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DIRITTO CANONICO SACRAMENTALE E PROCESSUALE

CAPITOLO 1°. PARTE GENERALE


Il libro del CdC che noi andremo ad approfondire è il Libro Quarto che si riferisce alla
funzione di santificare della Chiesa. Questo libro riguarda tutti i sacramenti e, quindi, tutti
gli elementi giuridici connessi alla realtà sacramentale ecclesiastica. Il Codice nella parte
relativa ai sacramenti è una summa di principi giuridici riguardanti i sacramenti, proprio
perché il sacramento non è solo una realtà teologica, ma è anche una realtà giuridica.
Non a caso la validità del sacramento non si collega all’ambito teologico ma all’ambito
giuridico, cioè a come il sacramento viene ad essere amministrato, se la persona che lo
amministra lo poteva veramente fare, se il soggetto che riceve il sacramento era nelle
condizioni interne necessarie per poterlo ricevere, altrimenti noi potremmo trovare tutta
una serie di ipotesi in cui il sacramento non è valido. Diversa invece è la nozione di liceità;
un sacramento che viene validamente amministrato, ma che è fatto in forme abnormi,
cioè in forme che non sono rispettose della norma giuridica, in forme che non sono quelle
prescritte dal Codice ma che tuttavia non toccano la sostanza della validità del
sacramento. Ciò che tocca la validità può determinare la nullità, ciò che non tocca la
validità può determinare al massimo l’illiceità dell’amministrazione di un determinato
sacramento.
Il tema che ci interessa è quello che riguarda la funzione di santificare della chiesa. Le
funzioni, o potestà che nella chiesa si possono esercitare sono tre: insegnare, santificare e
governare. La funzione di santificare comprende: i sacramenti, i sacramentali, altri atti del
culto divino (la Liturgia delle Ore, la preghiera). Si tratta, quindi, di un ambito molto di
tutto ciò che riguarda i sacramenti.
Quale soggetto all’interno della chiesa ha il potere di regolamentare ed esercitare queste
funzioni? Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi. Essi sono i due soggetti della
suprema autorità della chiesa. Vedremo l’importanza che questi soggetti hanno nel
momento in cui la potestà di santificare viene ad essere destinata nella disciplina
ecclesiale. Come si svolge un’attività, quali sono tutti gli elementi per la validità di un
determinato sacramento nasce dalla teologia e dall’insegnamento che ha dato Cristo
istituendo i sacramenti, ma poi è stato codificato dalla chiesa all’interno di norme e
l’autorità che le ha codificate è la suprema autorità e i soggetti di questa autorità. Non a
caso tutto ciò che riguarda i sacramenti viene, in modo particolare, dall’Assise costituita
dai Concili, ossia la riunione in forma solenne del Collegio dei Vescovi.
A livello di chiesa particolare l’autorità sacramentale è nelle mani di qualcuno? Proprio
nell’ambito sacramentale ci sono alcune cose che anche i soggetti che nella posizione
gerarchica sottoposti al Romano Pontefice e al Collegio dei Vescovi, possono fare. Tuttavia
questi soggetti non possono mai arrivare a modificare la sostanza teologica del
sacramento. Ad esempio, una Conferenza episcopale piuttosto che un vescovo non hanno
il potere di entrare nella sostanza teologica di un sacramento, non possono cambiare la
norma relativa alla validità dei sacramenti. Essi possono intervenire, comunque, su

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qualche altro elemento. Dovremo dunque capire il ruolo che occupa ogni altra autorità
che esiste nella chiesa rispetto alla disciplina sacramentale che si collega anche alla
disciplina liturgica. Il Can .2 del CdC dice:
«Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservarsi nel celebrare
le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il
loro vigore, a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice».
Il Codice, il più delle volte, non definisce i riti che sono da osservarsi nel celebrare le azioni
liturgiche (un sacramento si amministra all’interno di un’azione liturgica). Quello che
andiamo a vedere non è il rito, ma il sacramento in sé e cioè quando il sacramento è
valido e lecitamente amministrato. Il rito non entra nel Codice. Tuttavia esiste una branca
del diritto della chiesa che, oggi, si chiama Diritto Liturgico, cioè le norme liturgiche. Tutti i
testi liturgici messi insieme danno una serie di indicazioni normative che i sacerdoti
seguono nel momento in cui devono portare avanti un rito di un determinato
sacramento.
Si potrebbe pensare che il Diritto Liturgico possa addirittura soppiantare la realtà delle
cose, il sacramento in sé, ma in effetti ai fini della validità di un sacramento quello che
conta e che siano conservati forma e sostanza del sacramento e non l’azione liturgica
attraverso la quale viene amministrato (es. dei due sposi che scambiano il consenso non
nel momento previsto dal rito). Questo non vuol dire che il rito possa essere condotto
come più ci aggrada.
Abbiamo la funzione di santificare, il Diritto Sacramentale, il Diritto Liturgico e abbiamo i
soggetti che amministrano questo Diritto Sacramentale che sono, sicuramente, la
Suprema autorità della chiesa e poi, nei casi che andremo a vedere anche i soggetti
dell’autorità della chiesa particolare (diocesi, comunità di fedeli riuniti intorno al proprio
vescovo). Accanto alla funzione di santificare abbiamo la funzione di governare e quella di
insegnare. La funzione di governare si sostanzia nei tre poteri: legislativo, esecutivo e
giudiziario. Questo tocca ciò di cui parleremo perché nel momento in cui parleremo della
legislazione sui sacramenti, questa interessa la potestà di governo e quindi il potere che il
Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi hanno di legiferare su quella materia. Quando
noi andremo a toccare il processo di nullità matrimoniale o il processo penale canonico
andremo ad interessarci della parte della funzione di governo inerente alla funzione
giudiziaria e quindi il potere giudiziario che risiede in alcuni soggetti che, sempre alla luce
della riforma voluta da papa Francesco, oggi coinvolge anche il laicato. Oggi, infatti, il
tribunale ecclesiastico di un collegio che decide su una causa di nullità matrimoniale può
essere formato da 3 giudici di cui 2 laici (prima della riforma del 2015 era ammesso al
collegio un solo giudice laico).
La funzione di santificare tocca anche la potestà esecutiva attraverso la Curia Romana e la
Curia diocesana attraverso i propri tribunali. Oggi questi ultimi hanno un ruolo che prima
non avevano perché prima della riforma del processo di nullità del 2015 esistevano pochi
tribunali che si occupavano dei processi di nullità. Infatti dopo la riforma, ogni vescovo

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può istituire il proprio tribunale diocesano che decida in materia di nullità matrimoniale,
o, in alcuni casi, ogni vescovo può giudicare nella forma del processo breve.
Il modo di santificare della Chiesa cattolica universale ha riformato anche la parte del
codice di codice di diritto canonico che riguarda ovviamente la funzione di santificare
della Chiesa per cui noi andiamo a prendere proprio questo concetto, cioè il libro del
codice che noi andiamo ad approfondire, il libro IV dedicato alla funzione di santificare
della Chiesa, questo libro riguarda tutti i sacramenti e quindi tutti gli elementi giuridici
connessi alla realtà Sacramentale ecclesiale e quindi il codice nella parte relativa ai
sacramenti è una summa di principi giuridici riguardanti i sacramenti proprio perché il
sacramento non è solo una realtà teologica ma è anche una realtà giuridica, non a caso,
la validità del sacramento non si si collega all’abito teologico, ma la validità del
sacramento si collega all’ambito giuridico, cioè a come un sacramento viene ad essere
amministrato, se una persona che lo ha amministrato, il ministro, lo poteva realmente
fare se la persona che riceve il sacramento aveva delle condizioni interne per poterlo
ricevere, altrimenti potremmo trovare una serie di ipotesi in cui il sacramento non è
valido, diverso invece la nozione di liceità cioè un sacramento si ritiene validamente
amministrato ma in forma abnorme, cioè in forme non legata alla forma giuridica, in
forme che non sono quelle prescritte dal codice, ma tuttavia in questo caso non si tocca la
sostanza della validità del sacramento. quindi ciò che tocca la validità può determinare la
nullità ciò che non tocca la validità può determinare al massimo l’illiceità
nell’amministrazione che determina il sacramento (questi sono 2 elementi che da subito
dobbiamo aver chiaro, la nozione di validità che si collega a quella di invalidità e di
immunità del sacramento e la nozione di liceità o di illiceità dell’amministrazione del
sacramento (il modo di come un sacramento viene ad essere amministrato) liceità e
illiceità fanno parte della funzione di santificare della Chiesa, a questo punto la domanda
nasce spontanea Quali sono le funzioni fondamentali ovvero le podestà che nella Chiesa si
possono esercitare insegnare governare e santificare, la funzione di santificare in che
cosa si sostanzia? Da che cosa è fatta la funzione sacramentale cosa rientra nella funzione
sacramentale? E fatta da (segni e strumenti, cioè i sacramenti, ma rientrano solo questi?)
rientrano quindi i sacramenti, i sacramentali, altri atti del culto divino (liturgia delle ore,
preghiera ecc.) la funzione di santificare è una funzione molto più ampia della semplice
riduzione al solo ambito sacramentale che è il cuore dell’esperienza cristiana, ma è pur
sempre una parte del quotidiano del vivere della nostra fede cristiana che non è fatta solo
da sacramenti se consideriamo dei sacramenti che alcuni sono fatti una sola volta nella
vita ma che è fatto da tutta una serie di podestà, di azioni, che si possono, tutto questo
rientra in una funzione di santificare all’interno di questo corso, ma non esiste solo la
funzione di santificare nella Chiesa ma ci sono anche altre podestà, ci sono anche la
funzione di governare e di santificare.
A chi spettano queste funzioni all’interno della Chiesa, chi è che decide, ovvero che può
regolamentare queste determinate funzioni? (il Pontefice e il collegio dei vescovi) che
sono nella Chiesa (2 soggetti della suprema autorità della Chiesa), quindi il romano
Pontefice e il collegio dei vescovi sono due soggetti della suprema autorità della Chiesa

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(non esiste contrasto tra di loro visto che lo stesso romano pontefice fa parte del
collegio dei vescovi) (al massimo può esistere il contrasto tra un gruppo di vescovi e il
romano pontefice, ma visto che questo è all’interno, quando noi diciamo che è in
disaccordo il collegio non si forma proprio perché il collegio esiste solo se il romano
pontefice ne è parete se è presente e partecipa alle attività).
Nella Chiesa abbiamo detto che c’è la podestà di santificare questa podestà di santificare
come le altre podestà fa riferimento al modello di Chiesa universale, ai due soggetti della
suprema autorità romano Pontefice e il collegio dei vescovi, vedremo l’importanza che
questi soggetti hanno il potere che questi hanno nel momento in cui la podestà di
santificare viene ad essere codificata nella disciplina ecclesiale come si svolge un’attività,
quali sono gli elementi della validità del sacramento, questo nasce dalla teologia e
dall’insegnamento che ha dato Cristo istituendo i sacramenti, ma poi è stato codificato
dalla Chiesa all’interno di norme, e l’autorità che le ha codificate è la suprema autorità
sono (i due soggetti) non a caso tutte ciò che riguarda i sacramenti, in modo particolare
della paleassisi è nata in seno ai concili, che cos’è un concilio?(riunione in forma solenne
del collegio dei vescovi) (si possono riunire o in collegio dei vescovi oppure ……..)
Nella Chiesa particolare questa autorità sacramentale è nelle mani di qualcuno? E una
cosa che dobbiamo vedere perché proprio in ambito sacramentale ci sono alcune cose
che anche i soggetti della costituzione gerarchica sono sottoposti al romano pontefice
come i vescovi possono fare ma comprendiamo bene che questi soggetti non possono
però mai arrivare ad intaccare la sostanza teologica del sacramento di cui trattasi, cioè
una conferenza episcopale, o un vescovo non hanno il potere di entrare nella sostanza
teologica del sacramento, non possono cambiare la norma (ad esempio dire il battesimo è
valido solo se fatto con l’acqua minerale altrimenti non è valido, questo il vescovo non lo
può fare) ogni autorità della Chiesa deve attenersi alla disciplina sacramentale.
Questa si collega anche alla disciplina liturgica che non è la stessa cosa, sacramento e
liturgia non sono la stessa cosa, ricordate cosa dice l’art. 2 del codice di diritto canonico? Il
codice, il più delle volte non definisce i riti che sono da osservarsi nel celebrare un’azione
liturgica, un sacramento dove si amministra? all’interno di una azione liturgica, quindi
quello che andiamo a vedere, non è il rito, che pure h un suo peso, ma andiamo a vedere
il cuore del sacramento, il sacramento in se, cioè quando un sacramento è valido e
quando viene lecitamente amministrato, parleremo anche di come viene celebrato, ma
non parleremo del rito del sacramento, perché il rito non rientra nel codice, il codice non
disciplina mai i riti, tuttavia esiste una branca del diritto canonico che oggi si chiama
diritto liturgico, cioè le norme liturgiche di tutti i testi liturgici che messi insieme danno
una serie di indicazioni normative che poi tutti i sacerdoti seguono nel momento in cui
devono amministrare un rito in un determinato sacramento, anche il diritto liturgico ha
un suo peso, ma il contenuto del diritto liturgico non è contenuto nel codice di diritto
canonico.
Discuteremo più in là di una serie di precetti e di modalità in cui il sacramento deve essere
amministrato, cioè del diritto che il sacerdote deve seguire.

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Fa un esempio di un fatto accaduto con un sacerdote sul sacramento del matrimonio per
il rito liturgico nella nostra diocesi.
Cosa fa il sacramento (il sacramento è fatto da forma e materia), nel caso del matrimonio
la forma del matrimonio è data dal fatto di essere celebrata da due persone alla presenza
di due testimoni, la materia (la sostanza del matrimonio) è il consenso (si dice consensum
facit). Nella celebrazione abbiamo un doppio momento il rito e il sacramento quello che
rende valido il matrimonio, non è il rito, ma il sacramento.
Nel caso di questo matrimonio il sacramento si è realizzato secondo il canone, il rito non
può incidere su questo, (perché è lo scambio del consenso che fa il matrimonio)
Il discorso tra diritto sacramentale è il diritto liturgico e molto più profondo di quello che
possa sembrare.
Abbiamo quindi la funzione di santificare, il diritto sacramentale, che andremo a studiare,
il diritto liturgico, che noi non tocchiamo sebbene oggi noi abbiamo fatto degli esempi,
per far capire come un sacramento deve essere amministrato, abbiamo dei soggetti che
amministrano questi diritti sacramentali che sono sicuramente: i due soggetti della
suprema autorità della Chiesa, ma anche i soggetti della Chiesa particolare quando
parliamo di Chiesa particolare di cosa parliamo (della diocesi) (solo?) (comunità riunita
intorno al proprio vescovo (la diocesi è una espressione della Chiesa particolare che è una
porzione del corpo di Dio)). Accanto alla funzione di santificare ci sono anche altre due
funzioni nella Chiesa governare e insegnare cos’è la funzione di governare, la funzione di
governare e la funzione che si sostanzia per i suoi tre poteri, quali sono i tre poteri?
(legislativo, esecutivo e giudiziario)
Quando parleremo sulla legislazione sui sacramenti sul diritto sacramentale che passano
attraverso la norma, il diritto sacramentale toccherà la potestà di governo, e quindi il
potere del Papa e del collegio dei vescovi ha di legiferare su quella determinata materia.
Quando noi andremo a toccare il processo di nullità del matrimonio, o il processo penale
canonico andremo a toccare la parte di funzione di governo inerente all’ambito
Giudiziario, quindi il potere processuale di alcuni soggetti e sempre in base alla riforma
voluto da Papa Francesco oggi presiede anche il laicato come abbiamo visto anche in un
incontro che abbiamo fatto, che praticamente oggi il tribunale ecclesiastico, il collegio che
decide oggi una causa di nullità matrimoniale può essere formato da quanti Laici? il
collegio e formato da 2 giudici quanti di questi componenti possono essere laici? 1 fino al
2011 da 2012 in poi con la riforma ci possono essere fino ad un massimo di due laici.
Detto questo quindi, la funzione di santificare porta anche la funzione di governo, sia dal
punto di vista amministrativo sia dal punto di vista di giudiziario e anche dal punto di vista
esecutivo, chi esegue dal punto di vista esecutivo l’aspetto giudiziario chi esercita il potere
esecutivo colui che attua le leggi, quali sono gli organi? la curia romana e la curia
diocesana, e perché la curia diocesana, perché all’interno di questa, cosa rientra sempre?
Il ….. processualistico e il tribunale.

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Prima della riforma esistevano pochi tribunali che venivano dopo la riforma del processo
di nullità il vescovo può ordinare il proprio tribunale diocesano.

CAPITOLO 2°. LA FUNZIONE DI SANTIFICARE


Partiamo dal libro IV perché? il libro I parla delle norme generali , il libro II parla del
popolo di Dio, il libro III parla della funzione di insegnare, e il libro IV parla della funzione
di Santificare. Il libro V parla di Beni temporali, il libro VI Le Sanzioni, il libro VII i Processi.
Vedremo come all’interno della riflessione che faremo ci sono tanti elementi di teologia e
vedremo poi qual è la forza del diritto canonico; come con quattro righe riesce ad
esprimere una riflessione teologica articolata. Quando la riflessione teologica diventa
canone normato vi rendete conto di come in sintesi c’è tutto, come quando, nel canone
834 per presentare la funzione di santificare, in poche righe c’è tutta la teologia della
Chiesa sull’importanza che questa funzione ha.
Canone 834 questo canone ci presenta la realtà principale in cui si sostanzia la funzione di
santificare della Chiesa, per mezzo di segni sensibili, cosa sono i segni sensibili (i
sacramenti), la funzione di santificare non si esaurisce solo nei sacramenti e
nell’amministrazione, nella pratica dei sacramenti, vedremo come il sacramento si
amministra e come viene ricevuto, l’amministrazione dei sacramenti, non è l’unica realtà
che entra nella funzione di santificare, il canone 839 lo specifica.
I canoni 834 e 839 ci danno un’idea complessiva di quella che è specificano che cos’è la
funzione di santificare nella Chiesa cioè qual è l’oggetto del nostro studio.
Canone 839 la Chiesa adempie alla funzione di santificare, anche con altri mezzi (quindi
un mezzo è l’amministrazione dei segni sensibili), che spiega in questo canone, preghiera,
opera di penitenza e opera di carità completano come mezzi cioè che è la funzione di
santificare.
Quindi alla domanda cosa rientra nella funzione di santificare della Chiesa risponderete i
sacramenti, la preghiera, le opere di penitenza e le opere di carità, questo è l’oggetto
della funzione di santificare nella Chiesa. Ma ritorniamo al canone 834 che è una summa
dal punto di vista teologico non a caso si definisce proprio un canone dogmatico, un
canone che da un insegnamento fondamentale, non a caso quello che ci sembra una
funzione più gerarchica, (quando pensiamo ai sacramenti pensiamo a chi il sacramento lo
amministra) mentre il codice che guarda all’ecclesiologia conciliare sul tema non parla di
gerarchia, ma parla di Chiesa, la Chiesa che adempie alla funzione di santificare, e chi è la
Chiesa per l’ecclesiologia che c’è sotto, il popolo di Dio, e chi c’è nel popolo di Dio, e chi è
il fedele (ogni battezzato) quindi ogni battezzato è parte della funzione di santificare
perché attraverso il battesimo tutti siamo stati resi sacerdoti oltre che re e profeti quindi
rientra pienamente all’interno di questa funzione, ogni singolo fedele, quindi, la funzione
di santificare, non è qualcosa che riguarda la gerarchia, la Chiesa intesa come gerarchia

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ma riguarda la chiesa intesa come popolo, quindi tutti partecipano alla funzione di
santificare della Chiesa, non solo la gerarchia.
la Chiesa adempie la funzione di santificare che abbiamo detto essere espressa attraverso
i mezzi dei sacramenti, della preghiera, delle opere di pietà e delle opere di carità, ma
cosa significa santificazione? la riflessione propria del munus sanctificandi cosa c’è
all’interno della santificazione, chi si deve santificare, faccio la funzione di santificazione
per santificare chi? Dio? perché Dio ha bisogno di essere santificato? No naturalmente.
La funzione di santificare della Chiesa ha un duplice senso, un senso ascendente e un
senso discendente, cosa c’è nel senso ascendente c’è la glorificazione di Dio il codice 834
par. 1 lo dice chiaramente, ma questa funzione ascendente, fa parte di ciò che è la
santificazione della Chiesa, perché c’è anche una funzione discendente che è la
santificazione dell’uomo da parte di Dio, quindi attraverso la funzione di santificare, io ho
sì la santificazione dell’uomo da parte di Dio, (diciamo attraverso i sacramenti) (che aiuta
l’uomo e lo santifica all’interno del cammino cristiano) m a i sacramenti sono anche la
glorificazione che l’uomo dà a Dio. Quindi abbiamo la Chiesa intesa come popolo di Dio e
la santificazione intesa come senso ascendente e senso discendente.
Il libro IV è poi diviso in tre parti, la prima parte riguarda i sacramenti, la seconda parte
riguarda gli altri atti del culto divino, (……. Gli esercizi, la liturgia delle ore, i sacramentali le
benedizioni ecc.) la terza parte i luoghi e i tempi sacri perché nella funzione di santificare
rientra anche la consacrazione, la dedicazione di un tempio, e i tempi sacri che non
scandiscono i tempi liturgici, ma la vita delle persone come il digiuno l’astinenza da fare in
determinati periodi dell’anno, queste sono le tre parti del libro 4.
Abbiamo detto che il codice non riguarda i riti, non disciplina, i riti e che c’è differenza tra
diritto sacramentale e diritto liturgico, tuttavia le norme liturgiche non sono un fatto
secondarie, perché il diritto sacramentale si lega al diritto liturgico perché ogni
sacramento per la sua validità e liceità viene amministrato secondo un rito che appunto è
disciplinato da una determinata norma che viene fatta da un determinato soggetto che
può produrre un documento, documento liturgico per eccellenza nella Santa Messa è il
messale romano, ma il messale come sappiamo prevede degli adattamenti, così il
messale che è stato fatto dalla Santa sede può subire degli adattamenti da parte delle
conferenze episcopali che possono adattare parte del messale agli usi e costumi che ci
sono. Quindi per quanto riguarda la validità e la liceità di un sacramento esiste tutto un
diritto che ci dice di come un sacramento deve essere amministrato. Una cosa è la
sostanza del sacramento, un’altra cosa è la modalità con cui il sacramento viene
amministrato, passando per una giuridicizzazione dei riti approvato dalla Santa sede, ad
esempio libro blu battesimo, libro bianco matrimonio libro verde libro viola ecc. tutto
questo è il diritto liturgico che è fatto da una serie di documenti molto importanti per
capire la complessità che il diritto liturgico ha noi abbiamo il messale romano, fatto da
una serie di intestazioni che rientrano nel messale romano come ad esempio …. lezionario
Passione ecc.; abbiamo poi l’ufficio divino e la liturgia delle ore, altro libro liturgico, poi
abbiamo il pontificale romano che riguarda l’ordinazione dei diaconi, presbiteri, dei

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vescovi, la consacrazione delle vergini ecc. l’ordo per la benedizione dei catecumeni,
l’ordo per la confermazione. Tutto i sacramenti meno che ordine sacro e consacrazione
che rientrano sotto il pontificale romano, sono all’interno del rituale romano dove
rientrano, l’ordo del battesimo dei bambini, L’ordo della celebrazione del matrimonio,
l’ordo delle esequie, della professione religiosa L’ordo della unzione degli infermi ecc.
Come vediamo, tutti i sacramenti, meno che ordine sacro e consacrazione che rientrano
nel pontificale romano sono all’interno del rituale romano. Queste macrofamiglie dove
ricadono diversi ordo il messale romano, il pontificale romano, il rituale romano, il
martirologio romano i principali. Se noi volessimo vedere in quali settori si sostanzia il
diritto liturgico, avremo, il messale romano, la liturgia delle ore, il pontificale romano, il
rituale romano. Nel rituale romano troviamo tutti i sacramenti, nel pontificale
confermazione, l’ufficio divino, tutto ciò che riguarda la Messa è nel messale romano.
Il diritto liturgico fa materia a sè, per comprenderlo noi dovremmo vedere come è nato,
come si è sviluppato, da chi è stato approvato ecc., l’attenzione di una singola conferenza
episcopale, e l’adattamento, noi possiamo avere un testo di una conferenza episcopale
applicata, che in determinata parte del mondo, (non nella sostanza, ma negli accessori
(riti, accessori)) cambia perché c’è un adattamento riferita alla diversa tradizione.
Quindi il diritto liturgico è diverso dal diritto sacramentale non rientra all’interno del
codice, e fatto da queste sezioni particolari in cui rientrano questi diversi ordo che ci
dicono la modalità in cui il sacramento viene ritualmente amministrata, il rito del
sacramento.
Riprendiamo la differenza tra diritto sacramentale e liturgico, il diritto sacramentale,
ricordiamo dal canone 834 che ha una funzione ascendente e discendente, ruota però
tutto intorno alla nozione di cui al canone 834 tutto ciò che si fa attraverso i segni sensibili
(i sacramenti) che servono a santificare gli uomini servono anche attraverso la funzione
ascendente a glorificare Dio il sacramento si identifica con il termine culto
Ora il codice è molto preciso e va limitare quella che è la tipologia di culto che s’interessa
di diritto sacramentale universale contenuto nel codice di dritto canonico voi insegnate
che ci sono tante tipologie di culto non solo uno. quanti culti conoscete voi? adorazione e
venerazione innanzitutto abbiamo il culto di latria e il culto di dulia, il culto è diverso per
l’adorazione che diamo ai santi e per la venerazione che diamo alla madonna iperdulia ma
poi ci sono altre tipologie di culto, ad esempio il culto che posso esercitare al mio interno,
e abbiamo un culto esteriore, poi abbiamo un culto assoluto e relativo, conoscete questa
distinzione?
Il culto assoluto, è il culto che è rivolto a Dio, ai santi e alla madonna, il culto rivolto alle
immagini sacre e alle reliquie è detto relativo. Abbiamo quindi un testo che parla di culto,
il codice parla di culto pubblico integrale dove i culti potrebbero sembrare uguali invece
all’interno abbiamo differenza tra culto interiore ed esteriore, tra latria e dulia, tra culto
relativo e assoluto. Inoltre abbiamo un culto pubblico e un culto privato.

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Il culto privato è quello che viene realizzato dai fedeli con ambiti non solo riservati alla
Chiesa (esempio preghiere proprie a casa), mentre il culto pubblico è quello che viene
offerto a nome della Chiesa da persone legittimante incaricate e con atti approvati dalla
Chiesa stessa. Quindi il culto pubblico è il culto che viene offerto a nome della Chiesa, lo
fanno persone legittimamente incaricate, attraverso atti che sono approvati dalla Chiesa
stessa. L’amministrazione del sacramento la possono fare solo determinate persone
(persone legittimate a farle, sono diaconi, presbiteri, i loro vescovi) seguendo degli atti
che sono a questo scopo approvati dall’autorità della Chiesa.
Questo per dire che cosa che le norme che sono contenute nel codice di diritto canonico
che noi andremo a studiare, non riguardano il culto privato, perché quello riguarda il
singolo soggetto, attraverso le forme più adatte per portare avanti la propria devozione,
ma riguarda il culto pubblico, il culto pubblico integrale, tale culto che è un oggetto
fondamentale della funzione di santificare si realizza quando viene offerto, nel nome della
Chiesa, e quindi ufficialmente (siamo in un momento ufficiale in cui il sacramento deve
essere amministrato), da persone legittimamente incaricate e mediante atti approvati
dalla Chiesa. Quindi il culto pubblico integrale si caratterizza per quanto riportato nel
paragrafo 2 del canone 834, ed è questo che viene disciplinato nei canoni seguenti, non
gli atti di culto, ma solo gli atti del culto pubblico integrale.
Chiaro perché sono importanti alcuni canoni, perché ci dicono tutta la sostanza di cui poi
si andrà ad esplicitare, quindi questa funzione di santificare ha questa duplice funzione
ascendente e discendente e per quanto riguarda la funzione ascendente il culto che viene
preso in oggetto è il culto pubblico integrale, cioè quello che viene ufficialmente fatto, da
persone che ufficialmente e giuridicamente lo possono fare e nei modi stabiliti
ufficialmente dall’autorità della Chiesa. La solennità del culto viene garantito da
quest’espressione culto pubblico integrale.

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CAPITOLO 3°. LA FUNZIONE DI SANTIFICARE DEL LAICO NELLA CHIESA
Per quanto concerne il ruolo che hanno le diverse anime nella disciplina dei sacramenti,
si parla della partecipazione attiva dei fedeli laici alla funzione di santificare della Chiesa,
nel canone 835 al paragrafo 4.
Can. 835 -§4.: “Nella funzione di santificare hanno una parte loro propria anche gli altri
fedeli partecipando attivamente secondo modalità proprie alle celebrazioni liturgiche,
soprattutto a quella eucaristica; partecipano in modo peculiare alla stessa funzione i
genitori, conducendo la vita coniugale secondo lo spirito cristiano e attendendo
all’educazione cristiana dei figli”.
Tanto che esistono dei canoni che fanno riferimento esplicitamente a questa
partecipazione:
Can. 230 -§1.: I laici di sesso maschile, che abbiano l’età e le doti determinate con decreto
della Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico
stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro
il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.
- § 2.: I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni
liturgiche; così pure tutti i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore o
altre ancora a norma del diritto.
- § 3.: Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri, anche i laici, pur
senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il
ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e
distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.
Il Can. 230, parla della partecipazione dei laici alla funzione di santificare della Chiesa, con
la differenza fra ministeri stabili o istituiti, ministeri temporanei e ministeri straordinari.
I ministeri stabili o istituiti sono i ministeri del LETTORATO e dell’ACCOLITATO (che
possono essere conferiti solo a laici di sesso maschile e che sostituiscono i vecchi ordini
minori);
Tuttavia il laico può partecipare anche in modo temporaneo ad alcune funzioni che il
canone va a disciplinare all’interno di quelle che sono le funzioni di commentatore, di
cantore o altre funzioni ancora che possono essere stabilite in base a quella che è la
normativa particolare che viene decisa di volta in volta dai Vescovi (che hanno la
competenza specifica in materia liturgica e quindi possono andare a disciplinare in
maniera temporanea la funzione del laico).

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Si pensi ad esempio, al ministero straordinario dell’Eucarestia, che viene attribuito
temporaneamente a determinati laici (dura normalmente, uno o due anni).
Il paragrafo 3, parla invece delle funzioni che il laico può svolgere sempre all’interno
della funzione di santificare; e qui rientrano tante cose, come ad esempio, la possibilità
che il laico ha di amministrare il sacramento del Battesimo, la funzione che un laico
assolve nel momento di assistere ad un matrimonio ricevendo il consenso delle parti, il
laico può presiedere alla celebrazione della Parola (anche domenicale) nel momento in
cui si verifica l’assenza del sacerdote, il laico può presiedere alle esequie, può presiedere
alle preghiere liturgiche etc.
Di conseguenza, possiamo dedurre, che la partecipazione del laico non deve essere solo
legata al momento generativo dell’azione sacramentale, ma è l’azione che coinvolge tutta
la funzione di santificare della Chiesa. (Nel caso del Battesimo il ruolo fondamentale del
Padrino, l’importanza del ruolo dei genitori etc.).
Nel caso del sacramento dell’unzione degli infermi, il laico non potrà mai essere ministro
del sacramento, così come previsto dalla normativa, solo il sacerdote può amministrare
tale sacramento. Tuttavia, il codice, mette in mano ai laici una responsabilità
fondamentale, si rivolge, cioè a coloro i quali assistono il morente, affinché facciano in
modo di avvisare in tempo il sacerdote, per amministrare tale sacramento. Diverso
dall’unzione degli infermi è invece il viatico, ossia la Comunione che si riceve come
passaggio dalla vita alla morte; qui invece il ruolo del laico è importante. Il viatico può
essere amministrato anche da un ministro straordinario e non ordinario, infatti può
amministrarlo il ministro straordinario della Comunione.

