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11 febbraio 2013

Michele Riondino
DIRITTO PENALE CANONICO

“GIUSTIZIA RIPARATIVA E MEDIAZIONE NEL DIRITTO PENALE CANONICO”, seconda edizione del
giugno 2012.
È la tesi di dottorato di Michele Riondino, libro da studiare per il corso. Questo libro
è obbligatorio per tutti, in particolare sono obbligatori i capitoli 1 e 4. Sono i capitoli
più importanti della tesi e sono obbligatori ai fini dell’esame, infatti una domanda
dell’esame verterà su questi due capitoli.

Frequenza al corso: certo, chi viene in classe saprà dominare meglio la materia. Ma
nessuno controlla.

Per la parte istituzionale del corso ci sono vari testi di diritto penale canonico (ma
nessuno di essi è obbligatorio per superare l’esame):
- BOTTA, La norma penale nel diritto della Chiesa, il Mulino, 2001. È un testo
sintetico, ma molto valido. Ha tutto. È il testo-base, che segue il prof. Riondino
e sul quale fa approfondimenti continui. Però questo è un testo fatto per una
facoltà di giurisprudenza.
- Cur. VELASIO DE PAOLIS E DAVIDE CITO, Le sanzioni nella Chiesa, Urbaniana
university Press 2008: questo testo si addice di più per una formazione
teologica.
- ANTONIO CALABRESE, Diritto penale Canonico, Libreria editrice Vaticana 20063.
- FABIO PIGHIN, Diritto penale Canonico, Marcianum Press 2008. Questo è il testo
più complesso, ma anche quello più completo in assoluto e il più voluminoso.
- PAOLA BARBERO, Tutela della comunione ecclesiale e sanzioni canoniche.
- WESTMAN, Ecclesiastical santions and the penal process, 20032. Testo molto
interessante perché fa molti riferimenti con il diritto civile. L’ambito penale
canonico è, in effetti, quello che necessita più di tutti un confronto costante
con il sistema giuridico penale civile.

Chi studia solo sugli appunti: in teoria da un certo punto di vista possono bastare per
passare l’esame.
Come si svolgerà l’esame? In forma orale:
- La prima domanda è sempre sulla parte generale: la funzione della pena ecc.
- Seconda domanda: applicazione o tipologia applicativa della pena
- Terza domanda: sull’ultimo capitolo, i criteri interpretativi, ecc.
- Quarta domanda: domanda su un singolo delitto.

1
Il libro VI ha solo 89 canoni, rispetto ai 220 canoni del CIC 17. Quindi sono circa ⅔ in
meno: riduzione molto drastica: vedremo il motivo di questa riduzione. È stato
volere dei consultori (in particolare prof. Ciprotti).
Diritto penale canonico è la materia che maggiormente ha subito i cambiamenti
dovuti al CV2.
GP2 in un suo celebre discorso disse che il CIC è l’ultimo documento del Concilio: è
vero, nel CIC vediamo proprio come lo spirito del Concilio ha una forte presenza,
specialmente nell’ambito del diritto matrimoniale e del diritto penale.

Il libro sulle sanzioni: nessun altro ambito del diritto canonico ha subito una
riduzione così drastica!! Come mai una riduzione così forte?
1) Argomento generale; è stato uno dei principi ispiratori della riforma del
Codice: ridurre il più possibile le definizioni. Si lascia alla dottrina, alla scienza
elaborare le definizioni.
2) I delitti sono stati ridotti tantissimo, solo 35 canoni, dal can. 1364 al 1399.

La pena, se non è vista come un PROGETTO DI BENE, non ha motivo di esistere!!


Questa idea di pena, interpretata come “progetto di bene”, come “giustizia che
risolleva” è alla base certamente del diritto penale canonico. Ma anche nell’ambito
statuale dovrebbe essere così.
L’ambito dei singoli delitti (seconda parte del libro VI) richiederà uno studio
praticamente solo mnemonico e più circoscritto. Invece per la parte generale
dedicheremo più tempo e più approfondimento.

Nel suo libro “Luce del mondo” Ratzinger disse che, in certi momenti, non è solo un
diritto, ma anche un dovere del Papa rinunciare all’ufficio di RP. Leggere l’annuncio
del Papa: dice “con piena libertà”.

Can. 332 - §1. Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa
con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di
conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere
episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse
privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.
§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità
che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si
richiede invece che qualcuno la accetti.

Benedetto XVI: “Chiedo perdono per tutti i miei difetti”. GP2 chiese scusa per gli
errori commessi dalla Chiesa. Qui, come anche nella lettera ai fedeli d’Irlanda, il
Papa sottolinea come gli errori commessi da coloro che avevano responsabilità
hanno portato a una diminuzione della potenza della leadership.

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Motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela: ha innalzato a 18 anni l’età del
minore. E poi non si parla del fatto che il minore sia o meno consenziente!! Si tratta
sempre e comunque di abuso su minore.
http://www.vatican.va/resources/resources_introd-storica_it.html
E anche la prescrizione del reato è stata innalzata: è stata portata a 20 anni, quando
di solito nel diritto penale canonico è di 3 o 5 anni. E non sono 20 anni dal
compimento del fatto delittuoso, ma 20 anni dal giorno del compimento dei 18 anni
del minore.
Pena prevista: quella massima per un sacerdote: dimissione dallo stato clericale.

Informazione: il testo di BOTTA è quello più consigliabile da leggere per l’esame.

Cosa si intende per DIRITTO PENALE?


Dobbiamo innanzitutto ricordarci che noi trattiamo il diritto in senso normativo: il
diritto codificato.
A seconda dell’accento che viene posto (sull’illecito, sul reato o sulla sanzione legata
al male posto in essere) possiamo parlare di DIRITTO PENALE oppure di DIRITTO
CRIMINALE.
Diritto criminale: si pone l’accento sul delitto più che sulla risposta istituzionale e
quindi sulla pena collegata all’illecito commesso. Nel mondo anglosassone e più in
generale del common law si usa solo l’espressione criminal law.
Diritto penale: si pone l’accento sulla pena, cioè sulla risposta istituzionale a un male,
a un illecito posto in essere attraverso un comportamento di allontanamento da
parte del soggetto dalla comunità ecclesiale e/o sociale (alcuni studiosi dicono
“comportamento di devianza o di anomalia”).

Negli ordinamenti statali il diritto penale è definito come “la parte di diritto
pubblico che disciplina i fatti costituenti reato”. E quindi? Che cos’è un reato?
Dal punto di vista giuridico-formale: un reato è un qualsiasi fatto umano alla cui
realizzazione la legge ricollega alcune sanzioni penali. Quindi il diritto penale,
attraverso le sanzioni, si pone a difesa dei beni giuridici, cioè quei beni considerati
socialmente rilevanti.

Nell’ambito canonico: can. 1311, primo canone del libro VI. Il diritto penale è frutto
di un esercizio di un potere che la Chiesa detiene e possiede (è quindi un diritto
nativo e proprio della Chiesa) per stabilire alcune pene o sanzioni per la violazione di
norme esterne. Sono tre le finalità principali del diritto penale canonico: 1) Stabilire
quali siano i delitti
2) Prevedere le pene per i singoli delitti (II parte del libro VI)
3) Delineare i processi per irrogare o per dichiarare una pena.
Definizioni celebri del diritto penale.
3
Michiels “De delictis et poenis”, 1961: il diritto penale è un diritto che compete
all’autorità della Chiesa per stabilire le pene, applicarle e rimetterle.
Sole nel suo manuale, nel 1920, anche lui diceva la stessa cosa di Michiels.

Il diritto penale canonico: è la branchia che ha conosciuto il cammino più lungo e


faticoso nel processo della codificazione del 1983.
Attualmente stanno lavorando per un’ulteriore riforma del libro VI. È in
preparazione, anzi esiste già uno schema emendato del nuovo libro VI (che Riondino
possiede).

Già il canonista Wernz, molto famoso, nella sua opera Ius decretalium, affermava e si
augurava, nel 1937, che nel futuro codice ci fosse una parte in cui potessero trovare
spazio i principi generali del diritto penale canonico e poi una seconda parte per i
singoli delitti e le relative pene. Così come avviene in tutti gli ordinamenti esistenti. E
le cose sono andate proprio così.

MA QUAL È IL FINE DELLA PENA? Qual è il fine primario (principale, peculiare) della pena?

Ci sono tre correnti di pensiero sul fine della pena:


1) ROBERTI- WERNZ-VIDAL: considerano come finalità della pena la restaurazione
dell’ordine sociale.
2) LEGA-CAVAGNIS: considerano come finalità della pena il fine medicinale, cioè la
pena curativa.
3) MICHIELS: attraverso la sanzione, si ottiene di riparare l’ordine leso che a sua
volta coincide con la riparazione dello scandalo.

QUAL È LA DIFFERENZA TRA 1) E 3)?


C’è differenza! Perché la definizione che dà Michiels è più completa: attraverso la
restaurazione dell’ordine sociale abbiamo anche una riparazione dello scandalo
procurato.

12 febbraio 2013
Sistema canonico e sistemi extracanonici: somiglianze e differenze.
Con le peculiarità proprie del diritto penale e con la sottolineatura del progredire del
diritto canonico verso una maggiore umanizzazione del sistema sanzionatorio
ecclesiale (porre al centro la persona e porre al centro l’ambito) porre al centro la
salus animarum.
È sempre suprema lex nella Chiesa. Deve rifulgere quale suprema lex nella Chiesa.

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Salus animarum: significa certamente redenzione del fedele e porre al centro del
diritto canonico lo “studium umanitatis” (espressione del prof. Giacchi): porre al
centro l’individuo, la persona, la salvezza della persona.

Premessa: doverosamente dobbiamo ricordare e soffermarci a lungo sulle teorie che


sono alla base del sistema punitivo generale.
Ricordiamo sempre can. 1311: peculiarità propria della Chiesa non derivata da
nessun altra potestà esterna ad essa. “Costringere”: cosa vuol dire?
Jemolo diceva nel 1933 (“Peculiarità del diritto penale ecclesiastico”): commenta
un’opera di Federico Cammeo (grande conoscitore del diritto della Città del
Vaticano): in questo suo scritto il prof. Jemolo sottolineava come l’esistenza di un
diritto penale ecclesiastico (=canonico) solleva una serie di problemi che sarebbe
lungo elencare:
1) Se un sistema di pene afflittive sia conciliabile con l’essenza della chiesa o se
non sia invece
2) Se sia concepibile un diritto penale laddove non vi sia forza materiale che
presieda all’attuazione delle sanzioni inflitte
3) Se si diano norme mere penales, non rispondenti agli imperativi del sistema
etico che è alla base del
Queste domande si trovano nel testo del Botta.

Ma allora chiediamoci: è conciliabile l’esistenza di un sistema punitivo che


COSTRINGE il delinquente a subire delle pene e delle sanzioni? Come è conciliabile?
Come si può costringere se non si detiene una forza coercitiva? (che infatti il diritto
canonico non ha: l’ordinamento canonico è sistema giuridico, ma di libera adesione,
cioè nessuno è costretto a far parte dell’ordinamento giuridico della Chiesa).

Perché esiste un sistema penale? Perché la chiesa che non ha la coercibilità però la
può esigere??
L’autorevolezza della norma: se noi rispettiamo il prof non è che il rispetto sia legato
alla forza ceh il prof può esercitare su di noi, ma è per l’autorevolezza di cui gode il
prof rispetto a noi in quanto professore.
La prevenzione: vari tipi di modalità con cui una politica criminale statuale si
impegna a prevenire certi delitti.
Se io istituzione, stato, intendo questo impegno finalizzato a far condividere nei
consociati una autorevolezza della norma riuscirò a far rispettare la norma in quanto
norma importante in sé, non tanto perché legata a una sanzione più o meno dura.

Per esempio: alcuni autori (anche vicini al cattolicesimo) continuano ad affermare


che la durezza della risposta istituzionale (la durezza della pena) sia sintomo di
autorevolezza dello stato nell’esigere certi comportamenti.
La pena di morte è un deterrente?
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Ora vediamo come quelle teorie della penalistica che hanno riflettuto maggiormente
sulla norma e sull’esistenza della risposta punitiva hanno aiutato ad un’elaborazione
più completa.

Qual è il primo stato al mondo ad aver abolito la pena di morte? Il gran ducato di
Toscana, il Granduca Leopoldo nel 1786 abolì attraverso le “leopoldine” la pena di
morte.
Però il Granduca Leopoldo abolì la pena di morte rifacendosi richiamandosi a principi
che emergevano in un celebre volume scritto da Beccaria “Dei delitti e delle pene”.
Nel 1763 Beccaria scrisse questo noto trattato proprio sulla importanza di un sistema
penale comunque finalizzato alla centralità della persona. Beccaria appartiene a
quella corrente filosofica dell’illuminismo (Rousseau, Montesquieu).
Beccaria elabora quella teoria dove si sottolinea l’importanza di una maggiore
umanizzazione delle pene.

Beccaria soprattutto era contrario alla pena di morte. Nel periodo dell’Illuminismo i
centri maggiori di riflessione si trovano naturalmente nelle maggiori città dell’Italia
(caffè di Milano), poi la cattedra dell’economia politica a Napoli e poi c’era
l’accademia dei Georgofili di Firenze.

Beccaria a pag. 2 dell’introduzione del suo volume dice: “solo scrutando il cuore
dell’uomo si rinvengono le fondamenta del vero diritto”.
Questa frase di Beccaria non sembra una fase di un illuminista! Questa frase
certamente potrebbe essere letta in una duplice forma:
1) Solo approfondendo la base, l’origine, l’idea dell’uomo (che cosa porta con sé
un uomo) io ritrovo le basi del diritto finalizzato alla convivenza sociale
2) È solo l’origine (e quindi anche una concezione antropologica dell’uomo) a far
elaborare teorie giuridiche organizzate alla convivenza dei cittadini.
In tutti e due i modi comunque c’è una riflessione antropologica molto seria
sull’esperienza giuridica.

Come si prevengono i delitti per Beccaria? Lui dice, meglio prevenirli che punirli!! A
quel tempo non era così scontata una frase del genere.
Questo è il fine principale di ogni buona legislazione, che è l’arte di condurre gli
uomini al massimo di felicità o al minimo di felicità possibile per parlare secondo
tutti i calcoli dei beni e dei mali della vita.
Fate sì che le leggi siano chiare, semplici e che tutta la nazione riconosca la forza
della legge stessa.

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Nel cap. 47 dice: la grandezza delle pene deve essere relativa allo stato. Il livello di
civiltà di uno stato è pari alla maggiore o minore umanizzazione del sistema penale,
che è quello che implica la maggiore sofferenza.

Come deve essere una pena? Pubblica, pronta, proporzionata ai delitti, ma


soprattutto dettata dalle leggi. Cioè NON arbitraria. L’arbitrarietà non deve mai
entrare nel diritto penale.

Beccaria nel capitolo dedicato alla pena di morte dice che la pena di morte non ha
ragione d’essere perché “come può una pubblica autorità apparecchiare su una
pubblica piazza un omicidio per punire un altro omicidio”? come può uno stato
rispondere con un comportamento analogo al significato presente nell’illecito posto
in essere da un uomo?

Il volumetto di Beccaria fu messo all’indice nel 1766 perché nell’opera si fa una


distinzione tra delitto e peccato, tra reato e peccato.
Beccaria era il nonno di Alessandro Manzoni. Nei Promessi Sposi al cap. 24 vi è un
chiaro esempio di critica da parte di Manzoni nei confronti di un comportamento
retributivo: la narrazione che vede presenti Lucia e Agnese, la quale dice: “Un giorno
don Rodrigo pagherà per tutto il male che ha fatto!”.
Che cosa risponde Lucia alla mamma? “Non augurate a nessuno di patire se sapeste
cosa significa patire!!”

San Paolo: “Vinci il male con il bene!”


Noi diciamo dal punto di vista giuridica: “Vinci il male con progetti di bene”.

PIETRO VERRI, uno dei fondatori del Caffè di Milano, nella sua opera “Osservazioni
sulla tortura” (1787), dice come la tortura impedisca di conoscere la verità e deve
essere abolita!! Per una giusta e corretta amministrazione della giustizia la tortura
deve essere abolita.
Poi Verri dice (pag. 88-89, cap. IX e X) come la tortura sia un mezzo incerto e
pericoloso per ricercare la verità, perché molti superano i tormenti e non parlano.
È solo un mezzo per confondere la verità, non per conoscerla!!

Il positivismo in ambito penale sottolinea come qualsiasi illecito commesso sia posto
in essere a causa di un’anomalia presente nel soggetto (a volte addirittura una
anomalia fisica).
Cos’è il positivismo? Quella corrente di pensiero che nella penalistica trova come
massimo esponente in Italia Cesare Lombroso, veronese: lui dice che vi è
collegamento tra alcuni tratti somatici tra chi commette l’illecito e il comportamento
illecito. Lui era un medico e si convinse di ciò a partire da un’autopsia che lui fece.
Scoprì una fossetta nella parte occipitale del cervello di un brigante: secondo la sua
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teoria il comportamento deviante era consequenziale ad alcuni tratti fisici e somatici
presenti in una persona.
Ancora oggi ci sono molti che abbracciano questa teoria di Lombroso: alcuni tratti
somatici possono favorire la commissione di alcuni delitti.

Il positivismo ebbe grande diffusione. Pensò alle strutture dei manicomi criminali.
Perché? Perché consideravano che dovessero essere neutralizzati i neutralizzabili ed
eliminare coloro che non erano rieducabili.
Il positivismo NON prevedeva il libero arbitrio: perché era collegato a questa analisi
bio-fisica insita nell’individuo.

Queste due teorie (la teoria liberale classica e la teoria del positivismo) sono state
alla base della formazione dei principali sistemi penali.
Queste due scuole hanno anche certamente influenzato la redazione del diritto
penale del 17 e dell’ 83.

Can. 1399: Residualità ed eccezionalità di alcuni casi.

Si è passati dalle 50 scomuniche presenti nel codice del 17 alle 7 scomuniche


presenti nel codice dell’83.
La scomunica non è mai separazione né da Cristo né dalla Chiesa come corpo
mistico, ma solo dalla Chiesa come corpo giuridico.

Botta dice: polifunzionalità della pena nel diritto canonico (can. 1341):
1) Emendamento del reo
2) Ristabilimento della giustizia
3) Riparazione dello scandalo

Riondino dice: il ristabilimento della giustizia abbraccia in realtà anche le altre due
caratteristiche: racchiude anche gli altri ambiti. Letto nell’ottica della giustizia che
risolleva, che fa il primo passo.

19 febbraio
Se qualcuno ha necessità c’è l’orario di ricevimento: lunedì e martedì dalle 17 alle 19.
Meglio on-line nelle cattedre mandare prima una mail. riondino@pul.it

In dottrina tendenzialmente (specialmente la dottrina extra canonica)


L’errata interpretazione del dato biblico (sia At sia NT) ha influito su una errata
interpretazione di giustizia retributiva.

Oggi vedremo come, sulla scorta di ciò che abbiamo ricordato nelle lezioni
precedenti, l’ideale della giustizia riparativa (il paradigma della giustizia riparativa).
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Tendenzialmente differenziamo i due momenti: sono cose che sono scritte nella tesi
di Riondino. Perché la giustizia è rappresentata con una bilancia? Equilibrio?
Il canone 1311 si sottolinea come la chiesa detenga un diritto nativo e proprio di
costringere mediante sanzioni i fedeli che hanno posto in essere un illecito. È
connaturale con l’esistenza e la nascita della Chiesa.

Equilibrio tra cosa? Tra male posto in essere e pena corrispettiva? E questo equilibrio
della giustizia da chi è stabilito? Questa iconografia continua ad essere presente
proprio perché si è affermato il principio secondo cui a un male posto in essere
dovesse corrispondere una pena posta dall’autorità per ritornare in equilibrio.

Messaggio per la quaresima del 2010 B16 sottolineava come il famoso motto di
Ulpiano (dare a ciascuno il suo) lascia aperto un grande ambito di riflessione:
circoscrivere quel “suo” è un grande lavoro, una grande difficoltà! Cosa è questo
suo?
L’ambito della sanzione, della pena, del male è l’aspetto che più tocca il fondamento
dell’ambito giuridico. L’ambito penale è l’ambito che ha a che fare con valori che
toccano le fondamenta di ogni essere umano.

L’ambito penale è quello che più a che fare con la risposta che la Chiesa deve dare al
mistero del male e del peccato. Vedi la riflessione di Riondino in IV di copertina.

Benedetto XVI, nella Lettera ai fedeli d’Irlanda, il Papa sottolinea come questa
mancanza di leadership, di autenticità e soprattutto aver abusato della fiducia che
molte famiglie hanno riposto per secoli nei confronti della Chiesa Cattolica d’Irlanda.
Questo è molto importante.
M.proprio: (Sacramentorum sanctitatis tutela) (2010).

Vedi anche intervista al papa Luce del mondo, intorno a pag. 50.

Specialmente nel diritto penale canonico si parla sempre di diritto penale del “fatto”,
mai dell’autore!!
Diritto penale: riflessione giuridica che pone al centro la risposta ad un illecito.
Sanziono il fatto in sé!!! Non l’autore!!! Non punisco l’individuo in sé, ma ciò che è
stato posto in essere!! Diritto penale del fatto: sanziona l’illecito, noi sanzioniamo
una fattispecie che ha rilevanza criminale posta in essere dall’agente di reato.

Il diritto penale dell’autore si concentrava di più sulla patologia insita nell’individuo


che delinque (delinquens). Però questo ha portato a grandi problematiche: pericolo
di eccessivamente occuparsi dal punto di vista psicologico di eventuali mancanze
presenti nell’individuo e invece lasciare in secondo piano la rilevanza sociale
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dell’esperienza punitiva. Infatti il reato ha creato uno scandalo nella società,
scandalo che va riparato.

TESI DI RIONDINO: Il ristabilimento della giustizia racchiude in sé anche


l’emendamento del reo e la riparazione dello scandalo.

Can. 1341 - L'Ordinario provveda ad avviare la procedura giudiziaria o


amministrativa per infliggere o dichiarare le pene solo quando abbia constatato che
né con l'ammonizione fraterna né con la riprensione né per altre vie dettate dalla
sollecitudine pastorale è possibile ottenere sufficientemente LA RIPARAZIONE DELLO
SCANDALO, IL RISTABILIMENTO DELLA GIUSTIZIA, L'EMENDAMENTO DEL REO .

La discrezionalità del libro VI mai deve essere confusa con l’arbitrarietà. Anche dal
punto di vista semantico hanno significati opposti. La discrezione si fonda su un
ragionamento e su una logica, l’arbitrio invece è slegato da certi parametri e da certi
limiti

Su questo canone all’esame saremo chiamati a rispondere. È fondamentale capire la


polifunzionalità della pena (concetto presente nel libro di Botta).

Che cosa è la sollecitudine pastorale del canone 1341? Il libro VI è stato oggetto di
varie revisioni.
Impegnare una commissione per 15 anni per fare il nuovo Codice di Diritto Canonico
significa un investimento notevolissimo in questa parte del diritto canonico!! In
questa commissione lavoravano il fior fiore dei canonisti! L’ambito penale è stato
l’ambito maggiormente sofferto. Alcuni mettevano in discussione proprio
l’opportunità dell’esistenza del diritto canonico.

Convegno del 2011 sul diritto penale (Verona)! Dopo moltissimi anni!! “Questioni
attuali di diritto penale canonico”. Leggere la prolusione del cardinale De Paolis sul
valore del diritto penale canonico. E poi anche intervento di monsignor Zenti,
vescovo di Verona.
De Paolis disse: chi critica il diritto penale canonico dimostra di non conoscere affatto
il codice di diritto canonico.
Sono solo 89 canoni!!!

Ora facciamo un’analisi del libro “LA RICONCILIAZIONE TRADITA”:


Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita. Sul rapporto fra cristianesimo e pena
di Eugen Wiesnet
Perché gli uomini non perdonano mai? Non si può praticare la riconciliazione?

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Wiesnet dice questa frase bellissima: «Da millenni gli uomini si puniscono e da
millenni si domandano perché lo facciano».
Card. Ravasi proprio qui al Laterano disse: «Lo stolto dice ciò che sa, il saggio sa ciò
che dice».
Molte frasi, anche quelle di maggior spessore, si caratterizzano per una affermazione
perentoria e poi da una seconda parte che fa riflettere.

La frase di Wiesnet pone la questione fondamentale circa la sanzione, la pena e il


dolore che ne deriva.
C’è una necessità di tornare alle radici: sia del male posto in essere, sia della risposta
istituzionale. Questo è alla base della riflessione del prof. Wiesnet.
Tornare alle origini cosa vuol dire? prendere in considerazione le interpretazioni del
pensiero ebraico cristiano e vedere l’ideale di giustizia che emerge dalla sacra
scrittura.
La giustizia di cui si parla nella sacra scrittura è il termine ebraico “zedakah”. È la
giustizia che salva, che risolleva. Questa concezione smentisce tutta la teoria del
retribuzionismo che interpretava scorrettamente la sacra scrittura, smentisce cioè
quell’idea di giustizia che si fonda sulla stretta reciprocità.

Padre Bovati nel suo studio “Ristabilire la giustizia”, dice: è fondamentale vedere
come la zedakah sia questa “GIUSTIZIA DEL PRIMO PASSO”, che si oppone ad ogni tipo di
logica retributiva o di reciprocità.

L’opera di Wiesnet, questo teologo austriaco non giurista, non vuole avere l’intento
di dare risposte giuridiche all’ambito penale, ma vuole semplicemente confutare
quella sbagliata cultura penalistica fondata su una errata interpretazione del dato
scritturistico.
Il prof. nel “Declino del diritto penale”

Wiesnet: cosa dice a conclusione del suo testo? Vedi pag. 69 (nota 3) della tesi di
dottorato: finché misericordia, perdono e riconciliazione….resteranno estranei al
concetto di giustizia……lunga citazione.
Parla di una “nuova prassi del punire”.

Paolo ai 2 Corinti dice: “a noi Dio…affidando a noi la parola della riconciliazione”.


