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UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

XX CICLO DI DOTTORATO
IN
DISCIPLINE FILOSOFICHE

a.a. 2004-2005

IL TRATTATO SULLE TRE IPOSTASI DI PLOTINO NELLA


TRADUZIONE E NEL COMMENTO PER NOTE DI MARSILIO FICINO

Relatore: dott.ssa C. D’Ancona


Dott. Riccardo Saccenti
INTRODUZIONE

Il commento di Marislio Ficino al testo latino di Enneadi V.1, sebbene ridotto e


costituito da brevi paragrafi introduttivi ai capitoli del trattato e da un paragrafo
conclusivo, contiene elementi di analisi filosofica del testo plotiniano che
meritano interesse. Nelle brevi note infatti si trovano indicazioni interessanti sul
modo di considerare il contenuto del trattato plotiniano da parte di Ficino, in
particolare riguardo alla dottrina delle tre ipostasi. L’Uno, l’Intelletto e l’Anima,
costituiscono elementi centrali dell’analisi filosofica per il platonico Ficino. Nel
commento che accompagna la traduzione di V.1 è possibile rintracciare, la
presenza di una pratica radicata dei testi e temi platonici, analizzati alla luce delle
diverse tradizioni filosofiche che costituivano il bagaglio culturale del filosofo
fiorentino.
Per poter meglio focalizzare i temi filosofici che Ficino giudica rilevanti è
opportuno prendere le mosse da un’analisi, anche se sommaria, della diffusione
del testo delle Enneadi nei decenni precedenti il lavoro di Ficino e dell’utilizzo
del trattato sulle tre ipostasi.

1. Plotino nel Quattrocento italiano


Nella lettera introduttiva all’edizione della traduzione latina di Plotino, Marsilio
Ficino racconta di essere stato incoraggiato ad intraprendere la traduzione da
Cosimo de’ Medici, per il tramite di Giovanni Pico della Mirandola1. La
traduzione ficiniana di Plotino rappresenta un passaggio filosoficamente centrale
nella storia non solo dell’umanesimo fiorentino ed italiano. La diffusione di
questo testo e l’attenzione ad esso dedicata nei tre secoli successivi ne fanno
un’opera centrale nella storia della filosofia europea.
La redazione di questo testo non nasce certo dal nulla. Alle spalle del
lavoro di Ficino vi è un rapporto lungo e complesso con il testo delle Enneadi, che
nel corso del Quattrocento si diffusero in Italia e soprattutto a Firenze. È possibile
avere un quadro sufficientemente ampio di tale diffusione prendendo in esame da
un lato i codici greci che circolavano in quegli anni, dall’altro l’attenzione
filosofica riservata a Plotino da filosofi e teologi negli anni precedenti il lavoro di
Ficino.

1
«Quo enim tempore Platonem latinis dedi legendum; heroicus ille Cosmi animus heroicam Pici
Mirandulae mentem nescio quomodo instigavit, ut Florentiam, et ipse quasi nesciens quando,
perveniret. […] Tunc ille [scil. Picus Mirandulae], et hoc ipso vehementer congratulatus est, et
mox nescio quibus verbis, ac ille nescit quibus, ad Plotinum intraprendendum me non adduxit
quidem, sed potius concitavit. Divinitus profecto videtur effectum, ut dum Plato quasi
renasceretur, natus Picus heros sub Saturno suo Aquarium possidente. Sub quo et ego similiter
anno prius trigesimo natus fueram. Ac perveniens Florentiam quo die Plato noster est editus,
antiqum illud de Plotino herois Cosmi votum mihi prorsus occultum, sed sibi caelitus inspiratum,
idem et mihi mirabiliter inspiraverit», Prohemium Marsili Ficini Fiorentini in Plotinum ad
Magnanimum Laurentium Medicem Patriae servatorem, in Plotini Opera a Ficino Traslata,
Firenze 1492, f. 1r. Si veda: E. Garin, Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVII
secolo, Mondadori, Milano 1992, p. 104.

2
1.1 I codici plotiniani nel Quattrocento.
Eugenio Garin ha suggerito di distinguere due periodi nella difussione di Plotino
nell’Italia del Quattrocento: una prima fase che si estende fino agli anni ottanta
del XV secolo, e una seconda coincidente con il lavoro di Ficino2. Prendendo in
considerazioni i codici plotiniani si può osservare come con il Concilio di Firenze
prima, e poi grazie alla politica culturale medicea promossa da Cosimo e
continuata dal nipote Lorenzo, copie del testo greco delle Enneadi siano pervenute
a Firenze. Il testo circolava già negli ambienti classicisti italiani, dal momento che
uno dei primi codici di cui si ha notizia è l’odierno Parisinus graecus 1976
appartenuto a Palla Strozzi nei primi decenni del XV secolo3. Degli stessi anni
sono altri due importanti codici. Il Laur. 85,15, acquistato dal veneziano Leonardo
Giustinian e approdato nel 1569 a Firenze ad opera di Ludovico Beccatelli4, e il
Berolinensis graecus 375 redatto da Michele Apostolis a Creta e poi acquistato
dal medico Alessandro da Verona e quindi da Ermolao Barbaro5. A Firenze il
testo plotiniano è presente nella biblioteca di Nicolo Piccoli (1364/5-1437), in
quello che poi sarebbe divenuto il Laurentianus graecus 87,3, testo poi passato a
Cosimo de’ Medici6.
Nei primi decenni del XV secolo si registra quindi una presenza del testo
greco delle Enneadi in Italia, ma è solo con il Concilio di Firenze del 1439, con i
suoi dibattiti teologici e filosofici, la presenza di dotti bizantini e il dialogo
istaurato fra loro e gli umanisti fiorentini, che il testo conoscerà una maggiore
attenzione. I teologi bizantini, come Bessarione e Scholarios, citeranno Plotino nei
loro discorsi ai padri conciliari e nei loro scritti teologici7. Giorgio Gemistio
Pletone e Giovanni Argiropulo faranno lo stesso nelle loro opere filosofiche8. Le
Enneadi sono al centro dell’attenzione di molti fra i principali esponenti della
cultura filosofica di quegli anni e sono oggetto di studio da parte di dotti come
Argiropulo e Pletone, che terranno lezioni a Firenze. Dallo studio del testo
plotiniano nascono alcuni codici e alcune glosse di grande interesse. È il caso
delle annotazioni al codice Chisianus graecus 19, frutto dello studio di Scholarios,
che se ne servì nella sua difesa di Aristotele contro Platone9. Ma più importante
per Ficino fu l’attenzione dedicata dall’Argiropulo alle Enneadi, frutto della quale
è il Parisinus graecus 197010, trascrizione del Laur. 87,3 operata di sua mano dal
dotto bizantino attorno al 145711.

2
Cfr. E. Garin, Rinascite e rivoluzioni, pp. 91-112, in particolare p. 104.
3
Cfr. E. Garin, Rinascite e rivoluzioni, pp. 92-94.
4
Cfr. P. Henry, Études plotiniennes. Les Manuscrits des Ennéades, L’édition Universelle,
Bruxelles, 1941, pp. 117-123.
5
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 186-191.
6
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp.30-36.
7
Cfr. J. Monfasani, Pletone, Bessarione e la processione dello Spirito Santo: un testo inedito e un
falso, in P. Viti (a cura di), Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di Studi. Firenze, 29
novembre – 2 dicembre 1989, Olschki, Firenze, 1994, pp. 833-859.
8
Cfr. S. Gentile, Giorgio Gemistio Pletone e la sua influenza sull’umanesimo fiorentino, in P. Viti
(a cura di), Firenze e il Concilio del 1439, pp. 813-832.
9
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 163-168.
10
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 91-96.
11
Sull’importanza di Argiropulo per la diffusione dello studio di Plotino si vedano gli scritti di E.
Garin, Plotino nel 400 fiorentino, in «Rinascimento», 1(1950), 107-108; Medioevo e
Rinascimento, Laterza, Bari, 1954, pp. 236-247; Rinascite e Rivoluzioni, pp. 96-104; La cultura
filosofica del Rinascimento italiano, Bompiani, Milano, 2001, pp. 102-108.

3
1.2 Marsilio Ficino e il testo plotiniano.
Il grande lavoro di traduzione e commento di Ficino si inserisce a questo punto
della storia della cultura fiorentina ed italiana del Quattrocento. Se la traduzione e
il commento editi nel 1492 sono frutto di un lavoro condotto fra il 1484-86 per
quanto riguarda la traduzione e il 1486-1490 per ciò che concerne il commento e
la revisione della traduzione, la familiarità con il testo plotiniano da parte di
Ficino deve essere fatta risalire molto più indietro. Facendo sempre riferimento
all’epistola dedicatoria che funge da introduzione al suo lavoro su Plotino, Ficino
stesso osserva che era stato interesse di Cosimo il Vecchio fare avere al suo
giovane protetto un’ampia biblioteca platonica che comprendesse Platone e i
platonici, fra cui anche Plotino12. Ficino osserva che nel 1463 egli dette inizio al
suo lavoro di traduzione e studio di questi testi cominciando dall’Ermete
Trismegisto, per passare poi a Platone e infine, nel 1483 giungere a Plotino13.
Cosimo mise a disposizione di Ficino il codice plotiniano in suo possesso, il Laur.
87,3, e incaricò Giovanni Scutariotes di realizzarne un’ulteriore copia, l’odierno
Parisinus graecus 1816, su cui Ficino poté lavorare direttamente. Lo studio del
testo condotto da Ficino è testimoniato da due codici, che Paul Henry dice essere
stati ampiamente utilizzati dal filosofo fiorentino14, contenenti estratti del testo
greco, ampiamente glossati, commentati, e a volte tradotti. Si tratta
dell’Ambrosianus graecus 329 e del Borgianus graecus 22. Lo studio di questi
testi sembra dettato da un preciso interesse di Ficino per alcuni punti della
trattazione filosofica plotiniana, che egli giudicava importanti per la sua personale
riflessione filosofica. In questi codici si trovano trascritti alcuni trattati della IV
Enneade riguardanti l’anima.
L’Ambrosianus viene indicato da Henry come autografo dello stesso
Ficino e contiene il Fedone di Platone (ff.17-108) e i seguenti trattati plotiniani:
Enn. IV, 2 (ff. 146-150); IV, 1 (ff. 150v-151); IV, 7 (ff.151-157v); IV, 8 (ff. 168-
179v)15. Scorrendo la descrizione che Henry fa del codice si osserva come questo
sia ricchissimo di annotazioni marginali, di congetture sul testo greco e di note
esegetiche latine. La composizione del codice è fatta risalire ad un periodo
relativamente lungo, compreso fra il 1468 e il 1483, cioè durante il lungo lavoro
di traduzione e commento di Platone che Ficino intraprese e che precedette quello
su Plotino. Del resto, come nota Henry, il codice sembra rappresentare una sorta
di florilegio platonico e neoplatonico composto come utile strumento di lavoro da
Ficino. Il testo del Fedone è infatti seguito dai trattati delle Enneadi dedicati al

12
«Deinde dum conceptum tantum Magnus ille Medices [scil. Cosmus] quodammodo parturiret,
me electissimi medici fui Ficini filium, ad huc puerum, tanto operi destinavit. Ad hoc ipsum
educavit indies. Operam preterea dedit, ut omnes non solum Platonis, sed etiam Plotini libros
graecos haberem», M. Ficini, Prohemium, in Plotini Opera, 1r.
13
«Post haec autem anno millesimo quadringentesimo sexagesimotertio, quo ego trigesimum
agebam etatis annum, mihi Mercurium primo Termaximum, mox Platonem mandavit
interpretandum. Mercurium paucis mensisbus eo vivente peregi. Platonem tunc etiam sum
aggressus. Et si Plotinum quoque desiderabat, nullum tamen de hoc interpretando fecit verbum, ne
graviore me pondere semel premere videretur», M. Ficini, Prohemimum, in Plotini Opera, 1r.
14
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 37-44.
15
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Énneades, p. 37. I trattati plotiniani contenuti
nell’Ambrosianus 329 sono i due tratti Sull’essenza dell’anima (IV, 1 e IV, 2), quello
Sull’immortalità dell’anima (IV, 7) e infine quello Sulla discesa dell’anima nei corpi (IV, 8).

4
commento a questo dialogo, come è il caso di IV, 7, e all’esegesi della psicologia
di Timeo 34c-35a, ossia il trattato IV, 2, di cui IV, 1 appare come appendice.
Infine il trattato IV, 8 rappresenta il tentativo di Plotino di conciliare le posizioni
psicologiche illustrate nei due dialoghi platonici.
Il lungo tempo dedicato alla redazione di questo codice sembra spiegabile
con l’idea che questo sia una sorta di quaderno di appunti di Ficino. Non si deve
tuttavia sottovalutare l’importanza tematica della riflessione filosofica sull’anima
nell’opera del filosofo fiorentino. Come già aveva evidenziato Kristeller, e con
lui Garin, l’anima è certamente fra gli oggetti principali dell’attenzione filosofica
di Ficino16, che certamente conosceva l’approccio aristotelico al problema,
attraverso la lettura platonizzante dalle lezioni sul De Anima di Aristotele che
Giovanni Argiropulo aveva tenuto a Firenze nel 146017. Altrettanto nota era anche
la posizione scolastica e tomista18, dal momento che nel 1474 era comparso un
commento al De Anima del maestro di Ficino, Niccolò Tignosi da Foligno19. Alle
spalle della redazione del codice ambrosiano non c’è quindi solo la necessità di
preparare la traduzione e il commento a Platone. La selezione dei testi e dei temi
che portano alla redazione del codice fa pensare piuttosto alla volontà di portare
avanti uno studio mirato su un tema preciso, l’anima, a partire dal testo platonico
che lo tratta con più accuratezza, il Fedone. La selezione dei quattro trattati delle
Enneadi che accompagnano il Fedone, mostra come Ficino colga il tratto
fondamentale della filosofia plotiniana, cioè quello di essere esegesi filosofica dei
dialoghi platonici e del loro contenuto.
Anche nell’altro codice citato, il Borgianus graecus 22, vengono riportati
frammenti della IV Enneade, in particolare alcuni passaggi del trattato IV, 720. Il
codice, redatto da Giovanni Scutariotes attorno al 1460, venne glossato,
commentato e integrato di alcuni folia in latino da Ficino. Il manoscritto, oltre ai
passi plotiniani (ff. 166-167), contiene altri testi platonici e neoplatonici: il De
divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi Areopagita (ff. 5-115v), l’Epinomide e
frammenti delle Lettere di Platone (ff. 116-155v), estratti e note su Tommaso
d’Aquino (ff. 156-165v), Proclo (f. 166) e Platone (ff. 167-168)21. Il codice si
presenta come una vera e propria miscellanea di testi platonici e neoplatonici sui
quali Ficino ebbe modo di lavorare. La presenza di passi del trattato IV, 7 e il tipo
di studio su di esso che questo codice testimonia sembrano ribadire il grande
interesse per la lettura plotiniana della dottrina psicologica di Platone, in
particolare di quella contenuta nel Fedone.

16
Cfr. P.O. Kristeller, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Sansoni, Firenze, 1953, pp. 215-
217; E. Garin, La cultura filosofica, pp. 93-95.
17
Cfr. E. Garin, La cultura filosofica, pp. 102-104.
18
Sulla conoscenza della posizione scolastica e tomista da parte di Ficino si veda: P.O. Kristeller,
Marsilio Ficino and his work after five hundred years, in: G.C. Garfagnini (a cura di), Marsilio
Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, Olschki, Firenze, 1986, pp. 15-195, in particolare
si veda l’ampia bibliografia raccolta qui da Kristeller alle pp. 50-80.
19
Cfr. A. Rotondò, Nicolò Tignosi da Foligno, in Rinascimento, 2 (1958), pp. 217-255, pp.240-
241 e 251-255.
20
Cfr. P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, p. 44.
21
Cfr. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, p. 44.

