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Il Contratto - Rodolfo Sacco e Giorgio De Nova Riassunto vol.


X del 'Trattato di Diritto Privato' III Edizione diretto da Pietro
Rescigno
Diritto civile (Università degli Studi di Milano)

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DIRITTO CIVILE – PARTE GENERALE

Riassunto del manuale “Il Contratto”


di Rodolfo Sacco e Giorgio De Nova
(“Trattato di Diritto Privato”, vol. 10 “Obbligazioni e Contratti”, tomo II; diretto da Pietro Rescigno)

SEZIONE I: LA NOZIONE DEL CONTRATTO - R. Sacco -


CAP. UNICO - LA NOZIONE del CONTRATTO
LA LETTERATURA sul CONTRATTO
La bibliografia sul Contratto è vasta, e ciò è vero sia da un punto di vista nazionale, sia
sovranazionale.
Ad es., in Francia e Belgio si studia il contratto in relazione all'obbligazione; in Germania, invece, in relazione al
Negozio. Esiste anche una letteratura sul contratto di D. Islamico.
In Italia, la letteratura sul Contratto ha avuto larga diffusione soprattutto a seguito dell'emanazione dei Codici del 1865,
del 1882 e del 1942.
Il tema contrattuale è oggetto di grande interesse anche nell'ambito del Diritto Anglo-Americano, ed è studiato con cura
anche dal punto di vista dell'Analisi Economica del Diritto.

IL CONTRATTO, CATEGORIA NOTA a MOLTI SISTEMI


In primo luogo, occorre ricordare che nel Diritto Romano non operava una categoria lata e
generica di “contratto”, ma vi erano vari contractus che, però, erano accompagnati da accordi e
solennità destinati ad estinguere obbligazioni, trasferire la proprietà, ecc... .
Con lo sviluppo del Diritto Comune e, in seguito, con l'Età delle Codificazioni, il concetto di
“Contratto” si è affermato in una forma più ampia (cioè, di regola, come “consenso + causa”), che
non si confondeva più con il generico “accordo”.
In tutti i principali ordinamenti attuali esiste il “Contratto”; ma il termine, tuttavia, non ha una
portata univoca. Sacco si domanda, quindi, se sia possibile che, accanto alle singole manifestazioni
giuridico-positive, operi una nozione, un'idea di contratto, capace di fissare il valore della parola.
Se così fosse, la singola manifestazione empirica meriterebbe un'analisi dogmatica di diritto interno;
mentre il genotipo dovrebbe essere analizzato ad un livello di astrazione più elevato.

LA CONCEZIONE di BASE del CONTRATTO


La costruzione della nozione o concetto di “contratto” ha stuzzicato l'ambizione della dottrina di
tutti i Paesi (specialmente quella francese).
Cosa s'intende quindi per “Contratto” in generale? Qual è il senso da attribuire a questa figura di
contratto estranea e superiore al diritto nazionale? Per Sacco, le risposte possibili sono quattro:
 Contratto come “Accordo” → E' la c.d. “Definizione Metafisica”. Ma contro questa concezione gioca
innanzitutto il fatto che in ogni ordinamento ci sono termini differenti per indicare e il contratto e l'accordo:
quindi, l'equazione “contratto = accordo” non sussiste. Il contratto sarà dato, infatti, dalla somma
dell'accordo e delle circostanze completive necessarie al suo riconoscimento;
 Contratto come “Atto Autonomo” → La concezione pattizia (contratto come accordo) si lega ad
un'idea di libertà ed autonomia delle parti, preesistente al contratto e perdurante nel momento della
contrattazione. Ma questa concezione va integrata con le disposizioni relative all'esercizio dell'autonomia;
 Contratto come “Scambio” → E' la concezione prevalente nell'ambito dell'Analisi Economica del
Diritto. Punto di partenza è che lo scambio sia consentito;
 Contratto come “Impegno” → Il contratto è fonte di obbligazioni in quanto dà origine ad un
affidamento della controparte, che deve essere tutelato.
(!) In conclusione, Sacco ritiene che non esista un unico genotipo del contratto: il contratto
stesso è, ab ovo, un grappolo di concezioni, tutte legittime e passibili di molteplici e valide
concretizzazioni.
Ogni ordinamento dà la propria nozione positiva di contratto: accanto ad essa, però, potrà operare
anche una nozione che l'interprete porterà con sé, e con cui integrerà il dato normativo.

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LETTERA del CODICE e DEFINIZIONE del CONTRATTO


Il contratto può essere inteso in vari modi: in primis, come il comportamento di coloro che
pongono in essere la convenzione (art. 1326 C.c.); quindi come il documento contrattuale o la
dichiarazione verbale; oppure come precetto – cioè la disposizione messa in azione dai contraenti
–; infine come le vicende che la Legge riconnette agli atti dei contraenti.
Gli ultimi tre sensi presuppongono il primo: bisogna quindi capire innanzitutto cosa deve accadere
perché possa aversi un contratto.

(1) Sacco avvia l'analisi partendo dal punto di vista della Struttura del contratto.
▪ L’art. 1321 C.c. identifica il contratto con un elemento unico, cioè l’“Accordo”, che è
qualificato dal suo contenuto, vertente sulla costituzione, il regolamento o l’estinzione di un
rapporto giuridico patrimoniale.
▪ L’art. 1325 C.c., però, ridefinisce il contratto elencandone i quattro Elementi Essenziali,
ovvero l’Accordo, la Causa, l’Oggetto e la Forma (eventuale).
L'art. 1321 C.c., cui spetterebbe una funzione “definitoria”, purtroppo non dà una concettualizzazione univoca del
contratto che possa trovare riscontro in altre disposizioni di Legge: infatti, non è possibile dare una definizione
unitaria di tale “accordo” contrattuale.
La generosa illusione del diritto naturale poté far credere che il contratto si riducesse alla concordanza fra due volontà
individuali e sovrane nella sfera giuridica sottoposta ad ognuna di esse; ma l’erosione del principio della volontà,
derivante dalla contrapposizione del “Dogma della Dichiarazione” a quello della volontà ha messo in crisi qualsiasi
equazione fra contratto e volontà.
Infatti, per fare un contratto non sempre è necessaria la volontà di due contraenti (v. ad es. il caso
della Riserva Mentale); a questo primo rilievo bisogna aggiungerne un altro più grave, ovvero che
non sempre il contratto si articola in due dichiarazioni: infatti, nel caso di cui all’art. 1333 C.c.,
esso si perfeziona con la recezione della proposta seguita dalla mera inattività della controparte, il
che conduce alla conclusione per cui il contratto così concluso non sottenda un accordo.

Il contratto si identifica quindi con una o più dichiarazioni, secondo i casi: ma anche per quanto
riguarda il concetto di “Dichiarazione” non esiste una definizione unitaria, poiché i suoi requisiti
strutturali variano a seconda dei casi.
L'accordo, infatti, può talora constare di una dichiarazione seguita da un inizio di esecuzione (art.
1327 C.c.); oppure può constare della mera esecuzione di due prestazioni (contratto di fatto).

Sacco conclude che l'art. 1321 C.c. appare quindi inaffidabile, poiché definisce il contratto con un
termine che ha un valore sfuggente.
Inoltre, afferma che l’art. 1325 C.c., in queste condizioni, non può integrare utilmente l’art.
1321 C.c.: lo dimostra l’analisi degli elementi completivi che debbono integrare l’accordo per
renderlo capace di effetti (si pensi ai contratti reali, in cui alle dichiarazioni deve aggiungersi un atto
di esecuzione, cioè la consegna).
Sacco richiama quindi gli elementi della Causa e della Forma, che possono anche non esserci in
alcuni contratti (si pensi rispettivamente, ai negozi astratti ed ai contratti informali): in queste
condizioni, afferma, “è impossibile offrire una definizione unitaria del contratto basata sulla
struttura, ossia sull'analisi dei suoi elementi”.

(2) Anche sotto il profilo del Contenuto dell'Accordo, gli artt. 1321 e 1325 C.c. danno una
definizione del contratto troppo restrittiva: poiché esso dovrebbe avere ad oggetto solo rapporti
giuridici patrimoniali, non si capisce ad es. se gli atti di disposizione del proprio corpo, ammissibili
nel rispetto dell'art. 5 C.c., siano o meno dei contratti (più avanti si dirà che non sono contratti).
Parimenti, che dire degli accordi coi quali Tizio dichiara e promette a Caio di tollerare alcunché, e
Caio accetta? L'atto permissivo non formale non vincola il promittente: mancano quindi gli effetti
caratteristici, irretrattabili, del contratto.

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(3) Anche sotto il profilo degli Effetti del Contratto la definizione degli artt. 1321 e 1325 C.c.
resta imprecisa: infatti, sotto il termine “contratto” si ricomprendono sia il negozio che, essendo
munito dei requisiti prescritti dalla Legge, produce l'effetto caratteristico e conforme al
contenuto dell'accordo; sia il Negozio Nullo.
L'espressione “Contratto Nullo” è largamente usata nelle Leggi, che riconnettono all'atto effetti in
parte simili a quelli voluti dalle parti, o di altra natura.

Concludendo: quando il legislatore parla di “Contratto”, senza specificare altro, l'interprete deve
domandarsi, di volta in volta, se con tale espressione si sia voluto indicare solo la cerchia stretta
del contratto produttivo degli effetti caratteristici del negozio, o se invece l'espressione abbia il
senso lato comprensivo ad un tempo del contratto “perfetto” e di quello che genera effetti
eliminabili, o revocabili, o minorati, o diversi da quelli previsti dalle parti.

AL di LA' del CONTRATTO


Alla categoria concettuale del contratto, oggi si sovraordina soprattutto quella del “Negozio” o
dell'“Atto”, ossia la dichiarazione di volontà o manifestazione d'autonomia.
Ciò è rilevante con riferimento particolare alla possibilità di estendere ad altri negozi le norme
dettate per i contratti: l'analogia più frequente è quella prevista ex art. 1324 C.c., in base alla quale
salvo diverse disposizioni di Legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto
compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Il tipo di “atto” citato dalla norma, dice Sacco, va forse inteso nel senso di “negozio” dato dalla
dottrina (= manifestazione di volontà).
Ma, aggiunge, oltre ai negozi, vi sono anche gli “atti” nel senso della dottrina (che comprendono
anche occupazione, consegna, derelizione, ecc...), cui però non si rivolge l'art. 1324 C.c..
Sacco afferma però che anche al di fuori di quanto disposto dalla norma in esame, i comuni princìpi
consentono di estendere le norme adottate dal legislatore in materia di contratti entro tutto
l'ambito in cui un'identità di “ratio decidendi” lo permette.
Riassumendo: le norme sul contratto si applicano al negozio fra vivi quando compatibili; e si applicano all'atto non negoziale quando
la ragione del decidere lo consenta (ad es., si pensi alla procura). L'esito è omogeneo nei due casi.

LE FONTI del DIRITTO dei CONTRATTI


Le fonti sono sia sovranazionali sia, naturalmente, nazionali.
▪ Fra le Fonti Comunitarie rilevano le regole sulla pubblicità scorretta, sulle clausole abusive,
sulla protezione dei consumatori nei contratti a distanza, sul commercio elettronico, ecc... .
▪ Fra le norme nazionali, la Costituzione non si riferisce in modo particolare al contratto, ma in
qualche modo sembra regolarlo (cfr. artt. 41- 42 Cost.).
▪ Il Codice Civile è la fonte principale, cui poi si sono aggiunge altre Leggi speciali (es. in tema di
concorrenza, di protezione del consumatore, ecc...).
▪ Ex art. 1340 C.c. possono avere rilievo anche gli Usi (c.d. “usi negoziali”), ma sono visti con
sospetto, in quanto potrebbero essere il portato della forza di una delle parti contraenti – ad es., l'uso
bancario può essere usato dalle banche a loro vantaggio –.
▪ La disciplina del contratto fra persone appartenenti ad ordinamenti diversi sarà data dal Diritto
Internazionale Privato e dalle sempre maggiori Convenzioni e regole internazionali (si pensi alla
Convenzione di Vienna, sulla vendita internazionale di cose mobili).
▪ Non vanno infine dimenticati i Princìpi Unidroit (1994), che si offrono come Lex Mercatoria
suppletiva e generale, nonché come mezzo d'interpretazione; né i Principi di Diritto Europeo dei
Contratti redatti dalla Commissione per il Diritto Europeo dei contratti presieduta da O. Lando.

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SEZIONE II: LA CONCLUSIONE DELL'ACCORDO - R. Sacco -

CAP. I - ACCORDO E FORMAZIONE BILATERALE DEL CONTRATTO


IL PROBLEMA
Il contratto è definito da molti come un negozio a formazione bilaterale o plurilaterale, ovvero
come la “somma di tante dichiarazioni quante sono le parti”, ma l’art. 1333 comma 2 C.c.
smentisce questa comune ricostruzione della categoria.
E' senz'altro pacifico che la bilateralità della formazione del contratto sia indispensabile se gli effetti del contratto sono
bilaterali, se cioè l’accettazione del promissario oblato contenga a sua volta una repromissione: infatti, il quesito
sollevato nella presente sede sorge per contratti tendenti ad imporre obblighi o altre perdite ad una sola delle parti.

Quando vi è una bilateralità necessaria? Per Sacco, occorre tenere presenti due dati:
 Sovranità della Volontà del soggetto sulla propria sfera giuridica → In base a tale principio,
la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata (né in meglio né in peggio) dalla dichiarazione
unilaterale altrui, sempre che beninteso che tale ingerenza non sia giustificata da un precedente rapporto
intercorrente fra le parti. Quindi, nessuno può essere arricchito od impoverito senza il suo consenso;
 Prevenzione della Lesione Patrimoniale Ingiusta → In base a tale principio, si dovrebbe arrivare
alla conclusione che la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata in peggio dalla dichiarazione
unilaterale altrui. Quindi, nessuno può essere impoverito senza il suo consenso.
Nonostante si sia appena affermato che nessuno possa essere arricchito od impoverito senza
consenso, la dottrina ammette senza problemi molte norme parzialmente derogatorie.
Si pensi ad es., alla regola per cui il Legato, che consta di soli elementi attivi, si acquista senza bisogno di accettazione,
mentre l’Eredità, in quanto può constare anche di elementi passivi, non si acquista senza accettazione; oppure la regola
per cui la Remissione del Debito opera senza che il debitore accetti; oppure la regola per cui la Promessa al Pubblico
od il Contratto a Favore del Terzo sono efficaci senza necessità di accettazione da parte dei destinatari.

Essa, infatti, non ravvisa violazione alcuna della sovranità individuale nell’acquisto
involontario di diritti; ciò che la nostra dottrina non vuole ammettere non è dunque l’acquisto
involontario, ma è unicamente il contratto con un'unica dichiarazione: infatti, è in gioco non
tanto l’effettiva protezione di un interesse del soggetto a non vedere modificata la propria sfera
giuridica, quanto un concetto, cioè il Dogma della Bilateralità, e ciò spiega quanto possano essere
accanite le resistenze alla regola pratica dell’art. 1333 comma 2 C.c..

La norma citata, infatti, prevede l'accettazione tacita della proposta contrattuale tramite Silenzio:
ma la norma non specifica i caratteri di tale silenzio.
(!) Sacco, quindi, afferma che il silenzio può essere:
 “Circostanziato” → Quando può essere valutato in relazione a tutte le circostanze di fatto
del caso concreto. In questo caso, il silenzio circostanziato può rappresentare una valida
accettazione della proposta, ed il dogma della bilateralità non ne esce scalfito;
 “Semplice” → Se il silenzio produce sempre e comunque l'accettazione tacita, a prescindere
dalle specifiche circostanze di fatto, allora l'omesso rifiuto non sarà né un silenzio
circostanziato né una dichiarazione.
Bisognerà ammettere, in questo caso, che il contratto si perfezionerà non già col silenzio,
ma con la sola proposta, sempreché i suoi effetti non siano impediti dal rifiuto. In tal modo,
però, la formazione bilaterale del contratto ne esce definitivamente compromessa.

Anche affermando che il legislatore abbia assegnato al silenzio un valore d'accettazione, il discorso
non regge: il legislatore può riconnettere a certi fatti degli effetti, ma non può riconnettere ad un
fatto un altro fatto.
A seconda che si opti per l'una o per l'altra soluzione, si ottengono conseguenze pratiche differenti.

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L'ART. 1333 C.C. ed il SISTEMA


Sacco, in questo capitolo, riflette sul rapporto fra la Promessa con Obbligazioni del solo
Proponente (art. 1333 C.c.) ed il Contratto in generale.
Egli, innanzitutto, rileva che il contratto, visto come “fonte di affidamento” e come “scambio”,
può realizzarsi indipendentemente dall'accettazione della proposta: se ad es. Tizio dice a Caio ti
darò cento se avrai fatto questa cosa, l'affidamento di Caio nasce dalla promessa di Tizio, che ha
carattere vincolante. Quindi, non occorre l'accettazione.
La concezione del contratto come “manifestazione d'autonomia del dichiarante” non ha quindi
bisogno di una ulteriore accettazione.
La proposta contrattuale in esame dà vita al contratto: tuttavia, viene tenuta distinta dal contratto, e
viene chiamata “Promessa Unilaterale”, confinata nell'area dei negozi non contrattuali.
Sacco, però, ricorda che la responsabilità del promittente ha pur sempre natura contrattuale.

CONTRATTO ed IMPEGNO UNILATERALE


La fattispecie più semplice che opera nel campo contrattuale è quindi la Promessa Unilaterale, da
cui poi si passa alla più complessa figura della “Promessa con Repromissione” (proposta +
accettazione). La semplice proposta non produce effetti contrattuali nei seguenti casi:
 Nei Contratti Sinallagmatici;
 Nei Contratti che si perfezionano con un Atto di Esecuzione a formazione bilaterale (ad
es., si pensi ai Contratti Reali);
 Nei Contratti che esigono un ulteriore accordo esecutivo, che si fonde e si sovrappone
alla promessa (ad es., si pensi ai Contratti ad Efficacia Reale);
 Nelle Donazioni Formali (art. 787 C.c.).

Solo in questi casi è necessaria la Bilateralità, altrimenti è sufficiente la sola Promessa


Unilaterale: si pensi alla donazione per causa di nozze; all'accollo; alla fideiussione; alla promessa
di dare una garanzia; promessa condizionata ad un evento favorevole al promittente, ecc... .
(!) Sacco si sofferma in particolare su quest'ultima ipotesi, affermando che la promessa
condizionata ad una prestazione si distingue dalla proposta di contratto bilaterale per una
sottilissima differenza.
 Se io prometto x a condizione che la controparte faccia (o dia, o non faccia) y, si tratterà di
una promessa unilaterale;
 Se invece io prometto x a condizione che la controparte si impegni a fare (o a dare, o a non
fare) y, si tratterà di una proposta di contratto bilaterale, che diverrà operante solo se la
controparte effettuerà la repromissione.

PROMESSA di cui all'ART. 1333 C.C. e PROMESSE UNILATERALI (INDIVIDUALIZZATE, o


RIVOLTE al PUBBLICO)
Cosa distingue la promessa di cui all'art. 1333 C.c. dalle altre ipotesi di promesse unilaterali
previste agli artt. 1987-1991 C.c.?
Innanzitutto eliminiamo dallo scacchiere l'art. 1988 C.c., relativo alla Ricognizione di Debito ed
alla Promessa di Pagamento, in quanto tali atti unilaterali si appoggiano su una preesistente fonte
di obbligazione (è inoltre prevista la c.d. “Astrazione Processuale”).
Passando ai rimanenti articoli, l’art. 1987 C.c. presenta le promesse unilaterali come tipiche e i soli
tipi regolati dalla Legge sono i Titoli di Credito e la Promessa al Pubblico.
La proposta ex art. 1333 C.c., dato il suo effetto vincolante e dato il suo carattere unilaterale,
null’altro è se non la promessa individualizzata, ammessa con i consueti limiti dipendenti dal
duplice requisito della causa lecita e del potere di rifiuto del destinatario.
Estendendo la promessa a destinatari indeterminati (art. 1333 C.c. + art. 1336 C.c.), si ha la
Promessa al Pubblico ex art. 1989 C.c..

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(!) Sacco ritiene quindi che l'art. 1989 C.c. sia ridondante, poiché produrrebbe gli stessi effetti
del combinato disposto degli artt. 1333 e 1336 C.c..
Sacco precisa che il requisito della “Promessa”, per cui essa dev’essere rivolta a favore di “chi si
trovi in una determinata situazione” o “compia una determinata azione”, non mira affatto a
regolare in modo restrittivo l’oggetto della promessa o la qualità dei suoi beneficiari, ma
costituisce semplicemente il modo per escludere ogni efficacia della promessa al pubblico
fondata su causa meramente capricciosa.
In sintesi, la limitazione apparentemente soggettiva di cui all’art. 1989 C.c. coincide nel caso
normale con una limitazione tendente ad escludere l’efficacia della promessa se manca un
interesse serio del promittente o un’altra causa diversa dalla liberale che giustifichi la promessa
medesima.
● Sacco, quindi, confuta il fatto che l'art. 1989 C.c. non preveda la possibilità di rifiuto della
proposta (e quindi, differirebbe in tal senso dall'art. 1333 C.c.): per lui la differenza è solo
apparente. Infatti, nulla vieta che la promessa al pubblico sia rifiutata da un quisque de populo.
● Quanto alla Revoca, anche qui Sacco non trova differenze: l'art. 1990 C.c. autorizza la revoca
della promessa al pubblico per “giusta causa”. L'autore ritiene che tale norma estenda alla
promessa al pubblico l'applicabilità delle norme sulla revoca, sul recesso, sul venir meno
dell'interesse, sull'eccessiva onerosità, ecc... previste nelle norme sui contratti in generale e sui
contratti tipici.

L'ART. 1333 C.C. ed il CONTRATTO FORMALE


Dal comma 2 dell'art. 1333 C.c. non appare con chiarezza se il silenzio dell'oblato possa far
perfezionare un contratto formale.
Secondo Sacco, poiché il nostro diritto annette ad atti unilaterali formali sia un'efficacia abdicativa,
sia, in alcuni casi, costitutiva, ritiene che non vi sarebbe assurdità alcuna se la stessa proposta
formale, tendente ad effetti obbligatori, producesse effetto per il solo fatto del silenzio
dell'oblato.
La proposta unilaterale non potrà da sé produrre effetti ove si ritenga che comunque, seppur in
modo tacito, debba intervenire un'accettazione (silenzio inteso come assenso).
Ma Sacco ribatte affermando che l'art. 1333 C.c. non regola un fenomeno di accettazione tacita:
la norma, nel sancire l'efficacia della promessa, non distingue fra contratto formale e non formale.
La Corte di Cassazione, con importanti pronunce, ha affermato l'applicabilità dell'art. 1333
comma 2 C.c. ai Contratti Formali e, conseguentemente, ha ad es. dichiarato efficace sia una
prelazione immobiliare non accettata, sia un atto traslativo solutorio non accettato.

PROPOSTA di cui all'ART. 1333 C.C. ed EFFETTI EXTRAOBBLIGATORI


L'art. 1333 C.c. parla di contratto “ad effetti obbligatori”: tale articolo può essere applicato anche
al contratto “ad Effetti Reali”?
Sacco innanzitutto afferma che l'espressione “obbligazione” contenuta nell'art. 1333 C.c. non va
intesa in senso stretto, ma come “sacrificio patrimoniale assunto dal contraente”.
Infatti, la lettera della norma che restringe il proprio campo ai contratti ad efficacia obbligatoria è un residuato del linguaggio
formatosi allorchè tutti i contratti producevano effetto soltanto obbligatorio e, pertanto, dev’essere corretto adeguandolo alla novella
concezione che estende l’ambito del contratto agli atti muniti di efficacia reale

Sacco ritiene che l’art. 1333 C.c. dispensi dall’accettazione nei casi in cui non vi sia
presumibilmente motivo di credere che l’acquisto nuoccia all’oblato (ad es., si pensi al contratto
a favore di terzi: il terzo acquista solo per effetto della stipulazione ed anche in assenza del suo
consenso, salvo il suo rifiuto espresso).
Peraltro, se già sussiste il consenso dell’acquirente all’appropriazione o, più latamente, se sussiste
un interesse precostituito e tipico dell’oblato all’appropriazione, gli argomenti più convincenti sono
a favore dell’efficacia traslativa reale della procedura di cui all’art. 1333 C.c..

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CAP. II - CONSENSO, SILENZIO E DICHIARAZIONE TACITA


LE COSIDDETTE DICHIARAZIONI TACITE in GENERE
“Silenzio” è un termine ambiguo, che si presta a significare fenomeni molto diversi: inattività,
inerzia, dichiarazione implicita, comportamento dichiarativo tacito, ecc... .
A seconda delle accezioni, sorgono diversi problemi:
 Deve il contratto constare dell'incontro di due comportamenti commissivi delle parti?
 Dev'essere esteriorizzato tale comportamento?
 L'esteriorizzazione della volontà contrattuale dev'essere univoca? O è lecito ricavarla mediatamente, anche
cioè da ulteriori fatti del soggetto, o da fatti oggettivi?
 La volontà contrattuale dev'essere comunicata alla controparte?

IL SILENZIO CIRCOSTANZIATO nella DOTTRINA


Dottrina e Giurisprudenza ritengono che il Giudice, in presenza di appropriate circostanze di fatto,
possa inferire il consenso contrattuale di un soggetto dal comportamento omissivo di quel
soggetto, e dalle circostanze che lo accompagnano: è il c.d. “Silenzio Circostanziato”.
La Dottrina, infatti, ritiene che non sia possibile predeterminare “come si manifesta il consenso”:
tanto una condotta attiva, quanto una condotta passiva, possono servire, a seconda delle
circostanze, a rendere noto il consenso.
Questa nozione dottrinale tende a ridurre a “Res Facti” l'idoneità del silenzio a significare consenso: ogni
comportamento che, di fatto, sia idoneo a manifestare, è una Dichiarazione; quindi, lo sarebbe anche il Silenzio.

(!) Si suole però precisare che il comportamento omissivo produce gli effetti della dichiarazione
solo quando l’interessato aveva l’onere o il dovere di parlare e non ha parlato.
Con questa precisazione, Sacco ritiene che si superi la concludenza di fatto del silenzio: infatti, il
valore di quest’ultimo viene a dipendere non dalla sua espressività, ma dall’onere e dal dovere di
parlare, ossia da circostanze che, lungi dall’influire sul valore semantico del comportamento
omissivo, sanciscono un rovesciamento degli effetti giuridici del silenzio.
Si può quindi affermare che la Dottrina si muova fra due poli opposti.

LA GIURISPRUDENZA
Una massa imponente di Sentenze ribadisce il principio fondamentale secondo cui il Silenzio, da
solo, non vale come consenso data la sua equivocità, salve le singole eccezioni alla regola,
ravvisabili allorchè chi tace poteva e doveva parlare.
L'obbligo di parlare può essere desumibile: dalla Legge, dalla Consuetudine, dagli Usi, dal
Contratto stesso (es. tacito rinnovo del contratto di locazione), dal sistema invalso tra le parti, dalla
correttezza e Buona Fede tra le parti.
Si presentano però dei problemi con riferimento a due ipotesi:
 Quando un contraente affermi un proprio diritto, o neghi il diritto altrui, e la
controparte non dica se intende aderire → In questo caso, ad es. qualora dopo la
contrattazione una parte riceva nuove clausole, il silenzio non può valere come adesione.
Occorrerà un comportamento positivo, sia pur materiale, di adesione;
 Quando un contraente, a scienza della controparte, tenga un comportamento in
obiettivo contrasto coi doveri derivanti dal rapporto.

SINTESI sul VALORE del SILENZIO


In sintesi, per Sacco, il silenzio come comportamento omissivo non è mai una “dichiarazione” e
non è mai “consenso”; però, in molti casi, il contratto si conclude per effetto del silenzio, cioè
senza bisogno del consenso dell’una o dell’altra parte: infatti, la Legge ed il Contratto possono
semplificare la fattispecie contrattuale eliminando il requisito del consenso.
Per quanto riguarda i vizi del volere, la parte aveva il potere di parlare e impedire la formazione
della fattispecie tacita: perciò, se la controparte le ha impedito con la minaccia di parlare, questa ha
commesso un illecito la cui riparazione in natura implica la rimozione degli effetti del silenzio.

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CAP. III - LA CONCLUSIONE MEDIANTE L'INIZIO DELL'ESECUZIONE


L'ART. 1327 C.C. ed il SISTEMA
L'art. 1327 C.c. dispone come segue:
“ 1. Qualora su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza
una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione.
2. L'accettante deve dare prontamente avviso all'altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al
risarcimento del danno”.
Secondo le regole della Convenzione di Vienna, l'esecuzione della prestazione è vista nell'ottica
della manifestazione di consenso.
Sono sorte diverse discussioni sul rapporto fra l'esecuzione ex art. 1327 C.c. e le categorie del negozio giuridico, della
dichiarazione, e dei negozi di attuazione: secondo una dottrina sviluppata in Germania e divulgata in Italia dal Betti, i
negozi non constano sempre di dichiarazioni, ma possono talora constare di un comportamento di attuazione con
cui l’agente esegue direttamente il risultato cui è diretta la sua volontà: vengono così riqualificate ipotesi per l’innanzi
considerate come dichiarazioni tacite, concludenti o implicite.
Quanto all'ipotesi dell'art. 1327 C.c., i vari autori vedono l'accettazione di cui al citato articolo o
come una dichiarazione per fatti concludenti, o come una manifestazione, o come un negozio di
attuazione.
La Dottrina Tradizionalista, da un lato, vuol leggere a tutti i costi nell’iniziata esecuzione la manifestazione della
volontà di produrre gli effetti del contratto (equiparata ad una dichiarazione per fatti concludenti eccezionalmente non-
recettizia); dall'altro lato, invece, la Dottrina Innovatrice nega l’esistenza di una manifestazione, ma ricorre pur
sempre all’idea di un’autoregolamentazione, o di una cosciente presa di posizione munita di un significato
socialmente univoco e riconoscibile.
Sacco si chiede: perché l'adempimento della prestazione menzionata nella proposta dovrebbe
significare la volontà di assumere responsabilità e garanzie? E conclude che l'adempimento d'una
prestazione di per sé dimostra soltanto la volontà di adempiere a quella prestazione: non si può
elevare un adempimento di fatto ad una promessa.
(!) L'iniziata esecuzione non è in grado né di impegnare, né di chiarire in cosa consista
l'esecuzione integrale: occorre un’altra fonte (legale o negoziale), diversa dalla mera attuazione
concretata dall’accettante, che individui il contenuto della prestazione da eseguire ed un’ulteriore
fonte (sempre legale o negoziale) che trasformi l’esecuzione spontanea in esecuzione dovuta e
quindi collegata con i rischi, le garanzie e la responsabilità.
Ciò premesso, Sacco osserva che esistono norme, anche fuori dal campo del contratto, che
attribuiscono all’inizio dell’attività la virtù di obbligare a completare l’attività medesima con
diligenza e stabiliscono, nel contempo, quale sia la misura colmata la quale l’attività possa dirsi
ultimata: si tratta delle norme sulla Gestione d’Affari altrui.
Qui, l’ingerenza nella sfera altrui, legalmente lecita allorchè l’interessato non possa provvedervi da se stesso, deve condursi,
se iniziata finchè l’interessato non possa provvedere o finchè l’affare non sia esaurito, ciò non tanto perché l’intromissione
abbia creato un affidamento, quanto perché l’ingerenza interrotta può essere pregiudizievole e la mera sanzione extra-
contrattuale appare inadeguata alla protezione dell’interessato.

Una ratio analoga è intervenuta nel caso dell’art. 1327 C.c.: tale norma viene quindi a prevedere
una fattispecie complessa che consta di:
 Dichiarazione negoziale del proponente → Con cui egli impegna se stesso e predispone
un regolamento a carico dell’oblato, ove questi si spinga ad operare nella sua sfera;
 Ingresso dell’oblato nella sfera del proponente → Conformato in modo tale da rientrare
nelle ipotesi contemplate nella proposta.
A questa fattispecie, la Legge conferisce la qualifica di “Contratto”: con ciò, essa attribuisce
carattere di sinallagmaticità agli obblighi che il proponente ha assunto per sé ed imposto alla
controparte.
Il proponente non ha, ex art. 1327 C.c., l’autorità che occorre per far sorgere un obbligo giuridico
da un comportamento negativo della controparte (es. non posso imporre un patto di non
concorrenza): l'obbligo sorgerà solo con la conformazione dell'oblato al regolamento contenuto
nella proposta.

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AMBITO di APPLICAZIONE dell'ART. 1327 C.C.


In quali casi la “natura del contratto” richiede che la conclusione si abbia attraverso un principio
di esecuzione? La dottrina, finora, non se ne è curata molto.
La Giurisprudenza, invece, ritiene che la natura del contratto comporti l'esecuzione senza risposta:
 Quando l'esecuzione sia tanto urgente da poter essere pregiudicata se posticipata
all'accettazione;
 Quando sussista uno specifico interesse del proponente all'esecuzione immediata,
prevalente sull'interesse a ricevere la comunicazione dell'accettazione.
Sacco ritiene arbitrarie tali limitazioni. Anzi, egli ritiene che la natura del contratto comporti la
conclusione dell’affare senza bisogno di risposta in tutti i casi (e sono numerosissimi) in cui
sussistono questi tre requisiti:
 La prestazione domandata nella proposta deve avere un contenuto positivo;
 La prestazione deve determinare un'ingerenza nella sfera del proponente;
 Quando sia esclusa l’utilità di trattative.
Cosa che sia ha quando il prezzo sia fissato in anticipo in base all'andamento del mercato – es. contratti di borsa –; o
dall'autorità – es. prezzo dei francobolli –; o dall'offerente – es. vendita automatica –: o dall'oblato – es. quando invia un
catalogo –; oppure si ha quando è pacifico che il prezzo verrà fissato “arbitrio boni viri” – es. piccoli appalti, riparazioni,
ecc... –.

IN PARTICOLARE: LA VOLONTA' del PROPONENTE


Viceversa, in quali casi la “volontà del proponente” può richiedere l'accettazione per esecuzione?
E' logico che se Tizio dice a Caio: “pagami 1 miliardo di € per attraversare il fondo” e Caio
attraversa, naturalmente questa “esecuzione” non può costituire un'accettazione della proposta.
Non qualsiasi prezzo imposto dall'offerente dà luogo all'art. 1327 C.c.: il proponente deve
conformare la controprestazione dell'oblato in base a listini, prezzi di mercato, prezzi praticati
abitualmente secondo la prassi commerciale o gli usi.
Natura del contratto e volontà del proponente vengono dunque ad assumere funzioni solo parzialmente coincidenti:
infatti, la prima genera effetti a carico di entrambi i contraenti, mentre la seconda, a carico del solo offerente.
Infine, Sacco analizza una questione pratica: se l'oblato, ricevuta una proposta, tratti l'affare
credendo che ad esso si applichi l'art. 1327 C.c. e dia esecuzione alla prestazione inviando l'avviso
di cui al comma 2, le conseguenze saranno che sarà l'avviso a costituire l'accettazione della
proposta contrattuale. Naturalmente, varrà come luogo della conclusione del contratto non già il
luogo dove ha avuto inizio l'esecuzione, bensì il luogo dove si sia perfezionata la dichiarazione di
accettazione, e cioè la sede del proponente.

ART. 1327 C.C. e CONTRATTI FORMALI


Se si considera da un lato che il Legislatore qui ha voluto sostituire alla dichiarazione l’esecuzione
di una prestazione, e dall'altro che le regole sulla forma sono applicabili solo alle dichiarazioni e
non invece all’esecuzione delle prestazioni, allora l’art. 1327 non potrebbe applicarsi al
contratto formale. Il problema si è finora posto con riferimento ai contratti della P.A. con cui sono
state ordinate delle merci (v. Manuale, pag. 53).

INIZIO dell'ESECUZIONE
Il contratto non si conclude con l’esecuzione, ma con l’inizio dell’esecuzione. Che succede in caso
di Accettazione Parziale? In via generale si può ricordare che, talora, la proposta è divisibile, per
cui l’inizio dell’esecuzione potrà allora avere la valenza di un’esecuzione parziale che condurrà alla
conclusione di un contratto uguale ad un singolo quoziente di quello corrispondente alla proposta.
Beninteso, la regola dovrà completarsi con la previsione di un carico, imposto all’oblato, perché
chiarisca tempestivamente le proprie scelte.
In via speciale si può ritenere che, se l’oblato evita al proponente di fare affidamento
sull’esecuzione integrale, e opera un’esecuzione parziale, il dovere di completare la prestazione
iniziata non sorge. Come la giurisprudenza ha già confermato, ne deriverà che l’accettazione
parziale (difforme dalla proposta) varrà come nuova proposta, con tutte le conseguenze del caso.

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CAP. IV - IL CONTRATTO SENZA DICHIARAZIONE


IL CONTRATTO di FATTO
Che accade in caso di attuazione non preceduta da proposta alcuna?
Quando manchi la proposta di cui all’art. 1327 C.c., la Tutela Legale di chi esegue una prestazione
non-dovuta è limitata in via di principio ai rimedi Quasi-contrattuali (ripetizione dell’indebito e
restituzione dell’arricchimento); invece, la Sanzione Legale a carico di chi si appropri di beni altrui
è limitata sempre in via di principio ai rimedi Extra-contrattuali (risarcimento del danno e
restituzione dei frutti).
Ciò è dovuto per due ragioni di fondo:
 Ragione valida sul Piano Tecnico → Indeterminatezza degli obblighi.
Una prestazione attuata senza previo accordo non vale ad individuare in che debbano consistere gli obblighi di
chi presta nonché della controparte;
 Ragione valida sul Piano della Giustizia Distributiva → Sproporzione fra prestazioni.
Quand’anche si potesse prestabilire una correlazione fra prestazione eseguita e controprestazione, sarebbe
arbitrario, di regola, imporre al destinatario della prestazione una controprestazione più elevata o comunque
diversa rispetto al suo arricchimento.
Tuttavia, esistono ipotesi in cui queste due obiezioni vengono visibilmente neutralizzate.
A ▪ Mediazione → In questo caso, un soggetto (il mediatore) svolge un’attività di cui altri approfitta, e gli usi
tipizzano il compenso in una percentuale dell’oggetto di quell’attività. Così, il Legislatore riconnette alla prestazione
dell’attività il diritto al compenso e considera contrattuale la fattispecie.
Per Sacco è evidente che il contratto di mediazione non risponde allo schema consensualistico e
bilateralistico. L’elemento che ha reso possibile al legislatore attribuire alla fattispecie gli effetti del
contratto sono gli “Usi”, che tipizzano la prestazione cui ha diritto il mediatore e rendono così
superflua la trattativa e l’accordo sul punto.
Si può quindi dire, alternativamente, che nella mediazione l’Attuazione equivale a Consapevolezza,
ed il Silenzio delle parti al Consenso; oppure, che l’attuazione “a pro” di un cliente consapevole
concluda un Contratto non-consensuale, purché non intervenga una previa rinunzia (da parte del
mediatore) od una “prohibitio (da parte del cliente)”.
B ▪ Contratto di Lavoro Invalido → L’art. 2126 C.c. prevede un altro caso in cui la prestazione
effettuata dà diritto alla retribuzione. Esso recita: “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro
non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi
dall’illiceità dell’oggetto e della causa”. Quindi, la fonte è qui la Legge, non gli usi.
Secondo Sacco, la maggior parte della dottrina ritiene applicabile la norma anche in presenza di un
consenso sia pure ridotto allo schema minimo del contratto appena esistente e, comunque, capace di
contenere in sé un regolamento di rapporti.
(!) Tuttavia, l'Autore crede che non sempre il consenso intorno al vincolo contrattuale possa
essere utilizzato per regolare i rapporti fra le parti.
Es.: se Caio, procuratore di Tizio, assume Sempronio oltrepassando i poteri conferitigli dalla procura, e promettendo a Sempronio un
compenso esagerato, Tizio non sarà vincolato alla promessa, neppure per il periodo durante il quale il lavoro fu prestato.

Nonostante l'art. 2126 C.c. si applichi anche a casi simili a quello visto nell'esempio, per Sacco,
invece, il consenso nullo talora è inoperante (esso cioè non è un elemento essenziale della
fattispecie); perciò, concludendo, non è vero che l’esecuzione della prestazione di lavoro
convalidi un contratto consensuale difettoso.
Gli effetti propri del contratto di lavoro scattano se una prestazione è stata eseguita; quindi, dell’esistenza del contratto
si può parlare soltanto a esecuzione avvenuta e non è possibile riconnetterla alla volontà delle parti, poiché questa, a
volte, può mancare.
L’individuazione qualitativa e quantitativa della prestazione posta a carico del datore di lavoro andrà cercata altrove, in
particolare, quest’elemento che integra l’esecuzione per dar vita alla fattispecie in esame si riduce alla scienza (o
all’aver dovuto sapere) e alla non-opposizione del datore di lavoro, cioè in sostanza all’acquiescenza da questi
prestata all’attuazione della prestazione da parte del lavoratore.

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C ▪ Società di Fatto → Se da un lato il nuovo Legislatore ha inteso rifiutare riconoscimento alla


figura della società di fatto, Dottrina e Giurisprudenza, invece, sono di opinione contraria,
motivando nel senso che si presenterebbero enormi difficoltà a regolamentare tale fenomeno su basi
quasi contrattuali, risultando oggettivamente più semplice individuare la prestazione societaria e
definire quali siano i diritti e obblighi delle parti adottando uno schema contrattuale.
I princìpi sono i seguenti: l'attuazione del rapporto societario di fatto vincola solo la parte che
abbia effettuato all'esecuzione e la parte che vi abbia consentito, o che non l'abbia impedita.
D ▪ “Collatio Agrorum Rusticorum” → Più proprietari di fondi creano una comproprietà di strada
agraria, conferendo in compossesso i tratti di terreno occorrenti per costruirla, o prestando altri beni.
Qui l'esecuzione sopperisce ai difetti di forma.
Il contratto di fatto è dunque un contratto per l’esistenza del quale occorre un consenso di tipo
speciale: infatti, il consenso deve esistere, ma qui si tratta del consenso alla (propria o altrui)
prestazione e non del consenso (negoziale) alla nascita di una propria obbligazione.

I FATTI CONCLUDENTI
Al di fuori dell'art. 1327 C.c. e del Contratto di Fatto, vi sono altre fattispecie costitutive del
contratto diverse da una dichiarazione.
Si pensi al Contratto concluso mediante una Manifestazione (≠ dichiarazione) di Volontà o
mediante Fatti Concludenti: questi fatti non-dichiarativi possono certamente bastare alla
conclusione del contratto, finchè la norma non imponga un’altra soluzione (es. prescrivendo per
la conclusione del contratto una forma particolare).
Il fatto concludente abbraccia qualsiasi condotta umana utile ad intendere che l’operatore vuole
costituire il vincolo contrattuale, così assoggettandosi ai relativi sacrifici (il fatto concludente per
eccellenza è l’attuazione stessa della prestazione o l’esercizio del diritto nascente dal contratto).
Quando questa attuazione o questo esercizio non integrano la fattispecie dell’art. 1327 e non danno vita ad un vero
contratto di fatto essi sono comunque fatti concludenti nei quali è insita la manifestazione della volontà contrattuale (es.
chi installa la propria vettura nell’area destinata al parcheggio a pagamento o chi sale sull’autobus di linea).

Accanto a questi fatti di attuazione, si trova poi tutta la serie dei Fatti Concludenti non Attuativi.
Esempio 1 → Tizio e Caio hanno messo per iscritto la vendita di una bicicletta, ma in seguito Tizio propone a Caio, per mezzo di
Sempronio suo nunzio, la risoluzione: allora Caio, per accettare la risoluzione, gli rimette la propria copia del contratto fatta a pezzi;
si ritiene che tale “accanimento” contro il mezzo di prova – cioè il documento – sia un fatto concludente.
Esempio 2 → Può essere fatto concludente una manifestazione di sentimento: di fronte alla proposta di Tizio, Caio risponde con
grida di gioia e di ringraziamento.
(!) Sacco ricorda che non va confuso il fatto concludente con la comunicazione non linguistica: chi, interrogato, annuisce con un
cenno del capo, non tiene già un comportamento concludente, ma effettua una comunicazione semanticamente qualificata.

Sacco rileva un problema: l'accettazione, di regola, dev'essere recettizia. Se l’accettante attua il


rapporto o se tiene comportamenti concludenti, l’esecuzione non implica l’indirizzamento di un
messaggio alla controparte. Ma se è applicabile l’art. 1327 C.c., il legislatore solleva da ogni
problema l’interprete perché, a tal fine, egli colloca la conclusione del contratto nel luogo e tempo
in cui l’esecuzione inizia, e scorpora dalla fattispecie dell’accettazione quella dell’avviso, prevista
per assicurare al proponente la conoscenza dell’avvenuta conclusione del contratto.

All’attuazione che perfeziona il contratto di fatto e al fatto concludente si applicherà il meccanismo


dell’art. 1327 C.c. o questo meccanismo è eccezionale? Da un lato, l'art. 1326 comma 2 C.c.
richiede la ricettività dell'accettazione, ma la regola del Comma 1 sembra dar rilievo, invece, ad
una più generica conoscenza dell’accettazione, che sarà prodotta, secondo i casi, da una diretta
percezione del comportamento fattuale dell’accettante o da un avviso.
Ciò ha rilevanza circa la competenza del Giudice per territorio (art. 20 C.p.c.).

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I CONTRATTI CONCLUSI MEDIANTE APPARECCHI AUTOMATICI


Da diverso tempo, la tecnica per la conclusione dei contratti si giova di apparecchi automatici.
Uno schema per la conclusione è quello per cui un contraente (professionista) predispone
un’apparecchiatura che consente al cliente di inserire nella macchina mezzi di pagamento (o di
provvedere, con l’ausilio della macchina, ad un pagamento): così, questa operazione renderà
possibile l’appropriazione di una merce (o il suo titolo di legittimazione), oppure il godimento di
una prestazione di fare.
(!) Il contratto concluso a mezzo di apparecchio automatico non è, per Sacco, diverso dagli altri
contratti.
L’offerente predispone l’apparecchio: il suo comportamento è concludente, perchè egli prepara
l’esecuzione della propria prestazione e di quella del cliente, che interviene senza bisogno di
dichiarazioni.
Il contratto a mezzo automatico esclude la trattativa: ma tale esclusione, non contraddice per nulla
i caratteri essenziali del contratto e dell'accordo. Infatti, la scelta del contraente è libera; il
contraente può ponderare la scelta poiché di regola il prezzo disposto dall'offerente è fisso; ecc... .
(!) Le regole sul consenso contrattuale si applicano anche al contratto concluso mediante
apparecchi automatici: perciò, se il contratto è concluso per finzione scenica, esso non ha valore;
così come se è concluso a seguito di minaccia od inganno, troveranno applicazione le norme sui vizi
della consenso (art. 1427 C.c.).

RIFLESSIONI sulla RILEVANZA del CONSENSO


Sacco conclude il capitolo facendo un riepilogo.
Non sempre, dunque, il consenso bilaterale vertente sugli effetti della fattispecie è necessario per
la conclusione del contratto.

(1) Intanto, in via di massima, si chiede il consenso della sola parte che si impegna; quanto alla
parte che acquista, è sufficiente che essa non rifiuti.
La Legge, il contratto precedente e gli usi possono semplificare la fattispecie rendendo non
necessario il consenso di una parte, cui viene concesso soltanto di impedire con il rifiuto la
conclusione del contratto (art. 1333 C.c.).

(2) La proposta di una parte può far soggiacere la controparte alla conclusione di contratti mediante
l’inizio di attuazione (art. 1327 C.c.), purché:
 Si tratti di schemi di prestazioni sociologicamente ben individuate;
 Il collegamento tra prestazioni trovi una specifica tipizzazione nella prassi;
 L’attuazione dell’oblato abbia carattere positivo sfociante nella sfera dell’offerente.

(3) Contratto di Fatto → In taluni casi, l’inizio dell’attuazione unilaterale produrrà effetto anche
se non preceduta da una proposta, a condizione però che non sia accompagnata da una prohibitio
(cfr. mediazione, lavoro).
Inoltre, un’attuazione bilaterale può portare alla conclusione del contratto con maggior larghezza
(società, collatio agrorum rusticorum), ma comunque soltanto in casi tipici.
L'attuazione può avere maggiore efficacia tra persone legate da rapporti precedenti.

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CAP. V - LA DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


DICHIARAZIONE EMESSA e DICHIARAZIONE RICEVUTA. L'ART. 1433 C.C.
Le Manifestazioni possono essere:
 Dirette → Quando l'intento si desume da un comportamento riconoscibile.
Se la manifestazione si svolge mediante l'uso del linguaggio (parlato e/o scritto), allora si
avrà una Dichiarazione;
 Indirette → Quando l'intento si desume da un comportamento concludente.

Nell’ambito della dichiarazione, si suole distinguere la classe delle Dichiarazioni Recettizie, che
pervengono nella sfera del destinatario attraverso la notificazione da parte del dichiarante; ovvero,
per essere efficaci, debbono essere conosciute (o conoscibili) dal destinatario.
La Dichiarazione Contrattuale, tipica dichiarazione recettizia, sembrerebbe avere in comune con
la dichiarazione non-contrattuale (quindi non-recettizia) l’elemento dell’espressione (o emissione):
quest’ultimo elemento, comune ad ogni dichiarazione, consentirebbe dunque di costruire il concetto
generale d'ogni dichiarazione.
Dovunque una dichiarazione sia recettizia, sussiste la possibilità di una divergenza fra contenuto
della dichiarazione emessa, quella notificata e quella percepita.
Ora, l’art. 1433 C.c. apre un varco alla possibilità di dichiarazioni il cui effetto giuridico non è
simmetrico rispetto al contenuto medesima quando emessa: infatti, secondo tale articolo, l’efficacia
della dichiarazione è compatibile con il fatto che essa sia stata inesattamente trasmessa dalla
persona o dall’ufficio che ne era stato incaricato, salva la possibilità per il dichiarante di ottenere
l’annullamento del contratto quando la divergenza sia essenziale e riconoscibile.

L'ART. 1433 C.C. ed i PROBLEMI APPLICATIVI


Supponiamo che il proponente consegni la proposta (priva di elementi che ne indichino la
provenienza) al proprio fiduciario, che questi incarichi un terzo di recapitarla al destinatario e che
il terzo affermi di fronte al destinatario che la proposta proviene dal fiduciario.
Qui, il fiduciario non avrà emesso nulla, ma avrà dato causa alla dichiarazione apparente
mediante il conferimento dell’incarico al terzo. L'art. 1433 C.c. sembra non risolvere casi simili.
La lettera della norma pone a carico del Dichiarante tutti i rischi connessi con l’“inesatta
trasmissione” operata dal Nunzio, e la rubrica dell’art. 1433 C..c si riferisce all’errore nella
trasmissione della dichiarazione.
Ciò premesso: l'art. 1433 C.c. opera solo quando l'inesatta trasmissione del nunzio è dovuta ad un
suo errore, oppure opera anche quando l'inesattezza derivi da Dolo del Nunzio?
La giurisprudenza, in alcune pronunce, ha ricusato l'applicazione dell'art. 1433 C.c. facendo invece
riferimento ai princìpi sul Falso Documentale (querela di falso).
Sacco non condivide tale impostazione: il ricorso alla querela di falso finirebbe per rendere
inapplicabile l'art. 1433 C.c. in un'area in cui, secondo lui, deve invece sicuramente operare.
♦ In taluni casi, il comportamento del terzo incaricato interromperà il nesso causale fra
l’emissione della dichiarazione e la recezione della medesima.
La rottura si avrà quando il terzo inoltri una dichiarazione con una divergenza macroscopica rispetto
al contenuto della dichiarazione che doveva trasmettere (ciò si ha ad es. quando un terzo scolori una
dichiarazione scritta per sostituirla con altra apocrifa, che cambi non solo notevolmente, ma anche
radicalmente, il contenuto della proposta).
Ma se mancasse tale rottura del nesso causale, anche qui, per Sacco, non può farsi una
distinzione fra alterazione dolosa ed involontaria. Troverà sempre applicazione l'art. 1433 C.c..
(!) Il requisito del nesso causale non vale ad introdurre differenze di trattamento fra alterazione intenzionale ed
alterazione colposa. Esso servirà, piuttosto, ad impedire la formazione di dichiarazioni giuridicamente efficaci laddove
sussista una divergenza troppo vistosa fra dichiarazione emessa dal dichiarante e dichiarazione ricevuta dal terzo destinatario.

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♦ Merita di essere sollevato un ulteriore quesito: l’emittente è legato in virtù di un qualsiasi


incarico di trasmettere conferito al terzo, o solo in virtù dell’incarico di trasmettere una
dichiarazione negoziale?
La Tutela del Dichiarante si troverà anche qui nel testo dell’art. 1433 C.c., che parla di inesatta
trasmissione, ossia di un minus rispetto al totale sovvertimento della dichiarazione (ma il valore del
testo è sminuito dal fatto che l’espressione è più lata nella rubrica).

♦ Si potrebbe a questo punto andare oltre, e domandare se il Terzo debba essere veramente
incaricato della trasmissione e quali siano comunque i Requisiti dell’incarico.
Infatti, in tali casi, secondo la lettera della norma, non potrebbe operare l’art. 1433 C.c., che
presuppone esplicitamente il conferimento di un incarico al terzo.
Così, la lacuna potrebbe colmarsi ammettendo che l’incarico conferito al terzo costituisca soltanto
una delle fonti di imputazione della dichiarazione, e che, accanto ad esso, anche qualsiasi altro
fatto colposo dell’uomo, il quale si trovi in un rapporto di causa ed effetto con la recezione di
una dichiarazione, sia sufficiente per creare la dichiarazione efficace (es. dichiarazione
sottoscritta e imprudentemente abbandonata sulla propria scrivania).

♦ Simmetricamente, ci si può domandare se, nel caso previsto testualmente dall’art. 1433 C.c., colui
che ha conferito l’incarico possa esonerarsi dalle conseguenze della dichiarazione, adducendo
che la formazione della medesima non fu dovuta a sua colpa.
Per Sacco, in questo caso, si deve tutelare il destinatario: il dichiarante, cioè colui che ha conferito
l'incarico al nunzio, non può qui esimersi dalle conseguenze della dichiarazione.

L'ART. 1433 C.C. nella TEORIA GENERALE della DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


La dichiarazione contrattuale prevista nell'ambito dell'art. 1433 C.c. non ha dunque tutti i requisiti
di altre dichiarazioni giuridicamente rilevanti: essa coinvolge certo un fenomeno di recezione,
mentre il requisito dell’emissione risulta ridotto ad elementi diversi e più rudimentali.
La norma in esame consente di analizzare non solo la figura patologica dell'inesatta trasmissione,
ma anche la struttura della dichiarazione contrattuale in genere, suggerendo di considerare la
trasmissione e l'incarico quali elementi di norma utilizzabili per la formazione della dichiarazione.

DICHIARAZIONE INCOMPLETA, DICHIARAZIONE a PERSONA INCERTA,


INCARICO di COMPLETARE la DICHIARAZIONE
“Incompletezza della Dichiarazione” è un termine che può significare:
 Incertezza nella persona del Proponente (cioè colui che dichiara);
 Incertezza nella persona del Ricevente (cioè il destinatario);
 Incertezza sul Contenuto della dichiarazione.

L'Intermediario è il soggetto chiamato a svolgere il decisivo ruolo di rendere “certa” la


dichiarazione, di modo che produca effetti.

♦ Dichiarazione incompleta per “Incertezza sul Proponente” → È possibile che esista una
proposta sottoscritta dal compratore, con nome del venditore in bianco e consegnata
all'intermediario, il quale rilascia l'ordinazione a quell'impresa che, tra quelle operanti nello stesso
settore oggetto della proposta, sia disposta ad assegnargli una provvigione più elevata.
In casi di questo genere, la giurisprudenza ha emanato sentenze contraddittorie.
Taluni giudici hanno riconosciuto l'efficacia della dichiarazione completata dal terzo, senza che
questi divenga parte, a condizione che, all'atto della conclusione del contratto, l'intermediario
palesi la sua posizione di semplice terzo.

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♦ Dichiarazione incompleta per “Incertezza sul Destinatario” → È il caso in cui un proponente


certo incarichi un intermediario di trasmettere la proposta a persona non determinata,
rimettendo la scelta all'intermediario. La giurisprudenza, dopo una serie di sentenze
contraddittorie, alcune nel senso dell'efficacia, altre nel senso dell'inefficacia della dichiarazione
manifestata in questo modo, si è uniformata l'indirizzo prevalente in Cassazione (1964) nel senso
dell'efficacia della dichiarazione medesima: il contratto è concluso tra offerente e accettante.
Siccome la proposta è unica, anche l'accettazione è unica e, una volta manifestata, esclude la
possibilità dell'intermediario di procedere nelle contrattazioni con altre persone diverse dal primo
accettante.

♦ Dichiarazione incompleta per “Incertezza sul Contenuto” → È il caso in cui le parti sono
certe, ma è rimessa l'intermediario la specificazione del contenuto al momento della stipulazione.
L'efficacia della dichiarazione in esame è stata sostenuta in dottrina e giurisprudenza con la
seguente argomentazione: se spesso si riconosce valido il contratto fondato su una dichiarazione
alterata dal terzo contra voluntatem domini, a maggior ragione si deve riconoscere valido il
contratto fondato su una dichiarazione il cui contenuto è stato completato dal terzo
“secundum voluntatem domini”.
E' da precisare che la figura dell'intermediario è diversa da quella del procuratore, che imputa a se
stesso la dichiarazione; nonché da quella del nunzio, che è un semplice messaggero.

LA DICHIARAZIONE APPARENTE
Oggi, la materia dell’apparenza e dell’affidamento risulta regolata in Italia non tanto da norme
codicistiche, quanto da norme giurisprudenziali.
La Legge prevede una serie di numerosissime ipotesi tipiche, di ambito relativamente ristretto, in
cui l’affidamento è tutelato: così, in tema di acquisto dal non titolare, di pagamento al non
creditore, di poteri di rappresentanza, ecc... .
In questi casi, la Giurisprudenza non procede ad applicazioni analogiche.
Qualora fuori dalle ipotesi ora accennate si verifichi un ulteriore bisogno di sicurezza dinamica del
diritto, la Giurisprudenza ricorre direttamente al “Principio Generale di Apparenza” che
costituisce ormai un cardine del nostro diritto applicato, e che trova spazio soprattutto nel settore del
Diritto Commerciale, dove è molto sentita la necessità di proteggere il terzo in buona fede.
In base a tale principio, elaborato già sotto la vigenza dei precedenti Codici, un soggetto che crei
per fatto proprio (ovvero per propria colpa) un’apparenza giuridica a sé sfavorevole, non può poi
opporre il vero stato di fatto e di diritto difforme dall’apparenza al Terzo che abbia confidato
senza sua colpa nell’apparenza ingannevole.
Questo principio è rimasto in vita perché, nonostante il nuovo Codice del 1942 avesse ampliato la
protezione dei terzi introducendo nuovi apparati di pubblicità (es. Registro delle Imprese),
sussistevano diverse lacune.
Così, la Giurisprudenza ha tenuto in vita questa regola, che di fatto si trova applicata in materia di
società apparente, di poteri rappresentativi apparenti, di titolarità apparente di una gestione
aziendale e, in modo selettivo, in materia di provvedimenti di pubblica autorità apparentemente
validi.
La dichiarazione apparente può sempre essere misconosciuta dal destinatario: infatti, l’apparenza dà
vita a situazioni la cui esistenza è relativa, nel senso che solo una parte può invocarle (le cose
vanno diversamente nei casi tipici in cui l’affidamento è protetto dalla casistica legale e non dalla
regola generale giurisprudenziale).
La dichiarazione apparente non esclude la dichiarazione vera: così, se A dichiara x, attribuendo
la dichiarazione a B, il destinatario potrà comunque rivolgersi ad A.
(!) Non si può parlare di dichiarazione apparente se il vizio della dichiarazione è riconoscibile
dal destinatario, poiché in tal caso viene a mancare l’incolpevolezza del soggetto che invoca
l’affidamento; mentre applicando il principio di cui all’art. 1433 C.c. la dichiarazione esiste sempre,
salva la sua annullabilità.

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LA DICHIARAZIONE RESA SOTTO FALSO NOME


Se una dichiarazione risulti apparentemente resa da Tizio, ma in realtà è stata resa da Caio, chi
vincolerà dei due?
Se colui che ha operato sotto falsa identità è in grado di influire sulla vicenda del rapporto giuridico
che costituisce lo scopo e l’oggetto dell’atto, la falsa paternità della dichiarazione, in via di
principio, non impedisce alla controparte di far valere gli effetti del negozio.
In altri termini, se il vero dichiarante è legittimato all’atto di disposizione, il contratto, secondo
Sacco, può essere fatto valere dalla controparte, e produce i suoi effetti a prescindere dal fatto
che il dichiarante apparente difetti di legittimazione (es. Tizio trasferisce fittiziamente il bene a
Caio e poi aliena lo stesso bene a Sempronio, sotto il falso nome di Caio).
In via di massima, quindi, il dichiarante apparente rimane estraneo alle negoziazioni fatte a suo
nome.
Ma il discorso cambierebbe se esistessero i requisiti comunemente richiesti per l’efficacia della
dichiarazione apparente (es. Tizio tratta qualificandosi Caio per iussus ricevuto da Caio stesso).
Non pare di dover dire che quando l’uso di generalità false costituisce la fattispecie penale di
sostituzione di persona (art. 494 C.p.) il delitto renda nullo l’atto civilistico.
Il problema della legittimazione sarà particolare quando l’effetto del negozio sarà obbligatorio per
esempio quando Tizio sotto le false generalità di Caio promette di dare una somma, qui è chiaro che
la prestazione promessa è quella di Caio, e la promessa di Tizio è inefficace, perché non si dichiarò
di voler far sorgere un obbligo del medesimo Tizio (promessa del fatto del terzo), né il dichiarante
aveva i poteri per far sorgere un tale obbligo di Caio. Peraltro, se il terzo contraente dirà di aver
concluso con il falsificatore e affermerà che il nome alieno venne utilizzato come demonstratio, e
non come segno di individuazione, il falsificatore non sarà ammesso a dire il contrario (efficacia
verso il vero dichiarante). La falsa paternità potrà viziare in modo ancor meno rimediabile la
dichiarazione quando la paternità apparente della medesima non soddisfi i requisiti formali imposti
dalla Legge. Resta da vedere se, nel campo delle dichiarazioni ad efficacia obbligatoria, la
dichiarazione possa valere nei confronti di chi appare emittente: infatti, una regola generale
favorevole all’efficacia sarebbe all’evidenza mostruosa, ma un’eccezione può profilarsi al solito
quando esistano i requisiti consueti dell’apparenza, quali la colpa di chi apparentemente l’ha emessa
e la buona fede incolpevole del destinatario.
TELEX, TELEFAX, FAX a MEZZO COMPUTER, POSTA ELETTRONICA, ed il
PROBLEMA della PROVENIENZA
Il D. Lgs. 185/1999, derivato dalla Direttiva 97/7/C.E., prevede una speciale tutela del
consumatore allorchè il contratto (avente ad oggetto beni o servizi) impieghi come tecnica di
comunicazione stampati, lettere circolari, cataloghi, telefono con o senza operatore, radio,
videotelefono, teletext, posta elettronica, fax e televisore, ecc... .
Il problema posto da queste tecniche sta tutto nella difficoltà di individuarne il mittente: infatti, il telefax reca
l’indicazione dell’apparecchio mittente e questo apparecchio ha un proprietario che ne sarà responsabile; tuttavia,
adottato il principio per cui la responsabilità del contraente colpisce il soggetto che dichiara, il telefax non proverà che
taluno abbia dichiarato e non proverà la sua responsabilità contrattuale, ma adottato il principio per cui quest’ultima
colpisce colui che è giuridicamente responsabile per una dichiarazione creatrice d’affidamento, l’individuazione del
telefax (o telex) proverà a sufficienza la responsabilità contrattuale dell’utente dell’apparecchio emittente.
Il Fax invece è idoneo a riprodurre fedelmente il messaggio, e vale come scrittura privata.
Registratori od altri modi di riproduzione del parlato, invece, non possono valere come scrittura privata.
IL CONTRATTO TELEMATICO
Il contratto si chiama “telematico” quando il meccanismo di comunicazione passa attraverso
l’accesso ad un sito: ciò implica che il messaggio venga elaborato direttamente dallo strumento
(ovviamente in conformità di istruzioni predisposte dall’uomo). Difficoltà pratiche possono
ostacolare l’ulteriore ricerca volta a stabilire chi abbia giuridicamente il diritto di accesso
all’apparecchio.
Se taluno invia attraverso una linea telefonica un messaggio digitato al computer, fin qui si ha un messaggio trasmesso per E-Mail,
non tanto dissimile da un qualsiasi scambio epistolare per corrispondenza; in questo caso si può essere nell’area dei contratti conclusi
mediante tecniche di comunicazione a distanza, ma non si ha un Contratto Telematico vero e proprio.

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CAP. VI - LA RECEZIONE DELLA DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


GENERALITA'
La dichiarazione contrattuale è recettizia: l’art. 1326 C.c. dispone che il contratto è concluso nel
momento in cui chi ha fatto la proposta abbia conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
Indirettamente, si evince anche il Luogo in cui il contratto è concluso (Sacco però precisa che se l'accettazione venga
fatta per telefono, il luogo della conclusione del contratto è quello in cui si trova il proponente).
L’art. 1335 C.c. precisa che la proposta, l’accettazione, la revoca e ogni altra dichiarazione diretta a
una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del
destinatario, se questi non prova di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di averne
notizia. Queste due regole si applicano a tutti i contratti, non solo a quelli fra persone lontane.

LA SPEDIZIONE
La fase preparatoria della recezione è la Spedizione (ossia l’emissione della proposta): essa è
necessaria al perfezionamento della dichiarazione contrattuale: infatti, una dichiarazione solitaria
o rivolta ad un estraneo non vale, quand’anche la controparte ne avesse casualmente conoscenza.
Con l’attività di indirizzamento, il dichiarante imprime ai suoni, ai segni o allo scritto una certa direzione in modo che
la dichiarazione medesima esca dal controllo del dichiarante e soggiace al controllo di altri (anche l’affidamento della
dichiarazione al terzo o al dipendente incaricati di trasmettere è vero indirizzamento: se do una lettera al mio usciere,
l'indirizzamento si compie quando gliela consegno, non quando la imbuca).
Accanto all’ipotesi della spedizione involontaria e di quella oggettivamente idonea (tecnicamente
inidonea, ma efficace) troviamo poi l’ipotesi della spedizione effettuata “Invito Domino (= contro
la volontà del proprietario)”: se il destinatario sa che la spedizione è avvenuta senza che il
dichiarante lo volesse, nulla quaestio; se però non lo sapesse, qui si ripresenta il normale conflitto
fra il dichiarante e destinatario, ovvero fra sicurezza del diritto e affidamento.
Colui che riceve – v. supra – sarà protetto quando il suo affidamento sia incolpevole, ed il
dichiarante sia in colpa.
Infine, Sacco precisa che taluni contratti contraddistinti dal particolare oggetto e dalla forma
solenne esigono una spedizione condotta attraverso uno speciale procedimento (es. donazione).

L'ARRIVO della DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


La dizione dell’art. 1326 C.c. mette in prima linea, come requisito finale della dichiarazione
contrattuale, la “Conoscenza” che il destinatario ne acquista; ma questa formulazione è subito
corretta da una limitazione contenuta nell’art. 1335 C.c., per cui il semplice arrivo della
dichiarazione all’indirizzo del destinatario è equiparato a conoscenza, se il destinatario non
prova di essere stato senza colpa nell’impossibilità di avere notizia della dichiarazione (es. arrivo
della lettera nella casella postale).
La forma della dichiarazione può portare con sé particolari requisiti nell’arrivo del messaggio: così,
le lettere raccomandate giungono a cura delle poste all’indirizzo del destinatario.
Il ricevimento si ha anche se non è provata la recezione da parte di una delle persone autorizzate;
inoltre, la prova della spedizione normalmente non fa presumere di per sé l’arrivo, ma si può fare
un’eccezione per le raccomandate sulla base dell’id quod plerumque accidit e della facilità con cui
il destinatario, all’occorrenza, potrebbe provare il mancato arrivo.
La dichiarazione fatta a voce non fa nascere problemi vertenti sul suo arrivo; la dichiarazione
fatta per telefono si considera compiuta nel luogo in cui si trova la parte in ascolto.

L'INDIRIZZO del DESTINATARIO


A che si riferisce l’art. 1335 C.c. con “indirizzo” (domicilio, dimora, ecc...)? Sacco ritiene che si
riferisca semplicemente al luogo dove inviare l’accettazione. Infatti, l’individuazione del luogo è
compito di un’altra e diversa norma rimasta implicita nel nostro Codice: la pratica ha poi chiarito
che l’individuazione dell’indirizzo, mancando una regola legale cogente, è affidata alla volontà
delle parti (o meglio del destinatario nella sua veste di proponente).
(!) In assenza di indicazioni, Sacco considera per “indirizzo” sia la Dimora, sia il Domicilio.

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GLI EQUIPOLLENTI dell'ARRIVO


Che accade se la recezione è resa impossibile dalla malizia del destinatario, ad es. se questi si
assenta o si cancella dall'anagrafe?
Irrilevante rispetto alle proposte (posso benissimo sottrarmi alla ricezione d'una proposta: non devo
per forza accettare), la questione tange soprattutto l'accettazione. Se Tizio propone x e poi fugge, la
sua condotta potrebbe essere intesa come una revoca: problemi potrebbero però sorgere in caso di
proposta irrevocabile. Viene in gioco qui, infatti, il generale dovere di buona fede precontrattuale.
La questione ha poi un rilievo evidente nell’area di quelle dichiarazioni (varie e numerose nell’area
del contratto) con cui un contraente esercita un proprio diritto (es. opzione) o potere di scelta (es.
recesso): in tali casi è ovvio che se sussiste l’ignoranza colpevole, essa si equipara puntualmente
alla conoscenza; ma anche la stessa ignoranza incolpevole, o lo stesso mancato arrivo della
dichiarazione nella sfera del destinatario dovuto a fatto di quest’ultimo, possono meritare un
trattamento analogo (es. contraente che dopo aver rifiutato di ricevere la raccomandata contenente
la diffida ad adempiere, pretende poi di sottrarsi alle sue conseguenze allegando di non averne avuto
conoscenza).
(!) Si può quindi dire che quando l’invio della dichiarazione sia il modo di esercizio di un diritto
potestativo, l’emittente assolve l’onere che la Legge gli impone quando faccia tutto quanto è in
suo potere per comunicare la dichiarazione alla controparte (Sacco ravvisa in tale regola una
ratio simile a quella dell'art. 1359 C.c., che prevede che la condizione si ha per avverata, se la
controparte ne impedisce la realizzazione; la dottrina prevalente però disconosce tale
interpretazione analogica); se la raccomandata non viene consegnata per assenza del destinatario
conta come momento dell’arrivo quello del rilascio dell’avviso di giacenza.

ARRIVO e CONTRATTO TELEMATICO


Nulla impedirebbe di applicare al contratto telematico (v. supra), senza varianti, la regola degli artt.
1326 e 1335 C.c., ma si può anche apprezzare il fatto che il legislatore abbia ricondotto il
perfezionamento della dichiarazione ad un evento diverso, ovvero collegandola con l’arrivo del
messaggio all’indirizzo elettronico anziché all’indirizzo anagrafico (ex art. 12, D.P.R. 513/1997).
Il problema del luogo di conclusione del contratto si lega all’identificazione dell’ultima
operazione necessaria per la perfezione della fattispecie: si potrebbe pensare alternativamente al
luogo dove si trova il computer che riceve la comunicazione, al luogo dove il destinatario scarica la
comunicazione dal provider o infine al luogo dove è collocato il server del provider.

LA CONOSCENZA della DICHIARAZIONE


Come si è visto, la dichiarazione produce i suoi effetti tanto se sia concretamente nota al
destinatario (ex art. 1326 C.c.), quanto nel caso che gli sia giunta e gli sia solo conoscibile (art.
1335 C.c.).
► Concezione “Oggettiva” → Parte della Dottrina, muovendo dalle norme sulle notificazioni
processuali e dal concetto di “conoscenza” insito all'art. 1341 C.c., ritiene però che la dichiarazione
sarebbe perfetta ed efficace tutte le volte che ne sussista l’obiettiva conoscibilità (o, come ora si
tende a dire, l’obiettivo ingresso nella sfera del destinatario): l’art. 1335 C.c. ricollegherebbe
all’arrivo della dichiarazione una presunzione di conoscibilità finchè non risulti che, nella
situazione concreta, l’ingresso della dichiarazione nella sfera del destinatario fu impedita da una
forza maggiore operante fuori dalla sfera strettamente soggettiva del destinatario medesimo.
Sacco, però, sembra non condividere tale impostazione.

♦ L'autore solleva quindi un problema, e cioè: in caso di dichiarazione pervenuta, ma inconoscibile,


l'art. 1335 C.c. non dice se siano legittimate entrambe le parti a sollevare il vizio della recezione,
o solo una di esse.

♦ Sacco allarga quindi il campo d'indagine. La frase rivolta al sordo, od il segnale ottico rivolto al
cieco producono effetto solo perché l'impossibilità di conoscere risiede nella sfera del destinatario?

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Il Dogma della Conoscibilità farebbe pensare di sì: addirittura, si potrebbe arrivare al caso estremo
in cui Tizio penetri nell'ufficio di Caio e parli al muro in sua assenza. La dichiarazione sarebbe
considerata conoscibile (in quanto l'assenza della controparte sarebbe un fenomeno confinato nella
sfera soggettiva altrui) e, quindi, efficace.
(!) A tale proposito, la nostra Dottrina ha alle spalle una tradizione, secondo la quale tutte le
norme sulla conclusione del contratto sono operanti solo quando si tratti di dichiarazioni tra
persone lontane o (come si tende a precisare) quando si tratti di dichiarazioni incorporate (ad es.,
in un documento).
Quindi, stabilita in ipotesi l’inapplicabilità dell’art. 1335 C.c. alla materia delle Dichiarazioni
non-Incorporate, bisognerebbe allora ricercare la regola che domina queste ultime dichiarazioni
(es. frase al sordo e segnale al cieco): infatti, è evidente che la norma citata non può assorbire
l'intera area delle dichiarazioni recettizie.

► Concezione “Soggettiva” → Sacco individua quindi tre regole:


▪ Regola n. 1 → Il giusto equilibrio si ottiene, per Sacco, rammentando la regola per cui se al
dichiarante, nel momento in cui emette la dichiarazione, consta ch’essa non sia giunta a
conoscenza del destinatario, egli non ha una ragione seria per contare sugli effetti della
dichiarazione medesima.
La norma dell’art. 1335 C.c. è dunque una deroga al più generale principio contenuto negli artt. 1326 e 1334 C.c.:
questa deroga vuole sì proteggere entro certi limiti l’aspettativa del dichiarante, ma l'aspettativa viene tutelata solo
se il medesimo, al momento dell’emissione, ignora che la dichiarazione non fu conosciuta dal destinatario.

▪ Regola n. 2 →Il destinatario deve subire gli effetti della dichiarazione colpevolmente ignorata,
e ciò perché non si vogliono far ricadere sul dichiarante gli effetti della colpa del destinatario.
Quindi, il destinatario non può, per far valere l’inefficacia del contratto, allegare la propria
omissione colposa, perchè non si può assegnargli il modo di profittare di una propria
scorrettezza.
▪ Regola n. 3 → Poiché l’affidamento che crea la conoscenza presunta del destinatario è l’unico
fatto che giustifichi l’impegno del dichiarante, questa regola impone che il dichiarante possa
far valere la mancata conoscenza della dichiarazione da parte del destinatario, anche quando
questa mancata conoscenza fosse colpevole, se in questo modo si può concludere che la
dichiarazione non creò affidamento.
Sacco richiama infine la Convenzione di Vienna, in base alla quale il momento rilevante è quello
in cui la dichiarazione raggiunge (reaches) il suo destinatario personalmente.

RECEZIONE e FATTI CONCLUDENTI


E quanto alle manifestazioni per fatti concludenti? L'art. 1335 C.c. guarda solo alle “dichiarazioni”.
Fuori dei casi in cui il fatto concludente è efficace ex lege (come avviene nel caso dell’art. 1327
C.c., indipendentemente da ogni sua attitudine a valere come dichiarazione), anche la
Manifestazione resa per Fatti Concludenti è completa quando la persona indicata dalla Legge
come destinatario ha conosciuto l’evento, o quando le tracce del comportamento di attuazione gli
sono pervenute.
Esempio: se la merce ordinata viene spedita senza previa dichiarazione di accettazione, e siamo fuori dall'art. 1327 C.c., il contratto è
concluso nel luogo e momento in cui la merce è consegnata al proponente.

TERZE PERSONE AUSILIARIE


Terze persone possono ricevere il messaggio o possono prenderne conoscenza, così collaborando
alla conclusione del contratto.
Se la dichiarazione viene rilasciata ad un familiare, ad un dipendente del destinatario o ad una
persona giuridicamente obbligata alla custodia ed alla consegna (es. portiere dello stabile) e il
rilasciatario smarrisca o non consegni la dichiarazione, non sarà sempre facile decidere in merito
alla colpa o all’incolpevolezza dell’ignoranza del destinatario.

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▪ Trattandosi del Dipendente, sarà possibile l’applicazione per analogia della responsabilità dei
padroni e dei committenti (“culpa in eligendo”, art. 2049 C.c.), ma solo quando rientri nelle sue
mansioni reali o apparenti il ritiro della corrispondenza.
▪ Invece, quando si tratti di Familiari, opereranno le procure ed i mandati taciti che si innestano
sui rapporti di famiglia, con i relativi limiti.
▪ Se sorge discussione sulla persona che in concreto ha ricevuto il messaggio, chi invoca
l’efficacia della dichiarazione deve provare l’avvenuto recapito, ma non è obbligato a provare che
la persona che ha ritirato il messaggio sia quella autorizzata secondo il Regolamento di
esecuzione del Codice Postale.
Quanto al problema del momento rilevante per la conoscenza? Sarà quello della consegna al familiare, o quello della
riconsegna al destinatario? La Sent. Cassaz. 8399/1996 ha stabilito che in caso di raccomandata non consegnata per
assenza del destinatario, si considera come tempo dell'arrivo il momento del rilascio dell'avviso di giacenza, e non il
momento della successiva consegna.

IL MOMENTO FINALE della PROPOSTA al PUBBLICO


L'offerta o proposta al pubblico è recettizia oppure no?
L'art. 1336 comma 2 C.c. dispone che l'offerta al pubblico sia revocabile, che la revoca debba
essere fatta nella stessa forma dell'offerta od in forma equipollente, e che sia efficace anche nei
confronti di chi non ne abbia avuto conoscenza.
Sacco richiama inoltre l'art. 1990 C.c., sulla Revoca della Promessa al Pubblico, ed individua una
“simmetria strutturale” fra Promessa e Revoca, da cui deriva una conseguente simmetria
strutturale anche fra Proposta (Offerta) e Revoca.
♦ Quindi, l'offerta al pubblico non è un atto recettizio.
Sacco solleva un altro problema. La pubblicità può essere equiparata al momento finale delle
dichiarazioni regolate ex art. 1335 C.c.? Può cioè essere equiparata all'arrivo all'indirizzo?
Larga parte della dottrina ha spesso ritenuto di sì, ma egli dissente: Sacco afferma, infatti, che
l'offerta al pubblico non è una dichiarazione recettizia ex art. 1335 C.c. in forza della pubblicità.
Essa consta di un'espressione che presenta un ulteriore requisito costitutivo dato dalla pubblicità.
In altre parole:
Offerta al Pubblico = Espressione + Pubblicità
Concludendo: la pubblicazione è qualcosa in più della semplice espressione, ma qualcosa in meno
della recezione. Eppure, è un requisito che da solo perfeziona la dichiarazione, anche senza bisogno
di conoscenza.

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CAP. VII - CADUCAZIONE DELLA PROPOSTA E DELL'ACCETTAZIONE


LA CADUCAZIONE della PROPOSTA. IL DISCORSO CONDOTTO nei SEC. XIX e XX
Se da un lato l'attuale Codice Civile ammette sia la caducazione della proposta per decorso del
termine (art. 1326, comma 2, C.c.), sia la revocabilità della proposta (art. 1328, comma 1, C.c.), il
Codice del 1865 non conteneva norme espresse in tal senso; mentre il Codice del 1882 disponeva
la caducazione automatica della proposta ove mancasse la tempestiva accettazione e riconfermava
la revocabilità della proposta ad nutum, fino al momento della conclusione del contratto.
La tempestiva accettazione è divenuta una regola soprattutto nel '900, dopo l'introduzione del BGB, che ha lasciato una forte
influenza.
Quanto al tema della revoca della proposta, prima del Codice del '42 si fronteggiavano due correnti:
una parteggiava per la revocabilità fino al momento dell'accettazione; l'altra invece invocava la
regola della irrevocabilità della proposta.
L'attuale Codice ha però riaffermato il principio generale della revocabilità della proposta (art. 1328
C.c.), e in tal senso hanno disposto anche la Convenzione di Vienna ed i Principi Unidroit.
E' comunque ammessa la proposta irrevocabile (artt. 1329 e ss. C.c.), entro dati limiti temporali.
CADUCAZIONE della PROPOSTA per DECORSO del TEMPO
Come si è visto, l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello
ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare, o secondo gli usi (art. 1326 comma 2 C.c.).
L’art. 1326 comma 3 C.c. attenua il principio legale di tempestività (in base al quale è inefficace
l'accettazione tardiva), prevedendo che il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva
purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte.
Sacco però precisa che l’accettazione tardiva è un termine che copre l’accettazione emessa
tempestivamente e giunta tardi, e allora bisognerà accertare se l’accettante abbia ancora interesse
alla conclusione; poi bisognerà accertare se davvero l’avviso del proponente sia da trattare sempre a
tutti i fini come mero avviso e non come accettazione (riqualificando l’accettazione tardiva come
contro-proposta), e ciò ai fini di individuare la data di conclusione dell’accordo.
L'Autore richiama infine il fatto che la Convenzione di Vienna ed i Princìpi Unidroit considerano come “tempestiva”
l'accettazione tardiva il cui ritardo sia dovuto ad un'accidentalità nella trasmissione, cosa che invece non fa il nostro
diritto interno.

STRUTTURA ed EFFETTI della REVOCA


Ex art. 1328 C.c. si ammette la revocabilità della Proposta (comma 1) e dell’Accettazione
(comma 2); la cosiddetta revoca dell’accettazione è in realtà un ritiro: essa opera in quanto nota
all’offerente prima dell’accettazione, o contemporaneamente ad essa. Pertanto, previene ogni
possibilità di affidamento del proponente, perché priva ab origine l’accettazione di ogni attitudine a
rappresentare al destinatario la volontà del dichiarante.
Diversa appare la revoca dell’Offerta, la quale pervenga dopo la medesima: infatti, nel Codice
sono contenute due disposizioni secondo cui la proposta può essere revocata finchè il contratto non
sia concluso (cioè finchè non sia pervenuta l’accettazione all’offerente ex art. 1328 C.c.) e la
revoca produce effetto solo dal momento in cui perviene al destinatario (art. 1334 C.c.).
Così, con le norme in esame, il Legislatore rifiuta nettamente l’idea che la semplice emissione
della dichiarazione di accettazione renda irrevocabile l’accordo (cosa che invece ammettono i
Princìpi Unidroit e la Convenzione di Vienna).
Resta da vedere se con queste stesse norme la revoca si consideri tempestiva purché emessa prima
del momento dell’irrevocabilità o se si consideri tempestiva quando perfezionata prima di tale
istante: ma oggi si va finalmente affermando la soluzione secondo cui la revoca della proposta è
tempestiva purché pervenga prima del momento perfezionativo del contratto.
Inoltre, una certa tutela viene tuttavia concessa all’accettante così sacrificato: infatti, ex art. 1328
comma 1 C.c., l’accettante che abbia intrapreso in buona fede l’esecuzione del contratto prima di
avere notizia della revoca ha diritto a ricevere dal proponente l’indennizzo delle spese e perdite
subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
► Forma della Revoca → Sembra essere quella per relationem.

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MORTE ed INCAPACITA' SOPRAVVENUTA del DICHIARANTE


Il Legislatore italiano rimane fermo in via di principio all’idea che equipara alla revoca la Morte o
l’Incapacità Sopravvenuta: questi fatti ostano così alla conclusione del contratto se la proposta è
revocabile; invece non ostano nei casi speciali di “Proposta irrevocabile” ed “Opzione”, inoltre
fanno eccezione alla regola anche proposta ed accettazione emesse dall’Imprenditore non
piccolo nell’esercizio dell’impresa salvo che diversamente risulti dalla natura dell’affare o da altre
circostanze (art. 1330 C.c.).
La regola sulla caducazione per morte non è di ordine pubblico: ne deriva che la proposta è
trasmissibile agli eredi se contiene una clausola adatta.
Sorgono invece gravi dubbi, dice Sacco, rispetto all'Incapacità: sicuramente provoca la
caducazione di proposta/accettazione l'Incapacità Legale, ma la lettera dell'art. 1329 C.c. non
chiarisce se si adatti anche all’incapacità naturale (sul punto la dottrina è divisa).
Regole desumibili dalla L. Fallimentare, infine, si applicheranno in caso di Incapacità del Fallito.

IL RIFIUTO
Ulteriore causa di caducazione della proposta è il rifiuto della medesima da parte dell’oblato.
Sacco, in tema di rifiuto, ritiene che il Codice abbia regolato tale settore con una norma elastica,
quale è l'art. 1337 C.c. (dovere di Buona Fede).
▪ L'Autore si chiede quindi se il rifiuto sia insito nella controproposta, nonché nell’accettazione
difforme dalla proposta: secondo Sacco, bisognerebbe considerare che, in caso di una
controproposta (od accettazione difforme), non è detto che l’oblato non voglia aderire alla
proposta originaria.
Perciò, di per sé, la controproposta non dovrebbe annullare l’efficacia della proposta: ne
deriverebbe che, se fosse ancora in tempo, di fronte ad una controproposta lasciata cadere, l'oblato
potrebbe accettare l'offerta originaria.
LA PROPOSTA IRREVOCABILE
Il Codice Civile riconosce espressamente la figura della proposta irrevocabile tale per volontà
privata (proposta irrevocabile, opzione e contratto con obbligazioni del solo proponente) o in casi
speciali in virtù di una Legge (es. proposta scritta diretta all’assicuratore).
Per Sacco sono inderogabilmente sottratte alla revoca le Proposte Dovute (ad es., è inefficace la
revoca della proposta emessa da colui che, mediante preliminare, si era impegnato a concludere);
sono invece inderogabilmente revocabili le proposte che tendono alla conclusione di un contratto
da cui il proponente potrà recedere “ad nutum” in qualsiasi momento.
Analogamente, se taluno propone irrevocabilmente un contratto, da cui peraltro potrà recedere sotto certe condizioni
(es. pagamento di una penale), la revoca sarà acconsentita alle medesime condizioni.

