Sei sulla pagina 1di 20

Premessa

Il 30 gennaio 1222, il cardinale Nicola Chiaromonte, vescovo di


Tuscolo e legato apostolico di papa Onorio III, entrava sollemniter nella
Cattedrale di Cosenza per consacrare, presentare il nuovo edificio intitolata
a Santa Maria Assunta, dopo i catastrofici eventi naturali che avevano
interessato la città, e concedere l’indulgenza ai fedeli che l’avrebbero visitata
per i due anni successivi1. Alla cerimonia di consacrazione, erano presenti
l’imperatore Federico II, prelati di diverse diocesi (Ruggiero di Mileto,
Guglielmo di Bisignano, Landone di Reggio, Nicola di Taranto, Andrea di San
Marco, Bartolomeo di Siracusa, Bernardo di Belcastro, Taddeo di Nicastro e
Filippo (di Matera) di Martirano), il clero regolare e secolare diocesano e
populi multitudine copiosa. In quell’occasione, oltre all’altare maggiore, altri
due altari (San Giovanni Battista e Santi Pietro e Paolo) furono consacrati dal
Vescovo di Mileto e dal Vescovo di Bisignano. Arcivescovo di Cosenza era
Luca (il Campano), già segretario dell’abate Gioacchino da Fiore, appartenente
all’ordine regolare Cistercense e impegnato in un profondo rinnovamento
della Chiesa. La consacrazione della Cattedrale può considerarsi l’incipit
della Chiesa medievale che, con la sua testimonianza fisica di fede e di
presenza, ancora oggi è viva e vera dopo ottocento anni. Nei secoli successivi,
il richiamo all’evento fu una costante, come si legge nelle Relationes ad
Limina Apostolorum, e molti Arcivescovi intervennero per modellare,
restaurare e abbellire la struttura, lasciando in essa il segno del loro tempo. Il
presente volume raccoglie i contributi del primo Convegno sulla storia della
Cattedrale, tenutosi il 24 marzo 2022, in occasione degli ottocento anni della
Dedicazione, e promosso dall’Associazione 8centoCosenza, inserendosi in un
percorso storico che spazia dalla Controriforma al XVII secolo. L’interesse
e la spinta per uno studio scientifico e approfondito si realizza nell’idea che
la Cattedrale è l’appartenenza a un luogo, il riferimento culturale e sociale,
l’esempio di prossimità della comunità cristiana alla comunità umana, che
diventa segno di fede e di rivelazione. È realtà ed evocazione, per un popolo,
delle sue radici e dell’eredità della sua fede, della testimonianza della storia e
del centro simbolico della chiesa diocesana. Nel nostro tempo, la Cattedrale
è presenza, è un esserci, una concretizzazione del senso dello stare al centro,
lì dove la storia l’ha posta. Così, in uno spazio quasi atemporale si realizza il
senso di identità e riconoscimento, intrecciando la coscienza della storia civile
a quella religiosa quale patrimonio collettivo, realizzato in un quotidiano
1 Numque tamen aliquando consecrata fuerat consacrare sollemniter deberemus, quorum precibus grato concur-
rentes assensu […] Dedicavimus ecclesiam et consecravimus manibus nostris Altare maius ad honorem Dei et be-
atissime Dei genitricis semperque Virginis Marie […] Sane universis fidelibus ecclesiam ipsam devote visitantibus
usque ad proximas kalendas aprilis indulximus annos duos et carinas duos iniuncte illis pro criminalibus penitentie.
In anniversario vero ipsius consecrationis perpetuis temporibus indulximus annum unum et carinam unam visitan-
tibus eandem ecclesiam per totam octavam. ASDCS, Pergamene, n. 3.

19
concentrarsi di memorie, di segni, di elementi narrativi e iconici; un documento
straordinario in cui il civile e il religioso includono il presente culturale e
storiografico, superando la separazione fittizia tra la sfera laica e quella
ecclesiastica nella interpretazione dei simboli dell’identità comunitaria2. La
Chiesa cosentina di questi secoli si presenta in chiaroscuro, con ombre, dovute
a episodi di tensioni politiche e sociali, e luci frutto di una chiesa rigogliosa e
prolifica, fatta di uomini illuminati, Seminari, Collegi sparsi su tutto il
territorio diocesano, missioni che appoggiarono l’opera riformatrice dei
vescovi postridentini e di fede vissuta di un popolo: basti pensare al culto
della Madonna del Pilerio e al culto della Madonna Immacolata3. Anche gli
Ordini regolari si radicarono in ogni parte dell’Arcidiocesi, raggiungendo i
più piccoli centri abitati. Cosenza era una delle principali Arcidiocesi4 della
Calabria e il suo presule aveva anche il titolo da tempo immemorabile di
Miseratione divina; il territorio s’estendeva dalla costa tirrenica all’altopiano
silano e dalla valle del Crati alle alture di Rogliano con circa ottanta
parrocchie5, che, nella seconda metà del Seicento, arrivarono a ottantanove6,
organizzate in baglive7. Il XVII secolo si chiude con la morte di mons Eligio
Caracciolo (15 marzo 1694 – 17 ottobre 1700), che segnerà l’avvio di una nuova fase
storico-politico nell’Arcidiocesi cosentina. La Cattedrale è il centro, il motore e il
cuore della storia dell’Arcidiocesi di Cosenza e della storia delle comunità: un
laboratorio di indagini e di analisi per la verifica e la comprensione di processi storici
che caratterizzarono il mondo cosentino e, in generale, quello calabrese. I contributi
al Convegno, diversi per tematiche e, a volte, per metodologie di ricerca, offrono
molteplici prospettive di studio e diventano radiante di rapporti fra chiesa e territorio,
2 Cfr. A.I. GAlletti, Mitografìe della memoria urbana, in Storiografìa e poesia nella cultura medievale, Atti del
Colloquio, Roma 1990, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1999.
3 Cfr. F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, Rinascita Artistica Editrice, Napoli 1956, p. 196.
4 Le Diocesi d’Italia, L. MAzzeDRi, M. tAGliAfeRRi, E. GueRRieRo (a cura di), Roma 2008, Edizioni San Paolo.
L’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano è stata curata dal prof. Luigi Intrieri.
5 ASDCS, Relationes ad Limina, 1626, f. 82v. Un elenco completo delle parrocchie si trova nella relazione ad
limina del 1730 di mons. Vincenzo Maria d’Aragona (1725-1743); in essa si elencano i centri abitati divisi in
“Civitas” (Montalto, Paola), Terra (Fuscaldo, Guardia, San Giovanni in Fiore…) e “Casalia” (i casali di Cosenza).
ASDCS, Relationes ad limina, 1730. Cfr. f. uGhelli, Italia Sacra, A. Forni editore, ristampa anastatica, Bologna
1974, tomo IX, p. 184.
6 ASDCS, Relationes ad Limina, 1664, f. 161r.
7 Nella Visita Apostolica del 1628 di mons. Andrea Pierbenedetto, si enumerano complessivamente ventidue ba-
glive. Nella relazione ad limina di mons. Aragona si elencano, invece, prima bagliva Castiglione (Castiglione, San
Benedetto, San Pietro); seconda bagliva Altavilla e Lappano; terza bagliva Zumpano (Zumpano, Motta, Rovella);
quarta bagliva Rovito (Rovito, Motta e Flavetto); quinta bagliva Celico e Manneto; sesta bagliva Spezzano Grande;
settima bagliva Spezzano Piccolo (Spezzano piccolo, Macchise, Macchia, Motta, Scalzati, Verticillo, Cribari, Feru-
ci, Trenta, Casole); ottava bagliva Pedace (Pedace, Iotta, Serra Pedace, Perito); nona bagliva Pietrafitta (Pietrafitta,
San Nicola, Vallone, Turzano, Sant’Ippolito); decima bagliva Aprigliano (Casiniano, Grupa, Santo Stefano, Piro,
Agosto Superiore e Inferiore, Curti, Vico, Guarno, Pedalino, Petrone, San Nicola); undicesima bagliva Donnici
formata da Donnici Superiore e Inferiore; dodicesima bagliva Figline (Figline, Piane, Cellara); tredicesima bagliva
Santo Stefano e Mangone; quattordicesima bagliva Rogliano (Rogliano, Marzi Superiore, Marzi Inferiore, Cuti);
quindicesima bagliva Carpanzano; sedicesima bagliva Altilia (Altilia, Belsito, Majone); diciassettesima bagliva
Malito e Grimaldi; diciottesima bagliva Paterno (Paterno Merenda, Paterno Capora, Paterno Calendino, Paterno
Inferiore); diciannovesima bagliva Dipignano (Dipignano, Dipignano Muscani, Puchiarchi, Petroni, Viziosi, Blan-
difori, Capocasale, Brunetti); ventesima bagliva Tessano (Tessano, Pulsano, Laurignano). Cosenza e la Sila erano
considerate a parte. L. intRieRi, Mille anni si storia, Librerie CIC, Roma 1999, vol. I, p. 8; ASDCS, Visita Apostolica
di mons Andrea Pierbenedetto alla città e diocesi di Cosenza, 1628, f.52v.