5
1.3 La traduzione e il commento delle Enneadi.
All’inizio dell’opera di traduzione e commento del testo di Plotino, nel 1484,
Ficino ha una conoscenza dei contenuti e dei temi principali del testo. Il lavoro
che egli porta avanti si fonda sui due codici greci già citati, il Laur. 87,3 e il Paris.
Gr. 1816. Sul primo dei due manoscritti si trova traccia diretta del lavoro di
Ficino. Le annotazioni marginali che Henry classifica come A³ sono infatti di sua
mano22. In particolare è quest’ultimo, realizzato dallo Scutariotes appositamente
per l’opera di Ficino, a costituire il principale terreno di lavoro per il filosofo
fiorentino. Su questo testo, ultimato nel 1460, Ficino lavorò per quasi venticinque
anni prima di iniziare a stendere la traduzione delle Enneadi, annotando,
glossando, commentando, e in alcuni casi congetturando e traducendo a margine
testo greco. Analizzando il manoscritto, Henry ha posto in evidenza la
stratificazione del lavoro ficiniano sul codice e i contenuti delle diverse fasi
cronologiche, tre, nelle quali è stato realizzato23.
Alla prima fase di lavoro sul Paris. Gr. 1816 appartengono: le annotazioni
marginali in greco sul contenuto delle parti del testo, l’introduzione della
punteggiatura, la discussione degli scolii al Laur. 87, 3 trascurati dallo Scutariotes
nella sua copia, infine una prima divisione in paragrafi24. Alla seconda fase
appartengono annotazioni sia in greco che in latino di carattere critico o esegetico.
È questa la fase più ricca e densa di studio del testo, a cui appartengono anche
molte congetture sul testo, annotazioni latine di vario genere, una revisione della
divisione in capitoli, numerosi elementi di commento al testo, di chiarimento di
passi oscuri e termini chiave, note riassuntive del contenuto dei capitoli e
riferimenti ad altri passi dell’opera plotiniana e ad altri autori25. Alla terza e ultima
fase, che appare come un’ultima revisione del lavoro sul Paris. Gr. 1816,
appartengono alcune annotazioni e soprattutto una lunga nota posta alla fine di
Enn. VI, 9, 126.
Conseguenza dell’accurato studio testimoniato dal Paris. Gr. 1816 è la
redazione della traduzione latina, attestata da tre codici manoscritti e
dall’incunabolo. I codici che attestano la traduzione latina sono: il codice
classificato come Conv. Soppr. E.1.2562 della Biblioteca Nazionale Centrale, il
codice Laur. 82, 10 e il codice Laur. 82, 11. Il primo dei tre codici citati faceva
parte della biblioteca del monastero benedettino della Badia ed è stato composto
fra il 1484 e il 148627. Wolters ha chiarito che questo manoscritto rappresenta la
prima stesura della traduzione. La forma nella quale si presenta è quella di una
bozza, dettata da Ficino al suo segretario Luca Fabiani, che raccoglie i primi frutti
del lavoro condotto sul testo plotiniano e e che contiene parti autografe di Ficino.
Si tratta di annotazioni importanti che successivamente entreranno a far parte del
suo commento al testo plotiniano28. La fase del lavoro di traduzione di Ficino è
ancora transitoria, precedente ad una revisione finale del testo, e lascia aperte
22
Cfr. Henry, Les Manuscrit des Ennéades, pp. 18-19, pp. 32-36.
23
Cfr. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 45-62; in particolare si vedano pp. 50-62.
24
Cfr. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 51-54.
25
Cfr. Herny, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 54-59.
26
P. Henry, Les Manuscrits des Ennéades, pp. 59-62.
27
Cfr. A.M. Wolters, The first draft of Ficino’s Translation of Plotinus, in G.C. Garfagnini (a cura
di), Marsilio Ficino, pp. 305-329, p. 308.
28
Si veda la descrizione del contenuto in: P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, Olschki,
Firenze, 1945, vol. I, p. 26.

6
diverse opzioni di interpretazione ed esegesi su molti punti29. Successiva a questa
prima redazione si colloca la composizione dei due codici laurenziani, redatti
anche questi da Fabiani, contenenti la versione rivista della traduzione delle
Enneadi che venne consegnata a Lorenzo il Magnifico nel 1490. Il codice Laur.
82,10 contiene infatti il proemio di Ficino all’opera, la traduzione della Vita
Plotini di Porfirio, il testo latino di Plotino e il commento di Marsilio fino
all’Enneade IV, 130. Il testo continua nell’altro codice, il Laur. 82,11, e alla sua
conclusione Fabiani annota di aver concluso la sua trascrizione nella villa di
Careggi il 12 novembre 149031. I due codici laurenziani vennero quindi donati a
Lorenzo per il tramite di Filippo Valori32.
Due anni dopo la conclusione di questo lungo e meditato lavoro di
traduzione e commento Ficino giunse alla prima pubblicazione a stampa,
l’edizione fiorentina del 1492 stampata dall’editore Antonio Miscomini33. Il testo
ficiniano conobbe fin dall’inizio un’amplissima diffusione e un grande successo.
La versione a stampa del testo era già presente in Francia attorno al 149334.
Seguirono numerose edizioni del testo nel corso del XVI secolo. A Basilea se ne
contano 5: l’edizione Soter del 1540, le due del Guerino del 1559 e del 1562, e le
due edizioni di Perna del 1559 e del 1580. Dopo una ristampa del 1615, bisogna
attendere le due edizioni di Creuzer del 1835 e del 1855. Il testo ficiniano
conobbe un grande successo e divenne una delle letture principali non solo fra i
filosofi e gli interessati alla tradizione filosofica platonica. I platonici di
Cambridge, i poeti metafisici, filosofi del settecento come Berkeley, i romantici
tedeschi, furono tutti lettori e studiosi della versione ficiniana di Plotino e del suo
commento al testo35. È questa una parte importante della storia filosofica e più in
generale culturale dell’Europa che in parte ancora deve essere scritta e studiata.

2. Il trattato sulle tre ipostasi nel commento di Ficino


2.1 La presenza di Enn. V, 1 negli autori del Quattrocento italiano.
La diffusione del testo plotiniano nel Quattrocento è legata al diffuso interesse per
i classici greci, ma soprattutto al grande interesse filosofico che solleva in molti
filosofi e teologi del tempo. Come già è stato accennato, il Concilio di Firenze del
1439 rappresentò un’occasione preziosa non solo per un confronto ed uno
scambio culturale fra la cristianità latina e quella greca. I dibattiti teologici svoltisi
in quell’occasione portarono all’attenzione del pubblico colto italiano e fiorentino
temi e argomentazioni che facevano largo appello ai contenuti delle Enneadi. In
particolare il trattato sulle tre ipostasi godette di una posizione privilegiata quale
punto di riferimento per quanto riguarda le controversie trinitarie. La controversia
detta del Filioque, se cioè lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio o solo da
Padre. Questo nodo telogico divideva la visione trinitaria latina da quella greca; fu
infatti al centro della discussione dei padri conciliari. Fra i protagonisti del
29
Cfr. A.M. Wolters, The first draft, p. 321.
30
Cfr. P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, vol. I, p. 12.
31
Cfr. P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, vol. I, p. 12.
32
Cfr. P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, vol. I, p. 128.
33
Cfr. P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, vol. I, p. 64.
34
Su questo si veda la testimonianza della lettera di Roberto Gaguino ad Arnoldo Bostio datata 7
ottobre 1493, in cui si legge: «Delatus preterea est Plotinus Platonicus quem latinum fecit Fiscinus
Florentinus additis commentariis» , in P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, vol. I, 159.
35
Cfr. E. Garin, Rinascite e rivoluzioni, p. 103.

7
dibattito vi furono intellettuali come il cardinal Bessarione, Giorgio Gemistio
Pletone, Giovanni Scholarios, che incisero con le loro opere sulla cultura
filosofica del tempo.
Nelle complesse dissertazioni di questi teologi si fece talvolta esplicito
riferimento al testo plotiniano e al trattato in questione. In esso era possibile infatti
rintracciare una impostazione del rapporto fra le tre ipostasi che poteva essere
rielaborata e adattata ai rapporti fra le tre persone della trinità cristiana. Il cardinal
Bessarione citò esplicitamente il Perì ton trion archon ypostaseon nella sua difesa
del platonismo, sottolineando come il suo contenuto, se letto in chiave trinitaria,
permettesse di chiarire non solo il rapporto Padre-Figlio, ma anche la natura della
differenza fra le persone trinitarie36. L’influenza delle considerazioni plotiniane
sulle tre ipostasi si ritrova anche nei testi più strettamente teologici del
Bessarione. Nel suo De processione Spiritus Sancti le nature delle tre persone
trinitarie e le loro caratteristiche vengono descritte attraverso un linguaggio e un
apparato concettuale di chiara matrice plotiniana. Così riguardo al Padre e al suo
rapporto con il Figlio e lo Spirito Bessarione sottolinea come carattere proprio e
peculiare del Padre, rispetto alle altre due persone, sia la paternitas, il che fa sì
che la prima azione di questa persona sia il generare37. Bessarione attribuisce al
Padre la natura dell’Uno plotiniano, che viene definito come il Padre che genera
l’Intelletto38. Questo uso di Plotino fu anche oggetto di ampia critica da parte di
un aristotelico come lo Scholarios, che lo associò agli altri pagani che venivano a
suo giudizio utilizzati in modo inopportuno nella trattazione di un tema cristiano
come quello della Trinità39.
Le complesse controversie trinitarie nelle quali venne utilizzato V, 1
lasciarono una traccia importante nella cultura umanistica e condizionarono la
ricezione della dottrina plotiniana contenuta in questo trattato. Di particolare
interesse è il caso di Giovanni Argiropulo, che conosceva bene il testo plotiniano,
da lui interamente trascritto. La sua attività si colloca fra gli anni ’50 e ’60 del
Quattrocento, durante il suo insegnamento fiorentino. È possibile prendere in
esame la sua rilettura di V, 1 attraverso il suo De processione Spiritus Sancti,
composto quale spiegazione dei decreti conciliari, e attraverso alcuni passi delle
sue lezioni sull’Etica Nicomachea e sul De Anima. Da questi testi emerge una
posizione articolata: da un lato Argiropulo fa consapevolmente uso di un
linguaggio e di una terminologia plotiniane, dall’altro sottolinea la distanza fra la
dottrina dell’identità di sostanza fra le tre persone trinitarie e la dottrina platonica
su Dio.
Nello scritto sulla processione dello Spirito Santo si trova una descrizione
del rapporto fra Padre e Figlio e della generazione del secondo dal primo che fa
appello all’impianto concettuale di Enneadi V, 1, 6. Egli osserva come il Padre
nel generare il Figlio resti uno e identico a se stesso. Inoltre egli osserva che il
Figlio e lo Spirito sarebbero intellectus et voluntas (nous kai boulesis). Il Figlio è

36
Cfr. Bessarionis, In calumniatorem Platonis libri IV, de. Mohler, Scientia Verlag, Aelen, 1967²,
pp. 98-126. Si veda: E. Garin, Rinascite e rivoluzioni, pp. 94-95.
37
Cfr. Bessarionis, De processione Spiritus Sancti, PG CLXI, 365B-C.
38
Cfr. Plot., Enn., V, 1, 6.
39
Cfr. Genneadii Scholarii, Epistola ad Plethonem, PG CLX, 599-630. Si veda: J. Monfasani,
Pletone, Bessarione e la processione dello Spirito Santo, pp. 843-847.

8
definito Verbum Dei dal momento che: «nou gar gennema logos»40. Allo stesso
modo lo Spirito viene definito Voluntas, dal momento che si tratta di un’ipostasi
la cui azione propria è il produrre, al modo dell’anima plotiniana, che produce la
realtà41. L’Argiropulo inoltre precisa che il generare da parte del Padre debba
essere considerato al di fuori di una connotazione temporale. Le tre persone della
Trinità, come le ipostasi plotiniane, si collocano al di fuori del tempo42.
Nei testi filosofici l’approccio è diverso e si colloca nel quadro del
dibattito fra platonici e aristotelici nel quale l’Argiropulo è coinvolto. Nella
lezione introduttiva al commento al VI libro dell’Etica Nicomachea del 1 febbraio
1457 egli torna sul tema per discutere della compatibilità delle posizioni di
Platone e Aristotele con la dottrina trinitaria. Egli osserva così che, rispetto
all’unicità della Trinità, Platone pone una pluralità di enti divini, diversi fra loro
per sostanza e grado di perfezione43. Il dio secondo si trova su un piano inferiore
al primo. La visione di una successione di ipostasi divine, poste su gradi diversi
per natura e perfezione, sembra richiamare quanto Plotino afferma riguardo alle
tre ipostasi. Argiropulo parla del resto di un deus secundus, di un deus tertius e di
una serie di altre entità che degradano fino ad arrivare alla nostra anima44.
Argiropulo sembra qui rileggere la posizione di Platone non solo alla luce del
pensiero di Plotino, ma soprattutto in riferimento a Proclo45 e Dionigi
Areopagita46.
Un’ulteriore eco della conoscenza di Plotino da parte dell’Argiropulo
sembra emergere nel suo commento sul De anima risalente al novembre 1460.
Qui egli richiama la visione platonica dell’anima del mondo esposta nel Timeo e
sembra farlo in termini plotiniani. Scrive infatti che i platonici collocano le anime
fra l’ipostasi del secondo dio e la materia, come forma dei corpi47. L’anima viene

40
Ioannis Argyropuli, De processione Spiritus Sancti, PG CLVIII, 993C.
41
Cfr. Enn., V, 1, 2.
42
Cfr. Ioannis Argyropuli, De processione Spiritus Sancti, PG CLVIII, 998B; Enn. V, 1, 6, 19-27.
43
Cfr. Ioannis Argyropuli, Prefatio in sexto libro Ethicorum, in K. Müller, Reden und Briefe
italienischer Humanisten, Wilhelm Fink Verlag, München 1970, p. 23.
44
«Etenim plures ponit Plato, qui diversae substantiae sunt ac perfectionis. Nam secundus deus
apud illum non est eiusdem substantiae ac perfectionis, cuius est primus, nec tertius, cuius est
secundus. At secundum verissimam theologiam nostram, etsi distinctae in deo sint personae tres,
patris, filii et spiritus sancti, eadem tamen substantia est, eadem intellectio, eadem quoque
perfectio perpetua atque aeterna», Ioannis Argyropuli, Prefatio in sexto libro Ethicorum, p. 23.
45
La struttura gerarchica degli dei a cui fa riferimento Argiropulo richiama infatti quella delle
“enadi” di Proclo. Si veda al riguardo: Proclo, Elementi di teologia, 113-165, in Proclo, I manuali.
I testi magico-teurgici, saggio introduttivo di G. Reale, traduzione di C. Faraggiana di Sarzana,
Rusconi, Milano 1985, pp. 161-197.
46
Dionigi è citato direttamente nel testo dell’Argiropulo, che identifica la gerarchia degli dei del
platonismo procliano con quella degli angeli di cui parla Dionigi. «Ar secundum verissimam
theologiam nostram, etsi distinctae in deo sint personae tres, patris, filii et spiritus sancti, eadem
tamen substantia est, eadem intellectio, eadem quoque perfectio perpetua atque aeterna. Ponit
etiam theologia nostra angelos differentes non solum numero, sed etiam specie, ut Dionysius
Ariopagita in libris de angelica gerarchia manifestissime docet», Ioannis Argyropuli, Prefatio in
sexto libro Ethicorum, p. 23. Per la dottrina delle gerarchie angeliche di Dionigi si veda: Ps.
Dionigi Aereopagita, De celestis hierarchia, 6 sqq.
47
«A primo enim productore profluxisse dicunt secundos deso et animas nostras intellectivas, quae
collocentur inter secundos deso et formas, quae exeunt de potentia materiae. Has tamen, etsi
perpetuae sunt, trudi tamen in corpora et postea exire. Habere scientiam innatam. Cum
ingrederentur corpora, oblivisci omnium et ingredi ut in inferno. De hoc dixit Plato in Timaeo et

9
descritta come ipostasi prodotta dal deus secundus, dalla quale dipende l’armonia
cosmica, la sola capace di attribuire ai corpi un ordine. Egli osserva inoltre che
l’ordine cosmico è percepibile proprio in virtù della presenza dell’anima.
L’esposizione dell’Argiropulo è ispirata all’idea della continuità filosofica fra i
grandi pensatori dell’antichità, dai presocratici a Platone e ad Aristotele48. Questa
visione del resto si ritrova anche in Enn. V, 1, 8-9, a proposito della dottrina delle
tre ipostasi, che secondo Plotino sarebbe una costante nel pensiero filosofico
greco. La stessa prospettiva conciliante appare ad esempio nel commento
dell’Argiropulo al De anima, dove si legge che le molte opinioni dei filosofi
riguardo all’anima sono riducibili ad una sola49.
L’approccio filosofico dell’Argiropulo al testo plotiniano ne influenzò la
ricezione da parte degli intellettuali fiorentini della seconda metà del XV secolo,
ed ebbe certamente una grande importanza per Ficino.

