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CAPITOLO 5
E’ un elemento portante del sistema di principi costituzionali che strutturano il principio supremo della Laicità dello
Stato.
Primo Comma rappresenta quella che è l’uguaglianza formale: TUTTI I CITTADINI HANNO PARI DIGNITA SOCIALE,
SENZA DISTINZIONI DI RELIGIONE.
Secondo Comma: LA REPUBBLICA HA IL COMITO DI RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE
CHE LIMITANO DI FATTO LA LIBERTA’ E L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI, CHE IMPEDISCONO IL PIENO SVILUPPO
DELLA PERSONA UMANA E L’EFFETTIVA PARTECIPAZIONE DI TUTTI I LAVORATORI ALL’ORGANIZZAZIONE POLITICA
ECONOMICA E SOCIALE DEL PAESE.
A chi si riferisce? Pure menzionando i soli cittadini, è pacifico che la pari dignità sociale e l’uguaglianza debbano
essere assicurate a ciascun individuo e dunque anche agli stranieri, agli apolidi e ai soggetti collettivi.
- PER IL LEGISLATORE che nell’esercizio della sua disciplina che deve rispettare il principio di ragionevolezza e
di non manifesta arbitrarietà. Non sono dunque ammissibili diversità di trattamento.
- PER TUTTI I PUBBLICI POTERO compresi l’esecutivo e quello giurisdizionale. Pertanto l’uguaglianza si riflette
anche nell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost) e la soggezione del giudice soltanto alla
legge (art. 101 Cost).
- PER I PRIVATI che nelle loro relazioni giuridiche devono rispettare la parità di trattamento
- Implicitamente dall’art. 3
- Dall’articolo 14 della CEDU che dispone che il godimento dei principi e delle libertà riconosciute da tale
convenzione debba essere assicurato senza alcun tipo di discriminazione, in particolare quelle fondate sulla
religione.
- Dalla carta dei diritti fondamentali dell’UE che con l’art. 1 sancisce che la dignità umana è inviolabile.
- Dall’art. 20 che stabilisce che tutti sono uguali davanti alla legge
- Dall’art. 21 che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata su religione o convinzioni personali.
La commissione e l’istigazione a commettere atti discriminatori sono puniti dalla legge come reato, in virtù della
protezione della dignità di ogni uomo intesa come bene giuridico.
DISCRIMINAZIONE DIRETTA quando per religione o per convinzioni personali una persona è trattata in modo
meno favorevole rispetto a come viene o verrebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga.
DISCRIMINAZIONE INDIRETTA quando una disposizione, un atto, un patto, una prassi ecc. mettono in una
posizione di svantaggio chi professa una determinata religione o ideologia.
CAPITOLO 6
La costituzione volutamente non ha voluto definirla perché il Costituente non volle irrigidire in una formulazione
astratta un fenomeno di aggregazione vario e mutevole come lo è il fenomeno della confessione religiosa.
a) Le elaborazioni proveniente dalla giurisprudenza e dalla dottrina diametralmente opposte: la prima ritiene
che per definirsi confessione religiosa è necessario che sia costituita da un apparato normativo e di
un’organizzazione e una struttura solida (ad esempio come quella della Chiesa); la seconda ritiene che sia
sufficiente che il gruppo sociale si auto-qualifichi come confessione religiosa.
b) La Corte Costituzionale ha assunto una posizione intermedia tra la giurisprudenza e la dottrina. Afferma che
la natura di confessione di una comunità di fedeli si possa desumere da diversi fattori quali ad esempio: la
presenza di un’intesa stipulata con lo Stato, un proprio statuto che ne esprima i caratteri, la comune
considerazione.
c) La Cassazione ha invece affermato che debbano essere tutelate anche le confessioni che non intendono
organizzarsi secondo uno statuto. Perché per la Cassazione non si può intendere per religione solo quella la
cui dottrina prevede l’esistenza di un essere supremo e si fondi sul concetto di salvezza dell’anima. Questo
perché si escluderebbero ad esempio le religioni politeiste, quelle sciamaniche, il buddhismo ecc.
d) La CEDU ha affermato invece che affinché si possa parlare di confessione religiosa è necessario che i principi
che tale confessione professa debbano essere dotati di una sufficiente forza, serietà, coesione e importanza.
