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LA QUIETE DI APOLLONIA

➢ INTRODUZIONE A partire dai primi decenni del 600 l'Inquisizione romana si impegnò nella ridefinizione
dei modelli della cristiana perfezione. Il caso di Maddalena Ventiquattro non è un processo, ma è l'esito di
una scoperta che parte dalla sua autobiografia, rintracciata all'interno di un fondo privato, il Fondo
“Giovanni Pansa” della biblioteca “Vittoria Colonna”, presso il Museo delle Genti d'Abruzzo di Pescara.
Il manoscritto e molto di più di un racconto della vita di una nobile aquilana del 1600, è una storia che, a
partire dalla biografia di una donna, permette di portare alla luce figure del movimento quietista e reti
della cultura religiosa di quegli anni, in cui emergono tensioni tra “nuovi mistici” e Inquisizione.
Maddalena scrisse la sua biografia non per diffondere il suo pensiero, ma perché fosse lei stessa, obbligata
dal confessore, la prova vivente della sua vita; una vita che sfuggiva, per i sospetti e le influenze, al controllo
della Chiesa di Roma, che volle, alla vigilia della sua morte e in tarda età, una prova scritta.
La storia di Apollonia Ventiquattro, divenuta poi Maddalena, è il primo documento inedito, in forma di più di
300 carte rinvenute integre. Maddalena non aveva ambizioni di santità: la scomunica, che la colse quasi alla
fine della sua vita, certamente orientò la sua scrittura nella coscienza di essere emendata. Senz'altro, però,
aderì ad un preciso modello mistico. Il Sant'Uffizio iniziò a tenere sotto controllo le pratiche che si
svolgevano nella sua casa, fino a declinare come eretiche le sue azioni indagate nel tempo e pretendere, con
scomunica, una confessione in forma di biografia con il sospetto di quietismo.
Non sappiamo quali furono le fonti di formazione di Maddalena, perché non c'è traccia della biblioteca
delle clarisse che lei frequentò: è probabile, dai personaggi che cita e a cui è devota, che i direttori spirituali
che si avvicendarono al suo fianco, prima oratoriani, poi cappuccini e, infine, gesuiti e domenicani, abbiano
indirizzato la giovane donna verso una cultura che ha le sue matrici nella mistica cinquecentesca.
sicuramente Maddalena amplificò, soprattutto in età avanzata, il racconto del suo pensiero giovanile con
elementi di esaltazione personale che, a tratti, fecero vacillare il Sant'Uffizio verso una definizione di
follia. Il manoscritto è, infatti, il primo documento completo che ci parla esplicitamente del quietismo in
Abruzzo, come punto da cui si irradiano percorsi nel centro Italia, rimandando all’eco di legami quietisti
anche in Spagna e Francia.
Nella biografia estorta a Maddalena da suo padre confessore, in cambio della revoca della
scomunica, ricevuta per le sue idee e le sue azioni giudicate pericolose, c'è tutta la passione del racconto
della sua vita. non possiamo capire quanto lei stessa si sia autocensurata, ma è certo che molto ci racconta,
spesso nei dettagli, dei suoi passaggi, dei suoi incontri, del suo credo. Non c'è dubbio che il carisma di
Apollonia fu temuto: il suo essere punto di riferimento per donne, e non solo, del territorio per consigli,
medicamenti, profezie, desto sospetto e non bastarono le sue reti nella curia romana per fermare gli intenti
del Sant'Uffizio. Quasi settantenne, prossima alla morte, fu costretta a scrivere perché la sua testimonianza
potesse essere la prova della sua innocenza. In realtà Maddalena, in una scrittura colta, ironica e ricca di
particolari sui suoi ambienti, ci restituisce l'immagine di una donna fedele ai suoi sentimenti e alle sue
intenzioni.

➢ RITROVAMENTI DI TRACCE
▪ Il manoscritto e la sua storia
La biografia di Apollonia Ventiquattro, che assunse più tardi, non per sua scelta, il nome di
Maddalena non è semplicemente la storia di una donna di fine 8600 che visse nel cuore della
penisola, al confine settentrionale del Regno di Napoli, nella città dell'Aquila. È piuttosto la storia di un
panorama della religiosità e della cultura di fine 600, che interseca il rapporto tra società e
istituzioni politiche ed ecclesiastiche e innesta le svolte di nuove spiritualità che cambiarono le
osservazioni delle devozioni da parte della Chiesa. Lo scritto risale presumibilmente al 1688-1694, come la
stessa Maddalena scrive: “Con la faccia in terra me dichiaro, che dal Rev. Padre Giovanni Gerolamo Onofrio
gesuita della Compagnia di Gesù mio confessore e direttore, vengo pretesa sotto pena di scomunica, a
palesare tutta la mia vita su questo foglio”. La scrittura si concluse un anno prima della sua morte. Lei
scriveva, spesso di notte a lume di candela, gli sparsi che poi consegnava al confessore gesuita Giangirolamo
Onofrio, li riponeva in un cassetto. Non sappiamo chi abbia poi assemblato il manoscritto.
Con certezza si può dire che Maddalena fu l’autrice della sua biografia, ma verosimilmente non è la sua
grafia del manoscritto che è alla base di questa ricerca: le carte del volume del Fondo Pansa inviano ad
un’ipotesi di copia dell’originale, forse scritto dalla malata e settantenne Maddalena in carte più frettolose e
redatte in momenti diversi, che poi alla fine sono state messe insieme in un secondo momento da altri. È
certo che sia stata Maddalena, a condurre la prima scrittura della sua biografia nella fretta di voler dare
seguito alla richiesta del confessore gesuita, che nel 1688 l9aveva chiamata a dare prova del suo operato,
per lasciare traccia delle sue pratiche devozionali e di assistenza ritenute non conformi.
