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Introduzione

1. Definizione e denominazione

Il diritto ecclesiastico è un settore dell’ordinamento giuridico del diritto pubblico. Riguarda il


fenomeno religioso nella sua dimensione sociale.
È costituito da norme positive che regolano il fatto religioso a livello individuale, collettivo e
istituzionale, proteggendone la specificità nella rilevanza giuridica e impedendone la discriminazione.
I fenomeni di non-credenza e pluralismo portano il diritto ecclesiastico a comprendere sia la credenza
che la non-credenza.

2. Ecclesiastico e religioso

L’ecclesiasticità non è data dalla fonte della norma, ma dal suo contenuto.
Ecclesiastico concerne vita e attività delle Chiese, soprattutto nei loro rapporti con altre Chiese e con
lo Stato.
Religioso riguarda i gruppi confessionali e gli individui.

3. Fattore religioso e diritto

Sebbene il fatto religioso sia trascendentale e faccia riferimento all’interiorità dell’uomo, alcune sue
manifestazioni possono assumere rilevanza giuridica, ad esempio il matrimonio. Le dimensioni sociale,
istituzionale e comunitaria sono le più rilevante per il diritto.

4. Natura del diritto ecclesiastico

Il contenuto del diritto ecclesiastico è definito dalla sua connotazione pubblicistica. Si distingue dagli
ordinamenti confessionali, le cui norme sono rilevanti solo se citati espressamente attraverso il rinvio
materiale o la presupposizione.

5. Tradizioni nazionali

Il diritto ecclesiastico è fortemente legato alle tradizioni nazionali. Modalità dei rapporti:
- principio di unione: teocrazia, cesaropapismo;
- principio di separazione: lo Stato non riconosce rilevanza alle confessioni se non come associazioni
private;
- principio di coordinazione: i rapporti sono disciplinati da accordi tra istituzioni.

6. Diritto ecclesiastico e le altre discipline giuridiche

Le norme di diritto ecclesiastico sono presenti nella Costituzione, nel codice civile, nel codice penale, nel
codice di procedura civile e penale, nelle leggi amministrative, finanziarie e concernenti il diritto del
lavoro e commerciale. È pertanto una disciplina trasversale.
- diritto costituzionale: il diritto ecclesiastico è considerato un ramo del diritto pubblico, in quanto i
principi fondamentali che lo ispirano riguardano lo Stato nei confronti del religioso;
- diritto amministrativo: la Chiesa rientra nell’organizzazione statale e i ministri di culto godono di uno
status di diritto pubblico funzionali per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini;
- diritto penale: tutela anche la libertà religiosa;
- diritto civile: rilevanza di alcuni concetti quali capacità giuridica, capacità di agire, persona giuridica,
regime degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, matrimonio civile, proprietà, regime dei contratti e
diritto successorio.

7. Problemi metodologici

L’interpretazione legislativa del diritto ecclesiastico non può prescindere dai suoi aspetti storici e
dogmatici, dando vita a problemi metodologici, così come il dover far spesso riferimento a fattori
immateriali. Risulta il meno influenzato dal dogmatismo, favorendo un approccio filosofico-storico. È
necessario un continuo ricorso ai principi generali di altre scienze giuridiche.

Approfondimenti

Connotazione pubblicista

La dottrina tradizionale riconduce il diritto ecclesiastico al ramo pubblico. Fattori:


- ragioni di carattere sistematico, in quanto il suo contenuto e la natura costituzionale e internazionale lo
fanno ricondurre al diritto pubblico;
- legislazioni costituzionali e internazionali sono sempre di diritto pubblico;
- politicizzazione dei rapporti Stato-Chiesa.

Concordati

Convenzioni internazionali tra Santa Sede (soggetto di diritto internazionale) e singoli Stati. Diventano
vincolanti per i cittadini solo una volta che vengono attuate con leggi di esecuzione emanate dallo Stato.

Intese

Accordi tra rappresentanti di una confessione e lo Stato su questioni che interessano entrambi. Si
differenziano dai concordati in quanto solo nazionali, non internazionali. Su di esse, si basa l’art. 8 della
Costituzione (legge di approvazione che disciplina i culti acattolici).

IRPEF

Imposta sul Reddito PErsone Fisiche. Imposta che va pagata da ogni individuo che generi reddito.

Diritto canonico

Insieme di norme giuridiche formulate dalla Chiesa cattolica riguardanti i fedeli, le relazioni
interecclesiastiche ed esterne.

Rinvio materiale o recettizio

Avviene quando una norma nell’ordinamento interno richiede l’applicazione di una norma appartenente
a un altro ordinamento e viene applicata nello Stato. Può essere formale (lo Stato rinvia la norma alla
norma di un altro ordinamento, constatandone i criteri per la differenziazione) o materiale (la norma è
rinviata a un altro ordinamento per farne proprio il contenuto).

Presupposizione

Per interpretare o applicare una norma è necessario il riferimento a una norma di ordinamento
straniero.

Profilo storico schematico

1. Excursus delle relazioni Stato-Chiesa e formazione del diritto ecclesiastico

62-64 d.C.: Nerone incolpa i cristiani dell’incendio a Roma;


200-203 d.C.: Settimio Severo vieta battesimo e crocifissione ebrea;
235-239: Massimino reprime clero ed esponenti cristiani;
249-259: Editto di Decio per reprimere il cristianesimo;
297-311: Galerio e Deocleziano perseguitano i cristiani;
311: editto che termina le persecuzioni;
313: editto di Milano, cristianesimo religio licita e privilegi per i cristiani;
380: editto di Tessalonica, cristianesimo religione di Stato, persecuzione del paganesimo e fusione
religione e politica;
800: Leone III incorona Carlo Magno; Chiesa detta principi, Stato li fa applicare, ma la Chiesa è
sottomessa allo Stato (papa approvato dall’imperatore);
1122: concordato di Worms.
1302: bolla Unam Santam (Bonifacio VIII), potere temporale suddito di quello spirituale. Vi si oppone
Filippo il Bello, supportato dagli stati generali e dal clero e laicato di Francia, che sconfigge il papa;
1517: 95 tesi di Lutero, nasce il protestantesimo e si spezza l’unità della Chiesa;
1555: pace augusta;
1648: pace di Westfalia. Enrico VIII fonda la Chiesa anglicana;
La Chiesa utilizza il sistema giurisdizionalista per conservare la propria autorità nei territori cattolici. È
composto da diversi diritti maiestatici: ius advocatie (difesa da apostasie), ius reformandi (intervento
in caso di riforme degli usi ecclesiastici), ius cavendi (guardarsi da attività anti-statali), ius nominandi
(nomine ecclesiastiche dipendenti dal sovrano), ius supremae inspectionis (prelievi fiscali e controlli) e
ius appellationis (ricorso al sovrano contro la Chiesa).
1789: rivoluzione francese, Francia utilizza ora un modello separatista.

2. Italia dall’800 a oggi

Stati preunitari

Regno di Sardegna: confessionista, Chiesa privilegiata, molti settori disciplinati da diritto canonico;
Lombardia, Venezia, Trentino: parte dell’impero austriaco, giurisdizionalista (giuseppinismo);
Granducato di Toscana, ducati di Modena e Parma: giurisdizionalismo;
Stato pontificio: fonte pricipale è il diritto canonico;
Regno delle due Sicilie: giurisdizionalista, Chiesa sotto controllo.

Evoluzione legislativa

Si concentra in 3 periodi:
- periodo liberale: giurisdizionalista;
- patti lateranensi: rapporti Stato-Chiesa ritenuti internazionali, riconosciuti come ordinamenti
giuridici primari;
- nascita della Costituzione repubblicana e riconferma dei patti: contrattazione bilaterale.

Periodo liberale

Con l’unità d’Italia, la legislazione sarda si estende a tutto il Regno, abrogando le legislazioni ex-statali
e la perdita del giurisdizionalismo.
Art.1 del 1837: cattolicesimo religione di Stato.
Art. 2: il re deve proteggere la Chiesa e i magistrati devono mantenere il rapporto tra Chiesa e Stato.
Art. 3: altri culti tollerati.
1848: emanazione della lettera patente sul godimento dei diritti civili e politici dei valdesi e
conseguimento dei gradi accademici, a cui seguirà il regio biglietto sull’assegno a favore dei valdesi
per il loro culto e la costituzione della Chiesa evangelica valdese.

Statuto Albertino

Statuto fondamentale del Regno, risalente al 4 marzo 1848. Riconferma alcune disposizioni del regno
sardo, fra cui il confessionismo. Il tollerare gli altri culti viene ripreso dal trattato lateranense e dal
concordato lateranense, ma sarà abbandonato nel 1984.
Art. 28: la stampa è libera, ma la stampa di materiale ecclesiastico (bibbie, catechismi, ecc) necessita il
permesso del vescovo.
Art. 33: il re nomina i senatori scegliendoli tra arcivescovi e vescovi dello Stato.
Art. 24: tutti, salvo eccezioni, godono di diritti civili e politici. Questo potrebbe escludere chi non
professa il cristianesimo cattolico.
Leggi anticlericali e fine del confessionismo

19 giugno 1848, legge 735: uguaglianza dei cittadini indipendentemente dalla religione.
25 agosto 1848, legge 777: esclude dagli Stati sardi la Compagnia di Gesù e vieta le case di
corporazione delle Dame del Sacro Cuore. Segna l’inizio di una legislazione eversiva rispetto al dato
ecclesiastico e ai suoi enti. Con l’unione, viene posta la questione romana al centro, che comportava
la repressione del potere temporale della Chiesa e determina il suo contrasto con lo Stato,
interrompendo l’attività concordataria che aveva caratterizzato la Restaurazione. Vengono
promulgate leggi eversive, l’ultima delle quali risale al 1871. Le più importanti:
- 1855: soppressione di alcuni ordini religiosi, quota annua per enti morali ecclesiastici;
- regio decreto 1866: soppressione delle case religiose in tutto il regno;
- 1865: secolarizzazione del matrimonio (matrimonio civile);
- 1867: soppressione enti ecclesiastici e liquidazione dell’asse ecclesiastico.

Legge delle guarentigie

13 maggio 1871: riguarda le prerogative del Sommo Pontefice, della Santa Sede e delle loro relazioni
con lo Stato.
Prerogative: protezione e onori pari a quelli regali. Attribuiscono una rendita annuale al papa e il
possesso dei palazzi vaticani e lateranensi, della villa di Castel Gandolfo con tutte le sue attinenze e
dipendenze, tutti esenti da tasse e da espropriazioni per l’utilità pubblica.
Relazioni Stato-Chiesa: abolisce ogni restrizione del diritto di riunione del clero cattolico e il
giuramento dei vescovi al re.
Questa legge non fu mai accettata dal papa, che ruppe i rapporti con il re d’Italia.
La legge delle guarentigie costituisce l’ultimo e più importante esempio di legislazione bilaterale a
carattere unilaterale.

Periodo dei patti lateranensi

Cercando una soluzione alla questione romana, la Chiesa cercò il dialogo con il partito fascista, che
costituiva la maggioranza poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Tra il 1923 e il 1929 si
abbandona progressivamente il principio separatista. Si reintegrano le più importanti festività
religiose fra quelle civili, si dettano nuove norme sull’esposizione del crocifisso nelle aule, si concede
riconoscimento giuridico all’Università Cattolica del Sacro Cuore, si riorganizza l’assistenza spirituale
nell’esercito, si emanano provvedimenti economici a favore del clero, si dispongono norme penali e
di pubblica sicurezza a tutela del cattolicesimo.
11 febbraio 1929: stipulazione dei patti lateranensi, anche chiamati “conciliazione tra Stato e Chiesa in
Italia”, costituiti da:
- un trattato tra Italia e Santa Sede;
- 4 allegati per determinare il territorio della città del Vaticano, gli immobili extraterritoriali, quelli
esenti da espropriazioni e tributi, e una convenzione finanziaria;
- un concordato.
I patti diventano esecutivi con la legge 27 maggio 1929 n. 810.
Segue una legge riguardante il matrimonio (n. 847) e una riguardante l’amministrazione degli enti
ecclesiastici e destinati al culto (n. 848).
La legge 24 giugno 1929 n. 1159, seguita dal regolamento di attuazione 30 febbraio 1930 n.289,
stabilisce la libertà di culto sia pubblico che privato, entro il buon costume, l’ordine pubblico e la
discussione religiosa. È ancora vigente per le confessioni mancanti di intesa.

Patti lateranensi

Sono ancora in vigore il trattato e i relativi allegati, mentre il concordato è stato modificato nel 1984.
Sanciscono il passaggio dal giurisdizionalismo unilaterale alla contrattazione bilaterale recepita dalla
costituzione repubblicana.
L’art.1 del trattato riprende lo Statuto Albertino (cristianesimo cattolico religione di Stato), ma non si
riconfessionalizza lo Stato, in quanto la Chiesa è limitata dai limiti dettati dal concordato. Viene inoltre
riconosciuta la sovranità della Santa Sede in campo internazionale, la creazione della Città del
Vaticano, il regime giuridico di piazza San Pietro (aperta al pubblico e soggetta alla polizia italiana),
alla sacralità e inviolabilità della persona papale, alla cittadinanza vaticana per chiunque vi risiedesse,
al riconoscimento del diritto di legislazione attivo e passivo secondo il diritto interazionale, alle
immunità diplomatiche, all’assegnazione di immobili alla Santa Sede, all’esenzione dai tributi.
Art. 24: Santa Sede estranea alle competizioni temporali fra Stati salvo l’appello alla missione di pace,
per cui la Città del Vaticano è sempre neutrale.
Art. 26: sancisce la fine della questione romana e riconosce il Regno d’Italia sottostante i Savoia e
Roma come sua capitale.
Il concordato conteneva norme riguardo le persone ecclesiastiche in Italia, le festività religiose
riconosciute dallo Stato, la nomina di vescovi e arcivescovi e l’obbligo della comunicazione di tale
elezione dalla Santa Sede allo Stato Italiano. Si approvava la condonazione dei patrimoni ecclesiastici
sottratti a seguito delle leggi eversive, si vietava l’attività politica al clero, e si riconosceva civilmente il
matrimonio religioso.
Il trattato assicura la libertà e l’indipendenza del papa nel mondo, il concordato regola le condizioni
del cattolicesimo in Italia.
Il trattato termina la questione romana e genera lo Stato Città del Vaticano, il concordato organizza la
Chiesa in Italia.
Il trattato è diritto internazionale, il concordato diritto interno.
I due si completano a vicenda. Insieme si sostengono, e insieme cadrebbero.
Protocollo: lo Stato riconosce gli effetti civili al sacramento del matrimonio e riserva al tribunale
ecclesiastico le cause di nullità e la dispensa di matrimonio rato non consumato. La legge del 24
giugno 1929 n.1159, regolamento di attuazione 28 febbraio 1930 n.289, stabilisce la libertà di culto
entro i limiti del buon costume. Legge Sineo: la differenza di culto non pone differenze nel godimento
dei diritti civili e militari. Il matrimonio acattolico ha effetti civili quando l’ufficiale dello Stato civile
rilascia l’autorizzazione scritta con indicazione del ministro del culto dinanzi al quale deve avvenire il
matrimonio.
Con la stipulazione dei patti, il diritto ecclesiastico perde il carattere laico e si avvia verso quello
canonico.

3. Il periodo costituzionale

1948: entra in vigore la costituzione. Si riconfermano i patti, si afferma il diritto ecclesiastico basato su
uguaglianza e libertà, si legittima la contrattazione bilaterale con le confessioni acattoliche. Manca la
religione di Stato e si intuisce la sua laicità (non espressamente affermata).

Norme costituzionali e norme pattizie

Alcune norme pattizie possono entrare in contrasto con quelle costituzionali. La carta separa Stato e
Chiesa, afferma la libertà di confessione e tratta ugualmente i cittadini indipendentemente dalla
religione. La fine del confessionismo statale può farsi risalire al 1948 con la costituzione.
1968: commissione di rappresentanti dello Stato (poi mista Stato-Chiesa) che apporta modifiche al
concordato, da sostanziarsi a villa madama. Le novità:
- neutralità e laicità dello Stato;
- enti ecclesiastici e impegni finanziari dello Stato;
- matrimonio;
- istruzione religiosa.
La dottrina si divideva tra chi voleva abrogare i patti e chi voleva revisionarli. I primi richiedevano un
nuovo modello di rapporto Stato-Chiesa, gli altri che fosse necessario solo riformare il concordato. Si
aggiunge chi (es. Jemolo) intendeva abrogare solo le norme incompatibili. Si affermò l’atteggiamento
revisionista, che diede vita agli accordi di Villa Madama del 1984. Il trattato resta immutato.
Nel 1984 si risolve la diatriba sul confessionismo con il protocollo Addizionale all’Accorso del 1984,
con esecuzione con la legge 24 marzo 1985 n.121, che segna esplicitamente la fine del
confessionismo. Non si considera più in vigore quel principio. Non si rileva una funzione abrogativa,
ma riconoscitiva.
Con una tardiva esecuzione dell’art.8, inizia la contrattazione bilaterale con confessioni acattoliche. Ad
oggi, si hanno intese con la tavola valdese, l’unione delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, le
assemblee di Dio in Italia, unione delle comunità ebraiche in Italia, unione cristiana evangelica battista
d’Italia, e la Chiesa luterana in Italia. Per chi non ha intese, vige la legge sui culti ammessi.

Giurisdizionalista

Il giurisdizionalismo è una corrente filosofico-politica sorta nel XV secolo che vede lo Stato
assoggettare la Chiesa per proteggerla e richiederne imposizioni fiscali e beni.

Leggi eversive

Leggi che applicano una politica restrittiva alla Chiesa, presente soprattutto alla nascita del regno
d’Italia.

Legge delle guarentigie

Legge n.214 31 marzo 1871, tenta vanamente di risolvere la questione romana (indipendenza di Roma
e papa dal Regno d’Italia) garantendo rendite, immunità e privilegi al Sommo Pontefice.

Exequatur e placet regio

Ingerenza dello Stato negli affari ecclesiali.


Exequatur: forma di approvazione della nomina degli ecclesiastici ai benefici maggiori.
Placet regio: soggezione al placet degli Atti della Santa Sede o degli ordinari diocesani riguardo la
provvista di canonicati delle parrocchie e altri benefici minori.

Effetti civili al matrimonio religioso

Trattasi del matrimonio concordatario. Art.34 del concordato 1929 riconosceva gli effetti civili al
matrimonio canonico in seguito alla sua trascrizione nei registri dello stato civile. La nullità è riservata
al tribunale ecclesiastico. 1984: tribunale ecclesiastico non più esclusivo, giudice ordinario può ora
dichiarare anch’egli la nullità.

Legge Sineo

Legge n.735 del 19 giugno 1848: la differenza di culto non forma eccezione al godimento di diritti civili
e politici, né all’ammissibilità alle cariche civili e militari.

Laicità dello Stato

Il nuovo concordato ristabilisce la laicità dello Stato al fine di garantire la libertà religiosa. Il principio
della laicità vincola lo Stato a proteggere l’interesse religioso dei cittadini.

Fonti del diritto ecclesiastico

Le fonti di diritto consistono nel fatto o nell’atto che produce le leggi.


Le leggi e norme di diritto ecclesiastico sono da considerarsi in vigore qualora non apertamente
abrogate. Il diritto ecclesiastico non coincide con il diritto concordatario, in quanto esprime il ruolo
unilaterale della legislazione italiana e permette di fare riferimento a tutto lo svolgimento legislativo
italiano.

Classificazione delle fonti

Fonti unilaterali statali: costituzione e leggi costituzionali e di revisione costituzionale, leggi ordinarie,
altri atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), referendum abrogativi e regolamenti.
Includono la costituzione repubblicana (art. 2, 3, 7, 8, 19, 20, 29, 30, 31, 32, 33, 34), legge 1159/1929
sui culti ammessi, codice civile, penale e di procedura per le norme relative alla libertà religiosa e di
coscienza, leggi riguardo l’obiezione di coscienza, sui servizi di assistenza spirituale, ONLUS,
sull’assistenza, sulla parità scolastica, sullo stato giuridico dei docenti, sugli oratori.

Fonti unilaterali confessionali: hanno valore solo nell’ordinamento confessionale e ne caratterizzano


la struttura fondamentale. Possono essere applicate dai giudici statali per risolvere determinate
controversie, quindi possono risultare come fonti di diritto proprio. In tal caso, la rilevanza delle
norme confessionali è mediata dal rinvio formale e dalla presupposizione in senso tecnico.
Rinvio formale: attribuisce efficacia civile al diritto confessionale senza assorbirlo al proprio interno
(Stato rinuncia a disciplinare una materia e ricorre all’ordinamento confessionale);
Presupposto in senso tecnico: l’ordinamento statale assume nel contenuto delle proprie norme,
qualificazioni e situazioni giuridiche individuate nell’ordinamento confessionale, rendendole oggetto
di un’autonoma considerazione normativa (legislatore statale dispone discrezionalmente di concetti e
qualificazioni confessionali per fare le proprie prescrizioni).

