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LA COSTITUZIONE E IL FATTORE RELIGIOSO

CAPITOLO 5

IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA  ARTICOLO 3 Cost.

E’ un elemento portante del sistema di principi costituzionali che strutturano il principio supremo della Laicità dello
Stato.

Primo Comma rappresenta quella che è l’uguaglianza formale: TUTTI I CITTADINI HANNO PARI DIGNITA SOCIALE,
SENZA DISTINZIONI DI RELIGIONE.

Secondo Comma: LA REPUBBLICA HA IL COMITO DI RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE
CHE LIMITANO DI FATTO LA LIBERTA’ E L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI, CHE IMPEDISCONO IL PIENO SVILUPPO
DELLA PERSONA UMANA E L’EFFETTIVA PARTECIPAZIONE DI TUTTI I LAVORATORI ALL’ORGANIZZAZIONE POLITICA
ECONOMICA E SOCIALE DEL PAESE.

A chi si riferisce? Pure menzionando i soli cittadini, è pacifico che la pari dignità sociale e l’uguaglianza debbano
essere assicurate a ciascun individuo e dunque anche agli stranieri, agli apolidi e ai soggetti collettivi.

Per chi rappresenta un vincolo?

- PER IL LEGISLATORE che nell’esercizio della sua disciplina che deve rispettare il principio di ragionevolezza e
di non manifesta arbitrarietà. Non sono dunque ammissibili diversità di trattamento.
- PER TUTTI I PUBBLICI POTERO compresi l’esecutivo e quello giurisdizionale. Pertanto l’uguaglianza si riflette
anche nell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost) e la soggezione del giudice soltanto alla
legge (art. 101 Cost).
- PER I PRIVATI che nelle loro relazioni giuridiche devono rispettare la parità di trattamento

Correlato al principio di uguaglianza abbiamo il DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI.

Tale divieto si desume:

- Implicitamente dall’art. 3
- Dall’articolo 14 della CEDU che dispone che il godimento dei principi e delle libertà riconosciute da tale
convenzione debba essere assicurato senza alcun tipo di discriminazione, in particolare quelle fondate sulla
religione.
- Dalla carta dei diritti fondamentali dell’UE che con l’art. 1 sancisce che la dignità umana è inviolabile.
- Dall’art. 20 che stabilisce che tutti sono uguali davanti alla legge
- Dall’art. 21 che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata su religione o convinzioni personali.

La commissione e l’istigazione a commettere atti discriminatori sono puniti dalla legge come reato, in virtù della
protezione della dignità di ogni uomo intesa come bene giuridico.

Abbiamo inoltre due tipi di discriminazione:

DISCRIMINAZIONE DIRETTA  quando per religione o per convinzioni personali una persona è trattata in modo
meno favorevole rispetto a come viene o verrebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga.

DISCRIMINAZIONE INDIRETTA  quando una disposizione, un atto, un patto, una prassi ecc. mettono in una
posizione di svantaggio chi professa una determinata religione o ideologia.
CAPITOLO 6

I PRINCIPI E GLI STRUMENTI DEL PLURALISMO GIURIDICO  Art. 7 e Art. 8

Prima di tutto dobbiamo spiegare cosa si intende per CONFESSIONE RELIGIOSA?

La costituzione volutamente non ha voluto definirla perché il Costituente non volle irrigidire in una formulazione
astratta un fenomeno di aggregazione vario e mutevole come lo è il fenomeno della confessione religiosa.

Per definirle vi sono diverse elaborazioni:

a) Le elaborazioni proveniente dalla giurisprudenza e dalla dottrina diametralmente opposte: la prima ritiene
che per definirsi confessione religiosa è necessario che sia costituita da un apparato normativo e di
un’organizzazione e una struttura solida (ad esempio come quella della Chiesa); la seconda ritiene che sia
sufficiente che il gruppo sociale si auto-qualifichi come confessione religiosa.
b) La Corte Costituzionale ha assunto una posizione intermedia tra la giurisprudenza e la dottrina. Afferma che
la natura di confessione di una comunità di fedeli si possa desumere da diversi fattori quali ad esempio: la
presenza di un’intesa stipulata con lo Stato, un proprio statuto che ne esprima i caratteri, la comune
considerazione.
c) La Cassazione ha invece affermato che debbano essere tutelate anche le confessioni che non intendono
organizzarsi secondo uno statuto. Perché per la Cassazione non si può intendere per religione solo quella la
cui dottrina prevede l’esistenza di un essere supremo e si fondi sul concetto di salvezza dell’anima. Questo
perché si escluderebbero ad esempio le religioni politeiste, quelle sciamaniche, il buddhismo ecc.
d) La CEDU ha affermato invece che affinché si possa parlare di confessione religiosa è necessario che i principi
che tale confessione professa debbano essere dotati di una sufficiente forza, serietà, coesione e importanza.