La fine degli anni 80 del 600 rappresenta un momento di forti tensioni dottrinarie: nel 1687 era stato
condannato all'Indice, con l'accusa di quietismo, l'oratoriano Pier Matteo Petrucci. Nel 1681 fu eletto
vescovo di Jesi e il pontefice Innocenzo XI, nel 1686, lo nominò cardinale. era questi, un esponente influente
nella corte di Roma e non fu esente dalla condanna all'Indice. Pier Matteo Petrucci fu uno dei maggiori
esponenti del quietismo in Italia, ma si mantenne su posizioni più moderate rispetto allo spagnolo
Miguel de Molinos, accusato di eresia nel 1687. Petrucci venne assolto dopo aver abiurato le proprie idee.
Nel suo ruolo di direttore spirituale Giambattista Magnante, oratoriano e confessore di Petrucci, molto
incise come direttore di coscienza sulla formazione spirituale della giovane Maddalena che, nella sua
indipendente via devozionale, rappresentò un esempio composito di religiosità femminile di fine Seicento.
Nel dorso della copertina, di epoca successiva, e a posto un ritaglio cartaceo manoscritto che reca la dicitura
«Vita di S. di Dio Maddalena Ventiquattro Terziaria Filippina». Questa indicazione, apposta da Giovanni
Pansa, sembrerebbe alludere a un riconoscimento del grado di “Serva di Dio” di cui, allo stato attuale della
ricerca, non si hanno riscontri e che appare il risultato di un'attribuzione informale di improbabile
autenticità.
▪ Apollonia e Teresa d’Avila
Le dottrine che si annoverano sotto il nome di quietismo si collegano alle condanne che
specialmente nel corso del XVII secolo furono emanate dal Sant9Uffizio, in materia di diverse forme di
preghiera e di stati spirituali, spesso identificate con i termini di “orazione di quiete” e “nuova
contemplazione”.
Maddalena nomina diverse volte nella sua biografia Teresa d'Avila; intenso è il riferimento alla
mistica spagnola alla quale Maddalena sembra volersi ispirare. Teresa de Cepeda, nel 1536, all'età di 21 anni
aveva deciso di farsi monaca. Maddalena racconta che nel 1636, esattamente un secolo dopo Teresa, lei
entra in monastero: la data non appare casuale e sembra riflettere una volontà di conformarsi al modello
teresiano. In convento Teresa attraverso circa vent'anni di pene combattimenti spirituali, solo nel
1554 sperimentò la sua “seconda conversione” e riprese a sentire la presenza di Dio nelle forme di grazie
d'unione, fenomeni mistici e miracolosi, rapimenti in un matrimonio spirituale.
La Vida di Teresa è un testo di primaria importanza nella storia della spiritualità in età moderna: il libro
appare come una biografia spirituale in cui, narrando la sua vita interiore le proprie esperienze
soprannaturali, Teresa compose un compendio di vita spirituale fornendo una guida nella pratica
dell'orazione mentale. Anche Teresa d'Avila scrive perché le viene richiesto esplicitamente dal confessore,
te come sarà un secolo dopo per Maddalena. molte sono le analogie che la storia della vita di Maddalena
Ventiquattro ha con quella di Teresa d'Avila. Maddalena subisce molto il fascino della sua figura, così come
molto attento all'opera di Teresa era il suo confessore oratoriano Giambattista Magnante.
▪ Maria Maddalena de’ Pazzi
Nell'ultimo quarto del 500 una religiosa italiana sembrava ripercorrere le orme e la fama di santità di Teresa
d9Avila. Mistica e visionaria, Maria Maddalena de9 Pazzi era fautrice di una riforma dei religiosi e della
Chiesa e sembrava incarnare il modello di santità teresiano. La riforma carmelitana, iniziata in Spagna,
trovo nella penisola italiana attraverso di lei la sua continuazione. Negli anni dell’adolescenza di
Apollonia, Maria Maddalena de’ Pazzi nel 1626 viene decretata “Santa” per volontà di Papa Urbano VIII.
la fascinazione di questo modello industria Apollonia in un monastero, a mutare il suo nome per
assecondare l’affinità elettiva che percepiva con la monaca carmelitana. A riscontrare questa
consonanza era anche il confessore Magnante, al corrente di come la vocazione religiosa di Apollonia
l'avrebbe indotta a vivere la sua fede intimamente, ma al di fuori degli ambienti claustrali.
Apollonia ebbe nella monaca Fiorentina un modello spirituale forte, al punto da accettarne il nome in
convento e da conservarlo per il resto della sua vita. Oltre al nome da lei riprese:
1. l'inclinazione alla solitudine;
2. riferiva di essere protagonista di rapimenti interiori e fenomeni mistici
3. utilizza il lessico sponsale nei continui riferimenti allo <Sposo Celeste=.
4. rigore ascetico e solitaria lotta condotta contro gli assalti dei demoni, narrata all'insegna di prove di
resistenza all'esperienza di tentazione.
Erano molte le opere che iniziavano a diffondersi tra i movimenti precursori del quietismo e che, sotto varie
forme, avevano, con ogni probabilità influenzato anche la formazione di Maddalena Ventiquattro,
donna colta e di nobile famiglia aquilana, che era entrata in contatto con l'orazione di quiete, come si
dimostra il linguaggio da lei utilizzato nella scrittura della sua biografia. La dottrina alla base del quietismo
si fonda sulla valorizzazione della mistica sull'ascesi, sulla contemplazione e meditazione. La preghiera
era la via per il raggiungimento della perfezione, aldilà delle altre vie ordinarie e della penitenza. Per
raggiungere “il puro amore di Dio” era necessario l'annichilimento di tutti i gesti interiori ed esteriori in
nome dell'abbandono assoluto.