Fonti bilaterali: accordi o intese tra Stato e religioni. Per la Chiesa Cattolica, le principali sono
810/1929 esecuzione del trattato lateranense e 121/1985 ratifica ed esecuzione dell’accordo di
revisione del concordato.
Per le confessioni acattoliche, si fa riferimento alle leggi di approvazione delle intese.
Si tratta di fonti atipiche o rinforzate, in quanto, per modificarle, occorre la previa modifica
dell’accordo (sempre bilaterale) o che lo Stato modifichi le disposizioni costituzionali che le prevedono
(art. 7 e 8) tramite la revisione costituzionale.
La peculiarità delle fonti bilaterali si declina in maniera diversa per Chiesa cattolica e altre confessioni.
Per la CC, l’art. 7 non si limita a prevedere una generica regola pattizia ma ha prodotto diritto,
conferendo ai patti e all’accordo di revisione una copertura costituzionale, rendendole resistenti
all’abrogazione anche da parte di norme costituzionali. Si estende anche alla legge 121/1985
(esecutiva accordo revisione) secondo il suo principio di continuità con il concordato e della
bilateralità.
Per le altre confessioni, esse sono regolamentate dall’art. 8, che costituzionalizza il principio pattizio
che forma le leggi, non il loro contenuto.
Si distinguono due tipi di leggi:
- di esecuzione: immettono nell’ordinamento interno il contenuto di un accordo o concordato con la
Santa Sede secondo la natura di atti internazionali;
- leggi di approvazione: recepiscono il contenuto delle intese.
Intese subconcordatarie: art. 13 n.2 dell’accordo 1984: Stato e Chiesa possono ulteriormente
accordare qualora vi sia l’esigenza. La dottrina distingue tra intese paraconcordatarie (carattere
normativo in specifici settori) e intese procedimentali (procedure amministrative che consentono
all’autorità ecclesiastica di rappresentare bisogni e istanze in vista dell’emanazione di atti a contenuto
generale).

Fonti regionali: intese tra regioni e autorità ecclesiali in attuazione di specifiche norme dell’accordo.
La competenza regionale si considera in base a due criteri:
- la riserva dello Stato a disciplinare i rapporti con le confessioni (regioni escluse dall’area di diritto
ecclesiastico bilaterale);
- la ripartizione del potere legislativo e regolamentare tra Stato e regioni, che individua l’intervento
normativo di queste ultime nelle materie soggette a disciplina unilaterale statale.

Fonti giurisprudenziali: sentenze della corte costituzionale. Gli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della


costituzione implicano la non indifferenza e la tutela dello Stato verso il fatto religioso.

Fonti internazionali e comunitarie: Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (libertà religiosa);
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (libertà religiosa non
può essere limitata se non per legge causa sicurezza pubblica, ordine e salute), è rafforzata dalla corte
europea dei diritti dell’uomo;
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (vietate le leggi che incitano all’odio razziale,
nazionale e religioso).
L’unione europea lascia ai singoli Stati i rapporti con le confessioni religiose, ma alcuni organi
dell’unione hanno competenza diretta su materie e settori che potrebbero riguardare le confessioni.
Trattato di Amsterdam (1997): UE rispetta lo status dato dalle nazioni alle confessioni.
Stato e fattore religioso

1. Costituzione e fattore religioso

La costituzione attuale è rigida, dunque le sue norme sono stabili.


Le norme del diritto ecclesiastico non costituiscono un corpo unitario e non individuano il nucleo
essenziale della disciplina.
Le norme che riguardano direttamente il fattore religioso sono l’art. 3, 7, 8, 19 e 20.
Altre norme connesse sono quelle relative alla libertà di riunione, di associazione, di manifestazione
del pensiero, al matrimonio e famiglia, e all’educazione e istruzione.
Sono quasi tutte presenti tra i principi fondamentali della carta costituzionale, hanno la forza di
prevalere sulla legge ordinaria e integrano una serie di principi che fanno da presupposto a tutta la
norma attinente al fenomeno religioso e da criterio di interpretazione della stessa.

Favor religionis: la religione gode di particolare attenzione, sia essa individuale, collettiva, positiva o
negativa.
Rinvengono gli stessi principi che informano la costituzione: quello personalista (lo Stato è persona e
non viceversa) e quello pluralista (persona intesa come molteplicità di rapporti che danno vita a
formazioni sociali autonome, entro le quali si svolge la personalità dell’uomo). Fa riferimento a un
nuovo concetto di sovranità, intesa come funzionale alla signoria dell’uomo e alla sua libertà. Si
ammettono più sovranità esistenti sullo stesso popolo e territorio.
Il fatto religioso è più o meno estraneo all’ordine proprio dello Stato. Quest’ultimo può dunque
ignorarlo o riconoscerne la rilevanza giuridica, disciplinandone le norme di origine confessionale,
quelle definite bilateralmente con le confessioni e quelle unilaterali statali.

2. Favor religionis e confessionismo

Lo Stato italiano non è confessionista, ma laico e separatista (ordine civile separato dall’ordine proprio
di ogni religione). Non è ateo né agnostico, neppure laicista. La laicità intesa dalla corte costituzionale
implica la non indifferenza verso la religione e la garanzia alla salvaguardia di libertà e pluralismo
religiosi.
Sussiste una distinzione di ordini, non una separazione, con collaborazione Stato-Chiese. Trattasi di
laicità positiva.
Principio costituzionale di eguaglianza

Articolo 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, a prescindere anche dalla
religione. La Repubblica ha il compito di rimuovere esistenti ostacoli sociali ed economici che
impediscono lo sviluppo della persona umana e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.

1. Eguaglianza formale

Comma 1: garantisce a tutti pari opportunità di espressione delle proprie capacità. È violato quando,
senza giustificato motivo, situazioni identiche vengano trattate con disparità. Non sussiste violazione
qualora le situazioni fossero differenti.
Il divieto di discriminazione religiosa non va confuso con il diritto di libertà religiosa. L’ultimo è un
principio assoluto, il primo è relativo. Riferisce solo ai cittadini (non gli stranieri, di cui tratta l’art. 10).
Vieta di trattare in maniera giuridicamente differenziata gli enti.
Corte cost. Sentenza 293/1984: contrasto fra art. 3 e obbligo di appartenenza degli ebrei a comunità
israelitiche e relativa sottoposizione ad una peculiare disciplina giuridica quanto agli obblighi di
contribuzione;
Corte cost. Sentenza 108/1977: ritenuta illegittima la legge che prevede che i religiosi alle dipendenze
di enti ecclesiastici siano sottratti alle assicurazioni sociali obbligatorie;
Corte cost. Sentenza 14/1973: la differenziazione tra religione cattolica ed altre non viola l’art. 3 in
quanto corrispondente al desiderio religioso della maggioranza degli italiani (disposizioni oggi
modificate);
Corte cost. Sentenza 31/1971: la differenziazione giuridica a motivo di religione (es. Matrimonio
concordatario) non viola l’art. 3 in quanto consentita da altre norme costituzionali (art. 7 comma 2).

2. Eguaglianza sostanziale

Riguarda la rimozione degli ostacoli economici e sociali che impediscono lo sviluppo della persona.
Non contrasta il principio di laicità perché la laicità non impedisce i valori religiosi né un adattamento
dello Stato ad essi.
Stato e Chiesa cattolica

Articolo 7

Stato e Chiesa sono, ognuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti. I loro rapporti sono regolati
dai Patti Lateranensi, le cui modifiche vanno accettate da entrambe le parti e non richiedono il
procedimento di revisione costituzionale.

1. Indipendenza e sovranità

L’articolo recepisce 3 principi teoretici fondamentali dello jus publicum ecclesiasticum (diritto
canonico):
- qualificazione giuridica dell’ordinamento canonico (societas perfecta);
- libertas ecclesiae;
- bilateralità.
Per il primo principio, il primo comma evidenzia il fatto che la Chiesa abbia un ordinamento originario,
distinto e autonomo da quello statale.
Santi Romano: distingue le istituzioni perfette (originarie, possono essere semplici o complesse) e
imperfette (si basano su altre istituzioni). Le prime bastano a sé stesse e hanno la pienezza dei mezzi
per conseguire i propri scopi.
Secondo una tale definizione, la Chiesa è dunque una societas iuridice perfecta, in quanto originaria,
con fini autonomi, con i mezzi necessari, con una propria giurisdizione autonoma, primaria ed
unitaria, autonoma nel proprio campo e rispettivamente integra.
Il secondo principio afferma l’incompetenza dello Stato nella materia religiosa e spirituale. I contenuti
della libertas Ecclesiae consistono nella possibilità della Chiesa di predicare la fede, insegnare la sua
dottrina sociale, esercitare la sua missione e dare giudizio morale. La Chiesa è dunque libera di
reggersi su norme da essa stessa promulgate.
Il terzo principio riguarda l’autonomia di Stato e Chiesa e il principio di bilateralità che
contraddistingue i loro rapporti. Si presentano 3 principi di novità:
- parità giuridica di Stato e Chiesa;
- non confessionalità dello Stato;
- libertà religiosa.
Si esclude la subordinazione dello Stato alla Chiesa e si riconosce il principio di laicità dello Stato. Lo
Stato riconosce la libertà religiosa ai singoli e alle formazioni sociali.

2. Principio pattizio

Le relazioni Stato-Chiesa sono rette da norme riconducibili a un principio unitario assurto a principio
costituzionale: le relazioni vanno definite con il previo accorso con le confessioni interessate. Si
estende solo alle religioni caratterizzate da ecclesiasticità (rapportabili ad una confessione religiosa).
Per la Chiesa cattolica, il principio si attua mediante i Patti Lateranensi, qualificati come di diritto
internazionale, immessi nell’ordinamento italiano mediante una legge di esecuzione. Una loro
modifica può avvenire per via bilaterale tramite accordi da rendere esecutivi nell’ordinamento dello
Stato. In mancanza di accordo, lo Stato può ricorrere al procedimento di revisione costituzionale (art.
138), abrogando o modificando il secondo comma dell’art. 7.
La menzione diretta dei patti nella Costituzione porta a diverse teorie:
- la costituzionalizzazione dei patti: tutte le norme dei patti sono costituzionali e sarebbero anche
superiori alle altre norme costituzionali;
- la costituzionalizzazione del principio pattizio: non si può tornare al principio unilaterale, ma le
norme pattizie restano ordinarie;
- l’art. 7 ha innovato i patti da un punto di vista giuridico e ha prodotto diritto, ovvero le norme
pattizie non sono né speciali né ordinarie. Resistono alle norme costituzionali che non riguardino i suoi
principi supremi.
Le norme pattizie hanno una resistenza passiva all’abrogazione in via unilaterale statale pari a quelle
costituzionali.
L’accordo del 1984 gode di una simile protezione in quanto incluso nei patti.
Stato e confessioni acattoliche

Articolo 8

Tutte le confessioni sono uguali davanti alla legge. Quelle diverse dalla cattolica hanno diritto a
organizzarsi secondo i propri statuti se non in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. I rapporti
con esse sono regolati da intese avvenute con le rispettive rappresentanze.

1. Eguale libertà delle confessioni religiose

Le confessioni religiose sono comunità sociali stabili dotate o meno di organizzazione formale e aventi
una propria concezione del mondo basata sull’esistenza di un essere trascendente in rapporto con gli
uomini.
Il primo comma garantisce pari opportunità a tutte le religioni. Non concede, tuttavia, eguale
disciplina giuridica per tutte per garantire la diversità e l’identità di ognuna.

2. Disciplina delle confessioni acattoliche

Hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, affermando che lo Stato può riconoscere i loro
eventuali ordinamenti giuridici. Lo Stato non può dettarne la disciplina statuaria. Tali ordinamenti non
possono però andare contro l’ordinamento giuridico italiano. Questo darebbe vita a ordinamenti
secondari dipendenti da quello statuario.

3. Principio pattizio e confessioni acattoliche

Le intese hanno natura giuridica di negozi di diritto pubblico interno, necessitano di una legge di
approvazione e l’iniziativa legislativa spetta al Governo.
Lo Stato qualifica un gruppo religioso come confessione (diversa dall’associazione), stabilisce le
misure legislative e, eventualmente, conclude intese. Non riconosce come confessioni tutti i gruppi
idonei, né è obbligato a sottoscrivere intese con tutti. Il diritto all’intesa spetta solo a confessioni di
minoranza organizzate (gruppi con un preciso assetto istituzionale).
Le richieste di intesa vengono sottoposte al parere del Ministro dell’Interno, Direzione Generale Affari
dei Culti. L’avvio delle trattative spetta al Governo. Le confessioni interessate devono rivolgersi al
Presidente del Consiglio dei Ministri, che affida l’incarico di condurre le trattative al Sottosegretario o
al Segretario del Consiglio dei Ministri. Il Sottosegretario si avvale della Commissione Interministeriale
per le intese affinché essa predisponga una bozza unitamente alle Delegazioni delle confessioni
richiedenti. Sulla bozza, la Commissione consultiva per la libertà religiosa esprime il proprio parere
preliminare. Dopo la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal
rappresentante della confessione, sono sottoposte al Consiglio dei ministri ai fini di ottenere
l’autorizzazione da parte del Presidente del Consiglio. Dopo la firma sua e del Presidente della
confessione, le intese sono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione in legge. Durante il
dibattito, non è possibile presentare emendamenti che mutino il senso delle disposizioni concordate.
Una volta emanata la legge di approvazione, non può essere sospesa, modificata, abrogata o derogata
se non a seguito di ulteriori intese.
Per tutte le confessioni assenti di intesa, si applica la legge sui culti ammessi del 1929.

3.1 Tavola valdese

Legge 11 agosto 1984 n. 449.


In base alla legge sui culti ammessi del 1929, la Repubblica Italiana riconosce:
- autonomia e indipendenza dell’ordinamento valdese;
- le nomine dei ministri di culto;
- l’organizzazione ecclesiastica;
- la giurisdizione in materia ecclesiastica senza ingerenza statale.
La tavola valdese si sostiene da sola. La tutela penale in materia religiosa si realizza tramite la
protezione dell’esercizio dei diritti di libertà riconosciuti dalla Costituzione. La fede non necessita
tutela penale diretta.
Si tutelano i diritti dei militari valdesi e la loro assistenza spirituale, e si stabilisce che gli oneri finanziali
di tale assistenza siano da addebitarsi agli organi competenti. Ciò vale anche per ospedali, case di
cura, pensionati e istituti penitenziari.
La tavola rinuncia all’insegnamento di catechesi e dottrina nelle scuole pubbliche, assicurando però lo
studio della religione su richiesta degli studenti.
Viene confermata la personalità giuridica degli enti aventi fini di culto, istruzione e beneficenza. Sono
riconosciute le lauree e i diplomi rilasciati dalla facoltà degli studenti di usufruire del rinvio militare.
Ci si impegna a rivedere l’intesa 10 anni dopo l’entrata in vigore della legge, con la possibilità di
anticiparsi nel caso sia opportuno. Per questo, vi è stata l’integrazione 5 ottobre 1993 n. 409, con la
quale la tavola consente la deduzione agli effetti IRPEF di 200 milioni di lire, concorrendo con lo Stato
e altri enti che abbiano stipulato accordi analoghi alla ripartizione dell 8x1000.

3.2 Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno

Legge 22 novembre 1988 n.516.


Non richiede l’insegnamento della dottrina nelle scuole pubbliche e lo Stato garantisce agli avventisti
di non sottoporsi all’obbligo del servizio militare per essere assegnati al servizio sostitutivo civile.
Gli edifici aperti al pubblico non possono essere requisiti, espropriati o demoliti, salvo gravi ragioni e
accordo con l’Unione. Si riconosce il riposo sabbatico (tramonto venerdì-tramonto sabato) e il relativo
diritto di assentarsi da scuola, lavoro e la possibilità di sostenere esami in altri giorni. Si parla inoltre
della possibilità di usare strumenti radiotelevisivi per la propagazione della fede. Le Chiese avventiste
si sostengono con contributi volontari e consentono ai propri adepti la deduzione dal reddito ai fini di
IRPEF fino a 2 milioni e concorrono alla ripartizione dell’8x1000.

3.3 Assemblee di Dio in Italia

Legge 22 novembre 1988 n.517.


Molto simile all’intesa con l’unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno. Unica differenza è il
riferimento agli enti da riconoscere aventi finalità di culto. I loro statuti sono depositati presso il
Ministero dell’interno.

3.4 Unione delle comunità ebraiche italiane

Legge 8 marzo 1989 n.101.


Ribadisce la garanzia dei diritti costituzionali e la parità della tutela del sentimento religioso in sede
penale. Riconosce una serie di diritti legati al culto: il riposo sabbatico, le festività religiose, giurare a
capo coperto e macellazione rituale. Riconosce l’assistenza in ospedali, istituti penitenziari eccetera,
di non avvalersi dell’insegnamento della religione, e di istituire scuole di ogni ordine e grado.
Laurea rabbinica e diploma in cultura ebraica equiparati a titoli analoghi. Edifici di culto non
espropriabili, occupabili o demoliti senza previo accordo e in assenza di gravi cause. Consentita la
sepoltura in aree apposite e l’osservanza di rituali ebraici.
Le comunità ebraiche sono riconosciute come formazioni sociali originarie che provvedono al
soddisfacimento delle esigenze religiose degli ebrei, secondo legge e tradizione. Le comunità ebraiche
si sostentano con i contributi annuali dei propri aderenti, deducibili dal loro reddito fino al 10% e non
superiore a 7,5 milioni di lire. Le parti si impegnano a rivedere l’intesa dopo 10 anni dalla sua entrata
in vigore e si denuncia la legislazione pregressa.

3.5 Unione cristiana ed evangelica battista d’Italia e Chiesa evangelica luterana in Italia

Battista: legge 12 aprile 1995 n.116.


Luterana: legge 29 novembre 1995 n.520.
Il preambolo ne evidenzia il credo:
- il battesimo dei credenti e la pari responsabilità di essi dinanzi a Dio e nei reciproci rapporti
ecclesiali;
- il valore della Chiesa locale, quale autonoma assemblea di credenti in cui si esprime visibilmente la
Chiesa di Cristo;
- la non ingerenza reciproca tra Stato e Chiesa nel rispetto dell’ordinamento costituzionale dello Stato.
La fede evangelica è economicamente indipendente dallo Stato. Il resto dell’intesa ricalca le altre.
3.6 Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Esarcato per l’Europa meridionale

Legge 126/2012.
Garantisce libertà di religione istituzionale, individuale e collettiva. Riconosce ai ministri di culto il
libero esercizio del ministero. Assicura l’assistenza spirituale e il diritto di provvedere lo studio
dell’ortodossia per gli studenti che lo richiedessero. L’arcidiocesi ha diritto di istituire scuole di ogni
ordine e grado. Gli effetti civili dei matrimoni celebrati dinanzi a ministri di culto dell’arcidiocesi
italiani sono riconosciuti. Sono assicurate le festività con astensione lavorativa. Sono presenti norme
sugli enti ortodossi ed è garantita la ripartizione dell’8x1000.

3.7 Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (mormoni)

Legge 127/2012.
Garantisce libertà religiosa, esercizio di ministero ai ministri di culto identificati, assicura l’assistenza
spirituale a carico della Chiesa, lo studio della Chiesa mormone sostitutivo, il riconoscimento degli
effetti civili del matrimonio, la presenza di norme sugli enti. Non prevede la partecipazione all’8x1000
ma la deduzione dai contributi dei volontari. Invita a fare in modo che i piani cimiteriali prevedano
reparti speciali per i suoi fedeli.

3.8 Chiesa apostolica in Italia

Legge 128/2012.
Garantisce libertà religiosa, esercizio di ministero ai ministri di culto identificati, l’assistenza spirituale,
lo studio della Chiesa apostolica sostitutivo, l’istituzione di scuole, il riconoscimento dei titoli di studio
dei centri teologici apostolici, gli effetti civili dei matrimoni, il diritto di distribuzione di Bibbie in luoghi
pubblici e altri materiali senza oneri locali, presenti norme circa gli enti, garantita la partecipazione
8x1000.

3.9 Unione buddista italiana (UBI)

Legge 245/2012.
Garantisce libertà religiosa, esercizio di ministero ai ministri di culto identificati, assistenza spirituale,
studio facoltativo, istituzione di scuole, rispetto delle tradizioni riguardo le salme, partecipazione
all’8x1000.

3.10 Unione induista italiana

Legge 246/2012.
Garantisce libertà religiosa, esercizio di ministero, assistenza spirituale, studio facoltativo, istituzione
di scuole, effetti civili dei matrimoni, rispetto tradizioni salme, partecipazione all’8x1000.

3.11 Istituto italiano Soka Gakkai

Legge 130/2016.
Garantisce l’assistenza spirituale, studio facoltativo, istituzione di scuole, aree riservate nei cimiteri,
partecipazione 8x1000.

4. Diritto all’intesa

Tentativo di accesso all’intesa da parte dell’UAAR (unione atei, agnostici e razionalisti). Si tratta di
un’associazione non riconosciuta, costituita nel 1991, che richiese ricorso al tribunale amministrativo
regionale del Lazio, chiedendo l’annullamento della delibera del Consiglio dei Ministri del 27
novembre 2003, che rifiutava l’intesa in quanto l’ateismo non è considerabile una confessione
religiosa.
Il Consiglio di Stato riteneva che la scelta dell’avvio alle trattative avesse i tratti tipici della
discrezionalità valutativa come ponderazione di interessi: quello dell’associazione di ottenere l’intesa
e l’interesse pubblico alla selezione dei soggetti con cui avviare le trattative. La UAAR potrebbe essere
una confessione e l’avvio delle trattative è obbligatorio qualora il soggetto richiedente sia
qualificabile, sebbene il Governo abbia pur sempre il diritto di non rendere l’intesa legge, se non
proprio di non giungere all’intesa stessa. Il Presidente della commissione propose il ricorso all’art.
111, sostenendo che il rifiuto di avviare le trattative sia traducibile in un atto politico non sindacabile.
Le sezioni unite della Corte di cassazione respinsero il ricorso, affermando che l’accertamento
preliminare relativo alla qualificazione dell’istante come confessione religiosa costruisca un esercizio
di discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione, e come tale sindacabile. Stando all’art. 8, la
Corte di cassazione ritenne che le intese fossero volte alla migliore realizzazione dei valori di
eguaglianza tra confessioni. Dunque, il TAR Lazio rifiuta la richiesta dell’UAAR a causa del suo
carattere aconfessionale.
Libertà religiosa

Articolo 19

Tutti hanno libertà di professare la propria fede in modalità individuale o associata, farne propaganda
ed esercitarne il culto in pubblico o in privato purché non contrario al buon costume.

