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Trascorrere del tempo,


certezza del diritto e buona fede:
la prescrizione
di Carlo Redaelli

Il Titolo decimo del Libro I del Codice di diritto canonico è de-


dicato alla «prescrizione». In modo molto sintetico, e facendo riferi-
mento al primo canone di questo Titolo (c. 197), si può definire la
prescrizione come il modo di acquistare o di perdere un diritto sog-
gettivo (ad es. la proprietà di un immobile) e di liberarsi da determi-
nati obblighi (ad es. un debito), decorso un certo tempo (ad es. 10 o
20 anni) e rispettate le specifiche disposizioni di legge (presenza di
un «titolo », «buona fede», ecc.).
Può sembrare una tematica molto marginale nell’ambito del di-
ritto della Chiesa - il Titolo stesso del CIC è composto solo da tre
canoni (cc. 197-199) - e comunque molto tecnica. Se però ci si ac-
costa con un po’ di attenzione a questo istituto canonistico, ci si ren-
de conto - senza volerne enfatizzare l’importanza - che è uno dei
luoghi dove emerge con evidenza la specificità e l’originalità del di-
ritto della Chiesa. Merita pertanto di essere studiato e approfondito.
Presentiamo quindi anzitutto la normativa del Codice attuale, tenen-
do naturalmente presente il CIC del 1917, per poi accennare alla
prescrizione nel diritto italiano (n.b.: è diritto che per la Chiesa ita-
liana ha valore «canonico» afferma, infatti, il c. 197: «La prescrizio-
ne [...] è recepita dalla Chiesa quale si trova nella legislazione civile
della rispettiva nazione» e concludere con alcune riflessioni sulla
specificità del diritto della Chiesa in questo ambito.

1. La prescrizione nel Codice vigente


La presenza nel Libro I del Codice di diritto canonico di un Ti-
tolo, il decimo, dedicato alla «prescrizione» è una delle novità della
226 Carlo Redaelli

recente riforma codiciale. Una novità che non ha bisogno di molte


giustificazioni soprattutto se si tiene conto della scelta di riunire nel
Libro sulle norme generali tutte le disposizioni appunto di carattere
generale, che nel CIC del 1917 erano disperse in varie parti. Tra le
disposizioni di questo tipo, la Commissione di riforma individuò an-
che le norme circa la prescrizione, dal momento che tale istituto non
si riferisce solo all’acquisizione dei beni, ma ha un’applicazione ben
più vasta .
1

Già nel Codice del 1917, pur non esistendo una trattazione del-
la prescrizione nel primo Libro, si parlava di essa non solo a propo-
sito dei beni temporali (cc. 1508-1512) ma anche in relazione ai
privilegi (cc. 63, par. 1 e 76), allo «ius patronatus» (c. 1470, par. 1,
n. 3) ai benefici (c. 1446) al delitto (c. 2233, par. 1), all’estinzione
delle azioni (cc. 1701-l 705; 2222, par. 2 e 2240) e, infine, in rappor-
to alla citazione processuale (c. 1725, par. 4). Chiara però appariva
la non coerenza del Codice piano benedettino nel dare i principi ge-
nerali sulla prescrizione nella trattazione circa i beni temporali per
poi applicarli, già in quella sede, a beni o diritti di natura totalmente
diversa . Il nuovo Codice tenta di ovviare a questa incoerenza, non
2

però esaurendo la trattazione sulla prescrizione nel nuovo Titolo del


Libro I ad essa dedicato, quanto piuttosto trasferendovi, togliendoli
dalla parte relativa ai beni, tre canoni contenenti i principi generali
circa la prescrizione canonica . Sono i canoni 1508, 1509 e 1512 di-
3

ventati rispettivamente i nuovi canoni 197, 199 e 198.


Il c. 197 dopo aver dato una generica definizione della prescri-
zione, stabilisce il principio fondamentale in materia: la Chiesa rece-
pisce la prescrizione così come è regolata dalle diverse legislazioni
civili «salve le eccezioni stabilite nei canoni di questo Codice» . I
4

due canoni seguenti determinano due di queste eccezioni di caratte-


re generale. La prima, contenuta nel c. 198, riguarda la modalità at-
traverso cui si realizza la prescrizione: solo se vi è buona fede per
tutto il tempo, stabilito dalla legge, può esserci la prescrizione cano-
nica e ciò anche se le locali disposizioni civili non richiedono la buo-
na fede o la esigono solo all’inizio.