Paolo ai Romani: “non lasciarti vincere dal male, ma rispondi al male con il bene”.
Queste non sono mere riflessioni poetiche!! Non significa essere apatici di fronte al
male o non rispondere affatto!!

Il perdono presuppone un impegno non meno gravoso, né dell’uno né dell’altro.

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Quando parlo di riparazione dello scandalo (ambito canonico) o riparazione del
danno (ambito civile): sono concettualmente la stessa cosa.

25 febbraio
Oggi concludiamo la parte introduttiva: riprendiamo dalla riflessione data dal nostro
Wiesnet.
Il paradigma teorico del ristabilimento della giustizia: non ci può essere
ristabilimento della giustizia senza emendamento del reo e senza riparazione dello
scandalo.

A questo abbiamo aggiunto come il paradigma teorico della giustizia riparativa (la
zedakah ebraica) viene a coincidere con una giustizia del “primo passo”. I padri della
Chiesa, come Agostino, sottolinea nell’epistola 104 “gareggia con la bontà il male”,
per rispondere all’imperativo che Paolo indirizza alla comunità dei romani secondo
cui si deve vincere il male con il bene.
Giuridicamente: non si deve vincere il male con il male, bensì con progetti di bene!!
La progettualità è molto importante.
Il livello di civiltà di uno stato (e anche della Chiesa) si misura sulla maggiore o
minore umanità che è presente nella esperienza sanzionatoria.
L’esperienza sanzionatoria (non diritto penale) prevede non solo una modalità
punitiva diretta (modalità di infliggere o meno pene), bensì una esperienza che
abbracci tutto l’iter sanzionatorio.

Il libro VI parla delle sanzioni (can. 1312). Ecco al tipologia delle pene stabilite da
questo canone.
1) Pene medicinali (o censure)
2) Pene espiatorie (di cui la definizione non è data; in base alla ratio di abolire le
definizioni quando il coetus che doveva redigere il libro VI stabilì questo
principio). Queste pene espiatorie sostituiscono le cosiddette “pene
vendicative” che erano quelle presenti nel codice pio-benedettino.
Queste due sono le uniche due categorie di pene previste dal Codice di Diritto
Canonico (libro VI)

Poi ci sarebbero anche (ma non rientrano nella categoria delle pene vere e proprie,
in senso stretto)
3) Il § 2 del can. 1312 parla anche di altre modalità punitive: “rimedi penali” o
“penitenze” (le penitenze possono essere in aggiunta o in sostituzione di una
pena vera e propria)

Noi allora se vogliamo una definizione di “pena” ci dobbiamo riferire ancora al


can.2215 del CIC17.

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Can. 1312 - § 1. Le sanzioni penali nella Chiesa sono: 1) le pene medicinali o censure,
elencate nei cann. 1331-1333; 2) le pene espiatorie di cui al can. 1336. § 2. La legge
può stabilire altre pene espiatorie, che privino il fedele di qualche bene spirituale o
temporale e siano congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa. § 3. Sono
inoltre impiegati rimedi penali e penitenze, quelli soprattutto per prevenire i delitti,
queste piuttosto per sostituire la pena o in aggiunta ad essa.

Il TITOLO primo del LIBRO VI (“Le sanzioni nelle Chiesa”) è composto di soli 2 canoni!
È un titolo che ancora una volta risponde alla ratio dei principi di riforma: massima
sinteticità.

Can. 1312 §1: Elenca le sanzioni penali nella Chiesa: abbiamo due tipologie
sanzionatorie, previste dalla Chiesa. Il rimando del codificatore è ai canoni che si
occupano specificamente di quelle pene.

Can. 1312 §2-3: le altre modalità sanzionatorie: “altre pene espiatorie”, “rimedi
penali”, “penitenze”.
Vedremo le penitenze quando tratteremo le circostanza aggravanti, esimenti ed
attenuanti. Una circostanza esimente od attenuante è la minore età.

Il diritto canonico prevede in prevalenza delitti di natura dolosa.


Il codice del diritto canonico prevede un solo delitto di natura colposa: l’abuso di
ufficio.
Dolo eventuale e colpa cosciente. La giurisprudenza non è sempre stata concorde su
questi temi. Ma la colpa, a differenza del dolo (macchinazione volta a trarre
qualcuno in inganno), certamente da sempre si è punito un illecito frutto di una
intenzionalità.
Invece la colpa non prevede che ci sia deliberatamente l’intenzione di commettere
un delitto.
Bettiol, grande penalista statale degli anni 60-70-80, scrisse un celebre articolo nel
1971 intitolato “sullo spirito del diritto penale canonico dopo il CV2”.
È interessante notare che Bettiol, che abbracciava l’idea della natura retributiva
della pena, disse:
“Lo spirito che permea il diritto penale canonico non solo può contribuire a una
umanizzazione della pena e alla centralità della persona per il diritto penale extra-
canonico, bensì ha il dovere di richiamare quei principi ultimi che riconoscono il
primato alla centralità e il primato risocializzativo presente nel diritto degli stati”.
Questo studio ha fatto epoca.

quelli ----- “i rimedi penali”


queste ----- “le penitenze”
13
can. 1312: fondamentale, perché ci dà i riferimenti penali principali nella Chiesa.

Giustizia riparativa: in senso metagiuridico il diritto penale ecclesiastico (= “della


Chiesa”). Questa giustizia che risolleva appartiene all’eredità della chiesa, sebbene
anche al di fuori dell’ambito canonico una falsa interpretazione dei dati dell’AT sono
stati utilizzati, al contrario, per dire che il retribuzionismo fosse la base per la
formazione dei sistemi giuridici di natura penale.

Pio XII ai giuristi cattolici riuniti a Roma nel 1954: il magistero di Pio XII, fine giurista,
si caratterizza per discorsi rivolti a tipologie particolari di individui (ai medici, ai
docenti universitari, agli infermieri, agli insegnanti….)
Pio XII ai giuristi cattolici italiani rivolge queste parole: “…l’odierno sistema penale si
accontenta di piegare, mediante la sofferenza della pena, la volontà del colpevole…
invece il diritto penale dovrebbe tendere sempre più a una maggiore umanizzazione
della sanzione”.
Queste parole (II capitolo della tesi di Riondino) di Pio XII sottolineano come il non
dare importanza alla libera riparazione non risponde a uno dei principi
fondamentali dell’etica penalistica. Non riconoscere una centralità alla persona e
quindi una centralità alla possibilità di riparare a ciò che è stato commesso, non
risponde a uno dei principi fondamentali dell’humus che è alla base della modalità
punitiva.
Pio XII esorta all’interessa della dottrina e alla fedeltà che vi è tra un ambito e un
altro.
La riparazione deve essere posta al centro.

Pio XII fa questo discorso riferendosi al diritto penale dello Stato, però una riflessione
di fondo rivolta a un settore non può che non perlomeno interrogare un settore
analogo come quello del diritto penale della Chiesa. L’esperienza punitiva di
sofferenza e di privazione inerente alla pena riguarda tutti i sistemi sanzionatori,
canonici ed extra-canonici.

Se noi facciamo un passo indietro, per vedere come questa idea di giustizia a volte è
stata male interpretata, non possiamo non far riferimento a un’opera stra-famosa
della riflessione teologica.
È la voce intitolata “strafe”, presente nel Lexicon fur theologie und Kirche. Il volume
IX di questo Lexicon curato da due teologi, Hofe e Rahner, edizione seconda del
1965.
Opera celeberrima e mastodontica: “secondo la sua essenza la pena è un male
inflitto coattivamente dal legittimo potere pubblico. Essa è mezzo per far valere
l’ordine sociale. La pena esercita dunque retribuzione, il che trova la sua
illustrazione più chiara nel modo in cui Dio punisce l’uomo alla fine del suo
14
pellegrinaggio terreno. L’AT conosce come fini della pena: la retribuzione,
l’intimazione e lo sradicamento del male. Il NT concede all’autorità (allo Stato) il
diritto alla punizione dei malfattori, anche mediante l’esecuzione capitale”.

Se noi dovessimo basarci solo su questa celebre definizione di “pena”, presente nel
Lexicon, cosa dovremmo concludere? Che tutti i discorsi sulla funzione riparativa non
valgono nulla?

Noi, senza voler smentire una definizione che è stata data e che per moltissimi anni è
stata alla base della riflessione, dobbiamo elaborare una teoria che non fa coincidere
un concetto di giustizia solo sulla finalità espiativa.

L’atteggiamento di Jahwè nei confronti dell’uomo nell’AT è un atteggiamento


caratterizzato dalla alleanza, bontà, fedeltà e misericordia.

Beccaria disse: “solo scrutando le radici del cuore si trovano le fondamenta del
vero”.
In Isaia questa alleanza, vincolo e fedeltà si racchiudono in un passo celebre (Is 54,
10: anche se i monti si spostassero e i colli fossero rimossi, il mio amore non si
allontanerà da te né il mio patto di pace sarà rimosso, dice l'Eterno, che ha
compassione di te).
La mia “alleanza di pace”.
Non abbiamo solo una figura di Jahvè solo come figura di amore materno, ma anche
paterno.

Ezechiele, citazione. “andrò in ricerca della pecora smarrita, curerò la ferita….”

Il canone 1401 del CCEO riporta la definizione della sessione tridentina, quando si
dice che il pastore non deve percuotere le pecore, bensì deve cercare di recuperarle
tutte e farle rientrare all’ovile. Vediamo il carattere eminentemente pastorale (anche
se la giuridicità non sparisce) di cui si deve caratterizzare anche il nostro libro VI.

Teologia della risocializzazione: ci sarebbero molti passi della Scrittura, ma noi


diciamo che il nocciolo della conversione risiede nel mutamento interiore, e nel fatto
che il giudizio di Jahvè non uccide, non affonda, ma cerca di aiutare attraverso
questo “primo passo”.

Salmo 31: molto famoso: rendimento di lode e la richiesta di giustizia


“In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; per la tua giustizia salvami. Porgi a
me l'orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me la rupe che mi accoglie, la cinta di
riparo che mi salva”.

15
Salmo 36: la tua giustizia è come i monti più alti, uomini e bestie tu salvi Signore.

Salmo 103: “lento all’ira e grande nell’amore, non ci tratta secondo i nostri peccati
non ci ripaga secondo le nostre colpe”. NON CI RIPAGA SECONDO LE NOSTRE
COLPE.

Questo trionfo della misericordia, della giustizia che riconcilia e non affonda, è scritto
nel modo chiaro e nitido nel v. 13: “come il padre….
Ci sarebbero molti altri passi anche in Amos, in Michea, ecc.

Anche nel NUOVO TESTAMENTO noi abbiamo questa eco della zedakah.
Matteo 5: l’essenza della giustizia: il suo messaggio d’amore senza confini che (5, 44)
culmina nell’amore per il nemico. Qui sono racchiusi i valori più alti del diritto e della
giustizia. La comunione vera è la comunione che lega i fedeli. Questa comunione
viene ad essere il fine più alto della giustizia, che deriva dall’unione per il bene
superiore.

Matteo 10: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Gratuitamente:


Bovati nella sua opera celebre sottolinea come con questo “gratuitamente” si
intenda una predisposizione nel dare all’altro anche nelle situazioni di maggiore
difficoltà.
Come rispondere per esempio dinanzi alla fragilità rappresentata da un errore?
Nessuno di noi non cade in certi errori, proprio per una fragilità di base.

La risposta istituzionale nei confronti di un singolo che ha commesso un errore a


causa della sua fragilità: come deve essere? Come ci si deve comportare? Come
rispondere a questo errore?

26 febbraio 2013

La settimana prossima ci sono le giornate giuridiche. Le lezioni sono sospese martedì


5 marzo. Decideremo come recuperare le ore perse.
Terminiamo il capitolo sulle fonti bibliche.

(Wiesnet) L’idea di zedakah, giustizia che salva e solleva, è presente nel NT e in Luca
emerge chiaramente come la giustizia sia un’espressione vivente dell’amore di Dio,
piuttosto che una possibile ira da parte di Dio stesso.
16
L’amore è dono che riceviamo e quindi dobbiamo dare anche nella situazione di
distacco di due persone, e quindi nello ristabilire al comunione tra due persone:
ristabilimento della comunione presuppone senza ombra di dubbio un ristabilimento
della giustizia che a sua volta comrpende un emendamento e una riparazione.
Non si può coattivamente imporre nessun tipo di emendamento, ovvero di
cammino, percorso, progetto che abbia la pur minima finalità medicinale. Nessuno
può obbligarmi a prendere una medicina.

La prassi della riconciliazione di Gesù: annuncio della nuova giustizia. Nel vangelo di
Luca se ne parla tantissimo. Luca non si discosta da ciò che è presente in Matteo.

Uno dei punti fondamentali che possiamo ricordare, uno dei passi su cui spesso
fermiamo la nostra attenzione sono quelli relativi a Paolo.
In Paolo abbiamo Romani, in cui vi è chiaramente questa idea di giustizia che fa il
primo passo e giustizia che non ci permette mai di giudicare per una condanna: il
giudizio può essere fatto (anzi a volte deve essere fatto) sulla condotta, mai sulla
persona!

Ciprotti (grande penalista) commentando San Paolo sottolineava: “Questo potrebbe


aprire la strada per un ripensamento dell’eccessivo giudizio a monte di un
comportamento posto in essere da un individuo”.
In quel periodo (1960) vi erano ancora forti ricordi e considerazione eccessiva sul
giudizio sulla persona.
Negli anni ’50 Pio XII ricevette eminenti studiosi di diritto presso la Sapienza a
riflettere proprio, nell’ambito criminologico, sul delitto e sulla personalità della
persona che compie il delitto.
Padre Agostino Gemelli diceva negli anni ’50: “Si deve sanzionare sempre più il fatto,
non lasciando minimamente spazio per una anche in maniera bonaria un eccessivo
giudizio sull’individuo che ha posto in essere un illecito”.

Questo contributo di Gemelli fu un punto di riferimento anche per la nuova


impostazione della penalistica canonica. La centralità della persona nell’impianto
canonico si vede anche nel campo del diritto penale, qualsiasi sia, per quanto
macabro ed efferato, il delitto commesso da una persona. La persona è sempre al
centro e deve essere sempre tutelata! L’ambito canonico concepisce così il diritto
penale.
Su questo tema noi siamo costantemente messi alla prova: siamo sempre messi alla
prova sul fatto di considerare sempre la differenza tra delitto e persona.

Il card. Matini in una sua omelia presso il carcere di S. Vittore disse: “L’uomo non
deve mai essere trattato alla stregua di un animale da domare, bensì situazioni

17
dolorose che hanno portato a compiere il male interpellano ciascuno di noi sulla
responsabilità ultima che ciascuno di noi può avere in quel male”.

Nel carcere di Regina Coeli ci sono varie targhe commemorative delle visite di
Giovanni XXIII e di GP2. Paolo VI, quando si recò a Regina Coeli, disse una cosa molto
bella: “Io mi trovo in questo momento qui in mezzo a voi e mi interrogo sulla
responsabilità mia e di tutti i miei fratelli che non sono qui con voi per ciò che
avete compiuto”.

Considerazione sulla responsabilità penale di tutti noi verso il male che viene
commesso: Nulla toglie al dogma giuridico del fatto che la responsabilità penale
deve essere imputata a livello personale a me, come soggetto che ha voluto
compiere un illecito.
Ma nonostante questo si impone a tutti noi una riflessione sul generale malessere
(di cui tutti siamo responsabili) che vivono quelle persone che arrivano a compiere
un illecito o un delitto.
Situazioni di grande debolezza, fragilità ed estrema solitudine: di queste situazioni
non siamo forse anche tutti noi responsabili??

Paolo
Dobbiamo sviluppare un atteggiamento che si fondi sull’impegno che potrebbe
essere un atteggiamento che dpdv giuridico presupponga un orientamento, un
progetto di bene che possa servire ad ostacolare l’ampliamento del male ed
eventuali future commissioni di illeciti e di crimini.

Il prof. Ratzinger nel 1968, noto teologo tedesco, “Introduzione al cristianesimo”.


Ratzinger dice: “la riconciliazione significa di solito ristabilimento del rapporto
spezzato con Dio, mediante….nel NT le cose sono diverse: è Dio che viene all’uomo
per darsi a lui”.
Qui emerge chiaramente “il primo passo”, che è cristallizzato soprattutto nelle
pagine del NT.
Nel NT la conquista del fratello diventa il fine principale della nuova giustizia.
La comunione, se spezzata, porta alla commissione di un male.

Dostoevskj dice in una sua opera: “Nessuno può essere su questa terra giudice di un
malfattore se prima non abbia egli stesso acquistato coscienza che anche lui è
altrettanto malfattore come quello che gli sta dinanzi”.
Cosa significa questa frase? Certamente ciascuno di noi a volte è chiamato a
giudicare.

Nel giudizio, nel momento in cui mi trovo a dover rimettere una decisione nelle mani
di un terzo (che nel momento in cui esprime un giudizio deve essere quanto più
18
possibile imparziale ed elaborare la sua riflessione sul criterio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio: elabora il giudice il suo diritto secondo criteri che lo portano, in
piena e totale libertà, a un libero convincimento).
Ma questo emettere un giudizio è la cosa più difficile che ci sia: ci sono
condizionamenti, una imparzialità piena non ci potrà mai essere.

L’imparzialità in un giudizio è una vera arte e di per sé l’arte presuppone la tecnica


(la tecnica giuridica). L’arte ha un modo di manifestarsi più alto rispetto alla tecnica
che si può utilizzare.

Per riassumere: nel NT la zedakah viene ad avere un ruolo fondamentale. Tant’è che
molti padri della Chiesa parlano di teologia della risocializzazione.
Il famoso teologo Schelermarcher parla di teologia dell’educazione: finalizzata
all’emendamento.
Barth dice che: “leggi Wiesenet”

La frase di Wiesnet a pag. 170: molto importante: “la misericordia, il perdono e la


riconciliazione….”.Questa frase sintetizza tutto.
Wiesnet: “La teologia deve reimparare a svolgere il ruolo di battistrada in favore
dell’uomo nel mondo del diritto”. La riflessione ultima sull’esistenza deve essere alla
base di una riflessione giuridica orientata come è la riflessione giuridica della Chiesa
che non può non essere che orientata.

Questa parte del corso fino a qui è molto importante. Il prof. la chiede e va studiata
in modo approfondito per l’esame. Le risposte che daremo su questa parte (lezioni di
introduzione che fondano tutta l’argomentazione) le dovremo dare con particolari e
con capacità nostra di argomentare.
FINE DELLA PRIMA PARTE DEL CORSO.
L’oggetto della riforma del libro VI: I PRINCIPI DI REVISIONE DEL CODICE DI DIRITTO
CANONICO.

Premessa: i famosi principi di revisione del codice di diritto canonico (preparati da


una commissione costituita ad hoc da Giovanni XIII e poi ampliata da Paolo VI) sono
principi che si dividono in 10 punti.

Sono principi che si trovano all’inizio del Codice di diritto canonico: normalmente
dopo la Cost. Sacrae disciplinae leges si trovano questi dieci principi del codice del
diritto canonico.

1) Conservare l’indole giuridica del codice stabilendo diritti e doveri orientati alla
salus animarum
2) Coordinare foro interno e foro esterno.
19
3) Attenzione alla dimensione pastorale. Famosa aequitas canonica. Si chiedeva
l’aequitas non solo nell’applicazione della legge, ma anche nella formulazione
della legge.
4) Le facoltà speciali. La dispensa.
5) Il tema della sussidiarietà. Su questo ci soffermeremo.
6) La definizione e la protezione dei diritti dei fedeli nei confronti di qualsiasi atto
della potestà. Quindi la potestà deve essere capita come servizio alla Chiesa, e
non come mero uso di potestas.
7) Il procedimento amministrativo idoneo alla rivendicazione dei diritti,
distinguendo le varie funzioni della potestas.
8) Il princpio della giurisdizione territoriale.
9) Una revisione totale e radicale di tutto il sistema punitivo della Chiesa per
stabilire adeguatamente la tipologia delle pene e fare emergere il più
possibile il fatto che ci si deve trovare di fronte a un sistema sanzionatorio
che punisca quanto più possibile il foro esterno.
10) Il principio di ordinare tutte le norme in modo sintetico, lineare, ma con
flessibilità;

Il primo taglio radicale che è stato fatto rispetto alla codificazione del 17 è quello
relativo alla definizione di pena. Rimane invariata la definizione e si prende dal CIC
17 al can. 2215, secondo cui “la pena coincide con la privazione di un bene, inflitta
dalla legittima autorità, al fine di correggere il delinquente e di punire il delitto”.
Nel CIC 83 non troviamo una definizione di pena, neanche nel primo titolo del libro
VI che è composto da soli due canoni. Non c’è nemmeno qui la definizione! Però la
canonistica tradizionale si rifà, per ciò che manca nel codice attuale, a un rimando
obbligato al CIC 17.
Il Diritto penale (insieme a diritto matrimoniale) è una delle materie in cui più spesso
si devono fare continuamente riferimenti al codice previgente.
Ricorda: siamo passati da 220 canoni del CIC 17 a soli 89 canoni del CIC 83.

Ricorda! L’ordinamento giuridico della Chiesa non si esaurisce mai nel solo diritto
positivo codificato!
Esempio nel campo del diritto penale: il grande contributo magisteriale autentico
può dare anche dei forti contributi al nostro campo del diritto penale.
Ci sono documenti che anche se non sono dotati di valore di forza di legge vera e
propria, hanno tuttavia forza ed influenza nella riflessione giuridica.

Il CV2, in verità, non è che si fosse occupato proprio tanto del diritto penale e del
codice di diritto canonico.
Era necessario (al tempo del CV2) un ripensamento e una riorganizzazione più
organica circa la modalità di punire nella Chiesa. Non possiamo non ricordare che il
20
principio che è stato un po’ alla base della riforma del libro VI è stato un principio
che è chiaro nella formulazione così poi come è risultato chiaro anche nella
codificazione: “PUNIRE CON MENO FREQUENZA E PUNIRE CON MENO DUREZZA”, CHE NON
SIGNIFICA NON PUNIRE!

Cosa significa “punire meno frequentemente”? pag. 38 del testo di Botta.


Il card. V. De Paolis disse: “in questa linea il nuovo diritto penale vuole presentarsi
come principio di riduzione dei casi in cui si punisce”.
Nel codice del 17 avevamo 50 casi in cui era prevista la pena della scomunica, ora
sono solo 7 casi.
Le pene sono state ridotte nella Chiesa: punire solo coloro di cui la legittima
autorità è certa della colpevolezza, in materie considerate gravi.

Vicina alle preoccupazioni della Chiesa. L’enfasi che si pone su alcuni delitti si spiega
proprio dal fatto della particolare enfasi che la Chiesa annette a certi delitti.

Cosa vuol dire “punire meno duramente”? È stata fatta una opzione di fondo: oltre ai
casi stabiliti dal can. 1344 §2, vi è stata una riduzione di ipotesi nelle quali si
commina la pena della scomunica.
Nel can. 1366 si dice una cosa interessante: relativo ai genitori che alla educazione
dei figli in una religione acattolica. Nel codice del 17 era prevista la scomunica per
questo delitto. Ora si prevede semplicemente una censura o un pena stabilita
dall’ordinario.

Carattere preminentemente pastorale della pena, (Botta dice sembra, noi diciamo
vuole) che vuole riequilibrare un atteggiamento eccessivamente duro rispetto al
passato, in particolare rispetto agli anni immediatamente successivi al CV2.
VUOLE un riequilibrio del sistema penale, ponendo il sistema sanzionatorio della
Chiesa in un’ottica che riconosce come suo fine ultimo quello della salvezza delle
anime.

Il nuovo sistema penale canonico, per forma e sostanza, è essenzialmente


predominato dal carattere pastorale.
Si invita ad un uso parsimonioso della potestà coattiva, limitando il più possibile
(vedi can. 1317) la modalità di legiferare in ambito penale. In altre parole: si deve
legiferare il meno possibile in ambito penale! Questo perché il sistema penale deve
essere sempre considerato come extrema ratio!!
Ricorrere a una modalità di coazione e di uso della forza è da interpretarsi come
possibilità remota.

Cosa emerge nel principio numero 5? Il principio della sussidiarietà: in forza di


questo basilare principio si prospetta la convivenza e la necessità di una sana
21
autonomia della potestà esecutiva particolare riconosciuta ad essi. (vedi citazione da
Botta).
La sussidiarietà è considerata da alcuni autori la cartina da tornasole della riforma
del libro VI e dà un’idea di fondo su ciò che è il valore che si attribuisce a un settore
che ha a che fare con l’ambito più delicato della vita.

Principio 9 = le pene devono essere tendenzialmente il più possibile ferendae


sententiae (il meno possibile latae sententiae). Quasi sempre le pene devono essere
ferendae sententiae.
Le pene devono essere irrogate e rimesse nel foro esterno. Di fatto il CCEO non
prevede le pene latae sententiae! È una differenza che si basa su questo principio.

4 marzo 2013
Soffermiamoci su tre punti fondamentali relativi al magistero. Potremmo fare un
discorso molto ampio, ma noi ricordiamo:
- Il messaggio di GP2 nella giornata mondiale per la Pace del 1997, in
particolare il n. 5: “la vera giustizia deve mirare a ripristinare relazioni
autentiche….il perdono non elimina l’esigenza di riparare….ma punta a
reintegrare le persone all’interno della società.

- GP2 nel 2002, sempre messaggio per la giornata mondiale della pace, al n. 8:
sottolinea come il perdono vada contro l’istinto naturale di rispondere al male
con il male. Bisogna affermare un’etica del perdono…per arrivare a una
politica del perdono, affinché la giustizia assuma un volto più umano.

- Nel novembre 2002, al Parlamento italiano, GP2 chiese un gesto di clemenza e


ha detto: “Un gesto di clemenza potrebbe essere quello di applicare istituti
giuridici che possano favorire anche mezzi alternativi per scontare la pena.

- Gp2 nel 2000 in occasione del Giubileo nel carcere di Regina Coeli: il papa
sottolinea come si debba giungere, se vi è un’aspirazione all’ideale della
giustizia, a una riprogettazione del sistema sanzionatorio, ponendo al centro la
rieducazione e anche il senso di umanità che deve essere riconosciuta
all’esperienza sanzionatoria.