1. Nozione

La libertà religiosa è ambigua. Non si esaurisce nel diritto di coscienza (manifestare apertamente la
propria appartenenza confessionale), nella libertà di culto (esercitarlo pubblicamente) e di
propaganda (svolgere proselitismo), ma comporta anche la possibilità di vivere secondo i valori
proposti dalla fede. Lo Stato non solo garantisce queste libertà, ma si impegna anche a rimuovere gli
ostacoli che la bloccherebbero. Include l’ateismo, che è corrispondente alla libertà negativa. La libertà
religiosa è anche stata estesa ad ambiti tradizionalmente appartenenti ad altre libertà (istituire
scuole) o nuovi (obiezione di coscienza).
Libertà positiva: postula un agire verso l’esterno e consiste nella libertà di culto e propaganda.
Libertà negativa: immunità di ciascun individuo riguardo religione e coscienza da parte di coercizioni
esterne, con la possibilità di credere o meno.

2. Libertà religiosa e Costituzione

La libertà religiosa è un diritto soggettivo in possesso sia di enti privati che pubblici. È un diritto
istituzionale, individuale e collettivo. La libertà religiosa istituzionale tutela la libertà delle istituzioni
religiose, che non sempre coincidono con le comunità di persone che professano un credo.
L’unico limite consiste in quello dettato dal buon costume, che vieta i riti che offendono libertà,
pudore, onore, vivere civile e sociale. Il limite riguarda solo la celebrazione, rimanendo inoperante
verso confessioni che contemplino tali riti senza esercitarli.
Esistono alcuni limiti indiretti, quali i sacrifici umani (infrange l’art. 2), la riduzione in schiavitù (art.
13), mutilazioni o trattamenti imposti (art. 32).

3. Libertà religiosa e di coscienza

La libertà di coscienza manca nel testo costituzionale, dunque si è dapprima ritenuto che rientrasse
nella libertà di manifestazione e pensiero, poi la Corte costituzionale l’ha fatta rientrare nella libertà
negativa. Si ritiene che sia uno dei contenuti principali della libertà religiosa (espressione esterna della
libertà religiosa senza necessità di culto) e che comprende la libertà religiosa in quanto libertà di
credere o meno e avere una tavola di valori a cui riferirsi, mentre la seconda è esercizio della libertà di
coscienza nello specifico ambito religioso.
Divieto di discriminazione fra enti a motivo religioso

Articolo 20

Il carattere ecclesiastico o fine religioso di un ente non possono essere causa di limitazioni legislative o
gravami fiscali.

1. Associazioni e istituzioni religiose

Sono entità diverse dalle confessioni religiose. L’art. 20 rafforza la libertà religiosa collettiva ed
estende il principio di eguaglianza nei confronti di enti dotati di peculiarità. Serve a evitare regimi di
sfavore verso l’ecclesiastico.
La norma riguarda sia gli enti con personalità giuridica che non, distinguendo fra enti riconosciuti o
meno.

2. Distinzione

Il carattere ecclesiastico di un ente indica il suo collegamento formale con l’organizzazione


ecclesiastica e con l’ordinamento confessionale di appartenenza. Il fine di religione o culto individua
gli enti in base al loro criterio teleologico (fine). Nell’ultimo caso, potrebbe anche mancare il
riferimento organico a una determinata confessione. L’art. 20 protegge tutti gli enti che rientrano in
queste categorie, risolvendo la dissidenza religiosa (associazionismo che nasce da un gruppo
confessionale che poi si pone in contrasto con l’istituzione ecclesiastica).
L’istruzione religiosa

1. Istruzione religiosa e diritto allo studio: scuole cattoliche

L’istruzione religiosa rientra nel diritto allo studio. Le sue problematiche vanno affrontate facendo
riferimento a norme costituzionali, concordatarie e di diritto comune.
Le norme costituzionali garantiscono il diritto all’istruzione e la diversità scolastica, e riguardano la
libertà della scuola (scelta dell’insegnamento più conforme alle proprie opinioni) che nella scuola
(insegnamento della religione e status giuridico dei suoi insegnanti nelle scuole confessionali). Principi
direttivi:
- disciplina delle scuole cattoliche da ricondurre alla disciplina delle scuole statali;
- discrezionalità della pubblica amministrazione nell’autorizzare l’apertura delle scuole;
- uniformazione dell’ordinamento interno agli studenti;
- sottoposizione della scuola privata alla pubblica.
La scuola cattolica è paritaria privata.

2. Gli articoli della Costituzione

33: principio del pluralismo scolastico, riconoscimento del diritto di enti pubblici e privati di istituire
scuole senza oneri per lo Stato e parità e trattamento equivalente a quello statale per gli alunni.
34: diritto allo studio, scuola aperta a tutti, limiti dell’istruzione obbligatoria.

3. Accordo del 1984

L’accordo garantisce alla Chiesa cattolica:


- il diritto di istituire scuole;
- che tutti gli istituti universitari, seminari e altri istituiti secondo il diritto canonico rimangono alle
dipendenze dell’autorità ecclesiastica;
- il riconoscimento dello Stato per titoli accademici teologici o ecclesiastici conferiti da facoltà
approvate dalla Santa Sede;
- che le nomine dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono
sottoposte al vaglio delle autorità ecclesiastiche competenti;
- il rinvio del servizio militare per gli studenti di teologia.

4. Insegnamento della religione nelle scuole pubbliche

Art. 9 comma 2 accordo 1984: assicura l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche
non universitarie.
È garantita la possibilità di scelta se avvalersene o meno all’atto dell’iscrizione, senza discriminazioni a
seguito.
È un insegnamento oggettivamente obbligatorio e soggettivamente non obbligatorio, e si tratta di una
materia curricolare. Il suo insegnamento non è causa di discriminazione né mina il principio di laicità a
patto che lo studente abbia la possibilità di allontanarsi dalla scuola.

5. Status giuridico degli insegnanti

L’insegnamento religioso fu introdotto nel 1929 dal concordato. Sebbene sia obbligatoria, era
possibile ottenere una dispensa su domanda dei genitori o chi ne fa le veci. Nelle elementari, era
affidato agli insegnanti idonei, favorevoli o approvati dall’autorità ecclesiale.
Al momento, nelle scuole secondarie, è impartito per un’ora alla settimana in ogni classe e affidato a
professori idonei secondo l’ordinario diocesano. L’attestato di idoneità ha durata annuale e la revoca
impedisce lo svolgimento dell’insegnamento.
Art. 36 del concordato 1929: laici sussidiari del clero. Dopo la riforma del sostentamento clericale, è
possibile un utilizzo dei laici se in possesso dei requisiti richiesti.
1984: riguarda i programmi di insegnamento, le modalità di organizzazione, i criteri di scelta dei libri
di testo, la qualificazione professionale degli insegnanti e il loro status giuridico.
2003: equiparazione giuridica degli insegnanti di religione cattolica a quelli statali di ruolo, con
assunzione mediante concorsi, sebbene sia necessaria l’idoneità concessa dall’Ordinario.

6. Studenti avvalentesi e non

La Corte costituzionale ha stabilito che obbligare un’altra materia al posto della religione sarebbe una
discriminazione, dal momento che l’insegnamento della religione richiede l’uso di libertà, non di
scelta fra due obblighi. L’alternativa è non obbligatoria. È possibile anche allontanarsi dall’edificio
scolastico.
Tuttavia, le difficoltà degli istituti a gestire queste situazioni ha portato all’emanazione di circolari che
prevedono attività alternative, quali attività didattiche e formative, di studio o ricerca individuali con o
senza personale, o l’uscita da scuola.

7. Intesa tra Ministro dell’Istruzione e Presidente della CEI per l’insegnamento della religione
cattolica 28 giugno 2012

Numero 1: Indicazioni didattiche per l’IRC. Si ribadisce il principio della libertà di coscienza dell’allievo
nell’espressione della fede e la competenza della Chiesa di verificare la conformità alla dottrina della
stessa e il diritto-dovere di approvazione delle indicazioni didattiche da parte degli organi statuali ed
ecclesiastici. Rientrano il diritto dell’allievo di avvalersi dell’IRC e quello della Chiesa di vigilare
sull’ortodossia dell’insegnamento.
Numero 2: Modalità di organizzazione dell’IRC. Ribadisce quanto già definito sull’avvalersi dell’IRC. La
scelta non deve determinare discriminazioni, va effettuata all’atto dell’iscrizione e le modalità di
insegnamento devono tener conto dell’attuale ordinamento scolastico (scuole secondarie: conferma
delle ore previste dall’attuale ordinamento, collocazione oraria effettuata dal dirigente in base a
consiglio docenti ed equilibrio; scuole primarie: 2 ore; scuola dell’infanzia: specifiche e autonome
attività educative). L’IRC è dato a chi è riconosciuto idoneo dall’OD e nominato da questi e dalle
competenti autorità scolastiche.
Numero 3: criteri per la scelta del libro di testo, dotati del nulla osta della CEI e dell’approvazione
dell’ordinario competente.
Numero 4: profili per la qualifica professionale degli insegnanti di religione. Il docente IRC deve avere
dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline. L’idoneità dichiarata dall’OD deve
riconoscere una qualificazione professionale adeguata ai tempi.
Titoli di qualificazione riconosciuti dall’intesa:
- titolo accademico in teologia o altre materie ecclesiastiche da una facoltà approvata dalla Santa
Sede;
- attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore;
- laurea magistrale in scienze religiose approvata dalla Santa Sede;
- per sacerdoti, diaconi e religiosi, qualifica dalla CEI a norma del diritto canonico 804 attestata dall’OD
per l’insegnamento in scuole di infanzia e primarie;
- riconosciuto il titolo di qualificazione agli insegnanti di classe o sezione il possesso di un master di
secondo livello per l’IRC approvato dalla CEI;
Questi titoli sono richiesti a partire dall’A.S. 2017/2018.
Matrimonio religioso con effetti civili

1. Matrimonio religioso e matrimonio civile

Fino al 1929: doppio binario. Matrimonio religioso distinto dal civile, era necessario stipulare due
matrimoni per ricevere entrambi gli effetti.
1929: matrimonio religioso riconosciuto dallo Stato se presenti determinati presupposti. Ogni
matrimonio canonico conseguiva gli effetti civili e ogni sentenza di nullità ecclesiastica comportava la
nullità civile. I matrimoni acattolici sono regolati dalla legge sui culti ammessi e dalle singole intese.
Il matrimonio civile cambia con la legge sul divorzio del 1970 e la riforma del diritto della famiglia del
1975. Le sentenze del 1971 e del 1982 introdussero dei limiti alla trascrivibilità dei matrimoni canonici
e all’esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche di nullità. Pertanto, non tutti i matrimoni canonici
potevano conseguire gli effetti civili e non tutte le sentenze ecclesiastiche potevano essere civilmente
eseguibili.
Oggi: la materia è in continua evoluzione a causa dei matrimoni misti, dell’educazione dei figli e dei
cambi di religione dei coniugi.

2. Procedimento di trascrizione

Pubblicazioni, celebrazione, lettura articoli codice civile, redazione atto matrimonio doppio originale,
trasmissione di un originale all’ufficio di stato civile.
Le pubblicazioni sono un presupposto necessario per la trascrizione. Sono canoniche e civili. Le
canoniche sono disciplinate dal diritto canonico e accertano che nulla ostacoli il matrimonio. Quelle
civili accertano gli effetti civili e sono disciplinate dall’ordinamento sullo stato civile.
Effettuate le pubblicazioni, l’ufficiale dello stato civile rilascia il certificato di nulla osta.
Eseguite le pubblicazioni e ricevuto il nulla osta, il parroco o il suo delegato assisterà al matrimonio
secondo le disposizioni canoniche. Dopo la celebrazione, leggerà gli articoli 143, 144 e 147 del codice
civile (rispettivamente marito e moglie stessi diritti e doveri, indirizzo familiare, e obbligo a mantenere
e sostenere i figli). Dopodiché, il parroco redige l’atto di matrimonio in doppio originale: uno da
conservare nell’archivio parrocchiale e uno da consegnare ai coniugi. Va sottoscritto da sacerdote,
sposi e testimoni. Può contenere dichiarazioni dei coniugi secondo legge. La richiesta di trascrizione va
fatta entro 5 giorni dalla celebrazione canonica dal parroco competente.

3. Trascrizione tempestiva e tardiva

Tempestiva: atto di matrimonio inoltrato entro 5 giorni dalla celebrazione. In caso di omissione, ne
risponde il parroco per dolo o negligenza. L’ufficiale dello stato civile deve effettuare la trascrizione
nei registri dello stato civile in 24 ore e comunicare al parroco l’avvenuta trascrizione. Essa ha
carattere costitutivo in ordine alla rilevanza civile del matrimonio religioso. Opera ex tunc con efficacia
retroattiva al momento della celebrazione.
Casi di intrascrivibilità:
- altro matrimonio valido con effetti civili con altri;
- altro matrimonio valido tra loro celebrato in qualunque forma;
- infermità mentale di uno o entrambi;
- età invalida (18 anni o 16 con autorizzazione del tribunale dei minori);
- impedimento inderogabile;
- impedimento civile per delitto o affinità in linea retta.

Trascrizione tardiva: l’invio avviene successivamente su richiesta di uno o entrambi i coniugi.

4. Matrimonio di coscienza

Il matrimonio di coscienza è religioso ma privo di effetti civili su richiesta dei coniugi.


Era prevista anche una trascrizione post mortem, richiedibile da chiunque, ma non è più riconosciuta.
In conclusione, la trascrizione non è conseguenza automatica della celebrazione. Il matrimonio è un
atto non sottoposto a condizione, si sostanzia in un negozio autonomo ed è l’atto finale di un
procedimento iniziato con le pubblicazioni.

5. Effetti civili delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale

I requisiti per la nullità canonica del matrimonio:


- sentenza ecclesiastica fondata su uno dei motivi di nullità riportati dal codice di diritto canonico
(vizio del consenso, della forma o inabilità giuridica di uno o entrambi gli sposi);
- sentenza emessa a seguito di un regolare processo di nullità canonico.
Il processo è stato riformato nel 2015 dal m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus. Le novità:
- una sola sentenza in favore della nullità esecutiva (non più necessaria la doppia decisione conforme
dei giudici, ne basta uno, il primo a norma di diritto);
- giudice unico sotto responsabilità del vescovo (il giudice, chierico, è tenuto sotto controllo dal
vescovo);
- il vescovo è giudice;
- processo più breve (applicabile solo in casi di particolare evidenza);
- appello alla sede metropolitana.

Requisiti per la richiesta di riconoscimento civile della sentenza ecclesiastica di nullità e procedimento
di delibazione:
- la sentenza canonica munita del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di
controllo. L’esecutività è riconosciuta dalla segnatura apostolica dopo che la stessa abbia accertato
regolarità e definitività del provvedimento canonico, e cioè dopo aver verificato che il diritto di
difendersi e di agire delle parti sia stato garantito, con conseguente passaggio in giudicato della
sentenza;
- il riconoscimento avviene su domanda di una o entrambe le parti;
- la richiesta di delibazione è presentata alla corte d’appello competente;
- la corte d’appello deve accertare la sussistenza di alcuni requisiti necessari, a partire dal principio
generale delle incompatibilità assolute;
- art. 8.2 di villa Madama sancisce che la corte d’appello deve verificare che il matrimonio celebrato
fosse canonico e civilmente riconosciuto, che siano stati rispettati i diritti di agire e di difesa dei diritti,
che ricorrano altre condizioni previste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle
sentenze straniere. Il rinvio è agli articoli 796 e 797, attualmente in vigore nonostante l’abrogazione
formale in ragione del rinvio materiale.
Fuccillo

1. Religioni e costituzione, laicità e libertà di culto nell’esperienza giuridica

1. Introduzione

Al fatto religioso, la Costituzione dedica 4 articoli: 7, 8, 19, 20. Art. 3 riguarda il principio di
uguaglianza. 18 riguarda la libertà di associazione. La laicità è principio supremo. La religiosità si trova
in una posizione di preminenza. La laicità è fattiva, operativa, collaborativa (attenta ai valori) e nel
rispetto di ogni fede religiosa. La laicità positiva argina il radicalismo.
Gli Stati, in relazione alle religioni, possono essere in sistemi:
- separatisti: indipendenti dalla religione, a cui è comunque riconosciuta dignità;
- pattizi: Stato e fede scendono ad accordi comuni per le materie in comune;
- confessionisti: confessione scelta come ispirazione giuridica (di solito musulmani e ortodossi);
- teocrazie: fusione di ordinamento religioso e statale.
In alcuni casi, si riconosce la potestà temporale di una confessione (es. Vaticano e monte Athos in
Grecia).

1.2 Art. 7 Cost.

1/1838: statuto Albertino, cattolicesimo religione di Stato, le altre sono tollerate.


735/1848: impossibilità di discriminazione per ragione confessionale.
1013/1850 e 1037/1850: abolizione del privilegio del foro ecclesiastico e imposizione di
autorizzazione agli acquisti degli enti.
878/1855, 3036/1866 e 3848/1867: soppressione di enti ecclesiastici ritenuti inutili e alcune
associazioni religiose, convertiti in rendita pubblica.
214/1871: legge delle guarentigie, debellatio dello Stato pontificio e questione romana. Il papa è ora
cittadino italiano, e la Curia sotto la sovranità italiana.
Patti Lateranensi: 11 febbraio 1929, superano il carattere unilaterale delle guarentigie. Chiesa ora
considerata soggetto giuridico internazionale e nascita dello Stato Città del Vaticano. PL articolati in
trattato (fine questione romana, 27 articoli, include il trattato, 3 allegati relativi a territorio e immobili
del Vaticano e un quarto contenente la convenzione finanziaria) e il concordato (45 articoli, privilegi
alla Chiesa riguardo enti, irc in ogni ordine e grado, riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica in
campo matrimoniale, esenzione enti ecclesiastici da imposte, disciplina la condizione della Chiesa
nell’ordinamento italiano e introduce la bilateralità).
Art. 7 cost.: distinzione tra Stato e Chiesa. Stato incompetente in materia religiosa. Sancisce
indipendenza e sovranità di entrambi, ciascuno nel proprio ordine. La Repubblica riconosce
l’importanza dell’ordinamento ecclesiale. Il comma 2 afferma che Stato e Chiesa usano il Concordato
come mezzo di risoluzione dei conflitti. Le materie di regolamentazione concordataria prendono il
nome di res mixtae. Il concordato è stato oggetto di revisione il 18 febbraio 1984 a Villa Madama,
portato a esecuzione nel 1985. Le norme del precedente accordo non riprodotte nel nuovo Accordo
sono abrogate. Le leggi di esecuzione 810/1929 e 121/1985 conferiscono rilevanza giuridica ai Patti e
all’Accordo Villa Madama. Le leggi di esecuzione del concordato sono fonti atipiche in quanto hanno
una particolare resistenza all’abrogazione da parte di successive leggi ordinarie unilaterali.
L’enunciazione dei Patti nella Costituzione costituzionalizza il principio di bilateralità pattizia. La loro
modificazione richiede solo un accordo tra le parti, non del procedimento di revisione costituzionale.