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CAPITOLO 4°. I SACRAMENTI
Can. 840: I Sacramenti del Nuovo Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla
Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la
fede viene espressa e rafforzata, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli
uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la
comunione ecclesiastica; perciò nella loro celebrazione sia i sacri ministri sia gli altri fedeli
debbono avere una profonda venerazione e la dovuta diligenza.
Questo canone fa sintesi di tutto quello che è la dottrina e l’insegnamento della Chiesa sui
sacramenti (quali azioni di Cristo e azione della Chiesa).
Sacrosanctum Concilium 59: I sacramenti sono azioni di Cristo in quanto: Annunciano la
sua Parola, servono ad edificare la Chiesa, conferiscono la Grazia, nascono dal ministero
Pasquale e segnano con il sigillo dello Spirito Santo (tutti i sacramenti sono stati istituiti da
Cristo stesso);
I sacramenti sono azione della Chiesa in quanto: da essa nascono e per essa vengono ad
essere posti in essere, i sacramenti santificano gli uomini, edificano il corpo di Cristo e
servono a rendere culto a Dio. Ma i sacramenti hanno anche il compito di istruire il fedele
su verità di fede e di esprimere la fede in quanto tale.
I sacramenti servono a CONFERIRE LA GRAZIA, sono efficaci perché in essi agisce Cristo
stesso. Leggendo diversamente il can. 840, possiamo evidenziare quelli che sono la
Natura e il Fine del sacramento. La natura è la continuazione e la realizzazione del
sacerdozio di Cristo, ovvero la natura dei sacramenti è quella di essere segni e mezzi della
Grazia e della Salvezza.
Gli effetti li troviamo nella seconda parte del canone, i sacramenti servono ad esprimere
la fede, a rendere culto a Dio e a cooperare alla salvezza dell’uomo e la sua santificazione.
I sacramenti sono una realtà teologica, anche se noi vedremo la loro funzione giuridica
(quello che il sacramento produce, si pensi al Battesimo che ci rende persona Ecclesia). Il
fatto che i sacramenti sono una realtà giuridica, lo vediamo dal fatto che dietro ai
sacramenti c’è un ordinamento giuridico, tutto ciò al fine di realizzare la comunità
ecclesiale. (si alimenta grazie alla realtà sacramentale).
Sacramento (dal latino sacramentum e dal greco mysterion) = Strumento.
Can. 841: Poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa e appartengono al divino
deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o

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definire i requisiti per la loro validità e spetta alla medesima autorità o ad altra
componente, a norma del can.838, §§3 e 4, determinare quegli elementi che riguardano
la loro lecita celebrazione, amministrazione e recezione, nonché il rito da osservarsi nella
loro celebrazione.
La particolarità di questo canone rispetto all’ 838 è che pure quest’ultimo ci parlava delle
autorità competenti, ma a disciplinare la liturgia, mentre il canone 841 ci parla anche
della sua realtà intrinseca che è regolamentata dalla suprema autorità della Chiesa, che
deve stabilire quali sono gli elementi per la validità del sacramento (per dire che un
sacramento, quindi, è stato validamente amministrato).
L’ambito liturgico, invece, è rimesso sia alla suprema autorità della Chiesa, ma anche alla
Conferenza Episcopale e al Vescovo nelle forme che ha stabilito il canone 838 §3 e §4.
La validità è diversa dalla liceità, che è la conformità, la norma nell’amministrazione e
nella celebrazione del rito del sacramento e quindi il piano della validità e il piano della
liceità dell’amministrazione di un sacramento sono differenti. Tanto che io posso avere
sacramenti validi ma illecitamente amministrati, così come posso avere sacramenti
invalidi ma lecitamente amministrati.
C’è bisogno, necessariamente, di individuare gli ELEMENTI PER LA VALIDITÀ dei
sacramenti e quindi per la sua liceità, ossia la conformità di come il sacramento viene
ricevuto.
(Es. del Battesimo amministrato in maniera inusuale, come per quei sacerdoti che
immergono a testa in giù il bambino, in questo caso c’è da sottolineare come la forma del
rito non sia necessaria per la validità del sacramento, ma per la liceità dello stesso.)
Tutto ciò che riguarda il rito è per la liceità del Sacramento, tutto ciò che riguarda la
sostanza del Sacramento è per la sua validità.
Can. 842 - §1: Chi non ha ricevuto il battesimo non può essere ammesso validamente agli
altri sacramenti.
- §2: I sacramenti del battesimo, della confermazione e della santissima Eucarestia, sono
tra loro talmente congiunti, da essere richiesti per la piena iniziazione cristiana.
Pena l’invalidità degli altri, si riceve sempre prima il sacramento del battesimo!!
Can. 843 - §1: I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedono
opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione
di riceverli.
Questo canone è fondamentale nell’ambito degli studi di diritto canonico e si collega con
il Can. 213 sempre del Codice, che parla del diritto ai sacramenti.
Can. 213: I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni
spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti.

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Esiste o no un diritto a ricevere i sacramenti?
-Possiamo affermare che esiste un diritto ai sacramenti se si rispettano le istanze e le
procedure del Can. 843. Se quel determinato sacramento mi viene negato, esiste la
procedura amministrativa di ricorso contro il parroco, il Vescovo etc, per ricevere
soddisfazione di quel sacramento che mi è stato negato. (Questo vale su 6 sacramenti su
7, meno che l’Ordine Sacro, dove il fedele nonostante abbia fatto tutta la trafila prevista
dal seminario non può mai vantare il diritto a ricevere il sacramento dell’Ordine, perché
l’unico obiettivo per il quale si viene ordinati è il bene della Chiesa e il beneficio che la
Chiesa può ricevere da un determinato fedele, lo valuta solo il Vescovo).
Le istanze del Can. 843, al fine di ricevere da parte dei ministri sacri un sacramento sono:
- Richiederlo opportunamente (Ad esempio nel caso dell’unzione degli infermi, il
sacramento va richiesto solo nel caso in cui il richiedente è gravemente malato);
- Essere disposti nel debito modo (che abbia fatto tutto ciò che il diritto prescrive
per poter ricevere quel determinato sacramento);
- Non abbiano proibizioni in ambito di diritto.
Questo vuol dire che all’interno del codice esistono dei canoni che prevedono casi in cui il
sacramento si può negare.
Ecco un esempio di proibizione a ricevere un sacramento:
Can. 915: Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo
l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in
peccato grave e manifesto.
(Es. dei divorziati risposati, sulla scia di Amoris Laetitia: ossia andare a cercare le coppie
ferite e con esse cominciare un vero cammino di riconciliazione al fine di essere riammessi
al sacramento; oppure, i divorziati, devono vivere nella condizione di fratello e sorella).
Can. 843 -§2: I pastori d’anime e gli altri fedeli, ciascuno secondo il loro compito
ecclesiastico, hanno il dovere di curare che quanti chiedono i sacramenti, siano preparati
a riceverli mediante la dovuta evangelizzazione e formazione catechistica, in conformità
alle norme emanate dalla competente autorità.
Can. 845: I sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine, in quanto
imprimono il carattere non possono essere ripetuti.
Questi sacramenti non si possono ricevere due volte.
Ma in caso di dubbio? -§2 : Qualora, compiuta una diligente ricerca, persistesse ancora il
dubbio prudente che i sacramenti di cui nel §1 siano stati dati veramente o validamente,
vengano conferiti sotto condizione.

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Can. 848: Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per
l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi
siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà.

CAPITOLO 5°. IL BATTESIMO

Ci poniamo come al solito i problemi della validità e della liceità. Il canone 849 ci parla
delle diverse tipologie di battesimo, nella fattispecie di acqua, di desiderio e di sangue. Il
canone 853 ci parla della materia remota del battesimo, che è l’acqua vera. L’acqua vera
è la materia remota necessaria, il fatto che l’acqua sia benedetta è solo una condizione
per la lecita amministrazione del sacramento. Il battesimo con acqua vera non
benedetta fa sì che il sacramento sia valido, sebbene sia illecitamente amministrato.

Canone dogmatico

Can. 849: Il battesimo, porta dei sacramenti, necessario di fatto o almeno nel desiderio
per la salvezza, mediante il quale gli uomini vengono liberati dai peccati, sono rigenerati
come figli di Dio e, configurati a Cristo con un carattere indelebile, vengono incorporati
alla Chiesa, è validamente conferito soltanto mediante il lavacro di acqua vera e con la
forma verbale stabilita.
Questo canone ci parla degli effetti del battesimo, ovvero la configurazione a Cristo e al
suo sacerdozio, la liberazione dai peccati e l’incorporazione alla Chiesa di Cristo.
L’incorporazione è il legame giuridico che si crea tramite il battesimo con la Chiesa
Cattolica. Solo attraverso il battesimo il soggetto diventa soggetto di diritto
nell’ordinamento ecclesiale. Il Codice quindi non fa solo riferimento al significato
teologico, ma anche all’aspetto giuridico.
La materia prossima del battesimo è la modalità in cui esso viene amministrato, mentre
la materia remota è relativa a ciò che viene utilizzato. Questa distinzione vale per tutti i
sacramenti. Generalmente le conferenze episcopali nazionali indicano la modalità con cui
attuare l’amministrazione del battesimo. In Italia la modalità preferita è quella per
infusione, ma naturalmente il battesimo può essere amministrato anche per immersione.
Per la validità del sacramento del battesimo il riferimento è sempre questo canone, che
indica come elementi il lavacro dell’acqua vera e la forma verbale stabilita, ovvero quella
trinitaria. Il battesimo viene definito la porta dei sacramenti.
Ogni battesimo ricevuto con la formula trinitaria è un battesimo in Cristo. Dal momento
che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, non occorre ricevere nuovamente

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il battesimo. Tuttavia laddove permane un dubbio occorre amministrare di nuovo il
sacramento. La Congregazione per la dottrina della fede ha stilato un elenco nel quale
sono presenti le confessioni che amministrano validamente il battesimo e le relative
condizioni di validità.
Per quel che riguarda l’età possiamo avere il battesimo dell’infante o il battesimo
dell’adulto. In quest’ultimo caso le condizioni per la validità non sono più due, ma tre.
Accanto all’acqua vera e alla forma verbale stabilita occorre provare l’elemento della
volontà dell’adulto di ricevere il battesimo. L’adulto deve quindi anche richiedere il
sacramento. Cambia anche la preparazione al sacramento. Per l’infante i protagonisti
sono i genitori, il padrino e la madrina. Per l’adulto abbiamo invece un percorso di
catecumenato.
Per quel che riguarda il luogo il battesimo può essere ricevuto nella chiesa parrocchiale,
nell’oratorio e anche in ospedale o in casa.
Un'altra questione importante è quella relativa al ruolo del ministro. Nell’ambito del
battesimo abbiamo il ministro ordinario (vescovo, presbitero e diacono), il ministro
straordinario (il catechista o altra persona incaricata) e il ministro in caso di necessità,
che può essere chiunque, anche un non battezzato o una persona di una diversa
religione. In questo caso è sufficiente che essa abbia almeno la retta volontà di fare ciò
che vuole la Chiesa.
Il battesimo ha un carattere indelebile, come la confermazione e l’ordine, e quindi non si
può ripetere. Lo sbattezzo è solo l’abbandono formale alla Chiesa Cattolica che si realizza
mediante un atto di apostasia, ma non ha un valore teologico.
La celebrazione del battesimo
Can. 853: L'acqua da usarsi nel conferimento del battesimo, eccetto in caso di necessità,
deve essere benedetta secondo le disposizioni dei libri liturgici.
Can. 854: Il battesimo venga conferito o per immersione o per infusione, osservando le
disposizioni della Conferenza Episcopale.
La differenza tra immersione e infusione è di carattere teologico. Nella prima abbiamo più
un significato teologico di rinascita, mentre nella seconda di purificazione dai peccati. La
modalità per aspersione non è più utilizzata.
Can. 855: I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome
estraneo al senso cristiano.
L’importante è che il nome non sia estraneo al senso cristiano. Può capitare di
aggiungere un nome cristiano ad un nome che è estraneo a questo senso.
I battezzandi

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Can. 865 - §1: Affinché un adulto possa essere battezzato, è necessario che abbia
manifestato la volontà di ricevere il battesimo, sia sufficientemente istruito nelle verità
della fede e sui doveri cristiani e sia provato nella vita cristiana per mezzo del
catecumenato; sia anche esortato a pentirsi dei propri peccati.
L’età di sette anni è l’età di discrimine, anche per quel che riguarda il consenso. Con il
settimo anno di età si può essere titolare attivo di alcune posizioni giuridiche. La
preparazione è il catecumenato.
§2: L'adulto, che si trova in pericolo di morte, può essere battezzato qualora, avendo una
qualche conoscenza delle verità principali della fede, in qualunque modo abbia
manifestato l'intenzione di ricevere il battesimo e prometta che osserverà i
comandamenti della religione cristiana.
Can. 866: L'adulto che viene battezzato, se non vi si oppone una grave ragione, subito
dopo il battesimo riceva la confermazione e partecipi alla celebrazione eucaristica,
ricevendo anche la comunione.
Nel caso del battesimo dell’adulto possiamo amministrare contestualmente anche gli
altri sacramenti dell’iniziazione cristiana. Cosa che normalmente non è consentita nella
Chiesa latina. Mentre il ministro ordinario della confermazione è il Vescovo, nel caso
dell’iniziazione dell’adulto il presbitero, avvisando il Vescovo, può essere ministro di
tutti e tre i sacramenti.
Can. 867 - §1: I genitori sono tenuti all'obbligo di provvedere che i bambini siano
battezzati entro le prime settimane; al più presto dopo la nascita, anzi anche prima di
essa, si rechino dal parroco per chiedere il sacramento per il figlio e vi si preparino
debitamente.
§2: Se il bambino è in pericolo di morte, lo si battezzi senza alcun indugio.
Il battesimo dell’infante è richiesto dai genitori. Per essere lecitamente amministrato
basta che uno dei genitori sia consenziente. Ci deve essere anche la fondata speranza
che il bambino sarà educato nella religione cattolica. Altrimenti è conveniente che il
battesimo sia differito, dandone motivazione ai genitori. In caso di pericolo di morte non
c’è bisogno di alcuna volontà da parte dei richiedenti, in questo caso si viene battezzati
lecitamente anche contro la volontà dei genitori.
Chi può ricevere il battesimo? Ogni uomo non ancora battezzato.
Can. 869 - §1: Se si dubita che uno sia stato battezzato, o che il battesimo non gli sia stato
amministrato validamente e il dubbio persiste anche dopo una seria ricerca, il battesimo
gli sia conferito sotto condizione.
Se si dubita che una persona sia stata battezzata il battesimo si deve amministrare sotto
condizione.

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§2: I battezzati in una comunità ecclesiale non cattolica non vanno battezzati sotto
condizione, a meno che, esaminata la materia e la forma verbale usata nel conferimento
del battesimo, considerata inoltre l'intenzione del battezzato adulto e del ministro
battezzante, non persista una seria ragione per dubitare della validità del battesimo.
Nel caso di dubbio che riguardi una persona che non può produrre in nessun modo il
certificato di battesimo, esso deve essere amministrato sotto condizione.
Can. 870: Il bambino esposto o trovatello sia battezzato, a meno che, condotta una
diligente ricerca, non consti del suo battesimo.
Can. 871: I feti abortivi, se vivono, nei limiti del possibile, siano battezzati.
Il bambino morto senza battesimo può ricevere le esequie.
I padrini
Can. 873: Si ammettano un solo padrino o una madrina soltanto, oppure un padrino e
una madrina.
Prendiamo in esame i requisiti dei padrini:
1) devono essere designati dal battezzando o dai suoi genitori;
2) devono avere minimo 16 anni di età;
3) devono essere cattolici;
4) devono aver ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana;
5) devono essere testimoni credibili della fede per aiutare il battezzando nel suo
cammino;
6) non possono essere il padre o la madre del battezzando.
Il padrino potrebbe anche non essere cattolico (ad esempio ortodosso o protestante),
però in questo caso bisogna abbinarne un altro cattolico.
Il padrino può mancare, infatti non è una figura strettamente necessaria. In questo caso
deve esserci un testimone.
Prova e annotazione del battesimo conferito
Can. 875: Colui che amministra il battesimo faccia in modo che, qualora non sia presente
il padrino, vi sia almeno un testimone mediante il quale possa essere provato il
conferimento del battesimo.
Il testimone serve solo a provare il conferimento del battesimo e non a porre rimedio a
casi in cui una persona non ha i requisiti richiesti per svolgere la funzione di padrino.
Can. 876: Per provare l'avvenuto conferimento del battesimo, se non si reca pregiudizio
ad alcuno, è sufficiente la dichiarazione di un solo testimone al di sopra di ogni sospetto,
o il giuramento dello stesso battezzato, se egli ha ricevuto il battesimo in età adulta.

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Sempre se non ci sia un dubbio grave, in questo caso bisogna amministrare di nuovo il
battesimo.
Can. 877 - §1: Il parroco del luogo dove si celebra il battesimo, deve diligentemente e
senza alcun indugio registrare nel libro dei battesimi i nomi dei battezzati, facendo
menzione del ministro, dei genitori, dei padrini e, se vi sono, dei testimoni, del luogo e del
giorno del battesimo conferito, indicando al tempo stesso il giorno e il luogo della nascita.
La prova del battesimo si trova nel registro parrocchiale. I membri che hanno ricevuto
l’ordine sacro o i membri degli Istituti di Vita Consacrata possono essere padrini o
madrine in caso di richiesta.
Oggi non esiste più la cognatio spiritualis, cioè il vincolo che si veniva a creare tra il
padrino o la madrina e il battezzato. Ciò costituiva un impedimento matrimoniale ed era
sancito dal Codice del 1917.
Il luogo del battesimo è la chiesa parrocchiale dei genitori, perché si realizza anche un
domicilio ecclesiale. Il battesimo deve essere amministrato nel fonte battesimale.

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CAPITOLO 6°. LA CONFERMAZIONE

Canone dogmatico

Can. 879: Il sacramento della confermazione, che imprime il carattere e per il quale i
battezzati, proseguendo il cammino dell'iniziazione cristiana, sono arricchiti del dono
dello Spirito Santo e vincolati più perfettamente alla Chiesa, corrobora coloro che lo
ricevono e li obbliga più strettamente ad essere con le parole e le opere testimoni di
Cristo e a diffondere e difendere la fede.
Questo canone ci dice il valore teologico di questo sacramento.
La celebrazione della confermazione
Can. 880 - §1: Il sacramento della confermazione viene conferito mediante l'unzione del
crisma sulla fronte, unzione che si fa con l'imposizione della mano e con le parole
prescritte nei libri liturgici approvati.
§2: Il crisma da usarsi nel sacramento della confermazione deve essere consacrato dal
Vescovo, anche se il sacramento viene amministrato dal presbitero.
La materia remota del sacramento della confermazione è il crisma consacrato dal
Vescovo. La materia prossima è l’unzione della fronte con il crisma a mo’ di croce,
l’imposizione della mano da parte del ministro e le parole prescritte negli appositi libri
liturgici.
Il ministro della confermazione
Can. 882: Ministro ordinario della confermazione è il Vescovo; conferisce validamente
questo sacramento anche il presbitero provvisto di questa facoltà in forza del diritto
universale o per speciale concessione della competente autorità.
Nella Chiesa latina ministro originario e ministro ordinario della confermazione
coincidono, dal momento che in entrambi i casi è il Vescovo. Nella Chiesa orientale il

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ministro originario del sacramento è il Vescovo, mentre il ministro ordinario è il
presbitero.
Can. 884 - §1: Il Vescovo diocesano amministri personalmente la confermazione o
provveda che sia amministrata da un altro Vescovo; qualora lo richiedesse una necessità,
può concedere la facoltà di amministrarlo a uno o più presbiteri determinati.
§2: Per una causa grave il Vescovo e similmente il presbitero che possiede la facoltà di
confermare in forza del diritto o per speciale concessione della competente autorità,
possono, in singoli casi, associarsi dei presbiteri, perché anch'essi amministrino il
sacramento.
In caso di adulto battezzato è il presbitero che amministra il sacramento, insieme agli altri
due sacramenti dell’iniziazione cristiana. In caso di pericolo di morte il presbitero può
amministrare il sacramento. Per quel che riguarda il ministro straordinario esso è il
presbitero che ha ricevuto facoltà dal Vescovo. Oltre al ministro ordinario e a quello
straordinario abbiamo il ministro per associazione, nella fattispecie quando il presbitero
si associa al vescovo nell’amministrazione del sacramento (ad esempio nel caso di un
numero elevato di cresimandi).
Can. 886 - §1: Il Vescovo nella sua diocesi amministra legittimamente il sacramento della
confermazione anche ai fedeli non sudditi, a meno che non si opponga una espressa
proibizione del loro Ordinario proprio.
Si può amministrare il sacramento della confermazione anche a chi non è soggetto alla
propria giurisdizione (ad esempio una persona di Milano può fare la cresima nella diocesi
di Campobasso-Bojano), a meno che l’Ordinario proprio non si sia opposto con un
apposito decreto. Normalmente però la confermazione si amministra anche agli estranei
e non solo ai fedeli sudditi.
Per la validità del sacramento è prevista l’unzione del crisma sulla fronte e l’utilizzo delle
parole stabilite. L’imposizione della mano non è un elemento per la validità, ma per la
lecita amministrazione del sacramento. Il luogo in cui si amministra il sacramento è la
Chiesa, preferibilmente durante la Messa. Il padrino è necessario ed è uno. Il Codice
specifica che sarebbe meglio se fosse il padrino del battesimo.
§2: Per amministrare lecitamente la confermazione in un'altra diocesi, il Vescovo, a meno
che non si tratti dei suoi sudditi, deve avere la licenza almeno ragionevolmente presunta
del Vescovo diocesano.
I confermandi
Can. 889 - §1: È capace di ricevere la confermazione ogni battezzato e il solo battezzato,
che non è stato ancora confermato.
Il soggetto della cresima è chi non l’ha ancora ricevuta, purché sia battezzato.

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§2: Perché uno possa ricevere lecitamente la confermazione fuori del pericolo di morte, si
richiede, se ha l'uso di ragione, che sia adeguatamente preparato, disposto nel debito
modo e in grado di rinnovare le promesse battesimali.
Il sacramento della confermazione non viene negato a nessuno. Se il soggetto ha l’uso di
ragione deve assolvere agli oneri indicati dal canone, altrimenti lo riceve e basta.
Can. 891: Il sacramento della confermazione venga conferito ai fedeli all'incirca all'età
della discrezione, a meno che la Conferenza Episcopale non abbia determinato un'altra
età o non vi sia il pericolo di morte oppure, a giudizio del ministro, una grave causa non
suggerisca diversamente.
Qual è l’età della discrezione? Il Codice del 1917 parlava dei 7 anni di età, il Concilio
parlava di giovinezza e le conferenze episcopali nazionali hanno stabilito alcune età. Per
l’Italia essa è fissata ai 12 anni. Il Codice non prevede alcuna età per i sacramenti, ma
solo degli archi temporali. La legge universale è superiore a quella particolare, di
conseguenza, in presenza di una ragione motivata, si può fare la cresima prima dell’età
stabilita dalle conferenze episcopali nazionali.
In conclusione possiamo avere la confermazione dell’adulto, la confermazione che si
riceve con l’età della fanciullezza, tra il 7° e il 16° anno di età, e la confermazione in
pericolo di morte, nella quale cade ogni prescrizione rispetto all’età. Non è necessario
ricevere la confermazione prima del matrimonio (in riferimento al Can. 1065 è
consigliabile che ciò accada). Il rapporto tra confermazione e matrimonio non è quindi
assoluto. Per i padrini abbiamo le stesse condizioni presenti per il battesimo.

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CAPITOLO 7°. L’EUCARESTIA

Can. 897- Augustissimo sacramento è la santissima Eucaristia, nella quale lo stesso Cristo
Signore è presente, viene offerto ed è preso come cibo, e mediante la quale
continuamente vive e cresce la Chiesa. Il Sacrificio eucaristico, memoriale della morte e
della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il Sacrificio della croce, è
culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e
prodotta l'unità del popolo di Dio e si compie l'edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri
sacramenti infatti e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono strettamente uniti alla
santissima Eucaristia e ad essa sono ordinati.
Questo è un tipico canone dogmatico che normalmente apre il discorso giuridico al
sacramento, in questo caso al sacramento dell’eucarestia, esso pone in evidenza quelle
che sono le due dimensioni teologiche fondamentali dell’eucarestia:
1. La dimensione cristologia;
2. La dimensione ecclesiale.
La prima viene espressa dal riferimento che il canone fa all’eucarestia come sacrificio,
all’eucarestia come presenza e all’eucarestia come comunione; la seconda invece vede
l’eucarestia come il sacramento che contribuisce all’edificazione del Corpo di Cristo che è
la Chiesa stessa.
Poi c’è anche la dimensione della centralità cioè dell’eucarestia intesa come sacramento
e realtà intorno alla quale ruota tutta la vita cristiana, fonte e culmine, e intorno alla quale
tutti i sacramenti sono ordinati, tutti i sacramenti fanno riferimento all’eucarestia perché
di fatto essa li unisce tutti.
C’è un passaggio che manca in questo canone, qual è?
Lo Spirito Santo.

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Questo canone, inoltre si completa con quei documenti, certamente più recenti, che si
sono occupati più da vicino dell’eucarestia come l’Enciclica Ecclesia de Eucaristia di
Giovanni Paolo II (17 aprile 2003) e la Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI (2007).
Can. 898 - I fedeli abbiano in sommo onore la santissima Eucaristia, partecipando
attivamente nella celebrazione dell'augustissimo Sacrificio, ricevendo con frequenza e
massima devozione questo sacramento e venerandolo con somma adorazione; i pastori
d'anime che illustrano la dottrina di questo sacramento, istruiscano diligentemente i fedeli
circa questo obbligo.
Il canone 898 completa quello precedente e si conclude con esortazione verso i fedeli. In
questo canone la centralità dell’eucarestia richiama l’impegno che ogni fedele deve
mettere nel partecipare attivamente alla celebrazione eucaristica, nella recezione
frequente del sacramento, massima devozione e infine venerandolo con somma
adorazione.

IL MINISTRO DELLA SANTISSIMA EUCARESTIA

L’eucarestia non è soltanto la celebrazione che fa l’eucarestia è anche il corpo di Cristo


comunicato è anche il corpo di Cristo adorato.
Il tema del ministro si collega a tre diversi ambiti:
1. Ministro dell’Eucarestia;
2. Ministro della comunione;
3. Ministro dell’esposizione del santissimo sacramento.
È sempre la stessa eucarestia vista però da angolazioni diverse.
Quando parliamo di ministro dell’eucarestia dobbiamo dire che esso ha un ruolo centrale
perché determina anche la validità del sacramento, infatti uno degli elementi per la
validità del sacramento è proprio che il ministro che celebra l’eucarestia sia stato
validamente ordinato, lo dice il canone 900.
Can. 900 - §1. Ministro, in grado di celebrare nella persona di Cristo il sacramento
dell'Eucaristia, è il solo sacerdote validamente ordinato.
Il laico che attenta alla celebrazione eucaristica viene punito con l’interdizione o con la
scomunica.
Il sacerdote che invece è impedito per legge canonica, perché ha qualche limitazione che
non gli permette di essere nell’esercizio pieno delle sue funzioni (es. perdita dello stato
clericale), celebra non invalidamente ma illecitamente. Quindi è una celebrazione valida
ma solo illecitamente amministrata.
Possiamo dire dunque che la scomunica, l’interdizione, la sospensione, la remissione dallo
stato clericale, una qualche proibizione penale da parte del vescovo non rendono invalida
la celebrazione in quanto se quel soggetto è stato validamente ordinato la sua
celebrazione è valida ma illecitamente amministrata.
Tema della partecipazione all’eucarestia
La partecipazione frequente non è un obbligo ma una raccomandazione che viene fatta
all’interno del codice.

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Can 920 §1. Ogni fedele, dopo che è stato iniziato alla santissima Eucaristia, è tenuto
all'obbligo di ricevere almeno una volta all'anno la sacra comunione.
§2. Questo precetto deve essere adempiuto durante il tempo pasquale, a meno che per
una giusta causa non venga compiuto in altro tempo entro l'anno.
La comunione deve essere ricevuta almeno una volta all’anno e questo era stato deciso
durante il quarto concilio lateranense.
C’è un limite massimo nella ricezione dell’eucarestia? No, solo un limite giornaliero. Il
canone 917, infatti, afferma che la comunione può essere presa due volte al giorno ma la
seconda volta all’interno della celebrazione a cui si partecipa per la seconda volta.
Can 917 - Chi ha già ricevuto la santissima Eucaristia, può riceverla di nuovo lo stesso
giorno, soltanto entro la celebrazione eucaristica alla quale partecipa, salvo il disposto
del  ⇒ can. 921, §2.
Esiste un caso in cui le comunioni che possono essere prese al giorno sono tre ed è il caso
di pericolo di morte.
Can 921 - §1. I fedeli che si trovano in pericolo di morte derivante da una causa qualsiasi,
ricevano il conforto della sacra comunione come Viatico.
§2. Anche se avessero ricevuto nello stesso giorno la sacra comunione, tuttavia si
suggerisce vivamente che quanti si trovano in pericolo di morte, si comunichino
nuovamente.
§3. Perdurando il pericolo di morte, si raccomanda che la sacra comunione venga
amministrata più volte, in giorni distinti.
Il canone 912 afferma che ogni volta che un battezzato chiede, se si trova nelle condizioni
previste giornaliere o generali, egli deve essere ammesso alla sacra comunione. Quindi si
può accedere alla sacra comunione ogni volta che se ne sente il bisogno tenendo conto
dei limiti giornalieri del can 917.
Can 912 - Ogni battezzato, il quale non ne abbia la proibizione dal diritto, può e deve
essere ammesso alla sacra comunione.
Riti e cerimonie della celebrazione eucaristica
Can. 925 - La sacra comunione venga data sotto la sola specie del pane o, a norma delle
leggi liturgiche, sotto le due specie; però, in caso di necessità, anche sotto la sola specie
del vino.
La modalità per ricevere la sacra comunione, quindi, è nel segno del pane. La comunione
sotto le due specie si può dare ad esempio:
1. agli ordinati nella messa della loro ordinazione;
2. ai sacerdoti che prendono parte a grandi celebrazioni e non possono celebrare o
concelebrare;
3. a tutti i membri degli istituti religiosi e secolari, maschili e femminili
Il modo di ricezione dell’eucarestia è sulla bocca e non si parla per motu mano anche se
noi sappiamo che la sacra comunione sulla mano viene data.
Importante: La modalità di partecipazione alla messa che può essere fatta dal fedele in
qualunque rito cattolico (rito latino, rito orientale).

