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L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue

fonti giuridiche
en M.J. Arroba Conde (cur.), Manuale di diritto canonico, Lateran University
Press, Città del Vaticano 2014, 29-42

Introduzione. - 1. Una precisazione sul concetto di fonte del diritto canonico. - 2.


Le fonti nel primo millennio. - 3. Da Graziano al Concilio di Trento. - 4. La
codificazione del diritto della Chiesa.

INTRODUZIONE

La Chiesa, ordinamento giuridico primario, fin dalle sue origini ha


prodotto un diritto proprio e nativo (ius proprium ac nativum) che l’ha
resa indipendente rispetto a qualsiasi altro sistema giuridico. Lo scopo di
questo capitolo è individuare le principali tappe che hanno segnato
l’esperienza giuridica della Chiesa ed evidenziare le fonti del diritto
canonico più rilevanti per la comprensione dello sviluppo storico della
Societas Christi.

La storiografia, a questo proposito, è solita utilizzare criteri di divisione


temporale fra i più variegati. Alcuni, infatti, sostengono che lo sviluppo
storico del diritto canonico si può suddividere in quattro grandi momenti.
Il cosiddetto diritto antico (ius antiquum), corrispondente alle fonti del
primo millennio della Chiesa; il periodo del diritto nuovo (ius novum),
comprendente un arco temporale che va dall’opera del monaco Graziano
al Concilio di Trento (1545-1563); il diritto nuovissimo (ius novissimum),
periodo storico caratterizzato dalla produzione di norme giuridiche intrise
di princìpi delineati dai Padri conciliari come risposta alle teorie luterane;

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l’epoca delle grandi codificazioni del diritto della Chiesa (ius
codificatum): dal primo Codice di diritto canonico per la Chiesa latina
promulgato da Benedetto XV nel 1917, abrogato con l’entrata in vigore
del vigente codice emanato da Giovanni Paolo II nel 1983, al Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali del 1990 (FERME 29-30; ERDÖ 14-16;
STICKLER 6-7). Altri autori, invece, tracciano l’evoluzione storica del
diritto della Chiesa sulla base dei sistemi del diritto canonico (SASTRE
SANTOS) oppure pongono in rilievo i momenti di svolta: la genesi e i
primi sviluppi del diritto della Chiesa durante il primo millennio; la
sistemazione del diritto canonico nel momento della cosiddetta
edificazione del diritto canonico classico; la codificazione del diritto
canonico (GROSSI 2011, 6 ed., 109-123, 203-222; GROSSI 2011, 7 ed., 33-
36, 55-56, 213-216).

1. UNA PRECISAZIONE SUL CONCETTO DI FONTE DEL DIRITTO CANONICO

Prima di addentrarci nell’analisi dei periodi storici che hanno


caratterizzato l’evoluzione del diritto prodotto dalla Chiesa, è necessario
chiarire alcuni concetti che agli occhi di giuristi in formazione potrebbero
risultare fuorvianti. In particolare, nell’introduzione si fa riferimento al
concetto di fonte del diritto canonico. Che cosa s’intende con
l’espressione ‘fonte del diritto’ nell’ordinamento giuridico canonico? La
nozione potrebbe non essere ben compresa perché nei corsi di diritto
costituzionale s’impara, a ragione, che le fonti giuridiche degli
ordinamenti civili sono tutte prodotte dall’uomo – principalmente dalla
politica – e al loro vertice hanno una normativa costituzionale.

Questo ragionamento non vale per l’ordinamento giuridico canonico Fonte del
diritto e
all’interno del quale le fonti di rango più elevato sono riconducibili a ordinamento
canonico
norme di Diritto divino (Ius divinum) desumibili dalla Sacra Scrittura e

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dalla Sacra Tradizione. Da queste, e mai contraddicendole, derivano le
norme prodotte dagli organi legislativi ecclesiastici (Ius humanum).
Proviamo a esemplificare il discorso mediante un ausilio grafico.

NATURALE
IUS DIVINUM
POSITIVUM
IUS CANONICUM

IUS HUMANUM (aequitas canonica)

Dallo schema sopra rappresentato si può osservare che le due grandi


partizioni del diritto canonico sono il Diritto divino (Ius divinum) e il
Diritto umano (Ius humanum). Il Diritto divino può essere qualificato
come una sorta di ‘Diritto costituzionale della Chiesa’ del quale Dio
stesso è il legislatore e che a sua volta si manifesta nel Diritto divino
naturale (Ius divinum naturale) e nel Diritto divino positivo (Ius divinum
positivum). Il primo è un diritto non codificato, inscritto da Dio nel cuore
dell’uomo (ad es., che un uomo non uccida un altro uomo); il secondo è
un diritto scritto (ius scriptum). Il Diritto divino positivo è il frutto della
Rivelazione divina e trova la sua fonte principale nella Sacra Scrittura,
nella Tradizione e, sulla base del principio dell’infallibilità del magistero
pontificio, nel Romano Pontefice (cfr. can. 749 CIC 1983; can. 595
CCEO). Il Diritto umano (Ius humanum), invece, è il diritto prodotto dalla
Chiesa ed ha la caratteristica di essere dominato dall’equità (aequitas
canonica). Mentre il Diritto canonico divino, infatti, è immutabile e
immodificabile, il Diritto canonico umano è contrassegnato dal carattere
dell’elasticità, nel senso che la regola giuridica generale deve potersi
plasmare e adattare alla singola situazione soggettiva per favorire il
raggiungimento della salvezza eterna delle anime (salus aeterna
animarum), fine ultimo della Chiesa (GROSSI 2011, 7 ed., 35).