1.2.1 Stato Città del Vaticano e rapporti internazionali

Sorge il 7 giugno 1929 con l’atto di ratifica dei PL, che chiudono la questione romana, sorta nel 1870
con l’annessione di Roma al Regno d’Italia.
È sotto la sovranità esclusiva del Sommo Pontefice ed è giuridicamente costituita come ordinamento
originario, capace di relazionarsi agli altri in parità (esterna) o supremazia (interna). Comprende i 3
elementi costitutivi di uno Stato: popolo, territorio e sovranità.
Chiesa cattolica: comunità dei battezzati che si riconosce vincolata dalla comunione ecclesiale (stessa
fede, sacramenti e riconoscimento del governo papale);
Santa Sede (Sede Apostolica): supremo organo di governo della Chiesa e indica l’ufficio del Romano
Pontefice e gli organismi che lo coadiuvano nel potere esecutivo (Curia Romana e Tribunali
Apostolici);
Stato Città del Vaticano: territorio specifico sotto la sovranità della Santa Sede.
Il territorio consiste in piazza san Pietro e i palazzi limitrofi (0,49 kmq), si trova nell’allegato I del
trattato lateranense. È distinto dagli immobili e altri luoghi che godono di extraterritorialità presenti
sul territorio italiano. È neutrale e inviolabile. I luoghi extraterritoriali godono di determinate
immunità per tutelarne la libertà, e su di loro vige l’esenzione della sovranità italiana in maniera simile
a quella riguardante le sedi diplomatiche. Di conseguenza, fatti giuridicamente rilevanti in essi
avvenuti vengono disciplinati da leggi italiane.
La cittadinanza vaticana è funzionale, non dipendente da ius sanguinis né soli. Può essere riconosciuta
anche ci si trova all’esterno e può non essere riconosciuta a chi vi risiede. Sono cittadini vaticani i
cardinali residenti nel Vaticano o a Roma, i diplomatici della Santa Sede, e coloro che risiedono in Città
del Vaticano in ragione di ufficio o di carica che ricevono la cittadinanza ex lege. Sono cittadini per
concessione del RP e su richiesta coloro che risiedono nel Vaticano per cariche o servizi, autorizzati a
risiedere nella Città, e coniuge e figli di un cittadino vaticano che risiedono con lui. Si può perdere per
abbandono della residenza, quando si cessa la carica o l’ufficio, o per revoca dell’autorizzazione di
soggiorno. In assenza di altra cittadinanza, ottiene quella italiana.
Per accedere nelle aree in cui non è consentito il libero accesso, è necessaria autorizzazione dal
governorato.
La moneta ufficiale è l’euro.
La sovranità è assoluta e ricade sul Sommo Pontefice, ha pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e
giudiziario. È una monarchia elettiva assoluta. È uno Stato cattolico (non teocratico né ieratico) in
quanto tende a uniformarsi agli insegnamenti della Chiesa sulle realtà temporali e sul loro
raggiungimento. È strumentale, in quanto nato per soddisfare interessi specifici riguardo
l’indipendenza. I rapporti internazionali avvengno tramite la Segreteria di Stato, e il papa è
rappresentante dello Stato verso altri Stati. Il potere legislativo può essere assunto dal papa o, di
norma, esercitato dalla Commissione cardinalizia, il cui presidente è anche presidente del governorato
(potere esecutivo). Il governorato è costituito da organi, fra cui il presidente stesso, il segretario
generale e il vice. Il potere giudiziario è esercitato dai Tribunali vaticani in nome del Sommo Pontefice.
La struttura giurisdizionale consiste nel Tribunale (Presidente e 4 magisteri ordinari), Corte d’Appello
(Presidente e 3 magistrati quinquennali), Corte di Cassazione (Presidente, Prefetto della Segnatura
Apostolica, due cardinali membri e due magistrati triennali). Il Sommo Pontefice conserva il diritto di
intervenire e deferire istruttorie e decisioni, ma anche di dispensare grazie e condoni.
La lettera apostolica di papa Francesco del 30 aprile 2021 stabilisce la competenza del Tribunale di
primo grado a giudicare anche le cause riguardanti cardinali e vescovi.
La fonte normativa primaria è il diritto canonico, a cui segue la Legge fondamentale del 2000 e altre
norme promulgate dal legislatore per la Città del Vaticano, ai quali si aggiungono le fonti suppletive,
che sono norme italiane già in vigore nel Vaticano, e fonti internazionali. Tra le norme italiane, il
codice penale del 1889.
Il codice civile italiano si applica tranne per materie trattate da leggi vaticane. In materia penale, si
utilizza il codice di procedura civile vaticano (1 maggio 1946), per le norme amministrative si osserva
la legislazione italiana vigente secondo l’art. 12 della Legge sulle fonti.
SV non fa parte dell’Unione Europea, ma, adottando l’euro, si applicano le norme relative al sistema
finanziario e alla protezione monetaria. Sono state adottate normative riguardo prevenzione del
riciclaggio, frode, contraffazione, e l’istituzione di un organismo apposito all’antiriciclaggio e al
contrasto del finanziamento terroristico.
IOR: Istituto Opere Religiose. Ha il compito di provvedere alla custodia e amministrazione dei beni
affidatigli destinati a opere di religione o carità. È governato dalla commissione cardinalizia, dal
prelato, dal consiglio di sovrintendenza, e dalla direzione. Il revisore interno (che può essere una
persona o una società) verifica i bilanci secondo gli standard internazionali riconosciuti. Lo IOR è
soggetto alle disposizioni del libro V del diritto canonico.
Lo SCV ha soggettività giuridica internazionale collegata e distinta dalla Santa Sede. La sua condizione
di Stato enclave ha imposto una disciplina particolare nei confronti dell’Italia. Lo Stato italiano
garantisce, a proprie spese, diversi servizi, quali acqua, collegamenti telefonici e postali, non costruire
nelle zone circostanti, la corrispondenza con gli altri Stati, il libero accesso dei Vescovi esteri alla Sede
Apostolica, il transito in Italia delle merci e relativa esenzione doganale. La Santa Sede può delegare
alle autorità italiane il perseguimento dei delitti commessi in Vaticano, l’applicabilità, in tali eventi, di
leggi italiane, e la consegna dei criminali italiani rifugiati in Vaticano.
L’art. 23 del trattato sancisce che le sentenze dei tribunali vaticani trovano efficacia anche in Italia in
base alle norme internazionali, il procedimento di delibazione in materia civile, e in materia penale. Le
sentenze emanate da autorità ecclesiastiche e comunicate alle autorità civili hanno efficacia giuridica
e civile in Italia se non contrastanti con i diritti costituzionali dei cittadini italiani.
Trovandosi nella white list fiscale italiana, la Santa Sede e le istituzioni che operano in essa possono
agevolare le riscossioni delle autorità fiscali italiane e offrire un servizio alle persone fisiche e
giuridiche residenti in Italia che detengono attività finanziare in Vaticano. Il trattato lateranense
afferma l’esclusione di ogni modifica all’esenzione stabilito nel 17 del trattato, l’esclusione di enti
centrali della Chiesa dall’applicazione delle disposizioni più fiscali della convenzione concernenti
scambio di informazioni e pagamento delle imposte sulle rendite finanziarie. Le zone extraterritoriali
sono esenti da tributi.
Art. 3 del trattato: regime di p.za s. Pietro, aperta al pubblico e sottoposta alle forze dell’ordine
italiane, che devono arrestarsi ai gradini della basilica salvo invito da autorità competente. La Santa
Sede ha diritto di chiudere p.za s. Pietro al pubblico, e la chiusura vige fino alle linee esterne del
colonnato berniniano e del loro prolungamento.

1.3 Art. 8 Cost.

Riguarda le confessioni religiose. Si tratta di organizzazioni religiose dotate di strutture complesse.


Comma 1: sono tutte ugualmente libere dinanzi alla legge.
Proclama il pluralismo religioso e l’eguale libertà del fenomeno (non la sua eguaglianza, in quanto non
è possibile disciplinarle tutte allo stesso modo). Occorre applicare correttamente art. 3 e 8 per
delineare la libertà di ognuna. La Corte costituzionale garantisce pari protezione alla coscienza degli
individui e la non discriminazione a ragione di fede. La confessione religiosa si desume dagli indici di
confessionalità, che esclude il criterio di autoqualificazione. Sono esistenza di una precedente intesa
stipulata ai sensi di art. 8 comma 3, riconoscimenti pubblici quali l’attribuzione di personalità giuridica
a un ente rappresentativo, presenza di uno statuto che ne esprima i caratteri confessionali, e una
comune considerazione sociale. La mancanza di una definizione legale servirebbe a non precludere
l’esercizio a nessuno, per quanto singolare la sua fede. Una confessione è tale anche qualora abbia
una tradizione sociale e antropologica dimostrabile. L’art. 8 si applica qualora il gruppo religioso sia
identificato come confessione.
La Chiesa cattolica riguarda l’art. 7, i patti lateranensi e villa madama, che si attuano con leggi di
esecuzione.
Le confessioni con intesa riguardano l’art. 8, necessitano di intesa, e questa si attua con leggi di
approvazione.
Le confessioni senza intesa si rifanno all’art. 8 comma 1 e 2, e utilizzano la legge n. 1159/1929 sui culti
ammessi.

1.3.1 Autonomia organizzativa delle confessioni

Comma 2: consente alle confessioni di organizzarsi secondo i loro statuti. Gli statuti (o carte di
fondazione) permettono a ciascun gruppo religioso di tracciare i propri lineamenti e sono espressione
di identità e tradizione. Devono essere resi visibili e riconoscibili attraverso la documentazione. In
assenza di statuti, è più difficile per gli interlocutori istituzionali identificare il gruppo nei suoi elementi
strutturali. L’unico limite imposto è il non contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. L’esigenza di
uno statuto non è avvertita dal ceppo giudaico-cristiano, in quanto hanno già una visibilità sociale che
non richiede istituzionalizzazioni e sono dotate di regole interne riconoscibili e di una propria
tradizione giuridica. La norma rafforza il carattere di tali regole e attribuisce rilevanza giuridica alle
consuetudini documentate nelle confessioni.

1.3.2 I “nuovi culti” religiosi

Sono nuove quelle confessioni religiose non tradizionalmente afferenti alla cultura italiana. Conta
prevalentemente i culti orientali e l’Islam. Un secondo insieme riguarderebbe i culti recenti, senza una
lunga tradizione alle spalle. Non rientrano coloro che si rifanno a determinate idee politiche, sportive
o a particolari stili di vita.
La competenza riguardo i gruppi religiosi è data alla Direzione Centrale degli Affari dei Culti Area II
Affari dei Culti Acattolici, la quale mantiene un elenco dei culti acattolici ed è competente riguardo il
riconoscimento della personalità giuridica secondo la legge 1159/1929.
Il 23 ottobre 2017 sono state avviate trattative tra Governo e associazioni islamiche sul territorio per
favorire l’elaborazione di statuti validi e consentire a tali associazioni di possedere una veste giuridica.
Le trattative sono in continuità con il Patto nazionale per un islam italiano del 1 febbraio 2017, che
intende dar vita a una confederazione quale soggetto islamico unitario, necessario per il
raggiungimento di un’intesa.

1.4 Le intese

Art. 3 comma 3, i rapporti Stato-confessioni sono regolati da intese con le relative rappresentanze.
Le confessioni religiose hanno diritto di contrattare con lo Stato per ottenere una regolamentazione
giuridica riguardo le materie di comune interesse e giungere a un’intesa. Si differenzia dal concordato
in quanto quest’ultimo è assimilabile a un trattato internazionale per via della sovranità della Santa
Sede, mentre l’intesa è diritto pubblico interno.
Il sistema dell’accordo è un’efficace modo di risoluzione dei problemi, garantisce pari dignità a
entrambe le parti, e le intese si collocano quale presupposto di legittimità costituzionale per le loro
leggi di approvazione.

1.4.1 Il procedimento di conclusione di un’intesa

La fase procedimentale appartiene ai poteri di indirizzo politico del governo.


Le confessioni interessate devono presentare istanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, che
affida le trattative con le rappresentanze delle confessioni al Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri. Le richieste sono poi sottoposte al parere del Ministero dell’Interno, Direzione
Generale Affari dei Culti. Per preparare la bozza, il Sottosegretario si avvale della Commissione
interministeriale per le intese, alla quale partecipa anche la delegazione della confessione religiosa
richiedente. Sulla bozza, esprime il parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa. Concluse
le trattative, la sigla il Sottosegretario e il rappresentante della confessione, poi è sottoposta all’esame
del Consiglio dei Ministri per autorizzarla alla firma del Presidente del Consiglio, che potrebbe anche
negare la conclusione dell’intesa.
Una volta sottoscritta l’intesa, si attua tramite una legge ordinaria. Il procedimento è lo stesso di
qualsiasi altra, ma con due differenze: il Parlamento non può legiferare in modo autonomo sugli
argomenti oggetto dell’intesa, e non è possibile apportare emendamenti.
Si tratta di fonti atipiche a causa del peculiare procedimento di approvazione, o rinforzate, se si
considera la loro resistenza a modifiche o abrogazioni (per cui è necessario ricorrere al principio
pattizio).
Dopo la firma del Presidente del Consiglio e del rappresentante, l’intesa è trasmessa al Parlamento
per la sua approvazione con legge. Questa può essere rifiutata, ma non modificata. La legge di
approvazione non può essere sospesa, modificata, derogata o abrogata se non in esecuzione di nuove
intese.
Non esiste il diritto automatico di avere accesso alla procedura in quanto è necessaria una certa
selettività per l’accesso alle intese, che altrimenti verrebbero private della loro funzione
costituzionale.

1.4.2 Il caso UAAR

L’UAAR ha inoltrato numerose richieste al Governo dal 1995. Nel 2003, il Consiglio dei Ministri ha
affermato che l’ateismo non è regolabile secondo l’art. 8, in quanto una confessione religiosa è rivolta
al divino vissuto in comune tra più persone che lo rendono manifesto tramite una struttura
istituzionale. Investito del ricorso contro tale provvedimento, il TAR del Lazio ha dichiarato il proprio
difetto di giurisdizione, riconoscendo natura di atto politico alla determinazione assunta dal Governo
in ordine alla richiesta di avvio di trattative per un’intesa secondo l’art. 8. Il Consiglio di Stato ha
annullato con rinvio la pronuncia del TAR, ritenendo l’atto contestato come sindacabile in sede
giurisdizionale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
in quanto un’immotivata selezione degli interlocutori confessionali comporterebbe discriminazione e
compromissione del principio di laicità.
Il Giudice delle Leggi ha chiarito che non esiste un’autonoma pretesa giustiziale all’avvio delle
trattative in quanto non c’è una corrispondenza soggettiva alla sua conclusione positiva.
Si riporta al centro la tematica della natura confessionale dell’UAAR, poco chiara a causa della
mancanza di parametri oggettivi. La norma costituzionale non è a loro estensibile, in quanto loro
stessi si definiscono come organizzazione filosofica non confessionale nel proprio statuto.

1.4.3 Possibile intesa con l’islam italiano

L’islam ha difficoltà in quanto non si inquadra in un organismo unitario ma in diversi gruppi variegati e
manca di rappresentatività. Sebbene ci siano stati dei tentativi, essi sono falliti per difficoltà
organizzative interne, rappresentatività esterna e mancanza di unitarietà. L’assenza di un’intesa è
colmata da una consulta per l’islam italiano, che risponde all’insufficienza del modello bilaterale e al
pericolo ancora percepito nei confronti della comunità islamica. La consulta è stata costituita il 10
settembre 2005 più per tutelare la sicurezza pubblica che la libertà religiosa degli islamici. Il problema
è, pertanto, ancora esistente.

1.5 Il principio di laicità dello Stato

Il principio di laicità non è espressamente richiamato nella Costituzione, ma è desumibile dagli artt. 2,
3, 7, 8, 19 e 20. E’ elevato a principio supremo dalla Corte Costituzionale, la cui attuazione implica la
non indifferenza dello Stato al fatto religioso e la garanzia della libertà religiosa in un regime
pluralista.

1.5.1 Laicità positiva

La laicità coincide con il principio di “non confessionalità” della Repubblica nel 1996. Nel 1997,
intervenendo in materia di imposizione fiscale a carico degli enti ecclesiastici, coincide con la
“neutralità”. In materia di tutela penale, è “equidistanza” e “imparzialità”. Dall’insieme di questi
pronunciamenti, la laicità consiste nel riconoscere la religione in una sfera pubblica che si proietta al
di là di scelte politiche e filosofiche e ritrova, nella sua pienezza, uguaglianza e libertà. La laicità
positiva vede la religione come componente essenziale del patrimonio umano. Non si tratta pertanto
di indifferenza, ma di sostenimento delle buone prassi che salvaguardino la libertà di religione in un
regime di positiva collaborazione Stato-confessioni. La religiosità degli individui è tutelata a livello
costituzionale, e a tale fenomeno è riservato il cosiddetto favor religionis in virtù della sua rilevanza
sociale.
Il modello di laicità italiano è diverso da quello francese (laicité de combat, rifiuto del fatto religioso
nella sfera pubblica, pesantemente ostacolato).
La Costituzione italiana eleva i valori religiosi a fattore di segno positivo, traducendoli in diritto di
libertà, riconoscendoli fra le più elevate dignità dell’uomo. I giuristi devono elaborare una laicità che
sia attenta al fenomeno religioso, colga differenze e analogie, produca un diritto laico nei suoi
contenuti, favorisca un’interpretazione ed un’applicazione laica degli istituti giuridici, e si dimensioni
in chiave interculturale.

1.6 Il principio di laicità nella giurisprudenza costituzionale

La laicità è una dei caratteri fondanti dello Stato ed è frutto della secolarizzazione.
Sentenza n.203 del 12 aprile 1989 afferma espressamente l’esistenza del principio di laicità dello Stato
quale supremo dell’ordinamento costituzionale. La laicità positiva è posta al servizio delle concrete
istanze di coscienza civile e religiosa dei cittadini. Si pone a garanzia di non discriminazione delle
confessioni e della loro autonomia qualificata. Implica non ingerenza dello Stato nel loro ambito e
autonomia della sfera religiosa come ambito privilegiato di esplicazione dei diritti fondamentali.
È un concetto chiave per la società interculturale in quanto permette la convivenza tra religioni e la
formazione di una democrazia inclusiva.
1.7 La libertà religiosa tra le garanzie costituzionali

Ne parla l’art. 19 cost., che ne disciplina contenuti e modalità d’esercizio. Garantisce a cittadini e non i
diritto di esercitare i propri riti pubblici e privati, con solo limite del buon costume. La Costituzione ha
superato sia il principio di cuius regio eius es religio (religione del re = religione di Stato) che di
religione di Stato vera e propria. La lettura dell’art. 19 e 8 da idea del progresso istituzionale raggiunto
in presenza del pluralismo religioso. La libertà religiosa è un diritto fondamentale e non può essere
limitato, se non qualora contrario al buon costume, limite che esiste più per fattori antropologici che
politici. È garantito anche il diritto di proselitismo religioso, così come quello di cambiare religione o di
non averne.
La norma è costruita su valori basilari:
- tutti hanno il diritto di professare la propria fede religiosa: senza condizionamenti confessionali né di
gruppi, per cui i riti individuali possono essere molto personali;
- in qualsiasi forma individuale e associata: piena libertà sia individuale che associata. Si collega al
riconoscimento della libertà di coscienza (“diritto di essere sé stessi”), per cui la Costituzione
riconosce il diritto di pensare e di condotta, garantendo, con l’obiezione di coscienza, il diritto di
disobbedienza civile qualora ci sia contrasto tra ordine sacro e secolare, sebbene sia di eguale
possibilità ad altri fedeli di simile livello;
- di farne propaganda: garanzia del diritto di proselitismo religioso, convincere altri a unirsi alla
propria confessione. La conversione (o apostasia) non è più percepita come un disvalore, ma come
una forza della società multiculturale e tra le forme di esercizio della libertà religiosa.
- di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume:
protegge la ritualità religiosa, e la limitazione del buon costume svincola da limitazioni di ordine
pubblico riguardo i riti religiosi. Si volle evitare che norme amministrative o di polizia potessero
costituire un limite. Il buon costume limita i riti che ledono la sensibilità della popolazione nel
momento storico in cui avvengono. L’abbondanza dei riti è amministrata dal principio di laicità
interculturale, che garantisce una loro convivenza leale e pacifica.

1.8 La libertà religiosa delle opportunità

Sebbene i sistemi giuridici garantiscano la libertà religiosa, la casistica dimostra che non sempre si
diano pari opportunità a tutti. La definizione del principio di libertà religiosa non è di per sé comune a
tutti, e la classificazione di atti di culto consentiti e non è in costante aggiornamento a causa della
richiesta di libertà religiosa di ogni culto. Nelle società occidentali non è raro trovare casi di
discriminazione religiosa riguardo le opportunità lavorative e altri strumenti propedeutici al benessere
economico.
Credere, spesso, vuol dire obbedire a imperativi fideistici, identificati con termini spesso mutati dal
diritto statale, a cui non tutti riconoscono eguali significati. Il giurista deve, di conseguenza, riservare
al linguaggio d’ispirazione religiosa che tende ad identificare categorie concettuali tipiche del gruppo
una determinata attenzione.
In questa dinamica, può scaturire un conflitto di lealtà, innescato dalla dimensione normativa tipica
delle religioni, che impone o vieta determinati comportamenti.
Non bisogna dimenticare che la religione svolge un ruolo centrale nello sviluppo sociale, e tale
prospettiva può progredire anche lo sviluppo economico, a cui gli ordinamenti europei tendono a
prestare la propria attenzione. Alcuni sostenitori ritengono che la libertà religiosa ben regolata offra
numerose opportunità di affari e meno conflitti interni. La libertà va tutelata non solo con
dichiarazioni di principio, ma anche concretamente con strumenti giuridici adatti, intervenendo
direttamente sulla qualità di questo diritto fondamentale. Questo è particolarmente importante nella
ricezione di stranieri.

1.9 Verso la laicità interculturale

In termini istituzionali, la laicità indica la legittimità dello Stato moderno e la distinzione di ordini fra il
proprio e quello ecclesiale. Può declinarsi in vari modi di relazionarsi tra Stato e confessioni. 1.10

1.10 L’art. 20 Cost.


Fu approvato dall’Assemblea Costituente all’unanimità e protegge la religione da norme peggiorative.
Riguarda il divieto di limitazioni verso il carattere religioso degli enti, sia legislative che fiscali,
giuridiche e ogni altra forma di attività.
È previsto un divieto di discriminazione in peius (peggiorativo) degli enti religiosi rispetto agli enti
comuni. È una garanzia della libertà religiosa collettiva. Non sono esclusi provvedimenti favorevoli.
Riguarda tutte le attività dell’ente religioso, ma anche quelle a scopo di religione o di culto.
- Associazioni o istituzioni: estende la tutela costituzionale a formazioni sociali dotate di
organizzazione e normazione stabili e autonome (istituzioni) e a formazioni con interessi religiosi non
istituzionalizzate, perciò più fluide (associazioni).
Sono sufficienti il carattere ecclesiastico e il fine di religione o culto per essere soggetti dell’art. 20.
- Carattere ecclesiastico e fine di religione o culto: il termine “ecclesiastico” fa riferimento a tutti gli
enti all’interno del substrato organizzativo delle confessioni religiose, e il fine di religione o culto serve
a identificare gli enti secondo un criterio teleologico, a prescindere dalla relazione con le confessioni,
presentando un carattere di ultraconfessionalità.
Sono protetti tutti gli enti che ricoprono almeno una di queste categorie. Risponde all’esigenza di
favorire un’articolazione flessibile della fenomenologia sociale della religione al fine di favorire lo
sviluppo spirituale della società.

1.11 Libertà religiosa nel diritto internazionale e comunitario

Tra i valori della Carta costituzionale, figura quello di sussidiarietà ordinamentale. L’art. 11 lo pone
come limitazione possibile alla sovranità della nazione.
L’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo espone che i diritti e le libertà enunciate
spettano a tutti, a prescindere, fra le altre cose, dalla religione. All’art. 18 dello stesso documento si
sancisce la libertà di pensiero, religione e coscienza.
Art. 6.2, trattato sull’unione europea: l’UE rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla dichiarazione
universale (CEDU). Fra le tante cose, tutela la libertà di coscienza e di religione, e le rafforza.
Direttiva 2008/0140: tratta del diritto europeo di non discriminazione.

1.12 Fattore religioso nel diritto regionale

Il titolo V della Costituzione prevede zone di intervento riguardo l’ambito ecclesiale.


Le Regioni hanno potestà qualora si figurino determinate necessità religiose riguardo le esigenze delle
comunità territoriali (competenza trasversale). Il loro interesse è di massimizzare la soddisfazione
degli interessi della popolazione. Ciò è possibile grazie alla lettura dinamica dell’art. 114, che consente
il coinvolgimento di Comuni, Province, Città e Regioni nella predisposizione di misure volte
all’attuazione della libertà religiosa.
Statuti regionali: capacità delle regioni di determinare autonomamente l’organizzazione del potere di
governo e i principi fondamentali del suo funzionamento, nonché la sua struttura interna.