Nel regolare le varie ipotesi in cui la revoca è inefficace, il Legislatore fa una distinzione fra il caso
di “Proposta Irrevocabile” in cui il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta (art.
1329 C.c.) e il caso di “Opzione”, in cui le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla
propria dichiarazione (art. 1331 C.c.): infatti, in un caso il proponente si obbliga, mentre nell’altro
le parti convengono.
Però sorge un problema:
 Ex art. 1329 C.c., il proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta “per un certo
tempo”. Se manca tale indicazione temporale, non si sa se possa essere il Giudice a fissare
tale termine (il Bianca ritiene che, in questo caso, si applichi la regola dell'art. 1326 C.c.,
cioè il termine è quello dettato dalla natura dell'affare o dagli usi);
 Ex art. 1331 C.c., invece, le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla
propria dichiarazione. Se il termine non è stabilito, la norma prevede qui, a differenza
dell'art. 1329 C.c., la possibilità che sia stabilito dal Giudice.
In dottrina, alcuni hanno sostenuto di poter applicare analogicamente il termine giudiziale dell'art.
1331 C.c. all'art. 1329 C.c.; altri invece, fra cui Sacco, ritengono che si tratti di casi distinti.

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Infatti, in un caso il proponente si “obbliga”; nell'altro le parti “convengono”.


 Nell'art. 1329 C.c., il proponente si obbliga a tener ferma la proposta senza chiedere nulla
in cambio: è giusto quindi che il termine sia posto “nel suo interesse”, o, per lo meno, che
questo termine, in assenza d'un accordo, non venga ricostruito in base alla natura obiettiva
dell'affare, bensì considerando il Sacrificio che, in base alle circostanze, il proponente
intenda accollarsi;
 Nell'art. 1331 C.c., invece, la proposta irrevocabile deriva da una “convenzione” che, di
regola, prevede una contropartita per l'impegno a mantener ferma la proposta. Poiché
bisogna assicurare “l'equo contemperamento degli interessi delle parti”, risulteranno
inapplicabili le regole desunte dall'intrinseca natura del contratto ex art. 1326 C.c., e vi sarà
la necessità di una valutazione giudiziale che tenga conto delle peculiari contropartite.
La funzione della concessione unilaterale di un termine deve identificarsi in un interesse dello stesso offerente a
rendere più probabile l’accettazione, assicurando alla proposta quel margine di serietà e definitività che, in via di
principio, difetta all’offerta revocabile. Per Sacco, l’irrevocabilità quando sussista, dev’essere trattata normalmente
come una qualità intrinseca della proposta: quest’ultima nasce irrevocabile e permane tale fin quando si caduca, salva
la volontà privata che potrebbe dar vita ad una proposta scindibile dalla sua qualità e capace, come tale, di sopravvivere
all’irrevocabilità.

REGOLE SPECIALI per i CONTRATTI SOLLECITATI da PORTA a PORTA o


CONCLUSI dal CONSUMATORE
La protezione dell’integrità del consenso (che è menomata quando il contraente è condizionato dalla
disinformazione, dalla paura o dalla mancata ponderazione) è affidata agli ampi rimedi giuridici
predisposti per il caso di Vizi della Volontà, ma una protezione concorrente e più efficace è talora
prevista da singole norme, che o vanno a colpire il contenuto del contratto, come ad es. divieto di
usura; oppure ne rendono più complessa la conclusione, come ad es., l'art. 1341 comma 2 C.c.,
oppure le regole in tema di contrattazione sollecitata da porta a porta – cfr. infra –.
Quest'ultima fattispecie, com’è noto, ingloba tanto l’ipotesi di un consumatore che ha accettato,
quanto quella di un consumatore che, invitato, ha emesso un’offerta.
I legislatori, europeo e nazionale, avevano il compito non facile di formulare correttamente e
comprensibilmente l’idea per cui la vittima della sorpresa non fosse vincolata dalla propria
dichiarazione se non dopo una riflessione durata un certo numero di giorni, e sempre che essa
non si fosse pentita, nel frattempo.
♦ Che natura ha la Dichiarazione di Pentimento in esame? Bisogna che l’interprete ricordi, dice
Sacco, che la dichiarazione di pentimento non è né il Recesso (art. 1373 C.c.) né la Revoca (art.
1328 C.c.), ma è un fatto (commissivo) che osta al formarsi di un silenzio , il quale, da solo,
avrebbe la virtù di far apparire ponderata (e quindi attendibile) la dichiarazione.
Poiché l'inerzia del contraente protetto è considerata rilevante ai fini della conclusione del contratto,
occorre che la dichiarazione di pentimento sia spedita nel termine, tramite telegramma.
♦ Fra la proposta (o l’accettazione, a seconda dei casi) ed il recesso si ha una situazione di
incertezza: il Legislatore italiano parla di “effetto sospeso” e di atto non ancora efficace.
♦ Infine, Sacco precisa che la dichiarazione del contraente sorpreso, anche se ancora non efficace,
produce comunque alcuni effetti:
 Se il consumatore accetta la proposta, non appena l'accettazione giunga al proponente,
quest'ultimo non può più revocare la propria proposta;
 Se il consumatore invia un'offerta, il termine per l'accettazione da parte del fornitore oblato
decorre dal momento in cui tale offerta giunga al fornitore oblato stesso.

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CAP. VIII - CORRISPONDENZA FRA PROPOSTA E ACCETTAZIONE


CONGRUENZA OGGETTIVA e FORMALE dell'ACCETTAZIONE alla PROPOSTA
L’accettazione e la proposta debbono avere un identico contenuto: altrimenti, l’accettazione
contenente una variazione vale come nuova offerta (art. 1326, comma 5, C.c.); ma naturalmente
l’accettazione non conforme alla proposta non andrà confusa con l’accettazione pura
accompagnata da una proposta di modifica: infatti, quest’ultima figura darà luogo alla conclusione
del contratto salva la facoltà per il proponente di accettare o di rifiutare la proposta di modifica.
Bisogna altresì che l’accettazione sia munita di tutti i requisiti formali o di altra natura
prescritti dal proponente.
Se manca la congruenza cronologica (Accettazione Tardiva), il proponente può sanare il ritardo
dandone avviso immediatamente.

(!) Riguardo alla Forma, invece, sebbene la Legge prescriva che l'accettazione data in forma
differente da quella richiesta non abbia effetto, Sacco ritiene che se il contenuto della
dichiarazione ne lasci intendere in modo univoco il valore impegnativo, è giusto che il
proponente possa utilizzare l’accettazione: così, al proponente deve accollarsi solo l’onere di
dirimere prontamente l’obiettiva incertezza della situazione, mediante un avviso analogo a quello
previsto per l’accettazione tardiva.

LE DICHIARAZIONI COMUNI, INDISTINTE, INCROCIATE


Finora abbiamo sempre parlato del contratto consensuale a formazione bilaterale come una
fattispecie che consta di una proposta e di un’accettazione: ma il contratto può benissimo formarsi
anche quando non sia possibile qualificare come “proposta” ed “accettazione” le dichiarazioni.

Vi sono infatti dichiarazioni:


(1) Comuni → Molte volte la dichiarazione delle parti è comune: così avviene quando esse
dichiarino insieme la volontà al notaio o quando, in una seduta congiunta, sottoscrivano un
documento da far valere come testo contrattuale;

(2) Indistinte → Lo stesso discorso vale quando un accordo venga concluso dopo che le clausole
siano state limate gradualmente durante una lunga trattativa (es. lunga telefonata), al termine
della quale non si possano più distinguere un proponente ed un accettante;

(3) Incrociate → Una questione nota alla dottrina di tutti i Paesi e presentatasi nella pratica
concerne le dichiarazioni incrociate (ad es., redazione simultanea di scrittura privata; permuta), qui
il contratto si conclude quando entrambe le dichiarazioni siano giunte a destinazione.

UNITA' e DIVISIBILITA' delle DICHIARAZIONI CONTRATTUALI


Talora una proposta e un’accettazione apparentemente discordi sono efficaci, in quanto un’offerta
apparentemente unica si può svolgere in numerose proposte frazionate.
Ad esempio, Tizio offre 10 unità di una merce ad un determinato prezzo unitario: può darsi che in
tal modo abbia proposto esclusivamente la conclusione di un unico contratto per tutta la serie, ma
può anche darsi che abbia proposto una serie di contratti alternativi aventi ad oggetto la serie intera
o singole unità.
Come ha rilevato anche la Cassazione (sent. 14346/2000), il problema si deve ricondurre alla
volontà delle parti, trattasi dunque di un problema di fatto.

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CAP. IX - LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO A FORMAZIONE


PLURILATERALE
LA SPEDIZIONE e la RECEZIONE della DICHIARAZIONE
In caso di contratto plurilaterale che accade? E' sufficiente che tutte le accettazioni pervengano
singolarmente al proponente, od occorre che ogni accettante faccia pervenire la propria accettazione
anche ad ogni altro oblato?
Dalla regola generale contenuta nell’art. 1326 C.c., e dalla regola specifica dell’art. 1332 C.c. (sul
contratto aperto all'adesione) qualcuno ha ricavato che ogni accettazione debba pervenire al
proponente e a tutti gli oblati.
Più propriamente, ogni parte potrà far valere il proprio affidamento solo in relazione alle
dichiarazioni ricevute.

LA CADUCAZIONE della DICHIARAZIONE


In caso di caducazione delle dichiarazioni nel contratto plurilaterale, parte della dottrina ha ritenuto
che la proposta (e la singola accettazione) possa essere revocata purché giunga a conoscenza degli
oblati prima della conclusione del contratto (cioè prima dell'ultima accettazione). E' stata inoltre
affermata l'inammissibilità dei Patti d'Opzione in questo settore.

Per Sacco, invece, le cose stanno nel modo opposto.


Quando sia intervenuta anche una sola accettazione, per l'autore vi è irrevocabilità della
proposta nei confronti dell’oblato accettante, e ciò trova la sua giustificazione nel corrispondente
vincolo assunto da quest’ultimo.
Pertanto, l’accettazione è irrevocabile di fronte al proponente e la proposta è irrevocabile di fronte
all’accettante: beninteso, l’irrevocabilità non opera a beneficio degli oblati che non abbiano
accettato.

Inoltre, Sacco ammette sia la Proposta Irrevocabile sia il Patto d'Opzione nel contratto
plurilaterale, laddove una o più parti garantiscano l'irrevocabilità della propria decisione per
concedere alle controparti congruo termine di riflessione.
Troverà naturalmente applicazione anche l'art. 1330 C.c. (proposta dell'Imprenditore).

IL CONTRATTO APERTO
L’art. 1332 C.c. tratta del contratto cui possono aderire altre parti. Almeno di norma, qui si tratterà
di contratti che prevedono prestazioni e diritti omogenei per i vari aderenti: l’aderente cioè
assumerà su di sé un carico standardizzato di obbligazioni e, reciprocamente, avrà diritto che gli
altri contraenti effettuino la prestazione prevista (es. contratto associativo).

L’art. 1332 C.c. non dice che l’adesione debba essere una proposta né dice che debba essere
un’accettazione: così a Sacco pare che possa rientrare nella previsione dell’articolo tanto una
proposta, quanto un’accettazione (secondo Torrente, l'atto di adesione equivale ad una proposta
contrattuale se il regolamento negoziale attribuisce all'organo od ai contraenti originari il potere di
rifiutarla: altrimenti, trattasi di accettazione di un'Offerta al Pubblico).

L’art. 1332 C.c., infine, contiene una regola dispositiva la quale prevede che l’adesione sia diretta
all’organo costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti
originari (è fatta salva ogni determinazione che fissi modalità diverse).

Un esempio tipico di adesione a contratto aperto si ha quando, conclusa una Cessione di Beni ad
alcuni Creditori, i Creditori Estranei all'accordo si inseriscano con una successiva adesione (cfr.
artt. 1981 e 1985 C.c.). Non è però chiarito dalla Legge se tale adesione costituisca un'accettazione
od una proposta: in dottrina, tutte le opinioni sono rappresentate.

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SEZIONE III: LE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO - G. De Nova -


CAP. UNICO - LE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO
NOZIONE ed AMBITO
Primo fra i Codici Civili moderni, il Codice del 1942 detta una disciplina per i “Contratti per
Adesione”, ossia quelli in cui una delle parti presta il consenso ad un testo contrattuale che
l’altra ha predisposto in vista della conclusione di più contratti, oppure in cui la medesima
sottoscrive un modulo o un formulario predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati
rapporti contrattuali (fenomeno di contrattazione “Standardizzata”).
La disciplina dettata dal Codice affronta l'argomento dal punto di vista della formazione del
contratto: infatti, gli artt. 1341-1342 C.c. chiudono la sezione dedicata all'accordo.
Ciò che si vuole evitare è che vengano a far parte integrante del contratto clausole che l’aderente,
rimasto estraneo alla loro elaborazione, al momento della conclusione non ha potuto conoscere o su
cui non ha adeguatamente riflettuto.
Di qui, la disposizione secondo cui “le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei
contraenti sono efficaci nei confronti dell’aderente se al momento della conclusione questi le ha
conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 comma 1
C.c.)”, e di qui è anche la disposizione secondo cui alcune fra le condizioni generali di contratto che
il legislatore ha ritenuto particolarmente pericolose per l’aderente (Clausole Vessatorie) debbano
essere specificatamente approvate per iscritto (art. 1341 comma 2 C.c.): lo stesso vale per le
clausole dei moduli e dei formulari (art. 1342 comma 2 C.c.).
Quali sono, secondo la Giurisprudenza, i quattro presupposti perché ricorrano le Condizioni
Generali di Contratto destinatarie della disciplina degli artt. 1341 e 1342 C.c.? Deve trattarsi di
condizioni:
(1) di Contratto → Non è tale una clausola che contenga una proposta o un’opzione, ed essa è
perciò valida anche se non è specificatamente approvata per iscritto, ma è inserita in un modulo
firmato in calce; soprattutto non sono tali le clausole che hanno la loro fonte non in un contratto,
ma in disposizioni di Legge o comunque in quelle normative (ad es., clausole dell'abbonamento
telefonico, del contratto di trasporto delle Ferrovie dello Stato).
Hanno invece natura contrattuale le norme Bancarie uniformi e le prescrizioni contrattuali
previste dagli Statuti degli Istituti di Credito di Diritto Pubblico;
(2) Generali → Le clausole devono essere predisposte da un contraente per una serie indefinita
di contratti, ovvero devono essere incluse in moduli o formulari.
Tali presupposti non ricorrono se le condizioni sono state formulate per la conclusione di un solo contratto;

(3) Predisposte unilateralmente → Non si ha predisposizione unilaterale quando il contratto sia


stato concluso a seguito di trattative, siano esse intercorse fra i contraenti stessi ovvero fra le
associazioni sindacali e di categoria; inoltre, ai fini specifici dell’espressa sottoscrizione delle
clausole vessatorie, si precisa che, perché essa non sia necessaria, le trattative devono avere
investito la specifica clausola vessatoria di cui è questione.
Non si ha predisposizione unilaterale quando una parte stenda il testo contrattuale dopo averne discusso il contenuto con
l'altro contraente; né quando le parti rinviino ad un testo steso da un terzo, noto ad entrambe;

(4) Astrattamente pericolose → Per l’esigenza di tutela non è necessario che l’aderente sia, sul
piano economico, in una posizione di inferiorità rispetto al predisponente, è necessario però che
la conclusione del contratto non a seguito di trattative, ma per adesione, costituisca un pericolo per
l’aderente (ratio ispiratrice dell'art. 1341 C.c.).
Questo non sussiste, secondo la giurisprudenza, quando, ad una valutazione astratta, non possa
configurarsi una contrapposizione di interessi (es. adesione ad una cooperativa); quando l'accordo
sia stato tradotto in atto pubblico notarile; ecc....

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♦ Oggi, in Giurisprudenza, si ammette pacificamente l'applicabilità degli artt. 1341-1342 C.c.


anche ai Contratti predisposti dalla P.A., nonostante un indirizzo contrario di Cassazione
perdurato fino al 1984.

♦ Come si è accennato, l’art. 1341 comma 2 C.c. fornisce un elenco di clausole che, per avere
effetto devono essere specificatamente approvate per iscritto dall’aderente: inoltre, l’elenco è
considerato dalla Giurisprudenza come “tassativo”, sì che non ne è consentita l’applicazione
analogica, ma soltanto l’interpretazione estensiva.

Segue la descrizione dei casi in cui la Giurisprudenza ha ritenuto che si fosse in presenza di una
condizione generale di contratto prevista dall’elenco, e quella dei casi nei quali casi lo ha escluso:
(1) Limitazioni di Responsabilità → Perché si abbia una clausola del genere è necessario che
questa riduca l’ambito oggettivo della responsabilità del predisponente quale è determinato dalla
Legge o dal contratto (es. in materia di assicurazione per i danni), invece non è tale la clausola che
individua l’oggetto del contratto.
(2) Facoltà di recedere dal Contratto → L’art. 1341 comma 2 C.c. non è applicabile quando la
clausola che prevede la facoltà di recesso è apposta ad un contratto la cui disciplina legale già
prevede tale facoltà (es. contratto d’opera intellettuale).
(3) Facoltà di sospendere l’Esecuzione → Allo stesso modo, non occorre la specifica
sottoscrizione per le clausole che prevedono una facoltà di sospensione già sancita dalla disciplina
del tipo contrattuale.
(4) Decadenze → A queste ipotesi, nel complesso di scarso rilievo, sono state ricondotte soprattutto
le clausole che, nel contratto di compravendita, riducono il termine per proporre azione in caso di
vizi della cosa venduta.
(5) Limitazioni alla facoltà di opporre Eccezioni → Si pensi alla clausola che impedisca
all'aderente di eccepire l'estinzione della propria obbligazione per impossibilità sopravvenuta;
oppure alla clausola che vietava di promuovere azioni intese ad ottenere l’adempimento della
controparte prima di eseguire la propria prestazione (clausola “solve et repete”); ecc... .
(6) Limitazioni alla Libertà Contrattuale → Ad es., si pensi alla clausola con la quale il titolare di
un esercizio commerciale si impegna a vendere soltanto i prodotti del predisponente.
(7) Tacita Proroga o Rinnovazione del Contratto → La necessità della specifica sottoscrizione è
stata riconosciuta dopo un’incertezza iniziale anche per le clausole di tacita proroga e di
rinnovazione del contratto, nonostante il loro carattere bilaterale.
(8) Clausola Compromissoria → Permette la devoluzione ad Arbitri delle eventuali controversie
che derivino dal contratto nel quale è contenuta (es. controversia sull’interpretazione di una
clausola).
Non occorre la specifica sottoscrizione per la clausola compromissoria in Arbitrato Irrituale; né per la devoluzione
ad un Terzo di una Perizia Contrattuale; né, infine occorre la specifica sottoscrizione per la clausola compromissoria
nei Contratti Internazionali (Convenzione di Ginevra, 1961).

(9) Deroghe alla Competenza → Si pensi alle clausole che designano un Foro non contemplato
dalla Legge, ma anche quelle che indicano espressamente come “esclusivo” un foro coincidente
con quelli previsti dal Codice di Procedura Civile, ciò perché, in tal modo, si deroga al principio
generale secondo cui, in presenza di più fori alternativi previsti dalla Legge, la scelta spetta
all’attore.
Esempio: se nel contratto è inserita una clausola di pagamento a mezzo tratta, se tale modalità di pagamento è stata
prevista come “esclusiva” allora si ha una modificazione del locus solutionis, e quindi la clausola che prevede la
competenza territoriale del Giudice del domicilio del Creditore dev'essere specificamente approvata per iscritto.

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■ Non sono vessatorie:


 La Clausola Penale;
 Il Divieto di Sublocazione;
 La Clausola di adeguamento del Canone;
 La Clausola che determina l'applicazione del Diritto Straniero;
 La Clausola che richiede il preventivo consenso alla Cessione del Contratto;
 La Clausola che prevede la Riserva di Proprietà;
 La Clausola che prevede il Periodo di Prova;
 La Clausola Risolutiva Espressa (in quanto riproduttiva di norma di Legge - art. 1456 C.c.).
(!) E' vessatoria la clausola con cui si prevede la facoltà dell'ente finanziatore di variare a sfavore
del cliente il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione, ma non è vessatoria la clausola
con cui si prevedano Interessi superiori a quelli legali.
(!) Non sono vessatorie le clausole che, pur rientranti nell'elenco dell'art. 1341 C.c., siano
riproduttive di una norma di Legge (es. Clausola risolutiva espressa).
Esempio 1 → Si è ritenuta non vessatoria la clausola di un contratto di leasing che addossi all'utilizzatore il rischio del perimento
perché conforme all'art. 1523 C.c.;
Esempio 2 → Non è vessatoria la clausola di un contratto d'Appalto di Servizi che preveda l'obbligo del committente di pagare
l'intero corrispettivo anche qualora ritenesse di usufruire del servizio in misura inferiore a quella pattuita (art. 1560 C.c.);
Esempio 3 → Non è vessatoria la clausola che subordini la copertura assicurativa alla titolarità della patente (Cassaz., 1997).

(!) Per converso, sono state qualificate come “vessatorie” clausole che, pur non essendo
riconducibili almeno “de plano” all’elenco, tuttavia derogavano alla disciplina legale del Tipo a
cui il contratto standard andava ricondotto.
Inoltre, anche altri parametri vengono utilizzati ad integrazione del criterio legale dell’appartenenza
all’elenco (es. bilateralità della clausola).
► Ricapitolando: non occorre la specifica sottoscrizione di clausole vessatorie riproduttive di usi
normativi; occorre invece se sono riproduttive di Usi Contrattuali.
LA CONOSCIBILITA'
Perché le condizioni generali di contratto siano efficaci, è innanzitutto necessario che l’aderente le
abbia conosciute o quanto meno che, usando l’ordinaria diligenza, potesse (o, per alcuni, dovesse)
conoscerle (art. 1341 comma 1 C.c.).
Va precisato che la conoscenza deve riguardare non soltanto l’esistenza delle condizioni generali
bensì anche il loro contenuto: la Clausola “Ambigua” è considerata efficace, ma dovrà essere
interpretata a favore dell’aderente (= contra stipulatorem, ex art. 1370 C.c.).
L’art. 1342 C.c., in tema di contratti conclusi sulla base di Moduli e Formulari, richiama
espressamente solo il comma 2 dell’art. 1341 C.c., ma non il 1° (quello sulla
conoscenza/conoscibilità): di qui, il dubbio se il requisito della conoscibilità operi anche per questo
tipo di contratti. Tuttavia, il dato letterale merita di essere rispettato, perché di fronte a un modulo
o ad un formulario, l’ignoranza dell’aderente non può essere considerata scusabile.
In settori particolari, l’esigenza della conoscibilità delle condizioni generali di contratto viene
perseguita imponendo che una Copia del testo contrattuale venga consegnata all’aderente (es.
contratti di servizi bancari e finanziari).
LA SPECIFICA APPROVAZIONE per ISCRITTO
È ormai da tempo consolidata la massima giurisprudenziale secondo cui l’onere formale è assolto
quando l’aderente sottoscrive un’autonoma dichiarazione di accettazione delle clausole
vessatorie individuate mediante il riferimento al loro numero o contenuto (la Giurisprudenza
prevalente ritiene sufficiente il richiamo al solo numero); non sarebbe invece sufficiente un’unica
sottoscrizione globale del contratto, né una distinta ma indiscriminata sottoscrizione della totalità
delle clausole contrattuali.
Tale autonoma sottoscrizione non ammette equipollenti: infatti se le clausole non sono state sottoscritte a nulla varrebbe provare che
l’aderente pur tuttavia le conosceva, reciprocamente se le clausole vessatorie sono state sottoscritte a nulla varrebbe provare che
l’aderente ciononostante non le conosceva.

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♦ Ex art. 1341 comma 2 C.c., le clausole vessatorie in ogni caso “non hanno effetto” se non sono
specificamente approvate per iscritto. Tale dicitura è ambigua: saranno Nulle od Inefficaci?
Secondo De Nova, sarebbero logicamente corrette entrambe le opzioni (infatti, in dottrina e
giurisprudenza ci sono diversi orientamenti): egli, quindi, poiché la norma è prevista non solo a
tutela dell'aderente, ma anche al fine di suscitare in lui attenzione e riflessione, ritiene che la
mancata sottoscrizione comporti la Caducazione solo di quella clausola; caducazione che è
eccepibile tanto dall'aderente stesso, quanto dal predisponente, nonché rilevabile d'Ufficio dal
Giudice.
La restante parte del contratto standard resta efficace: De Nova ritiene che quel profilo del contratto che la clausola
nulla non è in grado di regolare trovi la sua disciplina nel Diritto Dispositivo.

I MODULI ed i FORMULARI
L’art. 1342 comma 1 C.c. stabilisce la prevalenza delle Clausole Aggiunte rispetto a quelle del
modulo o del formulario, anche se queste non sono state cancellate, quando vi sia incompatibilità
fra le prime e le seconde. Le clausole aggiunge possono essere anche apposte a mano su un testo
dattiloscritto. Non c'è incompatibilità se le clausole aggiunte abbiano una mera funzione
integratrice, esegetica, ecc... .

L'INTERPRETAZIONE
L’art. 1370 C.c. dispone un criterio d'Interpretazione Oggettiva del contratto, per cui le clausole
inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei
contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’aderente.
La norma non si applica ai contratti stipulati individualmente, nonché alle clausole che, sebbene
inserite in un contratto standard, siano state oggetto di trattativa.
De Nova ritiene, infine, che la norma possa applicarsi anche qualora il modulo/formulario sia stato
predisposto da Terzi.
Esempio pratico → Una clausola d'una polizza assicurativa prevedeva che, in caso di disdetta dell'aderente, questa fosse comunicata
entro un certo termine tramite raccomandata. Tale clausola s'interpreta nel senso che entro quel termine la raccomandata dev'essere
semplicemente spedita: non va intesa nel senso che essa debba pervenire all'assicuratore.

IL CONTROLLO da PARTE della PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


Per alcuni settori di attività, come quello delle Assicurazioni e delle “Public Utilities”, è previsto
un controllo sulle condizioni generali di contratto da parte della P.A. e delle Autorità Indipendenti
con variabile intensità (dall’obbligo di presentazione, alla necessità di autorizzazione, ecc...).
In generale, le Camere di Commercio possono promuovere forme di controllo sulla presenza di clausole inique
inserite nei contratti (ciò accade specie relativamente ai Contratti di Consumo).

PROFILI PROCESSUALI
L'Onere di Provare che si è in presenza d'un Contratto Standard spetta, ex art. 2697 C.c., alla
parte che da ciò intenda trarre conseguenze a sé favorevoli.
L’accertamento sul carattere vessatorio di una clausola, sull’esistenza della specifica approvazione
per iscritto e sulla compatibilità della clausola aggiunta rispetto a quelle dei formulari comporta una
valutazione di fatto demandata al Giudice di Merito e, come tale, incensurabile in sede di
legittimità.
La rilevabilità della nullità di una clausola vessatoria può aversi in sede di legittimità soltanto in
quanto i presupposti di fatto siano già acquisiti agli atti del processo.
La nullità di una clausola priva di sottoscrizione dà luogo ad un'Eccezione di merito (= non di rito)
in senso Lato (in quanto rilevabile dal Giudice).
PROFILI INTERNAZIONALPRIVATISTICI
La norma che impone l'approvazione per iscritto delle clausole vessatorie non è considerata “di
ordine pubblico”: è quindi consentito al Giudice italiano, qualora debba pronunciarsi su una causa
con elementi di estraneità, applicare il diritto straniero, anche se la materia in questione è
regolata in modo diverso dal Diritto Italiano. Opposta è l'impostazione in Germania (v. Manuale
pag. 142-143).

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IL PROBLEMA del CONTROLLO


L’apparato di controllo predisposto dal Codice Civile nei confronti delle condizioni generali di
contratto e, in particolare, delle clausole vessatorie, non è adeguato.
Ciò perché il problema delle condizioni generali non sta nel fatto che l’aderente non conosce o non
riflette, ma nella circostanza che l’aderente non è in grado di ottenere la modificazione delle
clausole predisposte dall’altro contraente: così, questi, come sottoscrive il contratto, sottoscrive
appositamente le clausole vessatorie e non ha altre opzioni; la disciplina degli artt. 1341 e 1342 C.c.
finisce allora per funzionare soltanto nei casi in cui il contratto è verbale.
♦ Inoltre, un imprevisto spazio di rilevanza si è aperto di recente in relazione alla Contrattazione
Online: la conseguenza è che le condizioni generali, in contratti di questo tipo, non possono dirsi
specificatamente “approvate per iscritto” senza l’adozione di equipollenti informatici della
sottoscrizione convenzionale (es. firma digitale) e, dunque, non hanno effetto.
Di fronte all'inadeguatezza dei controlli predisposti dal Codice, la Dottrina (a partire dagli anni
’60) si è prodigata in suggerimenti ai Giudici proponendo iter argomentativi che consentissero di
dichiarare invalide clausole vessatorie pur appositamente approvate per iscritto.
Per fare ciò, si è cercato di trovare una regola generale: alcuni hanno fatto riferimento all'art. 41 comma 2 Cost.
(indirizzamento a fini sociali dell'attività economica), altri all'Ordine Pubblico Economico, altri alla Buona Fede.
Più utile, secondo De Nova, è stato il suggerimento che individuava nel diritto positivo e nei tipi
contrattuali di base i riferimenti con cui confrontare la correttezza delle condizioni generali di
contratto. Ma la Giurisprudenza non ha ascoltato questi filoni dottrinali.
(!) Quindi, a causa delle difficoltà di un controllo giudiziale generale, la via che si è nei fatti
affermata è stata quella del Controllo Amministrativo (autorità indipendenti e Camera di
commercio) e del Controllo Giudiziale per i Contratti dei Consumatori.

LE CLAUSOLE VESSATORIE nei CONTRATTI con i CONSUMATORI


L'art. 1469 bis C.c. estende la disciplina sul contratto in generale ai contratti del consumatore, ove
non diversamente disposto dal Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) o da altre disposizioni
più favorevoli per il consumatore.
Per quanto concerne le Clausole Vessatorie, la disciplina è oggi data dagli artt. 33-38 del Codice
del Consumo (che hanno sostituito gli artt. 1469 bis – 1469 sexies C.c.): De Nova afferma,
innanzitutto, che una disciplina legislativa delle clausole vessatorie è efficace se induce le
Imprese a modificare i propri Contratti Standard prima che sorga una controversia.
Poiché l'imprenditore è di regola restio a modificare le proprie clausole, farà ciò solo quando saprà
che, con molta probabilità, le clausole predisposte siano effettivamente vessatorie: è quindi
determinante capire quando una clausola sia vessatoria e quali siano le conseguenze.
♦ Ex art. 34, comma 2, Cod. Cons. la prima verifica cui l’imprenditore deve sottoporre i propri
contratti è se essi siano redatti in modo chiaro e comprensibile (Principio di Trasparenza): così,
se il professionista individui in modo preciso l’oggetto del contratto, il Giudice non potrà
valutare come vessatoria la clausola che lo inquadra.
Esempio → La clausola che definisce l’ambito della prestazione dell’impresa nel contratto di assicurazione, se ha una formulazione
oscura riguardo l’accidentalità, può essere considerata vessatoria; altrimenti no.
Del pari, se il professionista individua in modo chiaro e comprensibile il rapporto tra corrispettivo e prestazione, la clausola non è
vessatoria.
Il professionista deve eliminare ambiguità ed oscurità dai propri contratti, al fine di ridurre il
margine di discrezionalità del giudice nel valutare la vessatorietà d'una clausola.
♦ Ex art. 34 comma 3 Cod. Cons., non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di
Legge, ovvero che siano riproduttive di disposizioni, od attuative di princìpi, contenuti in
Convenzioni Internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati Membri dell’Unione
Europea o l’Unione Europea stessa.
De Nova ritiene che tali “Disposizioni di Legge” siano soltanto le disposizioni Imperative e Suppletive, cioè quelle
disposizioni che il legislatore considera espressione di un equo contemperamento degli interessi.

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♦ Ex art. 34 comma 4 Cod. Cons., non sono vessatorie le clausole o i loro elementi che siano stati
oggetto di trattativa individuale.
In particolare, nel contratto concluso mediante Moduli o Formulari, incombe sul Professionista
l’onere di provare che le clausole o i loro elementi, malgrado siano dal medesimo unilateralmente
predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore (comma 5).
 De Nova precisa che la difficoltà non potrebbe essere superata introducendo nel contratto una clausola in cui il
consumatore dia atto che, su determinate clausole, vi sia stata trattativa: una siffatta clausola, oltre ad essere a
sua volta vessatoria, secondo l'autore non varrebbe come confessione stragiudiziale.
 De Nova afferma inoltre che la difficoltà non potrebbe esser superata nemmeno procedendo ad una trattativa
collettiva sulle CGC: ciò potrebbe essere utile in via propedeutica, ma non escluderebbe la possibilità poi di
procedere ad una trattativa specifica ed individuale col singolo consumatore.
(!) L'autore ritiene quindi che una soluzione potrebbe rinvenirsi nella predisposizione di Testi
Contrattuali Alternativi, che prevedano o meno la clausola della cui vessatorietà si tratta.
Se il consumatore sottoscrive il testo che prevede una clausola a vantaggio dello stipulante, De
Nova ritiene che, in questo caso, si possa parlare di trattativa specifica ed individuale, con
esclusione della vessatorietà di quella clausola ex art. 34, comma 4, Cod. Cons..

♦ Clausole Insanabili (art. 36 Cod. Cons.) → Si tratta di clausole che neppure la Trattativa
potrebbe salvare dalla vessatorietà: sono cioè le clausole che comportano:
 Limitazione di Responsabilità → Escludono o limitano la responsabilità del professionista
in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da
un’omissione del professionista;
 Limitazione di Azioni → Escludono o limitano le azioni del consumatore nei confronti del
professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale, oppure di
adempimento inesatto da parte del professionista.
 Inconoscibilità → Estendono l’adesione del consumatore a clausole che, di fatto, non ha
avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.

♦ Il Legislatore detta anche criteri di valutazione:


 All’art. 33 comma 1 Cod. Cons. dispone che si considerano vessatorie le clausole che,
malgrado la Buona Fede, determinino a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
De Nova ritiene la norma di infelice formulazione, in quanto pone una clausola generale in forza
della quale bisogna escludere che ci sia un elenco tassativo di clausole vessatorie;
 All’art. 34 comma 1 Cod. Cons. dispone che la vessatorietà di una clausola è valutata
tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo
riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e alle altre
clausole del contratto medesimo, di un altro collegato o di uno da cui dipende.

♦ Presunzione di Vessatorietà (art. 33 comma 2 Cod. Cons.) → Esiste un elenco di clausole che
si presumono essere vessatorie salvo prova contraria.
Per De Nova, queste possono essere raggruppate in funzione del loro contenuto in due gruppi:
(1) Deroghe alla Forza di Legge tra le Parti del contratto.
Il principio secondo cui il contratto ha forza di legge comporta innanzitutto che le parti siano vincolate all’accordo tra di
esse raggiunto.
Costituisce perciò una deroga a tale principio prevedere che una parte possa risultare vincolata a clausole che non ha
potuto conoscere, oppure ad una lex contractus che venga determinata o modificata dalla controparte rispetto
all’accordo originario.
Il medesimo principio comporta, altresì, che una parte non possa sciogliersi unilateralmente dal vincolo solo per il fatto
che l’interesse originario che l’ha spinta a concluderlo non è più attuale.
(2) Limiti all’autotutela e alla garanzia del diritto di difesa del consumatore.

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Le clausole che si presumono vessatorie ammettono la prova contraria.


Ma non pare agevole che il professionista possa dimostrare che una clausola non sia vessatoria in considerazione
della natura del bene o del servizio, delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto, delle altre
clausole del medesimo o di altro collegato o da cui dipende.
In definitiva, la lista di clausole prevista dall’art. 33 comma 2 Cod. Cons. può dirsi una lista
“grigia” perché comporta valutazioni spesso discrezionali da parte del giudice, ma tende ad essere
una lista “nera” sotto il profilo della prova contraria.
Di qui, l’opportunità per l’imprenditore che rinvenga nei propri contratti standard clausole
riconducibili a quelle dell’elenco dell’art. 33 comma 2 Cod. Cons., di eliminarle o quanto meno
modificarle.
In molti casi si tratterrà di inserire, nelle clausole esistenti, quei “contrappesi” a favore del
consumatore alla cui assenza l’art. 33 comma 1 Cod. Cons. ricollega la vessatorietà.
Per De Nova, l'inserimento di tali contrappesi non esclude la vessatorietà: fa soltanto venir meno
la presunzione di vessatorietà.
Infatti, l’elenco delle clausole che si presumono vessatorie integra, ma non sostituisce, il criterio
generale della buona fede e del significativo squilibrio, sicché può essere vessatoria anche una
clausola che le disposizioni dell’art. 33 comma 2 Cod. Cons., a contrario, escludano dal novero di
quelle che si presumono vessatorie.
Tra i due elenchi di clausole vessatorie previste ex lege (cfr. art. 1341 comma 2 C.c. e art. 33
comma 2 Cod. Cons.) non vi è però coincidenza completa: sicché l’imprenditore dovrà assicurarsi
non solo che le clausole dei propri contratti standard non siano vessatorie in base alla novella
dell’art. 33 Cod. Cons., bensì dovrà verificare anche che siano specificatamente sottoscritte ex art.
1341 comma 2 C.c. quelle che, tuttavia, rientrano nell’elenco previsto da quest’ultima disposizione.
La conseguenza dell’accertata vessatorietà di una clausola comporta la sua caducazione, ferma
restando l’efficacia del contratto per il resto (almeno in linea di principio).

CONDIZIONI GENERALI di CONTRATTO PREDISPOSTE da ENTRAMBI i CONTRAENTI


Il problema si pone quando entrambi i contraenti hanno proprie condizioni generali di
contratto e ciascuno invia all’altro le proprie senza sottoscrivere quelle che riceve.
Si ha così uno “scambio tra formulari” e, quando questi sono confliggenti, si ha un “Conflitto tra
Formulari (c.d. “Battle of the Forms”)”.
In base all'art. 1326 C.c., se l'accettazione diverge dalla proposta si ha una nuova proposta: opera
quindi il principio della necessaria corrispondenza fra proposta ed accettazione.

La Convenzione di Vienna all'art. 19 risolve il problema del conflitto tra formulari per quanto
attiene all’avvenuta conclusione del contratto sancendo che il contratto è concluso se le condizioni
generali dell’accettante non modificano in modo sostanziale quelle del proponente, salvo che
quest’ultimo sollevi obiezioni.
Per quanto riguarda il contenuto del contratto, la Convenzione non dà una risposta.
Tra la soluzione che dà prevalenza alle condizioni generali formulate per ultime e quella che
elimina le condizioni generali confliggenti (cosiddetta “Knock-out Rule”), quest’ultima, per De
Nova, è da preferire: infatti, se le parti concordano sugli aspetti essenziali del contratto, le
condizioni generali confliggenti si neutralizzano, e quei profili vengono disciplinati dal diritto
positivo. Questa soluzione è adottata anche da Unidroit.
In base a questa soluzione, il contratto è in linea di principio concluso, ed il suo contenuto è dato delle clausole su cui
vi sia stato l'accordo espresso e, in più, dalle clausole standard che sono comuni, per tali intendendo quelle che lo
sono da un punto di vista sostanziale.
La presenza di clausole confliggenti non esclude che il contratto sia concluso, ma esclude le clausole stesse dal
contenuto contrattuale.
(!) È però fatta salva la espressa volontà di una parte, tempestivamente dichiarata, di non voler essere vincolata
da un siffatto contratto.

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SEZIONE IV: IL CONSENSO - R. Sacco -


CAP. I - IL PROBLEMA DELLA VOLONTA'
GENERALITA'
Risale al XVIII sec. l'impostazione illuministica che ha concepito il contratto come espressione
dell'autonomia: se l'autonomia è il potere della volontà, allora, dice Sacco, il contratto sarà il punto
di incontro di due Volontà.
La Pandettistica tedesca ha poi sostituito alla Teoria della Volontà la Teoria della Dichiarazione,
per la quale la volontà si manifesta tramite appunto la dichiarazione, ed è quest'ultima che crea
affidamento, ossia quella “molla” necessaria per far sì che il contratto sia vincolante.
Sin dal tempo degli antichi Romani si è cercato di dare una tutela al contraente vittima del proprio errore, dell'altrui
raggiro o violenza: infatti, il contratto come “veicolo degli scambi” può far funzionare il mercato e massimizzare il
profitto soltanto se posto in essere da soggetti adeguatamente liberi, informati, che abbiano ben ponderato e che abbiano
accesso a tutte le possibilità di contrattazione aperte in quel momento.
Chiaramente, la tutela della volontà confliggerà con l'esigenza di tutela dell'affidamento: il legislatore dovrà fare le
sue scelte.

VOLONTA', DICHIARAZIONE, INTERESSI SOTTOSTANTI


Il “Principio della Dichiarazione” ha un senso non perché si oppone al principio della volontà, ma
perché, sacrificando questo principio in un numero di casi che si spera modesto e trascurabile,
ne rende spedito, agevole e garantito il funzionamento in tutta la massa di casi normali, nei quali
volontà dichiarata e volontà interna coincidono, sottraendo così il contraente al rischio di vedere
contestato il contratto in nome di una divergenza fra dichiarazione e volontà interna.
Tuttavia, la regola della dichiarazione potrebbe trattenere l’operatore dal contratto per il timore di
sbagliarsi ed essere poi legato ad una dichiarazione emessa per errore; mentre la regola della
volontà può rendere malagevole la conclusione dell’accordo, perché la controparte sa di non potersi
fidare ciecamente della parola dell’operatore.

ASSENZA della VOLONTA' e VOLONTA' VIZIATA


Di regola, si insegna che da un lato la Divergenza fra Dichiarazione e Volontà esclude l’esistenza
del volere; invece, dall'altro, che il Vizio Semplice turba il procedimento di formazione della
volontà, ma non la esclude del tutto. Questa è, a grandi linee l'idea, della dottrina tradizionale.
♦ Ma da tempo si è riflettuto che la parola “volontà” non indichi sempre la stessa cosa: infatti, in
taluni casi, la dichiarazione può essere priva della volontà degli Effetti del negozio (es. riserva
mentale o errore sul significato della propria dichiarazione); mentre in altri casi essa è addirittura
scompagnata dalla stessa volontà di dichiarare (es. lapsus, dichiarazione involontaria).
(!) La teoria della dottrina tradizionale (contrapposizione fra “divergenza dichiarazione/volontà” e
“vizio semplice”) non sta più in piedi: Sacco ritiene, infatti, che in presenza di un'anomalia del
consenso sia praticamente impossibile distinguere se tale anomalia escluda la volizione degli
effetti o se la vizi soltanto.
Infatti, in caso di consenso anomalo, concretamente potrebbero configurarsi varie ipotesi: si può escludere in blocco
ogni volontà, si può pensare che la volontà sia esistente ma viziata, o si può pensare che manchi la volontà degli effetti.

VIZIO del VOLERE e VIZIO della DICHIARAZIONE


Fra i casi di divergenza tra volontà e dichiarazione, ci sono ipotesi in cui la Dichiarazione manca
del tutto.
 Violenza Fisica ed Ipnosi → Non ha senso dire che il soggetto costretto da Violenza Fisica “dichiara e
non vuole”, perché qui manca completamente la stessa dichiarazione e il comportamento del preteso
dichiarante;
 Dichiarazione Scenica → Ad es., dichiarazione fatta per scherzo o per insegnamento;
 Dichiarazione Simulata → La Controdichiarazione la fa degradare a semplice messa in scena.

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Il problema giuridico della dichiarazione scenica, della trattativa, dello scherzo, della clausola di
stile, ecc..., sorge quando un soggetto abbia percepito un comportamento altrui che, se non fosse
contraddetto da circostanze concomitanti, avrebbe valore o portata di dichiarazione contrattuale.
In casi siffatti, sorge il problema pratico dell’effetto di queste contingenze (comportamenti o dichiarazioni), che
diventa importante quando un soggetto percepisce parole o segni astrattamente idonei ad esteriorizzare una volontà,
ma non percepisce le circostanze o dichiarazioni che impediscono in concreto tale idoneità.
Infatti, il problema dell’efficacia di siffatti segni o parole riguarda l’opponibilità e la prova delle
circostanze impeditive non portate a conoscenza del destinatario, o da lui non riconoscibili.

I FATTI CHE ACCOMPAGNANO il VIZIO


Il sistema giusnaturalistico e quello pandettistico non considerano il fatto esterno materiale (di
natura non psicologica) che si accompagna al vizio del volere, o addirittura lo determina: ma questo
atteggiamento, dice Sacco, non è giustificato.
Esempio: non può esservi inganno rilevante senza il raggiro – esterno – della controparte.

Occorre innanzitutto valutare l'affidamento della controparte destinataria della dichiarazione.


Di regola, al vizio della volontà del contraente (fatto psicologico) fa riscontro la Mala Fede della
Controparte: ciò può identificarsi con la scienza del vizio o con un comportamento più complesso,
da valutarsi secondo la regola obiettiva di Buona Fede e Correttezza.
Per cui, è in malafede chi causa l’incapacità del dichiarante o lo stato di pericolo, oppure chi ne
abusi soltanto.
Per Sacco, l'art. 1337 C.c., che reprime la “Culpa in Contrahendo”, diviene il punto di partenza
di tutta la protezione di cui un soggetto abbisogni allorché negozia, perché tale protezione è
somministrata secondo una valutazione comparativa della condotta dei contraenti.

♦ L'Abuso → La Legge può proteggere l'equilibrio fra le prestazioni collegandolo con la


protezione della libertà del volere.
Se il volere non si sia liberamente formato, il negozio dovrà considerarsi invalido.
Sacco precisa, però, che quando la mente di un soggetto è indebolita da una situazione viziante (es.
incapacità, stato di bisogno, di necessità, ecc...), si renderebbe un cattivo servizio al soggetto che si
vuol proteggere invalidando tutti i suoi atti (es. si proibirebbe al malato di farsi operare; al debitore
di liquidare il proprio patrimonio, ecc...).
Bisognerebbe quindi assicurare efficacia agli atti e negozi conclusi da tale soggetto, nei limiti in
cui la controparte non abusi della situazione per trarne profitto. L'autore conclude affermando
che tutti gli Abusi (compresi quelli di mercato) meriterebbero rimedi di tipo Rescissorio.

CONSENSO ed ELEMENTI ESSENZIALI del CONTRATTO


Il contratto è un accordo che produce gli effetti voluti dalle parti. Ne consegue, quindi, che il
contratto nullo non sia un contratto. Il contratto annullabile, invece, pone problemi di
classificazione: è un contratto, oppure no?
La soluzione dipenderà dalla nozione di negozio esistente, valido, efficace, ecc... che si vorrà
sostenere.
Ad ogni modo, nella misura in cui la volontà libera e cosciente degli effetti tende a divenire un
mero requisito dell’inattaccabilità del negozio, ma non della sua esistenza, si nota un
arretramento delle posizioni della dottrina volontaristica, poiché essa eviterà ormai di
ricomprendere la volontà fra gli elementi essenziali del negozio, e la inscriverà fra le “circostanze
rilevanti”.
Ad es., il Contratto Annullabile esiste pur in assenza di una volontà libera: pertanto, è attaccabile.

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CAP. II - LE REGOLE
IL LEGISLATORE
Il Codice Civile, che dedica alla materia gli artt. 428 e 1427-1452 C.c., ignora tanto la figura
generale del difetto di volontà quanto la distinzione fra anomalia della dichiarazione, difetto totale
del volere e vizio semplice.
Tuttavia configura varie ipotesi tipiche di Vizio del Consenso: nell’ambito di ognuna di esse, si
possono trovare promiscuamente figure di assenza del volere, figure di semplice vizio, e in un caso,
l’anomalia della dichiarazione (errore nella trasmissione, art. 1433 C.c.).
Questi vizi tipici sono:
 Artt. 428 e 1425-1426 C.c. → L’Incapacità di Intendere e di Volere;
 Artt. 1428-1433 C.c. → L’Errore;
 Artt. 1434-1438 C.c. → La Minaccia;
 Artt. 1439-1440 C.c. → Il Dolo;
 Art. 1447 C.c. → Lo stato di Pericolo;
 Art. 1448 C.c. → Lo stato di Bisogno.

Col tempo sono stati pensati vizi del volere cui non si era provveduto in precedenza, come la
Propaganda Subliminale, la Sorpresa e l’Abuso di Posizioni, per i quali il legislatore ha
effettuato qualche intervento specifico in materia, anche in attuazione di Direttive Europee (varie
Leggi in materia di regolamentazione dell'attività pubblicitaria sui mezzi radiotelevisivi, di
contrasto alla pubblicità ingannevole, di obblighi informativi e garanzie del consumatore;
istituzione dell'A.G.C.M. – Autorità Antitrust –).

LA REGOLA d'INSIEME su VOLONTA', VIZIO del VOLERE, AFFIDAMENTO


La Legge prevede quindi figure tipiche di vizi del consenso: ma Sacco si chiede come siano
regolate, fuori dai tipi legali, le altre ipotesi di vizio del consenso, come ad es. la violenza fisica, il
caso dell'ipnotizzato, della riserva mentale spontanea, della dichiarazione scenica.
Che valore hanno tali dichiarazioni?
(!) Per Sacco, non è dichiarazione, e non produce effetto, l'emissione di segni grafici o parole
quando, in relazione alle circostanze manifeste che l'accompagnano, tale emissione sia inidonea
ad esteriorizzare una volontà: è quindi irrilevante la dichiarazione scenica, la dichiarazione a
titolo d'insegnamento, la dichiarazione fatta per scherzo, ecc... .
La dichiarazione vale nel significato che le attribuisce il dichiarante, allorché il destinatario
riconosca concretamente tale significato.

♦ Molti studiosi richiedono che, perché il contratto esista, sussistano per lo meno due dichiarazioni
qualificate dalla volontà di dichiarare. Ma Sacco li smentisce subito, richiamando l'art. 428 C.c.:
in caso di contratto concluso da persona incapace d'intendere e di volere, il contratto resta valido se
non risulta la mala fede della controparte: in questo caso, quindi, si ha un contratto valido in
presenza di una sola dichiarazione qualificata (cioè quella della controparte).

♦ Inoltre, non è scritto in nessun luogo che il dichiarante debba volere, oltre il suo proprio
comportamento dichiarativo, il contenuto o gli effetti del testo contrattuale (es. chi accetta una
proposta senza averla letta compie un’operazione giuridica e si vincola): perciò, la Volontà degli
Effetti non è un elemento del contratto.
Peraltro, se la parte ha veramente voluto i singoli contenuti del contratto, allora la volontà può
diventare rilevante perché, entro certi limiti, la Legge protegge la libertà del volere e la sua
spontaneità contro le insidie del dolo e della violenza. Ma dicendo che la volontà, quando c’è, può
essere rilevante, non si dice affatto che la volontà sia un elemento indefettibile del contratto.

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Perché possa deliberare nel modo desiderabile, occorre che il contraente sia:
1) Libero: non venga cioè coartato (in tal caso, è protetto con le norme sulla violenza e
sull’abuso dello stato di pericolo o di bisogno);
2) Ponderante: abbia attitudine, capacità e tempo per riflettere (è qui protetto con le norme
sull’incapacità, sulla propaganda subliminale e sulla negoziazione porta a porta);
3) Informato: conosca e sappia cosa sta facendo (è qui protetto con le regole generali
sull’errore; inoltre, il legislatore ha dettato regole protettive ulteriori per il caso di
disinformazione indotta da altri con dolo e, infine, ha redatto singole norme specifiche
sull’obbligo di informare).

(!) Al di fuori dei casi tipizzati, ovunque si possa dire che la volontà sia stata condizionata da un
elemento patologico, altrettanto si può dire che un rimedio debba esistere.
Sacco ravvisa questo principio nell’art. 1337 C.c., laddove, nella sua formulazione elastica,
consente di reprimere qualsiasi abuso o approfittamento, e di penalizzare la creazione della
distorsione e l'induzione a contrarre sotto lo stimolo della distorsione.
La repressione del contratto slealmente concluso può operare con maggiore o minore severità:
infatti, la vittima può invocare certamente l’art. 1337 C.c. per giustificare il diritto al risarcimento
del danno, ma può altresì invocare l’art. 2058 C.c., affinchè il risarcimento gli venga prestato in
forma specifica, ossia mediante la rimozione del contratto.
Di regola, quindi, il contratto affetto da un vizio innominato è annullabile: talora, però,
l'annullamento priva il contraente dell'accesso al bene che si era procurato col contratto stesso, e
di cui ha bisogno.
Per questo, il contraente può optare tanto per l'Annullamento, con restituzione delle prestazioni già
eseguite e diritto al risarcimento del danno (artt. 1337-1338 C.c., Responsabilità Precontrattuale),
tanto per la Riduzione a Giustizia del rapporto contrattuale, mediante decurtazione della
prestazione del contraente vittima, od imposizione d'una prestazione supplementare alla
controparte (cfr. artt. 1440 C.c. – dolo incidente – e 1450 C.c. – modificazione del contratto
rescindibile –).
Annullamento e risarcimento operano (alternativamente o cumulativamente) a favore dello stesso
soggetto per raggiungere un solo risultato: cancellare un'ingiustizia.

CASISTICA: la MANIPOLAZIONE del CONSENSO del CONTRAENTE


La Buona Fede Precontrattuale vieta di approfittare delle possibili ragioni della debolezza della
controparte (es. errore, incapacità, bisogno, ecc...); a più forte ragione vieta di creare le ragioni di
debolezza della controparte (es. mediante l’inganno); al contrario, la buona fede impone di
illuminare la controparte e di indirizzarle informazioni adatte e veritiere.
L’accostamento delle norme sui vizi del volere e dell’art. 1337 C.c. fa sorgere problemi di
armonizzazione: in tutti i casi di indifferenza del legislatore alle sofferenze della vittima (ad es.
quando non si concede la rescissione per lesione infra dimidium) si garantisce anche l’impunità
della controparte sul piano della responsabilità precontrattuale?
La risposta dev’essere data a seconda della ragion d’essere della norma adottata in tema di
vizio: infatti, la regola sul Dolo (artt. 1439-1440 C.c.) rende evidente che il Legislatore può
distinguere un evento determinante del consenso (e perciò invalidante) da un evento incidentale
non invalidante, ma responsabilizzante.
Invece, il discorso può essere diverso per la Lesione “infra dimidium”, poiché qui il legislatore
può aver assegnato al vizio una soglia di rilevanza per evitare che di regola il contratto comporti
uno strascico giudiziale e stragiudiziale di rimostranze.
L'elevatezza della lesione non è solo un requisito del danno, ma anche una conferma dell'intensità
del bisogno, e dell'impossibilità di provvedere altrimenti.

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CASISTICA: la MANIPOLAZIONE dei COSTITUENTI del CONTRATTO


Incidono sulla conclusione del contratto (determinandolo o escludendolo), oltre alla proposta e
l’accettazione, anche la revoca, il rifiuto, l’omessa revoca, l’omesso rifiuto e l’omessa
accettazione. Ciascuno di questi elementi può dar luogo a controversie relative al trattamento del
vizio del volere, all’apparenza e alle autorizzazioni:
Sacco ritiene quindi che la norma dell’art. 1337 C.c. regoli i vizi degli elementi in questione, e
ritiene ad es. che agisca “sine iniuria” l'oblato che, essendo libero di rifiutare la proposta, tramite
inganno o minaccia induca il proponente a revocare; lo stesso discorso può farsi per l'offerente
provvisto del potere di revoca della proposta che, con mezzi scorretti, induca l’oblato a rifiutare.
La soluzione, invece, cambia se l'oblato aveva l'obbligo giuridico di accettare (es. soggetti
monopolisti), o se il proponente non aveva il potere di revocare.
Nell’area di questi comportamenti incidenti sulla formazione del contratto, la sanzione della
scorrettezza pare essere l’efficacia o l’inefficacia di determinati elementi della fattispecie, ossia,
di riflesso, la validità o l’invalidità del contratto.
Ad es., si pensi alla rimessione in termini dell'oblato a fronte d'un impedimento frapposto all'accettazione da parte del
proponente che abbia reso irrevocabile la propria proposta, salvo poi pentirsene.

CASISTICA: le CLAUSOLE di STILE


La Clausola di Stile è considerata una Dichiarazione senza Volontà. L'accertamento della natura
della clausola è compiuto dal Giudice, d'ufficio: una volta accertata, la clausola è inefficace.
Sono cioè considerate giuridicamente irrilevanti ai fini della determinazione del rapporto contrattuale.

Questo è l'orientamento prevalente in giurisprudenza, che però la Dottrina fatica a comprendere:


perché mai una clausola non dovrebbe essere efficace?
Molti autori (Messineo, Biondi, Cavalieri), infatti, affermano che tali clausole siano operanti al
pari delle altre, fino a prova d'una comune volontà contraria delle parti.
Inoltre, alcuni ritengono (Gazzoni) che incomba su chi ne affermi la non volontarietà l’onere di
provare che la clausola è di stile (cfr. anche Cassazione 965/1980).

Ad ogni modo, la Giurisprudenza offre una qualche spiegazione della clausola di stile, definendola
come quella clausola inserita abitualmente nel contratto, che si limita a rappresentare la
consueta espressione di una prassi stilistica riferita a determinati atti e, perciò, non può essere
interpretata come un’espressione di una specifica e concreta volontà delle parti, a causa della
sua eccessiva genericità e indeterminatezza (es. clausola risolutiva estesa a tutte le obbligazioni
stabilite nel contratto).

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CAP. III - LA MANCATA PONDERAZIONE


L'INCAPACITA' di INTENDERE e di VOLERE nel SISTEMA
Ai sensi dell’art. 428 C.c., in caso di Incapacità Naturale gli atti sono annullabili se gravemente
pregiudizievoli (comma 1); inoltre, l’annullamento può essere pronunziato solo se per il
pregiudizio, per la qualità del contratto o per altre circostanze risulti la malafede della controparte.
Al contrario, nei casi di Incapacità Legale, ex art. 427 C.c. basta la mera sentenza di interdizione
o inabilitazione (= interdizione parziale) oppure la minore età, salvo il caso dell’art. 1426 C.c..
La Capacità di Agire indica l'idoneità del soggetto a porre in essere validamente atti idonei a incidere sulle situazioni giuridiche di
cui è titolare senza l'interposizione di altri soggetti di diritto, più precisamente è l'attitudine del soggetto a compiere atti che incidano
sulla propria sfera giuridica, che si acquista al compimento del 18° anno di età.
Non va confusa con la Capacità Giuridica, che è l'idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri.
Diversa ancora è l’Incapacità Naturale, che è più precisamente l’incapacità di intendere e di volere dovuta a qualsiasi causa, anche
solo transitoria (es. infermità di mente o ubriachezza), che consiste nell'effettiva e reale inettitudine psichica in cui viene a trovarsi
un soggetto normalmente capace nel momento in cui compie un determinato atto, così che manca anche di quel minimo di attitudine
psichica a rendersi conto delle conseguenze dannose della propria condotta (art. 428 C.c.).
L’Incapacità Legale (art. 427 C.c.), invece, corrisponde ad alcune condizioni valutate oggettivamente dall'ordinamento come tali da
non consentire al soggetto di potersi autonomamente determinare (esclusione della capacità d’agire), che sia stata accertata
giudizialmente (interdizione e inabilitazione) o che sia presunta ex lege (minore età).

ANALISI dell'INCAPACITA'
L’incapacità naturale (di intendere o di volere) può determinare tanto un’alterazione del processo
formativo della volontà, quanto una completa assenza della medesima (può altresì creare anomalie
della dichiarazione);.
Fino al 1958, la Cassazione identificava tale incapacità con l'Infermità di Mente: ma oggi tale
concezione è superata; infatti, anche la persona sana, in certi momenti, non è in condizione di
valutare ciò che fa: così, la regola dell’art. 428 C.c. dovrebbe essere utilizzata per difendere il
contraente dalla suggestione, dalla sorpresa e dall’inesperienza.
Ogni alterazione nella scala dei bisogni, veicolata da immaturità od inesperienza, può essere
assunta nella formula onnicomprensiva dell'art. 428 C.c..
♦ Qualche problema però può esser posto dalla Azioni Libere “in Causa”: se un soggetto,
colposamente o intenzionalmente, si produrrà lo stato di incapacità (es. ubriachezza) e poi emetterà
la dichiarazione senza averne preordinato l’emissione quando era padrone di sé (compos sui), in tal
caso la sua colpa non varrà a privarlo della tutela che gli compete, di fronte ad una controparte
in malafede.
Reciprocamente, non qualsiasi malattia porta con sé l’incapacità, finchè il malato non ne venga
turbato al punto da non poter valutare seriamente gli effetti dell’atto.

IL PREGIUDIZIO e la MALAFEDE
La dottrina si presenta suddivisa fra i sostenitori dell’applicazione del 1° comma (requisito del
“grave pregiudizio”) anche alla materia contrattuale ed i sostenitori della reciproca autonomia
dei due commi, per cui il grave pregiudizio si richiederebbe per i soli atti unilaterali, così che la
malafede esaurirebbe – da sola – le condizioni necessarie per l’impugnativa dei contratti.
(!) Sacco ritiene che entrambi i requisiti siano necessari per l’annullamento del contratto: a chi
potrebbe opporre che il grave pregiudizio sia già insito nella mala fede, con conseguente
impossibilità che costituisca un requisito autonomo, egli replica che il Giudice, in presenza del
pregiudizio, è libero di inferire o meno da tale circostanza la malafede della controparte;
pertanto, i due elementi devono cumularsi.
La soluzione ora esposta non ha apparentemente il plauso della giurisprudenza: la Cassazione
afferma, infatti, che il pregiudizio non è richiesto per l’annullamento dei contratti.
Quanto alla mala fede, essa merita di essere ricondotta ad un concetto meno ristretto di quanto non
sia la scienza dell’incapacità (tuttavia, non ogni scienza dello stato di incapacità è malafede: ad es.,
negoziante che vende a prezzo fisso), così lo stipulante è in malafede se ha la coscienza di sfruttare
la generica inesperienza della controparte, infine si può poi configurarne un terzo tipo più grave
che è l’induzione dello stato di incapacità (ipnosi, persuasione occulta e propaganda subliminale).

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L'INCAPACITA' INDOTTA (IPNOSI, PERSUASIONE OCCULTA, PROPAGANDA


SUBLIMINALE)
E' in mala fede chi, per ottenere che la controparte concluda, provochi in essa un'alterazione
psichica (ipnotismo, somministrazione di droghe, ecc...).
In particolare, Sacco ritiene che la pubblicità subliminale comporti un'incapacità prodotta ad arte,
un vero e proprio illecito di induzione indebita che, urtando con l'art. 1337 C.c., obbliga al
risarcimento del danno da prestarsi ex art. 2058 C.c. mediante la restitutio in integrum che, se
l'illecito proviene dal contraente, sfocia nell'Annullamento del contratto.

LA SORPRESA (la NEGOZIAZIONE “da PORTA a PORTA”)


Il consenso può dirsi libero solo quando è filtrato attraverso il vaglio critico cui provvedono certe
difese psicologiche pronte ad entrare in funzione se il soggetto sa di dover prendere decisioni
impegnative e delicate.
Le difese non sono in funzione quando il consenso è condizionato da una sollecitazione improvvisa
e pressante: influenze di questa specie vengono poste in essere proprio per sfruttare un momento di
menomata difesa del possibile contraente.
In Italia, l’apparato legale ci consente di intervenire quando il consenso sia viziato dalla sorpresa:
infatti, l’art. 428 C.c. parla dell’incapacità di intendere (e di volere), e pare che quella mancanza di
difesa di cui si sta parlando dia luogo ad un momento di menomata capacità.
Il meccanismo utilizzato per la protezione del contraente sorpreso si basa dunque
sull’informazione del contraente (riproduzione della norma nel testo contrattuale o avvertimento
scritto) e sulla sospensione dell’efficacia del negozio oppure, alternativamente, sul potere di
recedere dal contratto, o di rescinderlo.

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CAP. IV - L'ERRORE E LA MANCATA INFORMAZIONE

PARTE PRIMA: L'ERRORE

L'ERRORE ESSENZIALE
Per “Errore” si intende ogni falsa rappresentazione della realtà.
♦ L’art. 1428 C.c. riferisce che il contratto può essere impugnato per errore, quando quest’ultimo
sia “Essenziale” e “Riconoscibile”.
♦ L’art. 1429 C.c. elenca, invece, le quattro ipotesi in cui l’errore è essenziale, parametrandole
all’oggetto su cui l’errore cade, che è in ogni caso un elemento del contratto (cioè la sua natura, il
suo oggetto o soggetto, ed il suo effetto giuridico). Prevede inoltre quando l'errore sia determinante.
(!) Sacco ricorda, inoltre, che si tratta di ipotesi tipiche e tassative, fra l'altro non riassumibili in
un'unica categoria unitaria - tema su cui era sorto un dibattito in dottrina -.
Nel corso dei lavori preparatori della norma, invece, si ritenne che si trattava di ipotesi sì tipiche, ma esemplificative.
1) Natura od Oggetto del Contratto; Identità dell'Oggetto (errore non determinante) → La
lettera della Legge, in ragione di una probabile maggior gravità dell’errore, ha qui esonerato il Giudice
dall’indagare se effettivamente l’errore abbia inciso sulla nascita della dichiarazione, sì da ridurre l’essenzialità
dell’errore all’oggetto dello stesso;
Esempio di Errore sulla Natura del Contratto: credo sia mutuo, invece è compravendita;
Esempio di Errore sull'Oggetto del Contratto (aliud pro alio): credo di comprare pere, invece di mele.

2) Identità o Qualità dell’Oggetto della Prestazione (errore determinante) → Qui la lettera della
Legge ha invece considerato la funzione determinante del consenso valutata in astratto: ha cioè circoscritto l'ambito
dell'errore rilevante;
Esempio: credo di aver comprato lana animale, invece trattasi di lana sintetica.

3) Identità o Qualità della Persona (determinante se la prestazione è “intuitu personae”) →


Quando si tratti di errore sulla persona, il Legislatore ha promosso la ricerca giudiziale volta ad accertare di volta in
volta il gioco dell’intuitu personae;
Esempio: credo di ingaggiare un famoso pittore, invece ingaggio un suo omonimo inesperto.

4) Errore di Diritto (errore determinante) → Analogamente al punto sopra si agisce per l’errore di
diritto, quando sia l’unica o principale ragione del contratto, sempre che non rilevi già come errore sulla natura o
sull’oggetto del contratto. L'errore di diritto deve riguardare la vigenza o l'interpretazione di una norma giuridica.

(!) Sacco ritiene che, per quanto riguarda il punto 1), l'errore riconoscibile sull'identità d'una cosa
comporterebbe l'annullabilità del contratto anche quando incorra nell'errore il compratore di cosa
fungibile prodotta in serie: per evitare questo eccesso, egli ritiene che si dovrebbe correggere il
rigore della norma sull'error in corpore con un'analogia tratta dalla regola sull'error in persona.
In caso di errore sulla persona, il contratto non è annullabile se manca l'intuitus personae:
analogicamente, Sacco ritiene che, qualora manchi l'intuitus corporis, il contratto non possa essere
annullato.

LE SINGOLE FIGURE di ERRORE. L'ERRORE di DIRITTO. L'ERRORE sul VALORE


Secondo il significato delle parole, è Errore di Diritto quello che cade su:
 Un qualsiasi Dato Giuridico;
 Su una Norma (cogente o dispositiva);
 Su un Rapporto Giuridico (es. sul contenuto di un precedente contratto).
Sacco fa subito alcune importanti precisazioni:
 La Presunzione di Conoscenza del diritto non osta all'invocazione dell'Errore di Diritto;
 L'Errore su una Norma Imperativa che dispone l'integrazione ex art. 1339 C.c. non dà
luogo ad errore di diritto per la giurisprudenza, ma la dottrina è meno netta;

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 La Pronuncia d'Incostituzionalità d'una norma rende annullabile per errore di diritto il


contratto stipulato sotto l'impero della norma incostituzionale;
 Infine, l'errore di diritto può trascinare con sé un errore sulla natura del contratto,
sull'identità della persona, sulle qualità dell'oggetto: in tal caso, beneficerà della più lata
protezione prevista per queste ipotesi.
(!) Mentre negli altri casi dell'art. 1429 C.c. si richiede tutt’al più (e non sempre) che l’errore sia
determinante (cioè che l’errore intervenga come condizione necessaria della dichiarazione), qui si
chiede che l’errore sia non soltanto Condizione Necessaria, ma altresì Condizione Sufficiente
della dichiarazione medesima; si chiede cioè che l'errore di diritto sia stata la “Ragione Unica o
Principale” del contratto.
Per tale motivo, Sacco identifica questo errore nell'Errore sulla Causa: com'è noto, ex art. 1418
comma 2 C.c. il difetto di causa comporterebbe Nullità “ipso iure” del contratto, facendo apparire
superfluo l'annullamento.
Ma, dice Sacco, non va scordato che esistono contratti muniti di una Causa Duplice.
Ad es., la Compravendita solvendi causa: se io concludo una compravendita, credendo di essere
vincolato a fare ciò in forza di un precedente contratto preliminare, tale compravendita non sarà
nulla per difetto di causa, perché resterà pur sempre l'altra causa, ossia la “funzione di scambio”
propria della compravendita. Ci sarà, però, il mio errore sulla causa (= credevo di essere vincolato, e
invece no), che può comportare l'annullamento del contratto.
Questa soluzione sembra però essere osteggiata dalla prevalente giurisprudenza.

► Errore sul Valore → E' un problema di grande interesse pratico.


La Giurisprudenza nega la rilevanza dell'errore sul valore, in quanto non concreterebbe altro che
una valutazione errata sulla convenienza del contratto.
Invero, dice Sacco, quest’ultima a sua volta potrebbe in certi casi dipendere da un Errore sulla
Qualità Rilevante del Bene: il problema può porsi seriamente quando l'errore sul valore significhi
errore sul prezzo di mercato. Questo accadrebbe in presenza di errate valutazioni contenute in listini
di borsa, bilanci di società, cataloghi di vendita, che potrebbero indurre nel soggetto un errore sulla
convenienza dell'affare, derivante però da un errore sulla qualità rilevante del bene.

L'ERRORE di CALCOLO
L’art. 1430 C.c. esclude che l’Errore di Calcolo sia rilevante, tranne quando conduca ad un
Errore sulla Quantità.
L’errore di calcolo soggetto a Rettifica (art. 1432 C.c.) sarebbe dunque un errore materiale (dovuto
a svista o disattenzione) che interviene in un’operazione aritmetica, presupponendo come chiari,
sicuri e fermi i termini da computare e sarebbe manifesto nonché rilevabile “prima facie” (ossia
mediante ripetizione corretta del calcolo).
Il cosiddetto “errore di calcolo rettificabile” non sarebbe nemmeno un vero errore, solo fuori dal suo
quadro si potrebbe avere un errore sulla quantità rilevante.
L'errore di quantità dipenderà sempre da un errore di calcolo: quindi, dice Sacco, le
caratteristiche degli errori di conteggio saranno sempre le stesse.
In presenza di un errore di conteggio o di calcolo, si avrà sempre una divergenza fra le poste
dell’operazione aritmetica da eseguire ed il risultato del procedimento stesso (ossia fra il dato da
misurare e il risultato della misurazione), ma questa divergenza potrà operare su tre accordi:

(1) Sulle poste: le parti hanno voluto le poste e si sono accordate su di esse. Poi, ad accordo
concluso, hanno eseguito i conteggi e una di esse, o entrambe, hanno commesso un errore: l’errore
avviene a contratto concluso ed è irrilevante (falsa demonstratio o errata descrizione).

(2) Sulle poste e sul risultato: le parti hanno voluto le poste e poi hanno eseguito i conteggi
commettendo un errore; hanno altresì voluto il risultato del conteggio.

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Perciò l’errore determina una volontà contraddittoria, perché le parti vogliono contemporaneamente
due cose incompatibili: qui l’art. 1430 C.c. impone la prevalenza delle poste sul risultato, ma la
parte che voleva anche l’effetto giuridico espresso nel risultato dell’operazione aritmetica, potrà ben
dirsi in errore.

(3) Sul risultato: le parti hanno voluto solo il risultato, ma una di esse o entrambe hanno ottenuto
il risultato stesso mediante un’operazione scorretta. La parte che ha commesso l’errore di calcolo
può ben affermare che il suo consenso sia viziato.

L'ERRORE sulla DESTINAZIONE dell'IMMOBILE, DIPENDENTE dalle PRESCRIZIONI


URBANISTICHE
Il traffico immobiliare subisce l'impatto delle prescrizioni urbanistiche: ma il Legislatore non è
capace di regolare i fenomeni di impoverimento ed arricchimento creati da tali prescrizioni; i
rimedi non vanno al di là d'una protezione di chi negozi un'area, errando sulla destinazione.
La pratica giudiziaria è dominata dalla regola per cui la Destinazione Agricola o la Destinazione
Edificatoria costituiscono qualità essenziali del fondo: pertanto, l'errore in merito è errore su
qualità essenziale e rientra nella previsione dell'art. 1429 n. 2 C.c..
Sacco fa alcune precisazioni in merito:

L'annullamento viene concesso su richiesta dell'errante, sia egli acquirente od alienante;

Il carattere agricolo od edificatorio può intendersi in senso giuridico (il piano regolatore consente o
meno l'edificazione) od in senso fattuale (in tal senso, il carattere edificatorio indica solo la
convenienza di costruire): in quest'ultimo caso, l'errore in senso fattuale sul carattere edificatorio od
agricolo sarebbe un mero Errore sul Valore del bene che, perciò, dovrebbe considerarsi irrilevante.
Sarà invece rilevante l'errore che cada sulla posizione del terreno di fronte ai poteri della P.A.,
perché cadrebbe su una qualità sostanziale della cosa.
L'errore sulla destinazione appare evidente se il contraente si sia ingannato su un piano regolatore in
vigore. La giurisprudenza, inoltre, è propensa a difendere il contraente anche dai vincoli in
formazione (piani regolatori in via di approvazione).
(!) Sacco concorda, perché a seconda del fatto che ci sia un certo piano regolatore favorevole o
sfavorevole, o a seconda dell'approvazione di un futuro piano regolatore favorevole o meno, il
terreno acquista qualità diverse.

ERRORE, e FATTO INACCERTABILE


Non ogni errore che cada sugli elementi di cui all’art. 1429 C.c. conduce all’annullamento: infatti,
ci sono fatti giudizialmente non accertabili in cui l’errore non ricade nella previsione degli artt.
1428 ss. C.c..
In relazione ad errori di tal genere, la giurisprudenza parla talora di un’Aleatorietà del contratto,
che eliminerebbe la possibilità di sottrarsi all’esecuzione del medesimo in funzione di accertamenti
successivi.
(!) Sacco dissente: se una circostanza è inaccertabile, non abbiamo un negozio aleatorio, bensì un
Errore Irrilevante. Si dovrà considerare inaccertabile in taluni casi, ad es., la paternità e la data di
nascita di un’opera d’arte o di un oggetto archeologico.
Inoltre, il fatto giudizialmente accertabile è solo lo stato della critica in un dato tempo (ad es.,
poniamo che nel 2017 una certa opera sia attribuita a Picasso) e l’errore rilevante è quello che cade
su di esso: ad es., chi acquista una falso credendolo un quadro d’autore è tutelato in quanto, al
momento dell’acquisto, la critica abbia accertato l’effettiva paternità del quadro. L'errore rileva qui
come Errore sulla Qualità.
Le scoperte successive (ad es., quel quadro non è di Picasso, ma di Matisse) sono accrescimenti,
diminuzioni o trasformazioni delle cose e incidono solo sul patrimonio del proprietario.
Sarà invece sempre inaccertabile la bellezza di un'opera d'arte: l'errore sarà irrilevante.

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LA RICONOSCIBILITA' dell'ERRORE. L'ERRORE RICONOSCIUTO


L’errore essenziale conduce all’annullamento solo quando è riconoscibile da una persona di
normale diligenza (art. 1431 C.c.). La riconoscibilità può dipendere dalle circostanze più diverse,
ma sarà soprattutto il reciproco rapporto istituito fra le parti ad offrire loro tanti indizi utilizzabili
(ad es., contenuto ed altre circostanze del contratto o qualità dei contraenti).
La riconoscibilità non si presume e dev'essere dimostrata dal contraente che impugni il contratto
viziato.
La riconoscibilità, evidentemente, si misura “in astratto”, ma ciò non implica che non si tenga
conto delle circostanze di fatto che in quel caso rendevano possibile al destinatario il
riconoscimento dell’errore: infatti, l’interprete sa che l’errore riconosciuto, anche se astrattamente
irriconoscibile, produce gli effetti dell’errore riconoscibile.
(!) In alcuni casi, l'errore riconosciuto deve portare alla Rettifica della Dichiarazione (a
prescindere dalle condizioni indicate all'art. 1432 C.c.): è il caso dell'oblato che, ricevuta un'offerta
alterata, formuli un'accettazione conforme alla proposta emessa, e non a quella pervenuta e alterata.
(!) Infine, non sempre il riconoscimento dell'errore conduce all'inefficacia della dichiarazione.
Esempio → Tizio dice a Caio andare ad acquistare da Sempronio 1000 azioni della Società X, e gli consegna l'ordine
scritto, in cui però, per errore, scrive di acquistare 10.000 azioni.
A questo punto, Caio si reca da Sempronio e gli comunica l'acquisto di mille azioni: Sempronio apre l'ordine scritto e si
accorge dell'errore, perché sull'ordine risultano da acquistare 10mila azioni.
Sempronio sollecita allora Caio ad avvisare Tizio dell'errore ed ottenere chiarimenti. Caio va, ma non torna più indietro:
Sempronio, a questo punto, non ha altra scelta se non quella di comprare 10mila azioni, e nessun giudice oserà mai
dargli torto.

L'ERRORE COMUNE
Se Caio eredita il “Tramontana” (un villino) e, senza averlo mai visto, lo vende a Tizio credendo
che si tratti di uno yacht, qualora anche Tizio a sua volta creda di comprare uno yacht, si ha allora
un’ipotesi di “Rappresentazione (falsa) Conosciuta (1)”, accompagnata dall'“Ignoranza della
falsità della rappresentazione (2)”.
 (1) → Si riferisce allo stato psicologico di Caio al momento della stipulazione. Egli vende
il Tramontana convinto che sia un panfilo, ed è consapevole che la sua convinzione si fonda
su una rappresentazione soggettiva, e non sulla realtà. In altre parole, egli immagina che il
Tramontana sia uno yacht, e se ne convince, anche se in realtà non ne ha conferma;
 (2) → Si riferisce allo stato psicologico di Tizio al momento della stipulazione. Egli non sa
che Caio ha immaginato in modo sbagliato.

Ai fini dell'annullamento, è qui necessaria la riconoscibilità dell'errore? Si suole escludere che il


requisito della riconoscibilità rimanga in piedi quando l’Errore è bilaterale: infatti, si osserva
comunemente che qui manca la ragione per tutelare l’affidamento del destinatario della
dichiarazione, il quale non ha mai confidato in un risultato del negozio che non sia quello conforme
alla rappresentazione che poi si scoprirà essere falsa.
(!) Sacco crede sia giusto dare rilevanza all’errore bilaterale non riconoscibile, ma a tal fine si deve
battere una strada completamente diversa da quella sopra descritta, intendendo per “riconoscibilità
dell’errore” quella della rappresentazione (falsa), e non della falsità della rappresentazione.
La riconoscibilità è quindi rilevante.
L'essenzialità, invece, è sempre un requisito, anche se non sempre provoca l'annullamento:
 Se il panfilo esiste (con nome sia pure improprio), il contratto non si annulla e resta valido;
 Se il panfilo non esiste, il contratto è Nullo per oggetto impossibile;
 Se la dichiarazione è viziata solo da un Errore sulla Qualità, potrà aversi Annullamento
solo qualora l'errore riguardi qualità essenziali dell'oggetto voluto, che dev'essere noto.

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L'ERRORE (IMPROPRIO) sulla DICHIARAZIONE MEMORIALE


Supponiamo che due operatori negozino un’automobile e che, concludendone la vendita
verbalmente, la indichino con un gesto della mano e con l’espressione “questa macchina”: in questo
caso, la vendita sarà valida ed efficace, ma normalmente i due operatori le faranno seguire la
redazione di un documento scritto, e qui la vettura sarà indicata in un altro modo.
Perciò, che accade se ad es. il numero di targa è male indicato nella dichiarazione scritta?
La dichiarazione contrattuale fu correttamente formulata, e riflette in modo perfetto la volontà delle
parti: invece è sbagliato il documento, formulato come se contenesse la volontà negoziale stessa,
mentre ne è solo il promemoria redatto a contratto già operante.
Il discorso potrebbe essere diverso quando si tratti di contratto formale: infatti, qui la dichiarazione
giuridicamente valida è solo quella scritta (es. alienazione immobiliare).
Ma il Giudice trova più efficiente e sbrigativo trattare la scrittura puramente memoriale come se
fosse il documento in cui si incorpora il contratto, e indicare il vizio dell’atto come “Errore”,
senza distinguere fra la dettatura e la copiatura svolta per riprodurre un precedente accordo di
per sé valido (perché vertente su mobili o perché firmato) o di per sé invalido (perché informale).

ERRORE, GARANZIA di QUALITA', VIZIO, INADEMPIMENTO


In materia di vendita di quadri, ci si è chiesti se la falsa attribuzione di paternità dia luogo ad
un'azione per l'annullamento o per la risoluzione: a ciò, vanno aggiunte le norme che si occupano
della risoluzione per vizi o per mancanza di qualità.
 La Dottrina ha cercato di creare linee di confine fra i vari rimedi, oppure ha prediletto un
rimedio piuttosto che l'altro, oppure ancora ha proposto cumuli di rimedi ed azioni.
 La prassi della Giurisprudenza, invece, ammette la responsabilità per garanzia anche
quando la cosa sia individuata fin dal momento del contratto.
Del pari, essa tende a colpire ogni vizio dato, con un'azione data (anche se una Sentenza di
Cassazione del 1976 dichiara che l'annullabilità per errore può non escludere la risolubilità
per inadempimento).
Ma, per il resto, la giurisprudenza non mostra ancora il filo conduttore che sta alla base della
sua prassi.

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PARTE SECONDA: LA PRESUPPOSIZIONE


LA NOZIONE
L’Errore sui Motivi è di norma irrilevante: tuttavia, sin dai tempi della dottrina pandettistica
tedesca (Windscheid) si tende ad attenuare gli inconvenienti di questa soluzione, insegnando che
quando il motivo del contraente si eleva a “Presupposizione (ossia a condizione del volere)”, e
questa condizione - seppur non sviluppata in una clausola espressa - inerisce al negozio, il suo
venir meno assoggetta quest’ultimo ad un’eccezione che lo paralizza.
Ad es., è il caso di taluno che prenda in affitto un balcone a caro prezzo per il giorno fissato per la
sfilata dell’incoronazione del re, e poi l’evento venga spostato.
In pratica, si parla di “presupposizione” quando le parti, nel concludere un negozio giuridico, fanno riferimento ad una
circostanza esterna, attuale o futura, che senza essere espressamente menzionata nel negozio ne costituisce il
presupposto oggettivo.

Fino a qualche anno fa veniva molto ripetuto che la presupposizione fosse dotata di un “carattere
soggettivistico” inaccettabile, e che essa avesse acquistato un “carattere oggettivo” quando è stata
poi concepita come la “situazione di fatto presupposta dal negozio”, ossia come “il complesso
delle circostanze la cui esistenza e conservazione è necessaria alla realizzazione dello scopo o
della funzione del contratto”.

Naturalmente, per sapere cosa le parti abbiano saputo e previsto, il punto di partenza sarà la
presunzione che promittente e stipulante abbiano saputo ciò che tutti sanno, ma la presunzione
cederà il passo di fronte alla prova di specifiche clausole o specifici stati soggettivi divergenti.
♦ Con un inquadramento particolare, il tema della rilevanza della presupposizione è stato presentato
come un problema di “Accollo dei Rischi Contrattuali”.
Le clausole stesse del contratto informano l'interprete sulla distribuzione dei rischi.
La locazione del balcone s'intende conclusa in vista della sfilata: altrimenti, nessuno affitterebbe
quel balcone a quel prezzo.
N.B. → Viceversa, un contratto di trasporto con le Ferrovie dello Stato non dà luogo a problemi di
presupposizione, qualora il viaggio a Venezia diventi sgradevole per il brutto tempo.

LA REGOLA
Il nostro Legislatore ha adottato la via del riconoscimento della rilevanza dell’imprevisione (=
errata previsione), oggettivizzata al massimo, con l’art. 1467 C.c. (Risoluzione per Eccessiva
Onerosità) e con altre regole ispirate alla stessa ragione.
Fuori di quest’area, la Legge tace, ma tuttavia non mancano possibilità per dichiarare l’inefficacia
di un contratto per falsa presupposizione: innanzitutto si può invocare l’analogia con le ipotesi
considerate nell’art. 1467 C.c. o in altri similari.
Inoltre, la buona fede imposta nelle trattative può obbligare a illuminare la controparte in errore sui
motivi; l’interpretazione di buona fede può dare risalto al motivo condizionante implicito, ma noto
alla controparte; le conseguenze equitative del contratto possono involgere una regola di
adattamento delle obbligazioni al mutare delle circostanze (anche soggettive) delle parti.

Dalla giurisprudenza emerge invece un discorso articolato. La Presupposizione consiste in una


“Situazione di Fatto”:
 Che non riguarda la sfera di una sola delle parti;
 Che le parti hanno ritenuta certa al punto da non regolarla neppure;
 Il cui verificarsi non dipende dalle parti.

L'inesistenza della situazione di fatto, od il suo venir meno, saranno incompatibili con l'efficacia
del contratto.

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PARTE TERZA: IL DOLO E LA MANCATA INFORMAZIONE

GENERALITA'
Secondo gli artt. 1439 e 1440 C.c., il Dolo - inteso come il vizio del consenso consistente nella
caduta in errore determinata da altri tramite artifici o raggiri - è causa di annullamento del
contratto quando i raggiri siano determinanti, e inoltre provengano dalla (o siano noti alla)
controparte (dolo determinante).
Invece, il Dolo Incidentale comporta solo una responsabilità per danni del contraente in malafede.