1
Communicationes, 9 (1977) 231, 236, 270.
2
Il c. 1509, infatti, elencava tra le realtà non soggette a prescrizione anche «quae sunt iuris
divini sive naturalis sive positivi», gli «iura spiritualia, quorum laici non sunt capaces», ecc.
3
Cf Communicationes, 9 (1977) 236.
4
Si osservi il più corretto riferimento ai canoni di tutto il Codice e non solo ai canoni se-
guenti, come stabiliva il canone parallelo del 1917.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 227

C’è però una deroga alla necessità della buona fede: è quella
del c. 1362 che prevede, almeno come regola generale , l’estinzione
5

dell’azione criminale nel termine di tre anni. In tal caso non è richie-
sta la buona fede; il reo quindi, pur consapevole di aver commesso
un delitto, non è tenuto ad autodenunciarsi o, comunque, a far met-
tere in moto un procedimento penale contro se stesso, e può quindi
lasciar trascorrere i tre anni necessari all’estinzione dell’azione cri-
minale.
Il c. 199 stabilisce poi un’altra eccezione al rimando al diritto
statale: essa riguarda l’oggetto della prescrizione. Il canone elenca
infatti sette casi non soggetti a prescrizione:
«1º i diritti e gli obblighi che sono di legge divina naturale o
positiva;
2º i diritti che si possono ottenere solo per privilegio apostolico;
3º i diritti e gli obblighi che riguardano direttamente la vita
spirituale dei fedeli;
4º i confini certi e indubitabili delle circoscrizioni ecclesia-
stiche;
5º le elemosine e gli oneri delle Messe;
6º la provvisione dell’ufficio ecclesiastico che a norma del di-
ritto richiede l’esercizio dell’ordine sacro;
7º il diritto di visita e l’obbligo di obbedienza, quasi che i fedeli
non possano essere visitati da nessuna autorità ecclesiastica e non
siano più soggetti ad alcuna autorità».
Sono sostanzialmente i casi già elencati nel vecchio c. 1509, ma
espressi più accuratamente e con le due sole modifiche dell’abolizio-
ne dell’ottavo caso concernente il «cathedraticum», cioè la tassa ver-
sata in segno di soggezione al Vescovo (cf c. 1504) - non più esigito
nel nuovo Codice - e della trasformazione del sesto caso, riferito
6
ora all’ufficio ecclesiastico e non più al beneficio .
Non tutti i sette casi sono di facile esemplificazione. Ricordia-
mo alcuni esempi solitamente dati dagli studiosi, in riferimento ai
primi tre: 1º il primato del Papa, i diritti e i doveri dei coniugi; 2º le

5
Fanno eccezione i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, per i quali
non si dà perciò alcuna prescrizione; inoltre per tre specie di delitti il termine è elevato a
cinque anni, cioè l’attentato al matrimonio anche solo civile del chierico o del religioso (c.
1394), i delitti contro il sesto comandamento (c. 1395) e i delitti contro la vita e la libertà
umana (c. 1397); infine possono fare eccezione eventuali altri delitti puniti dal solo diritto
particolare, che può stabilire anche dei termini diversi per la prescrizione della corrispon-
dente azione criminale.
6
Anche il 3º caso può essere considerato come modificato: riguarda ancora i diritti spirituali,
ma in generale e non più in rapporto con la capacità dei laici.
228 Carlo Redaelli

onorificenze pontificie, la facoltà di dispensare nei casi riservati alla


S. Sede; 3º i diritti dei fedeli elencati nei canoni 208 e seguenti e i
doveri non di diritto divino - altrimenti si ricadrebbe nel primo caso
- (ad esempio il dovere di assistenza alla Messa domenicale).
Oltre che nei tre canoni, che qui abbiamo brevemente presenta-
to, il nuovo Codice dà delle norme sulla prescrizione in altri nove ca-
noni, che riprendono generalmente in modo più sintetico e preciso
quanto già stabilito nel Codice precedente.
Li ricordiamo brevemente, tenendo sempre conto che per tutti
questi casi valgono i principi enunciati nei canoni 197-199, soprat-
tutto il requisito della buona fede (c. 198) e quello del rimando al
diritto civile, salvo le eccezioni (c. 197). I canoni che stiamo per esa-
minare rientrano tra queste «eccezioni».
C’è anzitutto la norma circa il privilegio che cessa e solo per
prescrizione, se «ritorna in gravame di altri» (c. 82). La prescrizione
in questo caso si riferisce a chi è gravato di obblighi in favore di un
«privilegiato»; se è in buona fede per tutto il tempo, richiesto nel ca-
so concreto dalla legge civile, in cui il soggetto del «privilegio» non
usa e non urge il proprio diritto, egli si trova liberato definitivamente
dai propri obblighi .
7