Maddalena Ventiquattro era certamente entrata in contatto con questi sentimenti, sia con possibili letture
durante la sua permanenza nel convento delle clarisse all'Aquila, sia con la frequentazione dei padri filippini
e la pratica con i suoi confessori. Pier Matteo Petrucci, oratoriano e poi cardinale e vescovo di Jesi, già nel
1674 aveva elaborato la sua dottrina, contenuta nell'opera che raccoglieva le sue riflessioni e le molte
esperienze religiose di quei decenni e proprio per questo rappresentava la bibbia del nuovo
movimento, che si identificherà con il quietismo. Violenta fu la controversia condotta contro i quietisti in
particolare dei gesuiti. Fu una tensione che attraversò la chiesa e la corte di Roma, ma che ebbe momenti
oscillanti. Nel 1688 avvenne il processo, la condanna e la ritrattazione di Pier Matteo Petrucci. La richiesta
fatta a Maddalena dal confessore gesuita Giangirolamo Onofrio di scrivere la sua autobiografia è un
atto forzato che induce a pensare che gli ambienti ecclesiastici volessero una <prova= della sua vita, da
produrre come testimonianza di un'esistenza inquieta. Gli anni roventi di indagini e condanne nei confronti
dei quietisti furono quelli del penultimo decennio del Seicento, in cui i gesuiti, il vescovo e pure la curia
romana iniziarono a indagare su Maddalena e a revisionare la sua esistenza e il suo operato, sentiti come
potenzialmente minacciosi. La biografia, dunque, non fu un atto volontario da parte della donna, ma un atto
forzato chiesto in cambio di una minacciata scomunica.
▪ L’esperienza della scrittura
La scrittura per Apollonia è la svolta della sua vita. Nella scrittura chiarisce sé stessa, o almeno prova a farlo.
Nella biografia che le viene imposta troviamo un racconto di sé stessa a ritroso, dove le immagini
dell'infanzia si offuscano in quello che lei è poi diventata, o in quello che lei sarebbe voluta diventare.
Maddalena scrive in fretta e furia per riscattare la sua scomunica: non di meno scrive più di 600 carte, in
un'atmosfera persecutoria che ci nasconde gli esiti solo per sopravvenuta morte della donna, pochi
mesi dopo la fine della sua scrittura. Tra gli incontri che segnarono l'indirizzo dottrinario di Apollonia Ci fu
quello con il padre oratoriano Giambattista Magnante, intorno al 1640. Magnante la faceva molto scrivere:
la induceva a mandare lettere ad altri religiosi, anche se Maddalena non gradiva questi inviti, perché
sospettava che fossero un modo per controllare i suoi contenuti. Nei casi di insorgenza di fenomeni estatici
e visionari, la prima forma di coercizione è proprio la scrittura, mezzo con il quale confessori e padri
spirituali sanno di poter tenere sotto controllo le donne sospette. In questo modo i direttori delle anime si
inserivano nel più generale atteggiamento di controllo delle coscienze da parte delle autorità ecclesiastiche.
➢ CRESCERE CON <L’AMATO MIO BENE
▪ Apollonia bambina, nobile, mistica
1624 - Apollonia nacque all’Aquila nel 1624. I Ventiquattro si erano trasferiti all'Aquila alla fine del 8500,
dalla località di San Vittorino, fuori dalle mura, si erano stabiliti sopra la chiesa di San Biagio, in fondo a
piazza Duomo. Le proprietà dei Ventiquattro si collocavano, dunque, tra la fine della piazza del Duomo e la
piazza di Santa Giusta. La bambina cresce in un ambiente colto, in cui l'istruzione dei figli e delle figlie è
seguita dai precettori. La famiglia Ventiquattro abita nel quarto di Santa Giusta all’Aquila, non lontano dalla
piazza del Duomo. La prematura scomparsa della madre lasciò i bambini privi di una figura femminile: per
questo il padre prese una serva, che si occupava dell'educazione dei figli. Già intorno a sei anni aveva
dichiarato il desiderio di voler preservare la sua verginità per non avere contaminazioni che minassero la sua
esclusività con l'Altissimo. La scelta della verginità non fu solo un elemento della percezione cristiana del
corpo come strumento di redenzione e di evoluzione spirituale, ma anche una scelta di libertà dal ruolo di
mogli e madri per un individualismo volto agli studi e alla vita spirituale.
1634 - Apollonia trascorre i primi anni della sua vita con un pudore che viene esaltato nella biografia: era
repellente alla vicinanza del padre, lontana dai baci dei fratelli, asettica da tutto ciò che è maschile. All'età
di circa 10 anni la piccola Apollonia sente di voler stare “lontana dai pericoli del mondo” e sceglie di lasciare
la casa paterna per raggiungere le sorelle in convento e proseguire la sua educazione, ma, sottolinea, «non
con l'intenzione di monacarmi».
1636 - Apollonia Ventiquattro, quando entra in convento a 12 anni, cambia il suo nome di battesimo in
Maddalena, perché lì era già presente un'altra Apollonia. Per il legame spirituale che la pose in relazione
con Santa Maria Maddalena de9 Pazzi.
1648 - Apollonia, ormai Maddalena, esce dal convento. Gli spazi di vita di Maddalena si articolavano tra
l'abitazione di famiglia, posta nell'attuale palazzo Iacobucci sul corso, e le botteghe poste a fine piazza del
Duomo presso le aree della Congregazione di San Filippo Neri, molto frequentata dalla giovane soprattutto
dopo l'uscita dal monastero delle clarisse nel 1648.
1688 - Maddalena inizia a scrivere la sua biografia nel 1688, all'età di 64 anni. Il racconto della sua vita è un
percorso a ritroso con lunghi flashback sulla sua infanzia, giovinezza e maturità. Il suo non è, dunque, un
racconto neutro, ma una ricostruzione intenzionale che riflette il profilo che lei, al momento in cui scrive,
vuole dare di sé.
1694 - Muore all’età di 70 anni.