RAGGIRO e INTENZIONE
Il raggiro dev'essere intenzionale o basta che sia colposo?
Sull’intenzionalità del raggiro la Dottrina assume un atteggiamento che può apparire perplesso,
laddove dice che il Dolo deve essere intenzionale (e in ciò si conforma alla tradizione), ma
aggiunge poi che il Dolo Incidentale costituisce un Illecito Civile da cui derivano le
conseguenze generali dell’art. 2043 C.c.: così, l’invocazione di questo articolo dovrebbe poi dare
luogo ad un’equiparazione del raggiro colposo al raggiro intenzionale.
(!) Nonostante quindi la comune Giurisprudenza e Dottrina richiedano l'intenzionalità del dolo
contrattuale, Sacco, invece, si appella al richiamo operato dalla stessa dottrina (con riferimento al
dolo incidentale) all'art. 2043 C.c.: se l'art. 2043 C.c. reprime ogni fatto illecito sulla falsariga
della vecchia Azione Aquiliana, equiparando sostanzialmente il dolo e la colpa, allora nel dolo
contrattuale (che è un fatto illecito) dovranno ammettersi tanto l'Intenzionalità, quanto la
Colposità, della condotta.
Se così non fosse, infatti, non potrebbe ad es. esservi responsabilità in caso di illecito colposo di
mancata informazione, dal quale tragga vantaggio l'autore dell'omissione.

RAGGIRO ed ELEMENTO OGGETTIVO della CONDOTTA


Quale condotta dà luogo a “raggiro”?
♦ La Giurisprudenza, posta di fronte al problema di definire il raggiro, non sembra prendere una
posizione netta: Sacco ritiene che la giurisprudenza, fondamentalmente, riconosce come “rilevante”
ai fini del dolo solo l’“Inganno Qualificato” alternativamente da una condotta molto elaborata o
da specifici obblighi di informazione gravanti sull’autore dell’inganno.
♦ La lettera della Legge, peraltro, non osta all’equivalenza fra raggiro e generico inganno: così,
l’inganno sarà qualificato come “raggiro” a seconda dell’oggetto su cui cade. Infatti, l’agente ha ad
es. il diritto di occultare fatti che concernono esclusivamente la propria sfera (es. utile che il
soggetto attivo ricaverà dall’affare), ma non può ad es. comunicare notizie false sull'andamento del
mercato.
(!) Pertanto, Sacco ritiene che qualsiasi comportamento umano, il quale induca altri in errore,
può costituire l’elemento oggettivo del raggiro, purché l’errore non cada su elementi che il
soggetto passivo non ha il diritto di conoscere.

RAGGIRO e PUBBLICITA'
Se in una dichiarazione pubblicitaria è mendace, si parla di “Pubblicità Menzognera”.
Spesso consiste in confronti operati coi prodotti concorrenti e, pertanto, sarà senz'altro più pericolosa per gli
imprenditori concorrenti che non per il consumatore (nei confronti del quale è comunque lesiva della buona fede).
La pubblicità mendace è illecita nei confronti dei Consumatori: causando un danno ingiusto, si
avrà diritto al Risarcimento ex art. 2043 C.c.. Qualora il danno consista nella conclusione del
contratto, si potrà avere una tutela ex art. 2058 C.c. (ripristino della situazione precedente →
rimozione del negozio concluso).
Questa impostazione riduce la pubblicità lesiva ad una condotta, ed inoltre non si menzionano né
l’idoneità ad ingannare, né l’intenzionalità dell’inganno, né l’errore della vittima.
Tutto ciò fa pensare che la vittima sia dispensata dalla prova sul punto.

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RAGGIRO e CONDOTTA OMISSIVA


Ci si domanda se il raggiro consti necessariamente di un comportamento commissivo o se invece
l’aver riconosciuto (eventualmente anche “l’aver dovuto riconoscere”, se si ammettesse la
rilevanza del raggiro colposo) l’errore altrui e il non averlo denunciato o prevenuto costituisca
raggiro. In assenza di norme espresse, bisogna procedere per analogia: Sacco si rifà alle norme sul
contratto di assicurazione ed alla regola sul dolo del terzo.
L’art. 1439 comma 2 C.c. (dolo del terzo), in particolare, è stato invocato a sua volta come indice
di una norma generale, che assicura rilevanza alla conoscenza dell’errore in cui è caduta la
controparte.
(!) Premesso che il problema del dolo omissivo si ricollega al problema del Dolo Colposo, in
definitiva, la rilevanza della reticenza dipende dall’esistenza di un Obbligo di “informare la
parte in errore”.
Certo, tale obbligo non farà carico in via di principio ad un soggetto estraneo al contratto o non
legato ai contraenti da uno speciale rapporto: per cui, il dolo del terzo, in via di massima, non
potrebbe essere omissivo; tuttavia, il Legislatore impone fra i contraenti obblighi di lealtà e tali
doveri paiono avere un duplice contenuto, omissivo e positivo: la presenza di questi doveri sembra
sufficiente ad imputare il consenso dell'errante alla controparte che, avendo riconosciuto
l'errore, ha taciuto (artt. 1337-1338 C.c.).
Beninteso, gli obblighi di informazione possono essere ben differenziati a seconda della natura del contratto da concludere.

LA VIOLAZIONE dell'OBBLIGO di INFORMAZIONE


Sacco considera qui gli Obblighi Informativi nella Fase Prenegoziale.
Innanzitutto rileva che tali obblighi appaiono mal distinti da certi speciali oneri imposti al
contraente professionale di attirare l’attenzione della controparte su un particolare effetto della
contrattazione o su un particolare diritto della controparte medesima.
Prosegue poi richiamando specifiche Leggi Speciali, che dispongono norme con veri e propri
obblighi di informazione precontrattuale (es. servizi bancari e finanziari, vendite porta a porta,
intermediazione mobiliare).
Le norme reperite non parlano delle sanzioni civilistiche invocabili contro chi non adempie: la
sanzione del risarcimento è scontata.
Se così stanno le cose, esiste forse un generale obbligo d'informazione? Quanti e quali dati vanno
resi noti alla controparte?
(!) Da queste norme specifiche, dice Sacco, non si può evincere nessuna regola generale:
tuttavia, l’art. 1337 C.c. invece impone ai contraenti, nella fase prenegoziale, una lealtà
genericamente configurata come un obbligo generalizzato di informazione la cui violazione
scatena la reazione di cui all’art. 1439 C.c..
Le sparse norme sull’obbligo di informazione offrono quindi un “termometro” per misurare quale
sia il grado di lealtà che l’ordinamento richiede nell'ampio ventaglio di ipotesi che il legislatore ha
considerato.
Ad es., ci sarà un maggior pericolo laddove il risparmiatore ignaro viene a contrattare con controparti od intermediari esperti.

L'IDONEITA' della CONDOTTA a TRARRE in INGANNO


Bisogna distinguere il “Dolus Bonus” dal “Dolus Malus”: solo quest’ultimo ricadrebbe nella
previsione degli art. 1439 e ss. C.c..
Il dolo buono sarebbe quello non idoneo ad ingannare un uomo di normale avvedutezza, ma
talora si fa rientrare in tale categoria anche la menzogna non integrata da ulteriori artifici.
(!) Sacco guarda con favore a quella dottrina che richiede, come requisito del raggiro, la concreta
induzione in errore (= nesso causale fra menzogna ed errore), fuori da ogni giudizio sull'astratta
idoneità del mendacio ad ingannare il destinatario.
Una volta ammessa in via di principio la rilevanza di qualsiasi inganno, e negata così la distinzione fra dolo buono e
dolo malo, di fatto avverrà che, molte volte, il fatto comunemente chiamato “dolo buono” non costituirà raggiro per la
semplice ragione che, in concreto, il soggetto passivo non si sia lasciato ingannare.

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L'ERRORE ed il PREGIUDIZIO della VITTIMA


Non c’è raggiro, quindi, se non c’è errore della vittima.
In particolare, l’errore di cui si parla è rilevante per il fatto stesso di aver indotto il contraente a
stipulare, o a stipulare a quelle date condizioni: non si richiede, cioè, che l’errore cada su uno
degli elementi di cui all’art. 1429 C.c. (Errore Essenziale).

Questo errore può viziare la volontà di conseguire gli effetti dell’atto, come può, invece,
determinare il contraente a dichiarare di volere effetti che egli, in realtà, non vuole (c.d. “Dolo
ostativo”).
Esempio → Tizio fa sottoscrivere un abbonamento a Caio facendogli credere che pagherà solo € 5 al mese, quando
invece sul contratto c'è scritto che si devono pagare € 50.
Oppure, gli fa sottoscrivere quel contratto dicendogli che c'è sì scritto € 50, ma che in realtà dovrà pagare soltanto € 5.

N.B.: L’errore esaurisce gli elementi del vizio presenti nella sfera del soggetto ingannato: non
occorre, cioè, anche la lesione.

IL DOLO INCIDENTALE
L’art. 1440 C.c. dispone che se i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso, il
contratto è valido.
Tuttavia, senza di essi questo sarebbe stato concluso a condizioni diverse: perciò, il contraente in
mala fede risponde dei danni (Cassaz. 9523/1999 ha chiarito che, in caso di dolo incidentale, si
può solo chiedere il risarcimento, non già l'annullamento del contratto).

Sacco rileva come, ultimamente, si sia affermato che l'art. 1440 C.c. altro non sia se non una
applicazione specifica dell'art. 1337 C.c., a sua volta applicazione specifica dell'art. 2043 C.c..

Infine, Sacco rileva che si è presa anche coscienza del fatto che l’art. 2058 C.c. suggerisce di
riparare il danno costruendo la situazione che si sarebbe creata se non fosse intervenuto il fatto
illecito nocivo: per cui, il vizio incidentale dà luogo a richiesta della vittima alla Rettifica del
Contratto.

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CAP. V - LA MANCANZA DI LIBERTA'


PARTE PRIMA: LA VIOLENZA
GENERALITA'
La violenza di cui parlano gli artt. 1434 e ss. C.c. è semplicemente la minaccia (= “Violenza
Psichica”): si ha, quindi, un soggetto minacciato che conclude un contratto a causa della minaccia
stessa. Di tale soggetto minacciato si suol dire che egli voglia effettivamente gli effetti dell’atto, in
quanto esercita una scelta fra tali effetti ed il rischio di subire il male minacciato: pertanto, la
minaccia determina un’anomalia nella formazione della volontà, e non già un difetto assoluto di
volontà, che può aversi solo tramite una “Violenza Fisica”, la quale comporterebbe Nullità.

(!) Questa netta distinzione fra violenza psichica e fisica, e relative conseguenze, è stata criticata
dopo il 1942: infatti, Sacco precisa che ci sono dei casi in cui anche la semplice Minaccia può
portare, oltre che al vizio della volontà, anche alla totale mancanza della stessa.
Ad es., il delitto di Rapina (art. 628 C.p.) non necessariamente si compie con violenza fisica: è sufficiente quella
psichica. Ma nessuno dirà che il rapinato dovrà agire, per riavere il maltolto, con l'azione di annullamento. Il negozio
sarà infatti nullo per illiceità, in quanto nascente da un reato.

► Quindi, la dichiarazione viziata da minaccia è efficace (salva l'Annullabilità) quando, da un


punto di vista sociale, abbia una certa idoneità a creare un affidamento serio.
Se anche questa idoneità mancasse, allora la dichiarazione sarebbe del tutto inefficace; o,
meglio, il comportamento del minacciato non sarebbe una dichiarazione.
Quindi, in presenza anche solo di una violenza animo illata (= psichica), il contratto sarà annullabile o nullo a seconda
della gravità della minaccia.

PROVENIENZA della MINACCIA


La minaccia può provenire da un Contraente od anche da un Terzo (art. 1434 C.c.): in
quest'ultimo caso, si può avere annullamento che se la controparte ignorasse la violenza del terzo.
Il legislatore ha sacrificato così la protezione del destinatario della dichiarazione (ossia la
controparte innocente): questo dimostra che la violenza, anche quando provenga da un terzo, è
considerata un vizio più grave degli altri.

(!) Una parte della dottrina ha però rilevato un'incoerenza: l'art. 1434 C.c. in esame non tutela
l'affidamento del terzo; l'art. 1445 C.c., invece, sì, perché fa salvi i diritti acquistati dal terzo di
buona fede a titolo oneroso.
Di fronte a chi dunque auspica un'irrilevanza della violenza del terzo non riconoscibile dalla
controparte (tutelando così l'affidamento di quest'ultima), Sacco rileva che tale simmetria di
sistema potrebbe essere estranea alle nostre Leggi e che, perciò, potrebbe non prevalere sulla
lettera di esse.

LA MINACCIA
La minaccia dev’essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata (l'attitudine
ad impressionare dipende dalla messa in scena, dalle possibilità di sottrarsi al male, ecc...), ed il
male che ne forma oggetto dev’essere “notevole”, oltre che ingiusto (= le conseguenze minacciate
non devono essere di piccolo conto).

Ex art. 1435 C.c., l'impressionabilità si valuta non in astratto, ma in concreto, tenendo conto
dell’età, del sesso e della condizione delle persone minacciate; inoltre, ex artt. 1435- 1436 comma
1 C.c., l’ingiustizia minacciata deve incidere in una sfera alquanto vicina al soggetto intimorito
(minaccia d'una lesione alla sua persona, al coniuge, ai suoi ascendenti o discendenti e/o ai
relativi beni); oppure il minacciato, pur non essendo soggetto passivo dell'ingiustizia, dev'essere
soggetto del danno cagionato dall'ingiustizia (es. minaccio il creditore d'una prestazione
infungibile di uccidere il suo debitore, se non mi paga quanto mi spetta).

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L’art. 1436 comma 2 C.c. dispone che se il male minacciato riguarda altre persone,
l’annullamento del contratto è rimesso alla prudente valutazione del Giudice.

♦ Timore Reverenziale (art. 1437 C.c.) → L’art. 1437 C.c. sottrae all’annullamento il contratto
concluso per timore reverenziale (o ab intrinseco, cioè “spontaneo”): la giurisprudenza applica
pianamente la norma, ricordando che il timore, per portare all'annullamento, dev’essere l’effetto di
un’azione altrui, e non già la conseguenza di un proprio stato d’animo.
(!) Sacco solleva il problema del trattamento di un contratto che taluno concluda a condizioni
gravose per timore spontaneo, reverenziale e immotivato della controparte, la quale sfrutta
la situazione in mala fede; lo stesso discorso può valere a proposito del timore di fatti
inconsistenti o immaginari: il timor panico può sconfinare in vera forma di Incapacità.
Per questo, secondo Sacco, in tutti questi casi deve applicarsi l'art. 428 C.c..
Il contratto sarà quindi annullabile se avrà provocato un grave pregiudizio alla parte incapace, e se risulti la mala
fede della controparte.
A chi dissente, Sacco ribatte che comunque potrà sempre invocarsi l'art. 1337 C.c..

L'OGGETTIVA INGIUSTIZIA del MALE MINACCIATO


Il male è “ingiusto” solo quando violi un Diritto, oppure è tale anche il male che arrechi un
Danno generico?
In via generale, è “ingiusto” il male che sarebbe tale ai sensi dell'art. 2043 C.c.: quando il male non
è ingiusto, trova applicazione l'art. 1438 C.c. (“Minaccia di far valere un diritto”), ossia il
contratto non sarà annullabile.

Sarà annullabile, dice l'art. 1438 C.c., solo qualora il male “non ingiusto” costituisca il mezzo
per ottenere un lucro ingiusto (ad es., si pensi alla minaccia di far uso di un potere discrezionale di
natura amministrativa per ottenere un indebito vantaggio patrimoniale).
L'art. 1438 C.c. risulterebbe, in definitiva, un rimedio eccezionale che deroga alla regola dell'art. 2043 C.c.: in base a
quest'ultima norma, infatti, non sarebbe possibile colpire la minaccia di un male laddove il male minacciato, a sua volta,
non sarebbe punito in quanto “non ingiusto”. L'art. 1438 C.c. risolve questo problema.

♦ La Minaccia di Suicidio → Può esser considerata una minaccia in senso tecnico? Sacco non dà
una risposta: si limita a dire che il suicidio, pur non potendo qualificarsi come fatto antigiuridico
(cioè come “fatto colpito da sanzione”), potrebbe tuttavia esser munito di un fondamentale
carattere d'ingiustizia rilevante ai fini della fattispecie in esame.
Infine, afferma l'autore, potrebbe discutersi se non residui un'ingiustizia del suicidio allorché
costituisca il mezzo per commettere altri illeciti (es. sottrarsi all'adempimento d'un obbligo di
assistenza o mantenimento).

L'ELEMENTO SOGGETTIVO e l'INGIUSTIZIA del MALE


Molti comportamenti sono illeciti anche se meramente colposi, alcuni sono invece illeciti solo se
dolosi.
 Quando si versi nell’ipotesi dei comuni illeciti Colposi (che possono cioè essere commessi
anche non intenzionalmente) la Giurisprudenza ha buon gioco a sottolineare che la violenza
è qui “ingiusta” anche se il suo autore non abbia coscienza dell’ingiustizia medesima:
non è, infatti, richiesto l'elemento dell'intenzionalità della condotta, ai fini della
sanzionabilità della stessa.
 Quando si tratti di illeciti puniti a titolo di Dolo, la massima giurisprudenziale diviene meno
rispondente.
(!) Il caso più importante di male, la cui ingiustizia dipende dalla buona o malafede di chi lo attua, è
l’ipotesi della “via Legale”: infatti, il denunziare scientemente un innocente, o l’agire senza
ragioni valide (“Lite Temeraria”), comportano una sanzione rispettivamente penale o civile e sono
quindi illeciti; invece, la denunzia e l’azione civile, se proposte in buona fede, sono sempre lecite.

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Se però Tizio, in buona fede (perché è convinto di aver ragione), minaccia Caio di ricorrere alle vie
legali, e l'azione civile – o la denunzia – da lui proposta sia obiettivamente infondata, che accade?
Si deve guardare qui all'obiettiva ingiustizia della condotta di Tizio che propone un'azione infondata, o bisogna invece
affermare che non c'è ingiustizia perché manca l'elemento psicologico della mala fede di Tizio?
▪ Di solito, dottrina e giurisprudenza ritengono che la minaccia di adire le vie legali sia tipicamente
una pressione non ingiusta, a prescindere quindi dall'elemento psicologico.
▪ (!) Sacco, invece, crede che la pressione sia “giusta” solo quando l'azione sia fondata.
E dunque, quando l'azione – come nell'esempio – non sia fondata, ma sia comunque stata proposta
in buona fede, che accade?
L'autore rileva tre punti:
● Innanzitutto, afferma che non esiste una figura obiettiva di “ingiustizia” o di “antigiuridicità”
svincolata dall'elemento psicologico.
Ma qui, in questo contesto, il momento soggettivo della minaccia è irrilevante: si deve
guardare alla concreta ingiustizia del male minacciato;
● Infatti, se manca l'ingiustizia “concreta” del male minacciato, viene a mancare l'illiceità
stessa della condotta: se non c'è ingiustizia “in concreto” – e quindi, se la minaccia di adire le vie
legale è fondata – la minaccia è lecita e non è ingiusta;
● L'accertamento dell'ingiustizia del male minacciato, quindi, null'altro sarebbe se non
l'accertamento della fondatezza delle pretese affermate dalle parti.
NESSO CAUSALE fra VIOLENZA e CONSENSO
► Il Consenso può dirsi “viziato dalla Violenza” solo se quest’ultima sia intervenuta come
condizione necessaria della formazione della volontà di dichiarare o del comportamento
dichiarativo.
Questa funzione determinante della volontà sul consenso va quindi intesa in senso ampio come un
vero e proprio “Nesso Causale” (violenza, determinante o meno → consenso viziato), o va intesa in
senso più ristretto, escludendo dall'annullabilità i casi di “violenza che ha indotto a contrarre a
condizioni meno vantaggiose” da quelle che, altrimenti, sarebbero state liberamente accettate
(violenza non determinante o incidentale)?
♦ La legislazione in tema di Dolo civilistico distingue il Dolo Determinante dal Dolo Incidentale,
rispettivamente artt. 1439-40 C.c.: da tali disposizioni, una parte della dottrina ha tratto lo spunto
per un’applicazione analogica, in base alla quale anche la minaccia che induca a contrarre a
condizioni diverse da quelle che, liberamente, avrebbe voluto la vittima, comporta l’annullabilità
del contratto.
♦ Contro questa analogia viene fatta valere la lettera della legge o la singolarità dell’art. 1440 C.c..
♦ (!) Sacco, invece, non opera né un'analogia, né esclude l'annullabilità del contratto concluso a
condizioni meno vantaggiose a causa di violenza: semplicemente egli ritiene che il vizio della
volontà – sia esso determinante od incidentale – sia sempre legato da un Nesso Causale alla
conclusione di “quel” contratto.
La vittima della minaccia potrà sempre chiedere l'eliminazione della perdita subìta (annullamento), e qualora non
possa o non voglia chiedere l’annullamento del contratto, chiederà il Risarcimento dei Danni.
La vittima chiederà, cioè, un “provvedimento di ortopedia del contratto”, o di “rettifica”.

IL VANTAGGIO INGIUSTO OTTENUTO MEDIANTE MINACCIA


L’art. 1438 C.c. dispone che la Minaccia di far valere un Diritto può essere causa di
annullamento del contratto solo quando sia diretta a conseguire vantaggi ingiusti; ad es.:
 Minaccia di Denuncia Penale → Il diritto di cui si minaccia l'esercizio è indisponibile: non essendo ammessa
la negoziazione su tali diritti, il negozio è nullo per illiceità dell'oggetto;
 Minaccia di Istanza di Fallimento → Come sopra;
 Minaccia di Protesto (= atto pubblico di constatazione del mancato pagamento) → E' formulata per ottenere
un aumento degli interessi. L’ingiustizia sta nel fatto che il controvalore ottenuto dall’autore della minaccia
tende a modellarsi sull’entità del danno che la controparte riceverebbe dall’esercizio del diritto;
 Minaccia di Divulgazione di Notizie o Riproduzioni nocive.

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PARTE SECONDA: LA NECESSITA' E IL BISOGNO

I VIZI di CUI agli ARTT. 1447 e 1448 C.C. ed il SISTEMA


Con l’art. 1447 C.c., il Legislatore stabilisce che il contratto con cui una parte ha assunto
obbligazioni a condizioni inique per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal
pericolo di un danno grave alla persona, può essere rescisso a domanda dell’obbligato; invece,
con l’art. 1448 C.c., la sanzione rescissoria è comminata per il caso che vi sia sproporzione fra la
prestazione di una parte e quella dell’altra e che tale sproporzione sia dipesa dallo stato di bisogno
di una parte, della quale l’altra ha approfittato.
Tre sono quindi gli elementi fondamentali che contraddistinguono le fattispecie che danno luogo alla Rescissione del
Contratto:
 Lo stato di Pericolo o lo stato di Bisogno in cui si trova il contraente danneggiato;
 La Sproporzione fra le Prestazioni;
 La volontà del contraente di approfittare di tali circostanze per avvantaggiarsi.

(!) Sacco rigetta alcune concezioni dottrinali che hanno provato a ridurre l'istituto verso soluzioni
monistiche, che cioè riducono il vizio del contratto o alla sola sproporzione, o al solo vizio del
volere. Bisogna invece considerare sistematicamente tutti gli elementi concomitanti del caso.
IL PERICOLO
La “Necessità” dell'art. 1447 C.c. è simmetrica rispetto alla “Coazione” di cui si parla in tema di
violenza psichica (minaccia); necessità e coazione si traducono nello stato psicologico di timore
della vittima. Il contratto è rescindibile, ma il Giudice potrà assegnare un Equo Compenso.
♦ Il male temuto dev’essere un Danno alla Persona (per Sacco, saranno rilevanti in tal senso non
solo le Lesioni Fisiche, ma anche le Lesioni ad un qualsiasi Bene protetto da un Diritto della
Personalità): invece, il danno al patrimonio potrà, secondo i casi, rilevare alla sola stregua
dell’art. 1448 C.c., ma non costituisce “stato di pericolo” ai sensi dell’art. 1447 C.c.
♦ Il danno alla persona può essere subìto tanto dal contraente danneggiato dal contratto,
quanto da un Terzo.
♦ Non occorre che il danno sia “ingiusto”: infatti, il pericolo rileva anche se originato da un
fatto della vittima.
LA MALA FEDE dello STIPULANTE e le CONDIZIONI INIQUE
Il contratto non è viziato se allo stipulante non era noto lo stato di necessità: la parola “noto”,
contrapposta a “riconoscibile”, dimostra che qui la Legge richiede la scienza concreta (mala fede in
senso stretto) dello stato di necessità, cui non si può equiparare la colpa grave.
Tuttavia, il Giudice, per convincersi della mala fede, potrà utilizzare la stessa Iniquità delle
Condizioni, che la norma richiede affinché sia protetta la specifica libertà di evitare contratti
dannosi.
IL BISOGNO
L’ipotesi di stato di bisogno (art. 1448 C.c.) più frequente è l’Indigenza del soggetto contraente:
innanzitutto, rileva anche l'indigenza economica momentanea o contingente; in secondo luogo, è
rilevante non solo il bisogno di denaro, ma anche il bisogno di un qualsiasi altro bene o servizio
economico (es. cibo o medicinali).
♦ Il bisogno non suppone che il bene sia assolutamente “indispensabile” al contraente: infatti, il
caso dell’indispensabilità sconfina nella “necessità” dell’art. 1447 C.c., mentre l’art. 1448 C.c.
assolve ad una funzione integrativa laddove l’art. 1447 C.c. sia inapplicabile.
♦ In via di principio, lo stato di bisogno è rilevante anche quando sia stato provocato dal
contraente (se colposo e non-intenzionale).
Tuttavia, nel caso in cui il soggetto provocasse il proprio stato di bisogno con la precostituita intenzione di ricorrere poi al contratto
lesionario ed all'ulteriore rescissione, sarebbe giusto negare che la sproporzione dipenda dallo stato di bisogno.
♦ Lo stato di bisogno nella sua generica denominazione si presta a comprendere bisogni economici
non solo immediatamente propri, ma anche dipendenti dalle necessità altrui.
Esempio → Il coniuge rappresentante tratta per il coniuge rappresentato (Cassazione, 2680/1980).

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L'APPROFITTAMENTO e la LESIONE
Ex art. 1448 C.c., l’Azione di Rescissione è concessa solo se il contraente abbia approfittato dello
stato di bisogno della controparte per trarne vantaggio.
♦ Senso del termine “Approfittare” (comma 1) → Deve intendersi il conseguimento di un un
vantaggio effettivo, o è sufficiente una condotta interiore, psicologica?
Sacco concorda con la Giurisprudenza che, giustamente, esclude che manchi l’approfittamento
se manchi anche il comportamento attivo: infatti, quando tale condotta positiva sia assente, si
ritiene sufficiente un mero comportamento psichico, definito come “consapevolezza”.
Quest'ultima può articolarsi in un fatto di tipo gnoseologico (scienza dello stato di bisogno, della sproporzione, del proprio
vantaggio), o come un fatto di volontà (intenzione di ricavare vantaggio), o, infine, come un comportamento attivo esterno (mi
impegno per precludere alla vittima altri modi di soddisfacimento del suo bisogno).

♦ Lesione “Ultra Dimidium” (comma 2) → La lesione è rilevante solo se la prestazione del


contraente in stato di bisogno abbia valore almeno doppio rispetto alla prestazione della
controparte.
Sacco ricorda che, chiaramente, il valore della prestazione non si considera in senso “soggettivo”
(perché così varierebbe da parte a parte), bensì va inteso in senso oggettivo, e si farà perciò
riferimento al Valore di Mercato.
♦ Sussistenza della Lesione (comma 3) → La rescissione non può aver luogo se la lesione non
perdura fino al tempo in cui la domanda è proposta.
La Legge, naturalmente, non può tutelare un contraente bisogno per il fatto che si sia semplicemente pentito di aver
acquistato un certo bene. Lo protegge solo se il sacrificio sia troppo grave.
(!) Ai fini dell'Azione di Rescissione, è sufficiente il perdurare di una lesione qualsiasi, o serve
che la lesione permanga ad un valore superiore alla metà?
Sacco, richiamandosi all'art. 1450 C.c., che impedisce l'esperimento dell'azione se il contraente
offra una Riduzione ad Equità del contratto, ritiene quindi che non basti che la lesione sia ridotta
sotto la metà: la lesione può perdurare anche ad una soglia inferiore al doppio della prestazione.

I LIMITI di APPLICAZIONE dell'ART. 1448 C.C.


L’eccezione più vistosa alla regola della rescindibilità è prevista dal comma 4 dell’art. 1448 C.c.,
che sottrae alla rescissione per causa di lesione i Contratti Aleatori.
Tuttavia, anche attraverso un contratto aleatorio si può perfezionare una lesione, e cioè quando il
valore della prestazione dedotta in modo aleatorio, moltiplicata per il coefficiente del rischio, sia
superiore o inferiore al valore della controprestazione (es. se si concludesse un contratto di
assicurazione con premi 5 volte maggiori di quelli correnti); per rendere razionale la norma bisogna
intenderla nel senso che non può essere rescisso per lesione un contratto aleatorio se questo sia
stato equo al momento della conclusione, e successivamente risulti nocivo al contraente in stato
di bisogno, per il solo effetto dell’alea.

♦ Altri casi particolari di non applicazione dell'art. 1448 C.c. si hanno con riferimento:
 alla Divisione, che è rescindibile seguendo le regole degli artt. 763 e ss. C.c.;
 agli Interessi Usurarii (ex art. 644 C.p. e L. 108/1996), che comportano una sanzione
penale a carico di chi li disponga.
(!) Sacco fa qui notare che gli interpreti si sono affrettati a dichiarare la Nullità del contratto
usurario per illiceità: ma così facendo, non si sono accorti che condannano il mutuatario
sfruttato a restituire anzitempo il capitale, ai sensi delle norme sulla ripetizione
dell'indebito. Dovrebbero quindi, a suo parare, trovare un espediente per evitare ciò.

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PARTE TERZA: L'ABUSO DI POSIZIONE ECONOMICA

L'ABUSO di POSIZIONE ECONOMICA


Una norma di importanza centrale vieta, in Italia, le Intese Restrittive della Libera Concorrenza,
le Concentrazioni di Imprese e gli Abusi di Posizione Dominante; vieta cioè le pratiche che
possono ostare alla concorrenza.

Le principali fonti in materia antitrust sono:


 Artt. 101-109 T.F.U.E., Diritto Antitrust Europeo;
 L. 287/1990, istitutiva dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
 Regolamento 139/2004, relativo in particolare alle Concentrazioni d'Imprese;
 Codice Civile, che disciplina i Monopoli ed i Patti di Non Concorrenza.

♦ L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) è l’autorità antitrust italiana, il
cui compito è di indagare, controllare e reprime i comportamenti anticoncorrenziali.
 Nei settori sensibili (bancario, finanziario, assicurativo ed editoriale/radiotelevisivo) l’attività dell’antitrust è coadiuvata da
altri enti; rispettivamente la Banca d’Italia, l’I.V.ASS. e l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.
 In ambito comunitario vigilano anche la Commissione Europea ed i vari Antitrust Nazionali, che dispongono di ampi
poteri d’indagine e istruttori, attivabili anche d’ufficio; nonché di poteri cautelari.

♦ I provvedimenti dell’AGCM sono impugnabili davanti al Giudice Amministrativo.


Invece, quelli della Commissione U.E. sono impugnabili innanzi al Tribunale di I grado della C.E. – a loro volta impugnabili solo per
motivi di diritto innanzi alla Corte di Giustizia -.

(!) Il monopolista può spuntare controprestazioni più elevate di quelle che gli consentirebbe
un mercato concorrenziale. Qual è, quindi, il rimedio accordato al contraente?
D'altra parte, l'art. 41 Cost., promettendo all'iniziativa economica la libertà, sembra volerla emancipare dalla
soggezione ai monopoli privati e pubblici.

Nell'ambito del Diritto dei Contratti, dice Sacco, il negozio concluso a condizioni che solo l’abuso
ha reso possibili (al contraente sfruttatore) e necessarie (al contraente sfruttato) è un negozio la cui
formazione è condizionata da elementi patologici e fuorvianti: questa anomalia concreta un vero
e proprio Vizio del Volere.
Secondo l'autore, conviene quindi prendere le mosse dal rimedio Risarcitorio generale previsto
nell’art. 2043 C.c. ed integrarlo con la regola dell’art. 2058 C.c.: così, il contraente che ha
abusato dovrà rettificare il contratto, sulla falsariga di ciò che sarebbe avvenuto se il mercato avesse
funzionato.

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SEZIONE V: LE CONTRODICHIARAZIONI - R. Sacco -


CAP. I - LA SIMULAZIONE ED I SUOI EFFETTI SOSTANZIALI
LA SIMULAZIONE in GENERE
Ex art. 1414, comma 1, C.c., “il contratto simulato non produce effetto tra le parti”; la stessa
regola si applica agli Atti Unilaterali Recettizi che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il
destinatario (comma 3).
Gli artt. 1414 comma 2, 1415 e 1416 C.c. descrivono invece gli Effetti della Simulazione – sia
rispetto alle parti, sia rispetto ai terzi –.
Sacco ricorda come sia sempre sussistito lo stimolo a dettare norme sulla simulazione:
 Codice Napoleonico (1804) → Disciplina le controlettere (contrelettres), elemento strutturale della messa in
scena. Gli interpreti francesi si sono concentrati sul tema della Volontà: non c'è contratto senza volontà delle
parti.
 Codice Civile Italiano, 1865 → Riprende, all'art. 1319, il tema delle controlettere, analizzandolo nell'ottica
della contraddizione fra atto interno del volere e manifestazione esteriore;
 Dottrina Pandettistica → Vede nella simulazione una Divergenza fra Volontà e Dichiarazione, caratterizzata
dalla consapevolezza e dalla bilateralità della divergenza – entrambe le parti sanno che dichiarano qualcosa di
diverso da ciò che vogliono –.
Sacco si domanda quindi cosa debba essere presente, perché si possa parlare di Simulazione. Si
pone vari interrogativi, fra cui:
 E' sufficiente una divergenza bilaterale consapevole fra dichiarazione e volontà?
 E' necessaria e sufficiente la presenza d'una controdichiarazione?
 O è necessaria un'attività volta alla creazione di un'apparenza, e qualificata dalla particolare
volontà di ingannare i terzi o da alti elementi?
 Ecc..., cfr. pag. 257-258 Manuale.
Egli ritiene che non sia possibile definire la simulazione senza rispondere a tutti questi quesiti.
LA SIMULAZIONE tra le PARTI
La lettura degli articoli citati del Codice Civile insegna, innanzitutto, che la Simulazione tra le
parti non è vista semplicemente come divergenza tra Volontà e Dichiarazione.
Qualora il convenuto tentasse di far valere genericamente l’assenza di volontà, sarebbe lo stesso
attore a invocare che l’opposizione sia qualificata come “Eccezione di Simulazione”, per far valere
le limitazioni di prova della simulazione previste per le parti (cfr. artt. 2722 e ss. C.c.).
Tale eccezione entrerebbe dunque nel giudizio come “allegazione del Patto di Rispetto”, cioè come eccezione fondata
su una dichiarazione, e non, invece, come difesa fondata su un puro difetto di volontà.
La Controdichiarazione (o “Patto di Rispetto”) è pertanto la dichiarazione dissimulata invocata
in giudizio contro un’altra dichiarazione di cui si assume che sia insincera.
L’intesa simulatoria non è né un contratto, né un vero “pezzo di contratto”, ma è solo un
frammento di dichiarazione su cui le parti concordano, tanto che rientra nella previsione legale
dell’art. 2722 C.c. (Patto Aggiunto e Contrario al negozio principale).
(!) Non hanno quindi alcuna rilevanza i motivi, la mala fede, i fini: l'eccezione di simulazione è
basata sull'accordo in quanto tale.
♦ Volontà delle Parti → Tra le parti ha rilievo il problema del requisito della volontà dei
paciscenti. Va da sé che se i paciscenti sono soltanto due, il loro animo nei confronti del negozio e
della controdichiarazione non potrà volgersi se non verso la produzione o verso l’esclusione degli
effetti (volontà positiva o negativa); ma quando i paciscenti sono tre (ad es., interposto, interponente
e terzo contraente), l’animo del terzo contraente potrà essere vario (può aver aderito alla
simulazione, può ignorarla, può essere indifferente).
Ma la Giurisprudenza considera requisito della simulazione la Partecipazione (od Adesione,
anche successiva) del Terzo contraente alla controdichiarazione.

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(!) La semplice scienza della simulazione, o la previa accettazione, non sono sufficienti: quando
manchi l'adesione del terzo contraente all'intesa simulatoria, in contratto simulato sarà efficace.
E, pare, l'intesa simulatoria che mirava a produrre effetti reali (trasferimento o costituzione di diritti), produrrà Effetti
Obbligatori, “voluti” dalle parti in quel senso generico in cui si ritengono “voluti” gli effetti d'una promessa che ha
subìto una conversione.

♦ Controdichiarazione Informale → Può aversi ad es. quando la controdichiarazione sia resa per
fatti concludenti. La parte avvantaggiata dalla dichiarazione ostensibile può rilasciare alla
controparte, per maggior quiete di quest'ultima, una dichiarazione scritta: Sacco precisa che non si
tratta di una controdichiarazione vera e propria, bensì di una dichiarazione unilaterale di
scienza; è un Atto a carattere Confessorio, che può anche essere posteriore alla simulazione.

LA FATTISPECIE della SIMULAZIONE RISPETTO ai TERZI


Come si tutela il terzo di fronte ad un atto simulato?
Egli farà valere in giudizio l’atto simulato ostensibile: il convenuto, parte dell’intesa simulatoria, eccepirà allora il patto
di rispetto, ma il terzo ne disconoscerà gli effetti, assumendo la simulazione.
Infine, il convenuto tenterà di contestare la qualificazione dell’atto come simulato e del patto come dissimulato.
Sacco pone quindi alcune questioni:
▪ Può un contraente addurre che la Dichiarazione Fittizia fosse inidonea ad ingannare i Terzi
od un terzo ben preciso, ad es. perché non c'era l'intenzione di ingannare?
→ La risposta è no: la dichiarazione fittizia è sempre idonea ad ingannare il terzo, infatti chi la
pone in essere crea un pericolo e perciò deve sottostare al rischio corrispondente.
▪ Può ammettersi una Simulazione non volontaria, cioè “Colposa”?
→ La risposta è no: al terzo non è consentito di invocare la simulazione se la creazione
dell’apparenza non fu intenzionale.
▪ Quale grado di univocità deve avere l'Apparenza? In quale misura dev'essere occulta la
Controdichiarazione?
→ La Cassazione ammette che i terzi possono invocare la dichiarazione fittizia anche quando la
controdichiarazione non sia stata occultata: sono quindi sufficienti un'Apparenza Generica ed una
Controdichiarazione non occultata per far valere la simulazione.
▪ La semplice Dissimulazione di un atto equivale ad una Simulazione?
→ La risposta è no: ad es., dissimulare un pagamento non equivale a simulare la permanenza di
un debito, secondo Sacco.
Questo perché la Legge reprime la simulazione in quanto comportamento commissivo, e non in quanto
comportamento omissivo: infatti, esiste solo un onere a non emettere dichiarazioni non veritiere, e non esiste un
onere di render note al pubblico quelle veritiere.

AMBITO di APPLICAZIONE dei PRINCÌPI sulla SIMULAZIONE


L’idea della simulazione come divergenza “bilaterale” tra volontà e dichiarazione appare
smentita anche dall’art. 1414 comma 3 C.c.: le regole in esame, infatti, si applicano anche agli
Atti Unilaterali destinati a una Persona determinata che siano simulati per accordo tra il
dichiarante e il destinatario.
(!) Ciò che quindi rileva non è tanto il generico difetto di volontà di chi emette la dichiarazione
ostensibile, quanto la presenza di un Accordo vertente su tale difetto di volontà.

▪ Può la Confessione essere impugnata per simulazione?


→ Il Montesano (1948) crede di no, perché la Legge sottrarrebbe la confessione ad ogni rimedio
non fondato sull’errore o sulla violenza, ma questa tesi non convince Sacco.
Esempio → Si pensi a Tizio che, per assicurare un credito a Caio, confessi un fatto che lo renda suo debitore, sì che
Caio possa mostrare la confessione alla banca: ma è chiaro che Tizio, munito di una regolare controdichiarazione
proveniente da Caio, non può venir condannato a pagare la somma.
(!) Sacco crede quindi che la confessione possa essere impugnata per Simulazione.

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▪ Alla “simulazione della Confessione” possono applicarsi, a favore dei Terzi, gli artt. 1415 e
ss. C.c.?
→ Sacco rileva che con l'espressione “Confitente Simulato” si possono intendere due fenomeni
diversissimi (che attengono appunto alle confessioni, alle quietanze, alle ricognizioni e alle date),
che sono spesso confusi entrambi sotto il titolo di “Simulazione delle Dichiarazioni di Scienza”.
 Primo Fenomeno → E' quello dell'esempio di cui sopra;
 Secondo Fenomeno → E' quello in cui vi sono due soggetti che vorrebbero gli effetti
giuridici espressi nell’atto ricognitivo menzognero, così che non si ha un atto simulato,
bensì un “Atto Velleitario (= irrealizzabile)”, caratterizzato dalla sua falsità ideologica.
I casi in esame vengono inclusi da sempre nella sfera degli atti simulati e sono destinati a sottostare
agli artt. 1414 e ss. C.c.; dunque, questa analisi induce non tanto a ridiscutere l’applicazione della
regola giuridica, quanto a rivedere la definizione della struttura della simulazione.
(!) Infatti, per Sacco, il contrasto non è sempre fra due dichiarazioni (una ostensibile ed una
occulta), perché anzi spesso questo intercorre fra dichiarazione ostensibile (del tutto conforme a
velleità delle parti) e fatto reale (talora accompagnato da una dichiarazione occulta parallela).
Quindi, in definitiva, anche le Dichiarazioni di Scienza e le Confessioni possono essere simulate.

▪ Gli artt. 1414 e ss. C.c. sono applicabili agli Atti dei Pubblici Ufficiali?
→ Secondo numerose sentenze, la risposta sarebbe no.
Tuttavia Sacco discorda, ed afferma ad es. che l'accordo simulato concluso con un Curatore
Fallimentare sia invalido e la simulazione può essere fatta valere; inoltre, nell'ambito di Gestioni
Patrimoniali svolte da organi della P.A., si ammette del pari la possibilità di simulazioni.

LA SIMULAZIONE RELATIVA
L’art. 1414 comma 2 C.c. disciplina la c.d. Simulazione Relativa: il negozio simulato anche qui
non produce effetti, ma può invece produrli il negozio dissimulato (con la presenza dei requisiti di
sostanza e di forma richiesti).
Nei casi dubbi, la simulazione si considererà “Assoluta”.
Infatti, una volta provata la simulazione, si toglie credito alla dichiarazione ostensibile che, perciò, non deve produrre
effetto; dopo di che solo la prova certa di una volontà negoziale dissimulata aprirà il problema relativo agli effetti
corrispondenti.
N.B.: Sacco precisa che, tuttavia, ogni simulazione contiene in sé l'intento che alcuni effetti dell'atto simulato possano
operare (ad es., nell'interposizione fittizia ci sarà un potere di gestione in capo all'interposto).
La volontà dissimulata produce i suoi effetti solo se sussistono i Requisiti di Sostanza (es. liceità) e
di Forma corrispondenti.
La Giurisprudenza, nonostante la resistenza di una parte della dottrina, ha accolto una teoria più
indulgente, che consente gli effetti voluti purché la forma corrispondente sia adottata
alternativamente nella dichiarazione occulta o in quella palese, ma ora sembra saldamente
orientata per la tesi più rigida (= l’effetto voluto dalle parti dev’essere suffragato dai caratteri
formali anche della dichiarazione volta a rendere nota la verità).
Circa la Donazione Dissimulata con una Vendita fittizia, la Giurisprudenza oggi ritiene che i requisiti formali richiesti per la
donazione (atto pubblico e testimoni) non debbano necessariamente sussistere in capo all'atto ostensibile ed alla controdichiarazione:
quest'ultima potrà essere anche una semplice scrittura privata, nella quale si affermi che, in realtà, il prezzo non è dovuto e che l'atto
effettivamente voluto sia una donazione.

L'INVALIDITA' del CONTRATTO SIMULATO


Il contratto simulato è Nullo (non produce effetto tra le parti): quindi, non può esser convalidato,
e si può agire con l'azione di accertamento di nullità senza termine di Prescrizione.
(!) Sono invece prescrittibili le Azioni volte a far valere i diritti nascenti dal negozio
dissimulato: la prescrizione comincia a decorrere dal momento fissato per l’adempimento, e non
dal momento della simulazione.

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GLI EFFETTI del CONTRATTO SIMULATO ed i TERZI


Gli effetti sono suddivisi come segue:
▪ Art. 1415 comma 1 C.c. → La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti,
né dagli aventi causa, né dai creditori del simulato alienante ai Terzi che, in buona fede, hanno
acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della Trascrizione della domanda di
simulazione;
▪ Art. 1415 comma 2 C.c. → I terzi possono far valere la simulazione (con azione di
accertamento) nei confronti delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti;
▪ Art. 1416 comma 1 C.c. → I Contraenti non possono opporre la simulazione ai Creditori del
Simulato Acquirente che, in buona fede, hanno compiuto degli Atti di Esecuzione sui beni che
furono oggetto del contratto simulato;
▪ Art. 1416 comma 2 C.c. → I Creditori del Simulato Alienante possono far valere la
simulazione che pregiudica i loro diritti e, nel conflitto con i Creditori Chirografari del
Simulato Acquirente, sono preferiti a questi se il loro credito sia anteriore all’atto simulato.

In altre parole la legge abbina la protezione del Terzo alla simulazione di un trasferimento, o, in
genere, all’apparenza di una titolarità presente nella sfera del simulato acquirente, assicurando
efficacia all’acquisto del terzo o all’atto di esecuzione del creditore.
E' una protezione che, quindi, riguarda soltanto i Terzi Acquirenti “a non Domino”, qualificati
dalla loro situazione sostanziale (gli altri terzi, invece, soffriranno sempre le limitazioni processuali
d’ordine generale come il divieto di prove orali dei patti - specie se contrari allo scritto - ed il
divieto di prove scritte prive di data certa).

♦ Il “Diritto” del Terzo → Tale espressione, per Sacco, ha un senso latissimo, comprensivo di
qualsiasi situazione positiva o negativa, purché in rapporto di derivazione con quella che fu
negoziata fittiziamente.

♦ La Buona Fede del Terzo → L’acquisto del terzo è subordinato alla sua buona fede: gli interpreti
ritengono che il terzo sia dispensato dal doverla provare; inoltre, il sospetto ed il dubbio non
equivalgono a malafede.
La buona fede è presunta ex art. 1147 C.c., ed è sufficiente che vi sia stata al momento
dell'acquisto (mala fides superveniens non nocet).

♦ Trascrizione → Nel settore della circolazione giuridica dominato dalla pubblicità, la priorità
della Trascrizione si aggiunge al requisito della buona fede: quindi, a seguito di trascrizione, i
terzi possono venire a conoscenza della pendenza della domanda.
Pertanto, qualora il Giudice accerti la simulazione, quest'ultima potrà essere opposta al terzo
subacquirente.

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CAP. II - LA PROVA DELLA SIMULAZIONE


LA PROVA dell'INTESA SIMULATORIA INVOCATA dalla PARTE
Chi allega la simulazione, deve provarla.
In particolare, regole restrittive concernenti i Mezzi di Prova entrano in gioco se la simulazione è
fatta valere da chi è stato Parte del Contratto (art. 1417 C.c.): è parte chi intervenga nel negozio
ostensibile, ed anche chi assuma di essere uno dei soggetti del rapporto che in realtà si volle
costruire – ad es., l'interponente, secondo la Cassazione (1981, 1998) –.
Se la controdichiarazione è assoggettata ad un requisito di forma necessario “ad substantiam”, la
parte dovrà produrre la scrittura che esprime il negozio in conformità delle regole generali.
Vincoli maggiori intervengono se la dichiarazione ostensibile figura in un documento: infatti, in tal
caso, l’art. 2722 C.c. che vieta la Prova Testimoniale è applicabile a qualsiasi intesa simulatoria e,
in specie, all’accordo che fondi un’interposizione fittizia.
In questo caso, non si ammette la Prova Testimoniale ex art. 2722 C.c., poiché il patto di simulare è un patto aggiunto o contrario al
contenuto di un documento (il contratto simulato).
Inoltre, non è ammessa la Prova per Presunzioni (art. 2729 C.c.).
Pertanto, chi alleghi che un certo contratto, da lui stipulato, sia simulato, dovrà produrre anche la
Controdichiarazione Scritta o, comunque, uno scritto in cui la parte convenuta in giudizio dia atto
della simulazione. Altrimenti, può ricorrere ad un Interrogatorio della controparte volto a
sollecitarne la Confessione. Infine, può anche deferire alla controparte il Giuramento Decisorio.
(!) La prova testimoniale sarà ammessa solo nei casi dell'art. 2724 C.c. (= principio di prova
scritta; impossibilità morale/materiale di procurarsi una prova scritta; smarrimento senza colpa del
documento che forniva la prova scritta).
Tutti questi limiti probatori valgono anche per gli Eredi delle parti.
♦ L’art. 1417 C.c. contiene un’eccezione alla regola dell’art. 2722 C.c., disponendo che la prova
per Testimoni della simulazione è ammissibile qualora sia diretta a far valere l’Illiceità del
Contratto dissimulato (qui l’illiceità significa una qualificazione del contenuto del negozio che
conduce alla sanzione della nullità).
In tal caso, la Legge intende mettere a disposizione qualsiasi strumento di prova per far emergere una operazione illecita
occulta, onde sanzionarla con la nullità.

LA PROVA dell'INTESA SIMULATORIA, ALLEGATA dal TERZO


La prova della simulazione è libera, cioè non ci sono limitazioni, quando la domanda sia proposta
da Creditori o da Terzi (cfr. pag. 274-277 Manuale).
I terzi, quindi, possono ricorrere ad ampi mezzi di prova, compresi i testimoni e presunzioni:
queste ultime sono i mezzi di prova maggiormente utilizzati dai terzi, che sottoporranno al giudice
gli elementi di fatto dai quali sia possibile dedurre la simulazione del contratto.

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CAP. III - IL GIUDIZIO DI SIMULAZIONE


GENERALITA'
Il Codice, com'è noto, conosce l’azione di nullità, e menziona in particolare quella particolare
sottospecie costituita dalle “domande dirette all’accertamento della simulazione di determinati atti”.
Ognuno può stimolare il Giudice perché rilevi, “incidenter tantum”, che questo o quell’atto sia
simulato.
La Giurisprudenza enunzia tutte le regole proprie dell’invocazione incidentale della simulazione
come regole proprie dell’Eccezione di Simulazione.
Per questo, è ben radicata la distinzione per cui:
 L'Azione di Simulazione → Non può esser fatta valere per la prima volta in Appello;
 L'Eccezione di Simulazione → Può esser sollevata anche in Appello.

LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA
La legittimazione ad agire competerà innanzitutto a chi sia Parte nel negozio, ma anche ai Terzi ed
ai Creditori, che potranno agire quando vi abbiano un interesse (ex art. 1421 C.c.).
Oltre che alle parti, l’azione compete dunque a chi abbia un diritto incompatibile con l’efficacia
dell’atto simulato (es. colui che, dopo la finta alienazione, acquisti dal simulato alienante).
In secondo luogo, come dispone l’art. 1416 comma 2 C.c., l’applicazione compete anche al
Creditore del Simulato Alienante, il quale agisce per far tutelare il proprio credito, la cui esistenza
verrà rilevata in via incidentale nel momento in cui egli agirà per far accertare la simulazione.
(!) Non occorre qui che il credito sia anteriore alla simulazione, perché l'azione accerta uno stato
di diritto: il creditore deve avere uno specifico interesse, che sussiste se l'atto simulato sia tale da
rendere più difficile o più incerto il soddisfacimento del credito (non occorre l'insolvibilità del
debitore).
Di tale pregiudizio non occorre la prova, poiché il debitore può dimostrare di non essere insolvente.

IL CONTRADDITTORIO
Se ognuna delle parti del negozio può invocare l'accertamento della simulazione, anche contro
ognuna delle stesse, se ne è pianamente dedotto che, per evitare la formazione di giudicati
contraddittori, la sentenza dev’essere emessa nei confronti di tutti i partecipi dell’atto in questione
(Litisconsorzio Necessario, art. 102 C.p.c.).
(!) Sacco rileva però che questa enunciazione sia troppo lata, perché poi, incoerentemente, si
ammette che se la simulazione sia fatta valere in via d’eccezione, non sia necessaria la presenza
in giudizio di tutte le parti del negozio.

L'EFFICACIA del GIUDICATO


Di regola, esistendo una cerchia di litisconsorti necessari al giudizio, ne dovrebbe discendere che la
Sentenza faccia stato “Erga Omnes”, salva la possibilità dell’Opposizione di Terzo.
Incertezze maggiori sorgono quando si debba chiarire se la sentenza ottenuta dal creditore operi
tra le parti.
 Parte della dottrina ritiene che faccia stato nei confronti delle parti citate (come convenute
o litisconsorti);
 Un altro filone di dottrina processualistica rifiuta l’estensione soggettiva degli effetti del
giudicato dal creditore alla parte che è estranea all’interesse fatto valere dal creditore.

La Giurisprudenza si ispira a questa stessa idea della Non-estensione del Giudicato e perciò, per
effetto delle diverse conclusioni delle parti o per effetto del diverso regime probatorio, un negozio
può, in un solo giudizio, essere dichiarato simulato nei confronti del terzo e non esserlo nei
confronti della parte.

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CAP. IV - IL CONTRATTO INDIRETTO


IL CONTRATTO INDIRETTO
Il fenomeno del negozio indiretto ricorre quando un negozio tipico viene posto in essere dalle
parti per raggiungere un fine determinato, diverso da quello tipico previsto dalla Legge, con cui si
realizzano interessi differenti da quelli corrispondenti alla sua causa.
Non costituisce quindi Simulazione Relativa la conclusione di uno o più contratti compiuta per
raggiungere una finalità economica simmetrica rispetto ad un contratto di diverso tipo, o
proveniente da soggetti diversi.

● Se manca la Controdichiarazione, non si può parlare di una dissimulazione e, perciò, non si


può parlare nemmeno di una Simulazione.

Esempio di contratto indiretto è la Società di Comodo, istituita per coprire una gestione che non
svolge attività alcuna, ma usufruisce dei benefici giuridici e fiscali.
Non si parla neanche qui di Simulazione, in quanto i soci vogliono veramente gli effetti legati in modo indissolubile a
quel contratto sociale. Infatti, essi vogliono la separazione del patrimonio sociale da quello loro personale, con
conseguente sottrazione all’azione dei creditori dei singoli soci.
Altri esempi sono le Alienazioni fatte a scopo di Garanzia e le Donazioni Indirette.

♦ Caratteri del Contratto Indiretto → Essi sono:


 Il contratto indiretto è un contratto non-simulato, perché effettivamente voluto;
 Le parti perseguono, per mezzo suo, una finalità propria di un altro contratto o, comunque,
contrastante con quella caratteristica del tipo contrattuale prescelto;
 Il contratto indiretto, se non si prova che cada in un’ipotesi di Frode alla Legge, è Lecito.

(!) Sacco ritiene che sia assurdo ipotizzare un effetto giuridico contrastante con la finalità tipica
del tipo contrattuale prescelto: ad es., se un contratto di società non ha fatto sorgere né una gestione
collettiva, né un'attività economica collettiva, allora ciò significa che la società può
indifferentemente generare un'attività economica collettiva, o non generarla.
Parimenti, se una vendita partorisce non già uno scambio, ma una garanzia, questo vuol dire che la vendita può
indifferentemente portare all'acquisto d'una proprietà come alla produzione d'una garanzia.

Per l'autore, in breve, il contrasto fra la finalità del contratto tipico e e quella delle parti condurrebbe
non già ad un fine indiretto, ma all'Atipicità di quel singolo contratto.
Sacco, infatti, ne deriva che anche un Contratto Atipico può essere indiretto (quasi si creasse, a
sua volta, un'atipicità rispetto alla “tipicità” del contratto atipico).

♦ “Ratio” dei Negozi Indiretti → Le parti ricorrono al contratto indiretto per salvarlo
dall'impugnativa che minaccia gli atti simulati: ma interviene qui il Diritto Tributario, che nei
negozi indiretti trova i materiali che gli occorrono per studiare i fenomeni di Elusione Fiscale
Illecita.

♦ Falsa Qualificazione → Vi sono poi dei casi in cui le parti vogliono alcuni effetti del contratto
che concludono, ma vogliono sottrarre il loro contratto ad alcune Norme Imperative: ad es.,
vogliono una locazione e, nel desiderio di sottrarla a norme imposte dalla Legge, la chiamano
“Precario Oneroso”.
Qui la volontà delle parti è indirizzata in modo conforme al nome che esse danno al rapporto ed al
contratto: ma tale nome non è quello appropriato.
Qui non si ha un Negozio Indiretto, perché la qualificazione falsa non incide sulla natura del
contratto, né del rapporto (non è quindi decisivo il nomen iuris dato dalle parti al rapporto).

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SEZIONE VI: LA FORMA - R. Sacco -


CAP. I - LE FORME IN GENERE
LA FORMA LEGALE
Per forma si può intendere:
 Il modo in cui avviene la Manifestazione di Volontà (orale, scritto, gesti, ecc...);
 Il modo in cui questa è resa certa all’esterno (tramite documenti, testimoni, ecc...).

A lungo ha dominato l’affermazione per cui il principio generale è quello della Libertà di Forma:
tuttavia, questa convinzione dev’essere illustrata mettendola in relazione con i molteplici effetti
riconnessi alle forme; infatti, talora l’adozione della forma è requisito per la prova (ad
probationem), altre volte lo è addirittura per la validità dell’atto stesso (ad substantiam).
Vi è quindi una certa Relatività della “libertà delle forme”: per Sacco, il principio della libertà di
forma vale dunque solo nel senso che, sul piano degli effetti sostanziali, un contratto, fino a
diversa disposizione, non è nullo, né altrimenti invalido, per il fatto che non sia stata adottata
una forma solenne o tipica.

♦ Forma “ad Substantiam” e “ad Probationem” → Quando noi diciamo che la forma è imposta
per la prova di un atto, in realtà, si sta parlando della “forma della prova”, e non dell’atto.
Quando ad es. si dice che la Transazione dev’essere provata per iscritto, questa si può provare
producendo la dichiarazione scritta dei contraenti, ma la medesima si può accertare mediante un
riconoscimento o una confessione scritte dei contraenti (es. quietanza).
Invece, quando si dice che la forma è imposta per la validità dell’atto, s'intende dire che la
dichiarazione negoziale stessa dev’essere formalizzata; inoltre, lo scritto necessario alla validità del
negozio è implicitamente necessario anche per la prova.
Talora è assoggettato alla forma tutto il negozio, talaltra solo una clausola; quando la forma è
richiesta per la validità dell’atto, l’informalità conduce alla Nullità; invece, quando è richiesta per la
prova il contratto è comunque valido ed efficace, ma nel processo sono inammissibili le prove per
testimoni o per presunzioni semplici (ma non la confessione e il giuramento).

♦ La “Risultanza” della Dichiarazione → Un caso particolare si ha quando il Legislatore chieda


che una dichiarazione “risulti” da una Scrittura Privata o da un'Annotazione fatta in un
registro: la “risultanza” fa pensare alla prova. Ma quando il Legislatore esige la risultanza, il
documento è necessario anche se è pacifico che la dichiarazione (informe) ebbe esistenza.
Laddove sia sufficiente la “risultanza”, la parte può produrre alternativamente la dichiarazione
negoziale formale od il mezzo di prova formale.

♦ Nullità per Difetto di Forma → Se la forma sia richiesta per la validità dell'atto, l'informalità
conduce alla nullità, vizio che è deducibile in ogni grado del giudizio, e che è anche rilevabile
d'Ufficio dal Giudice.

LE FORME VOLONTARIE
L’art. 1352 C.c. dispone che se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata
forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la
validità di questo.
Secondo una interpretazione restrittiva di certa Dottrina e certa Giurisprudenza, i privati
potrebbero imporre solo forme note al legislatore, ma questa limitazione è, per Sacco, arbitraria,
perché le parti possono subordinare l’efficacia del patto all’adozione delle forme più strane (es.
apposizione dell’impronta digitale accanto alla sottoscrizione; uso della lingua basca; ecc...).
Né sono da seguire le dottrine che, ad es.:
 Sostengono che il proponente non potrebbe subordinare l'effetto giuridico della proposta stessa alla reiterazione in forma solenne;
 Il Legislatore non potrebbe ricollegare la sanzione della nullità in caso di mancato rispetto della forma volontaria;
 Ecc...; cfr. pag. 293 Manuale.

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L’art. 1352 C.c., invero, si limita a sancire una presunzione (che la forma sia voluta per la validità)
e ricollega quest’ultima ad una sola ipotesi (quella del patto scritto).
Sacco evidenzia due quesiti:
 Se la clausola con cui si prevede la forma scritta non venga redatta a sua volta per
iscritto, qual è la sua sorte? Alcuni ritengono sia nulla, ma Sacco non è d'accordo;
 La presunzione di cui all'art. 1352 C.c. è iuris tantum o iuris et de iure? Per Sacco non è
“iuris et de iure”, ma non è una semplice presunzione interpretativa, altrimenti, sarebbe
ammessa la prova testimoniale per correggere l'interpretazione. Il documento crea la
presunzione, e la prova destinata a superare la presunzione deve considerarsi contraria al
documento ai sensi dell'art. 2722 C.c.: altrimenti, la prova testimoniale, cacciata dalla porta,
rientrerebbe dalla finestra.
Stipulato il contratto di merito senza la forma richiesta volontariamente per la validità, il contratto
amorfo è nullo; dunque il Giudice può pronunciarsi d’ufficio.
Infatti, nel momento in cui le parti stipulano il contratto senza la forma pattuita, si potrebbe pensare
che stiano abrogando implicitamente la loro precedente decisione: pare quindi giusto ritenere che,
se effettivamente non vogliano più quella forma pattuita, le parti debbano redigere il patto
abrogativo per iscritto, cioè con la stessa forma del precedente “patto sulla forma”.
♦ Uniformità di Proposta ed Accettazione (art. 1326 comma 4 C.c.) → Il legislatore prevede
l’inefficacia totale dell’accettazione data in forma diversa da quella voluta dal proponente.
La Giurisprudenza ha però trasformato questa inefficacia in una specie di Nullità Relativa, poiché
la Cassazione ha ritenuto che la norma sia posta nell’esclusivo interesse del proponente e, quindi,
ne deriverebbe che sia decisiva, per l’applicazione del comma citato, la volontà del proponente, il
quale potrebbe anche rinunciare alla forma.
(!) Per Sacco, invece, se manca la forma richiesta scatta subito la regola in esame, con inefficacia
“ipso iure” dell'accettazione amorfa. Tutt’al più, questa accettazione indica pur sempre la
presenza di una volontà negoziale dell’accettante e, perciò, potrà valere come una nuova
proposta; così il proponente, rinunciando a sua volta al requisito formale, diverrà accettante.

L'EVASIONE DAL FORMALISMO (il RINVIO, la CRITTOGRAFIA, la MUTILAZIONE)


Il formalismo è, di regola, imposto in ragione della materia regolata dal contratto. Sacco si pone
alcuni quesiti:
♦ Rinvio → Il fenomeno del rinvio (dichiarazione per relationem) si ha quando lo stesso testo
dichiara di recepire dati che gli sono estranei (es. dichiaro di comperare tanti trattori quanti ne
stanno nella mia rimessa). Per l'ammissibilità del rinvio, la soluzione migliore sta, per Sacco, nel
guardare il Termine del Rinvio.
Le parti possono sempre rinviare ad un mero fatto (es. indici di prezzo), purché il rinvio non
diventi un sotterfugio volto a trasformare la dichiarazione in un rompicapo enigmistico.
Problemi maggiori nascono quando la dichiarazione soggetta a forma rinvia ad un’altra
dichiarazione: le parti, per Sacco, possono sempre rinviare solo a dichiarazioni dotate di un
livello di forma non-inferiore a quello necessario per il negozio di cui si tratta.
♦ Crittografia → La dichiarazione si può considerare formalizzata quando, per essere intesa, ha
bisogno di chiavi, codici, spiegazioni ed illustrazioni non contenute nel testo formale?
La chiave è ammessa solo quando sia facilmente riconoscibile, interpretabile da un esperto.
♦ Mutilazione → Ci si domanda (fuori dell’ipotesi del rinvio) quali elementi della dichiarazione
siano soggetti alla forma; in altre parole: possono le parti formalizzare una sintesi, un estratto
della dichiarazione, e mutilarla poi in altri modi, o il peso del formalismo deve pervadere tutta
quanta la dichiarazione?
La nostra Giurisprudenza risolve questo problema ad es. dichiarando Nulla la convenzione con
cui si vende la proprietà di un immobile, se non risulta la causa di questo trasferimento.

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CAP. II - LA SCRITTURA PRIVATA


GLI ELEMENTI della SCRITTURA PRIVATA
La scrittura privata è la dichiarazione redatta per iscritto e sottoscritta dal Dichiarante.
♦ Sottoscrizione → Si intende per “sottoscrizione” l’insieme dei segni grafici che compongono
l’appellativo del dichiarante (non è quindi sostituibile dal crocesegno, né dall'impronta digitale):
tali segni devono essere decifrabili, ma va precisato che la leggibilità della firma non incide
sull’esistenza della stessa.
▪ La sottoscrizione è sempre indispensabile, anche se il documento sia interamente scritto di
pugno dalla parte (solo una parte cieca può far validamente firmare dalla persona indicata per
assisterla).
▪ L’anteriorità cronologica della sottoscrizione rispetto al testo è compatibile con l’essenza
della scrittura privata: l'eventuale riempimento abusivo è punito con la Querela di Falso.
▪ La sottoscrizione può farsi innanzitutto col primo nome dativo ed il nome di famiglia
corrispondenti allo stato civile: la Giurisprudenza ha però ammesso la sufficienza di nome e
cognome diverso da quello dello stato civile se questi, anche in relazione al testo, identificano il
sottoscrittore (salva l'applicazione delle regole sulla Dichiarazione resa sotto Falso Nome).
▪ La Riproduzione Meccanica di una Firma originariamente scritta di pugno è largamente usata
nel campo dei titoli di credito emessi in massa (es. azioni), ex art. 2354, comma 2, C.c..
▪ Se un Analfabeta o Semianalfabeta tracciasse la propria firma, anche se non sapesse né
leggere, né scrivere, il documento potrebbe essere considerato una scrittura privata solo se la
persona conosca adeguatamente il contenuto del documento.
♦ Testo → Esso si esprimerà in segni semantici appropriati, e sarà ammessa anche la
Raffigurazione Grafica degli oggetti (es piante planimetriche, ecc...).
▪ La forma scritta è compatibile con la Molteplicità dei Documenti.

GLI EQUIPOLLENTI della SOTTOSCRIZIONE


Il requisito della scrittura privata non può essere supplito da fatti concludenti sostitutivi, per
quanto logicamente idonei a provare la volontà della parte.
Secondo la concezione dottrinale, quando la forma è prevista “ad substantiam” devono essere
formali tanto la proposta quanto l’accettazione.
Tuttavia, la Giurisprudenza ammette che far valere in giudizio un documento equivalga alla sua
sottoscrizione: ma se davvero la produzione valesse come atto di consenso, come spiegare che esso
si perfezioni, spesso, anni o decenni dopo il giorno in cui il convenuto ha sottoscritto il testo
dell'accordo? La proposta contrattuale non dura anni, anche se non revocata.
(!) Sacco ritiene, quindi, che l'efficacia riconnessa all'invocazione del documento in giudizio
avrebbe un senso solo se sottintendesse la presunzione che la proposta sia stata sin dall'inizio
tempestivamente accettata.
Ma la Giurisprudenza non riconosce all'invocazione un simile effetto ex tunc, ed equipara
semplicemente l'invocazione in giudizio alla sottoscrizione ed alla recezione.

AMBITO in cui OPERA il REQUISITO della FORMA SCRITTA, SECONDO l'ART. 1350 C.C.
L’imposizione forma scritta ad substantiam opera in primo luogo in virtù di regole generali sul
contratto, quindi ad opera di regole codicistiche speciali ed infine ad opera di Leggi speciali.
In via approssimativa, la forma scritta ad substantiam è richiesta per atti che:
 Dispongono Diritti su Immobili, Diritti su Navi, Diritti di Ipoteca;
 Involgono un Patrimonio Intero od una Frazione di esso;
 Mirano alla costituzione di Vincoli Sociali (es. società);
 Provengono da Pubbliche Amministrazioni;
 Per varie ragioni, vanno fatti per iscritto (Rendite Vitalizie e Perpetue; ecc...).

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▪ Si nota come la scrittura sia richiesta prevalentemente per l’Oggetto e, in particolare, in relazione
al “Tipo di Bene” o “di Diritto” di cui si dispone.
▪ In casi specifici, la forma scritta può essere richiesta in relazione alla Causa (es., causa donandi)
od in relazione al Valore dell'Affare.
▪ Infine, accanto alla forma scritta richiesta per dati contratti, vi è quella necessaria per
determinate Clausole ed Impegni (ad es. per interessi in misura extralegale; patto di prova;
clausole vessatorie).
♦ Forma Scritta ex art. 1350 C.c. → Con l’art. 1350 C.c., il Legislatore assoggetta alla forma
scritta i contratti riguardanti:
 Contratti traslativi della Proprietà Immobiliare;
 Contratti costitutivi, modificativi o traslativi dei diritti di: Superficie, Enfiteusi,
Usufrutto, Uso, Abitazione e Servitù Prediale;
 Contratti costitutivi di Comunione di Proprietà od altri Diritti Immobiliari;
 Atti di Rinunzia ai diritti sopra menzionati;
 Anticresi;
 Locazioni Immobiliari ultra-Novennali;
 Società o di Associazione: con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri
diritti reali per un Tempo eccedente i 9 anni o per un Tempo Indeterminato;
 Rendite Perpetue o Vitalizie;
 Tutte le Transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici fin
qui menzionati.

Sacco procede a delle considerazioni.

► Rapporti Immobiliari → Con il primo gruppo di regole il Legislatore voleva certo riferirsi a
tutti i Contratti che producono una vicenda di rapporto reale immobiliare: ma ci sono delle
lacune, che saranno colmate dall'interprete. Sacco sottolinea che, comunque, la formulazione legale
è poco felice.

► Partecipazioni Sociali ed Immobili → Il Codice Civile del 1865 sanciva la natura “mobiliare”
delle quote sociali, facendo sì che potessero circolare senza forma scritta, anche se nel patrimonio
sociale vi fossero degli immobili.
Il Codice del 1942 ha tolto all'interprete tale appoggio: in realtà, il problema si risolve facilmente in
caso di Società di Capitali (S.p.A., S.A.p.A., S.R.L.), in cui l'immobile appartiene alla società ed è
quindi “scollegato” dal diritto del socio; quindi la quota può esser tranquillamente trasferita senza
necessità di forma scritta.
Se si trattasse però di quota di Società di Persone (S.S., S.N.C., S.A.S.)? La lacuna è stata colmata
mantenendo la soluzione del Codice del 1865, sostenendo cioè la differenza concettuale fra quota
sociale e quota immobiliare.

► Norme sui Contratti costitutivi di Diritti Personali → La forma scritta è qui richiesta in
funzione della Durata del Rapporto.
Se mancasse la forma, Sacco ritiene che si avrebbe Nullità Parziale, che potrebbe poi estendersi e
divenire Nullità Totale qualora la durata del rapporto fosse Essenziale.
In quest'ultimo caso, ove ne ricorrano i presupposti, potrà aversi la Conversione del Contratto.

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FORMA SCRITTA e NEGOZI STRUMENTALI


L’art. 1351 C.c. impone al Contratto Preliminare la forma voluta dalla Legge per il definitivo.

Gli artt. 1392 e 1399 C.c. impongono alla Procura la forma voluta dalla Legge per il contratto
che il gestore deve concludere o ha concluso.

Oggi è pacifico che tutti i negozi strumentali, compreso il mandato senza procura, la ratifica, la
dichiarazione di nomina del terzo, l'opzione ed il contratto preliminare relativi ad un negozio
principale per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam, debbano avere anch'essi, a pena di
nullità, la stessa forma.

LA TENDENZA ANTIFORMALISTA, la RISOLUZIONE, l'ATTO OSTATIVO


Che forma deve avere un Negozio Risolutorio? Esistono due opposte tendenze:
 Una vede nell'atto risolutorio il fenomeno analogo e simmetrico rispetto all'atto della cui
risoluzione si tratta, e perciò richiede per entrambi la medesima forma;
 L'altra, invece, vede nell'atto risolutorio una figura particolare rispetto al negozio soggetto a
risoluzione, e perciò richiede la forma solo se e quando essa sia richiesta in relazione
all'Effetto prodotto dall'Atto (ad es., se l'atto produce un trasferimento immobiliare, come
nel caso dello scioglimento di una vendita immobiliare, che produce una nuova traslazione
dell'immobile).

(!) Sacco rileva che la prima tendenza sia più attinente al sistema, ma, di contro, rileva anche che
gli atti rinunziativi, abdicativi, remissori, risolutivi, impeditivi, ecc... devono constare di requisiti
più semplici di quanto non avvenga per gli atti a “contenuto positivo”.

La Giurisprudenza non è insensibile all'idea della forma libera nei contratti risolutori.

Pare quindi ammissibile che la risoluzione del contratto di locazione ultranovennale e del contratto
di società (con apporto di solo godimento) non abbisogni della forma, perché, a differenza del
contratto che viene risolto, non creano alcun diritto personale ultranovennale.

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CAP. III - LE ALTRE FORME


LA FORMA MINIMA: la VOLONTA' ESPRESSA
Talora il Legislatore chiede alle parti una Dichiarazione Espressa od Esplicita, che comporta la
necessità di una dichiarazione di volontà in senso stretto; condotta, cioè, con mezzi semantici
qualificati (es. parole recitate o scritte) e che questi siano destinati tipicamente ad esprimere la
volontà di cui si tratta, così da rendere superflue illazioni più complesse (quali invece si operano
quando una certa volontà, detta implicita, tacita o presunta viene attribuita ad un soggetto dato, solo
perché il suo significato opposto è incompatibile con una qualche dichiarazione precedente o
contemporanea dello stesso soggetto).
Sacco cita alcuni casi in cui la volontà dev'essere espressa:
 Prestazione di Fideiussione (art. 1937 C.c.);
 Garanzia per Evizione operata dal Donante (art. 797 C.c., forma notarile);
 Clausola Risolutiva Espressa (art. 1456 C.c.).

CENNI sull'ATTO PUBBLICO


Ex art. 2699 C.c., l'Atto Pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un Notaio
o da altro Pubblico Ufficiale Autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è
formato.
Ex art. 2700 C.c., l'atto pubblico fa piena prova legale (= la sua attendibilità non è rimessa alla valutazione
discrezionale del Giudice, ma è predeterminata dal legislatore) fino a Querela di Falso (= istituto preordinato a privare
un atto pubblico od una scrittura privata autenticata o riconosciuta della sua idoneità a fare pubblica fede di quanto in
esso contenuto) della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni
delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Il Codice Civile lascia a Norme Speciali (specialmente alla Legge Notarile) il compito di spiegare
in che consistono i vari tipi di atto pubblico.
► Tipi di Atto Pubblico → Sacco individua almeno tre tipi di atto pubblico:
(1) Atto redatto alla presenza delle Parti e dei Testimoni, con sottoscrizione della parte (se sia
impossibile sottoscrivere, dev'esser menzionata la causa di tale impossibilità).
Questo tipo di atto pubblico è indispensabile per:
 La Donazione;
 Le Convenzioni Patrimoniali fra Coniugi.

(2) Atto redatto alla presenza delle Parti, ma senza Testimoni, se le Parti sono in grado di
leggere e scrivere.
Questo tipo di atto pubblico è adottato per:
 Atti costitutivi di Società di Capitali;
 Atti costitutivi di Associazioni e Fondazioni.

(3) Atto che prescinde del tutto dalla presenza di Testimoni.


Questo tipo di atto pubblico è adottato per:
 Accettazione di Eredità con Beneficio d'Inventario;
 Rinunzia all'Eredità.
 N.B. → Sacco ritiene che questo tipo di atto non possa essere usato in materia contrattuale.

► I Pubblici Ufficiali → Sono pubblici ufficiali abilitati in via ordinaria a redigere Contratti
quattro gruppi di pubblici ufficiali, ovvero:
 I Notai → Ex art. 1 L. Notarile, hanno una competenza generale;
 Taluni Funzionari delle P.A. → Hanno una competenza limitata agli atti in cui sia parte la
P.A., sempre che non si tratti di Donazioni;
 I Consoli → Hanno una competenza parallela a quella dei Notai;
 I Cancellieri → Sono preposti alla Redazione del Verbale dell'Udienza Civile (artt. 126 e
130 C.p.c.) e regolano la forma della Conciliazione nel Giudizio (artt. 185, 322 C.p.c.).

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CONTRATTO TELEMATICO e FIRMA DIGITALE


Nell’area della comunicazione telematica il tema della forma si presenta legato al problema
dell’accertamento dell’autenticità del messaggio, laddove per autenticità si intende solo la
provenienza, perchè l’alterazione del messaggio in un momento intermedio fra l’emissione e
l’arrivo non è pensabile, se il documento è telematico.
La regola del D.P.R. 445/2000 prevede la firma digitale laddove il dichiarante trasmetta
avvalendosi di una chiave privata nota solo a lui, e il destinatario decifri grazie ad una chiave
pubblica, individuando il mittente grazie all’intervento di un terzo certificatore.
Per il messaggio telematico assistito da questa forma di identificazione, l’apposizione della firma
digitale equivale negli effetti alla sottoscrizione del documento cartaceo: quindi, il documento
informatico ha fondamentalmente l’effetto di una scrittura privata.
ALTRE FORME e SOLENNITA'
Sacco elenca quindi alcune tipologie di forma:
 Forma Olografa (di pugno del dichiarante) e Forma Segreta (deposito della dichiarazione
nelle mani del notaio) → Interessano poco la materia contrattuale, ad es. in tema di
designazione del beneficiario del contratto di assicurazione sulla vita;
 Forme in cui rileva l'uso di specifiche parole → Ad es. le Cambiali, i Pagherò Cambiari, i
Vaglia Cambiari; ecc... . Si ha qui un cumulo della forma scritta con una “Forma
Letterale”;
 Forme che ricordano in parte la Scrittura Privata, in parte l'Atto Pubblico → Si pensi
alla forma adottata per i Verbali delle delibere assembleari di Condominio (art. 1136 C.c.),
od ai Verbali delle Assemblee Ordinarie di S.p.A. (artt. 2371 e 2375 C.c.).
► Si chiede quindi quale sia il valore delle dichiarazioni inviate tramite Telegrafo, Telex e
Telefax: conclude che non possono avere la stessa efficacia delle copie autentiche, perché
potrebbero risultare da un montaggio. Tuttavia, le copie fotografiche di scritture hanno la stessa
efficacia delle autentiche se la loro conformità con l'originale non sia espressamente
disconosciuta, o se sia attestata da un Pubblico Ufficiale competente.
♦ Nel Telegramma, il dichiarante redige (o fa redigere) un primo modulo che il destinatario non vedrà mai, e terze
persone (l’ufficio di partenza e quello simmetrico di arrivo) provvedono alla compilazione di un secondo modulo, con
dovere giuridico di curare che sia letteralmente uguale al modulo originario; quindi lo rilasciano al destinatario.
Il Legislatore ha fatto di tutto perché il telegramma possa essere utilizzato correntemente nelle contrattazioni,
predisponendo servizi ed accertamenti collaterali (artt. 2705-2706 C.c.) e garantendo al telegramma un
trattamento di favore rispetto alla normale scrittura.

♦ Il Telex è attendibile come mezzo di prova, ma non è possibile considerarlo come equipollente idoneo della
Scrittura Privata, laddove questa sia richiesta per la validità dell'atto.

♦ Il Telefax garantisce la provenienza del messaggio, ne individua il responsabile e riproduce fedelmente il


messaggio, nonché la sottoscrizione nella sua consistenza grafica: per cui, se la firma è riconosciuta e la conformità
all’originale non è disconosciuta, il valore probatorio è quello della scrittura privata. Avendone tutti gli elementi, il
Telefax può valere come Scrittura Privata.

► Lingua → L'uso di una certa lingua può valere come requisito di forma: certo, la scelta della
lingua non incide sull'esistenza della dichiarazione, ma, nell'ambito delle lingue possibili, può
essere imposta una certa lingua. Ad es., per il contratto che costituisce una Multiproprietà, è
richiesto che sia redatto in lingua italiana e/o, nel caso, in lingue dell'U.E.. Particolari regole
valgono per gli Atti Pubblici.
SULL'AMBITO di APPLICAZIONE di TALUNE FORME
Nel dettare regole generali sulla forma, il Legislatore non pensava a tutte le forme, e questo ha fatto
sorgere dubbi interpretativi di varia natura, ad es. sulla forma della Cambiale (v. pag. 317-318
Manuale).

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SEZIONE VII: LA CAUSA - R. Sacco -


CAP. I - TEMI GENERALI
I TENTATIVI di IDENTIFICARE CONCETTUALMENTE la CAUSA
Nel Codice Napoleonico e nel Codice Civile del 1865, si parla indifferentemente di “Causa del
Contratto” e di “Causa dell'Obbligazione”. Perché?
Perché tali Codici considerano non tanto il contratto, quanto più che altro il momento della
Allegazione fatta dal contraente in giudizio: Tizio, attore, non può invocare la promessa di Caio se
di questa manca la causa; infatti, nei contratti di scambio, la causa è il “sacrificio dell’Attore”.
In altre parole, quell’elemento che, se osservato dal punto di vista del proponente, appare come una
promessa (= l’obbligazione), diviene “Causa” quand’è guardato dal punto di vista dell’accettante
(e viceversa).
Nei contratti di scambio, la causa è, dunque, una parte del contenuto del contratto: una volta
sostituita la visuale atomistica delle due promesse con la visuale unitaria del contratto, visto nel suo
insieme, la somma delle due promesse viene ad essere insieme Causa e Volontà Contrattuale.
● La Dottrina italiana ha poi recepito la Pandettistica Tedesca e la concezione unitaria del contratto,
ignorando la nozione di obbligazione nel senso di “promessa”: alla stregua di tale impostazione, la
concezione precedente, vista sopra, faceva della causa un (inutile) “doppione” del consenso.
A seguito di questa “Concezione Unitaria”, vi sono state diverse reazioni in dottrina:
▪ Teoria Anti-Causalistica → Alcuni (es. il Giorgi) hanno assorbito la Causa nella nozione di
“Contenuto (Oggetto) del Contratto”, sostenendo che la causa non costituisse un requisito
autonomo del contratto;
▪ Teoria Oggettiva → Una vigorosa corrente ha concepito la causa come “Funzione del
Negozio”, cioè come “insieme degli effetti del negozio”, previsti tipicamente.

(!) Rispetto a quest'ultima teoria, Sacco sottolinea che, una volta assimilata la causa alla funzione,
potrebbe attribuirsi una causa a tutti i negozi, compresi i Negozi Astratti (= privi di causa):
infatti, la causa esisterebbe automaticamente ovunque esista una Dichiarazione di Volontà.
Tant'è, che alcuni giuristi sostengono l'inesistenza dei negozi astratti (es. Bozzi).
Come regole generali, Sacco afferma che:
 La causa deve esser definita in modo tale che sia possibile ipotizzare un Accordo di Volontà, sicché se
quest'ultimo manca, manca anche la causa, quindi il contratto è nullo;
 La causa dev'essere elemento costitutivo dei Contratti Causali, non dei negozi astratti.

Infine, la causa è definita come “funzione del contratto approvata dall’Ordinamento giuridico”:
si suole così aggiungere ch’essa ha lo scopo di introdurre, fra i costituenti del contratto, un
Controllo Sociale sull’attività delle parti. Ma, in realtà, la supervisione della Legge sul contenuto
del contratto si esercita già inserendo tra i costituenti del contratto il requisito della liceità del suo
oggetto. Per questo, secondo Sacco, la liceità della causa è un requisito superfluo.
I TENTATIVI di ACCERTARE in QUALI CASI SIA PRESENTE la CAUSA
Per capire quando c'è la causa, occorre chiarire in quali casi il Giudice debba dichiarare invalida
una dichiarazione contrattuale perché manca la causa.
L’oggetto dell’esame torna così ad essere la “Promessa”, più che il contratto: infatti, il problema
della causa si pone nella pratica quando l’attore invoca la promessa del convenuto e nasconde
quale sia stata la repromissione; d'altra parte, la causa serve proprio ad obbligare chi agisce sulla
base di una promessa, scollegata dal contesto, a sottoporre al Giudice l'intero contratto.
Sacco cita il Gorla, che, riprendendo le mosse dalla teoria classica secondo cui il patto nudo non
genera azione, si domanda cos’altro occorra al patto per divenire azionabile: così, nel passare in
rivista i diversi elementi che possono puntellare la promessa, individua come elementi che rendono
il patto azionabile quelli capaci di giustificare un serio Affidamento del promissario.
Ad es. la controprestazione, la dazione della cosa nei contratti reali, la forma solennissima nella donazione, la dazione della cosa nei
contratti reali, ecc... . In altri casi, l'esistenza della causa potrà porsi in dubbio (es. obbligazioni naturali, vantaggi puramente morali).

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LE VARIE FIGURE di CAUSA in CONCRETO


Si è quindi chiarito che una promessa o un atto di disposizione ha una causa se il promissario, a
sua volta, promette validamente una prestazione valutabile in denaro e corrispondente ad un
Interesse personale del soggetto considerato: così, se i due sacrifici sono reciproci, il requisito
della causa è soddisfatto.
Problemi sorgono in altre circostanze:
♦ Atti sottoposti a Condizioni → Può esservi una causa quando Tizio si impegna a pagare Caio,
qualora questo si obblighi a prestare una cosa certa e futura? Secondo Sacco:
 C'è una causa se le parti hanno inteso sottoporre il compratore ad un'alea, o se la cosa
viene veramente ad esistenza;
 Non c'è una causa in caso contrario.

♦ Atti sottoposti a Condizioni Opposte (es. gioco, scommessa) → Qui il movente di ogni
promessa non è già la sola repromissione, ma è il fine di creare un'alea (e non, invece, di
trasferirla, come nei contratti di assicurazione).
Qui la causa dovrebbe esser data dal cumulo di queste due circostanze: la creazione di un'alea ha,
però, il risultato di rendere l'accordo inetto a creare diritti azionabili.

