.
Frattanto procedeva il piano di congiura, che prevedeva un attacco dal mare della flotta spagnola
spalleggiato da un'azione interna da parte di rivoltosi. L'attuazione del progetto fallì sia nel novembre 1617
sia nel marzo 1618, in occasione dei funerali del doge.
Il ducato di Nicolò Donà venne contrassegnato dalla congiura. Il 9 aprile una denuncia segreta confermò i
timori dei Dieci, che si apprestarono a reagire. Il doge morì il 9 maggio; il 12 maggio i Dieci, nel mezzo
dell'interregno, ordinarono l'arresto e la condanna a morte dei nemici dello Stato.
Il nuovo doge fu Antonio Priuli. La Repubblica tentò a quel punto di sbarrare il passo della Valtellina agli
spagnoli - allora impegnati nella Guerra dei trent'anni - sobillando i conflitti religiosi nei Grigioni,
rinnovando nel 1619 la propria alleanza con gli olandesi. Nel 1620, poi, mentre si realizzava il c.d. "Sacro
Macello", la guerriglia uscocca venne definitivamente debellata, ponendo al contempo fine alla guerra con
Napoli. Quasi contemporaneamente, però, Venezia entrò in guerra a fianco dei Savoia contro gli spagnoli
(v. Guerra di Valtellina). Anche gli strascichi delle congiure proseguirono durante il dogado del Priuli: nel
1622, infatti, il senatore Antonio Foscarini, ambasciatore in Inghilterra, venne giudicato colpevole di
spionaggio a vantaggio della Spagna e impiccato tra le colonne della piazzetta: scoperto pochi mesi dopo
come innocente, il Foscarini venne riabilitato con una circolare inviata alle cancellerie europee.
Nel 1623 venne eletto doge Francesco Contarini, durante il cui dogado Venezia si alleò con la Francia in
funzione anti-spagnola.
Nel 1625, divenuto doge Giovanni I Corner, la Francia riuscì a sobillare la Danimarca contro Spagna e
Impero, allargando il conflitto in corso, ma, nel 1626, a causa delle difficoltà interne, fu costretta a firmare
un trattato di pace. Di conseguenza anche Venezia venne costretta a trattare con gli spagnoli, riconoscendo
la Valtellina quale territorio autonomo sotto il loro protettorato. Si trattava però di una tregua solo
temporanea, tanto che appena nel 1629 la Repubblica intervenne contro la Spagna nelle questioni sorte
attorno alla successione al Ducato di Mantova, rinforzando la flotta con il noleggio di dieci vascelli da
schierare nella Armada Grossa.
Nel 1630, mentre veniva eletto doge Nicolò Contarini, a Venezia esplose il contagio della peste, portata in
Italia dai Lanzichenecchi e probabilmente giunta in città a seguito dell'ambasciatore di Mantova, marchese
De Stirgis. In ottobre il Senato veneziano, su richiesta della Signoria, fece solenne voto di erigere una
chiesa in onore della Madonna se la peste fosse cessata. Soltanto a marzo 1631, però, il morbo iniziò a
diminuire d'intensità, consentendo di incominciare la costruzione della basilica di Santa Maria della Salute:
si stima che a Venezia i morti fossero giunti a novantottomila. Il doge stesso morì in quei mesi.
La guerra di Candia
Venne eletto il 20 gennaio Francesco da Molin. La flotta veneziana, finalmente mobilitata, batté quella turca
nei pressi di Negroponte, ma nel maggio 1647 l'intera Creta era oramai caduta, con l'eccezione della
capitale, Candia, per la quale iniziò un assedio destinato a durare ventidue anni. Venezia, decisa a difendere
a ogni costo la sua ultima colonia, continuò strenuamente la lotta, battendo i Turchi nel 1649 nelle acque di
Smirne e nel 1651 in quelle di Paro. Ancora scontri navali si ebbero ripetutamente nel 1654. Il 27 febbraio
1655 il doge morì.