1.12.1 Gli statuti regionali

Negli statuti regionali, accanto al contenuto necessario che disciplina aspetti istituzionali e
funzionamento delle regioni, sono introdotte disposizioni dirette alla promozione della libertà
religiosa (contenuto eventuale).
Toscana: ha come priorità la pace, la solidarietà e il dialogo tra popoli, culture e religioni, nonché il
rifiuto di xenofobia e discriminazioni e l’accoglienza di persone immigrate nel reciproco rispetto e
integrazione solidale.
Veneto: riprende l’ultimo aspetto, promuove pace, diritti umani, dialogo e cooperazione fra popoli,
ispirandosi alla civiltà cristiana e ai principi di laicità e libertà di scienza e pensiero.
Abruzzo: riconosce i valori della sua radice cristiana e riconosce nella pace un diritto fondamentale.
Molise: simile, particolare attenzione alla salvaguardia delle identità e tradizioni locali e alla diversità
culturale e religiosa.
Emilia-Romagna: ispira la propria azione, fra le tante cose, alla valorizzazione delle identità culturali e
delle tradizioni che caratterizzano le comunità sul territorio e al rispetto per le varie culture.
Umbria: pace diritto fondamentale, integrazione e pluralismo, impegno alla rimozione delle
discriminazioni.
Marche: diritti fondamentali sostenuti e promossi, loro libero esercizio, e solidale convivenza
multiculturale.
Puglia: pace, solidarietà, accoglienza, particolare riferimento ai deboli, libertà religiosa principale
condizione per convivenza pacifica.
Campania: rimozione di ostacoli che limitino uguaglianza e libertà, riconoscimento della pluralità.
Lombardia: libertà e soddisfacimento dei bisogni, riconoscimento delle confessioni come luogo di
personalità dell’individuo e cooperazione con esse, promozione della libertà religiosa, promozione
dell’integrazione degli stranieri, favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini nella realizzazione di
interventi e servizi pubblici secondo le modalità regionali.
Lazio: collaborazione con la Chiesa cattolica e con le confessioni con intese a tutela della dignità e del
bene, favorisce l’integrazione nel rispetto delle culture.
Piemonte: salvaguardia minoranze.
Liguria: integrazione e diritti per i migranti.
Calabria: tutela e valorizzazione minoranze.
Basilicata: tutela dei diritti e superamento delle discriminazioni.
Le Regioni intervengono in ambiti di rilievo ecclesiastico al fine di promuovere l’educazione
interculturale nelle scuole, favorire operatori sociali, sostenere interventi di mediazione culturale,
promuovere programmi di formazione, promuovere lo sviluppo della comunicazione interculturale,
rimuovere ostacoli alle pari opportunità, salvaguardare il rispetto delle convinzioni religiose,
promuovere il rispetto dei riti dei vari gruppi culturali, sostenere iniziative per conservare i legami
degli immigrati con le culture d’origine, promuovere iniziative a contrasto della discriminazione,
attuare politiche di integrazione.
Riguardo l’edilizia di culto, affidata alle Regioni, essa non può essere limitata da requisiti differenziati e
restrittivi nemmeno verso le confessioni mancanti di intesa.
9.Matrimoni religiosi ed efficacia civile

9.1 Matrimoni religiosi e ordinamento civile

Il matrimonio è uno degli atti principali con cui l’individuo soddisfa i propri dettami di coscienza e
mette in atto la propria libertà religiosa.
Il matrimonio civile è stato introdotto per ragioni di tolleranza religiosa, che comprende la facoltà di
non credere. La disciplina giuridica civile trae molto dal diritto canonico. Spiccano i doveri di fedeltà,
coabitazione, collaborazione, assistenza morale e materiale (artt. 143 e 144). Si riconosce al singolo la
facoltà di aderire a sistemi matrimoniali alternativi e quello disposto nel codice civile, garantendo al
singolo di esprimere la propria persona anche attraverso il matrimonio. La libertà matrimoniale,
seppur autonoma, è una proiezione diretta della libertà di religione, motivo per cui il matrimonio è
parte delle res mixtae.

9.2 Sistema matrimoniale concordatario

I patti lateranensi conferiscono effetti civili al sacramento matrimoniale (art. 34 concordato).


Si supera così il doppio binario (matrimonio canonico senza effetti civili e viceversa). Dopo il 1929, gli
effetti civili sono automatici. Il matrimonio canonico civilmente riconosciuto è composto da un
insieme di norme bilaterali, unitarie, statuali ed ecclesiali.
Impianto normativo ex parte Republicae: l. 25 marzo 1985 n. 121, art. 4 protocollo addizionale l. 27
maggio 1929 n. 847, disposizioni per l’applicazione del concordato del 1929 non in contrasto con la
rinnovata norma concordataria.
Impianto normativo ex parte Ecclesiae: codice di diritto canonico 1055 e seguenti, decreto generale
sul matrimonio, indicazioni per matrimoni fra cattolici e musulmani, canoni 776 e seguenti del codex
canonum ecclesiarum orientalium.
Consortium totius vitae: comunità coniugale di vita totale, esclusiva e indissolubile, che impegna tutta
la persona fino a realizzare una sola carne (una caro). Si basa radicalmente sull’eterosessualità e
comporta il mutuo sostegno.
Il matrimonio è valido solo se ha consenso, abilità giuridica e forma canonica.
Entrambi i coniugi hanno parità di diritti e doveri, incluso quello gravissimo di curare l’educazione
della prole.
Il riconoscimento civile del matrimonio canonico è il risultato di un procedimento amministrativo
interordinamentale, caratterizzato dalla collaborazione tra il parroco e un funzionario statale.
Entrambi adempiono a formalità che conservano la sacramentalità del matrimonio pur conferendovi
effetti civili.

9.2.1 Trascrizione tempestiva

Art. 8 villa Madama: riconosce gli effetti civili ai matrimoni canonici a condizione che il relativo atto sia
trascritto nei registri dello stato civile, previe le pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la
celebrazione, il parroco darà lettura degli articoli di codice civili inerenti diritti e doveri coniugali, e
redigerà, in doppio originale, l’atto di matrimonio, che può contenere le dichiarazioni dei coniugi. La
trascrizione non può avvenire in presenza di invalidità al matrimonio civile. È ammessa qualora, per
legge civile, non sia possibile proporre l’azione di nullità o annullamento. La trascrizione è effettuata
dal parroco non oltre i 5 giorni dalla celebrazione. L’ufficiale civile, in caso di condizioni favorevoli,
deve effettuarla entro 24 ore dalla ricezione, dando notizia al parroco. Il matrimonio guadagna gli
effetti civili con la celebrazione, indipendentemente dall’eventuale ritardo della trascrizione. Può
essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei coniugi (o anche da uno solo con conoscenza
e non opposizione dell’altro), a condizione che abbiano conservato lo stato libero dal momento della
celebrazione a quello della richiesta.
La pubblicazione è formulata dai coniugi, o da chi ne abbia ricevuto l’incarico, all’ufficiale di stato
civile del comune di residenza di uno dei due e si fa nei rispettivi comuni di residenza. Serve a rendere
nota a terzi la notizia del matrimonio, dando possibilità di formare eventuali opposizioni.
Le vigenti norme pattizie non prevedono l’intervento del parroco in questa fase, ma nulla impedisce di
mettere in atto l’art. 6 della l. 847/1929, secondo la quale la richiesta delle pubblicazioni va fatta
anche dal parroco celebrante. L’istanza del parroco è compatibile con il testo dell’accordo, e stabilisce
un diretto rapporto di collaborazione fra autorità ecclesiastica e civile per escludere vizi di forma o di
procedimento. Ai sensi del concordato, l’omissione del parroco in questa fase non è motivo di
invalidità.
Per le pubblicazioni, lo stato civile indica un termine di 8 giorni, riducibili solo per gravi motivi. Per le
modalità di adempimento, l’art.. 32 della l. 18 giugno 2009 n. 69 stabilisce che le pubblicazioni devono
avvenire solo tramite i siti informatici di ciascun comune. 3 giorni dopo il compimento delle
pubblicazioni, in assenza di opposizioni o impedimenti, l’ufficiale di stato civile rilascia il nulla osta, che
conferma la non invalidità. Gli impedimenti inderogabili sono l’infermità mentale di uno o entrambi, la
sussistenza di matrimoni precedenti, e gli impedimenti di delitto o affinità in linea retta.
La seconda fase della trascrizione consiste nella celebrazione del rito religioso, atto di valenza religiosa
e amministrativa, nonché unico momento unitario del sistema matrimoniale concordatario mediante
la lettura degli art. 143, 144 e 147 (aggiunta eventuale del 315 bis). Segue la redazione dell’atto in
doppio originale. Il tutto deve essere fatto prima della fine del rito liturgico e subito dopo la
celebrazione. Il diritto canonico vincola i fedeli al matrimonio canonico con effetti civili, salvo dispensa
concessa dall’Ordinario del luogo per gravi motivi pastorali.
Per il diritto canonico, sono validi i matrimoni celebrati alla presenza dell’ordinario del luogo, del
sacerdote, o dal diacono da essi delegato. Necessaria la presenza di due testimoni (salvo eccezioni).
Con la lettera apostolica De Concordia inter Codices, papa Francesco aggiunge un terzo paragrafo al
canone 1108: qualora nel matrimonio fosse coinvolto uno o entrambi orientali, solo il sacerdote
assiste validamente. È riformato anche il 1109, secondo il quale solo l’Ordinario del luogo e il parroco,
in condizione di validità, assistono validamente ai matrimoni di sudditi e non sudditi, purché almeno
un coniuge sia cattolico latino. Per il matrimonio misto, si osserva il 1108. Se la parte cattolica contrae
con un orientale non cattolico, la forma canonica di celebrazione è condizione di liceità. Per la validità,
è richiesto un sacerdote.
La richiesta di trascrizione inviata entro 5 giorni è detta tempestiva. È sempre a carico del parroco,
anche qualora il rito sia stato celebrato dall’Ordinario. In caso di assenza o impedimento, passa al
ministro di culto che, a norma del diritto canonico, lo sostituisce. Nel procedimento di trascrizione, il
ministro di culto acquista ex parte rei publicae lo status di pubblico ufficiale, esercitando una funzione
pubblica certificativa, in quanto attesta la celebrazione del matrimonio canonico e l’adempimento
delle formalità richieste. Riguardo le condizioni, oltre che alla titolarità di ufficio canonico, è
necessaria la cittadinanza italiana e non interdizione dai pubblici uffici.
L’ultima fase è competenza dell’ufficiale di stato civile. Una volta ricevuto l’atto di matrimonio, ne
controlla la validità e lo trascrive nei registri dello stato civile entro 24 ore dalla ricezione, e nelle
successive 24 trasmette la notizia al parroco con l’indicazione della data in cui è stata effettuata. Il
parroco annota la comunicazione nel registro dei matrimoni.
Il matrimonio acquista gli effetti civili al momento della celebrazione, anche in caso di ritardo della
trascrizione (efficacia retroattiva degli effetti civili).
La trascrizione deve essere notificata agli ufficiali di stato civile dei comuni di nascita dei coniugi per
annotarli sugli atti di nascita.
Nel caso in cui l’ufficiale di stato civile trovi un elemento di irregolarità, l’atto di matrimonio va
rispedito al parroco per una sua regolarizzazione. La trascrizione va sospesa anche qualora manchi la
richiesta di trascrizione in allegato all’atto di matrimonio, dal momento che anch’essa va formalizzata
per iscritto.
Qualora l’ufficiale ritenga di non poter procedere, deve rifiutarsi di eseguire la trascrizione tramite un
certificato contenente i motivi di impedimento, consentendo alle parti di ricorrere a un tribunale.
Potrebbe avvenire per forme speciali di matrimonio canonico, fra cui il matrimonio di coscienza o
segreto (can. 1130), privo della pubblicità; del matrimonio in pericolo di morte (1079), che ha la
possibilità di trascrizione tardiva; matrimonio coram solis testibus (1116), mancante del ministro di
culto competente; matrimonio per procura (1105), trascrivibile solo con le condizioni dell’art. 111 c.c.

9.2.2 Trascrizione tardiva

Il termine dei 5 giorni è importante perché, al loro termine, la volontà delle parti circa gli effetti civili
non può più essere desunta. Per questo motivo, l’art. 8 accordo villa Madama richiede l’intervento di
un’autonoma manifestazione di volontà delle parti.
In caso di trascrizione tardiva, l’istanza va presentata all’ufficiale di stato civile da almeno uno dei
coniugi con conoscenza e non opposizione dell’altro. Gli effetti civili operano in modo retroattivo e
sono salvati i diritti legittimamente acquisiti da terzi.
Si realizza il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico nell’ipotesi in cui un
coniuge, presentatasi la trascrizione tardiva, dichiari la conoscenza e non opposizione all’istanza
quando ciò non è vero. Rimane necessario lo stato libero per entrambi i coniugi.
Acquisendo gli effetti civili, diventano efficaci già dalla celebrazione, anche se con trascrizione tardiva,
dunque si perde, ad esempio, lo stato vedovile, e viene meno anche il diritto di pensione di
reversibilità del coniuge defunto per sopravvenuto matrimonio.
Nella trascrizione tardiva post mortem (effetti civili dopo la morte di un coniuge), conoscenza e non
opposizione sono riferiti all’istanza della trascrizione, dunque non può ritenersi integrato da
dichiarazioni in occasione della celebrazione, né dal consenso espresso in un atto destinato a operare
dopo la morte. È necessaria l’esistenza di volontà attuale, dunque la trascrizione post mortem è
sempre illegittima. Il terzo è chiunque sia estraneo al rapporto matrimoniale, inclusi gli eredi, dunque
non può intervenire. Il consenso espresso durante la celebrazione è diverso da quello espresso per
ottenere la trascrizione, anche se è desunta nel caso della trascrizione tempestiva. Essendo necessaria
una conferma della volontà nell’eventualità della trascrizione tardiva, il precedente consenso è
considerato cosa separata. Tuttavia, il Ministero della Giustizia, nella circolare 26 febbraio 1986, ha
previsto che l’ufficiale di stato civile deve procedere alla trascrizione anche in caso di decesso di un
coniuge. L’accertamento di volontarietà si verifica nel momento in cui l’istanza è presentata
all’ufficiale di stato civile, facendo perdere di rilevanza il decesso. Questo processo si applica nel caso
in cui il coniuge richiedente sia quello che sarebbe deceduto prima della trascrizione ma dopo il
matrimonio. Nel caso contrario, si cercano strumenti negoziali dai quali desumere la non opposizione.
Il ministero della giustizia (decreto 17 dicembre 1987) assegna all’interprete di un eventuale
documento contenente il consenso della parte deceduta il compito di trovare gli strumenti giuridici
idonei a fungere da depositum voluntatis. In tal modo, un eventuale testamento, possibilmente
pubblico, potrebbe dimostrare validamente la non opposizione.

9.3 Matrimonio canonico civilmente riconosciuto in prospettiva comparativa

È disciplinato in maniera differente in molti Stati. Alcuni si limitano a prevedere la possibilità di


trascrivere gli effetti civili di un matrimonio canonico, altri disciplinano più dettagliatamente le fasi del
procedimento.
Brasile: accordo firmato il 13 novembre 2008. Il matrimonio canonicamente valido e che rispetta
anche il diritto civile brasiliano produce gli effetti civili con la registrazione nel registro civile.
Mozambico: 12 marzo 2012. Stessa cosa.
Guinea Equatoriale: 25 ottobre 2013. Uguale.
Repubblica portoghese: concordato 18 dicembre 2004, modifica dell’accordo 7 maggio 1940.
Riconoscimento civile su trascrizione, pubblicazioni in chiese parrocchiali e uffici dell’anagrafe,
pubblicazioni non necessarie in presenza di gravi eccezioni, invio del parroco della copia integrale
dell’atto matrimoniale entro 3 giorni dalla celebrazione, trascrizione entro 2 giorni e comunicazione
entro 1, possibilità di sollecitazione della trascrizione da parte delle parti. Il matrimonio canonico
produce effetti civili retroattivi a partire dalla celebrazione se la trascrizione avviene entro 7 giorni,
altrimenti produce effetti per i terzi a partire dalla data di trascrizione, la morte non osta alla
trascrizione. Celebrando il matrimonio canonico, i coniugi sono vincolati dalle leggi canoniche e a
rispettarne le proprietà essenziali, e il dovere di non richiedere, eventualmente, il divorzio.

9.3.1 Matrimoni celebrati nello Stato della Città del Vaticano

Il matrimonio è regolato esclusivamente dalla norma canonica. La sua disciplina è rimessa al codice
civile, salvo questioni riguardanti indissolubilità ed educazione della prole. Non riguarda riforme
successive, quali la disciplina delle unioni civili.
Il matrimonio vaticano non è civile. Il matrimonio canonico produce effetti propri dell’ordinamento
civile. Nel caso di un matrimonio riguardante non battezzati, questo è possibile qualora non vi sia vizio
di consenso e impedimenti non dispensabili. In caso di matrimonio tra battezzati non cattolici, non è
da rispettarsi la forma canonica (per essa, è necessario che almeno uno dei due sia cattolico). Il
matrimonio canonico valido celebrato all’estero tra vaticani può essere trascritto nei registri dello
stato civile su istanza dei coniugi.
Nel caso del matrimonio unicamente civile contratto all’estero tra vaticani, questo entra in conflitto
con i valori giuridici di riferimento dell’ordinamento vaticano.
Il cittadino vaticano non battezzato che contrae matrimonio all’estero è soggetto a impedimenti di
diritto divino e alle leggi locali. Si segue la forma di celebrazione locale.
In caso di matrimonio tra stranieri in Vaticano, si tratta di un vincolo canonico che andrà bilanciato
con le previsioni della normativa nazionale dei contraenti e con le esigenze della normativa ecclesiale.
È possibile, su richiesta, una procedura diplomatica per la trascrizione nei registri di stato civile
originari. Si configura come matrimonio civile contratto all’estero.
Il matrimonio in Vaticano fra italiani produce gli effetti in Italia e la trascrizione avrà valore
dichiarativo in quanto celebrato all’estero.

9.4 Gli effetti dei matrimoni celebrati davanti a ministri di culto di confessioni prive di intesa

Si utilizza la legge 24 giugno 1929 sui culti ammessi. Gli effetti civili sono prodotti dal giorno della
celebrazione qualora le parti abbiano dichiarato all’ufficiale di stato civile di voler celebrare il
matrimonio davanti al proprio ministro di culto approvato dal Ministero dell’Interno (vengono
approvati in base al caso concreto, generalmente si usa la legge 1159/1929). Dopo aver compiuto le
formalità e aver accertato la validità del matrimonio, rilascia l’autorizzazione scritta con l’indicazione
del ministro di culto e la sua data di approvazione. Il ministro deve dare lettura degli artt. 143, 144 e
147 e ricevere, in presenza di due testimoni, la dichiarazione degli sposi di volersi prendere come
marito e moglie. Dopo la celebrazione, il ministro deve subito compilare l’atto di matrimonio secondo
gli artt. 11 e 12 del dpr 3 novembre 2000 n. 396, dell’art. 10, e trasmetterlo all’ufficiale di stato civile
non più di 5 giorni dopo la celebrazione. Ricevuto l’atto, l’ufficiale lo trascrive entro 24 ore e da avviso
agli ufficiali dei comuni di nascita dei coniugi.
Gli imam certificati possono celebrare matrimoni musulmani riconosciuti anche come civili,
garantendo le tutele regolari del matrimonio senza legalizzare pratiche islamiche senza valore civile in
Italia (poligamia e ripudio).

9.5 Matrimoni religiosi nelle intese

Si applica l’art. 8 comma 3 Cost.


La differenza sostanziale con il cattolicesimo consiste nella mancanza del rinvio alla disciplina dettata
dall’ordinamento confessionale. Per gli acattolici, il matrimonio è disciplinato interamente dal diritto
civile.

9.5.1 Matrimonio ebraico

L’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane fa riferimento specifico al matrimonio secondo
rito ebraico e alla facoltà di celebrare e sciogliere matrimoni religiosi senza effetti di rilevanza civile.
Per il diritto ebraico, il consenso matrimoniale non è esplicitato, ma desunto dall’accettazione
dell’anello nuziale dal marito. La volontà di unione in matrimonio è garantita dal Rabbino nell’atto di
matrimonio, altrimenti il consenso implicito violerebbe la norma riguardo il consenso esplicito come
necessario per il matrimonio civilmente valido. È comunque richiesta piena capacità dei nubendi. Gli
impedimenti riguardano l’affinità (in particolare incesto e adulterio), precedente matrimonio,
condizione di mamzher (figlio di incesto o adulterio) di un coniuge, e disparità di culto. Prima di
sposarsi, gli ebrei devono dichiarare il proprio fidanzamento, celebrato senza particolari riti. In caso di
scioglimento, potrebbe essere previsto un pagamento per i danni morali.
Il matrimonio si svolge in due momenti: kiddushin (donna consacrata al marito, cerimonia nuziale che
inizia con la consegna dell’anello dell’uomo alla donna di fronte a due testimoni) e nissuin
(matrimonio di per sé, lettura dell’atto di impegno dell’uomo in cui sono elencati i diritti della moglie).
Lo scioglimento può avvenire per morte o divorzio. Nel primo caso, il marito può risposarsi subito, la
moglie attende 3 mesi dalla morte del marito. Nel secondo caso, si considerano due tipologie di
divorzio: ghet (consensuale di entrambi, formalizzato in un accordo scritto che regolamenta i rapporti
patrimoniali e i figli) e quello in assenza di accordo. In questo secondo caso, se la donna desiderasse il
divorzio e il marito si rifiutasse, interverrebbe il tribunale per trovare una causa che vincoli il marito a
concedere il ghet.

