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Quale architettura per la Chiesa contemporanea?

Dalla stagione lercariana all’oggi

Stralci dell’intervento svolto presso la Fondazione Lercaro, Centro Studi “Architettura, arte, liturgia per l’uomo e la
città” in occasione del convegno “La città di Lercaro” – Bologna, 5-6 marzo 2010.

Inviato da Anita Silva - 16.03.2010

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Testo di Monsignor Giancarlo Santi. A cura di Marco Sammicheli

Dalla stagione lercariana – terminata formalmente all’alba degli anni Settanta – quali sono state le linee di ricerca
architettoniche e liturgiche, quali gli esiti. Nella storia e nella cronaca della Chiesa cattolica non risulta che il 1970 sia
considerata una data particolarmente significativa. Lo è, invece, il 1965, anno nel quale si è concluso il Concilio Vaticano
II.
Il 1970, tuttavia, non è privo di significato dal momento che si può considerare l’inizio di una nuova stagione per
l’architettura e l’arte sacra in Italia. E’ successivo alla conclusione della esperienza di Giacomo Lercaro (1891 – 1976) a
Bologna, città della quale fu arcivescovo dal 1952 al 1968. Come è noto il cardinale animò da protagonista una fase
splendida ma breve nel dialogo tra Chiesa e architettura contemporanea in Italia e in Europa a cavallo del Concilio
Vaticano II.
Ci domandiamo qual è stata la sorte dell’eredità lercariana in Europa e in Italia dal 1970 a oggi, nei quasi quattro decenni
caratterizzati dall’attuazione del Concilio sotto la guida di quattro pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo
II, Benedetto XVI.
Le tipologie di edifici religiosi costruiti in Europa nel periodo cha va dal 1970 a oggi sono numerose: chiese parrocchiali e
complessi parrocchiali, santuari, cattedrali, monasteri, cappelle. Inoltre occorre segnalare che in questo periodo accanto a

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edifici religiosi voluti dalle istituzioni religioni e dalle confessioni tradizionalmente presenti in Europa, cristiani delle
diverse confessioni ed ebrei, sono state costruite anche moschee e templi per altre religioni. In questi anni, cioè, il
panorama dell’architettura religiosa si è molto diversificato. Infine occorre ricordare anche le cappelle ecumeniche e
interreligiose, le sale del commiato, le sale del silenzio che sono state costruite in numerosi edifici pubblici da parte di
istituzioni come UNESCO, ospedali, università, amministrazioni comunali, società autostradali, sulla base delle diverse
concezioni di “laicità” presenti nelle istituzioni pubbliche.

Questa riflessione sarà limitata a una sola tipologia, la chiesa parrocchiale, il complesso parrocchiale. Questa limitazione
consentirà da una parte di mettere a confronto i casi europei e quelli italiani e, dall’altra di verificare l’evoluzione, i
mutamenti e le innovazioni nelle condizioni ordinarie, non in casi particolari o del tutto speciali. Come regola, infatti, le
più significative innovazioni avvengono nell’ambito delle architetture religiose speciali (esemplari, da questo punto di
vista, sono la chiesa di Ronchamp di Le Corbusier, che non a caso è un santuario e, in Italia, la chiesa dell’autostrada di
Michelucci che è di committenza pubblica, non ecclesiastica, si avvicina alla tipologia del santuario; comunque non è una
chiesa parrocchiale) mentre le architetture più comuni e diffuse, come i complessi parrocchiali, sembrano meno sensibili al
cambiamento e risentono delle innovazioni a seguito di scambi inevitabili che andrebbero analizzati attentamente.
[…] Un cammino abbastanza noto nelle linee generali, nel quale si possono identificare tre fasi principali. I primi tentativi
di mettere in relazione il Movimento Liturgico e l’architettura contemporanea che datano agli anno Venti del ‘900, in
Germania e hanno avuto termine con la seconda guerra mondiale. La fase che ha preparato più da vicino il Concilio
Vaticano II, iniziata nel secondo dopoguerra e conclusa nel 1963. La fase di ricezione del Concilio Vaticano II che prende
inizio dal 1965 ed è attualmente in corso. Questa lunga vicenda, che presenta caratteristiche diverse Paese per Paese,
viene data per conosciuta.

