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fonti giuridiche
en M.J. Arroba Conde (cur.), Manuale di diritto canonico, Lateran University
Press, Città del Vaticano 2014, 29-42
INTRODUZIONE
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l’epoca delle grandi codificazioni del diritto della Chiesa (ius
codificatum): dal primo Codice di diritto canonico per la Chiesa latina
promulgato da Benedetto XV nel 1917, abrogato con l’entrata in vigore
del vigente codice emanato da Giovanni Paolo II nel 1983, al Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali del 1990 (FERME 29-30; ERDÖ 14-16;
STICKLER 6-7). Altri autori, invece, tracciano l’evoluzione storica del
diritto della Chiesa sulla base dei sistemi del diritto canonico (SASTRE
SANTOS) oppure pongono in rilievo i momenti di svolta: la genesi e i
primi sviluppi del diritto della Chiesa durante il primo millennio; la
sistemazione del diritto canonico nel momento della cosiddetta
edificazione del diritto canonico classico; la codificazione del diritto
canonico (GROSSI 2011, 6 ed., 109-123, 203-222; GROSSI 2011, 7 ed., 33-
36, 55-56, 213-216).
Questo ragionamento non vale per l’ordinamento giuridico canonico Fonte del
diritto e
all’interno del quale le fonti di rango più elevato sono riconducibili a ordinamento
canonico
norme di Diritto divino (Ius divinum) desumibili dalla Sacra Scrittura e
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dalla Sacra Tradizione. Da queste, e mai contraddicendole, derivano le
norme prodotte dagli organi legislativi ecclesiastici (Ius humanum).
Proviamo a esemplificare il discorso mediante un ausilio grafico.
NATURALE
IUS DIVINUM
POSITIVUM
IUS CANONICUM
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Tutto ciò premesso sul concetto di fonte nell’ordinamento giuridico
Le tipologie
canonico, è dato osservare che esistono due grandi tipologie di fonti di fonti
giuridiche
giuridiche: le fonti genetiche, qualificabili come fattori sociali produttori
di diritto (ad es. il legislatore e, per la produzione di norme di tipo
consuetudinario, la comunità), e le fonti gnoseologiche, intese come
prodotti scientifici che ci permettono di conoscere il contenuto della
norma. All’interno di quest’ultimo tipo di fonti si distinguono, ancora, le
fonti primarie, che riportano direttamente il contenuto della norma (per es.
canoni, leggi, decreti, costituzioni, lettere apostoliche, motu proprio), dalle
fonti secondarie che permettono di conoscere il contenuto della norma in
modo indiretto mediante documenti che ne forniscono notizia (per es. atti
processuali, documenti amministrativi) (FERME 25-26).
Le fonti del diritto canonico, inserite per lo più in opere unitarie chiamate
Le collezioni
collezioni, possono essere suddivise secondo molteplici criteri. In base al del diritto
canonico
legislatore possiamo trovare collezioni di diritto divino (composte da
norme di tipo giuridico rinvenibili nella Sacra Scrittura) e collezioni di
diritto ecclesiastico (decretali, canoni conciliari, nomocanoni, concordati).
In base al grado di estensione della norma, a seconda che si consideri
l’aspetto territoriale o personale, abbiamo, rispettivamente, collezioni di
diritto particolare e universale oppure collezioni generali e speciali. In
base al criterio della cosiddetta genuinità storica si possono riscontrare
collezioni genuine o collezioni false (per il contenuto o per l’autore). In
base al modus operandi dell’autore della collezione si possono distinguere
le collezioni cronologiche (che riportano le fonti secondo un criterio
temporale) da quelle sistematiche (che invece seguono una composizione
per materia). In base all’autorità giuridica si possono avere collezioni
private (prodotte da privati e non promulgate dall’autorità ecclesiastica),
collezioni autentiche (promulgate o approvate dall’autorità ecclesiastica),
collezioni usu receptae (private ma recepite dalla prassi amministrativa
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e/o giudiziaria). In base al criterio della periodizzazione storica, infine, è
possibile individuare l’epoca del diritto canonico precedente a Graziano
(secc. I-XII), del diritto canonico classico (1140-1563), del diritto
canonico postridentino (1563-1869), delle grandi codificazioni del diritto
della Chiesa latina (1917 e 1983) e orientale (1990) (FERME 26-30;
STICKLER 4-8).