20
analizzando fatti e avvenimenti del passato fondati su documenti e momenti, anche
minori, che in vario modo hanno inciso sulle vicende di ogni giorno. Intorno alla
Cattedrale si intrecciano processi storici variegati che, dalla memoralizzazione alla
percezione di un luogo non più fisico ma identitario, danno allo studio del passato un
forte carattere di contemporaneità. Pertanto, in un convegno cui partecipano storici e
ricercatori non è certo necessario sottolineare l’importanza della storia e il rapporto
attivo col passato, che costituisce il tessuto fondamentale della nostra esistenza. Il
convegno che ha visto la partecipazione di studiosi e ricercatori si è svolto in due
sessioni. Dopo i saluti istituzionali e del parroco della Cattedrale, d. Luca Perri, S. E.
mons. Francesco Nolé ha introdotto i lavori e ha ricordato come la Cattedrale è il
pulpito della storia della Chiesa di Cosenza e dell’intera Arcidiocesi. È poi seguita la
relazione del prof. Giuseppe Caridi, il quale ha tenuto una lectio sugli Aspetti politici
e socio-economici della Calabria nei secoli XVI e XVII, evidenziando come la
situazione politico-sociale ed economica della Calabria del Seicento sia stata frutto
degli avvenimenti del XVI secolo. La feudalità calabrese era riuscita a riacquistare
un ruolo politico importante mediante una maggiore capacità di controllo del
territorio e ne aveva ottenuto feudi e privilegi. Tuttavia, la struttura politico-sociale
ed economica creatasi rivelò, alla metà del Seicento, tutte la sua drammaticità. Oltre
alla contrazione demografica, si verificò un forte calo produttivo, comportando una
sorta di circolo vizioso che ne ridusse la disponibilità di manodopera agricola e portò
all’abbandono di crescenti superfici fondiarie. Solo alla fine del Seicento e l’inizio
del nuovo secolo s’interruppe la lunga congiuntura negativa, pur con cronologie e
intensità differenti nelle varie realtà locali. La relazione di Antonello Savaglio,
Vescovi e magia nella diocesi di Cosenza tra Cinquecento e prima metà del Seicento,
analizza il ruolo e l’impegno degli Arcivescovi di Cosenza nei confronti di atti
sacrileghi, magia, superstizioni e maleficios tra Cinquecento e prima metà del
Seicento. Attraverso una lettura degli atti del Sant’Uffizio e delle autorità
ecclesiastiche (concili provinciali, sinodi diocesani, visite pastorali, relazioni ad
Limina, oltre agli atti notarili e alle cronache locali), l’autore ritrae un quadro sociale
calabrese d’ancien régime dinamico ma, per diversi aspetti, cristallizzato e immobile,
ricco di profondi squilibri e di incertezze politiche, di contrasti e antagonismi tra
autorità civili e religiose. Nell’Arcidiocesi di Cosenza il soprannaturale era presente,
anche se in misura minore rispetto ad altri contesti regionali e nazionali; difatti, le
prescrizioni dei Vescovi cosentini non ebbero mai un carattere repressivo violento,
dimostrando come la politica episcopale cosentina fosse sempre prudente e misurata
in ogni occasione. La Cattedrale come scrigno di tesori e di preziosità è la relazione
della storica dell’Arte Concetta Bevilacqua che presenta Tesori d’arte provenienti
dalla Cattedrale. Percorsi critici tra Rinascimento e Barocco. La studiosa evidenzia
come la Cattedrale custodisca ancora oggi, ad ottocento anni dalla sua edificazione,
notizie e fonti inedite. Ogni opera d’arte ha una sua vicenda da raccontare e spetta
allo studioso il compito di tradurre attraverso l’indagine storico-artistica la lettura
per rivelare ciò che in tanti secoli è stato nascosto. Il Cinquecento, a Cosenza, fu
un’epoca artisticamente felice, che ebbe momenti importanti per l’arte con molti
cosentini attivi nella Napoli del sec. XVI. Il territorio era, infatti, disseminato da

21
opere di artisti di grande talento, che arrivarono da Roma, da Napoli e dalla Toscana,
la cui presenza sarà fondamentale per la formazione e lo sviluppo di altri pittori, che
si distingueranno per aver dato le basi alla maniera locale come Teodoro d’Errico,
Fabrizio Santafede e Girolamo Imparato. La storia della Cattedrale come storia
socio-antropologica e del vissuto si presenta con la relazione di Giuseppe Tagarelli
La morte svelata. La pratica della doppia sepoltura nella Cattedrale e nel paesaggio
urbano di Cosenza. Si tratta di uno studio sulla sepoltura nelle cripte ipogee. La
cripta sotterranea ospitava una struttura in muratura consistente in una serie di sedili-
scolatoi, dette cantarelle, su cui i cadaveri venivano lasciati alla putrefazione. Diffuso
in tutto il meridione, anche la Calabria e Cosenza hanno certamente condiviso la
medesima matrice storico-culturale; infatti, le informazioni circa la presenza di
sedili-scolatoi ad oggi sono sottostimate. Un’indagine preliminare, infatti, consente
di segnalare la presenza dei cosiddetti putridaria, in diversi siti che, da nord a sud,
coprono l’intero territorio calabrese. Tra i vescovi più longevi dell’Arcidiocesi,
certamente si deve annoverare mons. Gennaro Sanfelice, vescovo dal 1661 al 1694.
D. Enzo Gabrieli presenta una relazione sulla Visita Pastorale di S. E. Monsignor
Gennaro Sanfelice del 1666; poco conosciuta, fu ritrovata dal sacerdote alcuni anni
prima e oggi, è custodita nell’Archivio Storico Diocesano di Cosenza. Lo studioso
analizza lo stile episcopale che permette di conoscere i motivi dei tumultuosi rapporti
con il clero e la nobiltà cosentina, il contenuto e i motivi di un dossier inviato al
Sant’Uffizio nel 1680, relativo al presunto culto pubblico attribuito al servo di Dio
Gioacchino da Fiore. Si adoperò per una riforma della disciplina del clero e dei
costumi, ma in quest’ambito faticò molto e per questo si scontrò con il Capitolo della
Cattedrale finanche ad ordinare l’arresto del Decano della Cattedrale, don Antonio
Quattromani. Il suo impegno per tutelare le prerogative episcopali nei confronti del
clero e delle famiglie nobili della Città lo portò alla rottura con il clero e con i nobili
cosentini. Il modello tridentino di una Chiesa libera da ingerenze anche riguardo alla
vita religiosa e alle strutture ecclesiastiche lo porterà a tanti contenziosi aperti davanti
alla Real Camera di Napoli. Nella sessione pomeridiana, tenutasi nel Salone degli
Stemmi, il Convegno si è concentrato su alcuni aspetti quali il culto mariano e i
rapporti tra Vescovi e Capitolo Cosentino. D. Giacomo Tuoto, Il culto della Madonna
del Pilerio nel Seicento, ha evidenziato come negli ultimi decenni si sia registrata
una feconda e molteplice produzione di studi e approfondimenti che hanno interessato
la Madonna del Pilerio e più in generale il Duomo. Grazie a questi studi, il culto della
Madonna del Pilerio è uscito dall’imprecisione e sono stati chiariti aspetti prima
controversi. Anche l’icona duecentesca della Madonna è stata valorizzata dal punto
di vista storico artistico e culturale ed ha prodotto studi e approfondimenti degni di
nota, riconoscendola come patrona della Diocesi. Vescovi nella bufera. Il
coinvolgimento e le mosse del clero e dei vescovi Giulio Antonio Santoro e Alfonso
Castiglion Morelli durante il terremoto 1638 e la rivolta di Masaniello è la relazione
che Piero Giuseppe Savaglio presenta con ampi riferimenti documentali. Nel
ventennio compreso tra il 1630 e il 1649, quando sulla cattedra arcivescovile di
Cosenza si susseguirono degli arcivescovi Giulio Antonio Santoro (1624-1638),
Martino Alfieri (1639-1641), Antonio Ricciulli (1641-1643) e Alfonso Castiglion

22
Morelli (1643-1649), la Chiesa locale visse uno dei periodi più drammatici della sua
storia, rischiando di disperdere il patrimonio morale accumulato dopo il Concilio di
Trento, che aveva portato all’apertura del Seminario diocesano per la formazione del
clero, più una casa di accoglienza per le donne pentite e le numerose missioni
evangelizzatrici degli Ordini regolari. A determinare la crisi furono, essenzialmente,
il terremoto del 1638 e la rivolta di Masaniello; due episodi già analizzati dalla
storiografia la quale, tuttavia, si è soffermata poco su ciò che avvenne all’interno
dell’istituzione ecclesiastica e sulle scelte operate nell’emergenza e nei giorni
successivi dal clero. Anche Elia Fiorenza con la relazione Archeologia Mariana.
Dalla Galaktotrophusa alla Madonna del Pilerio, evidenzia che l’esperienza
iconografica attinente alla topica figura della Virgo lactans, sia un chiaro riferimento
a concetti cristologici del periodo. Maria che allatta non è altro che il precipitato -
visivo - cristiano del dogma che spiega come il Cristo abbia accolto il proposito di
farsi uomo e di salvare l’umanità e l’allattamento può leggersi come il momento più
alto della relazione madre-figlio: proprio come ogni bambino in fasce. Agli occhi del
visitatore comune, colpisce che Gesù non abbia scelto di nascere dai potenti; avrebbe
potuto decidere di essere figlio di imponenti regnanti o di essere egli stesso, il re.
Pertanto, non è a caso che i vari artisti del periodo abbiano voluto dipingere un
momento di così grande intimità come l’allattamento. Così Gesù, con il solo atto
della sua nascita, racconta molto più di quanto abbiano tentato di fare, nel corso della
storia, le speculazioni filosofiche di Aristotele o le domande esistenzialiste di
Leopardi. Infine, si presenta la relazione Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale di
Cosenza nel XVII secolo. Fonti per la storia capitolare di Vincenzo Antonio Tucci.
Si tratta di uno studio sul Capitolo della Cattedrale. Nella storia della Chiesa, i
Capitoli delle Cattedrali non hanno sempre trovato molto spazio nei processi di
studio e di ricerca. Spesso, sono rimasti sullo sfondo dell’interesse storiografico,
concentrato, principalmente, sulle strutture, le vicende storiche e i quadri
organizzativi, ma anche sulla religiosità vissuta dai Christifideles. D’altronde, se per
l’Italia meridionale, le ricerche sui Capitoli sono piuttosto limitate, in particolare per
lo stato documentale riguardante molte diocesi, non paragonabile per entità e
compattezza ad altre diocesi italiane, una ricostruzione della storia capitolare,
specialmente, per la Chiesa cosentina, rappresenterebbe un filone d’indagine
alquanto interessante al fine di ricostruire il quadro della presenza e della vita
ecclesiastica nella città di Cosenza, la cui storia, necessariamente, incide e riflette
tanto le vicende della diocesi cosentina quanto quelle dell’intera provincia. Proprio
per quest’approccio multi-prospettico, la Cattedrale resta sempre un punto di
riferimento per studiosi e ricercatori. Essa sta al centro della città per ricordare che
quando l’umanità perde la dimensione spirituale smarrisce una parte non accessoria
ma essenziale di se stessa, per questo la vocazione oggi della Cattedrale al centro
dello spazio pubblico è quello di ricordare in modo silente che il messaggio cristiano
è ancora oggi una risorsa centrale per l’umanità e la sua umanizzazione8.