▪ In convento senza voti (1636-1648)
Non fu un inizio semplice: le vennero cambiati gli abiti e le anziane monache la intristivano; è
frequente era il desiderio di tornare a casa. Tutto cambiò quando, a 13 anni, Apollonia assunse la
comunione, il sacramento che l'avvicinò così tanto alla “Divina Maestà” da non riuscire a contenere quella
tal passione. In questo periodo di permanenza in monastero, Apollonia, con l'assistenza delle sorelle, cresce
nel convento francescano di Santa Chiara d’Aquili nella sua intimità spirituale, grazie al direttore delle
monache e a un clima di serenità che pacifica la sua severa disciplina di fede. Una mattina la ragazza viene
colta di soprassalto e: «il Nimico Infernale, invidioso della mia quiete, all'improvviso e senza occasione da
me datali, mi assali con così fiere battaglie e diaboliche suggestioni, contro la fede, contro Dio e santi da me
mai sentiti.» Apollonia, dunque, non aveva capito fino a quel momento il senso della possessione diabolica,
ma la sua crisi, anche fisica, il suo smarrimento improvviso la portarono a identificare nel Nemico
l'autore della sua tentazione, e a cercare nella figura di San Filippo Neri, sentito come una guida spirituale e
dottrinaria, la ricerca della sua salvezza. Nel 1622 c'erano state le elevazioni alla santità di Santa Teresa
d9Avila e di San Filippo Neri, entrambi acclamati da Gregorio XV, che furono due fonti importanti nella
formazione interiore di Apollonia, che considerava questo evento a sé contemporaneo.
La partecipazione di Apollonia momenti di preghiera e di studio con la maestra in convento
indussero la giovane donna a decidere di scrivere e le prime lettere che scrisse furono rivolte al padre, al
quale diceva di non voler più stare in convento, e al padre spirituale.
Nel frattempo, Apollonia si procurò strumenti di flagellazione, che le monache del convento
cercarono di negarle. La giovane scrive nella biografia che: «andavo in qualche stanza remota, di notte, con
una mia compagna che mi teneva segreta, ed ivi con la medesima cinta di ferro, mi satiavo sopra l'ardore
che sentivo e tutta mi graffiavo e piagavo e godevo di spargere sangue per amore di chi l’ha dato per me
tutto.» → Il sacrificio del corpo è condannato dalla Chiesa in quanto atto estremo.
▪ Il confessore oratoriano Giambattista Magnante
1639 - Mentre era in monastero, Maddalena incontrò Giambattista Magnante. Cominciò da allora un
rapporto spirituale intenso tra i due, destinato a durare 30 anni, fino alla scomparsa dell'oratoriano nel
1669.
GIAMBATTISTA MAGNANTE: È grazie a Giambattista Magnante che Maddalena si avvicinò alla devozione
nei confronti di Santa Teresa d'Avila e scoprì “la quiete e pace interiore”. La figura del confessore è
fondamentale per capire il rapporto di Maddalena con il quietismo. Giambattista Magnante divenne il padre
spirituale di Maddalena e ciò contribuì non poco alla sua formazione spirituale culturale, portandola a
conoscere una vasta letteratura mistica capace di metterla in relazione a S. Teresa d'Avila e S. Maria
Maddalena de9 pazzi. Il fatto che Giambattista Magnante stesse progettando la realizzazione di un
“conservatorio di vergini”, futuro conservatorio delle orsoline, riempì, in un primo momento, Maddalena di
entusiasmo: si trattava di una soluzione che le avrebbe consentito di praticare una vita devota e rimanere al
contempo estranea alla clausura. Magnante, in seguito, avrebbe proposto proprio a lei di dirigere questa
fondazione, da cui lei volle però tenersi fuori. Maddalena preferì optare per una terza via, quella della
creazione di un oratorio privato nella sua abitazione paterna. Giambattista Magnante fu una figura di spicco
della congregazione di San Filippo Neri. Magnante praticava esercizi spirituali diffusi in ambito filippino, in
particolare l'orazione, la preghiera, gli atti di penitenza e la mortificazione, ponendosi al contempo di
introdurre nuove tipologie di esercizi per i laici e gli ecclesiastici. Trascorse un periodo a Jesi, dove entrò in
contatto con il futuro cardinale Pier Matteo Petrucci, del quale fu confessore. Petrucci rilevava come il padre
aquilano avesse una «superiore cognizione delle cose appartenenti allo spirito» e fosse in grado di
comprendere l'animo umano nel profondo.
▪ La frequentazione dell'oratorio di San Filippo
Uno dei principali obiettivi che portò a termine G. Magnante fu quello di promuovere il progetto di
costruzione di una nuova chiesa per la congregazione aquilana dedicata a San Filippo Neri. Una volta uscita
dal monastero, nel 1648, Maddalena, per influenza del suo confessore, iniziò a frequentare assiduamente
gli ambienti oratoriani. In seguito all'inaugurazione e alla consacrazione della Chiesa di San Filippo Neri,
avvenuta nel 1661, si recò abitualmente nella chiesa nuova degli oratoriani, dove continuò a fare le sue
solite devozioni. Il rapporto con il suo direttore spirituale e confessore, nel frattempo, cambia. Maddalena è
presa da gran passione e Giambattista Magnante, negli ultimi anni della sua vita, la invita a rimettere le
distanze da lui: «mi disse ch’io stavo troppo attaccata con esso». Non si trattava di un percorso semplice:
forti erano i suoi combattimenti interiori per cui Maddalena inizia a cadere in quel rapporto di trasporto
intimo verso il padre spirituale. Maddalena si lega particolarmente a Giambattista Magnante, così come
avverrà anche con Giovan Pietro da Castelnuovo, che sarà, con ogni probabilità, la causa della sua
scomunica.

➢ MADDALENA E LA CITTÀ: GEOGRAFIE DI RELIGIOSITÀ


▪ Conservatori femminili e Compagnia di S. Orsola.