♦ Obbligazioni di una sola Parte → In questo caso, innanzitutto, opererà una Causa qualora il
soggetto del sacrificio abbia Interesse alla conclusione del contratto, alla sua efficacia od alla
prestazione, cosa che accade in varie ipotesi:
 Promessa sottoposta ad una condizione il cui verificarsi dipende dal promissario, e che si rivolge a vantaggio
patrimoniale del promittente; ad es. “ti darò € 100 se ritroverai l’oggetto che ho smarrito”;
 Quando il fatto stesso di promettere sia di vantaggio patrimoniale per il promittente; ad es. promessa
reclamistica, proposta irrevocabile, prelazione, ecc...;
 Quando la prestazione si ritorce economicamente a favore del promittente; ad es. la promessa dell'artista
emergente di partecipare ad uno spettacolo di grande richiamo;
 Quando la promessa della persona giuridica, o la prestazione, servano al promittente per perseguire la sua
finalità statutaria; ad es. l'Interesse Pubblico può costituire una “causa” che giustifica le promesse ed i
contratti degli Enti Pubblici;
 Quando la promessa persegue un Interesse Collettivo, od un Interesse Morale sentito dai promittenti; ad es.
interessi di comitati, fondazioni, gruppi (si pensi a dei parrocchiani che hanno interesse a riparare il tetto della
chiesa), ecc... .
Fin qui, la causa è l'Interesse di colui che assume su di sé un sacrificio: la promessa si giustifica
per un interesse del promittente (che tuttavia non dev’essere valutato in concreto: infatti, lo
stipulante non ha l'onere di accertarne la sussistenza).

♦ Promessa di una parte con Oggetto Giuridicamente Inidoneo → Si può pensare che tale
promessa non possa fungere da causa della promessa reciproca: ma ciò non è sempre vero.
Bisogna distinguere i casi in cui il Legislatore:
 Condanna la Promessa e la Prestazione → Ad es., prometto di uccidere dietro corrispettivo:
se lo faccio, non posso agire per ottenere il pagamento.
 Condanna la Promessa, ma non la Prestazione → Anche a fronte di una promessa non
ammissibile (es. patto di non concorrenza di durata eccessiva), se la prestazione promessa
viene eseguita, si può agire per ottenere il corrispettivo (chi si impegna a non concorrere,
se rispetta il patto, ha diritto al pagamento). Poiché la promessa di eseguire prestazione può
anche esser disattesa, visto che è condannata dalla Legge, l'esecuzione della prestazione a
vantaggio della controparte si pone come avveramento di una condizione, nello specifico
sarà la condizione del pagamento che la controparte promittente dovrà corrispondere allo
stipulante, e si eleverà a Causa del negozio.
Sacco afferma che, in questi casi, il contratto (voluto dalle parti come bilaterale) vale come
unilaterale e, appunto, condizionato.

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♦ Atto in Pura Perdita → Quando manca un interesse del promittente alla conclusione del
contratto, si ha un Atto in pura Perdita, e manca la causa.
Si possono tuttavia avere atti di questo tipo che non sono (o almeno non sono considerati) come
privi di giustificazione, come la promessa formulata per rafforzare un’obbligazione precedente (ad
es., Promessa di Garanzia tramite fideiussione per l’adempimento di un contratto precedente).
Esistono inoltre negozi con Causa di Pagamento (es. dazione in pagamento, negozio solutorio del
terzo, accollo, espromissione, ecc...).
Causa di Garanzia e Causa di Pagamento sono, per Sacco, idonee cause del contratto: il
preesistente interesse del promissario alla prestazione, infatti, sostiene la promessa.

Fuori dei contratti interessati e di quelli con funzione di garanzia o pagamento, non vi sono altri
contratti sostenuti da una Causa Oggettiva; ma si possono avere:
▪ Contratti sostenuti da un puro elemento Soggettivo (scopo o finalità) in cui un altro elemento
rimpiazza la causa oggettiva, che manca.
(!) Si pensi alla Donazione: qui, l'animus donandi (dal Domat in poi) sostituisce la causa.
Questi atti retti da un elemento soggettivo possono essere salvati ricorrendo:
 Ad una certa Forma → Come per la Donazione (Atto Pubblico);
 Alla Consegna → Si pensi ai Contratti Reali (es. Comodato);
 All'Avvenuto Adempimento → Si pensi alle Obbligazioni Naturali.
In assenza di tali elementi, la promessa non è valida per mancanza di uno degli elementi del
contratto.
▪ Negozi astratti e/o atti quasi contrattuali camuffati da contratti;
▪ Casi in cui il Legislatore rinuncia a verificare l'esistenza di una causa.

LE OBBLIGAZIONI MORALI
Si consideri il caso in cui taluno prometta qualcosa, in ragione di un beneficio ricevuto in passato (=
causa praeterita o passata); ad es., Tizio mi ha fatto un favore od ha sofferto un danno per arrecarmi
un vantaggio.
Spesso la “Causa Praeterita” sottende un’Obbligazione Naturale (particolare tipo di
obbligazione che sorge da specifici doveri morali o sociali), per cui non se ne può pretendere
giudizialmente l'adempimento, che, anzi, dev’essere spontaneo: ma se quest’ultimo avviene, non
è più possibile chiedere la restituzione di quanto pagato (c.d. “Soluti Retentio”; ad es., pagamento
di scommessa o debito di gioco, pagamento di debito prescritto, ecc...).
Il nuovo codice, innovando su quello abrogato, ha negato all'obbligazione naturale ogni effetto
diverso dall’irripetibilità del prestato (art. 2034 C.c.): l’obbligazione naturale non dovrebbe quindi
valere per giustificare una promessa.
Allo stesso modo, un servizio precedentemente reso (causa praeterita) non giustificherebbe una
promessa: non posso andare da Tizio e dirgli “io ho fatto questo per te, ora tu fai questo per me”,
né posso pretendere che sia un Giudice a costringerlo, in forza di un obbligo morale.
(!) Sacco ritiene però eccessiva tale generalizzazione, e si chiede se potrà in futuro essere smussata.
LIMITI alla NECESSITA' della CAUSA
Nell'ottica dell'Autore, la causa è prevista non per tutelare interessi della collettività, ma per
tutelare chi promette.
Rispetto al principio causale, esistono tuttavia delle Eccezioni.
♦ Confessione → Se Tizio confessa un fatto a sé sfavorevole, e favorevole alla controparte, non
può poi impugnare la confessione, salvo che dimostri che c'è stato o una violenza o un errore di
fatto.
Questo vuol dire che se si confessa un fatto falso, sapendo benissimo che è falso, non c'è nessun
rimedio: il Giudice lo deve prendere per vero.

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Perciò questo può consentire, di fatto, se le parti sono d'accordo, un'Astrazione, cioè un'assenza
di causa.
Esempio: Tizio promette di dare 100 euro perché gli si trasferisca la proprietà su un cavallo. Se poi
il cavallo non esiste, la sua promessa, in teoria, dovrebbe essere priva di causa: tuttavia, se confessa
che il cavallo esiste, e che gli sia stato consegnato anche se ciò non sia vero, l'altra parte – d'accordo
con lui - può andare dal Giudice e ottenere la condanna a che Tizio paghi 100.
Quindi, la confessione può essere uno strumento processuale che può essere manipolato dalle
parti per raggiungere di fatto il risultato di astrarre la promessa e il trasferimento di un
diritto dalla causa, o dalla necessità che vi sia una causa.

♦ Negozio di Accertamento → Un ragionamento simile è fatto per il negozio di accertamento.


Se è controversa la proprietà di un bene tra A e B, essi possono decidere di risolvere la situazione di
incertezza con un negozio di accertamento (che ha effetti sostanziali e non solo processuali).
Quindi concludono un negozio in cui affermano che il bene è di B: se il bene era effettivamente di
B, non si pone alcun problema; ma se in realtà era di A, di fatto, c'è stato un trasferimento del
diritto senza nessuna causa, solo per mera volontà dei contraenti.
Questi sono dei casi in cui l'assenza di causa deriva da una manipolazione delle parti, che, se
vogliono realizzare dei trasferimenti senza causa, possono mettersi d'accordo.

♦ Remissione del Debito (Rinuncia Abdicativa al Credito) → Se Tizio rimette un debito al suo
debitore, senza che ci sia alcuna ragione giustificatrice e senza che la cosa sia assistita dalla forma
(perché non è una donazione diretta, al massimo può configurarsi come una donazione indiretta che
non necessita della forma), in questo caso manca la ragione giustificatrice oggettiva, però la
remissione è comunque valida e il debitore è liberato: al massimo, quest'ultimo può rifiutare la
remissione, se vuole; ma, se non rifiuta, è liberato senza nessuna necessità che ci sia una causa della
remissione.
(!) L‘ordinamento è quindi più attento e severo a richiedere che vi siano elementi giustificativi
per far sorgere un rapporto (= una causa), che non per estinguerlo.

♦ Negozi Economicamente Incolori → Vi sono poi dei casi in cui non è richiesta una causa,
semplicemente perchè il contratto è economicamente incolore; dice Sacco: vi sono dei contratti a
contenuto normativo che non hanno nessuna conseguenza economica diretta (ad es., l'accordo
sulla competenza territoriale di un determinato Giudice; contratti di tipo esclusivamente normativo).
In questi casi, tutte le volte in cui il contratto non ha effetti economici (manca un impoverimento
economico di chi si vincola), non è richiesta la causa semplicemente perchè il contratto non
produce degli effetti che devono essere in qualche modo giustificati.
Esempio → Mandato Gratuito: se non ha alcun contenuto economico e non produce alcun spostamento patrimoniale, è valido.

► Astrazione Processuale (art. 1988 C.c.) → Promessa di Pagamento e Ricognizione di Debito


possono essere invocate in giudizio senza allegarne né provarne la causa, che si presume fino a
prova contraria: validi esempi sono le promesse incorporate in titoli di credito (es.: Cambiale).
Questo, però, non significa che questa promessa non abbia bisogno di una causa, ma vuol solo
dire che è invertito l’onere della prova nel processo: non è una vera e propria astrazione, ma si
parla solo di “astrazione processuale” perché, se l’altro dimostra che una causa non c’è, non è
tenuto a pagare.

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ANALISI del PRINCIPIO CAUSALISTICO


Il Principio della Causa si articola in più regole:
(1) Il fatto che una promessa debba essere assistita da una ragione giustificatrice, comporta che il
contratto si scinda in più elementi autonomi;
Se Tizio promette € 100 a Caio per acquistare un cavallo che non esiste, neanche mettendosi d'accordo fra loro Tizio sarà tenuto a
pagare € 100, perché, in quel caso, si tratterebbe di una donazione, e ci vorrebbe l’atto pubblico.

(2) La necessità della causa vuole anche dire che le Cause non sono fungibili: se una promessa è
stata fatta in vista di una determinata causa, non è sufficiente che vi sia una causa qualunque, ma ci
deve essere la quella causa che ha giustificato quella promessa;
(3) Del pari, se un contratto è valido senza causa, ma le parti hanno stipulato in
contemplazione di una causa (ad es., remissione del debito dietro corrispettivo), il difetto della
causa travolge tutto il contratto;

(4) Scambiate due promesse, i contraenti non assumono rispettivamente il rischio per la nullità o
la futura frustrazione della propria stipulazione: il principio causalistico, quindi, collega fra
loro gli effetti d'un contratto;

(5) Al di fuori dei casi contemplati all'art. 1988 C.c., di regola, il Contratto dev'essere allegato in
giudizio tutto intero (comprese le ipotesi di Contratti Traslativi di Proprietà).

(6) L'inscindibilità di promessa e repromissione comporta che se per la promessa, in ragione del
suo contenuto, sia richiesta una forma ex art. 1350 C.c., la repromissione ha la stessa forma;

(7) Il Difetto di Causa opera oggettivamente, cioè consiste proprio nella carenza della causa, e
non nell'errore del promittente che ignorava tale carenza;

(8) Il difetto di causa è rilevabile d'ufficio dal Giudice.

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CAP. II - PROBLEMI SPECIALI


IL CONTRATTO FIDUCIARIO
Il Contratto Fiduciario è un negozio che comporta il trasferimento di un Diritto effettuato per un
fine determinato, ed accompagnato dalla clausola per cui il Fiduciario, raggiunto quel fine,
dovrà ritrasferire il diritto al Fiduciante (c.d. “Pactum Fiduciae”).
Il Contratto fiduciario può essere:
 “Fiducia cum Amico” → L’appartenenza del bene al fiduciario può essere voluta per una
comodità del fiduciante, cioè nel suo interesse (ad es. per sottrarre il bene a terzi);
 “Fiducia cum Creditore” → L'appartenenza del bene al fiduciario si ha per dare una
garanzia al fiduciario stesso, nel suo interesse.
Vi sono dei casi in cui il fiduciario può addirittura vendere il bene di cui è titolare,
trattenendo il ricavato per estinguere un credito che aveva nei confronti del fiduciante: è la
c.d. “Fiducia Solvendi Causa”.

► Caratteri del Negozio Fiduciario → Secondo la definizione classica, il carattere del negozio
fiduciario sta nel fatto che il mezzo cui ricorrono le parti (es. il trasferimento di proprietà) ecceda
lo scopo del negozio (es. dare una sicurezza al fiduciario): è quindi tradizionalmente visto come un
“Negozio Indiretto”, perché vi sarebbe divergenza fra il mezzo giuridico prescelto dalle parti e
lo scopo che esse perseguono.
(!) Sacco, però, ritiene insipida tale definizione: secondo l'Autore, può capitare che il
raggiungimento dello scopo del fiduciante necessiti proprio di un negozio dotato di tutto l'ampio
contenuto che le parti hanno voluto.
● In breve, per Sacco, il carattere centrale del Contratto Fiduciario non sarebbe tanto questa
“Eccessività del Mezzo rispetto allo Scopo” - che contraddistingue il negozio indiretto -, quanto,
piuttosto, la Dissociazione fra Titolarità ed Interesse.
Infatti, il fiduciario è titolare di un diritto che entra a far parte del suo patrimonio personale (diversamente dal Trust)
ed ha anche il potere di ingerenza e di esercizio corrispondente, ma, solitamente, l'esercizio del Diritto è svolto
nell’interesse di un’altra persona (fiduciante o terzo indicato dallo stesso).
Infatti, oltre al caso di contratto fiduciario visto sopra (c.d. Fiducia Dinamica), può addirittura
capitare che la relazione fiduciaria abbia ad oggetto beni che fin dall'origine appartengono al
fiduciario, e che egli promette di gestire nell'interesse del fiduciante (c.d. Fiducia Statica):
emerge qui, molto chiaramente, la citata dissociazione fra titolarità ed interesse.

► Liceità del Contratto Fiduciario → La fiducia non ha carattere illecito se non è mezzo per
frodare la Legge: quindi, il patto di fiducia è legalmente vincolante.

► Legge e Contratto Fiduciario → Sacco ravvisa nell'art. 1706 C.c. il riconoscimento del
negozio fiduciario da parte della Legge, laddove si sancisce che il mandatario acquirente, nel
mandato senza rappresentanza, è unico proprietario della cosa acquistata, salvo l’obbligo di
ritrasferimento al mandante.
Se mandante e mandatario si accordassero per far durare quella situazione in cui il Mandatario
è titolare del bene (acquistato nell'interesse del mandante), si avrebbe una Proprietà Dissociata:
premesso ciò, Sacco afferma che non ci sono ostacoli a che si possano creare analoghe situazioni,
anche fuori dall'ipotesi del mandato.
Infatti, quel successivo accordo (col quale si fa perdurare la situazione vista sopra) ha lo scopo
diretto di creare o stabilizzare una dissociazione fra diritto ed interesse.
♦ La titolarità della proprietà in capo al Fiduciario è eretta per l'Interesse di un non proprietario,
e l'obbligazione di restituire, in tale contesto, è solo la logica conseguenza della dissociazione.

► Gestione → Il fiduciario, una volta accettata l'intestazione del bene, deve agire diligentemente,
senza causare difficoltà al fiduciante (saranno qui utili le regole sul Mandato Gratuito).

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► Causa e Contratto Fiduciario → Bisogna qui distinguere due punti:


▪ Se il rapporto fiduciario è parte di un Contratto più Ampio, allora la causa della clausola di
fiducia si confonderà con la causa del contratto stesso.
▪ La causa di un Contratto che si esaurisce nella costituzione di un Rapporto Fiduciario,
invece, qual è?
Non si ha un sinallagma, perché il fiduciario acquista un diritto ed assume un'obbligazione: di
fatto, il diritto acquistato non gli serve a nulla, non lo arricchisce.
Infatti, l'accordo fiduciario – dice Sacco – non ha più causa di quanta ne abbia, ad es., un
accordo per conferimento di procura.
L'interesse, di regola, è tutto del Fiduciante, è unilaterale, a parte i casi di Fiducia Solvendi
Causa, in cui la causa del contratto può esser ravvisata nell'estinzione del debito del fiduciante, sì
che lo scambio appaia giustificato.
Emerge così come il tema della fiducia riguardi la Titolarità dei Diritti, più che la Causa.

L'ATTO SOLUTORIO
I Romani, quando erano obbligati a dare, compivano un atto solutorio tipico (mancipatio o traditio),
che non era considerato un contratto.
Dal Codice Napoleonico in poi, si è attribuita Efficacia Traslativa Reale a Vendita e Donazione
per effetto del solo Consenso Traslativo (cfr. art. 1376 C.c.): l'Atto Solutorio (= Consegna) è
rimasto soltanto nei casi di alienazione di Cose Generiche o Fungibili, dove cioè si rendeva
necessaria una specificazione del bene.
Con la consegna, si specifica il bene: si può dire che “Atto Solutorio” e “Consegna” si equivalgano.
Quindi, dove è scritto “atto solutorio”, può leggersi come “consegna”.
(!) Una volta accertata tale equazione, Sacco si pone delle domande:
▪ L'Atto Solutorio è un puro comportamento materiale (traditio) e necessario perché si
individui il bene oggetto dello scambio? Oppure:
▪ L'Atto Solutorio è un vero e proprio Contratto bilaterale? Se sì, ha una Causa?
▪ L'Atto Solutorio è idoneo a trasferire la proprietà se non c'è un'obbligazione sottostante?
Esisterebbe, in tal caso, un diritto del “solvens” alla ripetizione?
L'Autore sottolinea quindi come, nel passaggio dal Diritto Romano a quello codificato franco-
italiano, è scomparsa l'idea della “Consegna” come modo generalizzato per trasferire la proprietà:
piuttosto, nella nuova logica del nostro diritto, le vicende giuridiche sono normalmente effetto di
Atti Consensuali e Causali.
Infatti, laddove la consegna esegue una volontà giuridica riconosciuta dal Diritto, è in realtà il
consenso, e non la sua esecuzione, che produce gli effetti traslativi voluti dalle parti.
La Consegna consta di vari elementi: il trasferimento del potere di fatto sulla cosa; l'intento di
trasferire il dominio; l'intento di soddisfare un obbligo giuridico (scambiare, donare, ecc...).
▪ Quest'ultimo punto, cioè l'Intento di Soddisfare un Obbligo, è sufficiente a vivificare l'effetto
traslativo dell'atto? Può valere come Causa?
(!) Per Sacco, la Consegna non è un modo di trasferimento del diritto, che si trasferisce
mediante il Contratto (tant'è che il Codice nulla dice sulla consegna): ne deriva innanzitutto che
l'Atto Solutorio Indebito è inidoneo ad una funzione traslativa reale.
Per Sacco, inoltre, la consegna è priva di Causa, cosa che impedisce il trasferimento della
proprietà, sia che si consideri l'atto solutorio come un atto unilaterale, sia che lo si consideri come
un contratto reale (perché difetterebbe, in quest'ultimo caso, di un requisito fondamentale del
contratto richiesto ex art. 1325 C.c., cioè, appunto, la Causa).

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SEZIONE VIII: I MOTIVI - R. Sacco -


CAP. I - MOTIVI e FINI
I MOTIVI ed i FINI
I Motivi sono gli scopi ulteriori (interessi strettamente individuali) in vista dei quali il negozio
viene stipulato: la loro rilevanza giuridica è invece assai limitata, perché essi sono estrinseci
rispetto all’operazione contrattuale.

I motivi, infatti, sono previsti nel Codice Civile in alcune norme, tutte volte a restringerne il più
possibile la rilevanza:
▪ Art. 788 C.c. → Se il motivo della Donazione è illecito, esso rende nulla la donazione stessa
se risulti dall'atto e sia stato determinante per il donante;
La norma è poco utile, dato che è molto difficile che dall’Atto Pubblico notarile risulti il motivo illecito; a meno
che non la si interpreti in maniera estensiva, nel senso che anche dall’atto possa in qualche modo presumersi un
motivo illecito.

▪ Art. 1345 C.c. → Il Contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo
esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.
La norma è richiamata dall'art. 1418 C.c.: il contratto con motivo illecito è nullo.
Anche questa norma è poco utile: di regola, in un contratto, c'è più di un motivo e raramente si conclude un
contratto con un unico motivo comune ad ambo le parti.

Si tratta quindi di due norme che, come si è visto, hanno una scarsa rilevanza pratica, sì che il
motivo non viene quasi mai in rilievo.

(!) Sacco, quindi, sottolinea come Dottrina e Giurisprudenza abbiano eroso queste norme, per poter
dar spazio ad una maggiore rilevanza dei motivi: a tal fine, spesso hanno assimilato il motivo al
Contenuto od alla Causa del Contratto.
Quando dunque rilevano i motivi?
▪ Innanzitutto i motivi possono rilevare ai fini dei Vizi del Consenso: tutta la disciplina
sull'errore, sul dolo o sulla violenza dà rilevanza ai motivi (ad es., vi sono dei casi in cui l’errore
dipende da motivi soggettivi del contraente, ad es. può capitare circa l'errore sulla qualità);
▪ Quindi, i motivi rilevano nell'ambito della Presupposizione: quando la condizione inespressa,
ma comune ad ambo le parti, viene meno, il contratto diviene inefficace.

Ritornando al caso del Motivo Illecito, Sacco dice che, in realtà, la norma dell'art. 1345 C.c. è da
interpretare nel senso che il negozio è nullo non solo se Tizio conclude un contratto per un motivo
illecito che era l’unico che lo aveva spinto a contrattare, ma anche se conclude un contratto
nonostante ci sia un contro-motivo di tipo morale o etico per non concluderlo.
Esempio → Tizio vende del veleno per topi ad un suo cliente che vuole avvelenare la moglie: pur sapendo ciò, non si
trattiene e glielo vende lo stesso.

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CAP. II - L'INTERESSE
L'INTERESSE del CONTRAENTE
La Legge considera l’interesse del Creditore come un elemento essenziale del credito (ex art.
1174 C.c.) e ritiene il fine della “realizzazione di interessi meritevoli di tutela” come il limite
interno dell’autonomia delle parti nel campo dei contratti innominati (art. 1322, comma 2, C.c.).
Nell’interesse, va precisato, rientrano i motivi.
L’interesse può anche essere non patrimoniale, ed il creditore può avere qualunque motivo per
volere quella prestazione: sembra quindi impossibile che non vi sia un Interesse.
Tuttavia:
▪ Potrebbe mancare un interesse nel caso in cui il creditore si sia sbagliato, pensando di avere un
interesse che, in realtà, non aveva: ad es., Tizio va dal meccanico a far riparare un'auto,
convinto che sia sua; la macchina, in realtà, è di Caio, quindi Tizio non ha interesse.
▪ Al di fuori del caso dello sbaglio, è possibile immaginarsi che non vi sia un interesse del
creditore quando ad es. Tizio dica al meccanico di riparargli la macchina, e poi di distruggerla.
Qui non vi è nessun interesse e, in questi casi, manca il carattere patrimoniale della prestazione
(è una prestazione economicamente non valutabile): quindi, non potrebbe comunque essere oggetto
di obbligazione.
Infatti, la norma dice che l’obbligazione può sorgere solo se vi sia un interesse.
L'interesse del creditore, se condiziona il credito, dovrebbe altresì condizionare la Stipulazione:
ma, d'altra parte, quest'ultima non può dipendere così meccanicamente da un interesse dello
stipulante, la cui assenza sarà spesso inconoscibile dal promittente.
La carenza di Interesse comporta innanzitutto la perdita dell'Azione Contrattuale in capo allo
Stipulante: non può cioè agire per ottenere l'adempimento, poiché non vi ha interesse.
Tuttavia, se la prestazione è adempiuta, è tutelato l'affidamento del Promittente: lo Stipulante, in
altre parole, è obbligato a pagare il corrispettivo.
Il difetto di interesse trasformerà il contratto bilaterale in un Contratto Unilaterale Condizionato,
in cui la prestazione del promittente si pone come condizione dell'obbligazione dello stipulante a
pagare il corrispettivo.
Infatti, il promittente non è tenuto a svolgere la prestazione richiesta, poiché lo stipulante non vi ha
interesse: ma, se lo fa, ha diritto al pagamento.
► Interesse Meritevole di Tutela (art. 1322 C.c.) → I contratti atipici possono essere conclusi se
sono volti a perseguire interessi meritevoli di tutela. Secondo Sacco, lo si è visto, ciò non vuole dire
che l’ordinamento debba andare a fare un ulteriore giudizio di utilità sociale per i contratti atipici: se
il contratto è lecito, tanto basta, e non è necessario che sia anche meritevole di tutela, perchè non è
detto che i contratti debbano perseguire funzioni sociali particolari.
I contratti, infatti, servono a soddisfare interessi individuali: la tutela dell’interesse in generale si
ha prevedendo le cause di illiceità; al di fuori di queste - ovvero se il contratto è lecito - non è
necessario nient’altro affinchè sia vincolante.

Cosa significa quindi “Interesse meritevole di tutela”?


(!) Secondo Sacco, significa che attraverso i contratti atipici (quindi, indipendentemente dal tipo
di contratto utilizzato) non possono essere lese delle situazioni, non si possono raggiungere degli
effetti che l’ordinamento vieta attraverso il divieto di determinati rapporti giuridici.
Esempio → E' fatto Divieto di Patto Commissorio (le parti non possono prevedere che, in caso d'inadempimento da
parte del debitore, un suo bene dato in garanzia diventi di proprietà del creditore): non è possibile aggirare il divieto
attraverso un mandato al creditore senza obbligo di rendiconto.

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SEZIONE IX: LA CONSEGNA E GLI ALTRI ATTI DI ESECUZIONE


- R. Sacco -
CAP. I - CONSEGNA, CAUSA, CONTRATTO GRATUITO
LA DONAZIONE MANUALE
Il nostro ordinamento riconosce la Donazione Manuale (art. 783 C.c.), che consiste in un negozio
traslativo mobiliare caratterizzato dalla mera consegna di Beni Mobili di modico valore (non è
quindi richiesto l'atto pubblico), scompagnata da ogni fatto giustificativo precedente.
Un’evidente sopravvivenza (ammessa dal legislatore italiano) della tradizione astratta è contenuta e
Il dono manuale è dunque la sintesi degli elementi del contratto di donazione, meno la forma, più
la consegna: dicendo che è un contratto, però, non s'intende che essa generi rapporti azionabili a
favore del donatario, quali la Responsabilità per evizione o per vizi (artt. 797-798 C.c.).
La donazione manuale si differenzia dall'Atto Solutorio perché quest'ultimo si innesta su un
precedente rapporto fra le parti, mentre la prima si caratterizza solo per l'animus donandi.

IL PAGAMENTO PRECEDUTO da un RAPPORTO SOCIALE fra le PARTI


Si è quindi detto che la consegna, innestata sulla volontà di alienare una cosa mobile, perfeziona un
dono manuale con effetto traslativo.
Lo stesso ragionamento si ritrova in altri casi:
 Consegna che mira ad estinguere una precedente relazione tra le parti, la quale renda in
qualche modo doverosa, o conforme a convenienza, la prestazione (ad es., Tizio dà a Caio
del denaro perché quest'ultimo gli aveva fatto un grande favore);
 Erede del donante che dà esecuzione alla Donazione Invalida (art. 799 C.c.); o Erede che dà
esecuzione ad un Testamento Nullo: in ambo i casi, la disposizione è nulla, ma la consegna
produce comunque l'effetto traslativo;
 Pagamento di un Debito Prescritto (art. 2940 C.c.): il diritto del creditore si è estinto, ma
viene comunque soddisfatto dal debitore – ormai non più tale per via della prescrizione –;
 Pagamento di una Scommessa o Debito di Gioco: ciò che viene spontaneamente pagato
tramite la consegna, è irripetibile.
L’art. 2034 C.c. regola questi casi, prevedendo l’irripetibilità della prestazione, che è assicurata
quando viene spontaneamente adempiuta un’Obbligazione Naturale.
(!) Tutti questi atti solutori, che struttura hanno? Sacco ne propone due:
 Struttura Consensualistica → “Al fine di liberarmi, dispongo che questo bene diventi tuo”;
 Struttura Esecutiva → L'atto consiste in una mera consegna, trattandosi di beni mobili.
Sacco rifiuta la struttura consensualistica: l'atto solutorio, che “estingue” il precedente rapporto (il
quale, in realtà, già non esiste più, perché ad es. è prescritto; oppure non è mai giuridicamente sorto,
in quanto la disposizione che lo prevedeva era nulla, o derivava da obblighi morali), non comporta
il trasferimento di qualcosa per effetto del solo consenso manifestato.
In tutti i casi visti sopra, infatti, manca un obbligo di pagare (cioè una “causa solvendi”
oggettiva), e tuttavia la consegna trasferisce la proprietà di cose mobili.

CONSEGNA e CONTRATTI REALI


Una serie di contratti si perfezionano solo con la dazione della cosa: tra questi, si sogliono
menzionare il Mutuo, il Comodato, il Deposito, il Pegno, la Donazione Manuale ed il Riporto,
cui si aggiungono talora il Sequestro Convenzionale ed il Contratto Estimatorio.

Innanzitutto emerge il fatto che alcuni di questi contratti non possono produrre alcun effetto
senza la consegna: ad es., il Deposito non può sorgere senza consegna; il Pegno, invece, sì, poiché
sorge l'obbligazione alla consegna (effetto obbligatorio).

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Restando però solo sul tema della “Realità in senso stretto”, come nel caso del deposito, Sacco si
chiede come sia possibile che, dopo l'introduzione del Principio Consensualistico, permangano nel
nostro ordinamento dei Contratti Reali.

Infatti, dire che il mutuo, il deposito, ecc... sono accordi leciti, e poi aggiungere che tali accordi non
producono effetto se non interviene una consegna, equivale a negare che a questi accordi leciti sia
applicabile la regola pacta sunt servanda.
Si nega cioè che le parti, grazie alla loro autonomia contrattuale (art. 1322 C.c.) possano
concludere tali contratti per effetto del solo consenso.
Del resto, la realità di tali contratti emerge dalla stessa lettera degli articoli del Codice Civile che li
prevedono, oltre che dai Lavori Preparatori al Codice stesso.

(!) Sacco rileva quindi che, ai tempi in cui si diffondeva la regola dell'autonomia contrattuale, i
principali contratti reali quali il Deposito, il Mutuo ed il Comodato, erano tutti quanti gratuiti, e
quindi privi di una Causa Oggettiva.

I loro corrispondenti contratti consensuali non erano adatti a produrre effetti.

 Quanto si è detto è ancora evidente per il Comodato, ancora oggi gratuito;


 Quanto al Deposito, se fosse oneroso, si considera come “Custodia”;
 Circa il Mutuo, a causa del fenomeno delle usure si è sempre cercato di mantenerlo come
gratuito, ma oggi tale impostazione è superata, e vi sono un mutuo gratuito (art. 1813 C.c.)
ed uno oneroso (art. 1822 C.c.).

♦ Deposito (come “Custodia) e Mutuo onerosi si possono concludere per effetto del semplice
consenso, e vanno quindi stralciati dall'indagine.

♦ Invece, Deposito, Mutuo e Comodato gratuiti, dice Sacco, difettano della Causa e, quindi non
producono effetto giuridico se c'è soltanto il consenso: su questo sfondo, quindi, la Consegna
compensa la deficienza causale dell'accordo di volontà delle parti.

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CAP. II - GLI EFFETTI REALI E L'ATTO DI ESECUZIONE


IL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO: DOGMA o SEMPLICE TENDENZA?
Secondo la “Regola Consensualistica”, poiché ogni individuo è sovrano nella sfera delle
attribuzioni giuridiche che gli competono, la sua volontà dev’essere decisiva nel disporre dei
diritti soggettivi che gli appartengono: perciò, la volontà degli individui interessati dev’essere
sufficiente non solo per far nascere obbligazioni, ma anche per determinare vicende di
rapporti giuridici assoluti.
Questa impostazione si differenzia, però, tanto dal Diritto Romano e Comune, quanto dalla
Tradizione Germanista, secondo cui, per trasferire la proprietà ed altri diritti reali, occorreva porre
in essere un atto di trasferimento (“Modus Adquirendi”) distinto dal semplice Consenso derivante
dal Contratto (“Titulus Adquirendi”)
Il nostro art. 1376 C.c. si rifà al principio consensualistico: Nei contratti che hanno per oggetto il
trasferimento della proprietà di una cosa determinata, ovvero la costituzione ed il trasferimento di
un diritto reale o di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto
del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Ma, a ben vedere, emerge subito che il principio consensualistico:
 Non si applica a tutti i Diritti Assoluti;
 Non si applica a tutte le Cose;
 Non si applica a tutti gli Effetti del Trasferimento.

In certi casi, infatti, è richiesto comunque un atto esecutivo della convenzione.


La norma consensualistica (aggirabile solo tramite contratti preliminari) nacque dalla presunzione
che le parti concludessero tacitamente un costituto possessorio implicito; nacque cioè come regola
d’interpretazione della volontà delle parti.
CONSENSUALISMO e DIRITTI di GARANZIA
Si è detto che il principio consensualistico non si applica a tutti i Diritti Assoluti: ne sono esclusi
ad es. i Diritti Reali di Garanzia.
♦ Infatti, il Pegno delle Cose Mobili si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del
documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 C.c.): tale consegna non
può essere surrogata da una fattispecie consensuale (ad es., il costituto possessorio).
♦ Parimenti, l'Ipoteca sugli immobili non si costituisce validamente per via del solo consenso:
occorre che se ne dia adeguata pubblicità (impostazione “anticonsensualistica”).
Infatti, il contratto d'ipoteca costituisce solo valido titolo per l'iscrizione dell'ipoteca, ma il potere
di alienare, la garanzia stessa ed ogni altro effetto reale dipendono dalla pubblicità.
(!) Concludendo, i Diritti Reali di Garanzia non nascono dal solo consenso: occorre un atto di
esecuzione, costituito dalla consegna per il pegno e dalla pubblicità per l'ipoteca.
Fra questi due atti può ravvisarsi non già un parallelismo teleologico, quanto un parallelismo
funzionale, poiché valgono come modus per provocare gli effetti reali progettati nel titolo.
CONSENSUALISMO e CATEGORIE SPECIALI di BENI
Si è detto che il principio consensualistico non si applica a tutte le Cose.
Infatti, il R.D. 499/1928 dispone che, nelle zone rimaste sotto l'Impero Austro-Ungarico fino al
1919, la Proprietà od altro D. Reale su Beni Immobili non si acquista, né si modifica o si
estingue per atti tra vivi, se non con l'iscrizione dell'atto nel Libro Fondiario.
Nel resto d'Italia, altrimenti, anche per gli Immobili ed i beni Mobili Registrati (compresi Navi ed
Aeromobili) vale la regola consensualistica.
I registri hanno così soltanto una funzione pubblicitaria, oltre a quella di dirimere conflitti fra più
acquirenti, secondo una graduatoria di priorità.

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► Trasferimento dei Titoli di Credito → Una rilevanza degli atti di esecuzione si riscontra invece
in materia di trasferimento dei titoli di credito: infatti, prima e dopo il 1933, è stata largamente
sostenuta la necessità della Consegna (integrata, se del caso, dalla girata o dall’annotazione sui
registri dell’emittente) per il trasferimento della proprietà dei titoli.
Il Codice del 1942 ha adottato soluzioni differenziate:
 Titoli al Portatore (art. 2003 C.c.) → Il trasferimento del titolo al portatore si opera con la
consegna del titolo: il possessore del titolo al portatore è legittimato all'esecuzione del
diritto in esso menzionato, in base alla presentazione del titolo;
 Titoli Nominativi (art. 2022 C.c.) → Il trasferimento del titolo nominativo si opera mediante
l'annotazione dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente.
Altre norme (artt. 2008, 2011 e 2015 C.c.) adottano invece un linguaggio più sfumato, ricollegando
al possesso fondato su continue girate la legittimazione all'esercizio del diritto, riconnettendo alla
girata il trasferimento dei “diritti inerenti al titolo” e menzionando comunque l'ipotesi d'un
trasferimento perfezionato “con un mezzo diverso dalla girata”.
→ A fronte di tale impostazione, la Dottrina è stata portata a ritenere che le Formalità e gli Atti
di Esecuzione (es. Consegna) siano necessari per trasferire la Legittimazione, ma non per
trasferire la titolarità del titolo; si è inoltre aggiunto che il Consenso produce Effetti Traslativi,
quanto meno rispetto ai titoli all'ordine.

CONSENSUALISMO e COMPONENTI del DIRITTO TRASFERITO


Si è detto che il principio consensualistico non si applica a tutti gli effetti del Trasferimento.
Il consenso trasferisce sì la proprietà, ma a volte non trasferisce tutto il diritto:
▪ Il consenso al trasferimento della Proprietà Mobiliare, quando si tratti di cosa individuata, è
sufficiente allo scopo, ma l’acquirente non è al riparo dagli effetti di una seconda alienazione
fatta a persona in buona fede, se non si premunisce del possesso mediante la consegna (art.
1155 C.c.);
▪ Un analogo rischio grava sull’acquirente della Proprietà Immobiliare, s’egli non si cautela
mediante la trascrizione del titolo (art. 2644 C.c.); inoltre, un regime parallelo è in vigore per i
beni mobili registrati.
La trascrizione è rilevante anche in sede di Espropriazione per Pubblica Utilità: la Proprietà
Catastale serve ad individuare l'intestatario catastale, cioè il soggetto cui viene notificato il
decreto di esproprio. Se non venisse trascritta la vendita, sarebbe sempre l'alienante a figurare
come intestatario catastale, anche se gli interpreti ritengono che l'espropriato vada identificato con
il proprietario civilistico.
▪ In tema di doppia promessa di “pati (es. Diritto Personale di Godimento)”, il Legislatore
stesso regola il conflitto tra più conduttori sulla base della priorità nell’acquisto della detenzione
(art. 1380 C.c.).

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SEZIONE X: IL CONTENUTO (L'AUTONOMIA) - R. Sacco -

CAP. I - L'AUTONOMIA CONTRATTUALE

AUTONOMIA, COSTITUZIONE, MERCATO


Il Giurista ha sempre desiderato che il contratto sia “giusto”.
Ai tempi delle Dottrine Liberiste, l'Autonomia Contrattuale era vista come l'unico elemento
capace di garantire le parti stesse sulla giustizia del contratto; tale ottimismo è stato poi contestato
dai fallimenti di mercato causati da pratiche monopolistiche od oligopolistiche, dai cartelli, dagli
abusi di posizioni dominanti, ecc...: è così venuta meno l'equazione “Autonomia = Giustizia”.
Si è reso perciò necessario l'intervento di Norme Eteronome per salvaguardare la giustizia del
contratto: in Italia, non esiste una norma che commini la Nullità al contratto ingiusto, ma scattano
solo i rimedi intitolati all'incapacità naturale, allo stato di pericolo e di bisogno.
Le parti, comunque, hanno bisogno di rapporti giuridicamente certi ed indiscutibili: non si vuole
perciò che qualcuno impugni il patto in nome d'una generica ingiustizia.
♦ Sacco rivolge perciò la sua attenzione al Diritto Costituzionale, ricercando la regola da applicare
all'autonomia: emergono innanzitutto l'art. 41 Cost., che garantisce libertà all'iniziativa economica
tutelando così l'autonomia privata; e gli artt. 42-43 Cost., che, invece, pongono limiti all'iniziativa
economica, per la salvaguardia di altri valori.
I valori protetti sono quindi: i Diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost.), specialmente sicurezza,
libertà e dignità umana; il pieno sviluppo della persona umana, rimuovendo gli ostacoli a tale
sviluppo (art. 3 Cost.); la Libertà d'iniziativa economica (art. 41 Cost.); l'appartenenza proprietaria,
la funzione sociale dei diritti, l'accessibilità a tutti della proprietà, il razionale sfruttamento del suolo
(art. 42 Cost.); la Solidarietà (art. 2 Cost.) e l'Equità dei Rapporti Sociali (art. 44 Cost.).
♦ Premesso questo, Sacco afferma che il contratto, se libero, tende a modellare gli scambi, quindi i
prezzi, quindi la produzione di beni e l'offerta di servizi secondo scale di Priorità Individuali.
Ciò, di norma, è un bene: ma non tutti gli interessi degli individui possono essere soddisfatti, come
ad es. l'acquisto di droga, armi, ecc... ; l'unica cosa che può perciò limitare tali interessi è una
Legge che trovi appoggio in Costituzione.
♦ Il Giurista, poiché deve elaborare lo strumento per l'interpretazione della Costituzione, deve
cercare e trovare la via che conduca alla “Socialità Contrattuale”.
Questa, nell'ambito moderno, è perseguita mediante tre diversi ed opposti strumenti:
▪ Mercato → E' un tipo di organizzazione economica basata sull'interazione fra domanda ed
offerta. Elemento qualificante è la Concorrenza: colui che produce a costi minori e, quindi, vende
il bene/servizio a prezzo minore, elimina dal mercato il concorrente meno capace;
▪ Programma → Può consistere o in un semplice piano di incentivi e disincentivi
economico/fiscali; oppure in una vera e propria pianificazione della produzione e del mercato
(come capitava nel modello Sovietico);
▪ Regolamentazione → Agisce sui prezzi, calmierandoli: viene così escluso dal mercato chi
produce ad un costo più alto del prezzo imposto; oppure si abbatte la domanda, qualora il prezzo
fissato sia più alto rispetto a quello richiesto dal mercato.
Si pensi ai monopoli fiscali di Stato, come il prezzo delle sigarette.

Fino al 1991, in Italia, questi tre strumenti hanno convissuto, anche per ragioni strettamente
politiche. Dopo il crollo del regime sovietico ed il fallimento dell'economia pianificata, ha avuto
un grande rilancio l'economia di mercato, restituendo il consenso intorno alla capacità ordinante
del mercato stesso, ed al valore sociale ed alla razionalità dei risultati che esso scatena.
In questa luce, diventa facile dare il giusto significato all'art. 41 Cost.: il mercato si regola da sé, ed
il regime di concorrenza è correlato al contenimento dei prezzi ed al miglioramento della qualità
dei prodotti (Sent. C. Cost. 223/1982).

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Quindi, tutte quelle norme ordinarie che fissano limiti alla libera iniziativa economica creando
monopoli, calmieri pubblici, ecc... sarebbero incostituzionali per violazione dell'art. 41 Cost..
La protezione di Valori Extra-economici (difesa sociale, salute, cultura, giustizia, ecc...) si può sì
tutelare con norme eteronome, ma si può tutelare più efficacemente se l'economia sia florida e
sana, e tale economia si ottiene mediante il Mercato.
Il mercato, assicurando un massimo di produzione, un massimo di accesso del contraente ai prodotti ed ai servizi, un
massimo di conformità del prodotto alle preferenze del contraente, appaga un massimo dei bisogni del soggetto. Esso è
al servizio del soggetto consumatore, sì che la contrapposizione fra mercato e protezione del consumatore è
improponibile.
Sul mercato, infatti, gli individui scambiano beni e servizi, che passano da chi li valuta di meno a chi li valuta di più, e
ciò, secondo quanto rilevato dall'Analisi Economica del Diritto, crea ricchezza (scambi cooperativi).
Chiaramente, non basta la conformità al mercato per assicurare che il tale contratto non produca
una Esternalità Negativa.
Il Diritto dei Contratti deve quindi prevedere delle regole imperative per evitare che si verifichino
Fallimenti del Mercato, ossia situazioni fattuali che impediscono al mercato di produrre
spontaneamente il risultato efficiente.
Il Legislatore ordinario deve quindi fare il possibile per garantire al singolo un accesso alla
contrattazione liberato dalla Disinformazione (asimmetrie informative), dal Monopolio altrui, da
Difetti della Razionalità Individuale (causati da sorpresa, irriflessione – es. vendita da porta a
porta).
In tal senso si sono mossi il Legislatore Europeo e quello Italiano, prevedendo apposite norme:
normativa antitrust, Codice del Consumo, disciplina dei vizi del consenso, della rescissione, ecc... .
♦ Sacco, infine, distingue fra:
 Contratto immediatamente satisfattorio → Il contratto serve qui per acquistare un bene
destinato al diretto soddisfacimento di un bisogno umano: ogni limite alla libertà
dell'acquirente diventa allora un limite al libero svolgimento della personalità , garantito
invece dall'art. 2 Cost.;
 Contratto Economico → E' quello concluso da un operatore professionale od occasionale, e
merita protezione per la funzione sociale che svolge, massimizzando la produzione di
ricchezza complessiva nella società.

OGGETTO e CONTENUTO del CONTRATTO


La Dottrina di un tempo riteneva il Contratto come “Fonte di Obbligazioni (cfr. art. 1173 C.c.)”:
in tale prospettiva, i requisiti di possibilità, liceità, determinatezza/determinabilità dell'Oggetto
del Contratto richiesti dall'art. 1346 C.c. erano riferiti all'Obbligazione od alla Prestazione.
Quando il sistema fu adattato alla nuova concezione del Contratto, visto non più solo come fonte di
obbligazioni, ma anche come modo di Estinzione delle Obbligazioni e mezzo di Trasferimento
della Proprietà, la concezione vista sopra è entrata in crisi.
I singoli autori presero ad utilizzare la parola “Oggetto” nei vari significati possibili:
▪ Oggetto come “Cosa” o come “Rapporto” → Questa tesi non è stata abbandonata, ed ha
portato a nuovi sviluppi. Si è infatti affermato che il diritto regola le “cose”, i “beni”, in quanto
atti a soddisfare interessi umani: quindi, il vero oggetto del negozio sarebbe l'“Interesse” o
l'“Utilità” o le “Relazioni” che cadono sotto il volere delle parti.
▪ Oggetto come “Prestazione” → Anche questa concezione (che è quella tradizionale) si è
evoluta, allargandosi fino a ricomprendere anche l'estinzione dell'obbligazione ed il
trasferimento di proprietà: per cui, per oggetto del contratto deve intendersi ciò che le parti
hanno voluto, ossia il “Regolamento Contrattuale”.

Questa definizione dell'accordo come “oggetto che le parti hanno dichiarato di volere” viene così
a confondersi con l'idea di “Contenuto”, e tale sovrapposizione terminologica pare accettata anche
dal Legislatore.

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Infatti, l’art. 1322 comma 1 C.c. si riferisce all’oggetto della determinazione delle parti
chiamandolo “contenuto”; l'art. 1376 C.c. si riferisce alla vicenda cui è finalizzato il contratto
chiamandola “oggetto”; negli artt. 1346 e ss. C.c. si parla di “oggetto” e “prestazione (intesa più
come vicenda alla cui produzione è rivolto il contratto, che non il comportamento dedotto
nell’obbligazione)” come sinonimi.
(!) Così, la vicenda predisposta dalle parti sarà illecita o impossibile quando lo è la prestazione
dedotta nell’obbligazione che le parti volevano costituire; analogamente, la vicenda sarà
indeterminata se non verrà individuata la cosa di cui si voleva trasferire la proprietà.
CONTENUTO dell'ACCORDO ed EFFETTO del CONTRATTO
La tendenziale simmetria fra il Regolamento adottato dalle parti e gli Effetti del contratto può far
domandare se sia utile mantenere in piedi le due nozioni di contenuto ed effetto.
Esempio → Data una compravendita, la nascita dell’obbligo di pagare il prezzo ed il trasferimento della proprietà
possono presentarsi, indifferentemente, come contenuto o come effetto del negozio.
Ci sono almeno due argomentazioni a favore della necessità di tener distinti i due concetti:
▪ Argomentazione Logica → Il Contenuto dell'accordo attiene al mondo del fatto: cioè,
esisterebbe anche se l'ordinamento non riconoscesse quell'accordo (es. contratto illecito);
viceversa, gli Effetti costituirebbero una realtà giuridica.
▪ Argomentazione correlata al Diritto Positivo → L'Effetto del contratto può divergere, in
modo più o meno ampio, da ciò che, sul piano del fatto, corrisponde all'Accordo delle parti.
Tale divergenza può esser dovuta: a regole legali di interpretazione, di integrazione del contratto
(equità, usi), presunzioni legali, qualificazioni, sostituzione automatica di clausole, ecc... .
(!) Quindi, appiattire l’Effetto del Contratto, per farlo coincidere con il Contenuto intrinseco
dell’accordo, sarebbe dunque impossibile; reciprocamente, sarebbe mistificatorio fingere che il
contenuto si allarghi fino a comprendere tutti gli effetti dell’accordo stesso.
Però, proprio dalla contrapposizione fra contenuto ed effetto, emerge che se da un lato l'idea di
“Effetto” è chiara e distinta, dall'altro lato l'idea di “Contenuto” è plurivoca e relativa.
Infatti, per “contenuto dell'accordo” si possono intendere varie figure:
▪ Contenuto come “Testo Contrattuale”, se il contratto è reso per segni grafici;
▪ Contenuto come “Regola desunta dalla Dichiarazione mediante un'Interpretazione
Pregiuridica”, diversa da quella condotta secondo le regole legali.
Qui, il termine “contenuto” si riferisce ad un elemento empirico, privo di rilevanza giuridica;
▪ Contenuto come “Qualsiasi Regola desunta dalla Dichiarazione” nel momento in cui si
procede all'Elaborazione dei Risultati del Negozio. Quindi, il contenuto sarà, man mano:
 La regola ottenuta applicando solo le regole d'interpretazione legali;
 Quindi, la regola ottenuta applicando le regole d'interpretazione legali, più le
presunzioni;
 Infine, potrà essere la regola ottenuta applicando le regole d'interpretazione legali, più
le presunzioni e, in aggiunta, le norme dispositive, le regole di equità e le clausole
cogenti ex art. 1339 C.c..
▪ Contenuto come “Effetto del Negozio in quanto imputato alle Parti”: in quest'ultimo
senso, può cioè anche intendersi il contenuto come “effetto”, anche se si è visto che le due cose
sono ben distinte.

GLI STRUMENTI del CONTROLLO LEGALE sull'AUTONOMIA


La teoria del contratto sta in piedi grazie alla simmetria che di regola esiste fra il Voluto e l'Effetto
del negozio: la libertà di scegliere il contenuto del contratto, nonché la libertà di contrarre, sono due
elementi costitutivi dell'Autonomia Contrattuale.
Quest'ultima può esser menomata in tre modi: con l'imposizione d'un Obbligo di Contrarre, col
Mancato Riconoscimento d'un Accordo, con un'Asimmetria fra il voluto e gli effetti.

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CAP. II - CONTENUTO E ARTICOLO 1321


LA COSTITUZIONE, MODIFICA, ESTINZIONE del RAPPORTO
Il contratto serve per costituire, regolare od estinguere un rapporto. Che s'intende per “regolare”?
La “regolazione” serve a riconnettere, ad un certo evento futuro o passato, questa o quella
conseguenza giuridica, o ad escluderne certe altre.
I privati possono cioè regolare l'effetto delle fattispecie legali, ricorrendo al gioco delle condizioni:
ad es., si dispone di quella o quell'altra eccezione; si promette di non esercitare l'azione; si rinuncia
ad un privilegio; ecc... .
Quindi, le parti hanno autonomia, possono costituire, regolare od estinguere Rapporti Giuridici.
Cos'è un rapporto giuridico? Ogni dottrinario ha una propria definizione, ma nessuno fino ad ora
l'ha elaborata ricollegandosi all'art. 1321 C.c..
Infine, se da un lato è vero che il contratto può creare rapporti, dall'altro non può creare Soggetti:
il contratto di società comporterà la nascita di un nuovo soggetto solo se saranno operanti le
clausole che regolano i corrispondenti doveri e poteri dei soci.

IL CARATTERE GIURIDICO del RAPPORTO (l'INTENTO EMPIRICO, i RAPPORTI di


CORTESIA, il PATTO d'ONORE, il “PATRONAGE”)
Il Diritto si interessa degli accordi tra soggetti in quanto essi incidono su rapporti “Giuridici”.
In che misura un accordo od una promessa, volti a regolare un rapporto sociale, creano altresì
un vincolo giuridico? I dubbi possono nascere:
A ▪ In quanto le parti mirino ad un risultato di fatto, economico, pratico, ma individuato in
termini non giuridici;
B ▪ In quanto, formulato un proposito, sia dubbia l'assunzione d'un impegno conforme;
C ▪ In quanto, assunto un impegno, non risulti voluto un impegno giuridico coercibile.
► Nel primo caso (A), il rapporto è giuridicamente vincolante: occorre quindi che le parti
regolino la prestazione, od il potere di godere sulla cosa.
Se le parti però regolassero il rapporto, ma escludessero di applicare lo strumento giuridico
corrispondente (ad es., fanno una compravendita, ma escludono di applicare le relative norme), il
negozio sarebbe nullo per perplessità del suo contenuto.
► Il problema riguarda i cosiddetti “Contratti di Cortesia - casi (B) e (C) -”: l'esperienza
quotidiana mette ogni individuo a contatto con accordi (es. l’invito a pranzo) di cui istintivamente
sente che non generano azione, né per l’adempimento in forma specifica, né per il risarcimento dei
danni (almeno nei limiti dell’interesse positivo).
Teoria e diritto applicato confermano l’inidoneità degli stessi a generare il vincolo, dal momento
che le parti qui non contraggono, perché non vogliono che gli effetti dell’accordo si producano
su un piano giuridico: pertanto, l’obbligazione non nasce, perché chi invita a pranzo non vuole che
da essa nasca l’obbligazione giuridica di dare.
Ma non è detto che l'affidamento nasca sempre dalla previsione che un dato effetto si ponga su
un piano giuridico, e non è detto che la Legge disconosca senz'altro questo affidamento riposto
sulla mera attendibilità di fatto della promessa.
Con una generalizzazione lecita a razionale, si potrà rilevare che il campo della cortesia invade
l’area delle Promesse Gratuite Disinteressate: queste non vincolano all’adempimento se non
sono formalizzate o se non sono seguite dalla dazione della cosa (nei contratti reali).
In conclusione, si può affermare che la figura della “Cortesia” sia utilizzata per negare efficacia
non già a quegli accordi in cui difetti la volontà di obbligarsi, ma a quegli accordi in cui difetta
una Causa od una Forma Idonea.
Il vincolo va cioè escluso quando pare assurdo che lo Stipulante voglia acquistare un vero diritto,
o quando è chiaro (espressamente tramite clausola, o implicitamente) che il Promittente non voglia
impegnarsi.

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Infatti, alcune promesse, anche se appoggiate sui normali requisiti di validità, mancano di effetto
giuridico per il solo motivo che il promittente o lo stipulante hanno escluso tale effetto (anche
magari tramite apposita clausola).
In tal caso, una Responsabilità del Promittente può nascere da due sole circostanze, ovvero
dall’aver adempiuto male, in modo dannoso; o dall’aver inadempiuto quando la controparte non
ha più il modo di procacciarsi “aliunde” la prestazione.

Il problema dell'intento di vincolarsi emerge in maniera rilevante nel Diritto degli Affari: la
pratica, infatti, ha ad es. bisogno di scambi d'idee progettuali non vincolanti, di intermediazioni e
presentazioni che non siano fideiussioni, ecc... . Sacco affronta alcuni casi:
♦ Patto d'Onore (“Gentlemen's Agreement”) → E' un accordo informale tra due parti, che può
essere scritto o orale: la sua caratteristica essenziale è che si basa, per la sua realizzazione,
sull'onore e sul rispetto della parola data, e non può essere difeso giudizialmente, a differenza di
un contratto. Di solito viene stipulato in alternativa ad un contratto vincolante che, se stipulato,
secondo le parti non riceverebbe una tutela da parte della Legge.
Come si trattano questi patti?
▪ I Promittenti devono essere lasciati liberi di assumere impegni o meno, di parametrare i
loro impegni alle Leggi ed agli Organi Giudiziari dello Stato;
▪ Il pretesto della non-giuridicità di tali patti non può mai legittimare il promittente che operi
slealmente a danno della controparte: in tali casi, si ha Responsabilità Aquiliana.
♦ Lettera di “Patronage” → E' considerata una sottospecie di patto d'onore, e consiste in una
dichiarazione scritta con cui un soggetto (patronnant), con lo scopo di indurre una Banca a far
credito ad un altro soggetto (patrocinato), dichiara di avere una certa influenza sul patrocinato, e
di esercitarla in modo da prevenire questo o quell'evento capace di rendere più difficile
l'adempimento del debitore.
Di regola, il patrocinato è una società, ed il patronnant è il socio unico o il socio di controllo.

Tale lettera si distingue da:


 Un'Informazione Commerciale → Perché è rilasciata con l'intento di indurre il destinatario a
contrarre;
 Da una Fideiussione o dalla Promessa del Fatto Altrui → Perché non contiene la
dichiarazione di volersi impegnare.

Ma in caso d'Inadempimento del Patrocinato, può esservi Responsabilità del “Patronnant”?


Sebbene quest'ultimo non dichiari di assumersi impegni giuridici, nella prassi si tende a riconoscere
carattere vincolante a tale dichiarazione, ritenendo che le lettere correntemente in uso valgano
come impegni contrattuali, con però una causa di garanzia, una struttura ed un tipo completamente
diversi dalla fideiussione.
La Cassazione (1995, 2001) ha affermato che la Lettera in questione generi affidamento, nonché
Responsabilità Precontrattuale in capo al Patronnant; inoltre, se contiene impegni, questi sono
considerati come validi e cogenti ex art. 1333 C.c..

In conclusione del paragrafo, Sacco si occupa delle Situazioni di Fatto ed afferma che il Rapporto
Giuridico non include le situazioni di fatto, come il Possesso e la Detenzione.
Ciò non vuol dire che il possessore non possa impegnarsi a trasferire il possesso, ma vuol dire che,
per trasferirlo, non dovrà concludere un contratto, ma dovrà effettuare una consegna.

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LA PATRIMONIALITA' del RAPPORTO


Il contratto non incide se non su Rapporti Patrimoniali: esistono però anche accordi non
patrimoniali, come ad es. quelli in materia di famiglia, gli atti di disposizione del proprio corpo,
ecc...: tali accordi non sono nulli, semplicemente non sono contratti, anche se sono comunque
relativi all'Autonomia Privata.
Per sapere se un rapporto è patrimoniale o meno, si deve accertare se la Prestazione dell'Obbligato
sia suscettibile di una Valutazione Economica, mentre la situazione del soggetto attivo può
corrispondere anche ad un semplice vantaggio morale (cfr. art. 1174 C.c.).
Sono Extrapatrimoniali (v. pag. 384-385 Manuale):
 I Diritti derivanti da coniugio, filiazione, adozione, affiliazione, tutela, affidamento personale
(rapporti di mantenimento e alimentari), i rapporti nascenti da convivenza e da comunione
di vita con contenuto simile alla relazione coniugale;
 I Diritti e Poteri derivanti dalla vita associativa, organizzata senza scopo di lucro;
 I Diritti della Personalità sono tradizionalmente considerati extrapatrimoniali, ma Sacco si
chiede se non sia giunto il momento di accertare anche una componente patrimoniale;
Sono Patrimoniali:
 I Diritti Reali tradizionali, aventi ad oggetto una cosa materiale;
 I Crediti;
 Le invenzioni Industriali, i Segni Distintivi, i Diritti d'Autore (che hanno però anche una
componente non patrimoniale);
 I Diritti e Poteri derivanti dalla vita delle società.

Infine, Poteri, Diritti Potestativi, Situazioni Strumentali si considereranno patrimoniali o meno a


seconda che incidano su situazioni patrimoniali (si confronti, ad es., il potere di chiedere
l'annullamento di un matrimonio, e di un testamento).

L'INCIDENZA del CONTRATTO “FRA le PARTI”


Ex art. 1321 C.c., il contratto incide su un rapporto fra le parti: questo significa solo che il
Contratto non mira a creare Rapporti Giuridici a carico dei Terzi, ma non significa che non
possa recare danni economici o vantaggi ai Terzi (cfr. Contratto a Favore del Terzo, art. 1411 e
ss. C.c.; v. infra).
I Terzi, inoltre, possono intervenire nella vicenda in vari modi, ad es. quando agiscono come
procuratori, mandatari, non domini, ecc... .

► Promessa del Fatto del Terzo (art. 1381 C.c.) → La promessa del fatto del terzo non mira a
produrre, né produce, effetti giuridici nella sfera del terzo, ma, invece, produce effetti unicamente
nella sfera del promittente e dello stipulante.
Qual è la correlazione fra l'obbligo del promittente ed il fatto del terzo?
(!) Sacco ritiene che, più che la promessa di un certo risultato, la promessa del fatto di un terzo sia
più una Promessa di tenere una certa Condotta, cioè genera l'obbligazione di procurare il fatto
del terzo.
Se la prestazione divenisse impossibile, ad es. per rifiuto del terzo, secondo Sacco il promittente
sarebbe liberato solo quando l'impossibilità sia imprevista, imprevedibile ed oggettiva.
Il Rifiuto del Terzo non libera il Promittente: addirittura, secondo la Giurisprudenza, quest'ultimo
è comunque responsabile, nonostante la prova di aver fatto tutto il possibile per ottenere il risultato
voluto.
Addirittura alcuni hanno ritenuto che il promittente assumerebbe in via primaria l'obbligazione di pagare l'indennità
ove il Terzo non si obblighi o non faccia, cioè assumerebbe la sopportazione del rischio che il terzo non faccia,
prestando quindi una garanzia contro l'inadempimento.
L'art. 1381 C.c. parla di “Indennizzo”, vi è quindi una sanzione più lieve, che Sacco ravvisa nel
Valore della Prestazione promessa.

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CAP. III - I REQUISITI DEL CONTENUTO: LA POSSIBILITA'


LA POSSIBILITA'
La rubrica della Sezione del Codice Civile riferita all'Oggetto del Contratto (artt. 1346-1349 C.c.),
e così l’art. 1346 C.c. stesso, riferiscono i requisiti di possibilità, liceità, determinatezza all’oggetto
del contratto, ma gli articoli successivi assegnano questi requisiti alla “Prestazione”, da intendersi
come insieme delle vicende giuridiche contemplate dal contratto a carico d'una parte.
♦ Tipologie d'Impossibilità → Secondo l’insegnamento tradizionale, l’Impossibilità della
Prestazione potrebbe essere:
 Assoluta od “Oggettiva”;
 Relativa o “Soggettiva”;
 Temporale;
 Perpetua (non estingue l'obbligazione se, quando cessa la causa d'impossibilità, il
creditore abbia ancora interesse alla prestazione; in caso di Contratto di Durata, si ritiene
che il contratto non si prolunghi per un tempo corrispondente a quello in cui sia durata
l'impossibilità).
Solo l'Impossibilità Assoluta e Perpetua sarebbe incompatibile con la validità del contratto;
peraltro, l’Impossibilità Relativa sarebbe equiparata a quella Assoluta quando la prestazione sia
infungibile.
♦ Nullità e Garanzie → L’impossibilità dell'Oggetto è sanzionata con la Nullità del Contratto
(art. 1418 C.c.), che però si può evitare qualora il Promittente si accolli il rischio
dell’impossibilità stessa, garantendo allo stipulante tutto l’interesse positivo.
Sacco si domanda entro quali limiti il Promittente possa garantire la possibilità della prestazione,
e ne deduce che nulla impedisce che la Promessa del Risultato Impossibile generi gli effetti
propri d'una garanzia.
Una costante Giurisprudenza ritiene, infatti, che il promittente non possa invocare l'esonero da responsabilità per
impossibilità della prestazione, qualora versi in colpa per aver contratto l'obbligazione senza avere la consapevolezza
di poter adempiere, usando la normale diligenza.
Potrà esservi un esonero da responsabilità qualora il Giudice, in una prospettiva ex ante, possa
constatare che il promittente si trovasse nell'impossibilità di prevedere l'impossibilità di adempiere;
inoltre, l'impossibilità esonera il promittente se questi non poteva conoscerla, o se essa era
riconoscibile dal creditore.
Quindi, la Nullità trova poco spazio, e si avrà soprattutto in ipotesi-rifugio dove la giurisprudenza
fa influire figure non facilmente collocabili, come il contratto concluso con maghi che promettano
influenze astrali.
Bisogna poi considerare altre categorie d'Impossibilità:
▪ Impossibilità Giuridica → Dipenderà da una norma cogente, e l’interprete parlerà più
volentieri di “contrarietà a norma imperativa (ad es., Tizio aliena a Caio un bene demaniale)”.
Oppure, si pensi a Tizio che, per svolgere la prestazione, necessiti di un'Autorizzazione
Amministrativa e non la ottiene.
▪ Impossibilità del Creditore di ricevere la prestazione → Può esser dovuta a colpa del
creditore, ad una sua disorganizzazione, o ad un generico atto/fatto che operi nella sua sfera.
Gli interpreti divergono sulle conseguenze:
 Per qualcuno vi sarà applicazione dell’art. 1463 C.c. (Risoluzione per impossibilità
sopravvenuta), cumulata alla Responsabilità del Creditore nei limiti dell’Interesse
Positivo;
 Per altri sarà la Manutenzione del contratto sotto forma di una residua obbligazione di
Risarcimento dei Danni, salvo il gioco delle restituzioni e degli arricchimenti;
 Per altri, infine, si avrà la semplice Risoluzione del contratto per inadempimento del
creditore.

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L'ESISTENZA della COSA


Quando si dice che “il contratto è privo di oggetto”, si vuol dire che manca la cosa (materiale o
immateriale) o, più generalmente, l’entità (rapporto giuridico o persona) cui, secondo la volontà
delle parti, dovrebbe riferirsi la prestazione (impossibilità materiale).

♦ Oggetto Futuro (art. 1348 C.c.) → La mancanza dell’oggetto, nel senso ora chiarito, può aversi
anche quando le parti volevano un rapporto futuro: infatti, l’art. 1348 C.c. consente di dedurre tale
oggetto in contratto, salvi i particolari divieti di Legge.

La nostra Giurisprudenza dà un'interpretazione restrittiva dell'art. 1348 C.c., negando ad es. la


possibilità di rinunce a diritti futuri; inoltre, a differenza della Dottrina, essa esclude che la
compravendita di cosa futura abbia effetti reali: ci sarebbero solo effetti obbligatori.

A parte le interpretazioni restrittive ora citate, la categoria della “cosa futura” serve per dare sfogo
alle ipotesi in cui l’oggetto manchi, ma possa venire in essere in tempo utile, ovvero prima
dell’avveramento della condizione sospensiva o della scadenza del termine (art. 1347).
Chi promette la cosa futura come se fosse presente, o chi garantisce il risultato, sarà considerato
inadempiente se la cosa non verrà in essere.

♦ Contraddizioni della Promessa → Tizio promette a Caio di cedergli 1000 azioni Fiat conservate
in un certo dossier, e Caio le acquista; quindi si scopre che, in realtà, sono azioni Renault.
Qual è la sorte di tale contratto? Il caso potrà risolversi in vari modi:
 Si può comunque considerare valida la promessa, immaginandola rafforzata dalla garanzia
che quelle azioni fossero proprio “Fiat”: in tal caso, ci sarà stata violazione del contratto,
nella forma dell'inadempimento o della dazione di aliud pro alio;
 Oppure, poiché le 1000 azioni Fiat non esistono, si può parlare di Nullità del contratto per
impossibilità dell'oggetto;
 Altrimenti, si può considerare la species delle azioni (Fiat, Renault, ecc...) come una mera
qualità della cosa, facendo scattare le norme sulla Responsabilità per Vizi della cosa.
Questi problemi sorgono spesso in tema di negoziazioni su animali ammalati o generi alimentari
non conformi alle prescrizioni sanitarie; e sono strettamente intrecciati coi problemi in tema di
errore, garanzia di qualità e difformità tra cosa promessa e cosa fornita.

♦ Inesistenza del Rapporto → Tizio promette a Caio del denaro per acquistare un immobile, e gli
dà un assegno tratto su un conto corrente estinto. L'assegno è un titolo di credito: ma, non essendoci
denaro sul conto, dare un assegno scoperto equivale a cedere un credito inesistente.
Tanto basterebbe per far dichiarare Nullo il contratto per inesistenza dell'oggetto (promessa di
denaro inesistente).
In un caso concreto equivalente, però, il Giudice ha ravvisato più che altro una mancanza di Causa,
più che una mancanza d'oggetto: ciò, in quanto vi sarebbe stata una preordinata volontà di non
pagare il corrispettivo (Cassazione 5917/1999).

(!) Sacco ritiene che l’inesistenza della cosa renda sì nullo il Contratto, ma crede anche che la
garanzia prestata in ordine all’esistenza possa salvare la validità della promessa.
Non è quindi detto che il promittente di cosa inesistente, se in mala fede, possa invocare egli stesso
l'inesistenza e la nullità del contratto.

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CAP. IV - I REQUISITI DEL CONTENUTO: LA LICEITA'


LA LICEITA' del CONTENUTO del CONTRATTO nel SISTEMA
Ex art. 1346 C.c., il contratto, a pena di nullità, dev'essere Lecito: all'art. 1343 C.c., dettato in tema
di causa, si chiarisce che è illecito ciò che è contrario a Norme Imperative, all’Ordine Pubblico
od al Buon Costume.
L'Illiceità può aversi in relazione:
 Ai Soggetti → Ad es. è illecito il contratto professionale concluso da chi non sia iscritto
all'albo;
 Allo Scopo → Ad es., compravendita di animali ammalati conclusa per destinare gli animali
alla macellazione;
 All'Abuso od allo Sfruttamento → Ad es., patto commissorio, cessione globale dei diritti
d'autore, patto di quota lite avvocato/cliente, patto leonino, usura, ecc... .

♦ La Nullità → L'illiceità è punita con la Nullità, che opera “ipso iure”, cioè anche se una o tutte le
parti ignoravano la causa della nullità medesima. E' una sanzione appropriata? Ci sono casi
problematici, fra i quali il seguente.
 Può il promittente invocare la nullità per illiceità dell'oggetto dipendente da una sua qualità
soggettiva, a danno della controparte ignara? Sacco dice di no.

♦ Distinzione Impossibilità – Illiceità → E' una distinzione rilevante:


 In primis, la nullità dovuta ad impossibilità e quella dovuta ad illiceità sono trattate in
modo diverso in materia di Transazione (art. 1972 C.c.);
 Quindi, sarebbe nulla la clausola che garantisca la liceità della prestazione; mentre sarebbe
invece valida quella che garantisca la possibilità della prestazione.
(!) Anche la distinzione fra contrarietà a Norme Imperative - Buon Costume - Ordine Pubblico è
rilevante: solo la contrarietà al Buon Costume dà luogo all'irripetibilità del pagato (cfr. art.
2035 C.c.).
Può tuttavia capitare che le tre circostanze si cumulino, come nel caso di Tizia che si asserva a
Caio per farsi sfruttare tramite prostituzione (l'asservimento è contrario all'ordine pubblico; il
meretricio è immorale; lo sfruttamento della prostituzione è vietato).

♦ Perché la Nullità? → Se il contratto è stipulato fra soggetti razionali che mirano a tutelare i
propri interessi e se produce scambi vantaggiosi (e, quindi, ricchezza), allora perché il contratto
illecito è nullo? Ci sono almeno due possibili risposte:
 Può esservi il rischio o la certezza che il contratto illecito leda l’interesse di una delle parti
non abbastanza provveduta per autodifendersi (es. divieto di patto commissorio);
 Il contratto è disapprovato perché crea Esternalità Negative sotto forma di pericoli per
l’incolumità delle persone estranee, dei beni patrimoniali altrui o per la comunità in genere.

♦ Effetti della Nullità → La comminatoria della nullità può significare che l'Atto Irregolare:
 Non produce effetto;
 Produce un effetto diverso da quello previsto dalle Parti → Ad es., il principio per cui la
regola legale si sostituisce di diritto a quella convenzionale vietata è sancito espressamente
dall'art. 1339 C.c., in tema di prezzi imposti.

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I BUONI COSTUMI
Il “Buon Costume” rappresenta il complesso dei princìpi etico-morali, tarati sul sentire dell’uomo
medio, che riassume i canoni fondamentali di pudore e decenza espressi dalla società in una dato
momento storico, e la cui violazione è ritenuta immorale e scandalosa dalla generalità dei
consociati.
In particolare, dice Sacco, i buoni costumi costituiscono un corpo di regole deontologiche,
pregiuridiche e non formalizzate.
In quanto tali, sono regole che si creano spontaneamente: alcuni, di fronte a ciò, hanno temuto per
la Sicurezza del Traffico Giuridico, proponendo di di ricalcare i buoni costumi sulla scala dei
valori cristallizzati dalla Legge.
(!) Sacco rifiuta quest'impostazione con forza: i buoni costumi non costituiscono una proiezione
dell'ordinamento giuridico: infatti, il Giudice, per decidere se un contratto sia immorale, deve
domandarsi se lo considererebbe tale anche in assenza della norma violata.
Il rischio dell'insicurezza del traffico giuridico è stato efficacemente contrastato ricorrendo alla
Vischiosità dell'Esempio di Scuola ed al Precedente Giurisprudenziale.
Il sempre maggiore Pluralismo Ideologico ed Etico ha avuto ed ha forti influenze sul concetto di
“buon costume”, cosa che ha condotto, sul piano sanzionatorio, ad una sempre maggiore impunità.
Là dove la sanzione abbandona il campo, si estende l’area di ciò che è giuridicamente indifferente.

♦ Casi → Le aree entro cui opera la nullità per contrarietà al buon costume sono:
(A) Commercio delle Prestazioni Sessuali → Ad es., contratto di meretricio; società avente ad
oggetto l'esercizio d'una casa di tolleranza; corresponsione di un assegno mensile alla
controparte allo scopo di continuare una relazione illegittima, ecc... ;

(B) Mediazione di Atti dovuti “Iure Publico”; Favori Pubblici; ecc... → Nonostante sul punto
la Giurisprudenza sia un po' dormiente, la casistica ricomprende ad es. l’intervento di un privato
presso la P.A. per favorire la richiesta di una ditta; la Corruzione di un pubblico funzionario; la
promessa del fatto della P.A..
Analogamente, sono nulle le negoziazioni di Mandati, Cariche Sociali, Candidature Politiche;
(C) Comportamenti Ingannevoli e Menzogneri → Ad es., contratto concluso dal giornalista
per sostenere una data tesi, o concluso dal critico per elogiare un dato artista; il contratto di
Prossenetico matrimoniale qualora il il prossenete (cioè colui che combina il matrimonio),
stimolato dalla prospettiva del compenso, interferisca nella decisione degli sposi con menzogne,
inganni, amplificazioni; talvolta è stato ritenuto immorale il contratto concluso alla borsa nera.

♦ Nuove Prospettive → Il progresso, le mutazioni sociali, ecc... pongono il diritto di fronte a nuove
domande: ad es., che dire delle nuove tecniche di procreazione, di maternità surrogata, ecc...?
Sacco ipotizza che, in tali casi, il Buon Costume potrà scindersi in un “Buon Costume percepito
dalla Società” ed in un “Buon Costume Positivizzato” per l'autorevolezza delle proclamazioni
provenienti da comitati ufficiali (ad es., di bioetica).
In realtà, potrebbe anche capitare che la rilevanza del buon costume possa azzerarsi.
Anche il diffondersi di nuovi culti e credenze, chiromanzia e cartomanzia, pongono il giudice
davanti al problema della possibilità della prestazione e quello della liceità, visto che, comunque,
queste pratiche possono nascondere truffe beffarde.

♦ Consigli per l'Interprete → Sacco ritiene che, in caso di buon costume, l'interprete debba:
 Evitare di cercare gli indici nel diritto positivo;
 Saper distinguere i requisiti che occorrono per concedere l'Azione di Adempimento, quelli
per l'Azione di Ripetizione e quelli per il Risarcimento dei Danni da Esecuzione.

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LE NORME IMPERATIVE
La “Contrarietà a Norme Imperative” può dipendere da una:
 Regola giuridica che disapprova in modo immediato il contenuto del contratto → Ad es.,
gli artt. 1905-1908 C.c. fissano i limiti del risarcimento dovuto dall'assicuratore contro i
danni;
 Predisposizione di un apparato giuridico per reprimere la conclusione dell’accordo → Ad
es., sanzione penale, od amministrativa, fiscale, ecc... comminata a chi conclude un certo
contratto. Qui, l'illiceità è all'origine della nullità, ma non si confonde con essa.
Di fronte ad una qualsiasi norma, ci si può domandare se sia imperativa o dispositiva. Si trovano al
centro dei problemi ora accennati vari gruppi di norme:
(1) Costituzione → Alcuni articoli della Costituzione, un tempo considerati come programmatici e
rivolti al solo Legislatore, sono poi stati riletti in chiave precettiva, e rivolti ai Privati;
(2) Norme Primarie → Esistono sanzioni penali per chi viola calmieri, prezzi elaborati
dall’autorità, contingentamenti, ecc... ;
(3) Norme Amministrative → Esistono vincoli all’attività economica e professionale, cui i privati
devono conformarsi per regolare i propri interessi
♦ Effetto Invalidante della Sanzione Penale → Qual è l'effetto invalidante della comminatoria
della sanzione penale? Stando ad una sentenza della Corte d'Appello di Firenze (16/06/1950), ci
sono possibili soluzioni in giurisprudenza: talvolta si propende per la Nullità del contratto, talvolta
per la Validità, infine, alcuni ritengono si debba sempre valutare caso per caso.
♦ Illiceità Fiscale → Non pare incidere sugli effetti civili dell'atto.
♦ Illiceità del Patto che dispone l'incidenza della Sanzione fra le Parti → E' senz'altro nullo il
patto con cui si distribuisce il carico dell'eventuale sanzione pecuniaria Penale (la responsabilità
penale è personale); mentre è valido il patto relativo alla sanzione pecuniaria extrapenale.
♦ Licenze di Commercio e Concessioni Amministrative → Si ritiene che non ledano gli interessi
pubblici e, anzi, favoriscano la circolazione commerciale, le cessioni di Licenze di Commercio
(sono quindi ammesse); mentre invece sono nulli i patti che violano norme urbanistiche, come
l'alienazione di un edificio costruito senza concessione.
♦ Inderogabilità e Codice Civile → Ci sono vari casi in cui non è chiaro se le parti possano
derogare o meno ad una disposizione del Codice (ad es. in tema di clausole d'irresponsabilità e
rapporti di garanzia).
In altri casi, l'inderogabilità è condizionale: ad es., se Tizio accoglie come depositario sul proprio
prato la vettura di Caio, in caso di furto operato da terzi, non potrà derogare alla responsabilità che
la Legge prevede a carico del custode negligente: potrà derogare, invece, riqualificando il contratto,
da deposito a locazione. Infatti, il locatore, in un simile caso, non sarebbe responsabile.
L'ORDINE PUBBLICO
Bisogna innanzitutto operare una distinzione fra Ordine Pubblico (O.P.):
 “Internazionale” → E' l'insieme dei princìpi del nostro ordinamento che devono essere
applicati dagli organi italiani, nonostante qualsiasi contrasto con Norme Straniere e
qualsiasi conflitto con norme nello spazio;
 “Interno” → Può presentarsi o come un insieme di norme giuridiche legali inderogabili
(ma non si distinguerebbe così dalle norme imperative, se non forse per una maggior forza
cogente), oppure come insieme di norme extra-legali cui la legge fa rinvio; oppure, infine,
come un insieme di princìpi ricavabili per astrazione dalle Leggi scritte.
♦ Origini e Sviluppo → La menzione dell'O.P. penetra nel Diritto Civile con il Codice
Napoleonico, forse con lo scopo di prevenire il ripristino convenzionale dei diritti feudali, della
compravendita delle cariche, ecc... .

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In Italia, ci sono state varie interpretazioni dell'Ordine Pubblico:


▪ Come pura ripetizione del Diritto legale imperativo;
▪ Come istituto autonomo, arricchito da esempi sottratti alle aree dei contratti contrari alla Legge
od al buon costume (concezione di fine anni '30).
In quest'ottica, le varie concezioni dell'O.P. rinviavano all'interesse politico ed agli interessi
generali dello Stato e dell'Ordinamento giuridico;
▪ Come istituto atto alla protezione dei Diritti dell'Individuo in dimensione sociale, operata
mediante il divieto di ledere i valori fondamentali essenziali e caratterizzanti della data società.

Quali possono essere le esigenze preterlegali capaci di comprimere l'autonomia contrattuale dei
privati nel campo patrimoniale in nome dell'ordine pubblico?
Di regola, sarà l'Interprete a dover scovare tali esigenze, ma vi sono anche settori dell'O.P. dotati
di una certa stabilità, perché posti a presidio di obiettivi politici più collaudati:
▪ Intangibilità del rapporto di Fedeltà fra Stato e Cittadino → L'O.P. colpisce ad es. i contratti
conclusi in tempo di guerra destinati ad arrecare vantaggio al nemico od all'invasore; così come
reprime i patti tendenti a trasferire l'incidenza di pene pecuniarie.
▪ Ordine Pubblico e Diritto Civile → Qui l'O.P. permette di tutelare:
 Il Divieto di Servitù Personale, onde evitare promesse troppo vincolanti per la libertà del
promittente;
 Il Divieto di Cartelli, onde evitare le intese fra imprenditori e le situazioni di sfruttamento di
posizione dominante sul mercato, così come ogni altra distorsione della concorrenza;
 Il Divieto di impegnarsi a non concorrere ad un Pubblico Impiego, ad una Carica (elettiva
o meno), ad una data Promozione.
(!) Per Sacco, Ordine Pubblico e Buon Costume, se intesi correttamente, mirano a depurare i
meccanismi di produzione e distribuzione (ad es. il mercato, le attività amministrative, ecc...) dalle
possibili ragioni d'inquinamento (es. abusi, sopraffazioni, corruzione, ecc...).
Non avendo base legislativa, sono due princìpi capaci di “sfidare il tempo” e, così, si
contrappongono alla norma imperativa, che rappresenta il “capriccio momentaneo del Legislatore”.

LA PARITA' di TRATTAMENTO
La clausola di O.P. tende ad espandersi nell’area della “Parità di Trattamento” che, sulla scia di
stimoli solidaristici, ha assunto grande interesse in dottrina.
Questo principio può operare in modo multiplo: in particolare, prima della conclusione del
contratto, obbligando la parte a non rifiutare di contrarre senza adeguato motivo e, al momento
della conclusione, o dopo di essa, comminando la Nullità – o, più facilmente, la Rettifica – del
contratto che sia stato concluso con violazione della parità.
In realtà, non esiste una Norma Generale che preveda una “parità di trattamento” come requisito
del contratto: si può però considerare la L. 286/1998, che vieta a chi fornisca un bene/servizio ad
uno straniero di imporgli condizioni più svantaggiose a causa della sua condizione di straniero,
della sua razza, religione, ecc... .
In generale, si può ritenere che ogni condotta distorsiva della contrattazione dal fine che le è
naturale per scopi di sopraffazione, può esser ritenuta ingiusta e lesiva della parità di trattamento.
Infine, da qualche anno, tale principio sta penetrando nel Diritto del Lavoro e nel Diritto Bancario.

IL DIVIETO di ALIENARE
L’esercizio auto-distruttivo della libertà contrattuale potrà cozzare contro l’ordine pubblico in un
ordinamento ispirato al mercato: ad es., precludersi la possibilità di vendere un bene.
L'art. 1379 C.c. afferma che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti
e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un
apprezzabile interesse di una delle parti.

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Onde evitare un ostacolo alla concorrenza, la norma disciplina il Pactum de non alienando
rendendolo inopponibile ai Terzi, che acquisteranno validamente da una delle parti che violi detto
divieto, salva la responsabilità contrattuale di quest'ultima con la controparte.
Sempre a tutela dalla concorrenza, esulano dall'art. 1379 C.c. tutte le promesse fatte con lo scopo di
escludere o mitigare la concorrenza stessa: la norma, infatti, costituisce solo una regola sussidiaria
da applicare quando non entrino in gioco altre disposizioni (sicuramente più frequenti), come nel
caso di costituzione di un Diritto di Prelazione (costituisce divieto di alienare quello per cui Tizio
si impegna con Caio a non vendere a terzi, se non dopo avergli offerto il bene al medesimo prezzo).
Quando le parti concludono un divieto di alienazione esorbitante rispetto i limiti fissati dall’art.
1379 C.c., la sanzione sarà la Nullità del divieto o, se possibile, la riduzione nei limiti di tempo
voluti dalla Legge: la nullità della clausola potrà comportare le conseguenze riguardanti la Nullità
Parziale del contratto (ex art. 1419 C.c.).
LA FRODE alla LEGGE
Ex art. 1344 C.c., la Causa si reputa illecita quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa (solitamente un divieto: ad es., il lease back è utilizzato
per aggirare il divieto di patti commissori).
La Dottrina dovrebbe avere il compito di individuare i casi in cui si abbia elusione; dovrebbe cioè
individuare l’elemento specifico in presenza del quale la generica rassomiglianza fra due
risultati (o due procedimenti) acquisti il carattere della similarità elusiva e, pertanto, fraudolenta.
Ma, nota Sacco, la dottrina è finora arrivata solo a definizioni tautologiche, affermando ad es.
l'“equivalenza dei risultati del negozio fraudolento rispetto ai risultati interdetti”, o affermando che
la frode implichi una contrarietà alla norma derivante non già dal contenuto precettivo dell'atto,
quanto dall'assetto dato dalle parti ai propri interessi: ma, dice Sacco, quale sarà mai il sintomo
che l'assetto dato dalle parti ai propri interessi sia, nel singolo caso, contrario o conforme alla
norma?
Rifacendosi al pensiero di Morello, Sacco ipotizza che il risultato (od il procedimento) sia elusivo
del divieto quando manchi un legittimo interesse del soggetto a preferire il risultato adottato,
invece del risultato vietato.
In definitiva, il giudizio si sposterebbe sulla giustificabilità della fattispecie sostitutiva adottata, in
ragione degli effetti che essa produce.
Queste definizioni sono comunque “povere”, tant'è che molta dottrina è stata indotta a ridurre al
minimo l'autonomia della fraudolenza, facendone un caso di contrarietà al significato reale (e non
letterale) della Legge.
(!) Per Sacco, ricercare il contenuto del divieto legale non è sufficiente per chiarire i dubbi circa i
divieti di frode: bisognerà risalire alla “Ratio” della Norma, e la sua individuazione comporterà un
largo uso di strumenti congetturali.
Una volta individuata la ratio, si potrà considerare fraudolento, per analogia, il negozio che metta
in scacco la ragione di una norma data; naturalmente, l'individuazione della ragione della norma
può evolvere con l'evolvere dei tempi e, quindi, con la sensibilità dell'interprete.
Ad es., per un Giudice che apprezzi liberamente la realtà economica, la frode non potrà nemmeno profilarsi; se invece il Giudice sia
totalmente legato alle strutture giuridiche formali, la frode opera e non può essere repressa, in quanto la condotta sarà comunque
conforme alla Legge su un piano formale; se infine il Giudice sia sì legato alle strutture giuridiche formali, ma ha il potere di
superarle, allora potrà prendere iniziative di più o meno ampia portata per reprimere la frode.