È stato stabilito inoltre che una confessione religiosa può essere considerata tale anche se svolge attività di tipo
commerciale purché però queste attività commerciali siano destinati a scopi religiosi e non al fine di lucro per gli
aderenti.

Infine poiché vi è stato un incremento di nuovi movimenti religiosi il Parlamento Europeo ha stabilito dei criteri
affinché si possa verifica la liceità o meno delle confessioni. Alcuni di questi criteri sono ad esempio: la libertà di
poter abbandonare la comunità di fedeli, i fedeli non devono essere mai incoraggiati a infrangere le leggi, gli
aderenti a una confessione devono essere liberi di avere contatti con i loro familiari, gli aderenti devono essere
liberi di avere un’adeguata assistenza medica ecc.

IL PLURALISMO CONFESSIONALE  articolo 8 PRIMO COMMA


L’articolo 8 al primo comma afferma che TUTTE LE CONFESSIONI RELIGIOSE SONO EGUALMENTE LIBERE
DAVANTI ALLA LEGGE.
In tal modo si esprime il concetto di pluralismo confessionale, con la costituzione difatti si abbandona la forma di
stato confessionista che caratterizzava l’ordinamento del Regno d’Italia.
Invece ora l’ordinamento Repubblicano si fonda sul pluralismo, ossia sul fatto che tutte le confessioni religiose
godono in egual modo di tutte le libertà garantite sia dalla costituzione sia dalle fonti internazionali; senza che vi
siano posizioni di preminenza di una religione rispetto ad un'altra.

LA DISTINZIONE DEGLI “ORDINI”  Art. 7 PRIMO COMMA


L’articolo 7 al primo comma stabilisce che LO STATO E LA CHIESA SONO, CIASCUNO NEL LORO ORDINE, SOVRANI
E INDIPENDENTI.
Ove per ordine si intende il complesso di materie e di interessi sui quali ognuno dei dui soggetti (cioè chiesa e
stato) esercita il potere sovrano.
Nello specifico comunque lo Stato esercita il suo potere nella sfera temporale, cioè il profano. E la Chiesa
esercita il suo potere nella sfera spirituale, cioè il sacro.
E’ importante sottolineare che sebbene la Costituzione si riferisce espressamente solo alla Chiesa cattolica in
realtà l’indipendenza degli ordini riguarda tutte le confessioni religiose.
All’ordine dello Stato appartengono comunque ad esempio il potere di imporre coattivamente i suoi precetti, la
tutela della salute e della libertà degli individui, la previsione e la punizione dei reati.
All’ordine delle Confessioni appartengono invece ad esempio la disciplina dei riti, delle cerimonio e delle festività
di religione. Materie comunque per le quali lo Stato ha auto-limitato la sua sovranità in virtù della libertà e
dell’indipendenza delle confessioni.

LA RISERVA DI STATUTO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSA DA QUELLA CATTOLICA  ART. 8 SECONDO
COMMA
L’art. 8 secondo comma afferma che le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi
secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
Questo articolo attribuisce dunque il diritto delle confessioni religiose a darsi una propria organizzazione su base
statutaria ma non impone loro l’obbligo di assumere uno statuto. Questo significa cioè che possono esserci
confessioni che sono strutturate come semplici comunità di fedeli e sono però prive di un apparato organizzativo
rilevante. E pur non avendo uno statuto sono ugualmente protette dal principio di libertà.
Tale art. inoltre specifica che gli statuti delle confessioni religiose non debbano contrastare con l’ordinamento
giuridico italiano. Dunque, seppure vi è il divieto per lo stato di dichiarare illegittima o nulla una disposizione
confessionale, ciò non significa che le disposizioni confessionali siano sempre lecite. Difatti un soggetto che
obbedendo ad un precetto religioso violi una legge statale ne potrà rispondere davanti al giudice italiano.
La corte costituzionale ha però affermato che il richiamo all’ordinamento giuridico italiano si debba intendere
riferito solo ai principi fondamentali.

LA BILATERALITA’ PATTIZIA
La costituzione afferma che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinate sulla base di fonti
bilaterali (principio di bilateralità pattizia). Fonti bilaterali che prendono il nome di Trattati e Concordati con la
Chiesa cattolica e il nome di Intese con le confessioni diverse
Per quanto concerne la potestà legislativa l’art. 117 stabilisce che la materia dei rapporti tra Stato e Confessioni
religiose è riservata alla competenza esclusiva dello Stato. Ciò è dovuto al fatto che questa disciplina deve essere
uniforme su tutto il territorio Nazionale.

