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Già nel Codice del 1917, pur non esistendo una trattazione del-
la prescrizione nel primo Libro, si parlava di essa non solo a propo-
sito dei beni temporali (cc. 1508-1512) ma anche in relazione ai
privilegi (cc. 63, par. 1 e 76), allo «ius patronatus» (c. 1470, par. 1,
n. 3) ai benefici (c. 1446) al delitto (c. 2233, par. 1), all’estinzione
delle azioni (cc. 1701-l 705; 2222, par. 2 e 2240) e, infine, in rappor-
to alla citazione processuale (c. 1725, par. 4). Chiara però appariva
la non coerenza del Codice piano benedettino nel dare i principi ge-
nerali sulla prescrizione nella trattazione circa i beni temporali per
poi applicarli, già in quella sede, a beni o diritti di natura totalmente
diversa . Il nuovo Codice tenta di ovviare a questa incoerenza, non
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Communicationes, 9 (1977) 231, 236, 270.
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Il c. 1509, infatti, elencava tra le realtà non soggette a prescrizione anche «quae sunt iuris
divini sive naturalis sive positivi», gli «iura spiritualia, quorum laici non sunt capaces», ecc.
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Cf Communicationes, 9 (1977) 236.
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Si osservi il più corretto riferimento ai canoni di tutto il Codice e non solo ai canoni se-
guenti, come stabiliva il canone parallelo del 1917.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 227
C’è però una deroga alla necessità della buona fede: è quella
del c. 1362 che prevede, almeno come regola generale , l’estinzione
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dell’azione criminale nel termine di tre anni. In tal caso non è richie-
sta la buona fede; il reo quindi, pur consapevole di aver commesso
un delitto, non è tenuto ad autodenunciarsi o, comunque, a far met-
tere in moto un procedimento penale contro se stesso, e può quindi
lasciar trascorrere i tre anni necessari all’estinzione dell’azione cri-
minale.
Il c. 199 stabilisce poi un’altra eccezione al rimando al diritto
statale: essa riguarda l’oggetto della prescrizione. Il canone elenca
infatti sette casi non soggetti a prescrizione:
«1º i diritti e gli obblighi che sono di legge divina naturale o
positiva;
2º i diritti che si possono ottenere solo per privilegio apostolico;
3º i diritti e gli obblighi che riguardano direttamente la vita
spirituale dei fedeli;
4º i confini certi e indubitabili delle circoscrizioni ecclesia-
stiche;
5º le elemosine e gli oneri delle Messe;
6º la provvisione dell’ufficio ecclesiastico che a norma del di-
ritto richiede l’esercizio dell’ordine sacro;
7º il diritto di visita e l’obbligo di obbedienza, quasi che i fedeli
non possano essere visitati da nessuna autorità ecclesiastica e non
siano più soggetti ad alcuna autorità».
Sono sostanzialmente i casi già elencati nel vecchio c. 1509, ma
espressi più accuratamente e con le due sole modifiche dell’abolizio-
ne dell’ottavo caso concernente il «cathedraticum», cioè la tassa ver-
sata in segno di soggezione al Vescovo (cf c. 1504) - non più esigito
nel nuovo Codice - e della trasformazione del sesto caso, riferito
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ora all’ufficio ecclesiastico e non più al beneficio .
Non tutti i sette casi sono di facile esemplificazione. Ricordia-
mo alcuni esempi solitamente dati dagli studiosi, in riferimento ai
primi tre: 1º il primato del Papa, i diritti e i doveri dei coniugi; 2º le
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Fanno eccezione i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, per i quali
non si dà perciò alcuna prescrizione; inoltre per tre specie di delitti il termine è elevato a
cinque anni, cioè l’attentato al matrimonio anche solo civile del chierico o del religioso (c.
1394), i delitti contro il sesto comandamento (c. 1395) e i delitti contro la vita e la libertà
umana (c. 1397); infine possono fare eccezione eventuali altri delitti puniti dal solo diritto
particolare, che può stabilire anche dei termini diversi per la prescrizione della corrispon-
dente azione criminale.
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Anche il 3º caso può essere considerato come modificato: riguarda ancora i diritti spirituali,
ma in generale e non più in rapporto con la capacità dei laici.
228 Carlo Redaelli
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Il c. 82 corrisponde al c. 76 del Codice del 1917; non viene invece ripreso il c. 63, par. 1.
Esso contemplava la possibilità di acquisizione di un privilegio anche per prescrizione; ma la
Commissione di riforma, precisando e restringendo volutamente la nozione di «privilegio»,
ha chiarito che la prescrizione riguarda l’acquisizione di diritti soggettivi, che solo in senso
lato e analogicamente possono definirsi privilegi, e non l’acquisizione dei privilegi in senso
stretto, concessi solo tramite atto peculiare (cf Communicationes, 3 [1971] 88-89).