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che consentì a tutti i sudditi dell’Impero romano di professare liberamente
la propria religione abrogando, in pari tempo, le disposizioni persecutorie
nei confronti dei cristiani. In secondo luogo al Concilio di Nicea (325
d.C.), nel quale fu precisato il testo della professione di fede cristiana
(sostanzialmente immutato fino ad oggi). Infine, degno di nota è l’Editto
Cunctos populos (380 d.C.), dell’imperatore Teodosio I, per mezzo del
quale il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero romano.
Dopo questi eventi si assiste ad una compenetrazione, almeno iniziale, fra
il diritto romano e il nascente diritto canonico. Da una parte il diritto
canonico ha recepito le categorie giuridiche del diritto romano e le ha
utilizzate per la costruzione del proprio diritto e dall’altra il diritto
romano, o meglio le autorità legislative civili del mondo romano, hanno
prodotto leggi che sono state successivamente recuperate dal diritto
canonico (per es. il Codex Theodosianus, promulgato nel 438 d.C.
dall’imperatore Teodosio II, e il Corpus Iuris Civilis, promulgato fra il
528 e il 533 d.C. dall’imperatore bizantino Giustiniano).
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dell’Impero e le popolazioni germaniche si trovarono a dover convivere
non solo con il popolo romano conquistato ma anche con la chiesa locale
che dal IV secolo, in modo particolare dopo il 313 d.C., stava
Le invasioni
consolidando una propria struttura. Le differenze culturali e sociali dei
barbariche
popoli conquistatori fra loro (Unni, Visigoti, Burgundi) e, ancora di più, del V secolo
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Fonti del diritto particolarmente importanti di questo periodo sono i Libri
penitenziali (Paenitentiale Columbani, Paenitentiale Cummeani,
Paenitentiale Bedae). La novità del sistema della paenitentia taxata
I Libri
consiste nella sostituzione della penitenza pubblica, già in crisi nella
penitenziali
Chiesa latina per la sua rigidità e per i suoi problemi applicativi, con una
forma di penitenza comminata privatamente dal confessore al penitente
(GAUDEMET 307-309; ERDÖ 60-69). In ogni caso, il dato maggiormente
caratteristico di queste fonti del diritto è rappresentato dal loro valore
culturale. Infatti, di fronte al diritto laico coevo che conosceva la
composizione pecuniaria come unico progresso rispetto alla faida e ben
poco badava all’intenzionalità (caratteristica fondamentale nei
penitenziali), queste norme pur nella loro ingenuità, per cui talora un
peccato era punito con sanzioni qualitativamente e quantitativamente
diversissime per tempi e luoghi (digiuni, preghiere al freddo nel cuore
della notte, assunzione di sola acqua o cibi punitivi), rappresentano un
interessante modello alternativo rispetto agli ordinamenti giuridici civili
(MUSSELLI 30-32).
L’evoluzione del diritto canonico del primo millennio ha una sua tappa La Riforma
carolingia
importante nella Riforma carolingia. Il 25 dicembre dell’800 d.C. Papa
Leone III incoronò Carlo Magno e in un certo qual modo si determinò la
reviviscenza dell’Impero romano, il Sacro Romano Impero che vedrà la
persona dell’imperatore e del papa sostenersi reciprocamente per creare
un diritto canonico universale. Le collezioni di questo periodo sono
l’espressione di questo connubio fra l’autorità imperiale e quella spirituale
e spesso, ad esempio la Collectio Dionysio-Hadriana (774 d.C.), sono
dedicate dal papa all’imperatore (FERME 120-125; ERDÖ 76-78).
All’interno della Riforma carolingia altre due importanti fonti del diritto
canonico sono i Capitolari (Capitularia) e le cosiddette False collezioni. I
I Capitularia
primi (per es. i Capitularia Ansegisii dell’827 d.C.) sono collezioni di
norme giuridiche emanate da un organo legislativo misto, formato da
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nobili laici ed ecclesiastici, e contenenti norme di diritto canonico
(Capitularia ecclesiastica) e norme di diritto civile (Capitularia
mundana). Le False collezioni dell’epoca carolingia (Collectio Pseudo- Le False
Isidoriana, 847-852 d.C.), a differenza delle già menzionate Collezioni collezioni di
epoca
pseudo-apostoliche, sono collezioni di norme canoniche per la cui carolingia
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assoluta del pontefice per meglio garantire una riorganizzazione
ecclesiastica in senso centralistico) (FERME 166-169).
