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Appunti cf dialogo

1. Caterina da Siena e il Dialogo della divina provvidenza


1,1 Inquadramento storico
Caterina, ultima figlia del tintore Jacopo di Benincasa e di Lapa di Puccio Piagente,
nasce a Siena nel 13471. Ancora giovanissima, tra il 1364 e il 1365, decide di
prendere l’abito delle terziarie domenicane (le cosiddette “mantellate”), ordine del
quale entravano solitamente a far parte solo le consacrate laiche in stato vedovile2. In
concomitanza con la sua consacrazione, Caterina viene affiancata dai primi
confessori, fra Tommaso della Fonte e fra Bartolomeo Dominici3. La maggior parte
delle vicende giovanili della santa, nonché le notizie sulla comunità di “caterinati”
che si strinse presto intorno a lei, sono ricostruibili grazie al ricorso ad una serie di
biografie dedicate a Caterina, compilate e documentate da diversi testimoni oculari.
Una delle fonti principali è senz’altro la Legenda maior, opera del suo ultimo
confessore, Raimondo da Capua, oltre alla Legenda minor (compendio della versione
maggiore) di Tommaso Caffarini.
Quest’ultimo è anche autore del Libellus de supplemento, nonché coordinatore delle
26 deposizioni, raccolte tra laici e religiosi, che furono presentate al Processo
Castellano (1411-16), inchiesta che apriva la strada alla canonizzazione di Caterina
(concretizzatasi nel 1461 per volere del papa senese Pio II, al secolo Enea Silvio
Piccolomini). A queste fonti biografiche5, vanno senz’altro aggiunte le Memorie di
Cristoforo di Gano Guidini, oltre agli scritti attribuiti a William Flete, eremitano di S.
Agostino in Lecceto, tra cui il celebre Documento spirituale.

L’impegno politico di Caterina Benincasa, di cui resta testimonianza nel suo


Epistolario, ha inizio nei primi anni ’70; dal 1374, infatti, la domenicana è in contatto
con papa Gregorio XI, presso cui si recherà tra giugno e settembre del 1376, con
l’obiettivo di ottenere il suo rientro da Avignone. Com’è noto, il viaggio di Caterina
porta agli effetti sperati e il 17 gennaio 1377, dopo 68 anni di assenza, Gregorio
abbandona il Palais des Papes per fare rientro a Roma e porre fine alla cattività
avignonese.
Al 1377 risalgono anche le prime notizie relative all’alfabetizzazione della santa.
In una lettera indirizzata al confessore Raimondo da Capua, Caterina dichiara infatti
di aver finalmente imparato a scrivere (8) «Questa lettera, e un’altra ch’io vi mandai, ò
scritte di mia mano in su l’Isola della Rocca, con molti sospiri e abondanzia di lagrime; in tanto che
l’occhio, vedendo, non vedeva; ma piena di amirazione ero di memedesima e della bontà di Dio,
considerando la sua misericordia verso le sue creature che hanno in loro ragione, e la sua
Providenzia la quale abondava verso di me, che per refrigerio, essendo privata della consolazione la
quale per mia ignoranzia io non cognobbi m’aveva dato, e proveduto con darmi l’attitudine dello
scrivere» (lett. 272). Per la datazione della lett. 272 cfr. §2.2.; dettaglio, questo, di certo
importante nell’ambito degli studi sull’opera della santa, dato che – come vedremo –
la notizia accerta che l’autrice fosse in grado non solo di sorvegliare il lavoro di
trascrizione dei suoi segretari, ma anche di intervenire direttamente sui testi .
La composizione sotto dettatura del Dialogo della divina provvidenza o Libro della
divina dottrina – il trattato mistico-spirituale che valse a Caterina il titolo di Dottore
della Chiesa nel 1970 – va collocata proprio in questo periodo, tra il 1377 e il 1378, a
cavallo tra i pontificati di Gregorio XI e di Urbano VI (che succedette al primo
nell’aprile del 1378), ossia tra il ritorno della sede papale in Italia e l’inizio dello
scisma d’Occidente, che si concretizzò con l’elezione dell’antipapa Clemente VII il
20 settembre 1378, a Fondi.
L’ultima missione pubblica di Caterina – che nell’estate del 1378 aveva ottenuto la
riappacificazione tra il papa e la città di Firenze – è a Roma, dove la domenicana
raggiunge Urbano VI il 28 novembre 1378. Da qui, la santa intrattiene una fitta rete
di contatti, epistolari e diretti, prodigandosi per la riunificazione della cristianità. Le
sue condizioni fisiche, però – già estremamente fragili a causa della penitenza e dei
digiuni –, sembrano aggravarsi repentinamente nell’arco di un anno e, come
testimoniato da Barduccio Canigiani nella celebre lettera indirizzata a suor Caterina
Petriboni, Caterina muore a Roma, all’età di 33 anni, il 29 aprile 1380.