I canoni 1268-1270 del Libro V trattano invece della prescrizio-


ne riferita ai beni temporali. Il primo canone non fa che rimandare
alle disposizioni delle Norme generali e per sé non sarebbe stato ne-
cessario. Il canone 1269, parallelo al c. 1510 del 1917, limita per i
privati la possibilità di acquisto per prescrizione degli «oggetti sacri»
a quelli soli tra essi che erano originariamente di proprietà di priva-
ti; se invece erano di proprietà di una persona giuridica pubblica, la
prescrizione è possibile solo da parte di un’altra persona giuridica
pubblica.
Infine, il canone 1270 stabilisce delle eccezioni al rimando al
diritto civile - si ricordi il c. 197 - in relazione al tempo necessario
per la prescrizione: cent’anni per quanto di proprietà della S. Sede,
trenta per ciò che appartiene ad un’altra persona giuridica pubbli-
ca! Al c. 1362, riguardante l’azione criminale, si è appena accenna-

7
Il c. 82 corrisponde al c. 76 del Codice del 1917; non viene invece ripreso il c. 63, par. 1.
Esso contemplava la possibilità di acquisizione di un privilegio anche per prescrizione; ma la
Commissione di riforma, precisando e restringendo volutamente la nozione di «privilegio»,
ha chiarito che la prescrizione riguarda l’acquisizione di diritti soggettivi, che solo in senso
lato e analogicamente possono definirsi privilegi, e non l’acquisizione dei privilegi in senso
stretto, concessi solo tramite atto peculiare (cf Communicationes, 3 [1971] 88-89).
8
Il canone è parallelo al precedente c. 1511. Sembra meno preciso, però, il riferimento non
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 229

to come esplicita eccezione al principio della buona fede. Il c. 1363,


riguardante l’azione di esecuzione della pena, assume gli stessi ter-
mini di tempo del c. 1362. È ovvio che anche in questo caso non sia
richiesta la buona fede . C’è un cenno alla prescrizione dell’azione
9

penale anche nel c. 1344, n. 3.


Sempre in riferimento alle azioni, prese questa volta in genera-
le, il c. 1492, par. 1, ribadisce la possibilità della loro estinzione per
prescrizione, ad eccezione di quelle «sullo stato delle persone», co-
me già prevedeva il c. 1701 del Codice del 1917.
Ultimo accenno alla prescrizione presente nel nuovo Codice è
quello riguardante la citazione o la presenza delle parti davanti al
giudice, che ha come effetto anche quello di interrompere la pre-
scrizione (c. 1512, n. 4; cf 1725, n. 4 del Codice piano benedet-
tino) .
10

2. La prescrizione nel diritto italiano


Il c. 197 con il rinvio alla legislazione civile in materia di pre-
scrizione di ogni singola nazione, costituisce un’applicazione del c.
22, che prevede in generale la possibilità di «canonizzazione» della
legge civile. Occorre, pertanto, conoscere le disposizioni di essa - in
concreto, per la Chiesa che è in Italia, quelle dell’ordinamento italia-
no - che hanno pieno valore canonico « [...] in quanto non siano
contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altri-
menti» (c. 22).

solo alle «cose immobili» e a quelle «mobili preziose», ma anche ai «diritti e le azioni sia
personali sia reali». Questi diritti e azioni, infatti, non riguardano necessariamente la sola ca-
tegoria dei beni temporali. Forse era più coerente collocare il canone nelle Norme generali.
9
Nel Codice del 1917 cf cc. 1701-1705; 2222, par. 2 e 2240.
10
Per un approfondimento dello studio della prescrizione nel diritto canonico, oltre ai com-
mentari e ai manuali relativi al CIC attuale e a quello del 1917, ci si può riferire ai seguenti
studi: GISMONDI P., Prescrizione, in Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano 1952, 1964-
1966; GISMONDI P., Prescrizione estintiva (diritto canonico), in Novissimo Digesto Italiano,
XIII, Torino 1957, 653-655; MOSTAZA R ODRIGUEZ A., Diritto patrimoniale canonico, in Corso di
Diritto Canonico, I, Brescia 1975, 317-320; NAZ R., Prescription, in Dictionnaire de Droit Ca-
nonique, VI, Paris 1965, 178-194; PALAZZINI P., Praescriptio, Praescriptio acquisitiva, Prae-
scriptio liberativa, in Dictionarium morale et canonicum, III, Roma 1966, 740-752; SIMEONE
L., Fede buona (e cattiva), in Enciclopedia Cattolica, V, Città del Vaticano 1950, 1102-1106.
Testi classici del diritto antico in materia di prescrizione sono le decretali «Vigilanti» e
«Quoniam», contenute nelle Decretali di Gregorio IX (rispettivamente: X.11,26,5 e X.11,26,20).
230 Carlo Redaelli