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Tutto ciò premesso sul concetto di fonte nell’ordinamento giuridico
Le tipologie
canonico, è dato osservare che esistono due grandi tipologie di fonti di fonti
giuridiche
giuridiche: le fonti genetiche, qualificabili come fattori sociali produttori
di diritto (ad es. il legislatore e, per la produzione di norme di tipo
consuetudinario, la comunità), e le fonti gnoseologiche, intese come
prodotti scientifici che ci permettono di conoscere il contenuto della
norma. All’interno di quest’ultimo tipo di fonti si distinguono, ancora, le
fonti primarie, che riportano direttamente il contenuto della norma (per es.
canoni, leggi, decreti, costituzioni, lettere apostoliche, motu proprio), dalle
fonti secondarie che permettono di conoscere il contenuto della norma in
modo indiretto mediante documenti che ne forniscono notizia (per es. atti
processuali, documenti amministrativi) (FERME 25-26).

Le fonti del diritto canonico, inserite per lo più in opere unitarie chiamate
Le collezioni
collezioni, possono essere suddivise secondo molteplici criteri. In base al del diritto
canonico
legislatore possiamo trovare collezioni di diritto divino (composte da
norme di tipo giuridico rinvenibili nella Sacra Scrittura) e collezioni di
diritto ecclesiastico (decretali, canoni conciliari, nomocanoni, concordati).
In base al grado di estensione della norma, a seconda che si consideri
l’aspetto territoriale o personale, abbiamo, rispettivamente, collezioni di
diritto particolare e universale oppure collezioni generali e speciali. In
base al criterio della cosiddetta genuinità storica si possono riscontrare
collezioni genuine o collezioni false (per il contenuto o per l’autore). In
base al modus operandi dell’autore della collezione si possono distinguere
le collezioni cronologiche (che riportano le fonti secondo un criterio
temporale) da quelle sistematiche (che invece seguono una composizione
per materia). In base all’autorità giuridica si possono avere collezioni
private (prodotte da privati e non promulgate dall’autorità ecclesiastica),
collezioni autentiche (promulgate o approvate dall’autorità ecclesiastica),
collezioni usu receptae (private ma recepite dalla prassi amministrativa

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e/o giudiziaria). In base al criterio della periodizzazione storica, infine, è
possibile individuare l’epoca del diritto canonico precedente a Graziano
(secc. I-XII), del diritto canonico classico (1140-1563), del diritto
canonico postridentino (1563-1869), delle grandi codificazioni del diritto
della Chiesa latina (1917 e 1983) e orientale (1990) (FERME 26-30;
STICKLER 4-8).

2. LE FONTI NEL PRIMO MILLENNIO

Compiute le necessarie precisazioni sul concetto di fonte del diritto


La scelta
nell’ordinamento canonico, siamo ora in grado di ripercorrere le tappe della Chiesa
per il diritto
cronologiche dello sviluppo del diritto della Chiesa (ius Ecclesiae). Fin
dalle prime comunità cristiane il dato caratteristico è una forte e convinta
scelta della Chiesa per il diritto. Che cosa significa questa espressione? La
Chiesa fin dal suo sorgere, anche quando era considerata societas illicita
da parte dell’Impero romano, ha sempre voluto produrre un proprio diritto
che le conferisse assoluta tipicità ed unicità, un diritto congeniale
all’essere un ordinamento giuridico avente un fine ultimo diverso da
qualsiasi altro: la salvezza eterna delle anime (salus aeterna animarum).
In questo modo anche la volontà di produrre diritto non rispondeva solo
all’esigenza di creare norme giuridiche per la tutela dell’ordine pubblico,
come accade negli ordinamenti civili, ma ad una ponderata scelta di
ordine antropologico che fa ricondurre la produzione del diritto non a
scopi temporali ma al raggiungimento della stessa salvezza eterna
(GROSSI 2011, 7 ed., 33-34).

Durante il primo millennio la creazione del diritto da parte della Chiesa si


La ‘libertà
è potuta sviluppare in modo piuttosto costante grazie ad alcuni eventi della
cristianità’
storici che segnano la cosiddetta ‘libertà della cristianità’. Facciamo
riferimento, in primo luogo, all’Editto di Licinio e Costantino (313 d.C.)

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che consentì a tutti i sudditi dell’Impero romano di professare liberamente
la propria religione abrogando, in pari tempo, le disposizioni persecutorie
nei confronti dei cristiani. In secondo luogo al Concilio di Nicea (325
d.C.), nel quale fu precisato il testo della professione di fede cristiana
(sostanzialmente immutato fino ad oggi). Infine, degno di nota è l’Editto
Cunctos populos (380 d.C.), dell’imperatore Teodosio I, per mezzo del
quale il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero romano.
Dopo questi eventi si assiste ad una compenetrazione, almeno iniziale, fra
il diritto romano e il nascente diritto canonico. Da una parte il diritto
canonico ha recepito le categorie giuridiche del diritto romano e le ha
utilizzate per la costruzione del proprio diritto e dall’altra il diritto
romano, o meglio le autorità legislative civili del mondo romano, hanno
prodotto leggi che sono state successivamente recuperate dal diritto
canonico (per es. il Codex Theodosianus, promulgato nel 438 d.C.
dall’imperatore Teodosio II, e il Corpus Iuris Civilis, promulgato fra il
528 e il 533 d.C. dall’imperatore bizantino Giustiniano).