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Can. 919 - §1. Chi sta per ricevere la santissima Eucaristia si astenga per lo spazio di
almeno un'ora prima della sacra comunione da qualunque cibo o bevanda, fatta
eccezione soltanto per l'acqua e le medicine.
§2. Il sacerdote, che nello stesso giorno celebra due o tre volte la santissima Eucaristia,
può prendere qualcosa prima della seconda o terza celebrazione, anche se non sarà
intercorso lo spazio di un'ora.
§3. Gli anziani, coloro che sono affetti da qualche infermità e le persone addette alle loro
cure, possono ricevere la santissima Eucaristia anche se hanno preso qualcosa entro l'ora
antecedente.
Per partecipare all’eucarestia devo premettere alcuni atti, naturalmente devo premettere
l’atto della confessione che però riguarda il sacramento della riconciliazione; invece
strettamente legato al sacramento dell’eucarestia è il digiuno eucaristico da effettuare
un’ora prima della comunione, fatta eccezione per l’acqua e per le medicine.
Esiste tuttavia una norma speciale che riguarda i sacerdoti, che celebrano l’eucarestia due
o tre volte consecutive, essi possono prendere qualcosa fra la seconda e la terza
celebrazione. Per gli anziani o malati, ma anche coloro che se ne prendono cura, il digiuno
si riduce a 15 minuti.
Can. 913 - §1. Per poter amministrare la santissima Eucaristia ai fanciulli, si richiede che
essi posseggano una sufficiente conoscenza e una accurata preparazione, così da
percepire, secondo la loro capacità, il mistero di Cristo ed essere in grado di assumere con
fede e devozione il Corpo del Signore.
§2. Tuttavia ai fanciulli che si trovino in pericolo di morte la santissima Eucaristia può
essere amministrata se possono distinguere il Corpo di Cristo dal cibo comune e ricevere
con riverenza la comunione.
Can. 914 - È dovere innanzitutto dei genitori e di coloro che ne hanno le veci, come pure
dei parroci, provvedere affinché i fanciulli che hanno raggiunto l'uso di ragione siano
debitamente preparati e quanto prima, premessa la confessione sacramentale, alimentati
di questo divino cibo; spetta anche al parroco vigilare che non si accostino alla sacra
Sinassi fanciulli che non hanno raggiunto l'uso di ragione o avrà giudicati non
sufficientemente disposti.
Il codice quale età indica per ricevere la Sacra comunione?
Il codice non indica nessuna età ma rimanda al fatto che i fanciulli per ricevere la sacra
comunione devono aver raggiunto l’uso di ragione, viene sottinteso il settimo anno di età
stabilito da Pio IX nel 1910. Inotre è importante che essi posseggano una sufficiente
conoscenza e una accurata preparazione.
Nel caso del pericolo di morte, invece, bisogna saper distinguere il Corpo di Cristo dal cibo
comune, e quindi avere la consapevolezza di ciò che si sta facendo, ciò è sufficiente per
ricevere la comunione.
Can. 915 - Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo
l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in
peccato grave manifesto.
Can. 916 - Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né
comunichi al Corpo del Signore senza premettere la confessione sacramentale, a meno

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che non vi sia una ragione grave e manchi l'opportunità di confessarsi; nel qual caso si
ricordi di porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi
quanto prima.
Il sacerdote se si trova in peccato grave e per ragioni gravi o se ne manca l’opportunità
può celebrare la Messa se include il proposito di confessarsi. Ma solo in questi due casi lo
può fare. Ciò vale anche per il fedele.
Il Viatico
Can. 921 - §1. I fedeli che si trovano in pericolo di morte derivante da una causa qualsiasi,
ricevano il conforto della sacra comunione come Viatico.
Can. 922 - Il santo Viatico per gli infermi non venga differito troppo; coloro che hanno la
cura d'anime vigilino diligentemente affinché gli infermi ne ricevano il conforto nel pieno
possesso delle loro facoltà.
Per quanto riguarda il Viatico il ministro può essere il parroco, il viceparroco, un superiore
religioso e con il consenso del ministro competente anche un altro sacerdote, diacono, o
fedele incaricato (es. ministro straordinario della comunione) possono portare il Viatico.

Riti e cerimonie della celebrazione eucaristica


Can. 924 - §1. Il sacrosanto Sacrificio eucaristico deve essere offerto con pane e vino, cui
va aggiunta un po' d'acqua.
§2. Il pane deve essere solo di frumento e confezionato di recente, in modo che non ci sia
alcun pericolo di alterazione.
§3. Il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato.
Per la validità sono importanti il pane di frumento e il vino naturale, tutto il resto riguarda
la liceità ossia: l’acqua, che il pane sia confezionato di recente, sia azzimo, che il vino sia
fermentato ad esempio nel caso del vino.
Can. 926 - Nella celebrazione eucaristica, secondo l'antica tradizione della Chiesa latina, il
sacerdote usi pane azzimo, ovunque egli celebri.
Can. 927 - Non è assolutamente lecito, anche nel caso di urgente estrema necessità,
consacrare una materia senza l'altra o anche l'una e l'altra, fuori della celebrazione
eucaristica.
Questi due canoni riguardano la liceità.
Per quanto riguarda la materia ci sono due casi importanti quello del sacerdote affetto da
celiachia e quello del sacerdote affetto da alcolismo. Come si potrebbero risolvere questi
due casi?
Nel primo caso vengono utilizzate delle ostie con poco glutine, nel secondo caso c’è
sempre l’obbligo di consacrare le due materie ma può essere fatta la comunione o per
intizione o nella sola specie del pane.
Se il fedele può ricevere massimo due comunioni al giorno, quante messe può dire al
giorno il sacerdote?
Il sacerdote può celebrare la messa solo una volta al giorno, nel caso di scarsità di
sacerdoti l’ordinario del luogo concede un’autorizzazione in base alla quale il sacerdote
può celebrare a messa due volte al giorno (binazione), e nelle festività e la domenica
anche tre volte al giorno (trinazione).

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Can. 905 - §1. Eccettuati i casi in cui, a norma del diritto, è lecito celebrare o concelebrare
l'Eucaristia più volte nello stesso giorno, non è consentito al sacerdote celebrare più di una
volta al giorno.
§2. Nel caso vi sia scarsità di sacerdoti, l'Ordinario del luogo può concedere che i
sacerdoti, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la
necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto.
Può esserci però anche una binazione o una trinazione di diritto perché ci sono casi in cui
è lecito celebrare la messa due/tre volte al giorno.
Quali sono questi casi?
1. Durante le messe esequiali (funerale).
2. Il giovedì Santo con la messa crismale e vespertina
3. Nel giorno della Veglia Pasquale.
4. Il giorno di Natale fino a tre messe di diritto.
Il sacerdote è obbligato a celebrare la messa tutti i giorni?
Non c’è un obbligo per il sacerdote per la celebrazione della messa giornaliera.
Can. 906 - Il sacerdote non celebri il Sacrificio eucaristico senza la partecipazione di
almeno qualche fedele, se non per giusta e ragionevole causa.
Inoltre possiamo dire che alla luce del Concilio vaticano II è possibile la concelebrazione.
Can. 902 - A meno che l'utilità dei fedeli non richieda o non consigli diversamente, i
sacerdoti possono concelebrare l'Eucaristia, rimanendo tuttavia intatta per i singoli la
libertà di celebrarla in modo individuale, non però nello stesso tempo nel quale nella
medesima chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione.
Ci sono poi casi in cui la concelebrazione è prescritta dai libri liturgici come il giorno di
Pasqua, Natale, il giovedì Santo, l’ordinazione sacerdotale e così via.

L'OFFERTA DATA PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA

Al termine della messa importante è l’offerta. L’offerta è collegata all’intenzione non alla
messa.
Can. 901 - Il sacerdote ha diritto di applicare la Messa per chiunque, sia per i vivi sia per i
defunti.
Questa messa viene applicata dal sacerdote a seguito di una richiesta di un fedele e a
questa intenzione che viene chiesta corrisponde un’offerta.
Can. 945 - §1. Secondo l'uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra
la Messa, ricevere l'offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata
intenzione.
§2. È vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei
fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta.
Can. 946 - I fedeli che danno l'offerta perché la Messa venga celebrata secondo la loro
intenzione, contribuiscono al bene della Chiesa, e mediante tale offerta partecipano della
sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere.
Can. 947 - Dall'offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche
l'apparenza di contrattazione o di commercio.

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Can. 948 - Devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per
ciascuno dei quali l'offerta, anche se esigua, è stata data e accettata.
Per un’offerta si applica l’intenzione e per un’intenzione viene fatta una messa. Se in un
giorno vengono chieste più intenzioni esse si possono passare ad altri sacerdoti perché
non possono essere celebrate nella stessa messa più intenzioni. È possibile chiedere con
un’unica intenzione per più defunti ed è per questo che molte volte sentiamo il sacerdote
pronunciare più nomi.
La Chiesa per evitare un abuso di offerte accolte da parte dei sacerdoti che celebrano
nella stessa messa più intenzioni ha emanato un decreto in base al quale vengono stabiliti
due giorni a settimana in cui è possibile svolgere la messa pluirintenzionale.
Nei casi delle messe plurintenzionali il sacerdote tiene per se solo la prima offerta le altre
le versa alla diocesi.
Can. 951 - §1. Il sacerdote che celebra più Messe nello stesso giorno, può applicare
ciascuna di esse secondo l'intenzione per la quale è stata data l'offerta, ma a condizione
però che, al di fuori del giorno di Natale, egli tenga per sé l'offerta di una sola Messa e
consegni invece le altre per le finalità stabilite dall'Ordinario, essendogli consentito di
percepire una certa retribuzione a titolo estrinseco.
C’è solo un caso in cui il sacerdote può trattenere la seconda offerta ed è il giorno di
Natale.
Nel XIII secolo era consentito solo al Papa con i cardinali, nelle occasioni delle ordinazioni
episcopali, di realizzare la concelebrazione. Il Vaticano II realizza la concelebrazione come
la modalità di celebrazione eucaristica sempre possibile perché manifesta l’unità del
sacerdozio (902), la possibilità di poter concelebrare sempre con l’unico limite di non
svolgere nella stessa chiesa altre celebrazioni.
Ci sono alcuni casi in cui la celebrazione è raccomandata: Pasqua, giovedì Santo, Natale,
riunioni di sacerdoti, messe per i concili. I sacerdoti devono concelebrare spesso con il
proprio vescovo.
Altra tematica relativa al sacramento dell’eucarestia è la messa gregoriana.
Le messe gregoriane sono applicate al defunto per trenta giorni consecutivi senza
interruzione.
La prassi relativa alle messe gregoriane voleva che nel caso in cui i trenta giorni venissero
interrotti, il sacerdote era tenuto a ricominciare con la celebrazione delle trenta messe.
Oggi, qualora ci fosse un improvviso impedimento, il sacerdote deve celebrarle
garantendo le trenta messe per le quali aveva preso l’impegno.
Il codice infine tratta anche del sacerdote infermo o anziano: il sacerdote infermo o
anziano può celebrare seduto, il sacerdote ceco può celebrare con l’assistenza di un altro
sacerdote, diacono o laico istruito.
La conservazione dell’eucarestia (934): l’eucarestia deve essere conservata in una chiesa
cattedrale, ogni chiesa parrocchiale, una chiesa di un istituto religioso, in una cappella
privata del vescovo.
L’unica accortezza è che il sacerdote vi celebri la messa almeno due volte al mese.
Dove non è lecito conservare l’eucarestia (935): nelle case private, in viaggio, a meno che
non sia una necessità pastorale, situazione straordinaria (incendio) o casi di necessità

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(guerra). Con eccezione del ministero straordinario della comunione x il breve tratto per
cui è necessario.
Tuttavia la disciplina che riguarda il ministro straordinario della comunione prevede che il
ministro non possa portare a casa la comunione, ma nel portarla all’ammalato può solo
fare il tragitto dal luogo dove la prende alla casa dell’ammalato.
(937) Non solo quindi il sacerdote deve celebrare due volte al mese ma è necessario che
questo luogo sia aperto ai fedeli perché si possano trattenere dinanzi al sacramento.
Riguardo al tabernacolo (938), la chiave deve essere utilizzata solo dalle persone che sono
incaricate a farlo, quindi il parroco piuttosto che un diacono, accolito; un laico non è
chiamato ad aprire o chiudere il tabernacolo a differenza del ministro straordinario della
comunione.
(940) Il tabernacolo come luogo fisico dentro al quale è riposta l’eucarestia.
(941) Esposizione del santissimo sacramento (942) Ogni anno ci sia l’esposizione del
santissimo sacramento.
L’esposizione del santissimo sacramento si può fare nelle chiese dove viene conservata
l’eucarestia almeno una volta all’anno.
(943) Il ministro dell’esposizione del santissimo sacramento è il sacerdote, diacono,
accolito o ministro della comunione. Il ministro della benedizione invece può essere solo il
sacerdote e il diacono.
(944) Il codice stabilisce che una volta all’anno il corpo e il sangue di Cristo venga portato
processionalmente attraverso il Corpus Domini.
Riguardo alla distribuzione dell’eucarestia occorrono delle precisazioni prese dal decreto
sulla comunione eucaristica sulla mano della conferenza episcopale italiana. La
conferenza episcopale italiana ha stabilito, mediante decreto, che nelle diocesi italiane si
può distribuire la comunione ponendola sulla mano dei fedeli, il modo consueto di
ricevere la comunione ponendola sulla lingua rimane però conveniente, dunque, i fedeli
potranno scegliere tra l’uno e l’altro modo.
Prima di introdurre la possibilità di ricevere la comunione sulla mano dovrà essere fatta
una catechesi che illustra il significato di questa prassi. Il fedele per ricevere la comunione
deve presentare al ministro entrambe le mani una sull’altra, la sinistra sopra la destra e
davanti al ministro portare alla bocca l’ostia consacrata prendendola con le dita dal palmo
della mano e facendo attenzione a non lasciar cadere nessun frammento.
Raccomandando soprattutto a bambini ed adolescenti la pulizia delle mani e la
corrispondenza dei gesti, anch’essi segno della fede e della venerazione, con delicatezza e
discrezione perché la distribuzione avvenga in modo corretto e degno.
Il quarto capitolo stabilisce che i fedeli possono comunicarsi in ginocchio o in piedi, è
necessario, inoltre, l’uso del piattino per evitare che l’ostia o qualche suo frammento
cada.
La risposta della Congregazione per i sacramenti del 2002 sul diritto di ricevere la
comunione in ginocchio è la seguente: qualsiasi rifiuto da parte del sacerdote sulla base
del modo di presentarsi di un fedele è una grave violazione di uno dei suoi fondamentali
diritti, precisamente quello di essere assistito dai suoi pastori per mezzo dei sacramenti.

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Non dovrebbe esserci tale rifiuto tranne nel caso di scandalo ad altri credenti che
scaturisce da peccato pubblico.
Come anche il cardinale Ratzinger ha recentemente sottolineato la pratica di
inginocchiarsi per ricevere la comunione ha un suo favore nella tradizione secolare ed è
un segno particolarmente eloquente di adorazione adeguato alla presenza reale e
sostanziale di Gesù Cristo sotto le specie consacrate.
In certe comunità di religiosi accade che il sacerdote depone il pane eucaristico
consacrato al lato dell’altare e i comunicanti si accostano prendendo l’ostia con le proprie
mani e dopo averla intinta nel calice la portano alla bocca, si domanda, perciò, alla
Congregazione se ciò sia conforme alle norme liturgiche e canoniche. La risposta è no.

CAPITOLO 8°. LA PENITENZA

Il 959 è il canone dogmatico sul sacramento della penitenza che mette in luce i caratteri,
la confessione dei peccati, la figura del ministro legittimo, l’assoluzione e l’effetto della
stessa penitenza, la riconciliazione con la chiesa che peccando si è pentita.
(960) Il modo principale di ricevere l’assoluzione è la confessione individuale e integra,
quindi il codice stabilisce che c’è un modo generale di ricevere l’assoluzione che è la
confessione individuale, la quale comporta l’obbligo del penitente di confessare tutti i
peccati gravi di cui è a conoscenza al ministro. Questo era l’unico modo stabilito dal
Concilio di Trento, oggi il codice non parla più di unico modo ma del modo principale,
fondamentale. L’assoluzione individuale resta comunque il modo generale di realizzare il
sacramento della penitenza.
Il codice inoltre stabilisce che solamente una impossibilità fisica (dimenticanza) o una
impossibilità morale (relazione personale tra il confessore e il penitente che determina
pericolo di ledere il sigillo sacramentale, pericolo di scandalo o di peccato per il penitente
o per il confessore, gravi scrupoli di coscienza, pericolo di gravi danni incombenti, pericolo
di infamia estrinseca alla confessione) permette di non confessare un peccato.
Impossibilità fisica, morale, materiale e formale scusano dalla realizzazione di una
confessione completa individuale che resta però una confessione integra, non si crea

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colpevolezza. Ciò che è necessario è la confessione formale di tutti i peccati che si
ricordano, ma non la confessione materiale, perché se materialmente non ricordo un
peccato comunque la mia confessione è totalmente integra.
L’assoluzione generale o di più penitenti (961)
L’assoluzione a più penitenti insieme senza la previa confessione individuale non può
essere impartita in modo generale, tuttavia straordinariamente può essere impartita a più
penitenti. Questo è possibile in due casi: pericolo imminente di morte, il secondo caso
invece si realizza quando, tenuto conto del numero dei penitenti, non si hanno a
disposizione confessori sufficienti per ascoltare le confessioni in un tempo conveniente
(territorio di missione). Non si può fare nel caso in cui ci siano i pellegrinaggi o grandi
feste, in questi casi è sconsigliato dare l’assoluzione generale. Quindi il modo ordinario
resta l’assoluzione individuale, il modo straordinario resta l’assoluzione generale.
La terza modalità di assoluzione è la liturgia penitenziale che si conclude con l’assoluzione
generale dei fedeli che si sono singolarmente confessati, ma non hanno ricevuto
l’assoluzione. La vera individualità che il codice e la dottrina vogliono conservare è
l’individualità della confessione, non tanto dell’assoluzione. La confessione è individuale,
l’assoluzione può essere generale.
I modi di confessarsi in realtà sono tre: assoluzione individuale, assoluzione generale di
più penitenti che si sono previamente confessati, l’assoluzione generale dei penitenti che
non si sono confessati.
Il principio fondamentale resta quello del 961, l’assoluzione generale resta illecita di
principio.
(964) Il luogo della Confessione è la chiesa o l’oratorio, la sede della confessione è il
confessionale, al di fuori di esso non è possibile la confessione, se non per giusta causa. Si
può ricevere per telefono l’assoluzione sacramentale? La confessione per telefono è
proibita, è valida ma illecitamente amministrata.

Il canone 965 afferma che: “Il Ministro del sacramento della penitenza è il solo
sacerdote”, naturalmente deve essere munito della facoltà di ascoltare le confessioni, che
non è strettamente collegato al sacramento dell’ordine, non ogni ordinato sacerdote può
ascoltare le confessioni, ma per ascoltare le confessioni il sacerdote deve avere la facoltà
che gli viene concessa dal vescovo.
Nel canone 966§1: “Per la valida assoluzione dei peccati si richiede che il ministro, oltre
alla potestà di ordine, abbia la facoltà di esercitarla sui fedeli ai quali imparte
l’assoluzione”.
E il canone 966§2: “Il sacerdote può essere dotato di questa facoltà o per il diritto stesso o
per concessione fatta dalla competente autorità a norma del Can. 969”.
Per la validità del sacramento il sacerdote deve avere la facoltà di poter ascoltare la
confessione, questa facoltà compete o per il diritto o per concessione dalla competente
autorità. Per diritto sono titolari della facoltà di ascoltare le confessioni: il Papa, i cardinali
e i vescovi sono titolari per diritto, ex ufficio, in ragione dell’ufficio, sono titolari di
ascoltare e ricevere le confessioni: l’ordinario del luogo, il canonico penitenziere, il

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parroco, cioè colui il quale svolge un ufficio che prevede la cura d’anime, infine il
superiore dell’Istituto religioso.
Invece tutti gli altri presbiteri sono titolari della facoltà di ascoltare le confessioni
exdelega, cioè su concessione che viene a seguito di una determinata procedura prevista
dal canone 969.
Canone 969: “Solo l'Ordinario del luogo è competente a conferire a qualunque presbitero
la facoltà di ricevere le confessioni di qualsiasi fedele; tuttavia i presbiteri che sono
membri degli istituti religiosi non se ne servano senza la licenza almeno presunta del
proprio Superiore”.
Per questo il sacerdote per poter ascoltare la confessione deve avere la facoltà di poterlo
fare e questa facoltà può essere: exiure, exufficio e exdelega.
La facoltà di ricevere le confessioni con delega non venga concessa se non ai presbiteri
che sono stati riconosciuti idonei mediante un esame, oppure la cui idoneità consti da
altra fonte.
La facoltà oggi, si estende una volta ricevuta ubbicque terrarium, su tutta la terra.
Principio generale del canone 976 dice: “Ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di
ricevere le confessioni, assolve validamente e lecitamente tutti i penitenti che si trovano
in pericolo di morte, da qualsiasi censura e peccato, anche qualora sia presente un
sacerdote approvato”.
In caso di morte qualsiasi sacerdote assolve validamente anche se privo della facoltà,
l’importante è che sia sacerdote.
Il ruolo del ministro cc978, 979, 980, 981.
 Ricordi il sacerdote che nell'ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di
giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro
contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all'onore
divino e alla salvezza delle anime.
Il confessore, in quanto ministro della Chiesa, nell'amministrazione del sacramento
aderisca fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme date dalla competente
autorità.
Il sacerdote nel porre le domande proceda con prudenza e discrezione, avendo riguardo
anche della condizione e dell'età del penitente, e si astenga dall'indagare sul nome del
complice.
Se il confessore non ha dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chieda l'assoluzione,
essa non sia negata né differita.
A seconda della qualità e del numero dei peccati e tenuto conto della condizione del
penitente, il confessore imponga salutari e opportune soddisfazioni; il penitente è tenuto
all'obbligo di adempierle personalmente.
Il canone 987 e 991 parlano del penitente.
Il fedele per ricevere il salutare rimedio del sacramento della penitenza, deve essere
disposto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di
emendarsi, si converta a Dio.
Il fedele è tenuto all'obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati
gravi commessi dopo il battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere

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delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia
coscienza dopo un diligente esame. Si raccomanda ai fedeli di confessare anche i peccati
veniali.
Ogni fedele, raggiunta l'età della discrezione, è tenuto all'obbligo di confessare
fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell'anno.
Non è proibito confessarsi tramite l'interprete, evitati comunque gli abusi e gli scandali e
fermo restando il disposto del can. 983, §2.
È diritto di ogni fedele confessare i peccati al confessore che preferisce, legittimamente
approvato, anche di altro rito, potrebbe essere anche un sacerdote cattolico orientale.
I reati legati al sacramento della penitenza
Il sigillo sacramentale è un obbligo che il sacerdote ha di mantenere il segreto su tutti i
peccati gravi o leggeri, passati o attuali, propri o altrui, sulle circostanze sulla penitenza o
soddisfazione data e sull’eventuale diviego dell’assoluzione a un determinato penitente.
Al sacerdote è vietato usare direttamente o indirettamente la scienza acquisita nella
confessione. Tale sigillo è inviolabile, ma la violazione del sigillo sacramentale può essere
diretta e indiretta.
L’obbligo del sigillo è fondamentale sia per motivo di giustizia sia per motivo di religione, il
motivo di giustizia è la possibilità che attraverso la relazione dell’obbligo si vada a
inimicare e violare un altro diritto del fedele garantito dal canone 220, che ha diritto alla
propria intimità, e allo stesso tempo questo possa portare a una violazione della buona
fama del penitente. Il motivo di religione è il fatto di rendere odioso il sacramento ai
fedeli, perché la violazione del sigillo ci rende odioso il sacramento.
La relazione diretta del sigillo sacramentale è la relazione che si realizza quando si dice
direttamente qualcosa che riguarda il fatto stesso, invece la relazione indiretta del sigillo
sacramentale si realizza quando attraverso il dire del sacerdote si riesce a ricondurre il
peccato la circostanza a quel determinato intento. Sono entrambi un reato, che
prevedono una punizione particolare, la scomunica latae sententiae per la violazione
diretta del sigillo sacramentale, invece la violazione indiretta del sigillo è punita con una
pena proporzionata al reato, al danno che si è commesso.
Un fedele può violare un sigillo sacramentale?
Si può compiere anche da parte dei fedeli e può essere punita con una giusta pena dice il
codice non è esclusa la scomunica, per questo queste persone sono tenute al segreto
delle conoscenze acquisite. Il sigillo è particolarmente importante, il soggetto è il
sacerdote infatti è sigillo per lui ma è un obbligo per il fedele, però grava su entrambi.
I delitti, i reati del sacramento della confessione
Abbiamo la violazione del sigillo sacramentale, assoluzione del complice canone 977.
L'assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo è
invalida, eccetto che in pericolo di morte.
Quindi il sacerdote non può assolvere il complice con cui ha peccato contro la castità,
questa assoluzione è invalida eccetto pericolo di morte, inoltre il codice sottolinea che è
invalida quindi lo stabilisce proprio e il sacerdote a norma del canone 1378 afferma che:
Il sacerdote che agisce contro il disposto del can. 977, incorre nella scomunica latae
sententiae riservata alla Sede Apostolica, quindi il reato non gli può essere rimesso da un

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altro sacerdote ma deve essere la Sede Apostolica a dare la soddisfazione opportuna
perché quel reato possa poi essere rimesso. Il sacerdote in questo caso non deve
assolvere e rimandare il penitente a un altro sacerdote.
Il terzo reato è la sollicitatio ad culpia canone 1387
Il sacerdote che, nell'atto o in occasione o con il pretesto della confessione sacramentale,
sollecita il penitente al peccato contro il sesto precetto del Decalogo, a seconda della
gravità del delitto, sia punito con la sospensione, con divieti, privazioni e, nei casi più
gravi, sia dimesso dallo stato clericale.
 Quindi in questo caso la confessione diventa l’occasione per peccare contro il sesto
comandamento, all’interno della confessione il sacerdote compie degli atti che sono
contrari al sesto comandamento. In questo caso il codice stabilisce che ci sono pene
severe per il sacerdote che arrivano fino alla dimissione dallo stato clericale e sono tutte
pene che devono passare tutte attraverso un regolare processo (farenzie sentenze).
Diverso è l’altro reato che invece può commettere il penitente che è la falso relatio
canone 982
Colui che confessa d'aver falsamente denunziato un confessore innocente presso
l'autorità ecclesiastica per il delitto di sollecitazione al peccato contro il sesto
comandamento del Decalogo, non sia assolto se non avrà prima ritrattata formalmente la
falsa denuncia e non sia disposto a riparare i danni, se ve ne siano.
Qui abbiamo il penitente che ha falsamente accusato il sacerdote di aver peccato con lui
contro il sesto comandamento, ma l’affermazione è falsa, per questo prima di essere
assolto deve formalmente ritrattare la falsa denuncia, la pena per il laico è l’interdizione
latae sententiae, ma è anche un peccato che può commettere un chierico in questo caso
la pena è la censura, fondamentale è la ritrattazione formale della falsa denuncia.
Indulgenze
Can.992
 L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi
quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni,
acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa
ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.
L’indulgenza è la totale o parziale remissione innanzi a Dio della pena temporale dovuta ai
peccati, che viene rimessa mediante la confessione. L’indulgenza è la ferita penale di uno
ha commesso un reato.
Canone 993 e 994
L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena
temporale dovuta per i peccati.
Ogni fedele può lucrare per se stesso o applicare ai defunti a modo di suffragio indulgenze
sia parziali sia plenarie.
Le condizioni per avere l’indulgenza sono: confessione sacramentale, comunione
eucaristica e la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre.
Can.995
 Oltre alla suprema autorità della Chiesa possono elargire indulgenze solamente quelli cui
questa potestà viene riconosciuta dal diritto o è concessa dal Romano Pontefice.

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Solo la suprema autorità della Chiesa può concedere l’indulgenza, il Romano Pontefice, il
Collegio dei Vescovi, il vicariamento per conto del Romano Pontefice, la Congregazione
della disciplina del culto, la Congregazione della disciplina dei sacramenti, può concedere
queste indulgenze.
Nessuna autorità sotto il Romano Pontefice può comunicare ad altri la facoltà di
concedere indulgenze, se ciò non sia stato ad essa concesso espressamente dalla Sede
Apostolica.

CAPITOLO 9°. L’UNZIONE DEGLI INFERMI

Canone dogmatico
Can. 998: L'unzione degli infermi, con la quale la Chiesa raccomanda al Signore
sofferente e glorificato i fedeli gravemente infermi affinché li sollevi e li salvi, viene
conferita ungendoli con olio e pronunciando le parole stabilite nei libri liturgici.
Ci parla dei presupposti dogmatici del sacramento. L’olio benedetto è la materia remota
e l’unzione sulla fronte è la materia prossima.
La celebrazione del sacramento
Can. 1000 - §1: Le unzioni siano compiute accuratamente con le parole, l'ordine e il modo
stabiliti nei libri liturgici; tuttavia in caso di necessità è sufficiente un'unica unzione sulla
fronte, o anche in altra parte del corpo, pronunciando integralmente la formula.
§2: Il ministro compia le unzioni con la propria mano, salvo che una grave ragione non
suggerisca l'uso di uno strumento.

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Ci parla delle parole, dell’ordine e del modo. Le unzioni previste nella celebrazione di
questo sacramento sono tre, ma in caso di necessità ne basta una. Per la validità del
sacramento è richiesta una sola unzione. Per la liceità del sacramento devono essere
amministrate tre unzioni.
Can. 999: Oltre al Vescovo possono benedire l'olio da adoperarsi nell'unzione degli
infermi:
1) coloro che per diritto sono equiparati al Vescovo diocesano;
2) in caso di necessità, qualunque presbitero, però nella stessa celebrazione del
sacramento.
Il Vescovo e il presbitero sono i ministri di questo sacramento. Possono benedire l’olio il
Vescovo e, in caso di necessità, il presbitero.
Il ministro dell’unzione degli infermi
Can. 1003 - §1: Amministra validamente l'unzione degli infermi ogni sacerdote e soltanto
il sacerdote.
Il canone ripetendo due volte lo stesso concetto ci tiene a specificare che il ministro
dell’unzione degli infermi può essere solo il sacerdote. I laici non possono amministrare
questo sacramento. Essi possono solo in caso di morte dare il viatico.
§2: Hanno il dovere e il diritto di amministrare l'unzione degli infermi tutti i sacerdoti ai
quali è demandata la cura delle anime, ai fedeli affidati al loro ufficio pastorale; per una
ragionevole causa, qualunque sacerdote può amministrare questo sacramento con il
consenso almeno presunto del sacerdote di cui sopra.
É il parroco che deve essere chiamato a questa responsabilità, ma per una ragionevole
causa anche un altro sacerdote può amministrare il sacramento, con il consenso almeno
presunto del parroco.
A chi va conferita l’unzione degli infermi
Can. 1004 - §1: L'unzione degli infermi può essere amministrata al fedele che, raggiunto
l'uso di ragione, per malattia o vecchiaia comincia a trovarsi in pericolo.
Malattia o vecchiaia sono le condizioni poste alla base per ricevere il sacramento
dell’unzione degli infermi e che si abbia almeno il settimo anno d’età (uso di ragione).
L’età della discrezione è necessaria, ma in caso di urgenza, come per tutti i sacramenti,
esso si può ugualmente amministrare.
§2: Questo sacramento può essere ripetuto se l'infermo, dopo essersi ristabilito, sia
ricaduto nuovamente in una grave malattia o se, nel decorso della medesima, il pericolo
sia divenuto più grave.
Si tratta di un sacramento ripetibile se l’infermo dopo essersi ristabilito sia ricaduto di
nuovo in una grave malattia o se le sue condizioni si sono aggravate. Si presuppone che

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si riceva non in caso di vecchiaia, ma nel caso di una persona anziana che sta per morire.
Ciò emerge se leggiamo questo canone insieme al canone dogmatico 998 («i fedeli
gravemente infermi»).
Can. 1006: Si conferisca questo sacramento a quegli infermi che, mentre erano nel
possesso delle proprie facoltà mentali, lo abbiano chiesto almeno implicitamente.
Per ricevere questo sacramento non è necessaria un’intenzione attuale (lo deve volere
mentre lo sta ricevendo), ma un’intenzione abituale, che è stata almeno una volta
presumibile dalla vita del soggetto.
Can. 1007: Non si conferisca l'unzione degli infermi a coloro che perseverano
ostinatamente in un peccato grave manifesto.
E’ collegato al canone relativo al conferimento dell’eucaristia (915). Il peccato grave e
manifesto è un ostacolo alla celebrazione del sacramento. Non si parla dello
scomunicato e dell’interdetto, ma di coloro che perseverano nel peccato grave e
manifesto (ad esempio il mafioso e attualmente anche ciò che riguarda la condizione del
fedele divorziato e risposato). Dove c’è dubbio di peccato grave e manifesto il
sacramento va amministrato.