2.2. Il commento di Ficino a V, 1.


Il testo del commento ficiniano al trattato sulle tre ipostasi si compone di brevi
note introduttive che riassumono e inquadrano il contenuto dei paragrafi in cui il
testo della traduzione è diviso. Vi è poi una nota conclusiva che cerca di trarre
alcune conclusioni dal ragionamento plotiniano. Si tratta quindi di un materiale
non particolarmente ricco, a differenza dell’ampio commento che Ficino compose
per le prime quattro Enneadi. Pur in questa concisione è possibile individuare
quelli che Ficino ritiene essere i passaggi principali del testo di Plotino e cogliere
l’ottica nella quale egli interpreta il trattato.
Ficino coglie il vero oggetto del trattato. Non le tre ipostasi, quanto
piuttosto l’anima e il processo mediante il quale essa riacquista consapevolezza
della propria origine e della propria natura. Egli si differenzia così dai teologi e
dai filosofi che lo avevano preceduto, il cui interesse per il trattato rientrava nel
contesto dei dibattiti trinitari. Nelle brevi note del suo commento Ficino descrive
l’anima, la sua natura e il suo ruolo. Egli osserva che Plotino muove dalla
constatazione della situazione dell’anima unita al corpo50. Lo stato di
dimenticanza della sua natura divina viene spiegato facendo ricorso alla
distinzione fra due diversi tipi di discursio, cioè di modo di operare dell’anima, il
cui carattere proprio è la discorsività. Vi è una discursio rationalis che caratterizza
l’anima come operante sub ipsa mentis divinae forma51. È questa la condizione
propria dell’anima, nella quale si determina la discorsività del ragionamento52. È

Phedone suo», Ioannis Argyropuli, In libro etiam de anima. secunda lectio, in K. Müller, Reden un
Briefe, p. 50.
48
Cfr. E. Garin, Medioevo e Rinascimento, pp. 240-241.
49
«Afferamus omnes philosophorum de anima opiniones et eorum rationes, ut percipiamus
quaenam illorum de anima sententiae fuerint, quae item Aristotelis, quae nostrae fidei etiam
fuerint. Prisci philosophi varias habuerunt opiniones de anima, quae in unam redigi possunt»,
Ioannes Argyropuli, In libro etiam de anima. Secunda lectio, p. 48.
50
Cfr. Enn., V, 1, 1, 11-17.
51
Plotino delinea i rapporti esistenti fra l’anima e l’intelletto, osservando che quest’ultimo non
solo è qualcosa di più divino dell’anima, ma è anche ciò da cui deriva l’anima. L’anima è
presentata come immagine dell’intelletto divino, cioè pensiero espresso dell’intelletto. La
discursio rationalis si presenta quindi come l’ambito concettuale in l’anima esprime ciò che
appartiene all’intelletto. Si tratta del pensiero discorsivo, proprio dell’anima, che trova il suo
contenuto guardando alla mente divina, cioè all’intelletto.
52
Cfr. Enn., V, 1, 3, 12-15.

10
grazie alla mente divina, rispetto alla quale vi è un legame di affinità, che anche
l’anima individuale può ragionare53. A questa si oppone una discursio imaginalis
alla quale si affianca una actio sensualis et vegetalis. Si tratta della condizione
propria dell’anima legata al corpo e alla materia. Essa è portata a dimenticare la
sua affinità alle cose divine e a vivere, anziché sotto la forma della mente divina,
sotto quella del corpo54.
Quelle descritte da Plotino sono per Ficino due diverse strade che l’anima
può percorrere. La prima è quella a lei naturalmente affine e conduce al recupero
della memoria della propria origine, l’altra invece rappresenta una degenerazione.
Per descrivere chiaramente la diversità fra le due alternative, Ficino sottolinea fin
dall’inizio che l’anima che vive secondo la forma della mente divina è anima in
patria55. Egli fa propria in questo caso una terminologia diffusa nella tradizione
platonica56 e sviluppata dal medioevo cristiano che l’aveva ritrovata utilizzata da
Agostino d’Ippona57. Negli scritti agostiniani il tema del ritorno dell’anima in
patria, cioè del ritorno a Dio dopo la morte, viene a collocarsi sul piano morale del
cammino di rendenzione che l’uomo è chiamato a compiere58.
Nello sviluppare questo tema Ficino sembra tenere ben presente quella che
è la dottrina di Tommaso d’Aquino sulla felicità dell’uomo esposta nella Summa
Contra Gentiles59. Per l’Aquinate l’uomo in questa vita dimostra un desiderio
naturale di felicità, che non può trovare appagamento se non nell’al di là60.
Parlare di anima in patria per descrivere il rapporto fra anima e intelligibili
significa assumere che questa sia affine per natura alle cose divine61 e quindi

53
L’argomento platonico dell’affinità è di chiara matrice platonica. Su di esso si fonda una delle
dimostrazioni dell’immortalità dell’anima argomentate da Platone nel Fedone. Ad esso si ricollega
inoltre la possibilità di una conoscenza dei concetti, che per natura sono incorporei ed eterni e
quindi sono fatti propri dall’anima in ragione dell’anima in ragione della sua natura affine ad essi.
Si veda: P.O. Kristeller, La filosofia di Marsilio Ficino, p. 105.
54
Cfr. Enn., V, 1, 1, 17-22.
55
Cfr. Enn., I, 6, 9; V, 1, 1, 5-11.
56
Cfr. Enn., I, 6, 8, 21-22. Plotino introduce la dottrina dell’anima che tende a tornare “in patria”,
cioè aspira a ricongiungersi alle cose divine a cui è affine, a partire da alcuni testi platonici. In
particolare: Rep. 515e-518b e Fedr. 251c-256a.
57
Cfr. De Quant. An. 2; De Trin, XIV, 9. Il tema del ritorno dell’anima in patria trova anche
fondamenti nella Scrittura, cfr.: Fil. 3, 20-21; Eb. 11, 13-16; e in altri padri della Chiesa: cfr.
Ambrogio, Is. VIII, 78.
58
Di fronte al peccato l’uomo è chiamato a superare le cose mutevoli per rivolgersi a Dio e alla
salvezza. Quello che occorre compiere è un vero e proprio viaggio di ritorno verso la patria che è
Dio, creatore dell’anima e sua meta finale. Cfr. G. Santi, Agostino d’Ippona filosofo, Lateran
University Press, Roma 2003, pp. 180-181.
59
Cfr. Contr. Gent. III, 48.
60
Ficino conosceva questa idea dell’Aquinate secondo la quale «… non est autem possibile in hac
vita ad altiorem Dei cognitionem pervenire ut per essentiam cognoscatur, vel asltem ita quod aliae
substantiae separatae intelligantur, ut ex his posset Deus quasi de propinquiori conosci, ut
ostensum est; oportet autem in aliqua Dei cognizione felicitatem ultimam poni, ut supra probatum
est: impossibile est quod in hac vita sit ultima hominis felicitas», Tommaso d’Aquino, Contr.
Gent., III, 48, 1. Ficino sembra riecheggiare queste parole quando, commentando brevemente Enn.
V, 1, 1 osserva: «Animus in patria sub ipsa mentis divinae forma potius quam sua vivit et agit,
sicut corpus nunc sub animae forma», Marsilio Ficino, Plotini Enneades, f. 303r, Cap. I. Il
rapporto fra intelletto e anima descritto da Plotino sembra quindi essere qualcosa che per Ficino
trova una piena realizzazione solo in patria, cioè nella vita eterna. Solo allora l’anima opera in
pieno accordo con l’intelletto divino.
61
Cfr. Enn., V, 1, 2, 42-47; 10, 10-12.

11
lontana ed estranea rispetto ai corpi e alla materia. Questa estraneità è testimoniata
dalla tensione naturale dell’anima verso Dio descritta anche da Plotino62. Osserva
Ficino:

«Ut autem ascensus ignis certum aliquem habet finem quem consequi possit atque hic est
in phaera sia quies, ita nostrae mentis ascensus perpetuo directus in Deum statutum finem
habet cuius quandoque fiat coompos neque aliud quicquam is finis erit nisi queis id Deo,
quam non prius animus assequetur quam hinc abierit»63.

A questo Ficino lega anche il tema dell’immortalità dell’anima. Due sono i


principali temi in favore dell’immortalità dell’anima. Da un lato l’osservazione
che la sua tensione verso Dio in questa vita può avere solo una realizzazione
imperfetta e parziale, che rende necessaria la sua immortalità64. Dall’altro il fatto
che essa soltanto, data la sua affinità con gli intelligibili, entrare in contatto con
essi65. Il ritorno dell’anima in patria viene visto quindi come un percorso verso la
felicità, cioè verso una condizione nella quale la tensione a Dio trovi piena
realizzazione66.
Seguendo i temi platonici, trattati anche da Plotino, Ficino esamina anche
il tema del rapporto dell’anima col corpo. Seppur destinata a tornare in patria e
capace di operare senza bisogno del corpo, come nel pensiero puro, l’anima
nell’uomo è legata al corpo per molte sue attività come la percezione67. L’anima
tuttavia non è corporea68. La sua natura è affine a quella degli oggetti intelligibili
che può conoscere. Essa è sostanza incorporea69, e la parte di essa che è capace di
ragionamento è separabile dal corpo. L’attività razionale, in quanto è conoscenza
degli intelligibili, non può avere a che fare con la sfera corporea70. Il corpo ha in
questo caso una funzione meramente passiva, di mezzo nelle mani dell’anima
razionale, la quale dimostra la sua estraneità alla natura corporea nel fatto che è
capace di prendere decisioni che prescindano dai legami con il corpo e può
conoscere le forme71. Ficino precisa che l’anima può conoscere le forme separate
e può anche astrarre tali forme non separate dai corpi. Ficino fa proprio quindi lo
sviluppo tipicamente plotiniano72 del Fedone73. La capacità di concettualizzare,
cioè di cogliere gli intelligibili, è la caratteristica propria dell’anima razionale e ne
dimostra l’incorporeità.

62
Cfr. Enn., V, 1, 6, 50-53.
63
Op., p. 231 sgg. Cfr. Tommaso d’Aquino, Contr. Gent. III, 48, 2.
64
Cfr. P.O. Kristeller, p. 367-370.
65
Scrive Ficino: «Solus igitur homo in regionibus his peregrinatur et in ipso itinere non potest
quiescere dum ad patriam aspirat coelestem quam potest omnes… Si ergo quae nobis inferiora
sunt quandoque naturalem habitum patriamque sedem adepta quiescunt, nos quoque necesse est…
haec assequi posse quandoque atque quiescere. In vita praesenti non datur», Op., 315 sgg. Cfr.
Tommaso d’Aquino, Contr. Gent., III, 48, 9. Si veda anche: P.O. Kristeller, La filosofia di
Marsilio Ficino, p. 369-370.
66
Cfr. Op., p. 231 sgg. e p. 305.
67
Cfr. P.O. Kristeller, La filosofia di Marsilio Ficino, p. 352.
68
Si vedano vari passaggi dei libri VI-VIII della Theologia platonica: Op. pp. 162 sgg., 173 sgg,
182 sgg.
69
Cfr. Enn., V, 1, 2, 7-9.
70
Cfr. Enn., V, 1, 10, 10-13.
71
Cfr. Enn., V, 1, 10, 24-31.
72
Cfr. Enn. V, 1, 10, 10-21.
73
Cfr. Phaedo, 67C.

12
Plotino indica quindi l’anima come una delle tre ipostasi. Essa è inserita in
una gerarchia delle sostanze che la vede come elemento determinante per
l’esistenza di una struttura ordinata dell’universo74. Il cosmo è infatti insieme di
oggetti informati e quindi ordinati grazie all’anima. Senza di essa si avrebbe solo
materia informe e caotica. All’anima sono infatti da ricondurre il movimento,
l’agire, la vita, il progredire, i rapporti fra le parti del cosmo. Parafrasando una
metafora plotiniana, Ficino osserva che l’anima entra a dar forma alla materia
come il sole fa con l’aria oscura al suo sorgere da oriente. L’anima è capace di
tutto questo e assolve a questo ruolo quando è pienamente cosciente di sé e delle
sue capacità, ed è quindi libera dalla corruzione che il corpo può indurre75.
Nel quadro disegnato da Plotino nel trattato l’anima è generata
dall’Intelletto76, che Ficino chiama facultas nostra rationalis. Ficino osserva che
l’intelletto individuale dipende dall’intelletto sempre agente; l’intelletto proprio
dell’anima particolare dipende da un intellectus communis in se stesso sempre
semplice. Vi è, osserva Ficino commentando il testo delle Enneadi, un parallelo
nel rapporto fra l’intelletto comune e il nostro intelletto e la ragione e l’intelletto
individuale:

«Intellectus noster se habet ad rationem, et intellectus communis ad nostrum, sicut lumen


ad aerem, formaque ad materiam. Sed ratio quidem quotidie formatur ab intellectu nostro,
noster autem a communi semper formatus est, semper illuminatus. Intellectus igitur
communis axcellentiam ax ipsa intellectus animalis praesentia possumus coniectare» 77.