Durante il dogado di Carlo Contarini si ebbero nuove vittorie, fino a che la
flotta veneziana annientò i turchi nei pressi dei Dardanelli.
Il 16 ottobre 1659 venne eletto Domenico II Contarini. Nel 1661 la flotta di Venezia vinse nuovamente
nelle acque di Milo, costringendo i Turchi a concentrare tutti i loro sforzi per porre fine al conflitto.
Nell'agosto del 1664, con la firma della pace di Vasvár, i Turchi disimpegnano le loro forze dallo scacchiere
balcanico, concentrandole contro Venezia. Fallita nel 1666 un'estrema spedizione veneziana per
riconquistare Creta, nel 1667 il Gran Visir in persona giunge a Candia per condurre le operazioni militari di
un assedio che dura oramai ininterrottamente da diciannove anni. Nella città accorsero contingenti di
volontari da tutta l'Europa. Candia era descritta in quest'epoca come completamente distrutta e spopolata,
ma ancora capace di resistere a un continuo stillicidio di bombardamenti, attacchi, contrattacchi ed
esplosioni di mine, fino a quando, al crollo delle ultime difese, il 5 settembre 1669 venne firmata la resa con
l'onore delle armi. Venezia aveva perso nel conflitto 134 milioni di ducati e 30.000 uomini, ma i Turchi
avevano a loro volta perso 80.000 soldati e speso svariati milioni in un'impresa che doveva durare -
secondo i loro piani - solo pochi mesi. Il doge morì nel 1674.
Venne chiamato a succedere come doge Nicolò Sagredo, le cui splendide feste e il fasto e la magnificenza
del suo dogado offrirono uno spettacolo di politica poco attenta al risparmio necessario alla ripresa dopo
una guerra lunga e sofferta.
Il 26 agosto 1676 venne eletto Alvise Contarini, sotto il cui dogado si diffusero i caffè: il primo, il caffè
Florian venne aperto nel 1683. Dopo la caduta di Candia, la presenza veneziana nel Levante si era oramai
ridotta alle sole Isole Ionie, ma quando scoppiò la guerra tra l'Austria e l'Impero ottomano e i Turchi
giunsero ad assediare Vienna, Venezia si apprestò a combattere nuovamente nelle sue antiche acque. Per
respingere gli ottomani fu dunque costituita una Lega Santa.
Nel gennaio 1684 venne eletto Marcantonio Giustinian, il quale aderì alla Lega a nome della Serenissima,
ansiosa di recuperare i propri antichi territori. Il trattato venne stipulato il 25 aprile, alla presenza del nuovo
doge e dell'ambasciatore imperiale, Leonardo I conte di Thurn. Capitano Generale da Mar venne nominato
Francesco Morosini, ultimo difensore di Candia, mentre il bailo veneziano a Costantinopoli abbandonava in
fretta la città: per la prima e unica volta fu Venezia a dichiarare guerra alla Sublime Porta. Per i funzionari
veneziani era dunque prioritario evitare le ritorsioni che,
nell'Impero ottomano, aspettavano tradizionalmente gli
ambasciatori nemici. I territori turchi in Dalmazia vennero assaliti,
mentre gli alleati Morlacchi penetravano in Bosnia e Albania. La
flotta prese Santa Maura, permettendo ai fanti da mar di
conquistare Prevesa (29 settembre) e Missolungi. Per alimentare la
guerra venne consentita l'immissione di nuove famiglie nel
patriziato veneziano dietro forti pagamenti. Nel 1685 i veneziani
presero Corone, avanzando all'interno nella Messenia e nella
Maina, sollevando le popolazioni locali. L'anno successivo
giunsero rinforzi dallo Stato Pontificio, dal Granducato di Toscana
e da Malta. Caddero Navarino, Modone, Argo, Corinto e Nauplia.
