(1) Sacco avvia l'analisi partendo dal punto di vista della Struttura del contratto.
▪ L’art. 1321 C.c. identifica il contratto con un elemento unico, cioè l’“Accordo”, che è
qualificato dal suo contenuto, vertente sulla costituzione, il regolamento o l’estinzione di un
rapporto giuridico patrimoniale.
▪ L’art. 1325 C.c., però, ridefinisce il contratto elencandone i quattro Elementi Essenziali,
ovvero l’Accordo, la Causa, l’Oggetto e la Forma (eventuale).
L'art. 1321 C.c., cui spetterebbe una funzione “definitoria”, purtroppo non dà una concettualizzazione univoca del
contratto che possa trovare riscontro in altre disposizioni di Legge: infatti, non è possibile dare una definizione
unitaria di tale “accordo” contrattuale.
La generosa illusione del diritto naturale poté far credere che il contratto si riducesse alla concordanza fra due volontà
individuali e sovrane nella sfera giuridica sottoposta ad ognuna di esse; ma l’erosione del principio della volontà,
derivante dalla contrapposizione del “Dogma della Dichiarazione” a quello della volontà ha messo in crisi qualsiasi
equazione fra contratto e volontà.
Infatti, per fare un contratto non sempre è necessaria la volontà di due contraenti (v. ad es. il caso
della Riserva Mentale); a questo primo rilievo bisogna aggiungerne un altro più grave, ovvero che
non sempre il contratto si articola in due dichiarazioni: infatti, nel caso di cui all’art. 1333 C.c.,
esso si perfeziona con la recezione della proposta seguita dalla mera inattività della controparte, il
che conduce alla conclusione per cui il contratto così concluso non sottenda un accordo.
Il contratto si identifica quindi con una o più dichiarazioni, secondo i casi: ma anche per quanto
riguarda il concetto di “Dichiarazione” non esiste una definizione unitaria, poiché i suoi requisiti
strutturali variano a seconda dei casi.
L'accordo, infatti, può talora constare di una dichiarazione seguita da un inizio di esecuzione (art.
1327 C.c.); oppure può constare della mera esecuzione di due prestazioni (contratto di fatto).
Sacco conclude che l'art. 1321 C.c. appare quindi inaffidabile, poiché definisce il contratto con un
termine che ha un valore sfuggente.
Inoltre, afferma che l’art. 1325 C.c., in queste condizioni, non può integrare utilmente l’art.
1321 C.c.: lo dimostra l’analisi degli elementi completivi che debbono integrare l’accordo per
renderlo capace di effetti (si pensi ai contratti reali, in cui alle dichiarazioni deve aggiungersi un atto
di esecuzione, cioè la consegna).
Sacco richiama quindi gli elementi della Causa e della Forma, che possono anche non esserci in
alcuni contratti (si pensi rispettivamente, ai negozi astratti ed ai contratti informali): in queste
condizioni, afferma, “è impossibile offrire una definizione unitaria del contratto basata sulla
struttura, ossia sull'analisi dei suoi elementi”.
(2) Anche sotto il profilo del Contenuto dell'Accordo, gli artt. 1321 e 1325 C.c. danno una
definizione del contratto troppo restrittiva: poiché esso dovrebbe avere ad oggetto solo rapporti
giuridici patrimoniali, non si capisce ad es. se gli atti di disposizione del proprio corpo, ammissibili
nel rispetto dell'art. 5 C.c., siano o meno dei contratti (più avanti si dirà che non sono contratti).
Parimenti, che dire degli accordi coi quali Tizio dichiara e promette a Caio di tollerare alcunché, e
Caio accetta? L'atto permissivo non formale non vincola il promittente: mancano quindi gli effetti
caratteristici, irretrattabili, del contratto.
(3) Anche sotto il profilo degli Effetti del Contratto la definizione degli artt. 1321 e 1325 C.c.
resta imprecisa: infatti, sotto il termine “contratto” si ricomprendono sia il negozio che, essendo
munito dei requisiti prescritti dalla Legge, produce l'effetto caratteristico e conforme al
contenuto dell'accordo; sia il Negozio Nullo.
L'espressione “Contratto Nullo” è largamente usata nelle Leggi, che riconnettono all'atto effetti in
parte simili a quelli voluti dalle parti, o di altra natura.
Concludendo: quando il legislatore parla di “Contratto”, senza specificare altro, l'interprete deve
domandarsi, di volta in volta, se con tale espressione si sia voluto indicare solo la cerchia stretta
del contratto produttivo degli effetti caratteristici del negozio, o se invece l'espressione abbia il
senso lato comprensivo ad un tempo del contratto “perfetto” e di quello che genera effetti
eliminabili, o revocabili, o minorati, o diversi da quelli previsti dalle parti.
Quando vi è una bilateralità necessaria? Per Sacco, occorre tenere presenti due dati:
Sovranità della Volontà del soggetto sulla propria sfera giuridica → In base a tale principio,
la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata (né in meglio né in peggio) dalla dichiarazione
unilaterale altrui, sempre che beninteso che tale ingerenza non sia giustificata da un precedente rapporto
intercorrente fra le parti. Quindi, nessuno può essere arricchito od impoverito senza il suo consenso;
Prevenzione della Lesione Patrimoniale Ingiusta → In base a tale principio, si dovrebbe arrivare
alla conclusione che la sfera giuridica di un soggetto non può essere alterata in peggio dalla dichiarazione
unilaterale altrui. Quindi, nessuno può essere impoverito senza il suo consenso.
Nonostante si sia appena affermato che nessuno possa essere arricchito od impoverito senza
consenso, la dottrina ammette senza problemi molte norme parzialmente derogatorie.
Si pensi ad es., alla regola per cui il Legato, che consta di soli elementi attivi, si acquista senza bisogno di accettazione,
mentre l’Eredità, in quanto può constare anche di elementi passivi, non si acquista senza accettazione; oppure la regola
per cui la Remissione del Debito opera senza che il debitore accetti; oppure la regola per cui la Promessa al Pubblico
od il Contratto a Favore del Terzo sono efficaci senza necessità di accettazione da parte dei destinatari.
Essa, infatti, non ravvisa violazione alcuna della sovranità individuale nell’acquisto
involontario di diritti; ciò che la nostra dottrina non vuole ammettere non è dunque l’acquisto
involontario, ma è unicamente il contratto con un'unica dichiarazione: infatti, è in gioco non
tanto l’effettiva protezione di un interesse del soggetto a non vedere modificata la propria sfera
giuridica, quanto un concetto, cioè il Dogma della Bilateralità, e ciò spiega quanto possano essere
accanite le resistenze alla regola pratica dell’art. 1333 comma 2 C.c..
La norma citata, infatti, prevede l'accettazione tacita della proposta contrattuale tramite Silenzio:
ma la norma non specifica i caratteri di tale silenzio.
(!) Sacco, quindi, afferma che il silenzio può essere:
“Circostanziato” → Quando può essere valutato in relazione a tutte le circostanze di fatto
del caso concreto. In questo caso, il silenzio circostanziato può rappresentare una valida
accettazione della proposta, ed il dogma della bilateralità non ne esce scalfito;
“Semplice” → Se il silenzio produce sempre e comunque l'accettazione tacita, a prescindere
dalle specifiche circostanze di fatto, allora l'omesso rifiuto non sarà né un silenzio
circostanziato né una dichiarazione.
Bisognerà ammettere, in questo caso, che il contratto si perfezionerà non già col silenzio,
ma con la sola proposta, sempreché i suoi effetti non siano impediti dal rifiuto. In tal modo,
però, la formazione bilaterale del contratto ne esce definitivamente compromessa.
Anche affermando che il legislatore abbia assegnato al silenzio un valore d'accettazione, il discorso
non regge: il legislatore può riconnettere a certi fatti degli effetti, ma non può riconnettere ad un
fatto un altro fatto.
A seconda che si opti per l'una o per l'altra soluzione, si ottengono conseguenze pratiche differenti.
(!) Sacco ritiene quindi che l'art. 1989 C.c. sia ridondante, poiché produrrebbe gli stessi effetti
del combinato disposto degli artt. 1333 e 1336 C.c..
Sacco precisa che il requisito della “Promessa”, per cui essa dev’essere rivolta a favore di “chi si
trovi in una determinata situazione” o “compia una determinata azione”, non mira affatto a
regolare in modo restrittivo l’oggetto della promessa o la qualità dei suoi beneficiari, ma
costituisce semplicemente il modo per escludere ogni efficacia della promessa al pubblico
fondata su causa meramente capricciosa.
In sintesi, la limitazione apparentemente soggettiva di cui all’art. 1989 C.c. coincide nel caso
normale con una limitazione tendente ad escludere l’efficacia della promessa se manca un
interesse serio del promittente o un’altra causa diversa dalla liberale che giustifichi la promessa
medesima.
● Sacco, quindi, confuta il fatto che l'art. 1989 C.c. non preveda la possibilità di rifiuto della
proposta (e quindi, differirebbe in tal senso dall'art. 1333 C.c.): per lui la differenza è solo
apparente. Infatti, nulla vieta che la promessa al pubblico sia rifiutata da un quisque de populo.
● Quanto alla Revoca, anche qui Sacco non trova differenze: l'art. 1990 C.c. autorizza la revoca
della promessa al pubblico per “giusta causa”. L'autore ritiene che tale norma estenda alla
promessa al pubblico l'applicabilità delle norme sulla revoca, sul recesso, sul venir meno
dell'interesse, sull'eccessiva onerosità, ecc... previste nelle norme sui contratti in generale e sui
contratti tipici.
Sacco ritiene che l’art. 1333 C.c. dispensi dall’accettazione nei casi in cui non vi sia
presumibilmente motivo di credere che l’acquisto nuoccia all’oblato (ad es., si pensi al contratto
a favore di terzi: il terzo acquista solo per effetto della stipulazione ed anche in assenza del suo
consenso, salvo il suo rifiuto espresso).
Peraltro, se già sussiste il consenso dell’acquirente all’appropriazione o, più latamente, se sussiste
un interesse precostituito e tipico dell’oblato all’appropriazione, gli argomenti più convincenti sono
a favore dell’efficacia traslativa reale della procedura di cui all’art. 1333 C.c..
(!) Si suole però precisare che il comportamento omissivo produce gli effetti della dichiarazione
solo quando l’interessato aveva l’onere o il dovere di parlare e non ha parlato.
Con questa precisazione, Sacco ritiene che si superi la concludenza di fatto del silenzio: infatti, il
valore di quest’ultimo viene a dipendere non dalla sua espressività, ma dall’onere e dal dovere di
parlare, ossia da circostanze che, lungi dall’influire sul valore semantico del comportamento
omissivo, sanciscono un rovesciamento degli effetti giuridici del silenzio.
Si può quindi affermare che la Dottrina si muova fra due poli opposti.
LA GIURISPRUDENZA
Una massa imponente di Sentenze ribadisce il principio fondamentale secondo cui il Silenzio, da
solo, non vale come consenso data la sua equivocità, salve le singole eccezioni alla regola,
ravvisabili allorchè chi tace poteva e doveva parlare.
L'obbligo di parlare può essere desumibile: dalla Legge, dalla Consuetudine, dagli Usi, dal
Contratto stesso (es. tacito rinnovo del contratto di locazione), dal sistema invalso tra le parti, dalla
correttezza e Buona Fede tra le parti.
Si presentano però dei problemi con riferimento a due ipotesi:
Quando un contraente affermi un proprio diritto, o neghi il diritto altrui, e la
controparte non dica se intende aderire → In questo caso, ad es. qualora dopo la
contrattazione una parte riceva nuove clausole, il silenzio non può valere come adesione.
Occorrerà un comportamento positivo, sia pur materiale, di adesione;
Quando un contraente, a scienza della controparte, tenga un comportamento in
obiettivo contrasto coi doveri derivanti dal rapporto.
Una ratio analoga è intervenuta nel caso dell’art. 1327 C.c.: tale norma viene quindi a prevedere
una fattispecie complessa che consta di:
Dichiarazione negoziale del proponente → Con cui egli impegna se stesso e predispone
un regolamento a carico dell’oblato, ove questi si spinga ad operare nella sua sfera;
Ingresso dell’oblato nella sfera del proponente → Conformato in modo tale da rientrare
nelle ipotesi contemplate nella proposta.
A questa fattispecie, la Legge conferisce la qualifica di “Contratto”: con ciò, essa attribuisce
carattere di sinallagmaticità agli obblighi che il proponente ha assunto per sé ed imposto alla
controparte.
Il proponente non ha, ex art. 1327 C.c., l’autorità che occorre per far sorgere un obbligo giuridico
da un comportamento negativo della controparte (es. non posso imporre un patto di non
concorrenza): l'obbligo sorgerà solo con la conformazione dell'oblato al regolamento contenuto
nella proposta.
INIZIO dell'ESECUZIONE
Il contratto non si conclude con l’esecuzione, ma con l’inizio dell’esecuzione. Che succede in caso
di Accettazione Parziale? In via generale si può ricordare che, talora, la proposta è divisibile, per
cui l’inizio dell’esecuzione potrà allora avere la valenza di un’esecuzione parziale che condurrà alla
conclusione di un contratto uguale ad un singolo quoziente di quello corrispondente alla proposta.
Beninteso, la regola dovrà completarsi con la previsione di un carico, imposto all’oblato, perché
chiarisca tempestivamente le proprie scelte.
In via speciale si può ritenere che, se l’oblato evita al proponente di fare affidamento
sull’esecuzione integrale, e opera un’esecuzione parziale, il dovere di completare la prestazione
iniziata non sorge. Come la giurisprudenza ha già confermato, ne deriverà che l’accettazione
parziale (difforme dalla proposta) varrà come nuova proposta, con tutte le conseguenze del caso.
Nonostante l'art. 2126 C.c. si applichi anche a casi simili a quello visto nell'esempio, per Sacco,
invece, il consenso nullo talora è inoperante (esso cioè non è un elemento essenziale della
fattispecie); perciò, concludendo, non è vero che l’esecuzione della prestazione di lavoro
convalidi un contratto consensuale difettoso.
Gli effetti propri del contratto di lavoro scattano se una prestazione è stata eseguita; quindi, dell’esistenza del contratto
si può parlare soltanto a esecuzione avvenuta e non è possibile riconnetterla alla volontà delle parti, poiché questa, a
volte, può mancare.
L’individuazione qualitativa e quantitativa della prestazione posta a carico del datore di lavoro andrà cercata altrove, in
particolare, quest’elemento che integra l’esecuzione per dar vita alla fattispecie in esame si riduce alla scienza (o
all’aver dovuto sapere) e alla non-opposizione del datore di lavoro, cioè in sostanza all’acquiescenza da questi
prestata all’attuazione della prestazione da parte del lavoratore.
I FATTI CONCLUDENTI
Al di fuori dell'art. 1327 C.c. e del Contratto di Fatto, vi sono altre fattispecie costitutive del
contratto diverse da una dichiarazione.
Si pensi al Contratto concluso mediante una Manifestazione (≠ dichiarazione) di Volontà o
mediante Fatti Concludenti: questi fatti non-dichiarativi possono certamente bastare alla
conclusione del contratto, finchè la norma non imponga un’altra soluzione (es. prescrivendo per
la conclusione del contratto una forma particolare).
Il fatto concludente abbraccia qualsiasi condotta umana utile ad intendere che l’operatore vuole
costituire il vincolo contrattuale, così assoggettandosi ai relativi sacrifici (il fatto concludente per
eccellenza è l’attuazione stessa della prestazione o l’esercizio del diritto nascente dal contratto).
Quando questa attuazione o questo esercizio non integrano la fattispecie dell’art. 1327 e non danno vita ad un vero
contratto di fatto essi sono comunque fatti concludenti nei quali è insita la manifestazione della volontà contrattuale (es.
chi installa la propria vettura nell’area destinata al parcheggio a pagamento o chi sale sull’autobus di linea).
Accanto a questi fatti di attuazione, si trova poi tutta la serie dei Fatti Concludenti non Attuativi.
Esempio 1 → Tizio e Caio hanno messo per iscritto la vendita di una bicicletta, ma in seguito Tizio propone a Caio, per mezzo di
Sempronio suo nunzio, la risoluzione: allora Caio, per accettare la risoluzione, gli rimette la propria copia del contratto fatta a pezzi;
si ritiene che tale “accanimento” contro il mezzo di prova – cioè il documento – sia un fatto concludente.
Esempio 2 → Può essere fatto concludente una manifestazione di sentimento: di fronte alla proposta di Tizio, Caio risponde con
grida di gioia e di ringraziamento.
(!) Sacco ricorda che non va confuso il fatto concludente con la comunicazione non linguistica: chi, interrogato, annuisce con un
cenno del capo, non tiene già un comportamento concludente, ma effettua una comunicazione semanticamente qualificata.
(1) Intanto, in via di massima, si chiede il consenso della sola parte che si impegna; quanto alla
parte che acquista, è sufficiente che essa non rifiuti.
La Legge, il contratto precedente e gli usi possono semplificare la fattispecie rendendo non
necessario il consenso di una parte, cui viene concesso soltanto di impedire con il rifiuto la
conclusione del contratto (art. 1333 C.c.).
(2) La proposta di una parte può far soggiacere la controparte alla conclusione di contratti mediante
l’inizio di attuazione (art. 1327 C.c.), purché:
Si tratti di schemi di prestazioni sociologicamente ben individuate;
Il collegamento tra prestazioni trovi una specifica tipizzazione nella prassi;
L’attuazione dell’oblato abbia carattere positivo sfociante nella sfera dell’offerente.
(3) Contratto di Fatto → In taluni casi, l’inizio dell’attuazione unilaterale produrrà effetto anche
se non preceduta da una proposta, a condizione però che non sia accompagnata da una prohibitio
(cfr. mediazione, lavoro).
Inoltre, un’attuazione bilaterale può portare alla conclusione del contratto con maggior larghezza
(società, collatio agrorum rusticorum), ma comunque soltanto in casi tipici.
L'attuazione può avere maggiore efficacia tra persone legate da rapporti precedenti.
Nell’ambito della dichiarazione, si suole distinguere la classe delle Dichiarazioni Recettizie, che
pervengono nella sfera del destinatario attraverso la notificazione da parte del dichiarante; ovvero,
per essere efficaci, debbono essere conosciute (o conoscibili) dal destinatario.
La Dichiarazione Contrattuale, tipica dichiarazione recettizia, sembrerebbe avere in comune con
la dichiarazione non-contrattuale (quindi non-recettizia) l’elemento dell’espressione (o emissione):
quest’ultimo elemento, comune ad ogni dichiarazione, consentirebbe dunque di costruire il concetto
generale d'ogni dichiarazione.
Dovunque una dichiarazione sia recettizia, sussiste la possibilità di una divergenza fra contenuto
della dichiarazione emessa, quella notificata e quella percepita.
Ora, l’art. 1433 C.c. apre un varco alla possibilità di dichiarazioni il cui effetto giuridico non è
simmetrico rispetto al contenuto medesima quando emessa: infatti, secondo tale articolo, l’efficacia
della dichiarazione è compatibile con il fatto che essa sia stata inesattamente trasmessa dalla
persona o dall’ufficio che ne era stato incaricato, salva la possibilità per il dichiarante di ottenere
l’annullamento del contratto quando la divergenza sia essenziale e riconoscibile.
♦ Si potrebbe a questo punto andare oltre, e domandare se il Terzo debba essere veramente
incaricato della trasmissione e quali siano comunque i Requisiti dell’incarico.
Infatti, in tali casi, secondo la lettera della norma, non potrebbe operare l’art. 1433 C.c., che
presuppone esplicitamente il conferimento di un incarico al terzo.
Così, la lacuna potrebbe colmarsi ammettendo che l’incarico conferito al terzo costituisca soltanto
una delle fonti di imputazione della dichiarazione, e che, accanto ad esso, anche qualsiasi altro
fatto colposo dell’uomo, il quale si trovi in un rapporto di causa ed effetto con la recezione di
una dichiarazione, sia sufficiente per creare la dichiarazione efficace (es. dichiarazione
sottoscritta e imprudentemente abbandonata sulla propria scrivania).
♦ Simmetricamente, ci si può domandare se, nel caso previsto testualmente dall’art. 1433 C.c., colui
che ha conferito l’incarico possa esonerarsi dalle conseguenze della dichiarazione, adducendo
che la formazione della medesima non fu dovuta a sua colpa.
Per Sacco, in questo caso, si deve tutelare il destinatario: il dichiarante, cioè colui che ha conferito
l'incarico al nunzio, non può qui esimersi dalle conseguenze della dichiarazione.
♦ Dichiarazione incompleta per “Incertezza sul Proponente” → È possibile che esista una
proposta sottoscritta dal compratore, con nome del venditore in bianco e consegnata
all'intermediario, il quale rilascia l'ordinazione a quell'impresa che, tra quelle operanti nello stesso
settore oggetto della proposta, sia disposta ad assegnargli una provvigione più elevata.
In casi di questo genere, la giurisprudenza ha emanato sentenze contraddittorie.
Taluni giudici hanno riconosciuto l'efficacia della dichiarazione completata dal terzo, senza che
questi divenga parte, a condizione che, all'atto della conclusione del contratto, l'intermediario
palesi la sua posizione di semplice terzo.
♦ Dichiarazione incompleta per “Incertezza sul Contenuto” → È il caso in cui le parti sono
certe, ma è rimessa l'intermediario la specificazione del contenuto al momento della stipulazione.
L'efficacia della dichiarazione in esame è stata sostenuta in dottrina e giurisprudenza con la
seguente argomentazione: se spesso si riconosce valido il contratto fondato su una dichiarazione
alterata dal terzo contra voluntatem domini, a maggior ragione si deve riconoscere valido il
contratto fondato su una dichiarazione il cui contenuto è stato completato dal terzo
“secundum voluntatem domini”.
E' da precisare che la figura dell'intermediario è diversa da quella del procuratore, che imputa a se
stesso la dichiarazione; nonché da quella del nunzio, che è un semplice messaggero.
LA DICHIARAZIONE APPARENTE
Oggi, la materia dell’apparenza e dell’affidamento risulta regolata in Italia non tanto da norme
codicistiche, quanto da norme giurisprudenziali.
La Legge prevede una serie di numerosissime ipotesi tipiche, di ambito relativamente ristretto, in
cui l’affidamento è tutelato: così, in tema di acquisto dal non titolare, di pagamento al non
creditore, di poteri di rappresentanza, ecc... .
In questi casi, la Giurisprudenza non procede ad applicazioni analogiche.
Qualora fuori dalle ipotesi ora accennate si verifichi un ulteriore bisogno di sicurezza dinamica del
diritto, la Giurisprudenza ricorre direttamente al “Principio Generale di Apparenza” che
costituisce ormai un cardine del nostro diritto applicato, e che trova spazio soprattutto nel settore del
Diritto Commerciale, dove è molto sentita la necessità di proteggere il terzo in buona fede.
In base a tale principio, elaborato già sotto la vigenza dei precedenti Codici, un soggetto che crei
per fatto proprio (ovvero per propria colpa) un’apparenza giuridica a sé sfavorevole, non può poi
opporre il vero stato di fatto e di diritto difforme dall’apparenza al Terzo che abbia confidato
senza sua colpa nell’apparenza ingannevole.
Questo principio è rimasto in vita perché, nonostante il nuovo Codice del 1942 avesse ampliato la
protezione dei terzi introducendo nuovi apparati di pubblicità (es. Registro delle Imprese),
sussistevano diverse lacune.
Così, la Giurisprudenza ha tenuto in vita questa regola, che di fatto si trova applicata in materia di
società apparente, di poteri rappresentativi apparenti, di titolarità apparente di una gestione
aziendale e, in modo selettivo, in materia di provvedimenti di pubblica autorità apparentemente
validi.
La dichiarazione apparente può sempre essere misconosciuta dal destinatario: infatti, l’apparenza dà
vita a situazioni la cui esistenza è relativa, nel senso che solo una parte può invocarle (le cose
vanno diversamente nei casi tipici in cui l’affidamento è protetto dalla casistica legale e non dalla
regola generale giurisprudenziale).
La dichiarazione apparente non esclude la dichiarazione vera: così, se A dichiara x, attribuendo
la dichiarazione a B, il destinatario potrà comunque rivolgersi ad A.
(!) Non si può parlare di dichiarazione apparente se il vizio della dichiarazione è riconoscibile
dal destinatario, poiché in tal caso viene a mancare l’incolpevolezza del soggetto che invoca
l’affidamento; mentre applicando il principio di cui all’art. 1433 C.c. la dichiarazione esiste sempre,
salva la sua annullabilità.
LA SPEDIZIONE
La fase preparatoria della recezione è la Spedizione (ossia l’emissione della proposta): essa è
necessaria al perfezionamento della dichiarazione contrattuale: infatti, una dichiarazione solitaria
o rivolta ad un estraneo non vale, quand’anche la controparte ne avesse casualmente conoscenza.
Con l’attività di indirizzamento, il dichiarante imprime ai suoni, ai segni o allo scritto una certa direzione in modo che
la dichiarazione medesima esca dal controllo del dichiarante e soggiace al controllo di altri (anche l’affidamento della
dichiarazione al terzo o al dipendente incaricati di trasmettere è vero indirizzamento: se do una lettera al mio usciere,
l'indirizzamento si compie quando gliela consegno, non quando la imbuca).
Accanto all’ipotesi della spedizione involontaria e di quella oggettivamente idonea (tecnicamente
inidonea, ma efficace) troviamo poi l’ipotesi della spedizione effettuata “Invito Domino (= contro
la volontà del proprietario)”: se il destinatario sa che la spedizione è avvenuta senza che il
dichiarante lo volesse, nulla quaestio; se però non lo sapesse, qui si ripresenta il normale conflitto
fra il dichiarante e destinatario, ovvero fra sicurezza del diritto e affidamento.
Colui che riceve – v. supra – sarà protetto quando il suo affidamento sia incolpevole, ed il
dichiarante sia in colpa.
Infine, Sacco precisa che taluni contratti contraddistinti dal particolare oggetto e dalla forma
solenne esigono una spedizione condotta attraverso uno speciale procedimento (es. donazione).
♦ Sacco allarga quindi il campo d'indagine. La frase rivolta al sordo, od il segnale ottico rivolto al
cieco producono effetto solo perché l'impossibilità di conoscere risiede nella sfera del destinatario?
Il Dogma della Conoscibilità farebbe pensare di sì: addirittura, si potrebbe arrivare al caso estremo
in cui Tizio penetri nell'ufficio di Caio e parli al muro in sua assenza. La dichiarazione sarebbe
considerata conoscibile (in quanto l'assenza della controparte sarebbe un fenomeno confinato nella
sfera soggettiva altrui) e, quindi, efficace.
(!) A tale proposito, la nostra Dottrina ha alle spalle una tradizione, secondo la quale tutte le
norme sulla conclusione del contratto sono operanti solo quando si tratti di dichiarazioni tra
persone lontane o (come si tende a precisare) quando si tratti di dichiarazioni incorporate (ad es.,
in un documento).
Quindi, stabilita in ipotesi l’inapplicabilità dell’art. 1335 C.c. alla materia delle Dichiarazioni
non-Incorporate, bisognerebbe allora ricercare la regola che domina queste ultime dichiarazioni
(es. frase al sordo e segnale al cieco): infatti, è evidente che la norma citata non può assorbire
l'intera area delle dichiarazioni recettizie.
▪ Regola n. 2 →Il destinatario deve subire gli effetti della dichiarazione colpevolmente ignorata,
e ciò perché non si vogliono far ricadere sul dichiarante gli effetti della colpa del destinatario.
Quindi, il destinatario non può, per far valere l’inefficacia del contratto, allegare la propria
omissione colposa, perchè non si può assegnargli il modo di profittare di una propria
scorrettezza.
▪ Regola n. 3 → Poiché l’affidamento che crea la conoscenza presunta del destinatario è l’unico
fatto che giustifichi l’impegno del dichiarante, questa regola impone che il dichiarante possa
far valere la mancata conoscenza della dichiarazione da parte del destinatario, anche quando
questa mancata conoscenza fosse colpevole, se in questo modo si può concludere che la
dichiarazione non creò affidamento.
Sacco richiama infine la Convenzione di Vienna, in base alla quale il momento rilevante è quello
in cui la dichiarazione raggiunge (reaches) il suo destinatario personalmente.
▪ Trattandosi del Dipendente, sarà possibile l’applicazione per analogia della responsabilità dei
padroni e dei committenti (“culpa in eligendo”, art. 2049 C.c.), ma solo quando rientri nelle sue
mansioni reali o apparenti il ritiro della corrispondenza.
▪ Invece, quando si tratti di Familiari, opereranno le procure ed i mandati taciti che si innestano
sui rapporti di famiglia, con i relativi limiti.
▪ Se sorge discussione sulla persona che in concreto ha ricevuto il messaggio, chi invoca
l’efficacia della dichiarazione deve provare l’avvenuto recapito, ma non è obbligato a provare che
la persona che ha ritirato il messaggio sia quella autorizzata secondo il Regolamento di
esecuzione del Codice Postale.
