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DIRITTO ECCLESIASTICO

Con la locuzione diritto ecclesiastico si intende il settore dell’ordinamento giuridico dello Stato che è volto
alla disciplina del fenomeno religioso. L’ordinamento italiano per quanto informato ai principi di laicità e di
separazione degli ordini fra Stato e confessioni religiose:

- Riconosce la meritevolezza dell’interesse religioso


- Detta norme atte a disciplinare al suo interno il fattore religioso nei suoi molteplici aspetti anche
sulla base delle discipline promozionali che ne agevolino la realizzazione.

Il diritto ecclesiastico differisce dal diritto canonico:

- Con il diritto canonico si intende il complesso delle norme poste e fatte valere dalla Chiesa cattolica
per regolare la propria organizzazione e per disciplinare l’attività dei propri membri secondo i fini
che essa si pone. Il diritto canonico costituisce l’ordinamento della Chiesa cattolica.
- Con ogni altro diritto di provenienza confessionale ossia con gli ordinamenti propri delle diverse
denominazioni religiose presenti sul territorio nazionale.

In relazione alla disciplina diritto ecclesiastico si possono distinguere da un punto di vista contenutistico un
ambito soggettivo e un ambito oggettivo:

Sul piano soggettivo le norme di diritto ecclesiastico riguardano:

- Le organizzazioni confessionali quali che esse siano


- I singoli individui

Sul piano oggettivo il diritto ecclesiastico viene visto come un ramo del diritto pubblico anche se ne
possiamo ricavare alcuni principi anche nel diritto amministrativo, penale, tributario etc.

Il riconoscimento della meritevolezza dell’interesse religioso e la consequenziale produzione di una


legislazione civile in materia ecclesiastica pongono il problema della possibili qualificazione dello Stato
rispetto alle credenze di religione. Sul piano astratto esistono plurime possibili qualificazioni dello Stato
rispetto alle credenze di religione, le quali dipendono dall’atteggiamento che lo stesso assume nei confronti
del fenomeno religioso. Lo Stato può essere qualificato come:

- Confessionista: quando aderisce ad una specifica confessione religiosa o comunque manifesta un


atteggiamento di favore nei riguardi di essa, adeguando il proprio ordinamento ai principio etici della
medesima.
- Unionista: quando il potere temporale e il potere spirituale si trovano concentrati nelle mani della
stessa autorità religiosa o temporale
- Separatista: quando si tiene rigorosamente separati i due poteri e non introduce alcuna
regolamentazione peculiare del fenomeno religioso né di natura favoritiva né di natura limitativa
- Laico: indifferenza e neutralità rispetto alle attività delle confessioni religiose.

Tali differenti qualificazioni corrispondono ai diversi sistemi di relazione fra le religioni e il potere civile
astrattamente delineabili la cui effettiva realizzazione è stata nel corso dei secoli condizionata dalle
circostanze politiche contingenti.
Sul piano storico possiamo distinguere:

Cesaropapismo:
Con tale espressione si intende quella relazione tra potere civile e religione nella improntata all’unione in
capo alla massima autorità temporale del potere politico e di quello spirituale. Tale sistema raggiunse il suo
culmine nella Roma imperiale specialmente dopo il riconoscimento del cristianesimo quale religione
ufficiale allorché l’imperatore si impose come autorità suprema al contempo temporale e spirituale con il
compito di moderatore della nuova religione cristiana. Venuto meno in occidente a seguito della caduta
dell’impero romano il cesaropapismo perdurò in Oriente fino al crollo dell’impero bizantino. In Europa
tuttavia la tensione verso la riaffermazione del cesaropapismo rimase forte durante tutto il Medioevo.
Giurisdizionalismo:
è così definito quel sistema di relazione fra i due poteri caratterizzato dal prevalere della giurisdizione statale
su quella ecclesiastica e dunque dalla subordinazione della Chiesa al potere civile con conseguente
attribuzione a quest’ultimo del diritto di ingerirsi negli affari interni ecclesiali. Il sistema giurisdizionalista si
andò lentamente affermando in Europa con il rafforzamento delle compagini nazionali all’interno delle quali
i poteri dei sovrani sulla religione erano considerati come effetto dei poteri sul territorio e si impose nel
periodo successivo alla riforma protestante ed alle sue conseguenze: le guerre di religione del XVI secolo, la
pace di Augusta del 1955, la pace di Westfalia del 1948. Raggiunse il suo culmine tra la fine del XVII e la
prima metà del XVIII secoli con appendici in Italia anche in epoca successiva. Nelle sue realizzazioni
concrete il giurisdizionalismo assunse varie denominazioni in Europa ed in Italia e fu caratterizzato dalla
contemporanea presenza di due filoni di poteri i c.d. iura maiestatica circa sacra o in sacris, distinti in poteri
volti a proteggere la chiesa e poteri diretti a difendere lo stato dalla chiesa.
Teocrazia:
costituisce una forma di rapporto fra stato e chiesa che prevede la subordinazione dell’autorità temporale a
quella spirituale. Tale modello assunse nel corso dei secoli le distinte forme della:

- Potestas directa in temporali bus, muoveva dall’assunto che la Chiesa fondata da Dio e una era la
sola legittima potestà il suo monarca era Cristo e in nome di lui lo era il suo Vicario il papa a cui
appartenevano tutti i poteri esercitabili nel mondo tanto di ordine temporale quanto di ordine
spirituale. Il prevalere della Chiesa si manifestava:
1. Nella sottrazione della materia ecclesiastica ad ogni ingerenza del potere civile
2. Nella affermazione della prevalenza delle leggi ecclesiastiche su quelle civili
3. Nella illegittimità di ogni autorità che non derivasse il proprio potere da una investitura
ecclesiastica
4. Nell’obbligo del potere civile da realizzare coercitivamente i provvedimenti dell’autorità
ecclesiastica.
- Potestas indi recata in temporalibus: in seguito all’indebolimento dell’autorità pontificia e alla
rottura dell’unità dei cristiani dovuta alla riforma protestante le rivendicazione teocratiche si
affievolirono sino a perdere consistenza pratica.
Le tesi teocratiche hanno oggi perso ogni capacità di incidenza in Occidente.

Separatismo:
è un sistema di rapporti fondato sulla separazione più o meno rigida fra Stato e Religioni. L’idea di
separazione è stata utilizzata:
- Come mezzo per realizzare l’indipendenza della Chiesa e difendere i suoi interessi contro le pretese
assolutistiche degli Stati, specialmente dopo la Riforma protestante
- Come mezzo per far prevalere l’autorità dello Stato con la Chiesa ordinariamente ridotta al rango di
ente privato ( modello francese)
- Come mezzo per armonizzare la società civile e la società religiosa in un contesto politico
caratterizzato dal riconoscimento delle libertà fondamentali e fra di esse in primis della libertà di
associazione e della libertà religiosa nella quale le varie realtà confessionali sono libere ma operano
alla stregua del diritto comune ( modello americano)
In Italia l’idea separatista fu sostenuta in epoca risorgimentale dal Cavour con l’enunciazione della celebra
formula LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO anche se tale formula fu successivamente contraddetta da
una serie di provvedimenti adottati dallo Stato in epoca pre e post unitaria. I rapporti fra stato e chiesa
cattolica in Italia dell’epoca qualificabile non come separatismo ma come giurisdizionalismo liberale.
Coordinazione
È una visione che conduce a ritenere che i rapporti fra i due poteri vadano risolti sulla base di accordi
destinati a disciplinare le materie di comune interesse e a risolvere le eventuali interferenze tra campo
spirituale e campo temporale. Tali accordi per ciò che attiene alla Chiesa cattolica prendono il nome di
Concordati e hanno alle spalle una lunga tradizione storica che risale all’inizio del secondo millennio. Il
sistema della coordinazione è quello consacrato all’interno della vigente Costituzione repubblicana.

L’evoluzione storica dei rapporti fra Stato italiano e le organizzazioni religiose

DAL 1948 AL 1929

L’ art 1 dello statuto Albertino del 1948 conteneva una dichiarazione in senso conformista. Esso proclamava
la religione cattolica apostolica e romana come unica religione del regno, qualificando gli altri culti come
“tollerati” in conformità con le leggi; tale dimensione negli anni mutò radicalmente grazie:

- Ad una serie di provvedimenti ispirati al principio di libertà religiosa e di uguaglianza tra i cittadini (
legge Sineo) leggi che hanno introdotto il principio di irrilevanza della differenza di culto,
- Con la legge Siccardi si ha l’abolizione del privilegio del foro ecclesiastico in base al quale gli
ecclesiastici potevano godere dell’immunità dalla giurisdizione penale dello stato soggiacendo
unicamente a quella vescovile.
- Dall’emanazione del primo codice civile del Regno d’Italia che introdusse la necessità del
riconoscimento civile per i corpo morali ivi compresi quelli ecclesiastici nonché e soprattutto il
matrimonio civile come unico forma di celebrazione matrimoniale valida ed efficace per lo Stato
- Dalla legislazione c.d. eversiva dall’asse ecclesiastico ossia dalla emanazione di una serie di
provvedimenti con i quali al fine di combattere il fenomeno della c.d. manomorta ecclesiastica ossia
dell’eccessivo accumulo nelle mani degli enti della Chiesa di ingenti patrimoni immobiliare, fu
disposta la soppressione di numerosi istituti ecclesiastici e il conseguente incameramento allo Stato
del loro patrimonio.
- Dalla emanazione del codice penale del 1989 ( codice zanardelli) che abolì i reati contro la religione
- Nel 1870 a seguito della annessione di Roma al Regno d’Italia e della fine per debellatio dello Stato
Pontificio era sorta la cd. Quesitone romana ossia il problema della definizione della condizione
giuridica della Santa Sede e del Sommo Pontefice. Per risolvere la questione viene creata la legge
delle guarentigie che aveva come scopo quello di affermare il potere di controllo dello stato di
dettare norme dirette in materia della chiesa. Tale legge non fu mai approvata dalla sede apostolica.
Tale problematica viene attenuata con il cd Patto Gentiloni che sancisce l’alleanza fra le organizzazioni
cattoliche con alcuni esponenti politici (per via delle elezioni di quell’anno).

DAL 1929 AL 1945

Con il regime fascista vi è un cambio di rotta; vi è una conciliazione fra la santa sede e lo stato italiano
tramite i patti lateranenzi che erano formati da tre documenti:

- Un trattato volto a risolvere la questione romana attraverso la creazione dello Stato della città del
vaticano e riconosceva sovranità e giurisdizione esclusiva sopra tale Stato. All’interno del Trattato
venivano altresì assicurate al Sommo Pontefice e alla Santa Sede una serie di garanzie di natura reale
e personale
- Un concordato che regolava le condizioni della religione e della chiesa in italia (istituzione del
matrimonio concordatario)
- Una convenzione finanziaria che aveva come scopo di riconoscere alla santa sede un indennizzo per
la perdita di dominio temporale a causa delle leggi precedenti.
Veniva affermata la religione cattolica apostolica e romani come la sola religione dello Statp

Veniva garantito anche alla santa sede il riconoscimento alla conclusione di concludere accordi
internazionali e viene garantita come unica e sola religione, quella cattolica. I culti acattolici erano ammessi
solo se non erano ritenuti riti contrari all’ordine pubblico o buon costume.

Vengono introdotti anche degli illeciti penali contro coloro che compivano reati avverso la religione

Infine vengono emanate le leggi razziali che tra il 1938 e 1943 colpirono i cittadini di razza ebraica dapprima
con una serie di limitazioni nei diritti civili politici e patrimoniali e poi nel 1943 con l’ordine di arresto di
tutti gli ebrei. Le leggi razziali furono abrogate con la liberazione del Paese e la fine della seconda guerra
mondiale

DAL 1945 ALLA STAGIONE DELLE RIFORME

Con la costituzione repubblicana , dal 1948, vi è una svolta democratica e pluralista che cambia totalmente la
posizione fra stato e credenze religiose. Lo stato non sarà più confessionista ma laico (principio di laicità
dello stato ex art 8 e 20 Cost).

Dell’esame della Costituzione emerge l’immagina di uno Stato che

- Riconosce pienamente la libertà religiosa degli individui


- Non differenzia lo status dei cittadini in virtù della religione professato o non
- Prevedeva di intrattenere relazioni su base paritaria con le confessioni religiose organizzate
finalizzate all’individuazione della disciplina giuridica di specifico interesse delle medesime
- Assicura a tali soggetti una pari misura di libertà.

Tale intervento risultò difficoltoso per via dei patti lateranensi e per via del governo che per ottenere voti
incentrava la sua politica sulla chiesa.

Solo a partire dagli anni 70’ con l ‘introduzione del divorzio , la riforma del diritto di famiglia l’avvio delle
trattative con la Santa Sede per la revisione concordataria e i primi significativi interventi della Corte
Costituzionale nelle materie regolate dal Concordato si sono cominciate a cogliere i primi segnali di
rinnovamento della disciplina i quali sono culminati nella c.d. stagione delle riforme che ha condotto:

- Accordo di Villa Madama del 1984


- Stipulazione intese con confessioni religiose diverse da quella cattolica

ACCORDO DEL 1984 DI REVISIONE CONCORDATARIA

Con l’accordo di revisione concordataria del 1984 la disciplina dei rapporti tra stato e chiesa cattolica in
Italia è stata profondamente rivisitata. A tale accordo ha fatto seguito il protocollo siglato tra le parti il 15-11-
1984 di approvazione delle norme per la disciplina della materia degli enti e dei beni ecclesiastici il cui testo
è stato trasfuso nella legge 222 del 1985. L’accordo del 18-02-1984 che ha sostituito il Concordato stiulato
nel 1929 rappresenta un accordo quadro.

All’interno dell’accordo si trovano consacrati i seguenti principi

- Riaffermazione e indipendenza e sovranità dello stato e della chiesa


- Libertà di svolgere la propria missione pastorale ed educativa
- Libertà di riunione e manifestazione del pensiero
- Riconoscimento del segreto professionale per i cattolici e per le loro organizzazioni
- Garanzie per costruzione di edifici di culto
- Riconoscimento delle festività religiose
- Fissazione delle aree di competenza degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti
- Conferma del matrimonio concordatario
- Insegnamento nelle scuole della religione cattolica
- Assistenza spirituale dei militari
- Tutela del patrimonio storico ed artistico della chiesa

Viene introdotta anche la possibilità di revocare o modificare di comune accordo determinate materie e
l’introduzione di una commissione che risolve pacificamente i conflitti tra stato e chiesa.

Oggi il diritto ecclesiastico vive una fase di rinnovamento grazie al nuovo millennio e grazie ad alcuni eventi
che hanno modificato il fenomeno religioso fra essi possiamo annoverare:

- Secolarizzazione della società sempre più caratterizzata dalla perdita del fatto religioso nel vissuto
degli individui
- La contestuale rinascita si interesse per le tematiche religiose c.d. ricorso al sacro
- La crisi del concetto di Stato-nazione con la connessa perdita della sovranità degli Stati
- I progressi nel campo delle tecno scienze che portano non di rado a mettere in discussione alcuni dei
valori fondamentali sui quali è fondato il sistema giuridico-culturale occidentale inevitabilmente
conformato ai principi dell’etica cristiana chiamando in causa la necessita di neutralità dello Stato
- La trasformazione in senso multietnico, multiculturale e multi religioso della società italiana esito
dei fenomeni migratori che hanno interessato e interessano il nostro paese.

Trovare una soluzione a tali problematiche rappresenta la vera sfida per lo Stato chiamato ad assicurare a
tutti i cittadini e straniere credenti e non uno spazio comune di azione al cui interno tutelare coniugandole tra
loro uguaglianza e diversità. In Italia la reazione dell‘ordinamento di fronte ai problemi pratici posti
dall’emergere del pluralismo in campo religioso è stata lenta preferendo una legislazione speciale
differenziata. Fatica in particolare a farsi strada la prospettiva interculturale. In ogni caso nonostante la
lentezza dell’ordinamento non impedisce il processo di rinnovamento disciplinare del diritto ecclesiastico il
quale nasce dalle esigenze di prendere atto dei cambiamenti in essere che determinano la trasformazione del
tessuto connettivo anche da un punto di vista religioso della società italiana.

FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO

Costituiscono fonti del diritto ecclesiastico tutti gli atti o i fatti abilitati dall’ordinamento giuridico a produrre
norme in materia ecclesiastica. Distinguiamo

- fonti di produzione: tutti quegli atti (leggi, regolamenti…) o fatti idonei a produrre norme giuridiche

- Fonti di cognizione: sono lo strumento attraverso cui le fonti di produzione vengono portate a conoscenza
dei consociati.
L’insieme dei fatti e degli atti forma il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico italiano.

Vi sono delle norme eterogenee che creano complessità perché appartengono a periodi storici diversi e hanno
origini diverse (statali o chiesa).

Le fonti del diritto ecclesiastico sotto il profilo temporale appartengono ad epoche e quindi ad ideologie
diverse, sotto il profilo gerarchico appartengono a gradi diversi di produzione normativa (leggi costituzionali,
leggi, consuetudini…) e possono provenire da leggi statali, regionali (unilaterali) o bilaterali tramite accordi
stato chiesa.

LA LEGISLAZIONE DELLO STATO UNILATERALE

1) Norme costituzionali:
- Art 2 cost: diritti inviolabili uomo come singolo e come formazione sociale
- Art 3 cost: principio di uguaglianza
- Art 7 cost: indipendenza stato e chiesa
- Art 8 cost: uguale libertà per le confessioni religiose
- Art 17-18: diritto a riunione e diritto all’associazionismo
- Art 19 cost: diritto di libertà religiosa
- Art 20 cost: divieto discriminazione religiosa
- Art 21 cost: diritto libera manifestazione pensiero
- Art 33 cost: libertà di insegnamento religioso
- Art 117 cost: legislazione esclusiva dello stato nei rapporti fra Repubblica e confessioni religiose.

Anche in materia ecclesiastica al vertice della gerarchia delle fonti vanno posto i c.d. principi supremi
dell’ordinamento costituzionale dello Stato ossia i principi enucleati dalla consulta che appartengono
all’essenza dei valori supremi che informano l’intero assetto costituzionale e che costituiscono limiti
invalicabili e irrinunciabili dell’ordinamento a livello apicale, tali principi :

- Non possono essere sovvertiti o modificati


- Si pongono a livello gerarchicamente superiore
- Fungono da parametro per il sindacato di costituzionalità

Negli anni la Corte costituzionale ha individuato tre principi supremi che interessano il diritto ecclesiastico

- Principio della inderogabile tutela dell’ordine pubblico


- Principio del diritto alla tutela giurisdizionale
- Principio di laicità dello Stato

Tra le altre fonti statali troviamo norme ordinarie inerenti beni ecclesiastici, edifici di culto, norme contro le
bestemmie, scioglimento del matrimonio, interruzione gravidanza, norme su obbiezione di coscienza,
cremazione, divorzio breve etc.

Infine troviamo nome sull’esercizio dei culti ammessi e sul matrimonio dinnanzi i ministri di culto, le leggi
matrimoniali, norme su macellazione di animali, riconoscimento degli oratori, riconoscimento patrimonio
culturale ebraico, insegnamento religione etc.

NORME DI PROVENIENZA REGIONALE

Il progressivo incremento delle competenze regionali relative agli interessi religiosi ha dato avvio alla
formazione di un vero e proprio diritto ecclesiastico regionale. Tale fenomeno ha ricevuto poi un impulso a
seguito della riforma in senso federalista della Costituzione per effetto della quale:

- È stata ribadita la competenza esclusiva dello stato in tema di rapporti tra la Repubblica e le
confessioni religiose
- È stato ampliato il novero delle materie di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni
- È stata riconosciuta alle Regioni la capacità nelle materie di propria competenza di dare attuazione
ed esecuzione ad accordi internazionali e di concludere direttamente accordi con Stati nonché intese
con enti territoriali interni ad altri Stati.

Alle regioni è demandata:

- La potestà di emanare unilateralmente norme in tutte le materie che appartengono alla competenza
esclusiva o residuale delle medesime, molte delle quali interessano ambiti che presentano una
specifica attinenza con il fatto religioso e coinvolgono interessi locali delle confessioni religiose
- La facoltà di esercitare la potestà regolamentare in materia di rapporti con le confessioni religiose su
apposita delega del legislatore statale ex art 117 c.6 Cost.
- La possibilità di sottoscrivere protocolli di intesa con le rispettive Conferenze episcopali religionali
su aspetti specifici

FONTI SECONDARIE

Tra le fondi normative secondarie dobbiamo menzionare:

- I regolamenti che disciplinano le modalità applicative delle norme di legge e devono perciò essere
conformi a queste. Vengono anche utilizzate per rendere esecutive nell’ordinamento statele le intese
approvate con la Conferenza Episcopale italiana su svariate materie. Sono dettati con decreto del
Presidente della Repubblica.
- Le circolari sono norme interne alla PA emanate per provvedere ad esigenze organizzative le quali
non possono contravvenire a fonti di diritto sovraordinate.

LEGISLAZIONE DI DERIVAZIONE CONCORDATA

Una parte significative delle fonti in materie ecclesiastica è costituita della legislazione emanata dallo Stato
sulla base di convenzioni stipulate con le autorità rappresentative della Chiesa Cattolica e delle altre
confessioni religiose presenti in Italia. Si tratta delle leggi statali che hanno approvato le diverse intese
stipulate ex art 8 c. 3 cost. con le confessioni diverse dalla cattolica. Per queste leggi di origine bilaterale gli
art. 7-8 Cost. prevedono un procedimento aggravato rispetto al normale procedimento legislativo, in dottrina
si parla di riserva rinforzata di legge nel senso che la legge presuppone un accordo tra Stato e chiesa o tra
stato e confessione che il Parlamento può soltanto approvare o respingere.

In ragione della piena soggettività di diritto internazionale da sempre riconosciuta alla Santa Sede gli accordi
dello Stato con la Chiesa cattolica sono equiparati ai trattati internazionali analoga garanzia non è
riconosciuta alle intese stipulate con le confessioni religiose diversa dalla cattolica.

Tra le fonti di derivazione pattizia vanno annoverate:

Legge di esecuzione dei patti lateranensi


- Legge di ratifica del concordato lateranense
- Disciplina che introduce legge su beni della chiesa ed enti per il sostentamento della stessa
- Tavola valdese
- Unione italiana delle chiese cristiane avventiste
- Assemblee di dio in italia
- Unione comunità ebraiche
- Unione cristiana evangelista
- Chiesa apostolica in italia
- Unione buddista italiana
- ecc

Tutte queste leggi, anche se sono ordinarie, sono atipiche perché per l’abrogazione necessitano di procedure
particolare e proprio per questo motivo sono assimilati alle norme costituzionali; esse resistono anche nel
caso di contrasto alle norme costituzionali ma non ai principi fondamentali.

Le norme confessionali possono divenire rilevanti per l’ordinamento nazionale attraverso il fenomeno del
rinvio, con cui lo stato, piuttosto che disciplinare una materia con una propria legge, rinvia a quella della
chiesa.
Ulteriore fenomeno è quello secondo cui se dovessero verificarsi alcuni eventi di ordine religioso, questi
possono essere considerati dalle parti private come condizione per l’efficacia o la risoluzione del negozio
giuridico.

L’ordinamento dello Stato rispetto ad alcune materie riconosce rilievo giuridico al proprio interno alle norme
prodotte dalle confessioni religiose, alle quali a volte fa espresso rinvio. Più precisamente le norme
confessionali possono divenire rilevanti per l’ordinamento statuale:

- attraverso gli strumenti di rinvio formale, quando il diritto dello stato anziché disciplinare
direttamente una determinata materia ritiene preferibile attribuire efficacia civile alle norme di
origine confessionale oppure del presupposto in senso tecnico quando le norme confessionali
rimangono estranee all’ordinamento statuale venendo soltanto presupposte da quelle civili
- quando il verificarsi di determinati fatti d’ordine religioso o spirituale eventualmente certificato
dagli organi di una confessione religiosa viene considerato per espressa volontà di soggetti privati
come condizione per l’efficacia o la risoluzione di un negozio giuridico.

NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE

Tra le fonti del diritto ecclesiastico vanno annoverate anche quelle di diritto internazionale che possono
essere distinte in:

- Fonti di diritto internazionale generale (consuetudinario)


- Fonti di diritto internazionale convenzionale (trattati, dichiarazioni, convenzioni)
Ex art 117 cost, la potestà legislativa anche in materia ecclesiastica deve essere esercitata dello Stato e dalle
Regione nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali. Tale disposizione rinvia agli accordi internazionali i quali vengono inserite nella
veste di fonti interposte nell’esame di costituzionalità.

Le fonti di diritto internazionale convenzionale assumono rilievo nell’ordinamento italiano per effetto del
recipmento attraverso apposite leggi di ratifica e di esecuzione le quali assumono il rango di leggi atipiche.