Medaglia del doge Francesco Nonostante il sopraggiungere della peste, nel 1686, caddero anche
Morosini il Peloponnesiaco Patrasso, Castello di Morea, Castello di Rumelia e Lepanto,
mettendo in fuga i Turchi. Presa anche Mistrà in agosto la Morea si
ritrovò sotto completo controllo veneziano. La guerra si spostò
dunque nella Grecia centrale. Presa Eleusi, venne brevemente conquistata anche Atene, la cui Acropoli fu
stretta d'assedio dai veneziani dal 23 al 29 settembre: il tempio di Atena Nike fu demolito dai Turchi per
costruire un bastione difensivo, mentre il Partenone, utilizzato come deposito di munizioni, esplose la sera
del 26 settembre, colpito da un colpo di mortaio. Fallito un contrattacco ottomano su Tebe, la guarnigione
capitolò a condizione di essere portata a Smirne. La superiorità della cavalleria turca nell'Attica rendeva
però impossibile tenere la città, che venne abbandonata nell'aprile 1687.
Nel 1688 Morosini venne premiato con l'elezione a doge. Rimasto sul campo organizzò l'assalto a
Negroponte, che però resistette, costringendo il 20 ottobre il doge a levare l'assedio, facendo poco dopo
ritorno a Venezia. Sconfitto anche in Ungheria, il sultano Mehmet IV era stato deposto in favore del fratello
Solimano II, il quale, approfittando della guerra della Grande Alleanza che impegnava l'Austria su due
fronti, passò al contrattacco sul loro fronte. Anche a sud il famigerato pirata maniota Liberakis Gerakaris,
grazie alla sua audacia e alle sue incursioni distruttive in territorio veneziano, riuscì a mettere in difficoltà
Venezia. Nel 1692, Gerakaris guidò il suo esercito nel Peloponneso, che fu invaso dalle sue truppe,
prendendo Corinto, ma assediando invano l'Acrocorinto e Argo, prima di essere costretto a ritirarsi. Nuovi
tentativi di Gerakaris nel 1694 e 1695 fallirono. Tuttavia le sue azioni portavano una devastazione tale da
non poter essere tollerata da Venezia: nell'agosto del 1696 Gerakaris fu catturato e inviato a Brescia, dove
fu incarcerato. Liberatisi di lui, i Veneziani attaccarono Valona, che cadde il 18 settembre. Nel 1692 venne
attaccata anche Creta, dove venne posto l'assedio a Candia, spingendo la popolazione locale alla rivolta. Il
tentativo però fallì, portando anche alla perdita della fortezza veneziana di Gramvussa. Sperando di
riprendere le conquiste in Grecia, Morosini in persona, nonostante l'età avanzata, tornò in Morea nel 1693,
morendo però il 16 gennaio 1694, a Nauplia, unico, in vita, ad aver avuto l'onore di un busto in Palazzo
Ducale e la concessione ufficiale del titolo di Peloponnesiaco.
A succedergli come doge fu Silvestro Valier. Il suo successore come capo militare, però, fu lo Zeno, il
quale, contro il parere dei capi militari, iniziò una spedizione contro la ricca isola di Chio: l'isola fu presa
facilmente dai veneziani, ma la risposta dei turchi fu dura, col risultato di un'umiliante ritirata. Scontri
minori si ebbero successivamente nel 1695, ad Andro, nel 1696, a Lemno, e nel 1697-1698, a Samotracia.
Nel 1699, infine, la guerra si concluse con la pace di Carlowitz, che sancì la vittoria della Lega Santa e la
cessione del Regno di Morea ai Veneziani: fu l'ultima grande campagna di espansione per Venezia e l'ultima
grande vittoria.
Il Settecento veneziano
Alvise II Mocenigo venne eletto
nel 1700, inaugurando la politica
di ferma neutralità che
contraddistinse l'ultimo secolo
della Repubblica. Venezia rimase
dunque estranea alla guerra di
successione spagnola. Il doge
morì nel 1709.