L'EQUITA', la BUONA FEDE, la GIUSTIZIA


Parte della Dottrina ritiene che il Diritto dovrebbe risolvere i problemi causati dal contratto, visto
come strumento di egoismo, attraverso i parametri dell'Equità, della Buona Fede e della Giustizia.
In tali casi, il Giudice dovrebbe prender le mosse dalla regola sul Buon Costume: ma Sacco fa notare che tale parametro
è relativo ai caratteri intrinseci della prestazione contrattuale; mentre invece la Buona Fede e l'Equità servono a
garantire la giusta proporzione delle prestazioni.
La generica buona fede serve per interpretare il contratto e per illuminarne l'esecuzione, ma non
vale per togliere validità al testo del contratto ed alterarlo (v. pag. 415 Manuale).

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CAP. V - I REQUISITI DEL CONTRATTO: LA DETERMINATEZZA


LA DETERMINATEZZA e la DETERMINABILITA'
Ex art. 1346 C.c., l’oggetto del contratto dev’essere specificatamente determinato o determinabile.
Tale regola può indifferentemente riferire tanto al contenuto del contratto in sé, quanto all'oggetto
della prestazione dedotta nel rapporto.
Più difficoltà pone la “Determinabilità”, giacché la determinatezza è invece una qualità di fatto: il
contenuto è determinabile innanzitutto quando il contratto preveda un parametro adeguato capace
di individuare l’elemento rimasto in sospeso, oppure quando una clausola conferisca a taluno
(parte o terzo) il potere di procedere a tale individuazione (salvo diversa previsione di Legge).
Può anche darsi il caso di un contratto che sia di fatto indeterminato perché incompleto: la Legge
od il Giudice possono prevederne l’integrazione, dando luogo ad una Determinabilità “ex Lege”.
Ad es., è il caso, quest'ultimo, del contratto di lavoro subordinato (art. 2099 C.c.).
Con la “determinazione del contenuto del contratto” vengono talora confusi a torto i “procedimenti
logici” che rendono espresso un dato implicito del contratto (interpretazione del contratto): tale
confusione è ridimensionata dalla concezione secondo cui la determinazione (volontaria) avviene
con quei criteri che il contratto stesso e la pratica delle cose possono suggerire.
Il contratto con contenuto determinabile rientra fra i Negozi “per Relationem”: se il contratto è
formale, la determinazione non può avvenire con manifestazioni amorfe.

LA DETERMINAZIONE del CONTENUTO del CONTRATTO


La determinazione può essere il risultato di un Fatto Naturale, di un Fatto Umano (delle parti o di
terzi) o di una Dichiarazione (delle parti o di terzi).
I problemi sorgono in quest'ultima ipotesi, e possono essere di tre tipi:
 Quantità e limiti del potere di determinazione dell'oggetto operata dalla Parte o dal Terzo;
 Individuazione del Soggetto cui competa l'atto di determinazione;
 Regolamento dell'Atto Determinativo.

Il Legislatore si occupa solo dei primi due problemi all'art. 1349 C.c., limitatamente all'ipotesi in
cui la determinazione competa ad un Terzo “Arbitratore”.

Di regola (comma 1) l'arbitratore procede secondo il suo Equo Apprezzamento: se non lo fa, le parti
potranno rivolgersi al Giudice, anche in caso di apprezzamento manifestamente iniquo od erroneo,
(cioè, per Sacco, macroscopicamente e certamente iniquo od erroneo) per avere una corretta
determinazione.

Le parti, però, possono rimettersi anche al “Mero Arbitrio” del terzo (comma 2), lasciandogli carta
bianca ed impugnando la sua determinazione solo se hanno le prove della sua mala fede (che, per
Sacco, consisterà nella presenza di motivi illeciti: ad es., va dimostrato che il terzo si è fatto
corrompere da una delle parti).

Inoltre, qualora l'arbitratore non provveda alla determinazione o questa venga impugnata, le parti
non potranno domandare che alla determinazione provveda il Giudice: in questo caso, infatti, le
parti avevano riposto particolare fiducia nell'arbitratore e la sua figura non è surrogabile dal giudice.
Potranno soltanto accordarsi per sostituirlo con un'altra persona di pari fiducia: altrimenti, il
contratto è nullo.

Sebbene Sacco disapprovi, la Cassazione ritiene inoltre leciti i patti con cui le parti stabiliscono che
un elemento del contratto dovrà essere determinato di comune accordo in un momento successivo.

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LA DETERMINAZIONE ad OPERA della PARTE


Molto frequentemente la determinazione della prestazione è opera della parte, dove il debitore fissa
quando dovuto (es. il libero professionista si auto-liquida la parcella) o il creditore indica la qualità
della prestazione (es. il datore di lavoro indica ciò che il subordinato deve fare).
La diffidenza verso la determinazione ad opera della parte non è giustificata, dice Sacco, poiché ad
es. con un'Opzione un soggetto può assicurarsi il potere di concludere o meno un contratto; con
opportune precisazioni la parte potrà assicurarsi il potere di definire il contenuto del contratto, e via
dicendo.

♦ Determinazione Unilaterale del Contratto → La Dottrina italiana conosce inoltre la figura della
Determinazione Unilaterale del Contratto.
La Direttiva Europea 93/13 sulle Clausole Vessatorie considera abusiva la clausola che concede al
contraente professionista di poter modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto
senza adatto motivo.
Tuttavia, in tema di contratto plurilaterale è stata riconosciuta valida la clausola con cui una parte
prestava Adesione Preventiva alle Modifiche che altre parti intendessero introdurre nel contratto.

La Dottrina riconosce alla determinazione unilaterale del contratto il merito di consentire al


contratto flessibilità e, quindi, una più facile conservazione; inoltre, si sostiene che la
determinazione unilaterale non sia motivo di litigiosità.

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SEZIONE XI: CONTENUTI SPECIALI - R. Sacco e G. De Nova -


CAP. I - LA CONDIZIONE
LA CONDIZIONE, STRUMENTO dell'AUTONOMIA PRIVATA
“Condizione” può significare anzitutto tre cose:
 Clausola (ex art. 1341 C.c.);
 Qualsiasi fatto da cui dipenda una conseguenza giuridica (secondo la concezione
francesizzante);
 Evento futuro ed incerto da cui le parti fanno dipendere uno o più effetti del negozio
(secondo la concezione germanizzante).
Finchè la condizione non si “avvera”, resta “pendente”. Se non si avvera, è “mancata”.
L'istituto della Condizione esalta l'Autonomia delle Parti, consentendo ai privati di ricollegare le
vicende giuridiche ad avvenimenti futuri ed incerti.
Sacco e De Nova procedono quindi ad alcune considerazioni:
♦ Prova della Condizione → Il fatto dedotto in condizione dev'essere provato: la prova
dell'avveramento della condizione apposta ad un contratto, la cui forma sia vincolata, è libera.
♦ Condizione e Causa → Sovente la condizione è causa del contratto: in specie, le promesse
unilaterali (art. 1333 C.c.) deducono spesso in condizione la causa.
♦ “Actus Legitimus” → Ci sono casi in cui la Legge ritiene inopportuno che un effetto venga fatto
dipendere da un evento diverso dalla pura volontà delle parti (es. matrimonio, adozione, ecc... sono
atti che non tollerano apposizione di condizioni – e termini –).
♦ Condizione ed Evento → La condizione regola innanzitutto gli Effetti dell'Evento, ma,
indirettamente, può regolare anche l'evento stesso: ad es., “mi darai la penale se giungerai dopo le
10” equivale a dire “tu ti impegni a giungere non oltre le 10”.
♦ Condizione e Contratti Aleatori → I contratti aleatori (assicurazione, scommessa, ecc...) sono
animati esclusivamente dalla correlazione fra l'evento futuro/incerto e l'effetto giuridico.
♦ Fonti della Condizione → La condizione può esser certamente prevista espressamente dalle
parti; può desumersi però anche in via d'interpretazione e di integrazione considerando la Natura
del Negozio, la Buona Fede, gli Usi, ecc... .
Se è la Legge stessa a prevedere un fatto come dirimente (condicio iuris), sarà inutile accertare se vi
sia anche la volontà delle parti: ci sarà un'assimilazione dell'intento legale a quello privato.

LA CONDIZIONE LEGALE
La Condizione Legale (o Condicio Iuris) è una condizione imposta non dalla volontà delle parti,
ma dalla Legge, ed è tale per cui senza di essa il negozio non può produrre effetto (es. la morte per
l’efficacia delle disposizioni testamentarie).
Se da un lato la Dottrina non si è ancora accordata sulla definizione da dare a questa figura, la
Giurisprudenza la utilizza in modo corrente, facendovi rientrare in particolare i casi in cui siano
richiesti atti amministrativi (richieste, autorizzazioni, ecc...) cui è subordinata la liceità della
prestazione promessa.

GLI EFFETTI del CONTRATTO CONDIZIONATO. REGOLE e QUALIFICAZIONI


L’avveramento della condizione, e così il suo venir meno, operano con Efficacia “Erga Omnes”
(cfr. art. 1357 C.c.): sono quindi opponibili anche ai Terzi acquirenti, e ciò perché essi hanno
acquistato una situazione giuridica condizionale e, quindi, incerta.
(!) Sacco nota che, però, l'efficacia erga omnes può creare intralci alla circolazione dei diritti ed
una minor certezza negli scambi: ritiene perciò che l'interprete possa intervenire, ispirandosi alla
ratio dell'art. 1458 C.c. (Effetti della Risoluzione: la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati
dai Terzi, salvi gli effetti della trascrizione).

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♦ Retroattività della Condizione (art. 1360 C.c.) → Salvo diversa previsione e salva la natura
del rapporto (ad es., contratti ad esecuzione continuata o periodica) la condizione opera, in via di
massima, con effetto retroattivo (ex tunc), riferito al momento della conclusione del contratto .
L’art. 1361 C.c. integra il regime, validando gli atti di amministrazione compiuti e l’acquisto dei
Frutti maturati in pendenza della condizione dalla parte cui spetta l’esercizio del diritto: quindi,
una volta avverata la condizione, andranno restituiti solo i frutti percepiti dopo l'evento avverato.

♦ Condizione Mancata → Che succede se viene meno la condizione? Si pongono problemi di


Qualificazione del Contratto.
Per Sacco, il contratto subordinato ad una condizione sospensiva mancata è valido, ma
“Inefficace”, e non nullo.
Questo perché, infatti, il venir meno della condizione non priva il contratto dei suoi effetti
ulteriori in quanto esso sia idoneo a produrli; tra questi effetti noveriamo quelli strumentali, di
protezione, ecc...; in particolare l’obbligo di risarcire il danno (contrattuale o precontrattuale,
secondo i casi) quando una parte, per Legge od in base al patto, sia responsabile delle circostanze
che abbiano inciso sulla possibilità di avveramento della condizione, o quando una parte violi le
regole contrattuali prima del momento in cui la condizione manca o si avvera.

LA CONDIZIONE UNILATERALE
La condizione unilaterale è quella che viene apposta a protezione dell'interesse di uno solo dei
contraenti.
Premesso questo, gli Autori si chiedono come sia possibile che una larga Giurisprudenza abbia
statuito che, avverato l’evento, la parte nel cui interesse sia stata apposta la condizione possa
rinunciare ad essa e trattare il negozio come puro ed incondizionato.
Infatti, come la Legge, nel prevedere forme di tutela ed assegnazioni di diritti soggettivi, non dà (di
regola) ai beneficiari il potere di rinunciarvi, allo stesso modo, notano gli autori, non c'è motivo di
ragionare diversamente in tema di condizione unilaterale.

Questa regola, ormai radicatissima, è probabilmente formata nell’area delle Condizioni Risolutive
di tipo “Sanzionatorio”: la Risoluzione, infatti, è vista dalla giurisprudenza come “rinunciabile”,
anche tacitamente, dal soggetto protetto.

(!) Tuttavia, se già la condizione crea di per sé incertezze nei traffici (in quanto ricollega gli effetti
del negozio ad un evento futuro ed incerto), un'eventuale ed ulteriore incertezza data dalla possibile
rinuncia alla condizione stessa causerebbe a sua volta un'incertezza globale ancora maggiore.
Ora, ovviamente la Condizione Unilaterale è rinunciabile, in quanto prevista nell'interesse d'una
sola parte: se anche l'altra potesse invocarla, non si distinguerebbe dalla condizione in generale.
I problemi principali, su cui la Giurisprudenza oscilla, sono:
▪ L'Unilateralità della condizione è frutto di una volontà contrattuale delle parti, o viene apposta
nell'interesse d'una sola parte?
▪ Entro quando può essere esercitata la rinuncia?
▪ Che forma deve avere tale rinuncia?

Su a questi problemi, la Giurisprudenza degli anni 1990-2000 ha proposto diverse interpretazioni:


▪ Teoria della Doppia Condizione → Siccome anche l'atto dispositivo della rinuncia è incerto,
allora è come se il contratto avesse due condizioni;
▪ Teoria dell'Opzione → La possibilità di rinuncia darebbe alla parte un'opzione sulla
rivitalizzazione del contratto altrimenti risolto per effetto della condizione risolutiva.

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Quanto alle soluzioni pratiche, adottate nelle Sentenze, si può ravvisare che:
▪ Nei primi anni '90, la Giurisprudenza riteneva che l’unilateralità della condizione fosse una
realtà oggettiva, dipendente dall’unilateralità dell’interesse posto a monte della clausola, e che la
decisione del legittimato era vista come una “Rinuncia” che poteva operarsi anche tacitamente
(carattere non negoziale della condizione);
▪ A partire dal 1992, la Cassazione ha abbandonato la costruzione imperniata sulla “rinuncia”
alla condizione, aderendo invece all’idea dell’“Opzione” e deducendone che l’esercizio del potere
del legittimato abbia carattere negoziale (= è cioè frutto della volontà delle parti) e che debba
operarsi con il rispetto della Forma richiesta per il contratto che si conclude;
▪ Nel 1997 si torna ad ammettere la sufficienza del comportamento concludente.

POSSIBILITA' e LICEITA' della CONDIZIONE


La validità del condizionamento si adegua ai princìpi generali:
▪ Condizionamento sospensivo di un Evento Certo → E' un condizionamento inutile (es., se
domani sarà martedì ti darò 100). Talvolta, il condizionamento inutile potrà essere indice di un
difetto di Causa (ad es., traslazione d'un rischio inutile, dedotto in condizione);
▪ Condizionamento di un Evento Impossibile → Rende nulla la promessa se la condizione è
sospensiva; si ha per non apposto se la condizione sia risolutiva od se il negozio sia mortis causa;
▪ Condizione Illecita → Rende nulla la promessa fra vivi (vitiatur et vitiat); si ha per non
apposta nei negozi mortis causa (vitiatur, sed non vitiat).
Non si ha necessariamente quando si deduce in condizione un fatto illegale od immorale: si ha
quando sia illegale od immorale far dipendere quel dato effetto da quel dato fatto, che può anche
essere di per sé lecito e morale (come ad es. dire “ mi darai 100 € se avrò votato per la tua
elezione a sindaco della società”).
♦ Condotte Non Patrimoniali → Nonostante non siano deducibili in un'obbligazione ex art. 1321
C.c., possono invece essere dedotte in condizione (ad es., “se avrai figli nei prossimi anni, ti darò
cento al mese”).

REQUISITI del FATTO DEDOTTO in CONDIZIONE


Si affrontano qui tre questioni:
♦ Interesse alla Condizione → Alcuni ritengono che il giudice dovrebbe invalidare la clausola
ove la condizione sia stata posta al servizio d'interessi concernenti non già il negozio
condizionale, ma un negozio collegato con esso.
La Giurisprudenza rigetta questa tesi: in primo luogo, la parte è buon giudice dei propri interessi;
in secondo luogo, la Legge non prevede una censura del tipo sopra descritto.
Questo significa che l'indagine sull'interesse si farà solo quando lo prescriverà una norma.
♦ Può l'Adempimento essere dedotto in condizione? → Alcuni ritengono che l'adempimento,
essendo giuridicamente dovuto, sia anche giuridicamente certo e, quindi, non deducibile in
condizione: ma gli Autori ribattono, affermando che la certezza dell'adempimento è confutata dalla
semplice constatazione dell'esistenza di tribunali e prigioni.
Un appiglio giuridico alla deducibilità in condizione dell'adempimento è data dall'art. 1333 C.c.;
inoltre, la giurisprudenza aderisce alla tesi più permissiva, che cioè consente la deduzione.
♦ Durata della Condizione → E' chiaro che la pendenza della condizione non può durare
all'infinito; né si potrebbe consentire, in caso di retroazione, un'eccessiva durata della pendenza, a
causa del pericolo di eccessive incertezze negli scambi. Ma la Legge tace sul punto.
Per cui, gli Autori suggeriscono un ricorso all'Analogia con le norme cogenti sul termine accordato
al venditore con patto di riscatto, e così via.
Laddove l'analogia non bastasse, si può ritenere che una pendenza eccessiva, a causa delle
incertezze che comporta, sia contraria all'Ordine Pubblico.

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LA CONDIZIONE MERAMENTE POTESTATIVA


Ex art. 1355 C.c., l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo sono nulli se fatti
dipendere con una condizione sospensiva dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, del
debitore.
La “volontà mera” è quella non subordinata ad una perdita giuridica o ad altro sacrificio: così,
la condizione meramente potestativa si distingue dalla Condizione Potestativa Semplice.
Quest'ultima non dipende solo dalla mera volontà di chi la pone, ma anche da altri fattori soggettivi e oggettivi atti ad
incidere sulla sua volontà; ad es., si pensi all'assunzione di un domestico condizionata all'acquisto di un appartamento .
Nella prassi sembra diffusa l'idea per cui con “condizione meramente potestativa” si indichi
qualsiasi clausola volta ad attribuire ad una delle parti un potere troppo capriccioso ed
insindacabile.
♦ Effetto pratico: la Retrodatazione → L'art. 1355 C.c. parla di una Condizione Sospensiva: ad
es., si pensi all'atto di disposizione che suoni “ti darò il denaro, quando ne avrò voglia”.
L’unico effetto pratico di questa alienazione consisterebbe nella possibilità di retrodatare il
trasferimento al momento dell’atto di disposizione, anziché nel momento del vero consenso.

♦ Condizione Risolutiva meramente potestativa → Può essere ammessa? Nel silenzio della
Legge, si ritiene di sì, anche se alcuni la considerano nulla o non apposta.
Gli Autori ritengono che si debba distinguere a seconda del tipo di obbligazione:
▪ Obbligo di Fare → Ad es.: “Mi impegno a rispettare la non concorrenza, finché ne avrò voglia”.
E' chiaramente una promessa inutile, e quindi nulla;
▪ Obbligo di “Pati” → Ad es.: “Mi impegno a sopportare il rumore, finchè non deciderò di
oppormi”. E' una promessa non inutile, perché vale come consenso dell'avente diritto;
▪ Obbligazione di Alienare → Ad es.: “Mi impegno a venderti questo bene, ma esso tornerà mio
quando ne avrò voglia”. Gli Autori ritengono valido un simile patto, inquadrabile come “patto
restitutorio”, finché non svuoti d'ogni significato la stipulazione o l'alienazione principale, o non
ne alteri la natura;
▪ Obbligazione di Dare → Ad es.: “Ti darò la cosa fin quando tu non vorrai restituirmela”.
La clausola è nulla.

LA FINZIONE di AVVERAMENTO della CONDIZIONE


Ex art. 1359 C.c., la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile
alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa.
La giurisprudenza ritiene che la norma sia applicabile solo se la condizione sia posta nell'Interesse
Esclusivo della controparte, e si presume che tale interesse sia comune ai contraenti.
♦ Portata della Norma → La norma ha una portata più ristretta di quanto sembri: ad es., se Tizio
promette a Caio di dargli 1000 se qualcuno ruberà la tal cosa, la condizione non si considera
avverata ex art. 1359 C.c. per il solo fatto che Tizio, avendo visto un ladro, lo abbia messo in fuga
(facendo così mancare la realizzazione dell'evento futuro ed incerto).
♦ Illiceità della Condotta → Di regola, il valore della promessa è proporzionale al valore della
prestazione ed alla probabilità dell'evento: se le parti hanno considerato questa probabilità in modo
oggettivo, non è lecito né allo stipulante né al promittente alterarla; tale alterazione è sempre
illecita e, a seconda dei casi, l'illiceità sarà rilevante in caso di dolo, in caso di colpa od in presenza
d'una omissione.
♦ Applicabilità dell'art. 1359 C.c. → Gli Autori, contrariamente alla giurisprudenza, ritengono che
la norma sia anche applicabile alle condizioni imposte per Legge; si ritiene, infine, che la parte con
interesse contrario al verificarsi della condizione abbia diritto di farla mancare per una ragione
dipendente dalla natura della condizione stessa: ciò avviene in caso di condizione potestativa o
meramente potestativa.

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LA PENDENZA della CONDIZIONE


Ex art. 1356 C.c., in pendenza della condizione sospensiva l’acquirente di un diritto può compiere
Atti Conservativi; simmetricamente, l’acquirente di un diritto sotto condizione risolutiva può, in
pendenza di questa, esercitarlo, ma l’altro contraente può compiere atti conservativi.

Strettamente legata a questo complesso di regole è la norma contenuta nell’art. 1358 C.c.: la parte
che si è impegnata sotto condizione (alienante sotto condizione sospensiva o acquirente sotto quella
risolutiva) deve, in pendenza di questa, comportarsi secondo Buona Fede per non pregiudicare
l’altra parte.

Se l'art. 1356 C.c. regola obiettivamente la relazione fra diritto e rimedio, l'art. 1358 C.c. enunzia la
regola cui si atterrà il contraente, pendente la condizione.

Il dovere di buona fede ex art. 1358 C.c. è un dovere generalizzato: in particolare, esso dovrebbe
venire invocato quando il contratto sia sottoposto ad una Condizione Legale, che può consistere in
un Atto Amministrativo, o di Volontaria Giurisdizione (tipo di giurisdizione diretta non a risolvere
controversie, ma alla gestione di un negozio o di un affare, per la cui conclusione è necessario
l'intervento partecipativo di un terzo - il Giudice - estraneo ed imparziale, che collabori con le parti
allo scopo di costituire un determinato rapporto giuridico; ad es. si pensi all'autorizzazione alla
vendita di beni di minori; all'omologazione d'un atto societario, ecc...) che possa essere promosso
da una sola delle due parti.

In questi casi, la parte in questione avrà la possibilità di trasformare il contratto sottoposto a


condizione in una Opzione a lungo termine, riservandosi di ottenere l'atto amministrativo o di
volontaria giurisdizione qualora, ad es., il mercato sia favorevole.
Ciò è ammissibile qualora le parti abbiano concluso il contratto per assegnargli una situazione
giuridica di sostanziale opzione, ma è del tutto sleale in ogni altro caso.

I Principi Unidroit, per la disciplina di casi simili relativamente a contratti commerciali


internazionali, hanno elaborato una spiegazione dell'articolazione del dovere di buona fede.
Allorché la Legge di uno Stato richieda un'autorizzazione pubblica per la validità del contratto o per la sua esecuzione, e
questa Legge o le circostanze non indichino altrimenti:
 Se solo una delle parti ha la sua sede d'affari in quello Stato, questa parte dovrà adottare le misure necessarie per
ottenere l'autorizzazione;
 In ogni altro caso le misure necessarie dovranno essere adottate dalla parte il cui adempimento necessiti di tale
autorizzazione.

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CAP. II – LE CLAUSOLE PENALI E LA CAPARRA CONFIRMATORIA


I – LE CLAUSOLE PENALI
NOZIONE ed AMBITO
Ex art. 1382 C.c., è clausola penale quella con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di
ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti sia tenuto ad una determinata prestazione.
La C.P. è quindi un patto ad Effetti Obbligatori (Torrente); inoltre produce altri due effetti:
▪ Effetto Naturale (comma 1) → Cioè di “limitare il risarcimento alla prestazione promessa”.
E' un effetto naturale, perché si verifica “se non è stata convenuta la risarcibilità del danno
ulteriore”;
▪ Effetto Tipico (comma 2) → Cioè che “la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del
danno”: il debitore non può liberarsi dimostrando l'inesistenza del danno; il creditore, invece, non
deve dimostrare alcunché.
♦ Divieto di Cumulo (art. 1383 C.c.) → Se la penale è fissata per l’inadempimento, non si può
chiedere insieme la prestazione principale e la penale.
(!) Invece, il cumulo è consentito se la penale è per il ritardo.
♦ Riduzione della Penale (art. 1384 C.c.) → In entrambi i casi (inadempimento o ritardo) la
penale può essere diminuita equamente dal Giudice per adempimento parziale o per ammontare
manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva
all'adempimento (cfr. infra).
♦ Natura della Clausola Penale → La C.P. va riferita ad un contratto, e può riguardare anche una
soltanto, od alcune soltanto, delle obbligazioni nascenti dal contratto stesso.
Essa ha, rispetto all’obbligazione contrattuale principale cui è riferita, natura accessoria.
▪ Premesso questo, pur avendo natura accessoria, può essere considerata un patto autonomo e,
quindi, riferibile ad ogni obbligazione (anche non contrattuale), o resta un patto accessorio che
rafforza solo obbligazioni contrattuali?
(!) Gli Autori ritengono che sia valida la prima tesi, ed infatti credono che la C.P. sia applicabile
anche ad un Patto d'Opzione ed alla Promessa dell'Obbligazione o del Fatto del Terzo: ma la
Giurisprudenza ritiene, di contro, che sia riferibile solo ad obbligazioni contrattuali.
Cassazione 5583/1987 statuisce che la penale, pur essendo obbligazione accessoria, ha una sua autonoma identità
quale obbligazione pecuniaria,e pertanto ove a sua volta la penale venga corrisposta, per essa sono dovuti gli
Interessi Moratori ed il Maggior Danno ex art. 1224 C.c..

♦ Inadempimento e/o Ritardo del Debitore → Costituiscono i presupposti per la C.P.,


indipendentemente dalla loro entità (mentre invece, la Risoluzione per inadempimento richiede la
gravità dello stesso): inoltre, spetta al Debitore dimostrare che non sono a lui imputabili.
E' dubbio se, affinché sia dovuta la penale, occorra la costituzione in mora del debitore.
▪ La clausola che, basandosi su un inadempimento non imputabile al debitore, prevede una
prestazione a suo carico, non è una C.P., bensì una Clausola di Assunzione del Rischio.
♦ Oggetto della C.P. → La prestazione consiste in genere nel pagamento d'una somma di Denaro,
o nell'estinzione di un Credito, o in altra prestazione di diversa natura (ma alcuni autori limitano
l'oggetto alla sola dazione di denaro, onde evitare che sia aggirato il divieto di patto commissorio).
La prestazione deve avere ad oggetto Diritti Disponibili, a contenuto Patrimoniale: se ha ad
oggetto la dazione di Denaro, si ha Debito di Valuta, insuscettibile di rivalutazione.
▪ Le parti possono determinare liberamente l'entità della penale, purché non sia eccessiva;
▪ Se è espressamente previsto, è ammesso il Risarcimento del Danno Ulteriore;
▪ Le parti possono anche pattuire la penale per una sola voce del danno (ad es., solo danno
emergente e no lucro cessante). Non è ammessa la C.P. “Pura” – v. infra –.

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♦ Vessatorietà della C.P. → La Giurisprudenza esclude che la C.P. abbia natura vessatoria, perché
si concreta in un’anticipata liquidazione del danno, e ne deduce che non occorra la specifica
approvazione per iscritto ex art. 1341 comma 2 C.c.; inoltre, il debitore è tutelato dalla possibilità
di chiedere la riduzione ex art. 1384 C.c.. Ugualmente ritengono gli Autori.
Al contrario è stato osservato dalla Dottrina (Mirabelli) che la C.P. comporta una limitazione alla
facoltà di opporre Eccezioni, perché esclude la prova dell’inesistenza del danno: sarebbe quindi
vessatoria.
(!) Nell’ambito dei Contratti per Adesione, è possibile prevedere una clausola penale a carico
del predisponente: se però si prevedesse una somma inferiore rispetto al danno prevedibile,
allora, secondo gli Autori, in questo caso sarebbe una clausola vessatoria, perché integrerebbe
una clausola di limitazione della responsabilità del predisponente.
(!) Nell'ambito dei Contratti del Consumatore, ex art. 33, comma 2, lett “f”, Cod. Cons. (D.
Lgs. 206/2005), la clausola penale di importo manifestamente eccessivo è vessatoria e, quindi,
inefficace (nulla) ove non si provi che era stata oggetto di trattativa; in caso contrario sarà
invece efficace, ma comunque riducibile ex art. 1384 C.c..
♦ Funzione della C.P. → La Dottrina ha discusso molto sul tema, diversamente dalla
giurisprudenza; gli orientamenti riportati sono i seguenti:
▪ La C.P. ha una funzione esclusivamente Penale, cioè di vera e propria “sanzione”;
▪ Solo la C. Penale “Pura”, che cioè cumula il valore della C.P. con l'integrale risarcimento del
danno – e che, per questo, non è ammessa dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie –
avrebbe una funzione Penale.
La C.P. “Non pura”, cioè quella vista finora, avrebbe invece funzione Penale e Risarcitoria;
▪ Altri ritengono che la C.P. abbia una funzione Risarcitoria Essenziale ed una funzione Penale
Eventuale;
▪ Altri (Marini) ritengono che la C.P. abbia la funzione di determinare anticipatamente e
convenzionalmente una sanzione a struttura obbligatoria a seguito dell'inadempimento o del
ritardo nell'adempimento;
▪ L’orientamento dominante e forse l’unico che è stato condiviso anche in qualche sentenza della
Cassazione, invece, pone sullo stesso piano le due funzioni: sia sanzionatoria che risarcitoria.
In base a tale orientamento, la C.P. sarebbe finalizzata al rafforzamento del vincolo contrattuale
ed alla liquidazione preventiva del danno.
(!) Gli Autori ritengono invece che si debba valutare caso per caso, perché la penale può
assolvere, di volta in volta, diverse funzioni.
Le parti, infatti, potrebbero prevedere una clausola penale per indurre il debitore ad adempiere,
oppure per limitare il risarcimento, o ancora per evitare controversie sul quantum del danno.
♦ Particolari figure di C.P. → Si tratta del Patto d'Interessi Moratori (art. 1224, comma 2, C.c.)
e della Clausola di Ritenzione delle Rate Pagate (art. 1526, comma 2, C.c.).
♦ Penali Legali → Sono le C.P. previste ex lege: ad es., l'imposizione di interessi moratori in caso
d'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria (art. 1224, comma 1, C.c.); la ritenzione da parte
degli Amministratori delle somme riscosse, in caso di mancato pagamento delle quote da parte
del socio (art. 2344, comma 2, C.c.); ecc... - v. Manuale pag. 446 -.
♦ Penali Giudiziali → Consistono in penalità imposte dal Giudice alla parte soccombente, al fine
di rafforzare la sentenza di Condanna: sono per lo più previste in tema di brevetti, marchi e diritti
dei consumatori e degli utenti.
♦ Distinzioni → La C.P. va distinta dalla Caparra (confirmatoria e penitenziale), dalla Multa
Penitenziale, dalla Clausola Limitativa di Responsabilità e dall'Obbligazione Alternativa.

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CLAUSOLA PENALE con ACCORDO di RISARCIBILITA' del DANNO ULTERIORE


L'art. 1382 C.c. prevede la possibilità di inserire nel patto un'espressa clausola di Risarcibilità del
Danno Ulteriore, da corrispondere in aggiunta al pagamento della Penale.
(!) Il danno ulteriore dev'essere però provato: ma, sottolineano gli Autori, non può essere provato
il danno ulteriore senza provare il danno integrale.
Se cioè la penale ammonta ad € 1000, e si chiede l'ulteriore risarcimento di € 500, bisognerà
dimostrare un danno pari ad € 1500.
Vediamo due ipotesi:
A ▪ Il creditore ottiene in via stragiudiziale il pagamento della C.P.: € 1000 li ha già “intascati” e,
quindi, chiede al Giudice il risarcimento del danno ulteriore pari a € 500: per ottenerlo, deve però
dimostrare un danno integrale pari ad € 1500.
Quand'anche non vi riuscisse (ad es., il Giudice rileva un danno totale addirittura più basso del
valore della penale, ad es. € 800), i €1000 saranno comunque del creditore, e saranno intoccabili;
B ▪ Il creditore non ottiene la C.P. in via stragiudiziale: cosa può fare?
∙ Può il creditore citare in giudizio il debitore, solo per ottenere direttamente il Risarcimento
Totale di € 1500?
(!) Sì: se è stato previsto il Risarcimento del Danno Ulteriore, il creditore può chiedere anche
solo il Risarcimento Totale, invece della Penale pattuita.
Se però la domanda del creditore fosse rigettata (ad es. non riesce a dimostrare il danno),
perderà tutto, perché non potrà ottenere dal Giudice, d'ufficio, la condanna del debitore a
pagare la C.P.;
∙ Altrimenti, può citare in giudizio il debitore, per ottenere direttamente il Risarcimento Totale
e, in subordine, il Pagamento della Clausola Penale. In caso di rigetto della prima domanda,
otterrà comunque il pagamento della Penale, anche in caso di danno non dimostrato.
► In caso di giudizio, è quindi essenziale invocare la penale, che non è applicabile d'ufficio per
rispetto del Principio della Domanda (art. 112 C.p.c.), come ha stabilito Cassaz. 771/1997.
Infatti, la Cassazione ha rilevato che il creditore potrebbe non avere interesse alla penale qualora il danno totale sia
troppo elevato e ne pretenda l'integrale risarcimento (la penale sarebbe quindi un limite); il debitore invece, se la
ritenesse troppo elevata, avrebbe l'onere di eccepirlo; oppure, in caso di silenzio del creditore sulla penale, al debitore
converrebbe tacere, così che non dovrà sicuramente pagarla, perché non dedotta in giudizio.

CLAUSOLA PENALE SENZA ACCORDO di RISARCIBILITA' del DANNO ULTERIORE


Quindi, in assenza di accordo per la risarcibilità del Danno Ulteriore, il Creditore non può
chiedere il Risarcimento Integrale invece della C.P., perché qui, infatti, la C.P. ha proprio
l’effetto di limitare il risarcimento.
Si limita così la responsabilità del debitore? No: la C.P. non va confusa con la Clausola Limitativa
della Responsabilità di cui all'art. 1229 C.c.!
Sono clausole diverse, tant'è che spesso si trovano insieme, nello stesso contratto:
▪ Clausola Penale → Prevede un forfait, dovuto indipendentemente dalla prova del danno (es. in
caso d'inadempimento mi pagherai € 1000 – anche se magari il danno è più basso);
▪ Clausola Limitativa della Responsabilità (che è vietata) → Prevede un plafond, sicché il
risarcimento sarà dovuto nella misura in cui il danno sarà provato (es. in caso di
inadempimento, sarò disposto a pagarti fino a € 1000, non oltre): ciò esclude la risarcibilità del
danno ulteriore, non si va oltre la soglia individuata dal plafond.
In base alla norma dell'art. 1229 C.c., il divieto di tale clausola coinvolge i patti che escludano o
limitino la responsabilità del debitore per Dolo, Colpa Grave o per Violazione di Norme di
Ordine Pubblico.

Come si coordinano gli artt. 1229 e 1382 C.c.? Può una Clausola Penale senza risarcimento del
danno ulteriore valere come Clausola Limitativa della Responsabilità?

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► Secondo gli Autori, bisogna distinguere:


▪ Se la predeterminazione del Danno è congrua, allora non vi è limitazione di Responsabilità: in
tale caso, il creditore non potrà chiedere il risarcimento del danno ulteriore, neppure in caso di
dolo o colpa grave;
▪ Se la predeterminazione fosse incongrua, ad es. perché irrisoria, allora scatterà il divieto di cui
all'art. 1229 C.c. e la C.P. sarà nulla, perché sarà considerata come clausola limitativa della
responsabilità: il creditore potrà così avere il risarcimento del danno ulteriore, soprattutto se
dovuto a dolo o colpa grave.
► Invece, parte della Giurisprudenza (v. Cassaz. SS.UU. 6225/1994) e della Dottrina (Bianca)
ritengono che il Debitore, per dolo o colpa grave, sia sempre ed integralmente responsabile.
Gli autori, quindi, rilevano che in base a quest'ultimo orientamento:
 Ci sarebbe sempre Responsabilità del debitore per Dolo/Colpa Grave, anche in assenza del
patto di risarcimento del danno ulteriore;
 Ci sarebbe Responsabilità del debitore per Colpa Semplice solo in presenza del patto di
risarcimento del danno ulteriore.
Ma, dicono gli autori, tutto ciò a loro non risulta, in base al dettato dell'art. 1382 C.c..

► Alcuni contratti, infine, prevedono sia la penale (es. €1000 per ogni giorno di ritardo
nell'adempimento; è il caso degli appalti) ed anche la clausola limitativa della responsabilità (ad
es., quando si dice “il danno arrecato non potrà superare il 10% del corrispettivo totale).

LA PENALE per l'INADEMPIMENTO


Le parti possono prevedere, nello stesso contratto, una Clausola Penale sia per l’Inadempimento
che per il Ritardo: esse sono quindi legittimamente cumulabili.
♦ Analizzando la prima forma, si nota innanzitutto che, in caso d'inadempimento, il creditore può:
1 ▪ Chiedere la Manutenzione del contratto (con azione esecutiva per ottenere la condanna
all'adempimento: in tal caso, il debitore non può liberarsi offrendo la penale);
2 ▪ Chiedere la Penale, senza la Risoluzione;
3 ▪ Chiedere la Risoluzione ex art. 1453 C.c. ed anche il pagamento della penale: le due
domande sono dai più considerate autonome, per cui la scarsa importanza dell'inadempimento
non è di ostacolo al sorgere del diritto alla Penale;
4 ▪ Se l'obbligazione è “di Durata”, il creditore può chiedere la Penale per il passato e
l'Adempimento per il futuro.

♦ Di contro, il creditore non può:


▪ Chiedere insieme l'Adempimento e la Penale (cosa vietata dall'art. 1383 C.c.), a pena di
Nullità.
(!) Gli Autori, tuttavia, ritengono che il creditore possa prima chiedere l'adempimento e, quindi,
mutare la domanda e chiedere la Penale: fondano la loro tesi sull'art. 1453 comma 2 C.c.,
laddove si ammette che la Risoluzione possa essere proposta anche dopo la domanda per la
manutenzione del contratto.
Poiché si può chiedere, insieme alla Risoluzione, anche la C.P., se ne deduce che si potrà chiedere
prima l'adempimento, e poi la clausola penale (a questo punto, anche senza proporre domanda
di risoluzione, visto che le domande di C.P. e Risoluzione – v. supra, punto 2 – possono anche
esser separatamente proposte);
▪ Chiedere il Risarcimento integrale invece della Penale, se non è previsto espressamente il
risarcimento del Danno Ulteriore (v. supra): ciò limita il risarcimento, a tutela del debitore.
▪ Chiedere la Penale per il Ritardo, se è prevista solo per l'Inadempimento.

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LA PENALE per il RITARDO


Se la penale è stata stipulata per il semplice Ritardo, il creditore può domandare insieme la
prestazione principale (Adempimento) e la Penale, ex art. 1383 C.c..
▪ Ritardo ed Inadempimento → Se al ritardo seguisse l'inadempimento, si può chiedere la
penale sia per l'inadempimento, sia per il ritardo, se entrambe previste; altrimenti, la sola penale
per il ritardo ed il risarcimento del danno ulteriore e diverso da quello coperto dalla penale;
▪ Ritardo e Risoluzione → Il ritardo consente di chiedere la Risoluzione in caso di Termine
Essenziale (art. 1457 C.c., risoluzione ipso iure), o qualora il ritardo ecceda la normale
Tollerabilità;
▪ Ritardo e Prestazione Tardiva → Accettare la prestazione tardiva non esclude la possibilità di
ottenere il pagamento della penale da ritardo;
▪ Penali Intermedie → Sono previste specie nei Contratti d'Appalto, e sono legate ai vari
obiettivi fissati dal contratto; di solito vi è anche una Penale Finale.
Sta poi alle parti regolare i rapporti fra le varie penali.

LA RIDUZIONE della PENALE


Ex art. 1384 C.c., il Giudice può ridurre equamente la penale: poiché va ad incidere
sull'autonomia privata, si ritiene che la norma abbia carattere eccezionale e che sia insuscettibile
di applicazione analogica.
E' una norma prevista per ristabilire l'Equilibrio Contrattuale: non è posta a tutela del debitore,
che, quindi, non può rinunciarvi preventivamente, visto la natura inderogabile della norma.
Anche il privato debitore della P.A. può chiedere al Giudice ordinario di ridurre la C.P. prevista in
un Contratto della P.A., senza che ciò comprometta la valutazione dell'interesse pubblico generale
riservato all'Autorità Amministrativa, perché si tratta di un rapporto paritetico fra Privati e P.A..
La valutazione relativa all'eccessività della C.P. e la determinazione della misura equa sono di
competenza del Giudice di Merito (cioè di primo grado e di appello)
♦ Riduzione d'Ufficio → Può la Clausola Penale essere ridotta d'Ufficio?
▪ Fino al 1999 la Giurisprudenza ha sostenuto con forza la necessità dell'istanza di parte e,
quindi, l'impossibilità della riduzione d'ufficio. In tale ottica, l'eccezione di eccessività della
penale poteva essere sollevata validamente per la prima volta anche in Appello;
▪ Quindi, la sentenza Cassaz. 10511/1999 ha introdotto la riducibilità d'Ufficio della C.P.,
basandosi fondamentalmente sui generali princìpi di solidarietà (art. 2 Cost.) e buona fede;
▪ La citata sentenza resta però un caso isolato fino al 2005: infatti, la giurisprudenza continuava a
seguire l'orientamento precedente, che considerava l'art. 1384 C.c. come posto “a tutela del
debitore”. Ne derivava che, se questi voleva tutelarsi, aveva l'onere di domandare al giudice la
riduzione della C.P., e che quindi il Giudice non potesse rilevarla d'ufficio, ex art. 112 C.p.c.;
▪ (!) La Sentenza Cassaz. SS.UU. 18128/2005, non ancora emanata alla pubblicazione del
Manuale, ha infine accolto l'orientamento del 1999: se l'art. 1384 C.c. è norma inderogabile posta
non a tutela del debitore, ma al fine di preservare l'interesse generale all'equilibrio dei contratti,
allora il Giudice potrà ridurre d'ufficio la Clausola Penale.

♦ Condizioni per la Riduzione → La C.P. può essere ridotta alle seguenti condizioni:
▪ L'Obbligazione Principale è stata eseguita in parte;
▪ L'Ammontare della C.P. è manifestamente eccessivo.
In ogni caso, il Giudice deve guardare all'interesse che il Creditore aveva all'adempimento, nel
momento in cui il contratto sia stato concluso: sono irrilevanti le vicende successive.
Esempio → E' stata giudicata eccessiva la C.P. che prevedeva, a favore del lavoratore, in caso di mancato rinnovo del
contratto di lavoro, il pagamento della retribuzione, pur restando il lavoratore libero di disporre delle sue capacità
lavorative.
(!) Nel silenzio dell'art. 1384 C.c., la C.P. può essere ridotta anche dopo che sia stata corrisposta.

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II – LA CAPARRA CONFIRMATORIA
NOZIONE ed AMBITO
Spesso uno dei contraenti, alla conclusione del contratto, dà all’altro una Somma di Denaro o una
Quantità di altre Cose Fungibili: ciò può avvenire a vario titolo. Può trattarsi, infatti, di:
 Un Acconto → Cioè un “Adempimento parziale preventivo”;
 Una Cauzione → Somma o beni corrisposti a titolo di garanzia del risarcimento in caso d'inadempimento;
 Una Caparra Penitenziale → Somma data come corrispettivo del Recesso convenzionale;
 Una Caparra Confirmatoria → La dazione in esame serve a dimostrare, secondo un'antica prassi, la serietà con
la quale il contratto viene stipulato.
In quest'ultimo caso, la parte che consegna la caparra ha diritto o ad un accordo sul prezzo (= la
caparra fungerà da anticipo), o alla restituzione della caparra al momento dell'esecuzione del
contratto.
● Se la parte che dà la caparra si rende inadempiente, l'altra parte può recedere dal contratto e
trattenere la somma ricevuta;
● Se a rendersi inadempiente fosse quest'ultima parte (quella che ha percepito la caparra), l'altra
parte può scegliere se recedere o meno dal contratto.
Se recede, ha diritto a pretendere il doppio di quanto versato come caparra.
(!) In ogni caso, la parte che non è inadempiente può, in alternativa, domandare l’Esecuzione o la
Risoluzione del contratto: in tal caso, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali (art.
1223 C.c.).
♦ Caparra Confirmatoria o Penitenziale → Nel dubbio, la caparra è confirmatoria: spetterà poi
al Giudice di Merito operare l'accertamento nel caso concreto.
♦ Natura della C. Confirmatoria → Essa ha natura Reale, perché si perfeziona con la consegna,
ed ha natura Accessoria, perché segue le vicende dell'obbligazione cui accede.
♦ Oggetto della C. Confirmatoria → Possono essere solo somme di denaro o quantità di cose
fungibili: non sono ammessi ad es. i vaglia cambiari, in quanto promesse di pagamento.
Se ha ad oggetto una somma di Denaro, si tratta di Debito di Valuta (Principio Nominalistico).
♦ Il Contratto e la C. Confirmatoria → In passato si riteneva che la C. Confirmatoria potesse
accedere soltanto ad un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite (ad es., un
Preliminare): oggi, invece, si ritiene che possa accedere anche un contratto definitivo, anche se è
naturalmente più congeniale ad un contratto preliminare.
LA DISCIPLINA
In caso d'inadempimento, il contraente non inadempiente può scegliere tra:
 Recedere dal Contratto, ritenendo la caparra od esigendone il doppio;
 Chiedere l'Esecuzione o la Risoluzione.
In ogni caso, presupposto necessario è che vi sia inadempimento: il mero Ritardo non è di regola
sufficiente.
Se il contraente non inadempiente dichiara di ritenere la caparra (o pretende il versamento del
doppio) non può poi chiedere l’adempimento; viceversa, se chiede l’adempimento può poi
recedere e ritenere la caparra (o pretenderne il doppio); per parte sua il contraente inadempiente
che perde la caparra (o che si vede chiedere il doppio) non ne può chiedere la riduzione.
♦ Riduzione Equitativa → La Cassazione ha sempre negato che la C. Confirmatoria potesse essere
ridotta equitativamente: l'art. 1384 C.c. non sarebbe applicabile per analogia.
Le Ordinanze della Corte Costituzionale 248/2013 e 77/2014 hanno invece ammesso che il
Giudice possa, d'ufficio, ridurre la Caparra Confirmatoria.
La Corte Costituzionale, chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 1385 C.c. (questione, peraltro, ritenuta inammissibile e, quindi,
rigettata) ha incidentalmente affrontato l’argomento in esame e, nell’obiter dictum contenuto nella pronuncia in commento, ha ipotizzato che,
nell’ipotesi in cui un contratto preliminare sia caratterizzato dal versamento di una caparra confirmatoria ritenuta (eccessivamente) onerosa, detto
contratto possa porsi in contrasto con i principi di Buona Fede contrattuale e di Solidarietà Sociale di cui all’art. 2 Cost . e, pertanto, possa
addirittura essere ritenuto Nullo, parzialmente, ovvero integralmente, ai sensi dell’art. 1418 C.c..
Come sottolinea anche l'Analisi Economica, è pericoloso ammettere che il Giudice possa annullare il contratto perché la parte viene meno ai
doveri di solidarietà: il pericolo è sempre quello dell'arbitrarietà delle decisioni. (cfr. Sentenza Renault, Cassaz. 20106/2009).

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CAP. III - LA RAPPRESENTANZA


LA RAPPRESENTANZA VOLONTARIA: NOZIONE ed AMBITO
In un mondo dove acquistano sempre maggiore importanza i contratti conclusi da Enti Collettivi,
acquista sempre maggiore importanza la disciplina della Rappresentanza (artt. 1387-1400 C.c.),
al fine di tutelare gli enti contro gli abusi e gli eccessi del rappresentante; di contro, cala
l'importanza delle norme sui Vizi del Consenso, poiché la volontà dell'ente è anonima.
Questa è l'opinione di Trimarchi, che Sacco e De Nova accolgono.
Innanzitutto, ex art. 1387 C.c., la Rappresentanza è Legale o Volontaria: ciò che accomuna le due
ipotesi è la presenza d'una Parte Formale (il rappresentante, cioè colui che è parte del contratto) e
di una Parte Sostanziale (il rappresentato, cioè colui nella cui sfera si producono gli effetti) che, di
regola, in assenza di rappresentanza, coincidono in un unico soggetto, mentre qui sono scisse.
► Rappresentanza Volontaria (art. 1388 C.c.) → Il contratto concluso dal rappresentante, in
nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente
effetto nei confronti del rappresentato.
▪ “In Nome” → E' la c.d. spendita del nome o contemplatio domini.
Se da un lato la Giurisprudenza insiste sulla sua necessità, affinché il contratto produca
direttamente effetti nella sfera del rappresentato (c.d. Rappresentanza Diretta), dall'altro esclude,
talora, che la spendita del nome debba ad es. risultare dal contratto, o che debba operarsi per
formule solenni o particolari; altre volte si accontentano di un comportamento non equivoco;
ecc... . Ne ha quindi una concezione larga, tanto da considerarla valida anche se implicita;
▪ “Nell'Interesse” → Significa che si deve agire per conto del rappresentato.
Poiché il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi è efficace, pur essendo
invalido (è, infatti, annullabile – e non nullo – ex art. 1394 C.c.), si ritiene che anche se manca
l'elemento dell'“interesse” sorga comunque una valida rappresentanza: quindi, non è essenziale;
▪ “Nei Limiti dei Poteri conferitigli” → Se il rappresentante agisce oltre i limiti dei poteri
conferitigli, l'efficacia diretta non può prodursi, salvo che, ex art. 1399 C.c., l'interessato non
ratifichi.
► Ambito della Rappresentanza → Essa opera nell'ambito dei Contratti (tranne le Donazioni) e
dei Negozi Unilaterali tra Vivi (in forza dell'art. 1324 C.c.).
Si può ammettere, in via di principio, anche per Atti giuridici non Negoziali (es. messa in mora).
Invece, essa non opera per il Testamento e per i Negozi di Diritto Familiare.
► Effetti della Rappresentanza → Sacco e De Nova notano che la rappresentanza ex art. 1388
C.c. non è l'unico istituto in grado di produrre gli effetti visti sopra: è soltanto l'istituto più
frequente. Vi sono infatti altri istituti che producono gli stessi effetti:
▪ Gestione di Affari Altrui → Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l'interessato deve
adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui (art. 2031 C.c.).
Il gestore agisce nel nome e nell'interesse di altri in assenza dei necessari poteri: nonostante
ciò, si produce l'efficacia diretta;
▪ Estinzione dei poteri del Rappresentante ignorata dal Terzo contraente → Produce sempre
efficacia diretta, anche se l'ignoranza del terzo fosse imputabile ad un comportamento del
dominus; oppure la produce anche nel caso in cui il dominus ratifichi il contratto, ecc... .

IL CONFERIMENTO dei POTERI


Di regola, i poteri di rappresentanza volontaria si conferiscono con la Procura, che è un atto
unilaterale e recettizio.
Possono però essere conferiti mediante il Contratto (di mandato, di agenzia, di lavoro subordinato,
di società) che crei tra le parti un “Rapporto di Gestione”, vuoi come effetto naturale, vuoi in
forza di una specifica clausola a tal fine prevista dalle parti.

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Gli Autori si concentrano qui sulla Procura: il Terzo ne verrà a conoscenza attraverso la
contemplatio domini e, in aggiunta, potrà anche chiedere la Giustificazione dei Poteri (ex art.
1393 C.c.) al procuratore.
Altrimenti, il terzo potrà venirne a conoscenza anche durante l'esecuzione del contratto, attraverso
un Negozio Bilaterale di Accertamento con il Rappresentato, o con Atto Ricognitivo Unilaterale.
♦ Forma della Procura (art. 1392 C.c.) → La procura dev’essere conferita con le forme prescritte
dalla Legge per il contratto che il rappresentante deve concludere (forma per relationem).
▪ Qualora il rappresentante debba compiere un Atto Unilaterale, la forma sarà per relationem
soltanto se l'atto sia fra vivi ed abbia contenuto patrimoniale: altrimenti, c'è libertà nelle forme
per i meri atti giuridici (es. costituzione in mora);
▪ La Giurisprudenza ammette la Procura Informale se trattasi di Forma Convenzionale non
imposta per Legge;
▪ Se non è richiesta la forma scritta, è ammessa la Procura Tacita per fatti concludenti,
osservando le relazioni intercorrenti fra rappresentante e rappresentato di fronte ai terzi.
♦ Onere della prova dell'Esistenza dei Poteri → Spetta al Terzo dimostrare l'esistenza dei poteri
in capo a chi ha agito come rappresentante, se intenda addossare gli effetti del contratto al
rappresentato (il terzo quindi ritiene che ci sia rappresentanza).
Se invece il Terzo addossasse gli effetti del contratto al rappresentante (ritenendo come parte
“sostanziale” la controparte “formale” con cui ha contrattato, cioè il rappresentante), spetterà al
Rappresentante stesso dimostrare di aver concluso il contratto per altri.
♦ Limiti dei Poteri → Sono posti di regola dal Rappresentato; in alcuni casi è invece la Legge a
disporli (ad es., l'art. 808 C.p.c. stabilisce che chi abbia il potere di stipulare il contratto – quindi
anche al rappresentante – può anche convenire una Clausola Compromissoria).
Anche la Giurisprudenza di Cassazione ha previsto limiti tipici: ad es., il rappresentante non ha il
potere di approvare specificamente per iscritto la clausola vessatoria derogativa della competenza
territoriale del Giudice civile.
♦ Ambito della Procura → La procura abilita a porre in essere tutti gli atti necessari al
compimento di quelli per cui è stata conferita.
La Procura Generale non si estende agli Atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.
♦ Modifica o Revoca (art. 1396 C.c.) → Sono entrambi atti unilaterali recettizi.
Grava sul Rappresentato l'onere di portarle a conoscenza dei Terzi con mezzi idonei, ai fini della
loro opponibilità, salvo che si provi che i Terzi ne erano già a conoscenza.
(!) Ciò vale solo per la Procura Generale: in caso invece di Procura Speciale, il compimento
dell'atto per cui è stata rilasciata produce la cessazione degli effetti della procura anche nei
confronti dei Terzi.
Si ha Revoca Tacita (con medesima disciplina dell'onere probatorio) qualora il Rappresentato:
▪ Compia egli stesso l'affare per cui aveva conferito la procura;
▪ Dia la procura ad un diverso rappresentante, per lo stesso affare.
Per le altre cause di estinzione della Rappresentanza, non è previsto un onere di renderle note
ai Terzi: tuttavia, non possono esser loro opposte se questi le ignoravano senza colpa (ad es., la
morte del rappresentato).
Il Rappresentato ha quindi l'onere di dimostrare che i Terzi:
 O conoscevano già la modifica o la revoca della procura;
 O hanno ignorato per propria colpa l'estinzione della rappresentanza.

♦ Restituzione della Procura (art. 1397 C.c.) → Vi è tenuto il rappresentante, cessati i suoi poteri.
♦ Procura nell'Interesse del Rappresentante → Si ritiene ammissibile ex art. 1723 C.c.: qui la
procura può esser revocata solo per giusta causa, e non si estingue né per morte, né per
sopravvenuta incapacità, né (secondo la Giurisprudenza) per fallimento del Rappresentato.

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IL RAPPRESENTANTE SENZA POTERI


Ex art. 1398 C.c., colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri od
eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha
sofferto per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
La norma individua i casi di “Rappresentanza senza Potere”, che si profila in due fattispecie,
equiparate in quanto agli effetti (cfr. artt. 1398-1399 C.c.), ossia:
▪ “Difetto di Rappresentanza” → Si ha nelle seguenti ipotesi, cioè quelle in cui il rappresentante:
 Aveva i poteri, ma non li aveva più alla conclusione del negozio rappresentativo;
 Non ha mai avuto, di fatto, i poteri necessari o gli sono stati conferiti invalidamente;
 Non poteva avere quei poteri, in quanto il soggetto rappresentato ancora non esisteva (ad
es., si pensi ad una Società non ancora costituita).
▪ “Eccesso di Rappresentanza” → Che si ha quando il rappresentante abbia i poteri per agire
come tale, ma non li ha per concludere quello specifico negozio rappresentativo.
(!) Si distingue da tali ipotesi l'“Abuso di Rappresentanza”, che si ha in caso di conflitto
d'interessi fra rappresentato e rappresentante (questi ha i poteri, ma li usa contro l'interesse del
soggetto che rappresenta; v. infra).
(!) La disciplina dei contratti conclusi dal falsus procurator si applica anche ai Negozi Unilaterali
ed agli Atti Giuridici da lui posti in essere, ove compatibile (compresa la ratifica).

♦ Condizioni → Da un lato è necessario che il “falsus procurator” abbia speso il nome


dell'interessato. Dall'altro, è irrilevante che questi sapesse o meno di essere privo di poteri, così
come è irrilevante che il terzo sapesse che la sua controparte non fosse dotata dei poteri: questi
profili rileveranno solo in un secondo momento, per determinare la Responsabilità del procuratore.

♦ Gli Effetti del Contratto, Scioglimento e Ratifica → Al momento della conclusione, il contratto
rappresentativo non produce effetti tra:
▪ Terzo contraente ed Interessato: perché il falsus procurator difettava dei poteri;
▪ Terzo contraente e Falsus Procurator: perché quest'ultimo ha contrattato in nome di altri;
Il contratto produrrà effetti tra Interessato e Terzo solo in caso di Ratifica (art. 1399 C.c.), prima
della quale, comunque, il Terzo ed il Falsus Procurator possono, d'accordo fra loro, sciogliere il
contratto.
Si vuole così escludere un pentimento tardivo del Terzo, attuato tramite Recesso Unilaterale: le
parti, con la stipulazione, si sono vincolate a mantenere il contratto fino all'eventuale ratifica.
▪ Facoltà d'Interpello (art. 1399, comma 4, C.c.) → Attribuisce al Terzo la possibilità di
chiedere all'interessato di pronunciarsi entro un preciso termine sull'eventuale ratifica: è così
tutelato l'interesse del Terzo a che la ratifica non sopraggiunga ad eccessiva distanza temporale.

♦ L'Interessato → E' arbitro della sorte del contratto concluso dal falsus procurator. Può infatti:
▪ Agire in giudizio per far dichiarare l'Inefficacia del contratto (che non è rilevabile d'Ufficio):
è l'unico legittimato e l'azione è imprescrittibile;
▪ Restare inattivo: il contratto comunque non produrrà effetti nei suoi confronti. Se ha ricevuto un
interpello del terzo, il suo silenzio alla scadenza del termine rende il contratto definitivamente
inefficace.
▪ Ratificare il Contratto: la ratifica, in assenza d'interpello, è ammessa senza limiti di tempo.

♦ La Ratifica (art. 1399 C.c.) → La Ratifica è un Atto Unilaterale Recettizio che dev'essere
rivolta al terzo contraente o, quanto meno, dev'essergli comunicata: produce effetto nel momento
in cui il Terzo ne ha conoscenza.

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Non occorrono formule particolari: basta che la volontà di ratifica del dominus risulti in modo
inequivoco (ovviamente, il dominus deve avere conoscenza del negozio che sta ratificando).
▪ Forma (comma 1) → La Ratifica deve avere la stessa forma del Contratto Rappresentativo.
Se la forma è “libera”, la ratifica può anch'essere “Tacita”.
La Giurisprudenza ritiene che, dovendosi la Ratifica distinguere dalla “Convalida”, prevista in tema di contratto
annullabile, non possa considerarsi “Ratifica Tacita” l'iniziata esecuzione del contratto; gli Autori ritengono però
eccessiva tale impostazione, perché anche dall'esecuzione può dedursi la volontà del “dominus” di far propri gli
effetti del contratto.

(!) Giurisprudenza costante ritiene incensurabile, in sede di Legittimità, l'Accertamento del


Giudice di Merito sulla sussistenza della Ratifica.

♦ Retroattività della Ratifica (art. 1399, comma 2, C.c.) → La ratifica, con effetto retroattivo ex
tunc, conferisce ex post al falsus procurator la legittimazione che non aveva quando ha stipulato il
contratto. Vanno però fatte alcune precisazioni:
▪ La ratifica non vale a sanare Vizi od Invalidità (es. violenza, mancanza di forma, ecc...)
sussistenti al momento della stipulazione del contratto rappresentativo;
▪ In caso di ratifica, sono irrilevanti eventuali cause sopravvenute ostative alla valida
conclusione del contratto;
▪ La ratifica è posta nell'interesse del Terzo contraente e ne soddisfa l'Interesse Positivo
all'adempimento, se interviene;
▪ Con la ratifica, comunque, sono salvi i Diritti dei Terzi, dovendosi per “terzi” intendere,
secondo gli Autori, soltanto gli Aventi Causa dell'Interessato in data anteriore alla Ratifica.
Esempio → S'immagini un bene che l'interessato abbia già venduto ad un terzo: a questo punto, il falsus procurator vende quello
stesso bene ad un altro terzo: in questo caso, l'effetto retroattivo della ratifica dell'interessato, che lo rende “rappresentato”, non
può pregiudicare l’acquisto del terzo con cui ha stipulato in data anteriore alla ratifica.

♦ Responsabilità del “Falsus Procurator” → In caso di mancata ratifica, il Terzo ha diritto al


Risarcimento dal Danno subìto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Il diritto al risarcimento è quindi subordinato a tre presupposti:
1 ▪ Mancanza di Colpa del Terzo → Il terzo può esigere la giustificazione dei poteri: se non lo fa,
è il colpa? Di regola si ritiene di no, perché la giustificazione dei poteri non è un obbligo in capo
al terzo: quindi, l'omissione del controllo non è sufficiente per avere “colpa”.
 Ci sarà colpa del terzo se questi avrà contrattato con Persona notoriamente poco
corretta o se non si sia giovato dei Mezzi di Pubblicità prescritti dalla Legge.
 Non sarà in colpa se la convinzione di trattare con un vero rappresentante sia indotta dal
comportamento del “falsus procurator”.
(!) L'onere di provare la Colpa del Terzo grava sul “Falsus Procurator”.
2 ▪ Interpello dell'Interessato → Gli Autori ritengono, come presupposto del risarcimento, che il
terzo abbia provveduto all'interpello, cui sia poi seguito il rifiuto od il silenzio dell'interessato;
3 ▪ Consapevolezza del “Falsus Procurator” di essere privo dei poteri.

In presenza di tali presupposti, si ha Responsabilità Precontrattuale del “Falsus Procurator”,


riconducibile all'art. 1338 C.c. (Conoscenza di cause d'invalidità: il falsus procurator avrebbe
omesso di rivelare che era privo dei necessari poteri).
▪ Il risarcimento è perciò limitato all'Interesse Negativo (spese sostenute, occasioni perdute ed
attività impiegata nelle trattative);
▪ (!) La Giurisprudenza e la Dottrina maggioritarie ritengono che tale responsabilità sia di natura
Extracontrattuale (art. 2043 C.c.);
▪ L'azione si prescrive in 5 anni, decorrenti dalla conclusione del contratto.

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IL RAPPRESENTANTE APPARENTE
Si è quindi visto che chi contratta con un rappresentante senza poteri ha una tutela limitata.
Ex art. 1396 C.c., il Contratto Rappresentativo ha effetto soltanto se il difetto di poteri è dovuto
alla Modificazione, alla Revoca o altra Causa di Estinzione della Procura, a condizione che il
Terzo contraente abbia senza sua colpa ignorato tali eventi.
(!) Una costante Giurisprudenza ritiene inoltre che il contratto abbia effetto anche nel caso in cui il
Terzo ritenga che il “falsus procurator” abbia i poteri, e tale erronea convinzione sia dovuta a
colpa del “Dominus Negotii”, cioè a colpa di colui il cui nome è stato speso (= l'interessato).
Ovviamente cade su chi invoca il Principio dell'Apparenza (cioè sul terzo) l'onere di provare la
colpa del Dominus.
In tale ipotesi, sarà il terzo contraente ad essere “arbitro” degli effetti del contratto rappresentativo: a sua scelta, in fatti,
potrà dedurre l'inefficacia del contratto ed agire nei confronti del falsus procurator per il risarcimento del danno; o
potrà agire nei confronti del dominus per l’esecuzione del contratto.
N.B. → Tuttavia, l’errore del Terzo è giudicato inescusabile quando avrebbe potuto essere evitato
impiegando la normale prudenza nella condotta degli affari e giovandosi degli strumenti legali di
pubblicità, o quando il conferimento dei poteri rappresentativi deve avvenire per iscritto.
In caso di necessaria procura scritta, alcuni – Benatti – parlano di “impossibilità tecnica” di configurare una procura apparente.

L'imputabilità dell’errore al “Dominus” viene riconosciuta soprattutto quando questi non si sia
preoccupato di rendere noto ai terzi che sono intervenuti mutamenti rispetto al passato (es.
procura del rappresentante scaduta).
► Il Principio dell'Apparenza (che si applica quando il fenomeno concreto non ha le
caratteristiche giuridiche richieste, ma siccome si genera un affidamento sul fatto che quel
fenomeno esista correttamente, quel fenomeno diventa giuridicamente rilevante), vale soprattutto ad
estendere l'ambito della Procura Tacita e della Inopponibilità dell'Estinzione della Procura.
La ratio è ad es. la stessa dell'art. 1189 C.c. sul “Creditore Apparente”: il debitore che esegue il pagamento a chi
appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato, se prova di esser stato in buona fede.

I VIZI del CONTRATTO RAPPRESENTATIVO


Perché il contratto rappresentativo sia valido, sono richiesti alcuni requisiti:
♦ Capacità del Rappresentante e del Rappresentato (art. 1389 C.c.) → E' necessario che:
▪ Il Rappresentato sia Legalmente Capace e che quel Contratto non gli sia vietato;
▪ Il Rappresentante abbia Capacità d'Intendere e di Volere (può essere anche un bambino).

♦ Vizi della Volontà (art. 1390 C.c.) → Sono rilevanti soltanto i Vizi della Volontà del
Rappresentante; se però il vizio riguarda elementi predeterminati dal Rappresentato, il
contratto sarà annullabile solo se la volontà di quest'ultimo risulti viziata.

♦ Stati Soggettivi Rilevanti (art. 1391 C.c.) → Nei casi in cui rilevano gli stati di buona o mala
fede, di scienza o di ignoranza di date circostanze, si ha riguardo al Rappresentante, sempre salvo
che non si tratti di elementi predeterminati dal Rappresentato.
▪ Rappresentato in Mala Fede → Non può giovarsi della buona fede o dell'ignoranza del
Rappresentante. Può giovarsene solo se in buona fede;
▪ Rappresentante in Mala Fede → Secondo gli Autori, la mala fede va qui comunque riferita al
Rappresentato, anche se in buona fede.
▪ Si ritiene che, in tema di Azione di Rescissione, lo stato di bisogno vada accertato con
riferimento al Rappresentato, e non al rappresentante.

► Conflitto d'Interessi fra Rappresentante e Rappresentato (art. 1394 C.c.) → Il contratto


concluso dal Rappresentante in conflitto d'interessi col Rappresentato può essere annullato su
domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal Terzo.

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In tema di Conflitto d'Interessi, occorre fare i seguenti rilievi:

♦ Legittimato all'Impugnazione per Conflitto d'Interessi → E' solo il Rappresentato; inoltre, il


conflitto d'interessi non è rilevabile d'ufficio dal Giudice.

♦ Onere della Prova → Spetta al Rappresentato dimostrare che il conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal Terzo.

♦ Prescrizione Quinquennale → Il termine decorre dalla Conclusione del Contratto.

♦ Danno Potenziale → Ai fini dell'annullamento basta che la conclusione del contratto sia
potenzialmente dannosa per il Rappresentato: l'iniziata esecuzione del Terzo non esclude
l'impugnabilità del contratto.
Es.: in materia di Titoli Quotati non può esservi conflitto, perché non può aversi divergenza tra prezzo pattuito e prezzo di mercato.
▪ La Giurisprudenza esclude il conflitto se il contratto sia stato concluso a condizioni migliori
di quelle che avrebbe ottenuto il rappresentato.
▪ La Giurisprudenza non ritiene che ci sia sempre conflitto in caso di contratto concluso a
condizioni deteriori: ciò può però costituire un indizio a favore del conflitto d'interessi.

♦ Preordinazione ed Autorizzazione → Il contratto non è annullabile se il Rappresentato aveva


specificamente preordinato le condizioni di contratto, o ne aveva autorizzato la conclusione.

♦ Giudizio di Legittimità → In sede di legittimità è incensurabile l'accertamento sulla sussistenza


del conflitto d'interessi operato dal Giudice di merito.

♦ Sussistenza del Conflitto → Deve sussistere alla conclusione del Contratto.


Il conflitto anteriore o posteriore alla conclusione è irrilevante, con una precisazione: gli Autori
non ritengono che si possa escludere l'annullabilità qualora il conflitto anteriore sussista nella fase
delle trattative o della definizione delle condizioni essenziali del contratto.
In altre parole, per escludere l'impugnabilità occorre che almeno le condizioni essenziali siano state pattuite in assenza
di conflitto d'interessi: se prima c'era, o se verrà dopo, è irrilevante.

► Contratto con se stesso (art. 1395 C.c.) → E' una particolare ipotesi di conflitto d'interessi, in
cui il rappresentante conclude il contratto in proprio o come rappresentante di altri.
E' annullabile su istanza del Rappresentato (unico legittimato all’impugnativa), sempre che
quest'ultimo non lo abbia autorizzato specificatamente o il contenuto del contratto non sia
predeterminato dal rappresentato in modo da escludere il conflitto di interessi.
Esempio → Si pensi all'amministratore di una società che assuma se stesso come dipendente.

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LA RAPPRESENTANZA LEGALE
Ex art. 1387 C.c., il potere di rappresentanza è conferito anche dalla Legge.
Rappresentanza Legale e Volontaria hanno in comune la sostituzione di un soggetto al titolare degli interessi per la
conclusione di contratti; ma, nella prima, il Rappresentante (Legale) opera in base ad un potere che gli compete come
proprio in relazione ad un ufficio di diritto privato e, di conseguenza, non spende il nome altrui.

Quali norme sono applicabili alla Rappresentanza Legale, e quali no?

► Sono Applicabili le seguenti norme:


▪ Art. 1388 C.c. → Anche la R. Legale produce direttamente effetto per il rappresentato;
▪ Artt. 1390-1391 C.c. → Si ha sempre riguardo ai vizi della volontà ed agli stati soggettivi
rilevanti del Rappresentante.
Di contro, non può però operare la limitazione relativa alla predeterminazione di elementi del
contratto da parte del rappresentato (se incapace), né può avere rilevanza la sua mala fede;
▪ Art. 1393 C.c. → Anche al Rappresentante Legale può chiedersi la Giustificazione dei Poteri;
▪ Art. 1399 C.c. → Il rappresentante legale, od il rappresentato – una volta cessata la causa
d'incapacità – possono procedere alla Ratifica.

► Viceversa, Non sono Applicabili le seguenti norme:


▪ Art. 1389 C.c. → La regola sulla capacità del rappresentante e del rappresentato è inapplicabile
perché, nella R. Legale, solo il Rappresentante ha capacità negoziale;
▪ Art. 1392 C.c. → La regola della forma “per relationem” della procura col contratto
rappresentativo è una regola applicabile esclusivamente alla R. Volontaria;
▪ Artt. 1394-1395 C.c. → Le norme sul conflitto d'interessi, basandosi sulla ratio di una
reazione del rappresentato, sono ovviamente inapplicabili alla R. Legale: in tali casi, il Giudice
provvederà alla nomina d'un Sostituto, oppure stabilità un Divieto al Rappresentante Legale di
compiere certi atti;
▪ Art. 1396 C.c. → Il Rappresentato Legale, naturalmente, non può modificare o revocare i
poteri del Rappresentante Legale.
Inoltre, le vicende della R. Legale sono soggette a particolari forme di Pubblicità;
▪ Art. 1398 C.c. → Poiché si è detto che la R. Legale è accompagnata da particolari forme di
Pubblicità, agli Autori non sembra possibile che il Terzo possa confidare “senza sua colpa”
nella validità del contratto.

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CAP. IV - IL CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE


NOZIONE ed AMBITO
Ex art. 1401 C.c., si ha Contratto per persona da nominare quando, al momento di concludere il
contratto, una parte (c.d. “Stipulante”) si riserva la facoltà di nominare successivamente la
persona (c.d. “Eletto”) che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto
stesso.
Se la Dichiarazione di Nomina (c.d. “Electio Amici”):
▪ Art. 1404 C.c. → E' fatta validamente, l'Eletto acquista “ex tunc” i diritti e assume gli
obblighi derivanti dal contratto;
▪ Art. 1405 C.c. → Non è fatta validamente, il Contratto produce i suoi effetti tra i contraenti
originari, e cioè fra il promittente e lo stipulante.
L'istituto è anteriore al Codice del '42, ma era disciplinato solo in casi specifici e, soprattutto, ai fini fiscali; tuttavia
aveva un'ampia diffusione nella prassi: di qui, la sua codificazione.

♦ Scopo → L'istituto viene utilizzato in particolare qualora l'eletto non voglia comparire subito.
Potrebbero esservi motivi personali: ad es., si pensi ad un imprenditore che voglia acquistare un ramo d'una azienda concorrente e
tema che, se figurasse egli come acquirente, gli alienanti gli chiederebbero un prezzo maggiore (Torrente).

E' frequente il ricorso all'istituto nei contratti che hanno ad oggetto partecipazioni sociali: il “Sale
and Purchase Agreement” è concordato e sottoscritto da un soggetto (ad es., la Holding) che si
riserva la facoltà di nominare un altro soggetto (ad es., una controllata) per il closing.

♦ Qualificazione → La dottrina ha elaborato varie concezioni dell'istituto; un tema molto dibattuto


è il Momento in cui si producono gli effetti; le tesi principali sono due:
▪ Alla Conclusione → Tesi sostenuta anche dagli Autori: se infatti per l'eletto gli effetti si
producono retroattivamente dalla conclusione del contratto, sembra logico che essi si producano
anche per lo stipulante dallo stesso momento.
(!) In pendenza della nomina, quindi, è “parte” lo Stipulante, e non l'eligendo.
▪ Alla Scadenza del Termine per l'“Electio” → Tesi non condivisibile, in base a quanto su detto.

♦ Limiti → L'istituto è una figura generale, ma non può trovare sempre applicazione.
▪ E' innanzitutto necessario che la persona di uno dei contraenti sia fungibile, cioè che sia
indifferente se sarà parte l'eletto o lo stipulante: sicuramente, non potrà applicarsi l'istituto
laddove una parte sia specificamente imposta per Legge;
▪ Si ritene necessario che si tratti di Contratto a Prestazioni Corrispettive non ancora eseguite:
gli Autori sono però un po' scettici sul punto, tanto più che la norma tace sul punto;
Lo stesso limite è invece espressamente previsto in caso di Cessione del Contratto (v. art. 1406 C.c.).

♦ Ambito applicativo → La riserva di nomina può essere apposta ad un contratto ad Effetti Reali,
ad Effetti Obbligatori, ad un contratto Preliminare e ad un contratto Definitivo.
E' altresì ammesso il Contratto Preliminare di Contratto per Persona da nominare.

► Contratto per conto di chi spetti → Qui, chi agisce, agisce espressamente in nome e per conto
altrui, e non diventa parte del contratto.
E' un istituto previsto in tre casi:
 Rivendita della cosa sospetta di essere viziata (art. 1513 C.c.);
 Per la cosa trasportata, in caso di controversia sulla riconsegna, di ritardo del destinatario nel
riceverla, o di deperibilità (art. 1690 C.c.);
 Per l'Assicurazione (art. 1891 C.c.).

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LA DICHIARAZIONE di NOMINA
Ex art. 1402, comma 2, C.c., l'Electio Amici è validamente operata qualora:
▪ Esista una Procura Anteriore al contratto;
▪ Sia intervenuta l'Accettazione dell'Eletto: tale accettazione dev'essere contestuale alla
dichiarazione, onde evitare che il promittente si trovi nell'incertezza sull'identità della controparte.
Naturalmente, l'accettazione deve intervenire entro il Termine (v. infra).
Lo stipulante può anche nominare più soggetti; può anche restare parte del contratto ed
aggiungere a sé altri soggetti, se così dispone la clausola di riserva.
♦ Formule e Forma → La dichiarazione di nomina non richiede Formule Sacramentali.
Quanto alla Forma, essa è, “per relationem”, la stessa del contratto, anche se trattasi di forma
convenzionale.
Se l'atto è soggetto a Trascrizione, la dichiarazione di nomina dev'essere trascritta, a tutela
dell'eletto (artt. 2645 e 2684 C.c.).
♦ Termine → E' un termine di Decadenza, non rilevabile d'ufficio dal Giudice: l'art. 1402 C.c. lo
fissa in 3 giorni dalla stipulazione, salvo un diverso termine pattuito dalle parti.
▪ L'eventuale Dichiarazione Tardiva non produce effetto: al massimo, potrà dar luogo ad una
Cessione del Contratto.

EFFETTI della DICHIARAZIONE di NOMINA, o della MANCATA DICHIARAZIONE


Se lo stipulante scioglie la riserva e fa validamente la dichiarazione di nomina, l'eletto acquista i
diritti ed assume gli obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu
stipulato (art. 1404 C.c.): ossia, diviene “parte del contratto”.
Altrimenti, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari (art. 1405 C.c.) qualora lo
stipulante:
▪ Rinunci alla facoltà di scelta, sia espressamente (ad es., nominando se stesso), sia tacitamente,
tenendo cioè un comportamento incompatibile con la volontà di nominare un terzo (ad es.,
alienando ad un terzo il bene acquistato con il contratto originario);
▪ Lasci trascorrere il termine, senza nominare nessuno;
▪ Nomini il terzo, ma con una dichiarazione invalida.

PROFILI FISCALI
Il rispetto del termine di tre giorni è il principale presupposto perché, ai fini fiscali, l’operazione
possa essere considerata come costituita da un unico contratto, e non da due contratti (il primo
fra i contraenti originari ed il secondo fra lo stipulante e l’eletto).
Ciò è utile affinchè l'Atto di Nomina sia sottoposto alla sola Tassa fissa, a condizione che sia
redatto per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o che sia presentato per la registrazione
entro il termine di 3 giorni.
Altrimenti, è dovuta l'imposta stabilita per l'atto cui si riferisce la dichiarazione.

La disciplina in esame è data dall'art. 32 del D.P.R. 131/1986.


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Nota:
Si può definire il Contratto per Persona da Nominare (Torrente) come una Rappresentanza Eventuale “in incertam
Personam”.
 Innominata o “in incertam personam”, perché il terzo dichiara di agire in nome altrui, ma non rivela la persona per
cui agisce;
 Eventuale perché, se la nomina non interviene nei tempi previsti o se mancano la procura anteriore alla conclusione
del contratto ovvero l'accettazione contemporanea all'electio amici, il fenomeno rappresentativo non si produce (artt.
1402 e 1405 C.c.) ed il contratto dispiega i propri effetti tra stipulante e promittente.

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CAP. V - IL CONTRATTO A FAVORE DI TERZO


LA FATTISPECIE
Ex art. 1411 C.c., si ha Contratto a Favore di Terzo quando le parti, negoziando in nome
proprio, convengono che un terzo acquisti un diritto, purché sussista un interesse dello stipulante
alla contrattazione.
▪ Il Terzo acquista il diritto per effetto della sola stipulazione; deve però dichiarare di volerne
profittare: altrimenti, prima di tale dichiarazione, lo stipulante può sempre modificare o revocare
il beneficio;
▪ In caso di Revoca dello Stipulante o di Rifiuto del Terzo, la prestazione resta a beneficio dello
stipulante, salvo diversa previsione del contratto.
♦ Revocabilità della Proposta → Si è detto che il terzo acquista il diritto per effetto della sola
stipulazione: tuttavia, solo la sua Accettazione rende irrevocabile la proposta. Perché?
Secondo gli Autori, un tale sistema può favorire la creazione di affidamenti destinati a frustrazioni
ritenute “assurde”, in caso ovviamente di revoca della prestazione.
Sulla base di profonde simmetrie ravvisate fra gli artt. 1411 e 1333 C.c., gli Autori ritengono che il
beneficio in capo al terzo dovrebbe essere irrevocabile non appena questi ne abbia conoscenza, a
prescindere dalla sua accettazione.
♦ Interesse dello Stipulante → Cosa si intende con tale espressione?
▪ L’interesse dello stipulante è particolarmente evidente quando sia tutt'uno con l’interesse del
terzo alla prestazione; ad es., associato che stipula per l'associazione;
▪ Più latamente, lo stipulante può avere interesse alla vicenda giuridica o alla prestazione perché
essa gli procura un Acquisto od una Liberazione (ad es., pattuisco con Tizio che questi dia del
denaro a Caio, cui io stesso devo dei soldi a titolo di mutuo);
▪ Fuori di questi casi, l’interesse dello stipulante può essere anche solo “Morale”: si pensi. ad es.,
ad una liberalità che lo stipulante voglia fare al promittente.
N.B.: la presenza d'una liberalità a favore del terzo non basta a render liberale la Causa del
negozio: non serve perciò la forma dell'atto pubblico con testimoni, propria della Donazione.
(!) Non distinguendo la norma fra interesse patrimoniale e morale, sembra che il contratto
concluso senza un valido interesse sia solo quello privo di ogni motivazione, cioè quello concluso
dal soggetto incapace o dal soggetto la cui volontà sia viziata.
♦ Causa del Contratto → Il contratto a favore del terzo ha una sua causa: la promessa opera, nei
confronti del terzo, come promessa fondata sul contratto causale, e non come promessa “astratta”.
L'art. 1413 C.c. conferma tale visione, stabilendo che il promittente possa opporre al terzo tutte
le eccezioni fondante sul contratto.

IL TERZO, nella FATTISPECIE e negli EFFETTI del CONTRATTO


La Dichiarazione del Terzo non è necessaria per la conclusione del contratto: perciò, i suoi vizi
non viziano il contratto.
(!) Secondo gli Autori, potrebbero avere invece rilevanza i Vizi del Mancato Rifiuto.
♦ Effetti → Il Terzo acquista un vero e proprio Diritto, azionabile in giudizio.
Non vi sarà quindi contratto a favore di terzo se promittente e stipulante procurino al terzo un
semplice vantaggio economico, diverso da un diritto.
Il terzo ha un diritto autonomo e può farlo valere contro il promittente senza intervento dello
stipulante: problemi sorgerebbero però se il terzo volesse agire in Risoluzione, sia perché non ha la
disponibilità del diritto dello stipulante, e perciò non può travolgerlo con la sua iniziativa, sia perché
non ha interesse a cancellare il controdebito dello stesso nei confronti del promittente.

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Il diritto del favorito rientra nei diritti acquistati dai terzi ai sensi dell’art. 1458 C.c.: perciò,
dovrebbe sopravvivere all’eventuale Risoluzione del contratto promossa da uno dei contraenti.

L'AMBITO
Gli Autori ritengono che tutti quei negozi volti a costituire un diritto in capo ad un soggetto
estraneo (accollo, stipulazione del mandatario senza rappresentanza, gestione di affari altrui, ecc...)
possano costituire, concettualmente, stipulazioni a favore del Terzo.
Tuttavia, nessuno ha mai fatto assurgere il regolamento di cui agli artt. 1411 e ss. C.c. a
regolamento generale per tali ipotesi.

Secondo alcuni l’ambito di applicazione della stipulazione a favore di terzi sarebbe limitato agli
Effetti Obbligatori: tale concezione deriva dal fatto che la norma descrive il soggetto del sacrificio
giuridico come “il Promittente”, cioè “colui che si obbliga a qualcosa”.
Più di recente, in particolare in Giurisprudenza, si è diffusa l’idea che essa possa estendersi agli
Effetti Reali, potendosi intendere “il promittente” anche come “l'alienante”, cioè colui che trasla
un diritto reale.
Contro l’efficacia reale del contratto a favore del “terzo non ancora accettante” militano le stesse ragioni che si possono
invocare contro l’efficacia reale della promessa di cui all’art. 1333 C.c., ma queste riserve operano solo nell’area dei
diritti reali che comportano oneri, e cessano di operare se il terzo accetta.

LA REVOCA ed il RIFIUTO
Se lo stipulante revoca la stipulazione, o se il terzo rifiuta di profittarne, la prestazione rimane a
beneficio dello Stipulante.
La Revoca è ritenuta, anche qui, un Atto Unilaterale Recettizio (cfr. Cassaz. 371/1955).
▪ Lo Stipulante, ad ogni modo, può rinunciare per iscritto al potere di Revoca;
▪ Prestazione da eseguire dopo la Morte dello Stipulante (art. 1412 comma 1 C.c.) → Il
negozio assume un aspetto intermedio fra l’atto tra vivi e la disposizione mortis causa.
In questo caso, né la stipulazione, né la dichiarazione del terzo di accettazione bloccano il
potere di revocazione dello stipulante (il quale può revocare anche mediante disposizione
testamentaria);
▪ Terzo che premuore allo Stipulante (art. 1412 comma 2 C.c.) → La prestazione dev’essere
eseguita a favore degli Eredi, purché il beneficio non sia stato revocato, o lo stipulante non abbia
disposto diversamente.