Tra le fonti di diritto internazionale convenzionale si possono ricordare:

- Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (ONU): diritto manifestazione pensiero libero.
- Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU): diritto coscienza e religione.
- Patto internazionale sui diritti civili e politici

Considerato l’obbligo previsto dall’art 117 c.1 cost si ritiene generalmente che la disciplina nazionale
eventualmente in contrasto cin quella di derivazione internazionale integri una violazione indiretta della
suddetta previsione costituzionale. Sulla questione è intervenuta la consulta la quale a proposito delle norme
CEDU ha affermato che la Convenzione costituendo un accordo internazionale inquadrabile tra quelli tutelati
dall’art 117 Cost. gode di una particolare forza di resistenza passiva rispetto alle leggi ordinarie le quali però
nel contrasto con le norme della CEDU non possono essere disapplicate ma richiedono ove possibile da parte
del giudice a quo un interpretazione adeguatrice.

NORME DELL’UE

Fonti specifiche del diritto ecclesiastico si rinvengono infine nell’ambito del diritto prodotto dall’UE per
quanto l’unione non sia titolare di una competenza diretta in materia. Al riguardo dobbiamo distinguere tra 1)
fonti di natura convenzionale 2) fondi di natura non convenzionale quali regolamenti direttive decisioni
vincolanti. In particolare il fenomeno religioso viene preso in considerazione:

- Carta di Nizza ( natura giuridica trattati)


- Trattato sul funzionamento dell’UE: riconosce il ruolo pubblico delle chiese art 17
- Art 19 TFUE: divieto discriminazione di sesso, razza, origine etnica, religione etc.

FONTI DI MATRICE GIURISPRUDENZIALI

Un contributo essenziale allo sviluppo del diritto ecclesiastico italiano è venuto negli anni anche dall’azione
della giurisprudenza costituzionale e non solo, che con le proprie decisioni ha spesso inciso in maniera
significativa sulla evoluzione della materia. L’intervento incisivo della giurisprudenza in materia
ecclesiastica ha peraltro portato ad una dicotomia tra:

- Diritto ecclesiastico positivo: scritto, risultante da fonti tradizionali


- Diritto ecclesiastico giurisprudenziale: creato dai giuristi (vivente)

Tale fenomeno è stato poi accentuato dalla evoluzione in senso multietnico, multiculturale e multi religioso
della società italiana. Occorre precisare che le decisioni giurisprudenziali non costituiscono fonti del diritto
in senso stretto. La dottrina prevalente ritiene infatti con specifico riferimento alle sentenze della Corte
Costituzionale che esse non integrino fonti del diritto vere e proprie è tuttavia indubbio che le medesime
vadano assumendo un peso sempre maggiore nella ricostruzione del sistema delle fonti del diritto
ecclesiastico italiano

SOGGETTI RELIGIOSI
Sono:

- Persone fisiche che professano una religione


- Enti con fini religiosi
- Confessioni religiose

PERSONE FISICHE

Relativamente alle persone fisiche regole fondamentali è quella della indifferenza delle scelte individuali in
materia religiosa nel senso che la posizione giuridica dei singoli all’interno dell’ordinamento dello stato non
subisce modificazioni in conseguenza delle opzioni e degli atteggiamenti rispetto alle credenze di religione
assunte e/o manifestate dai medesimi. L’operatività di tale regola non impedisce che lo Stato possa attribuire
rilevanza giuridica:

- All’appartenenza confessionale dei singoli in via diretta oppure in via indiretta ossia assumendo tale
appartenenza come motivo per il compimento da parte dei singoli di atti giuridicamente vincolanti
- A determinate qualifiche confessionali quali quelle di ecclesiastico, religioso, ministro di culto ecc

Ciò che l’ordinamento richiede è che le scelte individuali in materia religiosa sono liberamente assunte dai
soggetti interessati, ossia in assenza di costrizione da parte di soggetti terzi.

Gli enti religiosi

La regola di fondo è quella dell’indifferenza ai fini dell’individuazione e dell’applicazione del regime


giuridico del carattere confessionale dei medesimi, ossia dell’appartenenza o del legame organico di essi con
una determinata confessione religiosa. Norma fondamentale è quella contenuta nell’art 20 Cost. che
stabilisce che il legislatore:

- Può prendere liberamente in considerazione il carattere ecclesiastico e il fine religioso o di culto di


un ente per dettare apposite norme,
- Tali norme non devono risultare più restrittive di quelle previste dal diritto statale per le altre
associazioni o istituzioni di diritto comune.

Le confessioni religiose

La Costituzione Repubblicana ha introdotto nel linguaggio normativo l’espressione confessione religiosa


senza però enunciare gli elementi costituitivi ma presupponendo lo schema conoscitivo elaborato
dall’esperienza sociale. In assenza di una definizione normativa si pone il problema dell’identificazione
dei caratteri distintivi delle confessioni religiose ossia dei caratteri che valgono ad individuare
specificamente e a differenziare le confessioni religiose dai loro enti esponenziali, dalle associazioni
religiose e dai gruppi di carattere non religioso. Un problema di non facile soluzione è dato dai vari
gruppi sociali che aspirano ad essere qualificati come confessioni religiose ma che sono diversi tra di
loro e pertanto risulta difficile trovare un denominatore comune. Da un punto di vista giuridico il
problema richiede una soluzione poiché le diverse leggi nazionali oltre che talune fonti internazionali
riconoscono rilievo alla qualifica di confessione religiosa concedendo determinati vantaggi. Sul piano
pratico il problema è anche accentuato dal diffondersi di nuovi movimenti gruppi o sette di ogni tipo che
aspirano al riconoscimento come confessioni religiose.

In mancanza di una definizione normativa sono state dottrina e giurisprudenza a proporre indici utili alla
individuazione delle realtà autenticamente confessionali. In materia sono state formulate varie proposte
volte a privilegiare:
- L’elemento quantitativo del gruppo : si avrebbe confessione religiosa alla presenza dell’adesione e
del concorso stabile di un certo numero di aderenti
- Criterio sociologico: finalità religiosa
- Criterio storico: richiede l’immedesimazione e il riconoscimento del gruppo nella tradizione storica e
legislativa italiana

La dottrina ha posto l’accento sul carattere progettuale del gruppo definendo confessioni religiose quelle
comunità stabili dotate o meno di un organizzazione e formazione propria e di una originale concezione del
mondo basata sull’esistenza di un essere trascendente in rapporto con gli uomini o sulla ricerca del divino.
Tale definizione risulta più idonea alle religioni tradizionali che sono appartenenti al ceppo monistico, il
problema si pone per quelle nuove religioni. Per ovviare a tale difficoltà la dottrina sottolinea l’opportunità
del ricorso al criterio della autoreferenzialità per effetto del quale la confessione religiosa non può che essere
l’esito di un processo di auto-individuazione del gruppo come tale con la conseguenza che dovranno essere
le stesse formazioni sociali religiose a qualificarsi e definirsi come confessione religiosa e a rendersi
autonome.

Lo stato però non può rinunciare del tutto ad un controllo sui caratteri del gruppo ed in particolare stabile se
si tratta di confessione religiosa oppure un movimento di pensiero o una semplice associazione. Tentativi di
inquadramento del fenomeno sono fatti anche all’interno delle scienze sociali ove sono state elaborate
definizioni ampie che tendono ad escludere sia il riferimento a un Dio personale sia la necessità della
benevolenza e del contributo positivo al bene comune ( in questo modo verrebbero incluse anche quelle sette
pseudo religiose accusate di praticare manipolazione mentale come la chiesa di Scientology)

L’attualità del problema è testimoniale anche da alcune vicende relativamente recenti che interessano il
mondo dei gruppi religiosi in senso lato. Anzitutto c’è la questione dell’islam , non viene infatti riconosciuto
l’ISLAM per la stipulazione di un intesa con lo stato.

C’è la questione dell’unione degli atei agnostici razionalisti che ha presentato più volte istanza al Governo
per avviare trattative finalizzate alla stipulazione di un’intesa con lo stato italiano, senza ricevere risposta
affermativa per la ritenuta assenza in capo alla medesima della qualità di confessione religiosa

Da ultimo le problematiche legate Pastafarianesimo avente ramificazioni in numerosi stati europei fra i quali
l’Italia dove è attiva una chiesa pastafariana avente un proprio statuto in cui la stessa si auto qualifica come
ente di religione o di culto.

I PRINCIPI COSTITUZIONALI

La costituzione contiene una serie di norme che si occupano del fenomeno religioso; nello specifico:

- art 19: garantisce la libertà religiosa individuale e dei gruppi e quella delle confessioni religiose
- art 7: indipendenza chiesa cattolica e altre confessioni religiose
- art 20: libertà e trattamento paritario enti ecclesiastici
- art 7 c.2 e art 8: norme che disciplinano i rapporti fra stato e confessioni religiose tramite il
meccanismo delle intese
- art 117: potestà legislative esclusiva allo stato per regolare rapporti con le confessioni religiose

Da ciò emerge che l’italia è uno stato democratico, liberale e pluralista che può essere classificato come laico
(sent. Corte cost. 203/1989).

- Art 2: PRINCIPIO PERSONALISTA: “la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili


dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” garantendo
così al soggetto di far fronte ai propri bisogni spirituali sia come singolo che nelle organizzazioni
collettive. Alle formazioni sociali vengono riconosciuti gli stessi diritti dei singoli.

- Art 3: PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA: “tutti i cittadini hanno parità sociale e sono uguali
dinnanzi alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione etc.” viene posto il principio
di uguaglianza formale in base alla quale è fatto divieto al potere legislativo di limitare
giuridicamente il godimento di libertà e diritti dei cittadini in virtù di discriminazioni basate su di
una serie di parametri fra i quali la religione. La disposizione impone al legislatore di trattare in
modo uguale situazioni strutturalmente uguali e in modo diverso situazioni strutturalmente diverse,
di evitare che le norme possono dispiegare un’efficacia differenziata in base ai soggetti nei riguardi
delle quali devono essere applicate. Eventuali diversificazioni del trattamento possono essere
adottate sulla base del criterio di ragionevolezza. Quella proclamata dall’art 3 c.1 Cost. è pertanto
una eguaglianza di natura non assoluta ma relativa che non toglie il potere di riconoscere le
differenziazioni espresse dalla realtà e di adeguare ad esse le proprie determinazione. Tale idea di
eguaglianza con specifico riguardo al fattore religioso fa divieto di discriminazioni irrazionale che
determinano ingiustificate preclusioni tra individui basate sulla religione.
Art 3 c.2 principio di uguaglianza sostanziale impone ai pubblici poteri di eliminare quelle
condizioni che privano di fatto i cittadini o parte di essi dell’esercizio di quei diritti fondamentali che
la Costituzione garantisce e che considera necessari per un adeguato sviluppo della persona umana.
Il principio di uguaglianza deve reputarsi operante anche nei riguardi degli stranieri e non solo dei
cittadini.

- Art 7 cost, introduce la regola fondamentale della separazione ed indipendenza degli ordini dello
Stato e della Chiesa Cattolica, stabilendo, altresì le linee guida della disciplina dei rapporti tra le due
entità sovranità.
Comma 1: stabilisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti
e sovrani. Tale previsione vale a riconoscere la originari età dell’ordinamento giuridico della Chiesa
cattolica il suo carattere di ordinamento primario tale in quanto nato per forza propria
indipendentemente dal riconoscimento in tal senso operato dall’ordinamento statuale. Il fatto che
l’originarietà sia stata riconosciuta in modo esplicito nella Carta importa che tale qualità sia elevata
a presupposto costituzionale della posizione della Chiesa cattolica nei confronti del diritto statuale.
Dalla considerazione della Chiesa cattolica quale ordinamento primario, sovrano e indipendente nel
proprio ordine discendono, l’esclusione della possibile introduzione di un sistema di rapporti fra le
due entità che prevede la subordinazione della Chiesa allo Stato oppure la subordinazione dello Stato
alla chiesa, il riconoscimento della libertà della Chiesa intesa come libertà di svolgimento della
propria missione dal quale per lo Stato discendono il divieto di ogni attività diretta ad alterare la
struttura gerarchica e istituzionale della Chiesa cattolica, il divieto di sindacare dottrina e disciplina
della medesima , l’incompetenza ad esprime giudizi su dogmi o principi. Riconoscimento di una area
di competenza esclusiva della chiesa e la possibilità di istaurare per lo stato rapporti con la chiesa di
diritto internazionale. Il problema principale posto dalla disposizione in esame è costituito dall’esatta
delimitazione dell’ordine proprio dello stato e della chiesa cattolica
Comma 2: contiene le linee guida della disciplina dei rapporti tra stato e chiesa cattolica in Italia.
Esso disciplina che i rapporti stato chiesa sono regolati dai patti Lateranensi e che le modificazioni
dei patti accettate dalle due parti non chiedono un procedimento di revisione costituzionale. Si tratta
di una tipica norma sulla produzione giuridica che prevede la partecipazione di soggetti estranei
all’ordinario procedimento di produzione normativa e ha l’effetto di attribuire alle norme così
prodotte una speciale resistenza alla modificazione o all’abrogazione nei confronti di qualsiasi legge
ordinaria non esecutiva di intesa.
L’esplicito riferimento all’interno della disposizione dei patti lateranensi ha posto il problema fin
dall’entrata in vigore della costituzione del valore attribuito da tale richiamo ai patti stessi. Sulla
questione ha preso posizione la corte costituzionale chiarendo che alla norme di derivazione
concordataria deve essere riconosciuta la qualifica di norme parificate a quelle prodotte da leggi
costituzionale. Inoltre si è posto il problema in relazione all’ accordo del 1984. Al riguardo ci si è
chieste se doveva essere inteso come modifica al concordato lateranense o come nuovo concordato.
La dottrina ha seguito due indirizzi opposti, la dottrina maggioritaria ritiene sia una modifica dei
patti lateranensi mentre altra parte lo considera come un nuovo concordato escludendo la possibilità
di estendere l copertura costituzionale prevista dall’art 7 comma 2. Ha sostenuto la possibilità di
rinvenire la copertura facendo ricorso all’art 110 cost. e 117 cost.

- Art 8: RAPPORTI FRA STATO E CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA: contiene tre
distinti principi: il principio della eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge, il
principio di autonomia statuaria delle confessioni diverse dalla cattolica ed infine il principio della
regolazione bilaterale sulla base di intese dei rapporti dello stato con le confessioni acattoliche.
- Art 8 comma 1 dispone che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Tale previsione costituisce la regola fondamentale del diritto ecclesiastico italiano. Essa difatti:
1. Per un verso sancisce il riconoscimento del principio del pluralismo delle confessioni
religiose
2. Per l’altro impone che dinanzi allo stato tutte le confessioni religiose godono della stessa
misura di libertà.
3. Non implica la necessita di una piena uguaglianza di trattamento in quelle materie e in quei
rapporti che incidono sulla libertà delle confessioni
- Art 8 comma 2 stabilisce che le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
Si tratta del principio c.d. autonomia statuaria per effetto del quale i gruppi religiosi sono liberi di
regolare la propria attività di porre autonomamente il proprio sistema di precetti di organizzazione al
di fuori di ogni ingerenza da parte dello stato. Si tratta di un diritto e non di un obbligo riconosciuto
in capo ai gruppo confessionali. L’unica limitazione è data dall’art 8 comma 3 relativo ai rapporti
con lo Stato.
- Art 8 comma 3 prevede che i rapporti dello Stato con le confessioni diverse dalla cattolica le quali si
siano date una organizzazione sulla base di statuti non contrastanti con l’ordinamento giuridico
italiano sono regolati per la legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Si tratta:
 di una norma sulla produzione parallela a quella prevista dall’art 7 comma 2 per la Chiesa
Cattolica
 di una norma che contiene una riserva di legge formale rinforzata per un procedimento nella
materia della disciplina dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose acattoliche.
L’intesa può essere considerata come presupposto o condizione di legittimità costituzionale finalizzato alla
emanazione di una legge regolatrice dei rapporti con una confessione religiosa con conseguente impossibilità
per lo Stato di disciplinare i rapporti con un gruppo religioso senza un previo accordo con il medesimo. La
disposizione peraltro attribuisce alle confessioni religiose il diritto e non l’obbligo di richiedere la
stipulazione di un intesa.
Assai controversa è la questione della posizione del Governo di fronte alla richiesta di stipulazione avanzata
da un soggetto confessionale. Non essendo le trattative per la stipulazione delle intese normativamente
disciplinate , sul punto sono intervenute le S.U. stabilendo che la decisione del Governo di aprire o meno le
trattative costituisce espressione di discrezionalità tecnica.
La competenza alla stipulazione delle intese è demandata per le confessione religiosa alla rappresentanza
della medesima mentre per lo Stato al Governo. L’iter per la conclusione delle intese non è disciplinato in
via legislativo, prevede una serie di passaggi i quali culminano con la sottoposizione della bozza di intesa
raggiunta tra le parti all’esame del Consiglio dei Ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del
Presidente del consiglio. Una volta firmata l’intesa viene poi trasmessa la Parlamento per l’approvazione con
legge, essa rientra nelle categorie di fonti atipiche.
Art 19: PRINCIPIO DI LIBERTA’ RELIGIOSA: “è la facoltà di credere in quello che più piace o di non
credere a nulla. È stata la prima libertà ad essere rivendicata quale diritto nei confronti dello Stato moderno.
Il diritto alla libertà religiosa è tutelato all’interno delle principali Carte sovranazionali ove è costantemente
ricompreso fra i diritti fondamentali. Lo ritroviamo nell’art 18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo,
nell’art 9 della CEDU, nell’art 10 della Carta di Nizza. L’art 19 stabilisce che tutti hanno diritto di professare
liberamene la propria fede religiosa in qualsiasi forma individuale o associata di farne propaganda o di
esercitare in privato o in pubblico il culto purché non si tratti di riti contrari al buon costume. L’art 19
secondo la dottrina deve essere inteso sia in una dimensione positiva ( credere in una religione piuttosto che
in un'altra) oppure negativa. Quello di libertà religiosa è ritenuto un diritto indisponibile inalienabile
inviolabile e personalissimo.
L’unico limite all’esercizio del diritto di libertà religiosa è quello della non contrarietà dei riti al buon
costume. Per riti si intende l’insieme dei comportamenti e degli adempimenti organizzati in complessi
cerimoniali che regolano la manifestazione religiosa. Essi variano nel tempo e a seconda dei culti religiosi.
Sono considerati riti contrari al buon costume quelli che ledono ad esempio la decenza o la morale. L’art 19
con contiene invece riferimento all’ordine pubblico. Nel diritto alla libertà religiosa previsto e disciplinato
dall’art 19 sono incluse molteplici facoltà come ad esempio di professare liberamente la propria fede
religiosa o non professarne alcuna oppure facoltà di esercitare atti di culto in pubblico o in privato.
Per ciò che concerne i rapporti familiari ciascun coniuge è libero di aderire o meno ad un credo religioso e di
cambiarlo durante il matrimonio. Nei rapporti lavorativi a ciascun lavoratore deve essere garantita la libertà
di religione e di uguaglianza di trattamento.

- Art 20: DIVIETO DISCRIMINAZIONE DEGLI ENTI RELIGIOSI: “ il carattere ecclesiastico e il


fine di religione o di culto di una associazione non può essere causa di limitazioni legislative
speciali, né di gravami fiscali per la sua costituzione”. Creata per evitare le modificazioni in Pejus
delle attività poste in essere dagli enti religiosi, ha lo scopo di precludere le possibili limitazioni che
possono essere effettuate dallo stato verso tali enti.

PRINCIPIO DI LAICITA’ DELLO STATO

La funzione dell’art 20 è quella di:

- Garantire la facoltà dei singoli e delle confessioni religiose di dare vita ad enti esponenziali e
specificamente ad associazioni che hanno carattere ecclesiastico e perseguono il fine di religione o
culto.
- Precludere ogni possibile limitazione a motivo dell’una o dell’altra connotazione, della capacità
giuridica e della capacità di agire dell’ente in questione.
- Vietare a carico degli stessi ogni possibile discriminazione in pejus.

L’art 20 nel vietare che l’ecclesiasticità e il fine religioso o di culto siano assunti quali elementi di
discriminazione per un trattamento a carico degli enti di matrice religiosa non impedisce la possibilità di
emanare norme o discipline a favore ( in meglio) nei riguardi degli stessi. Quanto ai soggetti interessati dalla
disposizione si fa riferimento agli enti lato sensu religiosi.

Il principio di laicità dello Stato non si trova sancito in modo espresso nella Costituzione repubblicana esso si
ricava dell’interpretazione di una sentenza della Corte costituzionale la n. 203 del 1989 che fa riferimento
agli art 3- 7-8-19-20 Cost. il contenuto di tale principio è stato poi precisato dalla Corte stessa che ha
individuato specifici corollari:

 L’obbligo di fornire pari protezione a qualunque persona che si riconosca in una fede
 L’obbligo di assumere un atteggiamento di equidistanza e di imparzialità nei confronti di tutte le
confessioni religiose.

POTERI E UFFICI DELLO STATO AVENTI COMPETENZA IN MATERIA ECCLESIASTICA

Competenze specifiche in materia ecclesiastica sono riconosciute a numerosi uffici dello Stato e organi
costituzionali

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Quale capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale, spetta il potere di

- Ratificare i concordati conclusi con la Santa Sede, previa autorizzazione del Parlamento
- Accreditare l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede e ricevere il Nunzio Apostolico presso lo
Stato italiano
- Promulgare le leggi basate sulle intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica

PRESIDENTE CONSIGLIO DEI MINISTRI

Al presidente del consiglio dei Ministri in base a quanto disposto dall’art 95 Cost. e dell’art 5 della legge 400
del 1988 competono:

- La rappresentanza dello Stato nei rapporti con le confessioni religiose ai sensi degli art 7 e 8 Cost
- La direzione e il coordinamento dell’opera dei singoli Ministri al fine del mantenimento dell’unità di
indirizzo politico-amministrativo dell’esecutivo.

Nel concreto al Presidente del Consiglio dei Ministri fanno poi capo compiti importanti di predisposizione,
promozione ed impulso delle iniziative in materia ecclesiastica attraverso quegli organi costituiti nel suo
seno con attribuzioni istruttorie e consultive. Si tratta in primis dell’ufficio del Segretario generale della
Presidenza del Consiglio presso il quale opera l’ufficio Studi e Rapporti Istituzionali, il quale tra le sue
competenze ha quella di assistere il Segretario Generale nello svolgimento delle funzioni istituzionali di
supporto al Presidente del Consiglio in materia di rapporti tra Governo e confessioni religiose. All’interno di
quest’ultimo particolare rilievo riveste il Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni
istituzionali che

- assicura l’assistenza al Segretario Generale nello svolgimento delle funzioni istituzionali di supporto
al Presidente del Consiglio e al Sottosegretario di Stato nell’esercizio delle attribuzioni in materia di
rapporti con le confessioni religiose ex art 7-8 Cost.
- assicura il ordinamento funzionale e il raccordo organizzativo commissioni e organi istituito presso
la Presidenza del consiglio con competenza in materia ecclesiastica e di libertà religiosa nonché in
materie di particolare impatto strategico sotto il profilo etico e umanitario

CONSIGLIO DEI MINISTRI

Ha il compito:

- determinare anche relativamente alla materia ecclesiastica la politica generale del Governo e ai fini
dell’attuazione di essa, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa
- deliberare sugli atti concernenti i rapporti fra Stato e confessioni religiose previste dagli art 7-8 Cost.

MINISTRI
Ai singolo ministri nell’ambito delle rispettive competenze spetta di condurre e concludere negoziati e intese
bilaterali con le rappresentanze delle confessioni religiose su materie concernenti il proprio specifico settore
di operatività le quali per lo più presentano funzioni di legislazione di dettaglio rispetto a quelle di carattere
generale contenuta nell’Accordo con la Chiesa cattolica o nelle singole intese con le confessioni di
minoranza.

Ministero dell’Interno

L’organi dell’amministrazione statale con specifiche competenze in materia di culti è il Ministro


dell’Interno.

Le funzioni in materia ecclesiastica attribuite a tale organo sono esercitate attraverso il Dipartimento per le
libertà civili e l’immigrazione che si articola in diverse Direzioni fra le quali per ciò che concerne
direttamente la materia dei culti va annoverata la direzione centrale degli affari dei culti per
l’Amministrazione del Fondi Edifici di culto, quale vigila sulla concreta osservanza dei principi
costituzionali e delle normative vigenti ordinarie e speciali, in materia di libertà religiosa e al suo interno
opera l’Osservatorio sulle politiche religiose. Inoltre, assicura la tutela la valorizzazione la conservazione eil
restauro dei beni di proprietà del fondo edifici di culto.

La direzione si articola in due aree:

- una destinata alla cura degli Affari del culto cattolico


- affari dei culti acattolici.