Negli anni in cui Maddalena Ventiquattro cresceva tra abitazione paterna e monastero delle clarisse, nella
città dell'Aquila esisteva una realtà rivolta al mondo femminile che era quella dei conservatori, luoghi di
assistenza per le donne, ma anche pensati per un'educazione e un'alfabetizzazione, in una dimensione più
aperta e permeabile di quella dei monasteri. All'Aquila, in età moderna, esistevano diverse tipologie di
strutture assistenziali, in risposta a una condizione femminile di precarietà dovuta non soltanto a
debolezza economica, ma anche all'esigenza di contenere la diffusione di fenomeni considerati immorali. I
conservatori miravano a salvaguardare l'onore femminile attraverso interventi finalizzati a soccorrere,
dentro le strutture, orfane, esposte, pentite, malmaritate e vedove, nell'ottica di avviarle verso
condizioni femminili inserite socialmente. L'istituzione era riservata alle donne di età inferiore a 35 anni. Il
tema del soccorso alle donne nubili, “zitelle”, all'Aquila iniziava a essere percepito nella sua urgenza
a partire dalla fine del 8500 e, soprattutto, per tutto il corso del 8600. Il primo Conservatorio istituito
all'Aquila, nel 1595, fu quello di S. Maria della Misericordia concepito per fanciulle povere, orfane e
pericolanti, con il contributo di alcuni patrizi aquilani. Il Conservatorio di S. Annunziata provvedeva
all'insegnamento dei lavori deputati “donneschi”. Il Conservatorio di S. Crisanto e Daria svolgeva
un'azione di intervento nei confronti di diverse tipologie di disagio femminile: vi erano ex meretrici o
donne malmaritate che si ritiravano in conservatorio per redimersi dal vizio e riabilitarsi.
La clausura, dunque, era una componente imprescindibile del regolamento dell'istituto. Una fondamentale
iniziativa, per certi aspetti differente rispetto agli altri istituti di assistenza, fu quella del Conservatorio
delle SS Teresa e Orsola, che nasceva in stretta connessione con l'operato della congregazione delle
orsoline. La compagnia poteva rappresentare un'attrattiva per le donne di diversa estrazione che si
trovavano in una situazione di fragilità sociale o di precarietà economica: non richiedeva la dote,
dava un'identità religiosa approvata dalla chiesa e offriva una certa protezione materiale e simbolica per via
della presenza dell'aristocrazia nel governo. Nel momento in cui Maddalena abbandonò il monastero, si
delinearono anche per lei i presupposti per intraprendere un'esperienza di vita religiosa fuori dalla clausura.
Il progetto del Conservatorio delle orsoline rappresentava una fonte di grande entusiasmo. Il rapporto di
stima e fiducia che Maddalena aveva con Magnante porto l'oratoriano a vedere in lei una persona idonea a
dirigere la fondazione, da lui fortemente desiderata. Tuttavia, Maddalena rifiutò l9incarico. il Conservatorio
accolse donne nubili, malmaritate e vedove, provvedendo al loro mantenimento, all'assistenza e
all'educazione alla dottrina cristiana. All'Aquila la compagnia rappresentò per diverse donne la libertà
dai confini della clausura, la possibilità di restare a contatto con la vita civile, con le famiglie e i
conoscenti, mantenendo la proprietà personale e svolgendo un ruolo attivo nel mondo attraverso
l'insegnamento, l'assistenza e i ruoli amministrativi connessi a queste attività.
▪ Maddalena fonda il suo oratorio: 1674
Nel 1648, a anni, Maddalena lascia il convento di S. Chiara d9Aquili e torna nella propria dimora, dove
resterà e nel contempo frequenterà l'oratorio di S. Filippo. Nonostante la propensione iniziale per la
Compagnia delle Orsoline, Maddalena in realtà vuole aprire un oratorio presso la sua casa natale, oggi
identificabile nel palazzo Iacobucci, per avere uno spazio autonomo di espressione di una sua soggettività
religiosa, indipendente, legata alle istituzioni ecclesiastiche, e aperta alle donne pericolanti. Il palazzo, che
Maddalena condivideva con alcune sorelle e alcuni fratelli, era un edificio di pregio, che si affaccia ancora
oggi sul corso dell'Aquila. Il rilascio dell'autorizzazione dal papa ad aprire l'oratorio era un fatto di
grande valore, che significava, da una parte, il riconoscimento della persona e, dall'altra, l'apertura verso
l'esistenza di gestioni di religiosità private. L'oratorio privato fu un luogo in cui si tenevano messe quotidiane
e si celebravano devozioni, litanie e rosari.
▪ Monasteri femminili e reti spirituali all'Aquila
All'Aquila erano presenti 11 monasteri femminili, afferenti ai quattro ordini principali: le francescane, le
benedettine, le celestine, le agostiniane. Negli stessi anni in cui viveva Maddalena Ventiquattro, un'altra
donna, badessa, si distinse per la sua esemplare direzione spirituale e il suo carisma, quasi da <Santa viva=.
Il caso di Maria Teresa Ciampella (1627-1714), badessa del monastero di S. Amico, rappresenta una preziosa
fonte di conoscenza della religiosità femminile, la cui biografia è stata composta dal gesuita Francesco
Antonio Mascardi. Maria Teresa fu una donna dagli straordinari doni mistici che divennero modelli di una
cultura e religiosità femminile che si espresse in forme nuove. Suor Maria Teresa, il cui nome di battesimo
era Lucia Porzia, fu una donna piena degli attributi della santità già in vita. Vive negli stessi anni di
Maddalena e non sappiamo se le due donne si siano mai incontrate. L'impronta lasciata sulla religiosità
femminile da S. Teresa d'Avila aveva influenzato tanto Maria Teresa Ciampella quanto Maddalena
Ventiquattro.