Quanto al problema del momento rilevante per la conoscenza? Sarà quello della consegna al familiare, o quello della
riconsegna al destinatario? La Sent. Cassaz. 8399/1996 ha stabilito che in caso di raccomandata non consegnata per
assenza del destinatario, si considera come tempo dell'arrivo il momento del rilascio dell'avviso di giacenza, e non il
momento della successiva consegna.
IL RIFIUTO
Ulteriore causa di caducazione della proposta è il rifiuto della medesima da parte dell’oblato.
Sacco, in tema di rifiuto, ritiene che il Codice abbia regolato tale settore con una norma elastica,
quale è l'art. 1337 C.c. (dovere di Buona Fede).
▪ L'Autore si chiede quindi se il rifiuto sia insito nella controproposta, nonché nell’accettazione
difforme dalla proposta: secondo Sacco, bisognerebbe considerare che, in caso di una
controproposta (od accettazione difforme), non è detto che l’oblato non voglia aderire alla
proposta originaria.
Perciò, di per sé, la controproposta non dovrebbe annullare l’efficacia della proposta: ne
deriverebbe che, se fosse ancora in tempo, di fronte ad una controproposta lasciata cadere, l'oblato
potrebbe accettare l'offerta originaria.
LA PROPOSTA IRREVOCABILE
Il Codice Civile riconosce espressamente la figura della proposta irrevocabile tale per volontà
privata (proposta irrevocabile, opzione e contratto con obbligazioni del solo proponente) o in casi
speciali in virtù di una Legge (es. proposta scritta diretta all’assicuratore).
Per Sacco sono inderogabilmente sottratte alla revoca le Proposte Dovute (ad es., è inefficace la
revoca della proposta emessa da colui che, mediante preliminare, si era impegnato a concludere);
sono invece inderogabilmente revocabili le proposte che tendono alla conclusione di un contratto
da cui il proponente potrà recedere “ad nutum” in qualsiasi momento.
Analogamente, se taluno propone irrevocabilmente un contratto, da cui peraltro potrà recedere sotto certe condizioni
(es. pagamento di una penale), la revoca sarà acconsentita alle medesime condizioni.
Nel regolare le varie ipotesi in cui la revoca è inefficace, il Legislatore fa una distinzione fra il caso
di “Proposta Irrevocabile” in cui il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta (art.
1329 C.c.) e il caso di “Opzione”, in cui le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla
propria dichiarazione (art. 1331 C.c.): infatti, in un caso il proponente si obbliga, mentre nell’altro
le parti convengono.
Però sorge un problema:
Ex art. 1329 C.c., il proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta “per un certo
tempo”. Se manca tale indicazione temporale, non si sa se possa essere il Giudice a fissare
tale termine (il Bianca ritiene che, in questo caso, si applichi la regola dell'art. 1326 C.c.,
cioè il termine è quello dettato dalla natura dell'affare o dagli usi);
Ex art. 1331 C.c., invece, le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla
propria dichiarazione. Se il termine non è stabilito, la norma prevede qui, a differenza
dell'art. 1329 C.c., la possibilità che sia stabilito dal Giudice.
In dottrina, alcuni hanno sostenuto di poter applicare analogicamente il termine giudiziale dell'art.
1331 C.c. all'art. 1329 C.c.; altri invece, fra cui Sacco, ritengono che si tratti di casi distinti.
(!) Riguardo alla Forma, invece, sebbene la Legge prescriva che l'accettazione data in forma
differente da quella richiesta non abbia effetto, Sacco ritiene che se il contenuto della
dichiarazione ne lasci intendere in modo univoco il valore impegnativo, è giusto che il
proponente possa utilizzare l’accettazione: così, al proponente deve accollarsi solo l’onere di
dirimere prontamente l’obiettiva incertezza della situazione, mediante un avviso analogo a quello
previsto per l’accettazione tardiva.
(2) Indistinte → Lo stesso discorso vale quando un accordo venga concluso dopo che le clausole
siano state limate gradualmente durante una lunga trattativa (es. lunga telefonata), al termine
della quale non si possano più distinguere un proponente ed un accettante;
(3) Incrociate → Una questione nota alla dottrina di tutti i Paesi e presentatasi nella pratica
concerne le dichiarazioni incrociate (ad es., redazione simultanea di scrittura privata; permuta), qui
il contratto si conclude quando entrambe le dichiarazioni siano giunte a destinazione.
Inoltre, Sacco ammette sia la Proposta Irrevocabile sia il Patto d'Opzione nel contratto
plurilaterale, laddove una o più parti garantiscano l'irrevocabilità della propria decisione per
concedere alle controparti congruo termine di riflessione.
Troverà naturalmente applicazione anche l'art. 1330 C.c. (proposta dell'Imprenditore).
IL CONTRATTO APERTO
L’art. 1332 C.c. tratta del contratto cui possono aderire altre parti. Almeno di norma, qui si tratterà
di contratti che prevedono prestazioni e diritti omogenei per i vari aderenti: l’aderente cioè
assumerà su di sé un carico standardizzato di obbligazioni e, reciprocamente, avrà diritto che gli
altri contraenti effettuino la prestazione prevista (es. contratto associativo).
L’art. 1332 C.c. non dice che l’adesione debba essere una proposta né dice che debba essere
un’accettazione: così a Sacco pare che possa rientrare nella previsione dell’articolo tanto una
proposta, quanto un’accettazione (secondo Torrente, l'atto di adesione equivale ad una proposta
contrattuale se il regolamento negoziale attribuisce all'organo od ai contraenti originari il potere di
rifiutarla: altrimenti, trattasi di accettazione di un'Offerta al Pubblico).
L’art. 1332 C.c., infine, contiene una regola dispositiva la quale prevede che l’adesione sia diretta
all’organo costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti
originari (è fatta salva ogni determinazione che fissi modalità diverse).
Un esempio tipico di adesione a contratto aperto si ha quando, conclusa una Cessione di Beni ad
alcuni Creditori, i Creditori Estranei all'accordo si inseriscano con una successiva adesione (cfr.
artt. 1981 e 1985 C.c.). Non è però chiarito dalla Legge se tale adesione costituisca un'accettazione
od una proposta: in dottrina, tutte le opinioni sono rappresentate.
(4) Astrattamente pericolose → Per l’esigenza di tutela non è necessario che l’aderente sia, sul
piano economico, in una posizione di inferiorità rispetto al predisponente, è necessario però che
la conclusione del contratto non a seguito di trattative, ma per adesione, costituisca un pericolo per
l’aderente (ratio ispiratrice dell'art. 1341 C.c.).
Questo non sussiste, secondo la giurisprudenza, quando, ad una valutazione astratta, non possa
configurarsi una contrapposizione di interessi (es. adesione ad una cooperativa); quando l'accordo
sia stato tradotto in atto pubblico notarile; ecc....
♦ Come si è accennato, l’art. 1341 comma 2 C.c. fornisce un elenco di clausole che, per avere
effetto devono essere specificatamente approvate per iscritto dall’aderente: inoltre, l’elenco è
considerato dalla Giurisprudenza come “tassativo”, sì che non ne è consentita l’applicazione
analogica, ma soltanto l’interpretazione estensiva.
Segue la descrizione dei casi in cui la Giurisprudenza ha ritenuto che si fosse in presenza di una
condizione generale di contratto prevista dall’elenco, e quella dei casi nei quali casi lo ha escluso:
(1) Limitazioni di Responsabilità → Perché si abbia una clausola del genere è necessario che
questa riduca l’ambito oggettivo della responsabilità del predisponente quale è determinato dalla
Legge o dal contratto (es. in materia di assicurazione per i danni), invece non è tale la clausola che
individua l’oggetto del contratto.
(2) Facoltà di recedere dal Contratto → L’art. 1341 comma 2 C.c. non è applicabile quando la
clausola che prevede la facoltà di recesso è apposta ad un contratto la cui disciplina legale già
prevede tale facoltà (es. contratto d’opera intellettuale).
(3) Facoltà di sospendere l’Esecuzione → Allo stesso modo, non occorre la specifica
sottoscrizione per le clausole che prevedono una facoltà di sospensione già sancita dalla disciplina
del tipo contrattuale.
(4) Decadenze → A queste ipotesi, nel complesso di scarso rilievo, sono state ricondotte soprattutto
le clausole che, nel contratto di compravendita, riducono il termine per proporre azione in caso di
vizi della cosa venduta.
(5) Limitazioni alla facoltà di opporre Eccezioni → Si pensi alla clausola che impedisca
all'aderente di eccepire l'estinzione della propria obbligazione per impossibilità sopravvenuta;
oppure alla clausola che vietava di promuovere azioni intese ad ottenere l’adempimento della
controparte prima di eseguire la propria prestazione (clausola “solve et repete”); ecc... .
(6) Limitazioni alla Libertà Contrattuale → Ad es., si pensi alla clausola con la quale il titolare di
un esercizio commerciale si impegna a vendere soltanto i prodotti del predisponente.
(7) Tacita Proroga o Rinnovazione del Contratto → La necessità della specifica sottoscrizione è
stata riconosciuta dopo un’incertezza iniziale anche per le clausole di tacita proroga e di
rinnovazione del contratto, nonostante il loro carattere bilaterale.
(8) Clausola Compromissoria → Permette la devoluzione ad Arbitri delle eventuali controversie
che derivino dal contratto nel quale è contenuta (es. controversia sull’interpretazione di una
clausola).
Non occorre la specifica sottoscrizione per la clausola compromissoria in Arbitrato Irrituale; né per la devoluzione
ad un Terzo di una Perizia Contrattuale; né, infine occorre la specifica sottoscrizione per la clausola compromissoria
nei Contratti Internazionali (Convenzione di Ginevra, 1961).
(9) Deroghe alla Competenza → Si pensi alle clausole che designano un Foro non contemplato
dalla Legge, ma anche quelle che indicano espressamente come “esclusivo” un foro coincidente
con quelli previsti dal Codice di Procedura Civile, ciò perché, in tal modo, si deroga al principio
generale secondo cui, in presenza di più fori alternativi previsti dalla Legge, la scelta spetta
all’attore.
Esempio: se nel contratto è inserita una clausola di pagamento a mezzo tratta, se tale modalità di pagamento è stata
prevista come “esclusiva” allora si ha una modificazione del locus solutionis, e quindi la clausola che prevede la
competenza territoriale del Giudice del domicilio del Creditore dev'essere specificamente approvata per iscritto.
(!) Per converso, sono state qualificate come “vessatorie” clausole che, pur non essendo
riconducibili almeno “de plano” all’elenco, tuttavia derogavano alla disciplina legale del Tipo a
cui il contratto standard andava ricondotto.
Inoltre, anche altri parametri vengono utilizzati ad integrazione del criterio legale dell’appartenenza
all’elenco (es. bilateralità della clausola).
► Ricapitolando: non occorre la specifica sottoscrizione di clausole vessatorie riproduttive di usi
normativi; occorre invece se sono riproduttive di Usi Contrattuali.
LA CONOSCIBILITA'
Perché le condizioni generali di contratto siano efficaci, è innanzitutto necessario che l’aderente le
abbia conosciute o quanto meno che, usando l’ordinaria diligenza, potesse (o, per alcuni, dovesse)
conoscerle (art. 1341 comma 1 C.c.).
Va precisato che la conoscenza deve riguardare non soltanto l’esistenza delle condizioni generali
bensì anche il loro contenuto: la Clausola “Ambigua” è considerata efficace, ma dovrà essere
interpretata a favore dell’aderente (= contra stipulatorem, ex art. 1370 C.c.).
L’art. 1342 C.c., in tema di contratti conclusi sulla base di Moduli e Formulari, richiama
espressamente solo il comma 2 dell’art. 1341 C.c., ma non il 1° (quello sulla
conoscenza/conoscibilità): di qui, il dubbio se il requisito della conoscibilità operi anche per questo
tipo di contratti. Tuttavia, il dato letterale merita di essere rispettato, perché di fronte a un modulo
o ad un formulario, l’ignoranza dell’aderente non può essere considerata scusabile.
In settori particolari, l’esigenza della conoscibilità delle condizioni generali di contratto viene
perseguita imponendo che una Copia del testo contrattuale venga consegnata all’aderente (es.
contratti di servizi bancari e finanziari).
LA SPECIFICA APPROVAZIONE per ISCRITTO
È ormai da tempo consolidata la massima giurisprudenziale secondo cui l’onere formale è assolto
quando l’aderente sottoscrive un’autonoma dichiarazione di accettazione delle clausole
vessatorie individuate mediante il riferimento al loro numero o contenuto (la Giurisprudenza
prevalente ritiene sufficiente il richiamo al solo numero); non sarebbe invece sufficiente un’unica
sottoscrizione globale del contratto, né una distinta ma indiscriminata sottoscrizione della totalità
delle clausole contrattuali.
Tale autonoma sottoscrizione non ammette equipollenti: infatti se le clausole non sono state sottoscritte a nulla varrebbe provare che
l’aderente pur tuttavia le conosceva, reciprocamente se le clausole vessatorie sono state sottoscritte a nulla varrebbe provare che
l’aderente ciononostante non le conosceva.
♦ Ex art. 1341 comma 2 C.c., le clausole vessatorie in ogni caso “non hanno effetto” se non sono
specificamente approvate per iscritto. Tale dicitura è ambigua: saranno Nulle od Inefficaci?
Secondo De Nova, sarebbero logicamente corrette entrambe le opzioni (infatti, in dottrina e
giurisprudenza ci sono diversi orientamenti): egli, quindi, poiché la norma è prevista non solo a
tutela dell'aderente, ma anche al fine di suscitare in lui attenzione e riflessione, ritiene che la
mancata sottoscrizione comporti la Caducazione solo di quella clausola; caducazione che è
eccepibile tanto dall'aderente stesso, quanto dal predisponente, nonché rilevabile d'Ufficio dal
Giudice.
La restante parte del contratto standard resta efficace: De Nova ritiene che quel profilo del contratto che la clausola
nulla non è in grado di regolare trovi la sua disciplina nel Diritto Dispositivo.
I MODULI ed i FORMULARI
L’art. 1342 comma 1 C.c. stabilisce la prevalenza delle Clausole Aggiunte rispetto a quelle del
modulo o del formulario, anche se queste non sono state cancellate, quando vi sia incompatibilità
fra le prime e le seconde. Le clausole aggiunge possono essere anche apposte a mano su un testo
dattiloscritto. Non c'è incompatibilità se le clausole aggiunte abbiano una mera funzione
integratrice, esegetica, ecc... .
L'INTERPRETAZIONE
L’art. 1370 C.c. dispone un criterio d'Interpretazione Oggettiva del contratto, per cui le clausole
inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei
contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’aderente.
La norma non si applica ai contratti stipulati individualmente, nonché alle clausole che, sebbene
inserite in un contratto standard, siano state oggetto di trattativa.
De Nova ritiene, infine, che la norma possa applicarsi anche qualora il modulo/formulario sia stato
predisposto da Terzi.
Esempio pratico → Una clausola d'una polizza assicurativa prevedeva che, in caso di disdetta dell'aderente, questa fosse comunicata
entro un certo termine tramite raccomandata. Tale clausola s'interpreta nel senso che entro quel termine la raccomandata dev'essere
semplicemente spedita: non va intesa nel senso che essa debba pervenire all'assicuratore.
PROFILI PROCESSUALI
L'Onere di Provare che si è in presenza d'un Contratto Standard spetta, ex art. 2697 C.c., alla
parte che da ciò intenda trarre conseguenze a sé favorevoli.
L’accertamento sul carattere vessatorio di una clausola, sull’esistenza della specifica approvazione
per iscritto e sulla compatibilità della clausola aggiunta rispetto a quelle dei formulari comporta una
valutazione di fatto demandata al Giudice di Merito e, come tale, incensurabile in sede di
legittimità.
La rilevabilità della nullità di una clausola vessatoria può aversi in sede di legittimità soltanto in
quanto i presupposti di fatto siano già acquisiti agli atti del processo.
La nullità di una clausola priva di sottoscrizione dà luogo ad un'Eccezione di merito (= non di rito)
in senso Lato (in quanto rilevabile dal Giudice).
PROFILI INTERNAZIONALPRIVATISTICI
La norma che impone l'approvazione per iscritto delle clausole vessatorie non è considerata “di
ordine pubblico”: è quindi consentito al Giudice italiano, qualora debba pronunciarsi su una causa
con elementi di estraneità, applicare il diritto straniero, anche se la materia in questione è
regolata in modo diverso dal Diritto Italiano. Opposta è l'impostazione in Germania (v. Manuale
pag. 142-143).
♦ Ex art. 34 comma 4 Cod. Cons., non sono vessatorie le clausole o i loro elementi che siano stati
oggetto di trattativa individuale.
In particolare, nel contratto concluso mediante Moduli o Formulari, incombe sul Professionista
l’onere di provare che le clausole o i loro elementi, malgrado siano dal medesimo unilateralmente
predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore (comma 5).
De Nova precisa che la difficoltà non potrebbe essere superata introducendo nel contratto una clausola in cui il
consumatore dia atto che, su determinate clausole, vi sia stata trattativa: una siffatta clausola, oltre ad essere a
sua volta vessatoria, secondo l'autore non varrebbe come confessione stragiudiziale.
De Nova afferma inoltre che la difficoltà non potrebbe esser superata nemmeno procedendo ad una trattativa
collettiva sulle CGC: ciò potrebbe essere utile in via propedeutica, ma non escluderebbe la possibilità poi di
procedere ad una trattativa specifica ed individuale col singolo consumatore.
(!) L'autore ritiene quindi che una soluzione potrebbe rinvenirsi nella predisposizione di Testi
Contrattuali Alternativi, che prevedano o meno la clausola della cui vessatorietà si tratta.
Se il consumatore sottoscrive il testo che prevede una clausola a vantaggio dello stipulante, De
Nova ritiene che, in questo caso, si possa parlare di trattativa specifica ed individuale, con
esclusione della vessatorietà di quella clausola ex art. 34, comma 4, Cod. Cons..
♦ Clausole Insanabili (art. 36 Cod. Cons.) → Si tratta di clausole che neppure la Trattativa
potrebbe salvare dalla vessatorietà: sono cioè le clausole che comportano:
Limitazione di Responsabilità → Escludono o limitano la responsabilità del professionista
in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da
un’omissione del professionista;
Limitazione di Azioni → Escludono o limitano le azioni del consumatore nei confronti del
professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale, oppure di
adempimento inesatto da parte del professionista.
Inconoscibilità → Estendono l’adesione del consumatore a clausole che, di fatto, non ha
avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
♦ Presunzione di Vessatorietà (art. 33 comma 2 Cod. Cons.) → Esiste un elenco di clausole che
si presumono essere vessatorie salvo prova contraria.
Per De Nova, queste possono essere raggruppate in funzione del loro contenuto in due gruppi:
(1) Deroghe alla Forza di Legge tra le Parti del contratto.
Il principio secondo cui il contratto ha forza di legge comporta innanzitutto che le parti siano vincolate all’accordo tra di
esse raggiunto.
Costituisce perciò una deroga a tale principio prevedere che una parte possa risultare vincolata a clausole che non ha
potuto conoscere, oppure ad una lex contractus che venga determinata o modificata dalla controparte rispetto
all’accordo originario.
Il medesimo principio comporta, altresì, che una parte non possa sciogliersi unilateralmente dal vincolo solo per il fatto
che l’interesse originario che l’ha spinta a concluderlo non è più attuale.
(2) Limiti all’autotutela e alla garanzia del diritto di difesa del consumatore.
La Convenzione di Vienna all'art. 19 risolve il problema del conflitto tra formulari per quanto
attiene all’avvenuta conclusione del contratto sancendo che il contratto è concluso se le condizioni
generali dell’accettante non modificano in modo sostanziale quelle del proponente, salvo che
quest’ultimo sollevi obiezioni.
Per quanto riguarda il contenuto del contratto, la Convenzione non dà una risposta.
Tra la soluzione che dà prevalenza alle condizioni generali formulate per ultime e quella che
elimina le condizioni generali confliggenti (cosiddetta “Knock-out Rule”), quest’ultima, per De
Nova, è da preferire: infatti, se le parti concordano sugli aspetti essenziali del contratto, le
condizioni generali confliggenti si neutralizzano, e quei profili vengono disciplinati dal diritto
positivo. Questa soluzione è adottata anche da Unidroit.
In base a questa soluzione, il contratto è in linea di principio concluso, ed il suo contenuto è dato delle clausole su cui
vi sia stato l'accordo espresso e, in più, dalle clausole standard che sono comuni, per tali intendendo quelle che lo
sono da un punto di vista sostanziale.
La presenza di clausole confliggenti non esclude che il contratto sia concluso, ma esclude le clausole stesse dal
contenuto contrattuale.
(!) È però fatta salva la espressa volontà di una parte, tempestivamente dichiarata, di non voler essere vincolata
da un siffatto contratto.
Il problema giuridico della dichiarazione scenica, della trattativa, dello scherzo, della clausola di
stile, ecc..., sorge quando un soggetto abbia percepito un comportamento altrui che, se non fosse
contraddetto da circostanze concomitanti, avrebbe valore o portata di dichiarazione contrattuale.
In casi siffatti, sorge il problema pratico dell’effetto di queste contingenze (comportamenti o dichiarazioni), che
diventa importante quando un soggetto percepisce parole o segni astrattamente idonei ad esteriorizzare una volontà,
ma non percepisce le circostanze o dichiarazioni che impediscono in concreto tale idoneità.
Infatti, il problema dell’efficacia di siffatti segni o parole riguarda l’opponibilità e la prova delle
circostanze impeditive non portate a conoscenza del destinatario, o da lui non riconoscibili.
CAP. II - LE REGOLE
IL LEGISLATORE
Il Codice Civile, che dedica alla materia gli artt. 428 e 1427-1452 C.c., ignora tanto la figura
generale del difetto di volontà quanto la distinzione fra anomalia della dichiarazione, difetto totale
del volere e vizio semplice.
Tuttavia configura varie ipotesi tipiche di Vizio del Consenso: nell’ambito di ognuna di esse, si
possono trovare promiscuamente figure di assenza del volere, figure di semplice vizio, e in un caso,
l’anomalia della dichiarazione (errore nella trasmissione, art. 1433 C.c.).
Questi vizi tipici sono:
Artt. 428 e 1425-1426 C.c. → L’Incapacità di Intendere e di Volere;
Artt. 1428-1433 C.c. → L’Errore;
Artt. 1434-1438 C.c. → La Minaccia;
Artt. 1439-1440 C.c. → Il Dolo;
Art. 1447 C.c. → Lo stato di Pericolo;
Art. 1448 C.c. → Lo stato di Bisogno.
Col tempo sono stati pensati vizi del volere cui non si era provveduto in precedenza, come la
Propaganda Subliminale, la Sorpresa e l’Abuso di Posizioni, per i quali il legislatore ha
effettuato qualche intervento specifico in materia, anche in attuazione di Direttive Europee (varie
Leggi in materia di regolamentazione dell'attività pubblicitaria sui mezzi radiotelevisivi, di
contrasto alla pubblicità ingannevole, di obblighi informativi e garanzie del consumatore;
istituzione dell'A.G.C.M. – Autorità Antitrust –).
♦ Molti studiosi richiedono che, perché il contratto esista, sussistano per lo meno due dichiarazioni
qualificate dalla volontà di dichiarare. Ma Sacco li smentisce subito, richiamando l'art. 428 C.c.:
in caso di contratto concluso da persona incapace d'intendere e di volere, il contratto resta valido se
non risulta la mala fede della controparte: in questo caso, quindi, si ha un contratto valido in
presenza di una sola dichiarazione qualificata (cioè quella della controparte).
♦ Inoltre, non è scritto in nessun luogo che il dichiarante debba volere, oltre il suo proprio
comportamento dichiarativo, il contenuto o gli effetti del testo contrattuale (es. chi accetta una
proposta senza averla letta compie un’operazione giuridica e si vincola): perciò, la Volontà degli
Effetti non è un elemento del contratto.
Peraltro, se la parte ha veramente voluto i singoli contenuti del contratto, allora la volontà può
diventare rilevante perché, entro certi limiti, la Legge protegge la libertà del volere e la sua
spontaneità contro le insidie del dolo e della violenza. Ma dicendo che la volontà, quando c’è, può
essere rilevante, non si dice affatto che la volontà sia un elemento indefettibile del contratto.
Perché possa deliberare nel modo desiderabile, occorre che il contraente sia:
1) Libero: non venga cioè coartato (in tal caso, è protetto con le norme sulla violenza e
sull’abuso dello stato di pericolo o di bisogno);
2) Ponderante: abbia attitudine, capacità e tempo per riflettere (è qui protetto con le norme
sull’incapacità, sulla propaganda subliminale e sulla negoziazione porta a porta);
3) Informato: conosca e sappia cosa sta facendo (è qui protetto con le regole generali
sull’errore; inoltre, il legislatore ha dettato regole protettive ulteriori per il caso di
disinformazione indotta da altri con dolo e, infine, ha redatto singole norme specifiche
sull’obbligo di informare).
(!) Al di fuori dei casi tipizzati, ovunque si possa dire che la volontà sia stata condizionata da un
elemento patologico, altrettanto si può dire che un rimedio debba esistere.
Sacco ravvisa questo principio nell’art. 1337 C.c., laddove, nella sua formulazione elastica,
consente di reprimere qualsiasi abuso o approfittamento, e di penalizzare la creazione della
distorsione e l'induzione a contrarre sotto lo stimolo della distorsione.
La repressione del contratto slealmente concluso può operare con maggiore o minore severità:
infatti, la vittima può invocare certamente l’art. 1337 C.c. per giustificare il diritto al risarcimento
del danno, ma può altresì invocare l’art. 2058 C.c., affinchè il risarcimento gli venga prestato in
forma specifica, ossia mediante la rimozione del contratto.
Di regola, quindi, il contratto affetto da un vizio innominato è annullabile: talora, però,
l'annullamento priva il contraente dell'accesso al bene che si era procurato col contratto stesso, e
di cui ha bisogno.
Per questo, il contraente può optare tanto per l'Annullamento, con restituzione delle prestazioni già
eseguite e diritto al risarcimento del danno (artt. 1337-1338 C.c., Responsabilità Precontrattuale),
tanto per la Riduzione a Giustizia del rapporto contrattuale, mediante decurtazione della
prestazione del contraente vittima, od imposizione d'una prestazione supplementare alla
controparte (cfr. artt. 1440 C.c. – dolo incidente – e 1450 C.c. – modificazione del contratto
rescindibile –).
Annullamento e risarcimento operano (alternativamente o cumulativamente) a favore dello stesso
soggetto per raggiungere un solo risultato: cancellare un'ingiustizia.
Ad ogni modo, la Giurisprudenza offre una qualche spiegazione della clausola di stile, definendola
come quella clausola inserita abitualmente nel contratto, che si limita a rappresentare la
consueta espressione di una prassi stilistica riferita a determinati atti e, perciò, non può essere
interpretata come un’espressione di una specifica e concreta volontà delle parti, a causa della
sua eccessiva genericità e indeterminatezza (es. clausola risolutiva estesa a tutte le obbligazioni
stabilite nel contratto).
ANALISI dell'INCAPACITA'
L’incapacità naturale (di intendere o di volere) può determinare tanto un’alterazione del processo
formativo della volontà, quanto una completa assenza della medesima (può altresì creare anomalie
della dichiarazione);.
Fino al 1958, la Cassazione identificava tale incapacità con l'Infermità di Mente: ma oggi tale
concezione è superata; infatti, anche la persona sana, in certi momenti, non è in condizione di
valutare ciò che fa: così, la regola dell’art. 428 C.c. dovrebbe essere utilizzata per difendere il
contraente dalla suggestione, dalla sorpresa e dall’inesperienza.
Ogni alterazione nella scala dei bisogni, veicolata da immaturità od inesperienza, può essere
assunta nella formula onnicomprensiva dell'art. 428 C.c..
♦ Qualche problema però può esser posto dalla Azioni Libere “in Causa”: se un soggetto,
colposamente o intenzionalmente, si produrrà lo stato di incapacità (es. ubriachezza) e poi emetterà
la dichiarazione senza averne preordinato l’emissione quando era padrone di sé (compos sui), in tal
caso la sua colpa non varrà a privarlo della tutela che gli compete, di fronte ad una controparte
in malafede.
Reciprocamente, non qualsiasi malattia porta con sé l’incapacità, finchè il malato non ne venga
turbato al punto da non poter valutare seriamente gli effetti dell’atto.
IL PREGIUDIZIO e la MALAFEDE
La dottrina si presenta suddivisa fra i sostenitori dell’applicazione del 1° comma (requisito del
“grave pregiudizio”) anche alla materia contrattuale ed i sostenitori della reciproca autonomia
dei due commi, per cui il grave pregiudizio si richiederebbe per i soli atti unilaterali, così che la
malafede esaurirebbe – da sola – le condizioni necessarie per l’impugnativa dei contratti.