Vincenzo Antonio Tucci


8 G. Boselli, Quale ruolo delle cattedrali nel tempo della secolarizzazione? in «Avvenire», giovedì 31 maggio 2018.

23
24
Sessione antimeridiana
CATTEDRALE
CAPPELLA del SS. SACRAMENTO

25
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale di Cosenza nel XVII secolo. Fonti per
la storia capitolare

Vincenzo Antonio Tucci*

Nella storia della Chiesa, i Capitoli delle Cattedrali non hanno sempre trovato
molto spazio nei processi di studio e di ricerca. Spesso, sono rimasti sullo sfondo
dell’interesse storiografico, concentrato, principalmente, sulle strutture, le vicende
storiche e i quadri organizzativi (vescovi, parrocchie, chiese, monasteri e conventi
maschili, femminili, cappelle) ma anche sulla religiosità, e, in particolare quella
vissuta dai Christifideles, singolarmente o in gruppo (confraternite, congregazioni
etc…)1. D’altronde, se per l’Italia meridionale, le ricerche sui Capitoli sono piuttosto
limitate, in particolare per lo stato documentale riguardante molte diocesi, non
paragonabile per entità e compattezza ad altre diocesi italiane2, una ricostruzione
della storia capitolare, specialmente, per la Chiesa cosentina, rappresenterebbe un
filone d’indagine alquanto interessante al fine di ricostruire il quadro della presenza
e della vita ecclesiastica nella città di Cosenza3, la cui storia, necessariamente,
incide e riflette tanto le vicende della diocesi cosentina4 quanto quelle dell’intera
provincia. L’approccio alla ricerca si basa principalmente sui dati documentali
conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Cosenza, nella sezione aggregata
Archivio Capitolare; sebbene non abbia pretese esaustive, lo studio vuole essere uno
stimolo a una più approfondita ricerca circa il collegio della Cattedrale cosentina,
considerando l’importanza che ebbe nella storia religiosa dell’Arcidiocesi nel XVII
secolo5. Originariamente, il termine “vita canonicale” fu inteso come seguire una
regola: il canon; tuttavia, la storiografia recente fa riferimento

* Direttore dell’Archivio Storico Diocesano “prof. Luigi Intrieri” di Cosenza


1 E. CRuzel, Le quinte e il palcoscenico. Appunti storiografici sui capitoli delle cattedrali italiane, in «Quaderni di
storia religiosa», X (2003), pp. 39-67.
2 M. loffReDo, Il Capitolo della Cattedrale di Salerno tra Medioevo ed Età moderna, in «Schola Salernitana» –
Annali, XXIII (2018), p. 7.
3 Il patrimonio documentale capitolare è conservato nell’Archivio Storico Diocesano “prof. Luigi Intrieri” di
Cosenza. Molti documenti sono andati perduti durante il periodo napoleonico. Si salvarono solo alcune carte del
fondo dell’Archivio Capitolare, le pergamene, il Liber Praebendarum, le Platee del XVI, XVI e XVIII secolo e altri
documenti riguardanti anniversari, puntature e rendite di censi, tanto da far scrivere al nuovo presule, Domenico
Narni-Mancinelli, nominato solo nel 1818, di non aver trovato nulla «giacché un generale devastamento spogliò
l’archivio arcivescovile durante il decennio francese della militare occupazione». Per mons. Greco Cfr. F. RuSSo,
Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, Rinascita Artistica Editrice, Napoli 1957. p. 244. Per l’Archivio Diocesano
intitolato nel 2017 al prof. Luigi Intrieri Cfr. V.A. tuCCi, L’Archivio storico diocesano di Cosenza e la Relazione ad
Limina di mons. Domenico Narni-Mancinelli, in «Rogerius, Bollettino della Biblioteca dell’istituto Calabrese», a.
2012 (XII), luglio-dicembre n. 2. Per la situazione documentale all’arrivo di mons. Narni-Mancinelli Cfr. ASDCS,
Libro secondo per Registro generale della corrispondenza ministeriale 1824-1830.
4 Il mancato interesse, secondo alcuni studiosi è dovuto per lo più a interpretazioni negative, intese come «comunità
privilegiate e poco laboriose», caratterizzate da una «diffusa litigiosità interna». R. BizzoCChi, Chiesa e potere nella
Toscana del Quattrocento (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Monografie, 6), Bologna 1987, p.
18.
5 L’Archivio capitolare ha un proprio fondo. Le deliberazioni sono riassunte in un documento «Ristretto dell’atti
capitolari dell’anno 1533 capo. o». ASDCS, Archivio Capitolare, Deliberazioni, 1533-1676.

149
Vincenzo Antonio Tucci

a un altro significato: il clericus canonicus, cioè colui che compariva in un elenco del
clero addetto a una chiesa e, pertanto, aveva carattere normativo; di conseguenza, i
canonici erano coloro che erano tenuti alla celebrazione comune della liturgia in una
chiesa. Due erano gli elementi peculiari: la regolarità e l’appartenenza, compresenti
lungo tutto il Medioevo e l’età moderna. Anche l’uso del termine capitulum s’inserisce
nell’esito di un percorso etimologico piuttosto complesso: se inizialmente indicava il
nome della parte di uno scritto o di un libro, successivamente, passò a indicare la parte
di una regola di tipo religioso e, per estensione, il tempo e il luogo in cui si svolgevano
le riunioni di tutti coloro che vi si attenevano, in quanto nel corso di essa veniva letta
per l’appunto una parte di tale regola6. Storicamente, il Capitolo cattedrale nacque da
un processo di selezione che, partendo da un’iniziale cooperazione del clero intorno
al vescovo, portò alla separazione della maggiore chiesa cittadina dalle parrocchie
rurali e urbane fino alla attribuzione e moltiplicazione di compiti del clero nelle
Cattedrali7. Se l’evoluzione organizzativa della vita canonicale ha visto, dal Trecento
in poi, l’iniziativa vescovile spingersi verso un’irreversibile azione di accentramento
dell’autorità, resa sempre più forte anche dallo stretto rapporto con la Curia romana,
quando poi, tra Quattrocento e Cinquecento, la persistente assenza dei vescovi dalla
propria sede sembrava aver creato le condizioni per una ripresa delle autonomie
capitolari, gli stessi capitoli canonicali non ebbero la forza e la spinta necessaria per
riposizionare e riqualificare il loro ruolo all’interno della Chiesa locale. È vero che
nelle bolle vescovili si continuerà a riportare la formula audito capitulo, de consensu
capituli, ma si tratterà di un atto solo formale per legittimare una prassi notarile che
vedrà una drastica deminutio nel corso dei successivi secoli8. In sostanza i legami
istituzionali tra vescovo e Capitolo cattedrale si allenteranno sempre più tra corpo
canonicale e autorità vescovile all’interno delle Chiese locali9. Alla fine del Seicento
era ormai chiara e definitiva non solo la distinzione tra la mensa episcopales e la
portio cleri (la prima aspettava al vescovo per il suo mantenimento e per le spese
della Curia, mentre la seconda spettava al Capitolo cattedrale10), ma anche la stessa
struttura e la composizione dei Capitoli, quantunque in alcune diocesi si arriverà
anche agli inizi

6 E. CuRzel, L’indagine storica sui Capitoli canonacali secolari. Metodi e problemi, in «Storia e Chiesa, Rivista
dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa», a. X (2020) n. 10, p. 21.
7 A. plACAniCA, Il Patrimonio ecclesiastico calabrese in età moderna, Edizione Frama’s, Chiaravalle Centrale 1978,
vol. 1, p. 17. Cfr. anche A. BARBoSA, De Canonicis et Dignitatibus, apud Francisci Corbelletti, Romae 1632.
8 C. D. fonSeCA, La cattedrale e il suo Capitolo. Analisi comparata in prospettiva storica, ecclesiologica e
canonistica, in «Annali di studi religiosi», a. 2003, n. 4, pp. 215-235.
9 iBiDeM.
10 La comunità di vita di vescovi e sacerdoti ebbe fine con il prevalere della tendenza beneficiaria che portò alla
creazione della mensa episcopales da una parte e della mensa canonicorum dall’altra. Quest’ultima fu ripartita
in quote beneficiarie (praebendae) e il numero delle prebende influì sulla struttura del capitolo. Ogni canonico
sin dall’origine dei Capitoli cattedrali, aveva il godimento di una prebenda, mentre è probabile che la proprietà
spettasse al Capitolo nel suo insieme. La struttura interna del Capitolo non divenne mai definitiva e non si
pervenne all’uniformità tre le diverse diocesi, nemmeno della stessa provincia ecclesiastica, come avvenne per le
diocesi calabresi. D. Bioux, nell’opera sull’istituzione del diritto canonico, scrive che Præbenda canonicalis est
jus percipiendi proventus in Ecclesia, competens uni de collegio. cfr. A. plACAniCA, Il Patrimonio ecclesiastico
calabrese in età moderna, cit., p. 16; cfr. anche D. Bioux, Institutiones iuris canonici in varios tractatus divisae,
apud Jacobum Lecoffre et socios, Pariis 1852, p. 167.