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Il canone è parallelo al precedente c. 1511. Sembra meno preciso, però, il riferimento non
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solo alle «cose immobili» e a quelle «mobili preziose», ma anche ai «diritti e le azioni sia
personali sia reali». Questi diritti e azioni, infatti, non riguardano necessariamente la sola ca-
tegoria dei beni temporali. Forse era più coerente collocare il canone nelle Norme generali.
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Nel Codice del 1917 cf cc. 1701-1705; 2222, par. 2 e 2240.
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Per un approfondimento dello studio della prescrizione nel diritto canonico, oltre ai com-
mentari e ai manuali relativi al CIC attuale e a quello del 1917, ci si può riferire ai seguenti
studi: GISMONDI P., Prescrizione, in Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano 1952, 1964-
1966; GISMONDI P., Prescrizione estintiva (diritto canonico), in Novissimo Digesto Italiano,
XIII, Torino 1957, 653-655; MOSTAZA R ODRIGUEZ A., Diritto patrimoniale canonico, in Corso di
Diritto Canonico, I, Brescia 1975, 317-320; NAZ R., Prescription, in Dictionnaire de Droit Ca-
nonique, VI, Paris 1965, 178-194; PALAZZINI P., Praescriptio, Praescriptio acquisitiva, Prae-
scriptio liberativa, in Dictionarium morale et canonicum, III, Roma 1966, 740-752; SIMEONE
L., Fede buona (e cattiva), in Enciclopedia Cattolica, V, Città del Vaticano 1950, 1102-1106.
Testi classici del diritto antico in materia di prescrizione sono le decretali «Vigilanti» e
«Quoniam», contenute nelle Decretali di Gregorio IX (rispettivamente: X.11,26,5 e X.11,26,20).
230 Carlo Redaelli
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Un’utile panoramica dei diversi contesti in cui l’istituto della prescrizione è utilizzato nel
diritto italiano è offerta dalle voci Prescrizione estintiva; Prescrizione marittima e aeronau-
tica; Prescrizione, Perenzione, Decadenza (diritto tributario); Prescrizione del reato e della
pena nel vol. XIII (Torino 1957) 646ss. e dalla voce Usucapione nel vol. XX (Torino 1966)
del Novissimo Digesto Italiano, e dalle voci: Azione civile; Eccezione, Estinzione del proces-
so civile, Estinzione del reato e della pena, Perenzione, Prescrizione del reato e della pena,
Prescrizione e decadenza, Termini processuali, Usucapione, della Enciclopedia del Diritto e
dell’Economia, Milano, 1985.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 231
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Ma la distinzione tra prescrizione e decadenza non è definitivamente precisabile. Cf F ERRUC -
CI R., Prescrizione estintiva (diritto civile), in Novissimo Digesto Italiano, XIII, Torino 1957,
642-644.
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Per l’art 1147 cod. civ. «È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’al-
trui dirìtto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede
è presunta e basta che vi sia stata al momento dell’acquisto ».
232 Carlo Redaelli
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Circa il computo dei termini della prescrizione sorge la domanda se esso deve essere fatto
secondo le norme del Codice di diritto canonico o secondo quelle del Codice civile. Il c. 200
stabilisce la prevalenza, rispetto alle norme generali, di quanto è disposto espressamente di
diverso dal diritto in materia di computo. Perciò, ci sembra, anche dal diritto civile, «canoniz-
zato» in questo caso dal c. 197.
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Per il Codice civile italiano (art. 1153) esiste anche l’istituto dell’immediato acquisto di
proprietà dei beni mobili alienati, se acquisiti in buona fede al momento della consegna e
con titolo idoneo. È una specie di usucapione senza spazio di tempo. Vale anche in diritto ca-
nonico? Sul tema, molto6 complesso, cf NAZ, Prescription, 192 e CAPPELLO F., Summa Iuris Ca-
nonici, II, Romae 1962 , 62.
Trascorrere del tempo, certezza del diritto e buona fede: la prescrizione 233
namento civile, ci sono però almeno delle consistenti tracce della lo-
ro rilevanza.
Sono, rispettivamente, nell’usucapione l’importanza anche se
relativa, della buona fede e, nella prescrizione, la possibilità della ri-
nuncia successiva al suo compimento (art. 2937 cod. civ.) - rinun-
cia che può avere motivi morali, quando ad esempio il soggetto ritie-
ne in coscienza di essere tenuto a pagare per aver contratto effetti-
vamente un debito, anche se il credito corrispondente è già prescrit-
to - e le particolari cautele connesse con le cosiddette «prescrizioni
presuntive» (artt. 2954ss cod. civ., in particolare il valore delle am-
missioni di colui che oppone la prescrizione - art. 2959 - e la pos-
sibilità di «delazione di giuramento» - art. 2960).
solo se essi sono basati sulla buona fede; cioè solo a patto che alme-
no in modo presuntivo - e solitamente, visto il trascorrere del tem-
po non è possibile verificare il fondamento di questa presunzione -
essi corrispondano a verità e giustizia.