Questo è il contributo magisteriale di GP2, manche Paolo VI nelle varie allocuzioni


pronunciate in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario delle Rota Romana:
“la pena deve essere un’esperienza di bene”. È sempre necessario un
approfondimento magisteriale.

Consideriamo chiusa questa parte fondamentale introduttiva.

22
TITOLO PRIMO DEL LIBRO VI
Ha solo due canoni. Diritto nativo e proprio. Nativo = nasce in seno alla Chiesa e
appartiene alla medesima istituzione, inoltre non è un diritto che viene concesso da
nessun’altra potestà. È un diritto detenuto nella Chiesa per sua natura.
Questo diritto si origina, nasce, si sviluppa e si perfezione all’interno
dell’istituzione ecclesiastica.

Can. 1311 - La Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i
fedeli che hanno commesso delitti.

Rispetto al can. 2214 del CIC‘17 ci sono stati numerosi cambiamenti!


Nel CIC 17 avevamo un’espressione che diceva: “indipendentemente da altre
potestà”. Come mai è stata abolita questa espressione? Proprio a motivo dello
sviluppo del diritto pubblico ecclesiastico, per cui è implicito considerare che il diritto
della Chiesa, se è nativo e proprio, non dipende da altre potestà.

Inoltre nel CIC 17 c’era il termine “suddito” che è stato sostituito con “Christifideles”.
Si sono letti i segni dei tempi, il fedele non è più suddito, ma portatore di diritti
personali e legittimi. Questi diritti emergono chiaramente nel sottolineare la
centralità del fedele. Ricorda il Libro II del Codice 83.

La lezione precedente abbiamo visto anche il principio della sussidiarietà che


emerge proprio in tutti i canoni del Libro VI.

Se passiamo al can. 1312 vediamo come debba essere letto in combinato disposto al
can. 2215 del CIC 17 che prevedeva che “la pena canonica, legittimamente inflitta,
…”.
Quando noi diciamo “privazione di un bene” sottolineiamo come la pena dovesse
riguardare quasi esclusivamente le pene ferendae sententiae e quasi sempre il foro
esterno.
La pena deve riguardare unicamente beni giuridici, i quali si traducono, come noi
sappiamo, in diritti soggettivi.
Deve essere inoltre imposta dalla legittima autorità, cioè la Chiesa come istituzione
che può legittimamente sanzionare un fedele.
La pena deve avere poi un carattere prevalentemente pubblico (≠notorio!).
Diritto penale è quella parte dell’ordinamento che si occupa si sanzionare.
Per pubblicità si intende che
La finalità della pena: strano, non emerge né dal can. 1311, né dal can. 1312,
sebbene il §3 del can. 1312 menzionando “rimedi penali e penitenze”, dice: quelli
per prevenire e per sostituire

23
Can. 1312 - § 1. Le sanzioni penali nella Chiesa sono: 1) le pene medicinali o censure, elencate nei cann.
1331-1333; 2) le pene espiatorie di cui al can. 1336. § 2. La legge può stabilire altre pene espiatorie, che
privino il fedele di qualche bene spirituale o temporale e siano congruenti con il fine soprannaturale della
Chiesa. § 3. Sono inoltre impiegati rimedi penali e penitenze, quelli soprattutto per prevenire i delitti, queste
piuttosto per sostituire la pena o in aggiunta ad essa.

Ma per vedere un canone dove emerga veramente il fine della pena dobbiamo
andare al can. 1341.

Can. 1341 - L'Ordinario provveda ad avviare la procedura giudiziaria o


amministrativa per infliggere o dichiarare le pene solo quando abbia constatato che
né con l'ammonizione fraterna né con la riprensione né per altre vie dettate dalla
sollecitudine pastorale è possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello
scandalo, il ristabilimento della giustizia, l'emendamento del reo.

Questo canone, apertura del TITOLO V, è molto importante, perché si occupa


dell’esperienza più dolorosa del diritto penale, che è il momento applicativo. Se il
diritto penale è extrema ratio, ancora di più extrema ratio sarà il momento
dell’applicazione della pena.
Il carattere di extrema ratio del diritto penale canonico emerge ancora di più che
negli ordinamenti secolari. Emerge chiaramente la caratteristica di residualità.
Diritto penale è l’ultima spiaggia.

Esistono due procedure:


1) Procedura giudiziaria
2) Procedura Extra-giudiziaria (o amministrativa, ma il prof. preferisce extra-
giudiziaria)

“Solo quando abbia constatato”: ecco che emerge il carattere residuale


dell’applicazione della pena. Una o l’altra procedura vanno avviate solo quando
l’Ordinario abbia a sua volta constatato (toccato con mano) che né con
l’ammonizione fraterna, né con la riprensione, né con altri metodi dettati dalla
sollecitudine pastorale, risulti possibile ottenere “ SUFFICIENTEMENTE” la riparazione
dello scandalo, il ristabilmento della giustizia e l’emendamento del reo.
In questo canone emerge anche la polifunzionalità della pena. Questo canone è la
mens a cui poi tutto il diritto penale canonico si ispira.

Alcuni dei membri del coetus (incaricato di comporre il libro VI) desideravano che
questo inciso del can. 1341 fosse posto non solo qui, ma pure nei primi canoni!
Affinché fosse teoricamente chiarita la questione.

La cosa si vede anche nel can. 1316: qui si parla di uniformità.


24
Nei principi direttivi del 1967 si era sottolineato come si doveva limitare il più
possibile l’ambito legislativo di natura penale. Quelli dell’ambito secolare dicono:
«Come puoi limitare la legislazione nell’ambito penale?»

Motu Proprio “Sacramentorum sacramentatis tutela” 2010.


Motu Proprio del 2001 di GP2.

Si privilegia il termine sanzione, perché con questo termine si intendono le pene e


anche alcune pene che alcuni autori chiamano “pene improprie” (= rimedi penali e
penitenze).

Nel TITOLO IV Can. 1331: anche qui non si definisce cosa sia una scomunica, però si
dice a che cosa è fatto divieto allo scomunicato. (PENE MEDICINALI = CENSURE)
Can. 1331-1332-1333: pene medicinali o censure. Qui si elencano i divieti che sono
annessi alle tre pene medicinali, che sono scomunica, interdetto e sospensione.
Can. 1334-1335: anche qui si parla delle pene medicinali

Poi ci sono le PENE ESPIATORIE (che sostituiscono le “vendicative”): dal can. 1336 al
1338: la proibizione o l’ingiunzione di dimorare in un determinato luogo, la
privazione di incarichi e uffici, il trasferimento penale ad altro ufficio (forzoso).
Il codice precedente nel can. 2286 utilizzava un’espressione che non potrebbe essere
minimamente utilizzata nell’attuale codificazione, la quale era a sua volta presa dal
“De Civitate Dei” di Sant’Agostino.
In questo can. 2286 si parlava appunto di “espiazione del delitto”.

Nella nostra codificazione attuale, seppure non si neghi la funzione espiatoria della
pena, non si vuole sottolineare eccessivamente questa necessità di espiare, quasi
attraverso una misura dettata dalla sofferenza, il male che si è posto in essere.

Le pene espiatorie hanno una finalità un po’ particolare: ecco perché abbiamo
analizzato insieme i canoni sulle pene espiatorie in combinato disposto con il can.
1341.

Le pene medicinali hanno una funzione di emendamento del reo, funzione


medicinale della pena, quasi di tipo “curativo”.

Quindi la tipologia delle pene, cosa dobbiamo dire? non è che le pene medicinali
mirino esclusivamente all’emendamento del reo! Il sistema sanzionatorio della
Chiesa deve essere sempre letto unitariamente!!

Noi infatti parliamo di polifunzionalità DELLA PENA, (non delle pene), perché tutte le
pene hanno le famose tre finalità.
25
Poi è vero che le pene prese nello specifico possiamo dire che le pene medicinali
mirano in prevalenza all’emendamento del reo, mentre le pene espiatorie mirano in
prevalenza a dare un segno visibile di una riparazione di uno scandalo che si è
realizzato nella società a causa del reo.

E il ristabilimento della giustizia? L’abbiamo detto già: non c’è riparazione della
giustizia se non c’è emendamento del reo e riparazione dello scandalo.
Il ristabilimento della giustizia mai può essere imposto!! Non si può! Però non solo
riassume, ma anche sottolinea come ristabilire/ricucire/restaurare l’ordine violato
presupponga obbligatoriamente gli altri due passaggi previ. Ingloba e dà valore
all’emendamento e alla modalità con cui si è riparato allo scandalo! Maggiori sono
stati gli sforzi di emendamento, maggiore sia stato l’impegno nel cammino fatto in
maniera seria per l’emendamento e la riparazione dello scandalo, tanto più si
verifica anche il ristabilimento della giustizia.

Colagiovanni, in uno studio molto famoso, dà una bella definizione di “devianza”: «la
devianza, in ambito ecclesiale, avviene quando uno si allontana dalla comunità, cioè
un allontanamento dal modo in cui i fedeli vivono, credono e operano». Quando io
mi allontano dal resto dei fedeli ecco che, inevitabilmente, allontanandomi, assumo
un atteggiamento deviante.

Il paradigma della giustizia riparativa, se vissuto e se inteso in modo serio e vero, fa sì


non solo che non si ripeta un male posto in essere, ma anche contribuisce
eventualmente a che non si violi più l’ordine!
Ristabilendo ciò che è stato rotto, non posso non impegnarmi a fare il possibile
affinché ciò che ha rotto l’ordine non accada più!!
Riparare e basta: è un gradino sotto al ristabilimento della giustizia!!
Ecco che con il ristabilimento della giustizia viene ad essere, a pieno titolo, la luce,
la perla dell’intero sistema penale e sanzionatorio della Chiesa.

PENE ESPIATORIE. Rispetto alle pene espiatorie nell’attuale codice: non si voleva in
modo alcuno poter fare interpretare questa espiazione come sofferenza materiale,
quasi come se Dio volesse far soffrire colui che ha sbagliato affinché si redima.

RISPETTO AL CONTENUTO DELLE PENE:


1) Privazione di beni spirituali
2) Privazione di beni materiali
3) Privazione di entrambi.

Il can. 1315 ci spiega la tipologia di pene:


Can. 1315 - § 1. Chi ha potestà legislativa può anche emanare leggi penali; può
inoltre munire, con leggi proprie, di una congrua pena, la legge divina o la legge
26
ecclesiastica emanata dalla potestà superiore, osservati i limiti della propria
competenza in ragione del territorio o delle persone. § 2. La legge può essa stessa
determinare la pena, oppure lasciarne la determinazione alla prudente valutazione
del giudice. § 3. La legge particolare può aggiungere altre pene a quelle stabilite
dalla legge universale per qualche delitto; ciò tuttavia non si faccia se non vi sia una
gravissima necessità. Se la legge universale prevede una pena indeterminata o
facoltativa, la legge particolare può anche stabilire al suo posto una pena
determinata od obbligatoria.

1) PENA DETERMINATA: è una pena in cui si specifica la pena che consegue


all’illecito posto in essere ed eventualmente anche la sua durata
2) PENA INDETERMINATA: se la specificazione e la durata della pena viene rimessa
alla discrezionalità del giudice o del superiore
3) PENA FACOLTATIVA:

LE QUATTRO GRANDI TIPOLOGIE DI PENE:

1) PENA DETERMINATA OBBLIGATORIA: emerge quando vi è l’espressione “puniatur”


2) PENA INDETERMINATA OBBLIGATORIA: quando troviamo l’espressione “iusta pena
puniatur”; esempio il caso dell’abuso d’ufficio, che è l’unico delitto di natura
colposa.
3) PENA DETERMINATA FACOLTATIVA: quando troviamo l’espressione “puniri potest”;
un caso è quello della calunnia (can. 1390); il canone 220: il diritto alla buona
fama.
4) PENA INDETERMINATA FACOLTATIVA:

11 marzo 2013
Attenzione: la prima parte delle lezioni che abbiamo fatto finora è una parte molto
importante che Riondino pretende alla perfezione.
La delicatezza del libro VI consiste proprio nella parte generale, non tanto nei 34
canoni dei singoli delitti! Uno se li legge e basta. Non è che ci sia poi tanto da
argomentare sui singoli delitti.
I problemi che si sono presentati nel campo del diritto penale si sono presentati
soprattutto per una non comprensione della parte generale del diritto penale!
Le peculiarità del diritto penale canonico sono importantissime: i maggiori
fraintendimenti derivano da una non conoscenza di questa prima parte.
È molto più importante fondarsi sulle peculiarità del diritto penale canonico, intuire
la prospettiva.

Le tipologie di pene:
27
1) Pene medicinali (dette anche censure)
2) Pene espiatorie;
3) Rimedi penali e penitenze;

Dopo il Titolo I (soli 2 canoni), il Titolo II parla delle fonti del diritto penale, che noi
non faremo oggi.
Noi andiamo quindi direttamente al Titolo IV (can. 1331 - 1340) che è rubricato “LE
PENE E LE ALTRI PUNIZIONI”.

Questo titolo IV comprende a sua volta tre capitoli:


Capitolo 1: le censure (o pene medicinali)
Capitolo 2: pene espiatorie
Capitolo 3: rimedi penali e penitenze

Titolo V: “L’APPLICAZIONE DELLA PENA”. Qui c’è il famoso can. 1342, da alcuni definito
“la perla” del libro VI.

Cerchiamo oggi di cercare di definire le varie tipologie di pene. La prima


sottolineatura dobbiamo farla in tema di “SCOMUNICA”. Le altre due sono
INTERDETTO E SOSPENSIONE.
Non c’è una gerarchia tra queste tre, anche se è vero che la scomunica sappiamo
essere in un certo punto di vista la pena più grave delle tre.
LA SCOMUNICA: noi nel codice non troviamo una definizione di scomunica.
Ricordiamo che il coetus aveva fatto la scelta di abolire quasi tutte le definizioni.
Quindi resta inteso che si possono richiamare le definizioni del CIC del 17, a meno
che ci siano definizioni opposte.
Il libro VI è quello che maggiormente fa ancora riferimento alle definizioni del diritto
penale del CIC17.

Il can. 1331: la tassatività è legata sia alle tipologie sia anche ai divieti legati alle
tipologie.
Nel can. 2257 del CIC17: la scomunica è una censura per mezzo di cui si esclude
qualcuno dalla comunione dei fedeli, con gli effetti legati dai canoni seguenti.
Il can. 2241 a sua volta definiva le pene medicinali in relazione ai beni di cui il reo
veniva privato: “beni spirituali o beni annessi ai beni spirituali”, finché permanga la
situazione legata alla contumacia.

Vediamo che le note di temporaneità e di tassatività della censura sono collegate: se


cessa la contumacia deve essere rimessa la pena. Ma rimettere la pena qui non è un
atto di grazia, ma un atto di giustizia, perché così è previsto dalla norma canonica.

28
“Privazione di un bene”: in senso giuridico!! Un bene giuridico che appartiene al
patrimonio del reo.

Dobbiamo fare un importante riferimento al Magistero su questo tema:


Evangelium Vitae del 1995 di GP2, n. 62: abbiamo una definizione di scomunica.
Si dice che la scomunica è quella pena finalizzata a rendere pienamente consapevoli
della gravità di un certo peccato e a favorire, quindi, un’adeguata conversione e
penitenza.
È una definizione molto incisiva, bella, che proviene da un magistero autentico. Si
sottolineano tre aspetti rispetto alla pena della scomunica:
1) La scomunica certamente è una pena (ambito sanzionatorio). Però si pone
l’accento subito sulla finalizzazione di questa pena, traducibile in due aspetti: il
carattere medicinale-curativo della scomunica (lo scomunicato si deve
rendere consapevole della gravità di un peccato che chiaramente viene ad
avere rilevanza anche da un punto di vista giuridico. Infatti, non tutti i peccati
sono anche delitti, mentre tutti i delitti sono anche peccati. Alcuni
comportamenti peccaminosi hanno anche una rilevanza penale. Il fine della
pena: il Magistero ha un respiro più ampio del CIC.
2) Poi c’è anche una conseguenza della pena della scomunica: “Favorire
un’adeguata conversione e penitenza”. Questo è un aspetto molto
importante.

Alcune puntualizzazioni in tema di scomunica. Nel testo di De Paolis e Cito c’è una
parte dedicata all’evoluzione storica della pena della scomunica.
- La ex-scomunicatio è sempre stata presente nella Chiesa ed è sempre stata
legata alla commissione dei reati più gravi. In passato era legata anche a
situazioni oggettive di peccato grave, come le convivenze more-uxorio.
- Come si deve intendere questa esclusione dalla comunione dei fedeli?? Non
dite mai: “È ESCLUSIONE DALLA CHIESA!! NON dite mai “SEI FUORI DALLA
CHIESA!”. Ce lo dice anche il famoso can. 205 che riguarda la comunione nella
fede:

Can. 205 - Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei
battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante
i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico.

Chi non possiede anche uno solo di questi elementi viene ad essere in “non piena
comunione”, ma non essere in piena comunione NON significa “essere al di fuori
di”.

Quindi il canone 205 va letto per capire quale sia l’ambito della scomunica.

29
La scomunica: L’esclusione non è una separazione da Cristo!! E nemmeno dalla
Chiesa in quanto corpo di Cristo!! Si tratta di esclusione solo di alcuni beni della
Chiesa, intesa come corpus giuridico. Beni che abbiano una rilevanza giuridica.

Il soggetto passivo della pena è il battezzato secondo i principi dell’imputabilità che


sono previsti dai cann.1321-1330. In questo gruppo di canoni ci si occupa della
responsabilità penale: il soggetto passivo.

Il soggetto passivo è la persona battezzata che permanga nella situazione di


contumacia.
La censura non cessa da sé: la censura, ex natura sua, non ha indicazioni di tempo!
Non è a tempo!! Cessa con il ravvedimento (o emendamento) e quando cessi la
contumacia. Naturalmente non può mai essere afflitto a tempo determinato.
Ronzani dice: “la finalità emendativa è fin dai tempi più antichi esemplificata
mediante la nota metafora medicinale che suggeriva l’associazione del
comportamento antisociale ad un morbus, cui si contrapponeva la reazione del
corpo sociale attraverso l’afflizione di una pena-medicina”.
Attenzione: morbus non è mai da intendere come patologia!!

La medicinalità che deve essere riconosciuta non deve essere una medicinalità
eccessivamente limitata al singolo. Cioè la medicinalità della pena è sempre in
relazione a una responsabilità della comunità e per la comunità da parte di colui che
ha commesso un illecito. Quindi, sì ci deve essere una progettualità alla base di un
percorso di ravvedimento.

Se fosse la scomunica una sanzione a tempo determinato tradirebbe la finalità della


pena che è l’emendamento del reo. Come si può stabilire a priori quanto tempo ci
vuole per l’emendamento?

Gli effetti della scomunica:


- La persona scomunicata è tassativamente soggetta a un triplice divieto: non
può essere parte attiva come ministro sacro (207 §1 e can 1008) nella
partecipazione del mistero euccaristico (can. 834). Non è vietata la semplice
partecipazione, purché non si partecipi come ministro di culto.
- Non può celebrare sacramenti, né sacramentali, né riceverli. Quindi può
partecipare all’Eucaristia, ma non può fare la comunione.
- Non può esercitare alcun ufficio ecclesiastico (can. 145 §1), tantomeno può
porre in essere atti di governo. Gli atti di governo posti in essere ad uno
scomunicato (can. 976) sono non solo illeciti ma anche invalidi.
- Lo scomunicato non può validamente ricevere nuovi incarichi, finché duri la
pena.
- Non perde privilegi acquisiti primi della scomunica.
30
- Non può essere iscritto né fare parte di un’associazione di fedeli.
- È inabile a dare il proprio voto (can. 171 §1, n.3)

INTERDETTO.
È una censura mediante la quale si vietano ad alcuni fedeli, che rimangono nella
comunione della Chiesa, alcuni beni giuridici. Vedi can. 2286.
L’interdetto presenta alcune affinità con la scomunica: alcuni infatti parlano di
“scomunica minore”, ma è un’espressione impropria.
Però ci sono differenza: il fedele colpito da interdetto conserva la comunione
ecclesiale (a differenza dello scomunicato). Non vi è un interdetto a tempo
determinato. Oggetto: tutti quei beni (can. 1332) che riguardano l’aspetto spirituale:
prendere parte come ministro alla celebrazione di qualsiasi cerimonia, non può
ricevere e celebrare i sacramenti.
Non si deve confondere con la “scomunica minore” che è prevista nel CCEO. E
soprattutto ha un’incidenza sui fedeli per gli aspetti spirituali.

SOSPENSIONE.
A differenza delle altre due tipologie di censure, la sospensione è una pena
medicinale che può colpire solo una categoria di battezzati, i chierici. È una pena che
è rivolta solo a uno status preciso di fedeli.
Cosa comporta?
Una limitazione dei diritto e dei doveri connessi allo stato di vita clericale: può essere
a divinis oppure riguardare l’ambito della giurisdizione.
Vedi can. 1333 §3.
La sospensione non può mai comprendere gli uffici….leggi. Un Vescovo diocesano
non può sospendere un chierico ci un’altra diocesi!
Non può mai comprendere il diritto di amministrare i beni.
La sospensione vieta in tutto o in parte gli atti della potestà di ordine, gli atti della
potestà di governo, vieta altresì di percepire la congrua remunerazione dei preti.
(can. 1333 §4). Queste proibizioni non rendono nullo l’atto del presbitero.

12 marzo
La riparazione dello scandalo: il dettato codiciale utilizza la parola scandalo.
Alcuni autori sottolineano come questa sia la finalità peculiare e la finalità mediata
sia quella dell’emendamento del reo.

Alcuni autori parlano di “pene riparatorie”, ma certamente la dicitura corretta è


“pene espiatorie”, le quali sostituiscono le famose pene vendicative del CIC17.
Tale sostituzione è motivata dall’intento di ovviare DALL’ERRONEA CONCEZIONE
DELLA PENA NEL SIGNIFICATO PEGGIORATIVO, cioè che si limiti ad intendere la
risposta istituzionale della Chiesa come mero clastigo e come mero atteggiamento
31
retributivo (rispondere con un male posto in essere con un negativo analogo della
risposta: eccessiva commisurazione della risposta istituzionale al male posto in
essere).
Già il termine di “commisurazione” evoca di per sé l’idea della giustizia come
risposta di eguale peso.
Meglio usare “determinazione” della pena: per dire che non si deve rispondere in
modo né analogo, nemmeno soppesando il male posto in essere. Infatti nessun tipo
di pena può essere messa alla pari rispetto al male posto in essere. Nessuna
modalità sanzionatoria è in grado di rispondere coerentemente a un male posto in
essere: non esistono rigide equivalenze tra pene e male posto in essere.
Una pena non può mai essere intesa come riparazione al male fatto. Anche se
prendo l’ergastolo per aver ucciso una persona, non è che io riparo all’ingiustizia
commessa.

Le pene espiatorie allora non devono minimamente lasciare spazio ad una possibile
eco a ciò che avveniva secondo la legislazione del 17.

La salvezza dell’anima di chi delinque è sempre da mettere al centro.

PENA ESPIATORIA
CAPITOLO II : LE PENE ESPIATORIE

Can. 1336 - § 1. Le pene espiatorie, che possono essere applicate a un delinquente in


perpetuo oppure per un tempo prestabilito o indeterminato, oltre alle altre che la
legge può eventualmente aver stabilito, sono queste: 1) la proibizione o l'ingiunzione
di dimorare in un determinato luogo o territorio; 2) la privazione della potestà,
dell'ufficio, dell'incarico, di un diritto, di un privilegio, di una facoltà, di una grazia, di
un titolo, di un'insegna, anche se semplicemente onorifica; 3) la proibizione di
esercitare quanto si dice al n. 2, o di farlo in un determinato luogo o fuori di esso;
queste proibizioni non sono mai sotto pena di nullità; 4 il 4) il trasferimento penale
ad altro ufficio; 5) la dimissione dallo stato clericale. § 2. Soltanto le pene espiatorie
recensite al § 1, n. 3, possono essere pene latae sententiae.

Non c’è definizione di pena espiatoria, però al can. 1336 §1 ci sono alcuni elenchi da
ritenersi non tassativi, bensì indicativi, esemplificativi.
Calabrese cerca di dare una definizione di pena espiatoria: “sono la privazione di un
bene spirituale….”.
È una definizione che riprende l’idea di fondo da riconoscere alla pena espiatoria.
Naturalmente le pene espiatorie possono essere latae sententiae o ferende
sententiae.
L’applicazione della pena espiatoria non è legata alla contumacia, né la remissione
della pena è legata alla cessazione della pena stessa.
32
Può essere anche imposta perpetuamente o anche per un tempo determinato o
anche per un tempo indeterminato (cessa con la effettiva espiazione o con la
remissione e tale remissione deve essere disposta dalla competente autorità
ecclesiastica).

Vediamo allora quali sono queste pene espiatorie.

- Proibizione o ingiunzione di dimorare in un determinato territorio: tale


provvedimento può colpire sia chierici sia religiosi. Can. 1679: tale proibizione
potrebbe avere anche un valore preventivo e non chiaramente punitivo. Nel
canone si prevede che il vescovo diocesano per un motivo grave e urgente può
proibire a un membro di un istituto religioso di abitare nella sua diocesi.

- Privazione e la conseguente privazione di esercitare potestà, ufficio, incarico


ecc…. si tratta di nove distinte e possibili privazioni. Cerchiamo almeno di
ricordarne qualcuna.

La pena espiatoria più utilizzata: il trasferimento penale ad un altro ufficio. E qui


dobbiamo rimandare al libro 1, can. 190-191 (trasferimento amministrativo). Can.
194: rimozione per motivi disciplinari dall’ufficio ecclesiastico che uno detiene.
Quindi il can. 1336 § 4 è diverso: questo è un trasferimento penale!

Can. 194 - § 1. È rimosso dall'ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 1) chi ha perso
lo stato clericale; 2) chi si è separato pubblicamente dalla fede cattolica o dalla
comunione della Chiesa; 3) il chierico che ha attentato al matrimonio anche soltanto
civile. § 2. La rimozione, di cui ai nn. 2 e 3, può essere sollecitata soltanto se della
medesima consti da una dichiarazione dell'autorità competente.