a. La prescrizione e istituti analoghi nel diritto italiano


Il diritto canonico conosce quasi solo il concetto generico di
«prescrizione» da applicare alle diverse circostanze, sia in riferimen-
to al diritto sostanziale che a quello processuale. L’ordinamento ita-
liano, invece, ha precisato le diverse fattispecie, riconducibili al con-
cetto canonico di prescrizione, in alcuni istituti giuridici specifici e
autonomi .
11

Trascurando quelli relativi al diritto penale e processuale,


perché o ininfluenti nel diritto canonico - quale la prescrizione del
reato e della pena - o già presenti in esso (da qui il «quasi» di qual-
che riga sopra) - quali la perenzione (cf c. 1520) e la decadenza
processuale (presente nell’ordinamento canonico nell’istituto dei
«fatalia legis » cf c. 1465, par. 1) - restano da considerare: la deca-
denza, la prescrizione propriamente detta e l’usucapione.
La decadenza, oltre che nel diritto processuale, è presente an-
che nel diritto civile sostanziale, venendo regolamentata dagli artico-
li 2964-2969 del Codice civile italiano. Essa comporta la perdita del
diritto se questo non viene esercitato nei termini previsti dalla legge
o convenuti dalle parti. Più precisamente, la decadenza non estingue
un diritto già acquisito, ma è la perdita della possibilità di acquistar-
lo. In diritto canonico non esiste questo istituto, ma è «canonizzato»
in quanto può essere utilizzato, almeno in alcuni casi, come norma
contrattuale (c. 1290) o visto come rientrante in un concetto ampio
di prescrizione (c. 197).
La decadenza non si distingue perfettamente dalla prescrizione,
cosiddetta «estintiva» - ma per il legislatore italiano esiste una sola
prescrizione, perché quella chiamata «acquisitiva» è definita «usuca-
pione» - prescrizione che è definibile, sulla base dell’art. 2934 cod.
civ., come l’estinzione di un diritto «quando il titolare non lo esercita
per il tempo determinato dalla legge». La differenza con la decaden-
za consisterebbe in tre elementi: si tratta, nel caso della prescrizio-
ne, dell’estinzione di un diritto già acquisito e non della facoltà di
acquisirlo; la prescrizione colpisce l’inerzia del titolare, può essere

11
Un’utile panoramica dei diversi contesti in cui l’istituto della prescrizione è utilizzato nel
diritto italiano è offerta dalle voci Prescrizione estintiva; Prescrizione marittima e aeronau-
tica; Prescrizione, Perenzione, Decadenza (diritto tributario); Prescrizione del reato e della
pena nel vol. XIII (Torino 1957) 646ss. e dalla voce Usucapione nel vol. XX (Torino 1966)
del Novissimo Digesto Italiano, e dalle voci: Azione civile; Eccezione, Estinzione del proces-
so civile, Estinzione del reato e della pena, Perenzione, Prescrizione del reato e della pena,
Prescrizione e decadenza, Termini processuali, Usucapione, della Enciclopedia del Diritto e
dell’Economia, Milano, 1985.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 231

perciò interrotta diversamente dalla decadenza (art. 2964 cod. civ.);


infine la prescrizione può essere determinata solo dalla legge e non
da accordi fra le parti .
12