È stato stabilito inoltre che una confessione religiosa può essere considerata tale anche se svolge attività di tipo
commerciale purché però queste attività commerciali siano destinati a scopi religiosi e non al fine di lucro per gli
aderenti.
Infine poiché vi è stato un incremento di nuovi movimenti religiosi il Parlamento Europeo ha stabilito dei criteri
affinché si possa verifica la liceità o meno delle confessioni. Alcuni di questi criteri sono ad esempio: la libertà di
poter abbandonare la comunità di fedeli, i fedeli non devono essere mai incoraggiati a infrangere le leggi, gli
aderenti a una confessione devono essere liberi di avere contatti con i loro familiari, gli aderenti devono essere
liberi di avere un’adeguata assistenza medica ecc.
LA RISERVA DI STATUTO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSA DA QUELLA CATTOLICA ART. 8 SECONDO
COMMA
L’art. 8 secondo comma afferma che le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi
secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
Questo articolo attribuisce dunque il diritto delle confessioni religiose a darsi una propria organizzazione su base
statutaria ma non impone loro l’obbligo di assumere uno statuto. Questo significa cioè che possono esserci
confessioni che sono strutturate come semplici comunità di fedeli e sono però prive di un apparato organizzativo
rilevante. E pur non avendo uno statuto sono ugualmente protette dal principio di libertà.
Tale art. inoltre specifica che gli statuti delle confessioni religiose non debbano contrastare con l’ordinamento
giuridico italiano. Dunque, seppure vi è il divieto per lo stato di dichiarare illegittima o nulla una disposizione
confessionale, ciò non significa che le disposizioni confessionali siano sempre lecite. Difatti un soggetto che
obbedendo ad un precetto religioso violi una legge statale ne potrà rispondere davanti al giudice italiano.
La corte costituzionale ha però affermato che il richiamo all’ordinamento giuridico italiano si debba intendere
riferito solo ai principi fondamentali.
LA BILATERALITA’ PATTIZIA
La costituzione afferma che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinate sulla base di fonti
bilaterali (principio di bilateralità pattizia). Fonti bilaterali che prendono il nome di Trattati e Concordati con la
Chiesa cattolica e il nome di Intese con le confessioni diverse
Per quanto concerne la potestà legislativa l’art. 117 stabilisce che la materia dei rapporti tra Stato e Confessioni
religiose è riservata alla competenza esclusiva dello Stato. Ciò è dovuto al fatto che questa disciplina deve essere
uniforme su tutto il territorio Nazionale.
L’articolo 19 tutela la libertà religiosa individuale. Afferma che tutti hanno il diritto di professare liberamente la
propria fede religiosa sia in forma individuale che in forma associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto
sia privatamente che pubblicamente con l’unico limite che i riti non siano contrari al buon costume.
Questo articolo, a differenza di altre liberà costituzionali, fa riferimento a tutti dunque a chiunque si trovi nel
territorio statale, anche i non cittadini dunque quali ad esempio rifugiati, stranieri, apolidi. Dunque un apertura
ad ogni cultura, etnia, razza senza la condizione di reciprocità (espressione che indica il principio per cui lo straniero è
ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione che il medesimo trattamento sia accordato al cittadino
italiano nello stato d'origine dello straniero).
Questo articolo fa riferimento all’esercizio individuale della libertà religiosa, in quanto il profilo collettivo è espressamente
tutelato dagli articoli 7,8,20 cost., tuttavia ne garantisce letteralmente anche l’esercizio in forma associata e quindi si
ritengono destinatari anche i soggetti collettivi.