La Festa della Sensa in un'opera del
Il 22 maggio venne eletto vedutista Canaletto
Giovanni II Corner. Nonostante il
desiderio veneziano di restar al di
fuori delle guerre che
insanguinavano l'Europa in quel
Il doge Carlo Ruzzini in abiti periodo, nel 1714 la Repubblica
settecenteschi fu costretta a confrontarsi
nuovamente con gli Ottomani che
tentavano di penetrare
nell'Adriatico. La guerra colse la Serenissima impreparata
politicamente e militarmente: in breve caddero la Morea e le ultime
Il bacino di San Marco a metà
colonie egee. Gli unici successi di rilievo furono la difesa fortunata
Settecento
dell'isola di Corfù nel 1715 e il blocco delle incursioni nella
Dalmazia meridionale. La pace di Passarowitz, nel 1718, costrinse
Venezia a riconoscere la perdita
della Morea, consentendole di
mantenere solo le isole Ionie e di
ampliare i possedimenti dalmati.
Nel 1721 il confine dalmata venne
definitivamente stabilizzato con la
definizione della cosiddetta linea
Mocenigo.
Il dogado di Alvise Pisani ebbe inizio il 17 gennaio 1735. In quest'epoca andò crescendo lo sfarzo delle
feste e degli eventi mondani che resero celebre Venezia in tutta Europa come città di piacere e divertimento,
oltre che di cultura, grazie alla libertà di pensiero garantita dalla Repubblica contro le ingerenze
ecclesiastiche. A partire dal 1736, grazie all'introduzione di nuovi tipi di navi, dette atte, con equipaggio
ridotto e molti cannoni come difesa, l'economia migliorò decisamente.
Il 30 giugno 1741 vestì il corno ducale Pietro Grimani, durante il cui dogato, grazie alle sovvenzioni statali
e alla protezione dogale, si ebbe un notevole sviluppo dell'attività culturale e artistica. Anche l'economia,
già rifiorita col Pisani, riprese forza anche grazie ai vantaggi portati dalla politica di neutralità nel complesso
dei conflitti europei, che consentiva ai mercanti della città lagunare di commerciare liberamente con tutti i
paesi. Il Grimani morì il 7 marzo 1752.
Succedette Francesco Loredan, durante il cui dogado si acuirono gli scontri tra i conservatori e quanti
propugnavano riforme politiche che aumentassero il dinamismo della Repubblica. Nello scontro prevalsero
i primi e i principali esponenti della parte avversa, tra cui l'illuminista Angelo Querini, vennero incarcerati o
esiliati. In questo tipo di clima si consumò l'arresto, nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1755 del turbolento
Giacomo Casanova, il quale venne rinchiuso nelle carceri dei Piombi, dai quali evase -unico nella storia di
quelle prigioni- rocambolescamente all'alba del 1º novembre. Lo scoppio in Europa della guerra dei Sette
anni permise frattanto un rafforzamento della ripresa economica che rafforzò ulteriormente l'ala
conservatrice del Maggior Consiglio. Il Loredan morì il 19 maggio 1762.
Venne eletto Marco Foscarini, il quale morì però dopo appena dieci mesi.