1.2 Studi sull’opera cateriniana


Sebbene Caterina da Siena sia notoriamente riconosciuta come la prima grande
autrice della storia della letteratura italiana, oltre che la prima mistica della quale
siapervenuta una vasta produzione letteraria in volgare italoromanzo, la mancanza di
un’edizione critica delle sue opere l’ha relegata a lungo in una posizione marginale
rispetto al panorama della letteratura italiana delle origini.
La prima edizione completa delle opere cateriniane risale a Girolamo Gigli, che tra il
1707 e il 1721 diede alle stampe l’Opera Omnia della santa di Siena, accompagnata
nel 1717 dal Vocabolario cateriniano, pubblicato con l’intento di proporre un modello
di prosa letteraria senese, in aperto contrasto con il Vocabolario fiorentino
dell’Accademia della Crusca.
Nella seconda metà dell’Ottocento, i lavori per l’edizione dei testi cateriniani
riprendono grazie alla pubblicazione dell’Epistolario completo ad opera di Niccolò
Tommaseo (1860). Il testo di Tommaseo – integrato nel tempo dalle successive
acquisizioni di Gardner (1907) e di Fawtier (1914) – rappresenta tuttora l’edizione di
riferimento per le lettere di Caterina, dal momento che il lavoro ecdotico condotto da
Dupré Theseider non proseguì oltre il primo volume (1940). Nel 2002, Antonio
Volpato ha pubblicato in CD-ROM un testo parzialmente corretto sui principali
manoscritti della tradizione. Parallelamente, l’Istituto storico per il Medioevo ha
cominciato a lavorare alla pubblicazione di un nuovo testo critico, integrato dal
database DEKaS, interrogabile in rete.

Nella celebre lettera 272, indirizzata a Raimondo da Capua :


Nella descrizione dell’esperienza mistica – che è riportata con parole poco dissimili
anche nel Dialogo – sono anticipate le premesse al trattato della santa, sviluppato
intorno alle quattro petizioni a Dio dichiarate nella lettera:

Bene è dunque vero che l’anima s’unisce in Dio per affetto d’amore. Sì che volendo più virilmente
cognoscere e seguitare la verità, levando el desiderio suo prima per sé medesima, […] domandava
al sommo ed eterno Padre quattro petizioni. La prima era per sé medesima. La seconda per la
reformazione della santa Chiesa. La terza generale per tutto quanto el mondo, e
singularmente per la pace de’ cristiani, e quali sono rebelli con molta irreverenzia e
persecuzione alla santa Chiesa. Nella quarta dimandava la divina Providenzia che provedesse
in comune, ed in particulare in alcuno caso che era adivenuto (Cavallini, 1995, I)

Caterina e la prosa religiosa del Trecento


Come osserva Petrocchi (1974), è nell’ambiente domenicano che la letteratura
religiosa trecentesca consegue i risultati poetici più elevati, poiché :
v’è negli scrittori domenicani una notevolissima capacità di rendere i fatti religiosi materia
quotidiana d’esperienza e di vita, pur senza allontanarsi da quella solidità dottrinaria che li aveva
distinti nell’ambito della cultura filosofica e teologica del secolo precedente. (p. 5)
Alla fine del XIV sec., con l’esaurirsi di questa prima, grande stagione della
produzione domenicana in volgare, viene ad affermarsi un nuovo filone mistico-
teologico, trainato soprattutto dalla produzione cateriniana (198) =«Caterina da Siena
rappresenta, pur nella tradizione domenicana, un’altra strada; quella di dire misticamente e
spiritualmente il medesimo linguaggio della teologia» (Baget Bozzo, 1996, p. 107). , che pure
si innesta sulla stessa linea culturale promossa dall’Ordine dei Predicatori ma che si
dimostra, come vedremo, sensibile ai contenuti propugnati dalla neonata riforma
osservante, dagli spirituali e dagli ordini degli eremiti (199) = I numerosi contatti di
Caterina con queste fraternità si rispecchiano, come abbiamo visto, anche negli ambienti di
diffusione del testo), nell’ottica di un radicale rinnovamento culturale veicolato
attraverso: (i) il volgare; (ii) le Scritture, l’esegesi e la patristica.