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Il cardinale Giacomo Lercaro ha preparato e vissuto il Concilio Vaticano II e vi ha creduto a tal punto da metterlo in atto
fin da subito, per quanto possibile, in modo ampio con il dovuto coraggio e la necessaria prudenza. In questo si è mostrato
uomo di Chiesa, nello stesso tempo saggio e lungimirante. E tale è rimasto anche oltre la conclusione del suo mandato
episcopale fino al 1976, anno della sua morte.
La sua intuizione fondamentale è stata che l’architettura sacra era un campo che gli offriva lo spazio adatto per realizzare il
suo progetto in modo visibile e pubblico. Non ha considerato la costruzione delle chiese un impegno ecclesiale gravoso da
confinare nella ordinaria amministrazione, da affidare perciò agli uffici della sua Curia. Perciò, come un vescovo antico,
anche su questo punto ha scelto di impegnare direttamente il suo carisma episcopale. Da vescovo moderno, del suo tempo,
ha accettato in modo consapevole la sfida dell’architettura e dell’arte contemporanea. Perciò ha accettato che a questo
proposito nella sua diocesi si iniziasse una ricerca, accettandone con lucidità i rischi. Oltre a intuire che edificare una
chiesa era un modo per pensare ed esprimere la Chiesa fu consapevole che costruire le chiese era un contributo importante
alla costruzione della città.
Ha dato fiducia ai laici competenti. Era un vescovo educatore di giovani. Con loro ha voluto che la ricerca avvenisse in
forma ecclesiale, corale e in rete nazionale e internazionale.
Ha creduto al dialogo con la società e la cultura contemporanea e perciò, coerentemente, ha cercato di impostare la sua
azione in dialogo con la comunità civile, con le sue rappresentanze politiche (in un contesto non agevole e in tempi più
difficili di quelli attuali), con i più riconosciuti rappresentanti dell’architettura contemporanea, italiana e non.
Ha voluto e saputo dare una scossa salutare a una Chiesa piuttosto sonnolenta e intimorita, con effetti che si avvertono
ancora oggi, a distanza di decenni.
Al di là dei risultati ottenuti queste scelte costituiscono anche l’eredità che il cardinale ha lasciato, quello che possiamo
considerare il suo mandato. Trascorsi alcuni anni e dissipate le nebbie di quel momento storico, ci rendiamo conto che
quelle del cardinale Lercaro erano e rimangono intuizioni felici, da realizzare pazientemente nel lungo periodo. Non erano
solo scelte personali, men che meno stravaganze di un entusiasta.