CAPITOLO 10°: L’ORDINE SACRO

Canoni dogmatici
Can. 1008n: Con il sacramento dell'ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli,
mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri;
coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e
peculiare titolo, il popolo di Dio.
Questo canone e quello successivo sono stati oggetto di revisione all’interno del
pontificato di Benedetto XVI con il Motu proprio Omnium in mentem del 2009. Il Codice
dice chi è il fedele in generale, chi è il fedele laico, spiega chi è il religioso, spiega i diritti e
i doveri dei chierici, ma non ne dà una definizione. La troviamo solo in questo canone che
introduce il sacramento dell’ordine.
Can. 1009n - §1: Gli ordini sono l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.

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§2: Vengono conferiti mediante l'imposizione delle mani e la preghiera consacratoria, che
i libri liturgici prescrivono per i singoli gradi.
§3: Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la
missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono
abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità.
Si trova qui la questione della persona Christi. Nel terzo paragrafo di questo canone
abbiamo la distinzione. Prima della modifica si faceva riferimento nell’agire in persona
Christi a tutti e tre i ministri, compresi i diaconi,. Agiscono invece in persona Christi solo il
Vescovo e il presbitero. Tutti sono consacrati per pascere il popolo di Dio, ma a titolo
diverso. Abbiamo dunque un ministero clericale sacerdotale (Vescovo e presbitero) e un
ministero clericale non sacerdotale (diacono).
È bene ricordare che tra diaconato e presbiterato c’è una differenza di grado e di
essenza. Mentre tra presbiterato ed episcopato c’è una differenza di grado, ma non di
essenza.
Prima della riforma c’erano cinque ordini minori (tonsura, ostiariato, esorcistato,
lettorato e accolitato) e quattro ordini maggiori (suddiaconato, diaconato, presbiterato
ed episcopato). Paolo VI con il Motu proprio Ministeria quaedam del 1972 ridusse il
numero dei gradi dell’ordine (da quattro a tre, eliminando il suddiaconato) e trasformò
alcuni ordini minori in ministeri istituiti aperti ai laici di sesso maschile (lettorato e
accolitato). Sono istituiti per tutti, sia per chi si prepara al sacerdozio, sia per il laico che
intende approfondire il proprio cammino di fede nel servizio o approdare al diaconato
permanente.
Celebrazione e ministro dell’ordinazione
Can. 1012: Ministro della sacra ordinazione è il Vescovo consacrato.
Solo il Vescovo consacrato, e non quello eletto, può essere il ministro dell’ordine sacro,
per tutti i gradi dell’ordine. Solo con un indulto speciale della Santa Sede un sacerdote
può conferire l’ordine sacro.
Can. 1013: A nessun Vescovo è lecito consacrare un altro Vescovo, se prima non consta
del mandato pontificio.
Il Vescovo può consacrare un altro Vescovo solo su mandato pontificio, che è l’atto con
cui il Romano Pontefice autorizza la consacrazione. Essa è garanzia della successione
apostolica. Chi consacra un altro Vescovo senza mandato pontificio è punito con la
scomunica latae sententiae. La consacrazione del Vescovo è per la validità del
sacramento dell’ordine, mentre il mandato pontificio necessario per consacrare un altro
Vescovo è per la sua liceità. Se un Vescovo consacra un altro Vescovo senza il mandato
pontificio, l’ordinazione è valida, ma illecita.
Gli ordinandi

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Can. 1024: Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso
maschile.
Cosa è richiesto all’ordinando? Deve essere un battezzato di sesso maschile.
Can. 1025 - §1: Per conferire lecitamente gli ordini del presbiterato o del diaconato, si
richiede che il candidato, compiuto il periodo di prova a norma del diritto, sia in possesso
delle dovute qualità, a giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore
competente, non sia trattenuto da alcuna irregolarità e da nessun impedimento e abbia
adempiuto quanto previamente richiesto a norma dei cann. 1033-1039; vi siano inoltre i
documenti di cui nel can. 1050 e sia stato fatto lo scrutinio di cui nel can. 1051.
§2: Si richiede inoltre che, a giudizio dello stesso legittimo Superiore, risulti utile per il
ministero della Chiesa.
§3: Al Vescovo che ordina un proprio suddito, che sarà destinato al servizio di un'altra
diocesi, deve risultare che l'ordinando sarà ad essa assegnato.
Quali sono gli elementi previsti per la liceità?
Periodo di prova, possesso delle dovute qualità, assenza di irregolarità o impedimenti,
requisiti previsti dal diritto, l’aver compiuto tutto il percorso (seminario e aver ricevuto
la confermazione) e lo scrutinio su attività e qualità morali, personali e pastorali
concluso con esito positivo. Si viene ordinati per pascere il popolo di Dio e quindi per
un’utilità al ministero della Chiesa. Il giudizio finale risiede in ultima analisi nell’utilità
per la Chiesa, essa ha sostituito il criterio del beneficio ecclesiastico che bisognava
coprire per la cura di una particolare comunità, a cui si faceva riferimento nel 1917. NB: Si
ha diritto a tutti i sacramenti, in presenza delle qualità richieste, tranne che all’ordine
sacro.
In quali casi l’ordinazione potrebbe essere nulla?
Se il candidato è una donna Se nel momento in cui viene ordinato il candidato è
ubriaco e quindi non ha l’intenzione di ricevere il
sacramento
Se è costretto da violenza fisica, ma ciò Se non ebbe mai l’intenzione di ricevere il sacramento
è da dimostrare dell’ordine

Requisiti negli ordinandi


Can. 1026: Chi viene ordinato deve godere della debita libertà; non è assolutamente
lecito costringere alcuno, in qualunque modo, per qualsiasi causa a ricevere gli ordini,
oppure distogliere un candidato canonicamente idoneo dal riceverli.
Abbiamo un terzo ed ulteriore elemento per la validità, oltre all’essere un battezzato di
sesso maschile che è l’intenzione abituale di ricevere il sacramento, cioè la volontà di

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voler ricevere il sacramento, anche se non attuale. Deve essere una persona che ha
manifestato la volontà di diventare sacerdote. Tutti gli altri elementi sono per la liceità
del sacramento. Non si dice nulla sulla validità rispetto all’uso di ragione, alla maturità
affettiva del soggetto e all’età. L’ordinazione di bambini in Brasile diede luogo ad
ordinazioni valide, anche se illecite.
Oltre agli elementi per la liceità indicati dal canone 1025 abbiamo la debita libertà e
un’accurata preparazione (can. 1027) umana, culturale, spirituale e pastorale.
Can. 1027: Gli aspiranti al diaconato e al presbiterato siano formati mediante un'accurata
preparazione, a norma del diritto.
Can. 1029: Siano promossi agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio del
Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le
circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza
debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di
tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l'ordine che deve essere
ricevuto.
Prendiamo in esame altri elementi per la liceità: fede integra, retta intenzione, scienza
debita che nasce dall’accurata preparazione, che godano di buona stima, che siano di
integri costumi e di provate virtù e che possiedano le dovute qualità fisiche e psichiche.
Can. 1031 - §1: Il presbiterato sia conferito solo a quelli che hanno compiuto i 25 anni di
età e posseggono una sufficiente maturità, osservato inoltre l'intervallo di almeno sei
mesi tra il diaconato e il presbiterato; coloro che sono destinati al presbiterato, vengano
ammessi all'ordine del diaconato soltanto dopo aver compiuto i 23 anni di età.
L’età per diventare presbitero è di 25 anni, sempre per la liceità. Devono trascorrere sei
mesi tra il diaconato transeunte e il presbiterato. L’età per il diaconato per coloro che
sono destinati al presbiterato è di 23 anni.
§2: Il candidato al diaconato permanente, che non è sposato, non vi sia ammesso se non
dopo aver compiuto almeno i 25 anni di età; colui che è sposato, se non dopo aver
compiuto i 35 anni di età e con il consenso della moglie.
Chi riceve il diaconato permanente non può più sposarsi. Il diacono permanente che
rimane vedovo non può più sposarsi, a meno che determinate esigenze lo consentano
(ad esempio se ha figli piccoli che necessitano di una figura materna).
§3: Le Conferenze Episcopali sono libere di stabilire una norma con cui si richieda un'età
più avanzata per il presbiterato e per il diaconato permanente.
§4: La dispensa dall'età richiesta a norma dei §§1 e 2, che superi l'anno, è riservata alla
Sede Apostolica.
Si possono ricevere tutti gli ordini con un anno di anticipo con l’autorizzazione della Sede
Apostolica.

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Can. 1032 - §1: Gli aspiranti al presbiterato possono essere promossi al diaconato
soltanto dopo aver espletato il quinto anno del curricolo degli studi filosofico-teologici.
Il Codice non richiede il baccalaureato in teologia (sesto anno), ma solo cinque anni di
studi.
§2: Compiuto il curricolo degli studi, il diacono per un tempo conveniente, da definirsi dal
Vescovo o dal Superiore maggiore competente, partecipi alla cura pastorale esercitando
l'ordine diaconale prima di essere promosso al presbiterato.
§3: L'aspirante al diaconato permanente non sia promosso a questo ordine se non
espletato il tempo della formazione.
Il tempo della formazione è qualcosa di vago, che può essere organizzato in vari modi.
Anche se gli aspiranti al diaconato permanente dovrebbero almeno conseguire una laurea
triennale in Scienze Religiose.
Requisiti previ all’ordinazione
Can. 1033: È promosso lecitamente agli ordini soltanto chi ha ricevuto il sacramento
della sacra confermazione.
Can. 1034 - §1: L'aspirante al diaconato o al presbiterato non sia ordinato se non avrà
ottenuto in antecedenza mediante il rito liturgico dell'ammissione da parte dell'autorità di
cui nei cann. 1016 e 1019, la ascrizione tra i candidati, fatta previa domanda, redatta e
firmata di suo pugno, accettata per iscritto dalla medesima autorità.
§2: Non è tenuto a richiedere la medesima ammissione chi è stato cooptato in un istituto
clericale mediante i voti.
Il candidato deve avere il titolo di ammissione al sacerdozio, cioè la ascrizione tra i
candidati.
Can. 1035 - §1: Prima che uno venga promosso al diaconato sia permanente sia
transeunte, si richiede che abbia ricevuto i ministeri di lettore e accolito e li abbia
esercitati per un tempo conveniente.
Il candidato deve aver ricevuto anche il lettorato e l’accolitato.
§2: Tra il conferimento dell'accolitato e del diaconato intercorra un periodo di almeno sei
mesi.
Can. 1036: Il candidato, per poter essere promosso all'ordine del diaconato o del
presbiterato, consegni al Vescovo proprio o al Superiore maggiore competente, una
dichiarazione, redatta e firmata di suo pugno, nella quale attesta che intende ricevere il
sacro ordine spontaneamente e liberamente e si dedicherà per sempre al ministero
ecclesiastico, e nella quale chiede simultaneamente di essere ammesso all'ordine da
ricevere.
Il candidato deve dichiarare di ricevere il diaconato e il presbiterato liberamente.

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Can. 1037: Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il
promovendo al presbiterato, non siano ammessi all'ordine del diaconato, se non hanno
assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l'obbligo
del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto religioso.
Il candidato deve sottoscrivere l’obbligo del celibato, che è una legge ecclesiastica e non
un principio di diritto divino, oppure aver emesso i voti perpetui in un istituto religioso.
Can. 1039: Tutti coloro che debbono essere promossi a qualche ordine, attendano agli
esercizi spirituali per almeno cinque giorni, nel luogo e nel modo stabiliti dall'Ordinario; il
Vescovo, prima di procedere all'ordinazione, deve accertarsi che i candidati li abbiano
debitamente compiuti.
Il candidato deve attendere agli esercizi spirituali.
Nel 2016 la Congregazione per il Clero ha modificato la Ratio relativa agli elementi della
formazione del clero con il documento “Il Dono della vocazione presbiterale”. Oggi
abbiamo una nuova Ratio fundamentalis, alla quale si ispirano tutte le Ratio nazionali. La
formazione attuale prevede alcune tappe:
1) fase propedeutica: è obbligatoria e va da 1 anno a 2 anni;
2) biennio filosofico;
3) quadriennio teologico;
4) tappa pastorale o di sintesi vocazionale: periodo di 6 mesi che intercorre tra
l’ordinazione diaconale e l’ordinazione presbiterale;
5) tappa della formazione permanente: il sacerdote è chiamato ad alimentare e ad
aggiornare la propria formazione.
Tra gli elementi della formazione umana abbiamo la capacità di apprezzamento del genio
femminile, la capacità di superare le crisi e l’abilità nell’utilizzo dei nuovi media. Nella
Ratio sono entrati anche due documenti del 2008 e del 2005 relativi all’apporto delle
scienze umane nella formazione del clero e alle questioni relative all’accesso ai seminari
delle persone omosessuali. Il documento comprende anche un paragrafo relativo agli
aspetti della formazione del sacerdote nella tutela dei minori.
Documenti richiesti e scrutinio
Can. 1050: Perché uno possa essere promosso ai sacri ordini si richiedono i seguenti
documenti:
1) certificato degli studi regolarmente compiuti a norma del can. 1032;
2) certificato di diaconato ricevuto, se si tratta di ordinandi al presbiterato;
3) se si tratta di promovendi al diaconato, certificato di battesimo e di confermazione e
dell'avvenuta ricezione dei ministeri di cui nel can. 1035; ugualmente il certificato della

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dichiarazione di cui nel can. 1036, e inoltre, se l'ordinando che deve essere promosso al
diaconato permanente è sposato, i certificati di matrimonio e del consenso della moglie.
Abbiamo uno scrutinio sui documenti.
Can. 1051: Per quanto riguarda lo scrutinio circa le qualità richieste nell'ordinando, si
osservino le norme che seguono:
1) vi sia l'attestato del rettore del seminario o della casa di formazione, sulle qualità
richieste per ricevere l'ordine, vale a dire la sua retta dottrina, la pietà genuina, i buoni
costumi, l'attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una diligente indagine, un
documento sul suo stato di salute sia fisica sia psichica;
2) il Vescovo diocesano o il Superiore maggiore, perché lo scrutinio sia fatto nel modo
dovuto può avvalersi di altri mezzi che gli sembrino utili, a seconda delle circostanze di
tempo e di luogo, quali le lettere testimoniali, le pubblicazioni o altre informazioni.
Abbiamo uno scrutinio sulle qualità. Lo scrutinio è un’attività prevalentemente
amministrativa nella quale si raccolgono i documenti relativi agli elementi di liceità
richiesti per l’ordinazione sacerdotale.
Non può essere ordinato chi ha praticato o pratica l’omosessualità, chi ha tendenze
particolarmente radicate e chi ha svolto attività di sostegno alla cultura gay. Quando la
tendenza non è radicata deve essere superata tre anni prima dell’ordinazione diaconale.
Il sacerdote non deve essere impedito o irregolare a ricevere l’ordine. Le irregolarità
sono o in ragione di un particolare difetto (difetti fisici particolarmente evidenti, difetto
di età, difetto di fede dei neofiti e mancanza di mitezza di cuore) o per il fatto di aver
compiuto un particolare reato (assassinio o omicidio, aborto procurato, aver mutilato se
stesso, tentato suicidio, eresia, apostasia e scisma, attentato al matrimonio e esercizio
illegittimo del ministero).
Can. 1052 - §1: Il Vescovo che conferisce l'ordinazione per diritto proprio, per poter ad
essa procedere deve essere certo che siano a disposizione i documenti dei quali nel can.
1050, che l'idoneità del candidato risulti provata con argomenti positivi, dopo aver fatto lo
scrutinio a norma del diritto.
§2: Perché il Vescovo proceda all'ordinazione di un suddito altrui, è sufficiente che le
lettere dimissorie riferiscano che gli stessi documenti sono a disposizione, che lo scrutinio
è stato compiuto a norma del diritto e che consta dell'idoneità del candidato; che se il
promovendo è membro di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, le
medesime lettere debbono testimoniare inoltre che egli è stato cooptato definitivamente
nell'istituto o nella società e che è suddito del Superiore che dà le lettere.
§3: Se nonostante tutto ciò il Vescovo per precise ragioni dubita che il candidato sia
idoneo a ricevere gli ordini, non lo promuova.

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CAPITOLO 11°. IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
(cann. 1055-1165)
Facciamo, innanzitutto, alcune riflessioni di carattere generale. Quando parliamo del
matrimonio stiamo parlando di un istituto che ha diversi profili:
1. Di carattere storico-biblico, che è quello legato all’esperienza matrimoniale. Il
matrimonio così come lo conosciamo adesso è il risultato di una evoluzione storica
che passa dal punto di vista religioso attraverso la disciplina che ritroviamo sia
nell’antica che nella nuova alleanza e in quell’immagine del matrimonio inteso
come la rappresentazione del rapporto tra Jahvè e il suo popolo (AT) o tra Cristo e
la Chiesa (NT) che sarà definito da S. Paolo: un grande sacramento.
2. Di carattere giuridico. Quando parliamo del matrimonio ci riferiamo a una realtà
che presenta dei caratteri giuridici.
Quindi parlare del matrimonio significa parlare anche del matrimonio come contratto,
come realtà giuridica, perché è proprio nella sua dimensione giuridica che il matrimonio
può avere o non avere rilevanza per l’ordinamento canonico quanto alla validità o alla
invalidità dello stesso. Sarà proprio su quegli elementi legati alla forma, al consenso,

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all’abilità dei soggetti che sono gli elementi tipici di ogni contratto che si andrà ad
appuntare la nostra analisi sulla validità o la invalidità del matrimonio. l’analisi si
svilupperà su quei requisiti essenziali che ogni matrimonio deve avere per potersi
dichiarare valido ai fini canonici. Naturalmente la base sulla quale fonda la dottrina
giuridica anche della Chiesa è il riferimento teologico-scritturistico dell’antica e della
nuova Alleanza.
Da questo punto di vista mi piace sottolineare la grande consapevolezza e verifica nei fatti
che un rimando del genere e una responsabilità del genere in capo alle persone è quanto
mai forte e anche di difficile realizzazione. Quando noi diciamo a due sposi che il loro
matrimonio è l’immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa ci rendiamo conto di cosa gli
stiamo dicendo? È chiaro che si vuole porre gli sposi dinanzi al fatto che così come Cristo è
stato fedele alla Chiesa, fino alla morte e alla morte di croce, così nel matrimonio è
richiesta una fedeltà fino alla morte. Si tratta di un peso notevole, gravissimo che si pone
sulle spalle dei fedeli. Mi rifaccio alle belle espressioni di Papa Francesco che nell’ Amoris
Laetitia, parlando di questa analogia con la scrittura, parte dalla consapevolezza che
questo può essere soltanto un ideale al quale guardare, il punto di riferimento al quale
ispirare la propria vita matrimoniale, ma non può essere visto come un peso che gravi
sempre e comunque sulle spalle degli sposi. Proprio perché ci sono situazioni in cui quella
realtà non si può realizzare; anche nelle coppie migliori mettere una realizzazione del
genere è quanto mai gravoso, ma soprattutto, come Amoris Laetitia ci chiarisce, ci sono
delle condizioni particolari di vita in cui non si può realizzare quel modello. E non è che
non si realizza quel modello perché si tradisce quel modello, ma perché, di fatto, si
verificano delle condizioni di vita che rendono irrealizzabile la messa a fuoco di
quell’analogia.
Quindi, è bene avere il modello, l’ideale davanti però bisogna avere la consapevolezza che
la natura umana è finita; la responsabilità delle persone è una responsabilità sulla quale
gravano tante condizioni e circostanze di vita che quello può essere preso solo come
ideale di riferimento. Non si può dare una colpa assoluta alle persone nel momento in cui
non riescono a realizzare nella loro vita questa analogia.
In sostanza oggi, si è consapevoli che questo rimando biblico è un riferimento che tiene
più conto della limitatezza della natura umana e di come è difficile una realizzazione di
questo genere. Molto spesso, dice l’Amoris Laetitia, ciò non si può realizzare anche senza
colpa delle stesse persone. porre un modello davanti e dire a tutti i costi tu lo devi
realizzare vuol dire che, nel momento in cui tu non l’hai realizzato hai fallito. E questo dice
Amoris Laetitia che non è giusto; la difficoltà di quell’ideale è chiaro a tutti.
Tuttavia è questa l’immagine che ci rimanda il dato scritturistico: un matrimonio che viene
visto come il rapporto tra Cristo e la Chiesa, la indissolubilità del matrimonio, legata anche
alla legge del divorzio e al superamento che Cristo fa della legge mosaica circa il ripudio
(«Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli;
all’inizio però non fu così» Mt 19,8). Il divorzio, quindi, non rientra nel piano di Dio, ma è

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stato concesso agli uomini insieme a tutta una serie di possibilità di scioglimento del
matrimonio sempre all’interno dello stesso dato biblico.
Quando parleremo del privilegio paolino o dello scioglimento del matrimonio in favore
della fede ritorneremo al dato scritturistico, cioè la possibilità di ritenersi sciolti dal
proprio vincolo matrimoniale in ragione della difficoltà di poter condividere la stessa fede
con il proprio coniuge. San Paolo parla di questa possibilità di potersi ritenere sciolti dal
vincolo matrimoniale per il privilegio della fede, in ragione della conversione al
cattolicesimo che una delle due parti pone in essere.
Ma dicevamo che il matrimonio ha avuto una evoluzione di carattere storico. In realtà il
Diritto Canonico fonda ancora la propria dottrina matrimoniale sul principio di derivazione
romanistica, del Diritto Romano, in base al quale il consenso realizza le nozze, il consenso
fa il matrimonio. Quindi, la base del matrimonio è il consenso fra le parti. Ma
naturalmente supera questa visione perché il Diritto Romano il consenso era un consenso
che era sempre revocabile. Nel momento in cui la parte, l’uomo in particolare, decideva
che quel vincolo non lo soddisfaceva più poteva recedere dal consenso e, di fatto,
ripudiare e procedere a nuove nozze. Quindi nel Diritto Romano finita l’affectio maritatis,
l’affetto tra gli sposi, finiva anche il matrimonio. la novità del Diritto Canonico che segue
alla legislazione ecclesiale è che questo consenso è irrevocabile. Cioè una volta
validamente prestato non può essere più revocato dalla volontà dei singoli soggetti.
Il periodo medievale vede l’affermazione nella dottrina della chiesa del matrimonio come
uno dei sette sacramenti. Già il Concilio Laterano II nel 1139, o il Concilio di Lione
parleranno a lungo del matrimonio in modo particolare con il Laterano IV nel 1235 si
andrà a definire un carattere giuridico fondamentale del matrimonio che è: la forma
obbligatoria. Cioè per celebrare un matrimonio bisogna rispettare una data forma o
modalità. Bisogna rispettare alcuni contenuti nei quali il consenso si deve andare a
esprimere. La forma era obbligatoria dal Laterano IV, ma non era un elemento richiesto
per la validità del matrimonio. ciò si avrà soltanto nel 1907 con il Decreto Ne tèmere, che
invece darà valore di validità alla forma canonica. L’ultimo passaggio importante sarà il
Concilio di Trento che indicherà il matrimonio definitivamente fra i sette sacramenti.
Quindi, il periodo medievale è ricco rispetto alla formazione della dottrina giuridica del
matrimonio canonico: la forma, il tema del matrimonio come sacramento, l’obbligatorietà
e poi la validità della forma canonica. Durante questo stesso periodo si andrà a
determinare quella visione che vedrà nel consenso il requisito essenziale del matrimonio.
Nello st4esso periodo medievale si andranno a scontrare due linee di pensiero rispetto al
tema del consenso e quindi del momento in cui il matrimonio diviene vincolante per le
parti. Da una parte c’era la scuola di Parigi che fondava l’effettività del matrimonio e
quindi la nascita del matrimonio sul consenso e dall’altra parte c’era la scuola di Bologna,
di impronta germanica, che, invece, fondava la validità del matrimonio sulla copula
coniugale; cioè solo la realizzazione dell’atto sessuale portava all’esistenza del
matrimonio. Pertanto non il consenso faceva il matrimonio, ma la copula. Questo era lo
scontro. Tuttavia noi già abbiamo evidenziato che il Diritto Canonico starà a favore del

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consenso irrevocabile come elemento fondante del matrimonio. Tuttavia la dottrina
canonistica fa sintesi tra queste due scuole di pensiero proprio durante il periodo del
medioevo.
Nel medioevo, quindi si afferma il principio fondamentale su cui si basa il matrimonio.
Quando nasce il matrimonio? Il matrimonio nasce con il consenso, perché dal consenso
nasce il vincolo matrimoniale. Quindi, è chiaro che dottrina canonistica nel periodo
medievale, facendo sintesi tra la scuola di Parigi e quella di Bologna, sceglierà la soluzione
offerta dalla scuola di Parigi, ma non lascerà del tutto fuori la dottrina copulatoria, cioè
l’importanza che la copula ha. Tanto che aggiungerà che se è vero che il consenso crea il
matrimonio questo consenso è irrevocabile solo dopo che ci sia stata la consumazione
matrimoniale e quindi la copula. In realtà c’è la fusione del pensiero della scuola di Parigi
con quello della scuola di Bologna. Il consenso fa le nozze e il matrimonio è pienamente
valido, pienamente realizzato quando gli sposi, oggi, si scambiano il consenso, tuttavia, è
perfezionato nell’ultimo grado e quindi nella irrevocabilità assoluta, soltanto nel
momento in cui si realizza fra gli sposi l’atto sessuale humano modo. Non basta, infatti,
una semplice copula, ma ci vuole un atto che sia fatto tra le persone humano modo, e il
Codice su questo darà poi delle spiegazioni importanti.
Voi avete sicuramente sentito parlare del matrimonio rato e non consumato. Perché è
possibile sciogliere un matrimonio rato e non consumato? Noi sappiamo bene che se un
matrimonio è stato validamente celebrato tra due persone e quindi, è stato espresso un
valido consenso quel matrimonio non dovrebbe essere sciolto da alcuna autorità umana,
perché un matrimonio può essere dichiarato nullo solo sulla base di un vizio originario di
validità dello stesso da un tribunale ecclesiastico. Eppure esiste un caso all’interno della
Chiesa in cui un matrimonio rato, quindi valido a tutti gli effetti, può esse comunque
sciolto per autorità vicaria del Romano Pontefice, cioè direttamente dal Romano
Pontefice. Perché? Perché pur essendo pienamente valido e pur essendo stati
pienamente rispettati tutti i parametri della validità di quel matrimonio, il consenso che si
è prodotto non è definitivo in grado assoluto in quanto al consenso non è poi seguita la
copula coniugale, cioè non si è realizzato l’atto sessuale tra le persone. Bisognerà capire
perché, poi, tale atto non si è realizzato: può essere colpa dell’uomo, della donna, del
tempo trascorso dal matrimonio (una cosa è dichiarare la non consumazione dopo pochi
di matrimonio altra cosa dichiararla dopo anni; il primo caso risulta essere una prova più
attendibile della non consumazione in ambito processuale). La prova principe in questi
casi era la prova fisica dell’integrità della donna (oggi tale prova è sempre più
problematica perché la verginità prematrimoniale non è più un valore. Oggi si va
soprattutto alla ricerca di prove di natura psicologica o di impotenza del soggetto).
Importanti sono gli scritti di San Tommaso d’Aquino che parla all’interno del matrimonio
degli sposi come ministri del matrimonio, tanto che ancora noi diciamo che tra i sette
sacramenti l’unico in cui il ministro è un laico è appunto, il sacramento del matrimonio.
non a caso il sacerdote si definisce come assistente alla celebrazione matrimoniale, cioè

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colui che riceve il consenso e lo presenta a Dio perché su quel matrimonio giungano gli
effetti di grazia che il sacramento porta con sé.
La realizzazione della copula coniugale non è soltanto la potenza e quindi l’erezione da
parte maschile, ma è anche la eiaculazione finale in vagina, oppure l’introduzione del
membro in vagina che comporta tutta una serie di problematiche di impotenza femminile
che possono essere anche particolarmente gravose. In questo non c’è solo il lato fisico;
c’è anche il lato psicologico. La prova psicologica è particolarmente problematica perché
affonda nella più profonda intimità della persona. Un altro tema riguarda il verum seme,
cioè il seme che entra in vagina deve essere un seme capace di fecondare la donna per
realizzarsi la copula o non è necessario? Naturalmente non è necessario, basta che il
processo sia chiuso. È l’impotentia generandi che non tocca la validità del matrimonio. Per
quanto riguarda la mancata eiaculazione in vagina (coito interrotto) ci sono tanti metodi.
Se due persone per i primi anni di matrimonio utilizzano questo strumento, che pertanto
non realizza mai l’eiaculazione in vagina (il che può avvenire anche attraverso l’utilizzo di
un preservativo) vogliono vedersi annullato il matrimonio, tecnicamente si tratta di un
matrimonio rato e non consumato, però la Congregazione per la disciplina dei Sacramenti
è intervenuta (già dagli anni ’30) a chiarire che: si presume che anche questa
consumazione è comunque valida. Quindi, la Congregazione lascia il principio per cui la
consumazione è perfetta solo quando c’è l’eiaculazione in vagina, e assume quello per cui
anche il coito interrotto e altri strumenti che impediscono questo, non rendono invalido
l’atto e quindi la consumazione dello stesso. La volontà di evitare il concepimento non è,
quindi, ragione per definire il matrimonio rato e non consumato.
Il Codice del 1917 ribadisce questi concetti del diritto medievale e fa la distinzione tra i fini
del matrimonio. Ci sono fini primari e fini secondari del matrimonio. fine primario del
matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; fine secondario del matrimonio
è il remedium concupiscientiae (appagamento della concupiscenza); si tratta di un
rimedio di impronta biblica, lo scrive San Paolo: «ma se non sanno dominarsi, si sposino: è
meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor 7,9). Quindi il matrimonio nasce anche per risolvere
la concupiscenza della carne.
Questo è legato (introducendo poi una giurisprudenza dei tribunali ecclesiastici che è
tutta improntata a una visione biologista e materialista del matrimonio) al fatto che il
matrimonio viene celebrato per realizzare l’atto sessuale affinché questo atto venga
finalizzato alla prole. Non a caso non vi era la distinzione che abbiamo adesso tra
incapacitas generandi e incapacitas coeundi, cioè incapacità di realizzare l’atto sessuale e
la sterilità ma quando i figli non arrivavano dal matrimonio essendo il fine primario del
matrimonio, questo poteva essere dichiarato nullo. Quindi questa visione biologista e
materialista del matrimonio legava il matrimonio alla procreazione e nel momento in cui
la procreazione non c’era poteva anche aversi la dichiarazione di nullità del matrimonio in
ragione del fatto che non si era realizzato il fine primario del matrimonio. Tale visione
viene completamente ribaltata con la visione personalista del matrimonio e dell’amore
coniugale che ci viene dal Concilio Ecumenico Vaticano II, in modo particolare dal n. 48