GLI ACCORDI CON LA CHIESA CATTOLICA  ART. 7 SECONDO COMMA


L’art. 7 secondo comma sancisce che i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modifiche di tali patti, se accettate dalle due parti, non richiedo il procedimento di revisione costituzionale.
Abbiamo già visto ad esempio che il Concordato (facente parte dei Patti Lateranensi) è stato modificato con il
consenso di entrambe le parti dall’Accordo del 1984.
Se le modifiche ai Patti Lateranensi sono invece unilaterali è richiesto il procedimento di revisione costituzionale.
Questo richiamo diretto e specifico della costituzione ai patti lateranensi ha posto l’interrogativo relativo alla
collocazione nel sistema delle fonti delle norme concordatarie. Secondo la Corte Costituzionale hanno rilevanza
costituzionale. Il secondo comma dell’art. 7 però richiama in modo diretto e specifico solo i P.L. e, invece,
richiama le modifiche solo in modo generale. Quindi altro interrogativo è quello della collocazione nel sistema
delle fonti dell’Accordo del 1984. In merito a ciò sembrerebbe che la corte abbia propeso, in modo implicito, a
ritenere anch’essa avente rilevanza costituzionale.
NB i Concordati con la Chiesa Cattolica sono assimilabili a trattati internazionali per via della personalità giuridica
di diritto internazionale riconosciuta alla Santa Sede.
NB2 La Santa Sede o Sede Apostolica è l'ente, dotato di personalità giuridica in diritto internazionale, preposto al
governo della Chiesa cattolica.
Sono fonti atipiche.
LE INTESE CON LE CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA ART. 8 TERZO COMMA
L’art. 8 stabilisce che i rapporti tra stato e confessioni diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di
intese con le relative rappresentanze.
Mentre i Concordati con la Chiesa Cattolica sono assimilabili a trattati internazionali per via della personalità
giuridica di diritto internazionale riconosciuta alla Santa Sede, la natura giuridica delle intese è invece
controversa. Difatti vi è che è propenso a definirle atti di diritto pubblico per via del fatto che gli statuti delle
confessioni devono essere conformi all’ordinamento giuridico italiano e chi, invece, le ritiene accordi di diritto
esterno facendo leva sul principio di laicità e sull’indipendenza degli ordinamenti confessionali.
La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipula di una intesa, spetta al Governo. Una volta
completato l’iter, dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Presidente della Confessione religiosa, le intese
sono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione con legge. A differenza dei Patti Lateranensi (che sono
direttamente richiamati dall’art. 7 secondo comma) le intese invece sono pienamente assoggettabili al sindacato
di legittimità costituzionale, non solo dunque in relazione ai principi supremi ma anche rispetto alle leggi
costituzionali.
L’esercizio del diritto di iniziare le trattative spetta alle singole confessioni. Poi seguono varie fasi disciplinate
dalla prassi e che interessano l’attività governativa quali avviare i negoziati, concluderli e siglari, riferire alle
camere, autorizzare la sottoscrizione dell’intesa e presentare il disegno di legge di approvazione. Al presidente
del consiglio spetta condurre le trattative, raggiungere l’intesa e sottoscriverla, a meno che l’intesa non riguardi
una specifica materia che è attribuita a un ministero e allora il soggetto competente sarà il singolo ministro.
Ovviamente è necessario che le persone scelte come rappresentanti delle confessioni siano dotate, come
requisito minimo, della capacità di agire.
Infine, una volta presentato il disegno di legge, il Parlamento può solo approvarlo o respingerlo nella sua
interezza in quanto non sono presentabili emendamenti (cioè modifiche).

IL PRINCIPIO SUPREMO DI LAICITA’ DELLO STATO


La Repubblica Italiana è una democrazia laica. Tutta via nella nostra Carta Costituzionale manca un espressa
menzione alla laicità. A questa mancanza ha sopperito la Corte Costituzionale in una pronuncia definita storia del
1989, sentenza numero 203.
Dunque, a differenza di altre carte costituzionali in cui è invece espressamente prevista, come la costituzione
francese ad esempio, in Italia invece tale principio p stato ricavato in via interpretativa dall’analisi sistematica
degli articoli 2,3,7,8,19 e 20 della costituzione.
E la laicità, in quanto principio supremo, è posta al vertice delle fonti.
Detto ciò emerge una laicità definita “all’italiana” la quale non implica indifferenza da parte dello stato dinnanzi
le religioni bensì una garanzia dello Stato per salvaguardare la liberà di religione in virtù del pluralismo
confessionale e culturale (parole della sentenza 203).
Secondo la Corte Cost. dal principio di laicità discendono i suoi riflessi ossia:
- LA DISTINZIONE DEGLI ORDINI tra Stato e confessioni religiose, tra sfera temporale e sfera spirituale. E da
tale distinzione deriva a sua volta il DIVIETO DI INGERENZA in base al quale lo Stato non può intervenire
nell’ordine proprio delle confessioni e viceversa.
- IL PLURALISMO CONFESSIONALE all’interno del quale devono convivere in uguaglianza di liberà, fedi culture
e tradizioni diverse.
- IL DIVIETO DI OGNI TIPO DI DISCRIMINAZIONI TRA RELIGIONI
- IL DOVERE DI EQUIDISTANZA E IMPARZIALITA che sancisce l’illegittimità di discipline differenziate in base alla
religione
- LA SPECIFICITA’ del diritto bilatere tra confessioni e Stato.
- L’IMPARZIALITA’ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (art 97 Cost.)
- LA SOGGEZIONE DEL GIUDICE SOLTANTO ALLE LEGGI (art 101 Cost.)
Infine le norme della CEDU, quali norme interposte, costituiscono un ulteriore vincolo di conformità della
legislazione nazionale ai principi sopraelencati.
CAPITOLO 7