Resta da esaminare l’usucapione (artt. 1158ss. cod. civ.) : è un


istituto che ha in comune con la prescrizione il fatto di ricevere la
propria determinazione dal fattore tempo e dall’inerzia del titolare
del diritto; ma nell’usucapione si tratta dell’acquisto di un diritto e
non della sua estinzione - almeno direttamente intesa - e, soprat-
tutto, si tratta del solo diritto di proprietà e dei diritti reali di godi-
mento (ossia: superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servi-
tù) e non di tutti i diritti, esclusi quelli indisponibili e quelli indicati
dalla legge, come avviene nel caso della prescrizione. Sempre nella
sola usucapione entrano poi in gioco, determinando il fattore tempo,
il titolo idoneo di trasferimento di proprietà e la buona fede . In
13

sintesi: occorrono in ogni caso vent’anni per l’usucapione dei beni


immobili o per le universalità di mobili; dieci anni se c’è un titolo
idoneo trascritto e la buona fede; tre se oltre a tali requisiti si tratta
di beni mobili.

b. La recezione della normativa italiana nell’ordinamento canonico


È di indubbio interesse combinare, a norma del c. 197, le dispo-
sizioni del Codice di diritto canonico con quelle del Codice civile ita-
liano in materia di decadenza, prescrizione e usucapione.
Si è già accennato più sopra alla decadenza. Per quanto riguar-
da invece la prescrizione e l’usucapione, occorre partire dal c. 1270
del Codice di diritto canonico, che stabilisce lo spazio di tempo di
cento anni per la S. Sede e di trent’anni per le altre persone giuridi-
che pubbliche (diocesi, parrocchie, istituti religiosi, ecc.) per la pre-
scrizione-usucapione delle cose immobili, di quelle mobili preziose e
dei diritti e delle azioni sia personali, sia reali. Da qui nasce la ne-
cessità di distinguere tra tali persone giuridiche e gli altri soggetti.
Per quanto riguarda la S. Sede e le altre persone giuridiche
pubbliche si esce del tutto, se si eccettua i beni mobili non preziosi,

12
Ma la distinzione tra prescrizione e decadenza non è definitivamente precisabile. Cf F ERRUC -
CI R., Prescrizione estintiva (diritto civile), in Novissimo Digesto Italiano, XIII, Torino 1957,
642-644.
13
Per l’art 1147 cod. civ. «È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’al-
trui dirìtto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede
è presunta e basta che vi sia stata al momento dell’acquisto ».
232 Carlo Redaelli

dalla previsione dell’usucapione civile (artt. 1158-l 167 cod. civ.). Il


Codice civile infatti dà norme e prevede diversi casi, ma sempre al di
sotto del termine di vent’anni. Perciò di tutti gli articoli sull’usuca-
pione - e sempre eccetto il caso dei beni mobili non preziosi, per
cui valgono le norme civili, salva però l’inderogabile esigenza della
buona fede - hanno rilievo canonico l’art. 1165, che rinvia alle di-
sposizioni sulla prescrizione (in generale e circa le cause di sospen-
sione e di interruzione e il computo dei termini) e l’art. 1167 sull’in-
terruzione dell’usucapione per perdita del possesso.
Circa la prescrizione, fatti sempre salvi il principio della buona
fede e le eccezioni previste dal CIC, valgono per la S. Sede e le altre
persone giuridiche pubbliche gli altri articoli del Codice civile sulle
disposizioni generali (2934-2940) sulla sospensione (2941-2942)
sull’interruzione (2943-2945) e sul computo dei termini (2962-
2963) ; non valgono invece tutte le altre disposizioni che si riferi-
14

scono a termini di tempo inferiori a quelli richiesti dal c. 1270.


Per quanto concerne, invece, le persone giuridiche private e le
persone fisiche, valgono le norme civili italiane in materia di usuca-
pione e di prescrizione, purché compatibili con il principio della
15

buona fede del c. 198 e restando ferme le eccezioni stabilite dall’or-


dinamento canonico.

3. La prescrizione e la specificità del diritto ecclesiale

a. ll fondamento della prescrizione e degli istituti analoghi nell’or-


dinamento italiano
Dopo aver presentato, seppur molto sommariamente, la prescri-
zione e gli altri istituti analoghi previsti dal diritto italiano e aver fat-
to qualche accenno alla loro concreta applicazione nell’ordinamento
canonico, si può passare a fare alcune considerazioni sul senso di
tali istituti e su ciò che costituisce il loro fondamento.