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della GS, che parla del matrimonio e dell’amore coniugale, nella quale si chiarisce bene
che il matrimonio non si celebra solo per la procreazione e l’educazione della prole, ma il
matrimonio si celebra innanzitutto per attuare una finalità più alta, direi primaria rispetto
a questa (anche se non si utilizza più la distinzione tra fini primari e fini secondari) che è il
bene dei coniugi, ossia la realizzazione della propria vocazione personale di vita.
Chi si sposa ha deciso, tra le varie vocazioni di vita attraverso le quali realizzare il proprio
stare nel mondo e nella Chiesa, di scegliere il matrimonio. il matrimonio. Quindi, nasce
innanzitutto per realizzare quell’uomo e quella donna vicendevolmente. I figli sono un
dono che nel matrimonio possono esserci come possono non esserci e la famiglia non
nasce dalla procreazione, ma dalla celebrazione del matrimonio. l’uomo e la donna sono
già famiglia a prescindere dalla procreazione che potrà venire o non venire; non però, in
base alla mia volontà, perché lì ci può essere la nullità del matrimonio, se io
positivamente escludo i figli volendo stare solo con il marito o la moglie, ma io devo
essere sempre aperto al volere di Dio rispetto alla prole, se questa arriva o non arriva, il
matrimonio, comunque non potrà essere tacciato di nullità. Tanto che oggi la visione
moderna del matrimonio e la visione del Codice di Diritto Canonico parla proprio del bene
dei coniugi come finalità specifica del matrimonio canonico: ci si sposa innanzitutto e
soprattutto per realizzarsi come uomo e come donna ognuno attraverso l’altro. non a
caso la responsabilità della realizzazione matrimoniale della coppia è nella piena
responsabilità della formula, perché quando nella formula matrimoniale si dice “io
accolgo te”, questa accoglienza pone in capo allo sposo e alla sposa la responsabilità della
realizzazione della vocazione matrimoniale dell’altro. Infatti il bene dei coniugi non è la
mia realizzazione come marito grazie a me, ma è la mia realizzazione di marito grazie
all’impegno che mia moglie ha preso di realizzarmi come marito. E viceversa si può dire
del marito verso la moglie. Questo porta alla nuova formulazione del Codice di Diritto
Canonico che oggi utilizza, anche per rendere più palese questo cambiamento di visione
dalla visione biologista a quella personalista, anche nella terminologia per parlare del
matrimonio l’impronta personalista.
Personalista non vuol dire egoista, ma vuol dire valorizzazione dell’uomo e della donna in
quanto tali. Per esempio, nel Codice il matrimonio viene non solo definito con la
terminologia latina di matrimonium, ma come consortium totius vitae, come consorzio,
relazione di tutta la vita. Consorzio sta a significare due persone che condividono la stessa
sorte. Il Codice ci parla ancora del matrimonio come foedus, ossia patto e in questo
termine c’è anche il rimando al fatto biblica dell’antica e nuova Alleanza. Tuttavia, nel
Codice non si parla, a proposito del matrimonio, mai di amor. La parola “amore” non c’è
nel Codice in riferimento al matrimonio. il Concilio Ecumenico Vaticano II ci dirà che il
matrimonio si fonda non solo sulla prole, ma si fonda innanzitutto e soprattutto
sull’amore coniugale che è la realtà attraverso la quale si realizza quel bene dei coniugi
che è la finalità fondamentale del matrimonio. Allora, se il matrimonio è fondato
sull’amore perché il Codice non parla di amore, non mette l’amore tra gli elementi che
sono fondanti della realtà matrimoniale? L’amore è un sentimento e non una categoria
giuridica e il Codice non avrebbe mai potuto usare l’espressione amore perché l’amore è

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un sentimento e come tale è volubile, può modificarsi nel corso del tempo. Vediamo
nell’ambito civile una concezione del genere che porta a dire “io sto con mio marito
finché lo amo”, quali conseguenze ha determinato. Se il matrimonio, anche per la Chiesa,
si fosse fondato sull’amore, secondo la visione dell’amore come sentimento, noi saremmo
arrivati al punto, anche nella Chiesa, di dire: quando finisce l’amore il matrimonio è finito.
Ma questo non è vero. L’unico termine che il Codice avrebbe potuto utilizzare era quello
conciliare “amore coniugale” che significa tutt’altro rispetto all’amore. Però proprio per
non correre il rischio di un’interpretazione che avrebbe poi portato a snaturare la visione
che GS dà dell’amore coniugale si è preferito non utilizzarlo.
Qual è la differenza tra amore e amore coniugale? È proprio la differenza tra un
matrimonio come lo intende il mondo e un matrimonio come lo intende la Chiesa. In
quella parola “coniugale” c’è la differenza fondamentale fra un matrimonio e il
matrimonio. cosa c’è nella coniugalità? C’è proprio quel bonum coniugum (bene dei
coniugi) a cui abbiamo fatto riferimento precedentemente. In realtà non c’è nel Codice
l’espressione “amore”, ma quando esso parla di bonum coniugum, di fatto tale
espressione è, per molti studiosi, la categoria giuridica che serve a dire “amore
coniugale”. Il bomun coniugum, abbiamo detto, è la realizzazione dell’altro attraverso la
mia responsabilità ed è quanto di più lontano dalla visione dell’amore individualistico,
egoistico che oggi noi conosciamo. L’amore è, soprattutto, lo sforzo, la responsabilità di
realizzare l’altro. il codice quindi non utilizza la parola amore per paura che fosse
interpretata al modo del mondo, con uno svilimento della realtà matrimoniale nella
dottrina della Chiesa, però utilizza una nuova espressione che è bonum coniugum che sta
in luogo dell’espressione amore coniugale.
Quindi il Codice parla di consortium, di foedus, di bonum coniugum, ma non parla di
amore.
Risposta alla domanda se ciò che accade nel matrimonio in itinere può essere causa di
nullità. Tutto ciò che è in itinere non tocca la validità del vincolo matrimoniale. Il
matrimonio come realtà giuridica è un contratto, oltre che essere un sacramento, e quindi
la invalidità del matrimonio tocca il momento generico della nascita del contratto, del
matrimonio stesso. Tutto ciò che riguarda la validità del matrimonio sta prima e
contemporaneamente alla celebrazione del matrimonio. tutti quelli che sono i vizi che
possono determinare la nullità del matrimonio stanno all’inizio della nascita di quella
unione coniugale. Tutto ciò che c’è dopo, se non è collegato al prima, è responsabilità
morale dei coniugi che non sono riusciti a realizzare quel progetto di cui avevano
pienamente consapevolezza, che avevano pienamente assunto nella loro volontà e che
per motivazioni inerenti alla propria responsabilità morale non sono riusciti a realizzare;
perché non sono riusciti a realizzare un vero e proprio consorzio, una comune sorte nella
quale impegnarsi. Ora se questo è frutto di una incapacità seguente a una valida
celebrazione del matrimonio non c’è nullità; se questo è riconducibile a un momento
antecedente alla celebrazione del matrimonio in questo caso, forse, si può parlare di

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nullità del matrimonio, perché la nullità del matrimonio sta prima, durante e anche dopo
la celebrazione del matrimonio, non sta mai solo dopo.
Esempi: due persone che vengono a dire che si sono separati perché non andavano più
d’accordo, perché la moglie ha trovato il marito con l’amante e vuole la nullità del
matrimonio. e dov’è il vizio originario del matrimonio? Ora, se si dimostrerà in giudizio
che lo sposo o la sposa erano degli infedeli cronici e che quindi già prima delle nozze lui
aveva altre relazioni e quindi la signora lo ha semplicemente scoperto dopo il matrimonio
comprendete già, rispetto a chi è stata tradita dopo il matrimonio e chi invece, aveva già
iniziato prima del matrimonio c’è una bella differenza, perché vuol dire che, nel secondo
caso non c’era proprio consapevolezza e volontà di accettare la fedeltà coniugale. Nel
primo caso invece, quella volontà c’era ma uno dei due è stato incapace di tener fede a
quell’impegno per vari motivi.
Anche in caso di violenza domestica, ad esempio il marito che picchia la moglie, se questo
avviene dopo il matrimonio bisogna comprendere in quella persona cosa c’è. Non è raro il
caso che una situazione del genere possa avere il fondamento in una personalità
psicologicamente abnorme e quindi incapace di assumere gli obblighi matrimoniali e di
conseguenza di realizzare il bonum coniugum (uno che arriva a picchiare la moglie non sta
agendo in vista di tale principio). Non si può dire a priori se ci sia nullità o meno del
matrimonio; bisogna vedere il caso specifico.
Questa visione personalista del matrimonio passa nel nuovo Codice di Diritto Canonico
del 1983 non solo attraverso questa nuova organizzazione dei fini matrimoniali (abbiamo
detto sostanzialmente che non esiste più una gerarchia dei fini matrimoniali) per cui il
Codice parla indistintamente del matrimonio che si contrae per realizzare il bene dei
coniugi, la procreazione e l’educazione della prole. Di questi fini non ce n’è uno più
importante di un altro. la visione personalista passa, inoltre, per una migliore
preparazione al matrimonio (che comunque è sempre pochissima cosa). Se guardiamo il
problema dal punto di vista vocazionale è abbastanza strano che per diventare sacerdote,
religioso/a si debbano affrontare vari anni di studio e di discernimento mentre per
prepararsi al matrimonio sono sufficienti solo pochi incontri. Il Codice in effetti aveva una
visione più ampia che era quella di una attenzione al matrimonio che parte dalla famiglia,
che passa attraverso la parrocchia, che passa attraverso percorsi per i giovani e che arriva
al momento della preparazione prossima al matrimonio attraverso 10 incontri di
perfezionamento di indirizzo che io voglio prendere nella mia vita (che tra l’altro non sono
neanche obbligatori). Quando il Papa, con un’espressione forte, dice che il 90% dei
matrimoni sono nulli sta bacchettando tutti noi perché, ciascuno per la propria parte,
nessuno svolge il proprio ruolo nella pastorale matrimoniale. Qual è l’altro rischio il fatto
di irrigidire le cose per cui nessuno si sposa più? Un catecumenato di preparazione al
matrimonio di due o tre anni sicuramente auspicabile per il bene futuro delle coppie
potrebbe sortire l’effetto contrario di demotivare le coppie a sposarsi in Chiesa.
Oggi il Papa parla di un catecumenato matrimoniale, cioè della necessità di un
approfondimento verso il cammino matrimoniale. Un’altra novità del Codice del 1983 è

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quella di celebrare i matrimoni misti, cioè la possibilità di celebrare matrimoni tra un
cattolico e u cristiano non cattolico. Il matrimonio è costituito da due realtà: abbiamo il
matrimonio in fieri e il matrimonio in facto esse. Ogni matrimonio è in fieri e in facto
esse. Il matrimonio in fieri è l’atto con cui l’uomo e la donna manifestano l’intenzione di
celebrare il matrimonio, cioè il momento in cui sorge il vincolo. Il matrimonio in fieri è il
momento in cui sorge il matrimonio ed è lì che si punterà l’attenzione per la validità o
l’invalidità del matrimonio. Poi abbiamo lo stato di vita permanente che si realizza dalla
celebrazione del matrimonio, cioè il matrimonio nel suo svolgersi: il matrimonio in facto
esse. Se voi ci pensate, la Chiesa guarda al matrimonio (penso da parte della dottrina
giuridica), soprattutto nella sua prima dimensione e così, ovviamente anche il Codice di
Diritto Canonico, se voi ci pensate, quel momento quanto dura nella vita di una coppia?
Un giorno. Ma cosa fa un matrimonio? Lo stato di vita permanente e quindi il matrimonio
in facto esse; eppure nel CDC non c’è un canone che parli dei diritti e doveri dei coniugi o
del bene dei figli, diritti e doveri dei figli, rapporti tra genitori e figli. Quel diritto che nel
Diritto Civile si chiama Diritto di Famiglia (tutti i diritti e doveri che nascono dal
matrimonio) è completamente assente nella normazione canonica. Il Diritto si occupa solo
di come nasce il matrimonio, ma di quello che nasce dal matrimonio non si interessa. Il
matrimonio in facto esse serve tuttalpiù come circostanza per dimostrare che una data
persona ha celebrato un matrimonio nullo (es. visto che tutte le volte che si è parlato di
figli ha detto che non li voleva e quando è rimasta in cinta ha fatto l’aborto lo utilizzo
come circostanza per presumere che escludeva la prole). In sintesi non esiste un Diritto di
Famiglia Canonico, eppure se ne parla tanto perché e lì che c’è la sostanza del
matrimonio. Pensate al dramma di una separazione che passa attraverso la causa di
nullità del matrimonio e i penosi interrogativi che si pongono i figli di fronte a
un’eventuale nullità (ma io di chi sono figlio se questo matrimonio è nullo?). In effetti
questi aspetti relativi alla famiglia andrebbero disciplinati anche dal CDC.
Can. 1055 - §1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la
comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e
educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di
sacramento.
§2. Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non
sia per ciò stesso sacramento.
Questo canone essendo all’inizio di un nuovo titolo, relativo al matrimonio, è un tipico
canone dogmatico, cioè fa riferimento anche a quella che è la realtà misterica del
matrimonio. non a caso lo si intende da subito attraverso l’espressione di matrimoniale
foedus, cioè il patto matrimoniale, che rimanda a quella visione teologica di riferimento
di cui abbiamo parlato: del patto dell’antica Alleanza tra Dio e il popolo d’Israele e del
patto della nuova Alleanza tra Cristo e la sua Chiesa. Quindi, nel parlare del matrimonio il
Codice utilizza innanzitutto la categoria teologica del patto proprio per richiamare il patto
biblico.

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Poi dice: con cui l’uomo e la donna…Sembra quasi assurdo che il Codice debba specificare
che l’uomo e la donna sono le parti del matrimonio. Il matrimonio con cui si stabilisce la
comunità di tutta la vita poteva anche bastare. Che senso ha dire ”l’uomo e la donna”? ha
il senso di chiarire la necessaria alterità sessuale che deve esistere all’interno del
matrimonio. tanto che dove non esista l’alterità sessuale non si può neanche parlare
dell’invalidità del matrimonio, ma si parla piuttosto di inesistenza del matrimonio. il
matrimonio esiste solo sulla base dell’alterità sessuale. Non è scontato questo perché
all’interno dei tribunali ecclesistici è capitato, sebbene molto raramente, di dover
pronunciare sentenze per inesistenza del matrimonio (perché si erano sposate in chiesa
due persone dello stesso sesso). In questo caso non celebrando un matrimonio nullo, ma
non celebrando proprio un matrimonio. Qui non siamo ancora a dire quali sono i caratteri
del matrimonio, quali sono le finalità; qui siamo proprio a dire che cos’è il matrimonio.
Cos’è il matrimonio in quanto istituzione, a prescindere da quello a cui serve e a quello a
cui tende. Quindi se non c’è quello per cui esiste l’istituto questi non deve proprio
esistere, non si realizza proprio. In conclusione dove manca l’alterità sessuale il
matrimonio non si realizza proprio.
Esempio: Il caso di due donne che sono arrivate al matrimonio in cui una delle due aveva
fatto tutto il percorso per il cambio di sesso: operazioni chirurgiche, iter burocratico civile
per il cambio di identità ecc. Il parroco li ha sposati in chiesa nonostante sapesse, dal
certificato di battesimo che erano entrambe donne. Non andando d’accordo (per
motivazioni di insoddisfazione sessuale) decidono di rivolgersi al tribunale ecclesiastico
per l’annullamento del matrimonio. Il tribunale dichiara nullo il matrimonio perché
giudica la donna-uomo impotente, non può avere un’erezione humano modo. L’effetto
che si è realizzato (la nullità) non è quello che si doveva realizzare, perché dire che un
matrimonio è nullo vuol dire che quel matrimonio che si poteva costituire nella sua
validità è intervenuto un elemento che ne ha determinato la nullità: l’impotenza. Però
dichiarare la nullità di un matrimonio vuol dire che quel matrimonio è nullo, ma di
principio quelle due persone si sarebbero potute sposare se la donna-uomo fosse stata
potente humano modo. Ma questo è sbagliato perché, in realtà, su quel matrimonio
bisogna insistere non sull’effetto secondario, ma sulla causa primaria della nullità che è
l’inesistenza del matrimonio perché i due soggetti non si potevano proprio sposare
perché sono naturalmente dello stesso sesso.
N.B. La chiesa dichiara la nullità del matrimonio non istituisce la nullità del matrimonio. Se
tu che sei sposata hai un vizio nel tuo matrimonio, il tuo matrimonio è nullo anche senza
che tu lo sappia e lo voglia. Il tribunale dichiara che il tuo matrimonio è nullo ma non
istituisce la nullità del tuo matrimonio.
Ritornando all’alterità sessuale per fortuna che è stata inserita, per quanto scontato sia
questo riferimento all’uomo e la donna perché chi metterebbe in dubbio che per la
dottrina cattolica il matrimonio è solo quello tra un uomo e una donna. Il Codice lo cita e
proprio perché lo ha citato permette oggi, alla dottrina della giurisprudenza di venire
incontro anche a casi del genere. Nell’ambito giuridico, quindi, non esiste solo la nullità

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del matrimonio, ma esiste anche l’ipotesi di inesistenza del matrimonio; quindi, quando
manca l’alterità sessuale il matrimonio è inesistente.
Nel canone 1055 segue al patto e all’alterità sessuale, il tema del consortium totius vitae
(comunità di tutta la vita) e poi le finalità del matrimonio “per sua natura ordinata al bene
dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole”. Quindi, primo concetto
importante: quali sono le finalità del matrimonio? Il bene dei coniugi e la procreazione e
l’educazione della prole. Attenzione non solo la procreazione della prole, ma anche
l’educazione della prole. Questo è un tema poco studiato e poco approfondito anche dalla
giurisprudenza. Il matrimonio non viene dichiarato nullo solo quando le parti escludono
positivamente i figli dal matrimonio (prima del matrimonio), ma anche quando le parti
escludono positivamente l’educazione cristiana dei figli; cioè chi si sposa in chiesa e dice:
io voglio il matrimonio, voglio i figli, ma i miei figli saranno liberi di scegliere quale strada
seguire dal punto di vista religioso. Un questo modo sta negando l’educazione cristiana ai
figli, si sta riservando rispetto all’educazione cristiana dei figli e questo può essere un
motivo di nullità del matrimonio perché il Codice è specifico nel dire che non basta solo
generare i figli, ma è finalità del matrimonio anche educarli nella fede cristiana.
Quanto al bene dei coniugi abbiamo già detto che questa finalità nasce dalla visione
personalista del matrimonio e che è di fatto la lettura giuridica dell’amore coniugale come
inteso da GS 48. Non esiste più una gerarchia dei fini (non ci sono più un fine primario e
un fine secondario) poiché essi sono tutti sullo stesso piano.
Questo matrimonio è stato elevato da Cristo a sacramento. Questa chiusura ci dice più
cose. Innanzitutto ci dice che la realtà matrimoniale non è una realtà che nasce
confessionale: quando il Codice dice che il matrimonio è stato elevato da Cristo alla
dignità di sacramento vuol dire che Cristo eleva qualcosa che, evidentemente, già
esisteva, cioè prende la realtà matrimoniale, che esisteva anche prima di Lui, e da realtà
umana, naturale la eleva a sacramento. Anche nel matrimonio che si celebra civilmente è
un matrimonio che dal punto di vista del consenso è valido non si realizza, però, il
sacramento. Ciò significa che il consenso basta alla celebrazione del matrimonio, infatti
quel matrimonio celebrato anche civilmente, il consenso espresso, è un consenso
naturalmente sufficiente a realizzare l’atto matrimoniale. Nella celebrazione ecclesiale noi
realizziamo il matrimonio che Cristo sacramentalizza. Quando oggi il Papa dice che
dobbiamo fare molta attenzione a come trattiamo gli sposati civilmente; dobbiamo
integrare nelle nostre comunità gli sposati civilmente (non parliamo dei divorziati
risposati) perché anche loro hanno espresso un consenso valido a tutti gli effetti.
Naturalmente non sta parlando di un consenso che dà vita al matrimonio sacramento, sta
parlando di un consenso che dà vita a un vincolo da cui nascono degli impegni, delle
responsabilità, perché il matrimonio è matrimonio sulla base del consenso. Esistono più
matrimoni ma quello che si realizza attraverso la celebrazione canonica è il sacramento
del matrimonio.
La seconda cosa che ci dice e che questa dignità di sacramento si realizza solo quando il
matrimonio è tra battezzati. Quindi, esiste un a differenza tra matrimonio sacramentale e

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matrimonio non sacramentale, per cui non solo non si realizza il sacramento quando il
matrimonio è celebrato civilmente, ma anche nell’ambito della celebrazione religiosa,
canonica del matrimonio, il matrimonio è sacramento solo quando è tra battezzati. Non a
caso il Codice non dice tra cattolici, quindi, allarga la dimensione della sacramentalità
matrimoniale. Anche il matrimonio misto è un matrimonio sacramentale, ma anche di
più: così come non esiste battesimo se non battesimo della Chiesa cattolica e anche un
battesimo celebrato in una fede diversa dalla cattolica, ma pur sempre cristiana, è
battesimo celebrato nella Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, così un
matrimonio celebrato tra due fedeli cristiani non cattolici è un sacramento. Questo
principio si applica a tutti i battezzati; i matrimoni tra battezzati sono sempre sacramento.
Non a caso se due ortodossi entrano nella piena comunione con la Chiesa cattolica e non
c’è un qualsiasi altro vizio di nullità di matrimonio, tale matrimonio è già sacramento per il
fatto che ogni matrimonio tra battezzati è stato elevato da Cristo alla dignità di
sacramento. Poi, per le questioni interne dei rapporti tra i cristiani questo non viene
riconosciuto da alcune confessioni, ma questo non toglie la sostanza del riconoscimento
che Cristo ha fatto una volta e per tutte della realtà naturale come sacramento quando
celebrato tra battezzati. Naturalmente nel caso di un matrimonio tra due fedeli di una
determinata fede in cui uno dei due non riconosce assolutamente l’indissolubilità del
matrimonio lì il problema non è il fatto che non si dà il sacramento; il problema è che non
si riconosce una proprietà essenziale del matrimonio, tanto che quel matrimonio può
essere dichiarato nullo. Il tribunale ecclesiastico è competente non solo a conoscere i
matrimoni dei cattolici, o dei cattolici con un cristiano non cattolico, o dei cattolici con un
non battezzato, ma è chiamato a riconoscere la validità di tutti i matrimoni tra battezzati.
Esempio: proprio a me è capitato di fare una causa di due evangelici. Un evangelico aveva
un matrimonio precedentemente fallito alle spalle, celebrato nella fede evangelica.
Lasciata questa donna si è fidanzato con una cattolica. I due avrebbero voluto celebrare il
matrimonio religioso cattolico nella forma del matrimonio misto. Un parroco dà la
disponibilità a sposarli, ritenendo il precedente matrimonio evangelico dell’uomo
ininfluente per l’ambito cattolico. I futuri sposi, quindi, vanno a consegnare i documenti in
curia. Valutando la documentazione emerge che i due non avrebbero potuto sposarsi in
chiesa perché se ogni matrimonio fra cristiani è sacramento quel matrimonio tra due
protestanti era sacramento e quindi non si poteva non tener conto di questo elemento. E
visto che il tribunale ecclesiastico è competente a conoscere di ogni nullità matrimoniale,
quando il matrimonio è celebrato almeno con un battezzato cattolico, e in questo caso
erano entrambi battezzati anche se in una fede diversa, il tribunale ecclesiastico aveva
tutta la competenza di vedere questo matrimonio. l’uomo in questione non era libero
perché il suo precedente matrimonio era un matrimonio sacramentale a tutti gli effetti.
Soprattutto, volendo adesso celebrare un matrimonio nella fede cattolica, secondo il rito
del matrimonio misto, quando era stato richiesto il certificato dello stato libero della
persona ed era stato prodotto il divorzio del soggetto quello non bastava perché si riferiva
allo stato libero civile, ma non individuava lo stato libero religioso del soggetto, il quale
risultava essere stato sposato con una determinata donna in un rito certamente

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protestante, ma che comunque essendo un matrimonio tra due battezzati era
sacramento. Il sacramento poteva essere dichiarato nullo solo nel momento in cui ci fosse
stato un vizio di nullità di quel matrimonio. Quindi prima si vede se c’è la nullità di quel
matrimonio, la persona acquisisce lo stato libero canonico che in questo momento non
ha, l’altra persona cattolica è libera perché non si è mai sposata, si potranno sposare nella
forma del matrimonio misto. Ma al momento questo soggetto protestante è libero
civilmente, ma non è libero canonicamente perché ha celebrato un matrimonio nella fede
protestante che è pur sempre ritenuto un sacramento dalla Chiesa cattolica. In
conclusione si è dovuto procedere ad istituire la causa di nullità di matrimonio in cui il
precedente matrimonio è stato dichiarato nullo sulla base che nel matrimonio
protestante non è contemplata la proprietà dell’indissolubilità del matrimonio e quindi
c’era un vizio che ne determinava la nullità (entrambi non credevano nell’indissolubilità
del matrimonio).
Il paragrafo 2 del 1055 aggiunge alla dimensione del patto matrimoniale e al valore
prettamente teologico che il patto ha, la dimensione del contratto. Infatti dice: Pertanto
tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò
stesso sacramento; e qui l’ulteriore risposta all’evangelico dell’esempio precedente.
Naturalmente quando il Codice parla di contratto utilizza un’espressione in senso atipico
rispetto ai contratti come noi li conosciamo. È chiaro che il Codice per far comprendere
questa natura giuridica del matrimonio deve utilizzare la parola “contratto”. Se il Codice
avesse solamente fatto riferimento al “patto” o al consortium avremmo anche potuto
ritenere che trattandosi di un codice del Diritto Canonico che la riduzione giuridica fosse
secondaria, residuale rispetto alla materia matrimoniale. Il Codice definisce con
terminologia teologica il matrimonio, ma subito dopo, nel paragrafo secondo, chiarisce la
dimensione giuridica di questo atto che è un contratto. Utilizzare la parola “contratto”
significa rimettere la categoria del matrimonio dal piano teologico al piano del negozio
giuridico, al piano dei rapporti fra persone. naturalmente è un contratto sui generis
perché è un contratto che ha un oggetto che è già stabilito (non è che si può decidere
cosa si vuole mettere nel matrimonio): il matrimonio è quello della Chiesa, tu scegli di
celebrarlo e quindi devi accettare l’oggetto di quel matrimonio e cioè il bene dei coniugi,
la procreazione e l’educazione della prole, l’unità, l’indissolubilità. In altri tipi di contratto
si possono stabilire le condizioni tra i contraenti ma non è così nel caso del contratto
matrimoniale. Questo è strano per un contratto perché essendo negozio privatistico (il
matrimonio religioso lo è?) si dovrebbe anche arrivare a stabilire i termini dell’accordo;
nel matrimonio non è così.
Così come il matrimonio non ha la clausola di recesso dopo un certo numero di giorni per
cui se dopo un tot. di giorni non si è soddisfatti del prodotto lo si rimanda indietro. Il
matrimonio secondo l’ordinamento della Chiesa in realtà non è un negozio privato perché
qual è la prima cosa sulla quale si litiga una volta che si è deciso di sposarsi? Sugli invitati.
Chi invitare, quanta gente, i testimoni ecc. in realtà il matrimonio non viene vissuto come
una realtà privata perché il voler comunicare la gioia e la bellezza di questo momento lo
vogliamo condividere con le persone. questo ci fa capire che noi non diamo una

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dimensione privatistica al matrimonio. e questo lo faceva ben capire anche la legislazione
italiana, prima di questa sciagurata riforma sul divorzio e sulla separazione, nel momento
in cui richiedeva che per formalizzare la separazione si deve andare davanti al Presidente
del Tribunale, cioè l’autorità più grande, appunto perché si dava rilevanza al bene sociale
del matrimonio. Oggi che il matrimonio, la separazione e il divorzio si possono fare
davanti all’Ufficiale di Stato Civile (un impiegato del Comune) la rilevanza sociale del
matrimonio risulta essere gravemente svilita mentre in precedenza il Presidente del
Tribunale chiedeva le motivazioni della scelta e cercava una possibile conciliazione tra le
parti. Questa è stata la riduzione privatistica definitiva del matrimonio civile. Quando
abbiamo messo lo scioglimento dell’unione in mano all’Ufficiale di Stato Civile, l’abbiamo
messo in mano all’ultima dimensione della macchina civile del nostro Stato. Il matrimonio
nella prospettiva civilistica è un fatto totalmente privato. Nella dimensione naturale del
matrimonio che si è conservata nell’ambito del Diritto Canonico invece il matrimonio non
ha una dimensione privatistica ma pubblica perché aggiunge qualcosa alla società; quindi,
non è un fatto solo fra i soggetti, ma è un fatto che coinvolge la società in cui quella
relazione matrimoniale si andrà a dispiegare.
Questa definizione di contratto che ci rimanda alla realtà giuridica del matrimonio è però
una definizione di contratto sui generis e quindi, ha degli elementi particolari e diversi
rispetto a quelli che sarebbero gli elementi ordinari di qualsiasi contratto.
Il canone 1056 parla delle proprietà essenziali del matrimonio.
Can 1056. Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel
matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento.
L’unità e l’indissolubilità sono le proprietà essenziali del matrimonio. in questo senso il
Codice è uguale rispetto a quanto già stabilito nel Codice del 1917. L’unità significa
l’unicità e l’esclusività del matrimonio: un solo matrimonio, un matrimonio con una sola
persona. Unità significa due cose: unità non è solo fedeltà è anche unicità del matrimonio,
un solo matrimonio. Il che vuol dire che non è ammessa la poliandria o la poligamia, cioè
il matrimonio contemporaneo con più uomini o con più donne. Questo è un versante
dell’unità. L’altro versante dell’unità è unità intesa come fedeltà, cioè l’esclusività di
rapporto con una sola persona. L’indissolubilità, invece, è di fatto l’unità matrimoniale
vista nel tempo, cioè la perpetuità di questo vincolo che non può essere sciolto da
nessuna autorità e soprattutto non può essere sciolto attraverso lo strumento del
divorzio. Quindi unità intesa come unicità ed esclusività e indissolubilità intesa come
perpetuità del vincolo e non detrimento attraverso il divorzio.
Le proprietà essenziali dell’unità e indissolubilità rimandano alla dottrina dei tria bona di
Sant’Agostino, i tre beni del matrimonio:
1. Bonum prolis;
2. Bonum fidei;
3. Bonum sacramentum