(!) Sacco ritiene che entrambi i requisiti siano necessari per l’annullamento del contratto: a chi
potrebbe opporre che il grave pregiudizio sia già insito nella mala fede, con conseguente
impossibilità che costituisca un requisito autonomo, egli replica che il Giudice, in presenza del
pregiudizio, è libero di inferire o meno da tale circostanza la malafede della controparte;
pertanto, i due elementi devono cumularsi.
La soluzione ora esposta non ha apparentemente il plauso della giurisprudenza: la Cassazione
afferma, infatti, che il pregiudizio non è richiesto per l’annullamento dei contratti.
Quanto alla mala fede, essa merita di essere ricondotta ad un concetto meno ristretto di quanto non
sia la scienza dell’incapacità (tuttavia, non ogni scienza dello stato di incapacità è malafede: ad es.,
negoziante che vende a prezzo fisso), così lo stipulante è in malafede se ha la coscienza di sfruttare
la generica inesperienza della controparte, infine si può poi configurarne un terzo tipo più grave
che è l’induzione dello stato di incapacità (ipnosi, persuasione occulta e propaganda subliminale).
L'ERRORE ESSENZIALE
Per “Errore” si intende ogni falsa rappresentazione della realtà.
♦ L’art. 1428 C.c. riferisce che il contratto può essere impugnato per errore, quando quest’ultimo
sia “Essenziale” e “Riconoscibile”.
♦ L’art. 1429 C.c. elenca, invece, le quattro ipotesi in cui l’errore è essenziale, parametrandole
all’oggetto su cui l’errore cade, che è in ogni caso un elemento del contratto (cioè la sua natura, il
suo oggetto o soggetto, ed il suo effetto giuridico). Prevede inoltre quando l'errore sia determinante.
(!) Sacco ricorda, inoltre, che si tratta di ipotesi tipiche e tassative, fra l'altro non riassumibili in
un'unica categoria unitaria - tema su cui era sorto un dibattito in dottrina -.
Nel corso dei lavori preparatori della norma, invece, si ritenne che si trattava di ipotesi sì tipiche, ma esemplificative.
1) Natura od Oggetto del Contratto; Identità dell'Oggetto (errore non determinante) → La
lettera della Legge, in ragione di una probabile maggior gravità dell’errore, ha qui esonerato il Giudice
dall’indagare se effettivamente l’errore abbia inciso sulla nascita della dichiarazione, sì da ridurre l’essenzialità
dell’errore all’oggetto dello stesso;
Esempio di Errore sulla Natura del Contratto: credo sia mutuo, invece è compravendita;
Esempio di Errore sull'Oggetto del Contratto (aliud pro alio): credo di comprare pere, invece di mele.
2) Identità o Qualità dell’Oggetto della Prestazione (errore determinante) → Qui la lettera della
Legge ha invece considerato la funzione determinante del consenso valutata in astratto: ha cioè circoscritto l'ambito
dell'errore rilevante;
Esempio: credo di aver comprato lana animale, invece trattasi di lana sintetica.
4) Errore di Diritto (errore determinante) → Analogamente al punto sopra si agisce per l’errore di
diritto, quando sia l’unica o principale ragione del contratto, sempre che non rilevi già come errore sulla natura o
sull’oggetto del contratto. L'errore di diritto deve riguardare la vigenza o l'interpretazione di una norma giuridica.
(!) Sacco ritiene che, per quanto riguarda il punto 1), l'errore riconoscibile sull'identità d'una cosa
comporterebbe l'annullabilità del contratto anche quando incorra nell'errore il compratore di cosa
fungibile prodotta in serie: per evitare questo eccesso, egli ritiene che si dovrebbe correggere il
rigore della norma sull'error in corpore con un'analogia tratta dalla regola sull'error in persona.
In caso di errore sulla persona, il contratto non è annullabile se manca l'intuitus personae:
analogicamente, Sacco ritiene che, qualora manchi l'intuitus corporis, il contratto non possa essere
annullato.
L'ERRORE di CALCOLO
L’art. 1430 C.c. esclude che l’Errore di Calcolo sia rilevante, tranne quando conduca ad un
Errore sulla Quantità.
L’errore di calcolo soggetto a Rettifica (art. 1432 C.c.) sarebbe dunque un errore materiale (dovuto
a svista o disattenzione) che interviene in un’operazione aritmetica, presupponendo come chiari,
sicuri e fermi i termini da computare e sarebbe manifesto nonché rilevabile “prima facie” (ossia
mediante ripetizione corretta del calcolo).
Il cosiddetto “errore di calcolo rettificabile” non sarebbe nemmeno un vero errore, solo fuori dal suo
quadro si potrebbe avere un errore sulla quantità rilevante.
L'errore di quantità dipenderà sempre da un errore di calcolo: quindi, dice Sacco, le
caratteristiche degli errori di conteggio saranno sempre le stesse.
In presenza di un errore di conteggio o di calcolo, si avrà sempre una divergenza fra le poste
dell’operazione aritmetica da eseguire ed il risultato del procedimento stesso (ossia fra il dato da
misurare e il risultato della misurazione), ma questa divergenza potrà operare su tre accordi:
(1) Sulle poste: le parti hanno voluto le poste e si sono accordate su di esse. Poi, ad accordo
concluso, hanno eseguito i conteggi e una di esse, o entrambe, hanno commesso un errore: l’errore
avviene a contratto concluso ed è irrilevante (falsa demonstratio o errata descrizione).
(2) Sulle poste e sul risultato: le parti hanno voluto le poste e poi hanno eseguito i conteggi
commettendo un errore; hanno altresì voluto il risultato del conteggio.
Perciò l’errore determina una volontà contraddittoria, perché le parti vogliono contemporaneamente
due cose incompatibili: qui l’art. 1430 C.c. impone la prevalenza delle poste sul risultato, ma la
parte che voleva anche l’effetto giuridico espresso nel risultato dell’operazione aritmetica, potrà ben
dirsi in errore.
(3) Sul risultato: le parti hanno voluto solo il risultato, ma una di esse o entrambe hanno ottenuto
il risultato stesso mediante un’operazione scorretta. La parte che ha commesso l’errore di calcolo
può ben affermare che il suo consenso sia viziato.
Il carattere agricolo od edificatorio può intendersi in senso giuridico (il piano regolatore consente o
meno l'edificazione) od in senso fattuale (in tal senso, il carattere edificatorio indica solo la
convenienza di costruire): in quest'ultimo caso, l'errore in senso fattuale sul carattere edificatorio od
agricolo sarebbe un mero Errore sul Valore del bene che, perciò, dovrebbe considerarsi irrilevante.
Sarà invece rilevante l'errore che cada sulla posizione del terreno di fronte ai poteri della P.A.,
perché cadrebbe su una qualità sostanziale della cosa.
L'errore sulla destinazione appare evidente se il contraente si sia ingannato su un piano regolatore in
vigore. La giurisprudenza, inoltre, è propensa a difendere il contraente anche dai vincoli in
formazione (piani regolatori in via di approvazione).
(!) Sacco concorda, perché a seconda del fatto che ci sia un certo piano regolatore favorevole o
sfavorevole, o a seconda dell'approvazione di un futuro piano regolatore favorevole o meno, il
terreno acquista qualità diverse.
L'ERRORE COMUNE
Se Caio eredita il “Tramontana” (un villino) e, senza averlo mai visto, lo vende a Tizio credendo
che si tratti di uno yacht, qualora anche Tizio a sua volta creda di comprare uno yacht, si ha allora
un’ipotesi di “Rappresentazione (falsa) Conosciuta (1)”, accompagnata dall'“Ignoranza della
falsità della rappresentazione (2)”.
(1) → Si riferisce allo stato psicologico di Caio al momento della stipulazione. Egli vende
il Tramontana convinto che sia un panfilo, ed è consapevole che la sua convinzione si fonda
su una rappresentazione soggettiva, e non sulla realtà. In altre parole, egli immagina che il
Tramontana sia uno yacht, e se ne convince, anche se in realtà non ne ha conferma;
(2) → Si riferisce allo stato psicologico di Tizio al momento della stipulazione. Egli non sa
che Caio ha immaginato in modo sbagliato.
Fino a qualche anno fa veniva molto ripetuto che la presupposizione fosse dotata di un “carattere
soggettivistico” inaccettabile, e che essa avesse acquistato un “carattere oggettivo” quando è stata
poi concepita come la “situazione di fatto presupposta dal negozio”, ossia come “il complesso
delle circostanze la cui esistenza e conservazione è necessaria alla realizzazione dello scopo o
della funzione del contratto”.
Naturalmente, per sapere cosa le parti abbiano saputo e previsto, il punto di partenza sarà la
presunzione che promittente e stipulante abbiano saputo ciò che tutti sanno, ma la presunzione
cederà il passo di fronte alla prova di specifiche clausole o specifici stati soggettivi divergenti.
♦ Con un inquadramento particolare, il tema della rilevanza della presupposizione è stato presentato
come un problema di “Accollo dei Rischi Contrattuali”.
Le clausole stesse del contratto informano l'interprete sulla distribuzione dei rischi.
La locazione del balcone s'intende conclusa in vista della sfilata: altrimenti, nessuno affitterebbe
quel balcone a quel prezzo.
N.B. → Viceversa, un contratto di trasporto con le Ferrovie dello Stato non dà luogo a problemi di
presupposizione, qualora il viaggio a Venezia diventi sgradevole per il brutto tempo.
LA REGOLA
Il nostro Legislatore ha adottato la via del riconoscimento della rilevanza dell’imprevisione (=
errata previsione), oggettivizzata al massimo, con l’art. 1467 C.c. (Risoluzione per Eccessiva
Onerosità) e con altre regole ispirate alla stessa ragione.
Fuori di quest’area, la Legge tace, ma tuttavia non mancano possibilità per dichiarare l’inefficacia
di un contratto per falsa presupposizione: innanzitutto si può invocare l’analogia con le ipotesi
considerate nell’art. 1467 C.c. o in altri similari.
Inoltre, la buona fede imposta nelle trattative può obbligare a illuminare la controparte in errore sui
motivi; l’interpretazione di buona fede può dare risalto al motivo condizionante implicito, ma noto
alla controparte; le conseguenze equitative del contratto possono involgere una regola di
adattamento delle obbligazioni al mutare delle circostanze (anche soggettive) delle parti.
L'inesistenza della situazione di fatto, od il suo venir meno, saranno incompatibili con l'efficacia
del contratto.
GENERALITA'
Secondo gli artt. 1439 e 1440 C.c., il Dolo - inteso come il vizio del consenso consistente nella
caduta in errore determinata da altri tramite artifici o raggiri - è causa di annullamento del
contratto quando i raggiri siano determinanti, e inoltre provengano dalla (o siano noti alla)
controparte (dolo determinante).
Invece, il Dolo Incidentale comporta solo una responsabilità per danni del contraente in malafede.
RAGGIRO e INTENZIONE
Il raggiro dev'essere intenzionale o basta che sia colposo?
Sull’intenzionalità del raggiro la Dottrina assume un atteggiamento che può apparire perplesso,
laddove dice che il Dolo deve essere intenzionale (e in ciò si conforma alla tradizione), ma
aggiunge poi che il Dolo Incidentale costituisce un Illecito Civile da cui derivano le
conseguenze generali dell’art. 2043 C.c.: così, l’invocazione di questo articolo dovrebbe poi dare
luogo ad un’equiparazione del raggiro colposo al raggiro intenzionale.
(!) Nonostante quindi la comune Giurisprudenza e Dottrina richiedano l'intenzionalità del dolo
contrattuale, Sacco, invece, si appella al richiamo operato dalla stessa dottrina (con riferimento al
dolo incidentale) all'art. 2043 C.c.: se l'art. 2043 C.c. reprime ogni fatto illecito sulla falsariga
della vecchia Azione Aquiliana, equiparando sostanzialmente il dolo e la colpa, allora nel dolo
contrattuale (che è un fatto illecito) dovranno ammettersi tanto l'Intenzionalità, quanto la
Colposità, della condotta.
Se così non fosse, infatti, non potrebbe ad es. esservi responsabilità in caso di illecito colposo di
mancata informazione, dal quale tragga vantaggio l'autore dell'omissione.
RAGGIRO e PUBBLICITA'
Se in una dichiarazione pubblicitaria è mendace, si parla di “Pubblicità Menzognera”.
Spesso consiste in confronti operati coi prodotti concorrenti e, pertanto, sarà senz'altro più pericolosa per gli
imprenditori concorrenti che non per il consumatore (nei confronti del quale è comunque lesiva della buona fede).
La pubblicità mendace è illecita nei confronti dei Consumatori: causando un danno ingiusto, si
avrà diritto al Risarcimento ex art. 2043 C.c.. Qualora il danno consista nella conclusione del
contratto, si potrà avere una tutela ex art. 2058 C.c. (ripristino della situazione precedente →
rimozione del negozio concluso).
Questa impostazione riduce la pubblicità lesiva ad una condotta, ed inoltre non si menzionano né
l’idoneità ad ingannare, né l’intenzionalità dell’inganno, né l’errore della vittima.
Tutto ciò fa pensare che la vittima sia dispensata dalla prova sul punto.
Questo errore può viziare la volontà di conseguire gli effetti dell’atto, come può, invece,
determinare il contraente a dichiarare di volere effetti che egli, in realtà, non vuole (c.d. “Dolo
ostativo”).
Esempio → Tizio fa sottoscrivere un abbonamento a Caio facendogli credere che pagherà solo € 5 al mese, quando
invece sul contratto c'è scritto che si devono pagare € 50.
Oppure, gli fa sottoscrivere quel contratto dicendogli che c'è sì scritto € 50, ma che in realtà dovrà pagare soltanto € 5.
N.B.: L’errore esaurisce gli elementi del vizio presenti nella sfera del soggetto ingannato: non
occorre, cioè, anche la lesione.
IL DOLO INCIDENTALE
L’art. 1440 C.c. dispone che se i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso, il
contratto è valido.
Tuttavia, senza di essi questo sarebbe stato concluso a condizioni diverse: perciò, il contraente in
mala fede risponde dei danni (Cassaz. 9523/1999 ha chiarito che, in caso di dolo incidentale, si
può solo chiedere il risarcimento, non già l'annullamento del contratto).
Sacco rileva come, ultimamente, si sia affermato che l'art. 1440 C.c. altro non sia se non una
applicazione specifica dell'art. 1337 C.c., a sua volta applicazione specifica dell'art. 2043 C.c..
Infine, Sacco rileva che si è presa anche coscienza del fatto che l’art. 2058 C.c. suggerisce di
riparare il danno costruendo la situazione che si sarebbe creata se non fosse intervenuto il fatto
illecito nocivo: per cui, il vizio incidentale dà luogo a richiesta della vittima alla Rettifica del
Contratto.
(!) Questa netta distinzione fra violenza psichica e fisica, e relative conseguenze, è stata criticata
dopo il 1942: infatti, Sacco precisa che ci sono dei casi in cui anche la semplice Minaccia può
portare, oltre che al vizio della volontà, anche alla totale mancanza della stessa.
Ad es., il delitto di Rapina (art. 628 C.p.) non necessariamente si compie con violenza fisica: è sufficiente quella
psichica. Ma nessuno dirà che il rapinato dovrà agire, per riavere il maltolto, con l'azione di annullamento. Il negozio
sarà infatti nullo per illiceità, in quanto nascente da un reato.
(!) Una parte della dottrina ha però rilevato un'incoerenza: l'art. 1434 C.c. in esame non tutela
l'affidamento del terzo; l'art. 1445 C.c., invece, sì, perché fa salvi i diritti acquistati dal terzo di
buona fede a titolo oneroso.
Di fronte a chi dunque auspica un'irrilevanza della violenza del terzo non riconoscibile dalla
controparte (tutelando così l'affidamento di quest'ultima), Sacco rileva che tale simmetria di
sistema potrebbe essere estranea alle nostre Leggi e che, perciò, potrebbe non prevalere sulla
lettera di esse.
LA MINACCIA
La minaccia dev’essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata (l'attitudine
ad impressionare dipende dalla messa in scena, dalle possibilità di sottrarsi al male, ecc...), ed il
male che ne forma oggetto dev’essere “notevole”, oltre che ingiusto (= le conseguenze minacciate
non devono essere di piccolo conto).
Ex art. 1435 C.c., l'impressionabilità si valuta non in astratto, ma in concreto, tenendo conto
dell’età, del sesso e della condizione delle persone minacciate; inoltre, ex artt. 1435- 1436 comma
1 C.c., l’ingiustizia minacciata deve incidere in una sfera alquanto vicina al soggetto intimorito
(minaccia d'una lesione alla sua persona, al coniuge, ai suoi ascendenti o discendenti e/o ai
relativi beni); oppure il minacciato, pur non essendo soggetto passivo dell'ingiustizia, dev'essere
soggetto del danno cagionato dall'ingiustizia (es. minaccio il creditore d'una prestazione
infungibile di uccidere il suo debitore, se non mi paga quanto mi spetta).
L’art. 1436 comma 2 C.c. dispone che se il male minacciato riguarda altre persone,
l’annullamento del contratto è rimesso alla prudente valutazione del Giudice.
♦ Timore Reverenziale (art. 1437 C.c.) → L’art. 1437 C.c. sottrae all’annullamento il contratto
concluso per timore reverenziale (o ab intrinseco, cioè “spontaneo”): la giurisprudenza applica
pianamente la norma, ricordando che il timore, per portare all'annullamento, dev’essere l’effetto di
un’azione altrui, e non già la conseguenza di un proprio stato d’animo.
(!) Sacco solleva il problema del trattamento di un contratto che taluno concluda a condizioni
gravose per timore spontaneo, reverenziale e immotivato della controparte, la quale sfrutta
la situazione in mala fede; lo stesso discorso può valere a proposito del timore di fatti
inconsistenti o immaginari: il timor panico può sconfinare in vera forma di Incapacità.
Per questo, secondo Sacco, in tutti questi casi deve applicarsi l'art. 428 C.c..
Il contratto sarà quindi annullabile se avrà provocato un grave pregiudizio alla parte incapace, e se risulti la mala
fede della controparte.
A chi dissente, Sacco ribatte che comunque potrà sempre invocarsi l'art. 1337 C.c..
Sarà annullabile, dice l'art. 1438 C.c., solo qualora il male “non ingiusto” costituisca il mezzo
per ottenere un lucro ingiusto (ad es., si pensi alla minaccia di far uso di un potere discrezionale di
natura amministrativa per ottenere un indebito vantaggio patrimoniale).
L'art. 1438 C.c. risulterebbe, in definitiva, un rimedio eccezionale che deroga alla regola dell'art. 2043 C.c.: in base a
quest'ultima norma, infatti, non sarebbe possibile colpire la minaccia di un male laddove il male minacciato, a sua volta,
non sarebbe punito in quanto “non ingiusto”. L'art. 1438 C.c. risolve questo problema.
♦ La Minaccia di Suicidio → Può esser considerata una minaccia in senso tecnico? Sacco non dà
una risposta: si limita a dire che il suicidio, pur non potendo qualificarsi come fatto antigiuridico
(cioè come “fatto colpito da sanzione”), potrebbe tuttavia esser munito di un fondamentale
carattere d'ingiustizia rilevante ai fini della fattispecie in esame.
Infine, afferma l'autore, potrebbe discutersi se non residui un'ingiustizia del suicidio allorché
costituisca il mezzo per commettere altri illeciti (es. sottrarsi all'adempimento d'un obbligo di
assistenza o mantenimento).
Se però Tizio, in buona fede (perché è convinto di aver ragione), minaccia Caio di ricorrere alle vie
legali, e l'azione civile – o la denunzia – da lui proposta sia obiettivamente infondata, che accade?
Si deve guardare qui all'obiettiva ingiustizia della condotta di Tizio che propone un'azione infondata, o bisogna invece
affermare che non c'è ingiustizia perché manca l'elemento psicologico della mala fede di Tizio?
▪ Di solito, dottrina e giurisprudenza ritengono che la minaccia di adire le vie legali sia tipicamente
una pressione non ingiusta, a prescindere quindi dall'elemento psicologico.
▪ (!) Sacco, invece, crede che la pressione sia “giusta” solo quando l'azione sia fondata.
E dunque, quando l'azione – come nell'esempio – non sia fondata, ma sia comunque stata proposta
in buona fede, che accade?
L'autore rileva tre punti:
● Innanzitutto, afferma che non esiste una figura obiettiva di “ingiustizia” o di “antigiuridicità”
svincolata dall'elemento psicologico.
Ma qui, in questo contesto, il momento soggettivo della minaccia è irrilevante: si deve
guardare alla concreta ingiustizia del male minacciato;
● Infatti, se manca l'ingiustizia “concreta” del male minacciato, viene a mancare l'illiceità
stessa della condotta: se non c'è ingiustizia “in concreto” – e quindi, se la minaccia di adire le vie
legale è fondata – la minaccia è lecita e non è ingiusta;
● L'accertamento dell'ingiustizia del male minacciato, quindi, null'altro sarebbe se non
l'accertamento della fondatezza delle pretese affermate dalle parti.
NESSO CAUSALE fra VIOLENZA e CONSENSO
► Il Consenso può dirsi “viziato dalla Violenza” solo se quest’ultima sia intervenuta come
condizione necessaria della formazione della volontà di dichiarare o del comportamento
dichiarativo.
Questa funzione determinante della volontà sul consenso va quindi intesa in senso ampio come un
vero e proprio “Nesso Causale” (violenza, determinante o meno → consenso viziato), o va intesa in
senso più ristretto, escludendo dall'annullabilità i casi di “violenza che ha indotto a contrarre a
condizioni meno vantaggiose” da quelle che, altrimenti, sarebbero state liberamente accettate
(violenza non determinante o incidentale)?
♦ La legislazione in tema di Dolo civilistico distingue il Dolo Determinante dal Dolo Incidentale,
rispettivamente artt. 1439-40 C.c.: da tali disposizioni, una parte della dottrina ha tratto lo spunto
per un’applicazione analogica, in base alla quale anche la minaccia che induca a contrarre a
condizioni diverse da quelle che, liberamente, avrebbe voluto la vittima, comporta l’annullabilità
del contratto.
♦ Contro questa analogia viene fatta valere la lettera della legge o la singolarità dell’art. 1440 C.c..
♦ (!) Sacco, invece, non opera né un'analogia, né esclude l'annullabilità del contratto concluso a
condizioni meno vantaggiose a causa di violenza: semplicemente egli ritiene che il vizio della
volontà – sia esso determinante od incidentale – sia sempre legato da un Nesso Causale alla
conclusione di “quel” contratto.
La vittima della minaccia potrà sempre chiedere l'eliminazione della perdita subìta (annullamento), e qualora non
possa o non voglia chiedere l’annullamento del contratto, chiederà il Risarcimento dei Danni.
La vittima chiederà, cioè, un “provvedimento di ortopedia del contratto”, o di “rettifica”.
(!) Sacco rigetta alcune concezioni dottrinali che hanno provato a ridurre l'istituto verso soluzioni
monistiche, che cioè riducono il vizio del contratto o alla sola sproporzione, o al solo vizio del
volere. Bisogna invece considerare sistematicamente tutti gli elementi concomitanti del caso.
IL PERICOLO
La “Necessità” dell'art. 1447 C.c. è simmetrica rispetto alla “Coazione” di cui si parla in tema di
violenza psichica (minaccia); necessità e coazione si traducono nello stato psicologico di timore
della vittima. Il contratto è rescindibile, ma il Giudice potrà assegnare un Equo Compenso.
♦ Il male temuto dev’essere un Danno alla Persona (per Sacco, saranno rilevanti in tal senso non
solo le Lesioni Fisiche, ma anche le Lesioni ad un qualsiasi Bene protetto da un Diritto della
Personalità): invece, il danno al patrimonio potrà, secondo i casi, rilevare alla sola stregua
dell’art. 1448 C.c., ma non costituisce “stato di pericolo” ai sensi dell’art. 1447 C.c.
♦ Il danno alla persona può essere subìto tanto dal contraente danneggiato dal contratto,
quanto da un Terzo.
♦ Non occorre che il danno sia “ingiusto”: infatti, il pericolo rileva anche se originato da un
fatto della vittima.
LA MALA FEDE dello STIPULANTE e le CONDIZIONI INIQUE
Il contratto non è viziato se allo stipulante non era noto lo stato di necessità: la parola “noto”,
contrapposta a “riconoscibile”, dimostra che qui la Legge richiede la scienza concreta (mala fede in
senso stretto) dello stato di necessità, cui non si può equiparare la colpa grave.
Tuttavia, il Giudice, per convincersi della mala fede, potrà utilizzare la stessa Iniquità delle
Condizioni, che la norma richiede affinché sia protetta la specifica libertà di evitare contratti
dannosi.
IL BISOGNO
L’ipotesi di stato di bisogno (art. 1448 C.c.) più frequente è l’Indigenza del soggetto contraente:
innanzitutto, rileva anche l'indigenza economica momentanea o contingente; in secondo luogo, è
rilevante non solo il bisogno di denaro, ma anche il bisogno di un qualsiasi altro bene o servizio
economico (es. cibo o medicinali).
♦ Il bisogno non suppone che il bene sia assolutamente “indispensabile” al contraente: infatti, il
caso dell’indispensabilità sconfina nella “necessità” dell’art. 1447 C.c., mentre l’art. 1448 C.c.
assolve ad una funzione integrativa laddove l’art. 1447 C.c. sia inapplicabile.
♦ In via di principio, lo stato di bisogno è rilevante anche quando sia stato provocato dal
contraente (se colposo e non-intenzionale).
Tuttavia, nel caso in cui il soggetto provocasse il proprio stato di bisogno con la precostituita intenzione di ricorrere poi al contratto
lesionario ed all'ulteriore rescissione, sarebbe giusto negare che la sproporzione dipenda dallo stato di bisogno.
♦ Lo stato di bisogno nella sua generica denominazione si presta a comprendere bisogni economici
non solo immediatamente propri, ma anche dipendenti dalle necessità altrui.
Esempio → Il coniuge rappresentante tratta per il coniuge rappresentato (Cassazione, 2680/1980).
L'APPROFITTAMENTO e la LESIONE
Ex art. 1448 C.c., l’Azione di Rescissione è concessa solo se il contraente abbia approfittato dello
stato di bisogno della controparte per trarne vantaggio.
♦ Senso del termine “Approfittare” (comma 1) → Deve intendersi il conseguimento di un un
vantaggio effettivo, o è sufficiente una condotta interiore, psicologica?
Sacco concorda con la Giurisprudenza che, giustamente, esclude che manchi l’approfittamento
se manchi anche il comportamento attivo: infatti, quando tale condotta positiva sia assente, si
ritiene sufficiente un mero comportamento psichico, definito come “consapevolezza”.
Quest'ultima può articolarsi in un fatto di tipo gnoseologico (scienza dello stato di bisogno, della sproporzione, del proprio
vantaggio), o come un fatto di volontà (intenzione di ricavare vantaggio), o, infine, come un comportamento attivo esterno (mi
impegno per precludere alla vittima altri modi di soddisfacimento del suo bisogno).
♦ Altri casi particolari di non applicazione dell'art. 1448 C.c. si hanno con riferimento:
alla Divisione, che è rescindibile seguendo le regole degli artt. 763 e ss. C.c.;
agli Interessi Usurarii (ex art. 644 C.p. e L. 108/1996), che comportano una sanzione
penale a carico di chi li disponga.
(!) Sacco fa qui notare che gli interpreti si sono affrettati a dichiarare la Nullità del contratto
usurario per illiceità: ma così facendo, non si sono accorti che condannano il mutuatario
sfruttato a restituire anzitempo il capitale, ai sensi delle norme sulla ripetizione
dell'indebito. Dovrebbero quindi, a suo parare, trovare un espediente per evitare ciò.
♦ L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) è l’autorità antitrust italiana, il
cui compito è di indagare, controllare e reprime i comportamenti anticoncorrenziali.
Nei settori sensibili (bancario, finanziario, assicurativo ed editoriale/radiotelevisivo) l’attività dell’antitrust è coadiuvata da
altri enti; rispettivamente la Banca d’Italia, l’I.V.ASS. e l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.
In ambito comunitario vigilano anche la Commissione Europea ed i vari Antitrust Nazionali, che dispongono di ampi
poteri d’indagine e istruttori, attivabili anche d’ufficio; nonché di poteri cautelari.
(!) Il monopolista può spuntare controprestazioni più elevate di quelle che gli consentirebbe
un mercato concorrenziale. Qual è, quindi, il rimedio accordato al contraente?
D'altra parte, l'art. 41 Cost., promettendo all'iniziativa economica la libertà, sembra volerla emancipare dalla
soggezione ai monopoli privati e pubblici.