14
Circa il computo dei termini della prescrizione sorge la domanda se esso deve essere fatto
secondo le norme del Codice di diritto canonico o secondo quelle del Codice civile. Il c. 200
stabilisce la prevalenza, rispetto alle norme generali, di quanto è disposto espressamente di
diverso dal diritto in materia di computo. Perciò, ci sembra, anche dal diritto civile, «canoniz-
zato» in questo caso dal c. 197.
15
Per il Codice civile italiano (art. 1153) esiste anche l’istituto dell’immediato acquisto di
proprietà dei beni mobili alienati, se acquisiti in buona fede al momento della consegna e
con titolo idoneo. È una specie di usucapione senza spazio di tempo. Vale anche in diritto ca-
nonico? Sul tema, molto6 complesso, cf NAZ, Prescription, 192 e CAPPELLO F., Summa Iuris Ca-
nonici, II, Romae 1962 , 62.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 233

Una prima annotazione concerne il fattore tempo comune a tut-


ti questi istituti. Perché il tempo ha una rilevanza giuridica? Perché
lo scopo perseguito dall’ordinamento giuridico non è l’ordine giusto
in astratto, ma quello concreto riferito ad una determinata società in
un determinato periodo storico, con ben precisi limiti di tempo. Il fi-
ne dell’ordinamento giuridico non è perciò la giustizia e il ristabili-
mento puntuale di essa in qualsiasi periodo della storia, ma è salva-
guardarla il più possibile nella concreta situazione contemporanea.
Inoltre occorre notare che, anche se l’ordinamento si ponesse lo sco-
po di raggiungere una perfetta e atemporale giustizia, ciò si dimo-
strerebbe immediatamente impossibile: più ci si allontana nel tempo
e più diventa impraticabile provare dei fatti, trovare delle testimo-
nianze, ecc.; non solo: più il fatto ingiusto è lontano, più è facile che
esso abbia generato una serie di altri fatti, ormai non più identifica-
bili e soprattutto non modificabili.
L’ordinamento deve quindi «accontentarsi», se così si può dire,
di regolare i rapporti e i fatti giuridici presenti o comunque ancora
rilevabili nel presente e per fare ciò ha bisogno di raggiungere co-
munque una certezza giuridica rendendoli «certi» attraverso delle
disposizioni legali, quali quelle degli istituti sopra esaminati.
Ma non c’è solo il fattore tempo a costituire il fondamento di ta-
li istituti: ognuno di essi ha, connessi con il fattore temporale, degli
elementi specifici. Limitiamoci - ed è una seconda considerazione
- alla prescrizione e all’usucapione.
La prescrizione trova una giustificazione, oltre che nel trascor-
rere del tempo e quindi nella necessità di raggiungere la certezza
giuridica e di evitare controversie interminabili e irrisolvibili, anche
nel fatto che l’ordinamento non può tutelare all’infinito chi non
esercita un proprio diritto e anzi ne mostra negligenza; e la prescri-
zione colpisce appunto tale inerzia.
L’usucapione trova pure un fondamento nell’esigenza della cer-
tezza del diritto - nel caso il diritto di proprietà e gli altri diritti reali
– ma ha come specifica giustificazione la considerazione del valore
sociale della proprietà: l’ordinamento ha un interesse generale a fa-
vorire chi si occupa di un bene e lo rende produttivo.
In conclusione, tali istituti, come quelli analoghi, si fondano
sulla esigenza, da parte dell’ordinamento, di tutelare il concreto e at-
tuale interesse pubblico.
Ma ci si può chiedere: sono del tutto estranee al diritto civile le
considerazioni di giustizia e di moralità? La risposta è negativa. Pur
non essendo tali esigenze al centro dello scopo perseguito dall’ordi-
234 Carlo Redaelli

namento civile, ci sono però almeno delle consistenti tracce della lo-
ro rilevanza.
Sono, rispettivamente, nell’usucapione l’importanza anche se
relativa, della buona fede e, nella prescrizione, la possibilità della ri-
nuncia successiva al suo compimento (art. 2937 cod. civ.) - rinun-
cia che può avere motivi morali, quando ad esempio il soggetto ritie-
ne in coscienza di essere tenuto a pagare per aver contratto effetti-
vamente un debito, anche se il credito corrispondente è già prescrit-
to - e le particolari cautele connesse con le cosiddette «prescrizioni
presuntive» (artt. 2954ss cod. civ., in particolare il valore delle am-
missioni di colui che oppone la prescrizione - art. 2959 - e la pos-
sibilità di «delazione di giuramento» - art. 2960).