- La pena della dimissione dallo stato clericale. È considerata tra le pene più
gravi. In passato si parlava di “riduzione allo stato clericale”. Dopo il CV2 si è
deciso di cambiare la terminologia. Non si deve mai lasciare sola una persona
che per motivi gravi ha subito questa pena. Ci vuole aiuto
nell’accompagnamento successivo. Nei casi dei delicta graviora la CDF è
l’ultima istanza: è qui che si decide se chiedere la dimissione dallo stato
clericale. Attenzione a condannare chi viene dimesso dallo stato clericale: non
sono mostri. È importante anche saper individuare profili di responsabilità che
ci coinvolgono tutti.

Nell’attuale codificazione è comminata nei seguenti casi:

1) Delitto di apostasia dalla fede, eresia, scisma: nei casi di prolungata


contumacia e di grave scandalo (can. 1364).
33
2) Violenza fisica nei confronti del RP o il suo assassinio. (can. 1370);
3) Delitto di profanazione delle specie consacrate;
4) Delitto di sollicitatio ad turpia; (can. 1387)
5) Delitto di attentato matrimonio, anche solo civile, che, dopo esser stato
ammonito, non si ravveda e continui a dare scandalo.
6) Altri delitti contra sexta, specialmente i casi di concubinato.

La dimissione dello stato clericale non è una pena quando si tratta di un caso di
invalidità di ordinazione sacra.

- La pena pecuniaria. È presente nel can. 1488-89 (Libro VII).

A norma del can. 1312 esistono anche RIMEDI PENALI e PENITENZE.


Si inseriscono nel cap. III. Sono solo due canoni: 1339-1340.

Se le pene sono sanzioni propriamente dette e costituiscono la reazione (ma meglio


dire “risposta”, perché reazione può dare l’idea di un comportamento che a volte
può essere anche non appropriato, infatti una reazione può essere anche
spropositata; il termine reazione potrebbe essere frainteso secondo il discorso che
abbiamo già fatto prima) istituzionale al delitto, i RIMEDI PENALI e le PENITENZE non
possono essere qualificate come pene vere e proprie, perché non comportano una
privazione di un bene spirituale o temporale.
Quindi possiamo dare una definizione molto sintetica di pena: “Privazione di un
bene spirituale o temporale”.

Tuttavia anche per le penitenze e i rimedi penali vi è certamente però una referenza
logica e consequenziale con l’avvenuta commissione di un delitto.
Alcuni autori dicono: i rimedi penali e le penitenze hanno un carattere marginale. Ma
Riondino non è d’accordo!
Un conto è dire “marginale” (limitato, circoscritto), un conto, come fa Riondino, è
dire che hanno un’incidenza “diversa”.

Can. 1312 - § 1. Le sanzioni penali nella Chiesa sono: 1) le pene medicinali o censure,
elencate nei cann. 1331-1333; 2) le pene espiatorie di cui al can. 1336. § 2. La legge
può stabilire altre pene espiatorie, che privino il fedele di qualche bene spirituale o
temporale e siano congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa. § 3. Sono
inoltre impiegati rimedi penali e penitenze, quelli soprattutto per prevenire i delitti,
queste piuttosto per sostituire la pena o in aggiunta ad essa.

34
Can. 1339 - § 1. L'Ordinario può ammonire, personalmente o tramite un altro, colui
che si trovi nell'occasione prossima di delinquere, o sul quale dall'indagine fatta cada
il sospetto grave d'aver commesso il delitto. § 2. Può anche riprendere, in modo
appropriato alle condizioni della persona e del fatto, chi con il proprio
comportamento faccia sorgere scandalo o turbi gravemente l'ordine. § 3.
Dell'ammonizione e della riprensione deve sempre constare almeno da un qualche
documento, che si conservi nell'archivio segreto della curia.

Can. 1340 - § 1. La penitenza che può essere imposta in foro esterno, consiste in una
qualche opera di religione, di pietà o di carità da farsi. § 2. Per una trasgressione
occulta non s'imponga mai una penitenza pubblica. § 3. L'Ordinario può a sua
prudente discrezione aggiungere penitenze al rimedio penale dell'ammonizione o
della riprensione.

Can. 1312 §3: I rimedi penali vengono utilizzati soprattutto per PREVENIRE i delitti.
Quindi anche nel diritto canonico ci deve essere una politica criminale che si fondi
sulla prevenzione mediante il consenso.

Le penitenze canoniche (≠ penitenze sacramentali) sono in sostituzione a una pena


oppure in aggiunta a una pena. Uno dei casi in cui la penitenza è intesa come
mitigazione della pena (o sostituzione della pena vera e propria) è quello in cui un
minorenne tra i 16 e i 18 anni commette un reato.
Anche nel diritto penale canonico esistono le circostante aggravanti, attenuanti,
esimenti.

La monitio e la correctio canonica, a norma del can. 1339.


La monitio è diversa sia dall’ammonizione fraterna, sia è diversa pure
dall’esortazione a recedere dalla contumacia.
La monitio è un richiamo formale, dotata di un carattere autoritativo, fatta
dall’Ordinario (personalmente o per mezzo di un delegato) a colui che si trovasse in
un’occasione prossima di violare una legge o un precetto penale, oppure su colui
che, in seguito a una investigatio, ricada il grave sospetto di aver commesso un
delitto.
La finalità: è quella che si ravveda subito, evitando il delitto stesso (can. 1339 §1).

La correctio canonica: è un richiamo di biasimo fatto dall’autorità: can. 1339 §2. Non
concerne un atto, quanto piuttosto un comportamento che abbia le caratteristiche
della frequenza e della ripetizione.
Inoltre la correctio non necessariamente si riferisce ad un delitto, tende piuttosto ad
un senso emendativo, più che riparatorio, e tende a distogliere da quei

35
comportamenti che poi potrebbero configurarsi come comportamenti delittuosi veri
e propri.

La monitio e la correctio possono essere fatte in modo pubblico o segreto, in via


giudiziale oppure no, però deve constare sempre un documento scritto della monitio
o della correctio fatta, il cui verbale deve essere firmato e conservato nell’archivio
segreto della Curia (come previsto dal CIC).

Anche la penitenza canonica è un atto amministrativo per foro esterno, per cui deve
rimanere qualcosa di scritto che deve essere conservato.
Nell’ordinamento secolare esistono le famose “misure alternative alla detenzione”.
Potrebbero essere somiglianti, specialmente quanto ai contenuti, alla penitenza
canonica.
O anche le “sanzioni sostitutive”, come le prestazioni non retribuite in favore della
collettività.

Negli USA le misure di provation (“messa alla prova”) sono caratterizzate da


un’assenza totale di recidiva e da una responsabilità grande a chi ha commesso il
delitto.

18 marzo 2013

Oggi trattiamo due temi in stretta correlazione tra di loro:


1) Le FONTI DEL DIRITTO PENALE
2) Il principio di legalità relativo alla RISERVA DI LEGGE.

Nel diritto canonico il principio di legalità secondo alcuni risulta essere assente, per
altri è un po’ più sfumato rispetto a quello che avviene nel diritto secolare.

Secondo la dottrina penalistica più accreditata (in generale), si fa risalire il principio


di legalità, che si enuncia con l’antico brocardo nullum crimen nulla pena sine lege ,
alla Magna Charta libertatum del 1215, dove emergeva un principio di “uguaglianza”
della legge. Ma questo secondo Riondino non è correttissimo, perché le garanzie
previste nella Magna Charta libertatum non presentavano alcun carattere sostanziale
definitivo.

Invece è condivisibile la tesi secondo cui il principio di legalità negli ordinamenti in


particolare extra-canonici, sia un principio di natura squisitamente politica (cioè che
non appartiene, di per sé, alla ratio che è alla base di una normativa, bensì ha a che
vedere con la convivenza sociale).

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Noi troviamo già dei riflessi e una certa consistenza di questo principio nella celebre
opera di Rousseau “Il contratto sociale”.

Il principio di legalità racchiude innanzitutto due divieti fondamentali:


1) Relativo al primo inciso del brocardo: “nullum crimen sine lege”: coniato da un
noto criminalista tedesco Hansen Feuerbach (vissuto tra la fine del ‘700 e
l’inizio dell’800); H.F. conia per la prima volta questo brocardo, con cui si
impedisce di punire, di sanzionare una condotta non prevista come reato da
una norma giuridicamente presenten all’interno di un sistema. Si impedisce di
punire una condatta che non è prevista come illecito dall’ordinamento.
2) Secondo inciso “nulla pena sine lege”: ci mostra come una sanzione debba
essere stabilita sempre ed esclusivamente a norma del diritto.

A questi due divieti se ne collegano altri due (corollari) che sono chiamati “sotto-
principi interdipendenti”.
1) “Divieto di analogia”: per la materia penale è vietata l’analogia. Ricorda libro I
del CIC. Impedisce di punire il reo per un fatto che non è previsto
espressamente dalla legge, ma ricavato per via analogica.
2) “Divieto dell’irretroattività della legge penale”: impedisce di punire una
condotta lecita al momento della sua commissione.

L’AMBITO CANONICO E IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ. Famoso lo scritto di Giuseppe Di Mattia sul


principio di legalità nell’ordinamento canonico. Noti anche gli studi del professor
Fedele su questo tema, pubblicati nella rivista del diritto penale nel 1937. Gomez de
Ayala scrisse nel 1978 su questo tema nella enciclopedia del diritto.

La riflessione circa il principio di legalità è presente nell’ultimo canone del nostro


libro VI. È un canone unico di cui fa parte il Titolo VII del nostro libro VI.
LIBRO VI : LE SANZIONI NELLA CHIESA
PARTE II : LE PENE PER I SINGOLI DELITTI
TITOLO VII : NORMA GENERALE

Can. 1399 - Oltre i casi stabiliti da questa o da altre leggi, la violazione esterna della
legge divina o canonica può essere punita con giusta pena o penitenza, solo quando
la speciale gravità della violazione esige una punizione e urge la necessità di
prevenire o riparare gli scandali.

Da leggere in combinato disposto con il can. 221.


Can. 221 - § 1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui
godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto. § 2. I
fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall'autorità competente, di
37
essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità. § 3. I fedeli
hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge.

È un canone molto discorsivo nella formulazione, infatti è rubricato come “Norma


generale”.

Vi sono due principi espressi in questo canone 1399:


1) Il PRINCIPIO DELLA RESIDUALITÀ: avevamo già detto che esso è l’extrema ratio del
sistema penale canonico. Qui emerge però la particolarità dell’incipit di questa
norma “Oltre i casi stabiliti da questa o da altre leggi”: sono passibili di pena
solo quei comportamenti relativi a norme penali già vigenti. Questi
comportamenti devono essere però una violazione della legge divina o
canonica. Questi comportamenti devono essere puniti con una “giusta pena”.

2) Il PRINCIPIO DELLA ECCEZIONALITÀ: per poter riconoscere una eccezionalità ad un


comportamento delittuoso, eccezionalità che fa sì di considerare un illecito
come particolarmente grave ci devono essere due caratteristiche: a) la
speciale gravità dell’azione delittuosa; b) la necessità di prevenire o di riparare
gli scandali. L’eccezionalità è dunque dettata dall’urgenza.

Il CCEO non ha un canone parallelo a questo can. 1399. Tuttavia i can. 1406 §2 e
1407 §3 del CCEO vengono incontro a queste esigenze presenti nel can. 1399,
attraverso uno strumento chiamato “ammonizione con minaccia di pena”, la quale
diventa causa sufficiente per comminare la medesima pena.

Gomez de Ayala sottolinea nella sua voce sull’enciclopedia “nullum crimen sine lege”

http://www.lexetjus.net/2011/07/il-principio-di-legalita%E2%80%99-nell
%E2%80%99ordinamento-canonicocan-1399-norma-generale-del-cic-1983/

Da notare come il can. 1399 vada a rimpiazzare il can. 2222 del CIC17 che parlava di
“violazione esterna” (cioè che abbia visibilità, che sia pubblica) di una legge divina o
canonica.

La riforma che si sta attualmente facendo del libro VI vorrebbe (alcuni vorrebbero)
abolire questa norma del can.1399 così com’è scritta, mettendo al posto di
“violazione della legge canonica” l’espressione “violazione della legge
ecclesiastica”. Ma questo fatto non va bene secondo Riondino, in quanto si potrebbe
creare un possibile fraintendimento tra sistemi giuridici.
Secondo alcuni autori questo canone 1399 sarebbe da riformulare in toto (o almeno
nel suo incipit), perché secondo questi autori sarebbe dotato di eccessiva
discrezionalità.
38
Ma per Riondino questo canone va bene così com’è, soprattutto per il fatto della sua
particolarissima collocazione sistematica (la fine del libro VI): è l’unico canone che da
solo compone un titolo nel CIC.
Poi è una norma di chiusura, e di solito le norme di chiusura sono molto rilevanti.
Poi il fatto che si chiami “norma generale” non è da sottovalutare! Alcuni autori del
coetus avrebbero anche voluto chiamarla “norma riassuntiva”.
Comunque con questa norma si voleva esprimere un principio generale che
raccogliesse tutto ciò che era stato detto negli altri 88 canoni del libro VI.
Quindi questo canone va assolutamente bene così com’è!

Da sempre la storia ci insegna che non è che per limitare la commissione di reati ed
illeciti sia una buona strada quella di rivoluzionare completamente le norme penali,
semmai vale la pena aggiungere o modificare le norme penali già in vigore.

Tra le sottolineature che meritano di essere fatte circa il principio di legalità: tale
canone deve essere letto in combinato disposto con il can. 221 §3.

Can. 221 - § 1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui


godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto. § 2. I
fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall'autorità competente, di
essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità. § 3. I fedeli
hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge.

Questo canone si riferisce alla legalità della pena. In tale canone si riconosce un
valore costituzionale alla esigenza di determinazione legislativa delle fattispecie
punibili. Questo è un fondamentale presupposto della potestas puniendi (Botta).

Chiaramente un canone come il 221 non può non essere approfondito se non in
relazione a ciò che è presente al can. 1399.
Allora facciamo una ricapitolazione: il principio di legalità è entrato nel CIC17 come
legalità della pena.
Il principio di legalità nel nuovo codice è dunque stato accolto nel novero dei diritti
che compongono lo statuto del fedele. È quindi una caratteristica fondamentale
dell’ordinamento della Chiesa (canonico).

Quindi quando noi parliamo di legalità penale dobbiamo ricordare come questa non
viene ad essere solo uno strumento tecnico-giuridico, bensì in modo particolare
viene ad essere un diritto soggettivo, il quale, al pari di ogni altro diritto soggettivo,
reclama protezione da parte dell’ordinamento medesimo.
E ricordiamoci che nell’ordinamento canonico la tutela dei diritti soggettivi è
maggiore che negli altri ordinamenti secolari.
39
L’ordinamento canonico, ispirato alla salus animarum, che rifulge quale suprema lex
nella Chiesa, tende allo sviluppo integrale della persona: chiaro che se venisse
violato un diritto soggettivo allora il sistema canonico andrebbe contro il suo scopo e
la sua stessa natura.

“Teologia del matrimonio cristiano” di W.Kasper (vedi nota a pag.184 della tesi di
Riondino). Molto importante questa riflessione giuridica di Kasper.

Per concludere sul principio di legalità: non possiamo non ricordare come questo
ampio spazio di discrezionalità del can. 1399 si concretizzi nella fase inziale
costitutiva della incriminazione. Così come si riferisce anche al caso delle “pene
indeterminate”, cioè quando il giudice, nel caso concreto, ha la facoltà di scegliere
una pena adeguata.
L’art. 25 della Costituzione italiana parla del principio di legalità collegandolo al
principio della riserva di Legge.

Ora vediamo la riflessione sulle FONTI DEL DIRITTO PENALE (LEGGE PENALE E
PRECETTO PENALE).

Negli ordinamenti civili le fonti del diritto penale sono legate al principio della
“riserva di legge”. Invece nell’ordinamento canonico abbiamo due fonti
fondamentali:

1) La legge universale:
2) La legge particolare:

il can. 1313 riprende un principio giuridico generale presente nel libro primo (can.
20), secondo il quale ogni legge posteriore deroga l’anteriore.

Can. 20 - La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo


indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina
integralmente tutta quanta la materia della legge precedente; la legge universale
però non deroga affatto al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto
espressamente altro dal diritto.

Can. 1313 - § 1. Se dopo che il delitto è stato commesso la legge subisce mutamenti,
si deve applicare la legge più favorevole all'imputato. § 2. Che se una legge
posteriore elimina la legge, o almeno la pena, questa cessa immediatamente.

Principio del favor nei confronti del reo nel caso in cui la legge subisca nel tempo dei
mutamenti: si deve applicare la legge più favorevole al reo.
40
Il can. 1314 dice che la pena deve essere per lo più ferendae sententiae in modo da
non costringere il reo se non dopo che la pena sia stata afflitta.

Le fonti sono presenti nei cann. 1315-1319: sono chiamati “norme programmatiche
circa il sistema delle fonti del diritto penale canonico”.

Can. 1315 - § 1. Chi ha potestà legislativa può anche emanare leggi penali; può
inoltre munire, con leggi proprie, di una congrua pena, la legge divina o la legge
ecclesiastica emanata dalla potestà superiore, osservati i limiti della propria
competenza in ragione del territorio o delle persone. § 2. La legge può essa stessa
determinare la pena, oppure lasciarne la determinazione alla prudente valutazione
del giudice. § 3. La legge particolare può aggiungere altre pene a quelle stabilite
dalla legge universale per qualche delitto; ciò tuttavia non si faccia se non vi sia una
gravissima necessità. Se la legge universale prevede una pena indeterminata o
facoltativa, la legge particolare può anche stabilire al suo posto una pena
determinata od obbligatoria

Can. 13 - Le leggi particolari non si presumono personali, ma territoriali, altrimenti


non consti diversamente.

La legge particolare: non solo può configurare come delitto un comportamento e


annettere una pena, ma può anche modificare la pena prevista dalla legge
universale, oppure può aggiungere nuove pene (can. 1315 §3).

Can. 1316 - I Vescovi diocesani facciano in modo che nella stessa città o regione,
qualora si debbano emanare leggi penali, lo si faccia nei limiti del possibile con
uniformità.

Can. 1317 - Le pene siano costituite nella misura in cui si rendono veramente
necessarie a provvedere più convenientemente alla disciplina ecclesiastica. La
dimissione dallo stato clericale non può essere stabilita per legge particolare.
Questi due canoni rispondono alle esigenze che erano state espresse nei “principi
direttivi” del 1967.

Il can. 1317: è un canone importante. La critica che viene fatta (da quelli che non
sono tanto esperti di diritto canonico) a questo canone è legata al fatto che in questo
canone emerge chiaramente il carattere residuale ed emerge il fatto che si debba
legiferare in materia penale, il numero di volte più limitato possibile. Si cerca di
tipizzare i nuovi delitti il meno possibile.
Poi la critica è anche rivolta al fatto che non si possa applicare l’analogia nel campo
del diritto penale canonico.
41
Quindi la residualità va vista in due aspetti: oltre ad essere residuale nella Chiesa il
ricorso alle pene, deve essere residuale nella Chiesa anche il legiferare in tema
penale. Questo secondo aspetto è stato molto spesso strumentalizzato e frainteso da
chi non conosce il diritto della Chiesa.

Attenzione! Il codice però non dice che non si debba legiferare in tema penale quasi
perché l’ambito penale debba rimanere un ambito nascosto e occulto (accusa
frequente mossa dai giuristi non canonisti), ma perché come dice il canone “si possa
provvedere più convenientemente alla disciplina ecclesiastica”.

Nell’ambito canonico allora si deve limitare il più possibile, proprio perché l’ambito
penale è caratterizzato da una certa forza e da una certa perentorietà e perché non
deve perdere il carattere della pastoralità, il legiferare in ambito penale canonico.

Can. 1319 - § 1. Nella misura in cui qualcuno può imporre precetti in foro esterno in
forza della potestà di governo, il medesimo può anche comminare con un precetto
pene determinate, ad eccezione delle pene espiatorie perpetue. § 2. Non si emani un
precetto penale, se non dopo aver profondamente soppesato la cosa ed osservato
quanto è stabilito per le leggi particolari nei cann. 1317-1318.

Leggere bene i riferimenti al libro I per capire bene queste norme.

8 aprile 2013

Oggi ci occuperemo del tema circa il SOGGETTO PASSIVO DELLA SANZIONE PENALE:
parleremo della imputabilità. Le fonti della imputabilità o punibilità sono il dolo e la
colpa.
È un tema importante, a conclusione della parte generale.
Poi ci sarà il tema dell’applicazione della pena e il tema della cessazione della pena.
Infine, a conclusione del corso, ci soffermeremo ad analizzare i singoli delitti, in
particolare una lezione sarà dedicata al tema dei delicta graviora.
Ricordiamoci della famosa lettera ai fedeli d’Irlanda: il Papa B16 ha sottolineato la
questione della responsabilità della Chiesa intera per quei tristi delitti.
Alcuni giorni fa un’attenzione particolare ha avuto Papa Francesco, rivolgendosi al
card. Prefetto della CDF Muller: ha usato un’espressione molto bella: “La verità deve
emergere. Tutti i bambini, anche quelli meno fortunati, hanno subito violenze di
vario genere”. La verità deve emergere.

42
Ora ci occuperemo dei canoni del titolo III della parte I del nostro libro VI: cann. 1321
e seguenti.

Previe precisazioni per poter capire come anche la dottrina ha elaborato le fonti
della punibilità.
Lo studio del soggetto passivo delle norme penali è ovviamente legato all’elemento
soggettivo del delitto, cioè al fatto che all’autore di una condotta antigiuridica possa
essergli mosso un rimprovero soggettivo. All’autore di un determinato illecito
l’istituzione, in questo caso la Chiesa, può muovere un rimprovero e quindi,
muovendo un rimprovero, attuare un castigo.

Qualsiasi individuo/soggetto (noi, in ambito canonico, diciamo “fedele”) risponde


PERSONALMENTE di ciò che pone in essere dpdv della condotta anti-giuridica.
La maggior parte degli ordinamenti civili (anche quello italiano) dice che la
responsabilità penale è sempre PERSONALE.

Vedremo nell’ultima lezione:


La normativa canonica prevede espressamente come il rapporto tra l’ ORDINARIO DEL
LUOGO e il SACERDOTE INCARDINATO nella diocesi non deve essere un rapporto di
“sorveglianza”, ma un rapporto di “attenzione” da parte del Vescovo. Non c’è
nessuna ingerenza nella vita privata/personale del chierico: in questa l’ordinario non
può interferire se non per ragioni di ministero. Quindi non è un vero e proprio
rapporto di subordinazione.

Tema della imputabilità nel diritto penale canonico: alcuni riferimenti bibliografici
importanti.
Andrea d’Auria: “L’imputabilità nel diritto penale canonico”. Tesi di dottorato del
1997.
Andrea Jozwowiz: “L’imputabilità penale”, LEV 2005.

C’è un collegamento naturale tra il concetto di imputabilità penale e imputabilità


morale.
Già Beccaria nella sua opera “Dei delitti e delle pene” faceva la distinzione
importantissima tra peccato e delitto.
Non tutti i peccati sono delitti, ma tutti i delitti presuppongono un peccato. Questa
distinzione tra l’ambito morale e quello strettamente giuridico è molto importante.
Dobbiamo sempre tenerne conto: la rilevanza anti-giuridica di una condotta
presuppone sempre anche una responsabilità morale.

Si afferma solitamente come l’imputabilità sia una proprietà dell’atto, che è implicita
all’atto posto in essere, e che indica al contempo il rapporto tra l’atto posto in essere
e l’autore dello stesso atto criminale. Nel momento in cui noi diciamo che un atto,
43
una condotta è imputabile a Ignazio, intendo dire che Ignazio è colpevole del gesto
(della condotta che ha posto in essere) e risponde lui in prima persona del
medesimo atto.
L’agente di reato è il soggetto che pone in essere una condotta antigiuridica.
Dobbiamo riferirci sempre alla sua responsabilità.

Nel confine che vi è tra imputabilità morale e imputabilità giuridica c’è il concetto di
RESPONSABILITÀ: per quanto riguarda l’imputabilità morale il soggetto risponde dinanzi
a Dio, invece per quando riguarda l’imputabilità giuridica l’atuore di reato, il soggetto
che ha posto in essere una condotta anti-giuridica, risponde dinanzi alla Chiesa, il cui
ordine giuridico ha violato. Di fronte all’istituzione Chiesa.

Can. 1321 §1:


Can. 1321 - § 1. Nessuno è punito, se la violazione esterna della legge o del precetto
da lui commessa non sia gravemente (graviter) imputabile per dolo o per colpa. § 2.
È tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto, chi deliberatamente violò
la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è
punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti. § 3. Posta la
violazione esterna l'imputabilità si presume, salvo che non appaia altrimenti.

VEDIAMO 2 ELEMENTI FONDAMENTALI, QUELLO SOGGETTIVO E QUELLO OGGETTIVO (CAN. 1321


§1).
Elemento soggettivo: l’autore della violazione esterna della legge.
Elemento oggettivo: la violazione esterna di una legge o di un precetto

Quindi questo canone si esprime in termini di gravità e non solo in termini di


moralità (come invece faceva il CIC 17). Questo significa che si deve tenere conto di
alcuni elementi propri che si aggiungono alla mera imputabilità morale.

È infatti necessario tenere conto di altri aspetti che rendono giuridicamente


valutabile la condotta antigiuridica posta in essere:
1) Le CIRCOSTANZE DEL DELITTO: vedremo che ci sono quelle aggravanti, quelle
attenuanti, quelle esimenti. Esempio classico: l’età è una delle cause che
vedremo che può essere a volte circostanza attenuante, altre volte è
circostanza esimente. Per esempio nell’ordinamento canonico sotto i 16 anni
non c’è responsabilità penale.
2) ANTIGIURIDICITÀ DELL’ATTO: è una condotta contraria non solo all’ordine
morale, ma anche all’ordine giuridico, proprio per il danno sociale che la
medesima condotta comporta. Abbiamo visto nelle prime lezioni del corso
quello che dice Colagiovanni circa la rilevanza nell’ambito ecclesiale del
comportamento deviante.