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Diceva San Tommaso che il matrimonio nasce per realizzare queste tre cose buone: i figli,
la fedeltà e l’indissolubilità (il sacramento). Oggi il Codice ha rivisitato, pur mantenendo
questa sostanza dei tria bona. Oggi si parla di quattro beni, infatti ai tre citati si aggiunge il
bene dei coniugi. L’insieme di queste caratteristiche del matrimonio, finalità e proprietà
abbiamo poi tutta quanta la dottrina di San Tommaso sui bei del matrimonio (bona
matrimonialia). Unità e indissolubilità non sono caratteristiche del matrimonio canonico,
ma sono nell’ordine naturale del matrimonio. non a caso il Codice non oggettivizza il
matrimonio come matrimonio cristiano. Rileggendo il canone si capisce che quelle
proprietà sono proprie del matrimonio in generale e sono particolarmente stringenti nel
matrimonio cristiano in ragione della dignità sacramentale data da Cristo. Quindi, quando
si dice che la Chiesa difende l’indissolubilità del matrimonio perché difende un principio
religioso, ciò non è assolutamente vero. La Chiesa difende innanzitutto un principio
naturale che insiste sul matrimonio. La stessa cosa si può dire della fedeltà. Unità e
indissolubilità sono proprietà naturali e non confessionali del matrimonio. La
confessionalità dà una maggiore stabilità a queste proprietà, ma non le istituisce, non le
determina (sono determinate dalla natura).
Abbiamo già detto che l’indissolubilità, in grado ultimo, si realizza in un momento
successivo alla celebrazione del matrimonio. Esiste il matrimonio ratum, che è il
matrimonio unico e indissolubile intrinsecamente e, quindi, entrambe le proprietà sono
già stabilite all0interno di questo matrimonio celebrato; ed esiste il matrimonio unico e
indissolubile, nel grado assoluto anche detto estrinseco, che è il matrimonio rato e
consumato, perché l’indissolubilità, in grado assoluto, si realizza solo dopo la
consumazione matrimoniale. Quindi, esiste una distinzione tra matrimonio rato, unico e
indissolubile intrinsecamente, e matrimonio rato e consumato, unico e indissolubile in
grado assoluto o estrinseco (cioè anche nei confronti degli altri, nessuno più potrà
richiederne lo scioglimento).
Il canone 1057 è il cuore di quanto inerisce agli elementi per validità della celebrazione
del matrimonio canonico. Esso ci parla dell’atto che costituisce il matrimonio e, insieme a
questo, ci indica tutti gli elementi necessari alla valida celebrazione di un matrimonio.
quindi il canone 1057 fissa quelli che sono g.li elementi per la validità del matrimonio. non
a caso è su uno di questi elementi che si andrà a puntare l’attenzione nel momento in cui
si voglia procedere con una verifica sulla validità o meno di un matrimonio canonico.
Can. 1057 - §1. L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato
legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna
potestà umana.
§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto
irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.
Il consenso è l’atto della volontà attraverso cui il matrimonio transit da non esse ad esse, il
matrimonio dal non essere è. Solo tramite l’atto del consenso, che è un atto specifico
della volontà. Questo consenso che fa il matrimonio, e che ne è quindi l’atto fondativo,

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non è l’unico requisito richiesto per la validità del matrimonio. è sicuramente il più
importante ma non è l’unico. Non a caso il canone 1057 specifica che tale consenso deve
essere dalle parti legittimamente manifestato tra persone giuridicamente abili. In queste
espressioni sono racchiusi gli altri due elementi necessari per determinare la validità del
matrimonio: la forma e l’abilità giuridica del soggetto. La forma ci dice il modo legittimo in
cui il consenso viene manifestato, l’abilità giuridica ci dice, appunto, che le persone che lo
hanno celebrato potevano celebrarlo, erano nelle condizioni di poterlo celebrare. Si tratta
di un canone molto importante poiché vi è racchiusa tutta la dottrina circa la validità del
matrimonio i cui elementi essenziali sono tre, nessuno dei quali deve mancare per la
valida celebrazione del matrimonio e sono: il consenso, l’abilità giuridica degli sposi e la
forma canonica. Di questi il consenso è sicuramente il più importante. Il can. 1057,
paragrafo 2, specificherà in meglio che cosa è in che cosa consiste il consenso
matrimoniale, però nel 1057 abbiamo già la lettura di quelli che, poi, saranno gli sviluppi
che il Codice farà dopo in tema di forma canonica e in tema di abilità giuridica degli sposi.
Consenso, forma canonica e abilità giuridica sono i tre elementi per la validità di un
matrimonio. Se il consenso matrimoniale non è dato nel debito modo e quindi, non è una
di queste cose che ora vi dirò, se la forma non è secondo quanto vuole la Chiesa, se i
soggetti che hanno celebrato il matrimonio erano impediti nel celebrarlo in modo
giuridicamente adatto questi sono, di fatto, le cause solite di nullità di un matrimonio,
cioè gli elementi che ne determinano la nullità. Positivamente il matrimonio deve essere
celebrato con un valido consenso, rispettando la forma canonica prevista dal Codice e tra
soggetti che siano giuridicamente abili a farlo.
Cos’è il consenso? È innanzitutto un atto della volontà, il che secondo la dottrina sulla
volontà di San Tommaso, ci dice che la volontà si determina a seguito di un giudizio, a
seguito di una valutazione che quella cosa viene ritenuta buona per se stessa in ordine al
matrimonio e pertanto si determina la volontà positivamente nello scegliere quel
matrimonio. Questa scelta della volontà in positivo ci dovrà poi essere in negativo quando
noi vorremo escludere qualcosa dal matrimonio celebrando, appunto un matrimonio
nullo. Che cos’è un matrimonio celebrato non validamente attraverso l’esclusione
dell’indissolubilità matrimoniale? Un matrimonio in cui la positività dell’atto si va a legare
non al matrimonio così come lo vuole la Chiesa ma al matrimonio così come lo voglio io
privo di una sua proprietà essenziale: l’indissolubilità. Perché è nullo un matrimonio
quando la mia volontà è determinata a non volere figli? È un matrimonio in cui un atto
positivo sul consenso non si determina in maniera conforme all’insegnamento della
Chiesa, ma in maniera conforme alla mia personale volontà, che non si incontra con la
volontà del Creatore sul matrimonio: il matrimonio io lo voglio, ma lo voglio meno questo
o quest’altro. Abbiamo già detto che noi non siamo nelle condizioni di poter scegliere
cosa vogliamo o non vogliamo dal matrimonio canonico. Il matrimonio canonico della
Chiesa è quello e chi vuole celebrare un matrimonio secondo la dottrina della Chiesa
accetta il matrimonio con le sue finalità, con le sue proprietà e accettando quelli che sono
gli impegni che dal matrimonio derivano.

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Il consenso è quest’atto della volontà con cui l’uomo e la donna non si scambiano un
qualcosa, ma si scambiano come qualcuno, cioè attraverso l’atto della volontà c’è la
traditio e acceptatio dei coniugi vicendevolmente. In questo scambio c’è proprio il
personalismo del Vaticano II che è all’interno del CDC, un personalismo che non è solo
attenzione alla persona, ma è assunzione della persona dell’altro nella sua completezza,
perché col matrimonio io do, trasferisco e l’altro accetta reciprocamente se stesso, cioè
l’altro viene accettato totalmente dall’altra, si assume la responsabilità, la condizione, la
vocazione dell’altro soggetto. Quindi l’oggetto del consenso è la persona dell’altro
coniuge. Questo è l’oggetto materiale del consenso; non una cosa (le fedi, o quant’altro).
Il consenso è l’oggetto del matrimonio la persona dell’altro coniuge è l’oggetto del
consenso. Come deve essere questo consenso, che caratteristiche deve avere?
Innanzitutto il consenso presuppone, per essere un atto della volontà, un atto
dell’intelletto, quindi, una scelta consapevole da parte del soggetto.
Il Codice nel momento in cui stabilisce nel paragrafo 1 del canone 1057 che non può
essere supplito da nessuna potestà umana ci fa comprendere che il consenso è un atto
personalissimo del soggetto. Quindi, è il soggetto che personalmente esprime il consenso
per celebrare il matrimonio. Qui un’opposizione la si potrebbe fare: quando potrebbe non
essere un atto personalissimo del soggetto? Ad esempio nel matrimonio per procura, cioè
il matrimonio dove un soggetto viene delegato a presentarsi al posto della persona
assente per celebrare il matrimonio. Il procuratore non fa altro che esprimere il consenso
del soggetto che lo ha investito della procura. Quindi, anche in questo caso si esprime il
consenso personalissimo del soggetto che gli ha dato la procura. Inoltre deve essere:

 libero,
 bilaterale, entrambi i soggetti devono esprimere un valido consenso matrimoniale
perché il matrimonio sia valido. Non basta che solo uno dei due esprima un valido
consenso. La nullità del matrimonio si determina anche quando anche un solo
soggetto non esprime un valido consenso),
 si deve manifestare legittimamente nelle modalità previste.
Il consenso, abbiamo detto, si collega ad altri due requisiti per la validità del matrimonio
la forma e l’abilità. Forma e abilità in qualche modo sono collegate al tema del consenso.
Quando diciamo che il consenso è il cuore della validità del matrimonio in realtà anche gli
altri due requisiti fanno riferimento al tema consenso perché la forma è il modo di
esprimere il consenso, cioè il consenso si deve esprimere in quella forma stabilita dalla
Chiesa. L’abilità è la possibilità di esprimerlo validamente non supplito da alcuna autorità
umana vuol dire proprio che nessun soggetto può frapporsi, può intromettersi al posto di
un altro ed esprimere un valido consenso.
Rispetto al Codice dei canoni delle chiese orientali bisogna notare che questo Codice
individua un ulteriore elemento per la validità del matrimonio; mentre il matrimonio
latino è celebrato validamente sulla base dei requisiti descritti (consenso, abilità e forma

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canonica), nel matrimonio nella chiesa cattolica orientale abbiamo in aggiunta la
benedizione.
Chi ha deciso di simulare il consenso matrimoniale quanto alla prole e quindi di voler
celebrare un matrimonio dal quale esclude i figli ha appunto, simulato il consenso. Colui
che è incapace di intendere e di volere difetta della possibilità di esprimere un valido
consenso matrimoniale. Colui che non era libero interiormente difetta di una capacità
critica di giudizio per poter esprimere un valido consenso matrimoniale. Colui che è stato
obbligato al matrimonio per timore, difettava della libertà necessaria per esprimere un
valido consenso matrimoniale. Colui che è caduto in errore sul matrimonio pensando di
celebrare il matrimonio con una data persona e poi se n’è trovata un’altra (non solo come
persona fisica, ma anche intesa come qualità della persona) ha espresso un invalido
consenso matrimoniale perché in quel momento la rappresentazione del soggetto che
aveva di fronte non era reale, era falsata (stratagemmi o arguzie dell’altra persona poste
in essere per dare un’immagine di sé completamente diversa dalla realtà). Se il ministro
non ha l’autorizzazione prevista alla celebrazione del matrimonio difetta il consenso
matrimoniale. Se due persone non hanno l’età stabilita difetta l’abilità giuridica dei
soggetti. Tutti i vizi del consenso, tutti i vizi matrimoniali in generale, anche inerenti alla
forma e all’abilità ruotano intorno a questi tre pilastri.
Il canone 1058 introduce proprio il tema dell’abilità giuridica dandoci il principio generale
circa l’abilità giuridica con la quale si contrae un matrimonio.
Can. 1058 - Tutti possono contrarre il matrimonio, se non ne hanno la proibizione dal
diritto.
Esiste, quindi, una presunzione di abilità in capo a tutti i soggetti, cioè tutti sono abili a
celebrare il matrimonio a meno che non ci sia una proibizione da parte del diritto. Una
applicazione del principio di legalità dell’ordinamento canonico, i termini, le possibilità, i
casi in cui un soggetto non è abile giuridicamente a celebrare un matrimonio non si
possono determinare per volontà generica, ma deve essere il diritto e, quindi, la legge,
che può essere naturale o umana (dipende dalle tipologie di temi a cui l’abilità si appiglia)
a determinarle. Quindi, è il diritto che stabilisce i casi in cui un soggetto non è
giuridicamente abile a celebrare un matrimonio. il diritto stabilisce 12 condizioni per cui;
queste vengono definite impedimenti matrimoniali. Esse vietano al soggetto la
celebrazione del matrimonio. Il soggetto non poter mai celebrare, oppure potrebbe
celebrarlo nel momento in cui l’impedimento viene risolto, perché ci sono alcuni
impedimenti che col tempo si possono risolvere; ad esempio l’impedimento dell’età:
quando una arriva all’età canonica prevista, naturalmente, l’impedimento di età non c’è
più. Altre tipologie di impedimento, invece, non si risolvono e quindi, quel soggetto in
quella determinata condizione non potrà mai celebrare un valido matrimonio.
Un’altra presunzione che esiste non è soltanto quella in tema di abilità. Ce ne parla il
canone 1060 che è molto importante per un matrimonio, soprattutto, poi, in ambito
processuale.

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Can. 1060 - Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto nel dubbio si deve ritenere
valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario.
Questo canone ci dice che il matrimonio si ritiene sempre valido, le nozze fra due persone
che sono sposate si ritiene che siano validamente celebrate e la prova del contrario è
proprio quella che passa attraverso l’accertamento processuale del tribunale
ecclesiastico. Non si può provare il contrario in altro modo. Qui c’è anche il tema
importante della nullità di coscienza: il soggetto che dice che è convinto della nullità del
suo matrimonio e quindi si ritiene libero dal suo matrimonio e di conseguenza accede
liberamente alla mensa eucaristica, anche essendo, per esempio divorziato e risposato.
Questo è un problema perché il Codice prevede proprio che il contrario, quindi,
l’invalidità del matrimonio debba essere provata e il riferimento all’utilizzo della parola
“provata” è un chiaro riferimento a un accertamento probatorio che si fa nei luoghi a ciò
deputati. Per dire che un matrimonio è invalido bisogna raggiungere quel grado di
certezza morale sull’invalidità che si raggiunge solo a seguito di un procedimento
probatorio che valuta la totalità della vicenda pre e post-matrimoniale di due soggetti, a
ciò è deputato il Tribunale Ecclesiastico o il Vescovo (possiamo dire oggi nei casi in cui
questo è possibile secondo le forme del processo matrimoniale più breve).
Il canone 1061 dice le varie nomenclature che si possono utilizzare quando si parla del
matrimonio:
Can. 1061 - §1. Il matrimonio valido tra battezzati si dice solamente rato, se non è stato
consumato; rato e consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l'atto
per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua
natura, e per il quale i coniugi divengono una sola carne.
§2. Celebrato il matrimonio, se i coniugi hanno coabitato, se ne presume la consumazione,
fino a che non sia provato il contrario.
§3. Il matrimonio invalido si dice putativo, se fu celebrato in buona fede da almeno una
delle parti, fino a tanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità.
Il matrimonio celebrato tra due soggetti che hanno espresso un valido consenso si chiama
matrimonio rato. Se il matrimonio è stato anche consumato quel matrimonio si dice rato
e consumato. A questo punto si realizza l’indissolubilità nel grado ultimo e pertanto
nessuna autorità umana può sciogliere quel matrimonio. Il matrimonio rato e non
consumato, invece, può essere sciolto dal Romano Pontefice per la sua autorità vicaria.
Quindi esiste un matrimonio rato, un matrimonio rato e consumato, un matrimonio rato
e non consumato.
Il matrimonio invalido si dice putativo. Quando un matrimonio viene dichiarato invalido
quel matrimonio è putativo, cioè aveva la somiglianza di un matrimonio, ma in realtà, non
è mai stato un matrimonio perché era fondato su un elemento di nullità; gli mancava uno
dei tre requisiti consenso, abilità, forma che sono necessari per la valida celebrazione del
matrimonio. Ci sono anche altre nomenclature per qualificare il matrimonio: il

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matrimonio canonico, il matrimonio civile, il matrimonio canonico con effetti civili o
impropriamente detto “concordatario”; abbiamo il matrimonio attentato, coloro i quali
non possono sposarsi perché sono in alcune condizioni di vita, tipo i sacerdoti, e
celebrano il matrimonio quello si chiama matrimonio attentato (attentano alla
celebrazione del matrimonio ma loro sono in una condizione impediente, quindi, non
sono abili giuridicamente a celebrare il matrimonio). le definizioni che più ci interessano
sono:

 matrimonio rato;
 matrimonio rato e consumato;
 matrimonio rato e non consumato;
 matrimonio putativo;
 matrimonio canonico;
 matrimonio civile;
 matrimonio canonico con effetti civili (frutto degli effetti del sistema concordatario
a cui vengono attribuiti quegli effetti civili garantiti dal Concordato tra lo Stato e la
Chiesa.
Un’altra presunzione è quella dettata dal paragrafo 2 del can. 1061 e cioè la
consumazione. Si presume che quei soggetti che si sono sposati e che hanno coabitato
hanno anche consumato il matrimonio e quindi, anche in questo caso, come abbiamo già
visto parlandone, bisognerà provare il contrario rispetto alla consumazione del
matrimonio. Se ricordate, non è solo una consumazione fisica del matrimonio. Il Codice è
chiaro nel dire questo, vedete che utilizza un termine importante cioè il matrimonio è
rato e consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, dopo la celebrazione del
matrimonio, un atto coniugale in modo umano che prevede la scienza, la conoscenza e
anche la volontà nei soggetti che realizzano quell’atto coniugale: la non costrizione, il non
essere in preda all’alcol o ad altri mezzi che possano offuscare la volontà del soggetto,
quindi, libertà, volontarietà e coscienza ci danno anche il senso della modalità umana in
cui l’atto coniugale deve venire a realizzarsi.
I canoni che seguono dal 1063 in poi parlano, invece, della cura pastorale da premettere
alla celebrazione del matrimonio. A noi interessa molto l’atto matrimoniale, cioè il
momento in cui il matrimonio viene all’esistenza con la celebrazione, perché è lì che
andiamo a puntare l’attenzione sulla validità, come tutti i sacramenti. Però rispetto agli
altri sacramenti il tema della preparazione al matrimonio è particolarmente importante.
Eppure è poco accentuato; se solo noi pensiamo al tempo che si dedica alla preparazione
al matrimonio oggi, secondo quello che è l’indirizzo della Chiesa, cioè il corso pre-
matrimoniale che è l’unica tipologia di preparazione che si porta avanti prima di giungere
al matrimonio. Bisogna, allora, anche fare un confronto, cioè non si può confrontare il
matrimonio nella sua preparazione con un sacramento tipo quello del Battesimo o della
Confermazione dove anche una preparazione racchiusa in poco tempo può essere
sufficiente per comprendere la realtà di quel sacramento, ma un sacramento come il
matrimonio, che è un sacramento sullo stato di vita, che determina una scelta stabile di

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vita avrebbe bisogno di ben altra preparazione. Abbiamo già detto che bisognerebbe
equiparare la preparazione al matrimonio con la preparazione al sacerdozio, alla vita
religiosa, invece sembra che la scelta del Codice che è anche pastorale, sia quella di
legarla ad altre tipologie di sacramenti dove basta anche un po’ più superficiale. Questo
non perché si vuole essere superficiali col matrimonio, ma perché voi dovete ben
comprendere che quando si tratta di matrimonio si parla di un sacramento che inerisce ad
una dimensione della persona che trascende, potremmo dire, la realtà religiosa, cioè va al
di là della realtà religiosa. Mentre il battesimo, la confermazione, la riconciliazione,
l’estrema unzione, il ministero ordinato ce li abbiamo nel loro insieme solo noi cattolici, il
matrimonio è un diritto naturale delle persone e quindi, fino a che punto si può negare un
matrimonio mettendo il discrimine religioso a impedire il diritto al matrimonio a
determinate persone?
A questa domanda la Chiesa ha dato una risposta dicendo che questo diritto si deve
limitare poco, perché tutta questa modalità di giungere al matrimonio ci porta a dire
proprio questo: si è voluto assottigliare la distinzione tra matrimonio religioso e
matrimonio come diritto universale umano, per renderlo possibile al maggior numero
delle persone. quando, invece, si inizia a parlare di catecumenato matrimoniale, di lunga
preparazione si inizia ad allontanare questa direzione religiosa dalla dimensione naturale
del matrimonio a fare quel distinguo che molto spesso anche noi facciamo: tu hai tutto il
diritto di sposarti, ma un conto è la legislazione civile altra è la legislazione canonica
secondo la legge della Chiesa e chi vuole fare un matrimonio canonico deve essere
consapevole della necessaria preparazione e responsabilità che una tale scelta comporta.
tale ragionamento si impone adesso perché precedentemente nella società il matrimonio
religioso e quello dello Stato erano praticamente la stessa cosa. Voi pensate che fino al
1984 chi celebrava in chiesa automaticamente celebrava anche un matrimonio civile,
quindi, il discrimine tra matrimonio civile e matrimonio religioso doveva essere il più
labile possibile e questo valeva un po’ per tutti gli ordinamenti in giro per il mondo dove
la Chiesa era arrivata. La secolarizzazione ha portato il matrimonio civile ad allontanarsi
sempre di più dall’insegnamento della Chiesa e oggi, naturalmente, la Chiesa prende
consapevolezza che visto che questa frattura è talmente grande è giusto iniziare a
puntare su una consapevolezza prettamente pastorale e religiosa del sacramento del
matrimonio. Prima non è che si faceva questo perché si dava poca importanza al
matrimonio religioso, ma perché tutti avevano, più o meno, una conoscenza, una
consapevolezza di quello che era il matrimonio. Finchè nella mentalità dei nostri genitori,
dei nostri nonni non si sapeva cosa fosse l’indissolubilità perché nessuno si poneva il
problema di scegliere tra un matrimonio dissolubile e uno indissolubile. Anche per la
dottrina dell’insegnamento della Chiesa e la dottrina statale del matrimonio comunque
rimangono i principi di diritto naturale dell’unità e indissolubilità del matrimonio, insieme
alla fedeltà, però, naturalmente, combaciavano. Il modo in cui i nostri genitori, i nostri
nonni, se ci pensate, pensavano al matrimonio era il modo in cui il matrimonio, secondo
la legge divina, secondo la legge naturale e secondo la legge religiosa doveva essere
celebrato. E visto che quella legge anche civile incarnava una dimensione del matrimonio

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che era praticamente identica alla dimensione religiosa del matrimonio non c’era
necessità di renderlo tanto difficile e di differenziarlo tanto. Oggi, che invece la mentalità
è totalmente cambiata tra quello che si pensa del matrimonio civile e quello che si pensa
del matrimonio religioso è giusto che la Chiesa inizi a richiedere una maggiore
consapevolezza che ormai le persone non hanno più. Non l’apprendono più né dalla
famiglia, né dalla comunità ecclesiale e quindi si impone la necessità di una preparazione
che spieghi anche a livello cognitivo la differenza tra un matrimonio civile, una convivenza
e un matrimonio secondo la legge di Dio e della Chiesa. Il tema della cura pastorale dei
fidanzati oggi assume molta importanza, tanto che il Pontefice parla di questo
catecumenato matrimoniale. Chi è il catecumeno? È colui che non ha una conoscenza
della fede e così il Papa si rende conto che non si ha una conoscenza di quello che il
matrimonio significa, ma non perché non ce l’abbiamo. Se il principio dell’indissolubilità e
il principio dell’unità sono principi di diritto naturale, questi sono inscritti all’interno del
cuore dell’uomo. dove c’è la rottura da quest’insegnamento nel modo in cui nella società
attuale noi ci troviamo a vivere la dimensione del matrimonio, a vedere gli esempi che
abbiamo intorno. Quello che potremmo ritenere anche giusto, poi, a contatto con la
secolarizzazione e col mondo ci sembra perdere d’importanza e quindi c’è bisogno di un
catecumenato matrimoniale per far riscoprire ciò che già è inscritto all’interno del cuore
dell’uomo. Anche è importante non ridurre l’unità e indissolubilità matrimoniale a
dimensioni eminentemente religiose. Sicuramente la Chiesa gli ha dato un valore alto, ma
che il matrimonio sia uno e basta e che non si possa sciogliere non è qualcosa che ha
inventato Gesù Cristo, ma qualcosa che inerisce alla realtà naturale del matrimonio. Che
l’uomo debba essere fedele a una donna e viceversa non è qualcosa che ha inventato la
Chiesa, ma qualcosa che inerisce all’essere umano in quanto tale. Solo che oggi a
difendere questo è rimasta soltanto la Chiesa o alcune chiese. Ciò fa vedere queste
dimensioni come dimensioni confessionali, mq, come abbiamo già detto, non è così.
Oggi, quindi, è importante parlare della preparazione al matrimonio perché è venuto
meno questo accordo implicito che c’era fra la dimensione civile, sociale e la dimensione
religiosa del matrimonio. si rende necessario, allora ritornare a far riflettere gli sposi sulla
differenza del matrimonio come lo vuole Dio e la natura e coma la Chiesa l’ha conservato
e quello che, invece, è il matrimonio civile o la dimensione civile del matrimonio (che ha
perso i caratteri fondamentali dell’unità e dell’indissolubilità).
Questi canoni, fondamentalmente ci parlano della preparazione al matrimonio dicendoci
cose che, se noi le leggiamo, ci fanno ridere eppure andrebbero riscoperte in qualche
modo. si parla di preparazione remota al matrimonio che si dovrebbe fare in tutte le
famiglie, in tutte le parrocchie nelle catechesi che i catechisti dovrebbero fare ai bambini
fin dalla fanciullezza per far capire l’importanza della famiglia, del matrimonio. Si parla di
preparazione prossima al matrimonio e quindi i corsi per i fidanzati. Si parla poi di
preparazione immediata al matrimonio che parte dal corso pre-matrimoniale. Di tutto
questo percorso che parte dalla famiglia per arrivare fino ai mesi precedenti al
matrimonio è rimasta soltanto l’ultima parte. Il problema del matrimonio che ci poniamo
dal punto di vista pastorale è soltanto la redazione del carteggio matrimoniale, che va

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fatto in un certo modo per potersi sposare (un po’ come lo scrutinio che si fa per
diventare sacerdote) e poi il……………matrimoniale che è una di quelle carte da mettere
all’interno del fascicolo matrimoniale che si deve predisporre per arrivare al giorno delle
nozze. Quindi si parla del Vescovo come coordinatore di tutta questa pastorale dei
fidanzati, si parla di un organismo generale diocesano che dovrebbe interessarsi di
questo, si parla della collaborazione di uomini e donne di provata esperienza e
competenza in tema matrimoniale che dovrebbero accompagnare le coppie di fidanzati.
Si parla poi, degli altri sacramenti collegati al matrimonio (can 1065) perché anche qui
bisogna fare chiarezza.
Can. 1065 - §1. I cattolici che non hanno ancora ricevuto il sacramento della
confermazione, lo ricevano prima di essere ammessi al matrimonio, se è possibile farlo
senza grave incomodo.
§2. Si raccomanda vivamente agli sposi che, per ricevere fruttuosamente il sacramento del
matrimonio, si accostino ai sacramenti della penitenza e della santissima Eucaristia.
Quindi penitenza ed Eucarestia legati alla fruttuosa celebrazione del matrimonio, non alla
sua validità, la Confermazione come sacramento da premessa, tema che comunque non
c’entra nulla con la validità, tanto che si dice chiaramente che se c’è un grave incomodo si
può anche differire la Confermazione. Quindi, la Confermazione non è strumentale alla
celebrazione del matrimonio, non bisogna per forza essere cresimati per sposarsi.
Abbiamo poi, i canoni seguenti che parlano di questo esame dei nubendi e di questa
istruttoria canonica che si deve portare avanti prima della celebrazione del matrimonio al
fine di verificare che tutto si svolga correttamente. Cosa si fa prima del matrimonio? si
produce il certificato di battesimo, si produce il certificato di cresima, si produce il
certificato del corso pre-matrimoniale, poi si fa l’esame dei contraenti dinanzi al parroco
della parrocchia dove l’uno o l’altro degli sposi hanno domicilio canonico e si verifica la
volontà con cui le persone accedono al matrimonio attraverso un esame personale col
parroco sulla base di un formulario nel quale si fanno alcune domande relativamente alla
volontà con cui si accede al matrimonio. Poi si verifica che tutto sia a posto dal punto di
vista della forma, si verifica lo stato libero dei soggetti e quindi l’assenza di impedimenti,
si verifica che siano state fatte le pubblicazioni canoniche e cioè che all’albo della
parrocchia sia stata posta la notizia che Tizio e Caia si vanno a sposare, se il matrimonio è
canonico con effetti civili si verifica che queste pubblicazioni siano state fatte anche
dinanzi all’ufficiale di stato civile. Questo plico matrimoniale viene poi inviato alla curia
perché validi il tutto perché Tizio e Caia si possano finalmente sposare.
A questo punto qualcuno di voi dovrebbe dirmi qualcosa riguardo a tutto il discorso fatto
su validità, forma, consenso, abilità giuridica dei soggetti. Come può verificarsi che un
matrimonio sia nullo se c’è tutta una procedura atta a verificare prima del matrimonio che
sono presenti tutte le condizioni perché un dato matrimonio si possa celebrare? Nei
tribunali ecclesiastici il processetto matrimoniale non viene neanche più allegato e preso
in considerazione perché se io tenessi per buone le risposte che danno le parti dovrei dire

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che non esiste nullità, perché chiunque fa il processetto matrimoniale dice che voleva il
matrimonio, lo voleva coi figli, lo voleva unico, lo voleva per sempre, era abile dal punto di
vista del consenso, non aveva nessun problema, non poneva nessuna condizione negando
con ciò ogni possibile vizio di nullità del matrimonio. In realtà, questo documento
(processetto) avrebbe utilità reale se realmente fosse l’epilogo di un percorso di
accompagnamento, perché il parroco li conosce, li ha seguiti e veramente può con loro
attestare l’epilogo di un percorso. Ma quando il parroco neanche le conosce le persone
che si presentano da lui perché vogliono sposarsi capita che vanno a testimoniare
giustificandosi in vario modo sul proprio operato di fronte alla volontà degli sposi. Ciò è
grave in quanto i parroci hanno la potestà di differire un matrimonio quando ravvedono
che ci sono oggettivamente delle situazioni poco chiare, anche se dovesse inimicarsi due
famiglie. Però se uno in coscienza non ritiene che due persone stiano celebrando un
matrimonio valido si assume anche una responsabilità davanti a Dio della celebrazione di
un determinato matrimonio. Qui c’è quel grande problema tra matrimonio canonico e
diritto naturale al matrimonio. Cosa prevale? E stiamo a dire che prevale il diritto
naturale, ma uno questo diritto lo può sempre esercitare, nessuno glielo vieta. Si va in
Comune e ci si sposa esercitando così il proprio diritto naturale al matrimonio se non ci si
sente pronti ad accogliere il disegno di Dio sul proprio matrimonio nel modo previsto
dallo Stato. Dall’altra parte c’è il matrimonio religioso che dovrebbe assumere un peso
maggiore sulla bilancia di questo contrappeso che si fa e invece si è data sempre più
importanza al diritto naturale perché naturalmente anche pastoralmente è più semplice
per un parroco farsi da parte di fronte alla volontà almeno apparente di due sposi di unirsi
in matrimonio. Il vizio di forma più rilevante che esiste è la mancata delega del parroco a
colui che assiste alle nozze, perché uno per assistere alle nozze deve essere o il parroco o
il delegato dal parroco. Quando la delega scritta non c’è da parte del parroco il
matrimonio è nullo per vizio di forma. Il carteggio, in sostanza, serve ma lascia il tempo
che trova rispetto alla volontà non integra dei nubendi.
Sull’abilitas giuridica trattiamo gli impedimenti matrimoniali, il matrimonio per essere
valido deve avere: verità giuridica del soggetto, il consenso matrimoniale e la forma
canonica.
La verità giuridica del soggetto canone 1057: L'atto che costituisce il matrimonio è
il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili;
esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.
Il canone 1058: Tutti possono contrarre il matrimonio, se non ne hanno
la proibizione dal diritto.
Il matrimonio è un diritto di tutti i fedeli, se non ci sono proibizioni da parte del diritto.
Il canone 1060 stabilisce che: Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto
nel dubbio si deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario.
Se il matrimonio non è valido c’è bisogno che si dimostri.