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l’armonizzazione dei testi contrastanti e da queste ricava un prontuario per
la soluzione di questioni giuridiche pratiche (ERDÖ 102-103).
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alcune questioni giuridiche per risolverle mediante l’aiuto delle fonti
(auctoritates) e di suoi commenti personali (dicta) (ERDÖ 108-109).
L’importanza del Decreto di Graziano, comunque, non è riscontrabile
tanto nel metodo operativo, i cui tratti essenziali già si trovano nell’opera
di Algero di Liegi, quanto nella sua diffusione come manuale di studio nei
centri universitari più importanti (Bologna, Parigi, Oxford, Colonia) e
nella conseguente nascita di un filone di studio scientifico e accademico,
la Scuola decretistica, che aveva nell’opera di Graziano il principale
oggetto di studio.
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derivanti da una faticosa consultazione contemporanea del Decretum
Gratiani e delle Quinque compilationes antiquae, il Papa nel documento
di promulgazione stabilì che essa sarebbe stata ufficiale (mediante la
promulgazione ogni norma acquisiva valore di legge pontificia),
universale (tutte le norme, anche quelle originariamente di diritto
particolare, poiché inserite nella collezione acquistavano valore di legge
universale), unitaria (nessuna norma derogava un’altra per il solo fatto di
essere cronologicamente successiva), esclusiva (era consentito solo
l’utilizzo di questa collezione, oltre al Decretum Gratiani, per lo studio
del diritto canonico) (ERDÖ 120-123).
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Oltre al Decretum di Graziano, al Liber extra di Gregorio IX e al Liber
sextus di Bonifacio VIII, anche altre due collezioni private (Extravagantes
Iohannis XXII ed Extravagantes communes) fanno parte del monumento
giuridico delle fonti del diritto canonico nell’epoca classica, il Corpus Il Corpus
iuris
iuris canonici, la cui prima edizione vedrà la luce nel 1500-1503 per opera canonici
del canonista francese Jean Chappuis (ERDÖ 127-128). Sul termine
corpus, impiegato nel titolo dell’opera, è dato osservare che nel
documento pontificio che approvò l’edizione romana del 1582 esso era
usato per indicare il complessivo diritto universale della Chiesa.
Dall’edizione lionese del 1671, invece, l’espressione corpus iuris canonici
fu adoperata in senso puramente tecnico per indicare esclusivamente
l’insieme delle collezioni canoniche in esso contenute (Decretum
Gratiani, Liber extra, Liber sextus, Clementinae, Extravagantes Iohannis
XXII, Extravagantes communes) (ERDÖ 129).
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proibiti (Index librorum prohibitorum), i Decreti della Sacra
Congregazione dei Riti (Decreta authentica Congregationis Sacrorum
Rituum), le Decisioni della Sacra Rota Romana (Sacrae Romanae Rotae
decisiones recentiores) e della Segnatura Apostolica (Decisiones Supremi
Tribunalis Signaturae Iustitiae) (STICKLER 318-370).
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De Luise); altri sottolinearono la difficoltà di procedere ad una
codificazione del diritto della Chiesa mettendone in dubbio l’utilità e
l’opportunità (FANTAPPIÈ 2011, 259-262). Alla posizione della dottrina
Il Codex iuris
dell’epoca corrisponde quella della Curia romana: da una parte i cardinali, canonici del
1917
guidati dal Card. Gènnari, che sostenevano una riforma del diritto sul
modello delle codificazioni europee; dall’altra, quelli guidati dal Card.
Rampolla, che propendevano per un ammodernamento del Corpus iuris
canonici (FANTAPPIÈ 2008, II, 675). Nel pieno della disputa dottrinale e
curiale, Pio X con il Motu proprio Arduum Sane munus (19 marzo 1904)
si espresse a favore della riforma del diritto canonico mediante l’utilizzo
del codice. Il Codex iuris canonici, voluto, pensato e seguito nelle sue fasi
preparatorie da Pio X, fu però promulgato dal suo successore, Benedetto
XV, con la Costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia (27
maggio 1917) ed entrò in vigore il 19 maggio dell’anno successivo
(NACCI, Ephemerides iuris canonici, 87-101).
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riconducibile al suo essere strumento per aiutare l’uomo al
raggiungimento dello stesso fine ultimo della Chiesa, la salvezza eterna
delle anime. Un esempio del carattere strumentale del codice è il
paragrafo 2 del can. 2214, che si allontana da quel legalismo e formalismo
tipico delle codificazioni statali per dare spazio ad una concezione
pastorale del diritto canonico che lo vede improntato al raggiungimento
della salus aeterna animarum (GROSSI 2013, 250).