44
Il § 2: È tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto, chi deliberatamente
violò la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è
punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.

RILFESSIONE CIRCA IL DOLO E LA COLPA.


Sono le fonti (o i fondamenti) dell’imputabilità.
Innanzitutto sono punito se ho violato.

deliberatamente: vuol dire volontariamente, cioè con una capacità di decisione e di


scelta. Qui entra in gioco il concetto di DOLO. È un concetto che, in ambito penale,
non si esaurisce nel concetto dell’esperienza romanistica (dolo =qualsiasi
macchinazione volta a trarre qualcuno in inganno). In ambito penale il concetto di
dolo è un concetto che si deve utilizzare necessariamente in modo autonomo
rispetto al suo utilizzo in altri ambiti.
DOLO = è la volontà deliberata di violare una legge o un precetto penale.
Per la definizione come altre volte dobbiamo fare un riferimento al can. 2200 §1:
dolus est deliberata voluntas violandi legem.

Attenzione: in ambito extra-canonico, la dottrina e la giurisprudenza non è spesso


concorde nel definire cosa sia il dolo. Si parla di due concetti che sono il DOLO
EVENTUALE e COLPA COSCIENTE. Vi è un confine molto sottile tra il dolo eventuale e la
colpa cosciente, cioè tra un’eventualità che io mi prospetto di un’azione che io pongo
in essere e invece un comportamento che non è invece dovuto a una deliberata
volontà, ma per colpa.
Nel diritto canonico questa distinzione non c’è: TUTTI I DELITTI CANONICI SONO DI NATURA
DOLOSA, tranne quello previsto dal can. 1389: delitto di abuso di ufficio.

Come mai il diritto canonico non conosce questa distinzione? Forse per evitare la
grande difficoltà che la giurisprudenza e la dottrina fanno per cercare di delimitare i
confini tra Dolo e Colpa.

Art. 42-43 del Codice Penale Italiano.


Articolo 42.
Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come
reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà.
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non
l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo
espressamente preveduti dalla legge.
La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente
come conseguenza della sua azione od omissione. Nelle contravvenzioni ciascuno

45
risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o
colposa

Io posso essere punito solo ed esclusivamente per una condotta antigiuridica che ho
posto in essere e che doveva essere prevista come reato al momento in cui ho
commesso quel reato.

Io rispondo di un comportamento anti-giuridico che deve essere considerato anti-


giuridico nel momento in cui lo commetto.

Relativamente al dolo dobbiamo anche ricordarci che un comportamento doloso


avviene nel momento in cui il soggetto agisce con due caratteristiche:
1) La COSCIENZA:
2) La VOLONTÀ:
Sono la RAPPRESENTAZIONE e la REALIZZAZIONE dell’evento voluto dall’agente di reato.
Io quindi mi rappresento l’evento e lo realizzo!! Io, coscientemente,
deliberatamente, mi rappresento e realizzo l’azione perché voglio una condotta
che è considerata antigiuridica perché è in violazione di una legge o di un precetto.

Quindi nel combinato disposto, nel connubio, tra coscienza e volontà si costituisce
l’ambito doloso. Nel diritto penale canonico l’ambito doloso è l’unico che ha
rilevanza penale!!

Esistono vari tipi di dolo:


1) Generico: si avvera nel caso in cui vi sia solo una generica volontà di porre in
atto un’azione delittuosa;
2) Specifico: oltre ad una volontà delittuosa la norma richiede anche un motivo o
uno scopo ulteriore per porre in essere uno scopo determinato. Esempio
classico: trattenere l’ostia consacrata con l’intento di profanarlo.
3) Determinato: l’agente di reato compie un illecito volendo e prevedendo gli
effetti dannosi che sono connessi alla condotta criminosa.
4) Indeterminato: l’agente di reato non è in grado di prevedere quali saranno gli
effetti successivi all’azione delittuosa.

COLPA (can. 1321 §2)


È una violazione per omissione della debita diligenza (diligenza = imprudenza,
imperizia).
La colpa consiste nella omissione delle debita intelligenza sugli effetti della propria
condotta. Diversamente dal dolo, quindi, l’evento criminoso non viene debitamente
previsto dal soggetto agente.

46
Nel can. 2199: nella colpa è inclusa l’ignoranza colpevole della norma penale,
equiparata a…

Nel can. 1323 n.2 del Codice Attuale è rimasta, in parte traccia.
L’omissione delle debita diligenza ricade sia sulla diligenza per conoscere le leggi, sia
sulla debita attenzione che si deve prestare perché dalla propria condotta non si
verifichi una effettiva violazione della norme.

La colpa non presuppone una responsabilità del soggetto agente di compiere un


reato, presuppone però nel soggetto agente un comportamento consapevole e
oggettivo.
“Connessione tra pena canonica e pena statuale”, articolo di Riondino.

Il can. 1322: Can. 1322 - Coloro che non hanno abitualmente l'uso della ragione,
anche se hanno violato la legge o il precetto mentre apparivano sani di mente, sono
ritenuti incapaci di delitto.

Nel Codice del 1917 si parlava invece dei famosi “lucidi intervalli” (can. 2201).
Attualmente invece: chi non ha abitualmente l’uso di ragione e compie un’azione
antigiuridica è sempre considerato incapace di delitto, per cui non risponde
penalmente, per cui non gli si può imputare alcun tipo di pena.

10 aprile 2013
Martedì prossimo, 16 aprile, faremo 3 ore di lezione: dopo le 2 ore di Caberletti
faremo un’altra ora di recupero.

Ieri ci siamo soffermati lungamente sulle fonti o i fondamenti della punibilità o


imputabilità.
Nel diritto extra-canonico ci sono due fonti dell’imputabilità: il dolo e la colpa.
Il diritto canonico conosce il dolo e la colpa, però c’è una situazione particolare: nel
diritto della Chiesa quasi tutti gli illeciti punibili sono di natura dolosa, e c’è un solo
delitto di natura colposa (abuso d’ufficio descritto al can. 1389).

IL TEMA DEL DOLO E DELLA COLPA.


Il dolo nel diritto penale canonico non si limita esclusivamente a quella nozione
derivante dal diritto romano della macchinazione, ma perché ci sia dolo c’è bisogno
di due requisiti:
1) DELIBERATA VOLONTÀ: io mi devo rappresentare un evento e naturalmente anche
le conseguenze di una condotta che io, deliberatamente, intendo porre in

47
essere. Quell’atto concreto che io mi ero prefigurato, poi lo compio al fine di
ottenere un determinato risultato.
Un noto canonista, Della Rocca, dice a proposito: “La volontà deve essere
indirizzata alla produzione dell’evento destinato a urtarsi contro la norma
penale. La coscienza significa quello stato di orientamento nei riguardi del
mondo esterno tale da consentire all’autore del delitto… L’intenzione è la
consapevolezza intellettiva dell’antigiuridicità della condotta che si va ad
assumere. Il concetto di intenzione.” Volontarietà di arrecare un danno alla
comunità/o individuo
2) COSCIENZA. Ho piena consapevolezza di ciò che pongo in essere.

LA COLPA.
Consiste in una volontaria omissione della debita diligenza circa gli effetti della
propria azione.
L’atto criminoso non viene direttamente previsto e voluto da colui che lo pone in
essere!

La colpa viene caratterizzata dalla imprudenza, negligenza e imperizia: si riassume, in


ambito canonistico, nel concetto latino della NEGLIGENZA.

In quasi tutti gli ordinamenti civili un determinato delitto è previsto sia di natura
colposa, sia di natura dolosa. Come mai nel diritto canonico non succede questo?
Perché il concetto di colpa è un concetto abbastanza recente: le condotte criminali
prevalentemente nascono da comportamenti dolosi. Alcuni autori arrivano a dire
che la colpa sarebbe “un’invenzione dei giorni nostri”.
Il diritto canonico per scelta ha voluto escludere la colpa e si capisce il motivo di
questa scelta: mentre nel diritto degli stati la punizione più forte è la reclusione
(intesa come extrema ratio), invece nel diritto penale canonico non essendo dotato
dello stesso grado di coercibilità è significativo il fatto che il ricorso stesso al diritto
penale canonico sia extrema ratio. Nel diritto canonico si deve infatti ricorrere al
diritto penale in casi residuali, se non eccezionalissimi.
La verità è che il diritto penale canonico è stato per molti anni sconosciuto e
dimenticato! Anche B16 l’ha detto nel suo libro LUCE DEL MONDO: “Il diritto penale
canonico è stato dimenticato, poco applicato o applicato erroneamente!”. Ha ragione
da vendere Ratzinger, noi oggi infatti abbiamo constatato che molti problemi attuali
derivano da questa dimenticanza o erronea applicazione del diritto penale
canonico!!

Visto che l’ambito del diritto penale è un ambito drammatico e legato alla sofferenza
il diritto penale canonico non può e non deve essere male interpretato!! Perché
altrimenti si fanno danni molto gravi di chi soltanto lo ignora!

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Pio XII nel 1954, incontrando i giuristi cattolici a Roma disse: “Dovete dare la
possibilità di riparare, perché il diritto penale canonico rischia di non conoscere cosa
sia la libera riparazione dello scandalo”.

Ieri poi abbiamo parlato anche del can. 1322.


Can. 1322 - Coloro che non hanno abitualmente l'uso della ragione, anche se hanno
violato la legge o il precetto mentre apparivano sani di mente, sono ritenuti incapaci
di delitto.

Questo can. 1322: se noi diciamo che un individuo è incapace di intendere e di


volere (il canone dice “non hanno abitualmente l’uso di ragione”) non è penalmente
imputabile (o punibile) e quindi non è in grado di rispondere al delitto.

IMPUTABILITÀ O PUNIBILITÀ: è un elemento soggettivo riferito alla condotta, a quello


cioè che io pongo in essere deliberatamente.
RESPONSABILITÀ: ad un comportamento che io pongo in essere sono riconosciuto dalla
norma come responsabile, cioè che io devo rispondere personalmente del fatto
criminoso che io ho posto in essere.
È chiaro quindi che io posso essere responsabile di un fatto criminoso, ma non
imputabile.

CAN. 1323 E SEGUENTI (LE CIRCOSTANZE INFLUENTI SULLA IMPUTABILITÀ PENALE)


Oggi vediamo come il soggetto passivo della sanzione risponde e come le condotte
che un fedele assume possano avere minori o maggiori conseguenze penali.
Il delitto, che sia di natura dolosa o colposa, in quanto azione umana è
essenzialmente considerato come un atto dell’intelletto e della volontà posto in
essere dal fedele.
Le cause che influiscono sul grado della imputabilità sono state oggetto di una
diversa classificazione in ambito dottrinale. Ci fu anche un’ampia discussione in sede
di coetus su questo tema.

Alla fine la scelta del Codice fu quella di dividere in 3 ambiti questa materia delle
circostanze influenti:
1) Circostanze esimenti (can. 1323): le circostanze esimenti escludono
l’imputabilità dell’agente, per cui la violazione della legge non è passibile di
alcuna pena (o rimedi penali o penitenze)
2) Circostanze attenuanti (can. 1324)
3) Circostanze aggravanti (can. 1326)

Can. 1323 - Non è passibile di alcuna pena chi, quando violò la legge o il precetto: 1)
non aveva ancora compiuto i 16 anni di età; 2) senza sua colpa ignorava di violare
49
una legge o un precetto; all'ignoranza sono equiparati l'inavvertenza e l'errore; 3)
agì per violenza fisica o per un caso fortuito che non potè prevedere o previstolo non
vi potè rimediare; 4) agì costretto da timore grave, anche se solo relativamente tale,
o per necessità o per grave incomodo, a meno che tuttavia l'atto non fosse
intrinsecamente cattivo o tornasse a danno delle anime; 5) agì per legittima difesa
contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, con la debita moderazione; 6) era privo
dell'uso di ragione, ferme restando le disposizioni dei cann. 1324, § 1, n. 2 e 1325; 7
senza sua colpa credette esserci alcuna delle circostanze di cui al n. 4 o 5.

“Non è soggetto ad alcuna pena”:

1) NON AVEVA ANCORA COMPIUTO I 16 ANNI DI ETÀ. Da sempre l’età è presa come
fattore che influisce sulla capacità del soggetto di porre in essere atti giuridici,
e anche sull’imputabilità del delitto. Leggere anche il can. 97 delle norme
generali, quello sulla maggiore età. Compiuti i 7 anni si presume che il
bambino abbia l’uso di ragione. La legislazione attuale ha semplificato la
legislazione previgente eliminando la distinzione tra puber ed infans. Leggere
anche can. 98. Vedremo che l’età compresa tra i 16 e i 18 costituisce una delle
circostanze attenuanti. Certo, prima dei 16 anni c’è, con ogni probabilità, già
un buon senso morale nel giovane, ma la responsabilità penale NON C’È.
2) CHI SENZA SUA COLPA IGNORAVA DI VIOLARE UNA LEGGE O UN PRECETTO; ALL'IGNORANZA
SONO EQUIPARATI L'INAVVERTENZA E L'ERRORE; ignoranza è la mancanza della debita
conoscenza; inavvertenza: è la mancanza della dovuta attenzione; errore: falso
giudizio, una conoscenza inesatta circa l’esistenza di una cosa. Ignoranza,
inavvertenza ed errore devono essere incolpevoli. Combinato disposto con il
can. 15§2.
3) AGÌ PER VIOLENZA FISICA O PER UN CASO FORTUITO CHE NON POTÈ PREVEDERE O
PREVISTOLO NON VI POTÈ RIMEDIARE; Violenza fisica è una coazione esterna contro
la propria volontà. La dottrina conosce la distinzione tra la violenza assoluta e
quella relativa (quando il soggetto riesce a mettere in atto una qualche forma
di difesa. Ma il canone non parla di questa distinzione.
Il caso fortuito appartiene al campo dell’imprevisto e dell’imprevedibile che
non è molte volte neanche concretizzabile.
Timore: stato psicologico del soggetto di fronte alla possibilità di un paura.
4) STATO DI NECESSITÀ: esempio classico: un alpinista per salvarsi taglia la corda che
lo lega in cordata al compagno per salvarsi la vita.
GRAVE INCOMODO: è simile allo stato di necessità e si verifica qualora
l’adempimento della legge canonica comporti un grave o gravissimo disturbo o
disagio per l’agente. È il soggetto stesso nel momento in cui percepisce la
discrasia tra il comportamento legale che si esige e la situazione concreta si
50
orienta per una non osservanza della norma canonica, per superare un forte
disagio interiore che verrebbe dall’osservanza legale.
5) AGÌ PER LEGITTIMA DIFESA: la risposta deve essere sempre proporzionata a
un’offesa arrecata (fisicamente o verbalmente). La legittima difesa si qualifica
come una difesa che risulti sempre proporzionata alla offesa ricevuta dal
soggetto. Ci deve essere una dovuta fermezza ma anche la debita
moderazione, altrimenti la difesa non è legittima e si incorrerà nel caso di una
circostanza attenuante. Ci vuole moderazione nella risposta, non deve mai
essere sproporzionata.
6) PRIVO DELL’USO DI RAGIONE: tale circostanza fa riferimento a un difetto
momentaneo dell’uso di ragione. Perché c’è già il can. 1322 che configura
un’incapacità assoluta di imputazione del soggetto agente.
7) CHI SENZA SUA COLPA CREDETTE ESSERCI UNA DELLE CIRCOSTANZE: si tratta di un
giudizio errato e incolpevole del soggetto circa la presenza di una circostanza
esimente la responsabilità penale.

LE CIRCOSTANZE ATTENANTI

Can. 1324 - § 1. L'autore della violazione non è esentato dalla pena stabilita dalla
legge o dal precetto, ma la pena deve essere mitigata o sostituita con una penitenza,
se il delitto fu commesso: 1) da una persona che aveva l'uso di ragione in maniera
soltanto imperfetta; 2) da una persona che mancava dell'uso di ragione a causa di
ubriachezza o di altra simile perturbazione della mente, di cui fosse colpevole; 3) per
grave impeto passionale, che tuttavia non abbia preceduto ed impedito ogni
deliberazione della mente e consenso della volontà e purché la passione stessa non
sia stata volontariamente eccitata o favorita; 4) da un minore che avesse compiuto i
16 anni di età; 5) da una persona costretta da timore grave, anche se soltanto
relativamente tale, o per necessità o per grave incomodo, se il delitto commesso sia
intrinsecamente cattivo o torni a danno delle anime; 6) da chi agì per legittima difesa
contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, ma senza la debita moderazione; 7)
contro qualcuno che l'abbia gravemente e ingiustamente provocato; 8) da chi per un
errore, di cui sia colpevole, credette esservi alcuna delle circostanze di cui al can.
1323, n. 4 o 5; 9) da chi senza colpa ignorava che alla legge o al precetto fosse
annessa una pena; 10) da chi agì senza piena imputabilità, purché questa fosse
ancora grave. § 2. Il giudice può agire allo stesso modo quando vi sia qualche altra
circostanza attenuante la gravità del delitto. § 3. Nelle circostanze di cui al § 1, il reo
non è tenuto dalle pene latae sententiae.

Riferimento chiaro: l’autore della violazione non è esentato dalla pena, ma ci deve
essere una mitigazione della pena! C’è solo una diminuzione dell’imputabilità

51
penale. Oppure può esserci una sostituzione con una “penitenza”. Ricorda cosa sono
i rimedi penali e le penitenze.

L’elenco delle circostanze attenuanti contenuto nel can. 1324 non è un elenco
tassativo!!

1) DEBILITAS MENTIS, semi-infermità mentale che impedisce la piena responsabilità


dei propri atti.
2) PERTURBAZIONE DELLA MENTE
3) IMPETO DI PASSIONE
4) L’ETÀ: l’età rilevante dal punto di vista penale ha inizio con i 16 anni di età.
Quando uno ha 18 anni il soggetto diviene maggiorenne e in condizioni
normali ha una piena responsabilità dei suoi atti come anche un pieno
esercizio dei suoi diritti. Durante gli anni intermedi l’età minore costituisce una
circostanza attenuante da valutarsi insieme ad eventuali altre circostanze che
hanno portato a compiere il delitto.
7) GRAVE PROVOCAZIONE: deve essere grave ed ingiusta.

1324 § 2: il giudice è obbligato


1324 § 3: l’aborto: esempio classico: chi si trova nel caso di una delle circostanze
attenuanti non cade nella scomunica. È una questione molto delicata come tutte le
questioni legate alla vita di un individuo.

Le circostanze del can. 1325: è dovuta a una pigrizia o a un disinteresse e il soggetto


non fa niente per porvi rimedio. Ignoranza affettata: è l’ignoranza voluta o
intenzionale.

Can. 1326 LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI


1) La cosiddetta RECIDIVA. La ricaduta: è quella situazione in cui si trova il reo che
dopo essere stato punito da una pena, commette un altro delitto della stessa
specie. È la recidiva specifica. Oppure c’è la recidiva generica se il reo
commette un altro tipo di reato. Il reo in questo caso dimostra una volontà
pertinace e non incline al cambiamento.
2) ABUSO DI POTERE: abuso del potere che ho, dell’ufficio che ricopro, quindi
l’oggettività in sé del male posto in essere è più grave
3)

Can. 1327 - La legge particolare può stabilire altre circostanze esimenti, attenuanti o
aggravanti, oltre ai cann. 1323-1326, sia con una norma generale, sia per i singoli

52
delitti. Parimenti si possono stabilire nel precetto circostanze che esimano dalla pena
costituita con il precetto o l'attenuino o l'aggravino.

15 aprile 2013

Date confermate degli esami di diritto penale canonico. 27 maggio, 10 giugno e 28


giugno.

Non ci saranno domande a piacere.


L’esame: tre domande di ampio respiro dove si può dimostrare non solo di sapere la
nozione, ma dove si deve argomentare e mostrare di saper gestire e dominare la
materia.
Una domanda sulla parte generale, una sull’ambito dell’applicazione delle pena, un
domanda su un singolo delitto. Studiare anche la tesi di Riondino.

Testo di Botta: NO capitolo 1 (sostituito dagli appunti), obbligatori sono i capitoli 2-3-
4.
Integrare lo studio con tutti gli appunti.
Nel testo di Botta il capitolo 1 è molto povero, noi ci siamo soffermati molto di più!!
E poi il cap. 1 e 4 della tesi di dottorato di Riondino.
L’esame può essere sostenuto in italiano, inglese e spagnolo.
Durante l’esame si può usare tranquillamente il codice di diritto canonico.

L’altra volta abbiamo parlato del tema delle fonti della punibilità, o fondamenti.
Abbiamo visto come il diritto penale canonico, a differenza di ciò che avviene negli
ordinamenti secolari, conosce solo un delitto colposo, l’abuso d’ufficio (can. 1389).

La responsabilità penale: è sempre personale. Io, Gabriele Pesce, rispondo


personalmente sempre di un illecito (penale) che pongo in essere, di un crimine, di
una condotto criminosa che io ho posto in essere.

Abbiamo visto come la risposta istituzionale tenga in considerazione di alcuni fattori


importanti: circostanze aggravanti, esimenti, attenuanti.

Oggi soffermiamoci sul tema del CONCORSO DI DELITTI e sul tema di CONCORSO NEL
DELITTO (can. 1346)

53
Can. 1346 - Ogniqualvolta il reo abbia commesso più delitti, se sembri eccessivo il
cumulo delle pene ferendae sententiae, è lasciato al prudente arbitrio del giudice di
contenere le pene entro equi limiti.

La maggioranza dei manuali di diritto penale statuale si sofferma molto su questo


tema.
La dottrina più accreditata suole dividere tra:
- CONCORSO MATERIALE: si realizza quando un soggetto realizza (con più azioni od
omissioni) più violazioni della stessa o di diverse norme incriminatrici.
- CONCORSO FORMALE: si realizza nei casi in cui uno stesso soggetto commette una
pluralità di violazioni della legge penale con una sola azione od omissione.

Nel diritto canonico su tale aspetto non vi è stata una grande elaborazione su questo
tema, perché si è ritenuto opportuno limitarsi a una definizione generale di
“concorrenza”.
Dalla lettura del can. 1346 emerge chiaramente come ci troviamo di fronte a un caso
di favor iuris. La norma tende a mitigare il cumulo materiale delle pene, nel caso in
cui si tratti di pene ferendae sententiae. Infatti per le pene latae sententiae il cumulo
avviene automaticamente.
Botta dice che il codice non parla della distinzione fra delitto aberrante e…

Questo canone va letto in combinato disposto con il can. 1329:


Can. 1329 - § 1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono
espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendae
sententiae contro l'autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari
o minore gravità. § 2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i
complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non
sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata,
altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.

Qui emerge chiaramente come vi sia una differenziazione tra latae sententiae e
ferendae sententiae. Qui il canone prevede il caso in cui più persone concorrano
nella commissione di un delitto:
1) concorso di delitto con pene l.s
2) concorso di delitto con pene f.s.

“Coloro che di comune accordo concorrono”: abbiamo qui una fase preventiva
(prima di iniziare un iter che porterà poi alla commissione di un illecito criminale).

La necessarietà per portare a termine l’evento: si dice che la cooperazione (attiva o


omissiva) deve essere necessaria, affinché questa condotta porti a una commissione
di un illecito penale.
54
L’istigazione morale: provocare in maniera forte

“se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso”: esempio classico è
quello relativo all’aborto. Ci potrebbe essere una istigazione verso l’aborto: in questo
caso potrebbe essere prevista una pena ferendae sententiae, ma non ci troviamo di
fronte a un caso in cui la cooperazione è tale da far scattare una pena latae
sententiae.

Allora se la pena prevista per il delitto è f.s., i complici sono colpito anch’essi dalla
pena dello stesso tipo. Se invece la pena prevista per il delitto è una pena l.s., in essa
incorrono SOLO ED ESCLUSIVAMENTE i complici necessari, senza la cooperazione dei
quali tale comportamento illecito non si sarebbe potuto compiere.

Nel caso dell’aborto la dottrina più accreditata dice che chiaramente chi consiglia di
abortire a una donna non incorre nella pena l.s., altrimenti si negherebbe la libertà
personale di scelta.

16 aprile 2013
L’APPLICAZIONE DELLE PENE (CAN. 1341-1342)
(mancano le prime due ore)

Le dinamiche preventive nella commissione dei delitti nell’ambito canonico. Come


prevenire certe condotte? Cosa fare nel momento in cui ci siano delle voci, magari
anche più o meno fondate, di certe condotte? Vedi ultimo capitolo della tesi di
dottorato di Riondino.
Come mai manca una vera politica di prevenzione su certi crimini, in particolare
quelli che riguardano il patrimonio?
E i crimini di tipo patrimoniale, l’abuso di ufficio: come mai non c’è una riflessione
canonica su questi temi? Noi siamo troppo sesso-centrati nel pensare ai delitti che si
possono compiere.

La politica criminale, cioè una riflessione anti-delitto deve essere quanto mai
presente proprio per l’urgenza del momento e le necessità concrete.
La fase preventiva (nella tesi di dottorato di Riondino) è molto importante: perché se
è chiaro a tutti che il ricorso al diritto penale canonico è extrema ratio, dovrebbe
essere chiaro che ci dovrebbe essere parallelamente una strategia preventiva e una
riflessione ampia su questo tema. Altrimenti che residualità è quella del diritto
canonico??

55
Il can. 1341 - L'Ordinario provveda ad avviare la procedura giudiziaria o
amministrativa per infliggere o dichiarare le pene solo quando abbia constatato che
né con l'ammonizione fraterna né con la riprensione né per altre vie dettate dalla
sollecitudine pastorale è possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello
scandalo, il ristabilimento della giustizia, l'emendamento del reo.

“sufficientemente”: che vuol dire? qui c’è un eccessivo ambito discrezionale. Questo
sufficientemente forse non andava messo, perché lascia troppo spazio a
un’interpretazione di tipo discrezionale.
Alcuni canonisti parlano di questo canone come “la perla dell’ordinamento
canonico” (Di Mattia).

