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DIRITTO DEL POPOLO DI DIO

GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA


E LE SOCIETA’ DI VITA APOSTOLICA

Prof. Jimenez Echave Aitor


Pontificia Università Lateranense
ROMA

Lunedì 4 Ottobre 2021

Testi di riferimento:
- Le forme di vita consacrata (EDIURCLA)
- Nel servizio dell’identità carismatica (LEV)
- Nello stile sinodale

LE NORME COMUNI
CANONI 573-606

Oltre a stabilire una normativa giuridica sulla questione, questa prima parte
prende in esame anche la realtà teologica e dottrinale. Un innesto che fa sì
che questi siano canoni molto densi.

La Commissione preparatoria decise per queste norme comuni, applicate a


tutti, inserendo alla fine alcuni canoni che per la loro peculiarità e contenuto
non si potevano inserire in altro luogo.

Perché è importante il contenuto delle norme comuni?


Per il contenuto teologico che si sviluppa al loro interno e che danno la base
e il fondamento di tutto.

Canone 573
Can. 573 - §1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una
forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione
dello Spirito Santo, si dànno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo,
dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla
salvezza del mondo, siano in grado di conseguire la perfezione della carità nel servizio
del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannuncino la gloria
celeste.
§2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della
Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o
altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano i consigli

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evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale essi
conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.

Non è un canone “giuridico”, ma esplicita la teologia del Vaticano II in forma


giuridica.

È un canone fondamentale: stabilisce quali sono i principi teologici e


giuridici che un IVC deve avere per essere chiamato “vita consacrata”.
Chi non ha questi cinque elementi teologici e giuridici non potrà essere
chiamata “vita consacrata”.

In caso contrario si userà la parola “accerunt”, cioè si assomigliano.

Abbiamo cinque elementi teologici:

1. Consacrazione a Dio: elemento fondamentale.


I consacrati non si consacrano a Cristo, ma si donano totalmente e
permanente a Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo). È un criterio
teocentrico. È Dio che ti chiama, noi celebriamo la nostra risposta a
Dio. Non è la “mia consacrazione”, ma la nostra risposta libera a Dio
che chiama “dal seno materno”.

2. Aspetto cristologico e pneumatologico: la sequela di Cristo per mezzo


dell’azione dello Spirito Santo.
Più vicina è la sequela, più perfetto sarà il nostro dono. La vita
consacrata non riguarda un “cammino di perfezione”, noi siamo già
consacrati mediante il Battesimo. Si tratta di una perfezione che ha a
che fare con l’imitazione più perfetta di Cristo. E’ vivere secondo le sue
parole, il suo insegnamento. Noi ci dobbiamo configurare alla vita di
Cristo, secondo i consigli evangelici, ma anche vivendo la preghiera e
la vita fraterna.

3. Consigli evangelici: facciamo attenzione a non confondere l’elemento


teologico con l’elemento giuridico. Povertà, castità e obbedienza non
sono esclusivi. Ci sono altri elementi non oggetto di attenzione
giuridica.
Il contenuto teologico lo troviamo anche nei canoni 599-600-601. In
questo contesto si inserisce la stabilità di vita, propria di tutti (anche chi
si sposa cerca una stabilità di vita). Configura la persona e dà requisito
importante per sviluppare la realtà personale della chiamata di Dio. E’
un aiuto giuridico teologico che la Chiesa dà alla persona perché
possa configurarsi a Cristo.

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4. Missione e unione con la Chiesa: è l’aspetto apostolico.
Questa interazione con la Chiesa è ciò che dà senso alla missione che
si svolge. Ogni consacrazione è apostolica, anche la consacrazione
negli istituti di vita contemplativa.

5. Segno e significazione ecclesiale ed escatologica: la vita consacrata ha


questo elemento peculiare.
Si cerca di anticipare il Regno dei cieli in mezzo a noi. Ha sempre uno
sguardo nel futuro, nel domani.

A livello giuridico, il paragrafo secondo del canone 573 ci permette di cogliere


cinque elementi:

1. Forma stabile

2. Elezione canonica da parte dell’Autorità competente della Chiesa:


diventa qualcosa di “pubblico”, non si tratta di qualcosa di
semplicemente “privato”. È l’Autorità che elige.
Facciamo attenzione a non confondere “fondazione” ed “elezione”: la
fondazione è l’atto privato che somma le volontà degli individui, mentre
l’elezione riconosce l’istituto e dà a questo soggetto il carattere di pubblico.

3. Libera opzione di vita: diritto della libertà. Analogamente se uno dei


coniugi si sposa per mancata libertà, il matrimonio è nullo.
In mancanza di libertà sia di chi si consacra che dell’Autorità, la
consacrazione è nulla. Occorre la libertà, è necessario che la persona sia in
grado di fare un atto pratico-pratico di scelta di vita. Libero di scegliere,
consapevole delle esigenze che una consacrazione comporta.

4. Voti o sacri vincoli: è la forma giuridica con la quale si assumono i


consigli evangelici.

Lunedì 11 Ottobre 2021

Ogni istituto di Vita consacrata deve avere un suo diritto proprio.


Distinguiamo tra diritto universale (non si chiama diritto comune) e diritto
proprio (non diritto particolare che è riferito alle Chiese particolari).

Il diritto proprio è costituito da:


• Regola di vita: non è necessaria che ci sia. Un IVC può essere eretto
dall’Autorità competente senza che ci sia una regola da seguire. Molte
volte si adopera in modo improprio per indicare le Costituzioni che di
per sé non sono “regola”.

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• Costituzioni: obbligatorio
• Direttorio particolare: obbligatorio
• Norme emanate dal Capitolo generale/provinciale/locale
• Norme emanate dal Superiore (generale/provinciale/locale) per il
proprio territorio
• Sane tradizioni: tramandate, anche se sono in disuso.

Il legislatore stabilisce la ecclesialità della vita consacrata: fa parte della


Chiesa.

Can. 574 - §1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti
appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto
e promosso da tutti.
§2. A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per
usufruire di un dono peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del
proprio istituto, giovare alla sua missione di salvezza.

La vita consacrata è uno stato di vita all’interno della Chiesa, costituito da


chierici e laici.

Il criterio ermeneutico non è quello della gerarchia, ma della santità.

LG 43 e LG 44 indicano che è lo stato di vita della santità quello che offre alla
vita consacrata il suo spazio ecclesiale all’interno della complessità
costitutiva della Chiesa.
Alla santificazione sono chiamati i chierici, i laici e la vita consacrata.

Il legislatore dà importanza costituzionale alla vita consacrata: non è un


semplice “dare spazio”, ma dotarla di un peso costituzionale nella realtà
ecclesiale della quale facciamo parte.
Tutti i fedeli sono tenuti a favorire la vita consacrata.

I propri membri sono chiamati in prima persona a promuovere la missione


salvifica della Chiesa secondo il proprio carisma.
Questo ha un’applicazione diretta nelle Chiese particolari: nei diversi Consigli
la vita consacrata deve essere presente.

Oggi non è facile che ci siano tutte le forme di vita e carismi nelle diverse
Chiese particolari. Ma questo non toglie che si faccia il possibile per
mantenere queste realtà.

Dopo aver trattato la ecclesialità, il legislatore parla della consacrazione


mediante i consigli evangelici: castità, povertà, obbedienza.

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Sono dono di Dio e hanno la loro base e sostegno nella vita e nelle parole
dello stesso Gesù.
La vita consacrata è cammino di configurazione a Gesù.
Il Concilio ha modificato l’ordine rispetto a prima, ma questo non sta ad
indicare l’importanza.

Corrisponde ai Vescovi o alla Santa Sede regolare, approvare il


contenuto/forma dei consigli evangelici per evitare che possano esserci delle
azioni dannose o esagerazioni nel vivere e regolare i consigli evangelici.

La gradualità non è applicabile alla castità. C’è una gradualità, invece, per la
povertà e l’obbedienza a seconda dell’istituto nel quale ci troviamo.

La castità
Oggetto del voto è la perfetta continenza.

Can. 599 - Il consiglio evangelico della castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno
della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo
della perfetta continenza nel celibato.

Si applica sia alla vita contemplativa che alla vita apostolica.


È un consiglio evangelico che non è esclusivamente della chiesa cristiana.
Anche nel mondo civile possono esserci delle persone che per un motivo che
nulla ha a che vedere con il cristianesimo decidono di vivere celibatariamente
senza sposarsi.

Qual è la ragione per la quale dobbiamo vivere la perfetta continenza nel


celibato?
Per il Regno dei cieli: è un fondamento applicabile anche agli altri due
consigli evangelici. Tutto è in funzione della salvezza delle anime. Se non c’è
un “perché” all’obbligo, risulta difficile viverla con serenità.
Il consacrato vive questo obbligo per il Regno dei cieli: non c’è una
gradualità.

Il Codice dice che la castità è vivere la perfetta continenza nel celibato: non
comporta la verginità della persona.
La persona per consacrarsi a Dio non deve necessariamente essere vergine.
Possono consacrarsi anche coloro che sono stati sposati e che hanno sciolto
il vincolo matrimoniale oppure i vedovi.

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La povertà

Can. 600 - Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo
ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in
operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la dipendenza e la
limitazione nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti.

È un canone che obbliga alla dipendenza e limitazione nell’uso dei beni


secondo il diritto proprio.
C’è una gradualità secondo il proprio istituto. Ci sono quegli istituti nei quali i
membri possono avere beni e disporre di quantità di denaro ad uso proprio e
altri che invece prevedono una dipendenza totale dall’Autorità competente
con una rendicontazione.

Negli istituti secolari occorre la rendicontazione dei beni acquistati, per


aiutare a vivere correttamente l’uso e il rapporto dei beni temporali.

Per i religiosi si concretizza nel fatto che con il voto semplice non si può
amministrare, usare e usufruire dei beni patrimoniali: rimane la nuda
proprietà.

Il voto solenne non permette neanche il possesso dei beni: prima della
professione perpetua occorre rinunciare a tutti i beni che si possiedono.

L’obbedienza

Can. 601 - Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore
per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai
Superiori legittimi, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie
costituzioni.

Si tratta di sottomettere la propria volontà a quella dei Superiori, quando


comandano secondo le Costituzioni.

Si vuole evitare le esagerazioni e l’uso indebito dell’Autorità.

Quando si parla della povertà si dice “secondo il diritto proprio”: non è facile
ridurlo ad una normativa costituzionale. Il legislatore stabilisce che va tenuto
conto del “diritto proprio”.

Quando si parla di obbedienza si indicano le “Costituzioni”, visto che può


portare a esagerazioni.

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Esiste anche qui la gradualità: una obbedienza domenicana è diversa rispetto
alla gesuitica, una obbedienza monastica è diversa rispetto alla apostolica.

Autorità e obbedienza sono due facce della stessa medaglia: sia chi
comanda sia chi ha Autorità devono discernere quale sia la volontà specifica
della persona e la volontà di Dio su di te.

È importante tenere presente che il legislatore desidera che i consigli


evangelici siano stabiliti nelle Costituzioni, in un Documento, e nel Direttorio
la applicabilità.

L’Autorità competente:
- Santa Sede.
- Per la Chiesa latina: Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e
le Società di Vita Apostolica.
- Per la Chiesa orientale: Congregazione per le Chiese orientali
- Per i missionari: Congregazione per la Evangelizzazione dei popoli

Ci può essere una “esenzione”.

Tutto quello che decide la Santa Sede non può essere messo in discussione
da altra Autorità.
Il Vescovo non può erigere validamente un IVC se non ha la licenza da parte
della Sede Apostolica. Prima era la “consultazione” non ad validitatem.

La fusione/unione/confederazione/soppressione è di competenza della Santa


Sede.
Tutte le Costituzioni di Diritto Pontificio sono approvate dalla Sede
Apostolica. Quelle diocesane dal Vescovo.
Il Direttorio: quando la Santa Sede si esprime è sull’approvazione. Qualsiasi
cambiamento è di competenza interna del Capitolo generale.

Le Costituzioni sono il documento costitutivo dell’Istituto, dove ci sono i criteri


di vita e azione e qui la Santa Sede vuole avere particolare cura.

Altre Autorità competenti sono il Vescovo o l’Ordinario del Luogo. Il Vescovo


è colui che regge una determinata Chiesa particolare. Né gli Ausiliari né i
Coadiutori sono responsabili degli IVC.

Al Vescovo diocesano spetta erigere un Istituto di Diritto diocesano, sotto


l’Autorità del Vescovo della Diocesi.
Dove c’è la Sede generalizia, quello è il Vescovo della sede principale. Lì
abita il Superiore e il moderatore supremo. Quando si parla di “diritto

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diocesano” significa che non sono sviluppati in modo sufficiente e sono
ancora sotto la tutela del Vescovo.

IVC Religiosi
IVC Secolari
SVA
Ordo Virginum
Eremiti

Istituti contemplativi oranti


SVA: elemento educativo, sanitario, sociale
Missione ad gentes: istituto missionario/caritativo
Vita apostolica / Vita contemplativa

Non usiamo “Vita attiva e vita claustrale”.

Istituti clericali (ordine sacro) o laicale.


Non si può dare una inter-relazione.

Istituti maschili / femminili. Non esistono gli istituti misti. Su questo la Santa
Sede è molto chiara. Devono vivere separatamente.

Patrimonio dell’istituto è un patrimonio “spirituale”. È il proposito del fondatore


che forma la natura dell’istituto, il fine specifico e il carattere.
Nelle Costituzioni questo patrimonio va inserito. Si deve osservare con
fedeltà la mens e il proposito del fondatore. Non semplicemente le
“peculiarità” del fondatore, ma cosa voleva. Questo va raccolto per iscritto,
così che non ci sia una “deviazione” dei suoi membri nel vivere la realtà. Il
carisma che viene dato è immutabile. Se cambio il carisma sto facendo un
altro istituto.

La natura dell’istituto verrà raccolta sinteticamente nelle Costituzioni.


Normalmente è nel capitolo primo al numero 1.
La “natura” comprende gli elementi essenziali e costitutivi:
• vocazione
• carattere proprio dell’istituto
• carisma dell’istituto: è frutto conciliare degli anni ’80 dove si iniziò a
sviluppare la teologia del carisma.

Prima del Concilio, il fine di tutti era la santificazione.


Occorre stabilire con chiarezza per cosa nasce l’Istituto, il suo fine.

La nascita di un Istituto avviene con la sua fondazione.

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Lunedì 18 Ottobre 2021

Processo vitale: è l’iter da percorrere dalla nascita alla morte di un IVC.

1. Atto privato di volontà


Alcune persone decidono di mettere insieme la loro volontà di dare vita ad
una realtà all’interno della Chiesa che ancora non è stata riconosciuta né
eretta dall’Autorità ecclesiastica.

La fondazione è diversa dall’atto pubblico della erezione che si ha


quando l’Autorità sancisce l’istituto.

Una volta fondato, quando diverse volontà si sono messe insieme per dare
vita a questa realtà, il primo passo è la creazione di una associazione privata
di fedeli.

Si stabilisce uno Statuto che verrà riconosciuto dall’Autorità Ecclesiastica


competente: il Vescovo diocesano.

Questa associazione privata di fedeli decide come vogliono vivere, cosa


vogliono fare, le loro regole.
L’Autorità ecclesiastica verifica che il contenuto dello Statuto non sia
contrario né al magistero della Chiesa né alla legislazione canonica esistente.

L’approvazione del Vescovo dice il suo “nulla osta” agli Statuti e concede il
permesso di vivere in modo conforme agli Statuti stabiliti.
Lo Statuto stabilisce anche come vengono suddivisi i beni.

L’Associazione può adoperare un abito oppure no.


All’inizio sono fedeli privati che lavorano insieme, ma il portare un abito
potrebbe creare inganno tra i fedeli: si tratta di “privati” che fanno parte di una
associazione privata.

La vigilanza del Vescovo è importante per evitare problemi interni.

2. Erigere una Associazione pubblica dei fedeli.

È fondamentale stabilire nella richiesta, negli Statuti


e nel Decreto di erezione del Vescovo se intendono diventare
istituto di vita consacrata o società di vita apostolica.

Il Decreto del Vescovo deve dirlo chiaramente.