Nei primi secoli il diritto canonico era prevalentemente consuetudinario


Le Collezioni
(ius consuetudinarium) e si fondava su norme giuridiche e comportamenti pseudo
che le comunità cristiane si tramandavano oralmente (ius non scriptum). apostoliche

Al fine di dotare queste norme di maggiore vincolatività esse venivano


trasmesse come se fossero state date direttamente dagli Apostoli e a questi
da Cristo stesso. Si tratta delle Collezioni pseudo-apostoliche che hanno
caratterizzato lo sviluppo delle fonti del diritto canonico principalmente
nei primi tre secoli (ad es. la Didaché, la Traditio apostolica, la
Didascalia apostolorum, i Canones apostolici, i Canones ecclesiastici
Sanctorum Apostolorum, il Testamentum Domini nostri Iesu Christi)
(FERME 45-56; ERDÖ 17-30; FANTAPPIÈ 2011, 39-40).

Con le invasioni barbariche del quinto secolo e la conseguente caduta


dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.) si spezzò per sempre l’unità

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dell’Impero e le popolazioni germaniche si trovarono a dover convivere
non solo con il popolo romano conquistato ma anche con la chiesa locale
che dal IV secolo, in modo particolare dopo il 313 d.C., stava
Le invasioni
consolidando una propria struttura. Le differenze culturali e sociali dei
barbariche
popoli conquistatori fra loro (Unni, Visigoti, Burgundi) e, ancora di più, del V secolo

con il mondo romano determinarono altrettante differenze giuridiche fra i


diversi regni romano-germanici con un conseguente imbarbarimento del
diritto romano inserito nelle cosiddette leggi romano-barbariche (Lex
Romana Wisigothorum, Lex Romana Burgundionum, Edictum Theodorici)
(ERDÖ 41-42). Il diritto germanico, però, non determinò solo una
volgarizzazione del diritto romano ma influenzò in modo notevole anche
l’organizzazione della Chiesa (si pensi, ad esempio, alla cosidetta Chiesa
privata o propria, in tedesco Eigenkirche, la cui caratteristica principale
consiste nell’essere fondata da un privato o da una corporazione) e la
produzione delle sue fonti giuridiche (FERME 77-78; FANTAPPIÈ 2011, 72-
77).

Le collezioni del diritto canonico di questo periodo (VI-VIII secolo) sono


caratterizzate dal particolarismo geografico e sono suddivise in base ad un Le Collezioni
dell’Alto
criterio territoriale (collezioni bizantine, collezioni africane, collezioni Medioevo

italiane, collezioni della Spagna visigotica, collezioni della Gallia


merovingica, collezioni insulari, libri penitenziali) (FERME 79-105; ERDÖ
44-60). Ciascuna di esse risente dell’influenza del regno barbarico di
riferimento e, in modo particolare, del rapporto che ciascun regno instaurò
con la chiesa locale: si passa da una buona produzione di collezioni di
diritto canonico nel Regno visigoto di Toledo (ad es. la Collectio
Hispana), favorita dalla conversione di re Recaredo al cattolicesimo nel
589 d.C., a una quasi totale assenza di produzione di fonti canoniche nel
territorio africano a causa delle persecuzioni dei Vandali e del successivo
sfruttamento economico-territoriale bizantino.

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Fonti del diritto particolarmente importanti di questo periodo sono i Libri
penitenziali (Paenitentiale Columbani, Paenitentiale Cummeani,
Paenitentiale Bedae). La novità del sistema della paenitentia taxata
I Libri
consiste nella sostituzione della penitenza pubblica, già in crisi nella
penitenziali
Chiesa latina per la sua rigidità e per i suoi problemi applicativi, con una
forma di penitenza comminata privatamente dal confessore al penitente
(GAUDEMET 307-309; ERDÖ 60-69). In ogni caso, il dato maggiormente
caratteristico di queste fonti del diritto è rappresentato dal loro valore
culturale. Infatti, di fronte al diritto laico coevo che conosceva la
composizione pecuniaria come unico progresso rispetto alla faida e ben
poco badava all’intenzionalità (caratteristica fondamentale nei
penitenziali), queste norme pur nella loro ingenuità, per cui talora un
peccato era punito con sanzioni qualitativamente e quantitativamente
diversissime per tempi e luoghi (digiuni, preghiere al freddo nel cuore
della notte, assunzione di sola acqua o cibi punitivi), rappresentano un
interessante modello alternativo rispetto agli ordinamenti giuridici civili
(MUSSELLI 30-32).