È dalle fila di questi ambienti, promotori di un’ambiziosa opera di rieducazione


religiosa e culturale, che si erge la testimonianza di Caterina da Siena, la cui
scrittura apporta nella produzione domenicana nuovi toni intimistici, oltre che mistici,
di altezza insuperata. L’originalità nel riuso dei temi cari alla dottrina ortodossa,
arricchiti da una nuova spiritualità ascetico-eremitica – che farà da apripista al
movimento dell’Osservanza –, si accompagna all’audacia di una prosa sperimentale,
che contamina il modello del trattato scolastico con le forme della predicazione
volgare, impreziosito da un lessico oscillante tra i toni popolari e le ascendenze
scritturali-patristiche (non senza il ricorso alla risemantizzazione). Si aggiunga,
infine, la vivace componente politica che pervade una scrittura in cui «l’attività
visionaria è la chiave per capire l’impegno sociale» (Leonardi-Pozzi, 1988, p. 227) e
che nell’Epistolario raggiunge la sua massima espressione.
I due modelli letterari predominanti nella prosa di Caterina sono senz’altro gli
già citati Domenico Cavalca e Giordano da Rivalto. Le opere dei due domenicani,
infatti, erano considerate, già presso i loro contemporanei, degli scritti didattici
fondamentali tanto per l’educazione del clero quanto dei laici, alla cui schiera
apparteneva anche la terziaria Benincasa. Attraverso l’analisi di alcuni passi
dell’Epistolario, già Librandi (2015) notava, oltre alle reminiscenze scritturali e
soprattutto paoline, i numerosi rimandi lessicali che corrono tra le opere di fra
Giordano, Domenico Cavalca e Caterina.
Ma, al di là degli aspetti stilistico-contenutistici – che rinviano decisamente al
circuito domenicano – anche dal punto di vista della costruzione del discorso, è sulla
falsa riga di Giordano da Pisa che Caterina elabora una prosa dialogica, imperniata
sull’insistenza di tratti del parlato. Il ricorso frequente all’exemplum (molto spesso
di derivazione cavalchiana) gioca, inoltre, un ruolo di prima importanza nel processo
di destrutturazione del rigido schema tomistico: esso è la nuova “pietra angolare” di
un «laicato abilissimo con la parola» (Delcorno, 2016, p. 13)
Oltre all’eredità domenicana, la prosa cateriniana sussume in sé i toni del profetismo
gregoriano, di cui Caterina è l’unico epigono accanto a Brigida di Svezia (1303 –
1373).

Il linguaggio mistico è lo strumento per un approfondimento intimistico, attraverso il


quale il predicatore avvicina il destinatario alla propria esperienza spirituale:
si impadronisce del discorso profetico e parenetico, ai quali piega anche il genereletterario della
lettera, che da privata lei fa pubblica
Il profetismo raggiunge la sua massima espressione nella rivendicazione della parola
e del suo potere riformatore contro il lassismo spirituale del clero, la cui lingua è ben
presto posta al servizio del demonio:
Figliuola mia dolce, dove è l’obbedienzia de’ religiosi, e quali sonno posti nella sancta religione
come angeli, ed eglino sonno peggio che dimòni; posti perché adnunzino la parola mia in
doctrina e in vita, e essi gridano solo col suono della parola, e però nonfanno fructo nel cuore de
l’uditore?

Dell’unica vera parola, quella di Dio, è mediatrice l’anima della profetessa che,
facendosi carico dei peccati degli uomini come fece Cristo, può sperare di guidare
l’umanità alla salvezza. Nel passo seguente, si può notare l’insistenza nell’uso di
forme che afferiscono campo semantico della “parola”:

O Padre eterno, ricordato m’è d’una parola che tu dicesti, quando mi narravi alcuna cosa de’
ministri della santa Chiesa, dicendo tu che più distintamente in un altro luogo me ne parlaresti: de’
difetti che al dì d’oggi essi commettono. Unde, se piacesse a la tua bontà di dirne alcuna cosa,
acciò ch’io avesse materia di crescere il dolore e la compassione e l’ansietato desiderio per la
salute loro – perché mi ricordo che già tu dicesti che col sostenere e lagrime e dolori, sudori e con
continua orazione de’ servi tuoi, ci daresti refrigerio, riformandola di santi e buoni pastori – sì che,
acciò che questo cresca in me, però te l’adimando (Cavallini, 1995, CVIII; corsivo nostro).