Nell'ambito del Diritto dei Contratti, dice Sacco, il negozio concluso a condizioni che solo l’abuso
ha reso possibili (al contraente sfruttatore) e necessarie (al contraente sfruttato) è un negozio la cui
formazione è condizionata da elementi patologici e fuorvianti: questa anomalia concreta un vero
e proprio Vizio del Volere.
Secondo l'autore, conviene quindi prendere le mosse dal rimedio Risarcitorio generale previsto
nell’art. 2043 C.c. ed integrarlo con la regola dell’art. 2058 C.c.: così, il contraente che ha
abusato dovrà rettificare il contratto, sulla falsariga di ciò che sarebbe avvenuto se il mercato avesse
funzionato.
(!) La semplice scienza della simulazione, o la previa accettazione, non sono sufficienti: quando
manchi l'adesione del terzo contraente all'intesa simulatoria, in contratto simulato sarà efficace.
E, pare, l'intesa simulatoria che mirava a produrre effetti reali (trasferimento o costituzione di diritti), produrrà Effetti
Obbligatori, “voluti” dalle parti in quel senso generico in cui si ritengono “voluti” gli effetti d'una promessa che ha
subìto una conversione.
♦ Controdichiarazione Informale → Può aversi ad es. quando la controdichiarazione sia resa per
fatti concludenti. La parte avvantaggiata dalla dichiarazione ostensibile può rilasciare alla
controparte, per maggior quiete di quest'ultima, una dichiarazione scritta: Sacco precisa che non si
tratta di una controdichiarazione vera e propria, bensì di una dichiarazione unilaterale di
scienza; è un Atto a carattere Confessorio, che può anche essere posteriore alla simulazione.
▪ Alla “simulazione della Confessione” possono applicarsi, a favore dei Terzi, gli artt. 1415 e
ss. C.c.?
→ Sacco rileva che con l'espressione “Confitente Simulato” si possono intendere due fenomeni
diversissimi (che attengono appunto alle confessioni, alle quietanze, alle ricognizioni e alle date),
che sono spesso confusi entrambi sotto il titolo di “Simulazione delle Dichiarazioni di Scienza”.
Primo Fenomeno → E' quello dell'esempio di cui sopra;
Secondo Fenomeno → E' quello in cui vi sono due soggetti che vorrebbero gli effetti
giuridici espressi nell’atto ricognitivo menzognero, così che non si ha un atto simulato,
bensì un “Atto Velleitario (= irrealizzabile)”, caratterizzato dalla sua falsità ideologica.
I casi in esame vengono inclusi da sempre nella sfera degli atti simulati e sono destinati a sottostare
agli artt. 1414 e ss. C.c.; dunque, questa analisi induce non tanto a ridiscutere l’applicazione della
regola giuridica, quanto a rivedere la definizione della struttura della simulazione.
(!) Infatti, per Sacco, il contrasto non è sempre fra due dichiarazioni (una ostensibile ed una
occulta), perché anzi spesso questo intercorre fra dichiarazione ostensibile (del tutto conforme a
velleità delle parti) e fatto reale (talora accompagnato da una dichiarazione occulta parallela).
Quindi, in definitiva, anche le Dichiarazioni di Scienza e le Confessioni possono essere simulate.
▪ Gli artt. 1414 e ss. C.c. sono applicabili agli Atti dei Pubblici Ufficiali?
→ Secondo numerose sentenze, la risposta sarebbe no.
Tuttavia Sacco discorda, ed afferma ad es. che l'accordo simulato concluso con un Curatore
Fallimentare sia invalido e la simulazione può essere fatta valere; inoltre, nell'ambito di Gestioni
Patrimoniali svolte da organi della P.A., si ammette del pari la possibilità di simulazioni.
LA SIMULAZIONE RELATIVA
L’art. 1414 comma 2 C.c. disciplina la c.d. Simulazione Relativa: il negozio simulato anche qui
non produce effetti, ma può invece produrli il negozio dissimulato (con la presenza dei requisiti di
sostanza e di forma richiesti).
Nei casi dubbi, la simulazione si considererà “Assoluta”.
Infatti, una volta provata la simulazione, si toglie credito alla dichiarazione ostensibile che, perciò, non deve produrre
effetto; dopo di che solo la prova certa di una volontà negoziale dissimulata aprirà il problema relativo agli effetti
corrispondenti.
N.B.: Sacco precisa che, tuttavia, ogni simulazione contiene in sé l'intento che alcuni effetti dell'atto simulato possano
operare (ad es., nell'interposizione fittizia ci sarà un potere di gestione in capo all'interposto).
La volontà dissimulata produce i suoi effetti solo se sussistono i Requisiti di Sostanza (es. liceità) e
di Forma corrispondenti.
La Giurisprudenza, nonostante la resistenza di una parte della dottrina, ha accolto una teoria più
indulgente, che consente gli effetti voluti purché la forma corrispondente sia adottata
alternativamente nella dichiarazione occulta o in quella palese, ma ora sembra saldamente
orientata per la tesi più rigida (= l’effetto voluto dalle parti dev’essere suffragato dai caratteri
formali anche della dichiarazione volta a rendere nota la verità).
Circa la Donazione Dissimulata con una Vendita fittizia, la Giurisprudenza oggi ritiene che i requisiti formali richiesti per la
donazione (atto pubblico e testimoni) non debbano necessariamente sussistere in capo all'atto ostensibile ed alla controdichiarazione:
quest'ultima potrà essere anche una semplice scrittura privata, nella quale si affermi che, in realtà, il prezzo non è dovuto e che l'atto
effettivamente voluto sia una donazione.
In altre parole la legge abbina la protezione del Terzo alla simulazione di un trasferimento, o, in
genere, all’apparenza di una titolarità presente nella sfera del simulato acquirente, assicurando
efficacia all’acquisto del terzo o all’atto di esecuzione del creditore.
E' una protezione che, quindi, riguarda soltanto i Terzi Acquirenti “a non Domino”, qualificati
dalla loro situazione sostanziale (gli altri terzi, invece, soffriranno sempre le limitazioni processuali
d’ordine generale come il divieto di prove orali dei patti - specie se contrari allo scritto - ed il
divieto di prove scritte prive di data certa).
♦ Il “Diritto” del Terzo → Tale espressione, per Sacco, ha un senso latissimo, comprensivo di
qualsiasi situazione positiva o negativa, purché in rapporto di derivazione con quella che fu
negoziata fittiziamente.
♦ La Buona Fede del Terzo → L’acquisto del terzo è subordinato alla sua buona fede: gli interpreti
ritengono che il terzo sia dispensato dal doverla provare; inoltre, il sospetto ed il dubbio non
equivalgono a malafede.
La buona fede è presunta ex art. 1147 C.c., ed è sufficiente che vi sia stata al momento
dell'acquisto (mala fides superveniens non nocet).
♦ Trascrizione → Nel settore della circolazione giuridica dominato dalla pubblicità, la priorità
della Trascrizione si aggiunge al requisito della buona fede: quindi, a seguito di trascrizione, i
terzi possono venire a conoscenza della pendenza della domanda.
Pertanto, qualora il Giudice accerti la simulazione, quest'ultima potrà essere opposta al terzo
subacquirente.
LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA
La legittimazione ad agire competerà innanzitutto a chi sia Parte nel negozio, ma anche ai Terzi ed
ai Creditori, che potranno agire quando vi abbiano un interesse (ex art. 1421 C.c.).
Oltre che alle parti, l’azione compete dunque a chi abbia un diritto incompatibile con l’efficacia
dell’atto simulato (es. colui che, dopo la finta alienazione, acquisti dal simulato alienante).
In secondo luogo, come dispone l’art. 1416 comma 2 C.c., l’applicazione compete anche al
Creditore del Simulato Alienante, il quale agisce per far tutelare il proprio credito, la cui esistenza
verrà rilevata in via incidentale nel momento in cui egli agirà per far accertare la simulazione.
(!) Non occorre qui che il credito sia anteriore alla simulazione, perché l'azione accerta uno stato
di diritto: il creditore deve avere uno specifico interesse, che sussiste se l'atto simulato sia tale da
rendere più difficile o più incerto il soddisfacimento del credito (non occorre l'insolvibilità del
debitore).
Di tale pregiudizio non occorre la prova, poiché il debitore può dimostrare di non essere insolvente.
IL CONTRADDITTORIO
Se ognuna delle parti del negozio può invocare l'accertamento della simulazione, anche contro
ognuna delle stesse, se ne è pianamente dedotto che, per evitare la formazione di giudicati
contraddittori, la sentenza dev’essere emessa nei confronti di tutti i partecipi dell’atto in questione
(Litisconsorzio Necessario, art. 102 C.p.c.).
(!) Sacco rileva però che questa enunciazione sia troppo lata, perché poi, incoerentemente, si
ammette che se la simulazione sia fatta valere in via d’eccezione, non sia necessaria la presenza
in giudizio di tutte le parti del negozio.
La Giurisprudenza si ispira a questa stessa idea della Non-estensione del Giudicato e perciò, per
effetto delle diverse conclusioni delle parti o per effetto del diverso regime probatorio, un negozio
può, in un solo giudizio, essere dichiarato simulato nei confronti del terzo e non esserlo nei
confronti della parte.
Esempio di contratto indiretto è la Società di Comodo, istituita per coprire una gestione che non
svolge attività alcuna, ma usufruisce dei benefici giuridici e fiscali.
Non si parla neanche qui di Simulazione, in quanto i soci vogliono veramente gli effetti legati in modo indissolubile a
quel contratto sociale. Infatti, essi vogliono la separazione del patrimonio sociale da quello loro personale, con
conseguente sottrazione all’azione dei creditori dei singoli soci.
Altri esempi sono le Alienazioni fatte a scopo di Garanzia e le Donazioni Indirette.
(!) Sacco ritiene che sia assurdo ipotizzare un effetto giuridico contrastante con la finalità tipica
del tipo contrattuale prescelto: ad es., se un contratto di società non ha fatto sorgere né una gestione
collettiva, né un'attività economica collettiva, allora ciò significa che la società può
indifferentemente generare un'attività economica collettiva, o non generarla.
Parimenti, se una vendita partorisce non già uno scambio, ma una garanzia, questo vuol dire che la vendita può
indifferentemente portare all'acquisto d'una proprietà come alla produzione d'una garanzia.
Per l'autore, in breve, il contrasto fra la finalità del contratto tipico e e quella delle parti condurrebbe
non già ad un fine indiretto, ma all'Atipicità di quel singolo contratto.
Sacco, infatti, ne deriva che anche un Contratto Atipico può essere indiretto (quasi si creasse, a
sua volta, un'atipicità rispetto alla “tipicità” del contratto atipico).
♦ “Ratio” dei Negozi Indiretti → Le parti ricorrono al contratto indiretto per salvarlo
dall'impugnativa che minaccia gli atti simulati: ma interviene qui il Diritto Tributario, che nei
negozi indiretti trova i materiali che gli occorrono per studiare i fenomeni di Elusione Fiscale
Illecita.
♦ Falsa Qualificazione → Vi sono poi dei casi in cui le parti vogliono alcuni effetti del contratto
che concludono, ma vogliono sottrarre il loro contratto ad alcune Norme Imperative: ad es.,
vogliono una locazione e, nel desiderio di sottrarla a norme imposte dalla Legge, la chiamano
“Precario Oneroso”.
Qui la volontà delle parti è indirizzata in modo conforme al nome che esse danno al rapporto ed al
contratto: ma tale nome non è quello appropriato.
Qui non si ha un Negozio Indiretto, perché la qualificazione falsa non incide sulla natura del
contratto, né del rapporto (non è quindi decisivo il nomen iuris dato dalle parti al rapporto).
A lungo ha dominato l’affermazione per cui il principio generale è quello della Libertà di Forma:
tuttavia, questa convinzione dev’essere illustrata mettendola in relazione con i molteplici effetti
riconnessi alle forme; infatti, talora l’adozione della forma è requisito per la prova (ad
probationem), altre volte lo è addirittura per la validità dell’atto stesso (ad substantiam).
Vi è quindi una certa Relatività della “libertà delle forme”: per Sacco, il principio della libertà di
forma vale dunque solo nel senso che, sul piano degli effetti sostanziali, un contratto, fino a
diversa disposizione, non è nullo, né altrimenti invalido, per il fatto che non sia stata adottata
una forma solenne o tipica.
♦ Forma “ad Substantiam” e “ad Probationem” → Quando noi diciamo che la forma è imposta
per la prova di un atto, in realtà, si sta parlando della “forma della prova”, e non dell’atto.
Quando ad es. si dice che la Transazione dev’essere provata per iscritto, questa si può provare
producendo la dichiarazione scritta dei contraenti, ma la medesima si può accertare mediante un
riconoscimento o una confessione scritte dei contraenti (es. quietanza).
Invece, quando si dice che la forma è imposta per la validità dell’atto, s'intende dire che la
dichiarazione negoziale stessa dev’essere formalizzata; inoltre, lo scritto necessario alla validità del
negozio è implicitamente necessario anche per la prova.
Talora è assoggettato alla forma tutto il negozio, talaltra solo una clausola; quando la forma è
richiesta per la validità dell’atto, l’informalità conduce alla Nullità; invece, quando è richiesta per la
prova il contratto è comunque valido ed efficace, ma nel processo sono inammissibili le prove per
testimoni o per presunzioni semplici (ma non la confessione e il giuramento).
♦ Nullità per Difetto di Forma → Se la forma sia richiesta per la validità dell'atto, l'informalità
conduce alla nullità, vizio che è deducibile in ogni grado del giudizio, e che è anche rilevabile
d'Ufficio dal Giudice.
LE FORME VOLONTARIE
L’art. 1352 C.c. dispone che se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata
forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la
validità di questo.
Secondo una interpretazione restrittiva di certa Dottrina e certa Giurisprudenza, i privati
potrebbero imporre solo forme note al legislatore, ma questa limitazione è, per Sacco, arbitraria,
perché le parti possono subordinare l’efficacia del patto all’adozione delle forme più strane (es.
apposizione dell’impronta digitale accanto alla sottoscrizione; uso della lingua basca; ecc...).
Né sono da seguire le dottrine che, ad es.:
Sostengono che il proponente non potrebbe subordinare l'effetto giuridico della proposta stessa alla reiterazione in forma solenne;
Il Legislatore non potrebbe ricollegare la sanzione della nullità in caso di mancato rispetto della forma volontaria;
Ecc...; cfr. pag. 293 Manuale.
L’art. 1352 C.c., invero, si limita a sancire una presunzione (che la forma sia voluta per la validità)
e ricollega quest’ultima ad una sola ipotesi (quella del patto scritto).
Sacco evidenzia due quesiti:
Se la clausola con cui si prevede la forma scritta non venga redatta a sua volta per
iscritto, qual è la sua sorte? Alcuni ritengono sia nulla, ma Sacco non è d'accordo;
La presunzione di cui all'art. 1352 C.c. è iuris tantum o iuris et de iure? Per Sacco non è
“iuris et de iure”, ma non è una semplice presunzione interpretativa, altrimenti, sarebbe
ammessa la prova testimoniale per correggere l'interpretazione. Il documento crea la
presunzione, e la prova destinata a superare la presunzione deve considerarsi contraria al
documento ai sensi dell'art. 2722 C.c.: altrimenti, la prova testimoniale, cacciata dalla porta,
rientrerebbe dalla finestra.
Stipulato il contratto di merito senza la forma richiesta volontariamente per la validità, il contratto
amorfo è nullo; dunque il Giudice può pronunciarsi d’ufficio.
Infatti, nel momento in cui le parti stipulano il contratto senza la forma pattuita, si potrebbe pensare
che stiano abrogando implicitamente la loro precedente decisione: pare quindi giusto ritenere che,
se effettivamente non vogliano più quella forma pattuita, le parti debbano redigere il patto
abrogativo per iscritto, cioè con la stessa forma del precedente “patto sulla forma”.
♦ Uniformità di Proposta ed Accettazione (art. 1326 comma 4 C.c.) → Il legislatore prevede
l’inefficacia totale dell’accettazione data in forma diversa da quella voluta dal proponente.
La Giurisprudenza ha però trasformato questa inefficacia in una specie di Nullità Relativa, poiché
la Cassazione ha ritenuto che la norma sia posta nell’esclusivo interesse del proponente e, quindi,
ne deriverebbe che sia decisiva, per l’applicazione del comma citato, la volontà del proponente, il
quale potrebbe anche rinunciare alla forma.
(!) Per Sacco, invece, se manca la forma richiesta scatta subito la regola in esame, con inefficacia
“ipso iure” dell'accettazione amorfa. Tutt’al più, questa accettazione indica pur sempre la
presenza di una volontà negoziale dell’accettante e, perciò, potrà valere come una nuova
proposta; così il proponente, rinunciando a sua volta al requisito formale, diverrà accettante.
AMBITO in cui OPERA il REQUISITO della FORMA SCRITTA, SECONDO l'ART. 1350 C.C.
L’imposizione forma scritta ad substantiam opera in primo luogo in virtù di regole generali sul
contratto, quindi ad opera di regole codicistiche speciali ed infine ad opera di Leggi speciali.
In via approssimativa, la forma scritta ad substantiam è richiesta per atti che:
Dispongono Diritti su Immobili, Diritti su Navi, Diritti di Ipoteca;
Involgono un Patrimonio Intero od una Frazione di esso;
Mirano alla costituzione di Vincoli Sociali (es. società);
Provengono da Pubbliche Amministrazioni;
Per varie ragioni, vanno fatti per iscritto (Rendite Vitalizie e Perpetue; ecc...).
▪ Si nota come la scrittura sia richiesta prevalentemente per l’Oggetto e, in particolare, in relazione
al “Tipo di Bene” o “di Diritto” di cui si dispone.
▪ In casi specifici, la forma scritta può essere richiesta in relazione alla Causa (es., causa donandi)
od in relazione al Valore dell'Affare.
▪ Infine, accanto alla forma scritta richiesta per dati contratti, vi è quella necessaria per
determinate Clausole ed Impegni (ad es. per interessi in misura extralegale; patto di prova;
clausole vessatorie).
♦ Forma Scritta ex art. 1350 C.c. → Con l’art. 1350 C.c., il Legislatore assoggetta alla forma
scritta i contratti riguardanti:
Contratti traslativi della Proprietà Immobiliare;
Contratti costitutivi, modificativi o traslativi dei diritti di: Superficie, Enfiteusi,
Usufrutto, Uso, Abitazione e Servitù Prediale;
Contratti costitutivi di Comunione di Proprietà od altri Diritti Immobiliari;
Atti di Rinunzia ai diritti sopra menzionati;
Anticresi;
Locazioni Immobiliari ultra-Novennali;
Società o di Associazione: con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri
diritti reali per un Tempo eccedente i 9 anni o per un Tempo Indeterminato;
Rendite Perpetue o Vitalizie;
Tutte le Transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici fin
qui menzionati.
► Rapporti Immobiliari → Con il primo gruppo di regole il Legislatore voleva certo riferirsi a
tutti i Contratti che producono una vicenda di rapporto reale immobiliare: ma ci sono delle
lacune, che saranno colmate dall'interprete. Sacco sottolinea che, comunque, la formulazione legale
è poco felice.
► Partecipazioni Sociali ed Immobili → Il Codice Civile del 1865 sanciva la natura “mobiliare”
delle quote sociali, facendo sì che potessero circolare senza forma scritta, anche se nel patrimonio
sociale vi fossero degli immobili.
Il Codice del 1942 ha tolto all'interprete tale appoggio: in realtà, il problema si risolve facilmente in
caso di Società di Capitali (S.p.A., S.A.p.A., S.R.L.), in cui l'immobile appartiene alla società ed è
quindi “scollegato” dal diritto del socio; quindi la quota può esser tranquillamente trasferita senza
necessità di forma scritta.
Se si trattasse però di quota di Società di Persone (S.S., S.N.C., S.A.S.)? La lacuna è stata colmata
mantenendo la soluzione del Codice del 1865, sostenendo cioè la differenza concettuale fra quota
sociale e quota immobiliare.
► Norme sui Contratti costitutivi di Diritti Personali → La forma scritta è qui richiesta in
funzione della Durata del Rapporto.
Se mancasse la forma, Sacco ritiene che si avrebbe Nullità Parziale, che potrebbe poi estendersi e
divenire Nullità Totale qualora la durata del rapporto fosse Essenziale.
In quest'ultimo caso, ove ne ricorrano i presupposti, potrà aversi la Conversione del Contratto.
Gli artt. 1392 e 1399 C.c. impongono alla Procura la forma voluta dalla Legge per il contratto
che il gestore deve concludere o ha concluso.
Oggi è pacifico che tutti i negozi strumentali, compreso il mandato senza procura, la ratifica, la
dichiarazione di nomina del terzo, l'opzione ed il contratto preliminare relativi ad un negozio
principale per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam, debbano avere anch'essi, a pena di
nullità, la stessa forma.
(!) Sacco rileva che la prima tendenza sia più attinente al sistema, ma, di contro, rileva anche che
gli atti rinunziativi, abdicativi, remissori, risolutivi, impeditivi, ecc... devono constare di requisiti
più semplici di quanto non avvenga per gli atti a “contenuto positivo”.
La Giurisprudenza non è insensibile all'idea della forma libera nei contratti risolutori.
Pare quindi ammissibile che la risoluzione del contratto di locazione ultranovennale e del contratto
di società (con apporto di solo godimento) non abbisogni della forma, perché, a differenza del
contratto che viene risolto, non creano alcun diritto personale ultranovennale.
(2) Atto redatto alla presenza delle Parti, ma senza Testimoni, se le Parti sono in grado di
leggere e scrivere.
Questo tipo di atto pubblico è adottato per:
Atti costitutivi di Società di Capitali;
Atti costitutivi di Associazioni e Fondazioni.
► I Pubblici Ufficiali → Sono pubblici ufficiali abilitati in via ordinaria a redigere Contratti
quattro gruppi di pubblici ufficiali, ovvero:
I Notai → Ex art. 1 L. Notarile, hanno una competenza generale;
Taluni Funzionari delle P.A. → Hanno una competenza limitata agli atti in cui sia parte la
P.A., sempre che non si tratti di Donazioni;
I Consoli → Hanno una competenza parallela a quella dei Notai;
I Cancellieri → Sono preposti alla Redazione del Verbale dell'Udienza Civile (artt. 126 e
130 C.p.c.) e regolano la forma della Conciliazione nel Giudizio (artt. 185, 322 C.p.c.).
♦ Il Telex è attendibile come mezzo di prova, ma non è possibile considerarlo come equipollente idoneo della
Scrittura Privata, laddove questa sia richiesta per la validità dell'atto.
► Lingua → L'uso di una certa lingua può valere come requisito di forma: certo, la scelta della
lingua non incide sull'esistenza della dichiarazione, ma, nell'ambito delle lingue possibili, può
essere imposta una certa lingua. Ad es., per il contratto che costituisce una Multiproprietà, è
richiesto che sia redatto in lingua italiana e/o, nel caso, in lingue dell'U.E.. Particolari regole
valgono per gli Atti Pubblici.
SULL'AMBITO di APPLICAZIONE di TALUNE FORME
Nel dettare regole generali sulla forma, il Legislatore non pensava a tutte le forme, e questo ha fatto
sorgere dubbi interpretativi di varia natura, ad es. sulla forma della Cambiale (v. pag. 317-318
Manuale).
(!) Rispetto a quest'ultima teoria, Sacco sottolinea che, una volta assimilata la causa alla funzione,
potrebbe attribuirsi una causa a tutti i negozi, compresi i Negozi Astratti (= privi di causa):
infatti, la causa esisterebbe automaticamente ovunque esista una Dichiarazione di Volontà.
Tant'è, che alcuni giuristi sostengono l'inesistenza dei negozi astratti (es. Bozzi).
Come regole generali, Sacco afferma che:
La causa deve esser definita in modo tale che sia possibile ipotizzare un Accordo di Volontà, sicché se
quest'ultimo manca, manca anche la causa, quindi il contratto è nullo;
La causa dev'essere elemento costitutivo dei Contratti Causali, non dei negozi astratti.
Infine, la causa è definita come “funzione del contratto approvata dall’Ordinamento giuridico”:
si suole così aggiungere ch’essa ha lo scopo di introdurre, fra i costituenti del contratto, un
Controllo Sociale sull’attività delle parti. Ma, in realtà, la supervisione della Legge sul contenuto
del contratto si esercita già inserendo tra i costituenti del contratto il requisito della liceità del suo
oggetto. Per questo, secondo Sacco, la liceità della causa è un requisito superfluo.
I TENTATIVI di ACCERTARE in QUALI CASI SIA PRESENTE la CAUSA
Per capire quando c'è la causa, occorre chiarire in quali casi il Giudice debba dichiarare invalida
una dichiarazione contrattuale perché manca la causa.
L’oggetto dell’esame torna così ad essere la “Promessa”, più che il contratto: infatti, il problema
della causa si pone nella pratica quando l’attore invoca la promessa del convenuto e nasconde
quale sia stata la repromissione; d'altra parte, la causa serve proprio ad obbligare chi agisce sulla
base di una promessa, scollegata dal contesto, a sottoporre al Giudice l'intero contratto.
Sacco cita il Gorla, che, riprendendo le mosse dalla teoria classica secondo cui il patto nudo non
genera azione, si domanda cos’altro occorra al patto per divenire azionabile: così, nel passare in
rivista i diversi elementi che possono puntellare la promessa, individua come elementi che rendono
il patto azionabile quelli capaci di giustificare un serio Affidamento del promissario.
Ad es. la controprestazione, la dazione della cosa nei contratti reali, la forma solennissima nella donazione, la dazione della cosa nei
contratti reali, ecc... . In altri casi, l'esistenza della causa potrà porsi in dubbio (es. obbligazioni naturali, vantaggi puramente morali).
♦ Atti sottoposti a Condizioni Opposte (es. gioco, scommessa) → Qui il movente di ogni
promessa non è già la sola repromissione, ma è il fine di creare un'alea (e non, invece, di
trasferirla, come nei contratti di assicurazione).
Qui la causa dovrebbe esser data dal cumulo di queste due circostanze: la creazione di un'alea ha,
però, il risultato di rendere l'accordo inetto a creare diritti azionabili.
♦ Obbligazioni di una sola Parte → In questo caso, innanzitutto, opererà una Causa qualora il
soggetto del sacrificio abbia Interesse alla conclusione del contratto, alla sua efficacia od alla
prestazione, cosa che accade in varie ipotesi:
Promessa sottoposta ad una condizione il cui verificarsi dipende dal promissario, e che si rivolge a vantaggio
patrimoniale del promittente; ad es. “ti darò € 100 se ritroverai l’oggetto che ho smarrito”;
Quando il fatto stesso di promettere sia di vantaggio patrimoniale per il promittente; ad es. promessa
reclamistica, proposta irrevocabile, prelazione, ecc...;
Quando la prestazione si ritorce economicamente a favore del promittente; ad es. la promessa dell'artista
emergente di partecipare ad uno spettacolo di grande richiamo;
Quando la promessa della persona giuridica, o la prestazione, servano al promittente per perseguire la sua
finalità statutaria; ad es. l'Interesse Pubblico può costituire una “causa” che giustifica le promesse ed i
contratti degli Enti Pubblici;
Quando la promessa persegue un Interesse Collettivo, od un Interesse Morale sentito dai promittenti; ad es.
interessi di comitati, fondazioni, gruppi (si pensi a dei parrocchiani che hanno interesse a riparare il tetto della
chiesa), ecc... .
Fin qui, la causa è l'Interesse di colui che assume su di sé un sacrificio: la promessa si giustifica
per un interesse del promittente (che tuttavia non dev’essere valutato in concreto: infatti, lo
stipulante non ha l'onere di accertarne la sussistenza).
♦ Promessa di una parte con Oggetto Giuridicamente Inidoneo → Si può pensare che tale
promessa non possa fungere da causa della promessa reciproca: ma ciò non è sempre vero.
Bisogna distinguere i casi in cui il Legislatore:
Condanna la Promessa e la Prestazione → Ad es., prometto di uccidere dietro corrispettivo:
se lo faccio, non posso agire per ottenere il pagamento.
Condanna la Promessa, ma non la Prestazione → Anche a fronte di una promessa non
ammissibile (es. patto di non concorrenza di durata eccessiva), se la prestazione promessa
viene eseguita, si può agire per ottenere il corrispettivo (chi si impegna a non concorrere,
se rispetta il patto, ha diritto al pagamento). Poiché la promessa di eseguire prestazione può
anche esser disattesa, visto che è condannata dalla Legge, l'esecuzione della prestazione a
vantaggio della controparte si pone come avveramento di una condizione, nello specifico
sarà la condizione del pagamento che la controparte promittente dovrà corrispondere allo
stipulante, e si eleverà a Causa del negozio.
Sacco afferma che, in questi casi, il contratto (voluto dalle parti come bilaterale) vale come
unilaterale e, appunto, condizionato.