L’evoluzione del diritto canonico del primo millennio ha una sua tappa La Riforma
carolingia
importante nella Riforma carolingia. Il 25 dicembre dell’800 d.C. Papa
Leone III incoronò Carlo Magno e in un certo qual modo si determinò la
reviviscenza dell’Impero romano, il Sacro Romano Impero che vedrà la
persona dell’imperatore e del papa sostenersi reciprocamente per creare
un diritto canonico universale. Le collezioni di questo periodo sono
l’espressione di questo connubio fra l’autorità imperiale e quella spirituale
e spesso, ad esempio la Collectio Dionysio-Hadriana (774 d.C.), sono
dedicate dal papa all’imperatore (FERME 120-125; ERDÖ 76-78).
All’interno della Riforma carolingia altre due importanti fonti del diritto
canonico sono i Capitolari (Capitularia) e le cosiddette False collezioni. I
I Capitularia
primi (per es. i Capitularia Ansegisii dell’827 d.C.) sono collezioni di
norme giuridiche emanate da un organo legislativo misto, formato da

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nobili laici ed ecclesiastici, e contenenti norme di diritto canonico
(Capitularia ecclesiastica) e norme di diritto civile (Capitularia
mundana). Le False collezioni dell’epoca carolingia (Collectio Pseudo- Le False
Isidoriana, 847-852 d.C.), a differenza delle già menzionate Collezioni collezioni di
epoca
pseudo-apostoliche, sono collezioni di norme canoniche per la cui carolingia

compilazione l’autore compie una vera e propria opera di falsificazione


(per es. l’interpolazione, consistente nella manomissione di determinati
passi di un documento autentico). La loro redazione fu la conseguenza
dell’idea sviluppatasi principalmente verso la fine del Regno dei Franchi
secondo cui le norme del diritto canonico, per poter essere considerate
vincolanti, avrebbero dovuto essere promulgate da un’autorità
ecclesiastica avente poteri legisativi (FERME 130-143).

L’ultimo periodo che segna il primo millennio delle fonti giuridiche


La Riforma
dell’ordinamento canonico è quello della Riforma imperiale e della imperiale e
Gregoriana
strettamente connessa Riforma Gregoriana della Chiesa. Con l’espressione
Riforma imperiale si vuole fare riferimento ad un periodo storico (metà XI
secolo) nel quale l’imperatore (specialmente Enrico III, 1039-1056) aveva
l’obiettivo di controllare la Chiesa (FANTAPPIÈ 2011, 87-88; FERME 147-
153). Questo progetto in realtà provocò l’effetto contrario dal punto di
vista della produzione delle fonti del diritto canonico perché le collezioni
successive, soprattutto dal pontificato di Gregorio VII (dal quale prende
nome la Riforma conclusasi nel 1122 con il Concordato di Worms),
ebbero lo scopo di evidenziare l’autonomia della Chiesa dall’imperatore e
di sottolineare l’assoluta libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) rispetto
ai poteri laici (FANTAPPIÈ 2011, 89-101). Le collezioni canoniche di
questo periodo furono uno strumento della Riforma (ad es. il Dictatus
Papae del 1075) e mirarono alla moralizzazione del clero,
all’estromissione dell’imperatore nelle nomine episcopali e, infine, alla
concettualizzazione del principio della teocrazia pontificia (autorità

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assoluta del pontefice per meglio garantire una riorganizzazione
ecclesiastica in senso centralistico) (FERME 166-169).

3. DA GRAZIANO AL CONCILIO DI TRENTO

Durante il primo millennio, come abbiamo potuto brevemente osservare,


la Chiesa ha prodotto innumerevoli fonti giuridiche che se da una parte
dimostrano la grande effervescenza dell’ordinamento giuridico canonico,
dall’altra hanno comportato una moltiplicazione di norme molto spesso in
contraddizione l’una con l’altra. Per questo motivo, a cavallo fra i secoli
I precursori
XI e XII è possibile scorgere dei tentativi di armonizzazione delle norme del metodo
grazianeo
giuridiche discordanti da parte di canonisti quali Ivo di Chartres, Algero di
Liegi e Pietro Abelardo. Il vescovo di Chartres si occupò del problema dei
canoni discordanti nel prologo della sua opera dal titolo Panormia (1094-
1096), all’interno della quale delineò i princìpi fondamentali della
conciliazione fra testi in contrasto partendo dal presupposto che i testi
normativi avrebbero potuto anche essere diversi fra loro ma non
necessariamente in opposizione (diversi, sed non adversi) (ERDÖ 98-100;
FERME 184-189).

Il canonico della città di Liegi, invece, riprendendo il principio esposto da


Ivo, nell’opera De misericordia et iustitia (1095-1121) indicò il criterio da
utilizzare per l’armonizzazione dei canoni discordanti: la distinzione fra
iustitia (legge in senso stretto) e misericordia (dispensa). Inoltre, molto
spesso Algero accompagnò le norme giuridiche da lui indicate con brevi
commenti autografi. In questo modo è possibile individuare quel metodo
che sarà attribuito a Graziano ma che trova in questo canonista belga le
prime tracce: la distinzione, cioè, fra la norma giuridica inserita nel testo
(auctoritas) e il commento dell’autore (dictum) (ERDÖ 101-102). Pietro
Abelardo, infine, nel Sic et Non (1115-1117) riunì le regole per

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l’armonizzazione dei testi contrastanti e da queste ricava un prontuario per
la soluzione di questioni giuridiche pratiche (ERDÖ 102-103).