Per risalire alle radici della prosa cateriniana, è necessario riflettere sui rapporti
che intercorrono tra la scrittura della santa di Siena e l’evoluzione della mistica
femminile tra Duecento e Trecento. Una figura di riferimento, in questo senso, è
senz’altro quella della terziaria francescana Angela da Foligno (1248 – 1309),
dalla quale Caterina riprende e sviluppa uno dei temi politici più importanti
all’interno della sua produzione: la denuncia della crisi della Chiesa di Roma e la
necessità di riforma del clero; tema talmente centrale nella scrittura profetica di
Caterina da valerle il titolo di “profetessa della Chiesa” (Leonardi, 2004, p. 678). Ben
prima di Benincasa, anche Angela aveva raccolto sotto la sua ala un piccolo cenacolo
di religiosi, soprattutto di ascendenza spirituale: tra questi vi era anche Umbertino da
Casale, autore dell’Arbor vitae, uno dei testi che avrebbero influenzato maggiormente
il pensiero di Caterina già al principio della sua vita religiosa – tra il 1363 e il 1364 –
tramite l’eremitano William Flete (cfr. §4.3)

Infine, per quanto riguarda l’influenza del pensiero ascetico-spirituale nel Dialogo
vanno senz’altro aggiunti gli scritti del fondatore dell’ordine dei gesuati, il beato
senese Giovanni Colombini (1304–1367). Giovanni, ricordato in particolare per le
sue Lettere, fu un modello spirituale e letterario imprescindibile per la formazione
della santa di Siena. L’Epistolario, infatti, raccoglie la corrispondenza tra Giovanni e
le benedettine di Santa Bonda di Siena, con le quali fu in contatto anche Caterina, che
si recò più di una volta al monastero per far visita alle venerate reliquie del beato
Colombini. Probabilmente, fu durante queste visite a Santa Bonda che la santa ebbe
la possibilità di leggere le epistole di Colombini. Il nome del beato era, inoltre, ben
noto tra i discepoli che si riunivano intorno Caterina: basterà ricordare, per esempio,
che il gesuato Feo Belcari, epigono della santa, fu l’autore della Vita in volgare del
Colombini, oppure che la cognata di Caterina, nonché sua affezionata fedele, Lisa
Colombini, potrebbe essere stata la cugina del beato Giovanni.

La parola di Caterina: indagini stilistico-retoriche


L’efficacia della parola cateriniana risiede in gran parte nell’impiego di immagini
mistiche e allegoriche che
non si limitano a riproporre il tecnicismo allegorico dei loro significati consueti, ma
giovano di una reinterpretazione privata, individuale, che le lega all’esperienza
religiosa della santa. (Coletti, 1983, p. 98) Con ciò si intende che il contenuto
mistico-teologico del Dialogo passa attraverso l’esperienza estatica di Caterina da
Siena, la quale, nel tentativo di dare corpo ad un trattato che racconti del suo
“personale” incontro con il Divino, è costretta ad abbandonare le formule della
teologia scolastica per orientarsi verso la risemantizzazione del lessico specifico:
vengono così a porsi le basi di un esclusivo impianto terminologico, oltre che
concettuale.
Nel nuovo lessico mistico-teologico fanno irruzione termini desunti dal quotidiano e
immagini tratte dalle artes praedicandi. Uno dei procedimenti più commentati dagli
studiosi riguardo alla scrittura di Caterina è, infatti, l’uso della metafora della
specificazione che, come notato da Librandi in diversi contributi, prevede
l’accostamento di un’immagine concreta ad un concetto astratto. Questo dispositivo
retorico, che contempla una “teologia nel quotidiano”, diversamente da quanto
sostenuto in Getto (1939), non è certo estraneo alla letteratura religiosa trecentesca,
ma è senz’altro lo stilema più caratteristico della scrittura della santa, come dimostra
la frequenza con la quale la metafora informa non solo la prosa delle Lettere, ma
anche quella del Dialogo.
La particolarità di questo tipo di metafora è che:
comparato e comparante entrano in un rapporto di appartenenza, divenendo l’uno il
determinante dell’altro secondo il tipo l’occhio della mente o il fuoco della passione (Librandi,
2003, p. 321)