Il 19 aprile 1763 divenne dunque doge Alvise IV Giovanni Mocenigo. Nel 1764 venne ratificata la
Convenzione di Ostiglia, che stabiliva in via definitiva l'annosa questione sui confini occidentali della
Repubblica in direzione dei possessi austriaci nel milanese. In realtà l'affare si era reso scabroso essendosi
rilevato un'azione di spionaggio a danno delle difese della Repubblica Veneta. In quest'epoca Venezia
venne colpita da una grave crisi economica, contro la quale si cercò di reagire promulgando leggi suntuarie,
che non trovarono però alcuna reale applicazione. Si attuò una riforma fiscale per ridistribuirne la pressione
sui cittadini e vennero aboliti i dazi interni, mentre si cercava di rivitalizzare i commerci agendo contro i
pirati barbareschi, colpiti con una spedizione nel 1766 contro Tripoli che costrinse il signore locale a
stringere accordi commerciali con la Repubblica. Altri accordi vennero ricercati anche a Tunisi, in
Marocco, nell'Impero russo e anche nelle Americhe. Nel 1767, nell'ambito di un miglioramento del clima di
relazione con l'Austria, Venezia venne visitata da Carlo Eugenio di Württemberg, seguito nel 1769 e 1775
dallo stesso Giuseppe II. Il doge morì nel 1778 mentre una nuova spedizione punitiva veniva condotta
contro Tripoli.
Il 14 gennaio 1779 venne scelto come successore Paolo Renier. Nel 1782 la città venne visitata da Paolo di
Russia conte del Nord e da papa Pio VI. Nel 1784 fu la volta di Gustavo III di Svezia, ma, nonostante
queste importanti presenze, la condizione politica veneziana si palesava sempre più come marginale nello
scacchiere europeo. Nel 1785-1786 per l'ultima volta la flotta di San Marco mosse guerra: al comando di
Angelo Emo vennero bombardate Sfax, Tunisi e Biserta, ponendo definitivamente fine alle minacce
barbaresche ai residui traffici veneziani. In questo periodo, comunque, la Serenissima brillava ancora dal
punto di vista del profilo culturale, basti ricordare al riguardo i nomi di Vivaldi nella musica, Goldoni nella
letteratura e Tiepolo e il Canaletto nella pittura.
Il Settecento si contraddistingue per la diffusione del Salotto letterario tipico della Francia illuminista. In tali
salotti si fanno dibattiti letterari, politici si intrattengono conversazioni amorose, si gioca a carte. Vanno
menzionati il salotto di Isabella Teotochi Albrizzi frequentato dai più famosi letterati dell'epoca come Ugo
Foscolo, George Gordon Byron oppure quello di Marina Querini o di Giustina Renier Michiel frequentati
anche da Antonio Canova e da Madame de Staël . Anche se tali salotti sono a favore delle idee
rivoluzionarie lo sono meno per la Rivoluzione francese.
La Caduta
Il 9 maggio 1789 venne eletto l'ultimo doge: il friulano Lodovico Manin. Alla sua elezione circolò la voce:
(VEC) (IT)
La conduzione della campagna d'Italia era stata affidata al giovane generale Napoleone Bonaparte, il quale
travolse il Regno di Sardegna e i possedimenti austriaci, entrando il 15 maggio a Milano. Venezia si era
immediatamente preoccupata a dichiarare la propria neutralità, nonostante le richieste di soccorso
austriache, limitandosi a nominare in via straordinaria un Provveditore Generale per la Terraferma, per
rafforzare il controllo sulle province. La neutralità veneziana venne però violata prima dalle forze austriache
in ritirata, che ripiegarono verso il Tirolo attraverso i territori della Serenissima, trovandovi le città sbarrate,
e poi, il 30 maggio, da Napoleone, che attraversò in forze il Mincio per dare la caccia agli austriaci. La
Terraferma divenne così teatro di scontro nella guerra. Desideroso di non provocare i francesi, il 1º giugno
il Provveditore Generale acconsentì al loro ingresso nella piazzaforte di Verona e in altre città,
accompagnando la cosa con un'analoga concessione agli austriaci. Si venne progressivamente a creare
ovunque una difficile condizione di convivenza tra le truppe veneziane, gli occupanti francesi e la
popolazione locale, mentre la presenza dell'esercito rivoluzionario eccitava gli animi dei simpatizzanti
giacobini. Di fronte a tali avvenimenti, il Senato, gravemente preoccupato, ordinò il richiamo della flotta, la
coscrizione delle cernide e la creazione di un Provveditore Generale alle Lagune e ai Lidi per provvedere
alla difesa del Dogado, protestando al contempo presso il Direttorio di Parigi e la corte di Vienna. Al
Provveditore Generale di Terraferma venne affiancato un Provveditore Straordinario, ma con scarsi risultati.