Sì, è un perla, però questo “sufficientemente” molte volte ci si è chiesti: cosa vuol
dire? potrebbe essere male interpretato!
Se è chiaro che c’è un requisito minimo per una delle funzioni della pena
(polifunzionalità della pena di Botta), non è chiaro del tutto come si possa
quantificare questo minimo.

Pag. 34, nota 48 della tesi di Riondino: “le vie non penali” ---
Quando un Ordinario deve infliggere una pena lo fa per due motivi:
1) Perseguire il bene del fedele che sbaglia
2) Proteggere la comunità dallo scandalo o dalla reiterazione del delitto

Pag. 35 della tesi di Riondino: riflessioni molto importanti.

Continuiamo la riflessione sul can. 1342.

Can. 1342 - § 1. Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che si celebri un processo


giudiziario, la pena può essere inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale;
rimedi penali e penitenze possono essere applicati per decreto in qualunque caso. §
2. Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene
che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto. § 3. Quanto
vien detto nella legge o nel precetto a riguardo del giudice per ciò che concerne la
pena da infliggere o dichiarare in giudizio, si deve applicare al superiore, che infligga
o dichiari la pena per decreto extragiudiziale, a meno che non consti altrimenti né si
tratti di disposizioni attinenti soltanto la procedura.

Sottolineiamo come la pena, la sanzione nell’ordinamento della Chiesa NON è MAI


UN FINE, ma è sempre un mezzo. E a tale mezzo si deve ricorrere solo dopo che
l’Ordinario abbia constatato il fallimento degli altri metodi.
Finalità medicinale della pena.
56
Finalità espiatoria della pena. Anche questa ha una finalità (parzialmente) anche
medicinale.

Nota 51 della tesi di dottorato: importante.


Ricorda: per tutto ciò che non è esplicitamente vietato, si può guardare al CIC del 17.

La vigilanza: non deve essere intesa come ingerenza del vescovo diocesano nella vita
del chierico! Deve essere un accompagnamento e la vigilanza non deve essere una
ingerenza “meccanica”.

Nota 52: Botta afferma come non sia errato parlare di eccesso di discrezionalità.

Pag. 37-38: il processo penale non ha lo scopo primario di dichiarare o irrorare una
pena, ma ha lo scopo primario di

Ricorda: la polifunzionalità della pena si evince proprio nell’ambito dell’applicazione


della pena! Noi parliamo di finalità della pena inserendola nel momento
dell’applicazione della pena. Applico la pena, la ma applico solo quando non ottengo
la finalità della sanzione, del potere punitivo (emendare, ristabilire, riparare lo
scandalo).

CANONE IMPORTANTI PER L’APPLICAZIONE DELLA PENA 1341 e 1342. SONO SEMPRE
DA TENERE INSIEME.

Can. 1342 - § 1. Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che si celebri un processo


giudiziario, la pena può essere inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale;
rimedi penali e penitenze possono essere applicati per decreto in qualunque caso. §
2. Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene
che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto. § 3. Quanto
vien detto nella legge o nel precetto a riguardo del giudice per ciò che concerne la
pena da infliggere o dichiarare in giudizio, si deve applicare al superiore, che infligga
o dichiari la pena per decreto extragiudiziale, a meno che non consti altrimenti né si
tratti di disposizioni attinenti soltanto la procedura.

Lettura del commento di Arieta (codice commentato – Coletti)

All’inizio si menzionano le “giuste cause”. Non è facile capire quali siano queste
famose giuste cause, perché questa espressione da adito ad un amplissimo margine
di discrezionalità.
Non dobbiamo essere aprioristicamente contrari alla via amministrativa, però le
garanzie della procedura giudiziale sono garanzie che caratterizzano in modo forte
57
un procedimento giudiziario e sono da tenere in alta considerazione. Non
dimentichiamo che la preferenza codiciale è per il processo, il codice predilige il
processo.
Ricorda: la preferenza normativa è sempre perché si celebri un processo.

Il CCEO parla non solo di giuste cause, ma anche di gravi cause.

Ma allora qual è questa famosa giusta causa? Sono solo cause che riguardano
l’impossibilità di celebrare un processo, oppure possono essere anche cause che
semplicemente consigliano in positivo la via amministrativa rispetto a quella
giudiziale?

Anche nel canone 50 c’è scritto “quatenus fieri potest”: non c’è una reale garanzia
che l’ascolto del destinatario del decreto penale si avveri adeguatamente.

Noi non dobbiamo mai sacrificare il bene di un individuo (reo o colpevole) per
salvare un’istituzione. Non è che per salvare la credibilità io con un dubbio solo
minimo distruggo una persona imputata.
Non è che io posso condannare qualcuno senza la certezza morale. La presunta
consapevolezza da sola non è sufficiente. Mai sacrificare il bene della persona solo
per salvare un’istituzione.

Con questo si chiude la parte del corso relativa all’applicazione della pena.

22 aprile 2013
Oggi trattiamo dei CANONI RELATIVI AL PROCESSO PENALE CANONICO. Il Botta nel suo libro
non tratta di questo argomento, perciò ciò che facciamo oggi è da studiare sugli
appunti.

Testi per approfondire questo argomento:


Claudio Papale, Il processo penale canonico, Urbaniana University Press, 2011.
AA. VV., Questioni attuali di diritto penale canonico Atti del co ngresso nazionale
della SCAI, (Verona settembre 2011), LEV, Collana di Studi giuridici, , pubblicato
nell’aprile del 2012.
Legato al diritto penale sostanziale (cioè tutta la riflessione circa i fondamenti, la
sostanza e la riflessione teorica della penalistica) dobbiamo approfondire il tema del
processo penale.

Ricorda: il processo penale nella Chiesa assume sempre un ruolo eminentemente


strumentale.

58
Attraverso il processo, infatti, viene appurato se è stato commesso un delitto e, in
caso affermativo, a seconda del delitto commesso e della pena annessa a quel
delitto, viene inflitta o dichiarata una pena.
La pena, com’è noto, può essere l.s. o f.s.
Ricorda: la dichiarazione o la irrogazione della pena hanno sempre a che fare con il
foro esterno.

Il delitto è e deve essere sempre il presupposto affinché si svolga un processo.


Il diritto penale si occupa principalmente di appurare un evento del passato, invece
con i famosi “metodi alternativi alla pena” c’è un cambiamento di prospettiva: più
che guardare al passato si guarda al futuro.

Un noto canonista, Egan, nel suo articolo, I processi speciali, dice che i processi
penali canonici sono da ricondurre alla categoria dei “processi speciali”. Attenzione a
non confondersi con l’ordinamento civile, dove si parla più che altro di processi
specializzati (≠ processi speciali). Esempio: il Tribunale per i minorenni in Italia è un
organo collegiale specializzato per i minori tra i 14 e i 18 anni: caso chiaro di giustizia
specializzata.
Nel diritto canonico si parla, invece, di GIUDIZI SPECIALI. Egan, nel suo articolo, prende
in esame questi processi.
Nel diritto canonico esiste il processo, che è quello contenzioso-ordinario. All’interno
di questa categoria possiamo avere dei giudizi speciali: e in questa categoria
rientrano i processi penali, perché c’è la presenza del promotore di giustizia (che è
l’equivalente di ciò che in ambito civile si chiama Pubblico Ministero).

Lo spirito di charitas nella Chiesa significa la possibilità di fondare una risposta anche
sulla doverosa possibilità di riconciliazione e di perdono.

Famosa allocuzione di Paolo VI alla Rota Romana dell’8 febbraio 1973:


“Interpretando il diritto, voi fate uso dei poteri e della libertà che vi sono stati
concessi; per voi, un giusto giudizio non è soltanto una sentenza dove si riscontra
l’equità naturale; esso riflette ancor più quella aequitas canonica che è frutto della
vostra carità pastorale e costituisce una delle sue più delicate espressioni. Nel lavoro
del legislatore canonico, come nell’opera del giudice ecclesiastico, l’aequitas
canonica resta un ideale sublime e una regola preziosa di condotta. […] Tra le
norme per la revisione del codice, approvate dal primo Sinodo dei Vescovi, ancora
una volta fu raccomandata questa «regula aurea»: Codex non tantum iustitiam sed
etiam sapientem aequitatem colat quae fructus est benignitatis et caritatis ad quas
virtutes exercendas Codex discretionem atque scientiam Pastorum et iudicum
excitare satagat (Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem dirigunt, sub 3,
in Communicationes 1, 1969, 79). Il diritto canonico appare così non solamente
come norma di vita e regola pastorale, ma altresì come scuola di giustizia, di
59
discrezione e di carità operante. Tutto ciò dove potrà meglio verificarsi se non
presso di voi, nel vostro Tribunale, dove lo stesso diritto è applicato a servizio delle
anime?”.

In questo discorso di Paolo VI c’è una delle definizioni più belle di “diritto canonico”:
Il diritto canonico appare così come scuola di giustizia, di discrezione e di carità
operante

Emerge ancora il tema della discrezionalità, che non è mai arbitrarietà, ma è


equilibrata da alcuni limiti giuridici ben definiti:

1) Il principio di legalità;
2) La tutela del bene comune nell’esercizio dei diritti dei fedeli (can. 1223);
3) La tutela dei diritti soggettivi dei fedeli (can. 1221)
4) Il raggiungimento delle certezza morale da parte del giudice (can. 1608);
nell’ambito civile si dice: “certezza oltre ogni ragionevole dubbio”.
5) Non ledere mai la buona fama del fedele (can. 1220): questo bilanciamento
non può mai e poi mai ledere il diritto alla buona fame del fedele, che è
costituzionalmente sancito nel Libro II del CIC (can. 220).

La parte del processo penale canonico si trova nel libro VII, precisamente nella Parte
IV, rubricata “IL PROCESSO PENALE”. Questa parte è divisa in capitoli, che a loro volta
sono rubricati in forme diverse. I canoni sono quelli dal 1717 al 1731.

Il can. 1717: riguarda la cosiddetta previa investigatio.

Can. 1717 - § 1. Ogniqualvolta l'Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un


delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le
circostanze e sull'imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri
assolutamente superflua. § 2. Si deve provvedere che con questa indagine non sia
messa in pericolo la buona fama di alcuno. § 3. Chi fa l'indagine ha gli stessi poteri
ed obblighi che ha l'uditore nel processo; lo stesso non può, se in seguito sia avviato
un procedimento giudiziario, fare da giudice in esso.

Questa previa investigatio prende avvio dalla divulgazione della c.d. notitia criminis:
ovvero una notizia che dovrebbe essere almeno probabile.
“Almeno probabile”: chiaro che la verosimiglianza di un fatto è da provare, ma non si
potrà mai provare in maniera matematicamente precisa.

“Ordinario”. Non è solo il Vescovo Diocesano, ma anche gli altri Ordinari, e gli
equiparati all’Ordinario: quelli che sono titolari di potestà giudiziale propria.

60
“comportamenti che abbiano un minimo grado di pubblicità, anche se la notizia del
delitto potrebbe essere non-pubblica, ma l’Ordinario possa carpire da una certa
notorietà di ciò che si è commesso”: anche qui vediamo come non vi sia un obbligo
di esercitare un’azione penale? Negli ordinamenti extra-canonici, invece, spesso vi è
una sorta di obbligo di esercitare l’azione penale! Nell’ordinamento canonico no!!

Questo canone andrebbe letto in combinato disposto con il can. 1341:


Can. 1341 - L'Ordinario provveda ad avviare la procedura giudiziaria o
amministrativa per infliggere o dichiarare le pene solo quando abbia constatato che
né con l'ammonizione fraterna né con la riprensione né per altre vie dettate dalla
sollecitudine pastorale è possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello
scandalo, il ristabilimento della giustizia, l'emendamento del reo.

Allora non è come nell’ordinamento secolare dove…nell’ordinamento canonico,


invece, dobbiamo ricordarci che la correzione e l’ammonizione devono essere prese
in considerazione, ma soprattutto devono essere prese in esame ALTRE VIE DETTATE
dalla sollecitudine pastorale.

La previa investigatio è destinata ad accertare, in forma assolutamente riservata, la


fondatezza della notitia criminis.

Ma poiché il delitto, come abbiamo già detto più volte, è un danno per il singolo, ma
anche in modo preponderante per la comunità ecclesiale, l’Ordinario che è sempre
custode, promotore e responsabile ultimo della Chiesa e del bene della Chiesa, ha il
dovere di investigare personalmente (o tramite persone di sua fiducia) ogni qual
volta arriva a conoscenza di un comportamento illecito e che quindi abbia potuto
perturbare la comunità.
La notitia criminis può pervenire all’autorità sia in modo diretto (denuncia formale
da parte di un fedele) o in modo indiretto (attraverso il rumor delicti).

La previa investigatio è una fase molto delicata: deve essere svolta con prudenza,
serietà e responsabilità e con alto senso di rigore!

L’indagine previa prende avvio da un decreto dell’Ordinario.


La normativa canonica non si sofferma sulla durata della previa investigatio (è un
tema delicato), ma fa riferimento solo a uno stato psicologico soggettivo, che per
certi aspetti è accostabile a quello della certezza morale.

Questa previa investigatio, chi la fa? L’Ordinario è l’unico soggetto competente e


responsabile a svolgerla. Egli può occuparsene personalmente oppure delegare, in
sua vece, un’altra persona considerata idonea.
“Idonea”, che vuol dire? Non sembra un’espressione tanto felice.
61
Si potrebbe forse dire “esperta”: sarebbe meglio “esperta”, perché renderebbe
meglio ragione dei requisiti necessari a svolgere questo compito così delicato.
“Persona idonea”: qualsiasi fedele, laico o consacrato, religioso, avvocato o non
avvocato, uomo o donna.
Ricorda anche can. 149 §1 + competenza su cosa sia condurre un’indagine.

Come deve essere fatta questa investigatio? Deve essere condotta “sui fatti, sulle
circostanze e sulla imputabilità”: ecco su che cosa devo indagare:
1) Sui fatti
2) Sulle circostanze
3) Sull’imputabilità
Colui che fa l’investigatio è chiamato investigator (nel CIC 17 si chiamava inquisitor).

Questa investigatio è allora una vera e propria fase pre-processuale, assai


significativa e delicata, per poter decidere come poter intervenire per correggere la
condotta del fedele che sbaglia.

Periodica 98 [2009] articolo sulla figura dell’investigator.

Non è da escludere che la scelta dell’Ordinario per l’investigator possa cadere anche
su uno dei giudici del suo tribunale.

Chi è il soggetto passivo della investigatio? Colui che è sospettato di aver commesso
un delitto. Fino a quando non sia stata provata la colpevolezza della persona
indiziata, questa non potrà mai essere segnalata o dichiarata come responsabile di
un delitto.
La parte offesa (lesa) è la persona fisica o giudica che ha subito un danno, causato da
un delitto. Può sporgere denuncia e ha diritto anche alla richiesta del risarcimento
dei danni (azione per la riparazione dei danni: can. 1729).

Come può concludersi questa previa investigatio? Sulla base del materiale
probatorio, si possono verificare tre distinte possibilità:
1) La notitia criminis era priva di qualsiasi fondamento: in questo caso l’Ordinario
deve archiviare gli atti di questa previa investigatio. Tali atti saranno custoditi
nell’Archivio segreto della Curia.
2) L’esito può aver condotto alla raccolta di indizi non sufficienti per imputare
una persona: in questo caso l’Ordinario (can. 1339) potrebbe rivolgere
un’ammonizione
3) Gli indizi sono sufficienti: l’ordinario deve decidere (con decreto motivato,
sotto pena di nullità) se si possa istruire un processo per infliggere o dichiarare
una pena canonica.
62
23 aprile 2013
Titolo VI della Parte I del libro VI del CIC: LA CESSAZIONE DELLE PENE

Can. 1344 - Ancorché la legge usi termini precettivi, il giudice, secondo coscienza e a
sua prudente discrezione, può: 1) differire l'inflizione della pena a tempo più
opportuno, se da una punizione troppo affrettata si prevede che insorgeranno mali
maggiori; 2) astenersi dall'infliggere la pena, o infliggere una pena più mite o fare
uso di una penitenza, se il reo si sia emendato ed abbia riparato lo scandalo, oppure
se lo stesso sia stato sufficientemente punito dall'autorità civile o si preveda che sarà
punito; 3) sospendere l'obbligo di osservare una pena espiatoria al reo che abbia
commesso delitto per la prima volta dopo aver vissuto onorevolmente e qualora
non urga la necessità di riparare lo scandalo, a condizione tuttavia che, se il reo
entro il tempo determinato dal giudice stesso commetta nuovamente un delitto,
sconti la pena dovuta per entrambi i delitti, salvo che frattanto non sia decorso il
tempo per la prescrizione dell'azione penale relativa al primo delitto.
L’attuale codice parla di “cessazione delle pene”. Il codice prevede due istituti:

A) La SOSPENSIONE: abbiamo 4 tipi di sospensione della pena:


1) Sospensione condizionale della pena (can. 1344 n.3): è un istituto giuridico
la cui ratio si trova anche negli ordinamenti giuridici extra-canonici. È un
provvedimento che viene fatto secondo la prudente discrezione del
giudice. I casi in cui si può fare questa prudente sospensione condizionale
sono tassativi (espressi dal codice): can. 1344 n.3. Questa misura può
essere definita come una misura di clemenza.
2) Sospensione per impugnazione del provvedimento: è regolato dal can.
1353. La pena rimane ferma, però gli effetti sono sospesi fino al
completamento del procedimento di impugnazione, cioè fino al momento
in cui il decreto diventi definitivo o fino a che la sentenza passi in giudicato.
Can. 1353 - L'appello o il ricorso contro le sentenze giudiziali o i decreti che
infliggono o dichiarano una pena qualsiasi hanno effetto sospensivo.

3) Sospensione per pericolo di morte: can. 1352 §1. E leggi anche can. 1335. 1335.
La ratio di questa tipologia di sospensione è quella di porre in un gradino più alto
l’importanza di ricevere i sacramenti nel momento della morte. L’aiuto sacramentale nel
pericolo di morte è fondamentale.

Can. 1335 - Se la censura vieta la celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali o di


porre atti di governo, il divieto è sospeso ogniqualvolta ciò sia necessario per
provvedere a fedeli che si trovano in pericolo di morte; che se la censura latae
sententiae non sia stata dichiarata, il divieto è inoltre sospeso tutte le volte che un
fedele chieda un sacramento, un sacramentale o un atto di governo; tale richiesta
poi è lecita per una giusta causa qualsiasi.
63
4) Sospensione per pericolo di infamia: can. 1352 §2: giustizia e carità allo
stesso tempo. La carità è implicita nell’anelito verso l’ideale di giustizia, così
come la comprensione della giustizia non può prescindere dallo spirito di
carità. La notorietà di cui parla il canone deve essere interpretata come una
notorietà di fatto, non solo presunta o interpretata in modo arbitrario.

Can. 1352 - § 1. Se la pena vieta di ricevere i sacramenti o i sacramentali, il divieto è


sospeso finché il reo versa in pericolo di morte. § 2. L'obbligo di osservare una pena
latae sententiae che non sia stata dichiarata né sia notoria nel luogo ove vive il
delinquente, è sospeso in tutto o in parte nella misura in cui il reo non la possa
osservare senza pericolo di grave scandalo o d'infamia.

B) La CESSAZIONE DELLA PENA. Può avvenire in tre modi:


1) Se la pena è stata espiata
2) per decesso delle persona colpita dalla pena
3) per remissione: è un atto della competente autorità ecclesiastica, che è
dovuto nel caso delle pene medicinali. È un atto dovuto nel caso delle pene
medicinali, è un atto invece facoltativo nel caso delle pene espiatorie. La
remissione della pena rende chiara la riconciliazione che è avvenuta tra il
fedele e la comunità. Ci troviamo di fronte a un caso di favor iuris nei
confronti del fedele che abbia posto in essere l’illecito.
Ricordiamoci sempre che noi stiamo parlando sempre e solo del foro
esterno.

Il can. 1354 §3, inoltre, stabilisce alcuni casi in cui la remissione della pena (per
alcuni particolari delitti) è riservata dal diritto universale alla Sede Apostolica.

Can. 1354 - § 1. Oltre a quelli che sono enumerati nei cann. 1355-1356, tutti coloro
che possono dispensare da una legge munita di una pena, o liberare da un precetto
che commina una pena, possono anche rimettere quella pena. § 2. La legge o il
precetto che costituiscono una pena possono inoltre dare anche ad altri potestà di
rimettere la pena. § 3. Se la Sede Apostolica ha riservato a sé o ad altri la remissione
della pena, la riserva deve essere interpretata in senso stretto.

LA PRESCRIZIONE (canoni 1362-1363)

Can. 1362 - § 1. L'azione criminale si estingue per prescrizione in tre anni, a meno
che non si tratti: 1) di diritti riservati alla Congregazione per Dottrina della fede. 2)
dell'azione per i delitti di cui ai cann. 1394, 1395, 1397, 1398, che si prescrive in
cinque anni; 3) di delitti non puniti dal diritto universale, se la legge particolare abbia
64
stabilito un altro limite di tempo per la prescrizione. § 2. La prescrizione decorre dal
giorno in cui fu commesso il delitto, oppure, se il delitto è permanente o abituale, dal
giorno in cui è cessato.

Can. 1363 - § 1. Se nei limiti di tempo di cui al can. 1362, da computarsi a partire dal
giorno in cui la sentenza di condanna è passata in giudicato, all'imputato non sia
stato notificato il decreto esecutivo del giudice di cui al can. 1651, l'azione intesa a
far eseguire la pena si estingue per prescrizione. § 2. Il che vale, osservate le
disposizioni del diritto, se la pena è stata inflitta per decreto extragiudiziale

È un tema che è stato poco approfondito nell’ambito canonico.


Abbiamo due tipi di prescrizione.

A) Prescrizione CRIMINALE. Azione criminale: è l’azione pubblica che nasce dal


delitto e che la Chiesa ha il diritto-dovere (nativo e proprio) di sanzionare.
L’azione criminale è l’azione pubblica che nasce nel momento in cui da parte di
un fedele si assume una condotta criminale.

B) Prescrizione PENALE

La pubblicità è una delle caratteristiche fondamentali del diritto penale, infatti “il
diritto penale è come quella parte del diritto pubblico (notorietà) che disciplina (cioè
sanziona) i fatti costituenti reato”.

Can. 1362: il codice di diritto canonico (legge di carattere universale) prevede una
prescrizione triennale.
Però abbiamo alcune fattispecie criminali che vedono l’azione criminale estinguersi
in 5 anni: sono previsti nel cann. 1394, 1395, 1397, 1398. Leggi i singoli canoni in
questione.
Esempio: Can. 1395: il chierico concubinatario in modo permanente e scandaloso.
Convivenze more uxorio.

Poi abbiamo i cd delicta graviora (o delicta reservata): m.p. del 2010


Sacramentorum Sanctitatis tutela: la prescrizione si verifica dopo 20 anni (prima era
di 10 anni), ma non dalla commissione del fatto, ma a partire dal compimento del 18
anno di età del minore.
Alcuni volevano fare in modo che fosse un reato imprescrittibile. Ma alcuni autori
hanno osservato che questa imprescrittibilità del reato di per sé può essere
considerata come una forzatura della dottrina classica della prescrizione. E inoltre

65
non corrisponderebbe a una visione equilibrata delle sanzioni penali della chiesa
(delitto comune 3 anni, delicta graviora imprescrittibili?? Non c’è proporzione!)

II parte del corso


I SINGOLI DELITTI

La Parte II (34 canoni) è rubricata “LE PENE NEI SINGOLI DELITTI” ed è divisa in 6 titoli:

1) I delitti contro la religione e l’unità della Chiesa.


2) Contro le autorità ecclesiastiche
3) Usurpazione degli uffici ecclesiastici
4) Delitti di falso
5) Delitti contro gli obblighi speciali
6) I delitti contro la vita e la libertà umana.

La risposta istituzionale della Chiesa nel momento in cui si sanziona: uno dei principi
regolatori era che le pene dovessero essere essenzialmente ferendae sententiae.
Ci sono anche però 5 pene latae sententiae che nelle chiese orientali non esistono. Il
CCEO ha fatto questa scelta, ma dettata dalla genuinità delle tradizioni orientali. La
pena l.s. non apparteneva alla genuinità del pensiero e della tradizione dell’oriente
cristiano.

Nel CIC, però, sappiamo quanto sia stata difficoltosa la permanenza delle pene l.s.: le
condotte crimininali passibili di pene l.s. sono state notevolmente ridotte rispetto al
CIC17, tuttavia il coetus ha voluto mantenere alcune pene l.s., che sono quelle
previste solo per le ipotesi più gravi:

1) Can. 1367: profanazione


2) Can. 1370: violenza fisica contro il RP
3) Can. 1378: assoluzione del complice
4) Can. 1382: ordinazione episcopale senza mandato
5) Can. 1388: violazione del sigillo sacramentale

Queste 5 ipotesi prevedono pene l.s. riservate alla Sede Apostolica, poi ci sono due
casi di delitti che vengono colpiti dalla pena l.s., ma che non sono riservate alla Sede
apostolica:
1) Eresia, apostasia, scisma
2) aborto

66
TITOLO I: Delitti contro la religione e l’unità della Chiesa

Can. 1364 - § 1. L'apostata, l'eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae


sententiae, fermo restando il disposto del can. 194, § 1, n. 2; il chierico inoltre può
essere punito con le pene di cui al can. 1336, § 1, nn. 1, 2 e 3. § 2. Se lo richieda la
prolungata contumacia o la gravità dello scandalo, possono essere aggiunte altre
pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.
Il textus emendatus (revisione di tutto il libro VI), probabilmente cambierà alcune
cose anche relativamente a questa parte II del libro VI. Ma noi ci occupiamo solo del
testo che è ancora vigente.

Nel CIC 17 si diceva “delitti contro la fede”. Queste fattispecie delittuose sono punite
con la scomunica l.s., alla quale si può aggiungere per il chierico (come pena
espiatoria) anche un’altra pena (come previsto dal can. 1366). Un chierico può subire
anche la pena massima, che è la dimissione dallo stato clericale.