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della scienza giuridica, altra preziosa fonte del diritto ed erede del diritto
comune medievale (ius commune) (GROSSI 2011, 7 ed., 216).
Il Codice di diritto canonico del 1983, come peraltro quello del 1917,
Un Codice
riguarda soltanto la Chiesa latina. Si tratta allora di vedere brevemente le per le Chiese
cattoliche
principali tappe che hanno portato le Chiese cattoliche orientali alla orientali
formazione di un codice unitario (SALACHAS 45-54). La codificazione del
diritto canonico orientale trova le sue origini ancor prima della data che
molti testi indicano come momento iniziale del processo codificatorio
(Concilio Vaticano I, 1869-1870). Infatti, già l’anno precedente
all’indizione dell’Assise conciliare, in occasione del VI Congresso della
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Commissione delle Missioni e Chiese orientali preparatoria al Concilio,
alcuni consultori espressero la necessità che la Chiesa orientale si dotasse
di un codice di diritto canonico autorevole, unitario ed in armonia con le
circostanze di tempo e di luogo. A questo evento se ne aggiunsero altri
due: l’incarico dato da Pio IX al benedettino Pitra, nel 1858, di raccogliere
i canoni e le fonti orientali in un’opera completa ed organica (Iuris
ecclesiastici graecorum historia et monumenta, 1864-1868) e la
manifestazione di volontà dello stesso Papa, in occasione dell’erezione
della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di rito orientale
(1862), di riordinare le fonti del diritto canonico dell’Oriente cristiano.
Nel 1929 Pio XI, dopo aver consultato i membri della gerarchia
ecclesiastica orientale, istituì una Commissione cardinalizia per gli studi
preparatori della codificazione canonica orientale che nel 1935 trasformò
in Pontificia Commissione per la redazione del Codice di diritto canonico
La
orientale. La Commissione lavorò alacremente sulle bozze del codice fino codificazione
parziale (1949-
al 1944 e il testo completo – formato da ben 2666 canoni – fu oggetto di 1957)
una complessa Adunanza Plenaria terminata il 21 gennaio 1948. I lavori di
codificazione giunsero ad un risultato parziale con la promulgazione dei
canoni riguardanti il matrimonio (Motu proprio Crebrae allatae sunt, 22
febbraio 1949); il diritto processuale (Motu proprio Sollicitudinem
nostram, 6 gennaio 1950); i religiosi, i beni ecclesistici e il significato
delle parole (Motu proprio Postquam Apostolicis Litteris, 9 febbraio
1952); i riti orientali e le persone (Motu proprio Cleri sanctitati, 2 giugno
1957).
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ripristino delle tradizioni orientali evitando, al contempo, una loro
‘latinizzazione’ (SALACHAS 45). Nel 1972 Paolo VI creò la Pontificia
Commissione per la revisione del Codice di diritto canonico orientale
sostituendola a quella creata da Pio XI nel 1935. La Commissione, avendo
ben presente le istanze emerse nel Concilio Vaticano II in tema di Chiese
orientali, durante l’Assemblea plenaria del 18-23 novembre 1974 approvò
alcuni princìpi direttivi da utilizzarsi per l’opera di revisione del codice
orientale.
Secondo queste linee guida il codice avrebbe dovuto essere unico per tutte Il Codex
le Chiese orientali cattoliche; avrebbe dovuto avere un’impronta Canonum
Ecclesiarium
autenticamente orientale; non avrebbe potuto mancare di essere realmente Orientalium
del 1990
ecumenico; avrebbe dovuto mantenere un’indole strettamente giuridica
ma al tempo stesso avere un carattere pastorale e, infine, avrebbe dovuto
dare ampio spazio al principio della sussidiarietà intesa come
valorizzazione del diritto particolare (SALACHAS 50-53). Dopo più di
mezzo secolo di lavori il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Codex
Canonum Ecclesiarium Orientalium), composto da titoli (come le antiche
collezioni canoniche bizantine) anziché da libri (come il Codice di diritto
canonico della Chiesa latina) e intriso dei suddetti princìpi conciliari, fu
promulgato da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990 con la Costituzione
apostolica Sacri Canones ed entrò in vigore il primo ottobre 1991.
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MATTEO NACCI
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