Fallite le controffensive invernali austriache, e conquistata la roccaforte asburgica di Mantova, il
Provveditore Straordinario non seppe evitare che i francesi sobillassero la ribellione di Bergamo, il 13
marzo, e Brescia, il 18 marzo, e intervenissero apertamente il 27 marzo a forzare la ribellione di Crema e a
bombardare il 31 marzo Salò, insorta in difesa della Serenissima. Liberatisi di ogni parvenza di legalità i
francesi si fecero sempre più aggressivi e arroganti, minacciando apertamente di ostacolare le operazioni di
riconquista delle città ordinate da Venezia. Anche le insurrezioni anti-giacobine nelle terre della Lombardia
Veneta vennero soffocate.
(VEC) (IT)
«Quantunque siemo con l'animo molto «Per quanto siamo con l'animo molto
afflitto e conturbà, pure dopo prese con afflitto e turbato, pur dopo aver preso con
una quasi unanimità le due Parti anteriori, una quasi unanimità le due precedenti
e dichiarata così solennemente la decisioni, e avendo dichiarato così
pubblica volontà, anche Nu semo solennemente la pubblica volontà, anche
rassegnadi alle divine disposizion. Noi siamo rassegnati alle divine
(...) decisioni.
La parte che se ghe presenta no xe che (...)
una conseguenza de quanto Le ha già La decisione che Vi si presenta non è che
accordà con le precedenti (...); ma due una conseguenza di quanto già accordato
articoli ne reca sommo conforto, con quelle precedenti (...); ma due articoli
vedendone assicurada con uno la nostra ci danno sommo conforto, vedendoci
Santa Religion, e con l'altro li mezzi di assicurata con uno la nostra Santa
sussistenza per li nostri concittadini (...). Religione, e con l'altro i mezzi di
(...) sussistenza per i nostri concittadini (...).
Mentre ne vien minacià sempre el ferro e (...)
el fogo se non se aderisce alle loro Mentre ci viene minacciato sempre il ferro
ricerche; e in adesso semo circodadi da e il fuoco se non si aderisce alle loro
60/m uomini caladi dalla Germania, richieste; e in questo momento siamo
vittoriosi ed in conseguenza liberadi dal circondati da sessantamila uomini calati
timor dele Armi austriache. dalla Germania, vittoriosi e quindi liberati
(...) dal timore delle armi austriache.
Chiuderemo dunque, come ben se deve, (...)
col racomandarghe de rivolgerse sempre Chiuderemo dunque, come ben si deve,
a Dio Signor ed alla Madre sua col raccomandarVi di rivolgersi sempre a
santissima, onde i se degni dopo tanti Dio Signore e alla sua Madre santissima,
flagelli, che meritamente per le nostre affinché si degnino dopo tanti flagelli, che
colpe i n'ha fatto provar, i vogia meritatamente ci hanno fatto provare per
riguardarne con gli occhi della loro le nostre colpe, e vogliano guardarci di
misericordia, e sollevarne almeno in nuovo con gli occhi della loro
qualche parte da tante angustie che ne misericordia, e sollevarci almeno in parte
opprime.» dalle tante angustie che ci opprimono.»
Note
Esplicative
1. ^ Dandolo, Andrea: Chronica per extensum descripta, Rerum Italicarum Scriptores, XII/1,
Bologna 1958, p. 105.