Can. 1364 parla di apostasia, eresia e scisma: ma non descrive cosa siano l’apostasia,
l’eresia e lo scisma.
Vediamo ancora come una volta si va direttamente a colui che ha commesso il delitto
e non si perde tempo.
Diamo una brevissima spiegazione di cosa siano apostasia, eresia e scisma
richiamando il can. 751.

Can. 751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di
una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato
su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della
sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui
soggetti.

L’apostasia si verifica in 4 modi classici:


1) Abbandono della fede cristiana esternato mediante condotte di vario genere
(manifestazione pubblica)
2) Passaggio ad un’altra religione
3) L’adesione manifesta a ideologie o dottrine che professano l’ateismo o
l’agnosticismo
4) Defezione dalla Chiesa mediante atto formale.

L’eresia è la negazione pertinace delle verità della fede cattolica: l’ambito va


interpretato strettamente. Vedi can. 750: si deve parlare di verità formalmente
rivelate.

67
Can. 750 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono
contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito
della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente
rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e
universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la
guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi
dottrina ad esse contraria.

Lo scisma: can. 1371-1373: mi oppongo all’unità della Chiesa, più che alla fede.
Anche se unità e fede sono due cose intimamente connesse.

Questo can. 1364 è molto importante e va studiato e va capito ricordando una serie
di altri canoni.

(Manca l’ultima ora di recupero del 23 aprile)

29 aprile 2013
L’altra volta abbiamo analizzato il Titolo I della II parte (quella che analizza i singoli
delitti)
Noi dobbiamo particolarmente ricordare: i cann. 1364 e 1367 e poi quello relativo ai
genitori.

Il Titolo secondo: DELITTI CONTRO LE AUTORITÀ ECCLESIASTICHE E LA LIBERTÀ DELLA CHIESA . È


un titolo molto ampio, così come anche il titolo primo era molto ampio!

A una lettura complessiva di questo II titolo si evince la volontà del legislatore


canonico di tutelare l’integrità fisica dell’autorità ecclesiastica, sia anche il libero
esercizio dei tria munera Christi (1371-1372-1375).
Si vuole garantire anche la retta disciplina all’interno della comunità ecclesiale (vedi
can. 1373) e la questione relativa alle associazioni (can. 1374) che eventualmente
tramino contro la Chiesa.

Alcuni autori hanno osservato come ci sia una sorta di disarmonica collocazione dei
due canoni che si riferiscono alle fattispecie che minano il patrimonio ecclesiastico
(can. 1376-1377).
Perché si parla di collocazione disarmonica? Perché questi due canoni (1376-1377)
trattano di una materia piuttosto diversa rispetto a quella che si tratta negli altri
canoni del Titolo secondo.
È da ricordare che il concetto di alienazione nell’ordinamento della Chiesa assume un
connotato diverso rispetto a quello che assume negli ordinamenti statali.

68
Can. 1376 - Chi profana una cosa sacra, mobile o immobile, sia punito con giusta
pena.

Can. 1377 - Chi senza la debita licenza aliena beni ecclesiastici sia punito con
giusta pena.

Attenzione: all’esame non ci saranno solo domande sui singoli delitti (singoli canoni),
ma anche su uno sguardo generale di ogni singolo titolo della II parte del libro VI.
Minimamente dobbiamo saper argomentare complessivamente cosa c’è scritto nei
canoni che compongono un titolo.

Il can. 1370 è forse uno dei canoni più importanti di questa II parte del libro VI.

Can. 1370 - § 1. Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice, incorre nella
scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica, alla quale, se si tratta di
un chierico, si può aggiungere, a seconda della gravità del delitto, un'altra pena, non
esclusa la dimissione dallo stato clericale. § 2. Chi fa ciò contro un Vescovo incorre
nell'interdetto latae sententiae, e, se chierico, anche nella sospensione latae
sententiae. § 3. Chi usa violenza fisica contro un chierico o religioso per disprezzo
della fede, della Chiesa, della potestà ecclesiastica o del ministero, sia punito con una
giusta pena.

Questo canone vuole offrire una tutela della essenza della struttura personale e
gerarchica della Chiesa.
Struttura personale e gerarchica: è composta dagli individui che compongono la
struttura gerarchica della Chiesa.
All’interno di questo canone vediamo che sono contemplate tre diverse fattispecie
criminali (o delittuose) che vengono disciplinate.
Dobbiamo precisare come per “violenza fisica”, per sua natura, si presuppone
un’azione esterna dolosa, gravemente lesiva della libertà e della dignità della
persona vittima di tale offesa.

Il soggetto attivo (colui che assume la condotta dolosa) è indeterminato: chiunque, a


prescindere dalla sua dignità/status/ruolo, dal suo incarico (ecclesiastico/civile), può
commettere gli illeciti criminali previsti in uno dei 3 paragrafi di cui si compone il can.
1370.

Il soggetto passivo, chi è? È la vittima del soggetto attivo che assume la condotta
criminale.
1) Il romano pontefice
2) Un vescovo (consacrato)
69
3) Chierico o religioso

Le pene sono diverse: perché? Sono graduate in ragione della diversità della persona
offesa.
Il §1 si occupa della violenza che subisce il RP: la pena è la scomunica riservata alla
Sede apostolica. La riserva della scomunica è comprensibile per la gravità della
condotta posta in essere.
Perché una pena così alta? Perché il RP sarebbe la “massima autorità” e inoltre per
ciò che rappresenta il Romano Pontefice: è infatti implicito che chi usa violenza
contro il RP, automaticamente disprezza anche ciò che il RP rappresenta per la
Chiesa Universale.

Naturalmente vi è anche in questa fattispecie la possibilità di rinvenire, così come è


scritto nella dicitura del §1, una circostanza aggravante, che influisce sulla condotta,
ma anche sulla risposta che la chiesa dà comminando una sanzione.
Solo un chierico può essere dimesso dallo stato clericale!

Il §2 si occupa dell’attentato verso un vescovo (compiuto da un laico o da un


religioso): viene punito con l’interdetto latae sententiae. Non rientrano in questa
norma i vescovi che siano stati dimessi dallo stato clericale, mentre rientrano in
questa fattispecie i vescovi che eventualmente siano stati colpiti da una pena
canonica.
Anche nel §2 c’è la circostanza aggravante per i chierici: la sospensione infatti è una
pena in cui può incorrere solo ed esclusivamente un chierico.

Il §3: qui è importante ricordare l’inciso “per disprezzo della fede, della Chiesa, della
potestà ecclesiastica o del ministero”. L’avversità pubblica e manifesta è una
sottolineatura tipica del codice.

Qual è la finalità di questa norma? Sanzionare tutte quelle condotte violente che si
propongono di andare “oltre la vittima”, cioè manifestando espressamente disprezzo
per ciò che la vittima rappresenta, il simbolo che detiene in sé la persona in
questione.
Nel caso del §1 e §2 questo inciso non è espresso, perché si ritiene che sia
implicitamente presente, quindi è inutile scriverlo. Nel coetus ci fu una discussione
se inserire questo inciso anche nel §2, ma poi prevalse l’opinione di non inserirlo.

Can. 1371 è stato riformulato dopo il m.p. Ad tuendam fidem del 1998, di GP2.

Can. 1371 - Sia punito con una giusta pena: 1) chi oltre al caso di cui al can. 1364, §1,
insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio Ecumenico o
respinge pertinacemente la dottrina di cui al can. 752, ed ammonito dalla Sede
70
Apostolica o dall'Ordinario non ritratta; 2) chi in altro modo non obbedisce alla Sede
Apostolica, all'Ordinario o al Superiore che legittimamente gli comanda o gli
proibisce, e dopo l'ammonizione persiste nella sua disobbedienza.

2 PRECISAZIONI:

1) La possibilità che si attenti al Papa emerito: questo caso non è contemplato


nel CIC. Dal momento che l’analogia è proibita nell’ordinamento canonico, nel
caso in cui ci fosse un attentato nei confronti di Benetto XVI, non ci
troveremmo nel caso del §1. Comunque esiste sempre il Pontificio consiglio
per i testi legislativi (attualmente guidato dal Card. Coccopalmerio), che è
deputato a dare le risposte ai dubbi sul Codice di diritto canonico. A rigor di
logica dovrebbe essere un caso che ricade nella seconda fattispecie (§2).

2) Come mai non vi sono canoni che contemplano la violenza tra i fedeli? Vi sono
pene canoniche per queste fattispecie? Risposta: ci vorrebbe un codice
composto da centinaia e centinaia di canoni se si facesse un codice simile a
quello degli ordinamenti civili. E comunque c’è sempre il can. 1397.

La formulazione del can. 1371 in precedenza (prima del 1998) era diversa.
Questo canone stabilisce una quadruplice configurazione di ipotesi delittuosa che va
a ferire il munus docendi della Chiesa:
1) Insegnamento: ma va inteso in senso stretto (insegnamento nelle scuole),
oppure in senso più ampio. Ma noi sappiamo che in materia penale
l’interpretazione è sempre quella restrittiva, per cui si intende l’insegnamento
di una dottrina.
2) Rifiuto o contestazione di una dottrina…come magistero autentico
3) Rifiuto o contestazione di una dottrina connessa alla rivelazione per
necessità logica o storica (vedi anche can. 751)
4) Disobbedienza alla sede apostolica, all’Ordinario o al Superiore. Qui siamo
nel caso di un dolo specifico: ovvero la persistente ostinazione e conseguente
contumacia del reo nel rispettare l’obbedienza, anche dopo esser stato
ammonito.

30 aprile 2013

Canone 1372: - Chi contro un atto del Romano Pontefice ricorre al Concilio
Ecumenico o al collegio dei Vescovi, sia punito con una censura.

È punito con una pena medicinale o censura.

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La condotta comportamentale è di natura eversiva/negazionista. Tale condotta si
pone in contrasto con alcuni principi del sistema canonico, che hanno lo scopo
peculiare sia di tutelare l’integrità e la supremazia del primato pontificio nella
modalità individuale (vedi can. 331), sia nella modalità collegiale di esercizio del
potere giurisdizionale.

Can. 331 - Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal
Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai
suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra
della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria
suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre
esercitare liberamente.

Sempre e liberamente: si intende in prima persona, per il fatto che è connaturale al


munus del Romano Pontefice, in quanto Vescovo di Roma, una potestà suprema,
piena, immediata e universale.

Modalità collegiale: il riferimento va fatto al canone 336


Can. 336 - Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono
i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con
il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo
apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di
suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.

Quindi il canone 1372 intende tutelare l’indipendenza e la sovranità piena del


Romano Pontefice.
L’oggetto materiale della condotta eversiva è un provvedimento ascrivibile
direttamente o indirettamente al Romano Pontefice e contro il quale si voglia
interporre ricorso.
La pena prevista per questo delitto è una pena medicinale obbligatoria ferendae
sententiae.

Can. 1373 - Chi pubblicamente suscita rivalità e odi da parte dei sudditi contro la
Sede Apostolica o l'Ordinario per un atto di potestà o di ministero ecclesiastico, o
eccita i sudditi alla disobbedienza nei loro confronti, sia punito con l'interdetto o altre
giuste pene.

È un canone in cui si cerca di tutelare il bene pubblico in generale, perché la


condotta criminale da cui ci si vuole tutelare è il pubblico incitamento all’odio, alla
rivolta e alla disobbedienza.

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Questo canone intende tutelare l’autorità ecclesiastica nell’esercizio del suo
ministero.
“rivalità e odi”: un conto è una “sana rivalità”, un conto è un “odio”.

“o altre giuste pene”: essendo questa una fattispecie articolata le pene possono
essere diverse.

1° modalità di attuazione concreta del delitto contemplato nel can. 1373. Suscitare
pubblicamente contestazione, contrasti e odi contro la Sede Apostolica o l’Ordinario.

2° modalità di attuazione concreta del delitto contemplato nel can. 1373: incitare
pubblicamente (l’accento è posto in modo molto chiaro sulla rilevanza ecclesiale del
delitto) alla disobbedienza verso la sede apostolica o verso l’Ordinario.

Le modalità del delitto prevedono che deve esserci una dimensione pubblica del
delitto. Una rilevanza pubblica che le condotte criminali vengono ad avere per un
impatto nella comunità di fedeli che poi viene ad essere il punto centrale della
risposta istituzionale della chiesa nel tipizzare una concreta tipologia delittuosa.
È un delitto dove la pena specifica è f.s. obbligatoria, ma è parzialmente
determinata.

Can. 1374 - Chi dà il nome ad una associazione, che complotta contro la Chiesa, sia
punito con una giusta pena; chi poi tale associazione promuove o dirige sia punito
con l'interdetto.

Can. 1374 presenta un notevole cambiamento rispetto a ciò che era presente nel
can. 2335 del CIC 17. Il codice del 17 prevedeva che l’interdetto fosse riservato alla
Sede Apostolica.
Nel passato vi erano associazioni che cospiravano contro la Chiesa (es. la
Massoneria) e in qualche caso (nel codice del 17) si prevedeva la scomunica. Sono
più di 600 i documenti dei diversi pontefici che mettono in luce come sia
condannabile il fatto di iscriversi o appartenere ad associazioni che tramino contro la
Chiesa.

Di questo canone è stata fatta una interpretazione autentica il 26.11.1983: si chiese


se fosse mutato l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della massoneria, dal
momento che nel nuovo codice non si menzionava più esplicitamente la massoneria.
Vedi commento al canone di Chiappetta.

Questo canone 1374 prevede una fattispecie criminale che si distingue in una
DUPLICE modalità comportamentale:

73
1) Dare il nome: “dare il nome” significa iscriversi e divenirne membri di quella
associazione. Questo è un delitto doloso, per cui il soggetto deve essere
consapevole che si iscrive a un’associazione anti-cattolica.
In questa prima possibilità la pena è indeterminata

2) “Promuovere”, invece, significa presupporre che io sia un sostenitore attivo.


Quindi è più di “dare il nome”, perché implica che uno ne faccia parte in modo
attivo, in prima persona! Ancora di più che nel caso del “dare il nome”
e “Dirigere un’associazione che trami contro la Chiesa”: si intende assumere
responsabilità all’interno dell’associazione e quindi presupponendone una
conoscenza molto approfondita.
In questa seconda possibilità la pena è determinata: INTERDETTO.

Can. 1375 qui si prevede una molteplicità di condotte criminali contro l’ambito della
libertas ecclesiae nell’esercizio della propria missione.
In questo canone allora vengono configurate diverse fattispecie delittuose.

Il canone intende sanzionare la fattispecie criminale: tutte quelle azioni dirette ad


ostacolare l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche.
Il soggetto attivo ancora una volta è indeterminato: un fedele sempre a prescindere
dal suo status.

Naturalmente il delitto è un delitto di natura dolosa. La pena è f.s., indeterminata e


facoltativa.

“impedire”: presuppone in sé un atto che si riferisce a una qualunque azione che


renda impossibile l’esercizio delle facoltà e delle libertà ad esse collegate.

I canoni 1376-1377 hanno una rilevanza collegata all’ambito patrimoniale. Infatti


alcuni autori dicono che siano stati collocati in modo strano in questo II titolo. Ma
noi abbiamo detto che invece ci possono stare.

Can. 1376: - Chi profana una cosa sacra, mobile o immobile, sia punito con giusta
pena.

Le cose sacre e i luoghi sacri sono dedicate al culto divino, mediante la dedicazione o
benedizione.
Legge il commento di Chiappetta.

74
Collegamento con il can. 1211
Can. 1211 - I luoghi sacri sono profanati se in essi si compiono con scandalo azioni
gravemente ingiuriose, che a giudizio dell'Ordinario del luogo sono tanto gravi e
contrarie alla santità del luogo da non essere più lecito esercitare in essi il culto
finchè l'ingiuria non venga riparata con il rito penitenziale, a norma dei libri liturgici.

Il soggetto dell’autore del delitto è indeterminato (di natura dolosa) e il delitto viene
punito con una pena f.sententiae.
È una pena obbligatoria ma indeterminata.
Invece il can. 1241 del CCEO stabilisce una pena determinata!!

Can. 1377 - Chi senza la debita licenza aliena beni ecclesiastici sia punito con giusta
pena.

I beni ecclesiastici, cosa sono? Dobbiamo ricordare il can. 1257


Can. 1257 - § 1. Tutti i beni temporali appartenenti alla Chiesa universale, alla Sede
Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nella Chiesa sono beni
ecclesiastici e sono retti dai canoni seguenti, nonché dai propri statuti. § 2. I beni
temporali appartenenti a persone giuridiche private sono retti dai propri statuti e
non da questi canoni, a meno che non si disponga espressamente altro.

Allora sono beni che appartengono alla Chiesa o ad altre persone giuridiche
pubbliche facenti parte della Chiesa.
Qui abbiamo un concetto diverso rispetto all’ambito del diritto civile: il concetto di
alienazione.

L’alienazione dei beni, intesa come sinonimo di straordinaria amministrazione, che


comporta una modifica quantitativa del patrimonio ecclesiastico è retta da norme
specifiche del Codice di diritto canonico (libro V).
L’omissione dolosa o colpevole costituisce un atto illecito
Titolo III
Comprende 13 canoni.

Con il termine “usurpazione” ci si riferisce tanto alla condizione di un soggetto che si


appropria indipente
Quanto alla con

Ricordiamoci del canone 1145 riguardante l’ufficio ecclesiastico.


Can. 1145 - § 1. Di regola l'interpellazione va fatta per autorità dell'Ordinario del luogo della parte
convertita, e al medesimo Ordinario spetta pure concedere all'altro coniuge, se mai lo richiede, un intervallo
di tempo per rispondere, ammonendolo tuttavia che, trascorso inutilmente l'intervallo, il suo silenzio verrà

75
ritenuto come una risposta negativa. § 2. E' valida anche l'interpellazione fatta privatamente dalla stessa
parte convertita, che anzi è lecita se non è possibile osservare la forma sopra stabilita. § 3. In entrambi i casi,
l'interpellazione compiuta e il suo esito devono constare legittimamente nel foro esterno.

C’è un legame tra l’usurpazione di questi uffici ecclesiastici e i delitti nel loro
esercizio.

Can. 1378 prevede due fattispecie delittuose:


1) La celebrazione della Santa Messa di chi non è investito dell’ordine
sacerdotale
2) La celebrazione del sacramento della Penitenza fatta da chi non ha la potestà.

Il delitto di attentata celebrazione eucaristica, (ricorda il m.p. Sacramentorum del


2001) viene definito come delitto grave.

1° modalità: tentativo di impartire l’assoluzione sacramentale messa in atto da un


fedele: il semplice attentato è già un delitto completamente configurato.

2° modalità: delitto di ascoltare la confessione sacramentale.

L’attentato indica la volontà di simulare gravemente un sacramento.

Se l’autore del delitto è un chierico o un laico: le pene sono diverse.

Can. 1379: simulazione di altri sacramenti. La condotta è sempre di natura dolosa. È


un canone che contiene una norma di carattere residuale.

6 maggio
Continuiamo con l’analisi dei singoli delitti. Oggi vediamo il can. 1380, che si inserisce
sempre nel titolo III.
Questo canone prevede una duplice fattispecie criminosa:

Celebrare o ricevere un sacramento a favore di un “patto simoniaco”. Rispetto al


CIC17 non vi è più una distinzione, per quanto riguarda la simonia. Il CIC del 17
prevedeva la simonia per diritto divino o per diritto ecclesiastico. Attualmente
questa divisione è sparita, però questo canone va letto e approfondito alla luce del
can. 848, il quale vieta al ministro sacro di domandare una qualsiasi forma di
compenso per i sacramenti, oltre alla legittima offerta libera.

76
Can. 848 - Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per
l'amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i
bisognosi abbiano ad essere privati dell'aiuto dei sacramenti a motivo della povertà.

Anche il can. 947, parlando delle offerte delle Messe, dice che deve essere tenuta
lontana anche l’apparenza di commercio.

Can. 947 - Dall'offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche
l'apparenza di contrattazione o di commercio.

La simonia può essere compiuta sia da parte di chi amministra il sacramento


(soggetto attivo), tanto da chi lo riceve (soggetto passivo). Per simonia si deve
provare la volontà deliberata di comprare o di vendere un sacramento per un prezzo
temporale (denaro, o anche una concessione di un favore, donazione di bene mobile
o immobile).
Esempio: io sacerdote celebro questo sacramento, però a fronte di questo tu mi devi
concedere il tuo appartamento per un anno; oppure esigendo un importo ben
definito.

Il delitto viene punito con la pena f.s. obbligatoria; per i chierici c’è la sospensione.
Non è un delitto frequentissimo, ma neanche poi così tanto.

Can. 1381 - §1. Chiunque usurpa un ufficio ecclesiastico sia punito con giusta pena.
§2. È equiparato all'usurpazione il conservare illegittimamente l'incarico, in seguito
a privazione o cessazione.

Dobbiamo ricordare la nozione di ufficio ecclesiastico e che noi conosciamo a


memoria dallo studio del libro I del CIC. Ricorda bene il can. 145: definizione da
sapere a memoria.

Can. 145 - §1. L'ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per
disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale.

La conservazione illegittima di un ufficio: anche questa è una fattispecie criminale.


Tra queste due fattispecie sussiste una differenza:

1) Nel caso dell’usurpazione il soggetto non è stato investito in modo legittimo


l’incarico, quindi non ne ha MAI acquisito la titolarità piena! È l’occupazione
indebita di un ufficio di cui non si è ricevuta la provvisione.

77
2) Nel §2, invece, abbiamo una fattispecie diversa: il soggetto mantiene in modo
illegittimo un incarico di cui prima era stato investito in modo legittimo
dall’autorità legittima.

Anche qui, oltre a ricordare il can. 145, dobbiamo ricordare anche il can. 146.
Can. 146 - L'ufficio ecclesiastico non può essere validamente ottenuto senza
provvisione canonica.

La pena stabilita dal can. 1381 è obbligatoria, ferendae sententiae. Il CCEO al can.
1462 definisce addirittura una pena massima: addirittura una scomunica maggiore.

Confronto con gli ordinamenti civili: ci possono essere casi di usurpazione di titoli,
che spesso è collegata alla fattispecie del “millantato credito”.

Can. 1382 - Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi
da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae
riservata alla Sede Apostolica.

È un canone specifico rivolto al Vescovo. C’è una riserva della Sede Apostolica.
Dobbiamo anche ricordare il can. 1013, dove si prevede che nessun vescovo possa
consacrare un altro vescovo se prima non consti un mandato pontificio, che consiste
in un’attestazione pubblica (carattere di pubblicità) che riconosce e sancisce,
fondamentalmente, la comunione con la Chiesa.

Can. 1013 - A nessun Vescovo è lecito consacrare un altro Vescovo, se prima non
consta del mandato pontificio.

Il can. 1382 configura un’ipotesi di delitto molto grave! La gravità della condotta si
traduce in una palese frattura/cesura della comunione gerarchica nella Chiesa.
Alcuni autori affermano addirittura che tale condotta criminale potrebbe essere
riconducibile al crimine di scisma (can. 1364). Questa idea non è del tutto infondata.

La pena è la scomunica l.s., questo è uno dei pochissimi casi in cui è rimasta questa
pena così grave. Questa scomunica colpisce sia il Vescovo che consacra, sia anche il
presbitero consacrato.
Se l’atto della consacrazione fosse stato compiuto sotto costrizione o per ignoranza
(vedi can. 1323, n. 2-4) la pena non scatterebbe. Perché non ci sarebbe in questo
caso una deliberata volontà di mettere in atto una condotta dolosa.

Can. 1383: prevede la situazione in cui il Vescovo ordini un sacerdote o un diacono


senza le legittime lettere dimissorie.

78
Can. 1383 - Il Vescovo che contro il disposto del ⇒ can. 1015, abbia ordinato un
suddito di altri senza le legittime lettere dimissorie, incorre nel divieto di conferire
l'ordine per un anno.
Chi poi ricevette l'ordinazione è per il fatto stesso sospeso dall'ordine ricevuto.

Che cosa sono le lettere dimissorie? Sono documenti ad liceitatem. Ricorda il can.
1015.
Soggetto attivo della fattispecie delittuosa è il vescovo che ordina senza lettere
dimissorie.

Sembra questa una sanzione di sapore “disciplinare/amministrativa”: infatti la pena


vieta di ordinare per un anno.
In effetti Riondino dice che questa teoria è condivisibile: è molto raro infatti nel
Codice trovare riferimenti temporali così precisi per quanto riguarda una pena. Le
pene vere e proprie quasi mai sono a tempo determinato.

Can. 1384 - Chi, oltre i casi di cui ai cann. ⇒ 1378-1383, esercita illegittimamente
una funzione sacerdotale o altro sacro ministero, può essere punito con giusta pena.

È questo un chiaro caso di norma a carattere residuale. Perché infatti questa norma
comprende altri vari delitti derivanti dall’esercizio illegittimo di un ufficio
ecclesiastico.
Vediamo che vi sono ipotesi di esercizio illegittimo del sacro ministero che sono
configurabili in linea generale, ma non previsti direttamente da una norma
sanzionatoria.
In questa genericità del can. 1384 possono rientrare molteplici fattispecie. Esempi:
assistenza a un matrimonio senza le dovute indagini, assoluzione penitenziale
collettiva dei fedeli fuori dai casi previsti dalla legge, concedere arbitrariamente le
esequie ecclesiastiche a coloro che ne sono esclusi dal diritto.

Il vietare le esequie ecclesiastiche è una cosa ben definita dal codice. Ci sono dei
casi ben precisi: il divieto trae la sua natura o da un ostinato atteggiamento contrario
e avverso a quello che sono i fondamenti e la dottrina della chiesa, o nell’aver
assunto pubblicamente (ambito della pubblicità) atteggiamenti che sono contrari alla
fede cattolica.

Importante leggere bene il can. 1184 n.3: nel caso di Lucio Dalla, non essendo
notoria la pratica (e non è automatico che chi abbia una tendenza omosessuale
pratichi attivamente una condotta genitale omosessuale) dell’omosessualità non si
potevano negare le esequie ecclesiastiche.

79
Can. 1385, circa il mercimonio nelle offerte delle Messe.
Qui si parla di un profitto illegittimo da un’azione legittima, quindi non è il caso della
simonia.