Peculiare attenzione nell’ambito delle attività del Ministro è prestata alle problematiche nascenti dal
crescente pluralismo confessionale della società italiana. Costituiscono testimonianza di tale attenzione:

- l’elaborazione per iniziativa del Ministero della Carta dei valori della cittadinanza e
dell’integrazione.
- Consiglio per le relazioni con l’islam italiano.

PREFETTURE- UTG

Organi periferici del Ministero dell’Interno sono le prefetture- uffici territoriali del governo.

Ad esse competono l’istruttoria degli affari a cui provvede il ministro, nonché talune attribuzioni specifiche.

FONDO EDIFICI DI CULTO

Tale fondo è una persona giuridica pubblica amministrata in base alle norme che regolano le gestioni
patrimoniali dello stato con privilegi e agevolazioni che sono riconosciute alle stesse.
La finalità è quella di provvedere alla conservazione, restauro e tutela degli edifici di culto cattolico.

Alla realizzazione di tale finalità si provvede per mezzo di un contributo statale annuo nonché con le rendite
del patrimonio fruttifero del fondo. Al FEC sono stati trasferiti i patrimoni degli enti soppressi ai quali il
fondo è succeduto in tutti i rapporti attivi e passivi. L’amministrazione del FEC spetta al ministro
dell’interno che ne ha la rappresentanza giuridica. Esso nell’esercizio delle sue funzioni è coadiuvato da un
Consiglio di amministrazione. Fanno parte del patrimonio del FEC

- Circa 840 chiese distribuite sull’intero territorio nazionale


- Beni immobili e immobili di diversa natura.
-

UFFICI ECCLESIASTICI ORGANIZZATI DALLO STATO PER L’ASSISTENZA SPIRITUALE NELLE


COMUNITA’ SEPARATE

All’interno dell’ordinamento statale sono altresì previsti taluni specifici uffici a carattere ecclesiastico
organizzati dallo stato o da altri enti pubblici per garantire l’assistenza spirituale a tutti coloro che si trovino
in via temporanea o stabile nelle strutture definite obbliganti ossia nelle c.d. comunità separate (forze armate
istituti penitenziari)

L’organizzazione di tali uffici è finalizzata a garantire il concreto esercizio della libertà religiosa da parte dei
soggetti citati e trova il fondamento normativo agli art 19-3 c.2 della Cost. in concreto l’organizzazione di
tale servizio è strutturata in maniera differente a seconda:

- Dell’entità numerica delle persone per le cui esigenze il servizio è predisposto


- Delle confessione religiosa di appartenenza.

Con riguardo alla confessione religiosa di appartenenza occorre operare una triplice distinzione:

- Per la chiesa cattolica è previsto un sistema stabile di assistenza i cui oneri gravano interamente sullo
Stato
- Per le confessioni diverse dalla cattolica stipulano intese con lo Stato spetta a queste ultime
disciplinare con specifiche disposizioni tale servizio.
- Per i culti diversi dal cattolico privi di intesa con lo Stato la disciplina è tuttora dettata dagli art 5,6,8
del r.d. n.289 del 1930 i quali prevedono al facoltà dei ministri dei culti ammessi di prestare
l’assistenza spirituale all’interno delle comunità separate, su richiesta dei singoli e previa
autorizzazione delle autorità amministrative preposte.

ASSISTENZA SPIRITUALE NELLE FORZE ARMATE

Funge come assistenza spirituale ai militari. E’ frutto di un intesa fra stato e chiesa cattolica. La materia è
disciplinata dalla l. 70 del 2021. La legge

- Individua le funzioni svolte di Cappellani a favore dei militari cattolici e delle loro famiglie
- Affida la direzione e il coordinamento del servizio di assistenza spirituale all’Ordinario militare
nominato dal Presidente della Repubblica su designazione della Santa Sede
- Ridefinisce il concetto di assimilazione per i cappellani militari ai gradi gerarchici e il relativo
rapporto con le strutture e le funzioni militari, senza renderli però soggetti al codice e alla disciplina
militare
- Inserisce a pieno titolo i cappellani come sacerdoti che prestano servizio in favore della diocesi di
appartenenza nel sistema economico di sostentamento del clero
- Prevede l’esenzione dei cappellani militari dalla giurisdizione militare.

Per ciò che concerne il servizio di assistenza spirituale ai militari appartenenti a religione diverse dalla
cattolica la materia è disciplinata dal dlgs del 210 che stabilisce:

- La possibilità per i militari di esercitare il culto di qualsiasi religione e ricevere l’assistenza dei loro
ministri
- Facoltatività partecipazione alle funzioni religiose nei luoghi militari
- L’impegno del comandante del corpo o di altra autorità superiore compatibilmente con le esigenze di
servizio a rendere possibile ai militari la partecipazione ai riti della religione professata
- Possibilità di ottenere l’assistenza dei ministri di una confessione religiosa se un militare infermo per
i suoi familiari richiede i conforti della religione.
Tuttavia mentre per i militari appartenenti a confessioni dotate di intesa con lo Stato vale quanto stabilito
nelle rispettive intese, per quelli appartenenti a confessioni prive di intesa l’effettiva fruibilità del
servizio è subordinata alla autorizzazione dell’autorità militare.

ASSISTENZA SPIRITUALE ALLA POLIZIA DI STATO


L’assistenza spirituale in favore del personale della Polizia di Stato residente presso gli alloggi collettivi di
servizio o scuole è garantita nel rispetto dei principi costituzionali. In attuazione di tale impegno e sulla
scorta di quanto previsto dall’art 11 degli accordi di Villa madama, in data 9-9-99 è stata stipulata di
un’intesa tra Ministro dell’interno e conferenza Episcopale Italiana, che hanno fissato le modalità attraverso
cui garantire l’assistenza spirituale alla polizia di stato.

Con il d.m. 8-10-2004 sono stati precisati taluni aspetti amministrativi e organizzativi del servizio
determinando in specie, le garanzie i supporti e i mezzi necessari per lo svolgimento dei compiti dei
cappellani incaricati all’assistenza spirituale.

L’assistenza spirituale al personale della polizia di stato di religione cattolica è svolta dai cappellani
incaricati con decreto del ministro dell’ interno. I soggetti incaricati dell’assistenza spirituale svolgono la
propria attività in assenza di vincoli di subordinazione ed in piena autonomia in quanto rimangono estranei
alla struttura dell’amministrazione.

Quanto agli appartenenti a confessioni religiose diversa dalla cattolica in alcune intese sinora stipulate sono
previste apposite disposizioni al riguardo.

ASSISTENZA SPIRITUALE NELLE ISTITUZIONI PENITENZIARIE

La disciplina normativa dell’assistenza spirituale nelle istituzioni penitenziarie è dettata dalla l 354 del 1975 ,
in particolare:

- ricomprende la religione tra gli elementi del trattamento rieducativo


- attribuisce a tutti i detenuti la libertà di professare la propria fede religiosa e di praticarne il culto
- garantisce l’assistenza religiosa con carattere di stabilità in relazione alla fede cattolica su espressa
richiesta dei singoli per gli appartenenti alle altre confessioni religiose.

La disciplina della materia è poi integrata dalla l. 68 del 1982 che prende in considerazione gli aspetti
operativi dell’esercizio del culto negli istituti di pena per i detenuti di fede cattolica. Nel dettaglio essa
dispone che:

- negli istituti di prevenzione di pena le pratiche di culto, l’istruzione e l’assistenza religiosa della
confessione cattolica sono affidate ad uno o più cappellani
- l’incarico viene conferito con decreto del Ministro di Giustizia previo nulla osta dell’Ordinario
diocesano,
- i cappellani non sono considerati come dipendenti di ruolo dello Stato ma alla stregua di personale
aggregato
- altri ministri del culto cattolico diversi dai cappellani possono essere autorizzati dal direttore su
richiesta di singoli detenuti o internati ad accedere all’istituto per attività del loro ministero previo
accertamento della loro qualità. Tale attività si svolge in modo da assicurare la necessaria
riservatezza

per i detenuti appartenenti a confessioni diversa dalla cattolica di contro:

- la possibilità di fruire della assistenza spirituale che prevede il diritto degli stessi di ricevere su loro
richiesta l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti
- in alcune delle intese sinora stipulate con lo Stato ai sensi dell’art 8 Cost. sono previste apposite
norme
- per gli appartenenti a confessioni religiose non munite di intesa con lo Stato che prevede la
possibilità di ottenere l’assistenza spirituale su richiesta dei detenuti o dei loro familiari. Da parte dei
ministri dei culti ammessi, previa autorizzazione della Amministrazione penitenziaria e sotto
l’osservanza delle norme contenute nei regolamenti speciali per detti istituti.

Tale previsione pur combinata con le garanzie contenute nella l. 354 del 1975 nel relativo regolamento di
esecuzione non sempre risulta bastevole a garantire il rispetto del diritto alla libertà di culto all’interno dei
luoghi di detenzione, specialmente per i detenuti appartenenti a confessioni prive di intese con lo Stato ai
quali non di rado viene negata o limitata la possibilità di ottenere forme specifiche di assistenza spirituale da
parte dei ministri della confessione di appartenenza. Problema diverso è quello relativo a garantire il libero
esercizio del culto anche nei casi di ricorso a misure alternative alla custodia in carcere. In assenza di una
regolamentazione normativa specifica in materia soluzioni sono state dettate dalla giurisprudenza attraverso
il ricorso alle modalità diverse di partecipazione al culto offerte dall’evoluzione tecnologica.

L’ASSISTENZA SPIRITUALE NELLE STRUTTURE SANITARIE

La disciplina normativa dell’assistenza spirituale nelle strutture sanitarie è contenuta nella legge 833 del
1978 all’art 38

- che prevede che presso le strutture di ricovero del servizio sanitario nazionale venga assicurata
l’assistenza religiosa nel rispetto della volontà e della libertà di coscienza del cittadino
- impone alle unità sanitarie locali di provvedere per l’ordinamento del servizio di assistenza religiosa
cattolica d’intesa con gli ordinari diocesani competenti per territorio.

Per ciò che concerne il servizio di assistenza spirituale occorre distinguere:

- per i ricoverati di religione cattolica è prevista la presenza negli enti ospedalieri di cappellani
ospedalieri
- per gli appartenenti a confessioni religione munite di intesa norme specifiche sono contenute
all’interno delle medesime
- per gli appartenenti a confessioni prive di intese ove richieste possono essere autorizzati a
frequentare i luoghi di cura e di ritiro per prestare l’assistenza religiosa ai ricoverato che la
domandino. L’autorizzazione è data da chi è preposto alla direzione amministrativa del luogo di cura
o di rito deve indicare le modalità o le cautele con cui l’assistenza deve essere prestata.
Gli onere economici del servizio compresa la retribuzione dei ministri di culto sono a carico delle
strutture ospedaliere che se ne avvalgono.
LA SANTA SEDE E LO STATO CITTA’ DEL VATICANO

La Santa Sede (o Sede apostolica) è l’organo supremo della chiesa universale che deve essere inteso:

- Sia come ufficio del Sommo Pontefice, il quale ha potestà immediata piena e suprema
- Sia come tutti gli uffici che si occupano degli affari della chiesa universale

In quanto ufficio del Sommo Pontefice ossia nel significato ristretto del termine la Santa Sede è persona
morale nell’ordinamento canonico con personalità distinta da quella della chiesa unitamente considerata. Si
tratta di una personalità giuridica originaria e non derivata da atto di autorità umana, pertanto la capacità
giuridica della Santa Sede non può essere oggetto di limitazioni ad opera del diritto positivo.
La potestà del sommo pontefice si esprime nella titolarità e nell’esercizio su tutta la Chiesa del supremo
potere legislativo, di governo e giudiziario. Nel diritto italiano la Santa Sede opera come persona giuridica
iure privatorum, più precisamente come ente ecclesiastico o civilmente riconosciuto. In tale veste esse gode
della personalità giuridica per antico possesso di Stato.
Accanto alla capacità privatista essa gode anche di capacità pubblicistica essendole attribuito l’esercizio di
poteri che attengono alla riconosciuta sovranità della chiesa nell’ordine suo proprio.
Tuttavia la Santa Sede costituisce un ente ecclesiastico sui generis , difatti la l. 222 del 1985 sancisce che le
norme concordate in sede di Commissione paritetica sugli enti ecclesiastici non concernano la condizione
giuridica della Santa Sede e dei suoi organi ciò significa che essa non è soggetta agli obblighi previsti a
carico degli altri enti ecclesiastici.
POSIZIONE DELLA SANTA SEDE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Alla Santa sede viene riconosciuta la titolarità della soggettività giuridica in campo internazionale. In
conseguenza ad essa spettano i diritti tipici di tale soggettività ed in particolare:

- Diritto di legazione attiva e passiva , posto che la medesima intrattiene rapporti diplomatici con
organizzazioni internazionali quasi tutti gli Stati
- Diritto di stipula di trattati e accordi ad essi equiparati nonché di adesione ad organizzazioni
internazionali alla quale essa partecipa con osservazioni permanenti o delle quali è membro.
LO STATO CITTA’ DEL VATICANO ELEMENTI E NATURA
Esso è un territorio specifico sul quale è riconosciuta alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva e
assoluta potestà e giurisdizione sovrana al fine specifico di garantire l’assoluta e visibile indipendenza. Si
tratta di uno Stato strumentale nei confronti della Santa Sede vero soggetto detentore della sovranità sopra il
medesimo.
Gli elementi costituitivi sono:

- Il territorio vaticano costituito da quell’aerea territoriale rappresentata da Piazza San Pietro e i


territori limitrofi.
- Il popolo vaticano è formato da tutti coloro che hanno la cittadinanza vaticana riconosciuta sulla base
di un criterio funzionale facente leva sulla carica ricoperta o sul servizio prestato dal singolo a
beneficio della Santa Sede. Sono cittadini vaticani ad esempio i cardinali residenti in Vaticano e in
Roma, diplomatici della Santa Sede. La cittadinanza può inoltre essere attribuita dal Sommo
Pontefice a coloro che risiedono nella citta del Vaticano in ragione della loro carica o del loro
ufficio.
- Sovranità, è il potere di governo sullo Stato riconosciuto al Sommo Pontefice

Caratteri e organizzazione interna dello Stato Città del Vaticano


Lo Stato della Città del vaticano è

- Uno Stato patrimoniale atteso che tutto il territorio appartiene a pieno titolo alla Santa Sede ed è
soggetto all’esclusiva potestà della medesima
- Uno Stato Strumentale in quanto a differenza degli altri Stati non è stato organizzato per organizzare
socialmente i suoi cittadini ma per soddisfare interessi specifici della Sede apostolica
- Uno Stato enclave perché il suo territorio è interamente circondato dal territorio dello Stato italiano
- Uno Stato neutrale ed inviolabile
- Una monarchia assoluta ed elettiva. Al sommo pontefice è riservata la rappresentanza dello Stato nei
rapporti con gli Stati esteri e con tutti gli altri soggetti di diritto internazionali, ma esse è
concretamente esercitata per mezzo della Segreteria di Stato.
L’ordinamento dello S.C.V è formata da sei leggi organiche emanate il 7 giugno 1929:

- La n. I c.d. legge fondamentale disciplina l’organizzazione interna dello Stato e dunque gli organi
costituzionali e le rispettive sfere di competenza nonché i simboli
- La II disciplina le fonti del diritto
- La III regolamenta la cittadinanza
- La n. IV disciplina l’ordinamento amministrativo
- La n. V regolamenta l’ordinamento economico, commerciale e professionale
- La n. VI disciplina l’ordine pubblico.

La disciplina sull’organizzazione interna dello Stato Vaticano è contenuta nella legge fondamentale , il
potere legislativo è esercitato in via ordinaria da una Commissione composta da un cardinale presidente e da
altri cardinali tutti nominati dal Pontefice che restano in carica per 5 anni
Il potere esecutivo è esercitato dal Cardinale presidente della Pontificia Commissione per lo Stato Vaticano
che assume il titolo del presidente del Governatorato.
Il potere giudiziario è esercitato a nome del Sommo Pontefice da gli organi costitutivi secondo l’ordinamento
giudiziario dello Stato cui spetta sia la competenza in materia penale sia civile.
Gli organi giudiziari:

- Il Tribunale composto dal presidente e da altri 4 magistrati ordinari nominati dal Sommo Pontefice
- La Corte d’appello costituita dal presidente e da almeno 3 giudici ordinari nominati dal Sommo
pontefice per 5 anni
- La Corte Cassazione costituita dal Prefetto del supremo tribunale della Segnatura Apostolica

Le funzioni di pubblico ministero in sede civile e penale sono esercitate dal Promotore di Giustizia. Per le
cause relative a materie disciplinate dal diritto canonico la competenza spetta agli organi giudiziari della
Santa Sede ed in specie al tribunale Apostolico della Rota Romana e per le impugnazioni delle decisioni
emesse da quest’ultimo dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

LE FONTI DIRITTO STATO VATICANO


Le fonti del diritto vaticano sono disciplinate dalla l. n. LXXI del 1 ottobre del 2008, il cui articolo 1 dispone
che:

- L’ordinamento giudico vaticano riconosce Ordinamento canonico


- Sono fonti principali del diritto Legge fondamentale del 2000, decreti e regolamenti promulgati per
lo stato vaticano
- Vi sono anche fonti suppletive ovvero quelle emanate dallo stato italiano che si applicano anche per
l’autorità vaticana come ad esempio il codice penale, il codice di procedura civile, codice civile e
codice amministrativo e anche fonti di natura finanziaria.
Nel rispetto dei limiti sopraindicati:

- In materia penale si applicano il codice penale italiano e il codice di procedura penale italiano ripresi
e modificati dal legislatore vaticano
- In materia processuale civile si applica il codice di procedura civile vaticano
- In materia civile si applica il codice civile italiano ad eccezione di alcune materie per le quali vigono
le legislazioni vaticane
- In materia amministrativa si osservano le legislazioni dello Stato italiano compresi i regolamenti e i
trattati ratificati dall’Italia, le leggi dello Stato italiano con i relativi regolamenti generali e speciali e
con i regolamenti della Regione Lazio e della provincia e comune di Roma.
- In campo finanziario e monetario bisogna segnalare AIF ( autorità di informazione finanziaria)
autonoma e indipendente con funzioni di informazione finanziaria e di vigilanza per la prevenzione e
il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo denominata ASIF ( autorità di
supervisione e informazione finanziaria). Consiglio economia, segreteria per l’economia e
dell’ufficio del Revisore Generale. Amministrazione del patrimonio della sede Apostolica e della
Segreteria per l’economia.

I RAPPORTI TRA LA REPUBBICA ITALIANA E LO STATO VATICANO

La peculiare condizione di Stato- enclave accordata allo S.C.V. ha reso necessario il riconoscimento di
alcune garanzie a favore dello stesso da parte dello Stato Italiano previste dal Tratto lateranense.

Lo stato italiano ha provveduto a proprie spese a riconoscere alcuni servizi alla città del vaticano come
collegamenti ferroviari, fornimento di acque, servizi telegrafici, telefonici, postali etc.

Lo stato italiano inoltre si impegna a non permettere nuove costruzioni nelle vicinanze dello stato vaticano,
assicurare comunicazione fra tutti gli stati con quello vaticano, garantire la libertà di passaggio nello stato
italiano dei diplomatici che devono recarsi al vaticano.

REGIME DI PIAZZA SAN PIETRO

Piazza San Pietro, essendo una piazza del territorio dello stato vaticano, risulta aperta al pubblico e quindi
necessita dei controlli dello stato italiano fino alla scalinata della basilica, oltre tale limite intervengono le
autorità vaticane.

Per quanto riguarda la giurisdizione penale la santa sede può delegare alle autorità italiane di perseguire
delitti commessi in territorio del vaticano con specifica richiesta caso per caso; verrà quindi applicata la
legge italiana.

Inoltre è previsto che la santa sede consegni gli autori di delitti commessi in italia ma che si siano rifugiati
nello stato del vaticano.
RAPPORTI IN CAMPO GIUDIZIARIO

Per ciò che riguarda la Giurisdizione penale. L’art 22 del trattato prevede che la Santa Sede possa delegare
all’autorità giudiziarie italiane il perseguimento dei delitti commessi in territorio vaticano con richiesta
specifica per il singolo caso oppure con delega permanete.

Inoltre è previsto che la Santa Sede consegni allo Stato italiano gli autori di delitti commessi in Italia e
ritenuti tali anche dalla legge dello S.C.V. che si sono rifugiati in territorio vaticano

L’esecuzione in italia delle sentenze emesse da tribunali vaticani è ammissibile tramite il procedimento di
deliberazione civile e penale.

Per le notificazioni fra stato e vaticano si applicano le regole per le notificazioni diplomatiche, anche se per
quelle civili e commerciali vi è un’apposita convenzione per cui vengono effettuate dalla Procura della
Repubblica.

Di contro risultano pienamente efficaci anche gli effetti civili, le sentenze e i provvedimenti emanate da
autorità ecclesiastiche circa persone ecclesiastiche o religiose

rapporti in campo fiscale sono regolati da accordi che disciplinano lo scambio di informazioni tra italia e
santa sede, i quali rendono possibile adempiere agli obblighi fiscali .

NOTIFCHE

Alla notificazione degli atti penali in Vaticano o nella Stato Italiano si applica la procedura ordinaria prevista
per le notificazioni diplomatiche. Le notificazioni si atti civili e commerciali sono regolate da una
Convenzione stipulata nel 1932 tra lo Stato italiano e la Santa Sede, resa esecutiva dalla l. n. 3379 del 1933
in virtù della quale le notifiche nel territorio dello S.C.V. vengono effettuate su richiesta dell’interessato alla
Procura della Repubblica competente che a sua volta ne fa la domanda al Promotore di Giustizia presso il
Tribunale di prima istanza del Vaticano, il quale provvede poi alla notifica dell’atto, mentre le notifiche in
Italia seguono la procedura inversa.

RAPPORTI IN CAMPO FISCALE

I rapporti in campo fiscale sono regolati con una Convenzione sottoscritta nel 2015 ratificata e resa esecutiva
con la l. 137 del 2006. Si tratta di un accordo che disciplina lo scambio informatico tra l’Italia e la Santa
Sede per i periodi di imposta successivi al 1 gennaio del 2009 che rende possibile l’adempimento con
modalità semplificate degli obblighi fiscali relative alle attività finanziarie detenute de alcuni soggetti
fisicamente residenti in Italia presso enti che svolgono professionalmente una attività finanziaria nella Santa
Sede.

STATO CITTA’ DEL VATiCANO NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

Lo Stato Città del V. è titolare di una soggettività giuridica distinta da quella spettante alla Santa Sede nelle
sue veste di organo di governo della Chiesa Cattolica. La conferma di una specifica soggettività
internazionale in capo allo S.C.V. proviene dall’essere lo stesso membro di organizzazioni di carattere
internazionale in maniera distinta ad autonoma rispetto alla Santa Sede

GARANZIE IN FAVORE DELLA SANTA SEDE

Il trattato Lateranense del 1929 disciplina alcune garanzie per la santa sede:

- Piena proprietà delle basiliche e di edifici (anche immobili). Sono stati trasferiti dallo Stato italiano
in piena e libera proprietà di alcuni edifici ex- conventuali. In favore di questi edifici l’art 16 del
trattato prevede il divieto di assoggettamento a vincoli o espropriazioni senza preventivo accordo
con la santa sede, l’esenzione da qualsiasi tributo ordinario e straordinario verso lo Stato o altro Ente
Pubblico ed infine la libertà della Santa Sede di dare loro l’assetto ritenuto opportuno senza necessità
di autorizzazioni da parte delle autorità governative, provinciali o comunali italiane.

GARANZIE DI CARATTERE PERSONALE


Le garanzie personali riguardano la persona del Sommo Pontefice definita sacra e inviolabile dal che
discendono

- L’inapplicabilità della legge penale italiana al Sommo Pontefice, il quale va considerato non solo
come soggetto non imputabile ma come privo della stessa capacità di diritto penale
- La parificazione sia quoad poenam che quoad delictum della Figura del Sommo Pontefice a quella
del Capo dello Stato italiano

L’art 21 Tratt. Estende tali garanzie personali anche ai cardinali, ai conclavi e ai concili. In particolare i
Cardinali:

- Sono parificati ai principi di sangue e pertanto viene loro riconosciuto nelle cerimonie pubbliche
dello Stato Italiano un posto immediatamente successivo nell’ordine delle precedenze a quello del
Presidente della Repubblica
- Sono dispensati dalla giuria e da ogni prestazione di carattere personale
- Durante la Vacanza della Santa Sede Pontificia hanno diritto di transito e accesso al Vaticano
attraverso il territorio italiano e sono garantiti da ogni impedimento o restrizione alla libertà
personale
- Anche se residenti al di fuori dello S.C.V. ma a Roma sono considerati cittadini vaticani

Quanto ai conclavi ossia alle riunioni dei Cardinali elettori finalizzate alla elezione del Sommo Pontefice
l’art 21 Tratt. Impone all’Italia di adoperarsi affinché nel territorio intorno alla Città del Vaticano non
vengano commessi atti che possono turbare le adunanze del Conclave. Tale garanzia viene estesa anche ai
Concilii presieduti dal sommo pontefice o dai suoi legati.