LA LIBERTA’ DI RELIGIONE E DI CONVIZIONI  ARTICOLO 19

L’articolo 19 tutela la libertà religiosa individuale. Afferma che tutti hanno il diritto di professare liberamente la
propria fede religiosa sia in forma individuale che in forma associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto
sia privatamente che pubblicamente con l’unico limite che i riti non siano contrari al buon costume.
Questo articolo, a differenza di altre liberà costituzionali, fa riferimento a tutti dunque a chiunque si trovi nel
territorio statale, anche i non cittadini dunque quali ad esempio rifugiati, stranieri, apolidi. Dunque un apertura
ad ogni cultura, etnia, razza senza la condizione di reciprocità (espressione che indica il principio per cui lo straniero è
ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione che il medesimo trattamento sia accordato al cittadino
italiano nello stato d'origine dello straniero).
Questo articolo fa riferimento all’esercizio individuale della libertà religiosa, in quanto il profilo collettivo è espressamente
tutelato dagli articoli 7,8,20 cost., tuttavia ne garantisce letteralmente anche l’esercizio in forma associata e quindi si
ritengono destinatari anche i soggetti collettivi.
L’interpretazione del contenuto dell’art. 19 ovviamente deve tenere conto del micro-sistema delle norme costituzionali che
tutelano espressamente il fenomeno religioso (art 2,3,7,8,19,20).
E inoltre, sempre il suo contenuto, si arricchisce anche la relazione all’art 9 della CEDU e 8 della carta di Nizza che tutelano la
libertà di pensiero, di religione e di coscienza. Tuttavia la garanzia alla liberà di religione della CEDU si presenta in alcuni
aspetti più limitata di quella prevista dall’art. 19 per tanto si rende operativa la cosiddetta riserva delle disposizioni più
favorevoli.

LA LIBERTA’ DELLE CONVINZIONI NEGATIVE


Ovviamente però la Costituzione tutela tanto il diritto di credere quanto quello di non compiere alcuna scelta e quindi si
deve ritenere che l’art. 19 tuteli anche le posizioni eterodosse come quelle dell’ateismo, degli agnostici ecc.
Effettivamente però l’art. 19 non contiene un riferimento esplicito alla liberà di coscienza, ma la Corte Costituzionale ha
affermato che la libertà di coscienza, che si riferisce sia alla libera professione di una fede che di un’opinione religiosa, è
ricompresa nell’art 19 ed è dunque anch’essa tra i diritti inviolabili dell’uomo. La mancanza di un esplicito riferimento era
valsa al fine di sostenere l’opinione secondo cui le concezioni del mondo non religiose, in modo particolare l’ateismo,
sarebbero state prive di tutela costituzionale o comunque avrebbero avuto una tutela più limitata.
La polemica sull’ateismo fu causata soprattutto negli anni 50 quando fu affidata la prole al genitore credente e non a quello
ateo in virtù del fatto che il credente fosse un educatore migliore.
Alla fine degli anni 70 la Corte ha statuito che non possano esserci differenze di tutela tra credente e ateo e ha stabilito
dunque che l’art. 19 tuteli anche le c.d. libertà negative. Ciò attraverso anche ad una sentenza Del 1979 Con la quale alla
formula del giuramento religioso dei testimoni di un processo “consapevole della responsabilità che con il giuramento
assumete davanti a Dio e agli uomini, giurate di dire la verità null’ altro che la verità” aggiunse l’inciso “se
credente” proprio al fine di tutelare sia la libertà di chi crede che del non credente.
Inoltre la CEDU (anche col suo art.9) ha affermato che bisogna che così come si è liberi di manifestare la propria
religione bisogna essere liberi anche dell’aspetto negativo ossia avere il diritto a non essere obbligati a
manifestare la propria appartenenza confessionale o le proprie convinzioni religiose e non bisogna essere
obbligati ad agire in modo tale che si possa trarre la conclusione che una persona abbia o meno simili
convinzioni. Tuttavia nel nostro ordinamento vi è l’onere di rendere delle dichiarazioni che indirettamente
possono rivelare il credo del soggetto dichiarante, quali ad esempio la scelta di avvalersi o meno
dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