150
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

del Settecento a completare e cambiare la composizione del collegio capitolare. Per


l’Arcidiocesi di Cosenza, già durante l’episcopato di Luca Campano11, arcivescovo
dal 1203 al 1227, impegnato nel rinnovamento della Chiesa e nello svecchiamento
degli usi liturgici, erano presenti sedici canonici12, le cui cariche principali risultavano
essere costitutite dal: Decano, il Tesoriere, il Cantore e l’Arcidiacono. Nel Liber
Praebendarum13 si annota che fu al tempo dell’arcivescovo Giovanni Ruffo14 che si
numerarono le Dignità e le prebende15, arrivando a ventuno, e si distinsero anche dal
luogo in cui sedevano nel Coro. Agli inizi del Settecento, tuttavia, l’arcivescovo
Andrea Brancaccio (29 agosto 1721), per promuovere maggiormente il culto divino
e accrescere lo splendore della Cattedrale, ne aumentò il numero con altri tre, pagati
a proprie spese, e aggiungendo agli altri canonici le quattro Dignità per un totale di
ventiquattro componenti e risistemando anche la collocazione fisica nel Coro,
distribuita secondo un ordine preciso: il Decano e l’Arcidiacono dovevano sedere
nel Coro dal lato dell’Arcivescovo, il Cantore e il Tesoriere nell’altro lato, inoltre
otto canonici da un lato e otto nell’altro secondo l’anzianità. Il Succentore, invece,
sedeva in un suo proprio posto16. Oltre alle quattro Dignità17 e ai canonici, erano
presenti quindici Ebdomadari18 accanto ad altri sacerdoti e chierici ascendenti al

11 Cfr. A. ADoRiSio, Il liber usuum Cusentinae di Luca di Casamari arcivescovo di Cosenza, Ed. Casamari, Casamari
2000, pp. 62-63.
12 ASDCS, Liber Praebendarum, f. 12.
13 iBiDeM, f. 12v.
14 Fu nominato Vescovo di Bertinoro il 18 aprile 1503 e, in seguito, eletto Arcivescovo di Cosenza, il 29 aprile del
1511; raggiunse la sua sede solo a inizio 1512. Nel 1521 fece proclamare le nuove Costituzioni Capitolari approvate
da Leone X il 26 luglio di quell’anno. Morì il 16 luglio del 1527. Cfr. F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi di Cosenza,
cit. pp. 462-465. Cfr. anche Platea Vecchia dell’Arcivescovado di Cosenza.
15 Nella Platea di Luca Campano si ritrovano sedici prebende dei canonici della Cattedrale (platia de praebendis
canonicorum), le quali furono accresciute di un’unità nella seconda metà del XIII secolo dal vescovo Pietro; inoltre,
sono indicate le chiese parrocchiali e la dotazione delle prebende, costituita anche da semplici cappelle, dalle decime
riscosse su alcuni feudi e da possessi di terre e uomini. Nella prebenda di Mangone i villani datum et glandaticum
et cetera dant et faciunt sicut angararii; in quella di Spezzano Piccolo è presente la ecclesia Sanctae Mariae
parrochialis cum dotibus suis in ipso casali que est partes tres. Nelle chiese parrocchiali i canonici hanno i diritti
episcopali cioè la quarta delle decime, il canonicum e la salutes, eccetto la quarta dei legati per i defunti che dividono
a metà con la Mensa arcivescovile. E. Cuozzo La Platea di Luca, arcivescovo di Cosenza (1203-1227) Sellenio
Editore, Avellino 2008, p. LI.
16 La disposizione era predefinita: dalla parte dell’Arcivescovo vi erano il Decano e l’Arcidiacono, seguivano
poi la prebenda di Santa Maria di Spezzano piccolo, la prebenda di San Giovanni Donnaglima (detta anche di San
Giovanni di Napoli, com’è annotato nel Liber Seminarii e citato a sua volta dal Liber Praebendarum), la prebenda
di Santa Lucia di Cosenza, la prebenda di San Salvatore di Tessano, la prebenda di San Salvatore di Rogliano,
la prebenda di San Salvatore di Sila, la prebenda di San Giovanni di Malavicina, la prebenda di Santa Croce di
Aprigliano, la prebenda di Sant’Eustachio e compagni di Moggio. Dalla parte del Vicario vi erano le altre due
dignità: il Cantore e il Tesoriere, seguivano poi la prebenda di San Felice di Carpanzano, la prebenda di Santa Maria
di Massano di Cosenza e San Vito, la prebenda di San Cipriano di Mangone, la prebenda di San Felice del Casale di
Trenta, la prebenda di San Martino di Serra, la prebenda di Santa Barbara di Lappano, la prebenda di San Nicola di
Torre Vecchia, la prebenda di San Mauro di Cosenza. Sempre nel Liber si legge che «Li medesimi titoli di Prebende
son mentovati nel libro del Seminario dell’anno nel quale di due Prebende non si ha notizie che sono Santa Maria di
Moscano e San Giovanni di Napoli per incuria degli antecessori». iBiDeM.
17 Secondo un antico uso in Ecclesia Cusentina secundum antiquum usum et ritum dictae Ecclesiae, sint et esse
debeant in ea quatuor dignitates. A. ADoRiSio, Il liber usuum Cusentinae di Luca di Casamari arcivescovo di
Cosenza, cit., pp. 62-65. Cfr. Platea Vecchia dell’Arcivescovado di Cosenza, f. Cr-8v.
18 Gli Ebdomadari sono coloro che sono designati settimanalmente per dire le orazioni e fare le altre funzioni.
Dizionario universale delle Scienze Ecclesiastiche, Napoli 1844, Tip. e Calc. di C. Batelli e Comp, p.249.

151
Vincenzo Antonio Tucci

numero di quaranta19. Le Dignità portavano per concessione apostolica il rocchetto20


e la cappa di lana di colore giallo. Sotto il rocchetto poi indossavano la cotta21 secondo
il periodo, con l’almuzia22 di seta da una parte bianca e dall’altra, invece, rossa; tutti
erano tenuti a celebrare messe nelle festività solenni, partecipando al coro e cantando
i salmi soltanto dieci giorni ogni mese23. Non era consentito a nessun presbitero,
sacerdote o chierico avere voce24, intervenire, fare decreto o prendere la parola nel
Capitolo. Erano presenti anche due puntatori25, nominati l’uno dall’Arcivescovo e
l’altro dal Capitolo, che erano obbligati a segnare quelli che non servivano nelle
messe, nei Mattutino26 e nei Vespri27. Non era previsto, invece, il maestro delle
cerimonie nella chiesa, pertanto ne era incaricato uno dei canonici su indicazione del
Vescovo. Il maestro di musica del Seminario, invece, prestava servizio al coro e
all’organo quand’era necessario; infine, i proventi, molto tenui e poco consistenti, si
dividevano tra i partecipanti: i canonici ricevevano un terzo meno delle Dignità e gli
19 Nelle Constitutiones Capitularum, si legge che erano presenti sedici canonici prebendati e sessanta clerici che
potevano essere, secondo la convenienza dei tempi e dell’età o la provvidenza dei prelati, quindici sacerdoti, dodici
diaconi, dodici suddiaconi e il resto accoliti.
20 Con decreto del 9 maggio 1555, il rocchetto fu concesso ai canonici della Cattedrale di Cosenza. Nel decreto
si legge come Vestes Capucio infoderato cum serico rubeo et rocchetto more Canonicorum S.Petri Almae Urbis,
devono essere portate dai Canonici della Cattedrale Il Rocchetto o Roccetto è una veste sacra usata propriamente
dai vescovi, ma concessa ad altri per privilegio. Il rocchetto è di tela bianca di lino e differisce nella forma dalla
cotta, poiché il rocchetto è assai più stretto di quella ed ha le maniche parimente strette. Dizionario universale delle
Scienze Ecclesiastiche, p. 308. Cfr. Secunda Dioecesana Synodus ab A. Brancacio, Napoli 1715, p. 35 e ASDCS,
Pergamene, n. 46.
21 La cotta o superpelliceum, ornamento che i preti secolari portano sopra la veste, quando cantano l’ufficio. Si
chiama superpelliceum perché si metteva sopra una veste foderata di pelliccia. Dizionario universale delle Scienze
Ecclesiastiche, cit. p. 813.
22 Pelliceum ac villosum amicolum, antichissimo abito canonicale.
23 I canonici e le Dignità erano obbligati a celebrare gli uffici dieci giorni in ogni mese. Se nelle festività solenni la
Messa era celebrata dall’Arcivescovo, in particolare in cinque solennità secondo l’uso antico (dicantur secundum
usus antiquus dictae Ecclesiae, et Archiepiscopus ad minus quinquies in anno celebrare se disponat) e cioè nei giorni
di Pasqua, di Penitenza, dell’Assunzione della Beata Maria Vergine, in Coena Domini e nel Die Matutinis Domini
Nostri, tuttavia se era impedito gli succedeva la seconda dignità; le dignità celebravano la messa della benedizione
delle palme, delle candele, del Corpus Christi, anche in questo caso se il decano era impedito celebrava la dignità
che seguiva. Platea Vecchia, f.9v-10r. ASDCS, Costituzioni Capitolari, Archivio Capitolare e Prima Dioecesana
Synodus a Ianuario Sanfelice, ex Typograph. Michaelis, Napoli 1692.
24 Il diritto dei canonici di presenziare alle funzioni liturgiche del capitolo e di partecipare alle riunioni con diritto
di parola e di voto presenza (o “voce”) è stato regolamentato nel Concilio di Vienne del 1311-14, quando fu
stabilito che la promozione agli ordini sacri costituisse il suo indispensabile prerequisito. Il decreto n. 5 recitava
«Per indurre a ricevere gli ordini sacri quelli che nelle cattedrali o nelle chiese collegiate secolari esercitano o
eserciteranno in futuro gli uffici divini, stabiliamo che nessuno, in avvenire, possa aver voce in capitolo […] se
non ha ricevuto almeno l'ordine del suddiaconato». http://www.intratext.com/IXT/ITA0133/__P4.HTM
25 Annotatore delle assenze dei canonici e dei religiosi dalle ufficiature divine, il puntatore era nominato secondo le
consuetudini della Chiesa. Nel Sinodo del 1579 si legge che singulis autem mensibus punctationum librum Episcopo
et Capitolo praesentare teneatur. Il sinodo stabilì tra l’altro che i puntatori erano due, uno eletto dal Capitolo e
l’altro creato dal Vescovo, dovevano annotare le assenze e se c’erano discrepanze o controversie tra i due puntatori
dovevano comparire davanti al Vescovo o al Vicario, sine strepitu et figura iudicij. ASDCS, Constitutiones et
Decreta condita in provinciali Synodo consentina sub Rev.mo Domino Fantino Petrignani, 1579, f. 70.
26 Il Mattutino è la prima parte dell’ufficio divino di ciscun giorno, che si dice alla mattina di buon’ora, talvolta a
mezza notte e talvolta anche alla vigilia. Dizionario universale delle Scienze Ecclesiastiche, cit. p. 608.
27 Parti dell’ufficio divino e una delle sette ore canoniche, che si recita nel dopo pranzo e che si chiama vespro da
Vesper, perché si recitava dopo il tramonto. Le ore canoniche sono preghiere vocali che devono essere recitate tutti i
gaiorni; si chiamano ore perché si devono recitare a certe ore del giorno o della notte, mentre si chiamano canoniche
perché furono istituiti dai canoni. Le ore canoniche sono sette cioè, mattutino, prima, terza, sesta, nona, vespro e
compieta. Dizionario universale delle Scienze Ecclesiastiche, cit. pp. 271, 375.