In ogni diocesi dovrebbe esserci un Vicario episcopale per la vita consacrata.

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3. Richiesta di diventare un Istituto di vita consacrata di diritto diocesano.

È il terzo passo che si ha quando l’Istituto ha una crescita numerica e di


luoghi.
Da Associazione - normata dal Codice relativamente alle associazioni di
fedeli - si passa alla normativa su IVC/SVA. Sotto la vigilanza del Vescovo
della Diocesi.

È un passaggio importante perché non soltanto si devono cambiare le


costituzioni: dallo Statuto occorre passare alle Costituzioni.
La normativa costitutiva dovrà essere approvata ed eretta dal Vescovo della
Diocesi.

Perché il vescovo possa validamente fare l’erezione diocesana si


richiede la licenza della Sede Apostolica.
Questa è una normativa nuova.

Il canone 579 diceva così:

Can. 579 - I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con
formale decreto istituti di vita consacrata, purché sia stata consultata la Sede Apostolica.

In questo caso il canone dice “consultata la Sede Apostolica”.

La consultazione non aveva alcun carattere vincolante per il Vescovo e


neanche ad validitatem.
Ma molti Vescovi erigevano degli Istituti senza consultare la Sede Apostolica
oppure si consultavano, ma facendo poi quello che consideravano più
opportuno (o quello che volevano…).

Si determinava, così, una moltiplicazione di Istituti diocesani con un povero


discernimento sul carisma, fine e realtà cattolica.
Questo non ha favorito la vita consacrata.

Si inserì pertanto un nuovo requisito per la validità dell’atto che era


l’ottenimento per iscritto della licenza, pena la nullità.

La decisione di Papa Francesco è del novembre 2020, sancita dalla Lettera


apostolica in forma di Motu proprio Authenticum charismatis.

In sostanza, pur lasciando al singolo Vescovo diocesano la facoltà di “erigere


con formale decreto istituti di vita consacrata” nel proprio territorio di
competenza, la nuova norma richiede che ora la scelta del Vescovo avvenga
“previa autorizzazione scritta della Sede Apostolica”, mentre in precedenza

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nello stesso punto il canone 579 recitava “purché sia stata consultata la Sede
Apostolica”.

Ecco il testo del Motu Proprio:

«Un chiaro segno dell'autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di


integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti» (Esort.
Ap. Evangelii gaudium, 130).
I fedeli hanno il diritto di essere avvertiti dai Pastori sull’autenticità dei carismi e
sull’affidabilità di coloro che si presentano come fondatori.
Il discernimento sulla ecclesialità e affidabilità dei carismi è una responsabilità
ecclesiale dei Pastori delle Chiese particolari. Essa si esprime nella cura premurosa
verso tutte le forme di vita consacrata e, in particolare, nel decisivo compito di
valutazione sull'opportunità dell'erezione di nuovi Istituti di vita consacrata e nuove
Società di vita apostolica.

È doveroso corrispondere ai doni che lo Spirito suscita nella Chiesa particolare,


accogliendoli generosamente con rendimento di grazie; al contempo, si deve evitare che
«sorgano imprudentemente istituti inutili o sprovvisti di sufficiente vigore» (Conc.
Ecum. Vat. II, Decreto Perfectae caritatis, 19).

Alla Sede Apostolica compete accompagnare i Pastori nel processo di discernimento che
conduce al riconoscimento ecclesiale di un nuovo Istituto o di una nuova Società di
diritto diocesano. L'Esortazione apostolica Vita consecrata afferma che la vitalità di
nuovi Istituti e Società «deve essere vagliata dall'autorità della Chiesa, alla quale
compete l'opportuno esame sia per saggiare l'autenticità della finalità ispiratrice sia per
evitare l'eccessiva moltiplicazione di istituzioni tra loro analoghe, col conseguente
rischio di una nociva frammentazione in gruppi troppo piccoli» (n. 12). I nuovi Istituti di
vita consacrata e le nuove Società di vita apostolica, pertanto, devono essere
ufficialmente riconosciuti dalla Sede Apostolica, alla quale sola compete l'ultimo
giudizio.

L'atto di erezione canonica da parte del Vescovo trascende il solo ambito diocesano e lo
rende rilevante nel più vasto orizzonte della Chiesa universale. Infatti, natura sua, ogni
Istituto di vita consacrata o Società di vita apostolica, ancorché sorto nel contesto di una
Chiesa particolare, «in quanto dono alla Chiesa, non è una realtà isolata o marginale, ma
appartiene intimamente ad essa, sta al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo
della sua missione» (Lettera ai Consacrati, III, 5).

In questa prospettiva dispongo la modifica del can. 579 che è sostituito dal seguente
testo:
Episcopi dioecesani, in suo quisque territorio, instituta vitae consecratae formali
decreto valide erigere possunt, praevia licentia Sedis Apostolicae scripto data.

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Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu proprio, ordino che
abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di
speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore
Romano, entrando in vigore il 10 novembre 2020 e quindi pubblicato nel commentario
ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

Dato dal Laterano, il giorno 1 novembre dell'anno 2020, Solennità di Tutti i Santi,
ottavo del mio pontificato.

Occorre inviare un direttorio e la presenza di almeno 40 membri professi


sparsi in diverse diocesi del Mondo.
La Santa Sede ha la capacità di chiedere modifiche alle Costituzioni che si
devono adeguare.

Il Superiore generale, che può essere il Fondatore, emette la professione


religiosa nelle mani del Vescovo.

Gli altri membri lo faranno nelle mani del Superiore generale.

L’istituto diocesano gode di autonomia: capacità di autoregolarsi


internamente. Inizia un processo di verifica del percorso pastorale,
carismatico e spirituale a cura del Vescovo.
Il Vescovo competente, quello della sede principale, è quello nel quale si
trova la Curia generalizia.

4. Se l’Istituto cresce e tutto è regolare, ci sarebbe la richiesta da parte del


Vescovo della sede principale affinché la Santa Sede possa erigere IVC o
SVA diocesana di diritto pontificio.

Quando si parla di “diritto pontificio” significa che la tutela e la vigilanza passa


dal Vescovo della Diocesi al Romano Pontefice, a cura della Congregazione
competente con potestà vicaria.

Il Vescovo della sede principale deve inviare alla Santa Sede la richiesta
formale e scritta, non il Superiore generale o il Fondatore.
Dovrà inviare la storia dell’Istituto e gli altri documenti, le lettere
commendatizie dei Vescovi delle Diocesi dove si trovano gli Istituti diocesani.
È una lettera che brevemente dà una valutazione all’Istituto.
Il Direttorio generale verrà approvato dal Capitolo generale e valutato e
approvato dalla Santa Sede.

Occorrono almeno 100 membri, dei quali la maggioranza devono essere


professi perpetui.

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La Santa Sede verifica le Costituzioni, aiutando il discernimento del Vescovo
affinché nulla sia contrario al Magistero.

La Santa Sede verifica circa i documenti, il fondatore, la spiritualità. Si fa una


ricerca nei diversi Dicasteri della Curia Romana.
Si presenterà quindi una nota di ufficio al Santo Padre che firma direttamente
l’approvazione pontificia all’Istituto. Questo chiude la fase di crescita
dell’Istituto.

Una volta che l’Istituto esiste può esserci un processo di crescita o


diminuzione.

L’Istituto può procedere alla aggregazione ad un altro Istituto di Vita


Consacrata che abbia una similitudine o una vicinanza carismatica e
spirituale. Sono le “famiglie” che possono nascere, anche se ogni istituto
mantiene una sua struttura e indipendenza.

È di aiuto spirituale: ogni Istituto a livello di governo e potestà mantiene il


proprio governo. Le “famiglie” partecipano dei benefici spirituali.

Quando i numeri si riducono o si perde vitalità si aprono poi diverse


prospettive: la fusione, l’unione, il rimanere come si è, la soppressione.

Fusione e unione: garantiscono ai consacrati di poter finire la loro vita


all’interno della consacrazione che hanno scelto.

Fusione
Si produce tra due o più Istituti. C’è la richiesta di un Istituto di entrare a far
parte di un altro.
Gli Istituti “fusi” scompaiono. Le persone e i beni passano all’Istituto che li ha
accolti.

Che succede se uno dei membri non accetta di passare alla fusione?
Può chiedere la dispensa dai voti e l’uscita dall’Istituto oppure chiedere di
essere accolto in altro Istituto.

Unione
Diversi istituti decidono motu proprio di unirsi e formare una nuova realtà. Dei
diversi istituti ne nasce uno nuovo, anche come persona giuridica. Gli altri
sono tutti soppressi.

Divisione
Divisione interna: circoscrizioni

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Occorre l’Autorità competente per fare la divisioni, soppressione o
sospensione. Si può sospendere la vita di quella circoscrizione per problemi
interni che non si riescono a risolvere.

Federazione e confederazione.
Quando si procede alla soppressione, se non ci sono membri la Santa Sede
determinerà dove andranno i beni dell’istituto.
Generalmente finiscono per la carità del Santo Padre o al Vescovo per le
necessità della Diocesi.

Autonomia degli Istituti di vita consacrata.


Non significa indipendenza totale dall’Autorità ecclesiastica. È per evitare
abusi di potere.
La “giusta” autonomia va stabilita nelle Costituzioni. È il “darsi le proprie
leggi” che implica che ogni istituto deve reggersi per le proprie Costituzioni
che diventano norma propria.
Neanche il Vescovo nella sua Diocesi può incidere sulla disciplina interna.
L’autonomia protegge l’istituto per vivere conforme al proprio carisma/fine
dell’Istituto.

I membri si obbligano a osservare le Costituzioni quando decidono di


abbracciare quello stato di vita.

Autonomia non è indipendenza.


I beni sono ecclesiastici. Per alienarli occorre il permesso. Se l’Istituto è
autonomo è comunque legato ad un altro ente superiore a sé che deve
concedere il permesso.

Esenzione: istituto che dipende dal Romano Pontefice.


L’autonomia e l’esenzione sono due realtà giuridiche diverse che cercano di
tutelare IVC e SVA.

Il primo “diritto proprio” da osservare è la Regola di vita, anche se non tutti la


possiedono.
Gli altri documenti: Costituzioni, Direttorio generale/particolare, Delibere o
approvazioni, regole e norme date dal Superiore provinciale o locale, sane
tradizioni.

Le Costituzioni sono un Codice, dunque un testo legislativo costituito da


norme. Contiene la normativa costitutiva approvata dal Capitolo generale e
della Sede Apostolica.
Non è un trattato di spiritualità.

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Stabilità non significa “perpetuità” delle norme. C’è bisogno di stabilità, ma
possono essere modificate.
Modifica delle Costituzioni per adeguarla ai concreti bisogni dei membri alla
luce del Magistero della Chiesa.

Codici supplementari: direttori generali e particolari.


Nel direttorio amministrativo si approfondisce la normativa.
Direttorio spirituale raccoglie la tradizione di preghiera.

Il direttorio generale applica le Costituzioni. Se le Costituzioni sono i


fondamenti c’è bisogno di una “praticità” di quei fondamenti. Il legislatore
stabilisce una normativa di applicabilità che viene raccolta nel Direttorio.
Le norme applicative si possono modificare più frequentemente rispetto ai
principi.

Non è ammessa richiesta di modifiche che non abbiano la approvazione del


Capitolo generale. Per le Costituzioni serve sempre la maggioranza dei due
terzi di voti favorevoli. Non è la maggioranza assoluta, ma quella dei due
terzi.

Il Capitolo generale come organo rappresentativo prende le decisioni per


tutto l’Istituto. Una delibera del Capitolo significa che o i due terzi o la metà
dell’istituto considera quell’articolo conveniente per l’Istituto stesso.

Qualsiasi modifica costituzionale richiede sempre i due terzi. Non possono


essere ammesse le modifiche soltanto perché il governo generale ha
considerato opportuno modificare quella normativa.
Il superiore generale può modificare le norme date da lui, il resto no.

Rapporto IVC con la Chiesa


Possiamo parlare anche di “comunione” tra IVC e la Chiesa diocesana.

Tutti gli IVC sono sottomessi al Romano Pontefice al quale si deve


obbedienza. Tutti gli Istituti sono sottomessi all’Autorità suprema della
Chiesa. Ogni singolo membro è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice,
supremo moderatore di tutti.

Ogni singolo membro può rivolgersi liberamente al Romano Pontefice per


esprimere la propria opinione o dare un consiglio.
Ogni Superiore quando termina il mandato deve mandare una relazione alla
Santa Sede secondo uno schema predefinito.

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Ogni istituto è libero di stabilire quanto tempo dura ogni mandato.
La relazione va mandata solo dagli Istituti di Diritto Pontificio, non quelli di
diritto diocesano il cui responsabile è il Vescovo diocesano.

Se la Santa Sede nomina un Visitatore, l’Istituto può fare ricorso?


No: la Santa Sede e il Dicastero è libero di nominare. Per fare ricorso si
chiede la lesione di un diritto.

Lunedì 25 Ottobre 2021

Esenzione
Il Romano Pontefice concede un privilegio ad alcuni istituti di non essere
sottomessi all’Autorità del Vescovo della Diocesi o all’Ordinario del Luogo.
Finalistico: IVC hanno bisogno di una “esenzione” per esercitare il fine
specifico per il quale sono stati fondati, al di là del bisogno concreto che ci sia
in una Diocesi. La finalità non può essere legata ad un unico territorio, ma
deve essere universale.

Il Papa deve cercare di venire incontro al bene comune di tutti e prevedere


che ci sia questa apertura e condivisione con tutta la Chiesa universale.
Nella Diocesi dove si trovano gli IVC, questi devono abbracciare il piano
pastorale del Vescovo arricchendolo con la propria identità ecclesiale
secondo il carisma proprio.
Quando chiedono al Vescovo il consenso per erigere una casa, il Vescovo
deve procedere ad un discernimento sulla convenienza o meno di questo
carisma e spiritualità per la propria Diocesi.

Le norme comuni (canoni 603-604-605) presentano tre forme di


consacrazione: due individuali e una collettiva.
Eremiti e ordo virginum: per la loro singolarità e difficoltà di normare, il
legislatore le ha inserite nelle norme comuni.

Eremiti
Can. 603 - §1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o
anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio
della solitudine, nella assidua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di
Dio e alla salvezza del mondo.
§2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se
professa pubblicamente i tre consigli evangelici, confermandoli con voto o con altro
vincolo sacro, nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il
programma di vita che gli è propria.

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Viene chiamato il “martirio bianco”: si vendevano tutti gli averi,
abbandonando i centri abitati e andando ad abitare in solitudine e sine glossa
il Vangelo.
Non avevano una regola di vita, ma il vivere il Vangelo sine glossa con
lavoro, preghiera, solitudine, penitenza e silenzio.

Gli anacoreti cercavano di vivere isolatamente, ma neanche troppo lontano


dagli altri. Accoglievano un candidato che lo seguivano e quando era pronto
per la vita in solitudine lo inviavano.
Ci sono anche istituti di vita monastica che all’interno prevedono l’assistenza
degli anacoreti, come i benedettini.

Il canone non si riferisce alle congregazioni anacoretiche, ma solo alla vita


singola. Ci sono quelli che fanno il proposito e altri che non fa il proposito o
“professio”.

Altro gruppo di anacoreti:


§2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se
professa pubblicamente i tre consigli evangelici, confermandoli con voto o con altro
vincolo sacro, nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il
programma di vita che gli è propria.

C’è una professio dei consigli evangelici, pubblica, fatta nelle mani del
Vescovo che li accoglie a nome della Chiesa. Questo anacoreta dipende
direttamente dal Vescovo diocesano. È una forma di vita consacrata con
caratteristiche diocesane: emettono il proposito nelle mani del Vescovo
diocesano.

Al Vescovo diocesano compete l’approvazione dell’anacoreta, il quale deve


stilare un proprio statuto di vita. Ognuno deve fare il proprio statuto di vita che
sarà sottoposto al Vescovo diocesano per l’approvazione, prima che avvenga
la consacrazione. Da quel momento in poi il Vescovo dovrà chiedere
all’anacoreta di vivere secondo quanto stabilito dallo Statuto.

