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Storia della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri

Premessa

La letteratura italiana è l’insieme delle opere scritte con fini estetici in lingua italiana. La sua
origine può essere collocata nel Duecento, quando affiorano i primi testi in volgare, a opera di
autori che scrivono nella lingua del popolo anziché in latino (che era allora la lingua della cultura).
A livello di immagini, tematiche e contenuti, la letteratura in volgare attinge dalla grossa eredità
che la cultura classica le ha lasciato, dalla produzione medioevale dal VI al XII secolo e dalle
letterature sviluppatesi in Francia, che hanno successo in varie aree d’Europa.

Il Medioevo: il contesto storico-culturale

La caduta dell’Impero Romano nel 476, anno in cui l’ultimo imperatore d’Occidente Romolo
Augustolo è deposto dal capo germanico Odoacre, dà convenzionalmente inizio all’Età medioevale,
che termina nel 1492 con la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo. Le invasioni
barbariche accelerano il processo di disgregazione di un impero già in declino.
In un contesto così frammentario, la Chiesa rappresenta l’unico elemento unificante e assume un
ruolo preminente non solo in campo spirituale, ma anche sul versante educativo, politico e
culturale. I monaci, sulla scia della regola benedettina Ora et labora, oltre alla preghiera si dedicano
a lavori manuali e intellettuali. La preziosissima opera di copiatura degli amanuensi di codici
manoscritti salva dalla furia devastatrice dei barbari tanti testi greci e latini, che sono giunti fino a
noi perché conservati nelle biblioteche dei monasteri.
Il Cristianesimo gioca un ruolo imprescindibile per l’equilibrio della società, divisa
gerarchicamente in tre ordini: quello dei guerrieri (bellatores), quello del clero (oratores) e quello dei
contadini (laboratores). Questa impostazione rigida è considerata perfetta e non può essere
cambiata, in quanto riflette l’ordine voluto da Dio. Anche il sapere deriva direttamente da Dio,
quindi ogni settore culturale è subordinato all’interpretazione della Bibbia e dipende dalla teologia.
Il tentativo più grande di sistemare la realtà in uno schema unitario è compiuto dalla Scolastica,
una scuola filosofica affermatasi tra il XII e il XIII secolo sull’opera del domenicano Tommaso
d’Aquino. Gli studiosi cercano di trovare nei testi classici delle verità rivelate legate alla religione
cristiana, forzandone evidentemente la lettura. L’idea dell’unità dell’Universo è alla base
dell’allegorismo, secondo cui ogni aspetto del mondo rimanda a un mistero che va oltre
l’apparenza.
Il ceto intellettuale coincide, di fatto, col ceto religioso, per questo con la nascita delle università si
ha una svolta decisiva per il patrimonio culturale e per la circolazione dei libri. Formatesi dagli
studia urbani, le università (il cui nome deriva da universitas magistrorum et scholarum, ossia «totalità
dei maestri e degli studenti») vanno a completare la preparazione superiore e organizzano i quadri
professionali necessari alle nuove città. Le più prestigiose in Italia sono quella di Bologna (1088),
quella di Padova (1222) e quella di Napoli (fondata nel 1224 da Federico II di Svevia), che
propongono gli indirizzi di teologia, diritto, medicina e arti liberali.
Il tentativo di ricostruire un organismo politico si deve a Carlo Magno, che proclama il Sacro
Romano Impero nella notte di Natale dell’800. Il potere centrale, però, è tutt’altro che solido, in
quanto basato sul feudalesimo, sistema economico, sociale e politico che prevede la supremazia
della nobiltà terriera. Carlo Magno, infatti, assegna porzioni di territorio ereditarie (feudi) a tutti i

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guerrieri che lo sostengono nelle sue imprese, che possono a loro volta assegnarli a terzi, creando
una miriade di grandi e piccoli signori feudali. Ciò determina una forte instabilità politica,
aggravata dal conflitto per la supremazia tra Chiesa e Impero, caratteristico di tutto il periodo
medioevale. I due massimi poteri, quello temporale e quello spirituale, provengono direttamente da
Dio, che assegna il primo all’Imperatore e il secondo alla Chiesa: compito dell’Impero è quello di
realizzare il benessere degli uomini in questa vita, compito della Chiesa è occuparsi della
beatitudine eterna delle anime.