2. ^ Scrive infatti Giovanni Diacono nella Istoria Veneticorum, II-2, che «Temporibus nempe
imperatoris Anastasii et Liuprandi Langobardorum regis, omnes Venetici, una cum
patriarcha et episcopis convenientes, communi consilio determinaverunt quod dehinc
honorabilius esse sub ducibus quam sub tribunis manere. Cumque diu pertractarent quem
illorum ad hanc dignitatem proveherent, tandem invenerunt peritissimum et illustrem virum,
Paulitionem nomine, cui iusiurandi fidem dantes, eum apud Eraclianam civitatem ducem
constituerunt.» ("Appunto al tempo dell'imperatore Anastasio e di Liutprando, re dei
Longobardi, tutti i Venetici, riunendosi insieme al Patriarca e ai Vescovi, decisero di comune
accordo che fosse dunque più onorevole rimanere sotto [il governo] di un Duca, piuttosto
che dei Tribuni. E così discutendo a lungo su chi tra loro elevare a tale dignità, infine
trovarono un uomo abilissimo ed illustre, di nome Paoluccio, e, giurandogli fedeltà, lo
nominarono Duca presso la città di Eracliana").
3. ^ Scrive infatti Andrea Dandolo nella Chronaca Venetiarum, I-7 : «Illic Paulutius dux
amicitiam cum Liutprando rege contraxit et pacta inter Venetos et Langobardos fecit per
quae sibi et populo suo immunitates plurimas acquisivit et fines Heracliae cum Marcello
magistro militum, terminavit, videlicet, a Plava majore usque in Plavam sicca, sive
Plavicellum.» ("Colà il duca Paulicio strinse pace e amicizia col re Liutprando e stipulò un
trattato tra Veneti e Longobardi, col quale acquisiva per sé ed i suoi numerose esenzioni e,
come si vede, stabiliva assieme al magister militum Marcello i confini di Eraclia dal Piave
maggiore sino alla Piave secca, altrimenti detto Piavicello").
4. ^ Si legge infatti dall'anonimo della Cronaca Altinate, libro III, che: «Orta est contentio inter
Veneticos, coeperunt fortiter inter se pugnare, apprehenderunt eandem civitatem et
incenderunt et interfecierunt Paulicium in simul cum filium eius et cunctos consanguineos
eorum et remansit ex eis nisi tantum salummodum unus clericus qui genuit duos filios.»
("Nacque una contesa tra i Venetici, i quali presero a combattersi con sempre maggior forza,
conquistarono quella città (Eracliana), la diedero alle fiamme e massacrarono Paulicio
assieme a suo figlio e a tutti i loro consanguinei, tra i quali non rimase nessuno se non un
prete, dal quale discesero due figli").
5. ^ Giovanni Diacono scrive nella sua Istoria Veneticorum, II-17, che «Eisdem etiam diebus
Venetici, magistrorum militum prelibate prefecture dignitatem abominantes, rursum, ut
quondam, ducem, videlicet Deusdedem, sepedicti Ursonis ypati filium, in Metamaucense
insula sibi crearunt.» ("In quegli stessi giorni, inoltre, i Venetici, disgustati -provatone il
governo- dalla carica dei magistri militum, si nominarono nuovamente, come un tempo, un
Duca nell'isola di Metamauco, vale a dire Teodato, considerato figlio di Orso Ipato").
6. ^ Ipotesi di Gherardo Ortalli in Ortalli G., op. cit., p. 371. Cfr. anche Mor C. G., Aspetti della
vita costituzionale veneziana fino alla fine del X secolo, in Le origini di Venezia, Sansoni
ed., Firenze 1964, p. 129.
7. ^ Giovanni Diacono scrive infatti nella Istoria Veneticorum, III-32, che «Deinde cum domnus
Iohannes dux adhuc infirmitate detentus, frater eius ducatum rennueret, Venetici ducem sibi
constituerunt, Petrum videlicet, cognomento Candianum, infra domum ipsius, septima
decima die mensis aprilis» ("Quindi, poiché il signore Giovanni, il duca, era divenuto inabile
al governo, rinunciando anche suo fratello al ducato, i Venetici si nominarono un doge, vale
a dire Pietro, chiamato Candiano, come in seguito la sua stessa casata, nel diciassettesimo
giorno del mese di aprile.").