Il Vescovo deve verificare che abbia anche un mezzo di sopravvivenza,


perché l’anacoreta non ha il diritto di essere mantenuto dalla Diocesi.

Difetto di anacoreticità: è un abbandono della città, del centro abitato.


Vivere solitudine, preghiera senza fare professio dei consigli evangelici. Ci
sono diverse forme di anacoreti.
I veri e propri anacoreti sono quelli che fanno la professio, altrimenti il vincolo
è alquanto debole.

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Molte volte queste vocazioni sono di coloro che sono usciti dalla vita
religiosa.

Ordo virginum
Can. 604 - §1. A queste diverse forme di vita consacrata si aggiunge l'ordine delle
vergini le quali, emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal
Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato, si
uniscono in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio e si dedicano al servizio della Chiesa.
§2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro
proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è
confacente al loro stato.

All’inizio erano uomini e donne. Nella storia dell’ordo virginum potevano


all’inizio vivere in famiglia o in realtà cenobitica.
È una forma di vita consacrata che sparì per il fatto che la donna viveva in un
contesto di solitudine. Rimase la consacrazione verginale all’interno della vita
femminile cenobitica.
Con il Concilio ci fu un forte movimento dell’Argentina per essere riconosciute
come forma di consacrazione esistente nella Chiesa.

L’ordo virginum è un gruppo di donne (è l’unica forma esclusivamente


femminile) che consacra la verginità ed emette il santo proposito di verginità.
Non emette povertà e obbedienza.

“Si assomigliano” alle forme di vita consacrata.


Can. 604 — § 1. Hisce vitae consecratae formis accedit ordo virginum

Emettono il sacro proposito di verginità: si richiede che la donna sia vergine.


Questo concetto è da intendersi nel senso di “non aver conosciuto uomo”.
Non aver vissuto o viva in uno stato contrario alla verginità.
Se una donna vive in un appartamento con i suoi familiari possono
comunque nascere difficoltà.
Verginità è il punto centrale della consacrazione. Per evitare il problema fisico
è opportuno che la persona non abbia vissuto in una forma contraria alla sua
verginità.

“Accedit”, si assomigliano. Non ha tutti i requisiti legali per poter essere


assimilata agli IVC.
È una forma di vita individuale diocesana. Il santo proposito di verginità deve
essere emesso nelle mani del Vescovo. Deve discernere la sua idoneità a
questo tipo di consacrazione.
Occorre uno statuto di vita, approvato dal Vescovo diocesano.

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Anacoreta e vergine consacrata possono cambiare diocesi. La vergine
consacrata a causa del lavoro che svolge potrebbe cambiare sede. Chi
presiede e accoglie questo santo proposito deve essere il Vescovo.
“A servizio della Chiesa”: il proprio lavoro è considerato come servizio
pastorale. Non è tenuta oltre al lavoro che svolge per guadagnarsi la vita a
ritagliarsi del tempo per lavorare in parrocchia.

La possibilità della costituzione di Associazione di vergini per vivere meglio il


santo proposito o il servizio.

§2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro
proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è
confacente al loro stato.

Questa forma di aggregazione si prevede per due motivi:


- vivere bene il santo proposito: ci si aiuta a mantenere la fedeltà alla
propria vocazione
- svolgere il servizio specifico

E’ importante sottolineare che l’Associazione non significa creare una


comunità di vita cenobitica di vergini consacrate.

Questo secondo paragrafo non è molto accolto dalle Vergini consacrate.


Spesso vengono dalla vita comunitaria e dunque alla luce delle difficoltà
vissute vedono un pericolo per loro.
Non c’è alcun segno esterno di identificazione.

Sono state introdotte nel CIC del 1983 dopo la difficoltà iniziale degli anni ’70.

Nuove forme di consacrazione


Can. 605 - L'approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata unicamente alla
Sede Apostolica. I Vescovi diocesani però si adoperino per discernere i nuovi doni di
vita consacrata che lo Spirito Santo affida alla Chiesa, aiutino coloro che li promuovono
ad esprimere i progetti nel modo migliore e li tutelino con statuti adatti, utilizzando
soprattutto le norme generali contenute in questa parte.

Il canone 573 stabilisce i cinque punti teologici, giuridici di un IVC.


Se non si hanno, “si assomigliano” agli IVC.
Queste nuove forme vanno approvate dalla Santa Sede. Il Vescovo
diocesano deve fare discernimento.

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La novità non facile da essere illustrata. Ci sono scarsi numeri di
approvazione pontificie. Il processo di discernimento deve dare riscontri
importanti, per evitare rigorismi assurdi o interpretazioni sbagliate.

La vita religiosa
Riguarda una donazione totale della persona, non temporanea.

Can. 607 - §1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta
nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il
religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con
questo l'intera sua esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.
§2. L'istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i
voti pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita
fraterna in comunità.
§3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa
comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di
ciascun istituto.

Il §1 offre elementi teologici della vita religiosa.


Il paragrafo 2 sono elementi giuridici: per i religiosi il voto è pubblico.
Dopo il Vaticano II i Superiori generali fecero delle richieste al Dicastero
competente chiedendo una flessibilità sulla forma di assumere i consigli
evangelici, come una “promessa” o un “giuramento”.
Con la decisione del voto pubblico Giovanni Paolo II chiudeva la questione,
dando un elemento in più agli istituti religiosi rispetto alle altre forme di
consacrazione.

I religiosi devono vivere in comunità. Chi non si sente in grado di vivere la


comunità e la sente come un peso deve verificare la sua vocazione.

Le case religiose.
Il concetto di “casa” non è entrato del tutto nel linguaggio dei religiosi in
quanto si parla di comunità. “Comunità” viene spesso usato come sinonimo di
“casa religiosa”.

Non è importante che un IVC abbia la proprietà della casa. Si può erigere
una casa anche essendo in affitto.
Certamente avere una casa di proprietà significa “stabilità”, ma questo non è
fattibile quando l’Istituto non è riconosciuto come persona giuridica pubblica
in quanto non può acquistare un bene.
Per questo si può iscrivere a nome di qualche persona fisica o del Parroco.
Ma così facendo se quella persona fisica va via o muore, la proprietà a chi
rimane?

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Il numero dei membri per aprire una casa religiosa è minimo 3.
La casa è persona giuridica pubblica e devono esserci almeno 3 persone per
poterla costituire.
Occorre poi un Superiore, non c’è casa senza Superiore. In certe realtà c’è
chi rifiuta questo ufficio o mancano elementi nella comunità.

La casa va eretta in un luogo fisico dove si possa coabitare.


La comunità richiede degli spazi che la casa di una famiglia non richiede.
Occorre un oratorio nel quale si possa celebrare la Messa e conservare
l’Eucaristia.

Si deve tenere conto anche dei mezzi di sussistenza. Questo non significa
che viene mantenuta dalla Curia generalizia o provinciale.
La comunità deve avere i propri mezzi con i quali mantenere quella
fondazione. Occorre dunque un lavoro per avere il sostentamento per una
vita degna.

Non di rado si vede come molti fondatori si ponevano la domanda sul


sostentamento della casa. È elemento importante per evitare senso di
pesantezza verso il governo.

L’elemento fondamentale è se una casa è formata oppure non formata.

Per la erezione canonica di una casa religiosa occorre:


- previo consenso del Vescovo della Diocesi in cui si vuole erigere la
casa.
Questo consenso deve essere dato per iscritto e va conservato
nell’archivio della casa e della Diocesi. Non si può imporre la presenza
di alcuna comunità religiosa nella Diocesi e al Vescovo. Il Vescovo è il
garante dell’equilibrio apostolico ed ecclesiale all’interno della Diocesi,
tra tutte le realtà presenti.
- Consenso del Vescovo quando cambia la finalità per la quale era stata
eretta la casa.

Il Vescovo non può togliere il consenso dato dal Vescovo precedente.

Per la soppressione della casa va osservata la presenza di vincoli con terze


persone o con la Diocesi. è un atto potestativo dell’Autorità interna dell’Istituto
e il Vescovo deve essere solo consultato.
Sui beni di una casa soppressa, deciderà il Superiore maggiore competente.

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Se un istituto maschile riceve una eredità affinché si possa far fronte alle
spese dei sacerdoti della Parrocchia. L’Istituto deve osservare sempre la
volontà del donatore: il reddito di quel bene va destinato ai sacerdoti che
servono la Parrocchia. Non dice ai sacerdoti dell’Istituto che lavorano lì, ma il
concetto generico. Destinare il reddito del bene al sostentamento dei
sacerdoti che servono la Parrocchia.

Il Vescovo deve rispettare carattere e fine proprio dell’Istituto. È un


arricchimento carismatico della Diocesi.

Per i monaci devono chiedere alla Santa Sede la erezione e soppressione.


Soppressone dell’ultima casa equivale alla soppressione dell’istituto.

Superiori e consigli.
Esercizio della potestà individuale o collegiale (capitolo).

La potestà è del Superiore e non del Consiglio. Il Consiglio è un organo che


coadiuva il Superiore nell’esercizio della potestà, ma non ha da sé potestà.
Il Superiore esercita questa potestà a norma del diritto proprio: non è
assoluto, ma rientra nei parametri stabiliti dal diritto universale. Per la validità
occorre osservare la normativa giuridica o canonica stabilita.

Questo limita l’Autorità del Superiore e un suo possibile esercizio dispotico.

Il Superiore è una persona fisica e in virtù del suo ufficio ha funzioni di regime
ed esercita la sua potestà in nome proprio su persone e comunità secondo il
diritto.
Si vede la differenza con la potestà collegiale, che è di un insieme di
persone.

Il Superiore è obbligatorio che ci sia. Senza Superiore non c’è casa


canonicamente eretta. Negli ultimi decenni si sta facendo spazio l’idea della
non necessità del Superiore, come figura superata. Secondo questa visione
basterebbe un responsabile o coordinatore.

L’Autorità è un servizio.
Si deve fare sempre nella ricerca della volontà di Dio. Il Superiore ha una
doppia responsabilità: ricercare la volontà di Dio per se stesso e per gli altri.
Non si può passare la propria volontà per la volontà di Dio. Il Superiore deve
essere in grado di aiutare l’altro a scorgere quanto Dio gli sta chiedendo in un
particolare momento della sua vita.

Il Superiore deve governare altri come figli di Dio, evitando governo


paternalista.

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Occorre che la persona sia rispettata nella sua dignità. Va promossa
l’obbedienza volontaria.
Il Superiore deve essere una persona che ascolta gli altri di buon grado.
Deve avere la pazienza di ascoltare quanto l’altro gli dice.
Fare in modo che tutti lavorino per il bene dell’Istituto.
Nessun istituto lavora per il bene di sé stesso, ma per il bene della Chiesa.
Il Superiore deve avere il coraggio di comandare, di dire ciò che si deve fare,
avendo a cuore il bene di tutti e non soltanto di coloro che lo hanno eletto.

Deve prodigarsi diligentemente al suo ufficio. È obbligo fondamentale.


Alimenta la comunità con il Vangelo, offrendo il nutrimento della Parola di Dio
con frequenza.

Il Superiore deve essere un credente, attento a coltivare la sua vita interiore.


Attento ai bisogni della vita comunitaria, non aspettando che i membri della
comunità vengano a supplicarlo, attento agli ammalati.
Deve correggere gli irrequieti, richiamando i fratelli. Il richiamo comporta
sempre un confronto con l’altro e non è sempre semplice.
Deve essere paziente.

Superiori maggiori: governano con potestà ordinaria, propria e immediata.


Governano tutto l’istituto o una parte di esso (provincia o assimilata).
È chiamato provinciale o moderatore supremo, nomenclatura non accolta da
parte dei membri degli Istituti religiosi che continuano a chiamarlo Superiore
generale o preposito.

Si aggiungono l’Abate primate e il superiore di una congregazione monastica,


i quali tuttavia non hanno tutta la potestà che il diritto universale attribuisce ai
superiori maggiori.

Superiore con potestà delegata.


Superiore locale: governa una casa.

Potestà immediata: si esercita direttamente su tutti i membri e comunità


dell’Istituto o sul suo territorio.
Potestà mediata: avviene attraverso il consenso di un’altra persona. Non
posso disporre liberamente, ma il Superiore intermedio o provinciale deve
dare il suo consenso. Richiede che un Superiore intermedio possa concedere
di esercitare la sua potestà.

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Lunedì 8 novembre 2021

La costituzione del Superiore

Possono essere:
° nominati (da Superiore dell’Autorità competente, previa consultazione)
° eletti (con la posteriore conferma dell’Autorità competente - Unico caso in
cui non si richiede conferma è il caso del Moderatore Supremo o Superiore
generale)

La provvisione dell’Ufficio del Superiore va contemplato nelle Costituzioni.


Una eventuale dispensa va richiesta alla Sede Apostolica.

Per essere validamente nominati o eletti all’ufficio di Superiore si richiede:

- un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua o definitiva:


non riguarda l’età della persona, ma il vissuto e l’aver assunto il
carisma e la spiritualità a guidare le persone nel cammino di
consacrazione. Non c’è una età stabilita, ma ogni Istituto decide la
propria: diverse a seconda che si tratti di Superiore provinciale o
generale.

- devono essere costituiti per un periodo di tempo determinato e


conveniente secondo la natura e le esigenze dell’istituto. Il legislatore
stabilisce che non possono esserci cariche ad vitam. Va stabilita la
durata del “mandato”: deve essere indicato il tempo, la possibilità di una
ri-elezione e per quanti mandati consecutivi (senza interruzioni).

Quando si dice “soltanto per due mandati” si intende due mandati nella
sua esperienza di vita. “Due mandati consecutivi” significa dare una
pausa dopo due mandati e poi poter essere rieletto.

Un modo per eludere la ratio della norma è quello di essere “superiore”


in diverse case, ma per tutta la vita: finito il mandato si viene trasferiti in
altra casa con l’ufficio di Superiore e così via.

- il diritto proprio provveda con norme opportune che i Superiori costituiti


a tempo determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo
senza interruzione.

- possono essere rimossi dal loro ufficio o trasferiti ad un altro, per


ragioni stabilite dal diritto proprio: non si tratta semplicemente di

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rimuovere la persona dall’ufficio, ma devono essere indicati dal diritto
proprio i motivi per i quali si può essere rimossi dall’ufficio.

Questo va stabilito o nelle Costituzioni o nel Direttorio generale,


cercando non di scendere nei minimi particolari, ma mantenendoci in
ragioni generali: “Per il bisogno pastorale dell’Istituto”.

Il Moderatore supremo dell’istituto sia designato mediante elezione canonica


a norma delle costituzioni.
Nelle Costituzioni oltre ai requisiti che devono esserci, se ne possono
aggiungere altri: età, esperienza pastorale o comunitaria. A norma del
canone 119 CIC.
Il numero minimo di votazioni è 3. Si sceglie però il numero delle votazioni e
le maggioranze richieste. Si richiede all’inizio i due terzi, poi la maggioranza
assoluta.
Se sono 5 votazioni, nella quarta godono di voce passiva i due candidati che
nell’ultimo scrutinio hanno ottenuto il maggior numero di voti. A parità di voti
viene eletto il più anziano di professione religiosa e a parità di professione
vince il più anziano di età.

Alle elezioni del Superiore di un monastero sui iuris, di cui al canone 615, e
del Moderatore supremo di un istituto di diritto diocesano presiede il Vescovo
della sede principale (che è quella della sede della Curia generale).

Obblighi del Superiore


- Risiedano ciascuno nella propria casa
- Non se ne allontanino se non a norma del diritto proprio: è un richiamo
a “rimanere”.
- Riconoscano ai religiosi la dovuta libertà per quanto riguarda il
sacramento della penitenza e la direzione della coscienza, salva
naturalmente la disciplina dell’istituto. Il Superiore deve sempre
rispettare il foro interno delle persone.
- Provvedano con premura che i religiosi abbiano disponibilità di
confessori idonei:
° nei monasteri di monache, nelle case di formazione e nelle
comunità più numerose degli istituti laicali, confessori ordinari
approvati dall’Ordinario del luogo, senza tuttavia alcun obbligo di
presentarsi a loro.
° i Superiori non ascoltino le confessioni dei propri sudditi, a meno
che questi non lo richiedano spontaneamente.
- è vietato ai Superiori indurli in qualunque modo a manifestare loro la
propria coscienza.