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Ci si domanda ora se e in quale misura l’eredità del cardinale Lercaro è stata raccolta in Europa e in Italia. In entrambe,
valutando le vicende degli ultimi 40 anni in prospettiva storica, la risposta, a mio parere, è nel complesso positiva. A
proposito dell’esperienza europea, che conosco meno rispetto a quella italiana, sono in grado di formulare una valutazione
molto schematica.
Ciò che emerge con chiarezza dagli esempi proposti è che, nel complesso, con sfumature notevoli e in tempi diversi,
l’apertura della Chiesa all’architettura e all’arte contemporanea è avvenuta in tutte le aree culturali d’Europa, dal quelle di
lingua tedesca (Germania, Austria, Svizzera), ai Paesi latini (Francia, Spagna, Portogallo) ai paesi slavi (Croazia, Polonia).
Non in modo uniforme ma nelle forme proprie al diverso contesto sociale, culturale e artistico. Nel complesso la linea
seguita è quella “media”; è stata abbandonata la via del monumento urbano a favore di una presenza nell’ambito delle
città e dei piccoli centri decisamente non trionfalista; sono stati evitati gli eccessi tecnologici e formalisti; dopo una breve
sperimentazione è stata abbandonata la scelta dell’edificio multiuso; viene esclusa la linea dell’anonimato. La Chiesa si fa
presente nella città con una sua chiesa che intende proporre un’immagine sobria e aperta. In alcuni casi, segnalati da
Frederic Debuyst, in particolare, la ricerca della semplicità e della sobrietà “familiare” è stata sviluppata in modo
omogeneo e coerente a tutti i livelli. In ogni caso non vi è più traccia per ogni forma di storicismo, anche nelle sue
espressioni più moderate.
Occorre riconoscere, invece, che il sogno di Lercaro che intendeva costruire le chiese non solo per la Chiesa ma anche per
costruire la città è decisamente venuto meno. Ma forse, è lo stesso sogno civile di costruire la città che è venuto meno,
lasciando spazio alla frammentarietà priva di disegno.
I Paesi di lingua tedesca si sono mossi in anticipo e si sono poi spinti avanti con molto coraggio e coerenza nella dialogo
con l’architettura e l’arte contemporanea. Ma anche nelle altre aree culturali il rinnovamento è stato deciso.
Non risulta che la linea del rinnovamento abbia trovato ostacoli rilevanti nè una esplicita opposizione, anche se è doveroso
segnalare che le polemiche non sono mancate e non mancano, segno che il rinnovamento continua a essere percepito come
tale.
Non risulta che la bandiera del rinnovamento sia stata imbracciata in particolare da qualche figura carismatica: un laico
(non vi è stato un altro Rudolf Schwarz), un sacerdote (non vi sono stati altri Romano Guardini), un vescovo, (non vi è
stato un altro Giacomo Lercaro) in particolare. Il rinnovamento non è più affidato a profeti isolati ma a professionisti, laici,

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sacerdoti e vescovi. Sembra che nelle aree di lingua tedesca gli orientamenti innovativi siano frutto di decisioni prese dalle
stesse conferenze episcopali. Non pare che altrettanto sia avvenuto nelle altre aree.
Non è dato sapere se e in quale misura le scelte e l’esempio del cardinale Lercaro abbiano influenzato anche le Chiese
europee. Questo tema meriterebbe di essere attentamente studiato. Si ha l’impressione che Lercaro abbia fatto tesoro
dell’esperienza tedesca e francese. Si potrebbe ipotizzare che possa avere in qualche modo influenzato quella degli altri
Paesi europei. Il grande disegno di Lercaro e dei suoi collaboratori di promuovere una ricerca “in rete”a dimensione
europea mediante il Centro di studi non ha avuto continuità e non ha trovato immediatamente eredi. Tuttavia, soprattutto
nella forma dei convegni internazionali, un progetto di questo genere sta prendendo piede per la tenacia di alcune
istituzioni e persone che credono alla validità e alla piena attualità di esso e, grazie alle risorse offerte dal contesto
globalizzato e mediatizzato, lo stanno lentamente costruendo, non solo nella dimensione europea.