Il modello teresiano rappresentava alla metà del 600 un'inesauribile fonte ispirativa e imitativa in termini di
comportamenti e pratiche religiose; non a caso, una volta entrata come novizia a S. Amico, nel 1642, la
giovane Lucia Porzia mutò il suo nome in quello di suor Maria Teresa, proprio in onore della Vergine della
Santa di Avila. La famiglia Ciampella era particolarmente legata al monastero di S. Amico, che era uno dei
più antichi e prestigiosi monasteri della città dell'Aquila, esistente sin dal 1375. Al monastero di S. Amico
suor Maria Teresa Ciampella riuscì a interiorizzare e rappresentare i precetti dell'obbedienza, della
devozione e dell'osservanza dei consigli dei confessori. Alle ore trascorse in orazione aggiungeva digiuni,
astinenze, cilici e altre azioni afflittive. Dormiva quasi sempre a terra e la mattina era solita svegliarsi
prima delle altre, affinché le consorelle trovassero tutto già pronto. → La Chiesa non era d'accordo sulle
auto punizioni delle mistiche.
Maria Teresa fu prodiga nella beneficenza, anche utilizzando il cospicuo patrimonio lasciato dal padre,
adoperandosi nella ristrutturazione della Chiesa e in opere di assistenza ai bisognosi. L'atteggiamento di
esaltante devozione si estrinsecava nella pratica del silenzio e dell'interiorità, che avvicinavano e con-
fondevano atteggiamenti e gesti con il fenomeno del “quietismo”. Nel caso di Maria Teresa Ciampella la
prudenza ci induce a non utilizzare esplicitamente il concetto di quietismo essendo questo un termine
affiancabile a storie ed eventi avvenuti dopo la condanna di Miguel Molinos (1687). Tuttavia, già prima di
Molinos, stava cambiando un atteggiamento verso una mistica contemplativa che induceva verso una nuova
forma di spiritualità e di preghiera interiore: «Il quietismo pose il problema della libertà della coscienza
individuale ad una chiesa già insediata nella sua capacità di tenuta degli assetti dogmatici e teologici».
▪ Maddalena e Maria Teresa: fuori e dentro il recinto
Maria Teresa Ciampella e Maddalena Ventiquattro rappresentano due eccezionali esempi di donne aquilane
devote, che lasciarono testimonianza del proprio operato nell'ambito della spiritualità del secondo 8600 e
presentano il quadro di una società dinamica, nella quale anche il convento e un oratorio possono essere
diretti da donne che vivono in ombra. La Ciampella si distingue per essere stata quasi “santa viva” ma
anche una monaca in “odor di quietismo”; la Ventiquattro sceglierà il ruolo di direttrice del proprio oratorio.
Entrambe provenivano 2 famiglie in vista all'Aquila:
- I Ciampella: si erano inseriti nei ranghi del patriziato urbano, avvalendosi di una cospicua
disponibilità immobiliare.
- I Ventiquattro: non erano stati nobilitati dall'acquisto di un feudo, ma erano comunque ricchi mercanti di
pelli e cuoio originari di San Vittorino, ed erano, al contempo, proprietari di case e botteghe nei pressi della
piazza principale della città.
Le due religiose erano accomunate dall'essere state a lungo discepole di Giambattista Magnante,
personaggio carismatico sul piano spirituale, e che era considerato tra i più abili direttori di coscienza della
penisola. La condanna dei principi dell'orazione di quiete, contenuti negli scritti di Miguel de Molinos,
indusse la Ciampella, assalita da dubbi sulla sua anima, a rifare le confessioni generali e ha colloqui con più
padri spirituali. Con ogni probabilità, furono proprio queste velate ombre di adesione al quietismo a
scalfire l'immagine di perfezione veicolata dalla badessa e a congelare le aspettative di beatificazione.
Anche la biografia di Maddalena Ventiquattro riporta elementi di forte tensione tra i suoi dissidi
interiori, i travagli di natura spirituale e la ricerca di una “bella quiete” dell'anima. La spiritualità di
Maddalena si fondava sulla completa “annichilazione” di sé nella consapevolezza del suo puro niente, e
dunque sull’attesa dell'operazione divina all'interno della sua coscienza, nella ricerca della quiete
contemplativa. Anche in questo caso, i sospetti di un'adesione alle idee e alle pratiche promosse da Miguel
de Molinos la indussero ha una formale ritrattazione, di fronte alla necessità di dover giustificare la propria
ortodossia; è questo il motivo della sua autobiografia.
➢ QUESTO FATTO ALLA MODA È ZIZZANIA DIABOLICA
▪ Quietismo
Gli anni in cui visse Maddalena furono gli stessi, all9incirca, in cui visse anche Miguel de Molinos, il mistico
spagnolo che, trasferitosi a Roma nel 1662, era entrato nel circolo Benedetto Odescalchi, il futuro Papa
Innocenzo XI. Nel 1675 Molinos scrive l'opera che fu considerata l'atto di nascita del pensiero quietista. In
Italia il principale esponente del quietismo è Pier Matteo Petrucci, vescovo di Jesi, che ebbe come padre
confessore proprio Giambattista Magnante. L9oratoriano aquilano muore nel 1669, quindi può essere
annoverato nei seguaci del “pre-quietismo” (prima di Molinos), il preludio di quello che fu
successivamente definito “quietismo”.
La scintilla che illuminò la coscienza di Maddalena verso l'orazione di quiete e quell9intento verso la
contemplazione fu sicuramente influenzata dalla sua frequentazione dei francescani e cappuccini. Inoltre,
Maddalena iniziò a scrivere la sua biografia nel 1688, quando le opere di Molinos e di Petrucci già
circolavano negli ambienti oratoriani. Molinos proponeva una vita tutta interna alla contemplazione e
passiva: l'unione con Dio doveva avvenire tramite l'annullamento della potenza dell'anima e, quindi,
tramite l'annullamento della memoria, dell'intelletto e della volontà. L'enorme diffusione delle sue opere a
stampa fu indagata dal Sant'Uffizio soprattutto relativamente ai dogmi del peccato e dell'eresia che
emergevano dagli eccessi morali che la pratica contemplativa consentiva. Secondo lo studioso Petrocchi, il
fatto quietista in Italia sorge ai primi decenni del XVII secolo in ambienti di formazione spirituale
francescana, operanti tra Lombardia spagnola e Lombardia veneta, per poi diffondersi, successivamente,
in particolare negli oratori filippini dell'Italia centrale, dietro anche l'influsso della mistica Maria Maddalena
de9 Pazzi.