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SEZIONE XII: LA PREPARAZIONE DEL CONTRATTO - R. Sacco -


CAP. I - LA TRATTATIVA
L'INDUZIONE a CONTRARRE. L'INVITO a PROPORRE
La proposta e l’accettazione sono quasi sempre precedute da preannunci della propria
disponibilità a contrarre e, soprattutto, da un’attività volta a propiziarsi il consenso della
controparte (es. diffusione di volantini, iniziative per attirare l'attenzione, ecc...).
In questa attività prende spicco la “Trattativa”, ossia il preannuncio almeno eventuale di una
propria disponibilità a negoziare una qualche prestazione o bene indicato in modo specifico o
generico.
E' fondamentale capire cosa sia quindi la vera e propria “Proposta od Offerta”, per distinguerla
dalle attività suddette: innanzitutto, essa deve riportare gli Elementi Essenziali del Contratto.
▪ In base alla Convenzione di Vienna, si richiede anche che l'offerta indichi la merce o preveda
regole per determinare le merci ed il prezzo.
E' inoltre richiesta l'intenzione del dichiarante di vincolarsi.
► Offerta al Pubblico (art. 1336 C.c.) → L'offerta al pubblico, quando contiene gli estremi
essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti
diversamente dalle circostanze o dagli usi.
La Revoca dell'offerta, se è fatta nella stessa forma dell'offerta od in forma equipollente, è efficace
anche in confronto di chi non ne abbia avuto notizia.
▪ L'esposizione di un articolo in vetrina, con indicazione di prezzo, vale come offerta al pubblico;
▪ E' offerta rivolta al pubblico quella delle macchinette distributrici;
▪ La Pubblicità inserita in periodici e quotidiani, gli avvisi esposti nelle agenzie di affari sono
semplici inviti;
▪ L'invio di un catalogo è un semplice invito.

TRATTATIVA e DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


Il testo che reca tutte le clausole, ma che non è ancora un contratto, si chiama “Minuta” o
“Puntuazione”, col quale le parti, durante le trattative, mettono per iscritto i punti sui quali hanno
già raggiunto l'accordo.
A tale svolgimento si dà il il nome di “Formazione Progressiva del Contratto”: ma come si fa a
capire quando si è ancora in fase di trattativa o si è raggiunta la conclusione dell'accordo?
▪ La distinzione potrebbe ricondursi alla volontà delle parti;
▪ Oppure, potrebbe dirsi concluso il contratto qualora le parti abbiano definito tutti i punti,
principali e secondari, che devono essere regolati;
▪ Infine, potrebbe aversi conclusione quando siano definiti solo tutti i punti essenziali.
(!) Sacco ritiene che, in materia, occorre rispettare l'Intento manifestato dalla Parte: in altre
parole, la Puntuazione non vincola, nemmeno se contiene tutti gli elementi essenziali, qualora
non risulti che le parti volessero vincolarsi. Se ciò risultasse, allora si avrà contratto vincolante.
♦ Clausola Limitativa dell'Efficacia → Si può inserire nella dichiarazione, e consente di
caratterizzare quest'ultima solo come “trattativa”, e non come atto negoziale (ad es., si pensi alla
dicitura “senza impegno”). Gli scopi sono vari; fra essi:
▪ Consentire ad es. la revoca di una proposta contrattuale altrimenti irrevocabile;
▪ Spogliare di valore una proposta.
♦ Clausola “Salvo Approvazione della Casa” → Mira precisamente ad impedire la conclusione
del contratto ad opera dell'intermediario, stabilendo chiaramente che, in ordine alla conclusione
del contratto redatto sul modulo, l'intermediario non ha poteri o, comunque, non vuole esercitarli.
L'intermediario rappresenta dunque la Casa nella mera recezione della proposta, ma non
nell'accettazione.

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L'ART. 1337 C.C. e la STRUTTURA della VIOLAZIONE


Ex art. 1337 C.c., le Parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto,
devono comportarsi secondo Buona Fede (oggettiva).
► La Giurisprudenza, con una serie numerosa di decisioni, ha fatto inizialmente un’applicazione
riduttiva dell’art. 1337 C.c., limitata all’area del Recesso Ingiustificato dalla Trattativa.
Tale responsabilità richiede:
▪ L'Affidamento della controparte → Sacco ritiene, in generale, che possa sorgere un valido
affidamento tutelabile solo alla conclusione del contratto, cioè quando vi è il consenso del
promittente.
Nella Trattativa, l'affidamento può sorgere soltanto in caso di Proposta Irrevocabile, ed in casi
analoghi fra cui: promessa informale di concludere un contratto formale; proposta revocabile,
ma formulata come “certa”; ecc... ;
▪ Che il Recesso sia “Ingiustificato” → Il recesso è giustificato solo se sopravvengono fatti che
rendono l'affare meno conveniente (ad es., offerte di terzi più vantaggiose).
In assenza di tali giustificazioni, esso è ingiustificato: non occorre la mala fede, basta la Colpa
per dar luogo a responsabilità.
▪ Che vi sia un Danno del contraente deluso → E' rilevante nei limiti dell'Interesse Negativo.

► Sacco, invece, ritiene che la Conclusione del Contratto non esclude l'art. 1337 C.c.: anche la
negoziazione che ha condotto alla formazione o conclusione del contratto è regolata da tale norma,
e la Giurisprudenza sembra oggi sensibile a tale orientamento.
Tant'è, che l'Autore ritiene che l'art. 1337 C.c. si presti alle più ampie applicazioni: ad es., egli
ritiene che se non esistessero gli specifici articoli sul Dolo e la Minaccia, che prevedono il rimedio
“forte” dell'invalidità del contratto, subentrerebbe l'art. 1337 C.c. in via sussidiaria.

L'ART. 1337 C.C., il SISTEMA ed i PROBLEMI


Senz'altro l'art. 1337 C.c. disciplina la condotta delle parti durante la trattativa.
Che dire della condotta del Terzo in malafede? E della condotta delle Parti prima delle
trattative?
In entrambi i casi, la conclusione d'un contratto dannoso comporterebbe un danno ingiusto: in ogni
caso, se non si applicasse l'art. 1337 C.c., si applicherebbe l'art. 2043 C.c.: ci sarebbe una tutela.
Il problema è solo “di sistema”: che articolo deve scrivere il Giudice nella sentenza?
► Sacco ritiene che il divieto di agire slealmente è diretto a tutti: ai privati ed anche alla P.A.,
senza che si leda il principio di discrezionalità amministrativa.
(!) Deve quindi trovare applicazione l'art. 1337 C.c., in quanto specificazione dell'art. 2043 C.c..
▪ Non è di regola responsabile il Minore che conduca personalmente la trattativa: infatti, egli è
considerato “incapace” e, in quanto tale, concluderebbe un contratto che, comunque, non
sarebbe tenuto ad adempiere (una responsabilità residua potrebbe individuarsi in caso di condotta
spregevole del minore – ad es., teppista che chiama un taxi per scherzo –);
▪ Anche il Terzo è responsabile, sia egli autore materiale del raggiro o della violenza, o sia un
qualunque altro terzo.

♦ Elemento psicologico → Tale responsabilità si ha anche a titolo di semplice Colpa: infatti, la


buona fede precontrattuale è un insieme di obblighi standardizzati di non ingannare, di non abusare,
di non recedere, ecc... .
Certamente, il Dolo (malizia) rileverà in caso di comportamenti leciti, posti in essere col fine di
danneggiare l'altro: ad es., si può revocare l'offerta, ma è illecito fare la proposta sapendo già che
questa verrà revocata.

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♦ Il concetto di “Trattativa” nell'art. 1337 C.c. → Sarebbe irragionevole ritenere inoperante tale
articolo fino all'inizio della trattativa: altrimenti, resterebbe impunita la slealtà.
Per “trattativa” deve quindi intendersi, più latamente, l'attività collegata con un futuro contratto o
con un affidamento precontrattuale.
♦ Conclusione o meno del Contratto → Alcuni ritengono che l'art. 1337 C.c. si applicherebbe
solo in caso di mancata conclusione del contratto: si pensi alla nostra giurisprudenza che, in
passato, riduceva la colpa precontrattuale solo al caso del recesso ingiustificato.
(!) Sacco, invece, ritiene che la Conclusione del contratto non osti al Risarcimento quando
l'attore abbia stipulato a condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite con un
contegno leale della controparte convenuta (Dolo Incidente, art. 1440 C.c.).

FIGURE NOTEVOLI di CONDOTTA LESIVA


Principale compito dell'interprete consiste nel tratteggiare le varie figure di condotta sleale,
desumendole dall'esperienza reale o lavorando su ipotesi.
♦ Princìpi Unidroit → Fra le figure in questione, si indicano:
▪ L'inizio o la prosecuzione di trattative con l'intenzione di non concludere;
▪ La diffusione o l'utilizzo di informazioni confidenziali ricevute durante le trattative.
♦ Esperienza Francese → In Francia, oltre alle due ipotesi già contemplate dai Princìpi Unidroit, si
aggiunge la rottura brutale o dannosa della trattativa medesima.
♦ Giurisprudenza Italiana → Considera il recesso ingiustificato, ma si è detto che l'art. 1337 C.c.
può estendersi ad ogni ipotesi di trattativa inconcludente.

► Sacco individua specifiche applicazioni dell'art. 1337 C.c.:


▪ Divulgare od approfittare di tecniche segrete della controparte, a danno di quest'ultima, pone
questioni di responsabilità delittuale, o di arricchimento ingiustificato;
▪ Rifiutarsi di rilasciare o non ottemperare alla richiesta di una Prova di un fatto o di un diritto
(es. ricevuta, ricognizione, ecc...; si tratta di documenti utili a prevenire liti e contestazioni);
▪ Il Rifiuto, se frutto dell'inganno o della violenza di controparte, è inoperante;
Esempio → Si pensi al creditore che rimetta un debito e poi minacci il debitore facendogli dichiarare di non volerne profittare.

▪ L'omessa Accettazione dell'oblato dipesa da un impedimento provocato dal proponente


comporterà la remissione in termini dell'oblato stesso;
▪ L'omessa Offerta di chi era libero di proporre in forza di un preliminare si ha per inesistente
qualora l'omissione derivi da impedimento provocato da chi era obbligato ad accettare, sempre in
forza del preliminare; lo stesso può dirsi per l'omesso Rifiuto;
▪ L'omessa Revoca, secondo Sacco, ha un trattamento diverso: non revocare qualcosa che va
revocato, rimanda infatti più al tema dei vizi della proposta non revocata;
▪ Infine, ulteriori doveri di correttezza gravano sui contraenti in merito al verificarsi delle
Condizioni (impedirne l'avveramento equivale a farla avverare), o all'avverarsi di comportamenti
od al perfezionarsi di atti rimessi al beneplacito di terzi (ad es., la parte negozia e non promuove
l'atto amministrativo che vale come condizione).

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NATURA e MISURA della RESPONSABILITA'


Si è detto che, in assenza dell'art. 1337 C.c., interverrebbe l'art. 2043 C.c. in via sussidiaria: l’art.
1337 C.c. interpreta l’art. 2043 C.c. per rendere incontestabile che il danno arrecato con la slealtà
precontrattuale sia ingiusto.

Perciò trattasi di Responsabilità Extracontrattuale: ne segue, quindi, che il debito sia Debito di
Valore, non soggetto al principio nominalistico.
Così si orientano Giurisprudenza e Dottrina prevalenti.

Idea della natura extracontrattuale va di pari passo con la conclusione, definita in via pretoria
nell'ambito del Recesso Ingiustificato, che i danni risarcibili corrispondono all’Interesse
Negativo: al recedente si rimprovera non tanto la mancata conclusione del contratto, quanto l'aver
procurato un'illusione in merito alla conclusione stessa.
(!) Sacco, però, sottolinea che quella dell'interesse negativo sia solo una delle molte regole che
intervengono per sanzionare la responsabilità precontrattuale: infatti, vi sono forme di protezione
che non possono limitarsi al risarcimento dei danni causati dalla semplice illusione.
Ad esempio:
▪ Quando la trattativa comporti un'Indebita Lesione di un Bene che appartiene alla vittima (ad
es. violazione d'un segreto), si applicano le regole risarcitorie della Responsabilità Aquiliana,
senza particolari limiti;
▪ Se la slealtà opera creando indebitamente costituenti contrattuali (es. inganno) o impedendo
indebitamente fatti impeditivi d'un costituente contrattuale (es. omesso rifiuto, omessa revoca),
la reazione sarà la non operatività giuridica del costituente.
Esempio → Se l'agente ha impedito al proponente, con forza bruta, di revocare la proposta, la sanzione è la sopravvenuta non
operatività della proposta.

▪ Se invece la slealtà opera impedendo il venir in essere di costituenti (es. violenza per impedire
l'accettazione), la sanzione sarà quella fictio iuris data dalla conclusione del contratto;
▪ In caso di Dolo Incidente, bisogna risarcire il minor vantaggio economico (od il maggior
aggravio, è uguale) derivante dalle condizioni più svantaggiose;
▪ In caso di Promesse Millantatorie poi non riportate apposta nel Contratto, in forza della
regola che vieta di venire contra factum proprium, si avrà l'ultrattività della promessa
millantatoria, che entrerà a far parte del testo contrattuale.

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CAP. II - IL CONTRATTO PREMILIMINARE

GENERALITA'
Per “Contratto Preliminare” s'intende il contratto con cui le parti s'impegnano a stipulare, in
futuro, un altro contratto (definitivo).
Di regola, il preliminare è usato nella Compravendita, ma si conoscono anche il preliminare di
Appalto, di Locazione, di Agenzia, di Società – la Sentenza Costitutiva di cui all'art. 2932 C.c. può
creare una società, secondo Cassaz. 8/1970; ma è controverso –, ecc... .
Vi sono alcuni casi discussi:
 Donazione → Il relativo preliminare si ritiene inammissibile, poiché contrasterebbe con la spontaneità
che si richiede ad un atto di liberalità (Roppo, invece, prova ad assecondare la dottrina minoritaria che
ammette il preliminare di donazione; egli afferma che potrebbe anche aversi un preliminare di donazione – se
fatto con forma pubblica e per spirito di liberalità –, ma il successivo atto di trasferimento non sarebbe un
contratto definitivo di donazione, quanto piuttosto un “atto esecutivo dell'obbligazione precedentemente
donata”: così, però – conclude Roppo –, non si avrebbe un vero e proprio “preliminare di donazione”);
 Contratto di Società → Sarebbe inammissibile secondo parte della Dottrina.
Altra parte, e parte della Giurisprudenza, lo ritengono invece ammissibile in linea di principio, a condizione,
che, al pari di ogni altro contratto preliminare, rechi l’indicazione degli elementi essenziali del futuro
contratto di società. Ciò premesso, si ritiene altresì che debba tuttavia escludersi la possibilità di ricorrere
all’art. 2932 C.c. per l’esecuzione specifica dell’obbligo di stipulare un contratto di Società di Persone;
Infatti, come affermato da una parte della dottrina, al di fuori dei casi in cui ricorrono ragioni di ordine pubblico,
l’Ordinamento non conosce l’imposizione autoritaria di forme di sodalizio o di comunità, specie se si tratti di
organismi che, come quelli sociali e, precisamente, di contratti con comunione di scopo in relazione all'attività da svolgere
in comune, presuppongono spontanee predisposizioni psicologiche dei loro partecipanti. In questa prospettiva, nelle società
di persone, la percorribilità del ricorso alla norma di cui all’art. 2932 C.c. deve essere necessariamente esclusa.
 Preliminare del Preliminare → La Cassazione, con la Sent. 8038/2009, ha ritenuto tale contratto “Nullo
per Difetto di Causa”, negando che un impegno a stipulare un successivo accordo meriti tutela da parte
dell'ordinamento. La Corte si è però recentemente ricreduta e, con la Sent. SS.UU. 4628/2015 ha invece
ritenuto ammissibile il preliminare del preliminare. La questione è comunque ancora aperta.

(!) Già Sacco evidenzia, nel suo Manuale (anteriore al 2015), la diffusione del Preliminare di
Preliminare e, persino, dell'Opzione di Preliminare di Preliminare.
♦ Preliminare con Obbligo d'una sola Parte → Sacco afferma che si perfezioni in conformità
all'art. 1333 coma 2 C.c., ma ritiene che possa dare problemi qualora gli si voglia attribuire una
causa diversa dalla liberale.
♦ Preliminare e Riproduzione di Contratti → Come si distinguono i due istituti? Si ravvisa una
fondamentale differenza nella tutela data dall'art. 2932 C.c. (esecuzione in forma specifica),
riservata al C. Preliminare e non alla riproduzione.
♦ Natura e Funzioni del Contratto Preliminare → Alcuni ritengono che, essendo il contratto un
“atto di autonomia”, non ci sia spazio per due contratti, uno preliminare, l'altro definitivo:
quest'ultimo, sarebbe, infatti, un mero “Atto Dovuto” e non negoziale.
Si può ribaltare il discorso e dire che il preliminare sia una mera dichiarazione non negoziale di
trattativa, e che il vero contratto sia il definitivo.
Diversi autori si chiedono perciò con quale contratto trasli la proprietà ex art. 1376 C.c..
(!) Sacco ritiene che queste elucubrazioni siano meramente dogmatiche e poco attente al dato
pratico: il Preliminare, in ogni caso, esiste; ed è sorto in tutti i Paesi ben prima che venisse poi
inquadrato nelle varie classificazioni giuridiche: è un prodotto della pratica commerciale, che
adempie a funzioni pratiche di primaria importanza.
Esempio 1 → Il contraente preferisce “impegnarsi a comprare” anziché comprare quando, volendo cautelarsi contro gli
inadempimenti, i vizi, i difetti di qualità, ecc..., e volendo nel contempo affrettare la formazione di un vincolo giuridico, preferisca
rinviare gli effetti reali al momento in cui lo stato di fatto e di diritto del bene gli sia meglio noto, in modo che un’eventuale
contestazione lo trovi legittimato passivo in un’azione di adempimento, piuttosto che legittimato attivo in un’azione di risoluzione.

Esempio 2 → Allo stesso modo, un contraente preferisce “promettere di vendere” anziché vendere, fino al momento in cui il prezzo
viene pagato.

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In pratica, persone seriamente intenzionate a giungere all'accordo decidono di obbligarsi da subito


(effetto prenotativo), rimandando ad un secondo momento il compimento delle formalità
necessarie per rendere effettivo l'accordo raggiunto, o la definizione dei dettagli del contratto.
♦ Contratto ad Esecuzione Anticipata → E' una variante del Preliminare di Vendita, in cui il
venditore trasferisce il possesso e/o intasca il prezzo fin dal momento del preliminare: il
successivo contratto “definitivo” sarà un mero atto solutorio.
♦ Classificazione del Preliminare → E' un contratto consensuale ad effetti Obbligatori.

I REQUISITI del CONTRATTO PRELIMINARE


Il Preliminare, innanzitutto, deve rispettare i requisiti di cui all'art. 1325 C.c..
▪ Sono regolate secondo le disposizioni generali i casi relativi alla capacità delle parti,
all'integrazione della volontà, ecc... .
♦ Forma del Preliminare (art. 1351 C.c.) → Deve essere la stessa prescritta per il C. Definitivo.
♦ Causa del Preliminare → Poiché il preliminare è un contratto in cui due o più parti si impegnano
a stipulare un contratto, l’assunzione reciproca di quest'obbligo è la causa del contratto.
♦ Determinabilità del Contenuto del Preliminare → Occorre chiarire alcuni punti:
▪ Sacco sostiene innanzitutto che se il definitivo è nullo per indeterminatezza, la stessa sanzione
deve colpire il parallelo contratto preliminare;
▪ Il Preliminare deve contenere tutti gli elementi del futuro definitivo, o deve indicare il modo
per individuarli.
(!) Qualora il preliminare fissasse solo i punti principali, non si pongono problemi qualora il
definitivo fosse valido, pur mancando l'accordo sui punti secondari.
♦ Legittimità, Liceità e Possibilità dell'Operazione → Si valutano con riguardo al C. Definitivo.

L'EFFETTO del PRELIMINARE


Il Contratto Preliminare obbliga a “concludere” il contratto Definitivo (effetti obbligatori): ne
deriva che, divenuta impossibile la prestazione oggetto del Contratto Definitivo, si intenderà
impossibile la conclusione di quest'ultimo, dedotta nell'obbligazione di contrarre.
Infatti, è necessario che il Definitivo (o la Sentenza Costitutiva ex art. 2932 C.c.) tengano conto
dello stato degli effettivi diritti e doveri delle parti; cioè occorre considerare i tutti i fatti e le
situazioni che possono andare a modificare l'obbligazione nascente dal preliminare.
Esempio: Tizio e Caio stipulano un preliminare con cui Caio s'impegna a cedere a Tizio l'immobile x, soggetto ad ipoteca di una
Banca. Caio non onora il debito verso la Banca, facendo scattare l'ipoteca e rendendo impossibile la conclusione con Tizio.

Quest'impostazione è maturata dopo il 1993: prima di allora, la Giurisprudenza è stata restia ad


emettere ex art. 2932 C.c. sentenze che non fossero l'esatta riproduzione delle clausole del
preliminare (era il c.d. “Principio di Intangibilità del Preliminare”).

LA TRASCRIZIONE del PRELIMINARE


Il Codice del '42 non prevedeva la trascrizione del preliminare, in quanto esso dà vita ad un Diritto
Personale del Promissario Acquirente.
Infatti, alla trascrizione del preliminare si opponevano e ragioni normative-testuali (in quanto l'art. 2643 C.c. non
menzionava il preliminare fra gli atti suscettibili di trascrizione, che sono tassativamente elencati) e ragioni concettuali
(la Legge prevede la trascrivibilità solo di quegli atti che trasferiscono, costituiscono, modificano od estinguono diritti
reali su beni immobili; mentre il preliminare non produce effetti reali, ma soltanto obbligatori).
Ciò però comportava un duplice rischio: da un lato, il promittente alienante poteva
disinvoltamente alienare il bene ad un soggetto diverso; dall'altro, il promissario acquirente, data
una simile eventualità, era costretto a proporre al più presto la domanda giudiziale volta ad ottenere
una sentenza costitutiva del trasferimento non operato spontaneamente (tale domanda giudiziale, in
quanto trascrivibile, lo avrebbe tutelato contro un successivo atto di disposizione del promittente –
cfr. limiti soggettivi del giudicato –).

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La L. 30/1997 ha però sancito la Trascrivibilità del Preliminare di un C. Definitivo soggetto a


trascrizione, mediante l'introduzione dell'art. 2645 bis C.c..
La condizione per la trascrivibilità è che tali contratti risultino da Atto Pubblico o da Scrittura
Privata Autenticata.

► I benefici e gli effetti di tale impostazione sono:


▪ Effetto Prenotativo → Si anticipa l'opponibilità ai Terzi degli effetti traslativi della proprietà
sin dalla data della trascrizione del Preliminare;
▪ Privilegio Speciale sull'Immobile → In caso di mancata esecuzione del preliminare ad opera
del promittente alienante, il promissario acquirente ha privilegio speciale sul bene immobile
oggetto del contratto preliminare.
▪ Durata della Trascrizione → La trascrizione non opera al di là di 3 anni, onde evitare
ostacoli alla circolazione dei beni.
(!) Sacco, infine, ricorda che sono aperte alcune questioni:
▪ Trascrivibilità del Preliminare Unilaterale;
▪ Trascrivibilità dell'Opzione e della Proposta Irrevocabile.

IL CONTRATTO DEFINITIVO
Sacco introduce il paragrafo richiamando il tema della Doppia Causa del Definitivo.
Il tema è affrontato da Roppo: per un verso, il Definitivo ha “Causa Solvendi”, cioè le parti lo
concludono per adempiere l'obbligo assunto col preliminare; ma, al tempo stesso, ha un'altra sua
propria “Causa Tipica”, normalmente di scambio (ad es., il definitivo di vendita scambia il bene
contro il prezzo).
▪ Se si dà prevalenza al primo elemento, si valorizza la dipendenza del Definitivo dal
Preliminare;
▪ Se si dà prevalenza invece al secondo elemento causale, si valorizza l'autonomia del Definitivo.
(!) Sacco ritiene che il Definitivo sia un semplice “Atto Dovuto”: la tematica ha un grande rilievo
per quanto riguarda il tema del Consenso. Occorre un nuovo consenso per stipulare il definitivo?
Secondo la Giurisprudenza e la Dottrina maggioritarie, sì: ma Sacco ritiene di no, tant’è vero che si
può ottenere una sentenza costitutiva dell’ordine di contrarre (ex art. 2932 C.c.) ed ottenere lo
stesso effetto che la parte illecitamente ha rifiutato.
Da tale impostazione si traggono importanti corollari in tema di Vizi del Consenso; infatti,
considerando il definitivo come “Atto Dovuto”, se ne può dedurre che:
▪ L'Errore o Dolo sul Definitivo sia irrilevante: se anche si ottenesse l'annullamento del
definitivo, rivivrebbe il Preliminare, con la conseguenza che la parte convenuta potrebbe
chiedere la tutela specifica ex art. 2932 C.c.;
▪ Il Vizio del Consenso nel Preliminare od una Causa di Nullità travolgono anche il Definitivo
(ma, quanto alle azioni di annullamento, esse vanno fatte valere entro il termine di prescrizione);
▪ La Rescissione del Definitivo sia inammissibile: può essere impugnato per rescissione solo il
Contratto Preliminare, entro il termine di prescrizione di 1 anno.
(!) La Giurisprudenza, erroneamente per Sacco e Roppo, afferma invece che, intervenuti il
preliminare ed il definitivo, dal momento di quest'ultimo sorgerà una nuova azione di rescissione,
con un suo proprio termine annuale di prescrizione, decorrente dalla conclusione del
definitivo.

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OBBLIGO di CONTRARRE e RIMEDI PROCESSUALI


L'art. 2932 C.c. disciplina l'esecuzione coattiva dell'obbligo di contrarre, che si attua mediante
una Sentenza Costitutiva del Giudice Civile (valida anche nei contratti P.A. - Privati).
Tale sentenza è utile a produrre gli effetti del contratto non concluso: però, nulla vieta che l'attore
si limiti a chiedere una semplice Sentenza di Condanna all'adempimento.
♦ Contratti che costituiscono e/o trasferiscono la Proprietà od altro D. Reale → Per avere la
sentenza ex art. 2932 C.c., occorre che la parte attrice abbia eseguito la sua prestazione, o ne
abbia fatto offerta nei modi di Legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.
Se dunque la prestazione dell'Attore è liquida ed esigibile, questi non può ottenere la sentenza
traslativa senza eseguire od offrire la propria prestazione: in altre parole, deve presentarsi “con le
carte in regola”, senza aver pregiudicato le proprie possibilità di adempiere.
L'offerta può anche essere informale, ed è valida anche in giudizio d'Appello.
▪ Qualora la prestazione dell'attore non sia ancora esigibile, il Giudice emetterà una Sentenza
Costitutiva condizionata al pagamento;
▪ La Trascrizione della Domanda rafforzerà l'effetto del giudicato, con effetto prenotativo
rispetto alla trascrizione della sentenza, ai fini dell'opponibilità ai Terzi.
♦ Sentenza e Contratto → La Giurisprudenza, a differenza del teorico, equipara sentenza e
contratto: è infatti razionale, dice Sacco, che la sentenza sia assoggettata al destino che il Diritto
riservava al contratto. Per cui, ad es., la sentenza sarà risolubile per inadempimento.

IL CONTRATTO NORMATIVO
Mediante questo atto, le parti prestabiliscono quale sarà il contenuto e quali saranno alcuni
aspetti di un numero imprecisato di futuri contratti che si riservano di concludere (quindi, la
differenza col preliminare sta nel fatto che le parti non si obbligano a stipulare futuri contratti).
Di regola, le parti restano fedeli al disposto del contratto normativo: ma nulla vieta che, cambiando
determinate situazioni, le parti cambino idee e progetti, superando così l'accordo normativo.
Questa impostazione sconcerta l'interprete italiano, che tenderà o a negare la natura negoziale del
contratto normativo, o a sostenere una (inconcepibile, per Sacco) inderogabilità delle clausole del
contratto normativo stesso.

♦ Effetti Giuridici → Sacco sintetizza gli effetti del C. Normativo come segue:
▪ Il C. Normativo costituisce una specifica e razionale tecnica della conclusione del contratto,
con cui le parti fissano, ora per allora, il contenuto dei loro affari futuri; poi via via concluderanno
in modo istantaneo i singoli contratti ulteriori, senza bisogno di dover discutere ogni volta le
clausole. Esso è un vero contratto, ma non obbliga le parti a concludere per sempre contratti
nel modo pattuito;
▪ In caso di contratto normativo dotato di clausole stipulate con Terzi, o concluso fra più Parti,
i singoli contraenti non sono liberi di disattendere il patto normativo, poiché esso è stato
stipulato con un soggetto terzo: altrimenti, scatta Responsabilità Contrattuale.

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CAP. III - IL CONTRATTO IMPOSTO


GLI OBBLIGHI LEGALI di CONTRARRE ed il SISTEMA
Esistono, oltre agli obblighi convenzionali di contrarre dati dai contratti preliminari, anche degli
Obblighi “Legali” di contrarre: le fonti sono il C.c. (art. 1679 C.c. - pubblici servizi di linea - ed
art. 2597 C.c. - monopoli legali -), la Legge sulle Invenzioni Industriali, la normativa Antitrust, il
regolamento di Pubblica Sicurezza, ecc... .
Esempi sono: il contratto RCA, la concessione di licenza obbligatoria in caso di brevetti
inutilizzati, ecc...
► La norma di più ampio respiro è l'art. 2597 C.c.: Chi esercita un’impresa in condizioni di
monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano
oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento.
La ratio della norma sta nel fatto che, distrutta dal monopolio legale ogni libertà d’iniziativa dei
terzi, bisogna obbligare il monopolista all’equa contrattazione perché non ne approfitti chiedendo
controprestazioni ricattatorie: così, la norma reagisce anche contro il capriccio di chi non voglia
contrarre con una persona data per antipatia o per soperchieria.
(!) La norma si applica anche al Monopolio Speciale (es. per una sola categoria di utenti, ecc...).
♦ Obblighi Legali desumibili da norme di altro tipo (Ordine Pubblico, Buon Costume) →
Interessante è il caso dell'art. 2043 C.c.: la norma vieta di recare danni ingiusti che, ragionando
latamente, possono esser provocati anche dal rifiuto di contrarre.
Ragionando in termini ipotetici, Sacco ritiene che, in tale ottica, potrebbe ammettersi il
Risarcimento del Danno per Rifiuto Emulativo di contrarre, e forse, ex art. 2058 C.c., si
potrebbe anche giungere addirittura al Contratto Imposto.
Riassumendo: si può pensare che, laddove non ci sia una norma espressa, si possa arrivare a una sanzione di tipo
risarcitorio causata dal rifiuto di contrarre; inoltre, ammettendosi ex art. 2058 C.c. l'esecuzione in forma specifica anche
nell'ambito della Responsabilità Civile, si potrebbe arrivare ad imporre giudizialmente la formazione del contratto,
tramite una sentenza costitutiva.
Garantire l'esecuzione in forma specifica a causa dell'inadempimento dell'obbligo di contrarre potrebbe però essere
dannoso, come rileva l'Analisi Economica: infatti, si costringerebbe ad adempiere anche qualora sia più efficiente (per
il sistema) non adempiere. La giurisprudenza, infatti, è assolutamente contraria a disporre tutele specifiche con
leggerezza, perché potrebbero essere applicate in tutte le situazioni in cui non sia data tutela reale: ad es., in caso di
Opzione o Prelazione, se una delle parti si sottrae alla conclusione del secondo contratto (salvo caso di prelazione
legale, dove è previsto il retratto), la violazione della prelazione o dell’opzione comporta solo il Risarcimento del
danno; ma se si vedesse come “risarcimento del danno” la possibilità di risarcirlo in forma specifica sotto forma di
conclusione del contratto, allora si ritornerebbe alla possibilità di recuperare il bene.

LA SITUAZIONE DIPENDENTE dall'IMPERATIVO LEGALE


Sempre restando nel caso paradigmatico del monopolio legale, quale tutela si accorda a chi
contratta col monopolista? E' applicabile l'art. 2932 C.c.?
Sì, perché è genericamente rubricato “Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto”:
ragion per cui, è applicabile tanto al preliminare, quanto al contratto imposto.

♦ Responsabilità del Monopolista → Per capire la natura della Responsabilità del monopolista,
va ricordato che la categoria del “Dovere Giuridico” può sorgere:
▪ Da una vera e propria Obbligazione → Che dà luogo a Responsabilità ex art. 1218 C.c.;
▪ Da una Regola di Condotta → Che dà luogo a Responsabilità ex art. 2043 C.c..
Nel caso del monopolista, questi è obbligato ex Lege: quindi, si ritiene che sia responsabile
contrattualmente ex art. 1218 C.c..

♦ Monopolista e Condizioni Generali di Contratto → La Legge non fissa le condizioni generali:


saranno fissate dal Monopolista, che farà attenzione a far sì che non siano vessatorie o capricciose.

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CAP. IV - L'OPZIONE
NATURA dell'OPZIONE
Ex art. 1331 C.c., L’opzione è un contratto con cui una parte emette irretrattabilmente la
proposta di concludere un ulteriore contratto, sì che la controparte potrà perfezionare, con la
propria (ed unilaterale) accettazione, questo contratto ulteriore.
(!) L'accettazione deve intervenire entro un termine convenzionale, altrimenti è fissato dal
Giudice (art. 1331, comma 2, C.c.).
♦ Opzione e Proposta Irrevocabile → Producono gli stessi effetti giuridici, ma differiscono in
quanto a struttura:
▪ L'Opzione è una convenzione, ossia un contratto, che dà vita ad un Diritto Soggettivo cedibile,
opponibile a terzi, ecc... . Il termine dev'esser convenuto dalle parti o, in mancanza, dal Giudice;
▪ La Proposta Irrevocabile è invece una dichiarazione unilaterale, che non dà vita ad un Diritto
Soggettivo. Il termine va fissato dal proponente: se manca, si considera come proposta semplice.
I più dicono che l'Opzione sia un “Contratto Unilaterale”: quindi, dovrebbe perfezionarsi, come la
proposta irrevocabile, ex art. 1333 C.c.: quindi, in base a tale punto di vista, dovrebbero consistere
in Promesse Unilaterali che, nell'ottica di Sacco, fanno sorgere un vincolo pur in assenza di
accettazione. Dove starebbe, quindi, la differenza?
(!) Sacco fa notare che, in realtà, i due istituti differiscono, poiché l'Opzione si appoggia ad una
Causa: di regola, infatti, l'opzione è pattuita dietro corrispettivo.
La causa onerosa farà sì che il consenso debba essere espresso da entrambe le parti: se l'opzione
fosse gratuita (e richiederebbe solo il consenso di chi la dispone), sarebbe indistinguibile dalla
proposta irrevocabile.
► Per Sacco, molti ritengono che il contratto d'opzione sia “Unilaterale” perché considerano
soltanto il sacrificio della parte che mantiene ferma la promessa del definitivo, senza considerare il
corrispondente sacrificio patrimoniale della controparte, in caso di corrispettivo.
► Oggi prevale la tesi (ad es., v. Roppo) che l’opzione possa essere gratuita (senza costituire atto
di liberalità, da farsi nelle forme della donazione), purché sia interessata, o se abbia una causa in
concreto che la giustifica nell’ambito di contratti collegati o nel più ampio complesso di
situazioni che legano le parti (ad es., patto di riscatto nel leasing, il call ed il put nella
compravendita di azioni, ecc...).
Quindi: nella Proposta Irrevocabile ci sarebbe solo una “proposta di contratto”; nell'Opzione ci sarebbero una proposta ed un
contenuto ulteriore, ossia una più ampia regolamentazione d'interessi delle parti, che ne esige l'accordo: perciò, nulla vieta che
tale accordo si formi senza bisogno di accettazione dell'opzionario, ex art. 1333 C.c. (Roppo).

REGIME del CONTRATTO d'OPZIONE


♦ Forma ed Accettazione → Il Contratto d'Opzione deve avere la stessa Forma richiesta per il
contratto definitivo, che si concluderà mediante l'accettazione dell'Oblato (nei modi comuni o in
quelli specificamente richiesti nella proposta).
♦ Contenuto → Il contratto d’Opzione deve indicare tutti gli elementi essenziali del contratto finale,
che può essere un contratto di qualsiasi genere e natura (vendita, locazione, trasferimento di titoli
azionari sui mercati finanziari, ecc...).
Per questo motivo ha un vastissimo ambito di applicazione: può servire per bloccare affari (es. fornitura di un bene ad un certo prezzo), per
ponderare scelte (ad es. pago per assicurarmi un contratto che non so ancora se concluderò), per speculare sui mercati finanziari (mi voglio
garantire di poter vendere questo immobile al prezzo di oggi anche tra otto anni: se tra otto anni il prezzo dell’immobile è diventato bassissimo, ma io
ho l’opzione di venderlo al prezzo di oggi che è molto più alto, eserciterò l’opzione, e quindi avrò lucrato, perché avrò guadagnato tanto quanto avrei
guadagnato oggi, anche se nel frattempo i prezzi si sono abbassati), ecc... .
(!) In particolare, l’esercizio dell’opzione può dar vita ad un contratto Preliminare (ma si ritiene che
le norme sulla trascrizione del preliminare non siano applicabili all'opzione).
♦ Disciplina → Il Contratto d'Opzione è soggetto alle norme sui Contratti Bilaterali.
♦ Responsabilità → E' precontrattuale (Interesse Negativo) o contrattuale? Ci sono diverse tesi.

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CAP. V - LE SITUAZIONI STRUMENTALI

LA SITUAZIONE GIURIDICA del PROPONENTE


L'offerente, fin da quando avanza la proposta, deve comportarsi secondo Buona Fede: per Sacco,
sicuramente almeno in tema di Opzione, ci sono altri doveri, fra cui l'obbligo di far venir in essere
tutti i requisiti del futuro contratto (ad es., non trasformare o distruggere la cosa).
Un grado minore di responsabilità ed impegno sarà richiesto in caso di Proposta Irrevocabile.

♦ Il Rifiuto dell'Oblato risolverà quest'assunzione di obbligo:


▪ In caso di Offerta Irrevocabile, potrà però aversi una pretesa Risarcitoria, qualora il rifiuto sia
giustificato dall'inadempienza dell'offerente. Si tutela qui l'affidamento;
▪ In caso di Offerta Revocabile, invece, si tutelerà l'affidamento nei limiti in cui questo sia serio:
 Ad es., non ci sarà responsabilità per il solo fatto che l'offerente abbia reso impossibile
l'oggetto del potenziale contratto, dandone notizia all'oblato prima dell'accettazione;
 Se però l'offerente renda impossibile l'oggetto senza darne notizia all'oblato, e questi
accetti in buona fede, sussisterà comunque una responsabilità del proponente, per
violazione dell'obbligo assunto con l'offerta.
Queste soluzioni derivano dagli artt. 1333 e 1337 C.c..

♦ Plusvalenze della Prestazione → Naturalmente l'offerente può legittimamente aumentare il


prezzo di alienazione del bene qualora, nelle more dell'accettazione dell'oblato, intervengano spese
aggiuntive (ad es., proposta di vendita d'un appartamento, cui segue un'imposizione di lavori
straordinari a seguito di delibera condominiale).

LA SITUAZIONE dell'OBLATO: sua QUALIFICAZIONE; la CEDIBILITA';


l'OPPONIBILITA' ai TERZI
♦ Qualificazione → Sacco ritiene che gli interpreti amino dedurre le qualificazioni delle diverse
situazioni dell'oblato (opzionista, destinatario di un'offerta irrevocabile, oblato semplice) dai vari
grandi schemi concettuali di situazione giuridica; ne usciranno, perciò, conclusioni fatalmente
viziate da un certo soggettivismo.
Rileva quindi che è preferibile concentrarsi sui temi della Cedibilità e dell'Opponibilità ai terzi
dell'offerta e dell'opzione.

♦ Cedibilità della Proposta → Fino a poco tempo fa, la Dottrina riteneva la proposta incedibile,
salvo poi ricredersi parzialmente di pari passo con l'emersione della concezione contrattuale
dell'opzione: l'Opzione è un contratto cedibile, la Proposta è incedibile.
(!) Sacco ritiene gravemente errata tale impostazione: per lui, infatti, è ammissibile la Cessione
dell'Opzione ed anche della Proposta Revocabile od Irrevocabile, purché sia cedibile il contratto
che esse mirano a concludere.
Ad es., sarebbe assurdo ammettere la cedibilità di un'opzione di contratto intuitu personae, o di una
qualsiasi prestazione infungibile.

♦ Opponibilità ai Terzi → La situazione creata dalla proposta non è un Diritto Reale, perciò l'atto
che la pone in essere non è trascrivibile, anche se la norma sulla trascrizione del Preliminare ha
un po' rimescolato i termini del problema: ad es., il Gazzoni ha sostenuto l'incostituzionalità dell'art.
2645 bis C.c. (sulla trascrivibilità del preliminare) nella parte in cui regola diversamente da un lato
il preliminare, e dall'altro l'opzione, la prelazione e la proposta irrevocabile.

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CAP. VI - LA PRELAZIONE
GENERALITA'
La Legge o l'Accordo delle Parti possono attribuire ad un soggetto un Diritto di Prelazione, cioè
il diritto di essere “preferito ad un altro”, a parità di condizioni pattuite con un terzo.
Tali condizioni, al momento della decisione di vendere, devono essere comunicate dal venditore al
prelazionario (è la c.d. “Denuntiatio”, redatta nella forma propria del contratto ch’essa mira a
concludere e contenente i precisi termini del negozio, a cui l’accettazione del promissario
perfeziona il contratto) .
Il prelazionario ha due interessi (Roppo):
▪ Interesse Negativo → Ad impedire che altri concludano quel contratto col concedente;
▪ Interesse Positivo → Ad avere per sé quel contratto.

♦ Qualificazione → Molti ritengono la Prelazione un Contratto Preliminare “Condizionato”


(con condizione potestativa), ma altri hanno contestato tale equiparazione, osservando che chi
promette di preferire si impegna non tanto a concludere con il preferito, quanto a non
concludere con altri: perciò, la Prelazione sarebbe piuttosto un “Pactum de non contrahendo”.
♦ Prelazione Legale → Ne esistono numerose ipotesi:
 Art. 732 C.c., a favore del coerede;
 Art. 1566 C.c., patto di preferenza a favore del somministrante;
 Art. 2477 C.c., a favore del socio di S.R.L.;
 L. 1089/1939, potere di retratto dello Stato sui beni d'interesse artistico e storico;
 D.L. 1127/1939, prelazione del datore di lavoro per l'acquisto del brevetto del dipendente;
 L. 590/1965, prelazione agraria a favore dell'affittuario;
 L. 392/1978, prelazione del conduttore urbano.
Tutte le prelazioni regolate dalla Legge nascono tra persone legate da un preesistente rapporto
giuridico e hanno come oggetto l’acquisto della proprietà di una cosa determinata da parte di un
soggetto che ha un diritto, un potere o un interesse qualificato alla cosa.

CAUSA e LICEITA' della PRELAZIONE CONVENZIONALE


Tempo fa, la circostanza che il vincolo del promittente fosse potestativo fece ritenere ad alcuni che
il patto di prelazione fosse invalido, data la nullità dell’obbligazione meramente potestativa: a tale
rilievo, fu replicato che la condizione è semplicemente potestativa.
♦ Prelazione e Concorrenza → Sacco evidenzia come gli interpreti non prestino sufficiente
attenzione alla gravità del peso che viene assunto dall'onerato, né percepiscono che la prelazione sia
fonte di disparità di trattamento, nonché lesiva del principio di concorrenza.
Addirittura, la Giurisprudenza sembra aver legittimato la Prelazione Perpetua, senza considerare
che la prelazione ingloba un pactum de non alienando (art. 1379 C.c.), da contenere entro
convenienti limiti di tempo.
♦ Prelazione Gratuita → I Giudici ammettono che la prelazione gratuita possa essere costruita con
dichiarazione unilaterale ex art. 1333 C.c.: secondo Sacco, essendovi causa liberale, tale
dichiarazione dovrebbe avere la forma della Donazione.
LA PRELAZIONE fra le PARTI e di FRONTE ai TERZI
Il patto di Prelazione ha, fra le parti, Effetti Obbligatori, non reali.
Invece, di fronte ai terzi, il patto di prelazione (che per Roppo ha forma libera) ha efficacia “erga
omnes” soltanto qualora sia Legale, altrimenti è una semplice fonte di diritti personali,
inopponibili ai terzi.
▪ Nel primo caso, infatti, si ammette il retratto nei confronti del terzo subacquirente, dietro
rimborso del prezzo da lui pagato;
▪ In caso di Prelazione Volontaria, invece, si potrà avere solo il Risarcimento del danno dal
promittente. Il terzo potrà soccombere solo per effetto della Trascrizione (se non trascrive in
tempo il suo acquisto).
La pratica ammette l'efficacia erga omnes delle regole contenute negli Statuti Sociali, sulla circolazione delle azioni.

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CAP. VII - LA RIPRODUZIONE DEI CONTRATTI


I PROBLEMI di CLASSIFICAZIONE
Avviene frequentemente che le parti, concluso un contratto, emettano in seguito una seconda
dichiarazione di contenuto uguale alla prima (es. si aliena per scrittura privata e si rinnova l'atto
davanti a notaio): è il fenomeno della “Riproduzione o Ripetizione del Negozio”.
Sono però sorti problemi d'inquadramento:
▪ Alcuni considerano tutto come un Negozio Unico, che ingloba più documenti;
▪ Altri, invece, credono che l'atto riprodotto abbia una propria capacità rappresentativa, ma
priva di effetti propriamente negoziali.

► Sacco rileva, ad ogni modo, che la dichiarazione riproduttiva può essere invocata come
dichiarazione negoziale, anche se gli effetti negoziali appartenevano alla dichiarazione originaria.

I PROBLEMI PRATICI
Il già citato Gorla ha circoscritto l'ambito operativo delle riproduzioni: il discrimine circa
l'operatività dell'istituto sta nel requisito della non cessazione del rapporto giuridico che, quindi,
non dev'essere esaurito (la rinnovazione presuppone, cioè, la “Res Integra”).

♦ Spontaneità o Doverosità → La riproduzione può essere un atto dovuto o spontaneo; in


particolare, è atto dovuto quando, concludendo il contratto fondamentale, le parti si sono
impegnate a redigere in futuro un secondo testo che riproduca il negozio.

♦ Scopo della Riproduzione → La dichiarazione riproduttiva ha lo scopo di assicurare alle parti un


più solido mezzo di prova o una dichiarazione capace di essere trascritta o pubblicata, o
comodamente ostensibile ai Terzi, o revisionata nella forma per dare luogo a minori dubbi
interpretativi, e così via. Le funzioni sono quindi varie ed alternative.
▪ Se la Riproduzione diverge dall'originale, si dirà scritta per errore;
▪ Se il Negozio originario era viziato, la riproduzione prova che le parti hanno voluto sanare il
vizio: la volontà posteriore prevale su quella precedente.
Ad ogni modo, sapere se i contraenti abbiano voluto un effetto o l'altro, è un problema di Fatto.

♦ Mere Riproduzioni e Negozi Rinnovativi → La distinzione, dice Sacco, si risolve in una


tautologia: le prime riproducono semplici dichiarazioni senza modificare alcunché; i secondi,
invece, stabiliscono un vero regolamento di rapporti (confermando il precedente, od innovandolo).

♦ Riproduzioni e Presunzioni → Date due dichiarazioni successive sullo stesso oggetto e fra le
stesse persone, si presume l'intenzione di riprodurre, o quella di innovare?
(!) Sacco propende per l’intenzione ricognitiva, e non innovativa.

♦ Riproduzioni e Buona Fede → Se ci si obbliga a riprodurre una dichiarazione negoziale, la


buona fede impone alle parti il dovere di prestarsi a chiarire le clausole rimaste oscure nel
contratto fondamentale.
Sarebbe inammissibile rifiutarsi di chiarire tali Clausole, così come sarebbe inammissibile
rifiutarsi di riprodurre fedelmente il contenuto del contratto (Cassaz. 2108/1968).

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SEZIONE XIII: L'INTERPRETAZIONE - R. Sacco -


CAP. I - PROBLEMI GENERALI
INTERPRETAZIONE, RICOSTRUZIONE della VOLONTA', DEDUZIONE degli EFFETTI
dell'ATTO
Il Codice Civile dedica alle regole legislative di ermeneutica contrattuale gli artt. 1362-1371 C.c.,
ma non dice cosa si deve intendere per “Interpretazione del Contratto”.
In Diritto Civile, di regola, interpretare il contratto rimanda a quel procedimento ermeneutico, cui è
chiamato il giurista, finalizzato ad attribuire il corretto significato alla pattuizione ed alla
determinazione dell'intento pratico perseguito dalle parti.
Sacco affronta il tema ricordando in primo luogo due teorie:
▪ Una più risalente → Interpretazione come “accertamento del contenuto della volontà dello
stipulante, del promittente, o delle parti”. Si pone l'accento sulla volontà;
I sostenitori di questa teoria ritenevano che le norme codicistiche su interpretazione non fossero vere e proprie norme giuridiche,
generali e astratte e obbligatorie, ma dei consigli.
Questa teoria mette al centro dell'interpretazione la ricerca della concreta volontà dei contraenti, ed è ispirata alla dottrina del
giusnaturalismo che ancora oggi prevale nel sistema francese.

▪ Una più recente → Interpretazione come “procedimento che serve ad attribuire significato alla
dichiarazione contrattuale” e serve ad attribuire al contratto gli effetti giuridici che gli sono
propri. L'accento è sulla dichiarazione e non più sulla volontà.
► Di fronte alle opposte teorie, assume funzione mediatrice l’insegnamento classico diffuso in
Italia, secondo cui l’interpretazione è la determinazione del senso giuridicamente rilevante della
dichiarazione contrattuale, condotta alla stregua della norma giuridica finalizzata a fissare
l’oggetto di questa ricerca.
Tuttavia, l'art. 1362 C.c. sembra farsi portavoce della dottrina volizionista: nell'interpretare il
contratto si deve indagare la comune volontà delle parti, senza arrestarsi al senso letterale del testo.
(!) Per Sacco non è così: egli propende per la soluzione intermedia, e sostiene che bisogna
valutare in base al caso concreto, a seconda che quella clausola vada interpretata dando più peso
alla ricerca della volontà od alla dichiarazione contrattuale.
Infatti, per avere un'“interpretazione legale”, non serve già ricostruire la comune volontà: basta
adeguare l'attività ermeneutica ai canoni legali.

Se la Legge prescrive Regole Ermeneutiche, queste creeranno una Volontà ricostruita “ex Lege”:
essa sarà medio logico fra la fattispecie vera e propria da un lato, e gli effetti del contratto
dall'altro lato (soluzione intermedia).
A maggior ragione, le regole ermeneutiche consentiranno di ricavare un significato da una
dichiarazione: tale significato non esiste in natura, è una pura costruzione logica da operarsi
secondo le disposizioni di Legge, e sarà utile a desumere gli effetti giuridici dell'atto.
(!) Va precisato che le regole di ermeneutica contrattuale non sono semplici norme integrative:
hanno una propria autonomia e costituiscono una categoria di regole separata, utili ad individuare la
fattispecie (le norme integrative, invece, si applicano in seguito per individuare gli effetti).

In sintesi: l'interpretazione può condursi ricostruendo la Volontà (indagando particolari segni


semantici, le circostanze in cui è stato concluso l'atto, lavori preparatori, confidenze a terzi, ecc...) o
ricercando il significato della Dichiarazione (indagando il significato che le parti attribuiscono ai
segni grafici della dichiarazione stessa: Sacco nota che, in questo caso, se si fa ricorso ad elementi
esterni alla dichiarazione, si fa ritorno all'impostazione volontaristica).
A parte queste situazioni “estreme”, potranno essere usate soluzioni intermedie (v. supra).

L'Analisi Economica, in controtendenza, all'interpretazione fondata sul massimo numero


d'informazioni preferisce quella che incrementa il valore dello scambio.

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NATURA delle NORME sull'INTERPRETAZIONE


I sostenitori della teoria volontaristica, concependo l'interpretazione come “ricostruzione della
volontà”, ritenevano le norme di ermeneutica come dei “consigli non vincolanti”.
L'abbandono della teoria volontaristica è andato di pari passo con l'Inderogabilità di tali norme:
oggi, infatti, non si discute che il Giudice debba adeguarsi ai canoni ermeneutici fissati ex Lege
(a pena di sindacato della Cassazione, ex art. 360, n. 3, C.p.c.).
Ne segue che il risultato del procedimento interpretativo costituisca un accertamento di fatto che,
perciò, è insindacabile, qualora la sua motivazione sia immune da vizi logici: inoltre, chi si lamenta
dell'interpretazione del fatto adottata dal giudice, deve indicare la specifica regola di diritto che
questi avrebbe violato.
▪ Anche i Privati sono soggetti alle regole ermeneutiche, non possono derogarle.
♦ Applicazione → Mentre prima era pacifico che tali regole fossero applicabili a tutti i contratti,
più di recente è emerso il problema dell'interpretazione differenziata in base al Tipo contrattuale.
Problemi sono sorti anche in merito ai Contratti Formali: l'interpretazione va qui ridotta ad una
mera ricostruzione oggettiva della dichiarazione? Non necessariamente: l'art. 1362 C.c. offre un
punto d'appoggio per sostituire il senso oggettivo della dichiarazione con un senso soggettivo.

LA RICERCA della VOLONTA' COMUNE


Ex art. 1362 C.c., occorre indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi
al senso letterale delle parole.
Se c'è una volontà comune, essa prevale (in via di massima) su ogni oggettivo valore della
dichiarazione: e se non ci fosse? La norma tace sul punto.
(!) Sacco ritiene che, in quest'ultimo caso, l'art. 1362 C.c. sarebbe inapplicabile: l’interprete
dovrà qui ricostruire il significato del negozio prescindendo da tutti gli indici individuali relativi
alle parti o ad una di esse, rimanendo così più vicino ad un senso “oggettivo” del contratto.
▪ Un esempio è l'atto con cui le parti si sottomettono al regolamento contrattuale: come si fa a
capire se una parte abbia voluto obbligarsi, o abbia voluto condurre una trattativa?
E' un problema di volontà delle singole parti, e non può esserci volontà comune.
In tale ipotesi, è inapplicabile non solo l'art. 1362 C.c., ma anche ogni altro articolo del Capo IV
(salvo quello relativo alla buona fede).
In conclusione, il significato fruibile dell'art. 1362 C.c. si ottiene leggendo “volontà” come
“intenzione delle parti”, desumibile su un piano probabilistico dal testo contrattuale illuminato dai
mezzi interpretativi, e contrapposta ai dati esterni.

IL TESTO
Di regola, in presenza di una dichiarazione scritta sorgono problemi interpretativi: senz'altro, dice
Sacco, è quantomeno dubbia l'esistenza di un “significato obiettivo” della dichiarazione.
Tuttavia, supplirà il “Significato Statisticamente Usuale”, o “socialmente accettato” della
dichiarazione, cioè quel significato che parti razionali avrebbero dato ex ante a quel termine.
▪ Quando occorrerà allontanarsi dal testo, vorrà dire che le parti avranno usato un linguaggio
loro proprio;
▪ L'interpretazione del testo va condotta, secondo una costante Giurisprudenza, considerando il
testo stesso nel suo insieme (art. 1363 C.c.), includendo addirittura le clausole inoperanti, poiché
nulle: trattasi del c.d. Principio Sistematico o “di Totalità”.
♦ Testo e Giudice → Processualmente, il testo si presenta come un'unità: se l'attore fonda la propria
ragione sull'articolo x del contratto, il giudice può senz'altro dargli ragione anche basandosi, ad es.,
sull'articolo y, senza commettere extrapetizione.
Inoltre, se il testo contiene un rinvio o è crittografato (ad es., non usa segni grafici convenzionali),
il giudice può presentare rispettivamente l'elemento della relatio o la dichiarazione pittografica
come semplici mezzi ermeneutici.

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MEZZI d'INTERPRETAZIONE, PRIORITA' e SUSSIDIARIETA'


La prima fase di ogni ricerca ermeneutica consiste nell’attribuzione di un Ipotetico Significato
“Oggettivo” alla dichiarazione delle parti.
Tale attività si svolge in due momenti:
▪ Analisi delle singole frasi;
▪ Confronto sistematico delle parti con il tutto (art. 1363 C.c., Principio di Totalità).
Perciò:
● Se il significato oggettivo della dichiarazione ha lasciato all'interprete qualche dubbio, questi sarà
stimolato ad arricchire la gamma degli elementi da utilizzare nell’interpretazione, per assegnare
alla dichiarazione un significato più adeguato o più completo.
● Altrimenti, l’interprete soddisfatto dei risultati ottenuti in questa fase non andrà oltre, perché
“assenza di dubbi” significa appunto “certezza che il significato oggettivo del dettato coincide
con la volontà soggettiva delle parti”: in ciò sta l'importanza dell'art. 1362 C.c., che cioè consente
all'interprete, in qualunque fase della ricerca ermeneutica, di superare il ricorso ad ogni altro
mezzo qualora abbia la certezza di avere individuato la comune intenzione delle parti.
In buona sostanza: l'interprete, ex art. 1362 C.c., dovrebbe innanzitutto ricercare la “comune
intenzione” delle parti, desumibile dal complesso del testo (art. 1363 C.c.).
Contemporaneamente, se tale “comune intenzione” non emergesse immediatamente, l'interprete
dovrebbe cercare di evincere un “significato oggettivo” od “usuale” delle dichiarazioni.
Se la ricerca si rivelasse ancora infruttuosa, saranno a sua disposizione i mezzi legali di
interpretazione previsti dai successivi articoli del Codice, per ricercare un “significato legale”.
In ogni caso, ex art. 1362 C.c., la Comune Intenzione prevale su qualsiasi altro mezzo.

♦ Gerarchia dei Procedimenti Ermeneutici → La ricostruzione fatta sopra è ammissibile?


Si potrebbe inizialmente dire di sì, rifacendosi all'adagio “in claris non fit interpretatio”, spesso
richiamato dai Giudici: è il c.d. Principio di Sussidiarietà dei Mezzi Ermeneutici Legali.
Se quindi dalla lettera del testo emerge subito il senso, l'interpretazione è esclusa.
L'adagio citato può avere due significati:
▪ Uno più rigido → Si può procedere ad interpretazione extratestuale (= ricorrendo cioè ai mezzi
interpretativi previsti) solo in caso di testi intrinsecamente lacunosi;
▪ Uno più duttile → L'interpretazione extratestuale è ammissibile quando il testo sia,
alternativamente, lacunoso o smentito da indici extratestuali (ad es., un altro documento in cui le
parti hanno convenuto il modo in cui devono intendersi le clausole contrattuali).
(!) Per Sacco, però, tale principio è, in linea di massima, inutilizzabile, anche perché, dice, per
affermare che una dichiarazione sia “chiara”, occorre averla già interpretata.
Quindi, in ogni caso, dice Sacco, c'è sempre un procedimento di interpretazione: l'art. 1362 C.c.
va inteso nel senso che, qualora il senso del testo risulti subito chiaro, l'interpretazione è
“conclusa” (cioè non si deve ricorrere ad altri mezzi interpretativi), e non “esclusa”, come
vorrebbe l'adagio latino.
▪ Ne deriva che, per quando possa esser chiaro il senso che si ricava dal testo, non ci si può
fermare ad una prima lettura in presenza ad es. di indici extratestuali che smentiscano
l'interpretazione fatta in prima battuta. Quindi, l'adagio latino sopra citato può essere ammesso
solo nel senso “duttile”;
▪ Non ci si può ovviamente fermare ad una prima lettura se il testo sia lacunoso;
▪ Per Sacco, quindi, il Principio di Sussidiarietà va inteso nel senso per cui in assenza di lacune
ed indici extratestuali, se la comune volontà emerge subito dal testo, il Giudice (convinto dalla
lettera), ha il potere di enunciare la prevalenza, o la virtù preclusiva, della lettera nei confronti
dell'argomento extratestuale (cioè gli altri mezzi ermeneutici, che vanno comunque considerati,
in quanto inderogabili).

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CLASSIFICAZIONE e GERARCHIA dei MEZZI ERMENEUTICI


Le regole interpretative di cui agli artt. 1362-1371 C.c. erano già in larga parte presenti nel Codice
del 1865: l'attuale impostazione deriva soprattutto dall'opera di Cesare Grassetti.
L’interpretazione testuale (art. 1362, comma 1, C.c.) apre dunque il processo ermeneutico;
quindi, l’interprete verifica la provvisoria interpretazione testuale, ricorrendo a tutti i mezzi
indicatigli dalla Legge, ossia:
♦ Criteri di Interpretazione “Soggettiva” (in concreto)
▪ Art. 1362, comma 2, C.c. → Deve considerarsi il comportamento complessivo delle parti,
anche posteriore alla conclusione del contratto;
▪ Art. 1363 C.c. → Principio di Totalità: le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre,
attribuendo il senso che risulta dal complesso del contratto;
▪ Art. 1364 C.c. → Limitazione delle Espressioni Generali: le espressioni usate dalle parti, per
quanto generali, si intendono riferite ai soli oggetti previsti dalle parti;
▪ Art. 1365 C.c. → Estensione delle Indicazioni Esemplificative: il caso espresso exempli
causa non fa presumere l’esclusione dei casi non espressi ai quali, secondo ragione, può
estendersi lo stesso patto;
♦ Criteri di Interpretazione “Oggettiva” (in abstracto)
▪ Art. 1366 C.c. → Buona Fede: l’interpretazione deve condursi secondo buona fede (da
intendersi in senso “oggettivo”);
▪ Art. 1367 C.c. → Principio di Conservazione del Contratto: contratto e clausole, nel dubbio,
devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto;
▪ Art. 1368 C.c. → Usi Interpretativi: le clausole ambigue s’interpretano in conformità agli
usi del luogo in cui il contratto è stato concluso (luogo di sede dell’impresa, per l’imprenditore);
▪ Art. 1369 C.c. → Espressioni Polisense: le espressioni polisense si interpretano nel modo più
conveniente alla natura e all’oggetto del contratto;
▪ Art. 1370 C.c. → “Contra Stipulatorem”: le clausole inserite nelle condizioni generali di
contratto, o in moduli e formulari predisposti da uno dei contraenti, si interpretano, nel dubbio, a
favore dell’altro (= dell'aderente);
▪ Art. 1371 C.c. → Regole Finali: se, nonostante l’applicazione delle regole sopracitate, il
contratto rimanga oscuro, esso dev’essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a
titolo gratuito e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a
titolo oneroso (c.d. “Equità Interpretativa”).

► Gerarchia → I vari mezzi di interpretazione non intervengono cumulativamente, ma


alternativamente: secondo l'ordine dato da Grassetti, cardine di questo regime è la prevalenza dei
mezzi di interpretazione soggettiva rispetto ai mezzi di interpretazione oggettiva. Inoltre:
▪ Nell’ambito dei mezzi di interpretazione soggettiva, non si fissano criteri di priorità.
▪ Fra i mezzi di interpretazione oggettiva, prevale il principio di conservazione, seguono gli altri
criteri nell'ordine codicistico.
Nuove elaborazioni dottrinali sospingono l’interpretazione contro l’autore in posizione priore
rispetto alla regola di adeguamento agli usi, mentre la benigna interpretazione garantita
all’obbligato gratuito confluisce nelle regole finali postergate alle altre.
Si nota inoltre una viva tendenza a rivalutare la regola di conformità alla natura del contratto, che
viene a porsi nella gerarchia subito dopo il principio di conservazione.
♦ Interpretazione secondo Buona Fede (art. 1366 C.c.) → Tra i due gruppi di norme si
inserisce quella contenuta nell'art. 1366 C.c., secondo cui il contratto deve essere (sempre)
interpretato secondo buona fede, intesa in senso oggettivo, come regola di condotta da seguire.

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CAP. II - I SINGOLI MEZZI ERMENEUTICI

IL COMPORTAMENTO COMPLESSIVO delle PARTI e gli ALTRI MEZZI di


INTERPRETAZIONE COSIDDETTA SOGGETTIVA
Sull'art. 1362, comma 2, C.c. mancano trattazioni complete in dottrina.
La Giurisprudenza ha elaborato alcune impostazioni:
▪ Sarebbe materiale ermeneutico il comportamento successivo “conforme” a contratto, e non
quello difforme: ma la distinzione è un po' ingenua, visto che, per sapere se una condotta sia
conforme o difforme, occorre aver già interpretato il contratto;
▪ In alcuni casi, ha valore ermeneutico la condotta di una sola parte (ad es. se si scosta dalla
condotta di tutte le altre, presumendo che la Legge glielo consenta); in altre pronunce si richiede
uno sguardo complessivo sulla condotta di tutte le parti.
(!) Anche le Trattative (= condotta anteriore al contratto) possono essere utilizzate come canone
ermeneutico.
♦ Altri Criteri Soggettivi → Per quanto riguarda gli altri criteri soggettivi, si ha che:
▪ Art. 1363 C.c.: le clausole contrattuali vanno sì analizzate singolarmente, ma vanno comprese
ognuna per mezzo delle altre (Principio di Totalità);
▪ Art. 1364 C.c. → Questa norma è improntata su una Logica Restrittiva: se vi sono nel
contratto delle espressioni generali, queste devono ricomprendere solo e soltanto l’oggetto proprio
del contratto stipulato;
▪ Art. 1365 C.c. → Si ha qui, invece, una Logica Espansiva: se vi sono clausole che contengono
dei casi espressi, appunto, exempli causa, non saranno esclusi casi o fattispecie non espresse dagli
esempi (è una norma di scarsa applicazione, in quanto facilmente intuitiva).

IL CRITERIO della BUONA FEDE


L'art. 1366 C.c. fa riferimento alla clausola generale di Buona Fede in senso oggettivo, ovvero
alla condotta ispirata a correttezza, onestà, realtà, che deve quindi connotare anche la fase
dell’interpretazione del contratto, e non solo quella della conclusione e di esecuzione del contratto.
(!) Sacco ritiene che la buna fede di cui all’art. 1366 C.c., non sia ricollegabile al principio
dell’affidamento: non è una forma di tutela dell’affidamento della controparte, perché
l'affidamento presuppone un dichiarante ed un destinatario, ma nel contratto, invece, vi è una
coppia di due dichiarazioni reciproche perfettamente uguali.
Potrebbe avere un senso il riferimento all'Affidamento nell'ambito dell'Adesione ai Contratti
predisposti da una sola parte: senonché, oggi, la protezione del soggetto aderente è già prevista da
specifiche norme, sì che l'art. 1366 C.c. avrebbe una funzione sussidiaria.
(!) Sacco denota inoltre che la norma è sicuramente ricca di potenzialità, ma che ha avuto scarsi
sviluppi. L'autore propone di fondarla come base della Presupposizione, dell'Allocazione di Rischi
Imprevedibili, dell'Obbligo di Rinegoziazione, ecc... .

IL PRINCIPIO di CONSERVAZIONE, gli USI, la NATURA del CONTRATTO


► L'art. 1367 C.c. → E' una norma centrale dei canoni ermeneutici di tipo oggettivo, ed è relativa
al Principio della Conservazione del Contratto (il Codice del 1865 parlava solo di conservazione
della clausola; mentre il Codice del ’42 ha esteso la conservazione all’intero contratto).
(!) Sacco nota che è difficile che delle parti vogliano delle clausole od un contratto privi di effetti:
le parti non si impegnano a prestazioni impossibili, a meno che l'impossibilità non sia loro nota.
L'art. 1367 C.c. fa optare per un significato validante, anziché per uno frustrante: ciò che
senz'altro non fa è, ad es., portare ad “effetti maggiori”, come salvare un contratto nullo (v.
Cassazione 3793/1997).

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► L'art. 1368 C.c. → Questa norma fa riferimento agli Usi Locali od Interpretativi (individuati
in base al luogo in cui il contratto è concluso, o in base al luogo della sede dell'impresa, se è parte
un imprenditore), che non sono gli “usi” e le “consuetudini” intesi come fonti del diritto.
Questa norma, però, non è più adeguata all’attuale realtà dei traffici giudici, in quanto è difficile
individualizzare un luogo fisico di conclusione del contratto; inoltre è difficile anche solo
individualizzare degli usi locali.

► L'art. 1369 C.c. → Le Espressioni Polisense, in caso di dubbio, devono essere interpretate nel
senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto. La norma ha scarsa applicazione.
Tuttavia, alcuni hanno inteso la norma come se disponesse che l’interpretazione debba condursi in
modo (differenziato e) adeguato secondo i vari tipi contrattuali, mettendo in rilievo le regole
(dispositive) destinate ad ogni tipo e restringendo al massimo, in sede interpretativa, le clausole che
derogano allo schema legale.

L'INTERPRETAZIONE CONTRO l'AUTORE della CLAUSOLA e le REGOLE FINALI

► L'art. 1370 C.c. → “Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o
formulari, predisposte da uno dei contraenti, s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro”.
La norma fa riferimento ad un'interpretazione contra stipulatorem: è relativa ai Contratti per
Adesione dove, in capo al predisponente, c’è un dovere giuridico di formulare le clausole in modo
chiaro e non ambiguo. E', lo si è detto, un “dovere giuridico”: infatti, se fosse violato, vi sarebbe
una sanzione, che è proprio l'interpretazione contra stipulatorem.
Vi sono diverse ragioni della norma: la debolezza del contraente aderente; la possibilità del
predisponente di predisporre clausole chiare; ecc... .
(!) La Giurisprudenza vigila affinché la norma non sia applicata se il contratto sia stato negoziato
individualmente.

► L'art. 1371 C.c. → “Qualora, nonostante l'applicazione delle norme contenute in questo capo,
il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato, se è a
titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a
titolo oneroso”.

Si arriva così alla nozione di equità utile anche in materia di integrazione del contratto; secondo
Gazzoni, sono due le disposizioni del codice in cui si sostanzia la nozione di equità: sono gli artt.
1371 e 1374 C.c., che riguardano le fonti di integrazione del contratto.
C’è forse il pericolo che il Giudice plasmi un contratto differente da quello voluto dai contraenti,
per realizzare l’equo contemperamento?
No: l’art. 1371 è una regola di interpretazione residuale (la Giurisprudenza sottolinea che l'art.
1371 C.c. si utilizza solo se il contratto rimanga oscuro, nonostante l'applicazione di tutte le altre
regole ermeneutiche), sussidiaria, finale, e ad ogni modo, l’equità interpretativa, come
realizzazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti, implica un giudizio quantitativo
del Giudice.

▪ Come fa il Giudice a realizzare l’equo contemperamento?


Deve garantire l’equilibrio delle prestazioni, facendo riferimento al giusto prezzo ed ai valori di
mercato: equità non vuol dire libero arbitrio.
L’equità codicistica, infatti, fa sempre riferimento ai valori di mercato: quindi, il giudice, se deve
applicare l’art. 1371 C.c., non dovrà trovare una via di mezzo tra gli interessi delle parti, ma
dovrà ricercare la normalità economica, di mercato, facendo riferimento al mondo delle
relazioni contrattuali cui il contratto in questione appartiene.

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SEZIONE XIV: L'INTEGRAZIONE - R. Sacco -


CAP. I - I PROBLEMI D'INSIEME
INTEGRAZIONE, NORME DISPOSITIVE e NORME COGENTI
L'Integrazione del Contratto è regolata dalle seguenti norme:
▪ L’art. 1374 C.c. dispone che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo
espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la Legge o, in mancanza,
secondo gli Usi e l’Equità;
▪ L’art. 1375 C.c. prescrive che il contratto si esegua secondo Buona Fede (sempre in senso
oggettivo: si crea così un collegamento con l'art. 1175 C.c.);
▪ L’art. 1339 C.c. dispone che le Clausole e i Prezzi di beni o servizi imposti dalla Legge sono di
diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti;
▪ Ex art. 1340 C.c., infine, le Clausole d’Uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta
che non siano state volute dalle parti. La norma in esame è quindi ricompresa nell'art. 1374 C.c..

EFFETTO e CONTENUTO del CONTRATTO di FRONTE all'INTEGRAZIONE


Un tempo si affermava che le vicende prodotte dal contratto “praeter voluntatem”, a differenza
delle vicende volute dalle parti, fossero estranee al “contenuto” del contratto.
(!) Sacco, invece, sostiene che sicuramente gli Effetti Legali del contratto sono estranei
all'accordo, ma che rientrano senz'altro nel contenuto del contratto, inteso come “regolamento”.
A chi obietta, a questo punto, che verrebbero così a sovrapporsi Interpretazione ed Integrazione
(poiché la ricerca e la produzione di effetti sarebbero ugualmente individuate dalla Legge), Sacco
risponde affermando che, in realtà, pur pervenendosi ad una unicità del complesso degli Effetti,
interpretazione ed integrazione sono cose diverse sotto un duplice punto di vista, e cioè in base alla:
▪ Posizione occupata nel Ragionamento Giuridico → La Legge regola i vari passaggi logici che
deve compiere l'interprete: prima si interpreta il contratto in base al significato oggettivo del
testo ed in base alle regole ermeneutiche; quindi si integra il contratto qualora sia necessario
operare aggiunte e sostituzioni;
▪ Fonte cui possono essere attribuite → Esistono effetti attribuibili a norme d'interpretazione, ed
effetti attribuibili a norme integrative.

LE CLAUSOLE SOSTITUITE d'IMPERIO e la NOZIONE di CONTRATTO


La presenza di norme cogenti può mettere in crisi la nozione di “Contratto come atto di autonomia
delle parti”. Tuttavia, esistono dei casi in cui le parti o non vanno a disciplinare tutti i punti del
contratto, oppure li disciplinano in una maniera riprovata dall'ordinamento (che provoca la
nullità della clausola viziata).
Quindi, sempre in virtù di una “conservazione del contratto”, l'art. 1339 C.c. prescrive che, in caso
di clausole o prezzi imposti, questi ultimi si sostituiscano di diritto a quelle/quelli convenzionali.
♦ Clausola Sostituita → E' “nulla” o semplicemente “sostituita”? La sostituzione è un rimedio
alternativo alla Nullità? Per Sacco sono logicamente corrette ed ipotizzabili entrambe le soluzioni.
♦ Quesiti → Sacco quindi si domanda:
▪ Può chiedersi l'Annullamento per Errore sull'Oggetto od Errore di Diritto su una norma
cogente?
Per Sacco, la norma cogente opera solo quando i contraenti, conoscendola (o sospettandone
l’esistenza), hanno contratto con l’intento di sottomettervisi o di eluderla: può invece essere
esclusa, tramite l’azione di annullamento, se il contraente danneggiato dimostri di averla ignorata;
▪ Può ammettersi la clausola che reciti “Se in questo contratto vi sia qualcosa di non conforme
a diritto, l'intero contratto si considera come non scritto e di nessun effetto”?
Per ragioni analoghe a quanto detto sopra, Sacco ritiene che tale clausola sia valida.

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CAP. II - I MEZZI D'INTEGRAZIONE


LE LEGGI e gli USI
► Le Leggi → Quali sono le Leggi che prescrivono integrazioni sostitutive?
La “Legge” di cui parlano gli artt. 1339 e 1374 C.c. è la “Legge Formale”, la quale peraltro può
rinviare ad:
 Un Atto Amministrativo → Ad es., un Regolamento Comunale;
 Un Negozio Privato → Ad es., contratti Collettivi, contratti di Locazione, ecc... .

Per quanto riguarda le Leggi Formali, queste sono molto numerose: si pensi a tutte le norme che
regolamentano i prezzi (es. D. Lgs. Lgt. 347/1944, istitutivo del C.I.P.); le norme sui Contratti
Agrari e le Locazioni Urbane; i Contratti Collettivi di Lavoro; ecc...
► Gli Usi → Gli usi integrano il contratto a duplice titolo:
▪ Art. 1340 C.c.: s’intendono inserite nel contratto le Clausole d’Uso, se non risulta che non
sono state volute dalle parti.
Sono i c.d. “Usi Contrattuali”, e corrispondono ad un comportamento generale e spontaneo dei
consociati: essi operano anche nei confronti di Contraenti Ignari, e possono derogare a Norme
Legali Dispositive;
▪ Art. 1374 C.c.: il contratto obbliga alle conseguenze che sono appropriate secondo gli usi.
Sono i c.d. “Usi Normativi o Giuridici (v. art. 8 Preleggi)” , e sussistono indipendentemente da
ogni prassi propriamente contrattuale (ad es., possono rifarsi alla prassi seguita nell'esecuzione di
una data opera o di una data prestazione).
(!) Non rientra fra gli Usi, né contrattuali, né normativi, la “Prassi Invalsa” fra due contraenti: essa
potrà essere, se del caso, elemento di interpretazione, ma non di integrazione.

LE REGOLE di OPINIONE (con aggiunte da “Il Contratto”, Roppo)


La ratio di Norme Dispositive ed Usi è di evitare Lacune Contrattuali: anche al fine di tutelare il
contraente “che non ha saputo prevedere”, il Legislatore non lascia nulla d'intentato per riempire
il vasto spazio delle ipotesi e delle modalità di esecuzione che le parti hanno lasciato inesplorate.
Se parla la Clausola, la Legge, o l’Uso, somministrando una risposta al quesito, il Giudice non
dovrà fare altro che applicare una regola oggettivamente determinata in modo univoco: si
tratta della c.d. “Integrazione Legale” (Roppo).
(!) In assenza dei mezzi integrativi suddetti, il Legislatore vuole che il Giudice esprima un giudizio
in base a criteri deontologici tratti dalle sue proprie convinzioni, ma che si faranno portavoci di
apprezzamenti e valutazioni sociali: è la c.d. “Integrazione Giudiziale”, che opera, quindi, in base
a criteri a contenuto non predeterminato.
I criteri da seguire sono due: l'Equità e la Buona Fede.
♦ Equità Integrativa (art. 1374 C.c.) → Essa ha, innanzitutto, un ruolo residuale
nell’interpretazione del contratto: il Giudice potrà ricorrere all'Equità solo e soltanto in presenza di
una lacuna del regolamento contrattuale non colmabile ricorrendo alla Legge od agli Usi.
L'Equità si definisce come la “giustizia del caso singolo”, ed è richiamata anche in altre norme
della disciplina del contratto (Roppo).
Ad es., come criterio per la determinazione dell’Oggetto ad opera del Terzo Arbitratore, tenuto a procedere con equo
apprezzamento; o per l’impugnativa di essa, quando risulti manifestamente iniqua od erronea (art. 1349 C.c.); come
criterio offerto al Giudice per decidere se accordare la Liberazione dal vincolo (rescissione del contratto concluso,
in stato di pericolo, a condizioni inique: art. 1447 C.c.); e, in caso di Rescissione, come criterio per assegnare alla
controparte un equo compenso (art. 1447 comma 2 C.c.).
▪ Nello stesso contesto, viene in gioco a fini di salvataggio, mediante Riequilibrio, del
contratto squilibrato: si pensi alla riduzione a equità del contratto rescindibile o del contratto
risolubile per eccessiva onerosità.
▪ L’equità è anche regola (finale) d’interpretazione del contratto, ex art. 1371 C.c..

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▪ Inoltre l’equità è richiamata, come fonte d’integrazione del regolamento, in relazione a singoli
tipi contrattuali, con particolare riferimento alla determinazione di corrispettivi dovuti in
cambio di beni e servizi, o di somme dovute da una parte all'altra, in relazione a certi sviluppi
del rapporto (ad es.: “equo compenso” per il venditore, se si risolve la vendita con riserva della
proprietà – ex art. 1526 C.c. –; “equa indennità”, per l’appaltatore che receda di fronte a variazioni
progettuali eccedenti il sesto – ex art. 1660 C.c. –; ecc...);
▪ Fuori della disciplina del contratto, l’equità è richiamata in tema di Riparazione del Danno.
(!) L’equità è fonte d’integrazione “suppletiva”, e non cogente: il Giudice colma le lacune del
regolamento contrattuale, introducendo sì nuove regole, ma coerenti con le logiche, gli assetti, gli
equilibri del regolamento concordato.
Equità non è “arbitraria intromissione” del Giudice nel contratto: questi non può invocarla
per affermare soluzioni incoerenti con i programmi dell'autonomia privata, e tanto meno per
modificare i contenuti dell'accordo, anche se questi gli appaiano “iniqui”!
L'unico caso in cui il Giudice può intervenire in via non suppletiva, ma cogente, è l'ipotesi della Riduzione della Clausola Penale
manifestamente eccessiva (art. 1384 C.c.).

Infatti, di regola, la Giustizia e l’Equilibrio del contratto sono decisi fondamentalmente dalle
Parti stesse: un controllo dell'ordinamento sulle pattuizioni private potrà aversi solo tramite Norme
Imperative, o potranno intervenire i richiami all'Ordine Pubblico ed al Buon Costume, ma tutto ciò
solo qualora vengano in gioco Interessi Collettivi (ad es. sono nulli i contratti illeciti) o vi siano
casi di Abuso di un Contraente sull'altro.
(!) Sacco concorda con le tesi di Roppo sopra esposte, affermando che non è possibile che l'art.
1374 C.c. diventi sbocco per quella disciplina interventistica che, limitando l'autonomia privata,
sostituisca ciò che le parti hanno deciso con precetti eteronomi.
▪ Il Giudice, quindi, dovrà colmare le lacune contrattuali ricercando soluzioni che siano giuste
ed equilibrate, alla luce dei programmi e degli assetti d'interessi definiti dalle parti: potrà andare
a considerare ad es. i motivi di una parte, noti all'altra; il bisogno atipico di una parte; o la
impossibilità soggettiva sopravvenuta; ecc... .
Così, sarà ristabilito l'Equilibrio Contrattuale e si eviteranno squilibri nel mercato.

♦ Buona Fede (art. 1375 C.c.) → La clausola generale di Buona Fede (oggettiva) comporta un
dovere di cooperazione e correttezza: nel merito, essa esige che il contraente tenga presente
l'interesse della controparte, e se ne dia carico (cfr. Cassaz. 3775/1994).
La buona fede obbliga la parte alla coerenza dei propri comportamenti, per non deludere gli
affidamenti che questi hanno generato nella controparte: essa vieta alla parte di esercitare i propri
diritti contrattuali in modo formalmente lecito, ma sostanzialmente sleale e dannoso per controparte.
▪ Buona Fede e Diligenza → La B.F. è criterio d’integrazione del contratto, serve a determinare
contenuti e modalità delle prestazioni o dei comportamenti contrattualmente dovuti o vietati;
La Diligenza è criterio d’imputazione della responsabilità: serve a stabilire se nell’eseguire la
prestazione dovuta il contraente debitore abbia impiegato la cura, l’attenzione, la competenza
necessarie a renderlo irresponsabile dell’inadempimento;
▪ Altri richiami → In contesti diversi dall’esecuzione del contratto, alla B.F. si richiamano norme
sulle trattative (art. 1337 C.c.) e sull’interpretazione (art. 1366 C.c.);
▪ Derogabilità della Buona Fede → Il principio di buona fede è derogabile dalle parti, od ha una
natura imperativa che lo rende inderogabile?
In linea di principio, le parti sono libere di concordare una regola opposta a quella che – in
assenza di accordo – scaturirebbe dall’integrazione secondo buona fede.
Sarebbe invece illecito, per contrarietà all’ordine pubblico, l’accordo con cui le parti escludano
una volta per tutte, in modo indifferenziato, che al loro rapporto s’applichi il principio di
buona fede;

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▪ Buona Fede ed Inesatto Adempimento → La B.F. obbliga la parte, che riceve una prestazione
affetta da inesattezza rimediabile, a mettere la controparte in condizione di rimediare;
▪ Cooperazione → La B.F. obbliga la parte a cooperare con la controparte, per consentirle di
adempiere;
▪ Errori ed Equivoci → La B.F. obbliga la parte a prestarsi per correggere errori o chiarire
equivoci che potrebbero gettare il rapporto nell’incertezza;
▪ Modifica della Prestazione → La B.F. obbliga la parte a modificare la prestazione a suo
carico, quando ciò permetta – senza suo sacrificio o con suo minimo sacrificio – di realizzare
l’interesse di controparte, altrimenti frustrato.
▪ Rinegoziazione → Dalla B.F. può discendere un obbligo di rinegoziare le condizioni
contrattuali, squilibrate da sopravvenienze;
▪ Discriminazioni → La B.F. vieta alla parte di trattare la controparte in modo ingiustamente
discriminatorio rispetto ad altre controparti in circostanze analoghe.

Come per l'Equità, vi sono settori della Dottrina propensi ad adibire il principio a funzioni di
controllo dell’autonomia privata e d’integrazione cogente, che la tradizione riserverebbe a
strumenti diversi (norme imperative, ordine pubblico, buon costume): ma ciò non è accettabile.

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SEZIONE XV: LA QUALIFICAZIONE - R. Sacco -


CAP. I - I TIPI CONTRATTUALI
LA REGOLA d'AUTONOMIA ed i TIPI CONTRATTUALI
Il Diritto Romano non è mai riuscito a superare del tutto il Principio di Tipicità dei Contratti (in
forza del quale, solo i contratti corrispondenti al “tipo” disposto dall'ordinamento erano produttivi
di effetti giuridici): la prima rottura c'è stata con il Codice Napoleonico che, adottando un generale
princìpio di autonomia, ha reso applicabili anche ai Contratti c.d. “Innominati” le norme sul
contratto in generale (v. art. 1107 C. Nap.); tale princìpio è poi confluito nei C.c. del 1865 e 1942.
♦ Gli artt. 1322 comma 2 e 1323 C.c. → Sono le principali norme in materia: non si parla più di
contratti “nominati” ed “innominati”, ma di contratti “tipici” ed “atipici”, assoggettando questi
ultimi ad una restrizione relativa agli interessi in gioco nel contratto, che devono essere meritevoli
di tutela secondo l'ordinamento giuridico (art. 1322 comma 2 C.c.).
La disciplina sul Contratto in generale è estesa anche ai Contratti Atipici (art. 1323 C.c.).
Gli artt. 1322 e 1323 C.c. adempiono a una funzione ben precisa, perché impediscono al Giudice
di dichiarare “Nullo” un accordo per il solo fatto che quest'ultimo non rientri in nessuno dei
tipi previsti dalla Legge.
(!) Sacco nota che le funzioni si esauriscono qui: l'art. 1323 C.c., in particolare, non ha
praticamente mai trovato una esclusiva applicazione; non è cioè mai capitato che ad un contratto
atipico si applicassero solo le norme sul contratto in generale: come si vedrà, si tende sempre a
ricondurre i contratti atipici verso i contratti tipici. Le ragioni di quest’operazione sono le più varie.
Le principali tra esse è l’esigenza di applicare al contratto oggetto di giudizio una disciplina concreta esaustiva, più
esaustiva di quella del contratto in generale. Talvolta si tratta di esigenze di giustizia del caso concreto: si ritiene più
appropriato applicare al contratto concreto una certa regola sancita per un tipo contrattuale e, dunque, esce fortemente
ridotta la portata applicativa dell’art. 1223 C.c..
N.B. → Il concetto di Causa Tipica va però tenuta distinta dal concetto di contratto tipico, perché la causa tipica è il
sintagma che serve ad indicare, a selezionare, tra le svariate possibili ragioni di carattere soggettivistico che inducono i
contraenti a stipulare, quella specifica funzione che si collega a quel tipo contrattuale. Ad es., si stipula il contratto di
compravendita per ottenere lo scambio della cosa contro il prezzo. E’ evidente la differenza rispetto alla nozione di
contratto tipico, inteso come “contratto avente una disciplina legale particolare”, perché la causa è, appunto, un
elemento del contratto, e non il contratto.