In Italia. L’iniziativa e l’esperienza promossa da Lercaro hanno certamente avuto una vasta eco in Italia, certo più che
negli altri Paesi d’Europa. E’ penetrata a fondo e, come un seme buono, ha saputo dare frutti in tempi medi e lunghi; non
subito, però. Nei tempi brevi, cioè negli anni 70 l’eredità di Lercaro, infatti, è stata raccolta con moderazione e in misura
assai modesta. Solo a partire dagli anni Ottanta essa è tornata ad essere un riferimento autorevole e oggetto di pubblico
apprezzamento. Attualmente, di fatto, è in corso una rivalutazione complessiva delle intuizioni di Lercaro.
Dopo Lercaro, comunque, non c’è più stato un altro Lercaro. Anche in Italia, come negli altri Paesi d’Europa, la sua
eredità è stata raccolta non da un uomo in particolare né da una diocesi, rispetto alle 226 esistenti, ma da un certo numero
di persone sparse qua e là al nord, al centro e al sud Italia.
La stagione del dopo Concilio, fino alla fine degli anni 80 per quanto riguarda le nuove chiese è stato vissuta dalle diocesi
italiane come un’emergenza pastorale ed economica. Occorreva costruire un numero elevato di complessi parrocchiali in
un arco di tempo molto breve, con risorse finanziarie molto limitate, in un contesto sociale, politico ed ecclesiale non
sempre favorevole, in molti casi decisamente ostile. La costruzione delle nuove chiese non è stata vissuta come una grande
occasione ecclesiale e culturale nè come occasione per dare attuazione al Concilio nelle sue diverse sfaccettature. Solo
alcune persone e gruppi, una piccola minoranza, hanno affrontato il problema cogliendone la complessità e le possibilità.
Così le preoccupazioni quantitative hanno avuto la meglio su quelle qualitative.
Dopo Lercaro, il carisma episcopale, in Italia, non è stato speso con larghezza su questi temi. Con due sole eccezioni
positive, il cardinale Giovanni Battista Montini a Milano e il cardinale Michele Pellegrino a Torino. Tuttavia, non si può
neppure dire che vi sia stato un totale disimpegno. I vescovi italiani si sono mossi su questo terreno con molta prudenza; in
genere, non si sono molto esposti ma non si sono neppure opposti.
La fiducia ai laici è stata concessa in genere in misura limitata e di preferenza ai laici noti, quelli vicini alle curie.
Raramente si è trattato di laici di adeguato livello professionale e creativo. Il mondo professionale nel suo insieme e il
mondo universitario, nel loro complesso, non sono stati coinvolti nella grande impresa delle nuove chiese italiane. I
risultati lo provano oltre ogni ragionevole dubbio.
Nonostante tutto anche la ricerca, di fatto e in modo spontaneo, ha preso il via, come regola in modo molto riservato, non
in pubblico e non in rete. Ogni diocesi ha tentato le sue strade. Le informazioni, i risultati positivi e gli errori sono stati
conservati gelosamente entro i confini delle curie delle diocesi italiane.
I progetti dei nuovi complessi parrocchiali sono stati affrontati tra mille difficoltà come casi singoli, come eventi interni a
ciascuna diocesi non come problema comune da affrontare coralmente neppure da parte delle diocesi di una stessa regione
o con caratteristiche omogenee. Si sono progettati e costruiti più di 5000 nuovi complessi parrocchiali ma non pare che si
abbia avuta la percezione che si stesse incidendo comunque sulla realtà e sulla realtà urbana italiana in tutta la sua
estensione. Non ci si è resi conto che costruire una chiesa avrebbe potuto significare comunque dare un contributo
significativo alla costruzione della città in dialogo con i cittadini e con la loro rappresentanza politica
Il dialogo con la cultura architettonica e con gli esponenti più rappresentativi dell’architettura contemporanea al livello più
alto (Le Corbusier Kenzo Tange, Alvar. Aalto), occorre riconoscerlo onestamente, dopo Lercaro è stato abbandonato,
meglio non è stato neppure preso in considerazione se non in casi del tutto eccezionali. La chiesa di Le Corbusier per
Bologna non ha avuto seguito. La chiesa di Riola è arrivata a conclusione per la tenacia di alcuni amici e della popolazione
di Riola. Della chiesa ecumenica di Tange a Bologna vi sono solo labili tracce. La fiducia nei migliori esponenti
dell’architettura e dell’arte, proclamata nei discorsi dei pontefici, in realtà è stata concessa in rarissimi casi. Si possono