Bibliografiche
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2. ^ Giuseppe Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia dal suo principio sino al suo fine,
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3. Marc'Antonio Bragadin, Le repubbliche marinare, in I grandi libri d'oro, Milano, Arnoldo
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4. Marc'Antonio Bragadin, Le repubbliche marinare, in I grandi libri d'oro, Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, 1974, p. 12.
5. Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo VI.
6. Diehl, 2004.
7. ^ Cronaca Altinate, libro I.
8. ^ Giovanni diacono, Cronaca, in Cronache veneziane antichissime, Fonti per la storia
d'Italia, IX, Roma 1980, p. 91.
9. ^ Liber pontificalis, I.
10. ^ Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo II.
11. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 362-364.
12. ^ Diehl, 2004, p. 21.
13. ^ Ipotesi formulata da Gherardo Ortalli, in Ortalli G., op. cit., p. 370-371.
14. ^ Liber Pontificalis, Stephanus II, XIX, p. 445; XX, pp. 445-446; XXI-XXVI, pp. 446 e segg.
15. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 372-375.
16. Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I.
17. Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo III.
18. ^ Origo civitatum Italie seu Venetiarum
19. ^ Cessi R., Politica, economia, religione in «Storia di Venezia», vol. II, Dalle origini del
ducato alla IV crociata, Centro internazionale delle arti e del costume, Venezia 1958, p. 108.
20. ^ Petrusi A., L'impero bizantino e l'evolvere dei suoi interessi nell'alto Adriatico, in «Le
origini di Venezia», Sansoni ed., Firenze 1964, p. 74.
21. ^ Origo civitatum Italiae seu Venetiae
22. ^ Pietro diacono, op. cit., p. 110.
23. Mirko Riazzoli, Cronologia di Venezia.
24. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 385-386
25. ^ Mirko Raizzoli, Cronologia di Venezia.
26. ^ Nella cronaca di Guglielmo di Tiro, libro XII.
27. Zorzi, 2001.
28. ^ Storia di Venezia E. Musatti Filippi Editore pag.295-299
29. ^ Avvenire 5 luglio 2017 . Se in Veneto salta il Banco, corsi e ricorsi della storia (https://www.
avvenire.it/agora/pagine/banco)
30. ^ Pellegrini, 2009, pp. 115-116.
31. ^ Canonici, Alviano p. 13.
32. ^ Pellegrini, 2009, pp. 116-117.
33. ^ Pellegrini, 2009, pp. 120-122.
34. ^ Pellegrini, 2009, p. 123.
35. ^ Norwich, 1989, pp. 408-409.
36. ^ Pellegrini, 2009, p. 125.
37. ^ Hutchinson, 2012, p. 159.
38. ^ Pellegrini, 2009, pp. 146-149.
39. ^ Barbero, 2010, pp. 86-88.
40. ^ Molmenti Pompeo: La storia di Venezia nella vita privata dalle origini alla caduta della
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 1, Venezia, Pietro Naratovich
tipografo editore, 1853. URL consultato il 18 febbraio 2020.
Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 2, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 3, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 4, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 5, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 6, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 7, Venezia, Pietro Naratovich
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Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 8, Venezia, Pietro Naratovich
tipografo editore, 1859. URL consultato il 18 febbraio 2020.
Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, vol. 9, Venezia, Pietro Naratovich
tipografo editore, 1860. URL consultato il 14 aprile 2020.
Approfondimenti
(LA) Statuta veneta emendatissima cum nouis additionibus lector inspice, Venezia,
Bernardino Benali, 1528.
Voci correlate
Cronologia di Venezia
Repubblica di Venezia
Repubbliche marinare
Stati italiani preunitari
Governo della Repubblica di Venezia
Repubblica di Poglizza
Repubblica di San Marco
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