152
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

altri sacerdoti un terzo meno dei singoli canonici. Ogni giorno nella Cattedrale erano
celebrate almeno quindici messe basse28. Come si legge nel Sinodo29 di mons.
Gennaro Sanfelice, ordinariamente, il Capitolo si riuniva nella sagrestia, locus vero
Capituli sit conclave proximum Sacristiae nostrae Ecclesiae, ad eccezione del mese
di gennaio quando secondo consuetudine si riuniva nelle stanze dell’Arcivescovo o
del Vicario, consuetudine rimasta anche successivamente. Le riunioni erano
presiedute, generalmente, dall’Arcivescovo o dal Vicario, specie nelle grandi cause;
in loro assenza, però, presiedeva il Decano o l’Arcidiacono e successivamente le
altre Dignità, infine, in caso di assenza delle Dignità, i canonici secondo l’anzianità
di nomina. Quanto alle funzioni, era compito del Decano convocare il Capitolo,
proporre i negozi capitolari (in caso di impedimento, il compito spettava
all’Arcidiacono) e celebrare la messa al posto dell’Arcivescovo quando lo stesso
fosse stato impedito da altra necessità30. Allo stesso Decano era aggiunta anche la
prebenda della Penitenzieria31 con un annuo reddito di trenta ducati. L’Arcidiacono32,
invece, esaminava gli ordinandi e aveva una prebenda di trenta ducati annui. Il
Cantore33 dirigeva il Coro, mentre si cantavano gli uffici divini, e le processioni,
avendo una prebenda di dieci ducati.Il Tesoriere curava la Sacrestia e custodiva tutte
le cose che erano in essa, comprese le reliquie. Sceglieva i sagrestani e gli altri
inservienti per il culto della chiesa e della sagrestia: somministrava a sue spese la
cera, l’olio, e le altre cose necessarie all’altare maggiore, in quanto gli erano assegnati
congrui proventi. Infine, l’ufficio del Succentore, poi, ogni giorno partecipava agli
uffici divini ed era il capo degli Ebdomadari. I canonici erano tenuti a partecipare
quotidianamente agli uffici divini, eccetto ai mattutini, prestavano servizio ogni
mese eccetto nei mesi di agosto e settembre, nei quali tuttavia era, comunque,
prestato servizio dalla terza parte dei canonici della Chiesa. Le loro prebende erano
tenue, ascendendo alcuni di loro appena a dodici ducati; erano tenuti a celebrare
cantando nelle messe domenicali e negli altri giorni di festa, nelle quali le Dignità

28 Le messe basse sono quelle messe che si celebrano giornalmente senza canto liturgico o particolare solennità
Dizionario universale delle Scienze Ecclesiastiche, cit. p. 695.
29 Prima Dioecesana Synodus a Ianuario Sanfelicio, ex typographia Michaelis Monaco, Neapoli 1692, p. 83.
30 Il Decano era il Vicario del Vescovo; quando il vescovo era assente, stava da solo nello stallo (ampio seggio
a braccioli allineato lungo la parete della chiesa); compiva gli stessi incarichi: nel celebrare la messa, l’ufficio
nelle feste doppie, nell’ammonire solennemente il popolo. Nel celebrare recitava l’antifona per il Magnificat e il
Benedictus. Imponeva le penitenze ai confessanti. Sottoscriveva per primo gli atti ufficiali e aveva voce per primo
nel Capitolo; su mandato dell’Arcivescovo convocava i canonici. Infine, nelle cause del Capitolo pronunziava le
sentenze Platea Vecchia, f. 6v.
31 Il Penitenziere era un canonico della Cattedrale, designato dal Vescovo per l’assoluzione dei peccati riservati.
32 L’Arcidiacono era l’occhio del Vescovo sia in città sia nelle parrocchie. Durante l’anno visitava le parrocchie,
indagava sullo stato delle singole chiese, sulle doti, sui libri, sulle vesti sacre, ma specialmente sulla vita e sui costumi
dei clerici e dei laici. Esaminava gli ordinandi sia nella conoscenza sia nella vita con il consiglio dell’Arcipresbitero.
Platea Vecchia, f. 7r.
33 Altra Dignità del Capitolo, vigilava diligentemente sul Coro, controllava che nell’istituzione degli uffici divini
non fosse tralasciato nulla e fossero approntate tutte le cose necessarie; allontanava coloro che non soddisfacevano
al suo ufficio. ASDCS, Constitutiones et Decreta condita in Provinciali, cit. p. 67.

153
Vincenzo Antonio Tucci

non cantavano34. Il servizio al Coro come si annota nel Liber Praebendarum era
svolto dal Capitolo per terziaria35, approvato rite nel 1521 nelle Costituzioni
capitolari; tuttavia, nel 1650 l’arcivescovo Giuseppe Maria Sanfelice fece restringere
il servizio ad mediariam: obbligando ogni canonico a partecipare alle divine laude in
settimane alterne. Questa formula durò almeno fino agli inizi del XIX secolo, quando,
come si annota nel Liber, si precisava qua punctim de causa ignoratui. Etenim nulla
huius rei indicem scripturam in Archiepiscopali, vel Capitulari Archivio datum est
invenire. Quod multos post annos durum nimis prae tenuitate reddituum sentientes
Chori servitio mancipati e si chiedeva di poter tornare all’antico servizio della
terziaria36. Nel Sinodo del 1676 l’Arcivescovo comandava di osservare diligentemente
il prescritto servizio dalla Sacra Congregazione del Coro, per come scritto nell’editto
del 27 ottobre 1676 e ordinava anche che secondo le presenti costituzioni, denuo et
strictius i canonici, e le Dignità partecipassero ai divini offici e servissero nel Coro
della Chiesa Cattedrale, per nove mese integri nei singoli anni sotto pena di quanto
fosse prescritto dai sacri canoni e dal Concilio di Trento37. tra l’altro, si fa riferimento
al Capitolo 12 delle Costituzioni capitolari del 1521: si riafferma che le Dignità e i
Canonici della Chiesa erano obbligati a celebrare gli uffici secondo il Concilio di
Trento; il presule, poi, ribadiva che nel Sinodo, si sarebbe stabilito chi e in che modo
dovevano essere di assistenza al coro. Nel coro portavano anche il rocchetto e la
cappa magna dalla vigilia delle feste d’Ognissanti fino al Sabato Santo di Pasqua di
Resurrezione, mentre il superpelliceo si indossava sopra il rocchetto fuori dalla
chiesa, nelle processioni pubbliche o nelle esequie dei defunti o in alcune funzioni,
tuttavia mai con la cappa magna sub poena privationis quotidianarum distributionum38.
In realtà, nel Sinodo non era riportato altro che quanto stabilito precedentemente.
Nel 1675 le Dignità e i canonici protestarono contro l’Arcivescovo per le pene
previste e imposte dallo stesso e gli ordini con i quali proibiva ai canonici l’uso della
cotta e del rocchetto nelle esequie dei defunti. Il 13 settembre 1675, infatti, il decano
Domenico Martire, l’arcidiacono Giacinto, il cantore Domenico Zicaro e alcuni
canonici (Timoteo Valente, Maurizio d’Aiello, Giuseppe Caputo, Francesco Padula,
Giacinto Arnone, Francesco Perri e Carlo Bovino) asserivano che la Congregazione
dei Riti, alla quale era stata posta l’istanza se i canonici avendo facoltà di portare la
cappa, «potessero portare anche l’almuzia, avesse risposto esser non lecito portare
l’almuzia». Sulla base del decreto dell’Arcivescovo fu ordinato alle Dignità e ai
Canonici di astenersi dall’indossare l’almuzia, ma di portare nel Coro, fuori la chiesa
«et in tutti di futuro nelle esequie de morti la cappa magnia»39. Tuttavia durante le
34 I canonici celebravano la messa ogni domenica, in particolare nell’Avvento. Dalla terzultima domenica
prima della Quaresima fino a Pasqua e nelle altre solennità nelle quali le dignità non erano tenute a recitare. Se
le dignità erano tenute a celebrare dieci giorni in ogni mese, eccetto agosto e settembre, i canonici prebendati
dovevano celebrare invece in ogni singolo mese, almeno una terza parte di loro il mattutino. Certamente si potevano
suddividere in tre parti così da celebrare solo dieci giorni al mese; gli altri canonici e clerici erano tenuti per ogni
giorno e per ogni mattutino, eccetto nel solo mese di agosto, nel quale mese tuttavia era presente sempre una loro
terza parte di essi. Platea Vecchia, ff. 9r-10r.
35 Terza parte.
36 ASDCS, Liber Praebendarum, f. 75r.
37 Prima Dioecesana Synodus a Ianuario Sanfelicio, cit. p. 86.
38 iBiDeM, p. 87.
39 ASDCS, Archivio Capitolare, Deliberazioni capitolari 1675.