♦ Atto in Pura Perdita → Quando manca un interesse del promittente alla conclusione del
contratto, si ha un Atto in pura Perdita, e manca la causa.
Si possono tuttavia avere atti di questo tipo che non sono (o almeno non sono considerati) come
privi di giustificazione, come la promessa formulata per rafforzare un’obbligazione precedente (ad
es., Promessa di Garanzia tramite fideiussione per l’adempimento di un contratto precedente).
Esistono inoltre negozi con Causa di Pagamento (es. dazione in pagamento, negozio solutorio del
terzo, accollo, espromissione, ecc...).
Causa di Garanzia e Causa di Pagamento sono, per Sacco, idonee cause del contratto: il
preesistente interesse del promissario alla prestazione, infatti, sostiene la promessa.
Fuori dei contratti interessati e di quelli con funzione di garanzia o pagamento, non vi sono altri
contratti sostenuti da una Causa Oggettiva; ma si possono avere:
▪ Contratti sostenuti da un puro elemento Soggettivo (scopo o finalità) in cui un altro elemento
rimpiazza la causa oggettiva, che manca.
(!) Si pensi alla Donazione: qui, l'animus donandi (dal Domat in poi) sostituisce la causa.
Questi atti retti da un elemento soggettivo possono essere salvati ricorrendo:
Ad una certa Forma → Come per la Donazione (Atto Pubblico);
Alla Consegna → Si pensi ai Contratti Reali (es. Comodato);
All'Avvenuto Adempimento → Si pensi alle Obbligazioni Naturali.
In assenza di tali elementi, la promessa non è valida per mancanza di uno degli elementi del
contratto.
▪ Negozi astratti e/o atti quasi contrattuali camuffati da contratti;
▪ Casi in cui il Legislatore rinuncia a verificare l'esistenza di una causa.
LE OBBLIGAZIONI MORALI
Si consideri il caso in cui taluno prometta qualcosa, in ragione di un beneficio ricevuto in passato (=
causa praeterita o passata); ad es., Tizio mi ha fatto un favore od ha sofferto un danno per arrecarmi
un vantaggio.
Spesso la “Causa Praeterita” sottende un’Obbligazione Naturale (particolare tipo di
obbligazione che sorge da specifici doveri morali o sociali), per cui non se ne può pretendere
giudizialmente l'adempimento, che, anzi, dev’essere spontaneo: ma se quest’ultimo avviene, non
è più possibile chiedere la restituzione di quanto pagato (c.d. “Soluti Retentio”; ad es., pagamento
di scommessa o debito di gioco, pagamento di debito prescritto, ecc...).
Il nuovo codice, innovando su quello abrogato, ha negato all'obbligazione naturale ogni effetto
diverso dall’irripetibilità del prestato (art. 2034 C.c.): l’obbligazione naturale non dovrebbe quindi
valere per giustificare una promessa.
Allo stesso modo, un servizio precedentemente reso (causa praeterita) non giustificherebbe una
promessa: non posso andare da Tizio e dirgli “io ho fatto questo per te, ora tu fai questo per me”,
né posso pretendere che sia un Giudice a costringerlo, in forza di un obbligo morale.
(!) Sacco ritiene però eccessiva tale generalizzazione, e si chiede se potrà in futuro essere smussata.
LIMITI alla NECESSITA' della CAUSA
Nell'ottica dell'Autore, la causa è prevista non per tutelare interessi della collettività, ma per
tutelare chi promette.
Rispetto al principio causale, esistono tuttavia delle Eccezioni.
♦ Confessione → Se Tizio confessa un fatto a sé sfavorevole, e favorevole alla controparte, non
può poi impugnare la confessione, salvo che dimostri che c'è stato o una violenza o un errore di
fatto.
Questo vuol dire che se si confessa un fatto falso, sapendo benissimo che è falso, non c'è nessun
rimedio: il Giudice lo deve prendere per vero.
Perciò questo può consentire, di fatto, se le parti sono d'accordo, un'Astrazione, cioè un'assenza
di causa.
Esempio: Tizio promette di dare 100 euro perché gli si trasferisca la proprietà su un cavallo. Se poi
il cavallo non esiste, la sua promessa, in teoria, dovrebbe essere priva di causa: tuttavia, se confessa
che il cavallo esiste, e che gli sia stato consegnato anche se ciò non sia vero, l'altra parte – d'accordo
con lui - può andare dal Giudice e ottenere la condanna a che Tizio paghi 100.
Quindi, la confessione può essere uno strumento processuale che può essere manipolato dalle
parti per raggiungere di fatto il risultato di astrarre la promessa e il trasferimento di un
diritto dalla causa, o dalla necessità che vi sia una causa.
♦ Remissione del Debito (Rinuncia Abdicativa al Credito) → Se Tizio rimette un debito al suo
debitore, senza che ci sia alcuna ragione giustificatrice e senza che la cosa sia assistita dalla forma
(perché non è una donazione diretta, al massimo può configurarsi come una donazione indiretta che
non necessita della forma), in questo caso manca la ragione giustificatrice oggettiva, però la
remissione è comunque valida e il debitore è liberato: al massimo, quest'ultimo può rifiutare la
remissione, se vuole; ma, se non rifiuta, è liberato senza nessuna necessità che ci sia una causa della
remissione.
(!) L‘ordinamento è quindi più attento e severo a richiedere che vi siano elementi giustificativi
per far sorgere un rapporto (= una causa), che non per estinguerlo.
♦ Negozi Economicamente Incolori → Vi sono poi dei casi in cui non è richiesta una causa,
semplicemente perchè il contratto è economicamente incolore; dice Sacco: vi sono dei contratti a
contenuto normativo che non hanno nessuna conseguenza economica diretta (ad es., l'accordo
sulla competenza territoriale di un determinato Giudice; contratti di tipo esclusivamente normativo).
In questi casi, tutte le volte in cui il contratto non ha effetti economici (manca un impoverimento
economico di chi si vincola), non è richiesta la causa semplicemente perchè il contratto non
produce degli effetti che devono essere in qualche modo giustificati.
Esempio → Mandato Gratuito: se non ha alcun contenuto economico e non produce alcun spostamento patrimoniale, è valido.
(2) La necessità della causa vuole anche dire che le Cause non sono fungibili: se una promessa è
stata fatta in vista di una determinata causa, non è sufficiente che vi sia una causa qualunque, ma ci
deve essere la quella causa che ha giustificato quella promessa;
(3) Del pari, se un contratto è valido senza causa, ma le parti hanno stipulato in
contemplazione di una causa (ad es., remissione del debito dietro corrispettivo), il difetto della
causa travolge tutto il contratto;
(4) Scambiate due promesse, i contraenti non assumono rispettivamente il rischio per la nullità o
la futura frustrazione della propria stipulazione: il principio causalistico, quindi, collega fra
loro gli effetti d'un contratto;
(5) Al di fuori dei casi contemplati all'art. 1988 C.c., di regola, il Contratto dev'essere allegato in
giudizio tutto intero (comprese le ipotesi di Contratti Traslativi di Proprietà).
(6) L'inscindibilità di promessa e repromissione comporta che se per la promessa, in ragione del
suo contenuto, sia richiesta una forma ex art. 1350 C.c., la repromissione ha la stessa forma;
(7) Il Difetto di Causa opera oggettivamente, cioè consiste proprio nella carenza della causa, e
non nell'errore del promittente che ignorava tale carenza;
► Caratteri del Negozio Fiduciario → Secondo la definizione classica, il carattere del negozio
fiduciario sta nel fatto che il mezzo cui ricorrono le parti (es. il trasferimento di proprietà) ecceda
lo scopo del negozio (es. dare una sicurezza al fiduciario): è quindi tradizionalmente visto come un
“Negozio Indiretto”, perché vi sarebbe divergenza fra il mezzo giuridico prescelto dalle parti e
lo scopo che esse perseguono.
(!) Sacco, però, ritiene insipida tale definizione: secondo l'Autore, può capitare che il
raggiungimento dello scopo del fiduciante necessiti proprio di un negozio dotato di tutto l'ampio
contenuto che le parti hanno voluto.
● In breve, per Sacco, il carattere centrale del Contratto Fiduciario non sarebbe tanto questa
“Eccessività del Mezzo rispetto allo Scopo” - che contraddistingue il negozio indiretto -, quanto,
piuttosto, la Dissociazione fra Titolarità ed Interesse.
Infatti, il fiduciario è titolare di un diritto che entra a far parte del suo patrimonio personale (diversamente dal Trust)
ed ha anche il potere di ingerenza e di esercizio corrispondente, ma, solitamente, l'esercizio del Diritto è svolto
nell’interesse di un’altra persona (fiduciante o terzo indicato dallo stesso).
Infatti, oltre al caso di contratto fiduciario visto sopra (c.d. Fiducia Dinamica), può addirittura
capitare che la relazione fiduciaria abbia ad oggetto beni che fin dall'origine appartengono al
fiduciario, e che egli promette di gestire nell'interesse del fiduciante (c.d. Fiducia Statica):
emerge qui, molto chiaramente, la citata dissociazione fra titolarità ed interesse.
► Liceità del Contratto Fiduciario → La fiducia non ha carattere illecito se non è mezzo per
frodare la Legge: quindi, il patto di fiducia è legalmente vincolante.
► Legge e Contratto Fiduciario → Sacco ravvisa nell'art. 1706 C.c. il riconoscimento del
negozio fiduciario da parte della Legge, laddove si sancisce che il mandatario acquirente, nel
mandato senza rappresentanza, è unico proprietario della cosa acquistata, salvo l’obbligo di
ritrasferimento al mandante.
Se mandante e mandatario si accordassero per far durare quella situazione in cui il Mandatario
è titolare del bene (acquistato nell'interesse del mandante), si avrebbe una Proprietà Dissociata:
premesso ciò, Sacco afferma che non ci sono ostacoli a che si possano creare analoghe situazioni,
anche fuori dall'ipotesi del mandato.
Infatti, quel successivo accordo (col quale si fa perdurare la situazione vista sopra) ha lo scopo
diretto di creare o stabilizzare una dissociazione fra diritto ed interesse.
♦ La titolarità della proprietà in capo al Fiduciario è eretta per l'Interesse di un non proprietario,
e l'obbligazione di restituire, in tale contesto, è solo la logica conseguenza della dissociazione.
► Gestione → Il fiduciario, una volta accettata l'intestazione del bene, deve agire diligentemente,
senza causare difficoltà al fiduciante (saranno qui utili le regole sul Mandato Gratuito).
L'ATTO SOLUTORIO
I Romani, quando erano obbligati a dare, compivano un atto solutorio tipico (mancipatio o traditio),
che non era considerato un contratto.
Dal Codice Napoleonico in poi, si è attribuita Efficacia Traslativa Reale a Vendita e Donazione
per effetto del solo Consenso Traslativo (cfr. art. 1376 C.c.): l'Atto Solutorio (= Consegna) è
rimasto soltanto nei casi di alienazione di Cose Generiche o Fungibili, dove cioè si rendeva
necessaria una specificazione del bene.
Con la consegna, si specifica il bene: si può dire che “Atto Solutorio” e “Consegna” si equivalgano.
Quindi, dove è scritto “atto solutorio”, può leggersi come “consegna”.
(!) Una volta accertata tale equazione, Sacco si pone delle domande:
▪ L'Atto Solutorio è un puro comportamento materiale (traditio) e necessario perché si
individui il bene oggetto dello scambio? Oppure:
▪ L'Atto Solutorio è un vero e proprio Contratto bilaterale? Se sì, ha una Causa?
▪ L'Atto Solutorio è idoneo a trasferire la proprietà se non c'è un'obbligazione sottostante?
Esisterebbe, in tal caso, un diritto del “solvens” alla ripetizione?
L'Autore sottolinea quindi come, nel passaggio dal Diritto Romano a quello codificato franco-
italiano, è scomparsa l'idea della “Consegna” come modo generalizzato per trasferire la proprietà:
piuttosto, nella nuova logica del nostro diritto, le vicende giuridiche sono normalmente effetto di
Atti Consensuali e Causali.
Infatti, laddove la consegna esegue una volontà giuridica riconosciuta dal Diritto, è in realtà il
consenso, e non la sua esecuzione, che produce gli effetti traslativi voluti dalle parti.
La Consegna consta di vari elementi: il trasferimento del potere di fatto sulla cosa; l'intento di
trasferire il dominio; l'intento di soddisfare un obbligo giuridico (scambiare, donare, ecc...).
▪ Quest'ultimo punto, cioè l'Intento di Soddisfare un Obbligo, è sufficiente a vivificare l'effetto
traslativo dell'atto? Può valere come Causa?
(!) Per Sacco, la Consegna non è un modo di trasferimento del diritto, che si trasferisce
mediante il Contratto (tant'è che il Codice nulla dice sulla consegna): ne deriva innanzitutto che
l'Atto Solutorio Indebito è inidoneo ad una funzione traslativa reale.
Per Sacco, inoltre, la consegna è priva di Causa, cosa che impedisce il trasferimento della
proprietà, sia che si consideri l'atto solutorio come un atto unilaterale, sia che lo si consideri come
un contratto reale (perché difetterebbe, in quest'ultimo caso, di un requisito fondamentale del
contratto richiesto ex art. 1325 C.c., cioè, appunto, la Causa).
I motivi, infatti, sono previsti nel Codice Civile in alcune norme, tutte volte a restringerne il più
possibile la rilevanza:
▪ Art. 788 C.c. → Se il motivo della Donazione è illecito, esso rende nulla la donazione stessa
se risulti dall'atto e sia stato determinante per il donante;
La norma è poco utile, dato che è molto difficile che dall’Atto Pubblico notarile risulti il motivo illecito; a meno
che non la si interpreti in maniera estensiva, nel senso che anche dall’atto possa in qualche modo presumersi un
motivo illecito.
▪ Art. 1345 C.c. → Il Contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo
esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.
La norma è richiamata dall'art. 1418 C.c.: il contratto con motivo illecito è nullo.
Anche questa norma è poco utile: di regola, in un contratto, c'è più di un motivo e raramente si conclude un
contratto con un unico motivo comune ad ambo le parti.
Si tratta quindi di due norme che, come si è visto, hanno una scarsa rilevanza pratica, sì che il
motivo non viene quasi mai in rilievo.
(!) Sacco, quindi, sottolinea come Dottrina e Giurisprudenza abbiano eroso queste norme, per poter
dar spazio ad una maggiore rilevanza dei motivi: a tal fine, spesso hanno assimilato il motivo al
Contenuto od alla Causa del Contratto.
Quando dunque rilevano i motivi?
▪ Innanzitutto i motivi possono rilevare ai fini dei Vizi del Consenso: tutta la disciplina
sull'errore, sul dolo o sulla violenza dà rilevanza ai motivi (ad es., vi sono dei casi in cui l’errore
dipende da motivi soggettivi del contraente, ad es. può capitare circa l'errore sulla qualità);
▪ Quindi, i motivi rilevano nell'ambito della Presupposizione: quando la condizione inespressa,
ma comune ad ambo le parti, viene meno, il contratto diviene inefficace.
Ritornando al caso del Motivo Illecito, Sacco dice che, in realtà, la norma dell'art. 1345 C.c. è da
interpretare nel senso che il negozio è nullo non solo se Tizio conclude un contratto per un motivo
illecito che era l’unico che lo aveva spinto a contrattare, ma anche se conclude un contratto
nonostante ci sia un contro-motivo di tipo morale o etico per non concluderlo.
Esempio → Tizio vende del veleno per topi ad un suo cliente che vuole avvelenare la moglie: pur sapendo ciò, non si
trattiene e glielo vende lo stesso.
CAP. II - L'INTERESSE
L'INTERESSE del CONTRAENTE
La Legge considera l’interesse del Creditore come un elemento essenziale del credito (ex art.
1174 C.c.) e ritiene il fine della “realizzazione di interessi meritevoli di tutela” come il limite
interno dell’autonomia delle parti nel campo dei contratti innominati (art. 1322, comma 2, C.c.).
Nell’interesse, va precisato, rientrano i motivi.
L’interesse può anche essere non patrimoniale, ed il creditore può avere qualunque motivo per
volere quella prestazione: sembra quindi impossibile che non vi sia un Interesse.
Tuttavia:
▪ Potrebbe mancare un interesse nel caso in cui il creditore si sia sbagliato, pensando di avere un
interesse che, in realtà, non aveva: ad es., Tizio va dal meccanico a far riparare un'auto,
convinto che sia sua; la macchina, in realtà, è di Caio, quindi Tizio non ha interesse.
▪ Al di fuori del caso dello sbaglio, è possibile immaginarsi che non vi sia un interesse del
creditore quando ad es. Tizio dica al meccanico di riparargli la macchina, e poi di distruggerla.
Qui non vi è nessun interesse e, in questi casi, manca il carattere patrimoniale della prestazione
(è una prestazione economicamente non valutabile): quindi, non potrebbe comunque essere oggetto
di obbligazione.
Infatti, la norma dice che l’obbligazione può sorgere solo se vi sia un interesse.
L'interesse del creditore, se condiziona il credito, dovrebbe altresì condizionare la Stipulazione:
ma, d'altra parte, quest'ultima non può dipendere così meccanicamente da un interesse dello
stipulante, la cui assenza sarà spesso inconoscibile dal promittente.
La carenza di Interesse comporta innanzitutto la perdita dell'Azione Contrattuale in capo allo
Stipulante: non può cioè agire per ottenere l'adempimento, poiché non vi ha interesse.
Tuttavia, se la prestazione è adempiuta, è tutelato l'affidamento del Promittente: lo Stipulante, in
altre parole, è obbligato a pagare il corrispettivo.
Il difetto di interesse trasformerà il contratto bilaterale in un Contratto Unilaterale Condizionato,
in cui la prestazione del promittente si pone come condizione dell'obbligazione dello stipulante a
pagare il corrispettivo.
Infatti, il promittente non è tenuto a svolgere la prestazione richiesta, poiché lo stipulante non vi ha
interesse: ma, se lo fa, ha diritto al pagamento.
► Interesse Meritevole di Tutela (art. 1322 C.c.) → I contratti atipici possono essere conclusi se
sono volti a perseguire interessi meritevoli di tutela. Secondo Sacco, lo si è visto, ciò non vuole dire
che l’ordinamento debba andare a fare un ulteriore giudizio di utilità sociale per i contratti atipici: se
il contratto è lecito, tanto basta, e non è necessario che sia anche meritevole di tutela, perchè non è
detto che i contratti debbano perseguire funzioni sociali particolari.
I contratti, infatti, servono a soddisfare interessi individuali: la tutela dell’interesse in generale si
ha prevedendo le cause di illiceità; al di fuori di queste - ovvero se il contratto è lecito - non è
necessario nient’altro affinchè sia vincolante.
Innanzitutto emerge il fatto che alcuni di questi contratti non possono produrre alcun effetto
senza la consegna: ad es., il Deposito non può sorgere senza consegna; il Pegno, invece, sì, poiché
sorge l'obbligazione alla consegna (effetto obbligatorio).
Restando però solo sul tema della “Realità in senso stretto”, come nel caso del deposito, Sacco si
chiede come sia possibile che, dopo l'introduzione del Principio Consensualistico, permangano nel
nostro ordinamento dei Contratti Reali.
Infatti, dire che il mutuo, il deposito, ecc... sono accordi leciti, e poi aggiungere che tali accordi non
producono effetto se non interviene una consegna, equivale a negare che a questi accordi leciti sia
applicabile la regola pacta sunt servanda.
Si nega cioè che le parti, grazie alla loro autonomia contrattuale (art. 1322 C.c.) possano
concludere tali contratti per effetto del solo consenso.
Del resto, la realità di tali contratti emerge dalla stessa lettera degli articoli del Codice Civile che li
prevedono, oltre che dai Lavori Preparatori al Codice stesso.
(!) Sacco rileva quindi che, ai tempi in cui si diffondeva la regola dell'autonomia contrattuale, i
principali contratti reali quali il Deposito, il Mutuo ed il Comodato, erano tutti quanti gratuiti, e
quindi privi di una Causa Oggettiva.
♦ Deposito (come “Custodia) e Mutuo onerosi si possono concludere per effetto del semplice
consenso, e vanno quindi stralciati dall'indagine.
♦ Invece, Deposito, Mutuo e Comodato gratuiti, dice Sacco, difettano della Causa e, quindi non
producono effetto giuridico se c'è soltanto il consenso: su questo sfondo, quindi, la Consegna
compensa la deficienza causale dell'accordo di volontà delle parti.
► Trasferimento dei Titoli di Credito → Una rilevanza degli atti di esecuzione si riscontra invece
in materia di trasferimento dei titoli di credito: infatti, prima e dopo il 1933, è stata largamente
sostenuta la necessità della Consegna (integrata, se del caso, dalla girata o dall’annotazione sui
registri dell’emittente) per il trasferimento della proprietà dei titoli.
Il Codice del 1942 ha adottato soluzioni differenziate:
Titoli al Portatore (art. 2003 C.c.) → Il trasferimento del titolo al portatore si opera con la
consegna del titolo: il possessore del titolo al portatore è legittimato all'esecuzione del
diritto in esso menzionato, in base alla presentazione del titolo;
Titoli Nominativi (art. 2022 C.c.) → Il trasferimento del titolo nominativo si opera mediante
l'annotazione dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente.
Altre norme (artt. 2008, 2011 e 2015 C.c.) adottano invece un linguaggio più sfumato, ricollegando
al possesso fondato su continue girate la legittimazione all'esercizio del diritto, riconnettendo alla
girata il trasferimento dei “diritti inerenti al titolo” e menzionando comunque l'ipotesi d'un
trasferimento perfezionato “con un mezzo diverso dalla girata”.
→ A fronte di tale impostazione, la Dottrina è stata portata a ritenere che le Formalità e gli Atti
di Esecuzione (es. Consegna) siano necessari per trasferire la Legittimazione, ma non per
trasferire la titolarità del titolo; si è inoltre aggiunto che il Consenso produce Effetti Traslativi,
quanto meno rispetto ai titoli all'ordine.
Fino al 1991, in Italia, questi tre strumenti hanno convissuto, anche per ragioni strettamente
politiche. Dopo il crollo del regime sovietico ed il fallimento dell'economia pianificata, ha avuto
un grande rilancio l'economia di mercato, restituendo il consenso intorno alla capacità ordinante
del mercato stesso, ed al valore sociale ed alla razionalità dei risultati che esso scatena.
In questa luce, diventa facile dare il giusto significato all'art. 41 Cost.: il mercato si regola da sé, ed
il regime di concorrenza è correlato al contenimento dei prezzi ed al miglioramento della qualità
dei prodotti (Sent. C. Cost. 223/1982).
Quindi, tutte quelle norme ordinarie che fissano limiti alla libera iniziativa economica creando
monopoli, calmieri pubblici, ecc... sarebbero incostituzionali per violazione dell'art. 41 Cost..
La protezione di Valori Extra-economici (difesa sociale, salute, cultura, giustizia, ecc...) si può sì
tutelare con norme eteronome, ma si può tutelare più efficacemente se l'economia sia florida e
sana, e tale economia si ottiene mediante il Mercato.
Il mercato, assicurando un massimo di produzione, un massimo di accesso del contraente ai prodotti ed ai servizi, un
massimo di conformità del prodotto alle preferenze del contraente, appaga un massimo dei bisogni del soggetto. Esso è
al servizio del soggetto consumatore, sì che la contrapposizione fra mercato e protezione del consumatore è
improponibile.
Sul mercato, infatti, gli individui scambiano beni e servizi, che passano da chi li valuta di meno a chi li valuta di più, e
ciò, secondo quanto rilevato dall'Analisi Economica del Diritto, crea ricchezza (scambi cooperativi).
Chiaramente, non basta la conformità al mercato per assicurare che il tale contratto non produca
una Esternalità Negativa.
Il Diritto dei Contratti deve quindi prevedere delle regole imperative per evitare che si verifichino
Fallimenti del Mercato, ossia situazioni fattuali che impediscono al mercato di produrre
spontaneamente il risultato efficiente.
Il Legislatore ordinario deve quindi fare il possibile per garantire al singolo un accesso alla
contrattazione liberato dalla Disinformazione (asimmetrie informative), dal Monopolio altrui, da
Difetti della Razionalità Individuale (causati da sorpresa, irriflessione – es. vendita da porta a
porta).
In tal senso si sono mossi il Legislatore Europeo e quello Italiano, prevedendo apposite norme:
normativa antitrust, Codice del Consumo, disciplina dei vizi del consenso, della rescissione, ecc... .
♦ Sacco, infine, distingue fra:
Contratto immediatamente satisfattorio → Il contratto serve qui per acquistare un bene
destinato al diretto soddisfacimento di un bisogno umano: ogni limite alla libertà
dell'acquirente diventa allora un limite al libero svolgimento della personalità , garantito
invece dall'art. 2 Cost.;
Contratto Economico → E' quello concluso da un operatore professionale od occasionale, e
merita protezione per la funzione sociale che svolge, massimizzando la produzione di
ricchezza complessiva nella società.
Questa definizione dell'accordo come “oggetto che le parti hanno dichiarato di volere” viene così
a confondersi con l'idea di “Contenuto”, e tale sovrapposizione terminologica pare accettata anche
dal Legislatore.
Infatti, l’art. 1322 comma 1 C.c. si riferisce all’oggetto della determinazione delle parti
chiamandolo “contenuto”; l'art. 1376 C.c. si riferisce alla vicenda cui è finalizzato il contratto
chiamandola “oggetto”; negli artt. 1346 e ss. C.c. si parla di “oggetto” e “prestazione (intesa più
come vicenda alla cui produzione è rivolto il contratto, che non il comportamento dedotto
nell’obbligazione)” come sinonimi.
(!) Così, la vicenda predisposta dalle parti sarà illecita o impossibile quando lo è la prestazione
dedotta nell’obbligazione che le parti volevano costituire; analogamente, la vicenda sarà
indeterminata se non verrà individuata la cosa di cui si voleva trasferire la proprietà.
CONTENUTO dell'ACCORDO ed EFFETTO del CONTRATTO
La tendenziale simmetria fra il Regolamento adottato dalle parti e gli Effetti del contratto può far
domandare se sia utile mantenere in piedi le due nozioni di contenuto ed effetto.
Esempio → Data una compravendita, la nascita dell’obbligo di pagare il prezzo ed il trasferimento della proprietà
possono presentarsi, indifferentemente, come contenuto o come effetto del negozio.
Ci sono almeno due argomentazioni a favore della necessità di tener distinti i due concetti:
▪ Argomentazione Logica → Il Contenuto dell'accordo attiene al mondo del fatto: cioè,
esisterebbe anche se l'ordinamento non riconoscesse quell'accordo (es. contratto illecito);
viceversa, gli Effetti costituirebbero una realtà giuridica.
▪ Argomentazione correlata al Diritto Positivo → L'Effetto del contratto può divergere, in
modo più o meno ampio, da ciò che, sul piano del fatto, corrisponde all'Accordo delle parti.
Tale divergenza può esser dovuta: a regole legali di interpretazione, di integrazione del contratto
(equità, usi), presunzioni legali, qualificazioni, sostituzione automatica di clausole, ecc... .
(!) Quindi, appiattire l’Effetto del Contratto, per farlo coincidere con il Contenuto intrinseco
dell’accordo, sarebbe dunque impossibile; reciprocamente, sarebbe mistificatorio fingere che il
contenuto si allarghi fino a comprendere tutti gli effetti dell’accordo stesso.
Però, proprio dalla contrapposizione fra contenuto ed effetto, emerge che se da un lato l'idea di
“Effetto” è chiara e distinta, dall'altro lato l'idea di “Contenuto” è plurivoca e relativa.
Infatti, per “contenuto dell'accordo” si possono intendere varie figure:
▪ Contenuto come “Testo Contrattuale”, se il contratto è reso per segni grafici;
▪ Contenuto come “Regola desunta dalla Dichiarazione mediante un'Interpretazione
Pregiuridica”, diversa da quella condotta secondo le regole legali.
Qui, il termine “contenuto” si riferisce ad un elemento empirico, privo di rilevanza giuridica;
▪ Contenuto come “Qualsiasi Regola desunta dalla Dichiarazione” nel momento in cui si
procede all'Elaborazione dei Risultati del Negozio. Quindi, il contenuto sarà, man mano:
La regola ottenuta applicando solo le regole d'interpretazione legali;
Quindi, la regola ottenuta applicando le regole d'interpretazione legali, più le
presunzioni;
Infine, potrà essere la regola ottenuta applicando le regole d'interpretazione legali, più
le presunzioni e, in aggiunta, le norme dispositive, le regole di equità e le clausole
cogenti ex art. 1339 C.c..
▪ Contenuto come “Effetto del Negozio in quanto imputato alle Parti”: in quest'ultimo
senso, può cioè anche intendersi il contenuto come “effetto”, anche se si è visto che le due cose
sono ben distinte.