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Gli altri Superiori siano costituiti a norma delle costituzioni:
- se vengono eletti necessitano della conferma del Superiore maggiore
competente.
- se vengono nominati dal Superiore si deve premettere una opportuna
consultazione. La consultazione non obbliga il Superiore: è uno
strumento di conoscenza e di aiuto nel processo del discernimento.

Le esigenze dell’ufficio
- Nel conferire uffici e membri nelle elezioni osservino le norme del diritto
universale e del diritto proprio.
- Si astengano da qualunque abuso o preferenza di persone.
- Nominino o eleggano le persone che nel Signore riconoscono
veramente degne e adatte.
- Rifuggano dal procurare in qualunque modo voti per sé o per altri
direttamente o indirettamente. I gesuiti hanno le “sacre mormorazioni”
nelle quali non c’è la ricerca del voto, ma la ricerca di informazioni sulle
persone.

Il consiglio del Superiore


- ogni Superiore deve avere il proprio consiglio a norma delle
Costituzioni.
- Nell’esercizio del proprio ufficio siano tenuti a valersi della sua opera: il
consiglio non è uno strumento decorativo, sia per la validità che per la
liceità degli atti. Deve trascriversi nei verbali delle decisioni e riunioni
- Il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è
richiesto il consenso oppure il parere, ex canone 127, oltre ai casi
stabiliti dal diritto universale. Il consenso è quello del Consiglio: è un
organo diverso dalla persona del Superiore. Il Superiore non fa parte
del Consiglio: sono due realtà complementari. Se devo chiedere il
consenso al mio Consiglio significa che è un organismo diverso da me.
C’è un uso indiscriminato della parola Consiglio. Il Consiglio non decide
niente: non ha capacità decisoria.
La cosa importante non è il voto: è il processo previo di discernimento
dove si arriva al voto, dove si arriva alla “mens” del voto.
Il numero minimo di consiglieri deve essere 4, canone 699:

Can. 699 - §1. Il Moderatore supremo con il suo consiglio, che per la validità deve
constare di almeno quattro membri, proceda collegialmente ad una accurata valutazione
delle prove, degli argomenti e delle difese e, se ciò risulta per votazione segreta,
emetterà il decreto di dimissione; questo, per essere valido, esprima almeno
sommariamente i motivi, in diritto e in fatto.

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In caso di parità nelle votazioni in un caso di consenso: il Superiore non può
votare. Perché non è un atto collegiale. Il Superiore non ottiene il consenso e
quindi non può agire.
In caso di pareggio sarebbe, quindi, un “no”: potrebbe decidere di chiarificare
i possibili dubbi e ripresentare a posteriori il caso. Il consenso su 4 sarebbero
tre.
Si consiglia un numero dispari.

Il consenso non obbliga il Superiore a dover agire. Se non lo ottengo non


posso agire, ma se lo ottengo posso anche non agire se cambiano le
circostanze.

Il visitatore
Visita canonica: il Superiore maggiore competente o un suo delegato (il
visitatore) fa ad ogni comunità per verificare l’adempimento della disciplina
della vita e dell’apostolato che svolgono nell’Istituto.
Lo deve svolgere secondo la tempistica e la formalità stabilita nel diritto
proprio. La tempistica dipende dalla norma interna.

In occasione della visita canonica non solo si fa un dialogo, ma occorre


vedere anche i libri.

Da parte dei religiosi:


- si comportino con fiducia nei confronti del visitatore
- rispondano secondo verità nella carità alle domande da lui legittimante
poste
- a nessuno è lecito distogliere i religiosi da un tale obbligo nè impedire
altrimenti lo scopo della visita

I Capitoli

Il capitolo generale è l’organo di autorità suprema dell’Istituto esercitata in


forma collegiale. Tutti i membri del Capitolo sono uguali.
In caso di parità si concede che chi presiede il Collegio possa dirimere
questa situazione.

Ha nell’Istituto la suprema autorità a norma delle Costituzioni: deve essere


composto in modo da rappresentare l’intero istituto e deve risultare vero
segno della sua unità nella carità.
La sua costituzione si basa sulla rappresentatività: libera scelta dai membri
dell’Istituto.

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Tutti i membri partecipano al Capitolo “per diritto”, hanno cioè maturato il
diritto a partecipare.
Come si può maturare questo diritto di appartenere al capitolo?

Chi partecipa in un Capitolo:


- membri di ufficio
- membri di elezione: la base ha eletto qualcuno come delegato a
partecipare al Capitolo

Una persona che non è né membro di ufficio né di delegazione non può


partecipare perché non ha maturato il diritto di partecipare.
Si matura questo diritto o per ufficio o per elezione.

Possono partecipare anche periti ed esperti, ma non sono membri.


Ci sono anche persone invitate.
Vista la mancanza della rappresentatività, se le Costituzioni lo stabiliscono il
Governo generale può nominare uno o due membri dell’Istituto con voce e
voto per partecipare nel Capitolo.

Possono partecipare solo membri di professione perpetua e mai di


professione temporanea. I professi temporanei possono essere invitati come
ascoltatori, ma non con voto.

Competenze principali del Capitolo:

° tutelare il patrimonio dell’istituto di cui al canone 578:

Can. 578 - L'intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità
della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto,
nonché le sue sane tradizioni, cose tutte che costituiscono il patrimonio dell'istituto,
devono essere da tutti fedelmente custoditi.

° promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi: per non


cadere nell’anacronismo, il legislatore dice di “tutelare” ma anche di
“aggiornare”. Il carisma si adegua ad ogni circostanza nella quale si vive,
perché sia significativo per la cultura e i fedeli di oggi.

° eleggere il Moderatore supremo e il Consiglio generale.

° trattare gli affari di maggiore importanza. Il legislatore non dice quali siano e
non specificando lascia ad ogni Istituto stabilire quali siano questi “affari di
maggiore importanza”. Sono quelli che incidono in tutto l’Istituto. Il pericolo di
un Capitolo generale è andare al particolarismo.

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Il legislatore non considera l’elezione del Superiore generale e del Consiglio
come la cosa più importante e urgente, ma il patrimonio dell’istituto.
Si parte dal progetto e in modo conforme al progetto si scelgono le persone
idonee per attuare quel progetto.

Il Capitolo ha autorità legislativa: può emanare le norme per tutto l’Istituto che
devono essere osservate da tutti i membri dell’Istituto. Se queste norme
cambiano le norme delle Costituzioni si richiede che siano approvate dalla
Sede Apostolica.
Se non modificano le norme delle Costituzioni non c’è necessità di ricorrere
alla Santa Sede.

Le norme/delibere approvate da un Capitolo generale durano da un capitolo


all’altro.

Il successivo Capitolo può:


- riprendere la legge e introdurla nelle Costituzioni o nel Direttorio.
- riprendere la norma e darle valore per un altro mandato.
- la norma decade quando il Capitolo non riprende la norma, per evitare
l’eccesso normativo dell’Istituto. Altrimenti sarebbero in vigore le prime
norme del Capitolo.

La composizione e l’ambito di potestà del capitolo deve essere stabilita nelle


Costituzioni.

Il diritto proprio deve determinare il regolamento da osservarsi nella


celebrazione del Capitolo, specialmente per quanto riguarda le elezioni e la
procedura dei lavori.
Il regolamento capitolare si può modificare ad ogni Capitolo. Si potrebbero
introdurre delle modifiche al testo che sarà presentato al Capitolo, con il
compito di votare se accettare o meno il regolamento.

Al Capitolo generale si possono far pervenire liberamente i propri desideri e


proposte secondo le norme stabilite dal diritto proprio:
- dalle province
- dalle comunità locali
- da qualunque religioso

Il legislatore concede piena libertà a tutti i membri dell’Istituto di inviare


proposte, desideri, pareri, opinioni direttamente al Capitolo generale.

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A livello giuridico:
- Il Capitolo è una assemblea deliberativa con potestà legislativa e
decisionale.
- Le Assemblee sono un organo consultivo: possono dare parere,
suggerimenti. Mai possono legiferare.

Il diritto proprio deve determinare con esattezza questi elementi, così come la
loro natura e composizione, il modo di procedere, il tempo della celebrazione.

I beni temporali e la loro amministrazione

Principio generale:
- i beni temporali degli istituti religiosi sono beni ecclesiastici
- sono retti dalle disposizioni del Libro V
- ogni istituto stabilisca opportune norme circa l’uso e l’amministrazione
dei beni.

Per questo motivo all’interno delle Costituzioni troviamo un capitoletto


dedicato alla Amministrazione dei beni che sarà integrato dal capitolo sul
direttorio e dal direttorio amministrativo.

Sono beni ecclesiastici che giustificano la loro esistenza nella Chiesa per tre
motivazioni:
- sostentamento dei membri dell’Istituto
- opere apostoliche dell’Istituto
- atti di culto e carità

I beni sono in stretto rapporto con la missione e con il sostentamento dei


membri evitando il lusso. L’istituto deve evitare lusso ed eccessivo guadagno.
Il legislatore non parla di “gratuità”, ma di evitare l’eccessivo guadagno:
arricchimento o capitalizzazione eccessiva. I beni devono fruttare perché
questo giovi alla missione dell’Istituto.

Eccessiva accumulazione dei beni: l’Istituto può tenere dei fondi, ma devono
essere consoni con la povertà. Non accumulare per tenere, ma destinare ad
una specifica missione.

La norma nasce per favorire, tutelare e manifestare la povertà.

La capacità sui beni:


Come persone giuridiche hanno diritto di acquistare, possedere,
amministrare e alienare i beni sia l’istituto religioso, che le province che le
case. Questo secondo le norme del diritto universale e diritto proprio: il diritto

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proprio potrebbe limitare la capacità giuridica di alcune di queste persone
circa acquisto, possesso, amministrazione e alienazione dei beni.

Alcune raccomandazioni:
- si adoperino per dare una testimonianza collettiva di carità
- destinino qualcosa dei propri beni per le necessità della Chiesa e per
contribuire a soccorrere i bisognosi

Nei preventivi/bilanci, una voce deve essere sempre la condivisione dei beni
con la Chiesa particolare e con i poveri. Il quantitativo viene determinato dalla
normativa di ogni organismo e anche dalla capacità reale dell’ente.

L’economo
In ogni istituto, così come in ogni Provincia retta da un Superiore maggiore
occorre questa figura. C’è chi lo chiama “amministratore”, anche se il CIC
parla di Economo.

È una figura che amministra i beni sotto la direzione del rispettivo Superiore.
Nelle comunità locali va istituito per quanto possibile un economo distinto dal
Superiore locale.
Canone 636:

Can. 636 - §1. In ogni istituto, e parimenti in ogni provincia retta da un Superiore
maggiore, ci sia l'economo, costituito a norma del diritto proprio e distinto dal Superiore
maggiore, per amministrare i beni sotto la direzione del rispettivo Superiore. Anche nelle
comunità locali si istituisca, per quanto è possibile, un economo distinto dal Superiore
locale.
§2. Nel tempo e nel modo stabiliti dal diritto proprio gli economi e gli altri
amministratori presentino all'autorità competente il rendiconto dell'amministrazione da
loro condotta.

Gli obblighi degli economi e degli altri amministratori:


- amministrazione dei beni temporali dell’istituto
- presentare all’Autorità competente il rendiconto dell’amministrazione da
loro condotta

Al Superiore compete dare la direzione, all’Economo “amministrare”.

Non si parla di “Consiglio”: il Superiore è il responsabile primo ed ultimo della


gestione amministrativa. Se c’è una perdita amministrativa non si possono
scaricare sull’economo tutte le responsabilità. Al Superiore spetta la vigilanza
sull’economia.

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Al Superiore compete la direzione, l’indirizzo e i principi.
All’Economo compete seguire la direzione stabilita dal Superiore e
amministrare secondo quanto stabilito dal Superiore.

Nelle visite il Superiore controlla l’economia, ma per fare questo non sempre
è preparato nelle questioni economiche.

Lunedì 15 novembre 2021

L’Economo agisce sotto la direzione del Superiore e non del Consiglio.

Il Superiore non è il rappresentate legale.


Il rappresentante legale secondo gli ultimi orientamenti del Dicastero della
vita consacrata dovrebbe essere una persona distinta dal Superiore.
In certe nazioni è obbligatorio che il Superiore sia anche rappresentante
legale, in altre no.

Il Consiglio non gode di alcuna potestà: dunque l’Economo non può esservi
sottomesso. Il Superiore è colui che ha potestà di governo e dunque la
potestà di determinare la direzione, i principi e le decisioni che poi come
ultimo responsabile assumerà a livello canonico.

Anche se è Superiore generale, questo è il rappresentante, ma non


rappresentante “legale”.

Un conto è rappresentare l’Istituto, altro è essere “rappresentante legale”


dell’Istituto che assume le responsabilità davanti allo Stato.

Quando il Superiore “rappresenta” l’Istituto, questo non ha niente a che fare


con lo Stato.

Il Superiore “rappresentante legale” potrà esserlo solo nella nazione in cui


potrà svolgerlo.

È il Superiore che deve vigilare e rispondere davanti alla Congregazione e


alla Santa Sede: tocca a lui controllare, firmare, dare permessi secondo il
diritto proprio con il parere/consenso del suo Consiglio.

Nelle comunità locali va stabilito, per quanto possibile, un economo distinto


dal Superiore.
La norma precisa sempre la diversità di persona fisica tra Superiore ed
Economo.

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Il legislatore concede questa dispensa alla norma per la difficoltà
consapevole che non in tutte le case ci può essere una persona idonea a
questo compito.
Questa è l’eccezione e non la normalità.

Il legislatore desidera che ci sia un controllo dell’economia.


Ma se il Superiore fa anche l’Economo, chi controlla?

La coincidenza della stessa persona fisica è una eccezione: sono due servizi
diversi.

Obbligo dell’Economo o Amministratore è amministrare i beni temporali


dell’Istituto e presentare all’Autorità competente il rendiconto
dell’amministrazione da loro condotta.

Spetta al diritto proprio determinare:


- quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità
dell’amministrazione ordinaria.
- stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di
amministrazione straordinaria

Questa rendicontazione avviene quando ci sono i capitoli: quello generale e


quello provinciale o equiparato dove l’Economo dovrà presentare la
rendicontazione dell’organismo.

Quello che viene stabilito nel preventivo è molto chiaro: stabilisce


l’amministrazione ordinaria e ha approvazione del Superiore competente.
Lo “straordinario” è ciò che non è preventivato: non approvato né considerato
dal Superiore competente.

Il preventivo per le persone giuridiche è obbligatorio.

Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti


validamente, oltre che dai Superiori, anche dagli officiali (economo o altro
incaricato) nei limiti del loro ufficio.

I monasteri sui iuris:


- devono presentare una volta all’anno il rendiconto della loro
amministrazione all’Ordinario del luogo.
- questi ha il diritto di prendere visione della conduzione degli affari
economici della casa religiosa di diritto diocesano.

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Alienazione

È un atto amministrativo straordinario ed eccezionale: non dovrebbe essere


la forma quotidiana per ottenere una rendita economica. La vendita dei beni
crea un danno al patrimonio dell’Istituto.

Per la validità dell’atto:


- si richiede la Licenza scritta rilasciata dal Superiore competente con il
consenso del suo consiglio. Deve esserci la richiesta scritta, motivata e
documentata.
Questa licenza va sempre chiesta al di là della misura della
alienazione.
Fino a 100 il Superiore locale; da 100-500 superiore provinciale; oltre
500 il superiore generale.

Per i monasteri sui iuris e per gli istituti di diritto diocesano è necessario
anche il consenso scritto dell’Ordinario del luogo.

- Se però si tratta di negozio che supera la somma fissata dalla Santa


Sede per le singole regioni, come pure di donazioni votive fatte alla
Chiesa, o di cose preziose per valore artistico o storico, si richiede
inoltre la licenza della Santa Sede stessa.
Non è sufficiente la Licenza del Superiore, ma quando si supera la
somma fissata dalla Santa Sede (comunque decisa dalla Conferenza
Episcopale. Se non è stabilita è 100mila dollari) occorre la licenza della
Santa Sede. Occorre fare attenzione anche alla normativa civile.