L’intelletto comune rispetto a quello individuale è paragonato alla forma nella


materia, così come l’intelletto individuale lo è rispetto alla ragione78. L’intelletto
74
Cfr. P.O. Kristeller, La filosofia di Marsilio Ficino, pp. 77-78 e 352-353.
75
Cfr. Enn., V, 1, 10, 13-18.
76
Cfr. Enn., V, 1, 3, 11-12.
77
Marsilio Ficino, Plotini Opera, 304r, Cap. III.
78
Nel discutere dell’Intelletto Ficino si era confrontato con l’averroismo, che aveva ampiamente
criticato. Egli contestava l’idea della totale separatezza dell’intelletto potenziale, osservando come
nel caso dell’uomo si avesse a che fare con un soggetto mediano fra le sostanze separate e quelle
composte. Osserva polemicamente: «Neque absurdum putari debet rationalem substantiam
coniungi materiae, quia non potest aliter ordo naturae servari. Est enim spiritus aliquis a materia
separatus, rationalis, incorruptibilis, qualis est angelus. Est et spiritus coniunctus, irrationalis,
corruptibilis, qualis est anima bestiarum», Op. p. 337. Per Ficino l’anima razionale dell’uomo si
trova nella posizione intermedia, quale forma capace di congiungere superiore e inferiore: «Unam
quondam formam esse oportet in mundo, quae superiores formas nectat inferioribus… Atque in ea
congredi oportet formarum omnium proprietates, ita ut formae superiores remittantur
quodammodo atque ad inferiores deiciantur, inferiores autem intendantur extollanturque ad
superas», Op., p. 348. Si determina in questo modo un ordine delle sostanze spirituali che da Dio,
attraverso le sostanze intermedie, giunge fino a quelle più infime: «Ponamus ordinem in spiritibus.
Est spiritus ille supremus, qui fuit semper et erit, is est Deus. Sunt et spiritus infimi bestiarum, qui
nec semper fuere nec erunt. Medii sint oportet duo quidam spiritus inter extrema adeo discrepantia,
qui patrem primi illius spiritus habeant, et patrem spirituum infimorum», Op., p. 400. Si veda: P.O.
Kristeller, La filosofia di Marsilio Ficino, 97-100. Questa sua posizione mostra delle affinità con
quella sviluppata dall’Argiropulo del suo commento al De Anima. Dopo aver richimato i passaggi
principali della posizione averroista l’Argiropulo muove una serrata critica. Osserva: «Ex ista
sententia [scil. opinio Averrois] multa sequi videntur absurda: sequeretur enim ut omnes homines
essent aequalis perfectionis et scientiae et ignorantiae. Nam si quilibet homo intelligit eodem
intellectu, ea quae intelligit est hoc, sed evenit ex parte phantasmatis quod habeo ego et non tu, aut
tu et non ego. Ista sententia ponit quod illa anima semper intelligit et generatur in ea semper
scientia et corrumpitur; intelligit semper, quare semper sunt homines. Amittit et acquirit scientiam

13
comune è quello che, commentando il capitolo successivo del trattato plotiniano,
Ficino definirà intellectus divinus79 e che in precedenza aveva definito mens
divina80. La ratio è determinata nella sua forma dall’intelletto individuale, come
questo lo è nella sua dall’intelletto comune Anche in questo caso Ficino si serve
della metafora della luce che illumina l’aria per descrivere il rapporto fra i due
termini del confronto81. Dunque dagli intelletti individuali e dal loro rapporto con
la ragione è possibile risalire alle caratteristiche dell’intelletto comune e al suo
rapporto con l’intelletto individuale. Si nota in questo come Ficino faccia propria
l’idea platonica e plotiniana che la struttura delle ipostasi a livello cosmologico si
riflette all’interno dell’uomo82. Così i rapporti che nell’uomo sussistono fra le
diverse facoltà dell’anima riflettono quelli esistenti fra le ipostasi83.
L’Intelletto viene identificato con l’essere84 e Ficino indica questa ipostasi
con tre termini: intellectus, ens e vita, che egli considera sinonimi. Del resto è
Plotino ad osservare che l’Intelletto è ciò che rende possibile l’esistenza
dell’anima85. Seguendo la lettura plotiniana che identifica l’Intelletto con il
demiurgo del Timeo86, Ficino osserva che nell’Intelletto vi è tutto il mondo87,
poiché in esso vi sono tutte le forme ed esso è ens, vita e intellectus in modo
perfetto. Inoltre mentre il mondo si colloca nella sfera temporale, e quindi ciò che

semper nec habet semper eandem numero. Multi temere eam [opinionem] secuti sunt; haec tamen,
ut apparebit locis suis, similis est fogmento. Videtur enim absurdum ut ponatur tamquam Deus, et
quod intelligat nunc cerum nunc falsum, et eodem tempore verum et falsum», Müllner, p.52. Si
veda: E. Garin, La cutlura filosofica del Rinascimento italiano, pp. 102-108; Id., Medioevo e
Rinascimento, pp. 230 sgg. La posizione di Argiropulo è affine a quella di Tommaso d’Aquino,
certamente nota a Ficino, attraverso la Contra Gentiles. Contro la tesi averroista l’Aquinate
osserva che l’anima razionale è confine fra esseri corporei e incorporei. L’intellezione infatti può
avvenire sia prescindendo dagli organi corporei, da cui deriva che l’anima non può essere
completamente immersa nella materia, ma al tempo stesso l’attività intellettiva nell’uomo si
determina anche attraverso i sensi, e come tale l’anima deve essere unita al corpo. Cfr. Contr.
Gent., II, 68. Si vedano: C. Marmo, Psicologia e conoscenza, in L. Bianchi (a cura di), La filosofia
nelle università, La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 163-184, p. 169-176; A. Ghisalberti,
Introduzione a: Tommaso d’Aquino, L’unità dell’intelletto contro gli averroisti, Bompiani,
Milano, 2000, pp. 5-45, pp. 25-32.
79
Cfr. Marsilio Ficino, Plotini Opera, 305v, Cap. IIII.
80
Cfr. Marsilio Ficino, Plotini Opera, 303r, Cap. I.
81
Cfr. Aristotele, De Anima, III, 5, 430a 14-19. Il paragone con la luce ha origine platonica. Si
vedano: Rep. VI, 508a sgg.; Lettera VII, 431c-d.
82
Cfr. Enn., V, 1, 10, 5-10.
83
Cfr. Enn., V, 1, 10, 5-10.
84
Cfr. Enn., V, 1, 4, 22.
85
Cfr. Enn., V, 1, 3, 15-16.
86
Cfr. Tim. 37e 6. Qui Platone sottolinea che al demiurgo, generatore e produttore di tutte le cose,
non è possibile attribuire determinazioni temporali come: “è”, “era” o “sarà”. Questo essere eterno
si colloca fuori dal tempo e di lui si può solo dire che “è”.
87
Cfr. Enn. V, 1, 4, 21-25. Si veda l’affinità dell’argomentazione ficiniana con quanto scritto da
Tommaso d’Aquino commentando il de Causis. Egli osserva: «intelligentia continet animam, quia
anima ab intelligentia participat intelligibilem operationem, sicut in eadem propositione dictum
est. Unde concludit quod intelligentia continet omnes res, quia quidquid continetur a contento
continetur a continente, et repetit causam quare hoc conveniat intelligentiae, scilicet propter
virtutem causae primae cuius est proprium supereminere omnibus, non per virtutem alterius, sed
per propriam virtutem; ipsa enim per suam virtutem divinam est causa intelligentiae et animae et
naturae et reliquarum rerum scilicet generabilium et corruptibilium. Sic igitur ostensum est quod
intelligentia dependet a causa prima per hoc quod ab ea habet virtutem universalem continendi
inferiora», Super Librum de Causis, 9.

14
è informato dall’anima risulta soggetto a generazione e corruzione, l’Intelletto si
colloca su un piano “attivo” rispetto al tempo88. Esso è fuori dal tempo, poiché in
esso vi sono tutti i concetti e gli intelligibili. La mente divina89, come è chiamato
l’Intelletto da Ficino, si colloca quindi nell’eternità, ma non è perfettamente
semplice e una. In essa infatti si distinguono in ragione della forma intelligere e
intelligi anche se per sostanza sono la stessa cosa90. Per chiarire la differenza si
osserva che se l’intelligere può essere inteso come un muovere in senso attivo,
l’intelligi può essere visto come un essere mosso. L’intelletto, che è totalità delle
forme91, comprende in sé sia la loro differenza sia la loro l’unità. Questo è reso
possibile dal principio unitario superiore all’Intelletto che, a differenza di questo,
è semplicissimo92.
88
Cfr. Enn., V, 1, 6, 19-22.
89
Nelle pagine conclusive del commento a questo trattato plotiniano Ficino delineerà un parallelo
fra la dottrina delle tre ipostasi e la Trinità cristiana. La mens divina verrà da lui identificata con la
seconda persona della Trinità, il Logos. Cfr. Marsilio Ficino, Plotini Opera, f. 308v.
90
Cfr. Enn., V, 1, 5, 7-9.
91
Cfr. Enn., V, 1, 5, 3-4.
92
Cfr. Enn., V, 1, 6, 4-8. Si veda anche la posizione di Tommaso d’Aquino. Attraverso i testi
procliani e neoplatonici che componevano il Liber de Causis e attraverso la Metafisica di
Avicenna, l’Aquinate aveva infatti avuto modo di confrontarsi con il modello dell’emanazione
delle ipostasi, che costituiva un possibile schema di gerarchia dell’essere che aveva al suo vertice
l’ipostasi dell’Uno, posta come origine dell’essere e al tempo stesso al di là di esso. Nell’Uno
l’Aquinate vede le caratteristiche di Dio, quale principio primo che non necessità di alcuna
consistenza materiale. Precisa infatti: «Causa autem prima nullo modo habet yliatim, quia non
habet esse participatum, sed ipsa est esse purum et per consequens bonitas pura quia unumquodque
in quantum est ens est bonum; oportet autem quod omne participatum derivetur ab eo quod pure
subsistit per essentiam suam; unde relinquitur quod essentia intelligentiae et omnium entium sit a
bonitate pura causae primae», Super Libr. De Caus., 9. A partire da qui Tommaso elabora una
gerarchia dell’essere fondata sull’idea di tre diversi modi in cui è possibile possedere l’essenza. In
primo luogo vi è il caso di Dio, nel quale l’essere e l’essenza coincidono, poiché la sua unica
essenza è il suo essere, privo di qualsiasi determinazione e quindi impossibile da porre in alcun
genere. Di Dio si può parlare quindi solo in termini negativi, come alterità, ciò che rende possibile
l’esistenza del piano dell’essere. Così egli osserva che: «…quamvis [Deus] sit esse tantum, non
oportet quod deficiant ei relique perfectiones et nobilitates. Immo habet omnes perfectiones que
sunt in omnibus generibus, propter quod perfectum simpliciter dicitur, ut Philosophus et
Commentator in V Methaphisice dicunt; sed habet eas modo excellentiori omnibus rebus, quia in
eo unum sunt, sed in aliis diversitatem habent. Et hoc est quia omnes ille perfectiones conveniunt
sibi seundum esse suum simplex; sicut si aliquis per unam qualitatem posset efficere operationes
omnium qualitatum, in illa una qualitate omnes qualitates haberet, ita Deus in ipso esse suo omnes
perfectiones habet», De ente et essentia, 5. Scendendo nella gerarchia dell’essere Tommaso
colloca le sostanze separate, nelle quali l’essenza è l’elemento che dà forma e si distingue
dall’essere. A questo livello il diverso grado di perfezione nel ricevere l’essere determina anche le
differenze specifiche. Vi sono poi le sostanze separabili, nelle quali l’essenza, diversa dall’essere,
si compone di materia e forma. A questi gradi dell’essere si aggiunge l’essere degli accidenti, la
cui essenza è incompleta e relativa. Si veda su questo tutto il capitolo 5 del De ente et essentia e:
P. Porro, Introduzione a: Tommaso d’Aquino, Ente ed essenza, Rusconi, Milano, 1995, pp. 5-66,
pp. 36-39; A. Tabarroni, Il Creatore e le creature: fra teologia e metafisica, in L. Bianchi (a cura
di), La filosofia nelle università, pp. 239-267, pp.254-257. Nell’articolo di Tabarroni si noti anche
la parte sugli sviluppi successivi della dottrina dell’essere di Tommaso, in particolare riguardo alla
posizione di Egidio Romano (pp. 258-259), ben nota al Ficino attraverso l’Argiropulo. Per Egidio
l’essere rappresenta l’effetto proprio e diretto di Dio, conferito in maniera immediata a ogni
creatura senza alcun ruolo della volontà. Ficino aveva inoltre conoscenza, sempre tramite
l’Argiropulo, della posizione di Scoto (pp. 262-264). Ricercando una gerarchia ontologica che
spieghi la costituzione del mondo Scoto elabora la dottrina degli istanti di natura, intesi non in
senso cronologico, ma ontologico. Tre sono gli “istanti” individuati. Nel primo le cose ricevono

15
L’Uno è il principio semplicissimo, il Dio sommo, come lo chiama Ficino.
Il seguito del commento sottolinea il rapporto che esiste fra l’Uno e l’ipostasi
successiva: l’Intelletto. Questo è infatti generato dall’Uno, ma non attraverso un
moto di volontà o un moto naturale93. Questi comporterebbero infatti la pluralità
contrasterebbe con la semplicità assoluta, necessaria perché questo sia il principio.
L’Intelletto è generato, cioè viene determinato come diverso, come altero rispetto
all’Uno94. Per questo Ficino osserva:

«Deus summus absque ullo voluntatis vel naturae motu divinum generat intellectum
tamquam verbum suum, sola alteritate quadam a parte differens»95.

Allo stesso modo si può descrivere il rapporto di generazione dell’Anima


dall’Intelletto. Il linguaggio e la terminologia che Ficino utilizza in questo caso
richiamano quelli di Bessarione e Argiropulo nei loro scritti relativi a questioni
trinitarie. Centrale è infatti l’idea che la generazione di un’ipostasi dall’altra non
debba essere intesa in termini naturali, temporali o come atto volitivo. Si tratta
piuttosto di descrivere i rapporti esistenti fra le tre ipostasi. L’Intelletto è così
determinato dall’Uno in ragione della alterità esistente fra i due: un tema, questo,
presente anche nella tradizione tomista che Ficino certamente conosceva96. Già in
Tommaso d’Aquino si trova infatti l’affermazione che ciò che nei gradi inferiori
della gerarchia dell’essere è diviso e molteplice, nel primo principio è invece
unità97. La distinzione delle due ipostasi in base al criterio dell’alterità fa dell’Uno

l’essere intelligibile nell’intelletto divino; nel secondo gli enti intelligibili ricevono anche l’essere
possibile e ogni soggetto si pone quale sostrato di possibili proprietà e si delineano diversi
alternativi “mondo possibili”; nel terzo istante la volontà divina sceglie di attualizzare uno dei
mondi possibili. Il rapporto fra Dio, principio dell’essere del mondo, e le creature è delineato da
Scoto osservando che dalla realtà del mondo si può risalire all’esistenza di Dio quale essere
infinito che è origine del mondo Osserva infatti Scoto: «De ente infinito non potest demonstrari
esse propter quid quantum ad nos, licet ex natura terminorum propositio esset demonstrabilis
propter quid, sed quantum ad nos propositio est demonstrabilis quia, ex creaturis», Ox., I, d. 2, q.
2, n. 20, VIII, 414. A Dio, al principio primo, si può dunque giungere solo per via mediata,
attraverso le creature, ma non direttamente. Occorre risalire la gerarchia dell’essere. Solo nella vita
futura questo sarà possibile: «Et ideo dico quod Deus non est a viatore cognoscibilis secundum
aliquem conceptum sibi proprium, ut Deitas est, sed secundum aliquem conceptum communem a
creaturis abstractum», R..P. I, d. 3, q. 1, n. 8, XXII, 95.
93
Cfr. Enn., V, 1, 6, 25-27.
94
Cfr. Enn., V, 1, 6, 41-44.
95
Plotini Enneades, 305v, V, 1, 6.
96
Cfr. Tommaso d’Aquino, De ente et essentia, 5; Super Librum de Causis, 9.
97
Tommaso d’Aquino tocca gli stessi punti facendo riferimento ai testi neoplatonici a lui noti e,
riguardo alle sostanze separate osserva: «Secundo modo invenitur essentia in substantiis creatis
intellectualibus, in quibus est aliud esse quam essentia earum, quamvis essentia sit sine materia.
Unde esse earum non est absolutum sed receptum, et ideo limitatum et infinitum ad capacitatem
nature recipientis; sed natura vel quiditas earum est absoluta, non recepta in aliqua materia. Et ideo
dicitur in libro De causis quod intelligentie sunt infinite inferius et finite superius; sunt enim finite
quantum ad esse suum quod a superiori recipiunt, non tamen finiuntur inferius quia earum forme
non limitantur ad capacitatem alicuius materie recipientis eas», De ente et essentia, 5. Questa
posizione si trova sviluppata e approfondita nel commento a Liber de Causis. Qui Tommaso
sottolinea la necessità di ricondurre la struttura ontologica del mondo ad un principio unico e
primo. In seguito l’Aquinate precisa il rapporto fra il primo principio e l’Intelletto, osservando
come quest’ultimo sia finito rispetto al primo ma infinito rispetto all’ipostasi inferiore. Osserva
infatti: «Dicit ergo: si aliquis velit dicere quod primum ens creatum, quod est intelligentia, sit
virtus infinita, non tamen erit dicendum quod ipsa sit essentialiter virtus, immo est habens