Infatti, alcune promesse, anche se appoggiate sui normali requisiti di validità, mancano di effetto
giuridico per il solo motivo che il promittente o lo stipulante hanno escluso tale effetto (anche
magari tramite apposita clausola).
In tal caso, una Responsabilità del Promittente può nascere da due sole circostanze, ovvero
dall’aver adempiuto male, in modo dannoso; o dall’aver inadempiuto quando la controparte non
ha più il modo di procacciarsi “aliunde” la prestazione.
Il problema dell'intento di vincolarsi emerge in maniera rilevante nel Diritto degli Affari: la
pratica, infatti, ha ad es. bisogno di scambi d'idee progettuali non vincolanti, di intermediazioni e
presentazioni che non siano fideiussioni, ecc... . Sacco affronta alcuni casi:
♦ Patto d'Onore (“Gentlemen's Agreement”) → E' un accordo informale tra due parti, che può
essere scritto o orale: la sua caratteristica essenziale è che si basa, per la sua realizzazione,
sull'onore e sul rispetto della parola data, e non può essere difeso giudizialmente, a differenza di
un contratto. Di solito viene stipulato in alternativa ad un contratto vincolante che, se stipulato,
secondo le parti non riceverebbe una tutela da parte della Legge.
Come si trattano questi patti?
▪ I Promittenti devono essere lasciati liberi di assumere impegni o meno, di parametrare i
loro impegni alle Leggi ed agli Organi Giudiziari dello Stato;
▪ Il pretesto della non-giuridicità di tali patti non può mai legittimare il promittente che operi
slealmente a danno della controparte: in tali casi, si ha Responsabilità Aquiliana.
♦ Lettera di “Patronage” → E' considerata una sottospecie di patto d'onore, e consiste in una
dichiarazione scritta con cui un soggetto (patronnant), con lo scopo di indurre una Banca a far
credito ad un altro soggetto (patrocinato), dichiara di avere una certa influenza sul patrocinato, e
di esercitarla in modo da prevenire questo o quell'evento capace di rendere più difficile
l'adempimento del debitore.
Di regola, il patrocinato è una società, ed il patronnant è il socio unico o il socio di controllo.
In conclusione del paragrafo, Sacco si occupa delle Situazioni di Fatto ed afferma che il Rapporto
Giuridico non include le situazioni di fatto, come il Possesso e la Detenzione.
Ciò non vuol dire che il possessore non possa impegnarsi a trasferire il possesso, ma vuol dire che,
per trasferirlo, non dovrà concludere un contratto, ma dovrà effettuare una consegna.
► Promessa del Fatto del Terzo (art. 1381 C.c.) → La promessa del fatto del terzo non mira a
produrre, né produce, effetti giuridici nella sfera del terzo, ma, invece, produce effetti unicamente
nella sfera del promittente e dello stipulante.
Qual è la correlazione fra l'obbligo del promittente ed il fatto del terzo?
(!) Sacco ritiene che, più che la promessa di un certo risultato, la promessa del fatto di un terzo sia
più una Promessa di tenere una certa Condotta, cioè genera l'obbligazione di procurare il fatto
del terzo.
Se la prestazione divenisse impossibile, ad es. per rifiuto del terzo, secondo Sacco il promittente
sarebbe liberato solo quando l'impossibilità sia imprevista, imprevedibile ed oggettiva.
Il Rifiuto del Terzo non libera il Promittente: addirittura, secondo la Giurisprudenza, quest'ultimo
è comunque responsabile, nonostante la prova di aver fatto tutto il possibile per ottenere il risultato
voluto.
Addirittura alcuni hanno ritenuto che il promittente assumerebbe in via primaria l'obbligazione di pagare l'indennità
ove il Terzo non si obblighi o non faccia, cioè assumerebbe la sopportazione del rischio che il terzo non faccia,
prestando quindi una garanzia contro l'inadempimento.
L'art. 1381 C.c. parla di “Indennizzo”, vi è quindi una sanzione più lieve, che Sacco ravvisa nel
Valore della Prestazione promessa.
♦ Oggetto Futuro (art. 1348 C.c.) → La mancanza dell’oggetto, nel senso ora chiarito, può aversi
anche quando le parti volevano un rapporto futuro: infatti, l’art. 1348 C.c. consente di dedurre tale
oggetto in contratto, salvi i particolari divieti di Legge.
A parte le interpretazioni restrittive ora citate, la categoria della “cosa futura” serve per dare sfogo
alle ipotesi in cui l’oggetto manchi, ma possa venire in essere in tempo utile, ovvero prima
dell’avveramento della condizione sospensiva o della scadenza del termine (art. 1347).
Chi promette la cosa futura come se fosse presente, o chi garantisce il risultato, sarà considerato
inadempiente se la cosa non verrà in essere.
♦ Contraddizioni della Promessa → Tizio promette a Caio di cedergli 1000 azioni Fiat conservate
in un certo dossier, e Caio le acquista; quindi si scopre che, in realtà, sono azioni Renault.
Qual è la sorte di tale contratto? Il caso potrà risolversi in vari modi:
Si può comunque considerare valida la promessa, immaginandola rafforzata dalla garanzia
che quelle azioni fossero proprio “Fiat”: in tal caso, ci sarà stata violazione del contratto,
nella forma dell'inadempimento o della dazione di aliud pro alio;
Oppure, poiché le 1000 azioni Fiat non esistono, si può parlare di Nullità del contratto per
impossibilità dell'oggetto;
Altrimenti, si può considerare la species delle azioni (Fiat, Renault, ecc...) come una mera
qualità della cosa, facendo scattare le norme sulla Responsabilità per Vizi della cosa.
Questi problemi sorgono spesso in tema di negoziazioni su animali ammalati o generi alimentari
non conformi alle prescrizioni sanitarie; e sono strettamente intrecciati coi problemi in tema di
errore, garanzia di qualità e difformità tra cosa promessa e cosa fornita.
♦ Inesistenza del Rapporto → Tizio promette a Caio del denaro per acquistare un immobile, e gli
dà un assegno tratto su un conto corrente estinto. L'assegno è un titolo di credito: ma, non essendoci
denaro sul conto, dare un assegno scoperto equivale a cedere un credito inesistente.
Tanto basterebbe per far dichiarare Nullo il contratto per inesistenza dell'oggetto (promessa di
denaro inesistente).
In un caso concreto equivalente, però, il Giudice ha ravvisato più che altro una mancanza di Causa,
più che una mancanza d'oggetto: ciò, in quanto vi sarebbe stata una preordinata volontà di non
pagare il corrispettivo (Cassazione 5917/1999).
(!) Sacco ritiene che l’inesistenza della cosa renda sì nullo il Contratto, ma crede anche che la
garanzia prestata in ordine all’esistenza possa salvare la validità della promessa.
Non è quindi detto che il promittente di cosa inesistente, se in mala fede, possa invocare egli stesso
l'inesistenza e la nullità del contratto.
♦ La Nullità → L'illiceità è punita con la Nullità, che opera “ipso iure”, cioè anche se una o tutte le
parti ignoravano la causa della nullità medesima. E' una sanzione appropriata? Ci sono casi
problematici, fra i quali il seguente.
Può il promittente invocare la nullità per illiceità dell'oggetto dipendente da una sua qualità
soggettiva, a danno della controparte ignara? Sacco dice di no.
♦ Perché la Nullità? → Se il contratto è stipulato fra soggetti razionali che mirano a tutelare i
propri interessi e se produce scambi vantaggiosi (e, quindi, ricchezza), allora perché il contratto
illecito è nullo? Ci sono almeno due possibili risposte:
Può esservi il rischio o la certezza che il contratto illecito leda l’interesse di una delle parti
non abbastanza provveduta per autodifendersi (es. divieto di patto commissorio);
Il contratto è disapprovato perché crea Esternalità Negative sotto forma di pericoli per
l’incolumità delle persone estranee, dei beni patrimoniali altrui o per la comunità in genere.
♦ Effetti della Nullità → La comminatoria della nullità può significare che l'Atto Irregolare:
Non produce effetto;
Produce un effetto diverso da quello previsto dalle Parti → Ad es., il principio per cui la
regola legale si sostituisce di diritto a quella convenzionale vietata è sancito espressamente
dall'art. 1339 C.c., in tema di prezzi imposti.
I BUONI COSTUMI
Il “Buon Costume” rappresenta il complesso dei princìpi etico-morali, tarati sul sentire dell’uomo
medio, che riassume i canoni fondamentali di pudore e decenza espressi dalla società in una dato
momento storico, e la cui violazione è ritenuta immorale e scandalosa dalla generalità dei
consociati.
In particolare, dice Sacco, i buoni costumi costituiscono un corpo di regole deontologiche,
pregiuridiche e non formalizzate.
In quanto tali, sono regole che si creano spontaneamente: alcuni, di fronte a ciò, hanno temuto per
la Sicurezza del Traffico Giuridico, proponendo di di ricalcare i buoni costumi sulla scala dei
valori cristallizzati dalla Legge.
(!) Sacco rifiuta quest'impostazione con forza: i buoni costumi non costituiscono una proiezione
dell'ordinamento giuridico: infatti, il Giudice, per decidere se un contratto sia immorale, deve
domandarsi se lo considererebbe tale anche in assenza della norma violata.
Il rischio dell'insicurezza del traffico giuridico è stato efficacemente contrastato ricorrendo alla
Vischiosità dell'Esempio di Scuola ed al Precedente Giurisprudenziale.
Il sempre maggiore Pluralismo Ideologico ed Etico ha avuto ed ha forti influenze sul concetto di
“buon costume”, cosa che ha condotto, sul piano sanzionatorio, ad una sempre maggiore impunità.
Là dove la sanzione abbandona il campo, si estende l’area di ciò che è giuridicamente indifferente.
♦ Casi → Le aree entro cui opera la nullità per contrarietà al buon costume sono:
(A) Commercio delle Prestazioni Sessuali → Ad es., contratto di meretricio; società avente ad
oggetto l'esercizio d'una casa di tolleranza; corresponsione di un assegno mensile alla
controparte allo scopo di continuare una relazione illegittima, ecc... ;
(B) Mediazione di Atti dovuti “Iure Publico”; Favori Pubblici; ecc... → Nonostante sul punto
la Giurisprudenza sia un po' dormiente, la casistica ricomprende ad es. l’intervento di un privato
presso la P.A. per favorire la richiesta di una ditta; la Corruzione di un pubblico funzionario; la
promessa del fatto della P.A..
Analogamente, sono nulle le negoziazioni di Mandati, Cariche Sociali, Candidature Politiche;
(C) Comportamenti Ingannevoli e Menzogneri → Ad es., contratto concluso dal giornalista
per sostenere una data tesi, o concluso dal critico per elogiare un dato artista; il contratto di
Prossenetico matrimoniale qualora il il prossenete (cioè colui che combina il matrimonio),
stimolato dalla prospettiva del compenso, interferisca nella decisione degli sposi con menzogne,
inganni, amplificazioni; talvolta è stato ritenuto immorale il contratto concluso alla borsa nera.
♦ Nuove Prospettive → Il progresso, le mutazioni sociali, ecc... pongono il diritto di fronte a nuove
domande: ad es., che dire delle nuove tecniche di procreazione, di maternità surrogata, ecc...?
Sacco ipotizza che, in tali casi, il Buon Costume potrà scindersi in un “Buon Costume percepito
dalla Società” ed in un “Buon Costume Positivizzato” per l'autorevolezza delle proclamazioni
provenienti da comitati ufficiali (ad es., di bioetica).
In realtà, potrebbe anche capitare che la rilevanza del buon costume possa azzerarsi.
Anche il diffondersi di nuovi culti e credenze, chiromanzia e cartomanzia, pongono il giudice
davanti al problema della possibilità della prestazione e quello della liceità, visto che, comunque,
queste pratiche possono nascondere truffe beffarde.
♦ Consigli per l'Interprete → Sacco ritiene che, in caso di buon costume, l'interprete debba:
Evitare di cercare gli indici nel diritto positivo;
Saper distinguere i requisiti che occorrono per concedere l'Azione di Adempimento, quelli
per l'Azione di Ripetizione e quelli per il Risarcimento dei Danni da Esecuzione.
LE NORME IMPERATIVE
La “Contrarietà a Norme Imperative” può dipendere da una:
Regola giuridica che disapprova in modo immediato il contenuto del contratto → Ad es.,
gli artt. 1905-1908 C.c. fissano i limiti del risarcimento dovuto dall'assicuratore contro i
danni;
Predisposizione di un apparato giuridico per reprimere la conclusione dell’accordo → Ad
es., sanzione penale, od amministrativa, fiscale, ecc... comminata a chi conclude un certo
contratto. Qui, l'illiceità è all'origine della nullità, ma non si confonde con essa.
Di fronte ad una qualsiasi norma, ci si può domandare se sia imperativa o dispositiva. Si trovano al
centro dei problemi ora accennati vari gruppi di norme:
(1) Costituzione → Alcuni articoli della Costituzione, un tempo considerati come programmatici e
rivolti al solo Legislatore, sono poi stati riletti in chiave precettiva, e rivolti ai Privati;
(2) Norme Primarie → Esistono sanzioni penali per chi viola calmieri, prezzi elaborati
dall’autorità, contingentamenti, ecc... ;
(3) Norme Amministrative → Esistono vincoli all’attività economica e professionale, cui i privati
devono conformarsi per regolare i propri interessi
♦ Effetto Invalidante della Sanzione Penale → Qual è l'effetto invalidante della comminatoria
della sanzione penale? Stando ad una sentenza della Corte d'Appello di Firenze (16/06/1950), ci
sono possibili soluzioni in giurisprudenza: talvolta si propende per la Nullità del contratto, talvolta
per la Validità, infine, alcuni ritengono si debba sempre valutare caso per caso.
♦ Illiceità Fiscale → Non pare incidere sugli effetti civili dell'atto.
♦ Illiceità del Patto che dispone l'incidenza della Sanzione fra le Parti → E' senz'altro nullo il
patto con cui si distribuisce il carico dell'eventuale sanzione pecuniaria Penale (la responsabilità
penale è personale); mentre è valido il patto relativo alla sanzione pecuniaria extrapenale.
♦ Licenze di Commercio e Concessioni Amministrative → Si ritiene che non ledano gli interessi
pubblici e, anzi, favoriscano la circolazione commerciale, le cessioni di Licenze di Commercio
(sono quindi ammesse); mentre invece sono nulli i patti che violano norme urbanistiche, come
l'alienazione di un edificio costruito senza concessione.
♦ Inderogabilità e Codice Civile → Ci sono vari casi in cui non è chiaro se le parti possano
derogare o meno ad una disposizione del Codice (ad es. in tema di clausole d'irresponsabilità e
rapporti di garanzia).
In altri casi, l'inderogabilità è condizionale: ad es., se Tizio accoglie come depositario sul proprio
prato la vettura di Caio, in caso di furto operato da terzi, non potrà derogare alla responsabilità che
la Legge prevede a carico del custode negligente: potrà derogare, invece, riqualificando il contratto,
da deposito a locazione. Infatti, il locatore, in un simile caso, non sarebbe responsabile.
L'ORDINE PUBBLICO
Bisogna innanzitutto operare una distinzione fra Ordine Pubblico (O.P.):
“Internazionale” → E' l'insieme dei princìpi del nostro ordinamento che devono essere
applicati dagli organi italiani, nonostante qualsiasi contrasto con Norme Straniere e
qualsiasi conflitto con norme nello spazio;
“Interno” → Può presentarsi o come un insieme di norme giuridiche legali inderogabili
(ma non si distinguerebbe così dalle norme imperative, se non forse per una maggior forza
cogente), oppure come insieme di norme extra-legali cui la legge fa rinvio; oppure, infine,
come un insieme di princìpi ricavabili per astrazione dalle Leggi scritte.
♦ Origini e Sviluppo → La menzione dell'O.P. penetra nel Diritto Civile con il Codice
Napoleonico, forse con lo scopo di prevenire il ripristino convenzionale dei diritti feudali, della
compravendita delle cariche, ecc... .
Quali possono essere le esigenze preterlegali capaci di comprimere l'autonomia contrattuale dei
privati nel campo patrimoniale in nome dell'ordine pubblico?
Di regola, sarà l'Interprete a dover scovare tali esigenze, ma vi sono anche settori dell'O.P. dotati
di una certa stabilità, perché posti a presidio di obiettivi politici più collaudati:
▪ Intangibilità del rapporto di Fedeltà fra Stato e Cittadino → L'O.P. colpisce ad es. i contratti
conclusi in tempo di guerra destinati ad arrecare vantaggio al nemico od all'invasore; così come
reprime i patti tendenti a trasferire l'incidenza di pene pecuniarie.
▪ Ordine Pubblico e Diritto Civile → Qui l'O.P. permette di tutelare:
Il Divieto di Servitù Personale, onde evitare promesse troppo vincolanti per la libertà del
promittente;
Il Divieto di Cartelli, onde evitare le intese fra imprenditori e le situazioni di sfruttamento di
posizione dominante sul mercato, così come ogni altra distorsione della concorrenza;
Il Divieto di impegnarsi a non concorrere ad un Pubblico Impiego, ad una Carica (elettiva
o meno), ad una data Promozione.
(!) Per Sacco, Ordine Pubblico e Buon Costume, se intesi correttamente, mirano a depurare i
meccanismi di produzione e distribuzione (ad es. il mercato, le attività amministrative, ecc...) dalle
possibili ragioni d'inquinamento (es. abusi, sopraffazioni, corruzione, ecc...).
Non avendo base legislativa, sono due princìpi capaci di “sfidare il tempo” e, così, si
contrappongono alla norma imperativa, che rappresenta il “capriccio momentaneo del Legislatore”.
LA PARITA' di TRATTAMENTO
La clausola di O.P. tende ad espandersi nell’area della “Parità di Trattamento” che, sulla scia di
stimoli solidaristici, ha assunto grande interesse in dottrina.
Questo principio può operare in modo multiplo: in particolare, prima della conclusione del
contratto, obbligando la parte a non rifiutare di contrarre senza adeguato motivo e, al momento
della conclusione, o dopo di essa, comminando la Nullità – o, più facilmente, la Rettifica – del
contratto che sia stato concluso con violazione della parità.
In realtà, non esiste una Norma Generale che preveda una “parità di trattamento” come requisito
del contratto: si può però considerare la L. 286/1998, che vieta a chi fornisca un bene/servizio ad
uno straniero di imporgli condizioni più svantaggiose a causa della sua condizione di straniero,
della sua razza, religione, ecc... .
In generale, si può ritenere che ogni condotta distorsiva della contrattazione dal fine che le è
naturale per scopi di sopraffazione, può esser ritenuta ingiusta e lesiva della parità di trattamento.
Infine, da qualche anno, tale principio sta penetrando nel Diritto del Lavoro e nel Diritto Bancario.
IL DIVIETO di ALIENARE
L’esercizio auto-distruttivo della libertà contrattuale potrà cozzare contro l’ordine pubblico in un
ordinamento ispirato al mercato: ad es., precludersi la possibilità di vendere un bene.
L'art. 1379 C.c. afferma che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti
e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un
apprezzabile interesse di una delle parti.
Onde evitare un ostacolo alla concorrenza, la norma disciplina il Pactum de non alienando
rendendolo inopponibile ai Terzi, che acquisteranno validamente da una delle parti che violi detto
divieto, salva la responsabilità contrattuale di quest'ultima con la controparte.
Sempre a tutela dalla concorrenza, esulano dall'art. 1379 C.c. tutte le promesse fatte con lo scopo di
escludere o mitigare la concorrenza stessa: la norma, infatti, costituisce solo una regola sussidiaria
da applicare quando non entrino in gioco altre disposizioni (sicuramente più frequenti), come nel
caso di costituzione di un Diritto di Prelazione (costituisce divieto di alienare quello per cui Tizio
si impegna con Caio a non vendere a terzi, se non dopo avergli offerto il bene al medesimo prezzo).
Quando le parti concludono un divieto di alienazione esorbitante rispetto i limiti fissati dall’art.
1379 C.c., la sanzione sarà la Nullità del divieto o, se possibile, la riduzione nei limiti di tempo
voluti dalla Legge: la nullità della clausola potrà comportare le conseguenze riguardanti la Nullità
Parziale del contratto (ex art. 1419 C.c.).
LA FRODE alla LEGGE
Ex art. 1344 C.c., la Causa si reputa illecita quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa (solitamente un divieto: ad es., il lease back è utilizzato
per aggirare il divieto di patti commissori).
La Dottrina dovrebbe avere il compito di individuare i casi in cui si abbia elusione; dovrebbe cioè
individuare l’elemento specifico in presenza del quale la generica rassomiglianza fra due
risultati (o due procedimenti) acquisti il carattere della similarità elusiva e, pertanto, fraudolenta.
Ma, nota Sacco, la dottrina è finora arrivata solo a definizioni tautologiche, affermando ad es.
l'“equivalenza dei risultati del negozio fraudolento rispetto ai risultati interdetti”, o affermando che
la frode implichi una contrarietà alla norma derivante non già dal contenuto precettivo dell'atto,
quanto dall'assetto dato dalle parti ai propri interessi: ma, dice Sacco, quale sarà mai il sintomo
che l'assetto dato dalle parti ai propri interessi sia, nel singolo caso, contrario o conforme alla
norma?
Rifacendosi al pensiero di Morello, Sacco ipotizza che il risultato (od il procedimento) sia elusivo
del divieto quando manchi un legittimo interesse del soggetto a preferire il risultato adottato,
invece del risultato vietato.
In definitiva, il giudizio si sposterebbe sulla giustificabilità della fattispecie sostitutiva adottata, in
ragione degli effetti che essa produce.
Queste definizioni sono comunque “povere”, tant'è che molta dottrina è stata indotta a ridurre al
minimo l'autonomia della fraudolenza, facendone un caso di contrarietà al significato reale (e non
letterale) della Legge.
(!) Per Sacco, ricercare il contenuto del divieto legale non è sufficiente per chiarire i dubbi circa i
divieti di frode: bisognerà risalire alla “Ratio” della Norma, e la sua individuazione comporterà un
largo uso di strumenti congetturali.
Una volta individuata la ratio, si potrà considerare fraudolento, per analogia, il negozio che metta
in scacco la ragione di una norma data; naturalmente, l'individuazione della ragione della norma
può evolvere con l'evolvere dei tempi e, quindi, con la sensibilità dell'interprete.
Ad es., per un Giudice che apprezzi liberamente la realtà economica, la frode non potrà nemmeno profilarsi; se invece il Giudice sia
totalmente legato alle strutture giuridiche formali, la frode opera e non può essere repressa, in quanto la condotta sarà comunque
conforme alla Legge su un piano formale; se infine il Giudice sia sì legato alle strutture giuridiche formali, ma ha il potere di
superarle, allora potrà prendere iniziative di più o meno ampia portata per reprimere la frode.
Il Legislatore si occupa solo dei primi due problemi all'art. 1349 C.c., limitatamente all'ipotesi in
cui la determinazione competa ad un Terzo “Arbitratore”.
Di regola (comma 1) l'arbitratore procede secondo il suo Equo Apprezzamento: se non lo fa, le parti
potranno rivolgersi al Giudice, anche in caso di apprezzamento manifestamente iniquo od erroneo,
(cioè, per Sacco, macroscopicamente e certamente iniquo od erroneo) per avere una corretta
determinazione.
Le parti, però, possono rimettersi anche al “Mero Arbitrio” del terzo (comma 2), lasciandogli carta
bianca ed impugnando la sua determinazione solo se hanno le prove della sua mala fede (che, per
Sacco, consisterà nella presenza di motivi illeciti: ad es., va dimostrato che il terzo si è fatto
corrompere da una delle parti).
Inoltre, qualora l'arbitratore non provveda alla determinazione o questa venga impugnata, le parti
non potranno domandare che alla determinazione provveda il Giudice: in questo caso, infatti, le
parti avevano riposto particolare fiducia nell'arbitratore e la sua figura non è surrogabile dal giudice.
Potranno soltanto accordarsi per sostituirlo con un'altra persona di pari fiducia: altrimenti, il
contratto è nullo.
Sebbene Sacco disapprovi, la Cassazione ritiene inoltre leciti i patti con cui le parti stabiliscono che
un elemento del contratto dovrà essere determinato di comune accordo in un momento successivo.
♦ Determinazione Unilaterale del Contratto → La Dottrina italiana conosce inoltre la figura della
Determinazione Unilaterale del Contratto.
La Direttiva Europea 93/13 sulle Clausole Vessatorie considera abusiva la clausola che concede al
contraente professionista di poter modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto
senza adatto motivo.
Tuttavia, in tema di contratto plurilaterale è stata riconosciuta valida la clausola con cui una parte
prestava Adesione Preventiva alle Modifiche che altre parti intendessero introdurre nel contratto.
LA CONDIZIONE LEGALE
La Condizione Legale (o Condicio Iuris) è una condizione imposta non dalla volontà delle parti,
ma dalla Legge, ed è tale per cui senza di essa il negozio non può produrre effetto (es. la morte per
l’efficacia delle disposizioni testamentarie).
Se da un lato la Dottrina non si è ancora accordata sulla definizione da dare a questa figura, la
Giurisprudenza la utilizza in modo corrente, facendovi rientrare in particolare i casi in cui siano
richiesti atti amministrativi (richieste, autorizzazioni, ecc...) cui è subordinata la liceità della
prestazione promessa.
♦ Retroattività della Condizione (art. 1360 C.c.) → Salvo diversa previsione e salva la natura
del rapporto (ad es., contratti ad esecuzione continuata o periodica) la condizione opera, in via di
massima, con effetto retroattivo (ex tunc), riferito al momento della conclusione del contratto .
L’art. 1361 C.c. integra il regime, validando gli atti di amministrazione compiuti e l’acquisto dei
Frutti maturati in pendenza della condizione dalla parte cui spetta l’esercizio del diritto: quindi,
una volta avverata la condizione, andranno restituiti solo i frutti percepiti dopo l'evento avverato.
LA CONDIZIONE UNILATERALE
La condizione unilaterale è quella che viene apposta a protezione dell'interesse di uno solo dei
contraenti.
Premesso questo, gli Autori si chiedono come sia possibile che una larga Giurisprudenza abbia
statuito che, avverato l’evento, la parte nel cui interesse sia stata apposta la condizione possa
rinunciare ad essa e trattare il negozio come puro ed incondizionato.
Infatti, come la Legge, nel prevedere forme di tutela ed assegnazioni di diritti soggettivi, non dà (di
regola) ai beneficiari il potere di rinunciarvi, allo stesso modo, notano gli autori, non c'è motivo di
ragionare diversamente in tema di condizione unilaterale.
Questa regola, ormai radicatissima, è probabilmente formata nell’area delle Condizioni Risolutive
di tipo “Sanzionatorio”: la Risoluzione, infatti, è vista dalla giurisprudenza come “rinunciabile”,
anche tacitamente, dal soggetto protetto.
(!) Tuttavia, se già la condizione crea di per sé incertezze nei traffici (in quanto ricollega gli effetti
del negozio ad un evento futuro ed incerto), un'eventuale ed ulteriore incertezza data dalla possibile
rinuncia alla condizione stessa causerebbe a sua volta un'incertezza globale ancora maggiore.
Ora, ovviamente la Condizione Unilaterale è rinunciabile, in quanto prevista nell'interesse d'una
sola parte: se anche l'altra potesse invocarla, non si distinguerebbe dalla condizione in generale.
I problemi principali, su cui la Giurisprudenza oscilla, sono:
▪ L'Unilateralità della condizione è frutto di una volontà contrattuale delle parti, o viene apposta
nell'interesse d'una sola parte?
▪ Entro quando può essere esercitata la rinuncia?
▪ Che forma deve avere tale rinuncia?
Quanto alle soluzioni pratiche, adottate nelle Sentenze, si può ravvisare che:
▪ Nei primi anni '90, la Giurisprudenza riteneva che l’unilateralità della condizione fosse una
realtà oggettiva, dipendente dall’unilateralità dell’interesse posto a monte della clausola, e che la
decisione del legittimato era vista come una “Rinuncia” che poteva operarsi anche tacitamente
(carattere non negoziale della condizione);
▪ A partire dal 1992, la Cassazione ha abbandonato la costruzione imperniata sulla “rinuncia”
alla condizione, aderendo invece all’idea dell’“Opzione” e deducendone che l’esercizio del potere
del legittimato abbia carattere negoziale (= è cioè frutto della volontà delle parti) e che debba
operarsi con il rispetto della Forma richiesta per il contratto che si conclude;
▪ Nel 1997 si torna ad ammettere la sufficienza del comportamento concludente.
♦ Condizione Risolutiva meramente potestativa → Può essere ammessa? Nel silenzio della
Legge, si ritiene di sì, anche se alcuni la considerano nulla o non apposta.
Gli Autori ritengono che si debba distinguere a seconda del tipo di obbligazione:
▪ Obbligo di Fare → Ad es.: “Mi impegno a rispettare la non concorrenza, finché ne avrò voglia”.