154
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

esequie per la figlia di un notabile locale, un certo Agostino Carta nelle quali
dovevano intervenire i canonici del Capitolari «come in effetto essendosi a suono di
campanello ad horam venti in circa convenuti in chiesa e parati con rocchetto et cotta
di sopra ordinata la processione con la croce et allestito tutto il clero di detta chiesa»,
sopraggiunse Bartolomeo Riccio, scrivano e attuario, della corte vescovile e davanti
a tutti «ha comandato da parte di detto Arcivescovo […] che non handassero in dette
esequie se non vestiti con rocchetto e capa magnia in virtù del ordine primo emanato
come di sopra che altrimenti havrebbe fatto carcerare tutti detti reverendi signori
capitolari; et essendovi replicati ad alta voce […] che stabilisse l’ordine in scriptis da
parte di detto Arcivescovo».Gli ebdomadari, distinti in tre classi, cinque per le messe,
cinque per il Vangelo, cinque per l’Epistola, erano tenuti quotidianamente a celebrare
con zelo e cantare; erano assegnati a loro favore duecento ducati, sebbene durante
l’episcopato di mons. Giovanni Evangelista Pallotta40, erano state aggiunte trecento
ducati dallo smembramento di parte dei frutti di alcune chiese parrocchiali. Nel
sinodo di mons. Antonio Ricciulli41 del 1642, anche i puntatori, addetti all’annotazione
della presenza in servizio nella Cattedrale erano eletti. In caso di controversia tra
canonici e puntatori tanto sull’assenza quanto de puntandi ratione, spettava di diritto
al presidente del coro, ipsis auditis, diramare le controversie le quali se non fossero
terminate sarebbe toccato al vicario generale intervenire, sine forma iudicii rem
totam decernat42. Il cappellano perpetuo della Cattedrale esercitava la cura delle
anime dell’intera città e aveva sotto di sé due presbiteri coadiutori; portava l’Almuzia
di panno di lana di colore giallo e internamente vestita di seta. Nelle processioni
incedeva dopo il Succentore. Teneva il libro dei battesimi, delle confermazioni, dei
matrimoni e dei morti e non aveva redditi annui certi, alcuni sostenevano che le
rendite ascendessero a settanta ducati, divisi tra lo stesso e i detti coadiutori. Era una
missione difficile, in quanto aveva la cura d’anime di più di duemila famiglie. Già,
nel 1577 da un estratto delle conclusioni capitolari si rileva come si dovessero
nominare due cappellani per «per notar matrimoni, battezzati nella cattedrale»43 per
40 Giovanni Evangelista Pallotta fu nominato Arcivescovo di Cosenza nel settembre del 1587, ricevendo nello stesso
mese la consacrazione episcopale e il pallio. Si legge negli Atti capitolari «1587. A 29 settembre attese la nuova
elettione dell’Arcivescovo Evangelista Pallotta furono eletti canonici à riceverlo e complimentarlo». Il 28 dicembre
ebbe la porpora col titolo di San Matteo in Merulana. Resse la diocesi fino al 1591. F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi
di Cosenza, Napoli 1958, Rinascita Artistica Editrice, P. 485; ASDCS, Archivio Capitolare, Atti Capitolari, f. 79v;
cfr. Liber Praebendarum R.mi Capituli Metropolitani Ecclesiae Cusentinae; per le iniziative dell’arcivescovo in
campo architettonico Cfr. C. CoSCARellA, Le fabbriche del Vescovo. Il Palazzo, la Domus Seminarij, il Collegio
Arcivescovile, Università della Calabria 2018.
41 Nipote di Gaspare, Arcivescovo di Reggio, e fratello di Girolamo, vescovo di Belcastro, nacque a Rogliano.
Fu nominato vescovo di Belcastro, in successione del fratello Girolamo, il 16 novembre 1626, ma rinunciatovi,
fu trasferito a Umbriatico il 16 febbraio. Il 7 febbraio 1637 fu trasferito a Caserta e infine in seguito alla morte di
mons. Alfieri fu promosso a Cosenza il 27 novembre 1641, dove ebbe il pallio il 10 febbraio 1642. Fu nominato
Inquisitore Generale per tutto il Regno di Napoli e tenne il Sinodo quasi subito dopo il suo ingresso in diocesi. Il
4 aprile dello stesso anno fece dono alla Cattedrale di alcune teche con reliquie del velo della Madonna, di San
Giuseppe, di Sant’Agostino, avute a Roma il giorno 8 settembre 1629, quando era Vice Gerente. Morì a Napoli il 17
maggio 1643. Per disposizione testamentaria lasciò al Capitolo metropolitano un dipinto di Iacopo da Ponte, detto il
Bassano, rappresentante l’Ultima Cena, che fu consegnata dalla nipote, Geronima Vitale, con atto del 10 settembre
1681. Cfr. F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, pp. 500-502.
42 Synodus Dioecesana ab Antonio Ricciullo, archiepiscopo consentino celebrata Anno Domino 1642, Typis Camilli
Cavalli, Neapoli 1642, pp. 10-11.
43 ASDCS, Archivio Capitolare, Affidamento incarico di segreteria 1577.

155
Vincenzo Antonio Tucci

l’ampiezza della parrocchia. In una supplica del cappellano perpetuo della Cattedrale
Girolamo Avenio chiedeva come «è stato et è solito dal Rev.do Capitolo farsi la
comunione nel giorno di Pascha et cossi la benedictione delle case di questa città»,
spesso sfociate in diatribe e «diversi disturbi», pertanto bisognava concederne il
diritto al Cappellano e gli emolumenti a beneficio del Capitolo deputando un
canonico. Su proposta del Decano Paolo Cavalcanti, furono nominati Marcello
Quintieri e Antonio Quattromani canonici44. Il 6 dicembre il Capitolo Cosentino si
accordava con Girolamo Avena, sullo ius di amministrare l’Eucarestia nella
Cattedrale nel giorno di Pasqua e di far benedire le case in detta festività. Secondo
quanto ordinato da Andrea Pierbenedetto, vescovo di Venosa e Visitatore apostolico,
il canonico riconosceva tali diritti di esclusiva spettanza del Cappellano Perpetuo,
ma questi doveva a sua volta corrispondere al Capitolo cinque ducati ogni anno,
sulle elemosine che avrebbe ricevuto45. Alcuni decenni dopo, in un monitorio della
Camera Apostolica del 22 novembre 1659 su istanza del Capitolo Cosentino si
confermava come stesso fosse mantenuto nel diritto goduto da tempo immemorabile
di fare effettuare la questua per la città di Cosenza nei giorni di lunedì e venerdì (feria
2 e feria 6) per i suffragi delle anime del Purgatorio che si celebravano nell’altare
privilegiato della Chiesa Cattedrale di Cosenza46. In un breve di Giulio III del 13
giugno 1550, aderendo a una supplica dell’Arcivescovo Taddeo Gaddi, si disponeva
come il Capitolo, i Canonici e gli altri beneficiari della Chiesa Cattedrale di Cosenza
fossero esenti dal pagamento di qualunque decima, per qualsiasi ragione imposta
della Santa Sede47. L’elezione degli ufficiali capitolari sono ribaditi più volte nei
Sinodi del Seicento. Nel Sinodo48 di mons. Alfonso Castiglione Morelli49 si
specificava come capitula fiant per vota secreta, et quolibet votum suum teneatur in
urnam mittere propria manu50, né si poteva cedere o delegare il voto a qualcun altro
altrimenti Capitulum nullum fit. La conferma degli ufficiali poteva avvenire solo
attraverso vota secreta diversamente la conferma sit ipso iure nulla; inoltre, in una
delibera del primo gennaio 1663 si stabilì che oltre un biennio non si potevano
confermare gli ufficiali51. Non era lecito al Capitolo rimandare la distribuzione
quotidiana per gli assenti, se non per utilità o necessità della Chiesa52. Certamente le
Dignità dovevano praelucere affinché omnibus bene agendi, et recte vivendi norma
44 ASCS, Not . F. M. Scavel l o, 5 dicembr e 1628, ff. 692-696.
45 ASDCS, Pergamene n. 213. Cfr. anche Visita Apostolica di mons. Andrea Pierbenedetto alla Città e Diocesi
di Cosenza, 1628 e V.A. tuCCi, La Visita di mons. Andre Pierbenedetto alla Città e Diocesi di Cosenza del 1628,
Cosenza 2013.
46 Ivi, Pergamene, n. 265.
47 iBiDeM, n. 42.
48 Constitutiones Synodales ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Alphonso Castilioneo Maurello, apud Cl.
Coniug, Io. Baptistae de Moijo et Franciscum Rodella, Cusentiae 1645.
49 Nato a Roma nel 1618 da Alessandro e Vincenzo Annibale della Molara, studiò alla Sapienza, dove conseguì la
laurea in Teologia. Divenuto Canonico di S. Maria in Via Lata e Arcidiacono di Parma, fu promosso alla Chiesa di
Cosenza il 31 agosto 1643 e il 5 ottobre ebbe il pallio. Governò per cinque anni e mezzo, tenendo un Sinodo alla fine
di aprile del 1645. Durante il suo presulato sorse il tempio della Madonna del Carmine, per beneficienza di Lelio
Donato e fu fatta la ricognizione delle numerose reliquie che si conservano nella Cattedrale. Morì improvvisamente
il 2 febbraio 1649 e fu sepolto nella Cattedrale. F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, cit. pp. 502-504.
50 Constitutiones Synodales ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Alphonso Castilioneo Maurello, cit. p. 44.
51 ASDCS, Archivio Capitolare, Deliberazioni, 1533-1676.
52 Constitutiones Synodales ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Alphonso Castilioneo Maurello, p. 44.