16
una sorta di limite dell’Intelletto. Quest’ultim è infatti infinito, nel senso che è
totalità di tutte le forme, ma rispetto all’Uno si dimostra limitato, poiché da esso
dipende per quanto riguarda l’essere. Accogliendo questa posizione Ficino fa così
salva l’unità del primo principio98. Così le tre ipostasi sono generate l’una
dall’altra nel senso che l’Anima dipende da un principio che è altro da sé:
l’Intelletto. A sua volta l’intelletto come totalità di forme dipende da un ulteriore
principio: l’Uno.
Sulla scia di Repubblica VI l’Uno, secondo Ficino, coincide con il bene
che è superiore all’Intelletto stesso, cioè che è superiore allo stesso piano
dell’essere99. Esso rende possibile che l’Intelletto si costituisca come omniformis,
come totalità delle forme; l’Uno è perciò il generatore di tutte le essenze e il suo
rapporto con l’Intelletto è definito nei termini del rapporto esistente fra padre e
figlio100. È questo uno degli elementi che certo ha maggiormente interessato il
dibattito trinitario. La determinazione del rapporto fra le prime due ipostasi nei
termini di paternità, accostato al principio di alterità come criterio con cui spiegare
la distinzione fra Uno, Intelletto e Anima e la generazione dell’Intelletto dall’Uno
e dell’Anima dall’Intelletto, sono al centro degli scritti di Bessarione, Pletone,
Scholarios, Argiropulo che in precedenza si è citato.
Al dibattito trinitario Ficino fa esplicito riferimento nel paragrafo
conclusivo del suo commento. Egli osserva infatti che la “trinità platonica” e
quella “zoroastriana” rappresentano una conferma di quella cristiana e richiama la
paternità, carattere con cui era descritto il rapporto dell’Uno con l’Intelletto, come
elemento proprio del Padre. Allo stesso modo al Figlio corrisponderebbe l’attività
intellettuale dell’Intelletto e al dare forma e vita e all’esercizio della volontà
dell’anima la processione dello Spirito. Le tre ipostasi e i rapporti che Plotino
indica fra di esse vengono interpretati da Ficino come un modello filosofico con
cui spiegare l’ordine cosmico. Ficino delinea un parallelo fra l’ordine delle
ipostasi e l’ordine degli elementi che costituiscono il mondo. Ne emerge il
seguente schema:

virtutem, unde non est illud primum infinitum a quo dependent omnes virtutes infinitae. Et quia
non sit prima virtus infinita, manifestatur per hoc quod non est infinita omnibus modis et respectu
cuiuslibet, sed est infinita solum inferius, non superius. Dicitur quidem inferius infinita virtus
intelligentiae quia non comprehenditur ab his quae sunt infra ipsam; non est autem infinita
superius quia exceditur a suo superiori cuius comprehensione finitur», Super Librum de Causis,
16.
98
«Intellectus hic primo quidem a parte manata, tamquam essentia vivens. Mox vero naturaliter
illuc aspiciees intellectus evadit. Intellectus enim est ipsa substantialis visio ex aspectu sive affectu
naturali resultans. Huius quidem pater est ipsum simpliciter unum. Hic autem unum essentiale sive
vitale, ubi videtur esse binarius. Sed aspectu additio autem ternarius», Plotini Enneades, V, 1, 7,
306r.
99
Cfr. Plat., Rep. VI, 508a-509b.
100
Cfr. Plotini Enneades, V, 1, 7, 306r.

17
Principium Siderea Planitiae Elementa Essentiae Anima
Bonum/Unum Firmamentum Sol Ignis Fecunda Memoria
fecunda
Intellectus Saturnus Mercurii Aer Firma Rationes
discursus
Anima Iuppiter Venus Aqua Inclinatio, Imaginatio et
motio, actio affectus
Mundus Mars Luna Terra – –

L’ordine gerarchico delle ispostasi plotiniane fa quindi da punto


riferimento per i vari aspetti dell’ordine cosmico: dai pianeti ai quattro elementi,
dalle diverse essenze delle cose alle parti e facoltà dell’anima. Esso è principio
perché su di esso sono modellati i rapporti fra gli enti. Come accade per il cosmo
nei suoi vari aspetti, così accade nell’anima, la cui struttura ternaria si richiama
direttamente a quella dei tre principi. In questo si conferma l’assunto iniziale della
affinità dell’anima al mondo divino degli intelligibili. La possibilità di costruire
questo schema relativo alla struttura del cosmo, accanto alla constatazione che la
triade di principi è elemento comune della tradizione filosofico-religiosa antica,
costituisce per Ficino la conferma della possibilità per l’anima di compiere il
percorso che la riconduca in patria. Egli accoglie la prospettiva del logos
didaskon101 che presiede allo svolgimento del trattato di Plotino. L’anima, a
partire dalla riflessione sulla struttura fisica e ontologica del cosmo, sulla sua
stessa struttura, e prendendo in esame i contenuti delle dottrine filosofiche e
religiose antiche, può risalire alla verità, può compiere la discursio rationalis che
le è propria.

3. Nota al testo latino


Il testo di seguito è una trascrizione di Enneadi V, 1 condotta a partire
dall’incunabolo dell’edizione fiorentina del 1492. Il testo dell’incunabolo è stato
collazionato con quello della edizione stampata dall’Officina Hernicpetrina nel
1576 a Basilea. Questo testo, disponibile nella ristampa anastatica del Kristeller,
non contiene il testo della traduzione, ma solo le note di commento.
Nella trascrizione del testo ho scelto di mettere in evidenza le differenze
rispetto all’edizione Creuzer, utilizzando quella del 1855. Quest’ultima, se ha il
merito di essere la più recente edizione del testo latino delle Enneadi e delle note
di commento ficiniane, è tuttavia ben lontana dall’essere un’edizione attendibile
del testo di Ficino. In essa infatti, come nell’edizione Perna, il testo latino non
corrisponde perfettamente a quello ficiniano attestato dall’incunabolo. Vi sono
infatti evidenti rimaneggiamenti e intereventi operati, non è chiaro se da Perna o
Creuzer, per mettere in accordo con il testo greco posto a fronte, che certamente
non è quello del Laur. Gr. 87, 3 e del Paris. Gr. 1816 su cui lavorò Ficino. Manca
ancora oggi un’edizione critica di questo testo così importante, che si fondi sui

101
Si tratta del discorso con sui l’anima conosce se stessa e così facendo coglie la propria radice in
rapporto alle ipostasi che la precedono, acquistando coscienza della propria origine divina. Cfr.
Enn., V, 1, 1, 27-35.

18
manoscritti ficiniani e sull’incunabolo. Questo piccolo lavoro, su una ridotta
porzione del testo tratta dall’incunabolo, vuole limitarsi a evidenziare le
divergenze fra l’edizione Perna e Creuzer e il testo stampato nel 1492.

19
BIBLIOGRAFIA

Testi di Ficino e Plotino:


Per la traduzione e commento latino di Ficino a Plotino si è utilizzato: Plotini
Opera a Ficino Traslata, Miscomino, Firenze 1492. Per i riferimenti ad altri passi
dell’opera plotiniana si è invece utilizzato: Ficini Marisilio, Opera Omnia, Perna,
Basilea 1576. Per i riferimenti al testo delle Enneadi, si è utilizzato: Plotini,
Opera, ed. Henry-Schwyzer, Clarendon Press, Oxford, 1977.

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20
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Garfagnini (a cura di), Marsilio Ficino, pp. 305-329;

22
PLOTINI OPERA

A MARSILIO FICINO LATINE REDDITA

/Firenze 1492/

23
C.: Ediz. a cura di F. Creuzer e G.H. Moser, Prigi, editore Didot, 1855.
B.: ediz. Basilea 1576.
I.: Incunabolo, Firenze 1492.

24
//303r//
LIBER PRIMUS
De tribus principalibus substantiis idest habentibus principi rationem102.

MARSILIUS
Animus103 in patria104 sub ipsa mentis divinae forma potius quam sua vivit
et agit, sicut corpus nunc sub animae forma. Sed cum primum confert se ad
vivendum agendumque sub propria forma per discursionem scilicet rationalem,
deinceps prolabitur paulatim in discursionem imaginalem et actionem sensualem
atque vegetalem ut iam quasi sub forma corporea vivat.
CAP. PRIMUM:
HINC postremo contingit ut se corpoream opinetur, ac de sua divinitate
diffidens divina nec quaerat umquam105 nec veneretur.
PLOTINUS
Quidnam in causa est, ut aliae quae divine sortis sunt Deique omnino,
tamen Dei partis obliviscantur ignorantes, et se ipsas et illum?106 Principium igitur
mali est animis audacia, generatio, prima diversitas. Et quia volunt sui iuris esse.
Postquam igitur libertate hac sive licentia delectari ceperunt107 fretae plurimum
suo quodam ex se ipsis movendi munere, et iter contrarium ineuntes, factaeque
iam remotissimae, iam seipsas illinc exortas esse prorsus ignorant. Velut pueri
statim nati a parentibus segregati proculque diutius educati, et se et parentes
ignorant. Cum igitur neque partem neque seipsas videant, suique generis
ignorantia se parvifaciant, honorantes alia, et quicquid occurrit magis quam se
admirantes, atque //303v// stupidae hinc et admirabundae pendentes nimirum se
iam longissime proiecerunt, disiunxeruntque a parte atque seipsis, dum si ea a

102
De tribus principalisbus substantiis idest habentibus principi rationem substantiis] habentibus
principii rationem B.
103
animus] anima B.
104
Cfr. Plotinus, Enneades, I, 6, 8, 21-22; Augustinus, De quantitate animae, 2; De Trinitate, XIV,
9; Thome de Equino, Summa Contra Gentiles, III, 48.
105
umquam] unquam I.
106
Quidnam in causa est, ut aliae quae divine sortis sunt Deique omnino, tamen Dei partis
obliviscantur ignorantes, et se ipsas et illum?] Quidam in causa est? Ut animae quae divine sortis
sunt Deique omnino, tamen Dei partis obliviscantur ignorantes, et se ipsas et illum I.
107
ceperunt] coeperunt C.

25
quibus nimium aversae sunt, parvi facerent. Quamobrem extrema divinitatis
inscitia ex inferiorum honore suique ipsius contemptu animae videtur accidere.
Simul non prosequitur, admiraturque aliud, et interim confitetur se admirantem et
prosequentem hoc ipso deteriorem esse. Cum igitur deteriorem seipsam rebus
nascentibus occidentibusque existimet, deoque abiectissimum quoddam
maximeque caducum omnium quae honorat esse se putet, merito neque Dei
naturam, neque potentiam animo concipit. Quapropter geminum ad eos qui sic
affecti sunt, sermonem habere debemus, si modo conversuri eos simus ad opposita
quaedam atque prima, et usque ad summum unumque et primum denique
reducturi. Quisnam igitur est uterque? Alter profecto qui demonstrat quam ob
causam anima nunc inferiora haec honoret108. Quam rem alibi longe percurrimus.
Alter vero qui docet atque commemorat quam generosa stirpe sit alius procreatus,
et quanta praeditus dignitate. Qui certe sermo prior est quam ille, atque declaratus
declarabit et illum. De quo sane nunc est dicendum. Proxime non hic ad naturam
eius quod quaerimus videtur accedere, atque illi oportune praeponitur. Ipsum enim
quod quaerit est anima, cui profecto cognoscendum est, quid existens iam ipsa in
se perquirat, ut discat in primis, num ipsa vim habeat ad talia quaedam
investiganda, et numquid109 eum habeat oculum, quo perspicere valeat, et omnino
num haec conveniat indagare. Si enim aliena nobis sunt, cur nam haec
indagemus? Sinautem cognata, merito decet, expeditque perquirere, et potest
quandoque animus invenire.

MARSILIUS
Quanta sit mundanae animae dignitas ostendit ex eo quod nisi in mundo sit
ipsa, mundus nihil aliud quam materia quaedam informis erit
CAP. II.
Anima enim110 rerum formas gignit. Motiones omnium et actiones ipsa
citat. Vitam omnibus inserit et progressum est ubique tota. Nutu regit, atque ita se
habet ad mundanum corpus accedens, sicut sol exoriens ad aerem tenebrosum.

108
Alter profecto qui demonstrat quam ob causam anima nunc inferiora haec honoret] Alter
profecto, qui demonstrat ignominiam harum rerum, quae ab animo honorantur C.
109
numquid] nunquid I.
110
enim om. B.

26
Similes anima nostra vires, similemque ferme dignitatem habet, praesertim si
corporeis sordibus ex purgata redierit111 in seipsam.
PLOTINUS
Cogitare debet in primis omnis anima: animam ipsam animalia omnia
effecisse inspirantem eis vitam, fecisse inquam viventia omnia, quae nutritur
tellus, et quae mare, quae in aere sunt, et quae in coelo stellae divinae. Anima
solem, anima ingens hoc caelum exornavit ordineque perpetuo ducit, existens
profecto natura quaedam ab his diversa quae ornat quae movet quibus suggerit
vitam. Ideoque necesse est his omnibus esse praestantiorem. Quippe cum haec et
oriantur quando anima suppeditat vitam, et occidant quando destituit, ipsa vero sit
semper, propterea quod numquam112 deserit semetipsam. Quis autem modus sit
vitae suppeditandae tum113 universo, tum singulis animalibus, ita potissimum
cogitetur. Consideret itaque ingentem animam alia quaedam anima non parvam in
considerando dignitatem adepta, a deceptione videlicet libera, et ab his omnibus
quae ceteras animas fascinare consueverunt. Ideoque in habitu quodam
quietissimo constituta non solum vero quiescat illi circumfusum corpus
corporisque procella, verum etiam quicquid extrinsecus ambit, undique
conquiescat. Torpeat ergo terra, et mare, aereque, et caelum114. Excogitet mox in
torpentem eiusmodi molem undique animam extrinsecus influentem paenitusque
infusam et omnia penetrantem, nec aliter illustrantem, quam solis radii obscuram
caliginem //304r// illuminare soleant, nubesque saepe aspectu aureas reddere, sic
itaque anima caeleste corpus ingressa dedit vitam, dedit immortalitatem torpens
protinus excitavit. Hoc autem motu perpetuo agitatum sapientis animae ductu
beatum animal est effectum, omnemque caelum adeptus est dignitatem, cum
primum inhabitavit anima cum prius esse corpus vita vacuum, terra scilicet atque
aqua. Immo vero materiae tenebrositas, atque non ens, quodve115 (ut inquit ille)
Dii odio habent. Fiet autem clarior atque perspectior vis animae atque natura,
siquis in his animadvertat quemadmodum ipsa sua voluntate caelum complectatur

111
redierit] redigerti B.
112
numquam] nunquam I.
113
tum] cum C.
114
Torpeat ergo terra, et mare, aereque, et caelum] Toupet ergo terra et mare aereque, et ipsum
caelum praestantissimum C.
115
quodve] quodque C.