S. Caterina da Siena, Lettere, Edizione critica e commento a c.


di Antonio Volpato, 2016
Lettere databili entro il 1375 :
Alle monache di S. Marta (D.I; T. 30; G. 150)
A monna Agnesa Malavolti e alle mantellate senesi (D. II; T. 61; G. 183)
A fra’ Tommaso dalla Fonte (D. III; T. 41; G. 105)
A fra’ Bartol. Dominici (D. IIII; T. 198; G. 110)
A fra’ Bartol. Dominici (D. V; T. 204; G. 109)
A fra’ Bartol. Dominici (D. VI; T. 208; G. 111)
A Neri Pagliaresi (D. VII; T. 99; G. 272)
A fra’ Bartol. Dominici (D. VIII; T. 105; G. 113)
A fra’ Bartol. Dominici (D. VIIII; T. 200; G. 112)
A Biringhieri degli Arzocchi (D. X; T. 24; G. 44)
A Luigi di Luigi Gallerani (D. XI; T. 107; G. 238)
A maestro Iacomo, medico (D. - ; T. 202; G. 226)
A madonna Mitarella donna del senatore Vico da Mogliano (D. XII; T. 31; G. 333)
Ai suoi tre fratelli (D. XIII; T. 14; G. 252)
Al fratello Benincasa (D. XIIII; T. 18; G. 250)
Al fratello Benincasa (D. XV; T. 10; G. 249)
Al fratello Benincasa (D. XVI; T. 20; G. 251)
A Bernabò Visconti (D. XVII; T. 28; G. 191)
A Regina della Scala (D. XVIII; T. 29; G. 319)
A Matteo Cenni (D -; T. 210; G. 138)
A uno spirituale in Firenze (D. XVIIII; T. 92; G. 305)
A fra’ Bartol. Dominici e fra’ Tommaso d’Antonio (D. XX; T. 127; G. 117)
A fra’ Bartol. Dominici (D. XXI; T. 70; G. 114)
A madonna Bandecca Belforti (D. - ; T. 68; G. 325)
A Piero Gambacorta (D. XXII; T. 149; G. 193)
Al card. Iacopo Orsini (D. XXIII; T. 101; G. 27)
A Sano di Maco (D. XXIIII; T. 69; G. 243)
A Sano di Maco (D. XXV; T. 147; G. 241)
A Sano di Maco (D. XXVI; T. 142; G. 242)
A fra’ Bartol. Dominici (D. XXVII; T. 146; G.115)
Al vescovo Angelo Ricasoli (D. XXVIII; T. 88; G. 35)
A fra’ Bartol. Dominici (D. XXVIIII; T. 129; G. 116)
A frate Lazzarino da Pisa (D. - ; T. 225; G. 121)
A Giovanni Acuto (D. XXX; T. 140; G. 230)
A fra’ Raimondo da Capua (D. XXXI; T. 273; G. 97)
Alla regina Giovanna d’Angiò (D. XXXII; T. 133; G. 312)
A Nicolò Soderini (D. XXXIII; T. 131; G. 216)
A monna Paola (D. XXXIIII; T. 144; G. 371)
A don Roberto da Napoli (D. XXXIIII; T. 342; G. 46)
A fra’ Guglielmo d’Inghilterra (D. - ; T. 77; G. 128)
A fra’ Guglielmo d’Inghilterra (D. XXXV; T. 66; G. 125)
A Pietro del Monte Santa Maria (D. XXXVI; T. 148; G. 210)
Al vescovo Angelo Ricasoli (D. XXXVII; T. 136; G. 36)
A don Giovanni de’ Sabbatini (D. XXXVIII; T. 141; G. 59)
Alla regina Giovanna d’Angiò (D. XXXVIIII; T. 143; G. 313)
A Elisabetta regina d’Ungheria (D. XXXX; T. 145; G. 311)
Alla regina Giovanna d’Angiò (D. XXXXI; T. 138; G. 314)
A Pietro del Monte Santa Maria (D. XXXXII; T. 135; G. 209)
A Pietro del Monte Santa Maria (D. XXXXIII; T. 180; G. 207)
A ser Cristofano di Gano Guidini (D. XXXXIIII; T. 43; G. 240)
A Matteo Cenni (D. XXXXV; T. 137; G. 141)
A fra’ Tommaso dalla Fonte (D. XXXXVI; T. 139; G. 106)
A fra’ Tommaso dalla Fonte (D. XXXXVII; T. 283; G. 104)
A Cecca di Clemente ed altre mantellate (D. XXXXVIII; T. 132; G. 173)
A monna Giovanna di Capo e a Francesca (D. XXXXVIIII; T. 108; G. 172)
A Conte di m.a Agnola e ai suoi compagni (D. L; T. 257; G. 223)
A Berengario abate di Lézatt (D. LI; T. 109; G. 41)
A Bartolomeo Smeducci da Sanseverino (D. LII/Gardner I; T. 374*; G. -)
Agli Anziani di Lucca (D. LIII; T. 168; G. 206)