156
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

esse possint. Anche nel successivo Sinodo di Gennaro Sanfelice si dettagliano le


istruzioni per le elezioni degli ufficiali53. In realtà, già in un monitorio del 26 febbraio
1649, si prescriveva di osservare strettamente nell’elezione del Vicario Capitolare la
Costituzione sinodale confermata con breve di Leone X in data 26 luglio 1521, la
quale stabiliva che l’elezione del Vicario Capitolare doveva essere fatta per voti
segreti dai componenti il Capitolo rivestiti dal carattere sacerdotale54. Qualche anno
dopo, il 7 febbraio 1659, un altro monitorio emesso dalla Camera Apostolica ribadiva
che secondo i sacri canoni il detto capitolo doveva essere mantenuto nel diritto di
eleggere ogni anno i propri Ufficiali per votazione e non per sorteggio55. Nel giorno
dell’Assunzione tutti i presbiteri erano obbligati a celebrare durante l’ottava in
insignum et subiectionis et reverentiae56 e dovevano tre volte l’anno (nell’Assunzione,
a Natale e Pasqua) rendere omaggio con presenti all’Arcivescovo57. Tra gli obblighi
dei canonici vi era il sussidio caritativo era una donazione fatta all’Arcivescovo
suddiviso anticamente tra il Capitolo e gli arcipreti diocesani58; all’arrivo
dell’arcivescovo Paolo Emilio Santoro, nel 1618, il caritativo richiesto fu di duemila
ducati59, sebbene le lettere patenti del 15 marzo 1596 davano quietanza ai Canonici,

53 Il segretario del Capitolo raccoglieva i voti che propria manu i canonici mettevano nell’urna; inoltre nessuno
poteva cedere o delegare a un altro il voto a meno di legittimo impedimento; in questo caso era eletto un procuratore
del Capitolo, cum speciali mandato, che giurava in animam suam dell’assenza dalla città, dell’infermità o di altro
legittimo impedimento; certamente non poteva cedere ad altri il voto. Per le elezioni degli ufficiali erano richieste
le due parti. Alla fine delle votazioni il segretario promulgava quanto deciso e riportava tutto sul libro. Prima
Dioecesana Synodus a Ianuario Sanfelicio, p. 83.
54 Il ricorso era stato avviato dal Decano Antonio Quattromani e di altri otto canonici contro Diego Morelli,
Canonico della Chiesa cosentina. ASDCS, Pergamene, n. 246.
55 iBiDeM, 264.
56 Nel giorno dell’Assunzione celebrava l’Arcivescovo e in sua assenza il Decano nel secondo giorno l’arciprete
e il clero di Montalto. Nel terzo giorno l’arciprete e clero di Fuscaldo, Paola, Rende e San Fili. Nel quarto
giorno l’arciprete e clero di Castelfranco, Cerisano e Carolei, il quale arciprete aveva sotto la sua giurisdizione
le terre di Mendicino, Domanico e Lago. Nel quinto giorno l’arciprete e il clero di Tessano, avendo sotto la sua
giurisdizione Laurignano e Pulsano; l’arciprete di Dipignano aveva sotto la sua giurisdizione Moscani, Santa Maria
de Scalzaporri, Motta, Capocasale, Viziosi; l’arciprete e il clero di Paterno che aveva sotto la sua giurisdizione
Casal sottano, Calendini, Capora e Merenda; l’arciprete di Grimaldi che aveva sotto la sua giurisdizione Malito,
Altilia Crepessito. Nel sesto giorno l’arciprete e il clero di Carpanzano; l’arciprete e il clero di Rogliano che aveva
sotto la sua giurisdizione Marzi, Cuti e Serra; l’arciprete e clero di Mangone che aveva Santo Stefano; l’arciprete
e clero di Donnici sottano e soprano; l’arciprete e clero di Figline che ha Cellara e Piane; l’arciprete e clero di
Aprigliano che aveva San Nicola, Guarno, Santo Stefano, Vico, Augusto, Curti, Petrone, Pira, Pedalina, Guarno,
Grupa e Casignano. Nel settimo giorno l’arciprete e clero di Pietrafitta con i suoi casali (Turzano, Sant’Ippolito e il
Vallone); l’arciprete e il clero di Pedace e i suoi casali (Perito, Iotta e Serra); l’arciprete e il clero di Spezzano Piccolo
con i suoi Casali (Magli, Scalzati, Trenta, Feruci, Cribari, Verticilla, Casole, Macchiese e Macchia; l’arciprete e clero
di Spezzano grande. Nell’ottavo giorno l’arciprete e clero di Celico (Mennito); l’arciprete e clero di Rovito con i
suoi casali (Motta, Flavetto, Lappano, Zumpano, Rovella, Corno); l’arciprete di Castiglione e casali (San benedetto
e San Pietro). Guardia era sottoposta a Paola e il suo arciprete pagava la quarta arcivescovile. Platea vecchia, f. 30v.
57 Si legge nella Platea come «li arcipreti […] hanno da portar ciaschedun d’essi per presenti ordinarii, alli quali
sono obligatj, un paro di presutti, lo di de Pasca, et di Natale, et lo mezzo Agosto altri tanti presuttj, overo tanti
pollastri equivalenti, et cosi è stato osservato che non ci è memoria d’homo in contrario e cosi se osserva al presente
senza contradittione alcuna». iBiDeM, f. 31r.
58 Al tempo dell’arcivescovo Ruffo, nel 1512, fu fatto un donativo di mille ducati. iBiDeM, f. 31v.
59 Nel Ristretto si fa riferimento al sussidio per altri Arcivescovi ma non è indicata la somma: «1624: a X marzo per
il caritativo per l’avviso dell’Arcivescovo Giovanni Antonio Santoro; a 17 luglio si deputarono persone per ricever
detto Arcivescovo». «A X marzo deputati per congratularsi con l’arcivescovo Alfieri nuovo e per esigere il caritativo
sussidio»; «1650, a 29 marzo sopra il caritativo spettante al Capitolo di docati 200; lettera dell’Arcivescovo Sanfelice
per il caritativo». ASDCS, Archivio Capitolare, Deliberazioni, 1533-1676.

157
Vincenzo Antonio Tucci

al Capitolo e al Clero dell’intera Arcidiocesi per il pagamento delle “sei decime”


nella somma di mille e cinquecento scudi, dedotti trecento diciotto scudi gravanti
sulle Abbazie di D. Maria di Giosefat e di S. Giovanni in Fiore tenute rispettivamente
dal Cardinale di Cosenza (Giovanni Evangelista Pallotta) e dal Cardinale di Santa
Severina (Giulio Antonio Santoro)60. In un’eventuale vacatio della sede episcopale
o durante la transizione a nuova sede era nominato un Vicario capitolare. Il 24
aprile del 1617 si fece l’elezione del Vicario Capitolare per la morte di mons. G.B.
Costanzo, sebbene sia probabile che fosse stata devoluta al vescovo di Martirano
come risulta dagli atti capitolari, confermando anche «si possa dar voce per
procuratore»61, mentre il 7 dicembre 1623 fu eletto Vicario capitolare il Vicario
generale per la transizione di mons. Santoro alla Diocesi di Urbino. Mons. Antonio
Quattromani62 Vicario Capitolare dal 1637 sin al 1672 più volte sia alla morte
degli Arcivescovi Giulio Antonio Santoro (1638)63 e Martino Alfieri (1641)64 e sia
alla morte di Giuseppe Maria Sanfelice (21 novembre 1660)65. Il primo gennaio
del 1639 furono stabiliti, con il consenso del Vicario Capitolare, alcuni statuti e si
elessero gli ufficiali e il Vicario Capitolare ebbe «due voci come l’arcivescovo»66.
Nello stesso anno, il 16 luglio un decreto della Santa Sede rendevano esecutive
le disposizioni della Congregazione dei Riti per le quali il Cantore e l’Arciprete
60 Ivi, Pergamene, n. 111.
61 iBiDeM.
62 Si ricorda di lui, certamente, la fondazione 2 giugno 1643 di una Casa Pia o altrimenti chiamato Conservatorio
delle donne, sotto il titolo di Visitazione della Beata Maria Vergine con la regola di San Francesco di Paola. Ivi,
Pergamene, n. 237.
63 Giulio Antonio Santoro, Dottore in Utroque e fratello dell’Arcivescovo Paolo Emilio Santoro, fu preposto alla
Chiesa di Cosenza il 29 gennaio 1624 e consacrato a Roma nella chiesa di Santa Lucia il 4 febbraio dal Card. Millini.
Ebbe il pallio il 12 febbraio. Con bolla del 20 marzo, il Pontefice gli confermò la fondazione del monastero della
SS. Trinità, sotto la regola di S. Benedetto, eretto dai fratelli BuonAngelo e Francesco Ricciardi di Cosenza. Il 6
giugno concesse ai Teatini la chiesa dei SS. Leonardo e Nicola e nel 1625 confermò l’erezione del monastero di
Santa Maria della Pietà. Nel 1627 fu fatto Visitatore Apostolico di tutti i Collegi di Roma e nel 1630 gli fu concesse
il privilegio di poter celebrare la messa a capo coperto, perché soggetto a distillazioni di umori di cranio (Pro Iulio
archiepiscopo Cusentino, distillationibus capitis obnoxio, indultum celebrandi missam capite berrettino tecto). Morì
il 28 ottobre 1638 e fu sepolto nella Cattedrale. Di lui resta un Sinodo diocesano celebrato nel 1627. Cfr. F. RuSSo,
Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, pp. 496-499. Per il Sinodo cfr. V.A. tuCCi, Il sinodo di mons. Giulio Antonio
Santoro 1627, in «Rivista Storica Calabrese», 2019, n. 1, pp. 127-142.
64 Figlio di Giacomo e di Angela Conti, nacque a Milano nel 1590. Dottore in Utroque, nel 1627 fu fatto Vicario
della Basilica di Santa Maria Maggiore, quindi Votante della Segnatura e Consultore del S. Uffizio. Il 2 agosto del
1634 fu nominato vescovo di Isola e destinato Nunzio Apostolico a Colonia e nella Germania meridionale. L’11
aprile 1639 fu trasferito a Cosenza e il 15 novembre fu annoverato tra i vescovi Assistenti al Soglio. Prese possesso
della sua Chiesa, per procura, il 10 giugno 1640 e il 10 settembre gli fu assegnato il pallio. Venuto personalmente
nel marzo del 1641 nei primi di agosto morì e fu sepolto nella Cattedrale. Diverse fonti richiamano l’assenza del
Vescovo come, ad esempio la processione di Grazia per essere la città rimasta immune dal terremoto. Fu chiesto
alla S. Congregazione dei Riti se, la reliquia doveva essere portata solo dalla 1° Dignità capitolare oppure da tutte le
Dignità a turno. La risposta del 29 aprile 1641, indicava come Semper ad primam Dignitatem in eam praeposito, et
ea impedita ad secundam ordine successivo. M. BoRRetti, La Cattedrale di Cosenza. Monografia storica-artistica,
V. Serafino, Cosenza 1933, p. 57. iBiDeM, pp. 499-500.
65 Nato a Napoli tra il 1615 e il 1616 da Flaminio, barone di Mirabello, e da Lucia Tommasini, fu ordinato sacerdote
il 25 maggio 1649. Divenne prima governatore di Perugia e poi Arcivescovo di Cosenza il 22 agosto 1650. Il 19
settembre gli fu concesso il pallio e il 16 ottobre consacrato. Dopo appena un anno in fu inviato Nunzio Apostolico
a Colonia lasciando il governo della Chiesa al Vicario Giuseppe De Buono, al quale successe poi Antonio Tango.
Nel 1658 ottenne l’approvazione papale all’alienazione di alcuni beni ecclesiastici per il Capitolo cosentino. Il
20 novembre di quell’anno morì nel convento dei Domenicani di Rogliano. Trasferito a Cosenza dopo le esequie
solenni, fu sepolto in Cattedrale. iBiDeM, 504-507.
66 ASDCS, Archivio Capitolare, Deliberazioni, 1639.