27
et ducat. Omni namque huic moli quantacumque est, tradidit semetipsam. Unde
totum hoc intervallum tum116 magnum tum parvuum est animatum; ubi corporis
aliud atque aliud est alibi situm, et hoc quidem sic illud vero aliter est dispositum.
Et alia ex opposito sita. Alia vero connexa invicemque pendentia. At anima non
ita se habet. Non enim in partes particularesque divisa vitam inserit singulatim,
sed omnia se tota vivificat, totaque ubique adest, similis effecta patri; tum117
secundum ipsum unum tum secundum quandam118 per omnia amplitudinem. Et
profecto caelum et si multiplex aliudque sit alibi est tamen animae ipsius potentia
unum. Iam vero propter ipsam hic mundus est Deus. Sol quoque Deus est,
quoniam animatus stellaeque similiter omnes. Nos quoque quicquid habemus
egregii ob hoc ipsum duntaxat habemus. Orbati namque anima sterquilinio
abiectiores esse dicuntur. Necessarium vero est animam ipsam quandoquidem
Diis, ut Dii sint causa est, antiquiorem iis Deum existere. Conformis quoque huic
est et nostra. Itaque si quando absque adiunctis eam consideraveris puram
inspiciens; invenies profecto idem ipsum quod est anima venerandum, omnique
corporeo admodum pretiosius. Etenim sine ipsa anima forte119 terra sint omnia.
Ac si intersit et ignis, quidnam erit vehementia eius adurens? Et quaecumque120 ex
his composita fuerint, tamensi aquam his aeremque addideris, nondum tamen
nactus fueris aliquid venerandum. Quod si ex eo quod animetur, prosecutione
dignum corpus evadet, cur quaeso teipsum idest animum tuum dimittis? Aliud
vero quicquid prosequeris? Sed age animam ipsam admiratus in alio, admirare
teipsum.

MARSILIUS
Facultas nostra rationalis tamquam mobilis et ab ocio121 migrans in actum
atque vicissim dependet ab intellectu nostro stabiliter semperque agente; atque hic

116
tum] cum C.
117
tum] cum C.
118
quandam] quamdam I.
119
forte] fortasse C.
120
quaecumque] quaecunque I.
121
ocio] otio C.

28
tamquam122 proprius animae particularisque dependet123 ab intellectu communi in
seipso simpliciter consistente.
CAP. III.
Intellectus noster se habet ad rationem, et intellectus communis ad
nostrum, sicut lumen ad aerem, formaque ad materiam. Sed ratio quidem quotidie
formatur ab intellectu nostro, noster autem a communi semper formatus est124,
semper illuminatus. Intellectus igitur communis excellentiam ex ipsa125 intellectus
animalis praestantia possumus coniectare.
PLOTINUS
Cum igitur anima sit res veneranda tamque divina, confisus iam tali
quodam vehiculo ad Deum te accessurum, hoc ipso ad illum iam ascende. Neque
enim es longius vagaturus, nam neque sunt intermedia multa. Summe itaque quod
est huius divini divinius, vicinitatem inquam animae ad supernum, post quod
vicinum et a quo est anima. Et si enim tanta res sit, quantam ratio demonstravit,
imago tamen quaedam est intellectus ipsius, quemadmodum verbum //304v// in
prelatione verbi existentis in animo. Sic ergo et anima mentis est verbum, et tota
est actus atque vita, quam producit in alterius existentiam, velut altera quidem est
in igne caliditas, altera quam ignis exhibet alteri. Oportet autem illic accipere non
effluentem duntaxat, sed partim quidem in ipso manentem, partim etiam
subsequentem. Quamobrem cum anima sit ab intellectu, intellectualis existit,
intellectusque ipsius animae in discursione versatur. Tum vero huius perfectio
rursus ab intellectu, velut a patre atque iterum nutritore, siquidem hanc primo non
omnino perfectam, si cum ipso conferatur, procreaverit. Itaque tum haec ipsa
substantia est a mente, tum actu ratio, et quasi intellectuale verbum, dum mens
ipsi perspicitur, quando enim intuetur mentem, tunc quae intelligit agitque, intus
habet et propria, hasque solas appellare decet aliae actiones, quaecumque126
intellectuales sunt, atque domesticae. Quae vero deteriores sunt, aliunde
perveniunt, suntque talis aliae passiones. Intellctus igitur diviniorem insuper

122
tamquam] tanquam I.
123
dependet] pendet C.
124
noster autem a communi semper formatus est] noster autem intellectus a communi sempre
formatus est C.
125
ipsa] seipsa B.
126
quaecumque] quaecunque I.

29
efficit animam, tum127 quia pater est, tum quia semper adest, non enim intervenit
medium, praeter id quod alterum inter se sunt, et alterum, ita tamen ut subsequatur
alia, et suscipiat. Intellectus autem sit tanquam species. Pulchra vero est et
intellectus ipsius materia, quippe cum sit intellectuale quiddam et simplex. Quam
igitur excellens sit intellectus, ex hoc quoque constat, quod excellentior est quam
anima re admodum excellente128.

MARSILIUS
Mundus cum sit ab intellectu divino, certe totus est in eo. Et quoniam ille
est129 ens vita intellectus perfectissimo modo, ideo quicquid mundanum est in eo,
perfectum est; atque est ens et vita et intellectus.
CAP. IIII.
Partes temporis pertinentes ad mundana referuntur ad totum tempus, quod
passive est in mundo. Atque hoc ad tempus quod in alia est active. Et illud ad
ipsam divinae mentis aeternitatem, in ipsa tamen mente differunt inter se quadam
ratione formali intelligere atque intelligi. Item quod intelligit et quod intelligitur;
substantia tamen conveniunt. Ibi rursum intelligere ipsum methaphorice est
moveri. Intelligi vero quasi movere, atque stare. Cum igitur intellectus ille et
omniformis sit, et differentiam in se aliquam et quasi compositionem habeat;
merito redigendus est ad superius aliquid simplicissimum130.
PLOTINUS
Cognoscere idem praeterea per haec aliquis poterit. Siquis mundum hunc
sensibilem admiretur, intuitus magnitudinem eius et pulchritudinem, motusque
ordinem sempiterni, item deos in ipso partim quidem conspicuos, partim vero
latentes, daemones quoque et animalia, et omnes denique plantas, mox ad ipsum
mundi huius principium et exemplar mundumque veriorem prorsus ascendat,
ibique intelligibilia cuncta conspiciat, ac penes ipsum sempiterna in propria
intelligentia atque vita horumque omnium praesidem intellectum prorsus

127
tum] cum C.
128
quod excellentior est quam anima re admodum excellente]quod excellentior est anima re
admodum excellente C.]
129
Et quoniam ille est] Et quondam ille ens vita intellectus B.]
130
Cfr. Thome de Aquino, De ente et essentia, 5; Super Librum de Causis, 16.

30
intemeratum, et inextimabilem131 sapientiam, et revera vitam auream sub Saturno.
Nempe Saturnus ipse intellectus est prorsus132 immaculatus. Omnia enim in se
immortalia comprehendit, intellectum omnem, Deum omnem, animam omnem, et
haec omnia penitus consistentia. Quid enim permutare quaerat, cum bene se
habeat? Quove pertransire? cum penes se cuncta possideat. Sed neque exigit
incrementum, cum sit perfectissimus. Quapropter et quaecumque sunt apud
ipsum, perfecta sunt, ut sit omnino perfectus, non habens quod non sit tale. Neque
quicquam in se habens quod non intelligat; intelligit autem non quaerndo, sed
possidendo. Neque peregrinam habet felicitatem133, sed omnia habet in aevo.
Atque vera est aeternitas quam imitatur tempus //305r// circa animam sese
versans, alia quidem dimittens, alia vero attingens. Etenim alia rursusque alia sunt
circa animam. Nam aliquando Socrates, aliquando equus, et unum aliquod semper
eorum quae sunt, intellectus autem omnia. Habet igitur in eodem omnia
consistentia in eodem, atque est duntaxtat, semperque praesens, neque ullo modo
futurum. Est enim iam tunc quicquid esse potest, neque habet praeteritum. Non
enim ibi quicquam praeteriit, sed ibi cuncta in praesenti consistunt utpote quae
sunt semper eadem, tanquam quae praesenti habitu sunt contenta. Proinde
quodlibet illorum est intellectus atque ens. Et universum omnis est intellectus,
ensque omne, intellectus quidem, propterea quod intelligit, atque ita ens sibi
vendicat134. Ens autem propterea quod intelligitur, atque hoc ipsum quod
intelligitur, intelligere et esse exhibet intellectui. Intelligendi vero causa aliud est,
quod quidem enti quoque causa est essendi. Amborum igitur simul aliud causa est.
Ipsa enim et simul exsistunt, et nunquam se mutuo deserunt. Sed cum duo sint hoc
ipsum unum simul est intellectus, et ens, et intelligens simul et intellectum.
Intellectus quidem quatenus intelligit, ens autem quatenus intelligitur. Non enim
esse posset actus intelligendi, nisi esset [ut ita loquar] alteritas, atque identitas.
Sunt ergo prima intellectus, ens, alteritas, et identitas. Oportet autem motum
quoque statumque adiungere. Et modum quidem, si intelligit, statum vero ut idem.
Sed alterirtatem, ut sit intelligens atque intellectum. Alioquin si diversitatem hanc

131
inextimabilem] inaestimabilem C.
132
quasi iuvenis add. C.
133
felicitatem] faelicitatem I.
134
vendicat] vindicat C.

31
abstuleris, unum iam prorsus evadens silebit omnino. Oportet autem quae
intelligunt et quae intelliguntur inter se sic esse diversa, esse quoque idem,
quatenus in eodem135, et commune unum aliquid omnibus. Atqui differentia ipsa
alteritas est. Haec autem dum plura fiunt, numerum quantitatemque faciunt, ac
denique tale aliquid uniuscuiusque horum proprietas efficit. Ex quibus velut
principiis caetera quoque proficiscuntur.

MARSILIUS
Pytagorici fingunt in quadam quasi processione ipsius unius oriri binarium,
in quodam binarii termino ternarium suboriri; similiterque deinceps, Platonici
similiter de prima essentia iudicant.
Cap. V.
Haec enim cum perfectissime sit, ideoque similiter vivat vitali quodam
quasi motu progreditur intus. Cum vero progressio sit opposita regressioni vel
termino nimirum aliunde et id quidem desuper habet, ut regrediatur vel
terminetur, sicut caelum136 ut moveatur, habet ab anima, ut in orbem, habet ab
intellectu vel anima iam intellectuali. Terminatur autem vitalis ille actus in
intellectum, et hunc clarissimum omniformemque, vigore137 scilicet interim
accepto divinitus, sicut et oculus nativo quodam nixu aspicit, sed virtute luminis
sit actu videns atque formatus. Denique cum in ipso inetllectu primo seipsum
intelligente ratio quidem formalis ipsius intelligentis sit quasi precedentis atque
formabilis, ratio autem intellecti138 sit quasi terminantis atque formantis. Ideoque
inter se opponantur, merito ibi est numerus aliquis, non accidentalis ille quidem,
sed prorsus essentialis. Est et illic numerus idearum ratione formali inter se
differentium, si modo per eas intelliguntur et fiunt formae rerum re ipsa invicem
discrepantium. Ideo intellectus adeo multiplex a principio dependet139 penitus
simplicissimo140.

135
quatenus in eodem] quatenus unum sibimet ipsi C.
136
caelum] coelum B.
137
vigore] vigores B.
138
intellecti] intellectus B.
139
dependet] pendet C.
140
Cfr. Thome de Aquino, De ente, 5.

32
PLOTINUS
Hic itaque Deus plurimus in anima hac existit rebus eiusmodi copulata,
nisi forte hinc velit abire. Propinquans ergo ipsi et quasi unum effecta ita
perquirit. Quisnam igitur ille est qui hunc genuit, qui simplex et ante eiusmodi
multitudinem, qui auctor huic est, ut et sit, sitque multiplex. Qui procreat
numerum. Numerus enim non est primus. Nam ante divitatem est ipsum unum.
Secundum vero divitas quae ab uno //305v// facta, ipsum habet definitorem. Ipsa
vero suapte natura est quiddam indefinitum. Quando vero definita est, iam est
numerus. Numerus autem ut essentia141. Nam et anima quoque numerus est. Non
enim moles sunt prima naturae, neque magnitudines ullae. Crassa enim haec
posteriora sunt, quae sensus existimat entia. Iam vero nec in seminibus hoc ipsum
humidum est, quod dignum aextimatione142 censetur, sed quod sensibus non
apparet. Id autem numerus est atque ratio. Qui ergo numerus illic dicitur atque
etiam divitas, intellectus est et rationes quaedam. Sed indefinita quidem divitas
est, quatenus subiecto consideratur. Numerus autem qui ex ipsa est atque uno, iam
est species unusquisque, quasi sic intellectus ipius essentia per species in eo factas
formatas iam fuerit. Formatur autem alio quidem modo ab ipso uno, alio autem a
se ipso, velut visio quae est iam actu videns. Est enim intelligentia visio vides et
ambo unum.

MARSILIUS
Deus summus absque ullo voluntatis vel naturae motu divinum generat
intellectum tanquam verbum suum, sola alteritate quadam a patre differens.
Intellectus similiter immobilis verbum suum generat ipsam scilicet mundi
animam143.
Cap. VI
Si primum esset ullo modo mutabile omnino nutarent144 omnia. Item si
fingatur per motum quasi medium generare mentis substantiam, motum tandem
generabit sine motu accidens tam imperfectum, ut sit accidentium omnium

141
Numerus autem ut essentia] Numerus autem est essentia C.
142
aextimatione] aestimatione C.
143
Cfr. Ioannis Argiropuli, De processione Spiritus Sancti, PG. CLVIII, 995C.
144
nutarent] mutarent B.