Se la fine del primo millennio si caratterizza per alcuni tentativi di


Graziano e la
armonizzazione di norme giuridiche canoniche in contrasto fra loro, il
Concordia
proseguio s’indirizza verso una vera e propria sistemazione delle fonti del discordantium
canonum
diritto canonico (in modo particolare le decretali pontificie che
sostituiscono i canoni conciliari dei primi secoli) in un arco temporale che
la storiografia definisce epoca del diritto canonico classico (GROSSI 2011,
7 ed., 55-56) o della formazione del Corpus iuris canonici (FERME 29). Il
merito di aver compiuto un’operazione organica in tal senso è senz’altro
attribuibile al monaco Graziano e alla sua opera Concordia discordantium
canonum, chiamata anche Decretum Gratiani e dalla maggior parte della
dottrina collocabile cronologicamente, almeno la sua seconda versione più
ampia rispetto alla prima, intorno al 1140 (ERDÖ 106-108).

L’Europa medievale nella quale vive e opera Graziano era caratterizzata


da una parte da una conoscenza frammentaria e parziale del diritto
romano, inserito nelle cosiddette leggi romano-barbariche e che solo dopo
Irnerio (1050-1125) sarà studiato con metodo scientifico. Dall’altra da uno
spostamento dell’offerta d’istruzione dal monastero ai centri urbani con la
conseguenza che l’istruzione non era più appannaggio delle famiglie
nobili ma era richiesta anche dal nascente ceto borghese operante nelle
città e in modo particolare dal mercante, soggetto caratterizzante la società
medievale del secondo millennio.

In questo clima socio-culturale e scientifico Graziano si pone l’obiettivo


di armonizzare, o meglio concordare, le norme canoniche (canoni) fra loro
discordanti (Concordia discordantium canonum significa, infatti,
concordia dei canoni discordanti) non accontentandosi, però, di
raccogliere e ordinare fonti del diritto ma stabilendo volontariamente

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alcune questioni giuridiche per risolverle mediante l’aiuto delle fonti
(auctoritates) e di suoi commenti personali (dicta) (ERDÖ 108-109).
L’importanza del Decreto di Graziano, comunque, non è riscontrabile
tanto nel metodo operativo, i cui tratti essenziali già si trovano nell’opera
di Algero di Liegi, quanto nella sua diffusione come manuale di studio nei
centri universitari più importanti (Bologna, Parigi, Oxford, Colonia) e
nella conseguente nascita di un filone di studio scientifico e accademico,
la Scuola decretistica, che aveva nell’opera di Graziano il principale
oggetto di studio.

Oltre all’opera di Graziano studiata e proposta dai Decretisti, l’attività


legislativa dei Romani pontefici (per mezzo delle lettere decretali) Le Collezioni
di decretali
divenne sempre più abbondante e questo determinò la fioritura di pontificie

importanti collezioni canoniche composte da decretali pontificie. Si pensi,


ad esempio, alla Collectio Parisiensis secunda (1179 ca.) e alle Quinque
compilationes antiquae, un gruppo di cinque collezioni di diritto canonico
contenenti le decretali pontificie del periodo compreso fra il 1187 e il
1226 (ERDÖ 115-119). Le collezioni di decretali pontificie, insieme al
Decreto di Graziano, divennero il materiale di studio dei centri
universitari italiani ed europei più importanti. Al tempo stesso, tutto
questo materiale provocò non poche difficoltà pratiche perché per la
soluzione di una questione giuridica si doveva consultare sia la Concordia
grazianea sia ciascuna delle collezioni di decretali.

A motivo di ciò, Papa Gregorio IX (1227-1241) nel 1234 promulgò una


La Collectio
nuova collezione di decretali pontificie contenente tutto il diritto canonico decretalium
(Liber extra o Collectio decretalium Gregorii IX) per la cui compilazione Gregorii IX

incaricò il canonista San Raimondo da Peñafort (1175-1275). A


dimostrazione dello stretto collegamento esistente fra l’attività legislativa
pontificia e il mondo accademico, la collezione fu inviata ai più importanti
centri universitari italiani ed europei. Proprio per evitare le difficoltà

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derivanti da una faticosa consultazione contemporanea del Decretum
Gratiani e delle Quinque compilationes antiquae, il Papa nel documento
di promulgazione stabilì che essa sarebbe stata ufficiale (mediante la
promulgazione ogni norma acquisiva valore di legge pontificia),
universale (tutte le norme, anche quelle originariamente di diritto
particolare, poiché inserite nella collezione acquistavano valore di legge
universale), unitaria (nessuna norma derogava un’altra per il solo fatto di
essere cronologicamente successiva), esclusiva (era consentito solo
l’utilizzo di questa collezione, oltre al Decretum Gratiani, per lo studio
del diritto canonico) (ERDÖ 120-123).

Le decretali pontificie continuarono a fiorire anche dopo l’opera di


Il Liber
Gregorio IX e fra i pontefici successivi il primo a raccogliere l’esigenza di sextus

mettere ordine nel grande numero di decretali promulgate dopo il 1234 fu


Bonifacio VIII (1294-1303). Egli incaricò un gruppo di giuristi
(Guglielmo da Mandagoto, Berengario Fredoli e Riccardo Petronio da
Siena) di produrre una nuova collezione di decretali (Liber sextus) che
promulgò con autorità pontificia nel 1298. Anche l’opera di Bonifacio
VIII, proprio come quella di Gregorio IX, era ufficiale, universale,
unitaria, esclusiva e fu inviata alle più importanti università (ERDÖ 125-
126).