IL LIMITE DELLA NON CONTRARIETA’ DEI RITI AL BUON COSTUME


L’art. 19 prevede in forma espressa solo un limite cioè quello relativo al fatto che i riti non devono essere
contrari al buon costume.
Va sottolineato come le garanzie della nostra Carta siano più ampie rispetto a fonti di natura internazionale.
Difatti ad esempio l’art. 9 della CEDU (e la carta di Nizza) prevedono limitazioni oltre che per motivi di morale
pubblica, anche per ordine pubblico, salute e protezione dei diritti altrui sebbene però tali limitazioni devono
essere necessarie, avere scopo legittimo, proporzionate agli interessi da tutelare e previste per legge.
Per quanto concerne il concetto costituzionale di buon costume è delineato dalla lettura degli art. 19 e 21
secondo cui risulta essere “un insieme di precetti che impongono determinati comportamenti nella vita
relazionata e che se inosservati risulta violata la sfera sessuale, più precisamente quella del pudore, la dignità
sessuale e il sentimento morale dei giovani”.
Ovviamente però il concetto di buon costume è un concetto elastico, che dipende anche dal momento storico,
difatti ciò che ora si ritiene conforme al comune senso del pudore magari non lo era in passato e viceversa.
L’articolo 21 disciplina la libertà di manifestazione del pensiero “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure […] Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”
Quindi si nota che l’art’ 21, nel vietale le pubblicazioni e gli spettacoli contrarie al costume, assume un
atteggiamento di prevenzione mentre invece l’art. 19 prevede un controllo successivo, dunque quello di
comminare sanzioni.

LA FACOLTA’ DI PROFESSARE LIBERAMENTE LA FEDE


L’elencazione delle facoltà connesse alla libertà religiosa contenuta nell’art. 19 non è esaustiva difatti oltre alle
facoltà espresse vi sono anche facoltà impliciti come ad esempio professare l’ateismo, fare opera di proselitismo,
manifestare con ogni mezzo il proprio pensiero in materia religiosa ecc.
Inoltre si riconnette alla facoltà di professare la fede religiosa e il proprio pensiero in materia religiosa, la facoltà
di mutare in ogni tempo la propria appartenenza confessionale, prevista espressamente anche dall’art.9 della
CEDU. E l’appartenenza obbligatoria a una confessione costituisce violazione dell’art. 19.
Dunque l’appartenenza a una confessione deve essere frutto di una libera scelta. Ciò soprattutto per via del fatto
che esistono dei gruppi dal dubbio carattere religioso chiamati in modo dispregiativo “sette” che tendono al
controllo della volontà dei loro adepti, il cosiddetto “lavaggio del cervello” e possono avere metodi aggressivi di
proselitismo. Il rischio è dato anche dai movimenti integralisti di radice islamica che sono coinvolti in episodi di
conversione forzata di prigionieri e ostaggi.

LA LIBERA’ DEI FEDELI ALL’INTERNO DELLA CONFESSIONE


Le confessioni religiose hanno una propria struttura e un proprio ordinamento interno in virtù della loro
indipedenza. Per tanto ne deriva che un fedele può far valere i suoi diritti (quelli ad esempio relativi a
un’espulsione ecc.) solo davanti alle autorità ecclesiastiche.
Tuttavia è sorto il problema relativo allo stabilire quali siano i limiti per lo Stato nel suo intervento e la Corte
costituzionale ha stabilito che la tutela dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Cost deve essere garantita anche
all’interno e nei confronti delle formazioni sociali in cui rientrano anche le confessioni religiose.

LA LIBERTA’ DI PROPAGANDA
L’art. 19 disciplina anche la libertà di propaganda in materia religiosa. Tuttavia tale libertà è stata soggetta e
forse lo è ancora a delle differenziazioni. Ad esempio in passato fu ostacolata in quando la propaganda cattolica
era ampiamente tutelata attraverso norme concordatarie mentre quella delle minoranze era limitata. O ancora
in passato si puniva il vilipendio della sola religione cattolica. La corte cost. ha poi dichiarato illegittime quelle
disposizioni che limitavano le attività di volantinaggio delle confessioni di minoranza.
E ancora oggi, per quanto riguarda ad esempio la propaganda radio-televisiva, la modulazione concreta dei
programmi in fasce orarie e per tempi diversi finisce per concedere una posizione privilegiata solo ad alcune
confessioni religiose e in modo particolare alla chiesa cattolica.