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Il canone 1073 introduce la parte relativa agli impedimenti matrimoniali.
Gli impedimenti matrimoniali si possono definire come una circostanza di fatto
formalmente recepita in una norma giuridica di diritto divino o di diritto umano che
ostacola la valida celebrazione del matrimonio, e rimane tale se non viene tolto
l’impedimento. Il fatto che impedisce il matrimonio, ma il fatto in alcuni casi essere
superabile.
Qui si collega canone 10 del diritto canonico
Sono da ritenersi irritanti o inabilitanti solo quelle leggi con le quali si stabilisce
espressamente che l'atto è nullo legge irritante) o la persona è inabile.
Quindi l’impedimento è una tipica espressione di una norma inabilitante perché rende
inabile giuridicamente il soggetto a contrarre validamente le nozze, quindi è proprio una
legge inabilitante.
Questo è il collegamento tra 1057, 1058, 1060, 1073 e 10, cosi s’introduce la disciplina
dell’impedimento.
Esistono diversi impedimenti ma i più importanti abbiamo di diritto divino o diritto
ecclesiastico, l’impedimento di diritto divino che può essere postivo o naturale è un
impedimento indispensabile, non può essere dispensato, se mi trovo in una situazione
dove l’impedimento è quello divino nessuna autorità, nessun patto seguente può
dispensarmi dall’impedimento permettendo una valida celebrazione, altrimenti detto,
ogni matrimonio celebrato sotto l’impedimento del diritto divino è certamente nullo.
Questi impedimenti sono: l’impotenza di realizzare l’atto, il precedente vincolo
matrimoniale e la consanguineità nel primo grado della linea retta (genitori e figli) e nel
secondo grado della collaterale cioè fratelli, questi sono i casi per il diritto divino mai il
matrimonio si potrà celebrare.
Gli altri impedimenti sono di diritto ecclesiastico, quindi è stato il legislatore umano a
definirli e sono normalmente tutti dispensabili, questo vuol dire che c’è un’autorità, un
soggetto o un evento che può superare l’impedimento, se in principio il soggetto non può
sposarsi potrà farlo se ottiene la dispensa da parte del soggetto che ha ciò che è deputato.
Questi impedimenti incidono direttamente sul soggetto e solo indirettamente sul
consenso matrimoniale. Rispetto agli impedimenti del diritto ecclesiastico, solo la
suprema autorità della Chiesa cioè il Papa e il Collegio dei Vescovi sono competenti a
dichiarare gli impedimenti del diritto divino, naturalmente a dichiarali e non crearli, o a
stabilire gli impedimenti di diritto ecclesiastico e quindi a istituire impedimenti di diritto
ecclesiastico.
La dispensa su quali impedimenti insiste? Solo sugli impedimenti di diritto ecclesiastico,
perché quelli del diritto divino non sono dispensabili e non esiste un’autorità che li può
dispensare ma esiste un’autorità che li può dichiarare.

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Il potere della dispensa viene dato all’ordinario del luogo dopo la riforma del 1983, ma in
alcuni casi quanto tutto è pronto (omnia parata summa) per il giorno del matrimonio, e si
scopre un impedimento che è dispensabilem, il codice prevede che per evitare lo
scandalo possa dispensare anche il parroco, e ci sono alcuni casi in cui l’impedimento è
talmente gravoso anche se dispensabile è rimesso il potere alla Sede Apostolica.
Gli impedimenti indispensabili sono: l’impotenza coeundi, non si deve confondere con
l’impotenza generandi, non è un impedimento e non mina la validità del matrimonio, il
precedente vincolo matrimoniale e la consanguineità in linea retta e collaterale.
Gli impedimenti dispensabili, dall’ordinario del luogo che è il Vescovo, ma anche il Vicario
generale, sono dispensabili l’età, la disparitas cultus, il ratto, la consanguineità nel terzo e
quarto grado, l’affinità, l’adozione e pubblica onestà. Sono dispensate dalla Sede
Apostolica: i sacri ordini (colui il quale si vuole sposare ma è lagato ai sacri ordini), il voto
pubblico perpetuo e il crimine (chi per sposarsi uccide il coniuge). Quelli dispensati
dall’ordinario la persona si può rivolgere anche al parroco invece non può farlo con quelli
della Sede Apostolica.
Canone 1083: L'uomo prima dei sedici anni compiuti, la donna prima
dei quattordici pure compiuti, non possono celebrare un valido matrimonio.
Chi vuole celebrare il matrimonio prima di quest’età, c’è bisogno della dispensa da parte
dell’ordinario per poter celebrare il matrimonio, inoltre a questo canone si lega il 1071.
Can. 1071: Tranne che in caso di necessità, nessuno assista senza la licenza dell'Ordinario
del luogo: 1) al matrimonio dei girovaghi; 2) al matrimonio che non può essere
riconosciuto o celebrato a norma della legge civile; 3) al matrimonio di chi è vincolato da
obblighi naturali derivati da una precedente unione verso un'altra parte o i figli; 4) al
matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica; 5) al matrimonio di chi
è irretito da censura; 6) al matrimonio di un figlio minorenne, se ne sono ignari o
ragionevolmente contrari i genitori; 7) ai matrimonio da celebrarsi mediante procuratore,
di cui al ⇒ can. 1105.
Nel secondo paragrafo del 1083: È diritto della Conferenza Episcopale fissare una età
maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio.
La Conferenza Episcopale locale può stabilire che in quel luogo e in quel territorio c’è
bisogno di un’età maggiore, il codice sottolinea che per la validità bastano i sedici e
quattordici anni, per la liceità la Conferenza Episcopale può chiedere un’età maggiore. La
CEI nel 1990 ha stabilito l’età per il matrimonio portandola a 18 anni, l’ha fatto per
l’uniformità con la realtà del concordato che prevede che il matrimonio celebrato
canonicamente possa acquisire gli effetti civili garantiti dalla legge, cosa che avviene con il
compimento del diciottesimo anno d’età, questo viene fatto per non lasciare situazioni
ibride in cui abbiamo due sposate solo civilmente e poi al diciottesimo viene riconosciuto
canonicamente, e devono andare a fare la trascrizione al civile e cosi si ha solo due realtà
sospese, e per questo che la Conferenza Episcopale ha innalzato un’età per la lecita

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celebrazione in Italia a 18 anni in modo che chi si sposa possa celebrare un matrimonio
canonico e chiedere contestualmente gli effetti civili previsti dal concordato.
Può succedere che due persone hanno meno di 18 anni, vogliono sposarsi canonicamente
e hanno l’età prevista dal codice possono farlo, naturalmente ci sarà solo un matrimonio
canonico, ma anche nell’ambito civili abbiamo il matrimonio tra minori, deve essere
autorizzato dal tribunale dei minori (il quale concede l’emancipazione).
L’età minima per celebrare il matrimonio è l’uomo deve avere sedici anni e la donna 
quattordici, questo però è un impedimento dispensabile, quindi chi si trova al di sotto di
questa età può chiedere la dispensa all’ordinario del luogo, il quale deve verificare la
maturità fisiologica e psichica delle parti prima di concedere la dispensa.
L’impotenza can.1084: L'impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte
dell'uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo
il matrimonio.
§3. La sterilità nè proibisce né dirime il matrimonio, fermo restando il disposto del ⇒ can.
1098.
La sterilità non impedisce il matrimonio e non lo rende nullo, l’impotenza coeundi rende
nullo il matrimonio se è nelle condizioni previste dal codice, invece, l’impotenza
generandi non tocca la validità del vincolo, a meno che non siamo nel caso del 1098.
L’impotenza coeundi, cioè l’incapacità di realizzare umano modo la copula coniugale o per
una incapacità organica o fisica, oppure psicogena cioè c’è una limitazione di carattere
psichico che non rende possibile la realizzazione della copula coniugale e questo rende
nullo il matrimonio.
Se in una coppia il partner sa del problema della potenza sessuale dell’altro e accetta
comunque le nozze con quella persona il matrimonio sarà sempre nullo, perché la coppia
deve essere idonea alla procreazione. L’atto che viene compito deve essere voluto dal
soggetto, i soggetti devono essere capaci di realizzare l’atto sessuale e non si deve
compiere con mezzi artificiali.
Questa incapacitas coeundi che può essere fisica – organica o psicogena deve avere dei
caratteri fondamentali, deve essere antecedente e perpetua se dovesse accadere dopo le
nozze che il soggetto a un’impotenza a compiere l’atto sessuale, questo non invalida il
matrimonio, l’impotenza deve esistere al momento della celebrazione del matrimonio.
L’impotenza deve essere perpetua, se è superabile tramite strumenti che non devono
essere troppo invasivi come strumenti medicinali o farmacologici, per questo non si può
considerare impotenza perpetua perché si può superare. Poi deve essere assoluta o
relativa, assoluta se non riesce a compiere l’atto con tutte le persone dell’altro sesso o
relativa se questo accade solo con il proprio partner.
L’impotenza coeundi deve essere allo stesso tempo antecedente, perpetua, assoluta o
relativa. Queste sono le condizioni che devono essere verificate per poter certificare

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un’impotenza coeundi e poter stabilire che quel matrimonio è nullo proprio perché
celebrato tra soggetti o un soggetto impotente che non poteva celebrarlo e quindi non
potendo intervenire nessuna dispensa di fatto il matrimonio è nullo.
Diverso è il caso della sterilità, il codice aggiunge dicendo a meno che non siamo nel caso
del 1098, in questo canone si parla del dolo, cioè chi per sposarsi inganna l’altro. C’è da
dire che se c’è inganno il matrimonio è nullo non per la sterilità ma per il raggiro che è
stato compiuto. La sterilità non influisce in alcun modo.
Canone 1085: Attenta invalidamente al matrimonio chi è legato dal vincolo di un
matrimonio precedente, anche se non consumato.
Quindi il precedente vincolo matrimoniale è un impedimento, quindi le nuove nozze
saranno nulle, naturalmente in ambito religioso. Questo tocca i divorziati e risposati, i
quali non possono accedere al nuovo matrimonio canonico proprio perché sono legati da
un precedente vincolo matrimoniale canonicamente celebrato.
Per evitare una persona si possa sposare in comune con una persona e in chiesa con
un’altra è intervenuto il Concordato, per questo bisogna presentare il certificato civile del
mio stato libero, perché se la persona risulta sposata non potrà sposarsi canonicamente,
questo è avvenuto grazie all’accordo con lo Stato. (Gli effetti civili si devono chiedere,
questo avveniva prima del 1983).
Disparitas Cultus.
Can. 1086 - §1. È invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella
Chiesa cattolica o in essa accolta, e l'altra non battezzata.
§2. Non si dispensi da questo impedimento se non dopo che siano state adempiute le
condizioni di cui ai can. 1125 e 1126.
§3. Se al tempo della celebrazione del matrimonio una parte era ritenuta comunemente
battezzata o era dubbio il suo battesimo, si deve presumere a norma del can. 1060 la
validità del matrimonio finché non sia provato con certezza che una parte era battezzata e
l'altra invece non battezzata.
La disparitas cultus rende invalido il matrimonio tra una persona battezzata e una parte
non battezzata, es. il matrimonio celebrato tra un cattolico e un mussulmano è nullo, se
naturalmente il riferimento non è dispensato. Trattandosi di un elemento indispensabile,
essere un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi dispensabile dall’autorità
competente. Il che vuol dire che un cattolico e un non cattolico non possono sposarsi, ma
se negli altri impedimenti ciò che non è possibile diventa possibile. La disciplina generale
degli impedimenti induce la possibilità di superare l’impedimento stesso. Non basta solo
che l’autorità competente e ordinaria del luogo dispensi da questo impedimento, ma il
canone 1087 paragrafo 2 specifica che questo impedimento può essere dispensato, si
dall’ordinario ma solo se vengono garantiti le condizioni di cui i canoni 1125- 1126.
Queste condizioni sono delle cauzioni tecnicamente dette, cioè delle promesse che una
delle parti deve fare, nel momento in cui si accede ad un matrimonio di questo genere

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(battezzato e non battezzato) il canone 1086 deve reggersi in abbinamento con il canone
1125-1126. Quindi per concedere la dispensa è necessario che si rispettino e tengono
offerte date le cauzioni richieste da questi canoni 1125-1126.
Matrimoni misti
Se si prendono i canoni 1125 -1126 ci rendiamo conto che questi canoni riguardano una
tipologia peculiare del matrimonio, ovvero matrimoni misti. Disciplina diversa dalla
disparità di culto, che è matrimonio diverso da quello celebrato proprio nell’impedimento
di disparità di culto.
Il matrimonio misto è il matrimonio che si celebra tra un battezzato nella Chiesa cattolica,
e un battezzato in una comunità cristiana diversa dalla cattolica. Quindi le persone una è
sempre la stessa il cattolico battezzato, l’altra è diversa.
Perché nel caso della disparitas cultus abbiamo un non battezzato, quindi questa
condizione determina un impedimento che rende non possibile la celebrazione del
matrimonio, almeno che non intervenga la dispensa. Nell’altro caso abbiamo un
battezzato che quindi ci realizza la sacramentalità matrimoniale, la norma del canone
1055, si realizza quando il matrimonio è celebrato tre due battezzati e il matrimonio è
possibile sempre, solo che si devono rispettare alcune condizioni. In questo caso le
condizioni sono le stesse, canone 1125-1126 ci dicono le condizioni che si devono
rispettare nel caso dei matrimoni misti, dove il canone ha luogo perché riguarda la
disciplina dei matrimoni misti, in cui il codice ha preso queste cauzioni e richieste nel caso
dei matrimoni misti e ha richiesto che questi stessi obblighi venissero presi anche, nel
caso della celebrazione dei matrimoni con disparità di culto, che restano comunque
libere. Perché mentre li verrà data una licenza alla celebrazione del matrimonio, nel caso
invece della disparità di culto, verrà data una dispensa alla celebrazione del matrimonio.
Quindi li è possibile tra un battezzato cattolico e un cristiano non cattolico, il matrimonio
è sempre possibile la celebrazione ma ci vuole una licenza, nel caso della disparità di culto
non è possibile il matrimonio, ma l’impedimento può essere dispensato. La disparità di
culto è l’impedimento, il matrimonio misto non ha nessun impedimento, solo che per
essere celebrato la Chiesa visto che c’è una fede diversa tra i due soggetti chiede delle
assicurazioni in più. Queste assicurazioni sono le stesse che il canone 1086 sta chiedendo
anche per la disparità di culto. Questo serve a capire la differenza tra matrimonio misto
(matrimonio che si celebra tra un battezzato tra un battezzato nella Chiesa cattolica e
un battezzato in una comunità cristiana diversa dalla cattolica) e il matrimonio con
disparità di culto (matrimonio che si celebra tra un battezzato e non battezzato).Es. un
matrimonio tra un Cattolico e un Ebreo è un matrimonio con disparitas cultus.
Matrimonio misto un Cattolico e un Evangelico. Cattolico e testimone di Geova è
disparitas cultus. Matrimonio tra un Cattolico e un Orientale Cattolico è matrimonio
misto. In un caso ci vuole la dispensa e le cauzioni previste dal canone 1125-1126, nel
secondo ci vogliono solo le cauzioni del canone 1125-1126.
Le cauzioni

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Can. 1125 - L'Ordinario del luogo, se vi è una causa giusta e ragionevole, può concedere
tale licenza; ma non la conceda se non dopo il compimento delle seguenti condizioni: 1) la
parte cattolica si dichiari pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e
prometta sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati
ed educati nella Chiesa cattolica; 2) di queste promesse che deve fare la parte cattolica,
sia tempestivamente informata l'altra parte, così che consti che questa è realmente
consapevole della promessa e dell'obbligo della parte cattolica; 3) entrambe le parti siano
istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere esclusi da
nessuno dei due contraenti.
Per poter accedere a questo matrimonio, la parte cattolica deve affermare che lei terra
fede all’impegno preso nella Chiesa cattolica, e che s’impegnerà ad educare
cristianamente i propri figli facendo tutto il possibile affinché questo avvenga, non
mettendo a rischio il matrimonio ma facendo in modo che questo sia possibile. Per questo
la parte non cattolica deve essere informata di questi impegni presi, ovvero dovrà sapere
che la moglie si impegnerà ad educare cristianamente i figli ed entrambi devono essere
istruiti sulle proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere escluse perché
altrimenti si rischia di fare un matrimonio nullo. Es. matrimonio celebrato tra un cattolico
e un mussulmano, che abbia nella propria costituzione mentale il tema della poligamia,
come naturale all’esperienza matrimoniale. Una persona che è formata in un certo modo,
se non istruita bene rispetto alle proprietà essenziali del matrimonio, potrebbe accedere
al matrimonio in Chiesa, solo al fine di rendere piacere alla donna o all’uomo cattolico che
vogliono celebrare in matrimonio in Chiesa. Utilizzare così la via della disparitas cultus per
permettere la celebrazione religiosa del matrimonio, ma non essere assolutamente
convinto di vivere un matrimonio, secondo quelli che sono i requisiti essenziali del
matrimonio. Escludendo positivamente, ma per un fatto anche di convinzione, l’elemento
dell’unicità del matrimonio. Perché la poligamia è il contrario dell’unicità del matrimonio.
Un altro esempio è tra un cattolico e un ortodosso, quindi si passa all’ambito dei
matrimoni misti, dove per la dottrina dell’ortodossia, è possibile il divorzio e un secondo
matrimonio, secondo la realtà ecclesiale. Una seconda possibilità di celebrare nuove
nozze religiose. Una persona che accede al matrimonio canonico religioso, utilizzando la
licenza per il matrimonio misto, essendo entrambi battezzati e avesse questa costrizione
mentale potrebbe celebrare un matrimonio nullo , escludendo l’indissolubilità. Perché
per la sua formazione ricevuta fino a quel momento l’indissolubilità non è un valore
assoluto del matrimonio.
È importante che in entrambi le parti dove abbiamo un cristiano non battezzato, un
cristiano non cattolico, vengano bene istruiti su quelle che sono le proprietà e fini
essenziali di un matrimonio, perché diversamente si rischia di celebrare un matrimonio
nullo. Tra gli impegni che vengono richiesti questo è il più importante, perché è chiaro che
se la parte cattolica sceglie un matrimonio religioso è perché vuole continuare la sua
esperienza di vita religiosa, diversamente le parti avrebbero dovuto scegliere un’altra
tipologia matrimoniale o civile, per celebrare le nozze in un'altra confessione religiosa.
Dall’altra parte il problema più grande si può creare proprio sulla visione matrimoniale

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che la parte non battezzata o la parte non cattolica a e che può pregiudicare la nullità del
matrimonio. Ciò e dal punto di vista interreligioso in questo caso ed ecumenico nel caso
del matrimonio misto un’apertura importante che la Chiesa ha fatto. Perché un
mussulmano, non si può normalmente sposare con una persona di un’altra fede religiosa,
o normalmente questo non avviene, quindi si utilizza lo strumento della conversione alla
religione islamica prima di accede al matrimonio secondo il rito mussulmano. La Chiesa
invece, permette la possibilità che due persone che manifestano religioni differenti
attraverso questi strumenti: della disparitas cultus, se l’altra parte non è battezzata; del
matrimonio misto, se l’altra parte è battezzata ma non cattolica, di poter conservare la
propria appartenenza di fede e di celebrare comunque il matrimonio religioso. Esiste
un'altra differenza importante tra questi due matrimoni, perché il matrimonio celebrato
nella disparitas cultus non è matrimonio sacramentale, è un matrimonio valido a tutti gli
effetti ma non è sacramento, perché il sacramento matrimoniale si realizza solo quando il
matrimonio è celebrato tra due battezzati. Mentre il matrimonio misto è comunque
matrimonio sacramentale, in quanto la parte se pur battezzata in una professione diversa
da quella cattolica è comunque sempre battezzata. Le cauzioni vanno date in entrambi i
casi: disparitas cultus e matrimoni misti.
Esistono altri impedimenti altri casi in cui un matrimonio non può essere celebrato,per
esempio l’ordine sacro
Can. 1087 - Attentano invalidamente al matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri
ordini.
Can. 1088 - Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono vincolati dal voto
pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso.
Quindi ne coloro che sono di ordine sacro, ne coloro che hanno espresso la professione
perpetua di voti, non posso celebrare il matrimonio e se celebrano il matrimonio quel
matrimonio è certamente nullo. Almeno che la congregazione competente non dispensi
da questo impedimento. Esempio: un religioso che abbia chiesto, prima l’espiazione e poi
sia stato dimesso dallo stato religioso, quindi se interviene questa dimissione dallo stato
religioso è chiaro che poi potrà accedere alle nozze anche canoniche. Lo stesso dicasi per
il sacerdote che deve nel caso specifico, essere stato ridotto allo stato clericale detto
volgarmente, quindi ha subito un procedimento di dimissione dallo stato clericale, che
potrà essere stata la nullità della sacra ordinazione riconosciuta, piuttosto che la
dimissione dallo stato clericale, piuttosto il rescritto della sede apostolica che viene
concesso quando è il sacerdote a chiedere di non voler più appartenere all’ordine
religioso. Per il sacerdote c’è un ulteriore problema perché per poter accedere al
matrimonio religioso dovrà non solo aver riceduto l’atto, attraverso il quale viene in
qualche modo cristallizzata la perdita dallo stato clericale. (rivedere la perdita dello stato
clericale) Quando si perde lo stato clericale non si perde l’obbligo del celibato, quindi
dovrà ricevere anche la dispensa dal Romano Pontefice sul celibato. Quindi solo chi
abbiamo perso lo stato clericale o abbia avuto la dispensa del Romano Pontefice
dell’obbligo del celibato, potrà poi essere libero di accede anche alle nozze religiose.

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Diversamente se uno non è in una condizione di perdita dello stato clericale o anche se ha
perso lo stato clericale, non è stato dispensato dal celibato non può accedere alle nozze
religiose, diversamente queste nozze sono nulle.
Es. se un sacerdote abbandona lo stato clericale per sua volta , perché si innamora di una
parrocchiana, sul altare dice che abbandona il sacerdozio, il giorno dopo può andarsi a
sposare al comune e celebrare le nozze civili, ma se vorrà celebrare il matrimonio
canonico dovrà seguire la trafila, in questo caso richiedere alla congregazione il rescritto
di dimissione dallo stato clericale ,quindi terza via prevista, lo dovrà ricevere di solito non
viene mai concesso prima dei 40 anni dei sacerdoti che si trovano in questa situazione e
poi dovrà scrivere al Papa per essere dispensato dall’obbligo del celibato, con questi due
documenti sarà libero di celebrare anche canonicamente le nozze con la persona di cui si
è innamorato.
Come mai con il rescritto non decade anche la condizione del celibato? Non decade
perché è un impegno formale che è stato assunto dai sacerdoti, attraverso la
sottoscrizione dell’obbligo e quindi è soltanto il Romano Pontefice, che può dispensare da
quell’obbligo così gravoso che si è assunto in maniera così formale e solenne. C’è un
ulteriore passaggio che però storicamente, che sarebbe anche per tener ferme quelle che
possono essere le dimissioni dallo stato clericale. Esistono altri casi come chi ha
commesso un reato grave come un sacerdote che è stato condannato da dimissione dallo
stato clericale per un reato di pedofilia, anche lui viene dimesso dallo stato clericale, ma
in questo caso lui non deve chiedere perché l’hanno punito con la dimissione dallo stato
clericale, ma dovrà chiedere sempre la dispensa dall’obbligo del celibato.
Tutto questo vale per tutti gli ordini quindi: il diaconato transeunte che dovrà seguire
questa trafila, per il presbitero e per il vescovo, per il diaconato permanente, colui che è
uxorato, quindi sposato, rimasto vedono non può risposarsi senza passare attraverso
questa dispensa di cui ha il canone 1087. Es. diacono permanente che è stato ordinato
diacono all’età di 35 anni, un anno dopo a 36 anni gli muore la moglie, ha in casa figli
d’accudire e ancora una vita davanti a se , normalmente in questi casi la congregazione
concede la dispensa e permette al diacono possa anche di risposarsi. Il diacono
permanente tanto può essere nella condizione diaconale permanente, in quando già
sposato precedentemente. Non è il matrimonio in contrasto con l’ordine sacro, ma
l’ordine sacro in contrasto con il matrimonio. Questo vuol dire che bisogna essere sposati
prima di ricevere gli ordini per essere ammessi agli ordini sacri.
Es. la Chiesa orientale cattolica i sacerdoti, che sono sposati, devono essere sposati prima
di ricevere l’ordine sacro del grado del presbiterato, una volta che ciò è avvenuto una
volta che restano vedovi non possono più sposarsi, perché di patto è il sacramento
dell’ordine incompatibile con il sacramento del matrimonio. Così avviene anche per i
diaconi permanenti, che sarebbe l’unico caso del sacramento dell’odine che per la Chiesa
latina prevede la possibilità di dire matrimonio e ordine sacro. Però in questo caso si
realizza qualcosa di particolare, perché uno che aveva la moglie prima ed è stato ordinato
diacono permeante, la moglie gli muore, di principio dovrebbe essere impossibile un

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nuovo matrimonio. Perché il matrimonio è incompatibile con l’ordine sacro, invece in casi
specifici questo è possibile. Questo da punto di vista giuridico e teologico pone il
problema, che essendoci un’eccezione è possibile che ciò avvenga, non è assolutamente
impossibile. È possibile che avvenga il contrario. Pone il problema della compatibilità, tra
il matrimonio e ordine sacro. Coloro che sono costituite nei sacri orine: diaconato
transeunte permanente, presbiterato ed episcopato attentano invalidamente al
matrimonio, almeno che non intervenga la dispensa. Es. se si è diaconi transeunti, diaconi
permanenti uxorati, se si è presbiteri o vescovi.
Lo stesso dicasi anche per interreligiosi, solo coloro i quali hanno professato un ordine
pubblico e perpetuo, quindi hanno fatto i voti delittivi.
Ratto e crimine
Can. 1089: Non è possibile costituire un valido matrimonio tra l'uomo e la donna rapita o
almeno trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la
donna, separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il
matrimonio.
Chi rapisce una donna per sposarsela, non può sposarsela, almeno che la donna messa al
sicuro e libera, non dica che lei liberamente si vuole sposare questa persona. Quindi il
ratto diventa un elemento di impedimento, un patto impediente la celebrazione del
matrimonio. Questo viene utilizzato per tutelare quella che è la libertà della donna, ma
non è escluso che questo campo possa essere letto anche in una dimensione più ampia,
anche se il codice precisa sul genere sessuale che utilizza. Anche se l’uomo rapito dalla
donna, deve essere messo in una condizione di libertà, per poter decidere se scegliere o
meno di sposarsi con quella persona. In alcune parti la fuitina che si faceva una volta e
che obbligava alle nozze, comportava la nullità del matrimonio, perché si andava a
dimostrare, che la donna era stata indotta a scappare dall’uomo e non era stata libera di
poter scegliere quel matrimonio, in quando quel matrimonio era stato condizionato
anche dai genitori che volevano che si risolvesse l’onda creata con la fuitina stessa.
Oltre al problema del rotto potrebbe esserci anche il problema del vizio della volontà,
ovvero il timore che i genitori obbligavano i ragazzi a sposarsi, per il fatto stesso di aver
compiuto la fuitina. Il crimine invece rende inabile al matrimonio, colui che allo scopo di
celebrare il matrimonio con una determinata persona uccide il coniuge di questa o il
proprio, quindi attente invalidamente il matrimonio. Attentano invalidamente al
matrimonio tra loro, quelli che hanno cooperato fisicamente o moralmente all’uccisione
di un coniuge, quindi non è soltanto chi va e uccide l’altro coniuge ma anche se es. io dico
voi che siete una sicari andate ad uccidere mia moglie, perché io mi devo sposare con
un’altra, quindi c’è la partecipazione morale, opporre nell’aiutare ad uccidere l’altro
coniuge, operazione fisica nell’uccidere la persona. Comunque si crea l’impedimento e
anche in questo caso l’impedimento crea la nullità de matrimonio, se alla fine queste
persone si sposano (quindi io uccido mia moglie per poter celebrare il matrimonio con
una terza persona. crimine compiuto, matrimonio nullo). Questo impedimento non è un

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impedimento indispensabile, ma dispensabile. Ci sono stati casi nella storia della Chiesa in
cui le congregazioni competenti hanno dispensato da questo impedimento. Quindi chi
aveva ucciso la moglie era poi reso abile a poter celebrare un matrimonio, con la donna
con cui aveva deciso quest’omicidio. Resta un impedimento dispensabile da parte della
Santa Sede, in questo caso non è il Vescovo e neppure il Parroco che può dispensare.
Differenza tra coniugicidio proprio (uccidere il proprio coniuge), coniugicidio improprio
(uccidere il coniuge dell’amante), coniugicidio tramite cooperazione di entrambi.
Can. 1091 - §1. Nella linea retta della consanguineità è nullo il matrimonio tra tutti gli
ascendenti e i discendenti, sia legittimi sia naturali.
Canone 1091 ci parla della consanguineità che sappiano essere un impedimento
indispensabile. La consanguineità tra tutti gli ascendenti e discendenti, quindi di tutti i
gradi della linea retta.
§2. Nella linea collaterale il matrimonio è nullo fino al quarto grado incluso. Rende nullo il
matrimonio.
La consanguineità prevede un ambito indispensabile e uno dispensabile, il rapporto di
sangue che c’è tra le persone. Se la consanguineità è tra tutti i grandi della linea retta
(quindi padre e figlio, nonno e nipote) è sempre indispensabile è il matrimonio è sempre
nullo e quelle persone tra di loro non si possono sposare. Fino al secondo grado della
linea collaterale (quindi fratelli e sorelle tra di loro) è pure indispensabile e quindi non si
possono sposare tra di loro. Nel terzo e quarto grado della linea collaterale (quindi tra
cugini) è dispensabile, ma deve essere dispensato.
§3. L'impedimento di consanguineità non si moltiplica.
Cosa significa che l'impedimento di consanguineità non si moltiplica? Vuol dire che non si
computano i gradi della consanguineità, ma ciò vale anche al civile moltiplicandoli tra di
loro. Non si realizzano più impedimenti nel fatto di essere tra di loro collegati. Il rapporto
tra fratelli è sempre di un secondo grado della linea collaterale. Non perché un secondo
grado c’è l’ha uno e un secondo grado c’è l’ha l’atro si realizza un quarto grado della linea
collaterale, e quindi di conseguenza si renderebbe possibile ciò che possibile non è.
Quindi diventerebbe non più diritto divino ma diritto ecclesiastico e quindi dispensabile.
Vale sempre il grado e non si moltiplica per loro. Impedimenti principali sono: libertà ,
impotenza disparitas cultus e consanguineità.
Sintesi temi trattati
L’abilità giuridica dei soggetti a contrarre matrimonio. É uno dei tre elementi
fondamentali per contrarre matrimonio.
Blocco uno: capacità giuridica, versante negativo di questa capacità impedimento.
Possibilità di essere dispensato a seconda degli impedimenti.
Il consenso matrimoniale