Con lo stesso intento, Papa Clemente V (1305-1314) dispose la Le


Clementinae
compilazione di una nuova collezione di decretali (Clementinae)
promulgata nel 1317 dal suo successore Giovanni XXII (1316-1334). La
particolarità di questa collezione consiste nel fatto che a differenza delle
precedenti non è esclusiva. Ciò perché il Papa non volle né abrogare
numerosi documenti, in modo particolare quelli che richiamavano
l’attenzione sul primato del Papa (come la Bolla Unam Sanctam del
1302), né inserirli direttamente nella sua collezione (ERDÖ 126-127).

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Oltre al Decretum di Graziano, al Liber extra di Gregorio IX e al Liber
sextus di Bonifacio VIII, anche altre due collezioni private (Extravagantes
Iohannis XXII ed Extravagantes communes) fanno parte del monumento
giuridico delle fonti del diritto canonico nell’epoca classica, il Corpus Il Corpus
iuris
iuris canonici, la cui prima edizione vedrà la luce nel 1500-1503 per opera canonici
del canonista francese Jean Chappuis (ERDÖ 127-128). Sul termine
corpus, impiegato nel titolo dell’opera, è dato osservare che nel
documento pontificio che approvò l’edizione romana del 1582 esso era
usato per indicare il complessivo diritto universale della Chiesa.
Dall’edizione lionese del 1671, invece, l’espressione corpus iuris canonici
fu adoperata in senso puramente tecnico per indicare esclusivamente
l’insieme delle collezioni canoniche in esso contenute (Decretum
Gratiani, Liber extra, Liber sextus, Clementinae, Extravagantes Iohannis
XXII, Extravagantes communes) (ERDÖ 129).

Il Concilio di Trento (1545-1563), risposta della Chiesa alla Riforma


Il diritto
protestante, determinò un cambiamento sostanziale nella produzione del postridentino
diritto canonico. Comincia un periodo storico che si svolge in un arco
temporale compreso fra la conclusione dello stesso Concilio e l’inizio del
processo di codificazione del diritto della Chiesa, il Concilio Vaticano I
(1869-1870) (ERDÖ 137-149; FANTAPPIÈ 2011, 163-230; STICKLER 277-
370). L’Assise tridentina, per favorire al tempo stesso la tutela e la
diffusione della retta ortodossia cattolica, stabilì un accentramento dei
poteri nel papato e nella Curia romana (mediante l’incremento dell’attività
legislativa dei suoi dicasteri quali Congregazioni, Uffici e Tribunali) che
provocò notevoli conseguenze sulla produzione di collezioni canoniche
(GROSSI 2013, 9 ed., 213). Le più importanti fonti del diritto di questo
periodo saranno, infatti, i Bullari (la bulla è un documento pontificio),
come ad esempio il Magnum Bullarium Romanum (1733-1762), e le
collezioni di documenti degli organismi della Curia romana (ERDÖ 142).
Fra questi meritano di essere ricordati, ad esempio, l’Indice dei Libri

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proibiti (Index librorum prohibitorum), i Decreti della Sacra
Congregazione dei Riti (Decreta authentica Congregationis Sacrorum
Rituum), le Decisioni della Sacra Rota Romana (Sacrae Romanae Rotae
decisiones recentiores) e della Segnatura Apostolica (Decisiones Supremi
Tribunalis Signaturae Iustitiae) (STICKLER 318-370).

4. LA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO DELLA CHIESA

Durante il Concilio Vaticano I (1869-1870) emerse da più parti la


Il Concilio
necessità di un riordinamento delle fonti giuridiche moltiplicatesi dopo il Vaticano I e
le istanze
Concilio di Trento (decreti conciliari, atti pontifici, documenti degli
codificatorie
organismi della Curia romana) a causa di un’incertezza e farraginosità nel
loro utilizzo. Se alcuni si limitavano a chiedere una revisione del Corpus
iuris canonici o una nuova collezione più uniforme e di più facile
consultazione, altri identificavano il rimedio nella redazione di un codice
di tipo moderno caratterizzato da brevità, chiarezza, sistematicità,
completezza (sul modello di codici europei quali il Code civil des
Français del 1804 e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch austriaco del
1811). La sospensione del Concilio con la Lettera apostolica Postquam
Dei munere del 20 ottobre 1870 e gli urgenti problemi di carattere politico
che la cosiddetta questione romana pose alla Santa Sede (si fa riferimento
all’attacco dell’esercito italiano allo Stato pontificio il 20 settembre 1870,
per completare l’unità d’Italia, con la breccia nei pressi di Porta Pia),
fecero sì che il tema della codificazione venisse accantonato.