L’ESERCIZIO DEL CULTO


Anche l’esercizio del culto è stato oggetto di differenziazioni tra le varie confessioni.
Tali differenziazioni sono state poi limitate dalle pronunce della Corte Costituzionale le quali hanno, ad esempio,
assicurato alle minoranze l’effettiva libertà di aprire edifici di culto al pubblico e la libertà di riunirsi.
Per quanto riguarda l’esercizio del culto comunque si può affermare che la norma dell’art. 19 che esclude ogni
controllo preventivo per il culto esercitato sia privatamente che in luogo aperto al pubblico, deve essere
coordinata con l’art. 17 terzo comma che dispone che, solo per le riunioni in luogo pubblico, vi sia una forma
attenuata di controllo che è rappresentata dal preavviso alle autorità le quali possono vietare tali riunioni solo
per motivi comprovati (esempio articolo 18 “sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”)
CAPITOLO 8

IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE DEGLI ENTI ECCLASIASTICI  ART. 20

I PRECEDENTI STORICI
L’art. 20 stabilisce che il carattere ecclesiastico di un’associazione o di un’istituzione non può costituire speciali
limitazioni legislative.
Il motivo per il quale il costituente ha deciso di tutelare ciò è dovuto al fatto che, in passato prima della
costituzione, vi erano discipline legislative a sfavore degli enti ecclesiastici tra le quali soprattutto la “Legislazione
eversiva dell’asse ecclesiastico” del Regno di Piemonte e Sardegna, prima, e poi del Regno d’Italia con la quale si
dispose la confisca dei beni ecclesiastici

CONTENUTI E FINALITA’
L’art. 20 dunque rappresenta un divieto per il legislatore di discriminare gli enti ecclesiastici rispetto ad altri enti
di diritto comune ma anche di discriminare all’interno della medesima categoria di enti ecclesiastici e
quest’ultima rappresenta una problematica pervia della posizione dominante della Chiesa.
È pur vero che il divieto di discriminazione degli enti ecclesiastici si può desumere dalle altre norme costituzionali
che compongono questo microsistema, tuttavia l’art. 2° non è per niente superfluo bensì completa, essendo la
norma di chiusura, quella che è la tutela costituzionale del fenomeno religioso.
Per ciò che concerne il concetto di discriminazione, la Corte costituzionale ha specificato che non tutte le
differenze di trattamento sono illegittime. Ha ritenuto difatti legittime ad esempio differenze di trattamento
tributario. Inoltre la Corte di Strasburgo (ossia la corte della CEDU cioè la corte europea dei diritti dell’uomo)
sulla stessa riga della corte costituzionale, ha escluso che siano discriminatorie differenze di trattamento
“oggettive, ragionevoli e proporzionare” in quanto dirette ad appianare le differenze di fatto.

I SOGGETTI DESTINATARI DELLA GARANZIA


L’art. 20 afferma che si da tutela alle associazioni e alle istituzioni aventi carattere ecclesiastico e fine di religione
o culto. Il riferimento alle associazioni è dato dal fatto che si vuole dare tutela anche alle aggregazioni non
istituzionalizzate.
Per quanto riguarda invece il termine ecclesiastico esso è riferito agli enti che appartengono alla chiesa Cattolica
e alle altre chiese cristiane ad esempio le valdesi, pentecostali, mormoni ecc. Mentre per gli enti collegati a
confessioni non favorevoli a denominarsi “chiesa” si utilizza la nozione di ente confessionale.

L’AMMINISTRAZIONE DEGLI ENTI ECCLESIASTICI


Per l’amministrazione vige il principio secondo cui la gestione degli enti collegati alle confessioni religiose si
svolge sotto il controllo dei loro competenti organi senza ingerenza dello stato.

LA CAPACITA’ CONTRIBUTIVA
L’art. 20 consente allo Stato di introdurre agevolazioni fiscali a favori di associazioni o istituzioni religiose
limitatamente alle attività con finalità di religione e culto.
Vieta invece di gravare oneri fiscali discriminatori anche qual ora il ricavato fosse usato per finanziare attività
confessionali. La potestà tributaria è comunque esclusiva dello Stato, ma il divieto di speciali gravami fiscali non
consente di intraprendere attività tributarie al fine di voler eguagliare gli enti di una confessione o di voler
redistribuire le risorse tra gli enti delle confessioni.