9.6 Le dichiarazioni a contenuto personale e patrimoniale integrative dell’atto matrimoniale

In occasione del matrimonio religioso con effetti civili, è possibile includere nell’atto matrimoniale
ulteriori manifestazioni di volontà di contenuto personale o patrimoniale. Le parti possono
riconoscere il figlio nato al di fuori del matrimonio, optare per la separazione dei beni, o determinare
la legge da applicare ai rapporti patrimoniali. Tale regime è utilizzato per ogni matrimonio
concordatario, ma la sua inclusione unicamente nell’intesa ebraica fa sorgere controversie. Queste
sono state risolte con le intese successive, che lo includono per iscritto. Per il matrimonio canonico, in
caso di sottoscrizione di entrambi gli atti ma della scelta di separazione dei beni sottoscritta in solo
uno di essi, essa si ritiene valida. L’annotazione tardiva non ha effetti retroattivi verso terzi che
abbiano lecitamente acquisito i diritti. La domanda di rettificazione dell’atto di matrimonio non può
essere accolta quando le parti deducano un’omissione di carattere formale, in quanto riguarda
l’attività di certificazione del ministro di culto.
La scelta di separazione dei beni espressa in forma scritta conserva validità anche se non annotata
nell’atto trasmesso all’ufficiale per la trascrizione.
In caso di volontà di riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio con più di 14 anni, è necessario il
suo assenso, espresso mediante una dichiarazione resa all’ufficiale competente alla trascrizione.
In caso di impossibilità alla trascrizione, le dichiarazioni dei coniugi non hanno effetto. L’effetto si
perde anche in caso di annullamento di trascrizione.

9.7 Rilevanza giuridica dei matrimoni religiosi privi di effetti civili

È idoneo a istituire la forma di convivenza more uxorio, contraddistinta dalla stabilità del vincolo
religioso e criterio di accertamento di appartenenza confessionale.
Il regime di tutela è stato rafforzato con la legge sulle unioni civili e sulle convivenze.
Assume rilevanza anche ai fini di concessione del permesso di soggiorno, in quanto esula del requisito
di coabitazione.
La celebrazione confessionale può accertare lo status di rifugiato qualora la sua fede sia motivo di
persecuzione nel Paese di origine.
10. Matrimonio e processo: tra ordinamento statale e diritti confessionali

10.1 La riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici

Il rapporto tra matrimonio e processo coinvolge il nodo concordatario inerente alla permanenza della
riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale.
1929: riconoscimento, a favore di tribunali e dicasteri ecclesiastici, della competenza esclusiva circa la
nullità delle cause di matrimonio canonico civilmente riconosciuto e la dispensa di matrimonio rato
non consumato. Questo non doleva la sovranità dello Stato in quanto materia ecclesiastica a causa
della sacramentalità del matrimonio.
Con la riforma del Concordato, si genera uno scisma giurisprudenziale tra Corte di Cassazione e Corte
Costituzionale.
Corte Cassazione: Villa Madama ha abrogato la riserva giurisdizionale a favore dei tribunali
ecclesiastici in quanto ora anche il giudice italiano può sentenziare la nullità del matrimonio religioso
civilmente riconosciuto. La norma pattizia sostituisce, così, un sistema concorrenziale tra Stato e
Chiesa. Parte della dottrina ritiene che questo sia il modo per garantire la libertà religiosa.
Corte Costituzionale: anche a seguito della revisione del Concordato, la questione di nullità rimane
esclusiva per i tribunali ecclesiastici, in quanto coerente con il principio di laicità dello Stato (il
matrimonio nasce nel diritto canonico, dunque è al di fuori delle competenze statali). La posizione
della Corte Costituzionale si riassume in due nuclei:
- matrimonio religioso assunto quale presupposto a cui vengono collegati gli effetti civili, senza dar
luogo a una ricezione della relativa disciplina da parte dell’ordinamento interno;
- se gli effetti civili fossero attribuiti a un negozio di origine canonica, spetta al suo tribunale regolarlo.
La soluzione della Corte Costituzionale è stata poi ripresa anche da quella di Cassazione, in quanto
coerente ed evitante di eventuali nodi teorici e pratici. Una sentenza civile di nullità matrimoniale
avrebbe solo effetto civile e non è canonicamente efficace. La separazione degli ordini permette
l’espressione della libertà religiosa dei coniugi e della distinzione degli ordini statuali ed ecclesiastici
ex art. 7 Cost. Si salvaguarda il principio di laicità, ma si presenta il pericolo che, nell’opera di
supplenza, il giudice possa diventare più legislatore che interprete.
Il difetto dello Stato è riconosciuto anche in materia di risarcimento dei danni nei confronti di un
giudice ecclesiastico, qualora un suo comportamento non abbia integrato gli estremi di reato.

10.2 Potestà della Chiesa sul matrimonio di battezzati

Il diritto canonico afferma che le cause matrimoniali dei battezzati spettano al giudice ecclesiastico,
mentre le cause sugli effetti civili spettano al magistrato civile, salvo eccezioni di diritto particolare.
Nel sistema matrimoniale concordatario, il matrimonio è regolato dal diritto canonico per quanto
riguarda difetti formali e genetici, mentre il diritto civile regola il rapporto matrimoniale, inteso come
diritti e doveri delle parti. I tribunali ecclesiastici hanno potestà anche riguardo i matrimoni acattolici
nel caso fosse necessario dimostrare per la Chiesa cattolica lo stato libero di almeno una delle due
parti. Assume rilevanza qualora il coniuge di un matrimonio acattolico voglia sposare un cattolico, che
necessiterebbe la dimostrazione di nullità del vincolo precedente.
Il matrimonio tra acattolici battezzati è regolato dall’Istruzione Dignitatis Connubii, che determina
l’applicabilità del diritto proprio della Chiesa o della Comunità ecclesiale di appartenenza
dell’acattolico battezzato a esclusione del diritto divino, sempre applicabile. Laddove manchi una
legge confessionale, si utilizza quella di riferimento, ad esempio statale.
Le Chiese ortodosse, pur sostenendo l’indissolubilità del vincolo, è possibile ricevere l’autorizzazione a
procedere ad una nuova unione dopo il fallimento della precedente. Si differenziano divorzi per bona
gratiae o cum damno.
Nel caso di un ortodosso, lo stato libero a seguito del divorzio non coincide con la dichiarazione di
nullità fin quando il precedente matrimonio non è dichiarato nullo con sentenza esecutiva di un
Tribunale ecclesiastico cattolico.
Nel caso in cui un ortodosso fosse in possesso di una sentenza di nullità ortodossa e desideri un
matrimonio canonico, bisogna accertarsi che non sia stato leso il diritto divino attraverso il tribunale di
appello cattolico (che decide se sia sufficiente confermare il decreto o ammettere la causa all’esame
ordinario del secondo grado di giudizio) e il giudice di secondo grado di giudizio (decide se conferma
la sentenza o rimandare alla procedura ordinaria, il tribunale di primo grado).
10.2.1 Matrimonio canonico: impedimenti e vizi del consenso

I vizi del consenso (cc. 1095-1103) possono riguardare l’intelletto, la manifestazione di volontà e la
volontà stessa. Rendono nullo il matrimonio, e l’ignoranza di tali leggi non impediscono il loro effetto,
salvo disposizioni.

Vizi ex parte intellectus: l’incapacità psichica può riguardare la mancanza di sufficiente uso di ragione
(solo se la patologia si sia verificata prima del matrimonio), di grave difetto di discrezione di giudizio
riguardo diritti e doveri matrimoniali (maturità di giudizio), e cause di natura psichica che impediscono
l’assunzione degli obblighi.
Per contrarre matrimonio, è necessaria una sua minima conoscenza, che comporta comunità
permanente e comunione di vita. Non è necessario conoscere dell’indissolubilità, ma della stabilità,
dell’alterità di sesso, della prole e di come funziona la procreazione.
Il codex considera anche l’errore di fatto sull’identità e sulla qualità di una persona, inteso come falso
giudizio a motivo di ignoranza o non sufficiente conoscenza. Può essere sostanziale (riguarda la
sostanza di un negozio giuridico), antecedente (quando lo precede) o concomitante (sussiste nel
momento in cui è posto in essere lo stato giuridico). Può essere doloso (provocato coscientemente), o
incosciente (senza colpa). L’errore sulla persona è reputato sostanziale e invalidante il matrimonio.
L’errore sulla qualità invalida il matrimonio solo qualora la qualità oggetto dell’errore sia intesa
direttamente e principalmente. Il dolo è anch’esso invalidante se: uno dei due contraenti fosse, al
momento del consenso, in uno stato di errore; l’errore riguardi una qualità dell’altra parte; la qualità
dolosa turba il consorzio di vita coniugale; l’errore sia doloso; l’atto sia protratto all’ottenimento del
consenso.
La nullità matrimoniale non esclude necessariamente il consenso matrimoniale, ed è prevista una
sanazione del matrimonio sia semplice che radicale.

Vizi ex parte manifestationis: la volontà interna può contrastare con quella espressa. Se una o
entrambe le parti escludono il matrimonio con un atto positivo di volontà (simulazione totale) o una
sua parte (simulazione parziale), si incappa nell’invalidità. Le prove del consenso simulato possono
essere dirette, quali confessioni giudiziali, o indirette, quali circostanze antecedenti o successive al
matrimonio). E’ invalido il matrimonio basato su condizioni future, ma non su condizioni passate o
presenti.

Vizi ex parte voluntatis: invalido il matrimonio contratto per violenza fisica o morale e per timore
grave. La prima condizione è diritto naturale, la seconda dipende dal legislatore, che deve verificare
che il timore sia grave, di natura esterna, e tale che la parte minacciata deve scegliere il matrimonio.

Impedimenti matrimoniali: circostanze recepite in norme giuridiche, di diritto divino o umano. Il


diritto canonico prevede 12 impedimenti matrimoniali. Gli impedimenti ecclesiastici (tranne specifici
casi) possono essere dispensati dall’ordinario del luogo. I casi specifici richiedono la dispensa della
Sede Apostolica. L’affinità è indispensabile. In pericolo di morte, l’ordinario può dispensare da tutti gli
impedimenti ecclesiastici, eccezion fatta per il presbiterato. Possono farlo anche parroco, sacerdote e
diacono in caso l’ordinario non fosse disponibile. Lo stesso si applica nel caso in cui fosse scoperto un
impedimento ecclesiastico poco prima della celebrazione.

10.2.2 Riforma del processo matrimoniale canonico

In presenza di un impedimento, è possibile ricorrere al processo di nullità matrimoniale, riformato da


papa Francesco nel Codex Juris Canonici e nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium con le lettere
apostoliche Mitis Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus del 15 agosto 2015.
Principali innovazioni del Codex Juris Canonici:
- la modifica dei titoli equivalenti di competenza per i quali non è più previsto che le parti debbano
risiedere nel territorio della medesima conferenza episcopale, e che il vicario giudiziale del luogo del
domicilio della parte convenuta sia d’accordo. Questo ha cambiato anche il criterio del luogo da cui
raccogliere le prove;
- il rafforzamento del principio secondo il quale il vescovo diocesano è giudice di prima istanza per le
cause di nullità;
- la possibilità che, nel collegio giudicante presieduto da un giudice generale chierico, sia ammessa la
presenza di laici;
- possibilità di affidare le cause di nullità a un giudice unico chierico nel caso non si possa costituire un
tribunale diocesano, mentre il tribunale di seconda istanza deve essere sempre collegiale;
- previsione dell’appello al tribunale metropolitano di seconda istanza;
- prima di accettare la causa, è richiesto che il giudice sia certo del fallimento irrimediabile del
matrimonio e dell’impossibilità del ristabilimento della convivenza coniugale;
- possibilità del vicario giudiziale di convertire il processo matrimoniale ordinario in processo più breve
(brevior), invitando la parte convenuta a comunicare se intende associarsi al processo;
- riconoscimento del valore di prova piena alla confessione giudiziale e alle dichiarazioni delle parti, la
deposizione di un solo teste può fare pienamente fede se qualificato e se depone su fatti d’ufficio, o
che circostanze, fatti e persone, lo suggeriscano;
- abolizione del principio di doppia conforme, prevedendo che la sentenza di nullità del matrimonio
diventi esecutiva decorsi i termini previsti nei cann. 1630-1633;
- riforma delle norme che disciplinano l’appello:
-- la parte onerata, il promotore di giustizia e il difensore del vincolo possono interporre querela di
nullità della sentenza, oppure appello verso la medesima a norma dei cann. 1619-1640;
-- decorsi i termini stabiliti dal diritto per l’appello e la sua prosecuzione, si deve costituire il collegio
dei giudici, designare il difensore del vincolo, e ammonire le parti a presentare le proprie osservazioni
entro un termine prestabilito, decorso il quale il tribunale collegiale deve confermare con decreto la
sentenza di prima istanza in caso l’appello risulti dilatorio;
-- se l’appello è ammesso, si procede come in prima istanza, con i dovuti adattamenti;
-- se nell’appello è introdotto un nuovo capo di nullità, il tribunale lo può ammettere e giudicare come
fosse prima istanza;
- introduzione del processo matrimoniale più breve davanti al vescovo diocesano.

Queste novità favoriscono la celerità del processo e la sua semplicità.

10.3 Il procedimento di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale

Il procedimento di delibazione costituisce un momento di contatto tra la sfera ecclesiastica e quella


statale. Attraverso di esso, le sentenze di nullità ecclesiastiche pronunciate da tribunali ecclesiastici o
vescovi diocesani, munite di decreto di esecutività del tribunale della segnatura apostolica, su
domanda delle parti o una di esse, sono dichiarate efficaci dalla Repubblica con sentenza della corte
d’appello competente per il territorio.
Qualora la domanda fosse posta da uno solo dei coniugi, non utilizza il processo camerale, ma il
giudizio ordinario di cognizione.
Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (organo supremo di giurisdizione ordinaria e
amministrativa canonica) deve verificare:
- che alle parti sia stato garantito il diritto di agire e difendere;
- che la sentenza sia esecutiva, ovvero che siano decorsi i termini stabiliti nei cann. 1630-1633 per la
prima sentenza di nullità.
Oltre alle lettere circolari, sono richiesti altri documenti:
- prova dell’avvenuta pubblicazione della sentenza alle parti, incluso il difensore del vincolo;
- copia del decreto esecutorio emesso dal Tribunale che ha pronunciato la sentenza, con il quale si
attesta che sono inutilmente trascorsi i termini per l’interposizione dell’appello.
Emanata una sentenza esecutiva, si può ricorrere in qualsiasi momento al tribunale di terzo grado per
la nuova proposizione della causa, adducendo nuove e gravi prove o argomenti entro 30 giorni dalla
proposizione dell’impugnazione (Nova causae propositio).
Tale facoltà è stata limitata da papa Francesco, che sancisce che il ricorso per la nova causae
propositio non è possibile dopo il matrimonio canonico di una delle parti, a meno che non consti
manifestamente dell’ingiustizia della decisione.
Restitutio in integrum può avvenire se:
- la sentenza sia fondata totalmente su prove successivamente accertate come false, senza le quali la
parte dispositiva della sentenza perde di fondamento;
- vengano scoperti documenti che dimostrano fatti nuovi e che esigono decisione contraria;
- la sentenza sia emessa per dolo di una parte a danno dell’altra;
- sia trascurato il disposto di una legge non semplicemente processuale;
- la sentenza sia contraria a una precedente decisione passata in giudicato.
La normativa concordataria (8.2 accordo) prescrive che la corte d’appello deve accertare:
- che il matrimonio nullo fosse canonico con effetti civili;
- che il giudice ecclesiastico fosse competente a dichiarare la causa;
- che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e
difendere in modo simile a quello dell’ordinamento italiano;
- che ricorrano condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle
sentenze straniere.
Si ritengono in vigore gli artt. 796 e 797 cpc.
797: la corte d’appello deve verificare:
- che il giudice dello Stato nel quale la sentenza è pronunciata poteva conoscere della causa secondo i
principi sulla competenza giurisdizionale vigenti nell’ordinamento italiano;
- che la citazione è stata notificata secondo legge locale ed è stato assegnato un termine congruo per
comparire;
- che le parti si siano costituite in giudizio secondo la legge del luogo o la contumacia sia accertata e
dichiarata validamente in conformità con la legge stessa;
- che la sentenza è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata;
- che non sia contraria a sentenze pronunciate da giudici italiani;
- che non sia pendente davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse
parti;
- che la sentenza non contenga disposizioni contrarie all’ordine italiano.
Art.4 protocollo addizionale sancisce che si deve tener conto della specificità dell’ordinamento
canonico. Per “legge del luogo” si intende il diritto canonico, la sentenza passata in giudicato è la
sentenza diventata esecutiva secondo diritto canonico.
Specialità e specificità delle cause di nullità nel sistema interno è principio cogente del diritto italiano.
La differenza di disciplina con l’ordinamento canonico non osta alla delibazione purché la
dichiarata invalidità da parte dei giudici ecclesiastici sia ancorata a fatti oggettivi analoghi a quelli
rilevanti per i fini dell’ordinamento interno in rapporto al consenso e alla nullità matrimoniale.
Dolo e riserva mentale sono ritenuti relativamente incompatibili con l’ordine pubblico se non
supportati da prove di errori oggettivi. È sempre rigettata la delibazione qualora i motivi non
fossero oggettivi ma soggettivi. La morte di uno dei coniugi nel corso del giudizio non ostacola la
delibazione.

10.3.1 Ordine pubblico e tutela del coniuge in buona fede

Il principio dell’ordine pubblico (parametro di valutazione per l’attribuzione di efficacia civile a


sentenze ecclesiastiche) include la tutela del coniuge in buona fede. L’istanza di riconoscimento
dell’efficacia civile alla sentenza di nullità matrimoniale va accolta qualora presentata dal coniuge in
buona fede.
pronuncia di delibare e agli atti del processo medesimo acquisiti, riesaminati e valutati, non essendo
possibile, in fase di delibazione, alcuna integrazione dell’attività istruttoria. Tale limite non opera in
caso di una sentenza ecclesiastica con la quale si dichiara la nullità del matrimonio per incapacità
psichica per via della sua equiparazione con l’ipotesi di invalidità. Per una corretta attività istruttoria, è
illecito il diniego avverso un’istanza diretta a ottenere copia dell’intera documentazione afferente la
patologia mentale dell’altro coniuge nel caso sia stata proposta ai fini della proposizione di un’azione
di nullità del matrimonio di fronte al competente tribunale ecclesiastico. L’accertamento di nullità del
matrimonio è di pari rango alla protezione dei dati sensibili relativi alla salute.

10.3.2 Delibazione e diritto di difesa

8.2 Villa Madama, riguardo il riconoscimento civile della nullità ecclesiastica, assegna alla Corte
d’Appello il compito di verificare che, nel tribunale ecclesiastico, sia stato garantito il diritto di agire e
resistere in giudizio simile a quello italiano. Non è violato se il giudice ecclesiastico ha privilegiato le
deposizioni di un sacerdote piuttosto che quelle di altri.
La violazione di tale diritto è riscontrabile solo in una compromissione della difesa negli aspetti e
requisiti essenziali dell’ordinamento statuale.
Papa Francesco ribadisce il rispetto del diritto di difesa. Ha stabilito che il Tribunale della Rota Romana
dovesse giudicare le cause secondo la gratuità evangelica (patrocinio ex officio), salvo l’obbligo morale
per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia per le cause dei poveri. La nomina degli
avvocati è riservata al Decano.
In seguito, il Segretario di Stato ha ribadito la possibilità di scelta dell’avvocato. Pochi giorni dopo, il
Pontificio Consiglio ha ribadito il diritto di ogni fedele di scegliere liberamente avvocato e patrono di
fiducia.

10.3.3 Ordine pubblico e durata della convivenza coniugale

L’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia il favor verso la validità del matrimonio, fonte del
rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo costituzionale. La prolungata convivenza
successiva all’espressione di invalidità del consenso è considerata volontà di accettare il rapporto e
non consente la delibazione della sentenza ecclesiastica. La presenza di figli può essere una prova
ulteriore. La prolungata convivenza non è rilevabile d’ufficio né opponibile dal coniuge, è
un’eccezione.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite considera la convivenza coniugale come ostativa alla
delibazione se protratta oltre 3 anni.

10.4 Processo canonico più breve e efficacia civile dei pronunciamenti

Novità introdotta da papa Francesco.


Il Vescovo diocesano può giudicare cause di nullità tramite il processo più breve quando proposta da
un coniuge con consenso dell’altro o da entrambi, e ricorrano circostanze sostenute da testimonianze
o documenti, che non richiedano un’inchiesta o un’istruzione più accurata, che rendano manifesta la
nullità. Fra le circostanze: la mancanza di fede che può generare simulazione del consenso o errore di
volontà, aborto contro procreazione, permanenza di relazioni extraconiugali, occultamento della
sterilità o altre malattie, ecc.
Svolgimento:
- il Vicario giudiziale, nello stesso decreto con cui determina la formula del dubbio, nomina l’istruttore
e l’assessore, e cita per la sessione, da celebrarsi a norma del can. 1686, non oltre 30 giorni, tutti
coloro che devono partecipare;
- l’istruttore raccoglie le prove in una sola sessione e fissa il termine di 15 giorni per la presentazione
delle osservazioni in favore del vincolo e delle eventuali difese di parte.
Al termine della fase istruttoria, ricevuti gli atti, consultatosi con istruttore e assessore, vigliate le
osservazioni del difensore del vincolo e, se ce ne siano, delle difese delle parti, raggiunta la certezza
della nullità, il Vescovo emana la sentenza, altrimenti rimette la causa al processo ordinario. Nel primo
caso, il testo della sentenza, con annessa motivazione, va comunicato alle parti quanto prima.
Contro la sentenza del Vescovo si può appellare al Metropolita o alla Rota Romana. Se emessa dal
Metropolita, al suffraganeo più anziano. Contro la sentenza di un Vescovo, si fa appello al Vescovo da
esso designato. Se l’appello è evidentemente dilatorio, il Metropolita, il Vescovo o il Decano devono
rigettarlo con decreto. Se è ammesso, la causa è rimessa all’esame ordinario di secondo grado.
L’art. 8 villa Madama rende efficaci in Italia anche i processus brevior attraverso una lettura dinamica
della norma pattizia. Nel governo ecclesiastico, l’attività giudiziaria non è un potere autonomo come
in Italia, ma è una potestà ordinaria propria del munus regendi del Vescovo.
Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica ha esteso le disposizioni inerenti la concessione del
decreto di esecutività, necessaria per la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità, incluse
quelle a seguito di processus brevior.
È comunque necessario che le dinamiche di nullità siano ricostruite in modo fedele e ordinato per
poter fornire al giudice statuale gli elementi necessari per verificare l’assenza di condizioni ostative
alla delibazione.