In ogni caso, il dato storicamente acquisito è che l’Assise ecumenica


aveva imposto il tema della codificazione del diritto della Chiesa
all’attenzione degli studiosi dell’epoca. Alcuni sostennero
entusiasticamente il progetto e per dimostrarne la realizzabilità
s’impegnarono in tentativi privati di codificazione (Colomiatti, Pezzani,

15
De Luise); altri sottolinearono la difficoltà di procedere ad una
codificazione del diritto della Chiesa mettendone in dubbio l’utilità e
l’opportunità (FANTAPPIÈ 2011, 259-262). Alla posizione della dottrina
Il Codex iuris
dell’epoca corrisponde quella della Curia romana: da una parte i cardinali, canonici del
1917
guidati dal Card. Gènnari, che sostenevano una riforma del diritto sul
modello delle codificazioni europee; dall’altra, quelli guidati dal Card.
Rampolla, che propendevano per un ammodernamento del Corpus iuris
canonici (FANTAPPIÈ 2008, II, 675). Nel pieno della disputa dottrinale e
curiale, Pio X con il Motu proprio Arduum Sane munus (19 marzo 1904)
si espresse a favore della riforma del diritto canonico mediante l’utilizzo
del codice. Il Codex iuris canonici, voluto, pensato e seguito nelle sue fasi
preparatorie da Pio X, fu però promulgato dal suo successore, Benedetto
XV, con la Costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia (27
maggio 1917) ed entrò in vigore il 19 maggio dell’anno successivo
(NACCI, Ephemerides iuris canonici, 87-101).

Il Codex iuris canonici, formato da cinque libri (Normae generales, De Le


caratteristiche
personis, De rebus, De processibus, De delictis et poenis), si presentava, del Codex del
1917
secondo quanto emergeva dalla costituzione di promulgazione, come una
fonte del diritto autentica (mediante promulgazione pontificia), universale
(le norme si applicavano a tutti i soggetti della Chiesa latina) ed esclusiva
(si abrogavano tutte le disposizioni normative e le consuetudini contrarie
al codice). Sul carattere dell’esclusività è doveroso specificare che con il
Codice (che si compone di canoni e non di articoli) non furono abrogati le
norme sulla disciplina della Chiesa cattolica orientale (can. 1), le norme
liturgiche (can. 2), le convenzioni della Sede apostolica con le Nazioni
(can. 3) e, come si specificherà poco più sotto, il diritto precedente alla
codificazione (can. 6) (FANTAPPIÈ 2011, 269).

La caratteristica più importante del Codice di diritto canonico,


differenziandosi così da qualsiasi altra codificazione europea, è

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riconducibile al suo essere strumento per aiutare l’uomo al
raggiungimento dello stesso fine ultimo della Chiesa, la salvezza eterna
delle anime. Un esempio del carattere strumentale del codice è il
paragrafo 2 del can. 2214, che si allontana da quel legalismo e formalismo
tipico delle codificazioni statali per dare spazio ad una concezione
pastorale del diritto canonico che lo vede improntato al raggiungimento
della salus aeterna animarum (GROSSI 2013, 250).

Facendo propria l’esperienza giuridica precedente, il codice porterà in sé


L’apertura al
ampie aperture nei confronti della fase pre-codiciale dimostrando di essere ‘passato’ del
Codex del
un valido esempio, unico nel suo genere, di cultura giuridica. In che 1917

modo? Riconoscendo nel can. 6, ad esempio, l’importanza della tradizione


giuridica precedente, il cosiddetto diritto antico (ius vetus), e dimostrando,
il legislatore canonico, una maggiore sensibilità rispetto a quello statuale,
che, al contrario, con il codice eliminò, in via generale, il patrimonio
giuridico preesistente (GROSSI 2013, 251). Ancora, in caso di lacuna della
legge (lacuna legis), nel can. 20 si previde la possibilità di utilizzare non
solo le forme d’interpretazione estensiva e analogica, ma anche i princìpi
generali del diritto, lo stile e la prassi della Curia romana e l’opinione
comune dei maestri.

Gli esempi di questi due canoni ci aiutano a delineare l’assoluta tipicità


della codificazione canonica; un codice che vuole essere formato da
norme chiare, generali e astratte ma che ha timore dei princìpi generali per
il fatto che essi potrebbero non garantire l’unicità del soggetto
dell’ordinamento canonico, ovvero il christifidelis alla ricerca della sua
salvezza eterna. Ecco che questi princìpi generali devono essere
costantemente commisurati con una fonte del diritto canonico che ne è
anche linfa vitale, l’equità canonica (aequitas canonica), la quale
costituisce lo strumento per evidenziare il particolare e fa risaltare il ruolo

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della scienza giuridica, altra preziosa fonte del diritto ed erede del diritto
comune medievale (ius commune) (GROSSI 2011, 7 ed., 216).

Il Codice pio-benedettino (così chiamato perché voluto da Pio X e


Il Codex iuris
promulgato da Benedetto XV) fu oggetto di revisione per volontà di Papa canonici del
1983
Giovanni XXIII che durante un discorso nel 1959 ne annunciò il proposito
insieme a quello di convocare un concilio ecumenico, il Concilio Vaticano
II (1962-1965). La caratteristica principale del nuovo Codice consiste
nell’aver raccolto, e inserito nei suoi sette libri (De normis generalibus,
De christifidelibus, De Ecclesiae munere docendi, De Ecclesiae munere
sanctificandi, De bonis Ecclesiae temporalibus, De sanctionibus in
Ecclesia, De processibus), i princìpi ecclesiologici emersi nel Concilio fra
cui spicca, ad esempio, la concezione della Chiesa come Popolo di Dio; il
legame tra Chiesa univerale e Chiese particolari; l’abolizione del principio
della superiorità del rito latino sugli altri riti (praestantia); il
rafforzamento della posizione dell’episcopato (riequilibrando il rapporto
fra primato papale e collegialità dei Vescovi); l’affermazione del principio
della libertà religiosa (FANTAPPIÈ 2011, 286-294). Dopo sessantasei anni
di vigenza del codice pio-benedettino, il nuovo codice fu promulgato da
Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983 con la Costituzione apostolica
Sacrae Disciplinae Leges ed entrò in vigore il 17 novembre dello stesso
anno.