La Licenza va richiesta prima della alienazione: se è richiesta dopo occorre


chiedere la sanatio in radice, si sana il fatto compiuto.

Si richiede una richiesta scritta e documentata: sia dell’organismo che del


Superiore generale con il suo consiglio.
Deve essere indicata anche la motivazione della alienazione.
Va indicato a chi voglio vendere il bene e per cosa sarà adoperato. Il
problema sarà vendere edifici dove c’è una Chiesa o cappella.
Va richiesto il parere del Vescovo diocesano dove si trova il bene: non si
chiede il permesso, ma il parere.
Se il Vescovo è interessato all’acquisto del bene, a parità di condizioni il
Vescovo ha la precedenza nell’acquisto.
Non c’è alcun nihil obstat da richiedere e non c’è la pretesa di ottenere un
bene a prezzo stracciato.
L’unico bene spesso è il Monastero: se le monache devono cambiare sede
portano quell’unico bene a garanzia, dunque non è corretto “svenderlo”.

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Va richiesta anche la perizia che dia il valore di mercato del bene. Oltre alle
perizie il Superiore deve indicare anche il prezzo di vendita che non potrà
essere inferiore a quello della perizia.

Per i monasteri sui iuris e per gli istituti di diritto diocesano occorre il
consenso scritto dell’Ordinario del Luogo.

Debiti e oneri: responsabilità giuridica sui fatti economici


Canone 639

Can. 639 - §1. Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza
dei Superiori, è tenuta a risponderne in proprio.
§2. Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui beni propri,
ne deve rispondere personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso un
negozio dell'istituto, è l'istituto che ne deve rispondere.
§3. Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza dei Superiori, è lui stesso, e non la
persona giuridica, a doverne rispondere.
§4. Rimanga fermo tuttavia che si può sempre intentare un'azione contro colui il cui
patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto.
§5. I Superiori religiosi si astengano dall'autorizzare a contrarre debiti, a meno che non
consti con certezza che l'interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie, e
che l'intero capitale si potrà restituire entro un tempo non troppo lungo con una legittima
ammortizzazione.

§1 Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con la licenza


dei Superiori, è tenuto a risponderne in proprio.
Occorre anche la Licenza per mutui o locazione che supera i 9 anni.

§2 Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui


beni propri, ne deve rispondere personalmente; se invece per mandato del
Superiore ha concluso affari dell’Istituto è l’Istituto che deve rispondere.

Se un religioso con voti semplici diventa erede di un immobile, ma non ha


soldi per mantenerlo, deve pagare lui. Se non può pagare rinuncia al bene o
venderlo.

§3 Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza del Superiore, è lui


stesso e non la persona giuridica a doverne rispondere.
Il problema è in ambito civile con la responsabilità sussidiaria. Anche se
condannano l’Istituto come responsabile sussidiario di pagare, qui potrebbe
nascere un problema.

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§4. Rimanga fermo tuttavia che si può sempre intentare un'azione contro
colui il cui patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel
contratto.
L’Istituto può fare una causa contro il rappresentante legale che senza alcuna
Licenza ha venduto.

§5. I Superiori religiosi si astengano dall'autorizzare a contrarre debiti, a


meno che non consti con certezza che l'interesse del debito si potrà coprire
con le rendite ordinarie, e che l'intero capitale si potrà restituire entro un
tempo non troppo lungo con una legittima ammortizzazione.

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Capitolo III (Cann. 641 - 645)
AMMISSIONE DEI CANDIDATI E FORMAZIONE DEI MEMBRI

Ammissione al noviziato
Can. 641 - Il diritto di ammettere i candidati al noviziato spetta ai Superiori maggiori a
norma del diritto proprio.

Il legislatore non tratta le fasi previe al noviziato.


Ogni Istituto potrà stabilire nel diritto proprio la normativa che consideri più
opportuna per regolamentare le fasi previe al noviziato.

L’ammissione al noviziato è una grazia.


Non ho il diritto ad essere ammesso, ma una grazia che viene concessa.

Can. 642 - I Superiori ammettano con la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all'età
richiesta, abbiano salute, indole adatta e la maturità sufficiente per assumere il genere di
vita proprio dell'istituto; la salute, l'indole e la maturità siano anche verificati,
all'occorrenza, da esperti, fermo restando il disposto del can. 220.

La tappa formativa precedente al noviziato non è contemplata dal legislatore.


È oggetto della legislazione di diritto proprio di ogni Istituto.
Nel Codice del 1917 si parlava di almeno sei mesi prima di accedere al
noviziato.

L’ammissione al noviziato è una grazia e non un diritto.


La non accettazione non è pertanto oggetto di un ricorso. Il ricorso si basa
sulla lesione di un diritto: ma qui non è in gioco alcun diritto.

Il candidato deve chiedere formalmente e per iscritto di essere ammesso al


noviziato. È bene inserire anche una motivazione.
Di fronte ad una domanda scritta deve essere data una risposta scritta.

Si deve chiedere al Superiore maggiore secondo il diritto proprio.


Il superiore locale o il formatore non sono autorità alla ammissione al
noviziato, ma solo il Superiore maggiore che può essere:
- superiore generale
- superiore provinciale o equiparato
- superiore delegato per questo dal Superiore maggiore: se non riceve la
delega, la ammissione è nulla. E se la ammissione al noviziato è nulla
tutto il resto sarà nullo.

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Qualità del candidato
- cattolico: battezzato nella Chiesa cattolica o in esso accolto e aver
ricevuto la Confermazione
- retta intenzione: molte volte non è oggetto di discernimento nella
ammissione. Va verificata la retta intenzione dell’individuo, che
l’intenzione della persona che chiede coincida con quella dell’Istituto.
- Età necessaria
- Salute e carattere adeguato
- Qualità sufficienti: in rapporto all’Istituto e alla vita consacrata specifica
di quell’Istituto.
- Maturità per assumere il genere di vita dell’Istituto

La vocazione generica alla vita religiosa non esiste.


Esiste la vocazione specifica e concreta dell’Istituto.

Per poter verificare alcune di queste qualità si può far riferimento a degli
esperti, fermo restando l’obbligo di non ledere illegittimamente la buona fama
o l’intimità. Molte volte i formatori non rispettano i diritti della persona.

Le ragioni di questa esigenza:


- Il tipo di vita al quale deve accedere il candidato
- libertà di stabilire i punti di riferimento per l’ammissione
- vitalità e sopravvivenza dell’istituto
- beneficare il candidato evitando la perdita di tempo
- necessità di comprovare i segni e motivi iniziali

L’età: è una qualità e un impedimento. Per la valida ammissione si richiede di


aver compiuto almeno 17 anni di età.

Can. 643 - §1. È ammesso invalidamente al noviziato:


1) chi non ha ancora compiuto 17 anni di età;

Per evitare qualsiasi problema legale, sarebbe meglio attendere la maggiore


età del candidato.
Non sempre viene stabilità l’età massima, ma generalmente viene stabilita
per un elemento pratico in quanto l’istituto religioso non è un ospizio.

La salute necessaria per poter vivere lo stile di vita dell’istituto: digiuni,


mortificazioni, azione e contemplazione, missione…

Can. 642 - I Superiori ammettano con la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all'età
richiesta, abbiano salute, indole adatta e la maturità sufficiente per assumere il genere di
vita proprio dell'istituto; la salute, l'indole e la maturità siano anche verificati,
all'occorrenza, da esperti, fermo restando il disposto del can. 220.

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L’elemento della salute è in riferimento al tipo di vita condotto nell’Istituto.
Si tratta anche della salute fisica e psichica. Per la malattia psichica si può
ricorrere agli esperti.
Sarebbe interessante non accontentarsi del certificato medico presentato dal
candidato, ma farlo visitare da una equipe medica dell’Istituto per accertare la
buona saluta fisica e psichica.

Il Superiore deve comprovare che non ha alcuna infermità che possa essere
un ostacolo per poter vivere la vita e realizzare la missione dell’Istituto.

L’indole
Si vuole fare riferimento al carattere, temperamento, personalità, qualità.
Atteggiamenti e inclinazioni del candidato.
È importante la tappa precedente al noviziato, così da verificare questa
inclinazione.
Nel campo della formazione non si fanno sconti.

Carattere e temperamento: proprietà del carattere che si converte in condotta


Personalità: sistema totale delle tendenze fisiche e mentali che distinguono
l’individuo e che determinano le sue reazioni caratteristiche nel luogo dove si
vive.

Per sapere l’indole è necessario un periodo di prova e convivenza


(aspirantato e postulato).

Maturità: si chiede quella in astratto. È una maturità affettiva e intellettuale


che corrisponda all’età del candidato.
È la capacità di giudizio oggettivo e di discernimento prudente e motivato,
specialmente alla luce della fede.

La maturità affettiva permette alla persona di dominare i propri sentimenti e


guidare i propri affetti, senza cercare delle compensazioni.
Comporta la capacità decisionale e stabilità nella decisione. Se non è maturo
non potrà inserire adeguatamente nella vita e missione dell’Istituto.

Oggi dobbiamo parlare anche di maturità religiosa, che implica


- vivere una vita più ampia e profonda, lontana da interessi personali e
terreni
- senso di continuità tra la propria vita e il trascendente
- senso di libertà, diminuendo la preoccupazione per se stesso
- cambio del centro affettivo della persona

Per poter promuovere la maturità si richiede un tempo di vita e di


osservazione.

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Gli esperti devono essere prudenti, specialisti di vita cristiana, di principi
morali cristiani.

Requisiti per la validità del noviziato:

Can. 643 - §1. È ammesso invalidamente al noviziato:


1) chi non ha ancora compiuto 17 anni di età;
2) il coniuge, durante il matrimonio;
3) chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata o è
stato incorporato in una società di vita apostolica, salvo il disposto del can. 684;
4) chi entra nell'istituto indotto da violenza, da grave timore o dolo, o colui che il
Superiore accetta, indotto allo stesso modo;
5) chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una
società di vita apostolica.
§2. Il diritto proprio può stabilire altri impedimenti, anche per la validità
dell'ammissione, o porre condizioni.

Se la ammissione è nulla, anche il resto è nullo.


Si tratta di impedimenti invalidanti, potendo l’Istituto stabilire altri secondo il
carisma e la missione.
Gli impedimenti sono circostanze oggettive, che inabilitano alla persona fino
a che non si libera di essi. Si può chiedere la dispensa alla CIVCSVA.

Questi impedimenti sono delle circostanze esterne della persona che si


possono comprovare, che rendono incapace o inabilitano per prescrizione
positiva canonica l’ammissione al noviziato.
Ci possono essere delle malattie che fanno sembrare la persona molto
giovane, ma che invece non lo è.
Gli impedimenti devono esistere nel momento dell’ammissione, né prima né
dopo.

Alcuni di questi impedimenti sono dispensabili dalla Santa Sede.

Can. 643 - §1. È ammesso invalidamente al noviziato:


1) chi non ha ancora compiuto 17 anni di età;

Prima di questa età è difficile che una persona possa acquistare la maturità
richiesta per poter iniziare il noviziato. È un’età che si applica a tutti gli Istituti.

L’età deve essere compiuta, non prima o durante il compimento dell’età:


canone 203 §2.
Quando si compiono i 17 anni decade l’impedimento.

40
È dispensabile dalla Santa Sede: il Superiore generale fa una richiesta
motivata al Dicastero competente con il quale chiede la dispensa, motivando
con idonea documentazione la sua richiesta.

Can. 643 - §1. È ammesso invalidamente al noviziato:


2) il coniuge, durante il matrimonio;

Sposato o durante il matrimonio.


Impedimento cessa con il cessare del vincolo matrimoniale. Il primo modo
per sciogliere il vincolo è la morte.
Ma anche dispensa del matrimonio rato, del matrimonio rato e non
consumato, dichiarazione o sentenza di nullità.

La dispensa pontificia può essere richiesta e concessa.


La dispensa non è lo scioglimento del vincolo: è una grazia speciale perché
pur rimanendo il vincolo la persona possa accedere al vincolo di
consacrazione.
La Sede Apostolica concede la dispensa in circostanze particolari:
- libertà dell’obbligo di convivenza
- separazione civile ed ecclesiale
- figli maggiorenni e che non dipendano da loro. Se ci sono figli
minorenni non si darà mai dispensa.

Lunedì 22 novembre 2021

Il canone non specifica che tipo di matrimonio sia.


Anche se esiste un vincolo civile, anche questo è un impedimento.
Sussiste un vincolo matrimoniale che l’altra parte ha diritto di rivendicare.

Stiamo parlando di una persona vincolata, per la quale esiste ancora un


vincolo.

Professo di un IVCS, IVCS, SVA

Le ragioni di questo impedimento sono:


- potenziare e rinforzare il vincolo e la stabilità
- aiutare a perseverare negli impegni assunti

Qui il vincolo è in atto. Non si può professare nello stesso tempo in due
Istituti. Il legislatore stabilisce il divieto della doppia appartenenza.

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Cessa con la dissoluzione del vincolo, professione o incorporazione:
- uscita volontaria durante la professione
- uscita alla fine della professione temporanea
- non ammissione alla rinnovazione o alla professione perpetua
- dimissione non ipso facto
- dimissione ipso facto

Can. 688 - §1. Colui che, scaduto il tempo della professione, vuole uscire dall'istituto, lo
può abbandonare.
§2. Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l'istituto
può ottenere il relativo indulto dal Moderatore supremo con il consenso del suo
consiglio se si tratta di istituto di diritto pontificio; ma negli istituti di diritto diocesano e
nei monasteri, di cui nel can. 615, l'indulto, per essere valido, deve essere confermato dal
Vescovo della casa di assegnazione.
Can. 689 - §1. Allo scadere della professione temporanea, un religioso può essere
escluso dall'emettere la successiva professione, se sussistono giuste cause, da parte del
Superiore maggiore competente, udito il suo consiglio.
§2. Una infermità fisica o psichica, anche contratta dopo la professione, quando a
giudizio dei periti rende non idoneo alla vita nell'istituto il religioso di cui nel §1,
costituisce motivo per non ammetterlo a rinnovare la professione o ad ammettere la
professione perpetua, salvo il caso che l'infermità sia dovuta a negligenza da parte
dell'istituto, oppure a lavori sostenuti nell'istituto stesso.
§3. Se però il religioso, durante i voti temporanei, diventa demente, anche se non è in
grado di emettere la nuova professione, non può tuttavia essere dimesso dall'istituto.

Can. 695 - §1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto per i delitti di cui nei cann.
1397, 1398 e 1395 a meno che, per i delitti di cui nel can. 1395, §2, il Superiore non
ritenga che la dimissione non sia del tutto necessaria e che si possa sufficientemente
provvedere in altro modo sia alla correzione del religioso e alla reintegrazione della
giustizia, sia alla riparazione dello scandalo.
§2. In tali casi il Superiore maggiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla imputabilità,
renda note al religioso da dimettere e l'accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi.
Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, siano trasmesse al
Moderatore supremo insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso
stesso sottoscritte.
Can. 696 - §1. Un religioso può essere dimesso anche per altre cause purché siano gravi,
esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come ad esempio: la negligenza
abituale degli obblighi della vita consacrata; le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la
disobbedienza ostinata alle legittime disposizioni dei Superiori in materia grave; un
grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l'ostinato appoggio
o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa; l'adesione pubblica a
ideologie inficiate di materialismo o di ateismo; l'assenza illegittima, di cui nel can. 665,
§2, protratta per sei mesi; altre cause di simile gravità eventualmente determinate nel
diritto proprio dell'istituto.

42
§2. Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti anche cause di
minore gravità, stabilite dal diritto proprio.

Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno, o di un gravissimo danno imminente per
l'istituto, il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente, da parte del
Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale
con il consenso del suo consiglio. Il Superiore maggiore, se necessario, curi che si
istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede
Apostolica.

La santa sede può rimuovere un impedimento mediante dispensa.

Violenza, timore grave o inganno


Sia chi professa sia il Superiore: c’è una doppia sfaccettatura di questo
impedimento. Sia per chi lo chiede, sia per chi ammette.