33
imperfectissimum, cum partes in se suas simul possidere nunquam145 possit.
Itaque ratio dictat sine eiusmodi accidente perfectissimam illam a Deo
substantiam generari; cum agentia partim natura, partim voluntate faciant, et in
primo agente omnis agendi facultas contineatur. Et quae in sequentibus sunt divisa
in primo sint unita146. Nimirum Deus voluntate res facit pariter atque natura.
Idemque in eo natura est atque voluntas. Ab illo igitur nec per voluntatem nec per
naturam mutato emicat intellectus quasi lumen; et cum primum emicat naturali
quodam instinctu vergens ad patrem, ideatum splendore repletur. Evadit igitur
intellectus hinc absolute formatus. Similiter ad intellectum divinum anima mundi
se habet147. Notabis orationem tunc efficacissimam fore, quando animus ad
intellectum suum omnino se revocans solum se offert soli Deo, ad solum videlicet
illum amore flagrans.
PLOTINUS
Quomodo igitur videt? Quidve videt? Et quomodo prorsus extitit148 et
processit ab illo ut et videat?149 Nunc enim necessitatem ipsam per quam haec
fiant animus tenet. Affectat qutem iterum intelligere; quod etiam inter antiquos
sapientes est divulgatum quonam pacto ex uno existente tali quale dicimus unum
ipsum existere; habuerit unumquodque substantiam, sive multitudo, sive duitas,
sive numerus, neque illud in seipso quieverit; sed tanta illinc effluxerit multitudo
quanta conspicitur quidem in ordine rerum; reducendam vero censemus ad illud.
Sic itaque dicendum nobis est Deum ipsum invocantibus non oratione quidem ad
aures pertinente, sed animo se ipsum ad Deum voti gratia impensissime revocante.
Quippe cum hac tantum conditione vovere precarique possimus si soli accedamus
ad solum. Oportet igitur Dei contemplatorem in ipso penetrali velut templo
quodam intra seipsum inquam tranquille quiescere super omnia prorsus
extantem150 ibique velut status extra universum constitutas immo151 vero statutam
primo effulgentem, hoc modo quo naturaliter inspici potest inspicere. Circa omne
quod movetur oportet aliquid esse ad quod moveatur. Nam si nihil eiusmodi fuerit

145
nunquam] tanquam B.
146
Cfr. Thome de Aquino, De ente, 5.
147
habet] hahet I.
148
extitit] exstitit C.
149
? om. I.
150
extantem] exstantem C.
151
immo] imo C.

34
moveri minime affirmabimus. Sed siquid post efficiens ipsum fiat, id omne ipso
semper ad se converso effici necessarium est. Procul esto nunc a nobis generatio
temporalis verba de sempiternis impraesentia facientibus. Et si quando inter
loquendum generationem eis attribuamus ratione causae ordinisque //306r//
cuiusdam generationem in medium adducentibus. Quod igitur inde gignitur
dicendum est superiore non agitato gigni, alioquin si moto illo aliquid generetur,
certe id quod gignitur non secundum sed tertium erit ab illo post mortum.
Quamobrem necessarium est cum illud sit prorsus immobile, siquid secundum
post ipsum nascitur, id profecto illo neque annuente neque voluntate dernente
neque ullo pacto commoto subsister. Quoniam152 igitur pacto quidve nobis est
circa illud stabile cogitandum? Lumen undique circumfusus ex ipso dependens, ex
ipso inquam paenitus quiescente, ceu fulgorem circa solem quasi circumcurrentem
ex ipso semper manente pergentium. Iam vero res omnes quantenus naturaliter
perseverant ex ipsa sui essentia praesenteque virtute necessariam circa se foras
naturam perducunt ab ispsis dependentem, quae quidem imago sit velut
exemplaris si153 virtutis illius unde manavit. Ignis quidem ex se foras emittit
calorem, nix quoque frigus non intrinsecus tantum cohibet, sed et aliis exhibet.
Precipiue vero id res odoratae testantur. Quamdiu enim sunt nonnihil ab eis
circumeffunditur154, cuius inde sit155 particeps quod est propinquum. Atque156
quaecumque perfecta iam sunt aliquid generant. Quod autem semper est
perfectum semper gignit et sempiternum, minus autem geniturm genitore.
Quidnam igitur de perfectissimo est dicendum? Numquid157 nihil prodit ab eo, an
potius ab eo prodeunt quae omnium maxima sunt post ipsum. Maximum vero post
ipsum est intellectus atque secundum. Inspicit enim intellectus illud soloque illo
indiget. Illud vero primum hoc minime indiget. Oportet profecto quod sit158 ab eo
quod est mente melius esse mentem. Melius vero omnium quae fiunt est

152
Quoniam] Quondam C.
153
si] scilicet C.
154
circumeffunditur] circum effunditur C.
155
sit] fit C.
156
Atque] Atqui C.
157
Numquid] Nunquid I.
158
sit] fit C.

35
intellectus, quoniam alia sunt post ipsum159. Iam vero et anima mentis est verbum
et actus quidam sicut mens est Dei verbum. Verum obscurum est animae verbum.
Quatenus enim est imago mentis hoc ipso et aspiciendum est in mentem. Eadem
ratione Deum suscipit mens imago Dei ut ita sit intellectus. Videt vero Deum
minime inde separata. Sed quoniam est post ipsum nihilque est medium,
quemadmodum nihil medium est inter animam atque mentem. Omne vero
genitum appetit genitorem in cuius consecutione sit contentum, precipue autem
quando soli sunt genitoratque genitus. At ubi quod genuit est omnium optimum,
necessario genitum ipsi cohaeret usqueadeo ut alteritate (ut ita dixerum) quadam
solum videatur inde secretum.

MARSILIUS
Quemadmodum intellectualis anima dependet160 ab intelectu puro, qui non
est anima; ita et hic intellectus emanat ab161 ipso bono162 quod non163 est
intellectus, sed supereminet intellectum.
Cap. VII.
Intellectus hic primo quidem a parte manat, tamquam164 essentia vivens.
Mox vero naturaliter illuc aspiciens intellectus evadit. Intellectus enim est ipsa
substantialis visio ex aspectu sive affectu naturali resultans. Huius quidem pater
est ipsum simpliciter unum. Hic autem unum essentiale sive vitale, ubi videtur
esse binarius. Sed aspectu additio iam ternarius. In ternario est par et impar
omnisque numerus. Similiter hic per aspectum sive affectum naturalem iam
ternarius, simul numerus omnis efficitur. Aspiciendo enim sive naturaliter
asciscendo corroboratur a parte, confirmatus viventem essentiam suam iam

159
«Quod autem sempre est perfectum….quondam alia sunt post ipsum». Rispetto a questo
passaggio risportiamo la traduzione latina presente nell’In calumniatorem Platonis libri IV del
cardinal Bessarione: «Aeternum illud atque perfectum semper perfectumque generat, minusque
est, quod quam quod generat. Quid igitur de perfectissimo illo dicendum est? Nihilne ab ispo ab
ipso esse, an quae summa sunt, esse post ipsum? Summum igitur post ipsum mens est et
secundum. Mens enim illud videt illoque uno eget; illud autem hoc non eget. Et quod a maiore illa
mente generatur, mens est atque omnibus praestantior, quia cetera posteriora sunt», Bessarionis, In
calumniatorem Planotis libri IV, p. 99, ll. 22-28.
160
dependet] pendet C.
161
ab] ac B.
162
Cfr. Platonis, Respublica, VI, 508a-509b; Thome de Aquino, Contr. Gent., I, 13; de Caus., 9.
163
non om. B.
164
tamquam] tanquam I.

36
comprehendit, in qua saecunda viget virtus essentiarum omnium genitrix. Sic
igitur in seipso in formas omnium se derivat, dum suam hanc intelligendo in se
explicat potestatem. Effectus est igitur omniforis, et omnia fomento patris. Qui
cum nulla rerum forma definiatur, merito vel nihil agit quod dictu nefas, aut
pariter omnia, dum ex se uno super omnia existente unum generat omniforme. Hic
Caelio165 genitus Saturnus est appellatus, conceptus suos ipse deglutiens a Rhea,
id est natura et materia //306v// segregatos. Huius filius Iupiter mundi anima filios
id est formas generat in natura, atque per hanc materiam postremo producit.
PLOTINUS
Imaginem vero illius esse dicimus intellectum. Oportet enim apertius
explicare166. Primo quidem oportere id genitum esse, servareque multa in se
genitoris, similitudinemque talem ferme ad ipsum habere, qualem habet ad solem.
Genitorem vero illum non esse mentem. Quomodo igitur gignit mentem? Quia
videlicet genitum conversione quadam ad genitorem inspicit. Haec autem ipsa
visio est intellectus. Quod enim percipit aliud vel sensus est vel intellectus.
Comperari vero solet sensus quidem lineae, quod vero reliquum est in
cognoscendo circulo. Verum eiusmodi circulus est quasi partibilis, ipsum vero
non ita se habet. Forte vero hic quoque est unum, sed unum potestas omnium.
Quorum igitur est potestas, haec ab ipsa potestate velut partita intelligentia
conspicit, alioquin intellectus minime foret. Quandoquidem et ipse per se habet,
iam velut potestatis suae consensum animadvertentem quantum valeat, in quo
quidem sua consistit essentia. Ipse igitur per seipsum et definit esse sibimet
potestate quadam ab illo prorsus accepta. Ubi sane animadvertitur essentiam esse
velut partem quandam unam eorum quae sunt illius atque ex illo et corroborari ab
illo, ab eodemque et ex eodem perfici in essentiam. Videt autem inde seipsum167
velut partibili quodam ex impartibili, tum vivere168, tum intelligere, ac prorsus
omnia, quoniam ille nihil est omnium. Ob hoc enim ab illo fiunt omnia, quoniam
165
Caelio] Coelo B.; Coelo C.
166
«Omne vero genitum…apertius esplicare». Si riporta anche qui la traduzione di Bessarione:
«Omne autem id appetti amatque, a quo generatum est, praesertim cum sola sunt, qod generavit
generatumque est. Cum autem optimum est, quod generavit, tunc adeo cum eo coniunctum est, ut
sola, ut ita dicam, alteritate distinguatur. Imaginem autem illius mentem esse dicimus,
quandoquidem manifeste loqui oportet», Bessarionis, In calumniatorem Platonis libri IV, p. 99, ll.
28-32.
167
seipsum] sibi ipsi C.
168
tum vivere] cum vivere C.

37
illud una quadam forma minim circumscribitur. Illud enim unum est duntaxat,
intellectus autem in ordine rerum est omnia. Ob hoc itaque illud nihil est eorum
quae sunt in mente. Sed ex ipso cuncta in rerum ordine manant. Quamobrem haec
essentiae sunt. Determinata enim iam sunt, et unumquodque habet iam velut
formam. Ipsum vero ens non est quasi in quodam indefinito considerandum, sed
termino quodam statuque firmitatum. Status autem in rebus intelligibilibus
determinatio est atque forma, quibus suam substantiam fortiuntur169. Hic igitur
huius generis intellectus purissimae mentis appellatione dignus non alunde quam
ex primo principio nasci est iudicandus. Atque hun iam genitum cuncta secum
simul entia genuisse, universam pulchritudinem idearum, intelligibiles Deos
omnes. Existimandum praeterea hunc esse plenum omnium quae progenuit, et
quasi genita protinus absorbentem, propterea quod in se omnia complectatur,
neque in materiam labi sinat, neque nutriri apud Rheam, quemadmodum mysteria
fabulaeque de Diis fingunt. Saturnum quidem sapientissimum Deum ante Iovem
gentium quae generat in seipso iterum cohibere. Quatenus sic et plenius sit et
purus cum plenitudine intellectus. Post haec tradunt generare Iovem puerum iam
existentem, idest purum atque vegetum, et quasi iam saturum. Animam enim
generat intellectus, intellectus inquam perfectus existens. Quando enim perfectus
sit, oportet et generare, potentiamque tantam non esse sterilem. Sed hic quoque
quod gignitur genitore melius esse non poterat. Cum vero foret minus, fore et
illius imaginem, indefinitam quoque similiter, sed definiri a generante atque
formari. Progenies vero mentis ratio quaedam est, cuius substantia in excogitando
consistit. Id autem est, quod circa intellectum sese versat, intellectusque ipsius
lumen est atque vestigium semper inde dependens170, inde quidem illi
coniunctum, atque ita repletum et fruens, et compos eius atque intelligens. Inde
vero vissim sibi subdita tangens, immo171 vero generans, quae quidem
necessarium est anima deteriora contingere. De quibus in sequentibus est
dicendum. Hucusque tandem divina procedunt. //307r//

169
fortiuntur] sortiuntur C.
170
dependens] pendens C.
171
immo] imo C.

38
MARSILIUS
Ex Platonis Parmenidisque verbis probatur ipsum bonum, et simpliciter
unum, esse superius ipso ente, atque intellectu. Quod est unum multa appetitque
bonum. Item intellectum divinum esse superiorem anima mundi. Quoniam haec
est unum et multa quasi iam magis divisa, atque per participationem est
intellectus.
Cap. VIII.
PLOTINUS
Hac de causa apud Platonem omnia circa omnium regem triplici ordine
disponuntur, praecipue vero per prima. Secunda deinde circa secundum. Tertia
denique circa tertium. Tum vero dicit esse causae patrem. Causam quidem
intellectum appellans. Nam mundi artifex apud Platonem est intellectus. Hunc
vero ait animam in illa patera procreare172. Cum vero causa sit intellectus, patrem
appellat ipsum bonum, et quod intellectu est essentiaque superius. Saepe etiam
ipsum ens atque intellectum appellat Ideam. Quapropter apud Platonem
cognoscere licet ex ipso quidem bono mentem atque Ideam, ex mente vero
animam173. Atqui sermones eiusmodi non esse novos, neque nuper inventos, sed
quondam dictos fuisse licet non explicatos. Praesentes vero sermones esse velut
interpretes antiquorum. Idque testimoniis comprobari, afferentibus174 opiniones
eiusmodi esse priscas. Quod ex ipsis quoque Platonis libris liceat coniectare.
Parmenides igitur prior opinionem eiusmodi attigit. Ubi in idem ens in
intellectumque reduxit. Atque ens ipsum in rebus sensibilibus minime collocavit,
dicens intelligere atque esse idem prorsus existere. Idque imobile175. Tametsi
adiungat illic intelligere. Omnem sane corpoream inde substulit176 motionem, ut

172
Hunc vero ait animam in illa patera procreare] Hunc vero ait animam in illo cratere procreare C.
173
«Hac de causa…ex mente vero animam», Bessarione traduce così questo passo: «Idcirco apud
Platonem terna sunt omnia. Circa omnium regem, inquit, omnia sunt, secunda circa secunda, et
tertia circa tertia. Plato itaque patrem esse dicit opificis causae. Hanc opificem causam mentem
esse opinatur; pro creatore enim mentem ponit. Cuius mentis et causae patrem dicit bonum ipsum
et summum bonum atque omni mente substantiaque nobilius. Plerumque etiam ens et mentem
ideam esse fatetur. Quapropter hanc esse Platonis sententiam manifestum est, ut mens ex bono
ipso, anima ex mente suum esse substantiamque assumat», Bessarionis, In calumniatorem Platonis
libri IV, p. 99, ll. 33-40.
174
afferentibus] asserentibus C.
175
imobile] immobile C.
176
substulit] sustulit C.

39
eodem semper modo permaneat, comparat insuper sperae177 globo, quoniam
cuncta in se involuta complectitur. Et quoniam intelligentia non petitur ab
extrinseco, sed in seipso perficitur. Ubi vero in libris suis unum nominat attingit
causam, quasi unum hoc deprehensum sit esse multa. Parmenides autem loquens
apud Platonem, exactius inter se distinguit primum ipsum unum, quod et
praecipue unum est solumque unum. Item secundum unum multa nominat.
Tertium denique unum atque multa. Hic itaque sic tres dictas confirmat naturas.