Il Codice di diritto canonico del 1983, come peraltro quello del 1917,
Un Codice
riguarda soltanto la Chiesa latina. Si tratta allora di vedere brevemente le per le Chiese
cattoliche
principali tappe che hanno portato le Chiese cattoliche orientali alla orientali
formazione di un codice unitario (SALACHAS 45-54). La codificazione del
diritto canonico orientale trova le sue origini ancor prima della data che
molti testi indicano come momento iniziale del processo codificatorio
(Concilio Vaticano I, 1869-1870). Infatti, già l’anno precedente
all’indizione dell’Assise conciliare, in occasione del VI Congresso della

18
Commissione delle Missioni e Chiese orientali preparatoria al Concilio,
alcuni consultori espressero la necessità che la Chiesa orientale si dotasse
di un codice di diritto canonico autorevole, unitario ed in armonia con le
circostanze di tempo e di luogo. A questo evento se ne aggiunsero altri
due: l’incarico dato da Pio IX al benedettino Pitra, nel 1858, di raccogliere
i canoni e le fonti orientali in un’opera completa ed organica (Iuris
ecclesiastici graecorum historia et monumenta, 1864-1868) e la
manifestazione di volontà dello stesso Papa, in occasione dell’erezione
della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di rito orientale
(1862), di riordinare le fonti del diritto canonico dell’Oriente cristiano.

Nel 1929 Pio XI, dopo aver consultato i membri della gerarchia
ecclesiastica orientale, istituì una Commissione cardinalizia per gli studi
preparatori della codificazione canonica orientale che nel 1935 trasformò
in Pontificia Commissione per la redazione del Codice di diritto canonico
La
orientale. La Commissione lavorò alacremente sulle bozze del codice fino codificazione
parziale (1949-
al 1944 e il testo completo – formato da ben 2666 canoni – fu oggetto di 1957)
una complessa Adunanza Plenaria terminata il 21 gennaio 1948. I lavori di
codificazione giunsero ad un risultato parziale con la promulgazione dei
canoni riguardanti il matrimonio (Motu proprio Crebrae allatae sunt, 22
febbraio 1949); il diritto processuale (Motu proprio Sollicitudinem
nostram, 6 gennaio 1950); i religiosi, i beni ecclesistici e il significato
delle parole (Motu proprio Postquam Apostolicis Litteris, 9 febbraio
1952); i riti orientali e le persone (Motu proprio Cleri sanctitati, 2 giugno
1957).

Le difficoltà del processo di codificazione del diritto orientale, derivate da


Il Decreto
una parte dalle diversità dei riti e dall’altra dalla necessità di Orientalium
Ecclesiarum
salvaguardarne l’unicità, furono superate con il Concilio Vaticano II e in
modo particolare grazie al Decreto Orientalium Ecclesiarum (21
novembre 1964) che offriva le linee guida per il rinnovamento e il

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ripristino delle tradizioni orientali evitando, al contempo, una loro
‘latinizzazione’ (SALACHAS 45). Nel 1972 Paolo VI creò la Pontificia
Commissione per la revisione del Codice di diritto canonico orientale
sostituendola a quella creata da Pio XI nel 1935. La Commissione, avendo
ben presente le istanze emerse nel Concilio Vaticano II in tema di Chiese
orientali, durante l’Assemblea plenaria del 18-23 novembre 1974 approvò
alcuni princìpi direttivi da utilizzarsi per l’opera di revisione del codice
orientale.

Secondo queste linee guida il codice avrebbe dovuto essere unico per tutte Il Codex
le Chiese orientali cattoliche; avrebbe dovuto avere un’impronta Canonum
Ecclesiarium
autenticamente orientale; non avrebbe potuto mancare di essere realmente Orientalium
del 1990
ecumenico; avrebbe dovuto mantenere un’indole strettamente giuridica
ma al tempo stesso avere un carattere pastorale e, infine, avrebbe dovuto
dare ampio spazio al principio della sussidiarietà intesa come
valorizzazione del diritto particolare (SALACHAS 50-53). Dopo più di
mezzo secolo di lavori il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Codex
Canonum Ecclesiarium Orientalium), composto da titoli (come le antiche
collezioni canoniche bizantine) anziché da libri (come il Codice di diritto
canonico della Chiesa latina) e intriso dei suddetti princìpi conciliari, fu
promulgato da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990 con la Costituzione
apostolica Sacri Canones ed entrò in vigore il primo ottobre 1991.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

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digestus Benedicti Papae XV auctoritate promulgatus, in AAS, IX (1917),
11-456.
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20
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PP. II promulgatus, in AAS, LXXV (1983), 1-317.
IOANNES PAULUS PP. II, Codex canonum Ecclesiarum orientalium
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1033-1363.

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MATTEO NACCI

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