E' chiaramente una promessa inutile, e quindi nulla;
▪ Obbligo di “Pati” → Ad es.: “Mi impegno a sopportare il rumore, finchè non deciderò di
oppormi”. E' una promessa non inutile, perché vale come consenso dell'avente diritto;
▪ Obbligazione di Alienare → Ad es.: “Mi impegno a venderti questo bene, ma esso tornerà mio
quando ne avrò voglia”. Gli Autori ritengono valido un simile patto, inquadrabile come “patto
restitutorio”, finché non svuoti d'ogni significato la stipulazione o l'alienazione principale, o non
ne alteri la natura;
▪ Obbligazione di Dare → Ad es.: “Ti darò la cosa fin quando tu non vorrai restituirmela”.
La clausola è nulla.
Strettamente legata a questo complesso di regole è la norma contenuta nell’art. 1358 C.c.: la parte
che si è impegnata sotto condizione (alienante sotto condizione sospensiva o acquirente sotto quella
risolutiva) deve, in pendenza di questa, comportarsi secondo Buona Fede per non pregiudicare
l’altra parte.
Se l'art. 1356 C.c. regola obiettivamente la relazione fra diritto e rimedio, l'art. 1358 C.c. enunzia la
regola cui si atterrà il contraente, pendente la condizione.
Il dovere di buona fede ex art. 1358 C.c. è un dovere generalizzato: in particolare, esso dovrebbe
venire invocato quando il contratto sia sottoposto ad una Condizione Legale, che può consistere in
un Atto Amministrativo, o di Volontaria Giurisdizione (tipo di giurisdizione diretta non a risolvere
controversie, ma alla gestione di un negozio o di un affare, per la cui conclusione è necessario
l'intervento partecipativo di un terzo - il Giudice - estraneo ed imparziale, che collabori con le parti
allo scopo di costituire un determinato rapporto giuridico; ad es. si pensi all'autorizzazione alla
vendita di beni di minori; all'omologazione d'un atto societario, ecc...) che possa essere promosso
da una sola delle due parti.
♦ Vessatorietà della C.P. → La Giurisprudenza esclude che la C.P. abbia natura vessatoria, perché
si concreta in un’anticipata liquidazione del danno, e ne deduce che non occorra la specifica
approvazione per iscritto ex art. 1341 comma 2 C.c.; inoltre, il debitore è tutelato dalla possibilità
di chiedere la riduzione ex art. 1384 C.c.. Ugualmente ritengono gli Autori.
Al contrario è stato osservato dalla Dottrina (Mirabelli) che la C.P. comporta una limitazione alla
facoltà di opporre Eccezioni, perché esclude la prova dell’inesistenza del danno: sarebbe quindi
vessatoria.
(!) Nell’ambito dei Contratti per Adesione, è possibile prevedere una clausola penale a carico
del predisponente: se però si prevedesse una somma inferiore rispetto al danno prevedibile,
allora, secondo gli Autori, in questo caso sarebbe una clausola vessatoria, perché integrerebbe
una clausola di limitazione della responsabilità del predisponente.
(!) Nell'ambito dei Contratti del Consumatore, ex art. 33, comma 2, lett “f”, Cod. Cons. (D.
Lgs. 206/2005), la clausola penale di importo manifestamente eccessivo è vessatoria e, quindi,
inefficace (nulla) ove non si provi che era stata oggetto di trattativa; in caso contrario sarà
invece efficace, ma comunque riducibile ex art. 1384 C.c..
♦ Funzione della C.P. → La Dottrina ha discusso molto sul tema, diversamente dalla
giurisprudenza; gli orientamenti riportati sono i seguenti:
▪ La C.P. ha una funzione esclusivamente Penale, cioè di vera e propria “sanzione”;
▪ Solo la C. Penale “Pura”, che cioè cumula il valore della C.P. con l'integrale risarcimento del
danno – e che, per questo, non è ammessa dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie –
avrebbe una funzione Penale.
La C.P. “Non pura”, cioè quella vista finora, avrebbe invece funzione Penale e Risarcitoria;
▪ Altri ritengono che la C.P. abbia una funzione Risarcitoria Essenziale ed una funzione Penale
Eventuale;
▪ Altri (Marini) ritengono che la C.P. abbia la funzione di determinare anticipatamente e
convenzionalmente una sanzione a struttura obbligatoria a seguito dell'inadempimento o del
ritardo nell'adempimento;
▪ L’orientamento dominante e forse l’unico che è stato condiviso anche in qualche sentenza della
Cassazione, invece, pone sullo stesso piano le due funzioni: sia sanzionatoria che risarcitoria.
In base a tale orientamento, la C.P. sarebbe finalizzata al rafforzamento del vincolo contrattuale
ed alla liquidazione preventiva del danno.
(!) Gli Autori ritengono invece che si debba valutare caso per caso, perché la penale può
assolvere, di volta in volta, diverse funzioni.
Le parti, infatti, potrebbero prevedere una clausola penale per indurre il debitore ad adempiere,
oppure per limitare il risarcimento, o ancora per evitare controversie sul quantum del danno.
♦ Particolari figure di C.P. → Si tratta del Patto d'Interessi Moratori (art. 1224, comma 2, C.c.)
e della Clausola di Ritenzione delle Rate Pagate (art. 1526, comma 2, C.c.).
♦ Penali Legali → Sono le C.P. previste ex lege: ad es., l'imposizione di interessi moratori in caso
d'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria (art. 1224, comma 1, C.c.); la ritenzione da parte
degli Amministratori delle somme riscosse, in caso di mancato pagamento delle quote da parte
del socio (art. 2344, comma 2, C.c.); ecc... - v. Manuale pag. 446 -.
♦ Penali Giudiziali → Consistono in penalità imposte dal Giudice alla parte soccombente, al fine
di rafforzare la sentenza di Condanna: sono per lo più previste in tema di brevetti, marchi e diritti
dei consumatori e degli utenti.
♦ Distinzioni → La C.P. va distinta dalla Caparra (confirmatoria e penitenziale), dalla Multa
Penitenziale, dalla Clausola Limitativa di Responsabilità e dall'Obbligazione Alternativa.
Come si coordinano gli artt. 1229 e 1382 C.c.? Può una Clausola Penale senza risarcimento del
danno ulteriore valere come Clausola Limitativa della Responsabilità?
► Alcuni contratti, infine, prevedono sia la penale (es. €1000 per ogni giorno di ritardo
nell'adempimento; è il caso degli appalti) ed anche la clausola limitativa della responsabilità (ad
es., quando si dice “il danno arrecato non potrà superare il 10% del corrispettivo totale).
♦ Condizioni per la Riduzione → La C.P. può essere ridotta alle seguenti condizioni:
▪ L'Obbligazione Principale è stata eseguita in parte;
▪ L'Ammontare della C.P. è manifestamente eccessivo.
In ogni caso, il Giudice deve guardare all'interesse che il Creditore aveva all'adempimento, nel
momento in cui il contratto sia stato concluso: sono irrilevanti le vicende successive.
Esempio → E' stata giudicata eccessiva la C.P. che prevedeva, a favore del lavoratore, in caso di mancato rinnovo del
contratto di lavoro, il pagamento della retribuzione, pur restando il lavoratore libero di disporre delle sue capacità
lavorative.
(!) Nel silenzio dell'art. 1384 C.c., la C.P. può essere ridotta anche dopo che sia stata corrisposta.
II – LA CAPARRA CONFIRMATORIA
NOZIONE ed AMBITO
Spesso uno dei contraenti, alla conclusione del contratto, dà all’altro una Somma di Denaro o una
Quantità di altre Cose Fungibili: ciò può avvenire a vario titolo. Può trattarsi, infatti, di:
Un Acconto → Cioè un “Adempimento parziale preventivo”;
Una Cauzione → Somma o beni corrisposti a titolo di garanzia del risarcimento in caso d'inadempimento;
Una Caparra Penitenziale → Somma data come corrispettivo del Recesso convenzionale;
Una Caparra Confirmatoria → La dazione in esame serve a dimostrare, secondo un'antica prassi, la serietà con
la quale il contratto viene stipulato.
In quest'ultimo caso, la parte che consegna la caparra ha diritto o ad un accordo sul prezzo (= la
caparra fungerà da anticipo), o alla restituzione della caparra al momento dell'esecuzione del
contratto.
● Se la parte che dà la caparra si rende inadempiente, l'altra parte può recedere dal contratto e
trattenere la somma ricevuta;
● Se a rendersi inadempiente fosse quest'ultima parte (quella che ha percepito la caparra), l'altra
parte può scegliere se recedere o meno dal contratto.
Se recede, ha diritto a pretendere il doppio di quanto versato come caparra.
(!) In ogni caso, la parte che non è inadempiente può, in alternativa, domandare l’Esecuzione o la
Risoluzione del contratto: in tal caso, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali (art.
1223 C.c.).
♦ Caparra Confirmatoria o Penitenziale → Nel dubbio, la caparra è confirmatoria: spetterà poi
al Giudice di Merito operare l'accertamento nel caso concreto.
♦ Natura della C. Confirmatoria → Essa ha natura Reale, perché si perfeziona con la consegna,
ed ha natura Accessoria, perché segue le vicende dell'obbligazione cui accede.
♦ Oggetto della C. Confirmatoria → Possono essere solo somme di denaro o quantità di cose
fungibili: non sono ammessi ad es. i vaglia cambiari, in quanto promesse di pagamento.
Se ha ad oggetto una somma di Denaro, si tratta di Debito di Valuta (Principio Nominalistico).
♦ Il Contratto e la C. Confirmatoria → In passato si riteneva che la C. Confirmatoria potesse
accedere soltanto ad un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite (ad es., un
Preliminare): oggi, invece, si ritiene che possa accedere anche un contratto definitivo, anche se è
naturalmente più congeniale ad un contratto preliminare.
LA DISCIPLINA
In caso d'inadempimento, il contraente non inadempiente può scegliere tra:
Recedere dal Contratto, ritenendo la caparra od esigendone il doppio;
Chiedere l'Esecuzione o la Risoluzione.
In ogni caso, presupposto necessario è che vi sia inadempimento: il mero Ritardo non è di regola
sufficiente.
Se il contraente non inadempiente dichiara di ritenere la caparra (o pretende il versamento del
doppio) non può poi chiedere l’adempimento; viceversa, se chiede l’adempimento può poi
recedere e ritenere la caparra (o pretenderne il doppio); per parte sua il contraente inadempiente
che perde la caparra (o che si vede chiedere il doppio) non ne può chiedere la riduzione.
♦ Riduzione Equitativa → La Cassazione ha sempre negato che la C. Confirmatoria potesse essere
ridotta equitativamente: l'art. 1384 C.c. non sarebbe applicabile per analogia.
Le Ordinanze della Corte Costituzionale 248/2013 e 77/2014 hanno invece ammesso che il
Giudice possa, d'ufficio, ridurre la Caparra Confirmatoria.
La Corte Costituzionale, chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 1385 C.c. (questione, peraltro, ritenuta inammissibile e, quindi,
rigettata) ha incidentalmente affrontato l’argomento in esame e, nell’obiter dictum contenuto nella pronuncia in commento, ha ipotizzato che,
nell’ipotesi in cui un contratto preliminare sia caratterizzato dal versamento di una caparra confirmatoria ritenuta (eccessivamente) onerosa, detto
contratto possa porsi in contrasto con i principi di Buona Fede contrattuale e di Solidarietà Sociale di cui all’art. 2 Cost . e, pertanto, possa
addirittura essere ritenuto Nullo, parzialmente, ovvero integralmente, ai sensi dell’art. 1418 C.c..
Come sottolinea anche l'Analisi Economica, è pericoloso ammettere che il Giudice possa annullare il contratto perché la parte viene meno ai
doveri di solidarietà: il pericolo è sempre quello dell'arbitrarietà delle decisioni. (cfr. Sentenza Renault, Cassaz. 20106/2009).
Gli Autori si concentrano qui sulla Procura: il Terzo ne verrà a conoscenza attraverso la
contemplatio domini e, in aggiunta, potrà anche chiedere la Giustificazione dei Poteri (ex art.
1393 C.c.) al procuratore.
Altrimenti, il terzo potrà venirne a conoscenza anche durante l'esecuzione del contratto, attraverso
un Negozio Bilaterale di Accertamento con il Rappresentato, o con Atto Ricognitivo Unilaterale.
♦ Forma della Procura (art. 1392 C.c.) → La procura dev’essere conferita con le forme prescritte
dalla Legge per il contratto che il rappresentante deve concludere (forma per relationem).
▪ Qualora il rappresentante debba compiere un Atto Unilaterale, la forma sarà per relationem
soltanto se l'atto sia fra vivi ed abbia contenuto patrimoniale: altrimenti, c'è libertà nelle forme
per i meri atti giuridici (es. costituzione in mora);
▪ La Giurisprudenza ammette la Procura Informale se trattasi di Forma Convenzionale non
imposta per Legge;
▪ Se non è richiesta la forma scritta, è ammessa la Procura Tacita per fatti concludenti,
osservando le relazioni intercorrenti fra rappresentante e rappresentato di fronte ai terzi.
♦ Onere della prova dell'Esistenza dei Poteri → Spetta al Terzo dimostrare l'esistenza dei poteri
in capo a chi ha agito come rappresentante, se intenda addossare gli effetti del contratto al
rappresentato (il terzo quindi ritiene che ci sia rappresentanza).
Se invece il Terzo addossasse gli effetti del contratto al rappresentante (ritenendo come parte
“sostanziale” la controparte “formale” con cui ha contrattato, cioè il rappresentante), spetterà al
Rappresentante stesso dimostrare di aver concluso il contratto per altri.
♦ Limiti dei Poteri → Sono posti di regola dal Rappresentato; in alcuni casi è invece la Legge a
disporli (ad es., l'art. 808 C.p.c. stabilisce che chi abbia il potere di stipulare il contratto – quindi
anche al rappresentante – può anche convenire una Clausola Compromissoria).
Anche la Giurisprudenza di Cassazione ha previsto limiti tipici: ad es., il rappresentante non ha il
potere di approvare specificamente per iscritto la clausola vessatoria derogativa della competenza
territoriale del Giudice civile.
♦ Ambito della Procura → La procura abilita a porre in essere tutti gli atti necessari al
compimento di quelli per cui è stata conferita.
La Procura Generale non si estende agli Atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.
♦ Modifica o Revoca (art. 1396 C.c.) → Sono entrambi atti unilaterali recettizi.
Grava sul Rappresentato l'onere di portarle a conoscenza dei Terzi con mezzi idonei, ai fini della
loro opponibilità, salvo che si provi che i Terzi ne erano già a conoscenza.
(!) Ciò vale solo per la Procura Generale: in caso invece di Procura Speciale, il compimento
dell'atto per cui è stata rilasciata produce la cessazione degli effetti della procura anche nei
confronti dei Terzi.
Si ha Revoca Tacita (con medesima disciplina dell'onere probatorio) qualora il Rappresentato:
▪ Compia egli stesso l'affare per cui aveva conferito la procura;
▪ Dia la procura ad un diverso rappresentante, per lo stesso affare.
Per le altre cause di estinzione della Rappresentanza, non è previsto un onere di renderle note
ai Terzi: tuttavia, non possono esser loro opposte se questi le ignoravano senza colpa (ad es., la
morte del rappresentato).
Il Rappresentato ha quindi l'onere di dimostrare che i Terzi:
O conoscevano già la modifica o la revoca della procura;
O hanno ignorato per propria colpa l'estinzione della rappresentanza.
♦ Restituzione della Procura (art. 1397 C.c.) → Vi è tenuto il rappresentante, cessati i suoi poteri.
♦ Procura nell'Interesse del Rappresentante → Si ritiene ammissibile ex art. 1723 C.c.: qui la
procura può esser revocata solo per giusta causa, e non si estingue né per morte, né per
sopravvenuta incapacità, né (secondo la Giurisprudenza) per fallimento del Rappresentato.
♦ Gli Effetti del Contratto, Scioglimento e Ratifica → Al momento della conclusione, il contratto
rappresentativo non produce effetti tra:
▪ Terzo contraente ed Interessato: perché il falsus procurator difettava dei poteri;
▪ Terzo contraente e Falsus Procurator: perché quest'ultimo ha contrattato in nome di altri;
Il contratto produrrà effetti tra Interessato e Terzo solo in caso di Ratifica (art. 1399 C.c.), prima
della quale, comunque, il Terzo ed il Falsus Procurator possono, d'accordo fra loro, sciogliere il
contratto.
Si vuole così escludere un pentimento tardivo del Terzo, attuato tramite Recesso Unilaterale: le
parti, con la stipulazione, si sono vincolate a mantenere il contratto fino all'eventuale ratifica.
▪ Facoltà d'Interpello (art. 1399, comma 4, C.c.) → Attribuisce al Terzo la possibilità di
chiedere all'interessato di pronunciarsi entro un preciso termine sull'eventuale ratifica: è così
tutelato l'interesse del Terzo a che la ratifica non sopraggiunga ad eccessiva distanza temporale.
♦ L'Interessato → E' arbitro della sorte del contratto concluso dal falsus procurator. Può infatti:
▪ Agire in giudizio per far dichiarare l'Inefficacia del contratto (che non è rilevabile d'Ufficio):
è l'unico legittimato e l'azione è imprescrittibile;
▪ Restare inattivo: il contratto comunque non produrrà effetti nei suoi confronti. Se ha ricevuto un
interpello del terzo, il suo silenzio alla scadenza del termine rende il contratto definitivamente
inefficace.
▪ Ratificare il Contratto: la ratifica, in assenza d'interpello, è ammessa senza limiti di tempo.
♦ La Ratifica (art. 1399 C.c.) → La Ratifica è un Atto Unilaterale Recettizio che dev'essere
rivolta al terzo contraente o, quanto meno, dev'essergli comunicata: produce effetto nel momento
in cui il Terzo ne ha conoscenza.
Non occorrono formule particolari: basta che la volontà di ratifica del dominus risulti in modo
inequivoco (ovviamente, il dominus deve avere conoscenza del negozio che sta ratificando).
▪ Forma (comma 1) → La Ratifica deve avere la stessa forma del Contratto Rappresentativo.
Se la forma è “libera”, la ratifica può anch'essere “Tacita”.
La Giurisprudenza ritiene che, dovendosi la Ratifica distinguere dalla “Convalida”, prevista in tema di contratto
annullabile, non possa considerarsi “Ratifica Tacita” l'iniziata esecuzione del contratto; gli Autori ritengono però
eccessiva tale impostazione, perché anche dall'esecuzione può dedursi la volontà del “dominus” di far propri gli
effetti del contratto.
♦ Retroattività della Ratifica (art. 1399, comma 2, C.c.) → La ratifica, con effetto retroattivo ex
tunc, conferisce ex post al falsus procurator la legittimazione che non aveva quando ha stipulato il
contratto. Vanno però fatte alcune precisazioni:
▪ La ratifica non vale a sanare Vizi od Invalidità (es. violenza, mancanza di forma, ecc...)
sussistenti al momento della stipulazione del contratto rappresentativo;
▪ In caso di ratifica, sono irrilevanti eventuali cause sopravvenute ostative alla valida
conclusione del contratto;
▪ La ratifica è posta nell'interesse del Terzo contraente e ne soddisfa l'Interesse Positivo
all'adempimento, se interviene;
▪ Con la ratifica, comunque, sono salvi i Diritti dei Terzi, dovendosi per “terzi” intendere,
secondo gli Autori, soltanto gli Aventi Causa dell'Interessato in data anteriore alla Ratifica.
Esempio → S'immagini un bene che l'interessato abbia già venduto ad un terzo: a questo punto, il falsus procurator vende quello
stesso bene ad un altro terzo: in questo caso, l'effetto retroattivo della ratifica dell'interessato, che lo rende “rappresentato”, non
può pregiudicare l’acquisto del terzo con cui ha stipulato in data anteriore alla ratifica.
IL RAPPRESENTANTE APPARENTE
Si è quindi visto che chi contratta con un rappresentante senza poteri ha una tutela limitata.
Ex art. 1396 C.c., il Contratto Rappresentativo ha effetto soltanto se il difetto di poteri è dovuto
alla Modificazione, alla Revoca o altra Causa di Estinzione della Procura, a condizione che il
Terzo contraente abbia senza sua colpa ignorato tali eventi.
(!) Una costante Giurisprudenza ritiene inoltre che il contratto abbia effetto anche nel caso in cui il
Terzo ritenga che il “falsus procurator” abbia i poteri, e tale erronea convinzione sia dovuta a
colpa del “Dominus Negotii”, cioè a colpa di colui il cui nome è stato speso (= l'interessato).
Ovviamente cade su chi invoca il Principio dell'Apparenza (cioè sul terzo) l'onere di provare la
colpa del Dominus.
In tale ipotesi, sarà il terzo contraente ad essere “arbitro” degli effetti del contratto rappresentativo: a sua scelta, in fatti,
potrà dedurre l'inefficacia del contratto ed agire nei confronti del falsus procurator per il risarcimento del danno; o
potrà agire nei confronti del dominus per l’esecuzione del contratto.
N.B. → Tuttavia, l’errore del Terzo è giudicato inescusabile quando avrebbe potuto essere evitato
impiegando la normale prudenza nella condotta degli affari e giovandosi degli strumenti legali di
pubblicità, o quando il conferimento dei poteri rappresentativi deve avvenire per iscritto.
In caso di necessaria procura scritta, alcuni – Benatti – parlano di “impossibilità tecnica” di configurare una procura apparente.
L'imputabilità dell’errore al “Dominus” viene riconosciuta soprattutto quando questi non si sia
preoccupato di rendere noto ai terzi che sono intervenuti mutamenti rispetto al passato (es.
procura del rappresentante scaduta).
► Il Principio dell'Apparenza (che si applica quando il fenomeno concreto non ha le
caratteristiche giuridiche richieste, ma siccome si genera un affidamento sul fatto che quel
fenomeno esista correttamente, quel fenomeno diventa giuridicamente rilevante), vale soprattutto ad
estendere l'ambito della Procura Tacita e della Inopponibilità dell'Estinzione della Procura.
La ratio è ad es. la stessa dell'art. 1189 C.c. sul “Creditore Apparente”: il debitore che esegue il pagamento a chi
appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato, se prova di esser stato in buona fede.
♦ Vizi della Volontà (art. 1390 C.c.) → Sono rilevanti soltanto i Vizi della Volontà del
Rappresentante; se però il vizio riguarda elementi predeterminati dal Rappresentato, il
contratto sarà annullabile solo se la volontà di quest'ultimo risulti viziata.
♦ Stati Soggettivi Rilevanti (art. 1391 C.c.) → Nei casi in cui rilevano gli stati di buona o mala
fede, di scienza o di ignoranza di date circostanze, si ha riguardo al Rappresentante, sempre salvo
che non si tratti di elementi predeterminati dal Rappresentato.
▪ Rappresentato in Mala Fede → Non può giovarsi della buona fede o dell'ignoranza del
Rappresentante. Può giovarsene solo se in buona fede;
▪ Rappresentante in Mala Fede → Secondo gli Autori, la mala fede va qui comunque riferita al
Rappresentato, anche se in buona fede.
▪ Si ritiene che, in tema di Azione di Rescissione, lo stato di bisogno vada accertato con
riferimento al Rappresentato, e non al rappresentante.
♦ Onere della Prova → Spetta al Rappresentato dimostrare che il conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal Terzo.
♦ Danno Potenziale → Ai fini dell'annullamento basta che la conclusione del contratto sia
potenzialmente dannosa per il Rappresentato: l'iniziata esecuzione del Terzo non esclude
l'impugnabilità del contratto.
Es.: in materia di Titoli Quotati non può esservi conflitto, perché non può aversi divergenza tra prezzo pattuito e prezzo di mercato.
▪ La Giurisprudenza esclude il conflitto se il contratto sia stato concluso a condizioni migliori
di quelle che avrebbe ottenuto il rappresentato.
▪ La Giurisprudenza non ritiene che ci sia sempre conflitto in caso di contratto concluso a
condizioni deteriori: ciò può però costituire un indizio a favore del conflitto d'interessi.
► Contratto con se stesso (art. 1395 C.c.) → E' una particolare ipotesi di conflitto d'interessi, in
cui il rappresentante conclude il contratto in proprio o come rappresentante di altri.
E' annullabile su istanza del Rappresentato (unico legittimato all’impugnativa), sempre che
quest'ultimo non lo abbia autorizzato specificatamente o il contenuto del contratto non sia
predeterminato dal rappresentato in modo da escludere il conflitto di interessi.
Esempio → Si pensi all'amministratore di una società che assuma se stesso come dipendente.
LA RAPPRESENTANZA LEGALE
Ex art. 1387 C.c., il potere di rappresentanza è conferito anche dalla Legge.
Rappresentanza Legale e Volontaria hanno in comune la sostituzione di un soggetto al titolare degli interessi per la
conclusione di contratti; ma, nella prima, il Rappresentante (Legale) opera in base ad un potere che gli compete come
proprio in relazione ad un ufficio di diritto privato e, di conseguenza, non spende il nome altrui.
♦ Scopo → L'istituto viene utilizzato in particolare qualora l'eletto non voglia comparire subito.
Potrebbero esservi motivi personali: ad es., si pensi ad un imprenditore che voglia acquistare un ramo d'una azienda concorrente e
tema che, se figurasse egli come acquirente, gli alienanti gli chiederebbero un prezzo maggiore (Torrente).
E' frequente il ricorso all'istituto nei contratti che hanno ad oggetto partecipazioni sociali: il “Sale
and Purchase Agreement” è concordato e sottoscritto da un soggetto (ad es., la Holding) che si
riserva la facoltà di nominare un altro soggetto (ad es., una controllata) per il closing.
♦ Limiti → L'istituto è una figura generale, ma non può trovare sempre applicazione.
▪ E' innanzitutto necessario che la persona di uno dei contraenti sia fungibile, cioè che sia
indifferente se sarà parte l'eletto o lo stipulante: sicuramente, non potrà applicarsi l'istituto
laddove una parte sia specificamente imposta per Legge;
▪ Si ritene necessario che si tratti di Contratto a Prestazioni Corrispettive non ancora eseguite:
gli Autori sono però un po' scettici sul punto, tanto più che la norma tace sul punto;
Lo stesso limite è invece espressamente previsto in caso di Cessione del Contratto (v. art. 1406 C.c.).
♦ Ambito applicativo → La riserva di nomina può essere apposta ad un contratto ad Effetti Reali,
ad Effetti Obbligatori, ad un contratto Preliminare e ad un contratto Definitivo.
E' altresì ammesso il Contratto Preliminare di Contratto per Persona da nominare.
► Contratto per conto di chi spetti → Qui, chi agisce, agisce espressamente in nome e per conto
altrui, e non diventa parte del contratto.
E' un istituto previsto in tre casi:
Rivendita della cosa sospetta di essere viziata (art. 1513 C.c.);
Per la cosa trasportata, in caso di controversia sulla riconsegna, di ritardo del destinatario nel
riceverla, o di deperibilità (art. 1690 C.c.);
Per l'Assicurazione (art. 1891 C.c.).
LA DICHIARAZIONE di NOMINA
Ex art. 1402, comma 2, C.c., l'Electio Amici è validamente operata qualora:
▪ Esista una Procura Anteriore al contratto;
▪ Sia intervenuta l'Accettazione dell'Eletto: tale accettazione dev'essere contestuale alla
dichiarazione, onde evitare che il promittente si trovi nell'incertezza sull'identità della controparte.
Naturalmente, l'accettazione deve intervenire entro il Termine (v. infra).
Lo stipulante può anche nominare più soggetti; può anche restare parte del contratto ed
aggiungere a sé altri soggetti, se così dispone la clausola di riserva.
♦ Formule e Forma → La dichiarazione di nomina non richiede Formule Sacramentali.
Quanto alla Forma, essa è, “per relationem”, la stessa del contratto, anche se trattasi di forma
convenzionale.
Se l'atto è soggetto a Trascrizione, la dichiarazione di nomina dev'essere trascritta, a tutela
dell'eletto (artt. 2645 e 2684 C.c.).
♦ Termine → E' un termine di Decadenza, non rilevabile d'ufficio dal Giudice: l'art. 1402 C.c. lo
fissa in 3 giorni dalla stipulazione, salvo un diverso termine pattuito dalle parti.
▪ L'eventuale Dichiarazione Tardiva non produce effetto: al massimo, potrà dar luogo ad una
Cessione del Contratto.
PROFILI FISCALI
Il rispetto del termine di tre giorni è il principale presupposto perché, ai fini fiscali, l’operazione
possa essere considerata come costituita da un unico contratto, e non da due contratti (il primo
fra i contraenti originari ed il secondo fra lo stipulante e l’eletto).
Ciò è utile affinchè l'Atto di Nomina sia sottoposto alla sola Tassa fissa, a condizione che sia
redatto per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o che sia presentato per la registrazione
entro il termine di 3 giorni.