A ben guardare, il riferimento necessario alla buona fede, volu-
to dal c. 198, non è solo un correttivo per impedire che l’utilizzo del-
l’istituto della prescrizione, così come è normato dalla legislazione
statale, possa andare contro «la salvezza delle anime, che deve sem-
pre essere nella Chiesa la legge suprema» (c. 1752); molto di più,
esso costituisce lo specifico del concetto canonico di prescrizione. A
prima vista, infatti, sembra che la nozione canonica di prescrizione
sia molto generica e imprecisa, rispetto all’articolazione dei diversi
concetti presenti nell’ordinamento italiano, a tal punto da far sorge-
re la domanda se la ricezione della legge civile, di cui parla il c. 197,
non riguardi anzitutto il concetto stesso di prescrizione, prima anco-
ra che le sue concrete modalità di esercizio. Ed è vero che, ad esem-
pio, il Codice di diritto canonico non si preoccupa di proporre alme-
no la distinzione fondamentale tra prescrizione e usucapione, ma
parla genericamente di prescrizione.
A nostro avviso, però, il diritto canonico non si preoccupa di di-
stinguere bene all’interno dell’istituto della prescrizione, perché ciò
in fondo non ha una grossa rilevanza. L’accento infatti nella defini-
zione canonica della prescrizione è altrove e precisamente sulla buo-
na fede. È il canone 198 e non il 197 la chiave per comprendere la
specificità della prescrizione canonica e per darne una precisa defi-
nizione. Il canone 198 esige infatti sempre e tassativamente la buona
fede, tranne che per la prescrizione delle azioni criminale e penale
(si tratta però di una previsione del tutto «sui generis», non essen-
doci in questo caso un diritto soggettivo da perdere o da acquistare,
né, per sé, degli obblighi da cui liberarsi, quanto invece la rinuncia
da parte dell’ordinamento di perseguire un delitto, trascorso un cer-
to tempo). La buona fede però non può ovviamente essere esigita
che da chi trae vantaggio da essa acquistando un diritto o liberando-
si da obblighi: non ha senso chiederla in chi perde un diritto.
Allora al centro della prescrizione canonica non c’è chi acquisi-
sce (come nell’usucapione civile) o perde un diritto (come nella pre-
scrizione civile), ma chi comunque trae vantaggio in buona fede dal-
lo scorrere del tempo. Questo concetto - il vantaggio che un sogget-
to in buona fede ricava dal trascorrere del tempo - ci sembra stare
alla base della prescrizione canonica. Se ciò è vero, diventa meno
necessario articolare, come fa il diritto italiano, la prescrizione in più
236 Carlo Redaelli
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Più sopra, spieg ando la perdita di un privilegio per prescrizione (cf c. 82), si è coerente-
mente sottolineato che l’oggetto della prescrizione non è tanto il diritto del «privilegiato», ma
il «gravame» del terzo a favore del «privilegiato », terzo che deve essere in buona fede.
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Sulla specificità del diritto canonico e sulla discussione circa la sua natura nella canonisti-
ca contemporanea, ci si riferisca al nostro volume: Il concetto di diritto della Chiesa nella ti-
flessione canonistica tra Concilio e Codice, Milano 1991 (ed. Glossa) e alla bibliografia ivi
segnalata. Si veda anche COCCOPALMERIO F., Che cosa è il diritto della Chiesa, in F. COCCOPALME -
RIO -P.A. BONNET -N. PAVONI , Perché un Codice nella Chiesa, Bologna 1984, 17-55.
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Tra l’altro la stessa certezza giuridica non può essere considerata nella Chiesa un criterio
formale ed estrinseco, ma deve essere vista come uno strumento al servizio della comunione
ecclesiale e della salvezza delle anime. «Nella misura in cui non fosse possibile superare il
dubbio circa la verità effettiva, il criterio che rende vincolante la legge canonica o la sentenza
del giudice [potremmo aggiungere la stessa prescrizione] non è tanto la volontà del legislato-
re o dell’ordinamento giuridico - come suggerirebbe una soluzione volontaristica del proble-
ma – ma l’unità tra i cristiani e le Chiese particolari, in quanto valore essenziale alla salvezza
storica ed escatologica del cristiano. È la stessa “salus animarum” o “communio ecclesiae et
ecclesiarum” che possono esigere il rispetto della certezza formale». (CORECCO E., Valore del-
l‘atto «contra legem», in Ius Canonicum, 15 (1975) n. 30,248).