LA TIPICITA' nel DIRITTO APPLICATO


La Giurisprudenza talvolta afferma che il Diritto riconosce i Contratti Atipici, tant'è che,
promuovendo un giudizio, le parti non sono tenute ad indicare il tipo contrattuale.
Resta da chiarire che la Giurisprudenza, posta di fronte ad un contratto, appena diventi rilevante
statuire sulla sua natura fa di tutto per ricondurre la fattispecie ad un tipo legale o, in subordine, ad
un tipo giurisprudenziale. Gli espedienti logici seguiti sono:
1● Tipizzazione delle Clausole → Consiste nella creazione di corrispondenze fisse di significato
tra ciò che le parti hanno “voluto” o, meglio, hanno “dichiarato”, e “conseguenze ulteriori”, in
conformità a regole esclusivamente giurisprudenziali. Seguono alcuni esempi:
▪ Contratto di Scuola Guida → Le parti vogliono che l'istruttore si limiti ad insegnare, o che
insegni e vegli sulla sicurezza dell'allievo? La giurisprudenza opta per la seconda soluzione;
▪ Contratto di Monta Equina → Le parti vogliono solo la prestazione dello stallone, o proprio la
gravidanza della femmina? La giurisprudenza opta per la prima soluzione.
La tipizzazione delle clausole non è la “tipizzazione del contratto”, ma la prepara e la rende
possibile, perché sostituisce alla variabilità del “voluto” la lista definitiva delle clausole.
2● Prevalenza del Tipo → La clausola estranea al tipo normativo cede il passo a quest’ultimo: la
Giurisprudenza afferma cioè che anche un rapporto avente qualche caratteristica non aderente
alla fattispecie legale può ricondursi alla disciplina propria del rapporto legale che gli elementi
prevalenti concorrono a costituire.

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Ad es., se un contratto apparentemente riconducibile al Trasporto di persone contiene una clausola limitativa della
responsabilità del vettore, vietata ex art. 1681 C.c. a pena di nullità , come si qualifica tale contratto? Da un lato
sembra riconducibile al trasporto, dall’altro, almeno a prima vista, sembra un contratto atipico, perché contiene una
clausola in forte discromia con quella giuridica. Tuttavia, la Giurisprudenza stabilisce che si applica comunque la
disciplina del tipo ritenuto prevalente.

3● Unificazione degli Effetti → Qualora un contratto atipico produca singoli effetti diversi, propri
di altri contratti Tipici, tali effetti possono essere considerati individualmente per ricostruire la
figura contrattuale corrispondente. Il contratto atipico risulterà dalla ricomposizione del tutto, e
potrà dirsi:
▪ “Complesso” quando i singoli effetti siano considerati individualmente, ma in un'ottica globale
(es. vendita più locazione). La disciplina sarà data dalle regole di quel Contratto Tipico di cui
sono caratteristiche le prestazioni che prevalgono nello stesso contratto complesso;
▪ “Misto” quando invece il contratto risulti dalla riunificazione di clausole costituenti frammenti
di più contratti tipici. La disciplina sarà data dalle regole del Contratto Tipico le cui componenti
appaiano prevalenti.
4● Applicazione Analogica → In Giurisprudenza è stata applicata la disciplina della locazione ad
un contratto con cui Tizio concedeva a Caio un’area di terreno a scopo di discarica: ovviamente,
se la parte cessionaria utilizza il bene a scopo di discarica, si può controvertere sul fatto che sia uno
scopo di godimento o no; tuttavia, per fugare ogni dubbio, la Cassazione ha stabilito l’applicabilità
in via analogica della disciplina della Locazione.

TIPI LEGALI, e TIPI SOCIALI e GIURISPRUDENZIALI


Se da un lato è vero che i “tipi” dilagano ampiamente fuori dell’area legalmente loro riservata,
dall'altro lato è anche vero che gli stessi assorbono l’universo dei contratti, e che, di fatto, tutti i
negozi vengono sempre ricondotti ad un tipo.
Tuttavia la pratica degli Affari, convalidata e rispettata dai tribunali, ha creato una serie di tipi di
origine sociale e giurisprudenziale che si affiancano ai tipi legali. Esempi sono:
▪ Il Contratto di Informazioni Commerciali;
▪ Il Contratto di Viaggio o “Turistico”;
▪ Il Contratto di Procacciamento d'Affari, sviluppatosi nel dopoguerra: differisce dal contratto di Agenzia, perché
le prestazioni del procacciatore, consistenti nel promuovere la conclusione di contratti, hanno carattere instabile ed
autonomo; ossia, non corrispondono ad un obbligo;
▪ Il Contratto di Pubblicità;
▪ Il Contratto di Ingaggio, che si ha quando il costruttore del mezzo (es. auto da corsa) assume un pilota perché
partecipi ad una o più corse;
▪ I Contratti di:
 “Leasing” → Consiste nella locazione del bene, acquistato o fatto costruire da un terzo (locatore o impresa di
leasing), su scelta o richiesta del conduttore del bene, che ne ottiene così la disponibilità dietro pagamento di un
canone. Nel contratto di leasing è prassi riconoscere al conduttore la possibilità di riscattare al termine dell’operazione
la proprietà del bene pagando un importo residuo. Perno del Leasing è il Contratto di Locazione;
 “Factoring” → Un imprenditore specializzato (il Factor), a fronte del pagamento d'una commissione, si impegna a
fornire all'impresa cliente una vasta gamma di servizi relativi alla gestione dei suoi Crediti (contabilizzazione,
amministrazione, sollecito, incasso, recupero, ecc...). Di regola, il Factor effettua a favore del cliente anche
un'anticipazione finanziaria, pari ad una parte del valore nominale dei crediti ceduti. Perno del Factoring è la disciplina
della Cessione del Credito;
 “Franchising” → E' il contratto in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un
insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di
utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato
in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati
beni o servizi;
▪ Altri contratti: Cessione di Cubatura, Vitalizio Alimentare, “Joint Venture”, ecc... .

Il contratto tipizzato socialmente o giurisprudenzialmente finirà così per essere ricondotto dalla
stessa Giurisprudenza ad un tipo legale. Talvolta, inoltre, la tipizzazione sociale è puramente
“nominale”: ad es., il contratto di “parcheggio” sarà de plano ricondotto al Deposito.

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TIPI CONTRATTUALI ed EFFETTI del CONTRATTO


► La tipizzazione è utile anzitutto ad individuare tutti quegli Effetti Naturali del contratto
(“Naturalia negotii”), che si reputano correlati a tale tipo di contratto finchè le parti non li
abbiano esclusi: infatti, ascrivere un contratto ad un tipo piuttosto che ad un altro significa, in
buona sostanza, attribuirgli questi piuttosto che quegli altri naturalia.
► Alcuni contratti producono tipicamente anche delle Responsabilità e delle Garanzie: in
presenza di clausole derogatorie (che richiedono la forma scritta ex art. 1341 C.c.), ad es. di
Limitazione di Responsabilità, la qualificazione sarà molto utile per capire se tali clausole siano
valide o meno.
Esempio → Se Tizio dà a Caio un'auto in “Locazione”, non risponderà verso Caio dei danni che
costui arrecherà ai terzi e che dovrà risarcire: ma se l'auto è data a titolo di “Noleggio”, ecco che
allora Tizio sarà gravato, per la stessa natura del contratto, dell'obbligo di provvedere
all'assicurazione rischi: un'eventuale clausola di esonero, qui, essendo limitativa della
responsabilità, richiederà la forma scritta ex art. 1341 C.c..
► Oltre ai naturalia negotii, il tipo influenza anche una serie di conseguenze inderogabili: ad es.,
termine di Prescrizione, Risolubilità per Inadempimento, Capacità delle Parti, Forma, ecc... .

Ciò premesso, si spiega l'impegno col quale gli interpreti si sforzano di tracciare le linee di confine
fra i vari tipi contrattuali: tuttavia, può essere ingiusta e paralizzante sul piano economico una
serrata tipizzazione dei contratti. Ecco che, quindi, la scappatoia giurisprudenziale favorirà lo
sviluppo di contratti atipici ex art. 1322 C.c., differenziandoli rispetto al tipo.
Ad es., il Contratto di Garanzia evade dallo schema della Fideiussione.

I CRITERI SEGUITI PER la TIPIZZAZIONE


La sussunzione d'un contratto in un tipo avviene in base alla presenza od assenza dei caratteri che
differenziano i vari tipi; ma il Legislatore utilizza in materia anche criteri discontinui ed eterogenei:
▪ Tipizzazione in base alla Prestazione, senza considerare il carattere gratuito od oneroso: ad es.,
il trasporto si ha a prescindere dall'onerosità;
▪ Talvolta si considerano l'Onerosità (appalto, locazione) o la Gratuità (donazione, comodato);
▪ Talvolta si tipizza solo la Prestazione di una Parte (es. nella locazione è tipizzata solo la
condotta del locatore, ma non quella del conduttore);
▪ In altri casi si tipizzano Entrambe le Prestazioni (ad es., vendita: proprio perché sono tipizzate
entrambe le condotte, creeranno problemi ad es. le vendite nummo uno);
▪ Può quindi capitare che la prestazione di un contratto sia ricompresa in un altro contratto
(ad es., il trasportatore è necessariamente anche depositario);
▪ Il tipo può dipendere dalla Natura Litigiosa del rapporto (es. transazione) o dall'Alea creata
dalle parti, quindi da elementi accidentali (es. gioco, scommessa, contratto condizionato);
▪ Il tipo può anche dipendere da Dati Soggettivi (sempre considerando la transazione, essa è
finalizzata a risolvere una lite);
▪ Infine, va ricordato che i caratteri dei vari tipi non sono alternativi: può benissimo darsi che
un contratto abbia caratteri di un altro contratto. Ma ciò crea problemi di qualificazione.

♦ Tipizzazione di Clausole e Contenuti → La configurazione legale dei tipi non verte


necessariamente su contratti: può vertere anche su singole clausole o, in genere, su contenuti che
non esauriscano l’intero contratto; ad es., la clausola “a favore di terzi” rende quel contratto (che
può essere un qualsiasi contratto) un contratto a favore di terzi, soggetto agli artt. 1411 e ss. C.c..

E' dunque possibile trarre tre conclusioni.

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(1) Anzitutto, il “tipo contrattuale”, legislativamente previsto, non è “il tipo” di un contratto, non
disciplina un intero contratto: disciplina, ed ha come presupposto, uno specifico contenuto del
contratto, e ad esso la disciplina del tipo è rivolta.
Più che di “tipi di contratto”, bisogna parlare di tipi di “Pezzi del Contratto”, come afferma Sacco.
Ad esempio, si consideri il Contratto di Trasporto di persona, in cui è disciplinata l’attività di
trasporto del vettore: si potrebbe insolitamente stipulare un contratto di trasporto in cui la
controprestazione non sia in denaro, ma consista nella concessione in godimento di un immobile.
Qui, nulla vieta che siano applicate sia la disciplina del trasporto, che quella della locazione;
(2) Quindi, le discipline dei tipi contrattuali si possono applicare in via cumulativa: i tipi “non
sono compartimenti stagni”. Possono concorre alla disciplina del medesimo contratto concreto;
(3) Bisogna sottolineare come il tipo non attenga sempre all’oggetto del contratto: può attenere
all’intenzione delle parti o agli elementi accidentali del contratto stesso. Se già nell’opera di
tipizzazione del legislatore esiste una colorazione soggettivistica, questo stampo quasi
“psicologico” è ancor più marcato dell’opera di costruzione del tipo operata in giurisprudenza.
Essa adotta spesso criteri di distinzione dei tipi di stampo soggettivistico: l’Appalto è stato distinto
dal Contratto d’opera in virtù del criterio dell’obbligazione di mezzi; in entrambi i casi, la
prestazione dedotta in contratto è un servizio o un’opera, però il criterio distintivo è l’obbligazione
dei mezzi, che, nel caso del contratto di appalto, è a carico dell’appaltatore.
Oppure, ad es., quando si deve statuire se un certo contratto è “Vendita d'Erba” o “Affitto di Prato”, si ha riguardo ad
elementi sfuggenti, che conducono ad un accertamento in chiave psicologica: viene prima il godimento dell'erba, o del
suolo? O viceversa?

IL CONTRATTO ATIPICO e l'INTERESSE MERITEVOLE di TUTELA


In presenza d'un contratto atipico, opera l’art. 1322 C.c., in ragione del quale i contratti atipici sono
validamente conclusi purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento.

♦ Clausola di Meritevolezza → Opera anche per i Contratti Tipici? Per Sacco, sì: gli interessi da
proteggere saranno i medesimi, entro e fuori lo steccato dei contratti tipici.
Tra l'altro, fa notare Sacco, se un accordo è illegale, socialmente pericoloso o immorale, esso è già
nullo ex art. 1343 C.c. (Causa illecita): non è infatti possibile che i contratti contro cui si invoca
l’art. 1322 C.c. superino il vaglio dell’art. 1343 C.c..
(!) Sacco ritiene che l'art. 1322 C.c.:
▪ Abbia una funzione propria;
▪ Operi solo nell'alveo dei Contratti Atipici;
▪ Dia un peso all'Interesse sotteso al contratto.

Infatti: poiché i divieti legali, rivolti a chi conclude un contratto tipico, colpiscono
l’immeritevolezza di un rapporto (che tutela un interesse illecito o irrilevante), l’art. 1322 C.c.
avverte che non sfugge alla nullità colui che, per evitare il rapporto vietato, concluda un
contratto per proteggere quello stesso interesse (illecito, immorale, ecc...) con un rapporto
diverso da quello che corrisponde al contratto tipico.
Esempio → Sarà nullo il contratto di colui che, volendo disfarsi di una cosa non alienabile per disposizione di Legge,
non potendo vendere, rilasci contro un prezzo un’autorizzazione irrevocabile a usare, consumare ed alienare, con
dispensa da rendiconto e da conflitto d’interessi;
La pratica, quando adopererà l’articolo in esame in modo pertinente, condannerà quel contratto
atipico concluso dalle parti per sfuggire alle norme imperative rivolte al tipo: così, l’art. 1322
C.c. offre all’interprete un meccanismo più puntuale, e meno sfuggente, di quello predisposto
dall’art. 1344 C.c., che reprime il Contratto concluso in Frode alla Legge.

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CAP. II - LE ALTRE CLASSIFICAZIONI


CONTRATTI BILATERALI ed UNILATERALI, ONEROSI e GRATUITI, SINALLAGMATICI
e CON PRESTAZIONI a CARICO di UNA PARTE SOLA
Le “Categorie” sono un qualcosa di diverso dai “Tipi”: esse sono fondamentalmente degli insiemi
che abbracciano più tipi contrattuali, in ragione del loro contenuto.
Ad es., la categoria dei contratti onerosi abbraccia diversi tipi di contratto, dalla compravendita alla locazione, dal
mutuo al mandato, ecc... .
A loro volta, le categorie si distinguono fra loro, contrapponendosi. Si considerino i contratti:
1 ▪ Con obbligazioni a carico di una parte o più parti;
2 ▪ Con prestazioni corrispettive o non corrispettive;
3 ▪ A titolo gratuito od oneroso;
Le differenze sono evidenti: in merito, la Dottrina ha fatto alcune considerazioni per ognuno dei tre
punti di cui sopra, considerando in particolare il Numero delle Obbligazioni:
1 ♦ Obblighi a carico di una o più parti → Il numero delle obbligazioni non ha nulla a che vedere
con il numero di Sacrifici assunti dalle parti: il “sacrificio” può intendersi come la perdita
patrimoniale rispetto alla situazione antecedente al contratto. Ad esempio:
 Se Tizio aliena, sopporta un sacrificio consistente nella cessione del bene, ma non assume
un obbligo: la vendita è consensuale, è reale, non ha efficacia obbligatoria;
 Il comodatario sopporta un'obbligazione (restituire il bene), ma senza sacrificio: non
subisce alcuna perdita patrimoniale dall'obbligazione, rispetto alla situazione antecedente
al patto.
2 ♦ Corrispettività → Per “corrispettività” si intende che il sacrificio giuridico di una parte trova
giustificazione nel sacrificio giuridico dell’altra parte.
Il numero delle obbligazioni nulla ha a che vedere con il carattere corrispettivo delle stesse: non
necessariamente, infatti, due obbligazioni sono corrispettive, due sacrifici sono reciproci.
Ad esempio:
 Sempronio, usufruttuario, si obbliga a restituire: ma quest'obbligazione non può dirsi un
corrispettivo della costituzione di usufrutto.
Perciò è possibile che il contraente incorra, a seconda dei casi: in un sacrificio senza obbligazione; in un'obbligazione
senza sacrificio; in un'obbligazione con sacrificio; né in un sacrificio, né in un'obbligazione.

3 ♦ Onerosità e Gratuità → Anche l'Onerosità non dipende dal numero di obbligazioni: non tutto
ciò che è unilaterale è gratuito.
Infatti, la stipulazione contrattuale non è l'unico modo per essere arricchito delle altrui prestazioni:
se io prometto cento a chi eseguirà per me la tale opera, e Tizio la esegue pur non essendovi tenuto,
io ottengo lo stesso risultato (con un'unica obbligazione) che avrei ottenuto stipulando direttamente
con Tizio (due obbligazioni: do, ut facias).
In una simile ipotesi, l'Onerosità dipende da uno Scambio di Prestazioni, non di promesse: del
resto, il contratto unilaterale ex art. 1333 C.c. non può mai essere gratuito.

► Bilateralità, Corrispettività ed Onerosità sono quindi tre categorie autonome: inoltre, Sacco
nota che nulla assicura che le categorie non siano più numerose rispetto a quelle citate.
Perciò, riprendendo sempre le tre categorie, Sacco amplia il discorso, e nota che:
● L'Unilateralità degli artt. 1333 (Obbligazioni del solo proponente) e 1468 C.c. (contratti con
obbligazioni di una sola parte) è diversa: nel primo caso, si parlerebbe di sacrifici giuridici del
solo proponente -es. promessa di ricompensa-; il secondo articolo sarebbe invece genericamente
riferito al caso in cui un solo contraente sia obbligato, sia egli o meno soggetto di un sacrificio;

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● Meno instabile è il concetto di Corrispettività delle Prestazioni, che ricorre spesso nel Codice.
“Prestazione” è un significato ampio, che può inglobare tanto il sacrificio quanto l'obbligazione:
ad es., la prestazione del venditore, lo si è visto, è un sacrificio, non un'obbligazione.
La corrispettività sta a significare che:
 Ogni parte si sottomette al proprio sacrificio a condizione che l'altra faccia lo stesso;
 Ogni sacrificio soddisfa il bisogno della controparte, naturalmente sorto prima del
contratto.
La corrispettività nasce quindi dalla Volontà delle parti: ma il Legislatore ne amplifica gli
effetti, ricollegando al mancato rispetto delle prestazioni corrispettive (inadempimento), ad es., la
Risoluzione del contratto.
Si parla di “corrispettività” in vari ambiti: Cessione del Contratto (in particolare qui, ex art. 1406
C.c., deve trattarsi di “prestazioni corrispettive non ancora eseguite”), Risoluzione per
Inadempimento, Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta ( anche l’art. 1467 C.c. presuppone
che le prestazioni non siano state ancora eseguite, ma presuppone anche che l’esecuzione sia
differita rispetto alla conclusione del contratto), Rescissione per Lesione, Eccezione
d'Inadempimento.
● L'Onerosità e la Gratuità non è detto che abbiano lo stesso significato in tutti i casi previsti
dalla Legge: infatti, la gratuità si considera diversamente quando sia guardata dal punto di
vista del soggetto dell'atto di disposizione (è correlata di regola ad un impoverimento) o da quello
del destinatario dell'atto (arricchimento).
(!) Sacco, inoltre, precisa che “Gratuito” non è sinonimo di “Liberale”: “gratuito” si
contrappone ad “oneroso”; “liberale” si contrappone ad “interessato”.
Ad es., non è liberale la promessa o prestazione fatta per un ritorno economico.

ALEA e CONTRATTI ALEATORII


Secondo una definizione meno recente, sarebbero “Contratti Aleatori” quelli in cui il vantaggio o
la perdita di ogni contraente sono ignoti, in quanto dipendenti da un evento incerto, o almeno
ignoto (si contrappongono così ai “Contratti Commutativi”, dove i reciproci sacrifici sono certi).
Questa perdita e questo vantaggio possono essere intesi in senso “Economico”, cioè attinenti al
valore economico della prestazione, oppure in senso “Giuridico”, cioè attinenti all’an o al
quantum della prestazione.
Il Codice Civile disciplina tale contratto per escluderlo dall’applicabilità della disciplina della
Risoluzione o dei rimedi Rescissori.
Bisogna rilevare che, per come è disciplinato dal Codice, il contratto aleatorio non ha riguardo ad
un’alea né puramente giuridica, né puramente economica.
▪ L’alea puramente economica, che è la c.d. “Alea Normale” del contratto, di cui parla l’art. 1467
C.c. quando fissa la soglia di esperibilità dell’azione di Risoluzione per Eccessiva Onerosità, è un
rischio insito in qualunque contratto, legato alle oscillazioni del Mercato.
Esempio → Nel contratto di compravendita, è chiaro che il compratore patisce il rischio delle oscillazioni del valore di
mercato del bene acquistato. Questo è insito in ogni contrattazione, ma non per questo il contratto è aleatorio.
▪ Il rischio puramente giuridico è il rischio che, per esempio, contraddistingue il contratto in cui è
presente una Condizione, evento futuro ed incerto che incide sull’effetto del contratto e, quasi
sempre, sull’an o sul quantum della prestazione.
Si è discusso per lungo tempo se sia riducibile in condizione direttamente una prestazione, e cioè
l’adempimento; una parte consistente della dottrina lo ammette: qui è ancora più evidente quanto la
condizione possa influire sull’an o sul quantum della prestazione e sugli effetti giuridici del
contratto.
Ma nemmeno questo rischio puramente giuridico vale a rendere il contratto puramente aleatorio.

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(!) Il rischio che rende il contratto aleatorio è il Rischio Giuridico-Economico: giuridico, perché
incide sull’an o sul quantum della prestazione; economico, perché incide al contempo sul valore
economico del contratto.
In tema di contratti aleatori, il Legislatore distingue tra:
▪ Contratti Aleatori “per Natura” → Sono quei contratti che tipicamente comportano un'alea,
per previsione espressa di Legge.
Esempi sono: Assicurazione, Rendita Vitalizia, Gioco, Scommessa, ecc... ;
▪ Contratti Aleatori “per Volontà delle Parti” → Il contratto non appartiene di per sé ad un tipo
che richiede o presuppone una certa alea per sua natura, ma appartiene piuttosto ad un sottotipo,
caratterizzato da una Clausola che rende il contratto aleatorio.
Esempio tipico è la Vendita di Cosa Futura: se il bene non viene ad esistenza, ai sensi dell’art.
1472, comma 2, C.c. il contratto di vendita di cosa futura è nullo (per impossibilità dell'oggetto),
salvo che le parti abbiano voluto concludere un contratto aleatorio (quindi, si aspetta e si vede se
la cosa viene ad esistenza: se non viene ad esistenza, l'acquirente sopporta il rischio e la perdita).
♦ Rilevanza del carattere “Aleatorio” → Sta in ciò: ossia, che le parti, avendo accettato
rispettivamente di subire l'alea, o di speculare su essa, non possono poi considerare il contratto
come “lesionario”, o come “eccessivamente oneroso”.
In altre parole, il Legislatore non vuole che un contratto, equo se valutato ex ante, venga rescisso o
risolto solo perché trovato iniquo ex post.
(!) Sacco conclude con un quesito: perché mai non potrebbe essere rescisso il contratto aleatorio
concluso in stato di bisogno, a prescindere dall'aggravio prodotto dal verificarsi dell'evento?
Esempio → Tizio, in stato di bisogno, è costretto a scommettere uno contro dieci, anziché uno contro uno.
Parimenti, perché mai un contratto aleatorio, ex ante iniquo, non potrebbe essere risolto per
eccessiva onerosità?
▪ Roppo, con riferimento alla Rescissione, dice che “anche un contratto aleatorio è rescindibile,
quando la lesione risulti ex ante come sproporzione fra la misura della prestazione a carico del
contraente in stato di bisogno e la misura del rischio dedotto in contratto”.

CONTRATTI PLURILATERALI
L’art. 1420 C.c. statuisce che nei contratti con più di due parti, in cui le reciproche prestazioni di
ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la Nullità che colpisce il vincolo di
una sola delle parti non importa nullità del contratto salvo che la partecipazione di essa debba
secondo le circostanze considerarsi essenziale
Norme simmetriche si ritrovano negli artt. 1446, 1459 e 1466 C.c. (rispettivamente nei casi di
annullamento, risoluzione e risoluzione per impossibilità).
Il contratto plurilaterale per eccellenza è la Società (e così le Associazioni, i Consorzi, le
Comproprietà), ma si conoscono contratti plurilaterali anche al di fuori dei contratti associativi (ad
es. divisione ereditaria; prestazioni a circolo chiuso; ecc...; v. pag. 593 Manuale).
Il contratto plurilaterale ha uno “Scopo Comune ai Contraenti”, che – si ritiene – connoterebbe la
Causa stessa del contratto.
▪ Di regola è plurilaterale il Contratto Aperto all'Adesione di Terzi (art. 1332 C.c.), dove vi è
una forte scissione fra la redazione del testo contrattuale e la dichiarazione individuale di
adesione.
(!) Sacco, comunque, ritiene sproporzionato lo sforzo condotto in dottrina per dare un'identità al
contratto plurilaterale: d'altra parte, dice l'Autore, tale contratto non è altro se non un particolare
modo di essere dei Contratti Sinallagmatici. Ad ogni modo, potrebbero esservi particolari sviluppi:
▪ Il C. Plurilaterale potrebbe sottrarsi alle regole sulle clausole vessatorie;
▪ Potrebbe essere terra d'elezione del Principio di Parità di Trattamento;

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CONTRATTI MISTI, COMPLESSI, COLLEGATI


► Contratto Misto → E' un unico contratto, con unica Causa, il cui contenuto è dato da una
commistione di più elementi o clausole di più contratti tipici; inoltre, dice Sacco, il contratto misto
si distinguerebbe da quello “complesso” per un carattere più marcatamente unitario.
E' soggetto alle regole del contratto tipico le cui componenti appaiano prevalenti.
Esempio → Se Tizio concede in godimento temporaneo a Caio un immobile per ricoverarvi il suo camioncino, ed in
cambio Caio s’impegna a trasportare periodicamente merci per conto di Tizio, si ha un contratto misto di locazione e
trasporto.
N.B.: altri autori, ad es. Roppo, ritengono che le due categorie si equivalgano; “misto” sarebbe sinonimo di
“complesso”, e viceversa.
Il trattamento dei contratti misti o complessi si determinerebbe, per Roppo, in base a due criteri.
Il primo, detto “Criterio della Combinazione”, significa che al contratto s’applicano congiuntamente le discipline di
entrambi i tipi contrattuali; il secondo, detto “Criterio dell’Assorbimento (o della Prevalenza)” opera in via
eventuale, quando le discipline dei due tipi risultino incompatibili fra loro, e fa sì che al contratto si applichi la
disciplina del tipo prevalente.

► Contratto Complesso → E' un unico contratto che risulta dall'unificazione degli effetti di più
contratti tipici, considerati nel loro contenuto “globale”.
E' disciplinato dalle regole relative al tipo contrattuale le cui prestazioni risultino prevalenti.
Esempio → Vendita più Locazione (c.d. Sale and Lease Back) : Tizio, non potendo più sostenere troppe spese, aliena a
Caio il suo appartamento ed ottiene – con lo stesso contratto – la contestuale locazione dell'appartamento, che ora non è
più suo, ma di cui può comunque godere dietro corresponsione di un canone;

► Contratti Collegati → Le parti possono concludere accordi apparentemente separati e distinti


e, nello stesso tempo, possono collegarli subordinando l’efficacia dell’uno a quella dell’altro:
l’interdipendenza implica che la nullità dell’uno porta con sé la nullità dell’altro (salvo i casi di
nullità parziale) e che la condizione apposta ad uno condizioni l’altro.
(!) Per Sacco, ciò implica che tutte le prestazioni poste a carico di una parte in tutti i contratti della
catena siano il corrispettivo di tutte le prestazioni poste a carico della controparte in tutti i contratti
in questione: allora, dice Sacco, l’intera catena costituisce, dal punto di vista logico, un unico
contratto, che sarà poi diviso in frammenti, da qualificare e disciplinare secondo le regole tipiche.
Per l'Autore, il Contratto Collegato è quindi unico, ed ha un'unica causa! Ne deriva che, se un
accordo gratuito sia collegato ad uno oneroso, il Giudice dovrà considerare l'intera concatenazione
come onerosa; parimenti, se un accordo astratto sia collegato ad uno causale, il Giudice considererà
l'intero accordo come dotato di causa.
(!) Per Roppo e la Dottrina maggioritaria, invece, il contratto collegato è dato dalla coesistenza
di più contratti, i quali hanno una causa loro propria, autonoma, ma in più entrambi i contratti
hanno un frammento causale ulteriore, che li unifica nella dimensione di uno scopo unitario.
Esempio → Tizio acquista un software e, con contratto separato, acquista un hardware: è un esempio di contratto
collegato, perché il software non gli serve a nulla senza l’hardware.
E’ chiaro che da un lato c’è un fine unitario, ma, dall'altro lato, il contratto di acquisto del software è un contratto di
compravendita che ha una causa autonoma e, quindi, non è un contratto misto: i contratti sono due, non è uno; però
ciascun contratto è contraddistinto da un fatto ulteriore, che vale ad unificarli per un fine unitario.

♦ Invalidità Derivata → Il problema è più teorico che pratico: di fatto, in presenza di un contratto
collegato, ciò che conta sapere è che l’invalidità o l'inefficacia di un contratto può incidere
sull’inefficacia o invalidità dell’altro contratto.
E' l'Invalidità Derivata, proprio come quella che può riguardare i Provvedimenti Amministrativi.
A questa conclusione si può infatti giungere seguendo sia il pensiero di Sacco, sia quello di
Roppo.
♦ Tipo di Collegamento → Infine, il collegamento può essere Necessario (ad es., il contratto di
Fideiussione presuppone di regola un altro rapporto a monte, da garantire) o Convenzionale
(come quello dell'esempio di cui sopra).

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LE CLASSIFICAZIONI CONDOTTE in BASE al SOGGETTO del CONTRATTO


Alcuni contratti sono caratterizzati dalla presenza, fra le parti contrattuali, di uno specifico soggetto:
una Banca (contratti bancari), un Assicuratore (contratti di assicurazione), un Consumatore
(contratti del consumatore), ecc... .
Prima del 1942, con la netta distinzione fra Diritto Civile e Diritto Commerciale, erano rilevanti gli
Atti Commerciali, cioè posti in essere da un commerciante (oggi si direbbe “imprenditore”).
Soprattutto dal 1942 in avanti, sono state introdotte norme a tutela di alcune categorie di cittadini: il
Coltivatore Diretto, il Consumatore, ecc... ; tali norme incidono sulle clausole contrattuali, o
rafforzano la protezione della libertà del consenso del contraente debole, ecc... .

I CONTRATTI del CONSUMATORE


Si tratta ormai della categoria più importante fra quelle caratterizzate dal soggetto.
Ciò premesso, Sacco ricorda come la Legge sui contratti è ragionevole nella misura in cui lascia
fare al Mercato: di contro, il mercato è valido solo se il contraente vi accede con adeguata
informazione, libertà e ponderazione, e se la forza o l’abilità contrattuale delle due parti non sia
asimmetrica (al fine di evitare “Fallimenti di Mercato”, come aggiunge l'Analisi Economica).
Poiché non si può capire caso per caso se informazioni e ponderazione fossero sufficienti, i
Legislatori italiano ed europeo si sono mossi, e si muovono tuttora, sulla base di circostanze
obiettive; prima fra tutte la Qualità dei Contraenti.
Da una parte il “Professionista”, che negozia nel quadro della sua attività imprenditoriale o
professionale; dall’altra, la persona fisica che agisce per scopi estranei alla sua attività
imprenditoriale o professionale, chiamata “Consumatore”.

Con una strategia un po' “paternalistica”, Sacco nota come il Legislatore non preveda già nuovi vizi
del volere, quanto forme di parziale incapacità d'agire che vanno a limitare le capacità di
autoregolamento del consumatore. Come?
Sancendo la non vincolatività delle Clausole Vessatorie, anche se sottoscritte dal consumatore;
tali clausole possono prevedere:
▪ Limitazioni delle Responsabilità Contrattuali, limitazioni di Azioni Giudiziarie, limitazione
della facoltà di opporre Eccezioni;
▪ Accettazione di difficoltà od altri svantaggi processuali;
▪ Clausole Penali eccessive;
▪ Limitazioni al Recesso per l'aderente (o maggiori possibilità di recesso per il predisponente);
▪ Possibilità per il predisponente di modificare unilateralmente il contenuto o gli effetti del
contratto;
▪ Riduzione della libertà contrattuale del consumatore;
▪ Previsione di Condizioni Potestative.
♦ Tutela → La tutela predisposta dalla Legge può comportare:
▪ L'Invalidità assoluta delle clausole vessatorie più gravi;
▪ La Validità delle clausole che siano state oggetto di Trattativa, se meno gravi.
♦ Sanzione → Le clausole invalide sono Nulle, e la loro inefficacia è Rilevabile d'Ufficio.
Inoltre, le Associazioni dei Consumatori e dei Professionisti, e le Camere di Commercio, possono
ottenere, a carico del Professionista, l'inibitoria dell'uso delle clausole vietate.

♦ Disciplina → Si rinvia al Codice del Consumo, D. Lgs. 206/2005.

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SEZIONE XVI: LE INVALIDITA' - R. Sacco -


CAP. I - LE FIGURE DI INVALIDITA'
LE NORME del CODICE e delle ALTRE LEGGI
La categoria dell’“Invalidità” non è definita dal Legislatore in generale: è una categoria che esso
non “pone”, ma “presuppone”, e che può essere collegata alla nullità, all’annullabilità ed alla
rescindibilità che, non a caso, sono disciplinate una dopo l'altra.
Infatti, il Codice Civile dedica, al Libro IV, Titolo II, distinti capi a tre figure giuridiche correlate
ad una mancata produzione degli effetti corrispondenti a ciò che è voluto dalle parti:

► Nullità (Capo XI: artt. 1418-1424 C.c.) → E' una forma di invalidità del contratto che, in base
al disposto dell'art. 1418 C.c., che elenca le “Cause di Nullità”, consegue:
▪ Comma 1 - Nullità Virtuale - → Alla contrarietà dell'atto a generiche norme imperative;
▪ Comma 2 - Nullità Strutturale - → Ricorre:
 Per mancanza dei Requisiti Essenziali ex art. 1325 C.c.;
 Per illiceità della Causa (art. 1343 C.c.) o del Motivo comune alle parti (art. 1345 C.c.);
 Per mancanza, nell'Oggetto, dei requisiti richiesti ex art. 1346 C.c. (possibilità, ecc...).
▪ Comma 3 - Nullità Testuale - → Un atto è nullo perché così è espressamente previsto.
Ad es., si pensi all'espresso divieto del patto successorio o del patto commissorio.
Quanto alla disciplina della Nullità, il Codice dispone come segue:
● Nullità Parziale (art. 1419 C.c.) → La nullità di singole clausole non essenziali non comporta
la nullità dell'intero contratto – la comporta se erano “essenziali” –; parimenti, il contratto non è
nullo se quelle clausole nulle sono sostituite per Legge (v. art. 1339 C.c.).
● Nullità nel Contratto Plurilaterale (art. 1420 C.c.) → La nullità che colpisce il vincolo di una
sola parte non comporta la nullità dell'intero contratto, a meno che non fosse “essenziale”.
● Legittimazione (art. 1421 C.c.) → Salve diverse disposizioni di Legge, la nullità può essere
fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.
● Imprescrittibilità (art. 1422 C.c.) → L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a
prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione dell’azione di ripetizione.
● Inammissibilità della Convalida (art. 1423 C.c.) → Il contratto nullo non può essere
convalidato, se la Legge non dispone diversamente.
● Conversione Giudiziale (art. 1424 C.c.) → Il contratto nullo può produrre gli effetti di un
contratto diverso del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma qualora, avuto riguardo
allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero
conosciuto la nullità.

► Annullamento (Capo XII: artt. 1425-1446 C.c.) → Sono Cause di Annullamento:


▪ L'Incapacità delle Parti, ex art. 1425 C.c.: incapacità legale o naturale;
▪ I Vizi del Consenso, ex art. 1427 C.c.: errore, violenza e dolo

♦ La Rettifica (art. 1432 C.c.) → E' alternativa all’annullamento: infatti, la parte in Errore non
può domandare l’annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio,
l’altra offra di eseguirlo in modo conforme al contenuto ed alle modalità del contratto che quella
intendeva concludere.
Tale offerta non può essere invece avanzata da chi abbia agito con Violenza o Dolo: la norma ha
una portata circoscritta al solo caso dell'errore; cfr. infra.

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La disciplina dell'Azione di Annullamento è la seguente:


● Legittimazione (art. 1441 C.c.) → E' unicamente legittimato colui nel cui interesse è stabilito
l'annullamento; eccezionalmente, l’incapacità del Condannato in stato di Interdizione Legale
può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.
● Prescrizione (art. 1442, comma 1, C.c.) → Il termine è, di regola, di 5 anni; esso decorre:
 Dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al vizio (comma 2)→ In caso di
Incapacità Legale o Vizio del Consenso; quindi decorre dal giorno del raggiungimento della
maggiore età; della cessazione o scoperta dell'errore o del raggiro (dolo); dalla cessazione
delle minacce o della violenza;
 Dal giorno della conclusione del negozio (comma 3) → In caso di Incapacità Naturale.

(!) Se è decorso il termine utile, l'attore ha l'onere di provare che la scoperta dell'errore, del
raggiro, o la cessazione delle minacce si sono verificate entro e non oltre il quinquennio
anteriore al momento in cui viene intentata l'azione di annullamento.
● Eccezione di Annullamento (art. 1442, comma 4, C.c.) → L’annullabilità può essere opposta
come eccezione dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se si è prescritta
l’azione per farla valere.
● Ripetizione contro il Contraente Incapace (art. 1443 C.c.) → Se il negozio venga annullato
per Incapacità di uno dei contraenti, l'incapace è tenuto a restituire la prestazione dovuta solo nei
limiti in cui essa sia stata rivolta a suo vantaggio. Ciò in quanto si presume che l'incapace non
utilizzi, di norma, a proprio vantaggio quanto ricevuto dall'esecuzione del contratto (Confortini).
● Convalida (art. 1444 C.c.) → Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al
legittimato attivo all’Azione di Annullamento, in due modi:
▪ Comma 1: mediante un Atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di
annullabilità con la dichiarazione che intende convalidarlo;
▪ Comma 2: dando volontaria Esecuzione al contratto, conoscendo il motivo di annullabilità;
(!) In base al Comma 3, la convalida non ha effetto se chi la esegue non sia in condizione di
concludere validamente il contratto – ad es., il minore che sia ancora minorenne –.
● Effetti dell'Annullamento rispetto ai Terzi (art. 1445 C.c.) → Sono fatti salvi i diritti dei Terzi
subacquirenti che abbiano acquistato in buona fede (che si presume) ed a titolo oneroso (che va
provato).
(!) Se però l'annullamento dipenda da Incapacità Legale, i Terzi perdono i loro diritti in favore
di una maggior tutela dell'incapace.
● Annullabilità nel Contratto Plurilaterale (art. 1446 C.c.) → Non annulla il contratto
l'annullabilità del vincolo di una sola delle parti, a meno che non sia essenziale.

► Rescissione (Capo XIII: artt. 1447-1452 C.c.) → Invalida il contratto concluso:


▪ In stato di Pericolo (art. 1447 C.c.): corrisponde alla situazione di un “pericolo attuale di un
danno grave alla persona (no cose)”; può esser dovuto anche a cause naturali.
Il contratto è rescindibile anche se lo stato di pericolo sia stato volontariamente causato od era evitabile; ma chi
causa un danno per sottrarsi ad un pericolo da lui stesso causato, invece, non può invocare alcuna esimente da
responsabilità.
Si richiedono qui, inoltre, che la notorietà dello stato di Pericolo in capo alla controparte e
l'iniquità delle condizioni cui il contratto viene concluso.

(!) Nel pronunciare la rescissione, il Giudice può assegnare un Equo Compenso alla controparte.

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▪ In stato di Bisogno (1448 C.c.): è una difficoltà economica, anche temporanea, che induce la
parte ad accettare una sproporzione nel sinallagma.
Si richiedono qui una Lesione “ultra dimidium”, che deve perdurare fino al tempo in cui la
domanda dev'essere proposta; la notorietà dello stato di bisogno in capo alla controparte;
l'approfittamento della controparte.
La sproporzione deve misurarsi in base a valori oggettivi, e non soggettivi: infatti, non si tiene conto del plusvalore
d'affezione che il bene abbia per chi lo vende.
I valori di riferimento sono i Valori di Mercato: il mercato rilevante è quello del tempo e del luogo in cui
concretamente le parti hanno contrattato (Roppo).

(!) Non è ammessa la Rescissione per i Contratti Aleatori.

● Legittimazione Attiva → Legittimata Attiva per la domanda di rescissione è la parte che abbia
stipulato il contratto in stato di pericolo o di bisogno.
● Effetti della Rescissione → La rescissione ha Efficacia Retroattiva: fa cessare gli effetti del
contratto “ex tunc”, e le parti procederanno alla restituzione delle prestazioni secondo le norme
della Ripetizione dell'Indebito.
● Prescrizione ed Eccezione di Rescissione (art. 1449 C.c.) → L'azione si prescrive in 1 anno
dalla conclusione del Contratto, a meno che il fatto non costituisca Reato: in tal caso se per quel
reato sia prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'Azione Civile (ex art.
2947 comma 3 C.c.).
Inoltre, a differenza dell'annullamento, la rescissione non può essere oggetto di Eccezione
processuale, se è prescritta l'azione.
(!) La Sentenza che accolga l'azione di rescissione è una Sentenza Costitutiva ed obbliga le parti
alla restituzione delle prestazioni secondo la disciplina della ripetizione dell'indebito.
● Offerta di Modificazione del Contratto (art. 1450 C.c.) → Il contraente contro il quale è
domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per
ricondurlo ad equità.
La modifica del contratto rescindibile costituisce un negozio unilaterale recettizio, con il quale si attribuisce alla parte non
danneggiata il potere di evitare la rescissione del contratto. Se l'offerta di modificazione è idonea a ristabilire il sinallagma, la
volontà eventualmente contraria del danneggiato non avrà alcuna rilevanza, e sarà il giudice a valutarne la congruità.

● Inammissibilità della Convalida (art. 1451 C.c.) → Il contratto rescindibile non può essere
convalidato: la convalida non sarebbe idonea a rimuovere lo squilibrio del sinallagma.
● Effetti della Rescissione rispetto ai Terzi (art. 1452 C.c.) → La rescissione del contatto non
pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della Trascrizione della domanda di
rescissione.
I diritti dei terzi, quindi, non sono di regola pregiudicati, a meno che il contratto rescisso abbia ad oggetto beni immobili o beni
mobili registrati e la domanda di rescissione venga trascritta prima dell'acquisto da parte del terzo.

Sacco, quindi, prosegue affermando che, oltre alle norme che possono riguardare qualsiasi
contratto, indipendentemente dal tipo, occorre considerare norme più specialistiche, in particolare
ricorda alcune norme che, in relazione a quella o questa figura di contratto, hanno configurato
un’invalidità:
 Art. 4 della L. 604/1960 → E' invalido il licenziamento del lavoratore, se voluto per ragioni
di credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato, ecc... ;
 L. 416/1981 → Vieta la formazione di posizioni dominanti nel settore dell'editoria;
 L. 287/1990 (Legge Antitrust) → Vieta le concentrazioni di imprese e le condotte lesive della
libera concorrenza;
 D. Lgs. 385/1993 (T.U.B., Testo unico in materia bancaria e creditizia) → Dispone, per
vizio di forma, la nullità della clausola che può essere fatta valere solo dal cliente.

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L'INEFFICACIA
Cos'è l' “Inefficacia”? Di regola, si suole dire che:
▪ Il Contratto “Nullo” presenterebbe una divergenza fra lo stato di fatto sottoposto al Giudice e lo
schema legale della fattispecie (ad es., difetto di forma).
 Sarebbe, perciò, Invalido ed inefficace.

▪ Il Contratto “Inefficace” sarebbe invece quello dotato di tutti i requisiti di Legge, ma che fa
difetto d'una circostanza diversa dai costituenti del negozio ed esterna rispetto ad essi, cui è
subordinata la produzione degli effetti.
 Sarebbe, perciò, Valido, ma – appunto – inefficace.

► Sacco afferma che i Casi di Inefficacia vengono raggruppati in due categorie:


1) Contratto Condizionato: è inefficace il contratto condizionato se manca la condizione
sospensiva o si verifica la condizione risolutiva;
2) Atto del Terzo: è inefficace il contratto che, per essere reso operante, ha bisogno di un atto del
terzo, come ad es. un'autorizzazione da parte della Pubblica Amministrazione.
(!) Sacco ritiene che l'espressione “Valido, ma Inefficace” sia un controsenso:
▪ Se ad es. la condizione non si realizza, la corrispondenza fra la fattispecie del contratto voluto e quella dello
schema legale è altamente “platonica”, impalpabile: non si può ricondurre quel contratto del caso concreto, in
quanto inefficace, ad uno schema preciso;
▪ Parimenti, se è richiesta una certa autorizzazione amministrativa ai fini dell'efficacia del contratto, Sacco ritiene
che la sua presenza concorra ai fini della validità dell'atto, non solo della sua efficacia: se l'autorizzazione mancasse,
non si potrebbe dire che l'atto sia valido, ma inefficace. Sarà semplicemente invalido, perché inefficace.
L’espressione “inefficacia” viene usata anche in un senso molto più lato, come “atto privo di
effetto”: così, rispetto a questo valore del lemma, la nullità e l’inefficacia in senso stretto (cioè
quella che sia ha in caso di condizione od atto del terzo) costituiscono due sotto-categorie
dell’inefficacia in senso lato.
Si potrebbe quindi utilizzare una macro-categoria di Inefficacia, in cui dissolvere il concetto di
invalidità (= nullità) ed inefficacia in senso stretto.
(!) L’inefficacia, in entrambi i significati illustrati, può essere “Relativa” (solo il legittimato può
farla valere) o “Assoluta” (ogni interessato può invocarla).

LA VALIDITA' MINORATA
Di solito si afferma che il Contratto “Valido” sia quel contratto cui l’ordinamento ricollega effetti
giuridici simmetrici rispetto a quelli economico-sociali empiricamente voluti dalle parti: in altre
parole, l'ordinamento garantisce la realizzazione dell'Interesse Positivo (anche tramite azione di
adempimento).
Di contro, tali effetti non sarebbero ricollegati al Contratto “Nullo” od “Invalido”, che, al
massimo, può generare un’azione per tutelare l’Interesse Negativo.
(!) Ma rispetto a questa distinzione, Sacco porta degli esempi di “minorazione degli effetti”, ossia
casi in cui cioè il contratto è valido, ma i suoi effetti sono limitati; in particolare si pensi al:
• Comodato → Ex artt. 1809-1810 C.c., se non è stato pattuito un termine, il comodante può
richiedere la cosa che ha già dato al comodatario quando vuole; ed addirittura, anche in presenza
di un termine pattuito, può richiederla se ne ha bisogno.
Si tratta d'un contratto tipico previsto dal Legislatore, che è valido, e che però produce come
possibilità anche la ripetizione dell’indebito, che è conseguenza naturale della nullità del contratto.
• Mandato Gratuito → Sacco osserva che il mandante può revocare il mandato quando vuole;
anche l’altra parte (il mandatario) può in ogni momento rinunciare al mandato, e se lo fa senza
giusta causa deve i danni che consistono a quelli corrispondenti al ristoro dell’interesse negativo (ex
art. 1727 C.c.).

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(!) Sacco, alla luce di questa analisi, conclude che il vincolo del mandatario non è quello di
soddisfare l’interesse positivo dell’altra parte attraverso l’adempimento, ma, in generale, è quello di
non dare all’altra parte degli affidamenti illusori.
Questi sono due casi di nicchia, in cui, alla stipula di un contratto valido, si accompagna qualcosa
che assomiglia di più agli effetti che discendono da un contratto invalido, e cioè l’emergere
dell’interesse negativo.

TIPOLOGIA delle INVALIDITA'


In Italia, per tutto l'800, “Invalidità” e “Nullità” erano usate come sinonimi: in seguito, aderendo
alla Dottrina Tedesca, l'invalidità fu distinta in:
▪ Nullità → Operava ipso iure; era eccepibile da chiunque; il Giudice doveva constatarla d'ufficio; non era soggetta
a prescrizione; nessuno poteva convalidare il negozio nullo;
▪ Annullabilità → Non intaccava l'efficacia del negozio, che però era neutralizzabile se il soggetto specificamente
legittimato promuoveva l'azione entro il termine di prescrizione.
La sentenza del Giudice era costitutiva e con effetto retroattivo; tuttavia, il negozio annullabile poteva essere
convalidato dal legittimato, cosa che accadeva automaticamente se decorreva inutilmente il tempo previsto per
l’esercizio dell’azione.
Il nostro Codice riprende tale bipartizione, ma la contraddice, ammettendo eccezionalmente che
l'azione di annullamento del contratto concluso dal soggetto in stato di Interdizione Legale possa
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (art. 1441 comma 2 C.c.).
Sono quindi state rilevate alcune contrapposizioni, utili a distinguere le due sottocategorie
d'Invalidità. Sono state fondate:
● Sulla Prescrittibilità dell'Azione → Sacco ritiene che non sia una contrapposizione rigida:
infatti, pur non essendo la nullità soggetta a prescrizione, se si prescrivono le azioni restitutorie o
decorre il termine per il realizzarsi dell'usucapione, l'accertamento di nullità sarà inutile.
● Sulla Convalida/Sanatoria → Anche questa distinzione non è rigida: pur non essendo
convalidabile, molti contratti nulli possono essere sanati (ad es., la donazione nulla ex art. 799 C.c.).
● Sulla Rilevabilità d'Ufficio e sulla Funzione Dichiarativa/Costitutiva della Sentenza → Sacco
rileva che a questa distinzione sia stata tolta importanza tramite Leggi complementari al Codice.
▪ Si pensi, ad es., alla Legge sul Diritto d'Autore, che riserva al solo contraente protetto (cioè
l'autore dell'opera) il potere di far valere l'invalidità.
Sul punto, la Giurisprudenza ha introdotto la categoria della “Nullità Relativa”, particolare forma
di nullità che si distingue da quella normale, o “Assoluta”, perché il Giudice può rilevarla solo ad
istanza del legittimato.
Sacco, invece, ritiene che sul punto la Giurisprudenza avrebbe dovuto parlare di “Annullabilità”.
Numerose norme, soprattutto a seguito degli interventi a tutela del Consumatore, prevedono oggi
delle “Nullità (Relative) di Protezione”, che sono invocabili solo dalla parte protetta.

♦ Annullamento del Contratto Nullo → Tizio, per una violenza di Caio, è costretto a stipulare
fittiziamente con lui; il contratto simulato è nullo: può chiederne l'annullamento per violenza?
In base alla dicotomia vista sopra, no: però, Sacco nota che la difesa di Tizio sarebbe fondata;
inoltre, in Giurisprudenza si trovano pronunce che annullano contratti simulati (Cassaz. 4105/1982).
Per questo, tale situazione ha indotto molti giuristi a ritenere di dover abbandonare la distinzione
fra negozio Nullo ed Annullabile.

♦ Problemi → Nuovi meccanismi hanno creato problemi di classificazione, ed hanno


definitivamente logorato la bipartizione nota al Codice e cara alla dottrina del Novecento (es.
norme europee che consentono al contraente sprovveduto il pentimento, impropriamente chiamato
“recesso”; v. pag. 609 Manuale).

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♦ Applicabilità delle norme sull'Annullamento → Sacco rileva che, in buona sostanza, il negozio
annullabile sarebbe quel negozio che ha un'efficacia quantomeno provvisoria.
Secondo l'Autore, il caos sistematico potrebbe semplificarsi parlando di “situazione sospesa” del
contratto, che ricorrerebbe:
▪ In caso di contratto concluso fuori dai locali commerciali di cui il contraente potrebbe pentirsi;
▪ In presenza di un'Autorità che possa cancellare l'accordo (es. Autorità garante dell'editoria);
▪ Quando l'accordo (sia esso definito nullo, invalido, inefficace) possa essere concretamente
cancellato solo tramite l'attivazione del contraente legittimato a far valere la protezione;
▪ Quando il contraente abbia il potere di sollecitare dal giudice la cancellazione dell'accordo.
Gli ultimi due punti coinciderebbero, se il Codice non prevedesse una disciplina differenziata per
l'Annullamento, con particolari caratteristiche (spesso opposte) rispetto alla Nullità.
(!) Per cui, Sacco ritiene che le norme sull’annullamento del contratto contenute negli artt. 1441
e ss. C.c. siano speciali, ed applicabili solo là dove lo dice espressamente il Codice.
Tutte le altre figure di invalidità saranno invece riconducibili alla Nullità: nullità relative,
successive, sopravvenute, ecc... .

LA NULLITA', DISTINTA dall'INESISTENZA


Intendendo l'“Inesistenza” come “difetto di almeno uno degli elementi indispensabili per la
produzione degli effetti giuridici tipici dell'atto”, la Nullità si sovrappone ad essa.
L'unico rimedio sarebbe quello di sospingere l'inesistenza nel margine in cui operano le valutazioni
pregiuridiche o metagiuridiche.
Infatti, di regola, è inesistente quell'atto che comporta una deficienza talmente grave da impedire
perfino l'identificazione dell'atto compiuto come negozio di un certo tipo: ad es., un matrimonio
omosessuale, od una delibera assembleare presa senza convocare l'Assemblea dei Soci (Torrente).
● Il Contratto “Inesistente” non può produrre alcun effetto;
● Il Contratto “Nullo”, anche se inidoneo a produrre effetti sin dall’inizio, è tuttavia in grado di
produrre alcuni effetti, in correlazione con degli altri elementi.
La distinzione Nullità-Inesistenza rende servigi al sistema, perché consente di capire come mai,
talvolta, il Legislatore intenda confermare certi effetti, al fine di tutelare alcuni valori.
In merito, Sacco fa alcuni esempi:
▪ Donazione Nulla (art. 799 C.c.) → Se gli eredi/aventi causa, conoscendo la causa d'invalidità,
hanno confermato o dato esecuzione alla donazione del defunto, la Nullità della donazione, da
qualunque causa dipenda, non può essere da questi fatta valere, al fine di tutelare la volontà del
defunto. Lo stesso discorso vale per la Disposizione Testamentaria Nulla (art. 590 C.c.).
Non si può dire che sia inesistente: benché nulla, la donazione produce qui i propri suoi effetti.
▪ Conoscenza di Cause d'Invalidità (art. 1338 C.c.) → E' una regola di fondo, destinata ai
contratti nulli: chi non comunica alla controparte cause d'invalidità che conosceva, od era tenuta a
conoscere, è obbligata a risarcire il danno.
L'atto nullo crea così una responsabilità per tutelare l'affidamento.
▪ Prestazione di fatto con violazione di Legge (art. 2126 C.c.) → La nullità o l'annullamento del
contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo
che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa.
Anche qui, la Nullità ha efficacia ex nunc, e non ex tunc: sono fatti salvi alcuni effetti del contratto
nullo, al fine di garantire al lavoratore subordinato la giusta retribuzione.
▪ Nullità della Società (art. 2332 C.c.) → La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia
degli atti compiuti in nome della società stessa, dopo l'iscrizione al Registro delle Imprese.
Il fine è quello di tutelare i creditori sociali.

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LA NULLITA' e l'ESECUZIONE
Gioco e scommessa sono due contratti validi, che hanno come effetto l'Irripetibilità del Pagato
(c.d. Soluti Retentio): lo stesso effetto può essere prodotto dando esecuzione ad un contratto nullo
per Causa turpe (contraria al buon costume).
Quindi, l'esecuzione può comportare specifici effetti: in alcuni casi, è indispensabile per sanare un
contratto nullo (v. supra, Donazione Nulla, art. 799 C.c.); in altri casi è, invece, un momento
costitutivo della fattispecie (ad es., la Donazione Manuale, che esige la traditio).
Anche questo esempio corrobora l’idea che Validità e Nullità siano delle categorie significative: ma
quello che Sacco vuole denunciare e che, se si osserva profondamente il sistema, si possono avere
dei dubbi sulla completa distinzione tra queste categorie.

LA NULLITA' PARZIALE
La Nullità, di regola, inficia un singolo punto del Contratto: l'Espansione della Nullità all'intero
contratto si spiega constatando che, crollata la clausola inficiante, manca il consenso dei contraenti
agli effetti residui del negozio.
(!) L'art. 1419, comma 1, C.c., nell'ottica di una conservazione del contratto, prevede però che se
la clausola nulla non sia essenziale, il contratto resti valido per la parte restante.
Il Giudice deve quindi valutare se la clausola fosse essenziale o meno; inoltre, al fine di una
maggior tutela della volontà delle parti, la Giurisprudenza è arrivata addirittura ad affermare che la
dichiarazione di Nullità Totale sia subordinata alla richiesta della parte interessata.
La Giurisprudenza, infatti, non disdegna una “ortopedia contrattuale”, finalizzata a conservare il
contratto.
Sacco, infine, nota che l'espansione della nullità non opera solo dalla clausola al contratto, ma
anche da un contratto ad altro contratto collegato.

LA CONVERSIONE del CONTRATTO NULLO


L’art. 1424 C.c. dispone che il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del
quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito
dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.
Mentre da un lato il contratto depurato dalla clausola viziata è conservato, salvo che non risulti
una diversa volontà ipotetica delle parti, dall'altro lato, la Conversione opera solo quando il
Giudice ritenga presente la cosiddetta volontà ipotetica: si richiede, fra l'altro, una specifica
domanda della parte interessata.
La maggiore difficoltà di questo istituto consiste nella valutazione in ordine a tale volontà ipotetica delle parti di
accettare ex ante il contratto diverso, anche perché le parti sono quasi certamente in lite fra loro innanzi al Giudice.

(!) Sacco va controcorrente su due punti:


▪ Notorietà delle Cause di Nullità → La conversione non potrebbe operare se le parti,
contraendo, conoscevano la causa della nullità: ma Sacco ritiene troppo affrettata questa
opinione.
▪ Contratto Illecito → Il contratto illecito, di regola, non può essere convertito: ma non sempre
l’illiceità investirà quegli elementi che l’art. 1424 C.c. battezza con l’espressione “scopo
perseguito dalle parti”. L'illiceità potrebbe investire lo specifico contenuto d'una prestazione, forse
sostituibile senza sacrificare l'interesse delle parti.

LA SOSTITUZIONE COATTIVA degli EFFETTI


L’art. 1419, comma 2, C.c. dispone che la nullità di singole clausole non importa la nullità del
contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative sulla base
dell'art. 1339 C.c..

♦ Effetti dell'art. 1339 C.c. → La norma in esame da un lato integra i contratti lacunosi, ma,
dall'altro lato, può anche alterare contratti con un contenuto ben determinato.

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Perché si ammette tale alterazione?


Parte della dottrina ritiene che serva a tutelare Interessi Sociali Collettivi, superiori a quelli privati;
altra parte ritiene invece che se i Privati avessero saputo della nullità delle clausole difformi, le
avrebbero conformate al Diritto: in quest'ultima ottica, anche la Conversione del contratto
servirebbe a conformare il contratto nullo ai dettami dell'ordinamento.
(!) Sacco ritiene che l’articolo in esame si giustifichi con l’esigenza di soddisfare Interessi Sociali
Collettivi, superiori all’interesse privato dei paciscenti, interessi che però, ritiene l'Autore,
sussistono solo in presenza di Obblighi Legali di Contrarre (ad es. monopolio del tabacco →
prezzo fisso → il monopolista, cioè lo Stato, ha l'obbligo di contrarre con chiunque).
Infatti, se mancasse un obbligo legale di contrarre, non si vede come potrebbe provarsi l’interesse
della collettività ad imporre al soggetto gli effetti di un contratto che egli non vuol concludere
(almeno a quelle condizioni).
Quindi, una presunzione assoluta che i privati abbiano sempre e comunque interesse a contrarre a
prezzo legale non stia in piedi.

L'ANNULLABILITA', CONTRAPPOSTA alla NULLITA'


Legge e Dottrina hanno sempre distinto i negozi nulli da quelli annullabili, sulla base delle possibili
contrapposizioni:
▪ Differenza dei Vizi: l'atto nullo mancherebbe di elementi essenziali; l'atto annullabile avrebbe
tutti gli elementi essenziali, di cui almeno uno viziato;
▪ Differenza dell'Interesse leso: l'atto nullo lederebbe un Interesse Pubblico; l'atto annullabile,
un Interesse Privato;
Si è allora preferito basare la contrapposizione tra annullabilità e nullità su un dato formale, e
definire l’Atto Annullabile come quello che “produce precariamente i suoi effetti tipici, ma può
essere ridotto a nullità da un atto successivo (che normalmente sarà la pronunzia giudiziale
costitutiva preceduta dalla domanda del legittimato)”.
Se l'atto annullabile ha una efficacia provvisoria, allora sarà prescrittibile (perché l'incertezza non
può durare in eterno) ed anche convalidabile.

(!) Alcuni giuristi sostengono che l'Annullabilità consista in un vizio meno grave: Sacco dice che
non è così; anzi, dice che è un rimedio “quasi penale”, più drastico e più grave della nullità.
Esempio di Nullità → Tizio e Caio concludono una compravendita immobiliare senza la forma
scritta: il contratto è nullo. Se Tizio chiede a Caio di rinegoziare il patto con la forma richiesta, Caio
può teoricamente anche opporsi, e restituire il denaro a Tizio, che torna così nella situazione
antecedente al contratto, senza aver subito sacrifici.
Esempio di Annullabilità → Tizio compra un fondo da Caio, minorenne: il contratto è annullabile.
Tizio ha dato a Caio il proprio denaro, non può più comprare altri fondi, né può chiedere
l'annullamento (unico legittimato è Caio).
Per il tempo della prescrizione, Caio può comportarsi come se avesse un'opzione che gli consenta la
più beffarda delle speculazioni.

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CAP. II - IL GIUDIZIO
IL GIUDIZIO di NULLITA'
Ex art. 1421 C.c., la Nullità è rilevabile d'ufficio, ed il giudicato si forma sulla Nullità del
Contratto.
(!) Se si agisce in giudizio per una ragione diversa dalla nullità del contratto (ad es., si agisce per
l'adempimento), qualora il Giudice rilevi d'ufficio la nullità, può egli inscrivere nel dispositivo
della Sentenza un capo che dichiari, con efficacia di giudicato, la nullità del contratto?
In tema di Simulazione ciò è vero senza ombra di dubbio: il giudice rileva la nullità della
simulazione sempre con efficacia di giudicato. E nelle altre ipotesi?
Sacco, affrontando il caso, ritiene che:
 Il Giudice debba sempre rilevare la Nullità: lo dispone la Legge e lo esige la logica;
 Al contempo, in assenza di espressa domanda, il Giudice non può pronunciare la nullità
con efficacia di giudicato: può rilevarla solo in via incidentale.
Ma la Giurisprudenza opera diversamente:
 Non pratica la rilevazione incidentale della nullità;
 Ammette la rilevabilità d'ufficio anche in Cassazione, se non sono necessari altri accertamenti di fatto;
 Il Giudice può rilevare d'ufficio la nullità solo se in giudizio è stata chiesta la declaratoria di nullità, oppure se si agisce per
l'applicazione del contratto; di contro, non può rilevarla in giudizi di risoluzione, annullamento e recesso;
 Promosso un giudizio volto ad ottenere la nullità per una data ragione (es. mancanza di causa), non sarebbe possibile
dichiarare la nullità per un'altra ragione (es. difetto di forma);
 Non potrebbe rilevarsi la nullità se si sia formato il giudicato parziale rispetto a quella pronuncia del giudice di merito che
escludeva quella causa di nullità.

Così, invece di estendere la formazione del giudicato ai casi in cui l'azione di nullità è
proposta, allargando così il rilevamento incidentale d'ufficio della nullità a tutti i casi possibili,
la giurisprudenza decide con efficacia di giudicato in tutti i casi in cui la nullità è rilevabile.

♦ Soggetti del Giudizio → Per Sacco, il giudizio di nullità può servire tanto per impedire a
chicchessia di ritornare su una questione di nullità, e si avrà allora Litisconsorzio Necessario; e
tanto per difendere posizioni giuridiche offese dall'atto nullo, con integrazione del
contraddittorio solo nei confronti dei soggetti interessati e controinteressati.

IL GIUDIZIO di ANNULLAMENTO e RESCISSIONE


Legittimato a chiedere l'Annullamento o la Rescissione è il soggetto nel cui interesse è stabilita la
tutela: la regola lascia aperte varie questioni.
▪ Membro di una Parte Complessa → Chi è membro di una parte complessa può chiedere
l'annullamento (e la rescissione) del contratto: l'annullamento travolgerà l'adesione di quella
persona, lasciando efficace la restante parte del contratto, a meno che l'adesione di quella parte
non fosse essenziale ex art. 1446 C.c.;
▪ Avente Causa del Legittimato Originario → Il successore universale può senz'altro esperire le
azioni (di annullamento o rescissione) del legittimato originario; il diritto delle successioni dovrà
indicare come ci si dovrà regolare se gli eredi universali siano più di uno.
Le pronunce di Annullamento e Rescissione sono Costitutive e con Efficacia Retroattiva: per cui,
se è avvenuta l'esecuzione, si applicheranno le regole sulla Ripetizione dell'Indebito.
Le restituzioni sono l'effetto della sopravvenuta mancanza di una causa solvendi.

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CAP. III - IL RECUPERO DEL CONTRATTO INVALIDO


IL RECUPERO del CONTRATTO NULLO
Osservando da vicino i modi di recupero del contratto nullo nel nostro ordinamento, si scopre che
essi sono di due tipi:
(1) Negozio Confermativo → Il nostro sistema conosce una figura di negozio confermativo di un
contratto nullo, e cioè la conferma della Donazione Nulla ex art. 799 C.c., che può aversi anche in
due momenti distinti (dichiarazione informe del donante + dichiarazione dell'erede).
▪ Soggetto della conferma può essere l'Erede del Donante o l'Avente Causa a titolo particolare
(legatario).
▪ Oggetto della conferma è il conferimento dell'efficacia al contratto di donazione che ne è
privo.
(2) Atti Non Negoziali → Esiste una serie numerosa di atti non negoziali, capaci di sanare il
contratto nullo: l'esecuzione della donazione nulla; l'adempimento dell’obbligazione naturale; la
consegna che segue la convenzione di un mutuo gratuito, o di un un comodato, o di un deposito
gratuito od, infine, di una donazione mobiliare di modico valore.
Il fenomeno può esser classificato come contratto constante di un momento consensuale ed un
momento esecutivo, o come contratto nullo seguito da una conferma sanante.

LA CONVALIDA del CONTRATTO ANNULLABILE


L’art. 1444 C.c. prevede una Convalida:
▪ Espressa (comma 1) → Il contratto annullabile può essere convalidato esplicitamente dal
contraente al quale spetta l’azione di annullamento (e se spetta a più soggetti? Sul punto la norma
non è chiara), mediante un atto che contenga la menzione del contratto, del motivo di
annullabilità e la dichiarazione che s’intende convalidarlo (Sacco li chiama “Requisiti Formali in
senso lato”).
 Alcuni ritengono che il negozio “Assolutamente Annullabile” ex art. 1441 comma 2 C.c.
non possa essere convalidato, perché l'annullamento è concesso per un interesse diverso da
quello del legittimato;
▪ Tacita (comma 2) → Il contratto è convalidato se il contraente al quale spettava l’azione di
annullamento vi abbia dato volontariamente esecuzione, conoscendo il motivo di annullabilità.
(!) La convalida ha Efficacia Retroattiva.

LA TRANSAZIONE e la SANATORIA del CONTRATTO RESCINDIBILE


Ex art. 1451 C.c., il contratto rescindibile non può essere convalidato; Sacco fa varie congetture
sulla ratio di questa norma:
▪ Il trauma o la vergogna od altra situazione d'inferiorità psicologica potrebbero spingere a
convalidare facilmente il contratto;
▪ Oppure, la genetica sproporzione nel sinallagma impedisce la convalida.
(!) Il sistema legislativo è però incoerente: basta infatti lasciar decorrere la prescrizione di 1 anno
per dare validità al contratto.

Inoltre, l'art. 1450 C.c. ammette la Riconduzione ad Equità del contratto, che si può operare
convenzionalmente tramite un accertamento bilaterale sul “quantum”, che Sacco riconduce ad
una Transazione.
Tale transazione sarà equiparabile ad una Convalida convenzionale a titolo oneroso.

Sacco, quindi, ne conclude che l'art. 1451 C.c. sia mal congegnato, perché il divieto di convalida
può essere facilmente eroso (la dottrina concorda).

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LA RETTIFICA e la RIDUZIONE ad EQUITA'


Prima di annullare o rescindere, bisogna domandarsi cosa sarebbe intervenuto se il vizio non
avesse operato: se c’è ragione di rispondere che il contratto sarebbe stato concluso (a condizioni sia
pure diverse), sussistono le premesse per mantenere in piedi il contratto, correggendolo.
► Rettifica (art. 1432 C.c.) → La parte in Errore non può domandare l'annullamento del
contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l'altra offra di eseguirlo in modo
conforme al contenuto ed alle modalità del contratto che quella intendeva concludere.
(!) Ex art. 1430 C.c., l'Errore di Calcolo comporta sempre Rettifica, a meno che non si tratti di
errore determinante sulla Quantità.
L'art. 1432 C.c. si applica senz'altro ai casi di Errore Vizio e, soprattutto, di Errore Ostativo; con
alcuni adattamenti può applicarsi all'Errore sull'Identità.
Per il Dolo e la Violenza, l'art. 1432 C.c. non sembra essere applicabile in via analogica (anche
perché è la stessa norma a limitare la sua applicazione ai casi di errore).
► Riduzione ad Equità (art. 1450 C.c.) → La lesione data dal contratto rescindibile viene a
mancare se viene livellato lo squilibrio economico delle prestazioni: la riduzione ad equità è, infatti,
un rimedio a carattere generale.
In Giurisprudenza è molto più frequente una Riduzione ad Equità, che non una Rettifica.
● Punti di Contatto → Le due offerte hanno caratteri omogenei; infatti:
▪ L’una e l’altra producono Effetti Sostanziali, perché alterano il contratto precludendo la
domanda di Annullamento o di Rescissione;
▪ La Sentenza che pronuncia dopo di esse ha carattere Dichiarativo;
▪ Le Offerte non hanno bisogno di Accettazione, poiché esse stesse hanno natura di accettazione
rispetto alla proposta ipotetica che la controparte avrebbe fatto in assenza di cause d'annullamento
o rescissione;
▪ L’offerta può essere formulata senza precisi limiti di tempo, ma con alcune differenze:
 L'offerta di Riduzione ad Equità non può aversi dopo il passaggio in giudicato della
Sentenza che pronuncia la Rescissione;
 La Rettifica non può aversi se oramai la parte in errore abbia subito il pregiudizio.

♦ Oggetto della Rettifica → Il soggetto non caduto in errore deve offrire alla controparte un
contratto identico a quello che quest'ultima avrebbe concluso, se non avesse errato.

♦ Oggetto della Riduzione ad Equità → La Legge non dà chiarimenti sul punto.


Sono perciò sorti due problemi:
▪ In caso di Lesione ultra dimidium, per avere “equità” occorre semplicemente essere al di sotto
della soglia (es. se la soglia è 100, elimina la lesione ridurre a 99,99?), o la sproporzione
dev'essere eliminata del tutto? → Sacco dice che la Legge impone all'offerente una vera
riduzione ad equità, e non, invece, una semplice eliminazione della sproporzione rilevante;
▪ La prestazione offerta dev'essere quella che, se offerta alla conclusione del contratto, sarebbe
stata idonea a rendere equo il contratto, o dev'essere idonea a rendere equo il contratto nel
momento in cui viene offerta? → Il problema si risolve imponendo all’offerente una prestazione
supplementare che elimini la sproporzione nel momento in cui la prestazione stessa viene
effettuata, o nel momento in cui la sentenza viene pronunciata.
Ciò si ricava dall’art. 1448, comma 3, C.c., che richiede infatti che la Lesione perduri fino al
tempo in cui la domanda è proposta.

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CAP. IV - LA RESPONSABILITA' PER CONCLUSIONE DI CONTRATTO


INVALIDO
L'ART. 1338 C.C. ed il SISTEMA
L’art. 1338 C.c. recita:
“La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto, non ne ha dato
notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il Danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella
validità del contratto”.
(!) Sacco si domanda se, in assenza di tale articolo, l'art. 2043 C.c. sia sufficiente giustificare la
responsabilità del contraente per la nullità del contratto; l'art. 2043 C.c. risarcisce i “Danni
Ingiusti” ed il danno arrecato mediante la conclusione di contratti nulli è considerato,
intuitivamente, “ingiusto”: per tali motivi, anche l’art. 1338 C.c. costituisce una specificazione
dell’art. 2043 C.c., e la Giurisprudenza concorda.
A sua volta, l'art. 1398 C.c. (Responsabilità verso il terzo del Falsus Procurator) costituisce
un'applicazione dell'art. 1338 C.c..
In ogni caso, la responsabilità sarà sempre parametrata all’affidamento ed alle aspettative che può
ingenerare una dichiarazione contrattuale.

I SOGGETTI
Sono assoggettabili a responsabilità i Minori, le Persone Giuridiche, le P.A.?
▪ Minori → Ex art. 1426 C.c., il contratto non è annullabile se il minore ha, con raggiri,
occultato la sua minore età: la semplice dichiarazione da lui fatta di essere maggiorenne non è di
ostacolo all’azione di annullamento proposta dal minore.
Ma il non aver rivelato la propria minore età, può far scattare l'art. 1338 C.c. a tutela della
controparte in buona fede? Per Sacco, no: la scriminante che lo esonera dall'osservanza del
contratto lo esonera altresì dalla responsabilità per aver contratto.
Se infatti il minore chiedesse l'annullamento, ma poi sarebbe condannato ex art. 1338 C.c.,
l'esperimento dell'azione di annullamento sarebbe meno libero.
▪ Persone Giuridiche e P.A. → Anche le P. Giuridiche e le P.A. possono essere responsabili ex
art. 1338 C.c.: concluso il contratto nullo, la conclusione viene imputata all'ente, che come tale
diventa responsabile delle conseguenze.

LA FATTISPECIE
La fattispecie dell'art. 1338 C.c. consta di tre elementi, ossia:
Contratto Invalido + Colpa del Convenuto + Incolpevolezza (ed Affidamento) dell'Attore
► In alcuni casi, però, la Giurisprudenza nega la responsabilità del Convenuto:
 Quando il contratto sia contrario a Norma Imperativa;
 Quando è imposta la Forma Scritta.
Si opera qui un'esaltazione di tali cause di nullità, incompatibili con l'affidamento del contraente.
► In altri casi, la Giurisprudenza ha accolto domande di danni provenienti da soggetti che non
ignoravano la norma che invalida la promessa: ad es., Tizia che creda alla promessa di nozze.

(!) Sacco opta di più per questo secondo orientamento: l'inoperatività giuridica della promessa,
quand’anche nota ed evidente, non è d’impedimento ad una Responsabilità quando il
promissario abbia confidato nella prestazione; infatti, l’art. 1338 C.c. non va letto insistendo sulla
convinzione dell’attore che il contratto generasse azione, ma imperniando il discorso sulla
convinzione dell’attore che il contratto “sarebbe stato eseguito”.

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LA MISURA della RESPONSABILITA'


Forma oggetto dell’obbligo di risarcimento (in capo al soggetto in colpa ex art. 1338 C.c.) quel
Danno che la controparte avrebbe evitato, se avesse saputo che la prestazione promessa non
era dovuta e che non sarebbe stata effettuata; e non rientra invece invece il lucro che la
controparte avrebbe conseguito per effetto della prestazione promessa.
Il danno, quindi, è limitato all'Interesse Negativo, che così si compone:
1) Danno Emergente → Perdita viva derivante dall'iniziata esecuzione della propria prestazione;
2) Lucro Cessante → Per la perdita di altre occasioni di contrarre.

♦ Ammontare massimo del Danno risarcibile → E' una questione ancora aperta.
Normalmente si insegna che il danno risarcibile può anche raggiungere, ma non può mai
superare, la misura dell’Interesse Positivo.
Ad es., si pensi ad un artista che compri un abito di scena per un ingaggio, pagandolo di più di
quanto potrà ricevere come compenso per lo spettacolo.
Se il contratto d'ingaggio si dovesse rivelare nullo, l'artista chiederà i danni ex art. 1338 C.c.: il
danno sarà quantificato considerando anche l'Interesse Positivo, per capire fino a quale livello
massimo può innalzarsi la misura del danno da Interesse Negativo.

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SEZIONE XVII: I RIMEDI SINALLAGMATICI - R. Sacco -


CAP. I - LE RISOLUZIONI PER INADEMPIMENTO
GENERALITA'
La Risoluzione per Inadempimento (art. 1453 C.c.) comporta il venir meno degli effetti del
contratto a causa dell'inadempimento.
L'istituto è stato elaborato non dagli antichi Romani, bensì dai Canonisti: desiderando questi tener conto di ogni aspetto
eticamente rilevante della condotta delle parti, preferirono evitare il collegamento automatico tra inadempimento e
risoluzione, affidando il rimedio al potere del Giudice. L'istituto è stato così recepito dal Codice Napoleonico.
La risoluzione per inadempimento può svolgersi in quattro modalità principali:
 Risoluzione Giudiziale ex art. 1453 C.c., così come specificata dall'art. 1455 C.c., norma
questa che esige l'importanza dell'inadempimento rispetto all'interesse delle parti;
 Diffida ad Adempiere ex art. 1454 C.c.;
 Clausola Risolutiva Espressa ex art. 1456 C.c.;
 Termine Essenziale ex art. 1457 C.c..

♦ Effetti della Risoluzione (art. 1458 C.c.) → Ha efficacia Retroattiva, tranne nei casi di
Contratti ad Esecuzione Continuata o Periodica, dove ha efficacia ex nunc e non si estende alle
prestazioni già eseguite.
Essa non pregiudica i Diritti dei Terzi, salvi gli effetti della Trascrizione della Domanda.
Le parti sono liberate per il futuro delle loro obbligazioni e sono tenute alla Ripetizione delle
Prestazioni.
♦ Ammissibilità della Clausola di Irresolubilità → Ammettere una tale clausola significa
aumentare la probabilità di un arricchimento a favore della parte inadempiente.
Sacco ritiene che si possa quantomeno dubitare sulla validità di una clausola siffatta; altri autori
(es. Auletta) ritengono che tale clausola sia nulla, in quanto affine ad una clausola limitativa di
responsabilità.
♦ La Risoluzione Parziale → Di regola, la risoluzione travolge tutti gli effetti del negozio; si è però
visto che in alcuni casi (contratti ad esecuzione continuata; risoluzione del contratto plurilaterale) è
cancellata solo una parte degli effetti: questo ha consentito ad alcuni di costruire una dottrina
generale sulla Risoluzione Parziale del contratto, che verrà in aiuto nel caso in cui una parte
adempia parzialmente e la controparte voglia sganciarsi dal rapporto per la parte residua,
lasciando in piedi il rapporto contrattuale per la parte eseguita.

CAMPO di APPLICAZIONE della RISOLUZIONE


Possono essere risolti soltanto dei Contratti con Prestazioni Corrispettive, in presenza
dell'inadempimento delle Obbligazioni in capo ad una parte.
Quindi, il rapporto fra le parti dev'essere “contrattuale”: il richiamo però alle “obbligazioni” fa
pensare che l'art. 1453 C.c. sia applicabile solo in presenza di contratti ad Efficacia Obbligatoria,
per cui la risoluzione dovrebbe operare solo contro chi assuma obbligazioni o presti garanzie per un
risultato. Il punto è spinoso e non di facile soluzione.
Sacco, perciò, prova a dare delle soluzioni su diversi temi difficili:

▪ Contratti “Doppi” per regolare il medesimo rapporto → Quando sono stipulati due contratti
per regolare il medesimo rapporto (es. Tizio vende un immobile a Caio, e poi pattuiscono
successivamente che il pagamento di Caio avverrà in azioni anziché il denaro), l'inadempimento di
uno travolgerà entrambi i contratti: si deve guardare alla sostanza economica;
▪ Rapporti Obbligatori derivanti “ex Lege” → La violazione di un obbligo non comporta
l'eliminazione dell'altro, poiché, ai fini della risoluzione, è necessario che il rapporto fra le parti sia
contrattuale (e non legale);

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▪ Contratti ad Effetti Reali → E' ammessa la Risoluzione, poiché il riferimento alle “prestazioni
corrispettive” non indica di per sé che gli effetti del contratto siano solo obbligatori. “Prestazione”
indica, in modo generico, qualsiasi sacrificio patrimoniale; quindi, chi aliena un fondo e non ottiene
il corrispettivo potrà chiedere la risoluzione;
▪ Contratti Reali → E' ammessa la risoluzione se ad es. Tizio si obbliga a consegnare il bene
mobile a Caio e non lo fa;
▪ Contratto costitutivo di Servitù o di Limitazioni di Proprietà → L'inadempimento consiste qui
nella violazione dei doveri nascenti dalla servitù o dalla limitazione di proprietà (ad es., vincolo di
non edificare): la risoluzione sarà ammissibile a condizione che sia richiesta in occasione di una
violazione avvenuta immediatamente dopo la conclusione del contratto.
▪ Contratti Associativi, Risolutori e Modificativi → Sono risolubili, in quanto le prestazioni sono
comunque corrispettive.
▪ Sentenza ex art. 2932 comma 1 C.c. → E' risolubile la sentenza che attua coattivamente l'obbligo
di concludere il contratto definitivo;
(!) La risoluzione opera solo se la prestazione inadempiuta rientri fra quelle “Corrispettive”.

IL LEGITTIMATO
Può risolvere il contratto o chiederne giudizialmente la risoluzione il contraente che ha subito gli
effetti dell’inadempimento. Sorgono però dei problemi in queste ipotesi:
▪ Contratto a Favore di Terzo → Potrà chiedere la risoluzione lo stipulante od il terzo
beneficiario? In teoria, il beneficiario non avrà interesse a chiedere la risoluzione, perché
l’interesse alla liberazione appartiene allo stipulante.
Reciprocamente, lo stipulante, senza il consenso del favorito, non può chiedere una risoluzione
che comprometterebbe le ragioni oramai irrevocabili del terzo;
▪ Cessione del Contratto → Si pone lo stesso problema visto sopra;
▪ Parte Soggettivamente Complessa (es.: Coeredi) → Alcuni ritengono che ogni membro del
gruppo possa autonomamente chiedere la risoluzione; altri ritengono necessaria un'unanime
decisione; altri distinguono in base alla divisibilità del rapporto.
(!) Sacco ritiene che chi sia parte in un contratto acquisisca un autonomo diritto all’adempimento
altrui, finchè il suo interesse al buon fine del contratto non venga travolto dalla sua propria
inadempienza: perciò, se il contratto è divisibile, ognuno potrà agire per sé; altrimenti, solo il
consenso unanime dei legittimati potrà risolvere il contratto, o chiederne la risoluzione.

INADEMPIMENTO ed ONERE della PROVA


Di regola, si afferma che l’Attore debba provare l’inadempimento, ma Sacco dissente.
Infatti, la fattispecie che dà luogo al dovere di adempiere è costituita dal Contratto e dalle
circostanze che rendono liquida ed esigibile la prestazione: così, provando la fattispecie, il
creditore ha diritto di ottenere una sentenza di condanna ad adempiere.
Premesso ciò, poiché l'art. 1453 C.c. consente all'attore di sostituire alla Domanda di
Adempimento la Domanda di Risoluzione, ne deriva che anche quest'ultima comporti l'onere di
provare la sola fattispecie, e non l'inadempimento.
▪ Prestazione Difforme → Toccherà all'Attore provare la difformità della prestazione ricevuta
rispetto a quella dovuta;
▪ Prova Liberatoria → La non imputabilità dell'inadempimento cade sul Convenuto.

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EFFETTI della RISOLUZIONE


L'art. 1458 C.c. disciplina gli effetti della risoluzione.
► Effetti tra le Parti (comma 1) → Si distinguono a seconda che la prestazione sia ad esecuzione:
● “Istantanea”: in tale caso, la risoluzione opera retroattivamente: eliminando la causa
giustificativa delle prestazioni già eseguite, sorgerà un obbligo alle restituzioni.
Si applicheranno le norme sulla ripetizione dell'indebito e sull'arricchimento senza causa.
▪ Frutti ed Interessi saranno dovuti dal giorno del pagamento se il contraente inadempiente
(accipiens) era in malafede; altrimenti dal giorno della domanda se era in buona fede.
▪ Al Perimento della Cosa od all'Alienazione si applicheranno gli artt. 2037-2038 C.c.;
▪ Per Spese e Miglioramenti si applicherà l'art. 2040 C.c.;
▪ Qualora la prestazione sia di Restituire un Pagamento, il debito sarà un Debito di Valuta;
▪ Qualora la prestazione sia “di Fare” anziché “di dare”, si avrà un Debito di Valore, che sarà
liquidato dal Giudice con la Sentenza.
(!) Gli obblighi di restituzione dipendono dal venir meno della Causa e trovano in ciò la loro
giustificazione: ne segue che può agire in risoluzione anche colui che non può restituire la
prestazione ricevuta (alcune pronunce dicono che la restituzione avverrà per equivalente).
● “Continuata o Periodica”: le regole esposte sopra non si applicano alle prestazioni già
eseguite.

(!) La dichiarazione o la domanda giudiziale di risoluzione implica la rinuncia allo scambio delle
prestazioni, ma non implica la rinuncia al Lucro che il Contratto autorizzava a sperare.

► Effetti rispetto ai Terzi (comma 2) → La Legge dispone che la Risoluzione, anche se è stata
espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di risoluzione.