GARANZIE INERENTI ALLO SVOLGIMENTO DELLA FUNZIONE MAGISTERIALE

In virtù dell’Accordo inoltre lo Stato italiano si è impegnato a garantire la libertà di pubblicazione e


diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa. Ciò comporta per lo Stato l’impegno ad
astenersi da ogni forma di ingerenza in detti atti e la impossibilità di introduzione di qualsiasi forma di
controllo o di previa autorizzazione riguardo alla missione e pubblicazione degli atti di governo della Chiesa.

GARANZIE RELATIVE AI RAPPORTI DIPLOMATICI

Con il trattato l’Italia ha riconosciuto alla Santa Sede il diritto di legazione attiva e passiva secondo le regole
del diritto incarnazione e garantito una serie di immunità nei rapporti diplomatici. Al riguardo l’art 12
comma 2 Tratt. Dispone che

- Il corpo diplomatico di Stati stranieri presso la Santa Sede gode delle medesime prerogative e
immunità attribuite dal diritto internazionale agli agenti diplomatici
- Le sedi diplomatiche straniere godono delle immunità previste dal diritto internazionale anche se
situate in territorio italiano e perfino se i rispetti Stati non intrattengono relazioni diplomatiche con o
Stato italiano.
Sono, inoltre garantiti dallo Stato italiano la libera corrispondenza di tutti gli Stati con la Santa Sede e
viceversa e il libero accesso dei Vescovi di tutto il mondo alla Sede Apostolica. La Santa Sede e l’italia si
sono impegnate a stabilire fra loro normali rapporti diplomatici mediante accreditamento di un Ambasciatore
italiano presso la santa sede e di un Nunzio pontificio presso l’Italia, il quale per il diritto consuetudinario
riconosciuto dal congresso di Vienna con atto del 9 giugno 1815, e il Decano del Corpo diplomatico. Al
Sommo Pontefice è riservata la rappresentanza dello Stato nei rapporti con gli Stati esteri.

Gli enti centrali della Chiesa

Una peculiare forma di garanzia è prevista dall’art 11 del Trattato che stabilisce a favore degli enti centrali
della Chiesa l’esenzione da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano nonché dalla conversione nei riguardi
dei beni immobili.

Non è ben chiaro cosa si intende con l’espressione enti centrali posto che tale denominazione risulta priva di
risconto sia nel diritto canonico sia nel diritto italiano. In proposito:

- Secondo la dottrina tradizionale “enti centrali” sono quegli enti dotato di personalità giuridica che
costituiscono la Santa Sede in senso lato e dunque le Congregazioni, i tribunali e gli uffici della
Santa sede, ossia gli organismi costituenti la Curia romana che si occupano del governo supremo
della Chiesa e che vengono definiti centrali in relazione della loro attività
- Altra parte della dottrina ritiene invece che essa sia da considerare equivalente a quella degli enti
pontifici potendosi dunque riferire a quegli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede ma autonomi
rispetto alla curia romana.

L’esatta delimitazione del concetto di ente centrale è ovviamente importante ai fini della individuazione dei
soggetti beneficiari della garanzia di cui all’art 11 del Trattato. Emblematica da tale punto di vista la vicenda
riguardante l’istituto opere Religiose ( I.O.R) ente finanziario vaticano dotato di personalità giuridica
autonomo rispetto alla Curia Romana che nel corso degli anni è stato ripetutamente al centro di polemiche e
sospetti per la sua posizione giuridica e soprattutto per le sue attività. La Corte Suprema ha considerato in
una sua sentenza ente centrale ex art 11 dei Trattati

I rapporti di lavoro dei dipendenti della Santa Sede e degli enti centrali

I rapporti di lavoro dei dipendenti vaticani sono sottoposti ad un particolare regime fiscale. L’art 17 Tratt.
Stabilisce infatti che le retribuzioni di qualsiasi tipo corrisposte ai dipendenti anche non di ruolo della Santa
Sede, degli enti centrali della Chiesa e degli enti gestiti in forma diretta dalla stessa sono esenti dai tributi nei
confronti della Repubblica italiana e di ogni eventuale diverso ente.

Per la gestione dei rapporti di lavoro presso la Sede apostolica nel 1989 è stato istituito l’Ufficio del Lavoro
della Sede Apostolica avente specifica competenza in materia di lavoro prestato dal personale dipendente
della Curia Romana, dello Stato della Città del Vaticano ecc.

Problemi sono sorti in relazione alla individuazione della sussistenza o meno della giurisdizionale italiana
sulle controversie di lavoro dei dipendenti della Santa Sede o dello Stato Vaticano che svolgono le loro
prestazioni nel territorio italiano.

La giurisprudenza italiana ha distinto tra:

- Mansioni istituzionale ove l’impiegato svolga un’attività propria delle organizzazioni a cui
appartiene nel qual caso è stata esclusa la competenza della giurisdizione italiana per le controversie
di lavoro, salvo quelle aventi natura meramente patrimoniale
- Mansioni comuni o neutre ove l’impiegato svolga un’attività non strettamente connessa ai fini
istituzionali dell’ente che potrebbe essere prestata in favore di un qualsiasi altro datore di lavoro nel
quel caso è stata riconosciuta la competenza della giurisdizione italiana.

I MINISTRI DI CULTO NEL DIRITTO ITALIANO

L’ordinamento giuridico italiano attribuisce rilievo a talune specifiche qualifiche confessionali, ossia al fatto
che alcuni soggetti nell’ambito della organizzazione delle rispettive comunità ricoprono ruoli determinati cui
corrispondono specifiche attribuzioni individuate e regolate dal diritto di ciascuna confessione.

Tale riconoscimento di rilievo viene fatto sia attraverso norme dettate unilateralmente dallo Stato per
esigenze della comunità civile sia attraverso norme che derivano dall’esecuzione di accordi e intese con le
confessioni religiose e si concreta:

- Nella tutela dello svolgimento delle funzioni connesse a dette qualifiche


- Nel conferimento di rilevanza civile agli atti compiuti dai soggetti titolari di esse
- Nel riconoscimento a questi ultimi di diritti e prerogative o nella previsione per essi di specifiche
incompatibilità con doveri o funzioni pubbliche o sociali

Occorre chiarire che con il termine ecclesiastico il diritto statale fa riferimento a coloro che
nell’ordinamento canonico hanno ricevuto l’ordine sacro. Con il termine religioso si identificano
quei fedeli cattolici, uomini e donne che professano i voti dell’obbedienza, castità e della povertà in
un istituto religioso di vita consacrata. Con l’espressione ministro di culto l’ordinamento civile fa
invece generico riferimento a tutti i soggetti che ricoprono un ruolo specifico sotto il profilo
organizzativo e/o funzionale all’interno delle confessioni religiose, in virtù del quale sono
riconosciuti loro particolari diritti ma sono anche previsti specifici obblighi e incompatibilità.

Ministri di culto nel diritto italiano

Quella di ministro di culto non è dunque una qualifica confessionale ma una qualifica civilistica
onnicomprensiva con la quale ci si riferisce a tutti coloro che svolgono una potestà di magistero sui
fedeli all’interno di una comunità religiosa.
In concreto si tratta di una denominazione utilizzata dallo Stato con un significato ampio in quanto
idonea a designare soggetti diversi a seconda della comunità di appartenenza nel rispetto della
autonomia riconosciuta alle confessioni religiose di nominare i propri ministri in piena
autodeterminazione organizzativa. Per ciò che concerne l’identificazione dei soggetti da
comprendere nella categoria dei ministri di culto, principio generale è quello per cui i gruppi
religiosi ad individuare e nominare i soggetti cui affidare compiti specifici al proprio interno. Lo
Stato prima di riconoscere formalmente la qualifica di ministro di culto deve verificare:
- Che il soggetto designato dalla confessione eserciti effettivamente attività di natura magisteriale
- Che tali attività rientrino tra quelle identificabili come religiose in base all’ordinamento giuridico
statale.

Disposizioni specifiche con riguardo ai ministri di culto sono contenute nella normativa di derivazione
pattizia:
- Per la Chiesa cattolica prevede che la nomina dei titolari di uffici ecclesiastici sia effettuata
liberamente dall’autorità ecclesiastica
- Per le confessioni diverse dalla cattolica che abbiano stipulato intese ex art 8 c. 3 Cost. queste ultime
prevedono che la qualifica di ministro di culto si acquisti con la nomina da parte della confessione
religiosa di appartenenza senza alcuna ingerenza da parte dello Stato
- Per le confessioni prive di intesa la legge 1159 del 1929 richiede tuttora l’approvazione delle nomine
dei ministri di culto da parte del Governo nella persona del ministro dell’interno

La condizione giuridica dei ministri di culto nell’ordinamento italiano si ricava da una serie di disposizioni
normative sia di derivazione pattizia sia di origine unilaterale statale con la quale vengono riconosciuti ai
medesimi peculiari diritti connessi alla loro qualifica. Con riguardo al servizio militare venuto meno
l’obbligo di leva viene tuttora riconosciuto un trattamento particolare in caso di mobilitazione generale con
trattamenti differenti a seconda della confessione di appartenenza del ministro di culto. In particolare:

- Per i ministri cattolici non assegnati alla cura dell’anima è previsto l’esercizio del ministro religioso
tra le truppe o l’assegnazione ai servizi militari
- Per i ministri delle confessioni acattoliche stipulata rie di intese con lo Stato ex art 8 c.3 Cost.
apposite previsioni sono di solito contenute all’interno delle medesime.
- Per i ministri di culto ammessi nello Stato ove la loro nomina sia stata approvata, il diritto ad essere
dispensati dalla chiamata alle armi su attestazione del Prefetto.

Il trattamento stipendiale

Gli ecclesiastici e i ministri di culto ricevono dalle confessioni religiose di appartenenza una remunerazione
per l’attività svolta in favore di esse, finalizzata a provvedere ai bisogni di vita di coloro che rivestono ruoli
istituzionali all’interno delle medesime.

I sacerdoti cattolici hanno diritto di ricevere quanto necessario per il loro congruo e dignitoso sostentamento.
Sul piano fiscale le somme corrisposte agli ecclesiastici e ai ministri di culto sono equiparate al reddito di
lavoro dipendente. Ne consegue che le ritenute discali sulle somme in questione sono operate dai singoli enti
competenti secondo la disciplina tributaria in materia. In relazione ad una eventuale soggezione ad
esecuzione forzata delle somme corrisposte agli enti ecclesiastici pur non essendo stata riprodotta
nell’Accordo del 198 la norma del concordato del 1929 che disponeva l’esenzione della pignorabilità degli
stipendi e degli assegni degli ecclesiastici nella stessa misura in cui lo erano quelli dei dipendenti dello Stato
si ritiene tuttavia che le somme suddette continuino ad essere impignorabili ai sensi dell’art 545 c.p.c. in
quanto corrisposte a titolo di stipendio o salario. Per quanto riguarda la natura giuridica della remunerazione
corrisposta agli ecclesiastici e ai ministri di culto sono state formulate varie tesi. Per alcuni si tratta di diritto
di credito per altri di diritti di natura alimentare o assistenziale.

LA PREVIDENZA DEL CLERO E DEGLI ALTRI MINISTRI DI CULTO

Con la l.n. 903 del 1973 è stato istituito presso l’INPS che lo amministra il “ Fondo di previdenza per il
clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica. L’art 5 della legge
prevede l’obbligo di iscrizione al fondo in capo a tutti i sacerdoti secolari, nonché a tutti i ministri di culto
delle confessioni religiose diverse dalla cattolica aventi cittadinanza italiana e residenti in Italia dal momento
della loro ordinazione sacerdotale o dall’inizio del ministero di culto in Italia e fino alla data di decorrenza
della pensione di vecchiaia o della pensione di invalidità. Le forme di previdenza erogate dal fondo sono:
- La pensione di vecchia riconosciuta in favore di quanti abbiano raggiunto i 65 anni di età e che
possano far valere un’anzianità contributiva di 40 anni. Ove i sacerdoti e i ministri di culto delle
confessioni religiose acattoliche svolgano attività lavorative in ambito civilistico essi sono
assoggettati alla assicurazione generale obbligatoria per invalidità e vecchiaia.
- La pensione di invalidità riconosciuta per iscritto che sia divenuto permanentemente incapace di
esercitare il proprio ministero a causa di una malattia o di difetto fisico o mentale. Possono
conseguire la pensione di invalidità gli iscritti che dichiarati invalidi vantino almeno 5 anni di
anzianità assicurativa e contributiva nel Fondo
- La pensione ai superstiti indiretta o di reversibilità erogata a favore dei familiari dell’avente diritto di
pensionati o di assicurati che al momento del decesso possano far valere almeno 5 anni di contributi
nel fondo.
Ai sacerdoti e ai ministri delle altre confessioni religiose e ai rispettivi familiari viventi a loro carico
è riconosciuto il diritto all’assistenza sanitaria.

LE INCOMPATIBILITA’

L’ordinamento italiano prevede talune incompatibilità per i ministri di culto e per i religiosi e per gli
ecclesiastici con cura d’anime. La qualifica di ministro di culto e di religioso è incompatibile con
l’ufficio di giudice popolare, l’ufficio di giudice onorario di Tribunale. L’ufficio di giudice onorario
aggregato, avvocato. Specifiche incompatibilità sono previste anche in materia elettorale ad esempio
gli ecclesiastici per il territorio in cui esercitano il loro ufficio non posso essere eletti consiglieri
regionali

MINISTRI DI CULTO E DIRITTO PENALE

La qualifica di ministro di culto assume rilievo anche in ambito penale ex art. 61 cp prevedendo la
circostanza aggravante di aver commesso il fatto con abuso di poteri di ministro di culto o altro culto
ammesso dallo stato, specialmente per i reati di natura sessuale in danno di minori.
Con riguardo all’esercizio dell’azione penale nei confronti di un ministro del culto cattolico l’art 129 disp.
Att. Cod. proc. Pen. Dispone che l’informazione debba essere inviata all’ordinario della diocesi a cui
appartiene l’imputato.

Problematiche di rilievo penale vanno con sempre maggiore frequenza emergendo in relazione ai ministri di
culto islamico ed al ruolo degli stessi rivestito nell’esercizio delle loro funzioni rispetto all’istigazione al
terrorismo ed alla violenza in genere. Il codice penale prevede anche autonome forme di reato che
interessano i ministri di culto quali l offesa ad una confessione religiosa per il tramite del vilipendio di un
ministro del culto o impedimento/turbamento dell’esercizio delle funzioni ecc.

LA TUTELA DEL SEGRETO MINISTERIALE

Tutelata sia dall’ordinamento statale che da quello canonico

Gli ecclesiastici non sono tenuti a fornire ai magistrati le informazioni su persone o materie per cui sono
venuti a conoscenza tramite il loro ministero. Viene quindi tutelato il segreto e la facoltà di astenersi dal
fornire informazioni non solo in relazione a quanto appreso durante la confessione ma anche con riguardo
qualsiasi notizia di cui il ministro sia venuto a conoscenza in ragione della propria qualifica.
All’interno della normativa statale troviamo inoltre il diritto di astenersi dalla presentazione di atti e
documenti se dichiarano che tali atti siano coperti dal segreto e inoltre sono vietate le intercettazioni (256
c.p.c.)

Nel diritto canonico invece gli stessi sono obbligati al segreto dei fatti appresi durante la “confessione”; la
lesione di tale principio comporta la scomunica del ministro. La violazione del sigillo sacramentare comporta
la scomunica.

LA CONDIZIONE DEI RELIGIOSI NEL DIRITTO DELLO STATO

I religiosi sono i fedeli cattolici che hanno pronunciato voto di castità, povertà ed obbedienza e facciano
parte di un istituto di vita consacrata eretto dalla Chiesa. I religiosi di sesso maschile ricevono la qualifica di
“ecclesiastici”.
con riguardo ai voti occorre precisa che per l’ordinamento canonico:

- Il voto di castità importa l’obbligo del celibato o del nubilato


- Quello di povertà il trasferimento all’istituto dell’amministrazione dei beni e l’acquisto da parte
dell’istituto di tutto ciò che perverrà al religioso dopo la pronuncia dei voti.
- Il voto di obbedienza

Nel diritto dello stato invece prevale il principio di irrilevanza dei voti pronunciati secondo il diritto canonico
ciò significa che questi possono sposarsi e riconoscere figli naturali, essi rimangono proprietari dei beni e
l’obbedienza è da intendere come una sorta di rapporto di lavoro.

IL LAVORO DEI RELIGIOSI

Le prestazioni svolte dai religiosi per gli istituti facenti parte delle associazioni religiose di appartenenza non
possono essere considerate alla stregua del rapporto di lavoro subordinato essendo prive delle caratteristiche
indicate dall’art 2094 c.c.

Il fine dell’attività svolta dal religioso è quello del perfezionamento spirituale personale il rapporto in esame
viene considerato al di fuori dell’aerea garantita dall’art 36 cost. rientrando in quella protetta degli art 2-7-8-
19-20 Cost.

Ne consegue che in caso di cessazione del rapporto di appartenenza del religioso all’associazione per
dimissioni o per uscita dall’associazione nulla sarà dovuto per l’attività svolta sino alla cessazione del
rapporto perché in costanza degli stesso il diritto al pagamento delle retribuzioni si deve ritenere come
legittimamente rinunciato. Tuttavia si riconosce in capo al religioso il diritto al pagamento delle indennità di
fine rapporto.

Ove invece i religiosi svolgano un’attività lavorativa in favore di una persona giuridica civile si configura un
vero e proprio rapporto di lavoro subordinato e sottoposto alla disciplina civilistica e previdenziale.

RILEVANZA CIVILE DEI PROVVEDIMENTI ECCLESIASTICI


L’art 23 del Trattato Lateranense prevede che le sentenze e gli altri provvedimenti emanati dalle autorità
ecclesiastiche e comunicati alle autorità civili avranno piena efficacia giuridica, in armonia con i principi che
sono costituzionalmente garantiti

La norma sancisce la piena autonomia dell’autorità giudiziaria ecclesiastica.

IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO

Le confessioni religiose sono tenute a garantire che tutti quanti ne facciano parte, si dedichino all’esercizio
dell’attività della religione e che quindi possano godere di una remunerazione tale da potergli consentire una
vita dignitosa.

Per la chiesa cattolica il sostentamento del clero è stato per secoli basato sul c.d. sistema beneficiale ossia
sulla esistenza di appositi enti di natura fondazionale denominati benefici ecclesiastici. Dotati di personalità
giuridica i quali affiancano i singoli uffici ecclesiastici e i cui redditi garantivano al relativo titolare la
necessaria remunerazione c.d. congrua.

Siffatto meccanismo garantiva una certa stabilità economica ai titolari dell’ufficio ma comportava
significative sperequazioni nel trattamento economico dei funzionari ecclesiastici atteso la diversa
consistenza delle masse patrimoniali costituenti i benefici dalla quale discendevano differenze significative
in ordine alla redditività dei medesimi.

In epoca post- unitaria lo Stato italiano decise di intervenire per porre rimedio alla disparità legate al sistema
beneficiale attraverso i c.d. supplementi di congrua ossia delle integrazioni a carico del bilancio statale per
quegli uffici ecclesiastici il cui beneficio non producesse redditi superiori ad un minimo stabilito. Il sistema
introdotto in un primo tempo per i soli parroci fu poi esteso per effetto di successivi interventi normativi
anche ad altre categorie di ecclesiastici.

Il supplemento di congrua costituiva una prestazione a carattere alimentare posta dalla legge a carico del
fondo per il culto, esso risultava impignorabile, insequestrabile e insuscettibile di compensazione

L’esigenza di superamento del sistema beneficiale avanzata in ambito ecclesiale nel corso del Concilio
Vaticano II ha trovato concreta attuazione con la riforma codiciale del 1983 attraverso l’istituzione in sede
diocesana o interdiocesana di appositi istituti destinati a raccogliere beni o le offerte al preciso scopo che si
provveda al sostentamento del chierici.

Gli istituti per il sostentamento del clero

L’art. 21 della l. n.222 del 1985 ha disposto

- Erezione in ogni diocesi con decreto vescovile degli Istituti per il sostentamento del clero ciascuno
con un proprio statuto e un proprio Consiglio di amministrazione
- L’erezione ad opera della CEI dell’istituto centrale per il sostentamento del clero.

Il riconoscimento della personalità giuridica degli Istituti in questione è avvenuto tramite il procedimento
abbreviato previsto dalla stessa legge.
Quanto al fondo patrimoniale degli Istituti occorre distinguere

- Quello degli Istituti diocesani è costituito dai beni già facenti parte del patrimonio dei benefici
esistenti nella diocesi, estintesi contestualmente all’erezione di nuovi istituti
- Quello dell’istituto centrale è invece composto dalla dotazione iniziale conferite dalla CEI ed è poi
alimentato dalle erogazioni liberali ricevute dai fedeli, dalle somme conferite annualmente dalla CEI
sulla base della ripartizione del gettito derivante dall’otto per mille

L’attuale sistema di remunerazione del clero cattolico

A norma dell’art 24 della l. n.222 del 1985 funzione degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero è
quella di provvedere con l’eventuale concorso dell’Istituto centrale al congruo e dignitoso sostentamento del
clero che svolge servizio in favore della Diocesi.

Il diritto alla remunerazione sorge a favore degli ecclesiastici in presenza di due condizioni:

- Svolgimento del servizio in favore della diocesi


- Adempimento di tale servizio a tempo pieno

Nel nuovo sistema gli Istituti diocesani hanno di regola funzione integrativa. Infatti:

- L’obbligo di remunerare i sacerdoti che si trovano nelle condizioni indicata grava in primo luogo
sugli enti ecclesiastici presso cui gli stessi prestano servizio
- Solo nel caso in cui la misura di tali redditi c.d. base stipendiale non raggiunga la misura della
congrua sustentatio determinata dalla CEI è previsto l’intervento integrativo dell’Istituto diocesano
per il sostentamento del clero il quale corrisponde al sacerdote una integrazione con i redditi del
proprio patrimonio.

Pr ciò che concerne l’ammontare della remunerazione dovuta ai sacerdoti la CEI ha fissato dei criteri
specifici stabilendo che circa i due terzi della remunerazione debbano essere uguali per tutti mentre il terzo
restante va terminato sulla base di una serie di fattori e circostanze attributivi di uno specifico punteggio. Per
consentire agli Istituti di calcolare la remunerazione spettante a ciascun sacerdote che svolge servizio a
tempo pieno in favore della diocesi occorre peraltro che ogni sacerdote comunichi annualmente all’IDSC la
remunerazione ricevuta dagli enti ecclesiastici presso i quali esercita il proprio ministro nonché gli stipendi
eventualmente corrisposti ad altri soggetti. Ai soli fini fiscali la remunerazione è equiparata al reddito di
lavoro dipendente.

Tutela giurisdizionale del diritto alla remunerazione

Quello dei sacerdoti a ricevere la remunerazione o l’integrazione è un vero e proprio diritto soggettivo
patrimoniale suscettibile di tutela sia in sede ecclesiastica sia in sede civile

Per ciò che concerne l’ambito ecclesiastico l’art 34 c.2 della l. 222 del 1985 individua i procedimenti per
risolvere le controversie che dovessero eventualmente insorgere tra il sacerdote e l’IDSC tenuto alla
integrazione sancendo l’obbligo per la CEI di stabilire procedure accelerate di composizione o di ricorso
contro i provvedimenti dell’Istituto. La CEI in adempimento di tale onere ha istituito in ogni diocesi un
apposito organo di composizione composta di tre membri davanti al quale il sacerdote può impugnare il
provvedimento dell’IDSC entro 10 giorni dalla comunicazione.
Il sacerdote può scegliere di far valere il proprio diritto alla remunerazione o alla integrazione anche dinanzi
all’autorità giudiziaria civile la quale è competente in materia di rapporti obbligatori. La possibilità di
rivolgersi all’autorità giudiziaria civile risulta tuttavia regolata sulla base del criterio della prevenzione
pertanto il sacerdote è libero di scegliere quale giurisdizione adire una volta che abbia decido si investire
della controversia l’organo ecclesiastico non potrà rivolgersi al giudice dello Stato.

IL Sostentamento dei ministri di culto delle confessioni diverse dalla cattolica

Quanto al sostentamento dei ministri di culto delle confessioni diverse dalla cattolica esso è generalmente
considerato una questione interna alle singole confessioni. Alcune intese sinora stipulate ex art 8 c. 3 Cost.
introducono disposizioni analoghe a quelle previste per il clero cattolico. Risultano contemplate
l’equiparazione al reddito di lavoro dipendente ai soli fini fiscali, l’onere in capo alla confessione interessata
di operare le ritenute fiscali dovute sulla base delle disposizioni tributarie in materia e quello do versare i
contributi assistenziali e previdenziali stabiliti dalla legge. Per quanto riguarda quelle prive di intesa nel
silenzio della legge 1159 del 1929 il sostentamento risulta a carico delle confessioni di appartenenza.