L’interpretazione del contenuto dell’art. 19 ovviamente deve tenere conto del micro-sistema delle norme costituzionali che
tutelano espressamente il fenomeno religioso (art 2,3,7,8,19,20).
E inoltre, sempre il suo contenuto, si arricchisce anche la relazione all’art 9 della CEDU e 8 della carta di Nizza che tutelano la
libertà di pensiero, di religione e di coscienza. Tuttavia la garanzia alla liberà di religione della CEDU si presenta in alcuni
aspetti più limitata di quella prevista dall’art. 19 per tanto si rende operativa la cosiddetta riserva delle disposizioni più
favorevoli.
LA LIBERTA’ DI PROPAGANDA
L’art. 19 disciplina anche la libertà di propaganda in materia religiosa. Tuttavia tale libertà è stata soggetta e
forse lo è ancora a delle differenziazioni. Ad esempio in passato fu ostacolata in quando la propaganda cattolica
era ampiamente tutelata attraverso norme concordatarie mentre quella delle minoranze era limitata. O ancora
in passato si puniva il vilipendio della sola religione cattolica. La corte cost. ha poi dichiarato illegittime quelle
disposizioni che limitavano le attività di volantinaggio delle confessioni di minoranza.
E ancora oggi, per quanto riguarda ad esempio la propaganda radio-televisiva, la modulazione concreta dei
programmi in fasce orarie e per tempi diversi finisce per concedere una posizione privilegiata solo ad alcune
confessioni religiose e in modo particolare alla chiesa cattolica.
I PRECEDENTI STORICI
L’art. 20 stabilisce che il carattere ecclesiastico di un’associazione o di un’istituzione non può costituire speciali
limitazioni legislative.
Il motivo per il quale il costituente ha deciso di tutelare ciò è dovuto al fatto che, in passato prima della
costituzione, vi erano discipline legislative a sfavore degli enti ecclesiastici tra le quali soprattutto la “Legislazione
eversiva dell’asse ecclesiastico” del Regno di Piemonte e Sardegna, prima, e poi del Regno d’Italia con la quale si
dispose la confisca dei beni ecclesiastici
CONTENUTI E FINALITA’
L’art. 20 dunque rappresenta un divieto per il legislatore di discriminare gli enti ecclesiastici rispetto ad altri enti
di diritto comune ma anche di discriminare all’interno della medesima categoria di enti ecclesiastici e
quest’ultima rappresenta una problematica pervia della posizione dominante della Chiesa.
È pur vero che il divieto di discriminazione degli enti ecclesiastici si può desumere dalle altre norme costituzionali
che compongono questo microsistema, tuttavia l’art. 2° non è per niente superfluo bensì completa, essendo la
norma di chiusura, quella che è la tutela costituzionale del fenomeno religioso.
Per ciò che concerne il concetto di discriminazione, la Corte costituzionale ha specificato che non tutte le
differenze di trattamento sono illegittime. Ha ritenuto difatti legittime ad esempio differenze di trattamento
tributario. Inoltre la Corte di Strasburgo (ossia la corte della CEDU cioè la corte europea dei diritti dell’uomo)
sulla stessa riga della corte costituzionale, ha escluso che siano discriminatorie differenze di trattamento
“oggettive, ragionevoli e proporzionare” in quanto dirette ad appianare le differenze di fatto.
LA CAPACITA’ CONTRIBUTIVA
L’art. 20 consente allo Stato di introdurre agevolazioni fiscali a favori di associazioni o istituzioni religiose
limitatamente alle attività con finalità di religione e culto.
Vieta invece di gravare oneri fiscali discriminatori anche qual ora il ricavato fosse usato per finanziare attività
confessionali. La potestà tributaria è comunque esclusiva dello Stato, ma il divieto di speciali gravami fiscali non
consente di intraprendere attività tributarie al fine di voler eguagliare gli enti di una confessione o di voler
redistribuire le risorse tra gli enti delle confessioni.