158
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

dovevano scegliere coloro che avrebbero cantato l’Epistola e il Vangelo nelle


messe solenni, ma nello stesso tempo ribadiva che solo al Decano e non al Cantore
appartenevano le prerogative nel Coro, sia nell’ordinare l’inizio dell’Officio e sia
l’uscita dal Coro67. Infine, il 2 febbraio 1649 con la morte dell’Arcivescovo Morelli
si elesse il 4 febbraio Vicario Capitolare Diego Morelli; anche il 15 di marzo in una
lettera la Congregazione dei Riti scriveva circa l’elezione del Vicario Capitolare. Il
19 luglio 1659 dietro richiesta del Capitolo Cosentino, sempre la Congregazione dei
Riti, dichiarò Canonicus in choro adsistentes ad confessionem debere stare, reliquos
vero inferiores genuflectere, Consuetudinem vero ut canonici celebrantes vel alias
officium peragentes penes sedem et non apud altare thus in thurabulo imponent et
aspersionis officium pariter peragentes non ante altare sed prope sedem preces et
orationem cantent, omnino ab Ecclesiae Consentinae praxi recovandam fore68. Il
23 luglio 1644, il Capitolo Cattedrale69 faceva rogare un atto allo scopo di porre
fine ad alcuni abusi perpetrati all’interno del capitolo riguardanti atti ufficiali firmati
con sigillo; ad esempio si chiedeva di rifare nuovamente il sigillo e «di non esser
consegnato a nessuno perché ponno servirsene cose aliene dal vero», conservandolo in
una cassa con tre chiavi, né «si devono avere altri sigilli né carte bianche già sigillate».
Il Capitolo chiedeva inoltre un monitoraggio di tutte le sentenze sia della Mensa
arcivescovile e sia di quella capitolare; in particolare, la Platea «seu Matricola fatta
400 anni», dovendosi conservare in una cassa. Si supplicava in sostanza di far aprire la
cassa davanti all’arcivescovo e farne il monitoraggio in quanto «dubitando di essersi
disperse le scritture predette»; si lamentava che i camerari pro tempore non avessero
commesso irregolarità nella rendicontazione amministrativa; pertanto, «supplicano
perciò V.S. Ill.ma ordinare a detti Camerarii et amminsitratori da diece anni in qua
sotto pena di scomunica latae sententiae reserbata ut supra, che non havendo dato il
conto lo diano fra il termine parerà all’Ill.ma alli deputanti del capitolo in presenza
però di vostra S.Ill.ma et havendolo fatto presentino le significatorie seu liberatorii e
paghino la quantità». Si supplicava anche che ogni lettera o fede con sigillo doveva
essere approvato «capitolarmente e si registrerà prima in un libro» inserendo data e
si doveva conservare in una cassa con tre chiavi. Infine, tutto il denaro non investito
doveva conservarsi in una cassa e si supplicava l’arcivescovo di farne inventario alla
sua presenza. La partecipazione del Capitolo Cattedrale alla processione dei defunti
era antica consuetudine; già nel XVI secolo si fa riferimento a un accordo del 22
gennaio 1514, tra il Capitolo Cosentino e i frati dell’Ordine dei Minori Osservanti
di Cosenza, Dipignano e San Lucido, aveva diramato le liti circa la riscossione e
il pagamento della quarta della cera e dei lasciti dei defunti, il Convento di San
Francesco di Cosenza avrebbe pagato al Capitolo la quarta sulla cera dei defunti ivi
sepolti, nonché la quarta sui legati a favore di detto Convento eccedenti la somma
di trenta carlini e sulla sola eccedenza di detta somma: il Convento di Dipignano
dovrà pagare al parroco la quarta della cera e la quarta dei legati dei soli forestieri; il
Convento di San Lucido dovrà pagare al parroco la sola quarta della cera. Le stesse
67 ivi, Pergamene, n. 231.
68 F. RuSSo, Storia dell’Archidiocesi di Cosenza, cit. p. 506.
69 ASCS, not . Mer cur io Cacciol a, 1644, ff. 131r -133v.

159
Vincenzo Antonio Tucci

norme stabilite per il Convento di Dipignano dovranno anche valere per altri nuovi
Conventi francescani che potessero in futuro sorgere nella Diocesi di Cosenza70.
Alla fine del XVII secolo erano molte le vertenze ancora determinate da continue
interferenze di altre istituzioni ecclesiastiche e non; una vertenze del 1693 di Francesco
Curto e Gaetano Franco, comunieri del Capitolo, lamentavano l’intervento della
Confraternita della parrocchia di San Nicola: «il Priore e Confrati d’essi hanno preteso
e pretendono contro il solito oltre li Confrati che portano la lettica sopra la quale posa
il cadavere di due altri che alla parte di detta lettica portano le intorcie» e si pretendeva
anche la presenza di altri confratelli senza “officio alcuno”71. La risposta fu alquanto
precisa e immediata, evidenziando come, sotto scomunica ipso facto, di non incedere
ad funeralia a latere cadaveris, se illi tantum accedant, qui esportant, sive baiulant
cadavera in esecuzione di un decreto della Santa Sede del 27 settembre 160172.
Altra controversia per la sepoltura dei defunti è evidenziata in una supplica nella quale
il sindaco e l’eletto del popolo di Cosenza espongono, che nonostante i dispacci con i
quali si ordinavano che le esequie dei defunti «si celebrassero a piacere e disposizione
delle parti con quei corpi o membri ecclesiastici, che meglio stimano, senza che
li si possa recare impedimento o contraddizzione dalle chiese tumulanti», alcuni
ordini regolari impedivano le esequie con l’intervento del Capitolo, «sicome anche
ab imemorabili si è sempre pratticato in tutte le chiese anche di quei regolari, che
oggi contro l’antico solito l’anno impedito» e supplicavano il Re ordinare, laddove
richiesta, la partecipazione del Capitolo73. A corollario delle frizioni politiche74 tra le
diverse componenti della Chiesa un decreto di Gennaro Sanfelice del 30 luglio 1681
intimava ai parroci e ai Regolari qualsiasi sepoltura senza l’accordo del Camerario
del Capitolo; in quanto accadeva che molte sepolture avvenivano gratuitamente
«sotto pretesto d’esser quelli poveri, senza carcarsi la debita licenza al sudetto
Reverendo Camerario»75; l’Arcivescovo confermava così lo ius del Capitolo che
prevedeva l’assenso e l’accordo con il Camerario circa la gratuità della sepoltura.
Tuttavia, la vexata quaestio si protrasse fino all’inizio del Settecento, per risolversi
70 ivi, Pergamene, n. 32.
71 Il documento riporta l’episodio relativo alla sepoltura di un certo Francesco Andreotta sepolto nella Chiesa di San
Nicola, nel quale i confratelli durante le esequie per «disturbar la detta Processione attentorno ancora parte di essi
d’andare oltre di quelli necessari per portar la detta lettica e le due intoricie attorno a detto cadavere, perche non fu
permesso dalli detti edomadarii li detti confrati con immodestia parlando mala alli detti con scaldali del publico [..]
e spezzorno in più pezzi le intorcie che avevano portato». ASDCS, Controversie, 1693.
72 Il 27 settembre 1601fu emesso un monitorio nel quale si ingiungeva alle Confraternite di Cosenza e in particolar
modo a quella di San Leonardo di non prendere posto, negli accompagnamenti funebri avanti o dietro o ai lati dei
defunti. ivi, Pergamene, n. 121.
73 ivi, Archivio Capitolare, Controversie, 1680.
74 Precedentemente anche per altri motivi c’erano state frizioni tra il Capitolo e gli amministratori cittadini. Il 4
febbraio 1625 con breve di papa Urbano VIII si autorizzava l’approvazione dell’accordo intervenuto tra il Capitolo
Cosentino e gli Amministratori della Città di Cosenza, in forza del quale si era convenuto che gli ecclesiastici di
Cosenza avrebbero cumulativamente pagato alla Città la somma annua di centocinquanta ducati per la gabella de la
grascia, dalla quale avrebbero dovuti esserne esenti. Già in una delibera del 19 marzo 1622 si nominava un deputato
per stipulare con la città sulla grassa che si pagava in 300 ducati annui. Tuttavia il 12 dicembre 1646 sempre con
breve di papa Innocenzo XIV, diretto ai Vescovi di Martirano, di San Marco e di Nicastro, si rimetteva la lite tra il
Capitolo e il Clero di Cosenza e gli amministratori di Cosenza in merito al pagamento della gabella della grascia da
cui gli ecclesiastici ne pretendevano l’esenzione. iBiDeM, n. 192; 244.
75 Era prevista la carcerazione per i parroci fino a sei mesi e l’interdizione delle chiese per i Regolari. ivi,
Controversie 1681.

160
Arcivescovi e Capitolo della Cattedrale...

definitivamente nel 172176.

76 In un monitorio del 1 luglio 1719 della Camera Apostolica si ingiungeva a tutte le Confraternite di Cosenza e in
particolare alla Confraternita della Morte di non avere diritto alla precedenza nel funerale, nella stola e in tutti gli
emolumenti spettanti nella tumulazione dei cadaveri e nel diritto di tenere le chiavi della Cappella a cui è assegnata
la Confraternita della Morte nella Cattedrale di Cosenza il decreto fu riconfermato il 22 giugno 1720 con lo stabilirne
la piena osservanza e vietava ai confratelli di incedere ai lati del cadavere, ma posizionarsi davanti al Clero. Solo
il 10 ottobre 1721 si stabilirono le prerogative, i diritti e gli obblighi spettanti alle Confraternite secondo le antiche
tradizioni e consuetudini, rispettivamente al Capitolo Cosentino, quale parroco titolare della Chiesa Metropolitana
di Cosenza e al suo Vicario Perpetuo. ivi, Pergamene, nn. 287, 288, 289.

161

Potrebbero piacerti anche