LE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DA QUELLA CATTOLICA

La disciplina giuridica di carattere generale delle confessioni religiose diverse dalla cattolica è tuttora
contenuta nella legge 25 giugno 1929 n. 1159 conteneva i provvedimenti normativi che disciplinavano la
materia dei culti acattolici. Con l’entrata in vigore della Cost. repubblicana

- È stato tramutato il regime di tolleranza previsto dalla legge del 1929 in regime di libertà religiosa
uguale per tutti
- Ha previsto l’instaurazione anche per le confessioni religiose diverse dalla cattolica di un sistema di
regolamentazione dei rapporti con lo Stato sulla base di accordi bilaterali c.d. intese diretti a
disciplinare le materie di comune interesse.
- Ha introdotto alcuni principi fondamentali che sono validi e applicabili a tutte le collettività religiose
presenti sul territorio indipendentemente dalla stipulazione o meno di un’intesa con lo Stato.

L’accesso alle intese con lo Stato ai sensi dell’art 8 c.3 Cost ha fatto cessare nei confronti delle singole
confessioni religiose stipulata rie l’applicazione delle disposizioni dettate dalla l. 1159 del 1929. L’art 8
Cost. attribuisce alle confessioni religiose il diritto e non l’obbligo di richiedere la stipulazione di un intesa.
Da ciò discende:

- Che le confessioni religiose possono scegliere di non ricorrere allo strumento pattizio avvalendosi
soltanto del generale regime di libertà e delle regole comuni stabilite dalla leggi.
- In ogni caso la mancata richiesta e/o comunque l’assenza di una intesa con lo Stato non impedisce al
gruppo interessato di professare liberamente il proprio credo religioso, i principi di uguaglianza devono
essere garantiti a tutti i soggetti.

Sulla scorta di quanto rilevato è possibile affermare che nell’ordinamento italiano le confessioni diverse dalla
cattolica si distinguono in:

- Confessioni munite di intesa


- Confessioni prive di intesa
- Confessioni o gruppi che vivono come mere associazioni riconosciute o non , con fine religioso.
L’art 1 della legge n.1159 del 1929 dispone che i culti diversi dalla religione cattolica sono ammessi purchè
non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume, statuendo che nel
rispetto di tali condizioni l’esercizio anche pubblico di tali culti è libero.

Tale previsione integrata con quella di cui all’art 8 c.2 Cost permette alle confessioni diverse dalla cattolica
di :

- Organizzarsi secondo i propri statuti purchè i medesimi non contrastino con l’ordine giuridico
italiano
- Nominare ministri di culto che dopo l’approvazione governativa possono compiere atti rilevanti per
l’ordinamento giuridico italiano.

La previsione dell’art 1 della legge 1159 del 1929 nel richiedere ai fini dell’ammissione dei culti diversi dalla
religione cattolica che gli stessi professino principi e non seguono riti contrari all’ordine pubblico o al buon
costume pone un evidente problema di compatibilità con l’art 19 Cost. il quale indica come limite
all’esercizio del culto quello della non contrarietà al buon costume. Essa pertanto a seguito dell’entrata in
vigore della Cost. deve ritenersi non più applicabile.

Ai sensi dell’art 2 della legge 1159 del 1929 le confessioni religiose acattoliche possono chiedere il
riconoscimento della personalità giuridica alla Prefettura della provincia nella quale hanno sede le loro
istituzioni. La disciplina vigente al riguardo prevede:

- Che le stesse debbano presentare una apposita istanza corredata del testo dello statuto dell’ente da
cui risultino lo scopo gli organi dell’amministrazione le norme sul funzionamento di esse e i mezzi
finanziari
- Che il riconoscimento venga concesso dopo debita istruttoria dell’ufficio competente su proposta del
ministro dell’interno

La previsione di cui all’art 2 si applica indistintamente tanto ai soggetti esponenziali del culti quanto ai
semplici enti non apicali in cui si articola la struttura organizzativa di ognuno di essi per il perseguimento di
fini specifici.

Dal riconoscimento discendono alcuni vantaggi ad esempio la possibilità per l’ente di culto di acquistare e di
possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie oppure la possibilità di avanzare
istanza per la stipulazione di un intesta.

In ogni caso lo Stato esercita nei confronti degli istituti non cattolici riconosciuti poteri di controllo ad
esempio sull’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili
davanti ad un ministro di culto acattolico oppure vigilanza sull’attività dell’ente.

con il riferimento alla necessità della approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto essa non è
diretta ad attribuire rilevanza giuridica alla nomina dei ministri ma soltanto a consentire loro di compiere
taluni atti produttivi di effetti giuridici previsti dalla legislazione dei culti ammessi.

Tra le garanzie sancite dalla disciplina dei culti ammessi vanno ricordati ad esempio la libertà di discussione
in materia religiosa. Irrilevanza della differenza di culto rispetto al godimento dei diritti civili e politi ed alla
ammissibilità alle cariche civili e militari.

Le confessioni stipulata rie di intese con lo Stato ai sensi dell’art 8 c. 3 Cost.


Tale articolo stabilisce che i rapporti dello Stato italiano con le confessioni religiose diverse dalla cattolica le
quali ai sensi del comma 2 si siano date una organizzazione sulla base di statuti non contrastanti con
l’ordinamento giuridico italiano sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Attraverso la stipulazione delle intese lo Stato detta norme specifiche dirette a disciplinare i propri rapporti
con le singole confessioni religiose diverse dalla cattolica. Lo strumento dell’intesa peraltro è rimasto per
lungo tempo inattuato. Solo intorno alla metà degli anni ottanta parallelamente alla riforma concordataria con
la chiesa cattolica si è dato impulso alla legislazione negoziata con le confessioni acattoliche. Sul piano dei
contenuti le intese sinora stipulate presentano temi ricorrenti ed in gran parte analoghi a quelle previste per le
confessioni religiose tra quali:

- Assistenza spirituale nelle c.d. comunità obbliganti


- L’istruzione
- Riconoscimento effetti civili ai matrimonio celebrati di fronte ai rispettivi ministri di culto
- Tutela degli edifici di culto e valorizzazione dei beni afferenti patrimonio storico culturale.

le confessioni religiose diverse dalla cattolica con le quali lo Stato italiano ha stipulato intese ai sensi
dell’art 8 c.3 sono

- Chiese rappresentate dalla tavola valdese


- Unione chiese cristiane avventiste del 7° giorno
- Assemblee di Dio in Italia
- Unione delle comunità ebraiche italiane
- Unione cristiana evangelica battista d’Italia
- Chiesa evangelica luterana in Italia
- La congregazione cristiana dei testimoni di Geova
- La chiesa apostolica in Italia
- Unione induista in Italia
- Unione buddista in Italia
- Associazione chiese d’Inghilterra ecc.

Dalle opportunità dell’introduzione normativa di diritto comune sulla libertà religiosa destinata ad operare il
superamento della l. 1159 del 1929 sui culti ammessi nello Stato così da garantire una effettiva uguaglianza
dinanzi alla legge per tutti i soggetti religiosi presenti sul territorio si parla in Italia dalla fine degli anni
ottanta.

Da allora numerose proposte legislative sono state avanzate in sede parlamentare miranti pur con talune
differenze nei contenuti a delineare i principi generali in tema di libertà religiosa a regolamentare la
posizione giuridica dei soggetti confessionali a definire le procedure per la stipulazione delle intese. Proposte
tuttora rimaste prive di esito.

ISLAM

E’ un sistema complesso perché è allo stesso tempo sia religioso che giuridico che politico, regolate da
una legge che si chiama “shari’a” scritta da Dio e apposta nel Corano.
Questa comporta la sottomissione delle regole dello stato alle regole proprie.
Questa però nel corso degli anni si è attenuata parecchio.
I flussi migratori dell’ultimo decennio hanno interessato il paese italiano e hanno incrementato il numero
dei musulmani in italia che tra di loro adottano diverse correnti (sunniti, sciiti, sufi, salafiti).
Tali differenziazioni non agevolano il processo di integrazione di tali popolazioni.

Sono state create diverse organizzazioni che si occupano di rappresentare le diverse correnti dell’islam.
Accanto a tali organizzazioni vi sono anche una molteplicità di centri aggregativi come moschee o centri
culturali.

Nella religione islamica manca una forma istituzionalizzata di sacerdozio; la funzione dei sacerdoti è
solo quella di guidare alla preghiera la comunità. Tali soggetti, i sacerdoti, vengono chiamati “imam” che
sono parificati ai ministri di culto in italia.

Diverse quindi le problematiche:

- Creazioni di molteplici intese


- Concezione dei rapporti uomo-donna differenti
- Moschea intesa come luogo di culto ma anche politico

Negli anni 90 lo stato italiano ha provato a concludere delle intese con l’islam ma non hanno prodotto esiti
positivi. Successivamente sono stati creati meccanismi di raccordo aventi il fine di favorire il dialogo
istituzionale con le comunità musulmane.

Queste mancanze di intese con lo stato hanno determinato una sorta di ostilità verso la componente islamica
della società anche a causa del terrorismo internazionale di natura islamica a matrice religiosa.

Lascia però ben sperare il “patto nazionale per un islam italiano” che è “espressione di una comunità aperta,
integrata ed aderente ai valori e principi dell’ordinamento statale” che ha lo scopo di promuovere ed
incoraggiare la formazione di intese e negoziati con lo stato italiano.

Negli ultimi anni hanno assunto fondamentale importanza gli interessi inerenti la cd “kefalah” ossia un
istituto che è volto a garantire protezione e assistenza ai minori che si trovano in condizioni di abbandono,
perché nel corano vi è il divieto di adozione.

Attraverso tale istituto il minore viene curato e istruito fino al conseguimento della maggiore età; il minore
non entra a far parte della famiglia di accoglienza e quindi somiglia all’affidamento temporaneo di minori
che però dura molto più a lungo.

GLI ENTI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE

Con la locuzione enti confessionali si indicano gli organi o unità funzionali di una confessione religiosa.
L’elemento comune a tutti è rappresentato dal collegamento con una organizzazione confessionale al cui
interno essi rinvengono la loro ordine e dalla quale sono disciplinati.

Da un punto di vista strutturale gli enti confessionali si distinguono in:

- Organi-istituzioni in cui le confessioni sono articolare ad esempio enti territoriali ( parrocchie)


- Enti a basa associativa, prevale l’elemento personale (istituti religiosi)
- Enti a base fondatizia, connotati dalla presenza di un patrimonio destinato ad un determinato scopo
( fondazioni di culto)

Sul piano operativo gli enti in questione pur avendo origine e pur essendo radicati all’interno
dell’ordinamento confessionale, hanno necessità di operare all’interno dell’ordinamento civile in molteplici
settori. Pertanto distinguiamo:
- Enti ecclesiastici (enti collegati con una Ecclesia )
- Enti religiosi ( ricomprende realtà organizzative di matrice o ispirazione religiosa)

FONTI DELLA DISCIPLINA

La materia degli enti confessionale è retta da un complesso intreccio di fonti normative di diversa
provenienza ( pattizia o unilaterale statale) e valenza sul piano gerarchico, le quali contengono una
regolamentazione completa tanto della soggettività ( riconoscimento modificazione ed estinzione) quanto
dell’attività degli enti suddetti.

Il fondamento della disciplina va individuato nell’art 20 Cost, il quale esclude ogno ipotesi di trattamento in
pejus degli organismi suddetti rispetto agli enti di diritto comune.

Quanto alla regolamentazione giuridica per le varie confessioni religiose assume rilievo:

- Per la chiesa Cattolica l’art 7 accordo 18 febbraio 1984 e la l. n. 222 del 1985
- Per le confessioni religiose diverse dalla cattolica stipulatarie di intese con lo Stato sono contenute in
quest’ultime.
- Confessioni acattoliche prive di intesa regolate dall’art 2 l. 1159 del 1929 e r.d. 289 1930

Infine occorre tener conto della disciplina in materia comune applicabile agli enti confessionali:

- Art 831 c.1 c.c. che assoggetta i beni degli enti ecclesiastici alle norme del codice
- Di alcune normative di settore come il dlgs 31 del 2001, l. 206 del 2003 i dlgs n. 112 e 117.

L’ordinamento italiano non attribuisce di regola la personalità giuridica alle confessioni religiose in quanto
tali ma unicamente agli organi istituzioni in cui le medesime risultano articolare. Tali enti possono chiedere il
riconoscimento della personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato in base alle norme del diritto comune
oppure laddove esistenti a norma della disciplina speciale di origine bilaterale per essi prevista purchè
naturalmente presentino i requisiti dalla medesima richiesti. La personalità dello Stato italiano in quel caso si
aggiunge senza sostituirla a quella che gli enti possiedono per l’ordinamento confessionale di provenienza.
Con il riconoscimento della personalità giuridica secondo le modalità previste in via bilaterale gli enti delle
confessioni religiose acquistano la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e sono ammessi a
godere della disciplina speciale prevista dalla legge per tale categoria di soggetti giuridici.

Il riconoscimento della personalità può avvenire secondo differenti modalità:

- Per antico possesso di stato ( personalità giuridica riconosciuta da tempo immemorabile)


- Per legge qualora sia il legislatore a riconoscere la personalità con provvedimento legislativo
- Con procedimento abbreviati (modalità di natura straordinaria utilizzata relativamente agli enti
cattolici per il riconoscimento dell’ Istituto centrale per il sostentamento del clero o istituti diocesani.
- Per decreto ministeriale

Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sulla base di normative concordate con le confessioni religiose
costituiscono un tipo strutturale speciale che si differenza da altre tipologie di soggetti personificati presenti
nel sistema stesso, essi difatti:

- Sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche
originarie per come stabilite dalle norme dell’ordinamento di inerenza
- Risultano regolati da una disciplina elaborata in sede pattizia
- Non sono tendenzialmente qualificabili come enti privati né come enti pubblici ma come un terzo
genere.

I requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti cattolici sono previsti dall’art 7 c. e
dell’ Accordo del 18-02-1984 e dagli art. 1 2 e 3 l. n. 222 1985. Tali disposizioni contemplano 4 requisiti:

1. Costituzione o approvazione dell’ente da parte della competente autorità ecclesiastica


2. L’assenso da parte dell’autorità ecclesiastica alla istanza di riconoscimento civile
3. La sede in Italia
4. Presenza di un fine di religione o culto costitutivo ed essenziale.

Pertanto il fine di religione o culto deve essere prevalente e caratterizzante dell’ente , l’accertamento
della sussistenza di tale fine non è sempre necessario di fatto occorre distinguere:

- enti che fanno parte della costituzione gerarchica della chiesta, istituti religiosi o seminari: tali enti
sono sempre considerati aventi fine di religione o culto ( presunzione legale)
- altre persone giuridiche canoniche, fondazioni e in genere enti ecclesiastici privi di personalità
giuridica nell’ordinamento della Chiesa, per loro il fine di religione o culto deve essere accertato.

Dunque il legislatore per qualificare l’ ente ha scelto non un criterio formale ma sostanziale nell’attiva
effettivamente svolta dall’ente.

Ai requisiti generali per il riconoscimento di tutti gli enti ecclesiastici si aggiungono requisiti particolari

- sufficienza dei mezzi patrimoniali per il raggiungimento dei fini (requisito richiesto per istituti
religiosi o chiese aperte al pubblico)
- necessità ed evidente utilità dell’ente stesso

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO PER IL RICONOSCIMENTO

La procedura ordinaria per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici si suddivide:

1. Presentazione della domanda, la quale è inoltrata dal rappresentante dell’ente, previa autorizzazione
dell’autorità ecclesiastica competente oppure all’autorità stessa.
2. Il prefetto ricevuta la domanda la istruisce potendo anche richiedere l’acquisizione di ulteriori
elementi utili alla redazione del suo parere motivato che verrà poi trasmesso assieme alla domanda e
agli atti allegati al Ministro dell’interno.
3. L’Istruttoria ministeriale: il ministro dell’interno procede alla valutazione dei requisiti generali ai
quali è subordinata l’attribuzione della personalità giuridica civile. Inoltre procede all’effettuazione
dei controlli di merito e di legittimità, ( prima era necessario parere del consiglio di Stato ora è
facoltativo limitato ai casi di particolare complessità)
4. Emanazione del decreto di riconoscimento
5. L’iscrizione nel registro delle persone giuridiche: gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti hanno
l’onere di iscriversi nel registro delle persone giuridiche. L’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche ha natura dichiarativa assolve ad una funzione di pubblicità nei confronti dei terzi che
intrattengono rapporti con la Chiesa.
Alcune vicende dopo il riconoscimento della personalità giuridica civile dell’ente ecclesiastico possono
incidere sull’esistenza dello stesso.

Le modifiche degli enti ecclesiastici nel corso della loro vita acquistano efficacia civile con un procedimento
analogo a quello previsto per l’attribuzione della personalità giuridica e quindi è necessario un apposito
riconoscimento da parte del Ministro dell’interno che emana un decreto. Le modifiche possono avere ad
oggetto:

 Il mutamento sostanziale del fine dell’ente


 Mutamento della destinazione dei beni
 Mutamento del modo di esistere del bene.

L’art 19 c.2 L. 222 del 1985 prevede la revoca del riconoscimento della personalità giuridica. Il
procedimento di revoca è speculare a quello di riconoscimento e non risulta ammissibile al di fuori delle
ipotesi del mutamento che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento. Esso
richiedere un autonomo provvedimento di revoca del riconoscimento da parte dell’autorità governativa
( casi complessi intervento consiglio di stato). La peculiarità di tale procedimento rispetto a quello ordinario
di revoca dei provvedimenti amministrativi è costituita dalla necessità della consultazione dell’autorità
ecclesiastica.

L’estinzione degli enti ecclesiastici  art 20 l.222 85, l’ente si estingue per effetto della revoca o per
soppressione ad opera dell’autorità ecclesiastica competente. Tale previsione esclude la possibile rilevanza
ed efficacia agli effetti civili della estinzione di fatto prevista dal diritto canonico quando l’ente abbia cessato
di operare per uno spazio temporale di 100 anni

Il procedimento di estinzione prevede:

1. Autorità ecclesiastica competente trasmetta il provvedimento di soppressione o di estinzione al


Ministro dell’Interno
2. Che questi provveda mediante apposito decreto
3. Ministro proceda alla devoluzione dei beni in conformità al provvedimento dell’autorità ecclesiastica

In base a quanto disposto dall’art 15 della legge 222-85 gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono
liberi di svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto alle condizioni previste dall’art 7
dell’Accordo del 1984. Possono svolgere infatti attività profane, che devono mantenere un ruolo
marginale e sono sottoposte al regime tributario previste per le medesime. L’esercizio di tale attività
diverse da quelle religiose o di culto è fondamentale per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non
solo perché tali attività si pongono in rapporto di strumentalità con gli scopi istituzionali degli stessi ma
soprattutto perché attraverso l’esercizio di esse gli enti ecclesiastici possono reperire risorse economiche

È opinione dominate in dottrina e giurisprudenza che in presenza delle condizioni previste dall’ art 2082
c.c. l’ente ecclesiastico può assumente la qualifica di imprenditore commerciale ovvero qualora eserciti
in maniera non occasionale un’attività economica organizzata per la produzione o lo scambio di beni e
servizi. Ci si è chiesti se il ricorso all’esercizio di attività imprenditoriale organizzata in forma di impresa
abbia come conseguenza la possibile applicabilità agli enti ecclesiastici delle procedure concorsuali
previste in caso di incapacità o impossibilità degli stessi di far fronte alle obbligazioni.

- Parte della dottrina è favorevole all’assoggettamento degli enti ecclesiastici alle procedure
concorsuali
- Da altri invece si ritiene che la clausola di salvaguardia di cui all’art 7 dell’accordo dell’84 escluda
l’assoggettamento.

La giurisprudenza in specie quella di merita ha previsto l’assoggettabilità dell’ente ecclesiastico imprenditore


alle norme sulle procedure concorsuali

La specialità della condizione giuridica degli enti ecclesiastici emerge pienamente con riferimento alla loro
amministrazione, infatti, la gestione ordinaria e gli atti di amministrazione straordinaria degli enti in
questione si svolgono sotto il controllo delle rispettive autorità confessionali senza ingerenza da parte dello
Stato. La norma fondamentale è contenuta nell’art 7.5 dell’Accordo di Villa Madama. Nell’ordinamento
giuridico statuale dunque principio generale in materia della sottoposizione dell’amministrazione dei beni
degli enti ecclesiastici ai controlli canonici. L’attribuzione di valore alle regole canoniche riguardanti la
gestione del patrimonio ecclesiastico risulta controbilanciata dalla predisposizione di un sistema di pubblicità
fondato sull’obbligo d iscrizione nel registro delle persone giuridiche e l’obbligo della CEI di comunicazione
al ministro dell’interno dei provvedimenti con cui la Santa Sede e la CEI stabiliscono quali atti debbano
essere considerati di straordinaria amministrazione e quali no.

GLI ACQUISTI

Art 7.5 dell’Accordo del 1984 e in seguito all’abrogato art 17 cod. civ. la necessità dell’autorizzazione
governativa è venuta meno pertanto gli enti ecclesiastici sono ora liberi di acquistare beni immobili tanto a
titolo oneroso quanto a titolo gratuito per atto inter vivos o mortis causa senza ingerenze da parte dello Stato.

IL REGIME TRIBUTARIO

Si basa su alcuni principi fondamentali:

- Divieto di discriminazione ex art 20 Cost. che impedisce l’applicabilità agli enti ecclesiastici di un
trattamento fisico deteriore rispetto agli enti di diritto comune
- Principio di parificazione tributaria delle finalità e delle attività di religione o di culto a quelle di
beneficienza o di istruzione
- Principio della soggezione al regime tributario ordinario delle attività profane

Dal combinato disposto di tali principi si ricavano le linee guida della normativa tributaria dello Stato
relativa agli enti della Chiesa cattolica, la quale si articola in.

- Disposizioni di carattere specifico, dettate espressamente per essi


- Provvedimenti di carattere più generale applicabili anche agli enti ecclesiastici e/o concernenti
disposizioni dettate ad hoc.

Tra di esse possiamo annoverare:

- Esenzione tributi ordinari e straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente per gli
immobili di cui agli artt. 13-16 del trattato Lateranense
- Riduzione al 50% delle imposte sul reddito della società
- L’esenzione dell’imposta sul valore aggiunto ( IVA) non avendo gli enti ecclesiastici come oggetto
principale l’esercizio abituale di un’attività commerciale. Ovviamente l’attività commerciale svolta
dagli enti in questione sarà sottoposta ai tributi previsti per tale attività
- L’esenzione parziale dell’ imposta municipale unica ( IMU) che riguarda i fabbricati di proprietà
della Santa Sede elencati negli art 13-16 del trattato Lateranense ( fabbricati e pertinenze con
funzioni di culto o immobili destinati allo svolgimento di attività essenziali e previdenziali)
- Esenzione delle imposte sulle successioni e donazioni
- Agevolazioni in materia di imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni.

Enti ecclesiastici e forme organizzative dell’associazionismo non profit

Gli enti ecclesiastici sono caratterizzati da scopi diversi da quello di lucro in senso soggettivo ossia alla
ricerca di un utile distribuibile tra i membri dell’organizzazione rientrano perciò negli organismi no profit.
Dalla natura non profit degli enti ecclesiastici discendono:

- Applicabilità agli stessi delle modalità di reperimento delle risorse economico-finanziarie valide per
gli enti non profit in genere
- L’inclusione degli stessi tra i soggetti operanti nel c.d. privato sociale.

In relazione a questo ultimo aspetto con il dlgs n 460 del 1997 il legislatore aveva riconosciuto agli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti la facoltà di assumere la qualifica di ONLUS limitatamente all’esercizio
delle attività di solidarietà sociale elencate all’art 10 beneficiando del relativo regime tributario di favore. Gli
stessi inoltre potevano assumere la forma di impresa sociale. L’intera materia è stata riformata dal dlgs n.112
del 2017 e il n. 117 del 2017 introducendo la nuova figura dell’ente di TERZO SETTORE ( ETS) destinata a
comprendere tutti gli organismi a diverso titolo operanti nel settore ( cooperative sociali, associazione di
promozione sociale ecc) reitera per gli enti religiosi civilmente riconosciuti la possibilità di configurarsi ETS
parziali potendo usufruire delle agevolazioni fiscali a condizione che adottino un regolamento in forma di
atto pubblico o scrittura privata autenticata e che per lo svolgimento di tale attività venga costituito un
patrimoni e che siano tenute separatamente le scritture contabili.