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Quando parliamo di consenso matrimoniale, abbiamo diversi casi il consenso
matrimoniale che deve essere integro e libero, ha un versante negativo o nel difetto del
consenso, nel vizio del consenso, nella simulazione del consenso o nel consenso
condizionale. Questi sono i risvolti negativi del consenso che ci possono essere. Nel primo
caso del difetto del consenso, la persona non può esprimente un consenso matrimoniale
valido, perché naturalmente, psichiatricamente o psicologicamente non lo può fare.
Quindi quella persona quando dice lo voglio anche se lo pensa, non lo può fare. Non è dal
punto di vista psichico o psicologico in grado di poterlo dire.
Secondo caso vizio del consenso, la persona può esprimere il consenso, ma
positivamente o per una determinata causa non lo fa. Perché quel consenso è viziato in
quando, si interpone qualcosa, un errore, un dolo o un timore. Terza ipotesi, la persona
che può esprimere un valido consenso, non lo fa perché non lo vuole. Quindi questa
persona simula, finge il consenso matrimoniale in tutto o in parte.
Ultima ipotesi la persona vuole esprimere un consenso, ma lo vuole condizionare a delle
proprie idee ed esigenze. Es. ti sposo a condizione che tu faccia questa cosa.
Questi sono tutti gli elementi, tutte le casistiche che ruotano intorno al consenso
matrimoniale.
Ricapitolando:
Il difetto chi non lo può esprimere. Il vizio quando il consenso difetta un elemento
fondamentale per una causa, errore, dolo, timore o violenza. Un consenso che non viene
espresso validamente, perché un soggetto non lo vuole esprimere, quindi simula un
consenso che nelle parole dice ciò che la persona interiormente non vuole. Terzo il
consenso viene condizionato da un altro fatto. Quarto il consenso viene condizionato … ?
46:59
Difetto del consenso
Can. 1095 - Sono incapaci a contrarre matrimonio: 1) coloro che mancano di sufficiente
uso di ragione; 2) coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e
i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente; 3) coloro che per
cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.
Questo canone, ci dice coloro i quali non possono contrarre matrimonio, perché incapaci
a contrarre matrimonio. È incapace a contrarre matrimonio, perché incapace ad
esprimere un valido consenso matrimoniale. Ciò non dipende da un fatto esterno, ma
dalla natura o dalla condizione personologica di quel soggetto.
I casi sono tre:
1) coloro che mancano di sufficiente uso di ragione: colui che è incapace di intendere e di
volere. Questo è certificato attraverso un’incapacità che è dichiarata del soggetto di
intendere e di volere, perché il soggetto non ha l’uso sufficiente di ragione. Questo

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normalmente segue a un percorso evolutivo del soggetto, dichiarato sulla base di indagini
psichiatriche incapace di intendere e di volere. Es. se quella persona va a sposarsi quel
matrimonio è certamente nullo. L’incapacità in questo caso è normalmente abituale, cioè
si tratta di un soggetto che è sempre privo dell’uso di ragione. Ci sono casi particolari, in
cui questa incapacità può essere anche attuale cioè si realizza solo in quel momento. Nel
momento in cui il soggetto, contrae matrimonio è solo in quel momento che è incapace di
intendere e di volere. Es. Pensiamo ai casi ad esempio chi il giorno che entra in chiesa e si
va a sposare è completamente ubriaco. Seconda ipotesi completamente drogato.
L’incapacità, quindi può essere abituale (caso principe) o attuale (nei casi di alcol e droga
che persistono in quel momento).
Chi è normalmente incapace di intendere e di volere? Ci sono malattie psichiatriche che
determinano questa incapacità?
La più evidente in questi casi è la schizofrenia, che determina un’incapacità di intendere e
di volere permanente all’interno del soggetto. C’è un problema che è la teoria dei
cosiddetti lucidi intervalli. Anche lo schizofrenico ha dei lucidi intervalli in cui è
perfettamente capace di intendere le cose che dice. In questo caso bisognerebbe capire e
dimostrare, se in quel momento il soggetto schizofrenico era in una fase di lucido
intervallo o meno. Naturalmente vista la gravità di questa malattia e la sua contiguità, che
in alcuni casi può anche evidenziarsi dopo la celebrazione del matrimonio, ma non per
questo il soggetto schizofrenico non era nella struttura di personalità schizofrenica, anche
prima delle nozze. Si ritiene, che c’è la presunzione che chi sia schizofrenico lo sia sempre
schizofrenico, insieme naturalmente la diagnosi è definitiva. Qui siamo nell’ipotesi
psichiatrica dossografica, più grade che possa vedersi a determinare.
Quindi primo caso il soggetto è incapace di intendere e di volere in quanto manca del
sufficiente uso di ragione.
2) coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri
matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente: qui siamo in un caso diverso,
perché innanzitutto non si parla di una mancanza di uso di ragione o di un’incapacità di
intendere e di volere, che subito ti rimanda ad un’idea di evidenzia psichiatrica di un
problema o psicologica grave di un problema. Qui si parla di persone che forse sono
normalissime, che nel momento in cui si sposano difettano gravemente della capacità
discretiva, di comprendere: Cos’è un matrimonio? Quali sono i diritti e il dovere
fondamenti da dare e accettare reciprocamente? Sono incapaci di realizzare quella
(tradizio aceptazio), che è la base del consenso matrimoniale. Perché non capiscono cos’è
il matrimonio? O perché a livello discretivo non ne sono capaci, perché non hanno
raggiunto una capacità di giudizio tale da comprendere cos’è il matrimonio, e qui
naturalmente può inserirsi, una nevrosi, una psicopatologia particolare nell’ambito di quel
soggetto. Quindi comunque ci può essere una storia vetica, che impone di dare questa
incapacità a quel soggetto , che ha raggiunto una capacità di giudizio autonomo, per
esempio un profilo di personalità dipendente, una diagnosi di personalità dipendente
potrebbe farmi stare per un incapacità del soggetto di comprendere che cos’è il

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matrimonio, perché se quel soggetto la dipendenza ce l’avesse dalla madre , ma ce
l’avesse anche dalla fidanzata è incapace di comprendere che il matrimonio è la rottura di
determinanti legami. Quindi la persona ha l’incapacità discretiva, di comprendere dotto
sotto profilo di comprensione del matrimonio casa è il matrimonio. oppure ci potrebbe
essere un problema ti tipo volitivo, cioè la persona non è in grado di esprimere libero
consenso matrimoniale, perché limitala la libertà interna del soggetto.
I profili del giudizio che uno arriva, sono proprio questi due: la libertà del soggetto e la
comprensione.
Giudizio vuol dire già che avrebbe dovuto comprendere chi esprime il giudizio, cioè la
scelta matrimoniale. Per esprimere la scelta matrimoniale io devo comprendere che cos’è
il matrimonio e devo essere libero di poter fare questa scelta. Se o non comprendo cos’è
il matrimonio o non sono libero con ogni probabilità, c’è un difetto di discrezione del
giudizio. L’incapacità discretiva, cioè comprendere cos’è il matrimonio, può essere legata
ad un aspetto che può essere anche patologico della mia personalità, tipo una
dipendenza, una patologia o una nevrosi. L’ elemento volitivo, può essere legato sempre
ad una patologia medica, psichiatrica, psicologia, ma potrebbe essere anche una persona
normalissima che non ha nessun problema, solo che nel momento in cui si sposa, non è
libera interiormente di potersi sposare.
Come può essere libero interiormente di potersi sposare? Cioè una persona che non ha
condizionamenti interiori.
Es. Mi devo sposare, sono fidanzata da tanto tempo, mi chiamano tuo padre sta per mori
all’ospedale ha tre mesi di vita, perché gli è venuto un tumore ai polmoni ed è
inoperabile. Forse la gioia più grande della vita di papa è accompagnare la propria figlia
all’altare, perché da quando sono piccola me lo dice. Sono fidanzata da un tot di anni,
ancora non abbiamo deciso di sposarci faccio questa proposta al mio fidanzato e
decidiamo di sposarci. Quella persona, sicuramente il padre non gli e l’ha detto altrimenti
sarebbe stato timore incusso dall’esterno (devi sposarti perché sto per morire), qui invece
è interno al soggetto.
Era libera quella persona di potersi sposare in quel momento? bisogna verificare il caso,
perché se dopo la storia ci dimostra che quello è stato solo un’accelerazione è un conto,
ma se quella è la causa motiva, certamente quella persona non era libera di potersi
sposare. Perché se io tolgo il padre e quella persona mi risponde, va be ma io forse non so
neanche se me lo sposavo, e casomai avremmo ragionato ancora per vedere, allora vuoi
dire che lì non c’è stata libertà di scelta matrimoniale.
Un altro esempio: la ragazza resta incita e anche se il padre non glie lo dice, perché è una
famiglia più aperta, ma si inizia a pensare da sé. Forse dopo uno smacco alla mia famiglia
ed è un problema, forse è importante che ci sposiamo, diamo una situazione più regolare
a questo bambino che sta per nascere, ciò non viene dall’esterno ma lo sto pensando io e
mi condiziona nello sposarmi, non mi rende libero. Il consenso deve essere libero, se c’è
qualcosa che lo limita nella sua libertà, questo qualcosa può essere dall’esterno e quindi

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sarebbe il timore incusso dall’esterno, o può essere dall’interno che può provocare un
difetto di libertà interiore. In questo ci può incappare chiunque, non c’è più un profilo
dossografico, medico che lo rileva.
Quindi il secondo caso del can.1095 è chi difetta della capacità di giudizio o per profilo
discretivo, quindi di comprensione che cos’è il matrimonio o per profilo volitivo, sulla
libertà. C’è una parola che molto stesso racchiude tutta questa casistica e soprattutto il
profilo discretivo è l’immaturità. Quindi, un esempio tipico di motivazione che può
determinare un difetto di giudizio è l’immaturità. Non è il grado assoluto di maturità, ma
quel minimo per poter comprendere la responsabilità a cui si va incontro, che non è
determinato dall’età. La maturità al matrimonio non è la maturità anagrafica, è la
maturità intellettiva, volitiva e psicologica di comprendere che cosa il matrimonio
comporta. Es. Questo lo può capire anche un quattordicenne che può essere già maturo,
come non lo può comprendere un cinquantenne che casomai non è mai maturato, dal
punto di vista di comprendere che impegni comporta un matrimonio. La maturità è il
grado minimo e non si confonde con l’età del soggetto.
Punto uno del can.1095 incapacità di intendere e di volere. Punto due: difetto discretivo o
volitivo che difetta la descrizione di giudizio, che attiene all’ambito intellettivo della libertà
con cui uno accede alle nozze.
3) coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali
del matrimonio. Qui ci dovrà essere, quindi un’anomalia di natura psichica, che certifica
che il soggetto era incapace di assumere gli obblighi matrimoniali. Quindi ci sarà una
storia psichica del soggetto, evidente già prima del nozze o evidente in un caso specifico,
perché il soggetto non aveva mai approfondito queste problematiche, anche per una
serie di elementi che rendono palesi dalla storia pre e post matrimoniale, però
sicuramente ci sarà una diagnosi psichica, circa l’incapacità del soggetto ad assumere gli
obblighi matrimoniali, non ad avere obblighi matrimoniali Il codice ha utilizzato una
parola importante assumere, cioè il soggetto deve essere capace di assumere ciò che il
matrimonio comporta, non semplicemente di non essere stato in grado di adempiere. Es,
io per problemi che ho avuto, non sono stato in grado di adempiere il rispetto per l’altro,
la tenuta della relazione familiare e la quotidianità. Questo può essere l’indice e
circostanza che mi dimostra che non era neanche capace di assumerla, ma nel momento
in cui mi sono sposato la perizia mi dice che non cera nessun problema e che
successivamente il soggetto ha avuto problemi psichici, che l’hanno reso incapace di
realizzare il matrimonio. Quella non è più una capacità assolutiva, è una capacità di
adempimento del matrimonio e quindi non comporta la nullità del matrimonio. Comporta
la nullità del matrimonio solo l’incapacità psichica precedente alle nozze e incide sulla
capacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. Ne ha rilevanza in questo
caso, l’incapacità relativa o l’incapacità di diversità dei caratteri. Molto spesso di dice
quelle parti non possono stare insieme perché sono inconciliabili dal punto di vista
caratteriale e quindi nel corso del tempo la giurisprudenza della Rota Romana, si è venuta
a creare un’ipotesi di in capacità relativa cioè non è che il soggetto è incapace alle nozze,

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ma le parti insieme non funzionano. Sono entrambi sanissimi ma insieme non funzionano.
Ci sono state alcune cause di nullità dove questo filone è stato troncato, perché si contava
su una incapacità delle parti di amarsi, cioè di arrivare ad una soluzione, mediazione tra di
loro nella vita matrimoniale. Una differenza caratteriali, incapacità caratteriale, incapacità
relativa alle parti che compongono la coppia, non inficia mia il matrimonio, almeno che
questa non sia un ulteriore circostanza per un’incapacità a monte.
(01:09:55)Il punto uno è il caso di suora , normalmente sono le suore che non accedono
normalmente al matrimonio almeno che non troviamo il sacerdote che non capisce
niente, normalmente sono persone che hanno storie molto particolari e quindi non
accedono alle nozze religiose Il punto tre ci vuole la certificazione psichiatrica del
problema e un sostegno ce l’abbiamo, la vera questione ribattuta dal punto di vista del
diritto ecclesiale è il numero due, perché li dobbiamo giocare sulla volontà del soggetto,
di capacità di comprendere che cos’è il matrimonio, in prossimità delle nozze, sia
nell’aspetto intellettivo, comprendonio di che cos’è il matrimonio o nell’aspetto collitivo
cioè libertà interna con cui ha avuto accesso al matrimonio. Questi tre casi che sono
compendiati tutti in un unico canone 1095 1-2-3 sono le ipotesi di difetto del consenso.
Il secondo blocco riguarda il vizio del consenso. Il matrimonio è un contratto, ma anche un
patto. Il patto può essere viziato da tre elementi: l’errore (voglio comprare il migliore
televisore presente in questo negozio, il commesso tanto fa che fa apparire per migliore
un catorcio, quindi mi ha indotto in errore, perché se avessi capito che era un catorcio
non me lo sarei mai preso), violenza (entro all’interno del negozio che è gestito dai
Casamonica, il quale mi dici di prendermi quel televisore e io lo prendo) e dolo.
Bisogna capire come questi tre elementi si legano al matrimonio. Il tutto parte da un
canone molto generico che dice che per sposarsi non bisogna ignorare che cos’è il
matrimonio. Soprattutto, non bisogna ignorare che il matrimonio è unità tra l’uomo e la
donna, dove si realizza una convivenza che comporta una qualche cooperazione sessuale.
Se una persona non è a conoscenza di tutto questo, si parla di ignoranza matrimoniale (la
persona non sa proprio che cos’è il matrimonio). Naturalmente, una persona che ha
raggiunto la pubertà, si presume che sappia che il matrimonio comporta una
cooperazione sessuale tra i coniugi. Le ipotesi sono tre ignoranza can.1096, è un caso
molto limite. I casi di vizio del consenso classico sono: l’errore, violenza e dolo.
L’errore matrimoniale può essere di due tipi:
-errore di persona (es. io voglio sposare Tizio, il giorno del matrimonio mi trovo sposato
con Caio, fratello gemello di Tizio). L’errore di persona secondo il codice, è l’errore di
persona finisco e non di personalità.
Nel caso del collaboratore di giustizia, che cambia nome e tenuto a dirlo al nuovo
coniuge? La persona è sempre la stessa, quindi il giorno in cui si sposa è tenuto a dire la
verità alla coniuge, perché deve essere libera di poter scegliere se stare con un
collaboratore di giustizia. La persona che ha tenuto nascosto questa condizione questo e

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dolo. Nessuno si può sposare mentendo su fatti, che possono turbare gravemente la vita
coniugale, perché altrimenti il consenso non è più libero.
-errore su una qualità della persona, non rende nullo il matrimonio normalmente,
almeno che questa qualità non sia intesa direttamente e principalmente. Es. Ciò vuol dire
che io più che sposare la persona, voglio sposare la qualità. Quando io intendo
direttamente e principalmente, rispetto alla persona la qualità e quella qualità non c’è, in
quel caso il matrimonio è nullo, perché io ho sposato la qualità e non la persona.
Esiste una differenza tra chi ragiona in questo modo o in un altro .Es. Voglio sposare
Francesca, che ritengo essere una vergine, perché per me la qualità della verginità è
importante in una donna. La mia volontà si posa sulla persona di Francesca, che io reputo
vergine, perché non abbiamo mai avuto rapporti sessuali e lei mi ha detto di non averli
mai avuti. Se dopo il matrimonio scopro che Francesca non è vergine, il matrimonio è
valido o invalido? È invalido perché la mia volontà si posa sulla qualità e non sulla
persona. Qui si apre un problema, una qualità che abbia un senso per il matrimonio.Es.
Voglio sposare una vergine che ritengo essere Francesca, dopo il matrimonio scopro che
non è vergine e il giorno stesso la lascio. Ciò è la prove che c’è un criterio reazionis.
Scopro di non aver trovato quella qualità e abbandono il matrimonio, questa è una prova
ci vuole prima il criterio discriminazioris comprendere quanto per questa persona fosse
importante, perché poi si dimostra che la qualità era si importante, ma non tale da
sostituire la persona, poi ci vuole il criterio reazionis, la persona quando ha scoperto che
quella qualità non esiste e ha messo fine al matrimonio, con una serie di conseguenze.
Dolo
Can. 1098 - Chi celebra il matrimonio, raggirato con dolo, ordito per ottenerne il
consenso, circa una qualità dell'altra parte, che per sua natura può perturbare
gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente.
Chi è stato indotto al matrimonio, raggirato dolosamente Prima non esisteva il dolo, nel
codice del 1917, visto che non esisteva l’errore sulla qualità, esisteva l’errore sulla
persona e l’errore dolosamente causato. Se poi ci pensiamo il dolo è diventato un errore
indotto, mentre qui sono io che cado in errore. es. perché penso di sposare Francesco e
mi trovo sposato con Nicola, in quel momento dico il matrimonio è nullo perché volevo
sposare Francesco. Sulla qualità io sono convinto che Francesca è vergine, poi sono
rimasto fregato c’è stato un errore, ma nessuno mi ha indotto in errore. Se l’errore è
indotto, allora non è più errore, ma dolo perché c’è stata una persona che mi ha portato a
cadere in errore.
Nella riforma del codice del’83 è stato introdotto l’errore sulla qualità, seconda una teoria
che fa riferimento a Sant’Antonio Maria Liguori. È stato creato un canone a parte sul
dolo, quindi l’errore dolosamente causato è stato trasformato, in una fattispecie a parte
del vizio del consenso che è il dolo.

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Il dolo prevede il raggiro. Quindi si deve dimostrare che la persona è stata raggirata e
indotta a scegliere il matrimonio in ragione di quel raggiro.. Es. intuisco che per la mia
fidanzata è particolarmente importante che la persona sia laureata. Allora mi iscrivo
all’università, porto il libretto per fargli vedere gli esami e mi laureo, ma poi si scopre che
non è vero niente. Oppure so che per mia moglie è importante avere figli e cerco di
raggirarla dicendo che ho fatto le analisi che va tutto bene, in questo caso il matrimonio è
chiaramente nullo se si dimostra tutto il raggiro. Perché la persona non si è prodotta
dinanzi a sé, la giusta immagine dello sposo, pensa di avere davanti un laureto, pensava di
avere danti una persona fertile. Se avesse saputo che quella persona non era laureata,
non era fertile l’avrebbe sposata lo stesso? Questo lo dimostra la vita quotidiana, perché
se non ha turbato la vita coniugale, vuol dire che il dolo non ha influito. Se invece ha
turbato gravemente la vita coniugale, comportando la separazione del matrimonio
evidentemente quella qualità era importante per l’altra persona. La parte lo sapeva ecco
perché ha posto in essere i raggiri, per far credere una qualità che in realtà lui non aveva.
L’ultima ipotesi è il timore, terzo vizio del consenso.
Can. 1103 - E invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso
dall'esterno, anche non intenzionalmente, per liberarsi dal quale uno sia costretto a
scegliere il matrimonio.
È invalido il matrimonio celebrato per violenza fisica es. mi viene imposto di sposare una
persona con una pistola, io sono libero di scappare e ho un’altra via di uscita, ma se la
violenza è fisica, lo è nel momento del matrimonio, rende nullo il matrimonio, la
differenza con l’ordine sacro. La violenza esercita nel giorno dell’ordine sacro non rende
nulla l’ordinazione, anche chi è costretto ad ordinarsi .Chi è costretto a sposarsi il
matrimonio è nullo. Nel matrimonio resiste la nullità per violenza fisica.
Il timore è la violenza morale. La violenza fisica prevede una violenza finisca il giorno del
matrimonio, sono costretto. La violenza morale invece è quella che si lega, alle minacce
sulla psiche del soggetto, ovvero lo induce alle nozze. Questo timore deve essere incusso
dall’esterno, per cui uno per liberarsi è costretto a scegliere il matrimonio.Es. io non vedo
altra strada danti al dimore che mi viene incluso dall’esterno . ti devi sposare che viene da
soggetto esterno, che minaccia dei mali non solo fisici. Anche la minaccia di perdere
considerazione e rispetto di persone care, es. ti devi sposare perché altrimenti ci hai
rovinato, perché sono in questo modo possiamo risollevare le sorti della famiglia, ti devi
sposare per riparare alla macchia che hai creato restando incinta. Quindi non c’è la
violenza morale legata a una minaccia fisica, ma c’è una violenza morale legata a una
minaccia psicologica. Quando le persone sono particolarmente influenti sulla persona,
quindi sono debitrici di riverenza, il timore è particolarmente qualificato si chiama timore
reverenziale. Quindi c’è un timore generico e un timore previdenziale, cioè quello che
viene da persone che sono degne di particolare attenzione e rispetto da parte del metum
patiens, cioè di colui che patisce il timore. Metum incutiens è particolarmente importante
per il metum patiens. Non è detto che sia sempre un genitore, potrebbe essere anche un
maestro di vita, un amico al quale sono legato l’importante è che ci sia questo legame di

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riverenza con quella persona che rende qualificato il timore. Es. obbligata a sposarsi
perché è rimasta incinta e i genitori decidono per il matrimonio riparatore, anche se la
ragazza non vuole. Qui la liberta del soggetto, la volontà del soggetto non c’è perché
dall’esterno è stato imposto il matrimonio. In questi casi prima o poi il matrimonio finirà
quando normalmente cede la presa del metum incutiens. Es. muore il padre che aveva
imposto il matrimonio e lascia la persona, raggiunge una propria autonomia economica
che era stato un limite forte. L’unica strada dice il codice, per liberarsi dal timore è il
matrimonio. Lo scelgo non perché lo voglio, ma perché mi devo liberare dal timore. Anche
in questo caso il consenso della persona, certamente non è un consenso libero. Come non
era libero perché la persona si era fatta un’immagine diversa delle cose, non era libera nel
dopo perché l’immagine è stata condizionata da una altra persona che l’ha raggirata, e
non è libera nel timore, perché la persona non è stata libera di scegliere, gli altri gli hanno
imposto una strada che lei non avrebbe preso. L’incapacità di intendere e di volere,
l’incapacità discretiva, l’incapacità assolutiva per problemi psichici sono le ipotesi tipiche
del vizio del consenso. Errore, violenza e dolo sono le tre ipotesi tipiche del vizio del
consenso.
Il tema della simulazione è riscontrabile nel canone 1101 secondo cui la volontà interna
dell’animo del nubendo non coincide con le parole che professa celebrando il
matrimonio. Ovvero la persona è determinata a non volere il matrimonio stesso, da una
delle parti o entrambi le parti, che escludono il matrimonio, un suo elemento essenziale,
una proprietà od un fine.
La simulazione può, perciò, essere totale o parziale: sarà totale qualora si escluda la
dimensione istituzionale, sacramentale e relazionale. Ad es quando si procede a celebrare
un matrimonio di natura strumentale, ossia si ci sposa solo per un proprio benessere
economico. Si toccherà l’esclusione sacramentale quando viene meno la definizione
coniugale del matrimonio cioè non è orientato a realizzare l’altro, ad es si ci sposa x
ottenere cittadinanza. Ed infine si escluderà la realtà relazionale quando ad es. si ci sposa
perché si necessita di una badante.
L’esclusione di queste tre dimensioni porta a togliere la sostanza del matrimonio. Si tratta
di simulazione parziale quando si vuole sì il consenso come affetto e relazione dell’altro
ma null’altro, ossia lo si priva intenzionalmente di una parte, ad es l’indissolubilità, la
prole, il bene dei coniugi e la fedeltà. Per l’indissolubilità si decide di celebrare un
matrimonio per il quale si è consapevoli che non duri per sempre, che alla prima difficoltà
si pensa al divorzio, perciò detto matrimonio a prova. Ancora si esclude la prole attraverso
l’uso di contraccettivi e metodi impeditivi al concepimento o si ricorre alla sterilità:
elementi utilizzati per un processo in tribunale. Per quanto riguarda l’esclusione della
fedeltà, si ha già l’intenzione di non concedere gli atti sessuali solo al proprio partner ma
anche ad altra/o, essendo infatti fedigrafo. È un costume la continuità nel tradire. E in
riferimento al can 1995 che cita coloro che presentano personalità disturbate dal punto
di vista psicologico essendo affetti da ninfomania per cui si è sempre alla ricerca di
esperienze sessuali nuove. Diverso quando si ci fa l’amante dopo diversi anni, per cui non

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si aveva escluso la fedeltà all’inizio. Perciò l’amore non può sostenere la realtà giuridica
del matrimonio che dev’essere fondato sull’impegno a realizzare l’altro, pertanto l’amore
coniugale è il sinolo di amore unito alla responsabilità.
Sempre nell’ambito del consenso insiste anche il canone 1102 che tratta della
celebrazione di un matrimonio condizionato dal consenso, le cui condizioni possono
essere presente (ad es. ti sposo se sai cucinare) o passata (ti sposo a condizione che tu
non sia mai stato in carcere). Il matrimonio è valido o nullo se la condizione esiste oppure
no.
La condizione è collegata ad un dubbio ragionevole che si era innescato già prima del
matrimonio. Mi sposo a condizione che tu non sia una prostituta ma se tu me lo nascondi
e io lo vengo a sapere dopo il matrimonio, quel matrimonio sarà invalido. E così a
condizione che non ti droghi, che non ti ubriachi. Ponendo condizioni si ci vuole tutelare
e tutelare anche la sacralità del matrimonio. La condizione sul passato e sul presente si
può apporre e il matrimonio è valido se la condizione viene verificata o meno. Tuttavia
spiega il magistero della chiesa che la condizione deve essere grave e non superficiale che
pregiudichi nella sostanza il matrimonio. Fa differenza a sposarsi un delinquente o una
persona per bene. Inoltre c’è differenza tra il codice latino e il codice del canoni delle
chiese orientali perché quest’ultimo chiarisce che il matrimonio non si può celebrare sotto
alcuna condizione che sia presente, passata o futura; invece x quello latino si può
celebrare sotto condizione presente o passata.
La procedura di nullità matrimoniale: il processo di nullità matrimoniale il 15 agosto del
2015 è stato riformato da papa Francesco col motu proprio Mitis iudex dominus iesus.
Accanto ai nuovi canoni inerenti al processo matrimoniale che hanno sostituito i
vecchi(10 can) sono state aggiunte regole procedurali che vanno a specificare ciò che nei
canoni non entrava. L’intento del papa è stato legare l’aspetto pastorale a quello
giuridico. Da dove parte oggi un processo di nullità matrimoniale? Dall’indagine pastorale
preprocessuale. E particolare preparazione devono avere per questo i parroci e gli
operatori pastorali, i catechisti a cui la comunità fa riferimento e che comunque devono
poi demandare a chi di dovere, cioè agli esperti di diritto. E lo stesso vescovo è giudice di
consacrazione perché ha assunto tutte le potestà nel momento in cui è stato consacrato
vescovo: legislativa, esecutiva e giudiziaria, quindi è legislatore, amministratore e giudice
che deve svolgere anche un ruolo pastorale x farlo avvicinare ai sacri valori.
Successivamente c’è l’indagine giuridica che si fa presso gli avvocati e presso i tribunali
ecclesiastici in cui esiste la figura del patrono stabile, si tratta di un dipendente del
tribunale ecclesiastico stipendiato dallo stesso, che può dare il proprio ausilio e ha il
compito di fornire consulenza alle parti sulla possibilità di avviare una causa di nullità
matrimoniale.
Se si è indigente si viene affidati ad un avvocato d’ufficio, non pagando nulla al tribunale
d’ufficio( possibilità che esisteva pure prima della riforma di papa Francesco). Dopo tali
steps si procede a realizzare l’atto che introduce la causa di nullità di matrimonio che è il
libello, documento in cui si scrive la storia della persona in poche pagine e s’identifica il

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motivo di nullità, che può essere dolo, errore, incapacità d’intendere e di volere,
indissolubilità, condizione apposta sul matrimonio, simulazione totale etc.
Rispetto a questo libello si può procedere individualmente o congiuntamente quando cioè
si è d’accordo a chiedere la nullità e le cause procedono in simbiosi. Ma possono essere
anche concordi nel dire menzogne e ottenere la nullità.
Le parti che partecipano al giudizio sono: parte motrice, parte contenuta, le quali in alcuni
casi possono anche congiuntamente chiedere la nullità, e difensore del vincolo che si
occupa sempre di difendere la validità del matrimonio, si tratta del pubblico ministero che
fa le sue osservazioni a favore del vincolo matrimonio. E poi ci sono coloro i quali devono
decidere su questo matrimonio, cioè i giudici, che vanno a formare il collegio giudicante
che è normalmente fondato da tre giudici e in virtù della riforma possono essere fino a 2
laici e un chierico, prima 1 chierico, 2 laici e altri 2 chierici e se prima le cause di nullità
non potevano mai essere giudicate da un giudice unico, oggi si dice che lì dove sia
impossibile x penuria di giudici costituire un collegio giudicante si può ammettere anche
la decisione di un giudice unico. Ciò fatto si procederà ad individuare quale tribunale e a
quale competenza rivolgere questa petizione?
Altra novità del processo: si possono coordinare fra di loro ad es il tribunale dove fu
celebrato il matrimonio oppure il tribunale dove uno o entrambi le parti hanno il
domicilio o il tribunale del luogo in cui si devono raccogliere il maggior numero di prove
(dove, cioè, si è trascorso il fidanzamento). Prima della riforma si andava x ordine
gerarchico, ossia prima il tribunale del luogo, poi domicilio della parte officia, poi
domicilio della parte contenuta. C’era una gerarchia dei fori di competenza. Dopo la
riforma sono equivalenti, per cui tutti questi tribunali con diverso titolo sono competenti
e non essendoci una gerarchia si può scegliere tra i diversi fori. Il tribunale può essere:
diocesano, inter-diocesano (costituto da più diocesi messe insieme) e la figura del vescovo
è sempre giudice.

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