10.4.1 Il caso delle sentenze di nullità matrimoniale del tribunale dell’Esarcato Apostolico per i
cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia
Il regime giuridico del cattolicesimo orientale si rifa al Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, di
Giovanni Paolo II, a meno di specificazioni per quanto riguarda le relazioni con la Chiesa latina. Con la
lettera De Concordia Inter Codices del 2016, papa Francesco ha eliminato alcune differenze che
avrebbero impatto negativo, ma alcune permangono.
Per aiutare la stabilizzazione delle comunità orientali in Italia, la Sede Apostolica ha eretto, l’11 luglio
2019, l’Esarcato Apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, presso la
parrocchia dei Santi Sergio e Bacco a Roma.
È organizzato in 5 distretti pastorali (Firenze-Bologna, Milano, Napoli, Roma, Venezia) per un totale di
150+ comunità. Trattasi di una porzione di Chiesa circoscritta da un territorio o altri criteri, affidata
alla cura dell’esarca, che la governa a nome di chi lo ha nominato o proprio. Per la corretta
amministrazione della giustizia, è stato eretto il tribunale dell’Esarcato. Regola, fra le tante cose, le
cause di nullità matrimoniale.
Si profila una posizione concorrenziale con i tribunali latini. Oltre al processo matrimoniale ordinario,
anche l’esarca, insignito dall’ordine episcopale, può pronunciare sentenze ecclesiastiche di nullità al
termine del processus brevior. Essendo un tribunale approvato dalla Segnatura Apostolica, anche le
sue sentenze sono rese esecutive in Italia, in quanto rientra di fatto nell’organizzazione giudiziaria
della Chiesa.

10.5 Rapporto con il giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico

In occasione del procedimento di delibazione, possono essere adottati provvedimenti economici


provvisori a favore del coniuge più debole il cui matrimonio sia dichiarato nullo, rimandando la
decisione al giudice competente.
Per il coniuge in buona fede, quando le condizioni di matrimonio putativo si verificano per ambedue i
coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi, per non più di 3 anni, l’obbligo di corrispondere
somme periodiche di denaro, proporzionate alle sostanze, a favore dell’altro, nel caso non abbia
reddito proprio e non sia passato a nuove nozze. Il coniuge a cui è imputabile la nullità è tenuto a
corrispondere all’altro, se in buona fede, in caso di nullità, una congrua indennità. Deve comunque
corrispondere al mantenimento per 3 anni, ed è tenuto a prestare gli alimenti in caso non vi siano altri
obbligati.
Il terzo, al quale sia imputabile la nullità, deve corrispondere all’indennità.
I provvedimenti adottati dal giudice durante la delibazione possono avere natura strumentale e
anticipatoria, diretti ad assicurare la fruttuosità pratica della decisione definitiva e subordinati
all’accertamento della Corte di merito dei relativi presupposti (diritto del richiedenti al conseguimento
di emolumenti) sia dal periculum in mora (minaccia di pregiudizio incombente sull’attuazione del
diritto durante il tempo occorrente a farlo valere in sede ordinaria). Si esclude l’esperibilità di questi
provvedimenti del ricorso per cassazione, ammissibile solo nei confronti di provvedimenti definitivi a
carattere decisorio.
Il passaggio giudicato della sentenza dichiarativa dell’efficacia civile della pronuncia ecclesiastica di
nullità, nel determinare il venir meno del vincolo coniugale, elimina ogni ipotesi fondata sull’esistenza
e validità matrimoniale. Deriva la cessazione della materia del contendere nel processo di cessazione
degli effetti civili instaurato successivamente all’introduzione del procedimento diretto al
riconoscimento della sentenza ecclesiastica. Il medesimo effetto opera anche per giudizio di
separazione dei coniugi, qualora pendente.
Il passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili non impedisce a delibazione
della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, purché le pari in tale giudizio non abbiano
introdotto esplicitamente questioni inerenti esistenza e validità del vincolo.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite stabilisce che l’efficacia civile dei pronunciamenti canonici non
determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto
accertamento della spettanza e liquidazione dell’assegno divorzile.
Tra giudizio di cessazione degli effetti e giudizio di delibazione, non esiste pregiudizialità, il primo deve
essere necessariamente sospeso.
La parte che impugna una sentenza di cessazione per impedirne il passaggio in giudicato, oltre alle
spese di giudizio, può essere condannata ai sensi dell’art. 96 cpc.

10.6 Rilevanza probatoria del rescritto pontificio di scioglimento del matrimonio rato non
consumato
L’accordo di villa Madama non prevede la possibilità di riconoscere efficacia civile al prescritto di
matrimonio rato non consumato, in quanto non assimilabile ad una sentenza straniera perché atto di
natura amministrativa nel diritto canonico. L’articolo del concordato lateranense riguardo questo
argomento fu dichiarato costituzionalmente illegittimo prima della composizione dell’accordo.
Il procedimento di concessione della dispensa è costituito da una fase istruttoria diocesana
(presieduta dal vescovo) e una decisionale pontificia. Il vescovo diocesano può dare la licenza che
l’orante e il coniuge convenuto possano usufruire di un giurisperito, ma solo nell’introduzione della
causa, nella raccolta di prove e nella ricerca di grave ragione per porre nuovamente la petizione in
caso in cui la Congregazione stabilisca che quanto è stato prodotto non consta l’inconsumazione.
Il Tribunale della Rota Romana ha il compito di giudicare il fatto di non consumazione e cercare
l’esistenza di una causa per concedere la dispensa. Riceve tutti gli atti, il voto del Vescovo e le
osservazioni del Difensore del Vincolo, per valutare la supplica per ottenere la dispensa,
eventualmente sottoponendola al Sommo Pontefice.
Il rescritto pontificio di scioglimento del matrimonio rato non consumato ha rilievo particolare, è
paragonabile a un atto di grazia. Il diritto di difesa non è connesso al diritto soggettivo di ottenimento
di dispensa, la cui concessione è a discrezione del Romano Pontefice.
In pochi casi può essere sottoposta alla delibazione quale sentenza straniera, se presenti le condizioni
richieste dall’art 797 cpc.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità rileva che la richiesta di riconoscere l’efficacia civile del
provvedimento non può essere accolta, in quanto suffragato dal venir meno delle norme che danno
rilevanza nell’ordinamento statale ex art. 13 villa Madama, in cui manca il riferimento all’esecutività di
tale provvedimento, e anche dalla sua incompatibilità con corrispondenti categorie repubblicane, fra
cui il diritto di difesa.
La natura amministrativa del rescritto non consente il ricorso all’art 64 legge 218/1995 di riforma del
diritto internazionale privato.
Caso del Tribunale Civile di Lecce: una coppia chiede la separazione, unica causa matrimonio rato non
consumato a causa di specificità fisiche della donna. Il Tribunale rigetta la domanda, e l’atto di
dispensa canonica non fu nemmeno considerato come prova atipica, dunque di rilevanza e idoneità
nell’ordinamento italiano invalutabile.
Il rigetto fu a causa della mancanza di altre prove addotte dalle parti.
Le parti hanno dunque impugnato la sentenza innanzi alla Corte di Appello di Lecce, che, tenendo
conto delle risultanze processuali, ha ritenuto comprovata la non consumazione. Durante il giudizio di
appello, la testimonianza è risultata riscontrata da ulteriori elementi probatori.
Il riconoscimento della rilevanza probatoria alla dispensa super rato è un riflesso del rapporto
successorio tra matrimonio canonico e civile (che manca della non consumazione per evitare
discriminazioni tra cattolici e non). Il riconoscimento della rilevanza della dispensa pontificia da parte
del Tribunale di Lecce, oltre a rafforzare il principio di libertà matrimoniale nella fase patologica del
rapporto coniugale, garantisce uniformità del petitum ai due ordinamenti.

10.7 Le attività giurisdizionali sul matrimonio dei tribunali rabbinici e islamici

Per le Comunità ebraiche (formazioni sociali originarie dotate di autonomia amministrativa, legislativa
e giurisdizionale) operano i Tribunali rabbinici (beth din), per i quali la legge ebraica richiede, alle
volte, una composizione collegiale di 3 giudici. La loro attività orienta l’agire del fedele in modo
conforme agli insegnamenti ebraici anche in una società multiculturale. Nei pronunciamenti non
religiosi, si può rintracciare un punto di intersezione tra comunità civile ed equità basata su valori
religiosi.
Il beth din è rappresentante della legge e si estende anche alla sfera pubblica che influenza la
comunità. Può emettere decreti e responsa.
Le controversie religiose sono disciplinate esclusivamente dal diritto ebraico. Possono pronunciare in
merito ai ghet (divorzi) e garantirne l’universale accettazione tramite una procedura che rispetti la
legge ebraica. Il beth din interviene anche nei casi in cui si registra un rifiuto di dare o ricevere il geth
attraverso una condanna che racchiude l’obbligo di consegna. La funzione dei beth din è estesa anche
al controllo giudiziale delle ipotesi di divorzio volute dal marito, mediante determinazione del
kethubà. Nel caso in cui il processo di ghet non può svolgersi in presenza di entrambi i coniugi, si
procede a un’organizzazione che permetta la partecipazione non simultanea. Il beth din attiva un
procedimento arbitrale (din torà) nel rispetto dei requisiti previsti dalla legge ebraica. L’organismo è
composto da esperti di divorzi. La loro attività è riconosciuta civilmente in molti Stati. I suoi
pronunciamenti acquisiscono efficacia civile in Italia mediante la legge afferente la riforma del sistema
italiano del diritto privato internazionale (218/1995 n.218).
Il beth din si occupa anche di altre problematiche:
- conversione all’ebraismo: la parte ortodossa è riluttante ad accettarla e richiede un cambiamento
fondamentale di vita, per cui è spesso respinta, soprattutto qualora possa incidere negativamente sui
rapporti familiari o il convertito sia già sposato con un non ebreo;
- la riammissione in comunità di chi è stato allontanato (rientro);
- verifica di ebraicità di un individuo.

In ambito islamico, la fase patologica matrimoniale è rimessa ai tribunali confessionali. Per gli Emirati,
le norme di diritto islamico in materia di divorzio si applicano nei casi in cui entrambi i coniugi siano
musulmani o che lo sia almeno il marito. Il codice di statuto personale prevede diverse tipologie di
scioglimento:
- ripudio;
- divorzio consensuale;
- separazione giudiziale (impotenza, gravi difetti fisici, mancato pagamento di dote, convivenza
intollerabile, scomparsa, giuramento imprecatorio, mancato mantenimento).
La procedura di divorzio si avvia con l’iscrizione di richiesta presso la Family Gudance Section, cui
seguirà un tentativo di riconciliazione tra coniugi, fallito il quale si aprirà la causa.
L’uomo può sposare fino a 4 mogli contemporaneamente, a patto di trattarle con equità e la presenza
del tutore della sposa alla conclusione del contratto matrimoniale. Il dibattito sui tribunali
confessionali e il riconoscimento delle pronunce è posto anche in Occidente. Nel 2007 è stato istituito
il Muslim Arbitration Tribunal, sulla base dell’Arbitration Act del 1996, che opera nel sistema giuridico
britannico, emanando decisioni conformi al diritto britannico e religioso. Il diritto di famiglia è di
competenza esclusiva statale, per cui matrimonio, divorzio e custodia dei figli non possono essere
rimessi alla decisione di un arbitro. I lodi arbitrali in materia patrimoniale e successoria possono
invece essere vincolanti se si richiede e ottiene un’autorizzazione.
6. Tutela delle identità, dei dati sensibili e interessi religiosi

6.1 I ministri di culto nella società multireligiosa

Non tutte le religioni posseggono un ministro di culto pienamente identitario. Alcuni gruppi religiosi
riferiscono a figure inserite nella società secolare che hanno particolari compiti di guida e di prestigio
derivante dalla funzione, come ad esempio i ministri dei testimoni di Geova.
Vige il criterio di autoreferenzialità dell’art. 3 comma 2 del Concordato per la Chiesa cattolica,
secondo il quale la nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è effettuata dall’autorità ecclesiastica.
L’autorità ha poi l’obbligo di comunicare alle competenti autorità civili la nomina di vescovi,
arcivescovi, coadiutori, abati, prelati con giurisdizione territoriale, parroci e titolati di altri uffici
ecclesiali rilevanti per l’ordinamento dello Stato.
Per le confessioni senza intesa, vige la legge sui culti ammessi (1159/1929), che prescrive un obbligo
di notificazione al ministero dell’interno per l’approvazione, con la prescrizione che non è possibile
ricevere effetti civili senza approvazione governativa dei singoli ministri. L’Amministrazione può
valutare l’approvazione di volta in volta in base alle specifiche circostanze del caso (parere 7 ottobre
2017 n.2325/2017).
L’approvazione non limita la libertà religiosa, ma serve a verificare la personalità morale e l’affidabilità
del soggetto in esame. La mancata approvazione permette comunque di proseguire l’attività
pastorale, con l’unico limite dell’impossibilità a celebrare matrimoni civilmente validi. Uno dei criteri
per l’approvazione è un numero minimo di fedeli, che può seguire due moduli: un modulo base, che
vede un minimo di 500 fedeli in un’area ristretta, e uno secondario, che ne richiederebbe almeno
5000 sparsi in tutto il territorio nazionale. Questi moduli non rappresentano tanto una soglia minima
quanto un criterio per l’Amministrazione.
Il ministro di culto occupa una posizione particolare nell’ordinamento giuridico. Può redigere alcuni
atti significativi, in particolare matrimonio e testamento speciale, successivamente trasmessi
all’ufficiale di stato civile. Il ministro assume un ruolo certificativo, dunque indossa una veste di
pubblico ufficiale.
Ci sono numerosi casi di incompatibilità e ineleggibilità dei ministri di culto per cariche di
rappresentanza politica.
Ineleggibilità del ministro di culto per la carica di consigliere regionale, sindaco e presidente della
provincia. Sono precluse anche alcune professioni, fra cui il notaro, il giudice popolare, né di pace,
avvocato.
Il ministro di culto ha rilievo anche in ambito processuale penalistico, in quanto non possono essere
obbligati a deporre quanto abbiano conosciuto in ragione del proprio ministero (art. 200 cpc).
Possono essere soggetti attivi o passivi di un reato.
Art. 61 c.p.: abuso di potere o violazione dei propri doveri, aver reato contro un pubblico ufficiale o
ministro di culto cattolico o ammesso (intesi come agenti diplomatici o consolari di uno Stato estero)
durante o a causa dell’adempimento delle funzioni.
Non si ha l’aggravante qualora si compia un reato verso un ministro di culto per ragioni diverse dalle
funzioni svolte. In tal caso, bisogna provare in che modo la qualifica del soggetto passivo abbia
determinato l’azione delittuosa. Occorre provare contestualità tra reato e funzioni, nesso di causalità
e consapevolezza della qualità del soggetto passivo.

6.2 Tutela dei dati religiosi nella legislazione italiana

Il diritto alla privacy è coperto dagli artt. 2, 3, 13, 14, 15, 19 e 21 Cost. La sua affermazione consente al
singolo e al soggetto collettivo di pretendere l’astensione di comportamenti potenzialmente
pregiudizievoli. Rientra la libertà religiosa collettiva e individuale a norma di art. 19, nel senso che si
proteggono i dati riferibili alle scelte religiose e l’appartenenza confessionale.
La legge del 31 dicembre 1996 n. 675: tutela l’identità delle persone di fronte a rischi connessi al
traffico di dati. Il legislatore può ricondurre le informazioni di carattere religiosi ai dati sensibili,
sottoponendole alle stesse garanzie.
I dati sensibili sono trattati nell’art. 22 comma 1 675/1996, individuando caratteri distintivi solo per
dati di salute e di vita sessuale. L’attenzione è posta sui soggetti che trattano i dati, distinguendoli tra
privati e pubblici, subordinando i primi alla presenza di espressione di volontà dell’interessato e
un’autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali. I secondi devono specificare le
finalità di rilevante interesse pubblico, i tipi di dati trattati e le operazioni eseguibili.
Codice in materia di protezione dei dati personali: art. 1 definisce il contenuto della 675/1996,
stabilendo che chiunque ha diritto alla protezione dei dati. Art. 2 comma 2 dispone che il trattamento
deve svolgersi nel rispetto dei diritti e libertà fondamentali e della dignità dell’interessato. Art. 23
comma 1: il consenso del titolare al trattamento deve essere espresso. Il comma 3 specifica che il
consenso è valido solo se libero e in riferimento a un trattamento individuato. Il comma 4 stabilisce
che dev’essere scritto qualora riguardi dati sensibili. L’art. 7 assicura il diritto di ottenere la conferma
dell’esistenza di dati personali che lo riguardino, l’indicazione della loro origine e eventuali
aggiornamenti, inclusi blocchi o rettificazioni anonime. Art. 26 comma 3 lettera A esclude il regime
autorizzatorio dell’art. 26 comma 1 per i dati religiosi. Per poter beneficiare del regime favorevole
(non necessità di consenso e autorizzazione del Garante), le confessioni devono effettuare trattamenti
solo tramite organi dedicati, non diffondere i dati al di fuori della confessione, osservare garanzie
relative al trattamento nel rispetto dei principi contenuti in apposita autorizzazione del Garante.
Art. 26 comma 4 lettera A: subordina, in pari modo, il trattamento dei dati sensibili anche senza
consenso, esclusivamente all’autorizzazione del Garante se effettuato da associazioni o enti senza
scopo di lucro, per perseguire scopi legittimi, dallo statuto, relativamente a dati di aderenti o soggetti
in contatto con l’associazione, a patto che i dati non siano comunicati all’esterno e l’ente determini
idonee garanzie.
Il disegno legislativo n. 196/2003, nell’art. 181 comma 6, consente alle confessioni religiose, che
abbiano adottato garanzie prima dell’entrata in vigore del codice, di proseguire il trattamento nel
rispetto delle stesse.
Il trattamento dei dati personali raccolti durante la predicazione deve rispettare le prerogative del
diritto europeo e nazionale.
D.lgs. 216/2017: vieta la trascrizione di comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini di indagini che
riguardano dati sensibili.
Regolamento UE 679/2016: art. 9 annovera i dati sensibili religiosi tra le categorie particolari di dati
personali. Il loro trattamento può causare disturbi ai diritti e alle libertà fondamentali. Ci sono delle
deroghe nel caso in cui l’interessato abbia dato consenso esplicito, il trattamento tutela un interesse
dell’interessato, il trattamento è eseguito con le dovute garanzie e fasi, e riguarda dati personali resi
pubblici dall’interessato.
Il Garante ha compito di controllare i trattamenti, trattare i reclami a norma di regolamento,
promuovere l’adozione di regole deontologiche, denunciare reati perseguibili d’ufficio di cui viene a
conoscenza mediante le sue funzioni, assicurare la tutela di diritti e libertà fondamentali.
Per le confessioni, è prevista un’autorità di controllo specifica, nel caso in cui applichino corpus
completi di norme a tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento.

6.2.1 Il trattamento dei dati sensibili nel diritto canonico

25 maggio 2018: assemblea generale recante disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e
alla riservatezza. Art. 1: il decreto è diretto a garantire che il trattamento dei dati personali di ogni
ente in contatto con la Chiesa si svolga ai sensi del can. 220, che vieta l’illegittima lesione della buona
fama altrui e la violazione del diritto della difesa dell’intimità propria. Comprende anche organismi
collettivi.
Art. 7: l’interessato ha diritto di conoscere, riguardo al trattamento: le finalità, le categorie di dati
trattati, i destinatari, il periodo di conservazione dei dati, la possibilità di rettifica dei dati, il diritto di
porre reclamo, e tutte le informazioni sull’origine dei dati. L’Ordinario diocesano è l’unica autorità che
può attuare la correzione.
Art. 8: tutti possono chiedere e ottenere documenti contenenti dati personali alle condizioni previste.
Chiunque può chiedere l’iscrizione nei registri di annotazioni o integrazioni congruenti.
Tra le annotazioni, rientra lo sbattezzo. La richiesta dei annotazione va presentata per iscritto al
titolare del trattamento ed è parte integrante dell’atto a cui fa riferimento. L’avvenuta annotazione va
comunicata se accolta, altrimenti è annotata e conservata in un’appendice del registro, sempre con
l’obbligo di comunicazione. Non è ammissibile la richiesta di opposizione o cancellazione dei dati dai
registri relativi alla celebrazione sacramentale in quanto attinenti allo stato della persona.
I registri sono volumi nei quale sono annotati, in ordine cronologico, la celebrazione avvenuta dei
sacramenti o altri fatti concernenti l’appartenenza ecclesiale. Sono gestiti dal responsabile dei registri.
Sono previste procedure riparatorie e sanzionatorie per i danni materiali o morali legati
dall’illeggitimità del trattamento dei dati. A causa dell’indipendenza degli ordinamenti confessionali
sancita dagli art. 7 e 8, la loro consultazione è opportuno se non necessario in tali casi.