GLI ENTI ECCLESIASTICI DI DIRITTO COMUNE


CAPITOLO 9

LA LIBERTA’ DI PENSIERO DI COSCIENZA E DI RELIGIONE

LA CEDU: CENNI SU STRUTTURA E CONTENUTI


E’ a Strasburgo in Francia.
La tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è oggi esercitata anche a livello internazionale e non
più soltanto statale dunque.
Importantissima è la CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO detta CEDU sottoscritta a Roma il 1950.
Con tale CEDU difatti si istituì per la prima volta un apposito organo giurisdizionale atto a pronunciare
provvedimenti obbligatori e vincolanti per gli stati firmatari e dunque organo in grado di offrire una concreta
tutela dei diritti garantiti.
La CEDU attualmente è sottoscritta da 47 Stati membri del Consiglio d’Europa ed è un trattato internazionale
multilaterale.
È strutturate in 3 TITOLI che sono
- TITOLO PRIMO  enuncia i diritti, le libertà e i divieti che gli stati membri sono formalmente vincolati a
rispettare
- TITOLO SECONDO  istituisce e regolamenta un proprio organo istituzionale cioè la Corte europea dei diritti
dell’uomo
- TITOLO TERZO  detta altre disposizioni inerenti alle modalità di partecipazione degli stati membri e alle
modalità di applicazione della CEDU
Il testo della CEDU è stato modificato nel tempo attraverso i Protocolli e distinguiamo i:
a) Protocolli aggiuntivi con i quali si estende il novero dei diritti garantiti
b) Protocolli di emendamento con i quali di apportano modifiche alla CEDU
Il recepimento della CEDU nell’ordinamento interno è rimesso ai singoli stati membri.
Per quanti invece riguarda il rapporto tra norme della CEDU e leggi ordinarie successive ad esse ma con esse
incompatibili si è stabilito che tali norme CEDU sono collocate nella gerarchia delle fonti come fonti interposte e
pertanto si considera che siano prevalenti anche sulla normativa ordinaria successiva.

IL RICORSO ALLA CEDU


La CEDU o meglio la Corte Europea dei diritti dell’uomo è compostata da un numero di giudici pari a quello degli
Stati membri ossia degli stati che hanno ratificato la convenzione, ad oggi 47. Il loro mandato dura 9 anni e non
può essere rinnovato. La corte in assemblea plenaria (ossia partecipano tutti i membri) elegge il Presidente e i
vice presidenti il cui mandato dura 3 anni e adotta un proprio regolamento.
La trattazione delle controversie è affidata, a seconda dei casi, a :
- Giudice Unico
- Comitati: composti da 3 giudici
- Camere: composte da 7 giudici
- Grande Camera: composta da 17 giudici
Dinnanzi alla Corte possono essere promossi due tipi di ricorso:
1) RICORSO INTERSTATALE art 33  può essere presentato da uno Stato membro quando ritiene che un altro
Stato contraente abbia violato una o più disposizioni della Convenzione. È usato di rado.
2) RICORSO INDIVIDUALE art 34  può ricorrervi ogni persona fisica, organizzazione non governativa o gruppo
di privati che ritenga di essere vittima di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi
protocolli da parte di uno Stato membro, non è subordinato alla cittadinanza di uno degli stati membri ma
spetta a chiunque si trovi a soggiornare anche temporaneamente nel territorio di uno di essi.
Le CONDIZIONI DI RICEVIBILITA’ art 35:
- Può essere presentato solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne
- Non deve essere anonimo
- Non deve essere identico a uno presentato precedentemente dalla stessa Corte o già sottoposto ad un'altra
istanza internazionale di inchiesta
- Non deve essere incompatibile con le disposizioni della CEDU, né manifestamente infondato o abusivo.
- Affinché possa essere presentato il ricorrente deve aver subito un pregiudizio importante derivante dalla
violazione del diritto
LA PROCEDURA si svolge cosi :
Prima vi è un controllo di ricevibilità da parte del Giudice Unico che poi sfocia in una decisione con carattere
definitivo.
In caso di esito positivo la causa è trasmessa al Comitato che effettua un ulteriore controllo di ricevibilità e poi
procede a un esame al fine di determinare se la questione può essere risolta solo sulla base della giurisprudenza
consolidata della CEDU. Se così non fosse verrà assegnata alla Camera e, nell’eventualità che vi siano gravi
questioni di interpretazione della CEDU; verrà trasmetta alla Grande Camera.
LE SENTENZE: sono motivate. Sono impugnabili nel termine di 3 mesi dalla data di pubblicazione. In alcuni casi
previsti dall’art 30 le parti possono chiedere l’esame di secondo grado alla Grande Camera. Le sentenze della
Camera e della Grande Camera per le quali non si è presentato ricorso entro 3 mesi sono definitive.
GLI EFFETTI DELLE SENTENZE: il loro valore è vincolante e obbligatorio per gli stati membri. E’ meramente
declaratorio. Le pronunce hanno esclusivamente efficacia tra le parti. E’ a cura dello stato condannato riparare
alla violazione.

L’ART. 9 DELLA CEDU: CONTENUTI, FACOLTA’ LIMITI E SOGGETTI GARANTITI.