La difficoltà sta nel dimostrare che hai chiesto di essere ammesso con
violenza o con timore grave.
Il legislatore vuole tutelare la libertà della persona, pena la nullità, per evitare
che all’interno del noviziato ci siano persone che vivono una vita che non
desiderano.

Violenza:
• è la forza estrinseca al candidato o Superiore a cui non si può resistere
adeguatamente
• si può sperimentare nel foro interno o esterno
• invincibilità deve essere assoluta o oggettiva

Grave timore:
• è il tremolio mentale, per un motivo imminente o futuro che suscita nella
persona la mancanza di libertà nel momento di fare un atto giuridico
• deve essere grave, sufficiente per togliere la libertà nella persona
• estrinseco, ingiusto, assoluto o relativo, diretto o indiretto

Inganno:
• è ogni atto che si mette in atto con l’intenzione di ingannare l’altro,
affinché faccia un atto che in circostanza normale non avrebbe fatto
• deve essere di una certa entità e deve interferire nella sostanza dell’atto
• l’atto è nullo per diritto naturale e canonico, canone 126, perché l’errore,
l’inganno si è convertito nella causa dell’atto

Questo impedimento cessa per rimozione verificata della causa che ha fatto
indurre al candidato o Superiore nell’atto.

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Non può essere dispensato dalla Santa Sede finché il vizio sussiste.

In caso di nascondimento della incorporazione ad un IVC-SVA, siamo nel


caso di una persona che aveva già assunto il vincolo, non di un postulante.
Il postulante non è professo e non genera incorporazione.

L’occultamento impedisce di poter compiere quanto stabilito nel canone 645,


sull’ottenere gli attestati richiesti prima della sua ammissione, creando così
un pericolo che il Superiore possa ammettere per dolo o errore.

Cessa con la dichiarazione effettiva e chiara delle incorporazioni, la dispensa


della sede Apostolica.

Quando si scopre occorre chiedere degli attestati per evitare l’incorporazione


di persone non idonee.

Altri impedimenti o condizioni nel diritto proprio


È una possibilità che viene concessa, non un obbligo.
Si possono stabilire degli impedimenti per la validità e condizioni per
l’ammissione.
Gli impedimenti di diritto proprio hanno gli stessi effetti che quelli del diritto
universale.
Impedimenti ispirati nel carisma, natura e fine dell’IVC: età massima per
essere ammesso, difetti fisici o nel parlare, titoli di studio…

Cessano per dispensa della norma delle Costituzioni da parte della Sede
Apostolica.

Non ammissione al noviziato di chierici secolari o persone con debiti


Canone 644

Can. 644 - I Superiori non ammettano al noviziato chierici secolari senza consultare il
loro proprio Ordinario, né persone gravate di debiti e incapaci di estinguerli.

Non si deve ammettere al noviziato un chierico secolare senza aver prima


consultato l’Ordinario. La consultazione è obbligatoria.
La motivazione è chiara: si deve rispettare la propria incardinazione in una
diocesi e l’obbedienza al Vescovo, canone 273.
Can. 273 - I chierici sono tenuti per un obbligo speciale a prestare rispetto e obbedienza
al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario.

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Occorre anche tener conto delle ripercussioni pastorali nella diocesi.
Non si devono ammettere al noviziato delle persone con debiti che non
possono pagare.
Ammettendo la persona e sapendo che ha debiti, non è corretto che un
Istituto si accolli debiti di altra persona. Se l’Istituto sa che una persona ha
debiti e lo ammette, ci sarà un accordo per pagare.

È una norma che cerca di difendere l’imperativo di giustizia naturale


impedendo che queste persone si nascondano nella clausura e tutelando
l’Istituto da queste persone.

Il noviziato
Il noviziato è il periodo di formazione iniziale con il quale inizia la vita
nell’Istituto.

È diverso dalla “incorporazione”. Un conto è “iniziare la vita”, altro è


“incorporarsi”.
Ci si incorpora quando si diventa membro dell’Istituto. Il novizio non è
membro dell’Istituto, ha semplicemente “iniziato la vita” nell’Istituto.

È un tempo che permette ai novizi di prendere meglio coscienza della


vocazione divina secondo il carisma proprio dell’Istituto.
Le vocazioni generiche non esistono: esiste quella concreta, determinata.

Il noviziato permette di sperimentare lo stile di vita, così da formare mente e


cuore secondo lo spirito dell’Istituto, verificando intenzioni e idoneità.

La formazione non finisce con il noviziato: c’è un tempo successivo che


permette di continuare questa verifica.
L’idoneità si verifica facilmente in queste prime tappe.

Il noviziato si svolge in una casa di noviziato: questa è condizione di validità.


L’erezione della casa di noviziato, la sua soppressione o trasferimento va
fatta mediante un decreto scritto del Moderatore supremo con il consenso del
suo consiglio.

Casi particolari
- Un candidato può fare il noviziato in un’altra casa dell’istituto sotto la guida
di un religioso provato, che faccia le veci del maestro dei novizi: a modo di
eccezione, su concessione del Moderatore supremo (es. generale) con il
consenso del suo consiglio.

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- Gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, può dimorare in un’altra
casa dell’istituto da lui stesso designata per determinati periodi di tempo, con
il permesso del Superiore maggiore (es. provinciale)

Quanto tempo deve durare il noviziato per la validità?


Deve comprendere 12 mesi trascorsi nella stessa comunità del noviziato: è
denominato anche “anno canonico del noviziato”.
Sono 12 mesi ad validitatem.

Potrebbe anche durare più di un anno se il diritto proprio lo stabilisce.


Il secondo anno non è canonico, ma “anno del noviziato costituzionale”.

Si è stabilito come nelle Costituzioni che durerà due anni e durante questo
periodo di tempo i novizi possono fare un’esperienza apostolica fuori della
casa del noviziato e in altre comunità.

Quanto tempo deve durare il noviziato? Non deve durare più di due anni: 24
mesi.
Il diritto proprio deve stabilire la durata del noviziato: o 12 o 24 mesi.

La proroga non si è tenuti ad applicarla a tutti, ma solo a coloro che hanno


bisogno di un tempo in più per maturare.

Fuori dalla comunità del noviziato può passare uno o più periodi di
esercitazioni apostoliche per integrare la formazione dei novizi.

Il noviziato non può essere prolungato oltre i due anni, ma si può protrarre
per altri sei mesi in via eccezionale.
La proroga è una possibilità che il legislatore concede all’Istituto per aiutare
una persona in un cammino di discernimento a maturare. Non è uno
strumento punitivo, ma per aiutare la persona e l’istituto nel discernimento
vocazionale.

La proroga non è elemento arbitrario. Per prorogare occorrono gli elementi


che indicano progressione nella decisione, altrimenti è una inutile perdita di
tempo.

Assenza dalla casa del noviziato


Il tempo di assenza può essere continuo o discontinuo:
- da 1 a 15 giorni: non deve essere recuperata
- da 16 giorni a 3 mesi: deve essere recuperata
- oltre 3 mesi: rende invalido il noviziato

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Il maestro
- a lui compete la direzione dei novizi, sotto l’autorità dei Superiori
maggiori
- deve essere un membro dell’Istituto che abbia emesso i voti perpetui e
sia stato legittimamente designato
- si possono assegnare degli aiutanti i quali devono sottostare a lui per
quanto riguarda la direzione del noviziato e il regolamento della
formazione.

Devono essere religiosi accuratamente preparati i quali, senza essere distolti


da altri impegni, possano assolvere il loro compiuto in modo efficace e
stabile.
Il diritto proprio deve indicare quanti anni di professione perpetua sono
necessari per fare il servizio di maestro dei novizi.

Possono esserci degli aiutanti a seconda del bisogno.

Al maestro e ai suoi aiutanti spetta:


- discernere e verificare la vocazione dei novizi
- formarli gradualmente a vivere la vita di perfezione secondo le norme
propri dell’istituto

I novizi
devono essere aiutati a:
- coltivare virtù umane e cristiane
- introdotti in un più impegnativo cammino di perfezione mediante
l’orazione e il rinnegamento di sé
- guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e
meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella
sacra Liturgia
- formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo
attraverso la pratica dei consigli evangelici
- informati sull’indole e lo spirito, finalità e disciplina, storia e vita
dell’istituto, ed educati all’amore verso la Chiesa e i suoi sacri Pastori

Can. 652 - §1. Spetta al maestro e ai suoi aiutanti discernere e verificare la vocazione dei
novizi e gradatamente formarli a vivere la vita di perfezione secondo le norme proprie
dell'istituto.
§2. I novizi devono essere accompagnati nel coltivare le virtù umane e cristiane;
introdotti in un più impegnativo cammino di perfezione mediante l'orazione e il
rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e
meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia;
formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo attraverso la

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pratica dei consigli evangelici; istruiti infine sull'indole e lo spirito, le finalità e la
disciplina, la storia e la vita dell'istituto, ed educati all'amore verso la Chiesa e i suoi
sacri Pastori.
§3. I novizi, consapevoli della propria responsabilità, collaborino attivamente con il
proprio maestro in modo da rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina.
§4. I membri dell'istituto si impegnino nel cooperare alla formazione dei novizi, per la
parte che loro spetta, con l'esempio della vita e con la preghiera.
§5. Il tempo di noviziato, di cui al can. 648, §1, sia dedicato all'opera di formazione vera
e propria; perciò i novizi non siano occupati in studi o incarichi non direttamente
finalizzati a tale formazione.

Come finisce il noviziato?

Uscita: il novizio può liberamente lasciare l’istituto o l’autorità competente


dell’istituto può dimetterlo.

Professione: se il novizio viene giudicato ideoneo, va ammesso alla


professione temporanea, altrimenti viene dimesso.
Se rimane qualche dubbio sulla sua idoneità il Superiore maggiore può
prolungare il periodo di prova a norma del diritto proprio, ma non oltre sei
mesi.

Professione religiosa
La professione religiosa si assume con voto pubblico.
Il novizio si incorpora alla Congregazione.
Professione con voto pubblico dei tre consigli evangelici di povertà, castità e
obbedienza. Sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa.

Il voto pubblico è quello che viene accolto a nome della Chiesa. Se non viene
accolto a nome della Chiesa sarà un voto privato.
Vengono incorporati all’istituto con i diritti e doveri definiti giuridicamente.

La professione può essere temporanea o perpetua.

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Lunedì 29 Novembre 2021

Esiste la professione perpetua con voto solenne. Non esiste il “voto


perpetuo”.

Con la professione religiosa la persona si consacra ed entra a far parte


dell’Istituto.

Le tappe previe non sono rilevanti per contare gli anni di professione: questi
si iniziano a contare dal momento in cui viene emessa la prima professione
temporanea.

La professione temporanea

Storicamente è recente: prima del Codice del 1917 c’erano istituti che non
avevano accolto questo istituto. Nasce con i gesuiti.
Viene concepita come una professione che per il candidato era perpetua, ma
l’Istituto teneva la possibilità di rimandare nel mondo la persona.
È obbligatoria per tutti gli Istituti religiosi secolari e SVA.

È un aiuto pastorale e pedagogico che la Chiesa offre sia al candidato per


verificare la sua idoneità che all’Istituto che continua a verificare l’idoneità
della persona.

Sebbene teologicamente non è possibile fare una donazione a Dio per un


tempo limitato, giuridicamente si ritiene valida.
La professione temporanea, cioè limitata nel tempo, tiene conto della
intenzionalità dell’individuo che deve essere perpetua.

Dopo aver finito il noviziato, la persona si inserisce in una forma più visibile
nella realtà dell’Istituto.

Si chiama “temporanea” perché viene emessa per un periodo di tempo


determinato dal diritto proprio.

Non c’è una norma generale per tutti gli Istituti circa la durata. Alcuni
rinnovano annualmente dopo la richiesta del candidato e questa è una delle
forme più opportune, anche per la persona che così è chiamata a riflettere
sulla sua idoneità.

La professione temporanea non deve essere inferiore a tre anni né superiore


a sei: la persona non può rimanere a lungo in una indeterminatezza che non

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giova né alla persona né alla scelta. Se fosse meno di tre anni occorre la
dispensa della Santa Sede e va motivato.

I tre anni in più è una eccezione: la proroga non viene mai considerata come
norma comune: è un tempo di grazia concesso al professo temporaneo per
una maturazione della propria decisione.
Si può prorogare, ma non bisogna superare i nove anni di professione
temporanea.

Se il candidato o l’Istituto dopo nove anni non intendono andare avanti, che
senso ha prorogare ancora?
Ma esiste la possibilità di chiedere una dispensa alla Santa Sede perché
possa prorogare ancora un anno il processo di maturazione e fare un decimo
anno di professione temporanea. È evidentemente una eccezione.

Can. 655 - La professione temporanea venga emessa per un periodo di tempo,


determinato dal diritto proprio, che non deve essere inferiore a tre anni, né superiore a
sei.
Can. 656 - Per la validità della professione temporanea si richiede che:
1) chi la vuole emettere abbia compiuto almeno 18 anni di età;
2) il noviziato sia stato portato a termine validamente;
3) ci sia l'ammissione, fatta liberamente da parte del Superiore competente, con il voto
del suo consiglio a norma del diritto;
4) la professione sia espressa, e venga emessa senza che ci sia violenza, timore grave o
inganno;
5) sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di altri.

Per la validità della professione temporanea:


1. chi la vuole emettere deve aver compiuto almeno 18 anni
2. il noviziato sia stato portato a termine validamente. Anche per la validità
al noviziato.
3. ci sia l’ammissione, fatta liberamente, da parte del Superiore
competente, con il voto del suo consiglio a norma del diritto. Il
legislatore parlando di “voto” lascia la libertà di determinare se sia
“consenso” o “parere”. Se c’è richiesta di consenso occorre anche
averlo ottenuto.
4. la professione sia espressa e venga emessa senza che ci sia violenza,
timore grave o inganno. Si fa riferimento sia alla libertà del Superiore
che dell’individuo. Non è ammessa professione tacita che nel passato
era considerata come valida. Si deve esplicitare la forma con la quale
vengono espressi i consigli evangelici.
5. sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un
altro. secondo le norme del diritto proprio può essere il Superiore
generale, quello provinciale o un suo delegato. Non si esplicita che sia

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un membro dell’Istituto, si parla di “un altro” come può essere il parroco
o altra persona alla presenza di due testimoni. Importante che ci sia la
Delega da conservarsi nell’archivio, e il verbale di professione firmato.

Can. 657 - §1. Allo scadere del tempo per il quale fu emessa la professione il religioso
che lo richiede spontaneamente ed è ritenuto idoneo sia ammesso alla rinnovazione della
professione o alla professione perpetua; altrimenti deve lasciare l'istituto.

Il rinnovo non va in automatico. Deve esserci una richiesta formale, libera e


motivata dell’individuo e dal Superiore competente. Senza la richiesta non si
può obbligare ad emettere la professione.

Non è corretto aspettare i nove anni per dire alla persona che non è idonea.
Se ci sono dubbi, difficoltà, è bene farlo presente senza aspettare l’ultimo
momento per dire di andarsene.

La professione perpetua

Can. 658 - Oltre alle condizioni di cui al can. 656, nn. 3, 4 e 5 e ad altre apposte dal
diritto proprio, per la validità della professione perpetua si richiede:
1) età di almeno 21 anni compiuti;
2) la previa professione temporanea di almeno tre anni, salvo il disposto del can. 657,
§3.

Si richiedono almeno 21 anni compiuti.


Si chiedono almeno 3 anni di professione temporanea: poi ogni Istituto
deciderà per sé, ma occorrono almeno 3 anni.
Occorre l’ammissione fatta liberamente da parte del Superiore competente,
con il voto del suo consiglio a norma del diritto.
La professione sia espressa e venga emessa senza che ci sia violenza,
timore grave o inganno.
Sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un altro.

La professione perpetua può essere anticipata per giusta causa, ma non oltre
un trimestre.
Per l’anticipazione della professione basta che lo decida il Superiore
maggiore competente.

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Lunedì 6 dicembre 2021

Obblighi e diritti degli istituti e dei loro membri

Possiamo distinguerli in diverse categorie:


- carattere spirituale
- vita comunitaria
- economici

DOVERI

Can. 662 - I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta
dal Vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto.