L’ordinamento dello Stato prevede la possibilità per il riconoscimento della personalità giuridica anche per
gli enti delle confessioni diverse dalla cattolica ( bisogna distinguere se la confessione abbia o meno stipulato
un’intesa con lo Stato) requisiti per il riconoscimento:

1. Appartenenza dell’ente alla confessione religiosa


2. L’iniziativa dell’autorità confessionale competente
3. Sede in Italia
4. Sussistenza del fine di religione o di culto

Quanto alle modalità di riconoscimento sono le stesse per gli enti cattolici. Tutte le intese prevedono inoltre
l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ad eccezione di quella con le chiese valdesi e metodiste.

Per gli enti delle confessioni religiose che non hanno stipulato intese con lo Stato vige la disciplina dettata
dall’art 2 della l. n.1159 del 1929. Nell’ambito dei requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica a
quelli previsti per gli enti cattolici si aggiungono l’obbligo del domicilio in Italia del rappresentante legale
dell’ente e la cittadinanza italiana di quest’ultimo. Per quanto riguarda le modalità di riconoscimento la
domanda è sempre diretta al Ministro dell’Interno e presentata al prefetto ufficio territoriale del Governo
della Provincia in cui ha sede l’ente.
GLI ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA

Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono disciplina dalla l. n. 222 del 1985 la quale oltre ad
individuare le singole tipologie di enti riconoscibili agli effetto civili introduce per alcune per alcune di esse
talune previsione peculiari, talvolta richiedendo requisiti aggiuntivi rispetto a quelli generaloi previsti ai fini
del riconoscimento della personalità giuridica.

CONFERNZA EPISCOPALE ITALIA (CEI)

È un istituto permanente composto da tutti i Vescovi diocesani italiani e da quelli che nel diritto sono loro
equiparati. Sempre in Italia ma a livello decentrato operano le Conferenze Episcopali regionali mentre a
livello sovranazionale è presente il Consiglio Europeo delle conferenze episcopali. Per il diritto canonico la
CEI gode di personalità giuridica, è una persona di diritto pubblico retta da un proprio statuto. La sua
funzione è quella di promuovere la vita della chiesta e sostenere la sua missione evangelizzante e sviluppare
il suo servizio per il bene del paese. Per perseguire tali compiti ai vescovi che la compongono sono
riconosciuti sia le funzioni pastorali sia le deliberazioni legislative. La CEI emana 1)le disposizione per
l’attuazione nel diritto canonico delle norme pattizie in materia di beni ecclesiastici e di sostentamento del
clero, 2) emana le direttive per la formazione degli statuti degli Istituti diocesani per il sostentamento del
clero 3) delimita i contorni dell’esercizio del ministro del clero svolto a favore della diocesi e determina la
misura di quanto dovuto al clero diocesano per il sostentamento di quest’ultimo,4) determina gli atti di
straordinaria amministrazione che necessitano dell’autorizzazione della Santa Sede per essere compiuti

Nell’ambito delle competenze amministrative si occupa della ripartizione degli avanzi di gestione degli
istituti diocesani per il sostentamento del clero, ha eretto l’ istituto centrale per il sostentamento del clero,
fornisce il proprio parere all’istituto diocesano per il sostentamento del clero da produrre alla Santa Sede, e
riceve annualmente dallo Stato le somme derivanti dal gettito dell’otto per mille.

DIOCESI E PARROCCHIE

Costituiscono le articolazioni territoriali di base delle organizzazioni della chiesa cattolica. In particolare

- La diocesi ( vescovo)
- Parrocchia ( parroco)

Il codice del 1983 ha previsto l’acquisto di questi enti della personalità giuridica per effetto dell’erezione
canonica. Facendo parte della costituzione gerarchica della Chiesa. Esse vengono introdotte
nell’ordinamento italiano con la loro originaria struttura canonica a tali enti non si può imporre di dotarsi di
uno statuto avente i requisiti previsti per le persone giuridiche private.

I SEMINARI

Si tratta di istituti ove si provvede alla formazione nelle discipline ecclesiastiche. Si distinguono i seminari
maggiori ( scuola secondaria) e maggiori ( università). L’art 10 c.1 dell’accordo di villa madama dispone
che i seminari così come altri istituti per la formazione nelle discipline ecclesiastiche continueranno a
dipendere dall’autorità ecclesiastica

I CAPITOLI
Fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa. Nel riconoscimento loro della personalità giuridica
opera pertanto la presunzione legale di cui all’art 2 della l. 222 del 85. L’art 14 della l. n. 222 dell’85
prevede che su richiesta dell’autorità ecclesiastica competente possa essere revocato il riconoscimento civile
ai capitoli cattedrali o collegiali non più rispondenti a particolari esigenze o tradizioni religiose e culturali
della popolazione.

LE FONDAZIONI DI CULTO

Le fondazioni di culto consistono in masse patrimoniali stabilmente destinate al conseguimento di un fine di


culto le quali a seguito dell’attribuzione della personalità giuridica divengono centri autonomi di imputazione
di effetti giuridici. Possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili nelle forma
speciale prevista in sede concordata le sole fondazioni canoniche erette con decreto dell’autorità ecclesiastica
come persone giuridiche pubbliche. Di contro il riconoscimento non è ammesso per le fondazioni istituite da
privati senza l’intervento dell’autorità ecclesiastica. Il fine di culto deve essere intenso in senso estensivo
( quindi sovvenzionamento sia di attività di culto in senso proprio es. festa patronale sia attività volte a
sostenere il magistero ecclesiastico). Inoltre è richiesta la presenza di questi due requisiti oltre a quelli
generali, 1) sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei fini 2) rispondenza alle esigenze della
popolazione.

GLI ENTI CHIESA

Si tratta di quelle chiese in relazione alle quali è stata riconosciuta la personalità giuridica ad un ente avente
come finalità specifica quella di curare la manutenzione dell’edificio e la sua officiatura. Il riconoscimento
della personalità giuridica è subordinata alla contemporanea presenza di tre requisiti specifici che si
aggiungono a quelli previsti per la generalità degli enti ovvero 1) apertura la culto pubblico ad esempio se
nell’edificio si svolgono funzioni religiose, 2) non essere annesse ad altro ente ecclesiastico 3) sussistenza di
mezzi sufficienti per la manutenzione e l’officiatura dell’edificio.

I SANTUARI

Si tratta di quelle chiese dove sono conservate o venerate immagini sacre o reliquie oggetti di particolare
devozione da parte dei fedeli o dove si ritengono avvenuti miracoli o apparizioni ecc.

Si dividono in diocesani, nazionali e internazionali a seconda del soggetto competente per l’approvazione
degli statuti. Rientrano tra gli enti appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa per i quali il fine di
religione e di culto è presunto.

LE FABBRICERIE

Sono enti di natura fondazionale costituiti da una massa patrimoniale destinata alla manutenzione e
conservazione di un edificio di culto di particolare rilievo così da garantirlo in condizioni tali da potere
essere destinato al servizio del culto e allo svolgimento delle funzioni liturgiche ed essere fruito quale bene
culturale. La natura delle fabbricerie è assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

LE ASSOCIAZIONI RELIGIOSE

Il codex iuris canonici prevede due categorie di associazioni religiose

1. Gli istituti di vita consacrata i quali a loro volta si distinguono in istituti religiosi e istituti sacerdotali
2. Società di vita apostolica i cui membri per i quali non è prevista la pronunzia dei voti ma
eventualmente dei soli consilia evangelica, conducono una vita comunitaria tendente alla perfezione
della vita cristiana.

Gli art 7 ss della l. 222 dell’85 prevedono che tali associazioni possano ottenere la personalità giuridica:

- Gli istituti religiosi e le società di vita apostolica che abbiano la sede principale in Italia
- Le provincie italiane di istituti religiosi e di società di vita apostolica purché la loro attività non sia
limitata al territorio dello Stato o a territorio di missione.

Tali enti e le loro case ( convento monastero ecc) possono ottenere il riconoscimento soltanto ove
rappresentati giuridicamente e di fatto da cittadini italiani aventi il domicilio in Italia. Società di vita
apostolica sono associazioni pubbliche di fedeli.

LE ASSOCIAZIONI DI FEDELI

Si tratta di quelle associazioni che esistono nella Chiesa e che sono distinte dagli istituti di vita consacrata e
dalle società di vita apostolica. Relativamente ad esse occorre distinguere

1) Associazioni pubbliche erette direttamente dall’autorità ecclesiastica con decreto, con il quale
acquistano la personalità giuridica di diritto canonico
2) Associazioni private costituite per impulso dai fedeli mediante atto privato tra di loro le quali
possono essere riconosciute nella Chiesa se i loro statuti sono stati riveduti dall’autorità competente.

Tutte le associazioni di fedeli pubbliche e private devono avere propri statuti e sono soggette alla vigilanza
dell’autorità ecclesiastica competente. L’art 9 l.222 dell’85 prende in considerazione espressamente le
associazioni di fedeli subordinando l’attribuzione loro della personalità giuridica qualora vi sia l’assenso
della Santa Sede e l’operatività e la diffusione locale.

CONFRATERNITE

Sono associazioni laiche ex art 312 320 c.j.c. avente fine di culto o beneficienza. Occorre distinguere due tipi
di confraternite:

- Quelle aventi fine esclusivamente o prevalentemente di culto che sono soggette esclusivamente
all’autorità ecclesiastica e sono riconosciuti come enti ecclesiastici
- Quelle non aventi fine esclusivo o prevalente di culto che sono invece soggette all’autorità civile.

Poiché molte confraternite storiche avendo esaurito nel tempo le loro finalità,, i vescovi diocesani hanno
adottato i decreti di estinzione canonica, i quali deve essere conferita efficacia civile.

Le confraternite di nuova istituzione sorgono come associazioni pubbliche di fedeli e ricadono nella
disciplina prevista dalla l. 222 85.

ISTITUTI PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO

L’art. 22 l. 222-85 include tra gli enti ecclesiastici riconoscibili agli effetti civili anche l’Istituto centrale e gli
Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero. Si tratta di enti strumentali delle
organizzazione della Chiesa che non hanno in modo diretto uno scopo di religione o culto.

LE PRELATURE PERSONALI

Si tratta di istituzioni erette dalla sede Apostolica al fine di promuovere una adeguata distribuzione dei
presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie
sociali. Le prelature personali non rientrano tra le associazioni religiose. Sono in concreto chieste particolari
ossia porzioni della Chiesa delimitate non su base territoriale affidate alla cura di un pastore.

IL SISTEMA DI FINANZIAMENTO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE.

Le fonti e le modalità attraverso le quali le confessioni religiose sono in grado di reperire le risorse
economiche di cui necessitano per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali sono molteplici e si
distinguono:

 Fonti di provenienza intra-confessionale ( risorse economiche provengono direttamente dalla


gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare)
 Fonti di provenienza extra-confessionale: le quali possono essere di provenienza pubblica o
privata.

LE ENTRATE ECCLESIASTICHE

Costituiscono le somme che a diverso titolo e con diverse modalità permettono alle confessioni religiose e ai
loro enti esponenziali di ricavare le risorse economiche necessarie per lo svolgimento delle proprie attività:

- Entrate di diritto pubblico: si tratta di entrate che i soggetti confessionali sono in grado di incamerare
in quanto ammessi ad esercitare un potere tributario previsto in sede confessionale e riconosciuto
dallo Stato o da altro ente pubblico es tributi ecclesiastici
- Entrate di diritto privato: quelle che i soggetti ecclesiastici percepiscono a norma del diritto comune
es. oblazioni dei fedeli.

TRIBUTI ECCLESIASTICI

Tra le entrate di diritto pubblico vanno annoverati i tributi ecclesiastici. Fra di essi:

- Per la chiesa cattolica le c.d. decime sacramentali ossia le prestazioni dovute dai proprietari dei fondi
rustici di una zona determinata a vescovi parroci ecc, la cui entità era fissata in misura proporzionata
ai frutti prodotti dal fondo come corrispettivo per i servizi spirituali resi dai medesimi alla
popolazione locale.
- Per le comunità israelitiche il contributo dovuto dagli appartenenti alla Comunità e quello previsto a
carico delle singole comunità nei confronti dell’Unione delle stesse venuti meno dopo l’entrata in
vigore della l. 101 del 1989

Oggi il potere delle confessioni religiose di imporre i tributi ai propri appartenenti trova un limite
invalicabile nell’art 23 che stabilisce che nessuna prestazione personali o patrimoniale può essere imposta se
non in base alla legge.

LE EROGAZIONI DELLO STATO A FAVORE DELLA CHIESA

Gran parte delle entrate di diritto pubblico di cui beneficiano le confessioni religiose deriva dalle forme di
erogazione disposte a loro favore dallo Stato. Con la riforma del 1984 i meccanismi di intervento finanziario
dello Stato sono stati profondamente modificati.

Fulcro del nuovo sistema è il meccanismo del c.d. otto per mille, l’art 47 c.2. della l.222 del 1985 prevede
una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito persone fisiche destinata a scopi sociali o di
carattere umanitario e in parte a scopi di carattere religioso. Le modalità di ripartizione della quota tra Stato e
Chiesa Cattolica stabiliscono:
- Che la parte di competenza della Chiesa cattolica da versare alla CEI venga individuata annualmente
sulla base delle scelte dei contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi
- Che ove i contribuenti non esprimano scelta alcuna la destinazione si stabilisce in proporzione alle
scelte espresse.

L’art 48 introduce un vincolo di destinazione delle quote raccolte dovendo le stesse essere utilizzate

- Dallo Stato per interventi straordinari per la fame nel mondo, assistenza rifugiati ecc
- Chiesa Cattolica per esigenze di culto della popolazione , sostentamento del clero ecc.

Una volta ottenuta l’erogazione la CEI è libera di decidere la destinazione concreta delle somme ricevute
nell’ambito degli scopi riferiti. Essa inoltre è tenuta a fornire annualmente un rendiconto sulla effettiva
utilizzazione delle somme percepite al Ministero dell’interno a pubblicare tale rendiconto.

EROGAZIONI LIBERE DEDUCIBILI

Art 46 l.222 dell’85 prevede la possibilità per i contribuenti persone fisiche di dedurre dal proprio reddito
complessivo le erogazioni liberali in denaro fino all’ importo di 1032,91 a favore dell’istituto per il
sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana. Si tratta di un entrata a carattere privatistico anche se
viene ricompresa fra le entrate di diritto pubblico.

ALTRE PRESTAZIONE A CARICO DELLO STATO O DEGLI ENTI LOCALI

Ulteriori forme di finanziamento diretto o indiretto a carico dello Stato o di enti pubblici per lo più locali
sono previste dalla legge 222 del 1985. Tra le principali si possono annoverare:

- Il finanziamento del Fondo Edifici di Culto


- Le somme destinate al pagamento delle retribuzioni degli insegnanti di religione
- I buoni scuola
- Interventi per la tutela e valorizzazione patrimonio di interesse religioso.

IL MECCANISISMO DEL 5 PER MILLE

Riordinato dal dlgs. N111 del 2017 , con il quale il contribuente può decidere di destinare una quota pari al
5x1000 della propria imposta sui redditi ad enti e/o organismi che perseguono finalità socialmente rilevanti
individuate dalla legge. Scopo del sistema è quello di favorire la responsabilità dei cittadini nella selezione
della spesa sociale efficiente strumento c.d. di demarcazione fiscale, le somme in questione difatti vengono
attribuite su indicazione diretta dal contribuenti per gli scopi specifici di ciascun ente prescelto. Tra i
possibili beneficiari vi sono gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

LE OBLAZIONI DEI FEDELI

Fra le entrate di diritto privato vanno annoverate le oblazioni fedeli ossia offerte versate spontaneamente
dagli stessi a norma dell’art 1261 c.j.c. specificamente destinate ad un ente ecclesiastico civilmente
riconosciuto. Sono qualificabili come donazioni manuali.

LE DISPOSIZIONI A FAVORE DELL’ANIMA

Entrata di natura privatistica. Si tratta di disposizioni testamentarie con le quali un soggetto destina una parte
dei suoi beni ad un ente ecclesiastico per il compimento di attività liturgiche o comunque rituali destinate a
suffragare l’anima dello stesso testatore o di un terzo. Per il testatore le modalità per raggiungere tale scopo
sono triplici o istituire erede o legatario direttamente un ente ecclesiastico con l’onere delle attività liturgiche
indicate o prevedere un analogo onero a carico degli eredi oppure dare vita ad una apposita fondazione di
culto.

LE PIE FONDAZIONI DI CULTO

Consistono in masse patrimoniali composte da denaro, edifici, terreni, titoli obbligazionari o azionari per il
perseguimento di un fine ecclesiastico. Pertanto il codice di diritto canonico dispone che per realizzare scopi
di culto o di beneficienza il popolo dei fedeli può vincolare alcuni beni a favore della chiesta dando vita:

- Più fondazioni autonome


- Più fondazioni non autonome ( qualora la massa patrimoniale sia devoluta condonazione o con
testamento ad un ente ecclesiastico già esistente).

LE ENTRATE DI DIRITTO COMUNE

In quanto soggetti dotati di capacità giuridica generale gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono
tendenzialmente legittimati ad usufruire di tutte le fonti di finanziamento cui possono attingere li enti no
profit in genere. Tra le fonti di diritto privato già citate possono ricomprendersi tra le fonti di finanziamento
degli enti ecclesiastici anche ad esempio le entrate derivanti dalla gestione patrimoniale degli enti, entrate
derivanti dallo sfruttamento turistico dei beni culturali di proprietà degli enti confessionali ecc.

IL FINANZIAMENTO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA.

Alle confessioni diverse dalla cattolica che abbiano stipulato intese con lo stato ex art 8 c.3 Cost. si
applicano i meccanismi di finanziamento previsti per la Chiesa Cattolica e per i suoi enti esponenziali delle
norme di derivazione concordataria. Mentre per le confessioni prive di intese con lo Stato non sono previste
particolari forme di sostegno finanziario. La regola è quella del finanziamento a carico dei propri adepti.

DISCIPLINA DEI BENI DESTINATI ALLE ATTIVITA’ DI CULTO E DI INTERESSE RELIGIOSO

L’ordinamento italiano si occupa dei beni destinati alle attività di culto e di quelli di interesse religioso sotto
molteplici profili:

- In ragione della tutela della loro specifica destinazione la quale risulta finalizzata al soddisfacimento
di quei bisogno spirituali della popolazione che l’ordinamento considera meritevoli di tutela
- In considerazione delle opportunità di consentire anche attraverso appositi finanziamenti che le
organizzazioni religiose possano disporre dei beni suddetti
- Infine per quelli di essi dotati di rilievo artistico culturale in ragione della necessità di salvaguardia e
valorizzazione dei medesimi.

Fondamentale è la previsione dell’art 831 c.c. che sancisce il principio della soggezione alle norme codiciali
dei beni degli enti ecclesiastici e il principio della salvaguardia del vincolo di destinazione al culto pubblico
per gli edifici del culto cattolico.

Ulteriori disposizioni riguardanti i beni destinati alle attività religiose o di culto delle confessioni religiose si
trovano poi in provvedimenti normativi statali e regionali e nelle fonti normative di origine bilaterale.

I LUOGHI DI CULTO

Locuzione con cui si indicano in senso ampio tutti quei beni aventi molteplici destinazioni in cui le
confessioni religiose svolgono la propria attività e che l’ordinamento civile disciplina tenendo conto di
molteplici interessi in relazione alla propria struttura costituzionale. La facoltà delle confessioni religiose e
dei credenti di poter disporre di spazi fisici idonei per l’espletamento delle attività dirette al libero esercizio
del culto rientra all’interno del diritto di libertà religiosa. Pertanto lo Stato e gli enti pubblici devono
consentire la facoltà di fruire di luoghi di culto e riconoscere in capo agli enti territoriali la libera
esplicazione delle attività culturali.

Talune recenti leggi regionali impongono agli enti rappresentativi delle organizzazioni religiose diverse dalla
cattolica obblighi e requisiti specifici per la realizzazione di luoghi di culto e attrezzature destinate a servizi
religiosi tali da incidere sul diritto inviolabile della libertà religiosa.

EDIFICI DI CULTO

tra i luoghi di cui si avvalgono le confessioni religiose per l’esercizio del culto i più importanti sono
indubbiamente gli edifici di culto, ovvero tutti gli edifici destinati stabilmente all’esercizio del culto in forma
collettiva e individuale da parte degli aderenti ad una confessione religiosa. Affinché si possa parlare di
edificio di culto è necessario che vi sia l’elemento della DEPUTATIO AD CULTUM PUBLICUM e che i
locali adibiti in culto siano aperti a tutti coloro che vogliono accostarsi a tali pratiche culturali.

Nell’ordinamento statale principio generale è quello della sottoposizione degli edifici di culto al diritto
comune come i beni patrimoniali, salvo quanto diversamente disposto dalle leggi dettate in esecuzione di
accordi dello Stato con le confessioni religiosi e dalle leggi statali e/ o regionali dettate per salvaguardare la
destinazione degli edifici medesimi al fine loro assegnato.

GLI EDIFICI DI CULTO CATTOLICI

Il riferimento in primis va alle chiese. Tradizionalmente gli edifici di culto cattolico hanno sempre goduto di
un regime giuridico di privilegio nel nostro ordinamento volto a garantire la funzione propria. L’art 5
dell’accordo del 1984 introduce apposite norme per gli edifici di culto cattolico stabilendo:

- Il divieto di sottoposizione di tali edifici a requisizione, occupazione espropriazione ecc


- Divieto ingresso per la forza pubblica
- Dovere dell’autorità civile in relazione alla costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle
pertinenti opere parrochiali.

La norma si riferisce solo agli edifici aperti al culto pubblico. Quanto all’appartenenza gli edifici di culto
sono per lo più di proprietà di persone giuridiche ecclesiastiche ma possono appartenere anche allo Stato o ai
privati ( i quali pur appartenendo ai privati non possono essere sottratti alla loro destinazione). In caso di
edificio di culto appartenenti ai privati per effetto della comunione nella facoltà di godimento dell’edificio tra
il titolare del diritto di proprietà e l’autorità ecclesiastica si determina una compressione della facoltà di
godimento del proprietario il quale può trarre dell’edificio solo quelle utilità compatibili con le esigenze di
culto. Il regime speciale degli edifici di culto si estende anche alle pertinenze.

COSTRUZIONE E MANUTENZIONE DEGLI EDIFICI

Per ciò che concerne specificatamente la Chiesa cattolica l’art 5 c.3 dell’Accordo del 1984 impegna lo Stato
a tener conto in relazione alla costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere
parrocchiali delle esigenze religiose delle popolazioni interessate fatte alla competente autorità ecclesiastica.
L’art 53 c.3 della legge 222 1985 pone un espresso divieto di sottrazione alla loro destinazione anche per
effetto di alienazione degli edifici di culto costruiti con contributi regionali e comunali prevedendo la
trascrizione nei registri immobiliari e la nullità degli atti e dei negozi che comportino violazione del vincolo
stesso. La materia dell’edilizia religiosa rientra peraltro tra quelle previste dall’art 117 Cost e riconosce alle
regioni una specifica competenza legislativa con quella dello Stato, al quale spetta il potere di indirizzo e
ordinamento nel settore dell’urbanistica e alle Regioni spetta il compito di regolamentare con i propri atti
normativi la misura degli spazi da destinare nei centri abitati all’edilizia religiosa.

Poiché gli edifici di culto rientrano tra le opere c.d. di urbanizzazione secondaria rispetto a tali edifici i
comuni sono tenuti a prendere in considerazione le esigenze religiose della popolazione nell’ambito dei piani
regolatori generali ed a contribuire economicamente agli interventi riguardanti gli stessi. Per gli edifici di
culto monumentali e non di proprietà dello stato la competenza per la conservazione e il restauro spetta al
Fondo Edifici di Culto.

ALTRI LUOGHI DEPUTATI AL CULTO

Un esempio i cimiteri, sepolcri e cappelle funerarie.

I cimiteri appartengono normalmente ai comuni nel qual caso sono beni di natura demaniale e si applicano le
norme previste per tale categorie di beni, ma possono anche essere di proprietà di persone giuridiche
ecclesiastiche. Sepolcri e cappelle prima potevano essere eretti all’interno delle chiese per concessione
dell’autorità ecclesiastica. Oggi l’ordinamento cattolico proibisce la sepoltura nelle chiese con l’eccezione
dei sommi pontefici cardinali ecc.

BENI CULTURALI DI INTERESSE RELIGIOSO

Si indicano tutte quelle cose mobili e immobili che presentano un interesse artistico, storico archeologico
ecc. In Italia una porzione significativa del patrimonio culturale ha carattere religioso ed è riconducibile alla
Chiesa Cattolica. La disciplina dei beni culturali di interesse religioso fa capo ad una molteplicità di fonti sia
unilaterali statali sia di derivazione concordata. Occorre ricordare l’art 9 c.2 Cost che affida alla Repubblica
il compito di promuovere la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione tra essi anche quelli
appartenenti a soggetti confessionali.