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citare solo tre casi: Richard Meier a Roma, Renzo Piano a San Giovanni Rotondo, Mario Botta a Torino e in varie altre
città. Vi sono stati anche casi positivi/negativi di rilievo, come l’incarico ad Alvaro Siza da parte della diocesi di Roma,
prima conferito e poi ritirato. L’adozione del concorso, uno strumento che consente una ricerca trasparente e consapevole
di progetti di qualità, stenta ancora ad affermarsi, è cosa rara in Italia.
Tra architettura e liturgia l’alleanza non poteva mancare ma è stata costruita caso per caso, faticosamente, senza il dovuto
respiro e senza ricorrere alle competenze necessarie. I liturgisti raramente sono stati interpellati e, a loro volta, spesso sono
stati incapaci di assumere un ruolo preciso e di dire la parola adatta. Su questo punto l’impegno è innegabile, anche se in
concreto, per carenze in fatto di preparazione, incoerenze, grande frammentazione, i risultati sono stati in genere di
modesto livello.
La relazione tra architettura e arte contemporanea è stata sentita come una sfida possibile ma solo in alcune occasioni, rare,
la si è affrontata. Nella maggior parte dei casi questa relazione rimane ancora tutta da costruire. Nel recente discorso agli
artisti, sabato 21 novembre 2009, il Santo Padre ricordava i passi da muovere con ordine e secondo i ritmi della umana
maturazione per avviare il dialogo tra la Chiesa e gli artisti: nell’ordine, il dialogo, l’amicizia, la collaborazione. Queste
semplici indicazioni di metodo sono molto preziose per l’Italia.
A partire dagli anni 70 altre e nuove frontiere si sono aperte o sempre più spalancate davanti alle Chiese e ai loro progetti.
Il dialogo ecumenico. Di fatto, per quanto è dato conoscere, il dialogo procede sia a livello progettuale sia pastorale in
forme che sarebbe utile documentare.
Il dialogo con altre religioni. Anche su questo punto si segnala interesse. Ma le iniziative sono decise volta per volta e le
relative notizie sono scarse e frammentarie. Il dialogo con la società in trasformazione (mediatizzazione, globalizzazione,
multiculturalità, multireligiosità). Ci si domanda se le mutazioni in corso stiano modificando anche la percezione, l’uso, la
progettazione e la gestione delle chiese in Italia. Anche su questo punto sarebbero necessarie e assai utili verifiche e
ricerche mirate.
I 14 progetti pilota, frutto dei 15 concorsi banditi dalla CEI dal 1998 al 2008, costituiscono un caso speciale in Italia e in
Europa. Si tratta di una proposta concreta offerta dalla CEI alle diocesi italiane allo scopo di stimolarle a lavorare in rete,
con metodo omogeneo, a cercare progettisti e progetti di qualità, a mettere in relazione creativa architettura, arte e liturgia.
Lo strumento utilizzato per pubblicizzare i progetti, un quaderno allegato a “Casabella”, consente di far conoscere
l’iniziativa e i suoi esiti nel mondo dei professionisti e nelle università, in Italia e fuori d’Italia.

(Le foto riguardano il progetto di una chiesa – parrocchia di S. Maria del Sacro Cuore di Grembo, di PBEB Architetti –
che pur non essendo citata nel saggio rappresenta una buona pratica applicata di architettura sacra contemporanea in Italia)

Mons. Giancarlo Santi, laureato in architettura e licenziato in teologia, è ordinato sacerdote della Diocesi di Milano nel
1972. Dal 1979 al 1994 è direttore dell’Ufficio beni culturali e arte sacra della Curia di Milano e dal 1995 al 2005 è
direttore dell’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici della C.E.I.
Membro della Pontificia Commissione dei beni culturali della Chiesa dal 2000 al 2009, presidente dell’Associazione
Musei Ecclesiastici Italiani dal 2001 al 2005, e dal 2010: è docente a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano dall’anno accademico 2005-2006. Autore di articoli pubblicati su riviste specializzate nel settore “arte,
architettura e liturgia, beni culturali e musei” è promotore di ricerche, pubblicazioni, corsi di formazione e convegni a
livello nazionale e internazionale sulla progettazione e l’adeguamento liturgico di chiese.

PBEB Architetti Paolo Belloni


Elena Brazís Parrocchia di S. Maria del Sacro Cuore di Brembo (BG) 2008
Foto di Paolo Belloni e Roberto Giussani

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