6.3 Sbattezzo

Il termine canonistico è “atto formale di defezione della Chiesa cattolica”. Consiste nella richiesta di
inserimento di un’annotazione correttiva sul registro dei battezzati della parrocchia per interrompere
qualunque rapporto o contatto formale con la Chiesa. Non significa venir cancellati dal registro dei
battezzati, ma aggiungervi una nota riportante la volontà di non appartenenza alla Chiesa.
Per meglio definire questo procedimento, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha stabilito degli
elementi costitutivi:
- l’abbandono della Chiesa si concretizza tramite la decisione interna, seguita dall’attuazione e
manifestazione della decisione, e della recezione delle autorità ecclesiali di tale decisione;
- il contenuto della volontà deve riguardare la rottura dei vincoli di comunione che permettono ai
fedeli di ricevere grazia, si configura dunque come una separazione dagli elementi costitutivi della vita
della Chiesa dunque un’apostasia, eresia o scisma;
- l’atto giuridico-amministrativo di abbandono non è un atto di defezione, dal momento che potrebbe
perseverare la volontà di rimanere in comunione della fede, ma l’eresia formale o materiale, scisma e
apostasia non costituiscono da soli la defezione se non concretizzati né manifestati;
- deve trattarsi di un atto giuridico valido, posto da persona canonicamente abile, in conformità alla
normativa canonica che lo regola e deve essere emesso in modo personale, cosciente e libero;
- l’atto va manifestato alle autorità in forma scritta, ed è all’autorità (parroco o ordinario) che spetta la
decisione di giudicare l’esistenza o l’assenza di essa nell’atto di volontà;
- l’autorità ecclesiastica competente provvederà a far scrivere l’annotazione con la dicitura di
avvenuta defectio ab Ecclesia catholica actu formali;
- il legame sacramentale di appartenenza alla Chiesa, dato dal battesimo, è ontologico permanente, e
non viene meno con la defezione.
Una volta ricevuta la richiesta, il parroco la trasmette alla Cancelleria della Curia vescovile, insieme
alla fotocopia della carta d’identità e al certificato di battesimo. Se il battesimo non è registrato nella
parrocchia, la Curia chiederà all’interessato ulteriori informazioni per rintracciare la parrocchia di
battesimo. Se la richiesta è fatta a voce, si pregherà di porla per iscritto. Il Cancelliere vescovile
chiederà un colloquio con l’interessato per esporre le conseguenze canoniche dell’atto di
separazione. Qualora il colloquio abbia esito negativo o l’interessato abbia declinato l’invito,
l’Ordinario diocesano comunica al parroco l’annotazione della richiesta a margine dell’atto di
battesimo. Il parroco procederà all’annotazione secondo la formula indicata dall’ordinario e darà
riscontro alla cancelleria vescovile, che informerà il richiedente. Essendo un atto protetto dal segreto
d’ufficio, il parroco non può farne parola con altre persone. Il segreto vincola anche i suoi
collaboratori. L’annotazione, così come eventuali variazioni dell’atto di battesimo (quali cambio nome,
rettifica dati di nascita o altro) va approvata dal vescovo con apposito decreto.
Benedetto XVI, lettera apostolica in forma di motu proprio Omnium in mente: ha attenuato gli effetti
sulla sfera giuridica del richiedente, rivedendo i cann. 1008, 1009, 1086, 1117 e 1124, eliminando il
requisito di non separazione con atto formale.
Essere considerati ancora aderenti alla Chiesa può, per alcuni, essere una violazione al proprio diritto
di identità personale. La novità consiste nell’incidere in una sfera che è stata esclusiva della Chiesa e
che oggi vede l’allargarsi dell’applicabilità del diritto dello Stato a garanzia dei diritti dei cittadini. In
Italia, lo sbattezzo riguarda principalmente la Chiesa cattolica, dove il battesimo avviene spesso anche
per decisione di genitori non praticanti. Una parte dei battezzati potrebbe non riconoscersi nella
decisione presa dai genitori, e in età adulta possono esternare e formalizzare tale orientamento. Non
esclude però altre confessioni che prevedono forme di iniziazione documentate in registri.
Associazione per lo sbattezzo: ha predisposto un modulo apposito, privo di valore legale, che
attribuisce visibilità sociale al fenomeno.
UAAR: ha intrapreso, nel 1995, un’iniziativa svolta al riconoscimento legale della volontà di non esser
considerati cattolici, giungendo a organizzare la giornata dello sbattezzo nel 25 ottobre 2008.
In Germania, è prevista una tassa dai fedeli delle religioni protestanti, cattolici e ebrei per il
mantenimento dei rispettivi luoghi di culto. L’obbligo è esteso a tutti i fedeli, e a partire dai 14 anni di
età è possibile abbandonare l’organizzazione religiosa. Per affrancarsi ufficialmente dalla Chiesa, è
sufficiente recarsi all’ufficio apposito presso ogni tribunale e verbalizzare la propria decisione.
In Francia e Belgio, l’organizzazione comunista Alternative Libertaire ha divulgato una campagna pro
sbattezzo.
Un ateo si è rivolto al Tribunale di Padova avverso il provvedimento con cui il garante rigettava
l’istanza di cancellazione dello status di battezzato dal registro parrocchiale, disponendo l’allegazione
dell’atto di battesimo e la conservazione nel registro della richiesta di cancellazione. Il giudice ha
stabilito che registrazione e conservazione dell’atto di battesimo sono operazioni di attività religiosa
ecclesiale, e rientrano nell’ordine indipendente e sovrano della Chiesa riconosciuto dall’art. 7. La
libertà religiosa non è minata e non ne risente la professione di ateismo. Non esistendo
regolamentazioni pattizie verso le sfere di esclusiva competenza dell’altro, la loro delimitazione spetta
alle specifiche sfere di competenza, in questo caso il garante e l’autorità giudiziaria. Nel caso esempio,
il ricorrente non è stato leso nella sua dignità perché ha ottenuto che la lettera con richiesta di
cancellazione venisse allegata all’atto di battesimo e conservata nel registro. Il rigetto è motivato
anche dall’assunto che le operazioni oggetto di ricorso coinvolgono diritti di altre persone, fra cui i
genitori, i quali, esercitando l’art. 30, hanno battezzato il figlio come espressione della propria
convinzione religiosa e hanno diritto che tale scelta rimanga documentata nelle forme che essi hanno
accettato.

6.4 Tutela del nome e delle identità tra anagrafi religiose e ordinamenti civili

Il diritto di appartenenza cultuale e complesso.


Art. 9 convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e art.
10 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea prevedono la libertà di professare e quello
di cambiare fede. L’art. 19 cost. non ha disposizioni esplicite, ma il diritto di professare liberamente
implica anche quello di cambiarla, e dunque di abbandonare quella di appartenenza.
Una delle principali conseguenze è il cambio del nome, cosiddetto “christian name”, che non solo
indica il nome di battesimo, ma, più in generale, il nominativo imposto al soggetto alla nascita.
L’entrata nella nuova fede è spesso accompagnata da un nuovo nome, il che solleva interrogativi circa
il diritto sulla privacy e all’oblio. Il cambio del nome segna una rinascita, è come chiudere un capitolo
della propria vita.
Per quanto riguarda i ministri di culto cattolici e il cambio del nome all’assunzione del ruolo, si
differenzia tra sacerdoti diocesani e religiosi. I sacerdoti diocesano non sono obbligati al cambio,
mentre i religiosi devono scegliere un nominativo, che verrà riportato nel registro della singola
congregazione. Anche il Pontefice è sottoposto a tale obbligo, e il suo nome verrà registrato nella
documentazione contenuta nell’archivio vaticano.
Baha’i: ogni persona è libera di cambiare fede senza conseguenze alienanti. La decisione è comunicata
dall’interessato all’istituzione locale, che, a seguito di verifica, la comunica all’Istituzione nazionale,
che lo comunica alla comunità e ne cancella il nome dalla lista di credenti.
Taoismo: la comunità possiede un registro in cui è annotato il nome religioso che il soggetto assume al
momento dell’adesione. In caso di abbandono, questo verrà annotato in tale registro, depositando la
lettera di dimissioni del convertito. Il nome religioso assunto dipende da poemi unici per ogni scuola
taoista e a seconda del grado della generazione della scuola di appartenenza.
Islam: il cambio di nome è obbligatorio in quanto rispecchia un’appartenenza identitaria e le tradizioni
di un popolo. Il convertito deve esprimere testimonianza di fede davanti a due testimoni. Questa
verrà trasfusa in un documento pubblico, depositato nell’archivio della singola comunità. Questa
documentazione è necessaria per matrimonio e pellegrinaggio. Sebbene non sia obbligatorio scegliere
un nome religioso o tipicamente musulmano, di solito si aggiunge un nome arabo al proprio per far
onore alla cultura islamica. Il cambio del nome non è annotato su nessun registro. Similmente,
nemmeno l’apostasia (abbandono dell’islam) è segnata.
Art. 6 Cost.: riconosce il diritto al nome e la sua immutabilità, in quanto sintesi della natura di diritto
soggettivo assoluto e personale e che contempera necessità pubblicistiche ad esse correlate. Esiste
tuttavia una procedura eccezionale per la modifica, che nel corso del tempo ha subito varie revisioni,
e che attualmente è semplificata e rimessa alla competenza delle prefetture, escludendo l’intervento
del Ministero dell’Interno. Il nome o il cognome può essere cambiato qualora ridicolo, vergognoso,
perché rivelante l’origine naturale, o per aggiungere un altro cognome. Bisogna fare domanda al
prefetto della provincia del luogo di residenza o dove si trova l’atto di nascita, allegando le ragioni a
fondamento della richiesta e le modifiche desiderate. In nessun caso è possibile richiedere cognomi di
importanza storica o che possano indurre l’errore sull’appartenenza familiare illustre o nota nel luogo
di appartenenza.
I motivi religiosi non sono contemplati, inclusi quelli ateisti.
Un ulteriore problema è rappresentato dalla questione del genere sessuale e della genitorialità.
Genere: alcuni Paesi hanno eliminato il riferimento dai documenti di riconoscimento personale. Altri
riconoscono di inserire il genere x, e il City Council di New York da la possibilità ai genitori di scegliere
il gender X per i propri figli.
I sostenitori della teoria gender affermano che l’identità sessuale non dipenda da un dato biologico,
ma da un’assegnazione soggettiva fluida.
Riflessi di ideologia gender sulla genitorialità: ricorre il dibattito sull’uso della dicitura genitore 1 e 2 su
alcuni documenti rilasciati da autorità e uffici pubblici. Il dibattito fu innescato nel 2019 con la
sostituzione della dicitura “genitori” con quella di “padre/madre” sulla carta d’identità elettronica del
minore. Secondo l’Autorità Garante dei dati personali, questo può essere fonte di discriminazione e
creare problemi nella raccolta dei dati rispetto alle normative europee. Il 15 ottobre 2020 è stata
ripristinata la parola “genitori” sulla carta per garantire conformità al quadro normativo europeo.

6.5 I provvedimenti del Garante sui dati religiosi sensibili

I dati religioso sensibili sono stati oggetto di tutela indiretta e diretta.


Tutela indiretta: la giurisprudenza si è concentrata in particolare sulla pubblicazione di immagini di
persone riprese senza consenso in un contesto religioso a cui erano estranee, ritraendo una
rappresentazione infedele alla persona in questione.
Tutela diretta: l’alto grado di sensibilità dei dati religiosi e la sua vicinanza alla sfera più personale
dell’individuo hanno portato il garante a pronunciarsi più volte a tutela di essi. Esiste l’autorizzazione
generale del garante, che rende inutile la richiesta di singole autorizzazioni da parte dei titolari del
trattamento. Autorizza il trattamento dei dati sensibili idonei a rivelare le convinzioni religiose e
l’adesione ad associazioni religiose da parte di associazioni e altri organismi associativi secondo
puntuali prescrizioni. L’autorizzazione è estesa anche a istituti ecclesiastici non associativi. Resta
fermo l’obbligo delle singole confessioni di adoperare garanzie a tutela in relazione al trattamento dei
dati.
Provvedimento del Garante 4 febbraio 2010 n. 113: ha per oggetto il procedimento per ingiunzione in
caso della cessione di un credito vantato da un’agenzia di mediazione per fini matrimoniali nei
confronti di una cliente. Il mediatore consegna una copia del contratto originario al cessionario,
contenente dati personali anche sensibili dell’interessata (incluso il credo religioso) per consentire il
recupero della somma ancora dovuta in sede giudiziale.
I dati sensibili sono trattabili solo su autorizzazione scritta e autorizzata dal Garante, anche tramite
autorizzazioni generali, l’Autorità abbia stabilito la liceità del trattamento e gli interessati abbiano
fornito un consenso scritto. Rientrano i dati sulle convinzioni religiose.

6.6 Erogazioni agli enti religiosi, contrasto alle operazioni finanziarie sospette e tutela della
riservatezza

Per prevenire il riciclaggio, le operazioni relative al denaro contante, assegni e libretti non possono
superare i 3000€. Le esigenze di sicurezza che hanno portato a questa decisione vanno contemperate
con eventuali ragioni religiose, ed entrambi vanno contemperati con un uso ragionato dell’anagrafe
delle operazioni sospette.
Le informazioni su tali operazioni monetarie crea un’identificazione dei soggetti agenti e delle
motivazioni dell’operazione finanziaria, collegando il disponente alla confessione o al gruppo
beneficiario. Il soggetto che agisce per motivi religiosi avverte l’esigenza di tutela del diritto alla
riservatezza.
Questo modus operandi, seppur giustificato da ragioni di sicurezza, necessita criteri operativi che non
consentano una selezione delle operazioni sospette sulla base non solo della provenienza dei mezzi
economici dell’agente, ma anche della destinazione finale. Una selettività giustificata da ragioni di
ordine pubblico potrebbe trasformarsi in una discriminazione confessionale.
Un’altra criticità è rappresentata dalla sindacabilità dell’operazione economica da parte delle autorità
competenti, che determina una selezione tra confessioni affidabili e non.
In assenza di prove di attività criminose collegate ad attività cultuali, si deve essere contrari al mero
sospetto per la religione.
Anche le liberalità a scopi religiosi devono rispettare norme di erogazione dettate dalla normativa
antiriciclaggio e le limitazioni all’uso del contante impongono l’utilizzo di sistemi tracciabili, allo scopo
di consentire l’identificazione della provenienza e della destinazione del denaro. Queste modalità
vanno rispettate anche nell’ambito delle collette religiose, mentre per somme eccedenti 3000€ sono
necessari intermediari autorizzati. Tale sistema impone alle confessioni di dotarsi di un sistema
contabile affidabile che garantisca possibilità di controllo per le autorità, nonché di appositi strumenti
legali per ricevere le erogazioni.
Il rischio dell’illegalità è presente qualora la maggior parte delle erogazioni fosse contante, e la norma
vigente rischia di ostacolare tale liberalità, soprattutto se gli enti percettori non si adattino agli
strumenti. Tale preoccupazione è superata almeno per la Chiesa cattolica, in quanto i suoi enti
richiedono giustificazione ogni movimento contabile, sia in entrata che in uscita, ai responsabili delle
proprie strutture.
Un’attenta gestione amministrativa consente l’equilibrio tra le esigenze del fedele che vuole
contribuire alle necessità della propria chiesa e la trasparenza gestionale.
La medesima esigenza di tutela si ripresenta in merito alla dichiarazione dei redditi e all’8x1000 per la
Chiesa cattolica e confessioni con intesa che vi aderiscono.

6.7 La raccolta dei dati sensibili nelle comunità separate

Il garante interviene anche nel caso della raccolta di dati sensibili di coloro che si trovano ricoverati in
ospedali e case di cura di appartenenza confessionale.

6.7.1 Le strutture sanitarie

La questione è sorta a seguito di segnalazioni riguardo una presunta violazione delle disposizioni sulla
protezione dei dati eseguita da molte strutture del Servizio Sanitario Nazionale relativa alla
somministrazione ai pazienti di un questionario nel quale, tra le altre cose, si chiedeva l’appartenenza
religiosa. L’istruttoria del garante ha rilevato che il questionario fosse un metodo sistematico e
preventivo per assicurare un’assistenza personalizzata al paziente con riferimento specifico al regime
alimentare, alla possibilità di dedicarsi a momenti di preghiera e ricevere conforto da un religioso,
nonché di non doversi sottoporre a pratiche mediche come la trasfusione.
Il 26 luglio 2012, l’Autorità amministrativa si interroga sulla necessità dei dati confessionali. In quella
sede, il garante ha previsto che la raccolta è possibile se finalizzata a garantire assistenza religiosa e
spirituale ai ricoverati. Tali informazioni vanno comunicate verbalmente al personale di reparto
dall’interessato o da un familiare, il personale riferirà alla direzione sanitaria, e i dati possono essere
raccolti lecitamente anche con riferimento al trattamento necroscopico (preparazione della salma).
Il garante esclude la raccolta a fini alimentari e all’eventuale rifiuto di determinati trattamenti, in
quanto tali necessità possono essere perseguite dalle strutture senza raccogliere la relativa
informazione confessionale. La struttura sanitaria non può acquisire informazioni confessionali a
seguito del consenso o rifiuto di determinati cibi o trattamenti.
2014: il garante aggiunge che l’informazione confessionale è lecitamente trattabile in materia di
assistenza spirituale e necroscopica. La raccolta non deve però avvenire in maniera sistematica e
preventiva, ma su richiesta dell’interessato o un terzo legittimato.

6.7.2 Le strutture carcerarie

La tutela alla riservatezza coinvolge anche i dati sensibili raccolti mediante le numerose istanze che i
detenuti presentano all’Amministrazione penitenziaria per le attività connesse all’esercizio della
libertà religiosa, tra le quali assistenza spirituale e pasti conformi ai precetti.
L’acquisizione dei dati dei detenuti agevolano l’Amministrazione penitenziaria nel collocamento,
semplificando l’integrazione e prevenendo la radicalizzazione religiosa.

6.8 Tutela della privacy nei social media e nelle app religiose
Le problematiche inerenti al trattamento dei dati nascono dal fatto che le app scaricate consentono al
provider di accedere, senza controllo dell’utente, ai dati del telefono e ai dati sensibili dell’utente.
Un’indiretta forma di controllo è offerta dai social che consentono di dichiarare la propria confessione
fra i dati sensibili che l’utente rende pubblici di proposito.
L’utilizzo di un’app religiosa, invece, permette al fornitore di entrare in possesso di dati dai quali si
può desumere l’appartenenza confessionale dell’utente. Questi vengono trattati dall’app, che spesso
li concede in modo illegittimo a terze parti per finalità sconosciute all’utente.
La disciplina del d.lgs 101/2018, che garantisce la correttezza del trattamento dei dati e la possibilità
di intervento degli interessati, si trova in difficoltà nel caso del download di un’app o della creazione di
un account social. In questi casi, l’utente è obbligato a inserire i dati sensibili, senza poterli
controllare.
Il garante ha accolto il ricorso di un utente di Facebook, che lamentava l’utilizzo dei suoi dati da parte
di un account falso, con lesione di onore, decoro e immagine.
Il garante obbliga i fornitori della app a fornire informazioni sufficienti riguardo il trattamento dei dati,
imponendo la trasparenza e la libertà del consenso dell’utente.

6.9 La religioni da remoto e la digital afterlife

Il web è parte integrante della religiosità individuale. Il web 3.0 è diventato sensoriale, cioè fa vivere
esperienze individuali attraverso i devices. La fede ne esce rivoluzionata, e il diritto di libertà religiosa
necessita di declinazioni nuove dettate dalla tecnoreligiosità. Permette al fedele di partecipare da
remoto ai riti, ponendo la digital religion come sfida globale.
Alcune confessioni hanno prodotto protocolli e linee guida per tutelare la privacy dei fedeli. La
partecipazione a tali rituali potrebbe rivelare dati sensibili o ledere il diritto d’immagine.
L’ufficio Comunicazioni Sociali della CEI, in merito alla celebrazione in diretta TV o streaming imposta
dall’emergenza pandemica Covid-19, afferma la necessità che la camera riprenda altare, ambone e
celebrante, in modo da creare la dimensione assembleare e favorire la partecipazione. I celebranti, i
lettori e coloro che prestano servizio all’altare devono essere opportunamente informati per favorire
la sostituzione in caso di rifiuto. Va garantita un’area cieca nella chiesa, dove possono risiedere coloro
che non desiderano essere ripresi. L’Arcidiocesi di Milano suggerisce di non memorizzare e pubblicare
la funzione a meno di necessità, e in ogni caso andrebbe cancellata dopo 14 giorni dalla celebrazione.
La digitalizzazione agevola il fedele, ma allo stesso tempo mina la partecipazione spirituale.
Internet ha cambiato anche la commemorazione dei defunti. Le religioni suggeriscono pratiche rituali
comuni e segni commemorativi (cerimonie funebri, veglie, elogi, tombe, lapidi ecc). Le forme delle
commemorazioni sono regolamentate da convenzioni e tradizioni culturali e sociali. La ritualità
digitale è in grado di accordarsi alle emozioni personali attraverso forme di ultrattività cibernetica sia
di chi non c’è più che di chi rimane.
Digital Death: aspetti che riguardano i modi in cui internet e i social cambiano il rapporto fra identità
soggettiva e morte. La realtà virtuale del web garantirebbe una vita eterna digitale, influenzando le
identità digitali altrui anche post mortem. Esiste un mercato di aziende che si propongono come
mandatarie post mortem per la gestione digitale del cliente, molto spesso carenti di garanzie e senza
controlli di legalità.
Eter9: social network che continua a pubblicare anche in caso di scomparsa dell’utente. Trattasi di un
esperimento di intelligenza artificiale che impara dai post passati e dalle interazioni. Il provider rende
inoltre disponibile la scelta di un legacy contact, un utente nella lista amici che potrà gestire in parte il
profilo del defunto e targhettare il profilo come una pagina commemorativa.

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