Un conto è la legittima pretesa della Chiesa di chiedere ai fedeli un contributo e un


sostentamento per la crescita della chiesa. Un conto è che vi sia un commercio
sotteso.

Questa fattispecie delittuosa si può verificare in diverse modalità:

1) Richiedere un’offerta maggiore di quello che è fissato;


2) Percepire più di un’offerta al giorno per la celebrazione di una Messa;
3) Cumulare le intenzioni di più Messe, accettando un numero esagerato di
intenzioni di Messe, sapendo di non poter soddisfare entro un anno tutte
quelle intenzioni di Messe.

La sanzione prevista per queste ipotesi delittuosa è una censura (pena medicinale) o
una pena indeterminata f.s.

Can. 1386 - Chi dona o promette qualunque cosa per ottenere un'azione o
un'omissione illegale da chi esercita un incarico nella Chiesa, sia punito con una
giusta pena; così chi accetta i doni e le promesse.

Qui abbiamo tre distinte fattispecie delittuose.


1) Subordinazione attiva tentata mettendo in atto azioni corruttive, ma senza
ottenere lo scopo pensato
2) Caso di corruzione nella forma più completa: cioè alla subordinazione attiva
corrisponde al subordinazione passiva.
3) Corruzione apparente: il destinatario accetta i doni senza porre l’azione
richiesta.

La corruzione è dovuta al donare o promettere qualunque cosa da colui che esercita


un incarico nella Chiesa.
Il CIC 17 nel can. 2407 sanzionava solo la condotta del corruttore e il corrotto lo
considerava una vittima. Invece più correttamente il CIC 83 cambia la norma.

7 maggio
Can. 1389 abuso d’ufficio: può essere di natura dolosa o di natura colposa. Anche se
è di natura colposa può essere punito (se reca danni).

80
Ricorda: l’abuso di potere l’abbiamo già trovato al can. 1326 §1 n.2: l’abuso di potere
costituisce una circostanza aggravante nella commissione di un delitto.
Per la formulazione di questo can. 1389 il coetus versò fiumi e fiumi di inchiostro.

Qualcuno del coetus avrebbe voluto che fossero stati configurati anche altri delitti
nella chiesa di natura colposa. Ma poi la cosa non si fece. Siamo d’accordo che il
nuovo libro VI andava snellito e ridotto anche come numeri di canoni, tuttavia c’è da
dire (opinione di Riondino) che il libro VI, nella parte più teorica, è un pochino
mancante. Diciamo che la parte della teoria generale del reato forse è
eccessivamente sintetica: mancano tantissime definizioni. Si possono solo rinvenire
da un’elaborazione e una riflessione sui canoni, però…
Tra l’altro l’ambito penale è quello che maggiormente si presta a una base
interpretativa sul significato ultimo sui temi fondamentali: visione della pena,
nozione di pena, fine del diritto penale…quando un comportamento è veramente
deviante o quando ci si avvicina soltanto? In cosa consiste il concetto di buon
costume? Quando cambiano i costumi della società, allora cambia anche la
configurazione dei delitti canonici? La chiesa deve mantenere la sua Tradizione o
deve adeguarsi ad alcune sensibilità nuove della società nuove? Esempio: una volta
battezzare un bambino in una chiesa acattolica era un delitto punito con la
scomunica, oggi no.

Opinione di Riondino: se invece che un numero di canoni pari a ⅓ rispetto ai canoni


del CIC 17 fosse rimasto qualche canone in più, soprattutto nella prima parte nel
libro VI, la cosa non avrebbe fatto per nulla male. Vero è anche che con il can. 1399 si
possono riunire molte lacune e molte mancanze, tuttavia…

TITOLO IV: “IL DELITTO DI FALSO”


È composto di soli due canoni.

Si può concretizzare in due fattispecie:

1) Attentato alla buona fama altrui (calunnia)


a) Rivelando un crimen occultum
b) Attribuendo un crimen falso
c) Diffamazione a mezzo stampa:

2) Falsificazione di un documneto pubblico ecclesiastico (falso

Can. 1390 §1: falsa denuncia: se il legislatore ha messo un canone per un delitto di
questo genere, vuol dire che ce n’era la necessità.
81
Il can. 1390 §2 va letto in combinato disposto con il can. 220: il canone che vuole
tutelare e difendere la buona fama altrui!!

C’è una sentenza coram Canestri del 1940 (SRR n. 23 del 28/7/1940).
Alcune pronunce giurisprudenziali della Rota sono fondamentali per questo tipo di
illecito, cioè il falso.

La genericità del canone comprende anche i delitti di calunnia, diffamazione,


maldicenza, ingiuria: fatti naturalmente in assenza della persona.

Creare, falsificare, distruggere o occultare un documento ecclesiastico.


- Si può redigere un documento ecclesiastico falso.
- Oppure posso alterare un documento ecclesiastico vero.
- Posso distruggerlo o occultarlo
- Infine posso anche servirmi di un documento falso o alterato.

Questo “documento ecclesiastico” cos’è? comprende un significato molto ampio: gli


atti di governo ecclesiastico di natura esecutiva, legislativa, giudiziaria.

Vedi anche articoli 75 e 111 di DC.

TITOLO V
Can. 1392
Dobbiamo ricordare il can. 286 e 672 dove si proibisce a chierici e religiosi di
esercitare abitualmente affari o commercio.
I diaconi permanenti non sono tenuti a queste norme.

Can. 1393:
la dizione è estremamente generica “puniri potest”: esempio chi incorre in un delitto
descritto nel can. 1351 incorre in una pena di cui al can. 1393.

Can. 1394:
Questo canone dispone che il chierico che attenta il matrimonio anche solo
civilmente incorre nella sospensione latae sententiae.
Il religioso non chierico incorre nell’interdetto l.s..

Can. 1088 e 1089: sono due impedimenti dirimenti.

E alla DONNA con la quale il chierico attenta il matrimonio? Che si fa? Si applica il can.
1329 §2.
82
Can. 1395: deve essere un vero concubinato! Quindi deve essere una convivenza
permanente e scandalosa.

Can. 1395 §2: quindi il semplice caso di un chierico che mette incinta una donna
maggiorenne (senza violenza) non commette un delitto canonico.

Can. 1396:

Penultimo titolo: TITOLO VI: DELITTI CONTRO LA VITA E LA LIBERTÀ


UMANA

L’ordinamento della Chiesa non si esaurisce esclusivamente nella norma di diritto


positivo, ma comprende anche il magistero. Infatti i il can. 1398 sull’aborto è stato
oggetto di notevole riflessione magisteriale. Non possiamo limitarci al solo canone.

Il can. 1397 è una norma di carattere generale. Lascia intendere diverse ipotesi.

Il canone esclude il suicidio. Non lo annovera tra le ipotesi: per diverse motivazioni.
Di solito la riflessione dice che, in linea di massima, una persona che si toglie la vita è
spesso portata a tale gesto da molte cause e circostanze (disperazione). Per cui non
possiamo parlare di avversità nei confronti della fede e del Magistero autentico.

Sequestro o detenzione violenta di una persona. Ricorda il can. 1089: rapimento a


scopo di matrimonio.

Nel can. 1397 si parla di rapimento e non si intende propriamente il rapimento nei
confronti di una donna a scopo di matrimonio.

Per tutti questi delitti sono previste pene espiatorie.

La base di tutta questa normativa è la tutela della vita, dal suo naturale
concepimento, fino al suo altrettanto naturale tramonto.
Il canone 1397 non si sofferma sui dettagli di queste singole fattispecie. Come mai?
Perché si suppone che questi crimini siano in gran parte già tutelati negli
ordinamenti civili. Ricorda che il Codice è stato promulgato nel 1983 quando non
c’era ancora tutta sta confusione.

Questo canone 1397 comprende una infinità di casi: è perfino limitante parlare di
norma residuale. È molto ampio il raggio di questo canone.

83
Passiamo ora al can. 1398. Molto breve, ma molto rilevante per la vita. È un tema
molto delicato. Non va avvicinato con superficialità o con eccessive semplificazioni.
La Chiesa da sempre condanna un crimine così grave come quello dell’aborto
procurato. Ma nessuno di noi può e deve giudicare ulteriormente chiunque. Ma
questo non significa che, dpdv morale prima e giuridico poi, non ci sia una risposta di
ferma condanna a questo grave delitto.

Il CIC 17 prevedeva una cosa diversa: c’era l’inciso “non esclusa la madre”. Questo
inciso è stato omesso. A quel tempo si riteneva ovvia l’inclusione della madre.
Alcuni membri del coetus erano del parere di lasciare questo inciso, perché
comunque doveva essere chiaro che, a scanso di equivoco, la responsabile ultima
della decisione veniva ad essere la madre del bambino che viene abortito.
Però prevalse l’opinione di omettere questo inciso, perché considerato ovvio che
fosse la mamma la prima a cadere nella responsabilità.

Attenzione: dal punto di vista “medico” aborto è una cosa diversa da come la
intendiamo noi.

Ricordiamo che per incorrere in questo tipo di pena ci deve essere una
concatenazione perfetta di causa ed effetto: cioè devo volere e ottenere l’aborto. Se
io attento a un aborto, non ottenendone l’effetto, incorro in una pena. L’aborto deve
essere procurato e non solo tentato.

Per quanto riguarda la sanzione. La sanzione è inflitta alla mamma e viene anche
estesa ai cosiddetti correi, corresponsabili: ovvero agli operatori sanitari necessari
affinché si porti a termine l’IVG. Deve essere una cooperazione necessaria.

Se una persona solo “consiglia vivamente l’aborto” non incorre nella scomunica l.s.:
ciò non significa che non possa comunque incorrere in un’altra pena.

Nella legislazione italiana troviamo la legge n. 194 del 1978. Anzitutto è una legge di
“urgenza”, il che vuol dire che è migliorabile.
Però la normativa del 1978 “norme per la tutela sociale della maternità e sulla …” è
innanzitutto una legge che parte da un’affermazione importante: “Lo Stato
garantisce alla procreazione cosciente e responsabile e tutela la vita fin dal suo
inizio”.
Poi l’art. 5 della legge prevede che nel colloquio che viene fatto tra la mamma che ha
deciso di abortire e il medico della struttura ospedaliera: questo colloquio, per legge,
dovrebbe essere finalizzato a rimuovere tutte le cause e gli ostacoli che potrebbero
portare la donna a prendere la decisione dell’aborto.

84
Entro 90 giorni dal concepimento, quando ci sia un serio pericolo per la salute psico-
fisica della donna.
Dopo i 90 giorni quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la
salute della donna.

Chi può assolvere? Nelle diocesi c’è un penitenziere delegato dall’Ordinario. Poi tutti
i membri degli ordini mendicanti: agostiniani, domenicani, francescani.

Per la diocesi di Roma, GP2 stabilì nel 1984, che coloro che hanno il permesso di
confessare possono anche assolvere dal peccato di aborto.

E anche coloro che esercitano nei santuari.

EV: una delle encicliche più belle di GP2.


EV 62: molto bello. Leggi.

Anche EV 99: qui è sotteso un ideale molto chiaro di giustizia riparativa e un ideale
di progetto di BENE che è rivolto a colei che ha commesso un male!!
Si affida alla donna che ha abortito un impegno: puoi riscattarti attraverso un
progetto di BENE!!

La pillola RU-486: è abortiva, può essere assunta nei primi 3 mesi dal
concepimento,

13 maggio
Oggi tratteremo il tema dei delicta graviora. Poi vedremo le eventuali
corresponsabilità di un ordinario per crimini commessi da chierici incardinati nelle
diocesi.

Delicta graviora: ci riferiamo a ciò che è presente nel primo m.p. Sacramentorum
Sanctitatis tutela del 18/5/2001.
La dicitura corretta è
Questa normativa è stata riformulata nel 2010 (21/5/2010).

Cosa sono i delicta graviora?


1) una cosa fondamentale da ricordare è il tema della prescrizione. La
prescrizione è di 20 anni per tutti i delitti!

85
2) Sia quelli compiuti nella celebrazione dei sacramenti, sia quelli definiti contra
mores.

Quali sono i delicta graviora? Abbiamo 4 gruppi di delitto:


1) Abbiamo quattro delitti contro la santità dell’augustissimo sacrificio
eucaristico.
a) Profanazione, asportazione delle specie eucaristiche a scopo di sacrilegio.
Vedi anche can. 1367
b) Attentata o simulata celebrazione liturgica della S.Messa da chi non ha
ricevuto l’ordine. Vedi anche can. 1378
c) Attentata concelebrazione eucaristica. Can. 1365 e can. 908
d) Violazione a fine di sacrilegio della consacrazione del pane senza il vino.

2) Tre delitti contro la santità del sacramento della penitenza:


a) Assoluzione del complice contro il 6° comandamento (vedi anche can. 1387
§1)
b) Sollecitatio ad turpia (can. 1387) da compiersi durante la confessione da
parte del chierico.
c) Violazione del sigillo sacramentale (can. 1388 §1)

3) Un delitto contro la santità del sacramento dell’Ordine


a) Attentata ordinazione di una donna

4) Delitti contra mores.


a) Crimine contro il 6° precetto del decalogo con un soggetto minore di età
(da parte di un chierico). Minore è qualsiasi (consenziente o meno)
soggetto minorenne.

Nella riforma è stato oggetto di discussione il fatto che si ponesse sullo stesso livello
il fatto di essere consenziente o non esserlo. Tuttavia è bene che sia così: tutti
neuropsichiatri infantili hanno dimostrato come il fatto di essere consenziente o
meno (per quanto non possa sembrare) conta poco nei confronti di un soggetto
minorenne che viene abusato da un sacerdote (che ha una posizione di superiorità
molto forte sul soggetto minorenne). Infatti è molto raro che chi abusa di un
minorenne non lo conosca! Il soggetto minorenne riconosce nella figura del
sacerdote una certa autorevolezza, a volte anche un certo timore. Per cui il fatto di
omettere l’essere consenziente o meno è volto a tutelare la sfera dell’infanzia da
qualsiasi tipo di causa che potesse essere considerata attenuante.
Sebbene i mass media abbiano amplificato molto il problema, noi dobbiamo sempre
ricordare che il problema non ha quelle dimensioni così macroscopiche che i massa
media ci vogliono far credere. Come anche non è affatto vero che solo negli ultimi
anni ci si sia accorti del problema. Il tribunale dell’Inquisizione è sempre esistito!
86
Per quanto riguarda l’abuso sui bambini: rientra nella competenza, come ultima
istanza, nel tribunale della CDF.
Il tribunale della CDF è composto dai giudici che sono i membri della CDF.
I membri di una Congregazione sono: cardinali e vescovi che sono membri della
Congregazione, i quali sono i giudici della CDF. Ma come è facile immaginare la CDF
attualmente non ha giudici stabilmente nominati.
Questo perché il numero delle cause che ha la CDF non è così elevato come quelle
della Rota.

Il presidente del tribunale, il card. prefetto della CDF Mueller, nomina ad hoc, di volta
in volta, un collegio giudicante di tre giudici. Questi giudici devono avere il dottorato
in diritto canonico e devono essere sacerdoti. Ma i requisiti possono essere
dispensati, anche se molto raramente si dispensa da questi due requisiti. Il
promotore di giustizia è stabilmente istituito, infatti è uno dei Superiori del dicastero
della CDF.
Il superiore di una Congregazione è: il prefetto, il segretario e il sottosegretario.
Attualmente il promotore di giustizia è uno statunitense, mons. Oliver di Boston.
È positivo che ci sia una conoscenza da parte del promotore di giustizia della lingua
inglese, infatti molte cause provengono da paesi anglofoni.
C’è anche il notaio: opera come in tutti i tribunali.

Poi ci sono gli avvocati: l’avvocato che difende in ultima istanza l’autore di reato. Per
essere avvocato d’ufficio (cioè di fiducia da parte del tribunale della CDF) si deve
essere nominati dal prefetto della CDF, sentito il parere della Segreteria di Stato. Il
ruolo dell’avvocato di fiducia è: difendere in ultima istanza l’autore del reato o anche
assumere l’incarico di tutelare le vittime e i diritti della comunità ecclesiale che è
parte lesa. Anche qui l’avvocato deve essere sacerdote e con il dottorato in diritto
canonico.
Ma questi requisiti sono dispensabili, infatti Riondino è stato dispensato dal requisito
sacerdotale.

Come si svolgono le cause? La parola in prima istanza va al promotore di giustizia, il


quale sulla base del libello avanza le richieste (che è quasi sempre la richiesta di
dimissione dallo stato clericale), poi la parola la prende l’avvocato che deve
difendere l’autore di reato (molte volte l’avvocato, a causa dell’evidenza del
materiale probatorio, non è che possa fare molto a difesa dell’imputato: le prove
sono quasi sempre più che certe). Al limite l’avvocato può chiedere che venga
riservata un’attenzione particolare a sacerdoti che per 30 anni hanno prestato un
onorevole servizio alla diocesi. La persona, e quello che di bene ha fatto nel passato,
non va dimenticata e abbandonata.

87
Una volta che la sentenza è stata fatta la si comunica all’Ordinario del chierico che ha
commesso il delitto. E la decisione è inappellabile!! Perché il tribunale della CDF è
ultima istanza!!
Ricordiamo la lettera ai fedeli d’Irlanda: Benedetto XVI disse parole molto toccanti ai
familiari delle vittime. “So che nulla può cancellare il male che avete subito”.

C’è sempre presunzione di innocenza del chierico, fino a che non ci sia prova
contraria.
Tuttavia il Vescovo può prendere delle misura cautelari nei confronti di un chierico
che sia stato accusato di abusi su minori.

L’abuso sessuale su minori non è solo un delitto canonico. Sebbene i rapporti con le
autorità civile differiscano da paese a paese è molto importante collaborare con le
autorità civili.

Naturalmente queste norme che abbiamo detto si riferiscono solo ai chierici, non ai
religiosi, nemmeno quelli di voti religiosi perpetui, il quale eventualmente può
essere dimesso dal suo IR.

Nel 2001 la prescrizione era decennale, adesso è ventennale.


Nel 2003 Ratzinger ottenne da GP2 la concessione di alcune facoltà speciali:
- Nei casi più gravi il processo penale è amministrativo (queste facoltà vennero
poi integrate nella riforma delle norme del 2010).

Esistono anche le linee guida della Conferenza episcopale italiana per l’applicazione
di queste norme sui delicta graviora.

Cos’è l’abuso su un bambino?


Il concetto di abuso sessuale su minore: s’intende non per forza un rapporto
sessuale. Per abuso sessuale si intende qualsiasi tipo di contatto di natura libidinosa.

Già B16 nel suo libro-intervista “Luce del mondo”, nelle primissime pagine, il Papa
dice che per molto tempo il diritto penale canonico è rimasto nell’oblio ed è stato
semplicemente sconosciuto!

AMBITO EXTRA CANONICO


Ricordiamoci della convenzione di Lanzarote. Fu adottata nell’omonima isola
spagnola il 12 ottobre del 2007. La convenzione è sulla protezione dei bambini sullo
sfruttamento e contro l’abuso sessuale.
Dopo anni di discussione il Senato italiano ha approvato all’unanimità, nel 2012, con
un decreto legge la convenzione di Lanzarote.

88
Il codice penale italiano, dopo la Convenzione di Lanzarote, ha subito delle
modifiche. Articolo 414 bis: “istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia”
e art. 609 undeces “reato di adescamento di un minorenne”.

Questa convenzione è molto importante: si incentra molto sul tema dell’educazione


sessuale e anche l’art. 5 parla della necessità di prestare attenzione nei casi di
confronti di soggetti che possono avere una certa influenza di superiorità nei
confronti di minori.

Problema: la responsabilità dell’ente nella Convenzione di Lanzarote. Questo è un


problema, infatti la Santa Sede non ha ancora ratificato la convenzione di Lanzarote
per un problema relativo alla responsabilità dell’ente. Fermo restando che la
responsabilità è sempre e dovunque in ogni caso penale, la Santa Sede sta
discutendo su questo argomento.

LE EVENTUALI CORRESPONSABILITÀ
Can. 1344 §2: le corresponsabilità.
Il canone in questione (unitamente ai can. 1345-1346) si riferisce a questo spirito di
attenzione con cui la Chiesa si dedica all’autore di reato.
Ma questo atteggiamento di sobrietà della Chiesa va sempre bene?

RESPONSABILITÀ. Si può attribuire alla Chiesa una responsabilità per reati gravi
commessi da chierici? La questione è molto delicata. Se ne parla nella tesi di
Riondino.
Dovrebbe essere così: che il rapporto tra i chierici e il vescovo dovrebbe essere una
posizione di garanzia. Cioè il Vescovo dovrebbe essere un “garante” dei suoi preti.
Ma nella Nota esplicativa del Pontificio Consiglio per i testi legislativi 12-02-2004
parla di un “semplice dovere di vigilanza”. Il presbitero diocesano gode di uno
spazio di autonomia personale molto ampia. Il vescovo diocesano non può essere
ritenuto giuridicamente responsabile! Quindi dovrebbe essere proprio palese la
trascuratezza del Vescovo.

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/intrptxt/documents/rc_pc_intrptxt_doc_2
0040212_vescovo-diocesano_it.html

Non vi è alcun tipo di subordinazione tra il Vescovo e i presbiteri. La posizione di


garanzia che molti sostengono ci possa essere in questo ambito.

14 maggio
Diciamo qualcosa, in questa ultima lezione, sull’ultimo capitolo della tesi di dottorato
di Riondino.
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Approccio integrale all’obbiettivo di ristabilire la giustizia salvifica: il diritto canonico
non può non riflettere sul contributo che c’è stato in ambito extra-canonico. Ci
riferiamo al paradigma di una giustizia riparativa e alle tecniche di mediazione (ADR
alternative disturb resolution), oppure Informal Justice.

Se il diritto canonico vuole davvero essere, come ci diceva il canonista Giacchi, un


vero studium humanitatis non può rifelttere su questi aspetti che si sono fondati in
ambito extracanonico, ma che trovano certamente un riferimento etico anche in
ambito canonico (il paradigma della giustizia riparativa).

L’ideale della giustizia riparativa ha molto attecchito nell’ambito matrimoniale, ed è


un ideale della storia bimillenaria della Chiesa. Can. 1446.

Per quanto riguarda l’ambito penale: non sarebbe saggio che il diritto canonico
ignorasse l’ideale della giustizia riparativa.

Sintesi dell’ultimo capitolo della tesi di Riondino.


Ci sono tre istanze necessarie per ristabilire la giustizia salvifica:

1) La prevenzione primaria ai profili di corresponsabilità e al consenso: è chiaro


che noi già ci siamo riferiti al concetto di prevenzione primaria. Per molto
tempo questa prevenzione è stata collegata alla funzione di deterrenza. Ma
nell’attuale diritto canonico (sorretto dalla nuova ecclesiologia del CV2) si dà
molto importanza alle chiese particolari. Quindi la legge universale è una legge
da ritenere “legge quadro”. Alcune risposte istituzionali della Chiesa, invece,
non possono essere previste per legge particolare. Vi sono, però, delle materie
che sono regolate al di fuori del settore penale: qui si incentra l’importanza
della legislazione particolare. Abbiamo visto infatti il can. 1399 (residualità ed
eccezionalità): in alcuni casi “ci si può giostrare” su alcune fattispecie che
urgono una soluzione. Le norme di governo: l’unico settore aperto ai delitti
colposi (can. 1389).
Riondino legge in classe la sua tesi!!

2) Equilibrio tra il principio di moderazione e l’intervento tempestivo: è noto


come la legge universale indichi il criterio generale che sia quello di evitare
l’attività legislativa in ambito canonico. per la peculiarità che si riconosce
all’ambito penale. Diritto penale inteso come extrema ratio: non può mai
essere unico rimedio! GP2 parlò della pena come strumento di “comunione”,
non come strumento di “esclusione”!
È il consenso che fa l’autorevolezza della norma!! Non la tempestività! Non la
minaccia!!
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Poiché nel sistema canonico non esiste la prevenzione di legge, né la tutela
anticipata dei beni. Nel diritto canonico si devono sempre più diminuire le risposte
intimidatorie e puntare sempre più-

Migliorare la comunicazione tra i fedeli e le autorità deputate ad infliggere pene.


Can. 1389: l’elenco è solo indicativo e a volte poco esaustivo.
Legge il testo della sua tesi!!

Altri mezzi penali giuridici: la riprensione, la monizione, bla bla…


Proprio nei reati di pericolo si vede come anche nel diritto canonico ci sia una tutela
anticipata dei beni.
La forma obbligatoriamente scritta del precetto e della notifica del medesimo.

Un ambito fondamentale è quello relativo alla chiarezza che ci deve essere nel
momento in cui si inizia un procedimento/processo.
Nel momento in cui un Ordinario (dopo la previa investigatio) dà seguito alla notitia
criminis, l’imputato deve sapere a cosa sta andando incontro!
Qui si vede molto il dovere da parte dell’autorità di essere chiara con i fedeli,
altrimenti si creano situazioni di sofferenza molto forti nei soggetti!
L’attenzione alla vittima deve essere molto alta (esistono studi di vittimologia): vi è
una esigenza che emerge, l’esigenza di non emarginare la vittima del delitto (vedi
nota 22 dell’ultimo capitolo della tesi di Riondino).

Personalizzazione della pena come progetto di bene (vedi pag. 157)

CINQUE APPLICAZIONI URGENITI che derivano dal paradigma teorico della giustizia
riparativa: (pag. 158)

Sono ambiti dove il diritto canonico è attualmente un po’ carente.

1) I presupposti del precetto penale (ascolto previo del destinatario)


2) Modalità di provvedere alla previsa investigatio
3) La partecipazione delle vittime (molto difficile a volte da individuare)
4) L’efficace analisi di eventuali corresponsabilità del delitto
5) La necessità di precisare meglio i criteri che consentono di provvedere
all’irrogazione delle pene per via extra-giudiziaria

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1) IL PROCEDIMENTO PREVIO AL PRECETTO PENALE. Vedi canone 49. Non c’è unanimità tra i
canonisti sulla natura del precetto penale. Vedi pag. 161 della tesi di Riondino.

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