L’art. 9 fa riferimento alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Ove la libertà di pensiero comprende anche la cd libertà di religione negativa (es. ateismo) e la liberà di cambiare
religione o convinzione religioso. Gli stati non possono imporre ai propri cittadini alcuna convinzione religiosa.
La libertà di coscienza è una vera e propria liberà autonoma nel senso che precede quella religiosa in senso
stretto e va intesa in senso ampio. Comprende difatti ogni atteggiamento dell’individuo relativo alla sua
coscienza. Gli stati non possono esercitare alcuna costrizione sulla coscienza individuale.
La liberta di religione comprende il diritto di aderire e professore un credo religioso, di mutarlo, di poter
manifestare la propria religione o le proprie convinzioni sia in modo individuale che collettivo. In virtù del divieto
di discriminazione gli stati non possono né prescrivere né vietare alcuna religione.
Recentemente si è ritenuto di garantire anche il diritto all’obiezione di coscienza pur se non espressamente
menzionato nell’art 9.
I soggetti garantiti dall’art. 9 sono le persone fisiche intese anche come soggetti collettivi.
Il secondo comma dell’art. 9 prevede poi delle restrizioni a tali liberà relative alla libertà di manifestazione del
pensiero e del credo religioso. Ma affinché vi possano esserci devono essere previste dalla legge nazionale e
devono risultare necessarie a proteggere l’ordine pubblico, la salute, la morale pubblica e i diritti e le libertà
altrui.

GLI ORIENTAMENTI DELLA CEDU IN MATERIA DI LIBERTA’ DI COSCIENZA E DI RELIGIONE


Gli orientamenti della CEDU relativi all’interpretazione dell’art 9 possiamo desumerli dalle sue decisioni.
Ad esempio:
- In merito all’aspetto negativo della libertà religiosa  tale tema fu affrontato dalla CEDU per la prima volta
nel 1994 quando rilevò una violazione dell’art 9 a danno di un’associazione di atei a cui fu negata la
possibilità di avvalersi della legislazione di favore che si applica alle associazioni di culto. In un altro caso
ancora riconobbe la violazione dell’art. 9 a danno dei ricorrenti che lamentavano il fatto di dover prestare
giuramento sul Vangelo per poter assumere le funzioni parlamentari.
- In merito alla neutralità nei confronti delle confessioni religiose  in più occasione ha rilevato violazione
dell’art. 9 per via del ritardo con cui, l’associazione ricorrente, ha ottenuto lo status di confessione religiosa.
- In merito al divieto di ingerenza da parte degli Stati nelle questioni interne alle confessioni  assume
particolare rilevanza una decisione della Corte che ravvisò violazione dell’art 9 da parte dello Stato Bulgaro
che intervenne arbitrariamente in una disputa tra due opposte fazioni religiose e emanò un atto legislativo
col quale soppresse una delle due confessioni. Mentre invece avrebbe dovuto agire favorendo la tolleranza e
l’integrazione
- In merito alla libertà di auto-organizzarsi  più volte la corte ha sottolineato che le confessioni hanno tale
libertà che comporta che i rappresentanti delle varie confessioni siano scelti dai fedeli stessi
- In merito al proselitismo religioso  per la Corte è prioritario che sia garantita la libera formazione della
coscienza per i destinatari delle attività di proselitismo. Difatti è ammissibile che il proselitismo possa essere
ritenuto come illecito penale qual ora superi il limite della semplice volontà di testimoniare la personale
adesione a un credo religioso e divenendo così un proselitismo abusivo.
- In merito alla laicità riferita ai simboli religiosi: in caso ad esempio la CEDU ha escluso che il divieto di
indossare il velo islamico durante le attività universitarie sia violazione dell’art. 9, così come in un altro caso
ha ritenuto che non era violazione dell’art. 9 la legge che obbliga a farsi ritratte a capo scoperto nelle foto da
utilizzare per le patenti di guida. Nel caso “Lautsi” invece relativo ai crocifissi nelle scuole pubbliche italiane
la Corte della CEDU ha capovolto il suo orientamento ritendo che la mera esposizione del crocifisso nelle
aule non rappresenta violazione dell’art. 9 perché è un simbolo passivo e dunque non può considerarsi una
forma di indottrinamento.
- In merito ai beni destinati al culto  ha affermato che nella libertà religiosa riconosciuta dall’art 9 è
ricompresa la liberta di acquisire e utilizzare oggetti e materiali necessari per riti e pratiche religiose.
- In merito all’obiezione di coscienza al servizio militare  ha ritenuto violazione dell’art 9 il sistema
normativo armeno che non prevedeva nessuna forma di esenzione o di servizio alternativo per gli obiettori di
coscienza.

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