▪ Confessori e direttori spirituali
Nel suo percorso Maddalena Ventiquattro incontrò circa 10 guide spirituali che la affiancarono come
confessori e direttori spirituali con una profonda influenza nel suo cammino di perfezione. Tra gli incontri
più importanti ci furono:
- Giambattista Magnante (1639-1669), che la seguì per trent'anni e con il quale instaurò un rapporto
privilegiato fino alla morte. Su suggerimento del filippino, iniziò in questa fase, a fini spirituali la prassi di
mettere per iscritto i suoi pensieri e le sue confessioni. La donna alternava momenti in cui avvertiva
dubbi e un bisogno di allontanarsi dal suo confessore ad altri in cui era da lui ammoniti per il fatto che
gli stava eccessivamente “attaccata”.
- Giovan Pietro da Castelnuovo (1670-1688), il quale finì nel mirino delle attenzioni del tribunale
dell'Inquisizione a causa di pratiche, espressioni e riflessioni reputate ai limiti dell'ortodossia. Inizia un
periodo difficile per Maddalena, di isolamento e di sospetto per il legame con il suo confessore.
- Giangirolamo Onofrio (1688-1689), membro della Compagnia di Gesù, il quale Sollecito Maddalena a
scrivere della sua vita e a confidargli tutta l'anima.
- Giovanni Tommaso de Bernardi, le notificò l'ordine, da parte del vescovo, di non somministrarle più la
comunione, nel sospetto che vi fosse un caso di eresia. Maddalena, in seguito a questa grave e dolorosa
mancanza, non comunicò più per 63 giorni. In seguito, prego il vescovo di mandarle un nuovo confessore
data l'impossibilità, per lei, di starne senza.
▪ «Pretesa a palesare la mia vita: scrivere in fretta per salvare l'anima»
Il manoscritto 71 della Biblioteca Civica <Vittoria Colonna= di Pescara è il risultato di appunti redatti in
momenti diversi sotto pena di scomunica per ordine degli ultimi confessori che, a loro volta,
emendarono passaggi della testimonianza di Maddalena che ne era consapevole. Ogni qualvolta Maddalena
ricostruiva momenti salienti della sua esistenza annotava tutto: questo spiega l'assenza di un effettivo
ordine cronologico. Lo scopo del suo scritto era quello di rappresentare una testimonianza da cui si sarebbe
potuto evincere in quale misura Maddalena avesse interiorizzato i principi dell'orazione di quiete, per
verificare se fossero necessari o meno provvedimenti più severi di fronte al pericolo di
un'infiltrazione del quietismo.
Gli ultimi sei anni (1688-1694) di vita furono estremamente complessi e travagliati per Maddalena. Parlando
del quietismo, cercava di prenderne le distanze, riferendo che si trattava di un'operazione del demonio. Nel
1688, costretta dal direttore spirituale Onofrio palesare tutta la sua vita, Maddalena ribadiva che la sua era
un'orazione “di vera quiete” infusa da Dio, secondo un lessico che si ritrovava in Molinos, in Petrucci e nei
mistici coevi; per tutelarsi affermava che: «Non si trattava, però, dell'orazione di quiete che avevano
inventato negli anni passati, che chiaramente nell'interno sentivo essere cosa inventata dal Demonio per
rovinare molte anime. Qualsiasi flagello, cilici, digiuni, mortificazioni, macerazioni non erano da me
stimate». Fu costretta a scrivere, anche di notte, nonostante fosse aggravata dai dolori, per timore di essere
scomunicata, come poi avvenne, e di provvedimenti più severi ai danni della sua persona; Onofrio custodì
nel frattempo i fogli redatti dalla donna in un tavolino dove teneva i libri per studiare e le letture spirituali.
▪ Dissero di essere venute apposta per essere aiutate: il carisma e i sospetti
Maddalena era finita nel mirino del Sant'Uffizio e dei gesuiti per:
1. i sospetti nei confronti dei suoi indirizzi devozionali → quietismo
2. gli stretti legami con i suoi direttori spirituali → Giovan Pietro da Castelnuovo
3. Previsioni di avvenimenti futuri, tra cui terremoti. Le venne severamente intimato dai confessori di non
continuare a parlare di cose soprannaturali
4. la fama da guaritrice
Da tempo le gerarchie ecclesiastiche avevano sotto osservazione la fama del suo oratorio e il
carisma di cui la donna era circondata nella città e nel territorio: si era diffusa nei paesi delle vallate la
notorietà di Maddalena come guaritrice. La donna ha la percezione del pericolo di questo successo, così
inizia a cautelarsi affermando di non essere un medico, perché tutto quello che avveniva era per merito di
Dio.
Le visite all'oratorio da parte di donne del territorio erano frequenti:
- molte donne si recavano da lei quando erano malate,
- andavano da lei le prostitute per cercare aiuto, protezione e conforto.
- le “zitelle” trovarono in lei, donna, sola, con profondo senso di autonomia e devozione, un punto di
riferimento e un'affidabile interlocutrice.
- povere donne afflitte, sconsolate, si recavano al suo oratorio per essere aiutate, chiedevano un po9 di
terra del sepolcro di S. Teresa e alcuni consigli sugli errori che commettevano. L'oratorio privato di
Maddalena fu un luogo di frequentazioni in cui persino i sacerdoti andavano con cadenze regolari a dire le
messe, a riprova del fatto che prima del 1688, anno d'inizio della sua coercita biografia, il luogo non fosse
sentito come minaccioso.