Una specifica disposizione in materia di beni culturali di interesse religioso si rinviene nell’Accordo di
revisione concordataria del 1984 il cui art 12 prevede l’impegno della Santa Sede e della Repubblica italiana
a collaborare nel rispettivo ordine c.d. principio di collaborazione. Per effetto di tale previsione si è avuta una
concordatarizzazione a livello normativo del settore considerato. Pertanto sono state stipulate varie intese a
livello nazionale e regionale ad esempio:

- L’intesa fra il Ministro per i Beni culturali e ambientali e il presidente CEI del 1966 relativa alla
Tutela dei beni culturali di interessere religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.

Infine va ricordato che l’intera materia dei beni culturali ha avuto una riforma organica con
l’approvazione del codice dei beni culturali e del paesaggio.

LUOGHI DI CULTO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA

Il r.d. 289 del 1930 prevede la possibilità per i fedeli dei culti ammessi di avere un proprio tempio odo
oratorio per l’esercizio pubblico del culto. l’apertura di tali luoghi era in origine subordinata ad una
autorizzazione amministrativa rilasciata al termine di un procedimento discrezionale da parte dell’
Amministrazione. Attualmente pertanto rispetto all’apertura dei luoghi di culto non dovrebbero
sussistere problemi di tutela rispetto agli interessi di qualsiasi confessione religiosa anche quelle prive di
intesa. Nei fatti ciò non sempre si verifica e il diritto di disporre di luoghi di culto viene a volte
illegittimamente degradato a mero interesse in ragione della diversa appartenenza confessionale dei
soggetti richiedenti per le difficoltà frapposte ad alcune organizzazioni confessionali prive di intesa
rispetto all’apertura di luoghi di culto o per diniego e/o ostacoli nell’accesso ai finanziamenti statali.
MATRIMONIO

Nell’Italia preunitaria l’unica forma di matrimonio valida era quella disciplinata dal diritto canonico.
L’istituto del matrimonio civile fu introdotto dopo l’unificazione con il codice civile del 1865 con il
quale lo Stato riconobbe come unica forma matrimoniale quella celebrata dinanzi all’ufficiale dello stato
civile con le formalità richieste dalla legge civile. Per effetto di tale innovazione il matrimonio canonico
rimase per l’ordinamento italiano un atto lecito ma giuridicamente irrilevante. Tra il 1866 e il 1929 i
cittadini cattolici che intendevano conseguire lo status coniugale sia nell’ordinamento statale sia in
quello canonico dovevano fare una doppia celebrazione

Con il concordato del 1929 il sistema fu radicalmente innovato con l’eliminazione della necessità della
doppia celebrazione e l’introduzione del matrimonio concordatario, forma matrimoniali che prevedeva
per i cattolici la possibilità di contrarre un matrimonio canonico cui collegare anche gli effetti civili
attraverso la trascrizione nei registri dello stato civile.

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana l’istituto del matrimonio concordatario per come
delineato nella legislazione del 1929 entrò in crisi. Con l’introduzione della legge sul divorzio la n. 898
del 1970 e alcune sentenza della Corte costituzionale portarono ad una graduale erosione della disciplina
matrimoniale delineata in sede concordataria nel 1929.

L’accordo di revisione concordataria del 1984 ha disciplinato ex novo la materia del matrimonio
concordatario. In base all’art 8 c. 1 sono riconosciuti effetti ai matrimonio contratti secondo le norme
del diritto canonico a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile previa
pubblicazione nella casa comunale. I nubendi nel celebrare il matrimonio religioso manifestano una
volontà negoziale che il diritto di libertà matrimoniale la quale deve essere determinante libera e attuale
ai fini della produzione degli effetti civili. Infatti gli sposi in un momento anteriore a quello della
celebrazione del matrimonio compiono taluni atti e tengono taluni comportamenti concludenti che
costituiscono espressione della comune volontà di attribuire effetti civili l matrimonio religiosamente
celebrato affinché esso sia efficace nell’ordinamento giuridico statale.

Affinché le parti possano ottenere la trascrizione del matrimonio canonico occorre che la celebrazione sia
preceduta al compimento di alcuni atti e formalità preliminari.

LE PUBBLICAZIONI

Costituiscono l’’atto mediante il quale si rende nota all’esterno la volontà dei nubendi di contrarre
matrimonio canonico destinato a produrre effetti civili. Essi assolvono alla funzione di pubblicità notizia e
vengono effettuate nella casa comunale. È necessario che la richiesta di pubblicazioni venga fatta da
entrambi gli sposi o persona che ne abbia ricevuto l’incarico all’ufficiale di stato civile del luogo dove uno
degli sposi ha la residenza o comune di residenza degli sposi. Le parti devono presentare richiesta scritta al
parroco all’ufficiale di stato civile affinché questi sappia che la trascrizione è collegata la celebrazione di un
matrimonio concordatario. Infine le parti devono dichiarare le proprie generalità, cittadinanza, libertà di stato
o eventuali impedimenti di parentela. Le pubblicazioni sono effettuate in maniera informatica e non più
cartacea (albo pretorio online). la richiesta di pubblicazioni coincide con l’atto di iniziativa del procedimento
di trascrizione. L’ufficiale di stato civile deve procedere alla trascrizione a meno che non ci sia un
impedimento. In tali casi l’ufficiale rilascia un certificato con i motivi del rifiuto avverso i quali è possibile
fare ricorso al tribunale.

OPPOSIZIONI AL MATRIMONIO

Finalità delle pubblicazioni è quella di dare notizia della volontà delle parti di celebrare un matrimonio, onde
permettere ai terzi che siano a conoscenza di un eventuale impedimento di presentare opposizione. I soggetti
legittimati a presentare opposizione sono i genitori, tutore, curatore ma anche il Pm se è a conoscenza di un
impedimento. Sull’opposizione decide il tribunale civile del luogo in cui sono state fatte le pubblicazioni.
Effettuate le pubblicazioni e trascorsi tre giorni dalla scadenza del termine per il compimento della stessa,
l’ufficiale di stato civile rilascia un certificato attestante che nulla osta alla celebrazione del matrimonio. Il
rilascio di tale certificazioni garantisce alle parti il diritto di ottenere la trascrizione del matrimonio
concordatario celebrato.

CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO

In quanto atto di natura religiosa è disciplinata dal diritto canonico. Al rito religioso deve necessariamente
fare seguito l’espletamento da parte del ministro di culto celebrante taluni adempimenti civili ovvero la
lettura degli artt. 143-144-147 c.c. relativi ai diritti e doveri dei coniugi anche in relazione alla prole. La
redazione in doppia originale dell’atto di matrimonio che è un atto pubblico in quanto la legge consente di
introdurre in esso la dichiarazione degli sposi concernenti il regime patrimoniale e/ o il riconoscimento di un
figlio. L’atto di matrimonio deve essere redatto in italiano e deve contenere le generalità delle parti, data
pubblicazioni luogo e data celebrazione del matrimonio, il nome ufficiale ecclesiastico che vi ha assistito e
avvenuta lettura degli art. del c.c.

La trascrizione all’art 8 c.1 dell’accordo 1984 stabilisce che il matrimonio canonico celebrato tra le parti
acquista effetti civili dal momento della celebrazione a condizione che l’atto sia trascritto nei registri dello
stato civile e la trascrizione perciò a fare conseguire effetti nell’ordinamenti statuale al matrimonio celebrato
con le norme di diritto canonico.

Trascrizione tempestiva è la forma ordinaria di trascrizione ed ha luogo quando il parroco trasmette l’atto
di matrimonio entro 5 giorni dalla celebrazione e l’ufficiale dello stato civile trascrive l’atto di matrimonio
entro le 24 ore successive al ricevimento dello stesso. La richiesta di trascrizione deve essere fatta per iscritto
dal parroco del luogo in cui è celebrato il matrimoni, si tratta di una notificazione. La trascrizione del
matrimonio canonico è un atto di accertamento costitutivo ( certificazione). A seguito della trascrizione il
matrimonio produce effetti civili dal momento della celebrazione

Trascrizione tardiva ha luogo quando l’atto di matrimonio non viene trasmesso dal parroco all’ufficiale
dello stato civile entro 5 giorni dalla celebrazione. Affinché si possa avere tale forma di trascrizione occorre
che le parti abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione del
matrimonio a quello di richiesta della trascrizione e se richiesta da entrambe le parti o da una sola di essere
ma senza l’opposizione dell’altra.

È possibile anche la trascrizione tempestiva ritardata ossia la possibilità per l’ufficiale di stato civile di curare
la trascrizione sebbene non fosse stata previamente effettuata la pubblicazione civile purché il parroco avesse
trasmesso l’atto di matrimonio entro 5 giorni dalla celebrazione.

IMPEDIMENTI CIVILI ALLA TRASCRIZIONE

Il c. 2 dell’art 8 c.1 dell’ Accordo prevede che la trascrizione non possa aver luogo quando gli sposi non
rispondono ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione o quando sussiste fra gli
sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.

Sono considerati impedimenti inderogabili: infermità di mente di uno dei due coniugi, sussistenza tra i
coniugi di altro matrimonio valido agli effetti civili, impedimenti derivanti da delitto.

FORME SPECIALI DI CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO CANONICO

Le quali però risultano non trascrivibili


- Matrimonio segreto o di coscienza celebrato davanti al parroco e due testimoni vi è l’assenza di
qualsiasi forma di pubblicità
- Matrimonio in periculo mortis di una delle parti
- Matrimonio coram solis testi bus celebrato in assenza del ministro di culto
- Matrimonio celebrato all’estero non è trascrivibile
- Matrimonio canonico celebrato per procura ( per la trascrizione serve procura per atto pubblico e
deve essere autorizzato dal tribunale.

LA GIURISDIZIONE SUL MATRIMONIO CONCORDATARIO

Nell’ordinamento canonico vige il principio di origine tridentina in virtù del quale data la natura
sacramentale del matrimonio fra i battezzati solo al giudice ecclesiastico compete la giurisdizione su take
vincolo e dunque il potere di dichiararne la nullità. L’art 34 c.4 del concordato del 1929 aveva introdotto una
riserva di giurisdizione a favore dell’autorità ecclesiastica. Tale riserva era di carattere assoluto nel senso che
tutte le cause sulla nullità di matrimoni canonici trascritti erano riservate alla giurisdizione dei tribunali
ecclesiastici ai quali bisognava rivolgersi facendo riferimento ad uno dei capi di nullità previsti dal diritto
canonico. Quanto alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali ecclesiastici
esse erano automaticamente efficaci nell’ordinamento italiano attraverso un procedimento di competenza
della Corte D’Appello. La situazione è mutata nel 1982 dopo che la corte costituzionale con sentenza n.18-
72 ha introdotto per le sentenze ecclesiastiche pro nullitate la necessità del giudizio di delibazione ossia un
procedimento giudiziario di competenza della CDA territorialmente competente pertanto le sentenza di
nullità matrimoniali non erano più automaticamente efficaci nell’ordinamento e le stesse possono non
acquisire efficacia civile essendo possibile che il procedimento di delibazione si concluda con un rigetto.

Il procedimento di delibazione è il procedimento attraverso il quale le sentenze ecclesiastiche di nullità


vengono riconosciute agli effetti civili. Tale procedimento all’epoca della sua introduzione era stato
modellato su quello previsto per le sentenze straniere. Con la legge 218 del 1995 la necessità del ricorso al
procedimento di delibazione per le sentenze straniere è venuta meno quantomeno in via ordinaria. Essa è
tuttavia è rimasta in alterata per l’attribuzione di efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche di nullità
matrimoniale.

Attualmente dunque il procedimento per il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità


matrimoniale continua ad essere disciplinato dall’art 8.2 dell’accordo del 1984 che prevede il giudizio di
delibazione da parte della CDA competente sul territorio su impulso delle parti o una di esse. Inoltre
presupposto processuale è che la sentenza ecclesiastica di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico sua
esecutiva.

La CDA deve verificare:

- Che il giudice ecclesiastico fosse quello competente a conoscere della causa


- Che sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio

La CDA è chiamata ad accertare

- Che la sentenza ecclesiastica non sia contraria ad altra sentenza pronunciata dal giudice italiano
passata in giudicato
- Che non sia pendente davanti ad un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e stesse
parti
- Che la sentenza ecclesiastica non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico
In sede di delibazione della sentenza ecclesiastica alla CDA è fatto divieto di procedere al riesame del
merito.

SENTENZE ECCLESIASTICHE ED ORDINE PUBBLICO.

È stato specificato ed individuato dalla giurisprudenza costituzionale e successivamente quella di legittimità


che hanno precisato che per ordine pubblico in materia matrimoniale deve intendersi l’insieme di principi
che esprimono le regole fondamentali ed essenziali con le quali la Cost. e le leggi dello stato delineano
l’istituto del matrimonio. Ovviamente si tratta di un concetto mutevole nel tempo infatti prima
dell’introduzione della legge in materia di divorzio principio essenziale di ordine pubblico era
l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, attualmente principio fondamentale è quello dell’effettività
dell’unione coniugale.

Le uniche ipotesi di contrasto con i principi di contrasto con i principi d’ordine pubblico in materia
pacificamente ammesse sono quelle in cui la nullità è stata pronunciata per motivi tipicamente confessionali
e precisamente quelle di:

- Disparitas cultus
- Ordine sacro
- Voto pubblico e perpetuo emesso in un istituto religioso.

In siffatti casi l’esclusione della delibazione viene fatta dipendere dalla circostanza che tali motivi di
nullità previsti dal diritto canonico risultano lesici del principio di uguaglianza giuridica dei cittadini
senza distinzione di religione che va ricompresa tra i principi di ordine pubblico. Tolti questi specifici
motivi di nullità del matrimonio canonico le altre ipotesi di nullità non dovrebbero dar luogo a contrasto
con i principi d’ordine pubblico italiano in materia di matrimonio poiché questi principi non coincidono
con le singole cause di nullità o di annullamento previste per il matrimonio civile. Difatti il controllo
demandato alla corte d’appello non consiste in una comparazione fra la causa canonica di nullità
accertata dal giudice ecclesiastico e l’analoga o non analoga causa di nullità prevista per il matrimonio
civile. Si concreta nella comparazione fra la sentenza ecclesiastica e i principi di struttura dell’istituto
matrimoniale secondo l’ordinamento interno. La giurisprudenza ha nel corso degli anni individuato
talune specifiche ipotesi di contrarietà all’ordine pubblico come nel caso di simulazione unilaterale del
consenso, in questo caso infatti vi è contrasto tra la disciplina civilistica e quella canonica che ammette
la nullità del matrimonio anche nel caso di riserva mentale. In questa ipotesi la delibera è ammissibile
solo se la chiede il coniuge in buona fede che ha subito la simulazione. Con una sentenza del 2008 della
Corte di Cassazione sono state allargate le ipotesi di non delibabilità, Incompatibilità assolute e relative,
solo le prime impediscono la delibazione potendosi invece superare le incompatibilità relative per il
peculiare rilievo che lo Stato italiano si è impegnato con la Santa Sede a dare tali pronunce.

EFFETTI CIVILI DELLA DELIBAZIONE DELLA SENTENZA ECCLESIASTICA DI NULLITA’


MATRIMONIALE E TUTELA ECONOMICA CONIUGE DEBOLE

Dall’accoglimento della domanda di delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale


discendono taluni effetti giuridici sia di ordine personale che riguardano tanto gli ex coniugi quanto la
posizione dei figli minori. Il riconoscimento degli effetti civili della sentenza ecclesiastica pro nullitate
fa venir meno il matrimonio con effetto ex tunc. Questo comporta che gli effetti civili cessano
retroattivamente a decorrere della data del matrimonio con la perdita di ogni effetto personale e
patrimoniale derivante da tale vincolo ( perdita qualità coniuge, perdita diritti successori ecc.)

L’unica forma di tutela prevista è per il matrimonio putativo volto a tutelare il coniuge in buona fede ed
eventuali figli. L’art 128 c.c. prevede che in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio ove i coniugi
o uno di essi abbiano contratto lo stesso in buona fede o quando il loro consenso sia stato estorto con
violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da causa esterna agli sposi gli effetti
del matrimonio valido si producono in favore dei coniugi fino alla sentenza che pronunzia la nullità.
Inoltre gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli nati prima del matrimonio e
riconosciuti anteriormente alla sentenza di nullità. Infine quando ad un coniuge o ad un terzo sia
imputabile la nullità del matrimonio questi è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede una
congrua indennità anche in mancanza di prova del danno sofferto, ha funzione sanzionatoria e
corrisponde al mantenimento per 3 anni. Si tratta delle c.d. statuizioni economiche provvisori di
competenza della CDA e hanno natura strumentale subordinate all’accertamento del fumus boni iuris e
periculm in mora.

RAPPORTI TRA GIURISDIZIONE ECCLESIASTICA E DELLO STATO

In sostanza può succedere che la delibazione intervenga dopo la pronuncia di divorzio, la delibazione
della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale non è preclusa dal fatto la sentenza di divorzio sia già
passata in giudicato perché tra le due pronunce v’è una sostanziale differenza di oggetto, con una si
chiede lo scioglimento del matrimonio e con l’altra la nullità. La delibazione arrivi nelle more del
giudizio di divorzio, in tal caso l’accoglimento della delibazione travolgendo il matrimonio dovrebbe far
cessare il giudizio di divorzio.

LA DISPENSA ECCLESIASTICA DEL MATRIMONIO RATO E NON CONSUMATO

Art 1061 c.j. il matrimonio tra battezzati si dice rato se non è stato consumato, se e consumato se i
coniugi hanno compiuto tra loro in modo umano l’atto per idoneo a generare la prole. Il matrimonio rato
e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa eccetto la morte. il
matrimonio rato ma non consumato di contro può essere sciolto per una giusta causa dal Pontefice su
richiesta di entrambe le parti o da una sola.

SEPARAZIONE TEMPORANEA DEI CONIUGI

L’art 19 c. 2 della l. 847 del 1929 sancisce espressamente che in pendenza del giudizio di nullità davanti
ai tribunali ecclesiastici può essere richiesta al tribunale civile competente per territorio la separazione
temporanea dei coniugi a norma dell’art 126 c.c.

Gli effetti della separazione temporanea cessano quando passa in giudicato la sentenza che pone dine
allo stato coniugale, quando il matrimonio resta valido agli effetti civili perché la domanda di nullità è
stata rigettata o i giudizi si sono estinti.

IL MATRIMONIO DINANZI AI MINISTI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA


CATTOLICA

Dobbiamo distinguere tra:

- Soggetti aderenti a confessioni religiose prive di intese con lo stato, in cui il vincolo matrimonio è
tuttora regolato dalla l. n.1159 del 1929 sui culti ammessi nello Stato.
- Soggetti aderenti a confessioni stipulata rie di intese con lo Stato che trovano invece nelle leggi di
approvazione delle relative intese norme specifiche atte a regolare l’istituto matrimoniale, con il
riconoscimento di talune peculiarità legate alla confessione di appartenenza.

L’art 83 c.c. dispone che il matrimonio celebrato davanti a ministro di culto ammessi nello Stato è
regolato dalle norme sul matrimonio civile salvo quanto stabilito nella disciplina speciale di cui alla
legge 1159 del 1929 e al r.d. 289 del 1930.

L’art 7 della legge del 1929 stabilisce che il matrimonio celebrato dinanzi al ministro di culto indicato
dall’art 3 produce gli stessi effetti del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile. Il
procedimento prevede la necessità per chi intende celebrare il matrimonio davanti ad uno dei ministri dei
culti ammessi di dichiarare tale intenzione all’ufficiale di stato civile e il rilascio da parte dello stesso di
un’autorizzazione scritta con indicazione del ministro di culto davanti al quale la celebrazione debba
aver luogo. La lettura del ministro di culto che si occupa della celebrazione degli art 143-144-147 c.c.,
presenza di due testimoni, dichiarazione dei coniugi di voler contrarre matrimonio ed infine trasmissione
dell’atto originale all’ufficiale di stato civile non oltre 5 giorni dalla celebrazione e la successiva
trascrizione ad opera dell’ufficiale entro le 24 h.

Per quanto concerne le domande di nullità al matrimonio celebrato davanti al ministro di un culto
ammesso nello Stato e debitamente trascritto nei registri dello stato civile si applicano tutte le
disposizioni previste per il matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile

Per quanto riguarda il matrimonio degli appartenenti a confessioni stipulata rie di intese ex art. 8 c.3
Cost. dobbiamo sottolineare che la maggior parte delle intese stipulate contiene apposite disposizioni per
la disciplina della materia matrimoniale, le quali prevedono il riconoscimento degli effetti civili dei
matrimoni stipulati a norma delle stesse a seguito dei relativi atti nei registri dello stato civile.

La regolamentazione della materia contenuta nelle intese diverge da quella dettata dalla l. 1159 del 1929
sotto alcuni profili come ad esempio non è necessario l’approvazione governativa per la nomina del
ministro di culto o non è necessaria l’autorizzazione scritta rilasciata dall’ufficiale di stato civile con
l’indicazione del ministro di culto competente essendo sufficiente un nulla osta. Norme particolari sono
contenute nell’art 14 della legge n. 101 del 1989 dispone che sono riconosciuti gli effetti civili ai
matrimonio celebrati in Italia secondo il rito ebraico davanti ad uno dei ministri di culto che abbia la
cittadinanza italiana a condizione che l’atto sia trascritto nei registri di stato civile previe pubblicazioni
nella casa comunale. La manifestazione del consenso sia ha da parte della donna attraverso
l’accettazione dell’anello nuziale dello sposo prevista nella tradizione ebraica.

DAL MATRIMONIO TRADIZIONE ALLE UNIONI CIVILI

L’istituto del matrimonio per come tradizionalmente concepito nell’esperienza giuridica occidentale ha
vissuto una fase di crisi dovuta sia alla semplificazione nei tempi e nei modi del divorzio e l’introduzione
del divorzio breve ma anche con la diffusione di modelli di relazioni affettive diverse da quello tipico
della coppia coniugale eterosessuale ad esempio la convivenza stabile fra persone maggiorenni
omosessuali o eterosessuali. Tali fattori hanno comportato anche delle ripercussioni sulla concezione di
famiglia affermando modelli familiari alternativi. A tal proposito non possiamo che citare la legge n.76
del 2016 la quale ha introdotto la convivenza di fatto fondata sull’affectio quotidiana di ciascuna delle
parti liberamente e in ogni istante revocabile e le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Per quanto
riguarda le unioni civili viene riconosciuta dignità giuridica uguale ai coniugi.

L’ISTRUZIONE RELIGIOSA
Il Concordato lateranense del 1929 aveva attratto la materia dell’istruzione religiosa nelle scuole
pubbliche tra quelle soggette a regolamentazione bilaterale. L’art 36 CONC. Aveva esteso
l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica già previsto dalla riforma Gentile per le sole
scuole pubbliche elementari anche alle scuole medie inferiori e superiori. Ai genitori era stata data la
possibilità di ottenere la dispensa per i propri figli con apposita richiesta scritta all’inizio dell’anno
scolastico. Si trattava di insegnamento obbligatorio della religione cattolica con possibilità di esenzione.
Con l’accordo del 1984 la materia della istruzione religiosa è stata rivista dalle Alte Parti, prevedendo
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuola statali non universitarie rispettando il principio
supremo di laicità dello Stato. È venuto meno il previgente sistema di obbligatorietà dell’insegnamento
sostituito da un sistema basato sulla facoltatività della fruizione dello stesso da parte degli alunni. Tale
scelta è data nella scuola secondaria superiore dagli studenti personalmente anche se non ancora
maggiorenni, nella scuola materna, elementare e media dai genitori. La scelta deve essere fatta durante
l’iscrizione fermo restando la possibilità di modifica per l’anno seguente.

L’art 9 dell’accordo ( in riferimento al n. 5 protocollo addizionale) prevede la necessità che


l’insegnamento della religione cattolica sia impartito nella libertà di coscienza degli alunni da insegnanti
riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica nominati di intesa con essa dall’autorità scolastica. Un
intesa prevista tra autorità scolastica e la CEI sui programmi di insegnamento e le modalità orari e scelta
dei libri di teso. Il diritto di scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica non
deve determinare forme di discriminazioni.

Negli anni la giurisprudenza specialmente quella costituzionale è stata più volte chiamata ad occuparsi
della disciplina dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica prevista dall’accordo di revisione
concordataria con le garanzie e libertà presenti nel nostro ordinamento. In primis con sentenza del 1989
la Consulta ha ribadito il principio supremo di laicità dello Stato un ulteriore sentenza del 1991 ha
previsto che per quanti decidano di non avvalersi di tale insegnamento l’ amministrazione scolastica può
prevedere una serie di attività di studio alternative.

LO STATUS GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI DI RELIGIONE

Si trova nella l. 189 del 2003 e nel dpr 175 del 2012 in intesa con il Ministro dell’istruzione
dell’università e della ricerca e il Presidente della CEI per l’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche. Hanno stabilito che l’insegnamento della religione cattolica deve essere impartito da
insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinamento diocesano, il riconoscimento di idoneità
ha effetto permanente salvo revoca da parte dell’ordinario diocesano. Che gli insegnanti di religione
fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli
insegnanti.