La nascita delle lingue nazionali e i primi documenti in volgare

Già prima della caduta dell’Impero Romano esistevano due “latini”: il latino classico, usato a scuola
e nei documenti ufficiali, parlato da ecclesiastici, dotti e persone colte; il latino del vulgus, parlato
dal popolo, fatto di regole grammaticali non rispettate, espressioni quotidiane e barbarismi. Con il
crollo dell’Impero la frammentazione linguistica assume un’importanza considerevole in quanto,
venendo a mancare la fitta rete di scambi burocratici tra l’amministrazione delle regioni periferiche
e la sede centrale di Roma, le lingue locali si distaccano sempre più dalla matrice latina. Nascono le
lingue neolatine o romanze, chiamate così perché parlate nella Romània (l’area in cui si era
adottato il latino come lingua): l’italiano, il francese, il provenzale, lo spagnolo, il catalano, il
portoghese, il rumeno e il ladino (nel nord dell’Italia). Le lingue neolatine sono d’uso
esclusivamente orale, per questo mancano di testimonianze documentarie fino al IX-X secolo,
quando vi si ricorre per comporre opere letterarie.
Il documento più antico in lingua romanza esistente è in francese ed è costituito dai Giuramenti di
Strasburgo. Il 14 febbraio dell’842, due successori di Carlo Magno, Carlo il Calvo, sovrano della
parte occidentale dell’Impero, e Ludovico il Germanico, sovrano della parte orientale, si alleano
contro il fratello Lotario. A suggellare il patto è un giuramento solenne dall’altissimo valore
morale, in cui i due fratelli dichiarano fedeltà davanti ai rispettivi eserciti. Dopo aver pronunciato
le formule nel loro idioma (il francese per Carlo e il tedesco per Ludovico), i sovrani si scambiano
le lingue, per impegnarsi anche davanti ai soldati dell’altro.
Il documento più antico in volgare italiano è l’Indovinello veronese, così chiamato per il suo
ritrovamento, nel 1924, in un codice della Biblioteca Capitolare di Verona. L’indovinello, che risale
al VIII-IX secolo, recita così: Se pareba boves, / alba pratalia araba, / et albo versorio teneba; / et negro
semen seminaba. La postilla, originariamente annessa a un codice liturgico in Spagna, racchiude una
metafora dell’atto dello scrivere: « Spingeva avanti a sé i buoi (le dita della mano), arava i bianchi
prati (i fogli della pergamena), teneva un aratro bianco (la penna d’oca) e seminava un seme nero
(l’inchiostro) ».
Le testimonianze più significative dello sviluppo del volgare sono, tuttavia, appartenenti al mondo
giudiziario: si tratta dei quattro Placiti campani, detti anche cassinesi perché conservati nell’archivio
dell’abbazia di Montecassino. Del 960 è il Placito Capuano, in cui il latino viene abbandonato per
scrupolo di esattezza dal giudice Arechisi. Questi, dovendo decidere su una causa intentata
dall’abate del monastero di Montecassino ad un tale, accusato di aver indebitamente occupato terre
di proprietà dell’abbazia, riporta la dichiarazione di un testimone trascrivendola testualmente nella
lingua in cui è stata pronunciata, il volgare: Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le
possette parte sancti Benedicti (« So che quelle terre, entro i confini che qui si definiscono, per
trent’anni le ha possedute l’amministrazione patrimoniale di san Benedetto »).
Tra il XII e XIII secolo compaiono i primi tentativi di testi in versi di origine popolare e in lingua
volgare: i ritmi. I più conosciuti sono: il Ritmo laurenziano, componimento in rima in cui l’autore

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chiede al Vescovo di donargli un cavallo; il Ritmo cassinese, un dialogo in cui ci si interroga sulla
superiorità della vita pratica o di quella contemplativa; il Ritmo su sant’Alessio, una rielaborazione
agiografica della vita del santo.

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