MARSILIUS
Anaxagoras, Heraclitus, Empedocles, Aristoteles una cum Platone
consentiunt, primum omnium principium esse unum atque simplicissimum.
Cap. IX.
Quod enim omnia in mundo, quamvis178 diversa, in unam totius formam,
unumque finem, effectumque ordine certo conspirent, inde provenit, quod omnia
sunt, et179 ducuntur ab uno, cunctaque unum imitantur, et appetunt. Si posito uno
quodam principio, primo omnium aeque ponatur et alterum aeque primum
omnium, et180 superflua erit alterius huius positio, et contingenter hoc etiam
principium appellabitur, cum nulla assignari ratio possit, quare hoc alterum etiam
principium sit vel illud, primo positum. Non enim quia necessarium sit. Non quia
hoc sit ab illo. Non quia hoc et illud sint ab uno quodam tertio. Omnino
contingens et temeraria et diuulfa et181 impossibilis est182 multitudo quae non est
ab uno.
PLOTINUS
Anaxagora autem ubi mentem puram mixtionisque expertem adducit, ipse
quoque simplex ponit primum unumque separatum. Exactam vero discussionem
antiquitatis causa praetermisit. Heraclitus praeterea novit unum intelligibile
sempiternum. Corpora namque fieri semper inquit et fluere183. Proinde apud
Empedoclem discordia quidem dividit. In ipsa vero concordia unum

177
C.M.:] sphaerae C.
178
Inc.:quamvis] quanvis I.
179
et om. B.
180
et om. B.
181
et om. B.
182
est] et C.
183
semper inquit et fluere] semper ait et fluire C.

40
significatur184. Iam vero et ipse id posuit incorporeum. Elementa vero vicem
materiae obtinent. Aristoteles //307v// autem posterius ipsum quidem primum
intelligibile dicit et separatum. Sed ubi intelligere seipsum affirmat, vicissim facit
esse non primum. Profecto et ubi alia quoque multa intelligibilia perducit in
medium, totidem numero, quot et in caelo sunt sperae185, ut singula speras186
singulas moveant, aliter intelligibilia quam Plato disponit, et cum probabilem non
habeat rationem, adducit necessitatem. Instabit et aliquis, numquid187 recta sic
ratione dicatur inquirens. Rationabilius esse dicens, omnes speras188 ordinesque
rerum ad coordinationem unam mutuo conferentes, ad unum simul primumque
conspicere. Interrogabit et aliquis, numquid189 intelligibilia multa apud Aristoteles
ex uno primo sint, an potius in rebus intelligibilibus multa principia sint. Ac si uno
sunt omnia congruneti quadam proportione comparabuntur, perinde atque in rebus
sensibilibus inter se sperae190 se habent. Alia scilicet aliam complectente. Et una
tandem extrinsecus velut dominam continente. Quamobrem191 primum ibi reliqua
comprehendet, mundusque intelligibilis erit. Tum vero quemadmodum hic
sperae192 vacuae non sunt, sed prima quidem stellarum plena singulae vero
sequentes stellas singulas possident, sic et ibi moventia illa, multa in seipsis
habebunt, verioraque caelestibus illic omnia erunt. Sin autem unumquodque in
numero intelligibilium est aeque principium, certe per contingentiam quandam
principia erunt. Et quaeri poterit, quam ob causam conspirent in unum, et ad opus
unum, communem scilicet totius caeli consentiant harmoniam. Item quo nam193
pacto quae in caelo sensibilia sunt, illis sint aequalia numero. Denique quomodo
multa ita sint, cum incorporea, neque materia ulla discernat. Quamobrem194
quicumque veterum Pythagoram sectatoresque eius, et Pherecydem suosque195

184
Proinde apud Empedoclem discordia quidem dividit. In ipsa vero concordia unum significatur]
Proinde apud Empedoclem discordia quidem dividit, concordia vero coniungit in unum C.
185
sperae] sphaerae C.
186
speras] sphaeras C.
187
numquid] nunquid I.
188
speras] sphaeras C.
189
numquid] nunquid I.
190
sperae] sphaerae C.
191
Quamobrem] Quam ob rem C.
192
sperae] sphaerae C.
193
quo nam] quonam C.
194
Quamobrem] Quam ob rem C.
195
suosque] cum suis C.

41
similiter secuti sunt, circa naturam eiusmodi studiose versati videntur. Sed alii
quidem sua in libris sensa posteris reliquerunt. Alii vero non in scriptis, sed in
viva vocis consuetudine tardidere. Aut paenitus196 dimiserunt.

MARSILIUS
Substantiam animae ratiocinantis197 esse a corpore separabilem apparet,
quoniam ratiocinari potest etiam absque instrumento corporeo. Idque
deprehendimus tum quando in consiliis concludit et eligit contra incitamenta
corporea, tum etiam quando in speculando formas vel separatas attingit, vel non
separatas ipsa separat.
Cap. X
PLOTINUS
Iam vero demostratum est oportere super ens esse unum, quali198
desiderabat ratio demonstrare quantum scilicet de rebus talibus demonstrari possit.
Esse autem post ispum unum ens atque intellectum. Tertio denique loco naturam
animae. Quemadmodum vero in ipsa natura tria haec sunt quae diximus, sic
quoque existimandum est haec nobis inesse. Dico autem non in rebus quae
sensibus offeruntur, separata enim haec sunt, de quibus impraesentia199 loquimur,
sed de rebus quae sensum vires excedunt, extraque eos sunt, eodemque modo
extra sicut et illa in universo naturae ordinae omnino sunt extra caelum, sic itaque
tria quaedam sunt in homine, in homine inquam, quem Plato interiorem nominat
hominem. Est igitur nostra insuper anima divinum quiddam altoriusque naturae,
qualis est universa natura animae. Perfecta vero est quae mentem habet, sed mens
altera quidem in ratiocinando versatur. Altera vim ratiocinandi suppeditat. Hanc
utique ratiocinandi virtutem animae nullo prorsus instrumento corporeo ad
discussionem propriam indigentem, sed actionem suam in puro quodam gradu
servantem, ut et pure possit ratiocinari. Siquis200 separatam neque mitam corpori
et in primo illo rerum scilicet intelligibili gradi locaverit, minime aberrabit. Non
enim quaerendus nobis est locus ubi ponamus, sed extra locum omnem vis talis

196
paenitus] penitus C.
197
ratiocinantis] rationalis B.
198
quali] quale C.
199
impraesentia] in praesentia C.
200
Siquis] Si quis C.

42
constituenda. Sic enim duntaxat //308r// habere potest quod dicitur per se existere
atque agere et extrinsecus et supra materiam201 quando sola fuerit a corporea
natura nihil paenitus habens. Hanc ob causam Plato in Timeo Deum inquit mundi
animam etiam extra mundum circumfudisse, ostendens vim animae ipso
intelligibili permanentem. De anima quoque nostra in Phedro ait tum202 condere
caput intra caelum tum extra caelum caput attollere. Atque cum in Phedone
potissumum et Theetheto separare animam iubet a corpore, non loco praecipit
segregare. Quod enim ita separatum est, naturaliter est seiunctum. Sed monet ne
corpori animus annuat, neque imaginationi consentiat, neque ob commertium203
corporis alienetur a mente, coneturque siquo204 pacto valeat subditam sibi animae
speciem una secum ad superiora perducere. Quodve ex ipsa hic est situm. Quod
quidem solum corporis est opifex atque formator assidueque ad hoc ipsum
incumbit.

MARSILIUS
Sicut in universo ipsum unum est superius intellectu, et hic superior anima,
sic in anima nostra ipsa animae unitas205 est eminentior206 eius mente, haec altior
ratione.
Cap. XI
Satis in Theologia et primis Plotini libris ipsum unum enti et hoc animae
praeposuimus. Item ostendimus in animis sicut in lineis esse suam unitatem quasi
signum quo Deum universi unitatem quasi centrum attingere possint. Praeterea
notiones rerum communes artiumque regulas stabiles mentibus nostris semper
inesse, per quas de similibus pro arbitrio ratiocinari possumus.
PLOTINUS
Cum igitur animus de iustis pulchrisque consultet inquiratque num hoc sit
iustum numquid207 hoc sit pulchrum, necessarium est, stabile quiddam iustum esse

201
(sive sine materia) add. C.
202
tum] cum C.
203
commertium] commercium C.
204
siquo] si quo C.
205
unitas] vitas B.
206
nostra ipsa animae unitas est eminentior] nostra ipsa animae vitas est, est eminentia B.
207
numquid] nunquid I.

43
similiterque pulchrum208. Unde ratiocinatio in animo ducat exordium. Alioquin
discurrere nunquam posset. Ac si animus interdum circa haec discurrit, alias vero
minime oportet non naturam quidem hanc discurrentem, sed mentem in nobis
esse, quae iustum pulchrumque209 semper habeat. Adesse praeterea mentis
principium et causam atque Deum. Illo quidem nullo modo partibili sed
paenitus210 consistente, non in loco inquam manente, sed in seipso211 atque
interim in multis quoque considerari in singulis eorum quae capere possunt ipsum
velut aliud quiddam praeter ipsa. Quemadmodum et centrum est in seipso, habent
autem singula quae sunt in circulo signum in centro suum, et lineae huic punctum
proprium adhibent. Tali enim quodam eorum quae nobis insunt, nos quoque
divinum tangimus, cogredimur copulamur, eatenus illic innitimur, atque figimur,
quatenus nos illuc intentione conferimus.

MARSILIUS
Et si intellectus noster circa divina semper agit, non tamen
animadverterimus; quoniam ratio et imaginatio nobis ad opposita divinorum et
varia distrahuntur.
Cap. XII
PLOTINUS
212 213
Caeterum cur nam talia tantaque possidentes nequaquam
animadvertimus nos haec habere?214 Sed plurimum seorsum a talibus actionibus
ocium agimus. Sunt et215 multi qui circa haec nihil unquam agunt216. Illa quidem
in actionibus suis assidue perseverant intellectus scilicet et quod superius
intellectu in seipso semper, sic quoque et anima vim habet immobilem sive217
perpetuo mobilem. Neque vero quicquid est in anima propterea iam sentitur,

208
similiterque pulchrum] (similiterque pulchrum) C.
209
pulchrumque om. C.
210
paenitus] penitus C.
211
seipso] se ipso C.
212
caeterum] ceterum C.
213
cur nam] curnam C.
214
? om. C.
215
Sunt et] Suntque C.
216
? add. C.
217
immobilem sive om. C.

44
pervenit sane in nos218, quando ad sensum usque procedit. At quando agens in
nobis quodlibet actionem suam non traducit in ipsam sentiendi virtutem nondum
per totam anima se actio eiusmodi propagavit. Quare nondum agnoscimus utpote
//308v// qui una cum sentiendi virtute sumus id quod sumus, neque pars animae
quaedam solum, sed universa potius anima sumus. Iam vero unumquodque in
nobis animatum quamdiu vivit tamdiu per seipsum219 munus efficit proprium. Sed
tunc demum id nobis contingit agnoscere quando mutua quaedam sit220 traductio,
et inde animadversio pervenit. Oportet igitur siquando221 ita praesentia nobis
animadversuri simus vim ipsam animadversoriam ad interiora convertere
operamque dare, ut ibi tota prorsus intendat. Perinde ac si quis affectans vocem
unam praecaeteris222 haurire, a caeteris se vocibus segreget, ad vocemque omnium
optatissimam attentior porrigat aures, quando propinquet. Sic itaque hic oportet
dimissis omnibus quae sensibus instrepunt, perque sensus animum interpellant,
nisi quantum extrema cogat necessitas, vim ipsam animae animadvertendis
superioribus aptiorem puram paenitus conservare, audiendisque supernis vocibus
paratissimam.

218
pervenit sane in nos] sed pervenit in nos C.
219
seipsum] se ipsum C.
220
sit] fit C.
221
siquando] si quando C.
222
praecaeteris] prae ceteris C.

45
MARSILIUS223
Trinitatem hanc principiorum maxime Platonicam et Zoroastricam
confirmat Trinitas Christianroum. Ipsum enim bonum includit paterna
faecunditas224. Intellectum intellectualis ipsa filii emanatio. Animam processio
spiritus per voluntatis modum, et quasi motum vitalem. Praeterea firmamentum
refert ispum bonum faecunditate siderum. Intellectum Saturnus a generationem
remotus et alienus. Animam Iupiter generationis favens. Mundum Mars
discordem iam atque pugnacem. Rursus bonum Sol. Intellectum Mercuriis incessu
Soli proximus225. Animam Venus cupida geniturae. Mundum hac Luna varia in se
iam atque mutabilis. Iterum bonum ignis. Intellectus aer perspicuus et serenus.
Animam aqua humorem generationi suppeditans. Mundum terra ex omnibus iam
commixta. Denique singulatim faecunda226 cuiusque essentia bonum. Firma
essentiae virtus intellectum. Inclinatio, motio, actio, animam. Summatim circa
animam, memoria faecunda227 bonum. Rationes discursus, intellectum. Imaginatio
et affectus animam. Nihil ergo certius hac trinitate principiorum, quia nihil
maioribus et pluribus testimoniis confirmatum, merito universum principiorum
suorum imaginem repraesentat.

223
La nota finale del commento a V. 1 è frutto del lavoro di commento di Ficino condotto sul testo
greco di Plotino e attestato nel manoscritto Paris. Gr. 1816. Il testo di questa nota finale presente
in quel manoscritto è stato edito da Henry e viene qui trascritto per permettere di confrontarlo con
la versione che poi è stata edita. Emerge chiaramente come le linee fondamentali del commento a
V. 1 siano già presenti nel manoscritto. Si legge nel Paris. Gr. 1816: «Trinitatem hanc
principiorum maxime platonicam et zoroastricam confirmat trinitas christianroum. Ipsum enim
bonum includit paterna fecunditas, intellectum intellectualis filii emanatio animam processio
spiritus per voluntatis modum et quasi motum vitalem. Item firmamentum refert bonum
fecunditate siderum omnia comprehendente. Intellectum Saturnus planeta firmus et a generatione
remotus et iam Iuppiter generationi favent. Mundum mars iam discordem et pugnacem. Item
bonum sol. Intellectum mercurius: incessu soli proximus. Animam venus mundum huic Luna varia
et mutabilis. Rursus bonum ignis. Intellectum aer diaphanus et serenus animam aqua humorem
generationi praestans. Mundum terra ex omnibus commista. Denique singulatim. Fecunda
cuiusque essentia bonum. Firma essentiae virtus intellectum. Inclinatio sive motio, sive actio
animam. Postremo in anima, memoria fecunda bonum rationis discursus intellectum affectus
animam. Nihil ergo certius hac trinitate principiorum: quia nihil maioribus et pluribus testimoniis
confrimatum aeque ab re universum principiorum imaginem representat», P. Henry, Les
manuscrits des Ennéades, p. 61. Vale la pena notare che dalla estrema somiglianza dei due testi
appaia chiaro che per le ultime due Enneadi Ficino abbia scelto di pubblicare come commento al
testo plotiniano, dopo le opportune modifiche, le note stese sul manoscritto parigino. Nel caso
delle Enneadi precedenti invece si ha un commento ben più esteso e ricco.
224
faecunditas] fecundita C.
225
Intellectum Mercuriis incessu Soli proximus] Intellectum Mercurius Soli proximus C.
226
faecunda] fecunda C.
227
faecunda] fecunda C.

46
INDICE

Introduzione……. p. 2.

1.Plotino nel Quattrocento italiano…….p. 2.


1.1 I codici plotiniani nel Quattrocento…….p. 3.
1.2 Marsilio Ficino e la pratica del testo plotiniano…….p. 4
1.3 La traduzione e il commento delle Enneadi…….p. 6.

2. Il trattato sulle tre ipostasi nel commento di Ficino…….p. 7.


2.1 La presenza di Enn. V, 1 negli autori del Quattrocento italiano…….p. 7.
2.2 Il commento di Ficino a V, 1…….p. 10.

3. Nota al testo latino…….p. 18.

Bibliografia…….p. 20.

PLOTINI OPERA A MARSILIO FICINO LATINE TRADITA…….p. 23

Liber Primus. De tribus substantiis idest habentibus principi rationem…....p. 24.

Indice…….p. 47.

47

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