Lettere databili alla seconda metà del 1375:


A un prelato anonimo (D. -; T. 16; G. 38)
A fra’ Giacomo da Padova (D. -; T. 32; G. 79)
A fra’ Nicolò da Montalcino (D. -; T. 74; G. 119)
Al card. Giacomo Orsini (D. -; T. 223; G. 28)
A fra’ Raimondo da Capua (D. -; T. 226; G. 89)
A Vanni e Francesco Buonconti (D. -; T. 157; G. 239)
A fra’ Ranieri di Santa Cristina (D. -; T. 159; G. 120)
A monna Nella e monna Caterina Buonconti (D. -; T. 161; G. 340)
A Giovanni e Giovanna Trenta (D. -; T. 152; G. 287)
A monna Tora e monna Giovanna Trenta (D. ined. I; T. 382*; G. -)
A Giovanni Perotti (D. -; T. 156; G. 303) 
A Giovanni Perotti e monna Lipa sua moglie (D. -; T. 160; G. 302) 
A monna Franceschina, monna Caterina e altre loro compagne (D. -; T. 162; G. 350)
A monna Franceschina (D. -; T. 163; G. 347)
A un secolare (D. -; T. 60; G. 307)
Lettere del periodo 1375-1376 :
A madonna Colomba da Lucca (D -; T. 166; G. 349)
A un certosino incarcerato (D -; T. 4; G. 64)
A monna Lapa (D -; T. 6; G. 166)
A Consiglio giudeo (D -; T. 15; G. 310)
A fra’ Antonio da Nizza OESA (D -; T. 17; G. 131)
A fra' Girolamo da Siena OESA (D -; T. 52; G. 132)
A una monaca di S. Agnese a Montepulciano (D -; T. 54; G. 160)
A monna Paola (D -; T. 97; G. 370)
A frate Nicolò, olivetano (D -; T. 172; G. 80)
A un monastero femminile (D -; T. 175; G. 147)
A Giannetta e altre (D. ined. II; T. 383*; G. -)
A Costanza, monaca di Sant'Abbondio (T. 73-G. 154)

Lettere del 1376 :


A Gregorio XI (D. LIIII; T. 185; G. 1)
A missere Nicola da Osmo (D. LV; T. 181; G.40)
A Iacopo da Itri, arcivescovo d'Otranto (D. LVI; T. 183; G. 33)
A Monna Alessa e ad altre mantellate (D. LVII; T. 286; G. 180)
A Melina Barbani (D. LVIII; T. 164; G. 348)
A Bartolomea di Salvatico (D. LVIIII; T. 165; G. 351)
A Nicolò Soderini (D. LX; T. 171; G. 217)
Al Cardinale Pietro Corsini (D. LXI; T. 177; G. 29)
Alle monache di Monte San Savino; Alle monache di San Gaggio in Firenze (D. LXII; T. 75; G.
146)
A Gregorio XI (D. LXIII; T. 206; G. 5)
A Gregorio XI (D. LXIIII; T. 196; G. 4)
A Raimondo da Capua e ad altri suoi compagni (D. LXV; T. 219; G. 87)
All'abate Giovanni da Orvieto (D. LXVI; T. 12; G. 66)
A Pietro del Monte Santa Maria (D. LXVII; T. 170; G. 208)
Ai Signori di Firenze (DT. LXVIII; T. 207; G. 198)
A Gregorio XI (DT. LXVIIII-T. 229-G. 6)
A Raimondo da Capua (DT. LXX-T. 211-G. 88)
A Gregorio XI (DT. LXXI-T. 255-G. 13)

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