La legge 186 del 2003 aveva in precedenza istituito due distinti ruoli regionali articolati per ambiti
territoriali corrispondenti alle diocesi degli insegnanti di religione cattolica correlati ai cicli scolastici
previsti dall’ordinamento, l’accesso ai quali è subordinato al superamento di un concorso per titolo ed
esami su base regionale e con cadenza triennale.

La revoca dell’idoneità all’insegnamento da parte dell’Ordinario diocesano determina l’impossibilità


giuridica della prestazione la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro. Dato il problema della
precarietà che connota i docenti di religione, sono stati presentati in parlamento diversi disegni di legge
rimasti senza esito.

Norme specifiche in materia di istruzione religiosa sono contenute anche nelle intese con le confessioni
religiose diverse dalla cattolica, nelle quali viene sancita la natura facoltativa per gli alunni della
fruizione dell’insegnamento della religione cattolica, la facoltà riconosciuta agli alunni appartenenti alle
confessioni stipa latrie di intese il diritto di non avvalersi dell’insegnamento. Mentre per gli alunni
appartenenti alle confessioni religiose prive di intesa con lo Stato italiano si applica l’art 23 del r.d.n.
289 del 1930 ovvero qualora il numero degli alunni lo giustifichi e per fondati motivi i padri di famiglia
professanti un culto diverso dalla religione cattolica possono ottenere che sia messo a disposizione quale
locale della scuola per l’insegnamento religioso ai figli. Questa disparità di trattamento tra cattolici e
appartenenti alle altre confessioni è data dalla conservazione dell’insegnamento della religione cattolica
quale patrimonio storico del popolo italiano.

LE SCUOLE CONFESSIONALI

L’art 33 della Cost. sancisce la libertà di insegnamento specificando: che enti privati hanno diritto di
istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo stato e che la legge deve assicurare alle scuole
non statali un trattamento equipollenti a quello degli alunni delle scuole statali. La legge n. 62 del 200
stabilisce che il sistema nazionale di istruzione è costituito da scuole statali e dalle scuole paritarie
private e degli enti locali. Per quanto concerne lo status giuridico dei docenti delle scuole confessionali
occorre muovere dalla considerazione che le scuole in questione rientrano a pieno titolo tra le c.d.
organizzazioni di tendenza ossia tra quei soggetti privi di una struttura imprenditoriale che perseguono
fini ideologici senza scopo di lucro, di natura politica,istruzione, culto o religione ( perseguono una
specifica tendenza). Nel discende che i docenti delle scuole confessionali sono tenuti ad uniformarsi
all’indirizzo religioso della scuola non potendo tenere condotte contrarie ai principi da essa accolti e
trasmessi all’esterno. Infatti tali docenti sono stati soggetti per lungo tempo a licenziamento per giusta
causa senza possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro in caso di comportamenti contrari ai principi
morali e professionali degli istituti.

Oltre alle scuole confessionali, alle confessioni religiose è altresì riconosciuta la facoltà istituire e gestire
i propri istituti di formazione teologica finalizzato alla formazione dei rispettivi ministri di culto senza
ingerenza da parte dello Stato. Quanto alla Chiesa Cattolica l’accordo di Villa Madama all’art 10
prevede che gli istituti universitari,seminari, accademie collegi ecc continuando a dipendere unicamente
dall’autorità ecclesiastica. Che i titoli accademici in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche
determinate d’accordo tra le Parti conferiti dalle facoltà approvate dalla Santa Sede sono approvate dallo
Stato. La gestione e il regolamento di tali istituti sono di competenza esclusiva degli organi competenti
della confessione religiosa che sono altresì tenuti a farsi carico dei relativi oneri finanziari.

RELIGIONE SOCIETA’ CIVILE E DIRITTO

La libertà di coscienza ossia la libertà di formazione dei propri convincimenti interiori è una libertà
ampia tale da racchiudere al suo interno ogni possibile atteggiamento dell’individuo imputabile alla sua
coscienza sia nel momento della libera formazione di convinzioni interiori e quindi in ambito
strettamente religioso il diritto di prendere posizione di fronte al problema divino, sia l’esigenza che
l’ordinamento si astenga da qualsiasi pressione al riguardo.

L’art. 19 nel dettare la disciplina positiva della libertà di religione non menziona espressamente la libertà
di coscienza né tale disposizione si trova richiamata in altra disposizione costituzionale. L’art 19
rappresenta il fondamento di tutte le facoltà dissidenti dal diritto di libertà religiosa altri invece riportano
all’art 21 Cost. ossia alla libertà di manifestazione del pensiero. Nel contesto di un ordinamento
pluralista che riconosce la diversità delle posizioni di coscienza, essa va considerata come un vera e
propria libertà autonoma. Dal riconoscimento del diritto alla libertà di coscienza deriva l’attribuzione di
rilievo c.d. obiezione di coscienza ossia il rifiuto opposto da un individuo per motivi di coscienza
assoggettarsi ad una condotta di per sé giuridicamente esigibile in quanto posta da una norma.
L’obiezione di coscienza nasce sempre da un conflitto c.d. improprio di doveri in cui un soggetto si trova
nella necessità di dover scegliere tra due obbedienze quella alla norma civile e quella imposta da un
dettame di carattere etico o religioso. L’obiezione di coscienza è espressamente prevista dall’art 10 c.2
della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea dalla CEDU. Nella Cost. non è previsto in
materia espressa ma si ricava implicitamente, in dottrina si suole distinguere tra obiezione di coscienza
contra legem (rifiuto di obbedire alla legge non assume rilievo per l’ordinamento) e secundum legem
( quando il legislatore consente al soggetto di scegliere).

Le obiezioni di coscienza oggi previste nel nostro ordinamento sono:

- Servizio militare prevede che in relazione all’obbligo di prestazione del servizio militare previsto dal
d.p.r. n.237 del 1964 come estrinsecazione del dovere di difesa della patria di cui all’art 52 c.2 Cost
riconosceva ai soggetti contrari all’uso delle armi il diritto di non prestare il servizio militare nelle
Forze armate e di impegnarsi in sua vede in attività socialmente utili
- Interruzione volontaria della gravidanza. L’obiezione di coscienza nei riguardi delle procedure e
delle attività diretta a determinare l’interruzione della gravidanza è prevista dall’art 9 della l. n. 194
del 1978 che esonera il personale sanitario ed esercente attività ausiliare dal compiere attività
specificatamente diretta ad interrompere la gravidanza. Tale obiezione deve essere fatta con
preventiva dichiarazione la quale può essere sempre revocata.
- Procreazione medicalmente assistita. L’obiezione di coscienza è riconosciuta dall’art 16 della l. n. 40
del 2004 il quale esonera il personale sanitario e coloro che esercitano le attività ausiliari dal
prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita quando gli stessi sollevano obiezione di coscienza con preventiva dichiara zio.
- Sperimentazione animale. L’obiezione di coscienza rispetto alla sperimentazione animale è prevista
dall’art 1 della l. n. 413 del 1993, pertanto i soggetti che essendo contrari a questa pratica non sono
tenuti a prendere direttamente parte a questa attività

Fuori da tale ipotesi l’obiezione di coscienza vi sono delle ipotesi di confine come ad esempio la vendita
della c.d. pillola del giorno dopo. L’AIFA ha dichiarato che la pillola non ha effetti abortivi ma contraccettivi
alla luce di ciò l’eventuale rifiuto del medico o del farmacista rispettivamente alla prescrizione e alla vendita
del farmaco sulla base di una rivendicata obiezioni di coscienza sarebbe da ritenere ingiustificato. Inoltre un
ulteriore problema si pone in relazione alla legge Cirinnà la quale non contempla obiezione di coscienza
nella celebrazione di unioni civili. Desta perplessità in assenza di un apposita la mancata previsione nella
legge italiana sul fine vita della facoltà di obiezione di coscienza per il personale sanitario. Infine è da
ritenere non ammissibile in assenza di un apposita previsione normativa di carattere autorizzativo un rifiuto
delle vaccinazioni per motivi di coscienza in ipotesi a carattere religioso.

LIBERTA RELIGIOSA TRATTAMENTI SANITARI E TESTAMENTO BIOLOGICO

In virtù dell’art 32 Cost. nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. Per trattamenti sanitari si intendono normalmente i trattamenti praticati con qualsiasi
mezzo per scopi connessi alla tutela della saluta per fini terapeutici. I trattamenti sanitari si distinguono:

- Trattamenti volontari: principio alla base della disciplina è il diritto alla autodeterminazione
terapeutica. Tale diritto si sostanzia nella possibilità per il paziente di scegliere tra le diverse
possibilità di trattamento medico.
- Trattamenti obbligatorio sono quelli imposti da norme giuridiche comportano una deroga al diritto di
autodeterminarsi.

Fuori dai casi di trattamento obbligatorio, ogni trattamento sanitario per essere praticato necessita del
consenso dell’individuo ( art 2,13,32c,2 Cost.). La previsione costituzionale non contiene riserve ed il
principio opera sempre anche nell’ipotesi in cui dal rifiuto del paziente di essere sottoposto al trattamento
terapeutico derivi un pericolo potenziale o reale per la salute dello stesso. Proprio in relazione alle ipotesi di
rifiuto del trattamento deriva un pericolo grave ed immediato per la vita del paziente, si pongono peraltro
delicati problemi di bilanciamento tra valori costituzionalmente protetti poiché vi è il conflitto tra due diritti
fondamentali,il diritto all’autodeterminazione terapeutica. La situazione si complica qualora la rinuncia è
dettata da convinzioni etico religiose ad esempio i testimoni di geova che rifiutono le trasfusioni di sangue.
Sul punto è intervenuta la giurisprudenza, la quale ha affermato che pur riconoscendo al paziente determinate
convinzioni etico religiose, qualora si trovi in stato di incoscienza e sussista pericolo grave e immediato, il
dissenso deve essere espresso concretamente e non in maniera ipotetica. Per ciò che concerne i minori in
caso di rifiuto alle emotrasfusioni da parte degli esercenti la potestà genitoriale dovranno essere attivate le
procedure previste dagli art 330 c.c. che prevedono l’intervento del giudice tutelare.

Il credo religioso esercita un’influenza significativa sull’approccio culturale al concetto di vita e morte
dell’individuo. Si tratta di questioni sul diritto alla vita, alla salute ecc. per quanto riguarda la fase iniziale
della vita umana nonché i momenti ad essa precedenti, le religioni hanno costantemente dimostrato una
particolare sensibilità e hanno cercato di svolgere una funzione di controllo etico e sociale sul progresso
medico ( es. aborto) mentre per la fase terminale della vita il problema è quello rappresentato dal limite entro
il quale agli individui è concesso di disporre della fase finale della propria esistenza posto che l’ordinamento
riconosce il diritto alla vita ma non alla morte. In anni recenti la questione connessa al momento finale della
vita è stata assai dibattuta ed in mancanza di un legislazione specifica ci si è chiesti se il nostro ordinamento
imponesse di proteggere la vita anche se non può più essere considerata tale ( es. soggetti in stato
vegetativo). Ed in particolare se potesse essere considerato un diritto quello di non ricevere più cure in alcuni
casi limite ( es. diritto di staccare la spina). Il caso paradigmatico è rappresentato dalla vicenda di Eluana
Englaro donna in stato di coma vegetativo dal 1992, intorno alla richiesta del padre tutore di interruzione del
trattamento medico che la teneva artificialmente in vita. Vi sono stati vari pronunce giurisprudenziali. Si
reputava ammessa la possibilità di autorizzare l’interruzione delle cure mediche nei casi in cui vi era
l’oggettiva irreversibilità del quadro clinico del paziente e l’accertamento della rispondenza dell’atto alla
volontà del rappresentato ricostruibile anche in via presuntiva sull’analisi di alcuni fattori dal quale emergeva
l’incompatibilità della condizione in esame. Secondo altro orientamento il rifiuto delle terapie medico-
chirurgiche non poteva essere scambiato per eutanasia, ciò che si mirava ad evitare era il c.d. accanimento
terapeutico. A fronte del diritto del paziente a rifiutare le cure corrisponde l’obbligo dell’amministrazione
sanitaria di attivarsi per il concreto esercizio di tale diritto. Strettamente connesso a tale tema è il c.d.
testamento biologico strumento volto ad anticipare la volontà del soggetto attribuendo rilevanza giuridica
alle direttive di trattamento che lo stesso nel pieno delle sue facoltà mentali aveva espresso. La legge non
introduce in ogni caso la possibilità per i soggetti di scegliere anticipatamente né l’eutanasia né il suicidio
assistito. Con la legge 219 del 2017 ha disciplinato sia il tema del consenso informato, terapia del dolore e
divieto di accanimento medico, DAT e pianificazione condivisa delle cure. Tale normativa traccia i contorni
di un nuovo biodiritto imperniato sul principio di autodeterminazione individuale rispetto ad una serie di
questioni relative al momento terminale della vita. Siffatta percezione risulta dalla pronuncia Costituzionale
sulla vicenda di dj FABO con la quale la consulta ha di fatto legalizzato il suicidio assistito in itala anche se
il disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato per la necessaria approvazione
in materie relative alla morte volontaria medicalmente assistita che prevedeva in alcune circostanze di porre
fine volontariamente alla propria vita. Ad oggi tale iter è stato rimandato.

RELIGIONE E FESTIVITA’

L’ordinamento italiano tutela le festività religiose tanto con disposizioni unilaterali finalizzate a rendere
attuabile il diritto di libertà religiosa sancito dall’art 19 Cost. Tra le disposizioni statali unilaterali in materia
va annoverata la l. n. 260 del 1949 che introduce un elenco di giornate festive di origine sia civile sia
religiosa. La legge distingue tra giorni festivi e solennità civili. L’elenco dei giorni festivi è stato modificato
con legge del 1977 la n. 54 che ha ridotto sia le festività religiose che civili. Durante i giorni festivi il
legislatore ha stabilito la sospensione dell’attività lavorativa oltre ad alcuni specifici effetti giuridici.
L’astensione dal lavoro in occasione di specifiche ricorrenze o di un giorno della settimana da dedicare alla
preghiera o all’adempimento delle pratiche di culto è prescritta da gran parte delle religioni. Occorre
considerare che per i cattolici il rispetto dei precetti religiosi è favorito dalla corrispondenza del riposo
settimane con la domenica mentre per gli appartenenti a confessioni religiose diverse dalla cattolica invece
non sempre il rispetto delle festività religiose risulta agevole per il fatto che il calendario comune è tarato
sulle festività proprie della chiesta cattolica. Lo stato è tenuto a rendere effettivo l’esercizio di tali facoltà,
anche se lo specifico rilievi alle festività religiose può essere accordato dalla normativa locale o dalla
contrattazione collettiva.

RELIGIONE E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI.

Il diritto alla privacy tutela alcuni diritti costituzionalmente garantiti tra esse l’art 19 Cost. la tutela della
privacy in Italia è assicurata dal dlgs n. 196 del 2003 codice in materia di protezione e dati personali.
Peculiare tutela viene garantita ai c.d. dati sensibili al cui interno rientrano i dati a carattere religioso. Regola
generale rispetto al trattamento dei dati sensibili era quella per cui essi potevano essere oggetto di
trattamento solo in presenza di consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante. Tuttavia
per i dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose era previsto che il trattamento di tali dati potesse
essere effettuato dagli organi confessionali senza consenso scritto dell’interessato né autorizzazione del
garante. A partire dal 1997 il Garante per la protezione dei dati personali aveva provveduto ad emanare
alcune autorizzazioni generali al trattamento dei dati sensibili nonché taluni provvedimenti specifici volti ad
autorizzare il trattamento dei dati sensibili in casi particolari. In data 25 maggio 2018 è stato applicato il
Regolamento Ue 2016/79 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Il Regolamento prevede ad esempio il divieto del
trattamento dei dati che rivelino l’origine etnica, opinioni pubbliche, convincimenti religiosi ecc. stabilisce
l’inapplicabilità del divieto in una serie di casi fra i quali oltre a quello del consenso implicito dell’interessato
al trattamento dei dati personali per una o più finalità specifiche effettuato da una fondazione associazione
ecc. La nuova disciplina sul trattamento dei dati personale sembra in apparenza ridurre l’ambito di tutela
riservato alla specialità religiosa. Bisogna ricordare l’art 91 che riconosce ai soggetti confessionali un
significativo spazio di autoregolamentazione idoneo a preservare l’ambito di tutela della specialità religiosa.
La chiesa cattolica da parte sua già con l’emanazione del Decreto generale della CEI del 1999 si era dotata di
una propria normativa tale normativa è stata rivista nel 2018 ed importante è l’art 8 che disciplinale modalità
di gestione e custodia dei registri prescritti dal diritto canonico. Questione particolare è quella relativa alla
cancellazione del proprio nominativo dal registro battesimale della parrocchia di appartenenza. Fermo
restano il diritto dei soggetti richiedenti di non essere considerati come appartenenti alla Chiesa Cattolica ci
si è chiesti se possa essere accolta una richiesta di cancellazione vera e propria dal registro dei battezzati e se
si possa chiedere l’annotazione accanto alla registrazione del battesimo della volontà di non appartenere più
alla Chiesa Cattolica. Sia il Garante della privacy che la giurisprudenza hanno stabilito che il battesimo
esseno un evento storico non può essere cancellato possono essere cancellate le conseguenze giuridiche di
tale atto ovvero l’appartenenza alla chiesa cattolica.

SIMBOLI E OSSERVANZE RELIGIOSE

Per simbolo religioso si intende qualunque segno esteriore avente un’attinenza al sacro che può essere
immediata con valore evocativo e significato convenzionale atto ad esprimere l’appartenenza religiosa di un
individuo o un preciso status dello stesso all’interno di un gruppo confessionale. La possibilità di esprimere
l’appartenenza confessionale attraverso simboli e osservanze religiose è una manifestazione del diritto alla
libertà religiosa e come tale necessita di essere tutelata. In relazione ai simboli religiosi il problema si è posto
all’interno degli spazi pubblici ovvero quei luoghi che per definizione dovrebbero essere neutrali. La
crescente diversità culturale e religiosa ha fatto emergere il problema determinando non soltanto la comparsa
di nuovi simboli religiosi ma anche della non neutralità di simboli tradizionali ove l’esposizione degli stessi è
imposta dalla normativa statale all’interno degli spazi pubblici ( es. crocifisso scuola). L’ordinamento
italiano a questo tema delicato manifesta un atteggiamento sostanzialmente inclusivo teso a riconoscere
come lecito e dunque ad ammettere anche nello spazio pubblico i simboli e i segni di tutte le religioni
riconosciute. Tale atteggiamento è coerente con il principio supremo di laicità fatto proprio dello stato. L’uso
simbolico di indumenti e capi di abbigliamento prescritto da norme confessionale è stato negli ultimi anni
oggetto di crescente attenzione a livello europeo interessando la Corte di Giustizia UE e la Corte EDU.
L’ordinamento italiano al riguardo non prevede norme specifiche. La libertà di abbigliarsi incontra
unicamente il limite della sicurezza pubblica. Vi sono state restrizioni all’utilizzo di indumenti atti a palesare
l’appartenenza religiosa ( es burqua) con apposite ordinanze sindacali dichiarati illegittimi dalla
giurisprudenza. Relativamente all’utilizzo dei simboli religiosi il problema si è manifestato principalmente
con riferimento alla esposizione degli stessi nei luoghi pubblici e bisogna distinguere due ipotesi quella della
esposizione di simboli religiosi in luogo pubblico autorizzata o imposta dalla legge ( crocifisso a scuola)
oppure quella dell’esposizione sul corpo del credente.

In Italia problematiche legate all’esposizione di simboli religiosi in luogo pubblico si sono avute in relazione
alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, giudiziarie e seggi elettorali. È stata interessata la
giurisprudenza in relazione al principio supremo di laicità dello Stato. Stabilendo la Cassazione che non
risulta in sé incompatibile con il principio supremo di laicità dello Stato né determina la lesione del diritto
soggettivo di libertà religiosa. Mentre per il crocifisso a scuola la vicenda giudiziaria più nota riguarda il
caso della sig.ra Lautsi la quale riteneva l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche violazione la
principio di laicità. Il TAR del Veneto in prima istanza negava la tutela richiesta in quanto il crocifisso
rappresenta anche un simbolo di evoluzione storico culturale oltre che simbolo religioso. Il Consiglio di
Stato respingeva il ricorso affermando che il crocifisso può assumere vari significati e servire per intenti
diversi. La CEDU accoglieva l’istanza affermando che il crocifisso rappresenta un simbolo religioso forte.
La Grande Camera Edu lo ha definito un simbolo essenzialmente passivo che non influenza gli alunni.

Il problema del Kirpan pugnale rituale dei Sikh che può essere ritenuto un oggetto offensivo oppure un
simbolo religioso. La giurisprudenza ha affermato che il kirpan è stato ritenuto segno distintivo di adesione
ad una regola religiosa ed esclude la configurabilità del reato di porto adesivo di armi improprie.

Mentre vengono definite immissioni religiose tutte le propagazioni di differente natura provenienti da
strutture religiose o comunque riconducibili a comportamenti o espressioni della religiosità. Con peculiare
riguardo al suono delle campane esso è stato oggetto di numerose interpretazioni giurisprudenziali la
maggior parte delle quali ritiene il suono delle campane annoverabile fra le sorgenti sonore fisse
distinguendo tra impiego delle campane al di fuori delle esigenze liturgiche integrando il reato di cui all’art
659 c.p. e non gode di particolare tutela mentre in caso contrario il rumore delle campagne può integrare il
predetto reato solo in presenza di circostanze di fatto che comportano il superamento della soglia della
normale tollerabilità.

DIRITTO PENALE E FATTORE RELIGIOSO

L’ordinamento italiano prevede norme penali poste a tutela del sentimento religioso art 403 e 405 c.p. la
vecchia formulazione assicurava una tutela penale privilegiata alla chiesa e alla religione cattolica punendo il
reato di vilipendio della religione dello Stato, turbamento di funzioni religiose del culto cattolico e delitti
contro i culti ammesso nello Stato , veniva punita anche la bestemmia nonché le pubbliche manifestazioni
oltraggiose contro i defunti. Il legislatore è intervenuto depenalizzando alcuni reati minori come quello di
bestemmia e manifestazioni oltraggiose contro i defunti e nel 2006 ha parificato la condizione di tutte le
confessioni religiose sul piano penale. Prevedendo nella nuova formulazione gli art 403 e 405 c.p. ad
esempio offese ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone o turbamento di funzioni
religiose del culto di una confessione religiose. La giurisprudenza ha specificato che il vilipendio alla
religione non debba mai essere confuso con al discussione scientifica o meno sui temi religiose né con la
critica in generale o con l’espressione di dissenso dei valori religiosi. Assai dibattuto è il rapporto tra diritto
di satira e religione. La satira rientra nell’ambito di tutela dell’art. 21 Cost. quando ha ad oggetto la libertà
religiosa rientra nell’art. 19 che ne riconosce la libertà in materia religiosa.

Mentre i reati religiosamente motivati ovvero qualora un soggetto adisce nella convinzione di aver posto in
essere le condotte in questione nell’esercizio del diritto di libertà religiosa. In specie i comportamento posti
in essere penalmente rilevanti nell’ordinamento italiano vengono ritenuti giustificati o addirittura doverosi in
ragione della loro appartenenza religiosa. I soggetti che hanno posto in essere tali reati si appellano alla
scriminante dell’art 51 esercizio di un diritto o art 62 c.1 c.p. ovvero aver agito per motivi di particolare
valore morale o sociale. Le fattispecie penali rispetto alle quali l’esercizio del diritto di libertà religiosa viene
invocato come causa di esclusione o diminuzione della punibilità sono varie e diverse tra loro. Per ogni
situazione di conflitto il problema è quello di identificare i limiti alla professione all’esercizio in concreto
della fede religiosa qualora la sua esplicazione possa essere ricondotta all’interno della sfera di operatività
del diritto penale. Spetta ai giudici valutare in sede di disamina delle singole ipotesi di reato il rilievo
eventualmente attribuibile alla matrice religiosa delle condotte illecite contestate e se la motivazione
religiosa possa scriminare o meno.

Possiamo citare alcune ipotesi di reato culturalmente/religiosamente orientati

- Mutilazione dei genitali art 583 bis c.p., infatti dalla gravità delle lesioni si vede escludere che
possano essere scriminate. Diversa dalla MGF ( mutilazione genitali) è l’ipotesi della circoncisione
rituale maschile la quale è praticata sia in seno all’ebraismo sia in alcune comunità islamiche.
Questa pratica viene ritenuta generalmente lecita.
- Costrizione o induzione al matrimonio art 558 bis c.p. ( volto a contrastare il fenomeno delle spose
bambine)

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