b. Fondamento e concetto di prescrizione nel diritto canonico


Quanto affermato circa i fondamenti e il senso della prescrizio-
ne e dell’usucapione nel diritto italiano, vale anche per la prescrizio-
ne in diritto canonico? A prima vista sembrerebbe di sì. Anche l’or-
dinamento della Chiesa ha infatti bisogno di arrivare alla certezza
dei rapporti interpersonali, di tutelarsi dall’inerzia dei soggetti e dal-
la trascuratezza nei confronti dei beni. C’è però un «ma» ed è la di-
sposizione del c. 198, che colpisce per la sua radicalità: «Nessuna
prescrizione ha valore, se non è fondata sulla buona fede, non solo
all’inizio, ma per tutto il decorso del tempo richiesto per la prescri-
zione, salvo il disposto del c. 1362».
Ciò significa che per il diritto della Chiesa è sì importante l’esi-
genza della certezza giuridica da salvaguardare nella comunità cri-
stiana, ma ciò che veramente conta è la buona fede. Lo scopo del di-
ritto canonico non può infatti limitarsi all’ordine pubblico esterno,
ma deve tener conto del vero bene comune della Chiesa, che è la
«salus animarum». Ratificare giuridicamente la mancanza della buo-
na fede anche in un solo soggetto, e quindi contrapporsi almeno in
un caso all’ordine morale, sarebbe tradire la finalità, anzi la stessa
essenza del diritto della Chiesa.
Certamente l’ordinamento canonico non è utopico ed è conscio
dei limiti insiti nelle realtà umane, compreso il limite del «tempo».
Ma non può rinunciare a ciò che gli è più proprio.
Pertanto, essendo consapevole di poter ordinare la sola concre-
ta e contemporanea comunità ecclesiale, ritiene opportuno dare ca-
rattere definitivo a determinati rapporti giuridici, renderli cioè giuri-
dicamente certi senza inseguire un’impossibile verità astratta, ma
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 235

solo se essi sono basati sulla buona fede; cioè solo a patto che alme-
no in modo presuntivo - e solitamente, visto il trascorrere del tem-
po non è possibile verificare il fondamento di questa presunzione -
essi corrispondano a verità e giustizia.
A ben guardare, il riferimento necessario alla buona fede, volu-
to dal c. 198, non è solo un correttivo per impedire che l’utilizzo del-
l’istituto della prescrizione, così come è normato dalla legislazione
statale, possa andare contro «la salvezza delle anime, che deve sem-
pre essere nella Chiesa la legge suprema» (c. 1752); molto di più,
esso costituisce lo specifico del concetto canonico di prescrizione. A
prima vista, infatti, sembra che la nozione canonica di prescrizione
sia molto generica e imprecisa, rispetto all’articolazione dei diversi
concetti presenti nell’ordinamento italiano, a tal punto da far sorge-
re la domanda se la ricezione della legge civile, di cui parla il c. 197,
non riguardi anzitutto il concetto stesso di prescrizione, prima anco-
ra che le sue concrete modalità di esercizio. Ed è vero che, ad esem-
pio, il Codice di diritto canonico non si preoccupa di proporre alme-
no la distinzione fondamentale tra prescrizione e usucapione, ma
parla genericamente di prescrizione.
A nostro avviso, però, il diritto canonico non si preoccupa di di-
stinguere bene all’interno dell’istituto della prescrizione, perché ciò
in fondo non ha una grossa rilevanza. L’accento infatti nella defini-
zione canonica della prescrizione è altrove e precisamente sulla buo-
na fede. È il canone 198 e non il 197 la chiave per comprendere la
specificità della prescrizione canonica e per darne una precisa defi-
nizione. Il canone 198 esige infatti sempre e tassativamente la buona
fede, tranne che per la prescrizione delle azioni criminale e penale
(si tratta però di una previsione del tutto «sui generis», non essen-
doci in questo caso un diritto soggettivo da perdere o da acquistare,
né, per sé, degli obblighi da cui liberarsi, quanto invece la rinuncia
da parte dell’ordinamento di perseguire un delitto, trascorso un cer-
to tempo). La buona fede però non può ovviamente essere esigita
che da chi trae vantaggio da essa acquistando un diritto o liberando-
si da obblighi: non ha senso chiederla in chi perde un diritto.
Allora al centro della prescrizione canonica non c’è chi acquisi-
sce (come nell’usucapione civile) o perde un diritto (come nella pre-
scrizione civile), ma chi comunque trae vantaggio in buona fede dal-
lo scorrere del tempo. Questo concetto - il vantaggio che un sogget-
to in buona fede ricava dal trascorrere del tempo - ci sembra stare
alla base della prescrizione canonica. Se ciò è vero, diventa meno
necessario articolare, come fa il diritto italiano, la prescrizione in più
236 Carlo Redaelli