Configurazione a Cristo secondo il diritto proprio, la realtà carismatica. Si


esprime “un aspetto del Cristo”, secondo gli aspetti specifici che vengono dal
carisma.

Can. 663 - §1. Primo e particolare dovere di tutti i religiosi deve essere la
contemplazione delle realtà divine e la costante unione con Dio nell'orazione.
§2. I religiosi per quanto è possibile partecipino ogni giorno al Sacrificio eucaristico,
ricevano il Corpo santissimo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel
Sacramento.

Si inserisce “per quanto è possibile” per venire incontro a comunità e luoghi


dove la Celebrazione eucaristica non è possibile tenerla ogni giorno.
Si tratta di una impossibilità “oggettiva” e non soggettiva. Se c’è una
parrocchia adiacente si può andare in parrocchia per partecipare alla
Celebrazione.
In molte realtà il cappellano non esiste o non è possibile che vada tutti i
giorni.

§3. Attendano alla lettura della sacra Scrittura e all'orazione mentale, alla dignitosa
celebrazione della liturgia delle ore secondo le disposizioni del diritto proprio, fermo
restando per i chierici l'obbligo di cui nel can. 276, §2, n. 3 e compiano gli altri esercizi
di pietà.
§4. Onorino con culto speciale, anche con la pratica del rosario mariano, la Vergine
Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata.
§5. Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro.

Si parla di Sacra Scrittura, non delle opere di autori.


Una “dignitosa celebrazione” della liturgia delle ore, segno di unione con la
Chiesa. La Santa Sede chiede che nelle Costituzioni si stabilisca quali “ore”
vadano pregate comunitariamente.

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Per i chierici l’obbligo di cui al canone 276 §2, n.3

La pratica del Rosario mariano: alcuni discutono circa la sua obbligatorietà,


ma dipende dalla spiritualità dell’istituto.

Can. 664 - I religiosi siano perseveranti nella conversione dell'animo a Dio, attendano
anche all'esame quotidiano di coscienza e si accostino con frequenza al sacramento
della penitenza.

Il legislatore non stabilisce ogni quanto sia questa “frequenza”. Il diritto


proprio stabilirà con quale frequenza si devono accostare al Sacramento.
Il legislatore concede libertà nella scelta del confessore.

Can. 665 - §1. I religiosi devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita
comune e non possono assentarsene senza licenza del proprio Superiore. Se poi si tratta
di una assenza prolungata, il Superiore maggiore, con il consenso del suo consiglio e per
giusta causa, può concedere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, ma non
oltre un anno, a meno che ciò non sia per motivo di infermità, di studio o di apostolato
da svolgere a nome dell'istituto.
§2. Il religioso che si allontana illegittimamente dalla casa religiosa, con l'intenzione di
sottrarsi alla potestà dei Superiori, deve essere da questi sollecitamente ricercato e
aiutato, perché ritorni e perseveri nella propria vocazione.

Il legislatore stabilisce la obbligatorietà di abitare nella propria casa


religiosa.
“Propria”, cioè non qualsiasi: devi risiedere in quella comunità dove
l’obbedienza ti ha destinato. Se tu illegittimamente la abbandoni, sei assente
illegittimo.

Il legislatore consapevole della realtà umana, contempla la possibilità che la


persona possa essere assente o legittimamente o illegittimamente.

Il Superiore maggiore per giusta causa e con il consenso del suo consiglio
può concedere un’assenza per un tempo non superiore ad un anno.

Il Superiore maggiore (generale, provinciale o equiparato a norma del diritto


proprio) deve concedere questa assenza.
Non si deve superare l’anno: i giorni vanno contati in modo “continuo” o
“discontinuo”. C’è una corrente di pensiero che sostiene come basti tornare
prima della scadenza per interrompere l’anno e poi assentarsi nuovamente,
ma questo non è corretto.

Si richiede il consenso del Consiglio: altrimenti non può concedere, se agisce


senza consenso l’atto è nullo.

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Si parla di “causa giusta”: non c’è un elenco di motivi e pertanto questo
rimane demandato al discernimento del Superiore maggiore competente.

Dicendo “religioso” si specifica che sono soggetti a questo canone anche i


professi temporanei. Non si restringe pertanto ai professi perpetui, ma anche
a quelli temporanei.

Può un professo temporaneo chiedere l’assenza dalla comunità? Sì!


Ma attenzione: quanto tempo deve rimanere assente, magari per aiutare la
famiglia? Altra questione è chiedere assenza per farmi carico dei genitori
ammalati, dunque senza tempo specifico. Ma il professo temporaneo deve
rinnovare la professione temporanea e questo potrebbe creare problemi.
Senza negare la applicabilità ai professi temporanei, occorre tenere presenti i
tempi.

Se ha bisogno di più tempo, la proroga oltre un anno va chiesta al dicastero


competente della Santa Sede. La richiesta va ben motivata, così da fornire
parametri per il discernimento.

La proroga può essere concessa:


- per malattia della persona così da recuperare la salute (non la malattia
dei familiari)
- motivi di studio
- apostolato: si apre una comunità e si chiede di inviare un religioso

Se non rientra in questi tre casi, la proroga è di esclusiva competenza della


Santa Sede.

La assenza dalla comunità è la dispensa dalla coabitazione.

È importante che il Superiore verifichi i parametri della richiesta, senza una


proroga eterna.

Tutti gli istituti devono avere la clausura secondo le Costituzioni: si tratta di


uno spazio proprio per i membri della comunità dove si crea il rapporto
interpersonale. Spazi condivisi solo per coloro che abitano in quella casa per
favorire l’intimità tra coloro che vivono nella stessa casa.

Abito religioso come segno di consacrazione.

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Vita consecrata 25
Sempre, ma specialmente nella cultura contemporanea, spesso così secolarizzata e
tuttavia sensibile al linguaggio dei segni, la Chiesa deve preoccuparsi di rendere visibile
la sua presenza nella vita quotidiana. Un contributo significativo in tal senso essa ha
diritto di attendersi dalle persone consacrate, chiamate a rendere in ogni situazione una
concreta testimonianza della loro appartenenza a Cristo. Poiché l'abito è segno di
consacrazione, di povertà e di appartenenza ad una certa famiglia religiosa, insieme con i
Padri del Sinodo raccomando vivamente ai religiosi e alle religiose di indossare il
proprio abito, opportunamente adattato alle circostanze dei tempi e dei luoghi. Dove
valide esigenze apostoliche lo richiedano, essi, in conformità alle norme del proprio
Istituto, potranno anche portare un vestito semplice e decoroso, con un simbolo idoneo,
in modo che sia riconoscibile la loro consacrazione. Gli Istituti, che dall'origine o per
disposizione delle loro costituzioni non prevedono un abito proprio, abbiano cura che
l'abbigliamento dei loro membri risponda, per dignità e semplicità, alla natura della loro
vocazione.

Obblighi a livello economico e amministrativo

Va fatto testamento civilmente valido.


Se la persona vuole liberarsi dei beni dovrebbe fare la rinuncia.
Per fare la rinuncia occorre seguire quanto stabilito dal diritto proprio ed è
importante che prima di concederla si verifichi l’autenticità della richiesta, la
consapevolezza, stabilendo normative specifiche nel diritto proprio per
evitare danno alla persona. Se la persona rinuncia a tutto rimane senza nulla:
alcune legislazioni civili non permettono di rinunciare totalmente, perché la
persona diventa nullatenente.

La rinuncia va fatta dopo un processo di discernimento e di consolidamento


vocazionale. La permanenza non è garantita. Per questo motivo se una
persona rinuncia, non si può più chiedere all’Istituto una restituzione. Alcune
legislazioni prevedono degli obblighi per l’Istituto di mantenere chi esce per
un debito tempo.

Il diritto proprio potrà prevedere di non rinunciare totalmente ai beni: non per
scoraggiare, ma per far capire le ripercussioni che un’azione di questo tipo
può comportare per chi si sia lasciato trascinare da una “atmosfera” che poi
non “tiene” alla prova del tempo.

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Separazione e uscita dall’Istituto
La prima possibilità è il transito, canone 684
Un religioso di professione perpetua passa, “transita”, da un Istituto ad un
altro sia che questo sia di vita attiva o contemplativa.

Can. 684 - §1. Un professo di voti perpetui non può passare dal proprio a un altro istituto
religioso se non per concessione del Moderatore supremo dell'uno e dell'altro istituto,
previo consenso dei rispettivi consigli.
§2. Il religioso dopo avere trascorso un periodo di prova, che deve durare almeno tre
anni, può essere ammesso alla professione perpetua nel nuovo istituto. Se però egli non
vuole emettere tale professione o non vi è ammesso dai Superiori competenti, ritorni
all'istituto di provenienza, a meno che non abbia ottenuto l'indulto di secolarizzazione.
§3. Perché un religioso possa passare da un monastero sui iuris ad un altro dello stesso
istituto o della federazione oppure della confederazione, si richiede ed è sufficiente il
consenso del Superiore maggiore dell'uno e dell'altro monastero, oltre che del capitolo
del monastero che lo accoglie, salvi altri requisiti determinati dal diritto proprio; non si
richiede una nuova professione.
§4. Il diritto proprio determini la durata e le modalità del periodo di prova che deve
precedere la professione del religioso nel nuovo istituto.
§5. Per passare ad un istituto secolare o ad una società di vita apostolica, oppure da
questi ad un istituto religioso, è necessaria la licenza della Santa Sede, alle cui
disposizioni ci si deve attenere.

Ci può essere transito da Istituto religioso a istituto secolare o SVA e


viceversa.
Per questo passaggio si chiede la licenza del Moderatore supremo, con il
consenso del suo Consiglio, sia dell’Istituto dal quale si esce che di quello nel
quale si accoglie.

Deve esserci un periodo di esperienza minimo di tre anni. Questo tempo,


però, è poco in quanto la persona è stata formata in un carisma specifico e
non si cambia così facilmente in poco tempo.
Parlando di “almeno tre anni”, si lascia la porta aperta all’Istituto che lo
accoglie a fare l’esperienza di stabilire un tempo superiore.

Durante l’esperienza vengono sospesi i diritti e i doveri dell’Istituto di


appartenenza.

Nel caso che la persona appartenga a istituto secolare o SVA si deve


chiedere prima di iniziare il tempo di prova la Licenza alla Sede Apostolica.

In un istituto secolare non si emette un voto pubblico e neanche nella SVA. Il


tipo di legame giuridico è diverso.

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Essendo uscita temporanea, la persona continua ad appartenere all’Istituto.
Esce, ma non viene svincolata dall’Istituto, mantiene la sua incorporazione
all’Istituto pur uscendo temporaneamente.

Can. 686 - §1. Il Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, per grave causa
può concedere ad un professo perpetuo l'indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più
di tre anni, previo consenso dell'Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare se si tratta di
un chierico. Una proroga dell'indulto, o una concessione superiore a tre anni, è riservata
unicamente alla Santa Sede, oppure al Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto
diocesano.
§2. Spetta unicamente alla Sede Apostolica concedere l'indulto di esclaustrazione per le
monache.
§3. Su richiesta del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio,
l'esclaustrazione può essere imposta, dalla Santa Sede per un membro di istituto di diritto
pontificio, oppure dal Vescovo diocesano per un membro di istituto di diritto diocesano:
ciò per cause gravi, salva l'equità e la carità.

Esclaustrazione:
- volontaria: quando la persona la chiede al suo Moderatore Supremo il
quale con il consenso del suo consiglio può concederla per non più di
tre anni. La possono chiedere soltanto i professi perpetui, non i
temporanei. La “grave causa” non è specificata: deve essere
considerata tale sia dall’individuo che dall’Istituto.
- La persona perde la voce attiva e la voce passiva. Il Moderatore può
inserire anche altre clausole, come ad esempio l’uso o meno dell’abito.
- La persona ha il diritto di chiederla, ma non di ottenerla. E se non è un
diritto, neanche il Superiore deve giustificare il perché. Basta dire che
non la ritiene necessaria.

La persona ha il diritto di rientrare nella comunità e di incorporarsi nella


comunità.

La esclaustrazione imposta può essere chiesta alla Santa Sede dal


Moderatore supremo con consenso del Consiglio.
Si deve concedere il diritto alla difesa, altrimenti il ricorso sarà sempre vinto
dalla persona. Il Superiore prima di inviare richiesta alla Santa Sede deve
inviare una lettera alla persona indicando le motivazioni gravi e concedendo
diritto di difesa.

La esclaustrazione volontaria e imposta non è uguale rispetto a chi è chierico


o non lo è. In caso sia un chierico, occorre prima che il chierico sia accolto
nella Diocesi. Per un membro non ordinato, invece, non c’è bisogno che il
Vescovo lo accolga.

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Can. 687 - Il religioso esclaustrato è ritenuto esonerato dagli obblighi non compatibili
con la sua nuova situazione di vita; in ogni modo rimane sotto la dipendenza e la cura
dei suoi Superiori ed anche dell'Ordinario del luogo, soprattutto se si tratta di un
chierico. Può portare l'abito dell'istituto, a meno che non sia stabilito altrimenti
nell'indulto. Egli però manca di voce attiva e passiva.

Il passaggio è una separazione dall’Istituto.

Il legislatore prevede anche l’uscita volontaria dall’Istituto: l’indulto di uscita.


È applicabile sia ai professi temporanei che a quelli perpetui.
Quello temporaneo dovrà chiedere prima che finisca il tempo per il quale ha
emesso la professione.
Se si tratta di professo perpetuo, dovrà chiedere l’indulto di uscita.

L’indulto va chiesto:
- il professo temporaneo al Superiore maggiore
- il professo perpetuo può chiederlo alla Sede Apostolica. Il diritto
universale non concede al Moderatore supremo la potestà di
dispensare i voti. Il Superiore non ha alcuna potestà di decisione: riceve
la richiesta per trasmetterla alla Santa Sede insieme al parere del
Consiglio. Il parere è importante per il processo di discernimento: le
domande spesso sono molto brevi e sommariamente non dicono molto.
La Santa Sede potrà concederlo o meno, motivandolo.

Una volta concesso, l’indulto va notificato all’individuo.


Se l’individuo al momento della notifica lo rifiuta, significa che la persona ci
ha ripensato e desidera non lasciare l’Istituto. La persona dovrà dunque
reinserirsi nella comunità.

Can. 692 - L'indulto di lasciare l'istituto, una volta legittimamente concesso e notificato
al religioso, se da lui non fu rifiutato all'atto della notificazione, comporta per il diritto
stesso la dispensa dai voti, come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione.

Va applicato il canone 56:


Can. 56 - Il decreto si ritiene intimato, se colui al quale è destinato, chiamato nel dovuto
modo a ricevere o ad udire il decreto, senza giusta causa non comparve o ricusò di
sottoscrivere.

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Lunedì 13 dicembre 2021

Dimissione dallo stato religioso

Dobbiamo fare attenzione a non confondere la dimissione dallo stato


religioso dalla espulsione dalla casa religiosa.

Can. 694n - §1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto, per il fatto stesso, il religioso che:
1) abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica;
2) abbia contratto matrimonio o lo abbia attentato, anche solo civilmente;
3) si sia assentato dalla casa religiosa illegittimamente, ai sensi del can. 665 § 2, per
dodici mesi ininterrotti, tenuta presente l’irreperibilità del religioso stesso.
§2. In tali casi il Superiore maggiore con il proprio consiglio deve senza indugio,
raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti
giuridicamente.
§3. Nel caso previsto dal § 1 n. 3, tale dichiarazione per constare giuridicamente deve
essere confermata dalla Santa Sede; per gli istituti di diritto diocesano la conferma spetta
al Vescovo della sede principale.

Annoveriamo 3 tipologie:
1. ipso facto: la persona è dimessa automaticamente al compiere il delitto,
come aver contratto matrimonio o lo abbia attentato: occorre la prova
certa di quanto avvenuto con un semplice certificato. Con la prova è
sufficiente la dichiarazione di dimissione a norma del canone 694 §1.
Non è necessaria alcuna conferma da parte della Sede Apostolica.
Sarebbe opportuno, sebbene non obbligatorio, informare la Santa Sede
così che rimanga traccia negli archivi del dicastero.