➢ SANT’UFFIZIO, VESCOVO, CONFESSORE: VERSO LA SCOMUNICA


▪ Con la corte papale e Innocenzo XI
Maddalena Ventiquattro era costantemente aggiornata rispetto agli avvenimenti che scandivano la vita della
Corte romana. L’elezione di Innocenzo XI, negli ambienti religiosi e devozionali maschili e femminili,
suscitò aspettative di rinnovamento, che si concretizzarono in un ambizioso programma riformistico. Il papa
era fautore di un importante progetto di risanamento e di moralizzazione della Chiesa che, oltre a grandi
aspettative, suscitò diffidenze e opposizioni. Innocenzo XI si presentava agli occhi dei sudditi, dei fedeli e
delle potenze europee come una credibile guida spirituale e morale, nonché un autorevole mediatore di
fronte alle varie anime che attraversavano la cristianità. La sua linea nei confronti del quietismo e del
giansenismo fu sostanzialmente moderata: In un primo momento ritenne di accordare la sua protezione
ai maestri dell'orazione di quiete, ma questo riconoscimento alle dottrine sospette rappresento un
argomento strumentalizzato dai suoi avversari politici. La condanna nei confronti di Molinos e Petrucci fu il
risultato della prevalenza nel Sant'Uffizio di posizioni intransigenti in materia dottrinaria. Si trattava di
orientamenti che venivano confermati dalla linea, certamente meno accomodante sul piano teologico, del
nuovo pontefice Alessandro VIII. Proprio sul finire del pontificato di Innocenzo XI, Maddalena si trovava a
fare i conti con i sospetti legati alle nuove invenzioni sull9orazione di quiete che la riguardavano in prima
persona. La donna cercò di giustificarsi affermando, per tutelarsi, di non aver letto mai libri che ne
parlavano. L'uscita di scena di papa Innocenzo, nel 1689, veniva salutata dalla donna con rammarico ma con
la serenità per la certezza di un futuro percorso di santità che lo attendeva.
▪ Alessandro VIII e il Santo Uffizio
L’ascesa al trono di Alessandro VIII, nel 1689, segnò un mutamento negli indirizzi e negli
orientamenti all'interno della curia romana. Alla morte di Innocenzo XI, Pietro Ottoboni venne eletto
Papa dopo un conclave insolitamente rapido: grazie alla sua attività di cardinale inquisitore, poteva
esercitare un controllo su numerosi esponenti del sacro collegio che temevano compromissioni per
favore accordato negli anni precedenti alle teorie mistiche. Durante il suo breve pontificato, Alessandro
intensificò le iniziative volte a reprimere il quietismo, il giansenismo e il cosiddetto “peccato filosofico”. È in
questo scenario che si registrarono anche i momenti più difficili che riguardarono la vicenda inquisitoriale di
Maddalena, iniziata sul finire del pontificato innocenziano, in seguito alle denunce ai danni del cappuccino
Giovan Pietro da Castelnuovo. Nella vicenda riguardante la donna aquilana, l9Inquisizione si attivo per il
tramite del vescovo Ignazio De La Zerda e dei consultori del S. Uffizio. A Maddalena venivano contestati più
punti di diversa natura: oltre alla frequentazione con Giovan Pietro da Castelnuovo e all'adesione dei
principi dell'orazione di quiete nelle forme in cui era promossa da Molinos, nel mirino erano anche le
visioni e le profezie che rimandavano ad aspetti sovrannaturali. La donna temeva duri provvedimenti da
parte dell’Inquisizione, per fare luce sulla vicenda le fu inviato come direttore un consultore del S.
Uffizio che provenisse dall9ordine domenicano, particolarmente attento alle questioni di natura teologica e
dottrinaria. Si trattava del frate predicatore da Gianvincenzo Morese.
La scomparsa di papa Alessandro VIII, avvenuta nel 1691, fu salutata da Maddalena come un
momento di auspicabile cambiamento che avrebbe posto finalmente i presupposti per l'inizio di una nuova
era. L9elezione di Pietro di Innocenzo XII preludeva a una fase più morbida verso le polemiche dottrinarie: la
possibilità di una nuova stagione riformistica meno intransigente, rallegrò Maddalena. Maddalena morì nel
giugno del 1694, ponendo fine agli accertamenti e alle indagini sul conto di una donna severamente
chiamata a giustificare la sua innocenza e i suoi slanci devozionali, reputati sospetti ed eccessivi in un
momento caratterizzato da una brusca svolta antimistica all'interno della Chiesa.
▪ Il testamento e la fine
Nel 1692, in uno stato di quasi immobilità, Maddalena capisce che, nonostante le insistenze del padre
confessore, per lei non sarà più possibile scrivere, a causa della sua devastante condizione fisica. In realtà
Maddalena scriverà ancora fino ai primi mesi del 1694. In attesa del suo distacco terreno aveva pensato
alla destinazione dei suoi beni che andarono prevalentemente ai suoi nipoti, ma soprattutto alla
conservazione del suo oratorio, che era il luogo che aveva dato un senso alla sua esistenza. Il 4 giugno 1694
il notaio dell'Aquila si recava nell'abitazione di Maddalena, appena scomparsa, per procedere con l'apertura
del testamento. Maddalena chiedeva di essere sepolta nella chiesa di San Filippo Neri e chiedeva
espressamente che i funerali fossero celebrati soltanto da coloro che erano i suoi antichi maestri, non dai
gesuiti e dai domenicani, che l'avevano invece seguita negli ultimi anni imponendole la confessione scritta.
Per Maddalena il senso del suo testamento era tutto racchiuso nel mantenimento della memoria del suo
oratorio, d'altronde lei aveva trascorso quasi tutta la vita in questo luogo: la conduzione dell'oratorio
l'accompagno per vent'anni fino alla sua morte. Probabilmente il suo oratorio era stato aperto in età matura
in quanto il direttore spirituale Magnante, che l'aveva accompagnata spiritualmente sin da quando era
adolescente, fosse una figura ingombrante nella sua vita, al punto da non indurla a concepire un
suo percorso autonomo. Maddalena era risoluta nel non voler entrare nella Compagnia delle Orsoline, da
lui promossa, in nome di un'indipendenza devozionale che si espresse nella creazione di uno spazio da lei
pensato, 5 anni dopo la scomparsa dell’oratoriano

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