fattispecie. Inoltre, sempre se la buona fede è essenziale al concetto


canonico di prescrizione, ei sembra che siano molto corretti il c.
1508 del CIC del 1917 e il corrispondente c. 1268 dell’attuale Codi-
ce, che parlano della prescrizione come «un modo di acquisire o di
liberarsi [da un onere]», mentre con meno precisione - sempre a
nostro parere - il c. 197 si riferisce anche alla perdita di un diritto
soggettivo, per la qual perdita non ha senso parlare di buona fede
nel soggetto che viene privato di un diritto, ma solo nel terzo titolare
di obblighi corrispondenti al diritto .
16

c. Prescrizione e specificità del diritto della Chiesa


La prescrizione canonica si presenta, quindi, come un istituto
che pone al centro della propria essenza la buona fede di chi trae
vantaggio nell’acquisire un diritto o nel liberarsi da obblighi e trova
legalmente ratificata la propria buona fede, trascorso un determina-
to periodo di tempo. È quindi un istituto proprio dell’ordinamento
canonico e coerente con i principi ispiratori di esso. Il rinvio al dirit-
to civile è pertanto solo strumentale e non entra nella definizione
della prescrizione canonica, ma ne specifica solo le concrete moda-
lità in relazione al trascorrere del tempo e agli oggetti passibili di
prescrizione, salva sempre, anche per tali concrete modalità, la coe-
renza con le disposizioni del Codice di diritto canonico.
Non è questo il luogo per approfondire la riflessione sulla spe-
cificità del diritto canonico rispetto al diritto statuale e sul rapporto
più o meno analogico, esistente tra queste due realtà giuridiche . È
17

però interessante notare che proprio un istituto, quale quello della


prescrizione canonica, in apparenza del tutto simile all’analogo isti-
tuto dell’ordinamento statale, anzi regolamentato dalle stesse norme
«canonizzate » , riveli, a una lettura approfondita, una specificità in-
sospettata derivata immediatamente dalla peculiarità del diritto del-
la Chiesa. Un diritto dove la finalizzazione della «salvezza delle ani-
me» è il supremo valore a cui tutto, persino l’esigenza della certezza

16
Più sopra, spieg ando la perdita di un privilegio per prescrizione (cf c. 82), si è coerente-
mente sottolineato che l’oggetto della prescrizione non è tanto il diritto del «privilegiato», ma
il «gravame» del terzo a favore del «privilegiato », terzo che deve essere in buona fede.
17
Sulla specificità del diritto canonico e sulla discussione circa la sua natura nella canonisti-
ca contemporanea, ci si riferisca al nostro volume: Il concetto di diritto della Chiesa nella ti-
flessione canonistica tra Concilio e Codice, Milano 1991 (ed. Glossa) e alla bibliografia ivi
segnalata. Si veda anche COCCOPALMERIO F., Che cosa è il diritto della Chiesa, in F. COCCOPALME -
RIO -P.A. BONNET -N. PAVONI , Perché un Codice nella Chiesa, Bologna 1984, 17-55.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 237

giuridica, deve cedere . Un diritto in cui, anche negli ambiti in ap-


18

parenza più tecnici, non è possibile ammettere alcuna separazione


dall’ordine morale.

18
Tra l’altro la stessa certezza giuridica non può essere considerata nella Chiesa un criterio
formale ed estrinseco, ma deve essere vista come uno strumento al servizio della comunione
ecclesiale e della salvezza delle anime. «Nella misura in cui non fosse possibile superare il
dubbio circa la verità effettiva, il criterio che rende vincolante la legge canonica o la sentenza
del giudice [potremmo aggiungere la stessa prescrizione] non è tanto la volontà del legislato-
re o dell’ordinamento giuridico - come suggerirebbe una soluzione volontaristica del proble-
ma – ma l’unità tra i cristiani e le Chiese particolari, in quanto valore essenziale alla salvezza
storica ed escatologica del cristiano. È la stessa “salus animarum” o “communio ecclesiae et
ecclesiarum” che possono esigere il rispetto della certezza formale». (CORECCO E., Valore del-
l‘atto «contra legem», in Ius Canonicum, 15 (1975) n. 30,248).

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