2. Abbandono notorio della fede.

3. Si sia assentato dalla casa religiosa illegittimamente, ai sensi del can.


665 § 2, per dodici mesi ininterrotti, tenuta presente l’irreperibilità del
religioso stesso.

La persona non ha alcun permesso per rimanere fuori dalla casa


religiosa. Deve essere per dodici mesi continui. La persona deve
essere irreperibile: non si ha conoscenza certa di dove la persona abiti,
del suo indirizzo postale. La stessa tranquillità dei familiari a fronte delle
ricerche del Superiore è segno della loro complicità e conoscenza.
Il Superiore maggiore deve fare una dichiarazione di irreperibilità:
dichiara che questa persona è irreperibile. È un documento
fondamentale perché dalla data della dichiarazione inizia a contarsi il
tempo dei dodici mesi continui. La dichiarazione va inviata alla Sede
Apostolica perché occorre la sua conferma. Perché sia possibile

59
confermare occorre sia la dichiarazione di irreperibilità che la
dimissione dopo il compimento dei dodici mesi.

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
DEL SOMMO PONTEFICE
FRANCESCO

COMMUNIS VITA
CON LA QUALE VENGONO MUTATE
ALCUNE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

La vita in comunità è un elemento essenziale della vita religiosa e “i religiosi devono


abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono
assentarsene senza licenza del proprio Superiore” (can. 665 §1 CIC). L’esperienza degli
ultimi anni ha, però, dimostrato, che si verificano situazioni legate ad assenze illegittime
dalla casa religiosa, durante le quali i religiosi si sottraggono alla potestà del legittimo
Superiore e a volte non possono essere rintracciati.

Il Codice di Diritto Canonico impone al Superiore di ricercare il religioso


illegittimamente assente per aiutarlo a ritornare e a perseverare nella propria vocazione
(cfr can. 665 §2 CIC). Non poche volte, però, accade che il Superiore non sia in grado di
rintracciare il religioso assente. A norma del Codice di Diritto Canonico, trascorsi
almeno sei mesi di assenza illegittima (cfr can. 696 CIC), è possibile iniziare il processo
di dimissione dall’istituto, seguendo la procedura stabilita (cfr can. 697 CIC). Tuttavia,
quando si ignora il luogo dove il religioso risiede, diventa difficile dare certezza
giuridica alla situazione di fatto.

Pertanto, fermo restando quanto stabilito dal diritto sulla dimissione dopo sei mesi di
assenza illegittima, al fine di aiutare gli istituti a osservare la necessaria disciplina e
poter procedere alla dimissione del religioso illegittimamente assente, soprattutto nei
casi di irreperibilità, ho deciso di aggiungere al can. 694 § 1 CIC tra i motivi di
dimissione ipso facto dall’istituto anche l’assenza illegittima prolungata dalla casa
religiosa, protratta per almeno dodici mesi continui, con la medesima procedura descritta
nel can. 694 § 2 CIC. La dichiarazione del fatto da parte del Superiore maggiore, per
produrre effetti giuridici, deve essere confermata dalla Santa Sede; per gli istituti di
diritto diocesano la conferma spetta al Vescovo della sede principale.
L’introduzione di questo nuovo numero al § 1 del can. 694 richiede, inoltre, una
modifica al can. 729 relativo agli istituti secolari, per i quali non si prevede
l’applicazione della dimissione facoltativa per assenza illegittima.

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Tutto ciò considerato, dispongo ora quanto segue:
Art. 1. Il can. 694 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto, per il fatto stesso, il religioso che:
1) abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica;
2) abbia contratto matrimonio o lo abbia attentato, anche solo civilmente;
3) si sia assentato dalla casa religiosa illegittimamente, ai sensi del can. 665 § 2, per
dodici mesi ininterrotti, tenuta presente l’irreperibilità del religioso stesso.
§2. In tali casi il Superiore maggiore con il proprio consiglio deve senza indugio,
raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti
giuridicamente.
§3. Nel caso previsto dal § 1 n. 3, tale dichiarazione per constare giuridicamente deve
essere confermata dalla Santa Sede; per gli istituti di diritto diocesano la conferma spetta
al Vescovo della sede principale.

Art. 2. Il can. 729 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:


La dimissione di un membro dall’istituto avviene a norma dei cann. 694 § 1, 1 e 2 e 695.
Le costituzioni definiscano anche altre cause di dimissione, purché siano
proporzionatamente gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, e si osservi
inoltre la procedura stabilita nei cann. 697-700. Al membro dimesso si applica il
disposto del can. 701.

Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che
abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di
speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore
Romano, entrando in vigore il 10 aprile 2019, e quindi pubblicato nel commentario
ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 19 marzo dell’anno 2019, Solennità di San
Giuseppe, settimo di pontificato.

FRANCESCO

Can. 695 - §1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto per i delitti di cui nei cann.
1397, 1398 e 1395 a meno che, per i delitti di cui nel can. 1395, §2, il Superiore non
ritenga che la dimissione non sia del tutto necessaria e che si possa sufficientemente
provvedere in altro modo sia alla correzione del religioso e alla reintegrazione della
giustizia, sia alla riparazione dello scandalo.
§2. In tali casi il Superiore maggiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla imputabilità,
renda note al religioso da dimettere e l'accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi.
Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, siano trasmesse al
Moderatore supremo insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso
stesso sottoscritte.

61
Questo canone 695 è in stretto rapporto con il libro VI sul diritto penale,
recentemente riformato.

Il Superiore maggiore competente deve procedere quando la persona


commette i delitti prescritti nei canoni indicati: 1395, 1397 e 1398.

Can. 1395 - § 1. Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394, e il chierico
che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del
Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere
gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione
dallo stato clericale.
§ 2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se
invero il delitto sia stato compiuto pubblicamente, sia punito con giuste pene, non
esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti.
§ 3. Con la stessa pena di cui al § 2, sia punito il chierico che con violenza, con minacce
o con abuso di autorità commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo
o costringe qualcuno a realizzare o a subire atti sessuali.

Can. 1397 - § 1. Chi commette omicidio, rapisce oppure detiene con la violenza o la
frode una persona, o la mutila o la ferisce gravemente, sia punito a seconda della gravità
del delitto con le pene di cui nel can. 1336, §§ 2-4; l’omicidio poi contro le persone di
cui nel can. 1370, è punito con le pene ivi e nel § 3 di questo canone stabilite.
§ 2. Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae.
§ 3. Se si tratta dei delitti di cui in questo canone, nei casi più gravi il chierico reo sia
dimesso dallo stato clericale.

Can. 1398 - § 1. Sia punito con la privazione dell’ufficio e con altre giuste pene, non
esclusa, se il caso lo comporti, la dimissione dallo stato clericale, il chierico:
1º che commette un delitto contro il sesto comandamento del Decalogo con un minore o
con persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o con quella alla quale
il diritto riconosce pari tutela;
2º che recluta o induce un minore, o una persona che abitualmente ha un uso imperfetto
della ragione o una alla quale il diritto riconosce pari tutela, a mostrarsi
pornograficamente o a partecipare ad esibizioni pornografiche reali o simulate;
3º che immoralmente acquista, conserva, esibisce o divulga, in qualsiasi modo e con
qualunque strumento, immagini pornografiche di minori o di persone che abitualmente
hanno un uso imperfetto della ragione.
§ 2. Il membro di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica, e
qualunque fedele che gode di una dignità o compie un ufficio o una funzione nella
Chiesa, se commette il delitto di cui al § 1, o al can. 1395, § 3, sia punito a norma del
can. 1336, §§ 2-4, con l’aggiunta di altre pene a seconda della gravità del delitto.

Si è modificata la legislazione.

62
Il Superiore deve ottenere le prove circa il delitto commesso. Una volta
acquisite le prove, si procede ad aprire il processo e a nominare il notaio che
farà fede circa tutti gli atti del processo.

Quando c’è un ragionevole sospetto che la persona ha commesso un delitto,


il Superiore deve verificare: è obbligato per il bene delle possibili vittime e del
bene della Chiesa.
Raduna il Consiglio provinciale, studia il caso e iniziano il processo. Si
nomina il notaio. Il Superiore maggiore deve chiamare la persona,
informandola sia delle accuse sul suo conto che delle prove che indicano
come abbia commesso il delitto del quale viene accusato.

Si deve concedere sempre il diritto alla difesa per la validità del processo e
non si deve concedere mai oralmente: deve rimanere traccia.

Il Superiore generale o moderatore supremo con almeno 4 consiglieri devono


decidere collegialmente la dimissione o meno della persona.
L’autorità competente per emanare il decreto di dimissione secondo il canone
695 è il Moderatore supremo con almeno 4 consiglieri e in forma collegiale.
È l’unico canone che indica quando il Superiore maggiore o Moderatore
supremo deve agire collegialmente.

Se il governo generale agisce collegialmente e decide la dimissione, il


Moderatore supremo dovrà emanare il Decreto indicando sommariamente la
motivazione.

Nel decreto, per la validità, deve essere sempre indicato il diritto di ricorso
entro 10 giorni dalla notifica.

Se non si fa ricorso, la causa è conclusa.


La dimissione va poi confermata con decreto scritto dalla Santa Sede. Il
Moderatore invia gli atti del processo, con decreto di dimissione, con verbale
della seduta del consiglio generale alla Sede Apostolica chiedendo di
confermare il Decreto di dimissione.
Se la Sede Apostolica conferma il decreto di dimissione, il Moderatore
supremo dovrà notificare all’interessato il suo decreto di dimissione insieme
al decreto della Sede Apostolica.

Il decreto di dimissione del Moderatore di per sé non è valido senza il decreto


di conferma della Sede Apostolica. Occorre sempre, pertanto, presentare i
due decreti.

63
Dimissione facoltativa

Can. 696 - §1. Un religioso può essere dimesso anche per altre cause purché siano gravi,
esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come ad esempio: la negligenza
abituale degli obblighi della vita consacrata; le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la
disobbedienza ostinata alle legittime disposizioni dei Superiori in materia grave; un
grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l'ostinato appoggio
o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa; l'adesione pubblica a
ideologie inficiate di materialismo o di ateismo; l'assenza illegittima, di cui nel can. 665,
§2, protratta per sei mesi; altre cause di simile gravità eventualmente determinate nel
diritto proprio dell'istituto.
§2. Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti anche cause di
minore gravità, stabilite dal diritto proprio.

Non è un elenco tassativo, possono essere aggiunti anche altri motivi nel
diritto proprio.

I due più adoperati sono la disobbedienza e l’assenza illegittima. Qui non si


richiedono dodici mesi, ma sono sufficienti sei mesi.
Non si richiede la irreperibilità.

Qui oltre a raccogliere e verificare le prove, il Superiore maggiore con il


Consiglio devono iniziare il processo di dimissione. Va emanata una prima
ammonizione canonica: si stabiliscono le motivazioni e cosa va fatto.
Si deve sempre concedere il diritto alla difesa, altrimenti la ammonizione
canonica è nulla.
Trascorsi i giorni, se la persona non fa nulla e continua nella situazione
precedente il Superiore maggiore deve inviare la seconda ammonizione
canonica sempre con lo stesso contenuto.

Normalmente si concedono 15 giorni dalla notifica: se sono passati almeno


15 giorni la persona non adempie, si emana una seconda ammonizione.

Nel caso in cui la persona consacrata si trovi nelle fattispecie previste dal
legislatore o dal diritto proprio, il Superiore maggiore competente dovrebbe
convocare il suo consiglio e dialogare e discernere sulla opportunità o meno
di iniziare un processo di dimissione dall’istituto.

La prima cosa da fare è una ammonizione canonica con la quale il Superiore


presenta le motivazioni, cosa viene chiesto ed entro quale tempo,
concedendo il diritto alla difesa.
Il tempo decorre dal momento in cui il decreto viene notificato.

64
Il computo del tempo: vanno contati bene 16 giorni, meglio un giorno in più.
Se non si è osservato il computo di almeno 15 giorni, la ammonizione
successiva non è valida.
Per evitare questo problema è meglio dire 16 giorni.
La motivazione della seconda ammonizione canonica deve essere la stessa
della prima.

Se la seconda ammonizione non ha effetto, il Superiore maggiore convoca il


Consiglio per decidere se inviare il materiale al Moderatore Supremo che con
quattro consiglieri decidono la dimissione. Se questa viene poi accettata,
vanno indicate le motivazioni.

Il ricorso presentato ha sempre effetti sospensivi: sospende la applicazione


del decreto. Sino a che tutto il ricorso non è terminato, la persona ferma
l’applicazione del decreto e continua ad essere membro dell’Istituto con tutti i
diritti e doveri.

Nel caso in cui la dimissione sia stata decisa in forma specifica dal Romano
Pontefice non c’è possibilità di ricorso.

Il canone 703

Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno, o di un gravissimo danno imminente per
l'istituto, il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente, da parte del
Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale
con il consenso del suo consiglio. Il Superiore maggiore, se necessario, curi che si
istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede
Apostolica.

Non dobbiamo confondere l’espulsione dalla casa religiosa dall’espulsione


dall’Istituto.

Can. 694n - §1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto

Can. 695 - §1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto

Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno, o di un gravissimo danno imminente per
l'istituto, il religioso può essere espulso dalla casa religiosa […]

Il Superiore maggiore, se necessario, curi che si istruisca il processo di dimissione a


norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica.

Non confondiamo l’espulsione dalla casa religiosa con la dimissione


dall’Istituto.

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Anche il Superiore locale con il consenso del suo consiglio può espellere
dalla casa.

Chi esce dall’Istituto o viene dimesso legittimamente non può esigere nulla
all’istituto il quale, con equità e carità, provvederà al bisogno della persona.

Istituti secolari e società di vita apostolica

Istituto secolare è un istituto di vita consacrata.


Società di vita consacrata si assomigliano agli istituti di vita consacrata.

Le SVA non sono un istituto di vita consacrata, ma somigliano ad essa.


Gli Istituti secolari sono istituti di vita consacrata che vivono nel mondo per
la santificazione del mondo. Vivono nel mondo, tendono alla perfezione della
carità.

I membri della SVA - non essendo istituto di vita consacrata - sono membri
senza voti religiosi: non fanno voto pubblico, altrimenti sarebbero religiosi.
Vivono in comune per la realizzazione dell’apostolato.

Gli istituti secolari vivono nel mondo e si adoperano per la santificazione del
mondo da dentro. Vivono in modo fraterno, ma non vivono in comune.
Lavorano e vivono nel mondo.
Pio XII li definì il lievito del mondo, che si diluiva nella realtà del mondo per
santificarlo.

Fanno vincoli sacri secondo quanto stabilito nelle Costituzioni attraverso i


quali assumono i consigli evangelici: gli istituti secolari emettono sacri vincoli.

Nelle SVA assumono i consigli evangelici con qualche vincolo stabilito nelle
costituzioni.

Can. 731 - §1. Agli istituti di vita consacrata si aggiungono le società di vita apostolica i
cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e
conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione
della carità mediante l'osservanza delle costituzioni.
§2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche
vincolo definito dalle costituzioni.

Le SVA nel vecchio codice si chiavano “società di vita in comune”: si cambiò


la terminologia per sottolineare la specificità.

Ci possono essere vincoli flessibili come per povertà e obbedienza.

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Gli istituti secolari possono essere:
- Clericali: può avere la incardinazione. La consacrazione nell’istituto
secolare non cambia il loro status.
Se non hanno la incardinazione, saranno incardinati nella Diocesi di
appartenenza e tra la Diocesi e l’istituto ci sarà un accordo.
Se c’è la incardinazione nell’istituto, questo può disporre di loro per
inviarli dove c’è bisogno. L’incardinazione è una grazia che viene
concessa dalla Santa Sede.
- laicali

Anche le SVA possono essere clericali e laicali.

Sono le Costituzioni a stabilire la specificità di queste realtà di consacrazione.

Canone 573
Can. 573 - §1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una
forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione
dello Spirito Santo, si dànno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo,
dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla
salvezza del mondo, siano in grado di conseguire la perfezione della carità nel servizio
del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannuncino la gloria
celeste.
§2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della
Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o
altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano i consigli
evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale essi
conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.

Sono state introdotte nella legislazione poco a poco. C’è stato un dinamismo
nella vita ecclesiale.

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