L'INADEMPIMENTO che DA' LUOGO alla RISOLUZIONE GIUDIZIALE


L’inadempimento è l’“infedeltà ai doveri imposti dal contratto”, ed è indipendente da ogni
conseguente ulteriore perdita patrimoniale della controparte.
Sacco procede quindi a considerare casi specifici di inadempimento:
♦ Mancato Adempimento Incolpevole → E' ricompreso (da Sacco) nell'inadempimento, e dà
luogo a risoluzione. In alcuni casi, la Cassazione ha negato la risoluzione qualora il mancato
adempimento sia dipeso da motivi apprezzabili, oppure dalla condotta del creditore (ad es., mancata
notifica del cambiamento d'indirizzo, rifiuto o provocazione di ostacoli all'adempimento, ecc...).
♦ Inadempimento non grave → L'art. 1455 C.c. richiede la gravità dell'inadempimento: per cui,
se manca, non può aversi risoluzione.
Il Giudice, constatato l'inadempimento, deve valutarne d'ufficio la rilevanza, motivando in merito.
(!) Sacco accoglie la concezione giurisprudenziale per cui sarebbe “grave” quell'inadempimento
tale da lasciar ritenere che la parte offesa, se lo avesse previsto, non avrebbe stipulato: infatti, si
deve avere riguardo all'interesse della controparte.
♦ Dichiarazione o Minaccia di Inadempimento → Sono equiparate all'inadempimento, se –
ovviamente – rese prima della scadenza: il creditore, infatti, a fronte di tale dichiarazione/minaccia
non può essere obbligato a “sfogliare la margherita” per indovinare che cosa farà il debitore.
♦ Altre figure specifiche → Sono ricomprese nella concezione di “inadempimento” anche
l'omissione della prestazione dedotta nell'obbligazione; la cattiva esecuzione; la commissione di
un'attività vietta dall'obbligazione; la modifica pregiudizievole della persona o delle cose del
creditore; ecc... .

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► Il Ritardo → Merita un discorso a parte. Innanzitutto, anche il ritardo sottosta all'art. 1455 C.c.:
per cui, un ritardo esiguo non dà luogo a risoluzione. Sorgono però dei problemi in caso contrario:
▪ In caso di Ritardo Intollerabile, tale da giustificare la risoluzione, può il debitore liberarsi,
adempiendo prima che sia proposta la Domanda di Risoluzione?
Alcuni dicono di sì, ma Sacco ritiene che ciò non sia possibile: l'adempimento tardivo non
preclude al creditore la possibilità di agire per la risoluzione.
In ogni caso, il debitore non può liberarsi adempiendo dopo che sia stata proposta la Domanda
di Risoluzione (ex art. 1453, comma 3, C.c.).
▪ In caso di Ritardo non Grave al momento della proposizione della Domanda (che dovrebbe
quindi essere rigettata ex art. 1455 C.c.), che però diventi intollerabile in corso di giudizio, che
accade?
(!) Sacco ritiene che il Giudice debba valutare la Gravità del ritardo con riferimento al
momento di proposizione della Domanda: se il ritardo non era grave, non c'è Risoluzione.
Inoltre, ne deriva che, in corso di giudizio, il Debitore può validamente adempiere, provocando
così a maggior ragione il respingimento della domanda di risoluzione.

♦ Costituzione in Mora e Diffida → In caso di ritardo, per ottenere la Risoluzione giudiziale non
occorre la Costituzione in Mora, né occorre la Diffida.
(!) N.B.: se l'obbligazione non comportava un Termine (neanche implicito o comunque
desumibile), la Costituzione in Mora è necessaria ai fini dell'Inadempimento; in difetto, varrà
come costituzione in mora la Citazione in Giudizio (ed il tempo utile per adempiere decorrerà in
corso di giudizio).
La Costituzione in Mora aggrava l'inadempimento ed elimina i dubbi sul comportamento
tollerante del creditore.
► Il Reciproco Inadempimento → La regola giurisprudenziale fondamentale sull’inadempienza
reciproca sta nel principio della valutazione comparativa delle inadempienze: il Giudice deve
accertare quale di essa sia prevalente sull’altra, così da giustificarla.
Questo giudizio coinvolge però anche problemi cronologici e causali: i criteri cronologico (priorità nel tempo),
eziologico (causalità) e quantitativo (proporzionalità) verranno applicati in via alternativa (quando un criterio solo
appaia appagante) o cumulativamente (integrandosi a vicenda).
In caso di inadempimenti reciproci di pari gravità, il Giudice deve trovare una soluzione che
tratti le parti in ugual modo; vi sono varie soluzioni: respingere entrambe le domande, pronunciare
una risoluzione per doppio inadempimento; pronunciare una risoluzione per impossibilità (tesi
prevalente), da pronunciarsi in specie quando i pretesi inadempimenti non risultino sufficientemente
provati.

IL GIUDIZIO di RISOLUZIONE
La disciplina è la seguente:
♦ Azione di Risoluzione → L'azione di risoluzione si fonda su un dato Fatto, che costituisce causa
petendi di quel giudizio: l'evocazione di fatti diversi vale come mutazione della domanda.
▪ La domanda deve essere specifica: deve specificamente chiedersi la risoluzione; la
Giurisprudenza irrigidisce al massimo tale regola, negando anche le conversioni meno rischiose
(ad es. se si chiede il risarcimento, la domanda successiva di risoluzione è nuova);
▪ L'azione di risoluzione è imprescrittibile, perché può essere esperita finché sia in atto la
situazione illecita cui la risoluzione deve rimediare: però, può prescriversi il diritto
all'adempimento.
♦ Contraddittorio → Il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutti coloro che furono parte nel
contratto: vi è Litisconsorzio Necessario fra le parti contrattuali, perché la sentenza coinvolge
l'intero contratto.

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♦ Oggetto della Domanda (art. 1453, comma 2, C.c.) → La Risoluzione:


▪ Può essere domandata anche dopo aver promosso il giudizio per l'Adempimento, perché il
diritto alla risoluzione rinasce dopo ogni domanda di adempimento, e dopo ogni sentenza di
condanna all'adempimento rimasta ineseguita.
La nuova domanda di risoluzione può anche aversi in Appello o in Giudizio di Rinvio: il difensore
del creditore può anche provvedervi senza Procura “ad hoc”.
Se il mutamento della domanda avviene in corso di giudizio, l'art. 292 C.p.c. richiede la notifica
della domanda nuova al Convenuto Contumace.
▪ Non può più chiedersi l'Adempimento quando sia stata già chiesta la Risoluzione, perché dopo
la domanda di risoluzione il Debitore acquista il Diritto di Non Adempiere.
Infatti, sarebbe assurdo tenere sulle spine il debitore, che resterebbe incerto sulla sua liberazione:
perciò, la Citazione in giudizio per la Risoluzione preclude l'Adempimento Tardivo, sia esso
spontaneamente operato dal Debitore, sia esso richiesto dal Creditore.
La domanda di risoluzione preclude ogni rinuncia o desistenza del Creditore/Attore.
Inoltre, non occorre la Sentenza per rendere irreversibile la domanda: affinché il debitore possa
non adempiere, è infatti sufficiente che il creditore, anche in via stragiudiziale, dichiari di voler
risolvere il contratto; gli effetti risolutori saranno poi prodotti dalla Sentenza.
Quindi, l'Atto del Creditore rende inefficace il contratto; la Sentenza, invece, lo scioglie: ha,
quindi, natura costitutiva.
(!) N.B.: è invece perfettamente ammissibile che il creditore chieda la Risoluzione e, in
subordine, la condanna all'Adempimento.

LA DIFFIDA ad ADEMPIERE
L'art. 1454 C.c. contempla una prima ipotesi di Risoluzione Non Giudiziale, che cioè non
necessita di una Sentenza costitutiva del Giudice: è la Diffida ad Adempiere.
Il creditore potrà preferire la diffida alla risoluzione giudiziale, perché la Diffida non preclude
l'Adempimento Tardivo (è l'unico rimedio risolutivo che lo ammette): anzi, contiene una effettiva
Rimessione in Termini del Debitore, per un periodo non inferiore a 15 giorni (di regola).
La norma parla, in proposito, di “congruo termine”: se il termine fosse incongruo, il Giudice lo
sostituisce con altro termine congruo.
N.B.: la Diffida richiede comunque i requisiti ordinari della risoluzione (gravità
dell'inadempimento, imputabilità dell'inadempimento al debitore, ecc...).
(!) Scaduto il termine, l'inadempimento produce ipso iure la Risoluzione: perciò, in caso di lite, la
Sentenza del Giudice sarà di Accertamento.

♦ Caratteri della Diffida → E' un Negozio Unilaterale Recettizio, che deve avere Forma Scritta
(se la diffida è inoltrata a mezzo di Rappresentante, la Procura deve anch'essa essere scritta, anche
qualora il contratto non abbia una forma vincolata).
▪ Contenuto: la diffida deve espressamente indicare il Termine e la comminatoria di Risoluzione;
▪ Effetti: la diffida preclude la possibilità di domandare la Risoluzione Giudiziale;

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LA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA


Ex art. 1456 C.c., le parti possono pattuire espressamente questa clausola (che non è vessatoria e
non comporta requisiti formali gravosi), per effetto della quale, in caso di inadempimento –
anche non grave – di specifiche e determinate obbligazioni, si produce ipso iure la risoluzione: se
la clausola è estesa genericamente a tutte le obbligazioni poste dal contratto a carico di una parte,
si intende come Clausola di Stile e si dà per non apposta.
(!) La Risoluzione si produce nel momento in cui il Creditore dichiari di avvalersi della Clausola:
solo da tale momento può precludersi l'Adempimento Tardivo (infatti, prima può essere tollerato).
La dichiarazione è Recettizia, non è soggetta a vincoli di Forma e può anche essere implicita (es.
citazione).
La clausola risolutiva espressa, quindi, può essere rinunciata.
La giurisprudenza ritiene che non operi la risoluzione se la parte che ha risolto ponga in essere
comportamenti incompatibili con essa.

IL TERMINE ESSENZIALE
La risoluzione interviene senza opera del Giudice, e senza necessità della dichiarazione del
contraente deluso, in un ultimo caso: quando cioè scada infruttuosamente il termine essenziale
fissato per l’adempimento, che indica il momento al di là del quale il Creditore non ha più
interesse ad ottenere l'esecuzione della prestazione, ex art. 1457 C.c..
La fissazione d'un termine essenziale può essere pattizia (statuita dalle parti; c.d. “Essenzialità
Soggettiva”) o risultare dalle circostanze (desumibile dalla natura o dall’oggetto del contratto; c.d.
“Essenzialità Oggettiva”).
Il termine essenziale dev’essere individuato in modo preciso; va inoltre tenuto presente che
l’essenzialità del termine non si presume (in caso di controversia, quindi, andrà dimostrata).
(!) La clausola “entro e non oltre” è una Clausola di Stile, inidonea a conferire al termine un
carattere “essenziale”.

♦ Patto di Fissazione d'un Termine Essenziale → Non sono richieste né una Forma speciale, né
Formule sacramentali.

♦ Gravità → Verificatosi il ritardo, ogni giudizio sulla gravità dell’inadempimento sarà superfluo;
al contrario, occorrerà discriminare il caso del Ritardo Incolpevole, che non darà luogo
all’applicazione dell’art. 1457 C.c. in quanto è richiesta l'imputabilità dell'inadempimento.

♦ Scadenza del Termine: l'Adempimento Tardivo → Scaduto inutilmente il termine, il creditore


può ancora, entro 3 giorni dalla scadenza, esigere l’adempimento dandone notizia alla controparte
(salvo patto o uso contrario).
Decorsi questi 3 giorni, talvolta la Giurisprudenza ammette comunque la possibilità di chiedere
l'adempimento tardivo, salva la possibilità per il debitore di invocare una Rinuncia Implicita del
creditore all'adempimento.

(!) Il Giudice non può rilevare d'ufficio la Risoluzione per decorso del termine essenziale.

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CAP. II - LE ECCEZIONI DILATORIE


NOZIONI GENERALI
Le eccezioni dilatorie sono due:
♦ Eccezione di Inadempimento (art. 1460 C.c.) → E' la facoltà concessa ad un contraente di
rifiutarsi di eseguire la prestazione, se l'altra parte non abbia adempiuto, o se non abbia
contemporaneamente offerto di adempiere, o se abbia adempiuto in modo inesatto.
Ciò che giustifica l'eccezione d'inadempimento non è tanto l'inutile maturazione del termine fissato
per la prestazione dell'altro contraente, ma la diversa circostanza che l'inadempimento sia già
perfezionato nel momento in cui il legittimato dovrebbe adempiere.
Per cui, giustificano l'eccezione: il rifiuto anticipato di prestare od un comportamento od una
situazione che rendano certa l'inadempienza;
♦ Mutamento delle Condizioni Patrimoniali (art. 1461 C.c.) → La Legge ammette che, in caso di
un sensibile peggioramento delle condizioni patrimoniali di controparte, l'altra parte possa
sospendere la prestazione dovuta, a meno che la controparte non abbia prestato idonea garanzia.
(!) Sacco ritiene che siano rimedi applicabili soltanto a Contratti a Prestazioni Corrispettive:
non sarebbero applicabili a rapporti non contrattuali (es. oneri condominiali) e a prestazioni non
corrispettive (ad es., i due rimedi non sono ammessi rispetto ad un Contratto di Società).
(!) Inoltre, Sacco ritiene che i rimedi si distinguano nettamente dalla Risoluzione: non mirano a
distruggere il rapporto; anzi, mirano a rafforzarlo, garantendo l'obbligazione mal sicura.
(!) I due rimedi dilatori non possono competere insieme allo stesso Contraente, infatti:
▪ L’Eccezione di Inadempimento compete al contraente che debba adempiere per secondo o
contemporaneamente alla controparte inadempiente (mentre, in base alla sola lettera della Legge,
sembrerebbe legittimato solo chi debba adempiere contemporaneamente);
▪ La Sospensione dell’Adempimento è accordata al contraente che debba adempiere per primo
(altrimenti, si applicherebbe l'art. 1460 C.c.).

L'ECCEZIONE di INADEMPIMENTO
Questa misura dà luogo ad alcuni problemi.
♦ Quando può essere sollevata l'Eccezione → Può esser sollevata indifferentemente a fronte di
una domanda di Adempimento o di Risoluzione.
♦ Effetti → Se sollevata legittimamente, assicura al debitore convenuto l'immunità da ogni
Responsabilità per Danni provocati dal suo mancato adempimento.
♦ Natura → Si discute, e Sacco non dà risposte sul punto, se l'Eccezione d'Inadempimento sia:
 Un Diritto Potestativo di auto-esonero dall'adempimento;
 Un Diritto Potestativo di conseguire una sentenza costitutiva di temporaneo esonero;
 Una lecita e legittima forma d'Inerzia del contraente cui non sia stata offerta la prestazione
cui aveva diritto in base al contratto.
♦ Legittimità → Sacco ritiene che il mancato adempimento di Tizio legittima senz'altro
l'inadempimento di Caio: il Giudice riterrà legittima la condotta di Caio, e rigetterà la domanda di
adempimento (o risoluzione) avanzata da Tizio.
♦ In Giurisprudenza → I Giudici hanno fatto dell'eccezione in esame un'Eccezione in senso
Sostanziale (= non processuale), che trova una giustificazione in sede di giudizio, allorché la
controparte invochi l'adempimento o la risoluzione.
La giurisprudenza subordina l'eccezione solo ad una previa Comunicazione, altrimenti al condotta
del debitore sarebbe contraria a buona fede.

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Inoltre, in Giurisprudenza si ritiene comunemente che:


▪ Il Giudice non possa rilevare d'ufficio l'inadempimento dell'Attore, applicando così d'ufficio
l'eccezione d'inadempimento – che è riservata al convenuto (c.d. “eccezione in senso stretto”);
▪ L'eccezione non può esser fatta valere per la prima volta in Cassazione;
▪ Se l'attore invoca la risoluzione, il Giudice non può procedere alla valutazione comparativa
della condotta delle parti se il Convenuto non sollevi l'Eccezione d'inadempimento.
▪ Un filone giurisprudenziale ritiene che, nei Contratti ad Esecuzione Continuata o Periodica,
l'attore debba provare il Contratto e deve dimostrare di aver eseguito la propria prestazione per
tutto il tempo relativamente al quale il corrispettivo sia domandato: quindi, il convenuto non può
esser condannato a prestare, se non risulti in atti l'avvenuta prestazione da parte dell'attore.
♦ Inadempimento Colposo → Sacco ritiene che l'inadempimento che giustifica l'eccezione non
debba essere necessariamente un inadempimento colposo.
♦ Gravità dell'Inadempimento → Si ritiene che l'Eccezione sia sollevabile solo per un grave
inadempimento: il rifiuto di adempiere a fronte d'un inadempimento non grave non è consentito,
poiché sarebbe contrario a buona fede.

IL MUTAMENTO delle CONDIZIONI PATRIMONIALI del CONTRAENTE


L'art. 1461 C.c. dà centralità al “divenire delle condizioni patrimoniali” del contraente: si ha qui,
dunque, un’applicazione della clausola rebus sic stantibus.
▪ L'eccezione ha valore prima ed anche fuori del Giudizio;
▪ Il Creditore che intenda avvalersi del rimedio in esame ha l'onere di avvisare la controparte.

La Giurisprudenza ha equiparato la Sopravvenuta Insolvibilità alla Insolvibilità Originaria,


incognita alla controparte: così, l'art. 1461 C.c. si applicherebbe anche per tutelare l'Errore della
parte che pensava che la controparte avesse sufficienti mezzi economici.
(!) Per Sacco, questa equiparazione è però troppo affrettata: è da escludere che il Legislatore abbia
voluto tutelare, con questa norma, l'errore sulla solvibilità del contraente.

♦ La Colpa → L'insolvibilità sopravvenuta va considerata senza dare rilevanza alla colpa: può
cioè essere sospeso l'adempimento anche qualora l'insolvenza della controparte non dipenda da una
sua colpa.

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CAP. III - LA RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITA' SOPRAVVENUTA


GENERALITA'
A fronte dell'impossibilità di una prestazione promessa, il Legislatore potrebbe adottare varie
soluzioni:
 Negare all'impossibilità una funzione liberatoria, trasformando il dovere di adempiere in vera garanzia del
risultato della prestazione promessa (anche se ciò è vietato dall'art. 1256 C.c., secondo cui l'impossibilità
definitiva della prestazione, se dovuta a causa non imputabile al debitore, estingue l'obbligazione);
 Liberare il Promittente impossibilitato, senza liberare il Promissario, accollando così il rischio solo a
quest'ultimo (cioè al creditore);
 Liberare il Promittente impossibilitato, ed anche il Promissario.

Fin dal tempo degli antichi Romani, il problema è stato battezzato “Problema dei Rischi”: il dato
fondamentale da cui partire è la connessione fra le due prestazioni contrattuali:
 In Francia si prevede la Risoluzione per impossibilità sopravvenuta in tema di Locazione ed Appalto, anche
qualora la controprestazione sia già stata effettuata (es. pagamento): la risoluzione è inquadrata nella Teoria
della Causa (venendo meno una prestazione, cade la causa del contratto che, quindi, va risolto);
 In Germania ed in Italia si prevede la duplice regola dell'estinzione del diritto alla controprestazione, e
dell'obbligazione restitutoria;
 Nel Regno Unito, si è pervenuti alle medesime conclusioni tedesche ed italiane, anche se ci sono state difficoltà
a ritenere ammissibile la liberazione del promissario, nonché ad ammettere la restituzione del corrispettivo già
pagato.

L'IMPOSSIBILITA' della PRESTAZIONE (con aggiunte da “Il Contratto”, Roppo)


L'Impossibilità Sopravvenuta estingue “ipso iure” l'obbligazione ex art. 1256 C.c., dal momento in
cui si verifica l'impossibilità (che dev'essere anteriore alla scadenza).
La risoluzione in esame opera per volontà di Legge, senza bisogno d'interventi delle parti o del Giudice; può essere
invocata anche dalla parte impossibilitata.
● Nei contratti sinallagmatici, l'Impossibilità Totale (art. 1463 C.c.), definitiva e non imputabile al
debitore della prestazione, fa venir meno anche il diritto alla controprestazione (e, quindi, la causa del
rapporto), dando luogo ad una risoluzione di diritto del contratto, con Effetto Retroattivo.

● In caso di Impossibilità Parziale (art. 1464 C.c.), sarà dovuto un corrispettivo ridotto qualora
sussista un interesse apprezzabile del creditore e, quindi, vi sarà Risoluzione Parziale.
In assenza d'un interesse apprezzabile alla prestazione parziale, il Creditore può rifiutarsi di dare il
corrispettivo ridotto, e può recedere dal contratto.
L'impossibilità parziale differisce dall'Impossibilità Temporanea, perché in quest'ultimo caso la prestazione potrà
eseguirsi più tardi, ma potrà eseguirsi tutta.
(!) Le norme sulla Risoluzione sono tutte Derogabili.
► Requisiti dell'Impossibilità → La causa dell'impossibilità è liberatoria quando l'impossibilità:
 Non sia imputabile al Debitore (altrimenti, si avrebbe Inadempimento, e la Risoluzione
potrebbe chiedersi non ex art. 1463 e ss. C.c., ma ex art. 1453 C.c.);
 Sia anteriore all'Adempimento;
 Sia definitiva: l'impossibilità temporanea – v. infra –, finché perduri l'interesse del creditore, è
compatibile con l'obbligazione.
Sono stati poi aggiunti altri due requisiti, contestati però da una parte della dottrina:
 L'Infungibilità della Prestazione;
 Afferenza dell'Impossibilità alla Prestazione, e non al Promittente.

♦ Impossibilità Sopravvenuta, ma Prevedibile → In base a quanto visto, la prevedibilità dovrebbe


ostare alla liberazione del Debitore: Sacco concorda; infatti, se resta vincolato chi promette una
prestazione di cui colpevolmente ignora l'impossibilità, parimenti resterà vincolato chi,
colpevolmente, non sia stato in grado di prevedere la futura impossibilità.

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♦ Impossibilità Temporanea (Roppo) → Se l'impossibilità è solo temporanea – cioè suscettibile di


cessare, così che la prestazione potrà tornare possibile – si crea una situazione regolata dall'art.
1256 comma 2 C.c., che recita:
“Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia,
l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura
dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse
a conseguirla”.

Quindi, l’impossibilità temporanea di per sé non risolve il contratto, e lascia vive le obbligazioni
delle parti: ma la parte impossibilitata ad adempiere non è responsabile del ritardo
nell’adempimento.
(!) Ci si può chiedere se l’altra parte debba la controprestazione: sembra ragionevole rispondere che
può a sua volta sospenderla, opponendo un’Eccezione d’Inadempimento.
Col tempo, però, anche l’impossibilità temporanea può diventare definitiva e, quindi, “risolutoria”:
infatti, se essa perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad
eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla, allora
l’obbligazione si estingue: e quindi, per via del sinallagma, si risolve il contratto.
Il momento in cui l’impossibilità temporanea da sospensiva si trasforma in risolutoria dipende dal
Titolo dell'Obbligazione e dalla Natura dell’Oggetto.

► Impossibilità dovuta al fatto del Creditore (Roppo) → Talora la prestazione non può essere
adempiuta, per cause che si producono nella sfera del Creditore.
Roppo distingue due gruppi di impossibilità:
 Impossibilità Oggettiva della Prestazione → L'impossibilità può qui essere:
▪ Imputabile al Creditore: ad es., si pensi ad un appalto in cui Tizio, committente, non lasci
ristrutturare l'immobile a Caio, appaltatore, perché non gli consegna l'immobile.
Il debitore (cioè l'appaltatore) può qui tutelarsi con diversi rimedi:
 Può chiedere la Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta imputabile al Creditore, ma
con un limite: in casi simili, l'impossibilità è spesso temporanea, ed il Debitore dovrà
quindi attendere che maturi il termine ex art. 1256 comma 2 C.c.;
 Può chiedere il Risarcimento del Danno, ma solo se ha previamente costituito in mora il
Creditore (artt. 1206-1207 C.c.), cioè il committente;
 Può chiedere la Risoluzione per Inadempimento ex art. 1453 C.c., che non richiede né la
costituzione in mora, né l'attesa del termine ex art. 1256 C.c.: per ottenerla, basta che il
ritardo del Creditore raggiunga la soglia dell'importanza non scarsa, ma il Debitore deve
riuscire a qualificare il fatto del creditore come “inattuazione di un vero obbligo
contrattuale”, e non come semplice “onere di cooperazione”.
▪ Non imputabile al Creditore: ad es., Tizio committente non può consegnare l'immobile a
Caio, appaltatore, perché l'immobile è crollato a seguito d'un terremoto.
Qui, il contratto si risolve, con le note conseguenze.
 Impossibilità Soggettiva del Creditore → Anche qui, l'impossibilità può essere:
▪ Imputabile al Creditore: non spetta al Creditore alcun rimedio legale.
Si pensi a Tizio che, acquistato un biglietto per l'Opera, la sera cambi idea e vada al ristorante:
non può farsi restituire il denaro speso per il biglietto del teatro;
▪ Non imputabile al Creditore: si pensi a Tizio che, acquistato il biglietto per l'Opera, non
possa andarci perché rimasto chiuso in ascensore.
Roppo ritiene qui che il rischio cada sempre sul creditore, che quindi non può chiedere alcun
rimedio (salvi eventuali diritti di Recesso, legali o convenzionali); mentre la Giurisprudenza,
invece, accorda talvolta la Risoluzione ex art. 1463 C.c.. o un rimedio basato sul venir meno
della “causa concreta”.

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I CONTRATTI ad EFFICACIA REALE


Segue l'analisi dell'art. 1465 C.c.:
→ Comma 1. Nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata (C. Traslativi) ovvero costituiscono
o trasferiscono diritti reali (C. Costitutivi), il perimento della cosa per una causa non imputabile all’alienante non
libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata.
→ Comma 2. La stessa disposizione si applica nel caso in cui l’effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo
scadere di un termine (iniziale).
► E' noto che, per le cose determinate, la proprietà si trasferisce con il consenso delle parti (art.
1376 C.c.). Se vi è perimento del bene dopo il passaggio di proprietà, l'acquirente non può
recedere, ancorché la cosa non gli sia stata ancora consegnata, ed è quindi tenuto alla
controprestazione (res perit domino), in base al comma 1.
Lo stesso accade qualora l'alienazione sia sottoposta ad un termine iniziale nel caso in cui, nelle
more, il bene perisca (comma 2).
Trasferendo la proprietà della cosa, l'alienante ha adempiuto la sua prestazione e non vi sarebbe ragione per escludere il diritto alla
controprestazione; il perimento della cosa ha prodotto le sue conseguenze negative nella sfera giuridica dell'altro contraente.
Quindi, la prestazione dell'alienante si considera esaurita con il trasferimento o la consegna del diritto, a prescindere dalla
consegna della cosa. Si esclude quindi la risoluzione per l'acquirente.
Tutto ciò, a meno che il perimento del bene non sia dovuto alla negligenza del debitore, che lo ha
smarrito, rovinato, ecc... : in questo caso, quest'ultimo sarà responsabile per l'inadempimento della
traditio.
→ Comma 3. Qualora oggetto del trasferimento sia una cosa determinata solo nel genere (cose generiche),
l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione, se l’alienante ha fatto la consegna o se la
cosa è stata individuata.
► L'Individuazione di cose generiche avviene con la loro consegna al Vettore: dopodiché, la
proprietà è trasferita.
Il creditore è quindi tenuto alla controprestazione a favore del venditore, anche se il bene perisce
durante il trasporto a carico del vettore, contro cui potrà eventualmente agire in giudizio.
→ Comma 4. L’acquirente è in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento era sottoposto a
condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima che si verifichi la condizione.
► Quando l'effetto traslativo non si sia ancora verificato, il rischio del perimento del bene
grava sull'Alienante: ciò accade nella vendita di cosa generica, nel caso in cui la res perisca prima
dell'individuazione o della specificazione, e nella vendita sottoposta a condizione sospensiva,
quando il bene oggetto del contratto perisca prima dell'avveramento della condizione.
(!) Con riferimento quindi alla possibile incidenza di meccanismi contrattuali che differiscano
convenzionalmente l'effetto reale, cioè Termine (comma 2) e Condizione (comma 4), si stabilisce
un trattamento diverso per l'uno e per l'altra.
 Quando l'effetto traslativo o costitutivo è differito da un Termine ed il perimento avviene
prima della scadenza, il contratto non si risolve e l'acquirente è tenuto alla
controprestazione;
 Quando invece l'effetto traslativo o costitutivo è sottoposto a Condizione Sospensiva, se il
perimento avviene prima dell'avveramento della condizione, l'acquirente è allora liberato
dalla sua obbligazione in base al comma 4, ed il contratto si risolve.
C'è dunque un certo rovesciamento dei normali concetti e princìpi.
 Il termine, normalmente non retroattivo, qui è come se operasse retroattivamente.
 La condizione, normalmente retroattiva, qui è privata della sua retroattività.
Su quei concetti e princìpi, la Legge fa prevalere un altro dato, ossia la certezza del termine e l'incertezza della
condizione: considera cioè che l'acquisto sottoposto a termine sia più stabilizzato è più vicino alla perfezione, rispetto
all'acquisto sottoposto a condizione.
Nel primo caso, l'impossibilità dell'acquisto non mette in discussione il rapporto perché colpisce una vicenda
sostanzialmente chiusa; nel secondo caso lo mette invece in discussione, perché colpisce una vicenda ancora aperta
(Roppo).

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CAP. IV - I RIMEDI PER LE SOPRAVVENIENZE


LE NORME
Il Codice Civile dedica all'eccessiva onerosità sopravvenuta (c.d. “Hardship”) tre articoli specifici:
▪ Contratto con Prestazioni Corrispettive (art. 1467 C.c.) → La norma recita:
1. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, oppure ad esecuzione differita, se la prestazione di una delle
parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che
deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 C.c..
2. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientri nell’Alea Normale del contratto.
3. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni
del contratto.
Ai fini della risoluzione, vi sono quindi quattro requisiti:
1. Differimento di una prestazione rispetto alla conclusione del contratto;
2. Mancato esaurimento della prestazione colpita da eccessiva onerosità;
3. L'Onerosità sopravvenuta della prestazione dev'essere “Eccessiva”;
4. L'onerosità deve dipendere da eventi “Straordinari” ed “Imprevedibili” (no alea normale).
▪ Contratto con Obbligazioni di una sola Parte (art. 1468 C.c.) → La norma recita:
Nell’ipotesi prevista dall’articolo precedente, se si tratta di un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto
obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione oppure una modificazione nelle modalità di
esecuzione sufficiente per ricondurla ad equità.
▪ Contratto Aleatori (art. 1469 C.c.) → La norma recita:
Le norme degli articoli precedenti non si applicano ai contratti Aleatori per loro natura o per volontà delle parti.
In senso sistematico, si ritrovano norme simili in materia di:
 Appalto → L'art. 1664 C.c. ammette la revisione del prezzo in caso di costi sopraggiunti;
 Pubbliche Forniture → La L. 1676/1940 regola la revisione dei prezzi in materia;
 Assicurazione → Gli artt. 1897-1898 C.c. prevedono l'alterazione del rischio coperto;
 Reintegrazione in Forma Specifica → L'art. 2058 comma 2 C.c. garantisce al Giudice il
potere di disporre il Risarcimento per Equivalente, qualora quello in forma specifica risulti
eccessivamente oneroso per il debitore.

I CONTRATTI ASSOGGETTABILI ai RIMEDI


In caso di contratti con controprestazioni, il rimedio è alternativamente la risoluzione o la modifica:
invece, in caso di contratti con obbligazioni di una sola parte (che coincidono con quelli di cui
all'art. 1333 C.c., e per Sacco non corrispondono ai contratti gratuiti; mentre invece, per Roppo,
sì), l'unico rimedio è la Modifica.
Perché? Perché, altrimenti, di regola, l'obbligato chiederebbe la risoluzione e, di fronte a questa
prospettiva, è certo che la controparte offrirebbe la riduzione ad equità: infatti, offrendola,
conserverebbe almeno parte del vantaggio, sennò lo perderebbe tutto.
(!) Ma Sacco ritiene che l'art. 1468 C.c. sia formulato male: la Risoluzione potrebbe chiedersi
anche in questo caso, allorché la risoluzione prevenga ogni disturbo o sacrificio della controparte.
Ad es., Tizio garantisce a Sempronio, con una fideiussione, che Caio onorerà il debito: a questo
punto, Sacco ritiene che finché Sempronio non eroghi a Caio il credito, Tizio può validamente
chiedere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, perché ciò non comporterebbe alcun
sacrificio in capo al Sempronio stesso.
(!) Inoltre, Sacco ritiene che possano avvicinate alle “prestazioni corrispettive” anche le prestazioni
di cui una, dedotta in obbligazione, sia condizionata all'altra dedotta in condizione.
Esempio → Tizio si obbliga a fare x quando Caio avrà fatto y.

♦ Contratto a prestazioni corrispettive con una prestazione già eseguita → Se una prestazione è
già stata eseguita, la situazione sarà simile a quella di un'obbligazione isolata, ex art. 1333 C.c..
In caso di eccessiva onerosità, deve perciò applicarsi l'art. 1467 o l'art. 1468 C.c.?

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Di regola, si applica l'art. 1467 C.c., in quanto si dice che abbia qui rilevanza la funzione
originaria del contratto: quindi, si ha Risoluzione, con ripetizione delle prestazioni.
(!) Sacco, però, ritiene inadatta tale soluzione, a favore invece dell'art. 1468 C.c.; infatti:
Esempio → Si immagini il seguente contratto:
 Tizio si obbliga a cedere a Caio il bene Alfa, che vale 100;
 Caio si obbliga a cedere a Tizio il bene Beta, che vale 50;
Tizio ottempera al proprio obbligo e consegna a Caio il bene Alfa: a questo punto, Caio paga 100.
Caio, quindi, deve consegnare a Tizio il bene Beta. Senonché, poco prima della consegna, il bene Beta aumenta di
valore, fino a valere 500: quindi ora, per Caio, cedere il bene Beta è eccessivamente oneroso.
Allo stesso tempo, il bene Alfa perde di valore, fino a valere 30.
Se si ammettesse la risoluzione applicando l'art. 1467 C.c., Caio potrebbe semplicemente restituire il “tantundem”
del bene Alfa svalutato (30), speculando così sulla svalutazione.
Invece, applicando l'art. 1468 C.c., Caio, invece di restituire Alfa e dare il bene Beta facendosi pagare di più,
potrebbe tenersi Beta e pagare una somma proporzionata al valore che Beta aveva al momento del contratto.

► I Contratti Aleatori → L’art. 1469 C.c. sottrae alla risoluzione il contratto aleatorio, tale per
sua natura o per volontà delle parti; della norma possono darsi due letture:
▪ Il Giudice adito per la risoluzione o riduzione deve valutare la natura aleatoria del contratto
per concedere i rimedi suddetti;
 Questa soluzione è coerente con l'art. 1469 C.c., che opera una discriminazione basata sul
Contratto (non aleatorio → risoluzione/riduzione; aleatorio → nessun rimedio);
▪ Il Giudice adito per la risoluzione o riduzione deve esaminare la natura dell'evento nocivo
sopravvenuto, accertando se il contratto avesse accollato o meno al danneggiato il rischio di
quel determinato evento che poi si è realizzato.
 Questa soluzione è incoerente con l'art. 1469 C.c., perché distingue in base all'Alea.
(!) Sacco, però, preferisce la seconda lettura, per varie ragioni.
In primis, è la stessa Legge che concede a dei Contratti Aleatori, come quello d'Assicurazione, una
serie di rimedi contro le perturbazioni dei rischi (v. artt. 1897-98 C.c.).
Inoltre, l'impostazione per cui, di regola, chi si sobbarca un rischio non possa disporre in ogni caso
di rimedi a causa dell'aleatorietà, impedisce di fornire dei rimedi anche a colui che si sia caricato
un certo rischio, da cui però scaturiscano eventi dannosi ulteriori e non previsti.
Questa lettura, quindi, consentirebbe di disapplicare gli artt. 1467-68 C.c. ogniqualvolta il
contenuto del contratto accolli un certo rischio, precisamente individuato, ad una delle Parti.
Se il contratto nulla dispone su un certo rischio, si applicano gli articoli citati.
Esempio → Se il contratto accolla un'alea a Tizio, questi non può chiedere la risoluzione/riduzione: le due norme sono
così disapplicate in presenza di un'alea che una parte si sia sobbarcata.
La risoluzione/riduzione sarebbe invocabile da Tizio se il contratto, magari aleatorio per altri motivi, non avesse
disciplinato quella particolare alea, assolutamente imprevedibile: quindi, si distingue in base all'Alea.
♦ Negozi Strumentali ed art. 1469 C.c. → L’applicazione dei principi fin qui esposti dà luogo a
difficoltà maggiori nel campo dei contratti, negozi e situazioni strumentali (es. contratti preliminari,
opzioni e proposte irrevocabili); è stato infatti affermato che la prestazione strumentale non
avrebbe di per sé un proprio valore economico, e che pertanto sarebbe impossibile constatare la
presenza di un equilibrio fra prestazione e controprestazione.
Uno squilibrio sarebbe constatabile soltanto nelle situazioni definitive.
Ad es., si è sostenuto che i rimedi siano inapplicabili ai Contratti Preliminari, perché l’onerosità
colpirebbe non la prestazione propria di questi (concludere il definitivo), ma la prestazione dedotta
nel definitivo. La tesi in esame va respinta: la parte colpita dalla sopravvenienza dovrebbe
concludere il definitivo, salvo chiederne poi la risoluzione per una onerosità sopravvenuta già in
pendenza del preliminare.
Quindi, chi ha contratto un preliminare se ne potrà difendere se, prima della conclusione del definitivo, la prestazione
che il contratto definitivo sarà destinato a porre a suo carico sia divenuta troppo gravosa.
La stessa soluzione vale anche per i Contratti Associativi: si concederanno i rimedi del caso,
qualora il rischio sia relativo alla prestazione di un singolo socio (Sacco, Roppo).

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LA PRESTAZIONE DOVUTA e DIFFERITA


Il contratto è soggetto al rimedio solo se almeno una delle prestazioni, in quanto periodica,
continuata o differita, interviene dopo un intervallo di tempo dalla conclusione del contratto.
L’intervallo può essere previsto al momento della conclusione del contratto, o può parimenti
essere concesso in seguito (anche in via di tolleranza).
L’obbligazione, per aversi risoluzione/riduzione, dev'essere “onerosa”: l'obbligazione non potrà
essere onerosa qualora sia già estinta.
In certi contratti (es. quelli traslativi di proprietà) la prestazione di una parte coincide con la
vicenda del rapporto giuridico predisposta dalle parti, e viene così a significare l’effetto stesso
del contratto (es. vendita), qui si dirà che la prestazione dell’alienante si esaurisce nella
manifestazione del consenso prestato al momento della stipulazione del negozio, non lasciando
sopravvivere a carico del soggetto autore dell’atto di disposizione alcuna obbligazione contrattuale,
precludendogli così la via della risoluzione per eccessiva onerosità.
In sostanza, non sono considerate “differite” le prestazioni che derivano da un contratto traslativo di proprietà: la
prestazione dell'alienante si esaurisce manifestando il consenso alla conclusione del contratto.

(!) Sacco fa quindi alcune precisazioni:


▪ Potrà essere considerata “differita” la prestazione dell'alienante che ritardi l'individuazione delle
cose generiche da consegnare all'acquirente: se non avrà ritardato l'individuazione delle cose
vendute, e queste ad es. periscano, non ci sarà rimedio per l'acquirente, che dovrà comunque
pagare;
▪ Se la vicenda traslativa è soggetta a Termine o Condizione, anche qui si dirà che la prestazione
dell'alienante si esaurisce nel consenso prestato al momento del negozio;
▪ Alcuni hanno esteso oltre i giusti limiti l'ambito in cui la prestazione si esaurisce con la
manifestazione del consenso: ad es., alcuni hanno ritenuto che chi concede un'Opzione od una
Offerta Irrevocabile non possa invocare rimedi, perché la sua prestazione si esaurirebbe
nell'attività negoziale volta alla concessione.
Sacco dissente, perché l'opzione fa nascere una soggezione dell'offerente ed un diritto
dell'opzionario; quindi, la prestazione dell'offerente consiste nel far perdurare la “soggezione”
per il tempo pattuito: ha perciò un'esecuzione “non contestuale” alla conclusione del contratto.
♦ Inadempimento del Debitore → Nonostante il silenzio della Legge, gli interpreti affermano che
i rimedi in esami siano riservati al Debitore non inadempiente: infatti, le conseguenze
dell'inadempimento devono essere sopportate da chi si sia reso inadempiente.
Non può invocare l'eccessiva onerosità il debitore che vi abbia dato causa, od abbia rinviato
maliziosamente l'adempimento per speculare sulla sopravvenienza.

L'EVENTO STRAORDINARIO ed IMPREVEDIBILE


L’avvenimento può essere naturale od umano; può essere tecnico, economico, politico, normativo:
anche una nuova Legge è valutabile come fonte di onerosità sopravvenuta (non, però, se contempla
e regola essa stesa gli aggravi che possono derivarne sulle parti di rapporti contrattuali in corso).
È “prevedibile” – dice la Giurisprudenza – ciò che un uomo medio potrebbe prevedere al tempo
del contratto, alla luce della natura del contratto, delle qualità dei contraenti, delle condizioni del
mercato, ed in definitiva di ogni significativo elemento individualizzante.
Sulla base di questi criteri, spetta al Giudice identificare, in relazione al caso singolo, la soglia
della prevedibilità: è un Giudizio di Fatto, incensurabile in Cassazione.
Il giudizio si gioca essenzialmente su due dati: il grado di specificità ed il grado di probabilità del
fatto sopravvenuto, cui riferire la possibilità di prevederlo; più alto il grado di specificità che si
assume, più facilmente il fatto dovrà considerarsi imprevedibile.
Che vi sia un po’ d’inflazione è scontato, e dunque prevedibile; ma può essere imprevedibile l’abnorme impennata del
tasso d’inflazione.
Può avere notevole rilievo anche la durata del contratto: più questa è lunga, più aumenta il grado di probabilità, e
dunque di prevedibilità, di certi eventi.

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L'ONEROSITA' ECCESSIVA
In cosa consiste l’onerosità rilevante?
La Legge parla di prestazione divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi…: in questo modo
sembra riferirsi all’onerosità come ad una condizione che tocca direttamente la prestazione dovuta
da chi invoca il rimedio. Si parla qui di “Onerosità Diretta” (Roppo).
Ciò che importa è il mancato esaurimento della prestazione direttamente colpita dall’onerosità, e
dovuta da chi invoca il rimedio; è irrilevante che sia o meno esaurita la controprestazione.
L’onerosità eccessiva va riferita alla prestazione considerata “oggettivamente” e non alla
situazione soggettiva in cui si trova il debitore.
(!) L’interprete, inoltre, ha equiparato alla sopravvenuta onerosità della prestazione del debitore il
sopravvenuto “svilimento” della controprestazione: si parla qui di “Onerosità Indiretta”.
Deve comunque trattarsi sempre di svilimento oggettivo, cioè di perdita di valore di mercato della
controprestazione; non rileva, invece, la minore costosità di quest'ultima, intervenuta nella sfera
soggettiva di chi la deve.
La rilevanza dell’onerosità indiretta è subordinata alla condizione che anche la controprestazione
svilita non sia ancora esaurita al tempo dell’evento che la svilisce: infatti, una volta prestato il
pagamento, chi lo ha ricevuto non può più invocare la svalutazione, a condizione che, a sua volta,
abbia già svolto la propria prestazione (cioè si sia già liberato).
♦ Alea Normale → Ogni contratto espone le parti a qualche rischio: l'alea normale del contratto è
“la tipologia e la misura del rischio” che la parte implicitamente si assume col contratto.
Essa dipende in primo luogo dal tipo e dal sottotipo contrattuale, giacché ogni tipo incorpora un
diverso piano di ripartizione dei rischi fra i contraenti.
Ma alla considerazione del tipo deve aggiungersi l’apprezzamento di ogni altro dato
personalizzante che concorra a disegnare il piano di ripartizione dei rischi concretamente adottato
dalle parti (il particolare oggetto del contratto; clausole estranee alla disciplina del tipo, negoziate
ad hoc; ecc...).
♦ Il Tempo di riferimento (Roppo) → Il tempo al quale riferirsi per misurare il sopravvenuto
squilibrio dei valori delle prestazioni non è detto che sia quello in cui si verifica l'evento che lo
causa: infatti, vanno considerate tutte le eventuali correzioni successive.
Per cui, il tempo rilevante sarà quello del Giudizio.

LA RISOLUZIONE e la MODIFICAZIONE
Perché il contratto si risolva o si modifichi, occorrono le dichiarazioni degli interessati: infatti, il
contraente su cui non grava l’onerosità dev’essere messo in grado di sapere che non può più
contare sul contratto (per lo meno nei suoi termini iniziali) e dev’essere messo in termini per
paralizzare la Risoluzione proponendo la riduzione ad equità, ove lo ritenga opportuno.
♦ Domanda (Sacco, Roppo) → Il rimedio risolutorio si attiva, normalmente, proponendo in
giudizio domanda di risoluzione, dunque facendo valere l’eccessiva onerosità in via di Azione.
▪ Eccezione → Ci s’interroga se il rimedio si possa far valere anche in via di eccezione: se in un
contratto di durata A conviene B per l’adempimento, B può certo difendersi eccependo
l’eccessiva onerosità.
(!) Tuttavia, non si può eccepire l'onerosità sopravvenuta per giustificare il proprio
inadempimento.
▪ Sentenza ed Effetti → La sentenza che accolga la domanda è una Sentenza Costitutiva.
Secondo il modello comune, la risoluzione non retroagisce contro i Terzi, ma è retroattiva fra le
Parti, generando obblighi di restituzione.
Peraltro, la retroattività rimonta al momento del contratto solo per i contratti ad esecuzione
differita.
(!) Invece, nei Contratti di Durata, essa non pregiudica le prestazioni già eseguite o, più
precisamente, eseguite prima della sopravvenienza onerosa.

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♦ Riduzione ad Equità (art. 1467, comma 3, C.c.) → Proposta la domanda di risoluzione, il


contraente contro cui la domanda è rivolta può offrire la riduzione del contratto ad equità (equità
da intendersi come “equilibrio fra le prestazioni”) che, invece non può essere imposta dall’attore,
né può essere operata di iniziativa propria dal Giudice: la riduzione ad equità è un diritto
potestativo del convenuto in risoluzione.
Si insegna che l’equità è ottenuta quando sia riparata quella parte della sproporzione fra il valore
originario e quello sopravvenuto che eccede l’alea contrattuale.
(!) E' noto che, rispetto al contratto rescindibile, la riduzione ad equità deve recuperare l’intero
squilibrio di valori: per il contratto risolubile (di cui qui si parla), può invece pensarsi che basti
offrire quanto sufficiente a riportare lo squilibrio entro i limiti dell’alea normale del contratto.
Ciò si ricava dalla diversa natura dei difetti del contratto, contro cui si reagisce.

LE ALTRE SOPRAVVENIENZE: le FONTI


Il Codice del 1942 ha previsto l’onerosità come “squilibrio quantitativo”, ma non ha previsto
alterazioni di tipo qualitativo (ad es., prestazione divenuta poco appetibile perchè superata da una
nuova tecnologia, o per una modifica del progetto).
L'importanza delle sopravvenienze diverse dall'eccessiva onerosità (scarsa utilità, scarsa
appetibilità) è stata percepita con nettezza e consapevolezza crescente solo dalla seconda metà del
Novecento, di pari passo cioè col momento in cui si è intravisto che un rimedio efficiente in caso di
eccessiva onerosità è la Rinegoziazione delle Clausole, salva la decisione del Giudice sul merito se
l’accordo tra le parti non è raggiunto.
Lo ha suggerito in particolare l'Analisi Economica del Diritto, ed i Principi Unidroit hanno fatto
propria tale impostazione.
Infatti, siccome trovare la corretta allocazione del rischio quando accade qualcosa d'imprevedibile è un'operazione difficile (ed è
difficile riuscire ad individuare con precisione chi sia il miglior gestore del rischio), allora il Giudice deve obbligare le parti a
tornare al tavolo delle negoziazioni per trovare una soluzione. La logica, la ratio di questo tipo di approccio è quella di dire: “se la
soluzione efficiente è quella cui le parti sarebbero arrivate se si fossero occupate sul punto, allora, prima di chiedere al giudice di
decidere ex ante chi sia il miglior gestore, è meglio far ri-negoziare le parti”.

Indirizzare le parti alla rinegoziazione non contrasta col principio di autonomia: infatti, quando le
parti non hanno previsto un rischio (quindi vi è una Lacuna Contrattuale), è meglio avviarle
verso l'itinerario che, se informate, avrebbero trovato normale e naturale, piuttosto che
schiacciarle sotto il peso d'una regola che esse non avrebbero voluto, se solo avessero saputo.

LE ALTRE SOPRAVVENIENZE: le REGOLE


I Giuristi di tutti i Paesi, compresi quelli italiani, ritengono che il contratto in crisi imponga alle
parti la rinegoziazione, ossia l'obbligo di essere disponibile a contrarre, nelle condizioni che
risultano giuste alla stregua dei parametri risultanti dal testo originario del contratto, rivisitati alla
luce dei nuovi eventi imprevedibili e sopravvenuti.
La ratio dell'obbligo di rinegoziazione, alla luce dell'Analisi Economica, è che i costi transattivi (= ogni tipologia di
ostacolo che si frappone al perfezionamento d'una transazione efficiente) di una rinegoziazione possano essere
inferiori ai costi di aggiudicazione (costi che sono imposti alle parti per la protezione dello scambio realizzato
attraverso il contratto) derivanti dal Processo.
Vi è anche una seconda considerazione: poiché qualunque scrittura esterna di una clausola contrattuale è meno precisa
rispetto a ciò che le parti stesse possono scrivere, ecco allora che questo obbligo ha anche il pregio di essere più
preciso, in termine di efficienza, rispetto alla normale aggiudicazione giudiziaria.
Si tratta inoltre, di qualcosa di più rispetto alla conciliazione: di solito, in caso di conciliazione c'è una contrapposizione
netta fra le parti, e spesso, infatti, cade nel nulla. In caso di hardship, invece, le parti non sono nettamente contrapposte
e sono più disponibili a venirsi incontro; se non lo fanno, interverrà il Giudice.

Tuttavia, se le parti, concludendo il contratto originale, temono una modifica operata dal Giudice,
potranno anche bloccare, con apposita clausola, la revisione del contratto nell’ipotesi di
sopravvenienza: è la c.d. “Clausola di Non Revisibilità” , ed è perfettamente ammissibile.
Sacco, però, ritiene che una tale clausola comporti conseguenze rovinose.

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SEZIONE XVIII: IL RECESSO - G. De Nova -


CAP. UNICO - IL RECESSO
IL RECESSO UNILATERALE CONVENZIONALE: NOZIONE ed AMBITO
L’art. 1373 C.c., che disciplina il Recesso Unilaterale Convenzionale, fa seguito all’affermazione
di principio secondo cui “il contratto ha forza di legge fra le parti e non può essere sciolto che per
mutuo consenso o per cause ammesse dalla Legge (art. 1372 C.c.)”.
In assenza del diritto di recesso unilaterale, attribuito ad una o più parti, l’unica via del
scioglimento del contratto è quindi il mutuo consenso (c.d. “Mutuo Dissenso”), e questa possibilità
deriva dalla stessa nozione del “contratto” ex art. 1321 C.c. (…estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale).
Il mutuo dissenso va quindi inteso come un “Contratto avente ad oggetto l’estinzione di un
rapporto giuridico preesistente”, ed è stato contrapposto dagli interpreti alle altre cause di
scioglimento, viste come deroghe al principio del carattere vincolante del contratto.
(!) Il Gabrielli ha ritenuto che il Mutuo Dissenso possa formare oggetto di Opzione (art. 1331
C.c.), concessa da una parte all'altra: la clausola che prevede il recesso unilaterale si
configurerebbe, quindi, come “Opzione di Mutuo Dissenso”.
Alla luce di questo inquadramento, parrebbe che la libertà del mutuo dissenso sia assoluta: se le
parti hanno potuto concludere un contratto, allo stesso modo possono scioglierlo
convenzionalmente.
In questo caso, il parallelismo è ammissibile, per espressa scelta del Diritto Positivo (= lo prevede
la Legge): ma De Nova avverte che, nel Diritto, i parallelismi sono pericolosi.
E lo dimostra facendo degli esempi, utili a dimostrare la pericolosità dei parallelismi:
▪ Proprietà → In questa materia, non sempre il proprietario può godere, disporre e gestire la cosa
come più gli piace. Ad es., l'art. 838 C.c. garantisce l'Espropriazione Amministrativa di quei beni
che interessano la produzione nazionale, il decoro delle città, l'arte, la storia o la sanità pubblica
qualora il proprietario li abbandoni, non li conservi, non li coltivi, ecc... ;
▪ Obblighi di Non Fare → “Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente diritto può
ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo
non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il
risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale”.

♦ Forma del Mutuo Dissenso → La Giurisprudenza richiede (v. Cassaz. SS.UU. 8878/1990):
 Una Forma “per Relationem”, se la forma del contratto da sciogliere è “ad substantiam”
per Legge o per volontà delle parti ex art. 1352 C.c. (salvo diversa previsione); la stessa
regola si applica anche allo scioglimento di Contratti Preliminari ex art. 1351 C.c.;
 Una Forma Libera, se la forma è ad probationem; se è stata prevista dalle parti non ad
substantiam; o è già libera.

Nel primo caso, la forma vincolata è senz'altro richiesta se il contratto da sciogliere ha ad oggetto
Diritti Reali Immobiliari: negli altri casi che non hanno ad oggetto diritti immobiliari, per Roppo,
anche se il contratto ha una forma ad substantiam, si può ammettere la forma libera.
La ratio starebbe nel fatto che sciogliere un rapporto esistente sia meno grave che modificarlo, per
cui sono ammissibili minori cautele rispetto alla forma richiesta per il patto modificativo (soggetto
agli stessi requisiti di forma del contratto che va a modificare).

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► Il Recesso Unilaterale → Il Mutuo Dissenso è quindi una facoltà normale delle Parti:
all'opposto, il Recesso Unilaterale presuppone che esso sia specificatamente attribuito per Legge o
per Clausola contrattuale, come richiede l'art. 1373 C.c..
Ma ci sono delle eccezioni:
 Contratti a Tempo Indeterminato → Si ammette il recesso in ogni caso, perché
l'ordinamento non tollera che un vincolo duri in eterno (la Dottrina ammette il recesso
anche dai contratti atipici a tempo indeterminato);
 Contratti ad Esecuzione Continuata → Il contraente fedele può reagire tramite il recesso,
a fronte delle inadempienze della controparte (Dottrina e Giurisprudenza sono concordi).
Cassaz. 6347/1985 ha infatti ammesso il recesso della Società Alfa dal contratto con cui la Società Beta
s'impegnava a vigilare sui magazzini della società Alfa, a seguito d'un furto, anche in assenza di una clausola di
recesso, e nonostante residuassero ben 6 mesi di durata del contratto.
(!) Tale recesso ad nutum non comporta nemmeno alcun obbligo risarcitorio in capo ad Alfa.

♦ Disciplina (art. 1373 C.c.) → De Nova affronta quindi la disciplina del Recesso:
▪ Comma 1: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata
finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
Se il contratto è ad esecuzione istantanea, il recesso può essere esercitato in quanto il contratto
non abbia avuto un principio d’esecuzione.
▪ Comma 2: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche
successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione”.
Se il contratto è ad esecuzione continuata o periodica, il recesso può esercitato anche se il
contratto ha avuto un principio di esecuzione, ma il recesso non vale per le prestazioni già
eseguite o in corso di esecuzione: quindi, il Recesso non è Retroattivo!
▪ Comma 3: “Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto
quando la prestazione è eseguita”.
Il comma si riferisce alla c.d. “Multa Penitenziale”, di cui infra.
▪ Comma 4: “E' salvo in ogni caso il patto contrario”.
Quest'ultimo comma, posto a chiusura dell'articolo, si riferisce a tutti i commi precedenti!
Per cui, ex comma 4, può benissimo capitare che nei contratti istantanei le parti prevedano il recesso
anche dopo il principio di esecuzione; e che nei contratti di durata prevedano un recesso retroattivo.
(!) Tuttavia, la libertà riconosciuta dalle parti non è assoluta: il limite è dato dal fatto che le
parti non possono attribuire al recesso Efficacia Retroattiva Reale, cioè efficacia che produca i
suoi effetti anche nei confronti dei Terzi.
Infatti, argomentando ex art. 1372 comma 2 C.c., che prevede che il contratto non produca effetto
rispetto ai terzi, salvo nei casi previsti dalla Legge, ne deriva che l'efficacia retroattiva reale
possa essere prevista solo dalla Legge stessa.
♦ Contratto ed Effetti Reali → Alcuni limitano l'efficacia del recesso solo ad alcune categorie di
contratti, in particolare a quelli ad effetti obbligatori: secondo De Nova, invece, il recesso vale
anche nei contratti ad Effetti Reali, e ciò in forza dell'ampio potere di autonomia nella
definizione dello scioglimento del vincolo contrattuale riconosciuto in capo alle parti.
(!) In forza di tale ampio potere, potrà capitare che un recesso convenzionale atteggiato dalle parti
in modo nettamente divergente dal modello legale finisca per ricadere sotto un diverso istituto; in
particolare potrebbe essere inteso come una Condizione Risolutiva Meramente Potestativa.
Come distinguere il Recesso dalla C. Risolutiva meramente potestativa? Non ci si può basare sul fatto che la condizione
sia retroattiva ed il recesso no, perché in ambo i casi la disciplina della retroattività è derogabile.
(!) Per cui, Cassaz. 3626/1989 ha stabilito che, a prescindere dalla qualificazione operata dalle parti, si abbia:
 Recesso Convenzionale → Quando ad una delle parti è consentito sciogliere il vincolo mediante una dichiarazione;
 Condizione Meramente Potestativa → Quando lo scioglimento deriva da un evento indipendente dalla volontà delle
parti.

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♦ Rapporti fra Recesso Legale e Convenzionale → Nel caso del recesso legale, l'ampia
autonomia delle parti perde peso. Infatti vi sono tipi contrattuali o gruppi di contratti in cui:
▪ Il Recesso è previsto solo a favore di una parte: è il caso della Locazione d'Immobili Urbani;
▪ E' prevista una normativa inderogabile per il Recesso; ad es. per i contratti:
 di Lavoro Subordinato;
 Negoziati fuori dai locali commerciali;
 Bancari e Finanziari, in caso di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali;
 di Collocamento a distanza di Strumenti Finanziari o di Gestione di Portafogli;
 di acquisizione di un D. di Godimento a tempo parziale su immobili;
 c.d. “a Distanza”.

▪ La previsione d'una clausola di Recesso Convenzionale può essere imposta: è il caso di Contratti
di Somministrazione di Energia Elettrica, per previsione dell'Autorità per l'Energia Elettrica;
▪ La previsione di tale clausola può essere altrimenti vietata: ad es., così accade per i Contratti di
Assicurazione Malattia di durata fino a 5 anni, per previsione dell'IVASS.
♦ Funzioni del Recesso → Il recesso (legale e convenzionale) svolge funzioni diverse:
▪ Recesso Determinativo → Serve a dare un termine a contratti di durata che ne siano privi;
▪ Recesso come Mezzo d'Impugnazione → Serve ad impugnare il contratto per la presenza di
vizi originari o sopravvenuti;
▪ Recesso come “Ius Poenitendi” → Consente alla parte, nei contratti di durata, perpetui o a
lungo termine, di sciogliersi dal rapporto, venuto meno il suo interesse;
Ad es., affrancazione del fondo enfiteutico (art. 971 C.c.); riscatto della rendita (art. 1866 C.c.).
▪ Recesso Iniziale → E' il recesso che consente di recedere da un contratto concluso a seguito di
un approccio aggressivo (es. vendite da porta a porta);
▪ Recesso di Protezione → E' consentito alla parte considerata più debole;
▪ Recesso per Modificazione dei Presupposti → Consente alla parte, a fronte di una
modificazione importante delle condizioni contrattuali, di sciogliersi dal vincolo (es. cambio del
piano tariffario del telefonino).
N.B.: Gli ultimi tre punti sono stati aggiunti al seminario del Dott. Patrizio Cataldo, 3/05/2017.

LA DISCIPLINA
● La facoltà di recesso prevista dal contratto si esercita per mezzo di una Dichiarazione: non è
sufficiente un comportamento da cui risulta la volontà di non adempiere al contratto.
● Tale dichiarazione integra un Negozio Unilaterale Recettizio che deve rivestire la stessa Forma
prescritta per la conclusione del contratto oggetto di scioglimento:
Vi è maggior rigore formale rispetto al mutuo dissenso in quanto la struttura unilaterale del recesso impone un
sovrappiù di certezza a tutela di chi subisce gli effetti di un atto al quale non partecipa (Roppo).
● Le parti possono subordinare il patto di recesso a Condizione (inapplicabile invece al “diritto di
recesso”) e possono prevedere un Termine per l’esercizio dello stesso (iniziale: a partire da un anno
dalla stipulazione; finale: entro x giorni dalla conclusione del contratto; oppure sia iniziale che
finale). Il termine finale non legittima il recesso se la prestazione istantanea sia già stata eseguita.
● Per precludere il recesso, il “Principio di Esecuzione” dev’essere posto in essere dal recedente
o da lui consentito e dev’essere successivo alla conclusione del contratto (e non contestuale).
● E' illogico parlare di “prestazioni già eseguite” per i Contratti ad Esecuzione Continuata,
perché qui la prestazione è unitaria: qui, necessariamente, il recesso interviene in corso di
esecuzione. Perciò, per i contratti ad esecuzione continuata il recesso ha effetto dal momento in cui
la dichiarazione del recedente giunge a conoscenza dell’altra parte.
● Se il contratto è “divisibile”, si può ammettere che il diritto di recesso possa essere esercitato pro-
parte: quindi, De Nova ritiene ammissibile, a queste condizioni, il Recesso Parziale.

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IL CORRISPETTIVO PER il RECESSO. LA CAPARRA PENITENZIALE


Se è pattuita la prestazione di un Corrispettivo per il Recesso, quest’ultimo ha effetto da quando la
prestazione del corrispettivo è eseguita (v. art. 1373 comma 3 C.c., norma derogabile). Si avranno:
 Caparra Penitenziale → Se il corrispettivo è consegnato alla conclusione del contratto;
 Multa Penitenziale → Se il corrispettivo è promesso per il futuro.
Occorre fare un'ulteriore distinzione: se il contratto preveda il diritto di recesso per una parte
soltanto, questa dovrà versare la caparra e, nel caso in cui receda, la perderà.
Ma può essere che il contratto preveda il diritto di recesso per entrambe le parti, in questo caso la
caparra sarà versata da una parte sola e, se sarà questa a recedere, la perderà; altrimenti, se
recederà la parte che ha ricevuto la caparra, il recesso avrà effetto soltanto quando essa avrà versato
all’altra il doppio della somma ricevuta.
Venuta meno la possibilità di recedere, l’importo può essere o restituito o imputato come acconto
della prestazione principale, proprio come accade con la Caparra Confirmatoria (art. 1385 C.c.).

IL RECESSO LEGALE
Esistono tre fondamentali ipotesi di Recesso Legale:
● Versamento di Caparra Confirmatoria ed Inadempimento ( art. 1385 C.c.) → E' il recesso
previsto a favore della parte che ha ricevuto la caparra confirmatoria, a fronte dell’inadempimento
della controparte: infatti, ribaltando il discorso, nel momento in cui una parte paga una caparra
confirmatoria ed è inadempiente, l’altra parte può recedere trattenendo la caparra.
● Impossibilità Parziale della prestazione della Controparte ( art. 1464 C.c.) → E' il recesso
previsto per il creditore che, qualora la prestazione della controparte diventi parzialmente
impossibile, non abbia più interesse all'adempimento parziale.
● Recesso nei casi di “Ius Poenitendi” → Si tratta dei casi di ius poenitendi riconosciuto al
Consumatore in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (perché colto di
sorpresa); a queste ipotesi si possono aggiungere tutti i casi di Recesso “di Protezione” (contratti
che rientrano nell'ambito del credito al consumo; contratti di gestione di patrimoni; contratti bancari
modificati unilateralmente dall'ente creditizio; contratti di assicurazione sulla vita; multiproprietà;
contratti a distanza).
► Recesso e Tipi Contrattuali → In moltissimi tipi contrattuali, il Legislatore prevede il Recesso
Unilaterale (somministrazione a tempo indeterminato; locazione a tempo indeterminato; locazione
di fondi urbani; affitto; appalto; trasporto; mandato; deposito; comodato; assicurazione; contratti
bancari; contratti agrari; contratti di lavoro subordinato; ecc...): per i contratti tipici, la regola è il
recesso unilaterale, sicché l'art. 1372 C.c. è sostanzialmente svuotato.
Anche l'art. 1373 C.c. ha poco spazio, visto la dettagliata disciplina del recesso tipo per tipo.
(!) De Nova ritiene che anche per i Contratti Atipici a Tempo Indeterminato le Parti sono libere
di recedere unilateralmente, pur se nulla hanno previsto a riguardo.
Le varie ipotesi di recesso legale possono essere raggruppate in vario modo: una classificazione
ormai consolidata contrappone il Recesso Ordinario – che è causa estintiva normale del rapporto di
durata a tempo indeterminato e risponde all’esigenza di evitare la perpetuità dei vincoli obbligatori
– al Recesso Straordinario – che incide sui rapporti muniti di termine, anticipandone la cessazione,
e risponde ad esigenze eccezionali attinenti alla patologia del rapporto –.

RECESSO ed ABUSO del DIRITTO


Una tendenza giurisprudenziale è oggi volta a controllare l'esercizio del diritto di recesso (legale e
non), sotto il profilo dell'Abuso del Diritto; in particolare con riferimento al recesso delle Banche
dai contratti di apertura al credito; cfr. anche la criticata Sentenza Renault, Cassaz. 20106/2009.
Si è affermato che in caso di previsione espressa della facoltà di una delle parti di recedere, questa non possa essere esercitata
in modo “abusivo”, ossia recando uno sproporzionato pregiudizio all'altra parte, e pertanto il Giudice può sindacare le
concrete modalità dell'esercizio del recesso e negarne così l'efficacia, o ritenere sussistente un diritto dell'altra parte al
Risarcimento del Danno.

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SEZIONE XIX: LA CESSIONE DEL CONTRATTO - G. De Nova -


CAP. UNICO - LA CESSIONE DEL CONTRATTO
NOZIONE, AMBITO, TIPI
La Cessione del Contratto è un atto di autonomia privata con cui si realizza la successione “inter
vivos” a titolo particolare di un terzo nella posizione contrattuale di uno dei contraenti originari.
Esulano dunque dal tema:
 Le ipotesi di successione “mortis causa”;
 Le ipotesi di successione “ex Lege” → Si tratta di numerose ipotesi, il cui nucleo centrale è
dato dai casi in cui un terzo succede all'acquirente di un bene (i casi principali riguardano
beni locati, beni assicurati e le aziende).
(!) Le ipotesi di Successione “ex Lege” hanno una disciplina propria, e ad esse non è applicabile
la disciplina della Cessione del Contratto, se non per analogia od in via sussidiaria.

♦ La Posizione Contrattuale e gli Effetti della Cessione → La Cessione del Contratto ha per
effetto non solo la trasmissione dei Debiti o dei Crediti nascenti dal contratto con i relativi
accessori, ma anche di quel complesso di diritti potestativi, azioni ed aspettative che sono connessi
alla qualità di contraente (ad es., poteri di annullamento, rescissione, risoluzione, eccezione
dilatoria, recesso, ecc...).
(!) Quindi, De Nova afferma che non è vero che la Cessione consiste nella semplice “cessione dei
crediti ed accollo dei debiti”, come ha sostenuto il Cicala: in realtà vi è, nella Cessione, una vera e
propria successione del cessionario nella posizione contrattuale del cedente, sì che il contratto
non produrrà più effetti fra cedente e ceduto, ma fra cessionario e ceduto.
In particolare, De Nova ribatte a Cicala affermando che l'Accollo non ha per effetto naturale la liberazione del debitore
originario, mentre così è per la cessione; nell'accollo cumulativo il debitore rimane obbligato in solido col terzo, mentre
nella cessione non liberatoria il cedente non è condebitore solidale, ma debitore sussidiario;inoltre, nella Cessione dei
Crediti, il cedente che garantisca il cessionario risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, mentre nella Cessione del
Contratto il cedente garante risponde come fideiussore.
 Roppo definisce “Teoria Atomistica” quella sostenuta dal Cicala e “Teoria Unitaria” quella di De Nova
(che Roppo condivide)

(!) Con la cessione il contratto, il suo Contenuto oggettivo resta immutato, tanto che
l’Interpretazione dei contraenti originari vincola anche il cessionario.

♦ Modifiche e Cessione Parziale → Sul punto, occorre distinguere due punti di vista:
▪ Giurisprudenza → Ritiene che le parti della cessione non possano modificare il contratto
oggetto di cessione (anche se negli anni '90 alcune sentenze hanno derogato a tale impostazione,
ammettendo modificazioni marginali e l'inserimento di obbligazioni aggiuntive, fino ad arrivare
all'ammissibilità di modifiche del contratto ceduto, pattuite fra cedente e cessionario).
Inoltre, la Giurisprudenza vieta la Cessione Parziale del Contratto;
▪ De Nova ed altra Dottrina (Bianca, Roppo) → Sono ammissibili modifiche al contenuto del
rapporto, compatibili con l'intento delle Parti di tener fermo per il resto il rapporto originario.
Inoltre, è ammissibile la Cessione Parziale del contratto, ferma restando la titolarità del Cedente
per la quota non trasferita (ad es., cessione di una parte di un contratto d'appalto).

♦ Cessione Onerosa e Gratuita → La cessione può avvenire o meno dietro corrispettivo, pagato
dal Cessionario al Cedente.
De Nova ammette che anche il Ceduto possa ottenere un corrispettivo per prestare il proprio
consenso alla cessione.
Inoltre, Torrente ammette invece che addirittura possa essere il Cedente a pagare il Cessionario,
pur di liberarsi di un contratto scomodo.

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♦ Interessi in gioco → Gli interessi possono essere così sintetizzati:


▪ Cedente → Ha interesse alla cessione perché, ponendosi come intermediario, otterrà un
corrispettivo ed uscirà dal contratto, liberandosi dalle sue obbligazioni e dal rischio
dell'inadempimento del ceduto (salvo diversa previsione);
▪ Cessionario → Ha interesse alla cessione perché il contratto ceduto comporta per lui un
vantaggio, oppure perché sa come farlo fruttare meglio, oppure perché gli costerebbe meno darvi
esecuzione rispetto al cedente;
▪ Ceduto → Di regola, non ha un interesse particolare alla cessione, a meno che non riceva un
corrispettivo. Ad ogni modo, il suo consenso (art. 1406 C.c.) è condizione della cessione stessa.

♦ Disciplina. Le Cessioni Atipiche → L'istituto in esame è regolato agli artt. 1406-1410 C.c..
Si è così posta fine ai dubbi della dottrina sull'ammissibilità della cessione del contratto, e si è cristallizzata al
contempo una prassi assai diffusa nel settore della compravendita di merci.
In base alla Legge, può cedersi solo un contratto che sia:
 A prestazioni corrispettive;
 Non ancora eseguite;
 Occorre inoltre il consenso del contraente ceduto.
Questi tre elementi sono requisiti inderogabili?
▪ Secondo la Giurisprudenza e la Dottrina un tempo prevalenti, sì: sarebbero precluse le
Cessioni Atipiche;
▪ Oggi, invece, si ritiene che, invero, non vi siano ragioni per non ammettere Cessioni Atipiche.
(!) De Nova analizza quindi le ragioni di tale ammissibilità:
▪ Cessione di Contratti Unilaterali o Bilaterali eseguiti “ex uno latere” → Teoricamente non
sarebbe ammessa, e potrebbe esser ceduta solo la posizione di debitore o di creditore.
Ma, pur in assenza di una “corrispettività” delle prestazioni, oggi si ritiene che la posizione attiva o
passiva ricomprenda anche i Diritti Potestativi del contraente, le azioni relative, i Diritti fondati su
patti speciali: quindi ha ragion d'essere la Cessione del Contratto, poiché essa, come s'è detto,
consente di ottenere un risultato altrimenti non conseguibile con la cessione del credito o con
l'accollo del debito;
▪ Cessione di Contratti ad Effetti Reali → Una volta intervenuto l'effetto reale (es. trasferimento
proprietà), alcuni ritengono che sarebbe possibile operare solo un altro autonomo atto di
ritrasferimento (= rivendita), e non la cessione.
Ma De Nova ritiene che non è escluso che la cessione del contratto possa avere effetto traslativo: in
particolare, in caso di Rivendita, il subacquirente avrebbe causa dal primo acquirente; invece,
ricorrendo alla Cessione del Contratto, avrebbe causa direttamente dall'alienante, il che
rileverebbe soprattutto per i naturalia negotii, ad es. per l'evizione;
▪ Mancanza di Consenso → E' la stessa Legge a prevedere casi in cui il consenso non è necessario:
ad es., il conduttore dell'immobile ad uso non abitativo può cedere il contratto di locazione anche
senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda; oppure, l'affittuario
di fondi rustici, che abbia eseguito a sue spese le migliorie del fondo, può cedere il contratto ad uno o
più familiari che continuino la coltivazione del fondo, anche senza il consenso del locatore.
♦ Limiti alla Cessione → Va precisato però che non tutti i contratti possono essere ceduti.
Un caso di incedibilità assoluta riguarda l'Appalto di Opere o Lavori Pubblici: se il contratto
venisse ceduto, la cessione sarebbe nulla.
In altri casi, la Natura del Contratto limita la cessione: così accade in caso di contratti la cui
conclusione sia consentita solo a Soggetti con particolari requisiti di Legge (contratti relativi a
fondi rustici, mutuo di scopo, contratto di lavoro sportivo): solo loro possono cedere il contratto.
In tali casi, infatti, sono in gioco Interessi d'Ordine Generale, che non possono essere rimessi alla
valutazione del contraente ceduto.

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▪ Contratto di Lavoro Subordinato → E' un caso particolare: il datore di lavoro può cedere il
contratto, col consenso del lavoratore, che continua la prestazione della propria opera alle
dipendenze del cessionario con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente; mentre,
invece, il lavoratore non può cedere il contratto, nemmeno col consenso del datore di lavoro;
▪ Contratti “Intuitu Personae” → De Nova rifiuta l'idea della totale incedibilità di tali contratti.
Infatti, sarà il contraente ceduto (ad es. l'impresa teatrale) a valutare se le qualità personali che lo
avevano indotto alla conclusione del contratto originario con il cedente (es. quel famoso attore)
siano presenti anche nel cessionario (un altro attore che sostituisce il primo);
▪ Contratti che si estinguono “Mortis Causa” → De Nova ritiene che non vadano considerati
per natura “incedibili”, perché la trasmissibilità inter vivos e quella mortis causa non sono
soggette ad una disciplina unitaria.
Infine, in alcuni casi il Legislatore sembra vietare espressamente la Cessione del Contratto (es.
mezzadria, locazione, colonia parziaria): ma il divieto è solo apparente, perché in quei casi ciò che
è vietato è cedere il contratto senza il consenso del ceduto.
(!) Invece, De Nova ritiene che un divieto di cessione deve dedursi dai Divieti di Contrarre in
Conflitto d'Interessi fra due soggetti, uno dei quali amministri i beni dell'altro: infatti, se il
soggetto a carico del quale è posto il divieto, potesse diventare cessionario del contratto che altri ha
stipulato, il divieto sarebbe troppo facilmente aggirato (ed il ceduto che dovrebbe dare il consenso
sarebbe proprio l'altra parte in conflitto d'interessi!).

IL CONSENSO del CONTRAENTE CEDUTO


Nell’ipotesi normativa tipica, il contratto ceduto è a prestazioni corrispettive non eseguite e,
dunque, con la cessione si trasmette non solo una posizione creditoria ma anche una posizione
debitoria: quindi, per il contraente ceduto, nella sua veste di Creditore, non è indifferente la
persona del debitore ed è perciò necessario il suo consenso perché possa esservi sostituzione.
Però, si è già detto che il consenso non è una necessità logica: il Legislatore può sempre consentire
la cessione anche in assenza di tale elemento, come si è visto negli esempi di cui sopra.
Fuori di questi ultimi casi, il consenso del contraente ceduto è certamente necessario nell’ipotesi
che il legislatore considera normale, e cioè nel caso di cessione con liberazione del cedente, ma è
necessario anche nella cessione non liberatoria, perché anche qui si ha pur sempre la
sostituzione del debitore.

♦ Natura del Consenso → Si tratta di:


▪ Un Elemento Costitutivo della Cessione, che importa una struttura trilaterale del rapporto;
▪ O di una “Condicio Iuris” necessaria a rendere efficace nei confronti del ceduto l'accordo
intervenuto tra cedente e cessionario, importando così una struttura bilaterale del rapporto?
(!) La tesi prevalente è la prima, ed è condivisa dalla Giurisprudenza.

♦ Mancanza del Consenso: effetti residui → Quali sono gli effetti di un accordo fra cedente e
cessionario in mancanza del consenso del ceduto?
▪ Giurisprudenza → Considerando il consenso un elemento costitutivo, la sua mancanza rende
totalmente non operativa la cessione, neppure fra cedente e cessionario;
▪ Dottrina → In un'ottica più permissiva, ammette la cessione dei crediti e l’accollo dei debiti.
(!) Qualora le parti, pur non essendo obbligate ad attivarsi per ottenere il consenso, ne ostacolino la
manifestazione, sono ritenute responsabili ex art. 1337 C.c..

♦ Consenso Tacito → In linea di principio il consenso può essere anche tacito, ma non potrà
esserlo nei casi in cui la cessione dev’essere formale (v. infra).
L'onere di provare l'esistenza di tale consenso tacito incombe su chi invochi la cessione del
contratto.

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♦ Consenso Successivo e Preventivo → Di regola, il consenso è contestuale alla cessione: ma si


ammette che sia successivo, qualora intervenga quando non sono ancora state adempiute le
prestazioni, né dall'una né dall'altra parte.
In caso invece di Consenso Preventivo (art. 1407, comma 1, C.c.) l’efficacia della cessione è
determinata dalla Notificazione della sostituzione al ceduto (che non ha formalità speciali),
ovvero dalla sua Accettazione della stessa.
La notificazione deve però precedere l’esecuzione da parte del cessionario e non può essere
considerata sua equipollente la conoscenza dell’avvenuta sostituzione che il contraente ceduto
ricavi dall’esecuzione della prestazione da parte del cessionario.
(!) Si è notato che, in caso di consenso preventivo, la Cessione del Contratto – da un punto di vista funzionale – si
avvicina al Contratto per Persona da nominare (artt. 1401 e ss. C.c.).
Parimenti, la Giurisprudenza ha statuito che la nomina del terzo tardivamente compiuta possa risolversi in una
Cessione del Contratto.
(!) Nei Contratti del Consumatore, anche in presenza di consenso preventivo del consumatore, si presume vessatoria
la clausola con cui il professionista possa sostituire a sé un terzo, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti del
consumatore, ex art. 33, comma 2, lett. s), Cod. Cons..

LA CESSIONE PIENA e le POSSIBILI VARIANTI


Gli effetti della Cessione del Contratto sono i seguenti:
♦ Rapporti fra Ceduto e Cedente (art. 1408 C.c.) → Di regola il cedente, con la cessione, è
liberato dalle sue obbligazioni nei confronti del ceduto, cioè non risponderà dell'inadempimento
del cessionario nei confronti della controparte ceduta.
Tale effetto può essere inibito dal ceduto laddove questi dichiari, una volta appreso dalla cessione,
di non liberare il cedente dalle obbligazioni nei suoi confronti, potendo così agire anche nei
confronti del cedente in caso di inadempimento del cessionario: per fare ciò, è sufficiente che la
richiesta di adempimento rimanga insoddisfatta; non occorre l'escussione del cessionario.
In quest'ultimo caso, il ceduto deve dare notizia al cedente dell'inadempimento del cessionario,
entro 15 giorni dall'insorgenza dell'inadempimento medesimo: in mancanza, il ceduto sarà
tenuto al Risarcimento del Danno in favore del cedente.
Se il ceduto non libera il cedente, si ritrova ad avere due debitori: non saranno debitori in solido;
infatti il cessionario sarà debitore principale; il cedente sarà debitore sussidiario.
Altro effetto della cessione è che il cedente perde la Legittimazione a far valere la Posizione
Contrattuale che aveva contro il Ceduto (Roppo).

♦ Rapporti fra Ceduto e Cessionario (art. 1409 C.c.) → Il cessionario subentra al cedente in tutti
i diritti e gli obblighi che facevano capo a quest'ultimo in base al contratto ceduto: egli sarà inoltre
titolare di ogni potere, facoltà, obbligo, azione od eccezione derivante dal contratto, compreso il
diritto, ad es., di far valere l'eventuale nullità dello stesso.
Il contraente ceduto, quindi, può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto,
ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente (c.d. “Eccezioni Personali”: ad es.,
l'Eccezione di Compensazione), salvo che ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha
consentito alla sostituzione (lo stesso, per De Nova, può dirsi per il cessionario contro il ceduto,
qualora le parti lo prevedano).
♦ Rapporti fra Cedente e Cessionario (art. 1410 C.c.) → Il cedente è tenuto a garantire la
validità del contratto (cioè deve garantire il c.d. nomen verum, ma ciò può anche escludersi, per
previsione delle parti).
▪ Cessione “pro Soluto” → Di regola, il Cedente non è tenuto a garantire il cessionario anche
per l'adempimento del ceduto: quindi, ha comunque diritto al corrispettivo anche in caso
d'inadempimento del ceduto;
▪ Cessione “pro Solvendo” → Il Cedente che assume la garanzia anche dell’adempimento del
contratto (da parte del ceduto), risponde come un fideiussore.

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LA FORMA
La Legge tace sulla Forma della Cessione: in origine si era optato per una libertà di forme; ma
presto, però, si è affermata l’opinione opposta, trovando anche l’adesione della Giurisprudenza.

(!) De Nova ritiene che la cessione di un contratto formale debba essere anch'essa formale per
ragioni di sostanza, in quanto comporta una vicenda di rapporti per i quali è imposto l’onere di
forma (alcuni – Carresi e Mirabelli – hanno invocato un principio generale, secondo cui ogni
negozio modificativo di altro negozio con forma ad substantiam debba avere forma per relationem).
L'autore rigetta invece le giustificazioni elaborate sulla base di esigenze pratiche: pur arrivando alle
stesse conclusioni (= necessità della forma), si basano su argomenti che non reggono.
Ad esempio:
▪ Si è ritenuto che la cessione formale possa consentire alle parti di eludere l'onere formale imposto
per il contratto principale: ma questo non ha senso, perché se non è rispettato l'onere di forma per il
contratto di base, esso sarà nullo, e la cessione di un contratto nullo non produce alcun effetto
(cfr. Cassaz. 2070/1977).
Il rispetto della forma assume particolare importanza nella Cessione dei Contratti ad Effetti Reali;
in questi casi, si deve anche ritenere necessaria la Trascrizione del contratto di cessione.
Chi nega che sia cedibile il contratto ad effetti reali, ritiene che il problema si ponga solo con
riferimento alla cessione del preliminare relativo ad un diritto reale immobiliare.

L'ESTINZIONE
Il legislatore non dice nulla neanche sulla patologia della cessione del contratto, facendo così
implicito rinvio ai princìpi generali.
La cessione del contratto, nonostante abbia una struttura trilaterale, non è contratto plurilaterale
nel senso in cui è inteso dal legislatore, e ciò perché non è caratterizzata dalla comunione di scopo:
quindi, non si applicheranno gli artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 C.c..
Seguendo questa via si è affermato che:
▪ La Violenza inficia la cessione anche quando sia esercitata contro una sola delle parti;
▪ L’Errore od il Dolo sono rilevanti soltanto quando sono noti o riconoscibili da entrambe le parti;
▪ Quanto alla Risoluzione, si è escluso che essa possa operare (Roppo invece dice di sì), in base al
rilievo che dalla cessione del contratto non sorgono, se non in via eventuale, obbligazioni per le
parti.

(!) Fra cedente e ceduto, il venir meno degli effetti del contratto di cessione riporta la posizione
contrattuale in capo al cedente, ripristinando i suoi obblighi e le sue pretese contrattuali verso il
ceduto (Roppo).

PROFILI PROCESSUALI
Ricorre Litisconsorzio Necessario (art. 102 C.p.c.) in caso di controversie relative al contratto di
cessione?
▪ Sì → Quando il giudizio ha per oggetto l’accertamento dell’avvenuta conclusione, della validità
e degli effetti della cessione del contratto,
▪ No → Quando il giudizio ha per oggetto esclusivamente le vicende del contratto ceduto.

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IL SUBCONTRATTO
Nel subcontratto, il rapporto tra gli originari contraenti continua, e si costituisce solamente in
capo ad un terzo una situazione derivata da quella di un contraente: così, si può parlare di un
“Acquisto derivativo-costitutivo del Terzo”.
La distinzione rimane ferma anche se si ammette la cessione parziale del contratto, perché se dal
punto di vista oggettivo le due figure si avvicinano, rimane pur sempre l’elemento distintivo
dell’esistenza o meno di un rapporto diretto tra le parti del contratto originario e del nuovo
contratto.
Il Subcontratto non si identifica nemmeno col Contratto a favore di Terzo: questo crea per
definizione un rapporto diretto fra promittente e terzo, mentre un tale rapporto non necessariamente
si crea fra il terzo subcontraente e la parte (non subcontraente) del contratto base (Roppo).
(!) Il subcontratto non è un istituto di parte generale, non ha una sua specifica disciplina: infatti,
proprio sul piano della disciplina, tutto si riduce alla presenza di un’ipotesi di Collegamento
Contrattuale.
L’estinzione del contratto base, per l'appunto, mette in crisi anche il subcontratto.

Il tema appartiene dunque alla parte speciale sui singoli contratti, dove si trovano:
▪ Divieti di Subcontratto → Per enfiteusi, subpegno, affitto di fondi rustici, lavoro a cottimo,
intermediazione di mano d'opera;
▪ Subcontratto ammesso solo dietro Consenso del contraente originario → Per sublocazione di
cose mobili, sublocazione totale di immobili urbani ad uso abitativo, sublocazione di immobili
urbani ad uso non abitativo disgiunta dalla cessione/locazione di azienda, subaffitto, subappalto,
submandato, subdeposito, subcomodato, submezzadria.
▪ Subcontratto ammesso senza limiti → Per riassicurazione, fideiussione del fideiussore,
subnoleggio.

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Alessandro Marchi
Riassunto del Manuale “Il Contratto”, di Rodolfo Sacco e Giorgio De Nova
Volume 10: “Obbligazioni e Contratti”, Tomo secondo; III Edizione
dal “Trattato di Diritto Privato” diretto da Pietro Rescigno; ed. UTET Giuridica, Torino, 2015

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