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7393/DBIOL-139
VALGULIO, Carlo
VALGULIO, Carlo. – Nacque a Brescia in una famiglia patrizia di parte
guelfa dal giureconsulto Stefano in una data comunemente indicata
intorno al 1434, ma che non è stato possibile accertare. Non è noto il
nome della madre.
Nel 1472 Angelo Poliziano gli dedicò un epigramma in greco in cui, forse
rispondendo a un suo componimento analogo, celebrò la sua prodigiosa
educazione giovanile, ricordando in termini allusivi gli stimoli intellettuali
che aveva da lui ricevuti. Un rapporto consolidato tra i due emerge anche
da una lettera datata Arezzo 18 marzo 1475 in cui Valgulio, rispondendo a
Poliziano, menzionò Marsilio Ficino, un tale Tommaso (Minerbetti?), altri
amici comuni fiorentini, e Panezio Pandozzi da Cortona. A lui, divenuto
allievo di Ficino grazie ai suoi stessi consigli, Poliziano aveva dedicato un
epigramma latino. Più numerose le testimonianze dell’amicizia con Ficino,
che gli scrisse confidenzialmente il 10 dicembre 1474 in risposta a una
sua precedente lettera, e lo nominò poi in altri passi del suo epistolario.
Quasi certamente nel medesimo periodo, scrivendo al fiorentino
Tommaso Minerbetti, uomo di lettere e poi più volte gonfaloniere e
ambasciatore della città tra il 1483 e il 1492, gli raccomandò di restare
«in familiaritate» con Valgulio, che all’epoca doveva trovarsi a Firenze,
dove secondo alcuni era precettore dei suoi figli. In una lettera del 1476 lo
raccomandò a Bernardo Bembo, che dopo la sua ambasceria a Firenze
era tornato a Venezia, dove dunque Valgulio risiedeva e dove dovette
trattenersi almeno fino al 1478, come emerge da un’altra lettera dei primi
mesi di quell’anno al veneziano Leone Michiel, nella quale Ficino lo
menzionò di nuovo. Non abbiamo documentazione, invece, di presunti
rapporti con Antonio Calderini, Benedetto Accolti e Giovanni Cavalcanti. È
molto probabile che proprio in quegli anni sia entrato in possesso di un
importante manoscritto platonico, in precedenza appartenuto a Manuele
Crisolora e forse a Palla Strozzi (Paris, Bibliothèque nationale de France,
Gr. 1811).
Negli anni romani portò a compimento gran parte delle sue traduzioni dal
greco in latino, alcune delle quali aveva certamente avviato e fatto
circolare già in precedenza, lavori tutti che testimoniano lo stretto legame
da lui instaurato con la famiglia Borgia e con l’ambiente che le gravitava
attorno. Anteriori al 1492 vanno considerate le epistole dedicatorie di tre
traduzioni rimaste inedite: successiva al 1481 quella a Piccolomini dei
Praecepta gerendae reipublicae di Plutarco, successiva al 1488 quella a
Sandei dell’Ad Nicoclem e del Nicocles di Isocrate. Priva di dedica è la
traduzione delle Dissertationes di Epitteto, avviata tra il 1494 e il 1498 e
terminata certamente prima del 19 febbraio 1512. Tra il 1492 o poco
prima e il 1494 circa si pongono le dediche delle traduzioni poi pubblicate
a Brescia nel 1497 presso Bernardino Misinta: ad Alessandro VI del De
virtute morali di Plutarco (ma nel manoscritto livornese la dedica è a
Piccolomini, segno che forse il lavoro risale a prima dell’elezione di
Rodrigo Borgia al soglio pontificio, il 12 agosto 1492), al cardinale Cesare
Borgia del trattato astronomico di Cleomede, a Giovanni Borgia duca di
Gandìa dei Coniugalia praecepta di Plutarco, a Piccolomini di tre orazioni
sulla concordia, la 24 di Elio Aristide, la 38 e la 39 di Dione Crisostomo.
Non si ha traccia della traduzione dei De tuenda sanitate praecepta di
Plutarco dedicata ad Alessandro VI, che Valgulio, nella citata dedica a
Cesare Borgia, dice di aver portato a termine dopo la morte di Sinibaldi.
Non è provato che al suo ritorno in area bresciana abbia aperto una sua
scuola, col poeta Andrea Marone tra gli allievi, come afferma qualche
studioso. Sembra certa la sua appartenenza all’Accademia dei Vertumni,
mentre è documentato che nel 1502 si impegnò senza successo per far
istituire in città un insegnamento pubblico di musica. In seguito portò a
termine il Prooemium alla sua traduzione latina del De musica plutarcheo,
che, avviata nei decenni precedenti e portata a conoscenza di Franchino
Gaffurio prima del 1492, fu pubblicata nel 1507 presso Angelo Britannico
con dedica al giovane chierico bresciano Tito Perini. Qualche tempo
prima aveva completato le traduzioni latine di Anabasis e Historia Indica
di Arriano, poi pubblicate con dedica a Bartolomeo d’Alviano senza note
tipografiche, ma certo prima della sconfitta di Agnadello ed entro l’aprile
1508 dall’editore bresciano Antonio Moretto all’epoca attivo a Venezia.
Non si ha altra notizia di una sua traduzione dell’orazione De pace di
Isocrate, che secondo Elia Capriolo fu terminata dopo il 1506. Il 10
febbraio 1509 pubblicò a Brescia presso Giovan Antonio Gandino due
suoi pamphlet in latino riuniti in un opuscolo: nello Statutum Brixianorum
de sumptibus funerum, contro le obiezioni dei Domenicani, difese le
misure adottate dalle autorità cittadine nel 1507 per limitare lo sfarzo
delle celebrazioni funebri; nel Contra vituperatorem musicae reagì
appassionatamente alla condanna della musica espressa da un anonimo
censore, forse un insegnante, evidenziando, in termini neoplatonici e sulla
base delle sue conoscenze dei testi musicologici greci, gli aspetti positivi
della disciplina. Una lettera che Giano Lascaris gli inviò da Roma
verosimilmente nel 1513 documenta un consolidato rapporto di intima
familiarità tra i due, di cui non è dato ricostruire le fasi iniziali. A lui va
ascritto anche il De concordia Brixianorum, altro pamphlet di argomento
politico nel quale si sostiene l’opportunità di un allargamento della base
sociale degli organismi politici cittadini, pubblicato dal medesimo editore
nel 1516 sotto il nome di Benedetto Massimi. Il testo diede l’avvio a un
confronto acceso e senza esclusione di colpi tra opposte fazioni, e in quel
clima, il 7 gennaio 1517, Valgulio fu assassinato per mano di Filippino Sala.