Altrimenti, è dovuta l'imposta stabilita per l'atto cui si riferisce la dichiarazione.
Il diritto del favorito rientra nei diritti acquistati dai terzi ai sensi dell’art. 1458 C.c.: perciò,
dovrebbe sopravvivere all’eventuale Risoluzione del contratto promossa da uno dei contraenti.
L'AMBITO
Gli Autori ritengono che tutti quei negozi volti a costituire un diritto in capo ad un soggetto
estraneo (accollo, stipulazione del mandatario senza rappresentanza, gestione di affari altrui, ecc...)
possano costituire, concettualmente, stipulazioni a favore del Terzo.
Tuttavia, nessuno ha mai fatto assurgere il regolamento di cui agli artt. 1411 e ss. C.c. a
regolamento generale per tali ipotesi.
Secondo alcuni l’ambito di applicazione della stipulazione a favore di terzi sarebbe limitato agli
Effetti Obbligatori: tale concezione deriva dal fatto che la norma descrive il soggetto del sacrificio
giuridico come “il Promittente”, cioè “colui che si obbliga a qualcosa”.
Più di recente, in particolare in Giurisprudenza, si è diffusa l’idea che essa possa estendersi agli
Effetti Reali, potendosi intendere “il promittente” anche come “l'alienante”, cioè colui che trasla
un diritto reale.
Contro l’efficacia reale del contratto a favore del “terzo non ancora accettante” militano le stesse ragioni che si possono
invocare contro l’efficacia reale della promessa di cui all’art. 1333 C.c., ma queste riserve operano solo nell’area dei
diritti reali che comportano oneri, e cessano di operare se il terzo accetta.
LA REVOCA ed il RIFIUTO
Se lo stipulante revoca la stipulazione, o se il terzo rifiuta di profittarne, la prestazione rimane a
beneficio dello Stipulante.
La Revoca è ritenuta, anche qui, un Atto Unilaterale Recettizio (cfr. Cassaz. 371/1955).
▪ Lo Stipulante, ad ogni modo, può rinunciare per iscritto al potere di Revoca;
▪ Prestazione da eseguire dopo la Morte dello Stipulante (art. 1412 comma 1 C.c.) → Il
negozio assume un aspetto intermedio fra l’atto tra vivi e la disposizione mortis causa.
In questo caso, né la stipulazione, né la dichiarazione del terzo di accettazione bloccano il
potere di revocazione dello stipulante (il quale può revocare anche mediante disposizione
testamentaria);
▪ Terzo che premuore allo Stipulante (art. 1412 comma 2 C.c.) → La prestazione dev’essere
eseguita a favore degli Eredi, purché il beneficio non sia stato revocato, o lo stipulante non abbia
disposto diversamente.
► Sacco, invece, ritiene che la Conclusione del Contratto non esclude l'art. 1337 C.c.: anche la
negoziazione che ha condotto alla formazione o conclusione del contratto è regolata da tale norma,
e la Giurisprudenza sembra oggi sensibile a tale orientamento.
Tant'è, che l'Autore ritiene che l'art. 1337 C.c. si presti alle più ampie applicazioni: ad es., egli
ritiene che se non esistessero gli specifici articoli sul Dolo e la Minaccia, che prevedono il rimedio
“forte” dell'invalidità del contratto, subentrerebbe l'art. 1337 C.c. in via sussidiaria.
♦ Il concetto di “Trattativa” nell'art. 1337 C.c. → Sarebbe irragionevole ritenere inoperante tale
articolo fino all'inizio della trattativa: altrimenti, resterebbe impunita la slealtà.
Per “trattativa” deve quindi intendersi, più latamente, l'attività collegata con un futuro contratto o
con un affidamento precontrattuale.
♦ Conclusione o meno del Contratto → Alcuni ritengono che l'art. 1337 C.c. si applicherebbe
solo in caso di mancata conclusione del contratto: si pensi alla nostra giurisprudenza che, in
passato, riduceva la colpa precontrattuale solo al caso del recesso ingiustificato.
(!) Sacco, invece, ritiene che la Conclusione del contratto non osti al Risarcimento quando
l'attore abbia stipulato a condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite con un
contegno leale della controparte convenuta (Dolo Incidente, art. 1440 C.c.).
Perciò trattasi di Responsabilità Extracontrattuale: ne segue, quindi, che il debito sia Debito di
Valore, non soggetto al principio nominalistico.
Così si orientano Giurisprudenza e Dottrina prevalenti.
Idea della natura extracontrattuale va di pari passo con la conclusione, definita in via pretoria
nell'ambito del Recesso Ingiustificato, che i danni risarcibili corrispondono all’Interesse
Negativo: al recedente si rimprovera non tanto la mancata conclusione del contratto, quanto l'aver
procurato un'illusione in merito alla conclusione stessa.
(!) Sacco, però, sottolinea che quella dell'interesse negativo sia solo una delle molte regole che
intervengono per sanzionare la responsabilità precontrattuale: infatti, vi sono forme di protezione
che non possono limitarsi al risarcimento dei danni causati dalla semplice illusione.
Ad esempio:
▪ Quando la trattativa comporti un'Indebita Lesione di un Bene che appartiene alla vittima (ad
es. violazione d'un segreto), si applicano le regole risarcitorie della Responsabilità Aquiliana,
senza particolari limiti;
▪ Se la slealtà opera creando indebitamente costituenti contrattuali (es. inganno) o impedendo
indebitamente fatti impeditivi d'un costituente contrattuale (es. omesso rifiuto, omessa revoca),
la reazione sarà la non operatività giuridica del costituente.
Esempio → Se l'agente ha impedito al proponente, con forza bruta, di revocare la proposta, la sanzione è la sopravvenuta non
operatività della proposta.
▪ Se invece la slealtà opera impedendo il venir in essere di costituenti (es. violenza per impedire
l'accettazione), la sanzione sarà quella fictio iuris data dalla conclusione del contratto;
▪ In caso di Dolo Incidente, bisogna risarcire il minor vantaggio economico (od il maggior
aggravio, è uguale) derivante dalle condizioni più svantaggiose;
▪ In caso di Promesse Millantatorie poi non riportate apposta nel Contratto, in forza della
regola che vieta di venire contra factum proprium, si avrà l'ultrattività della promessa
millantatoria, che entrerà a far parte del testo contrattuale.
GENERALITA'
Per “Contratto Preliminare” s'intende il contratto con cui le parti s'impegnano a stipulare, in
futuro, un altro contratto (definitivo).
Di regola, il preliminare è usato nella Compravendita, ma si conoscono anche il preliminare di
Appalto, di Locazione, di Agenzia, di Società – la Sentenza Costitutiva di cui all'art. 2932 C.c. può
creare una società, secondo Cassaz. 8/1970; ma è controverso –, ecc... .
Vi sono alcuni casi discussi:
Donazione → Il relativo preliminare si ritiene inammissibile, poiché contrasterebbe con la spontaneità
che si richiede ad un atto di liberalità (Roppo, invece, prova ad assecondare la dottrina minoritaria che
ammette il preliminare di donazione; egli afferma che potrebbe anche aversi un preliminare di donazione – se
fatto con forma pubblica e per spirito di liberalità –, ma il successivo atto di trasferimento non sarebbe un
contratto definitivo di donazione, quanto piuttosto un “atto esecutivo dell'obbligazione precedentemente
donata”: così, però – conclude Roppo –, non si avrebbe un vero e proprio “preliminare di donazione”);
Contratto di Società → Sarebbe inammissibile secondo parte della Dottrina.
Altra parte, e parte della Giurisprudenza, lo ritengono invece ammissibile in linea di principio, a condizione,
che, al pari di ogni altro contratto preliminare, rechi l’indicazione degli elementi essenziali del futuro
contratto di società. Ciò premesso, si ritiene altresì che debba tuttavia escludersi la possibilità di ricorrere
all’art. 2932 C.c. per l’esecuzione specifica dell’obbligo di stipulare un contratto di Società di Persone;
Infatti, come affermato da una parte della dottrina, al di fuori dei casi in cui ricorrono ragioni di ordine pubblico,
l’Ordinamento non conosce l’imposizione autoritaria di forme di sodalizio o di comunità, specie se si tratti di
organismi che, come quelli sociali e, precisamente, di contratti con comunione di scopo in relazione all'attività da svolgere
in comune, presuppongono spontanee predisposizioni psicologiche dei loro partecipanti. In questa prospettiva, nelle società
di persone, la percorribilità del ricorso alla norma di cui all’art. 2932 C.c. deve essere necessariamente esclusa.
Preliminare del Preliminare → La Cassazione, con la Sent. 8038/2009, ha ritenuto tale contratto “Nullo
per Difetto di Causa”, negando che un impegno a stipulare un successivo accordo meriti tutela da parte
dell'ordinamento. La Corte si è però recentemente ricreduta e, con la Sent. SS.UU. 4628/2015 ha invece
ritenuto ammissibile il preliminare del preliminare. La questione è comunque ancora aperta.
(!) Già Sacco evidenzia, nel suo Manuale (anteriore al 2015), la diffusione del Preliminare di
Preliminare e, persino, dell'Opzione di Preliminare di Preliminare.
♦ Preliminare con Obbligo d'una sola Parte → Sacco afferma che si perfezioni in conformità
all'art. 1333 coma 2 C.c., ma ritiene che possa dare problemi qualora gli si voglia attribuire una
causa diversa dalla liberale.
♦ Preliminare e Riproduzione di Contratti → Come si distinguono i due istituti? Si ravvisa una
fondamentale differenza nella tutela data dall'art. 2932 C.c. (esecuzione in forma specifica),
riservata al C. Preliminare e non alla riproduzione.
♦ Natura e Funzioni del Contratto Preliminare → Alcuni ritengono che, essendo il contratto un
“atto di autonomia”, non ci sia spazio per due contratti, uno preliminare, l'altro definitivo:
quest'ultimo, sarebbe, infatti, un mero “Atto Dovuto” e non negoziale.
Si può ribaltare il discorso e dire che il preliminare sia una mera dichiarazione non negoziale di
trattativa, e che il vero contratto sia il definitivo.
Diversi autori si chiedono perciò con quale contratto trasli la proprietà ex art. 1376 C.c..
(!) Sacco ritiene che queste elucubrazioni siano meramente dogmatiche e poco attente al dato
pratico: il Preliminare, in ogni caso, esiste; ed è sorto in tutti i Paesi ben prima che venisse poi
inquadrato nelle varie classificazioni giuridiche: è un prodotto della pratica commerciale, che
adempie a funzioni pratiche di primaria importanza.
Esempio 1 → Il contraente preferisce “impegnarsi a comprare” anziché comprare quando, volendo cautelarsi contro gli
inadempimenti, i vizi, i difetti di qualità, ecc..., e volendo nel contempo affrettare la formazione di un vincolo giuridico, preferisca
rinviare gli effetti reali al momento in cui lo stato di fatto e di diritto del bene gli sia meglio noto, in modo che un’eventuale
contestazione lo trovi legittimato passivo in un’azione di adempimento, piuttosto che legittimato attivo in un’azione di risoluzione.
Esempio 2 → Allo stesso modo, un contraente preferisce “promettere di vendere” anziché vendere, fino al momento in cui il prezzo
viene pagato.
IL CONTRATTO DEFINITIVO
Sacco introduce il paragrafo richiamando il tema della Doppia Causa del Definitivo.
Il tema è affrontato da Roppo: per un verso, il Definitivo ha “Causa Solvendi”, cioè le parti lo
concludono per adempiere l'obbligo assunto col preliminare; ma, al tempo stesso, ha un'altra sua
propria “Causa Tipica”, normalmente di scambio (ad es., il definitivo di vendita scambia il bene
contro il prezzo).
▪ Se si dà prevalenza al primo elemento, si valorizza la dipendenza del Definitivo dal
Preliminare;
▪ Se si dà prevalenza invece al secondo elemento causale, si valorizza l'autonomia del Definitivo.
(!) Sacco ritiene che il Definitivo sia un semplice “Atto Dovuto”: la tematica ha un grande rilievo
per quanto riguarda il tema del Consenso. Occorre un nuovo consenso per stipulare il definitivo?
Secondo la Giurisprudenza e la Dottrina maggioritarie, sì: ma Sacco ritiene di no, tant’è vero che si
può ottenere una sentenza costitutiva dell’ordine di contrarre (ex art. 2932 C.c.) ed ottenere lo
stesso effetto che la parte illecitamente ha rifiutato.
Da tale impostazione si traggono importanti corollari in tema di Vizi del Consenso; infatti,
considerando il definitivo come “Atto Dovuto”, se ne può dedurre che:
▪ L'Errore o Dolo sul Definitivo sia irrilevante: se anche si ottenesse l'annullamento del
definitivo, rivivrebbe il Preliminare, con la conseguenza che la parte convenuta potrebbe
chiedere la tutela specifica ex art. 2932 C.c.;
▪ Il Vizio del Consenso nel Preliminare od una Causa di Nullità travolgono anche il Definitivo
(ma, quanto alle azioni di annullamento, esse vanno fatte valere entro il termine di prescrizione);
▪ La Rescissione del Definitivo sia inammissibile: può essere impugnato per rescissione solo il
Contratto Preliminare, entro il termine di prescrizione di 1 anno.
(!) La Giurisprudenza, erroneamente per Sacco e Roppo, afferma invece che, intervenuti il
preliminare ed il definitivo, dal momento di quest'ultimo sorgerà una nuova azione di rescissione,
con un suo proprio termine annuale di prescrizione, decorrente dalla conclusione del
definitivo.
IL CONTRATTO NORMATIVO
Mediante questo atto, le parti prestabiliscono quale sarà il contenuto e quali saranno alcuni
aspetti di un numero imprecisato di futuri contratti che si riservano di concludere (quindi, la
differenza col preliminare sta nel fatto che le parti non si obbligano a stipulare futuri contratti).
Di regola, le parti restano fedeli al disposto del contratto normativo: ma nulla vieta che, cambiando
determinate situazioni, le parti cambino idee e progetti, superando così l'accordo normativo.
Questa impostazione sconcerta l'interprete italiano, che tenderà o a negare la natura negoziale del
contratto normativo, o a sostenere una (inconcepibile, per Sacco) inderogabilità delle clausole del
contratto normativo stesso.
♦ Effetti Giuridici → Sacco sintetizza gli effetti del C. Normativo come segue:
▪ Il C. Normativo costituisce una specifica e razionale tecnica della conclusione del contratto,
con cui le parti fissano, ora per allora, il contenuto dei loro affari futuri; poi via via concluderanno
in modo istantaneo i singoli contratti ulteriori, senza bisogno di dover discutere ogni volta le
clausole. Esso è un vero contratto, ma non obbliga le parti a concludere per sempre contratti
nel modo pattuito;
▪ In caso di contratto normativo dotato di clausole stipulate con Terzi, o concluso fra più Parti,
i singoli contraenti non sono liberi di disattendere il patto normativo, poiché esso è stato
stipulato con un soggetto terzo: altrimenti, scatta Responsabilità Contrattuale.
♦ Responsabilità del Monopolista → Per capire la natura della Responsabilità del monopolista,
va ricordato che la categoria del “Dovere Giuridico” può sorgere:
▪ Da una vera e propria Obbligazione → Che dà luogo a Responsabilità ex art. 1218 C.c.;
▪ Da una Regola di Condotta → Che dà luogo a Responsabilità ex art. 2043 C.c..
Nel caso del monopolista, questi è obbligato ex Lege: quindi, si ritiene che sia responsabile
contrattualmente ex art. 1218 C.c..
CAP. IV - L'OPZIONE
NATURA dell'OPZIONE
Ex art. 1331 C.c., L’opzione è un contratto con cui una parte emette irretrattabilmente la
proposta di concludere un ulteriore contratto, sì che la controparte potrà perfezionare, con la
propria (ed unilaterale) accettazione, questo contratto ulteriore.
(!) L'accettazione deve intervenire entro un termine convenzionale, altrimenti è fissato dal
Giudice (art. 1331, comma 2, C.c.).
♦ Opzione e Proposta Irrevocabile → Producono gli stessi effetti giuridici, ma differiscono in
quanto a struttura:
▪ L'Opzione è una convenzione, ossia un contratto, che dà vita ad un Diritto Soggettivo cedibile,
opponibile a terzi, ecc... . Il termine dev'esser convenuto dalle parti o, in mancanza, dal Giudice;
▪ La Proposta Irrevocabile è invece una dichiarazione unilaterale, che non dà vita ad un Diritto
Soggettivo. Il termine va fissato dal proponente: se manca, si considera come proposta semplice.
I più dicono che l'Opzione sia un “Contratto Unilaterale”: quindi, dovrebbe perfezionarsi, come la
proposta irrevocabile, ex art. 1333 C.c.: quindi, in base a tale punto di vista, dovrebbero consistere
in Promesse Unilaterali che, nell'ottica di Sacco, fanno sorgere un vincolo pur in assenza di
accettazione. Dove starebbe, quindi, la differenza?
(!) Sacco fa notare che, in realtà, i due istituti differiscono, poiché l'Opzione si appoggia ad una
Causa: di regola, infatti, l'opzione è pattuita dietro corrispettivo.
La causa onerosa farà sì che il consenso debba essere espresso da entrambe le parti: se l'opzione
fosse gratuita (e richiederebbe solo il consenso di chi la dispone), sarebbe indistinguibile dalla
proposta irrevocabile.
► Per Sacco, molti ritengono che il contratto d'opzione sia “Unilaterale” perché considerano
soltanto il sacrificio della parte che mantiene ferma la promessa del definitivo, senza considerare il
corrispondente sacrificio patrimoniale della controparte, in caso di corrispettivo.
► Oggi prevale la tesi (ad es., v. Roppo) che l’opzione possa essere gratuita (senza costituire atto
di liberalità, da farsi nelle forme della donazione), purché sia interessata, o se abbia una causa in
concreto che la giustifica nell’ambito di contratti collegati o nel più ampio complesso di
situazioni che legano le parti (ad es., patto di riscatto nel leasing, il call ed il put nella
compravendita di azioni, ecc...).
Quindi: nella Proposta Irrevocabile ci sarebbe solo una “proposta di contratto”; nell'Opzione ci sarebbero una proposta ed un
contenuto ulteriore, ossia una più ampia regolamentazione d'interessi delle parti, che ne esige l'accordo: perciò, nulla vieta che
tale accordo si formi senza bisogno di accettazione dell'opzionario, ex art. 1333 C.c. (Roppo).
♦ Cedibilità della Proposta → Fino a poco tempo fa, la Dottrina riteneva la proposta incedibile,
salvo poi ricredersi parzialmente di pari passo con l'emersione della concezione contrattuale
dell'opzione: l'Opzione è un contratto cedibile, la Proposta è incedibile.
(!) Sacco ritiene gravemente errata tale impostazione: per lui, infatti, è ammissibile la Cessione
dell'Opzione ed anche della Proposta Revocabile od Irrevocabile, purché sia cedibile il contratto
che esse mirano a concludere.
Ad es., sarebbe assurdo ammettere la cedibilità di un'opzione di contratto intuitu personae, o di una
qualsiasi prestazione infungibile.
♦ Opponibilità ai Terzi → La situazione creata dalla proposta non è un Diritto Reale, perciò l'atto
che la pone in essere non è trascrivibile, anche se la norma sulla trascrizione del Preliminare ha
un po' rimescolato i termini del problema: ad es., il Gazzoni ha sostenuto l'incostituzionalità dell'art.
2645 bis C.c. (sulla trascrivibilità del preliminare) nella parte in cui regola diversamente da un lato
il preliminare, e dall'altro l'opzione, la prelazione e la proposta irrevocabile.
CAP. VI - LA PRELAZIONE
GENERALITA'
La Legge o l'Accordo delle Parti possono attribuire ad un soggetto un Diritto di Prelazione, cioè
il diritto di essere “preferito ad un altro”, a parità di condizioni pattuite con un terzo.
Tali condizioni, al momento della decisione di vendere, devono essere comunicate dal venditore al
prelazionario (è la c.d. “Denuntiatio”, redatta nella forma propria del contratto ch’essa mira a
concludere e contenente i precisi termini del negozio, a cui l’accettazione del promissario
perfeziona il contratto) .
Il prelazionario ha due interessi (Roppo):
▪ Interesse Negativo → Ad impedire che altri concludano quel contratto col concedente;
▪ Interesse Positivo → Ad avere per sé quel contratto.
► Sacco rileva, ad ogni modo, che la dichiarazione riproduttiva può essere invocata come
dichiarazione negoziale, anche se gli effetti negoziali appartenevano alla dichiarazione originaria.
I PROBLEMI PRATICI
Il già citato Gorla ha circoscritto l'ambito operativo delle riproduzioni: il discrimine circa
l'operatività dell'istituto sta nel requisito della non cessazione del rapporto giuridico che, quindi,
non dev'essere esaurito (la rinnovazione presuppone, cioè, la “Res Integra”).
♦ Riproduzioni e Presunzioni → Date due dichiarazioni successive sullo stesso oggetto e fra le
stesse persone, si presume l'intenzione di riprodurre, o quella di innovare?
(!) Sacco propende per l’intenzione ricognitiva, e non innovativa.
▪ Una più recente → Interpretazione come “procedimento che serve ad attribuire significato alla
dichiarazione contrattuale” e serve ad attribuire al contratto gli effetti giuridici che gli sono
propri. L'accento è sulla dichiarazione e non più sulla volontà.
► Di fronte alle opposte teorie, assume funzione mediatrice l’insegnamento classico diffuso in
Italia, secondo cui l’interpretazione è la determinazione del senso giuridicamente rilevante della
dichiarazione contrattuale, condotta alla stregua della norma giuridica finalizzata a fissare
l’oggetto di questa ricerca.
Tuttavia, l'art. 1362 C.c. sembra farsi portavoce della dottrina volizionista: nell'interpretare il
contratto si deve indagare la comune volontà delle parti, senza arrestarsi al senso letterale del testo.
(!) Per Sacco non è così: egli propende per la soluzione intermedia, e sostiene che bisogna
valutare in base al caso concreto, a seconda che quella clausola vada interpretata dando più peso
alla ricerca della volontà od alla dichiarazione contrattuale.
Infatti, per avere un'“interpretazione legale”, non serve già ricostruire la comune volontà: basta
adeguare l'attività ermeneutica ai canoni legali.
Se la Legge prescrive Regole Ermeneutiche, queste creeranno una Volontà ricostruita “ex Lege”:
essa sarà medio logico fra la fattispecie vera e propria da un lato, e gli effetti del contratto
dall'altro lato (soluzione intermedia).
A maggior ragione, le regole ermeneutiche consentiranno di ricavare un significato da una
dichiarazione: tale significato non esiste in natura, è una pura costruzione logica da operarsi
secondo le disposizioni di Legge, e sarà utile a desumere gli effetti giuridici dell'atto.
(!) Va precisato che le regole di ermeneutica contrattuale non sono semplici norme integrative:
hanno una propria autonomia e costituiscono una categoria di regole separata, utili ad individuare la
fattispecie (le norme integrative, invece, si applicano in seguito per individuare gli effetti).
IL TESTO
Di regola, in presenza di una dichiarazione scritta sorgono problemi interpretativi: senz'altro, dice
Sacco, è quantomeno dubbia l'esistenza di un “significato obiettivo” della dichiarazione.
Tuttavia, supplirà il “Significato Statisticamente Usuale”, o “socialmente accettato” della
dichiarazione, cioè quel significato che parti razionali avrebbero dato ex ante a quel termine.
▪ Quando occorrerà allontanarsi dal testo, vorrà dire che le parti avranno usato un linguaggio
loro proprio;
▪ L'interpretazione del testo va condotta, secondo una costante Giurisprudenza, considerando il
testo stesso nel suo insieme (art. 1363 C.c.), includendo addirittura le clausole inoperanti, poiché
nulle: trattasi del c.d. Principio Sistematico o “di Totalità”.
♦ Testo e Giudice → Processualmente, il testo si presenta come un'unità: se l'attore fonda la propria
ragione sull'articolo x del contratto, il giudice può senz'altro dargli ragione anche basandosi, ad es.,
sull'articolo y, senza commettere extrapetizione.
Inoltre, se il testo contiene un rinvio o è crittografato (ad es., non usa segni grafici convenzionali),
il giudice può presentare rispettivamente l'elemento della relatio o la dichiarazione pittografica
come semplici mezzi ermeneutici.
► L'art. 1368 C.c. → Questa norma fa riferimento agli Usi Locali od Interpretativi (individuati
in base al luogo in cui il contratto è concluso, o in base al luogo della sede dell'impresa, se è parte
un imprenditore), che non sono gli “usi” e le “consuetudini” intesi come fonti del diritto.
Questa norma, però, non è più adeguata all’attuale realtà dei traffici giudici, in quanto è difficile
individualizzare un luogo fisico di conclusione del contratto; inoltre è difficile anche solo
individualizzare degli usi locali.
► L'art. 1369 C.c. → Le Espressioni Polisense, in caso di dubbio, devono essere interpretate nel
senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto. La norma ha scarsa applicazione.
Tuttavia, alcuni hanno inteso la norma come se disponesse che l’interpretazione debba condursi in
modo (differenziato e) adeguato secondo i vari tipi contrattuali, mettendo in rilievo le regole
(dispositive) destinate ad ogni tipo e restringendo al massimo, in sede interpretativa, le clausole che
derogano allo schema legale.
► L'art. 1370 C.c. → “Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o
formulari, predisposte da uno dei contraenti, s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro”.
La norma fa riferimento ad un'interpretazione contra stipulatorem: è relativa ai Contratti per
Adesione dove, in capo al predisponente, c’è un dovere giuridico di formulare le clausole in modo
chiaro e non ambiguo. E', lo si è detto, un “dovere giuridico”: infatti, se fosse violato, vi sarebbe
una sanzione, che è proprio l'interpretazione contra stipulatorem.
Vi sono diverse ragioni della norma: la debolezza del contraente aderente; la possibilità del
predisponente di predisporre clausole chiare; ecc... .
(!) La Giurisprudenza vigila affinché la norma non sia applicata se il contratto sia stato negoziato
individualmente.
► L'art. 1371 C.c. → “Qualora, nonostante l'applicazione delle norme contenute in questo capo,
il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato, se è a
titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a
titolo oneroso”.
Si arriva così alla nozione di equità utile anche in materia di integrazione del contratto; secondo
Gazzoni, sono due le disposizioni del codice in cui si sostanzia la nozione di equità: sono gli artt.
1371 e 1374 C.c., che riguardano le fonti di integrazione del contratto.
C’è forse il pericolo che il Giudice plasmi un contratto differente da quello voluto dai contraenti,
per realizzare l’equo contemperamento?
No: l’art. 1371 è una regola di interpretazione residuale (la Giurisprudenza sottolinea che l'art.
1371 C.c. si utilizza solo se il contratto rimanga oscuro, nonostante l'applicazione di tutte le altre
regole ermeneutiche), sussidiaria, finale, e ad ogni modo, l’equità interpretativa, come
realizzazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti, implica un giudizio quantitativo
del Giudice.
Per quanto riguarda le Leggi Formali, queste sono molto numerose: si pensi a tutte le norme che
regolamentano i prezzi (es. D. Lgs. Lgt. 347/1944, istitutivo del C.I.P.); le norme sui Contratti
Agrari e le Locazioni Urbane; i Contratti Collettivi di Lavoro; ecc...
► Gli Usi → Gli usi integrano il contratto a duplice titolo:
▪ Art. 1340 C.c.: s’intendono inserite nel contratto le Clausole d’Uso, se non risulta che non
sono state volute dalle parti.
Sono i c.d. “Usi Contrattuali”, e corrispondono ad un comportamento generale e spontaneo dei
consociati: essi operano anche nei confronti di Contraenti Ignari, e possono derogare a Norme
Legali Dispositive;
▪ Art. 1374 C.c.: il contratto obbliga alle conseguenze che sono appropriate secondo gli usi.
Sono i c.d. “Usi Normativi o Giuridici (v. art. 8 Preleggi)” , e sussistono indipendentemente da
ogni prassi propriamente contrattuale (ad es., possono rifarsi alla prassi seguita nell'esecuzione di
una data opera o di una data prestazione).
(!) Non rientra fra gli Usi, né contrattuali, né normativi, la “Prassi Invalsa” fra due contraenti: essa
potrà essere, se del caso, elemento di interpretazione, ma non di integrazione.
▪ Inoltre l’equità è richiamata, come fonte d’integrazione del regolamento, in relazione a singoli
tipi contrattuali, con particolare riferimento alla determinazione di corrispettivi dovuti in
cambio di beni e servizi, o di somme dovute da una parte all'altra, in relazione a certi sviluppi
del rapporto (ad es.: “equo compenso” per il venditore, se si risolve la vendita con riserva della
proprietà – ex art. 1526 C.c. –; “equa indennità”, per l’appaltatore che receda di fronte a variazioni
progettuali eccedenti il sesto – ex art. 1660 C.c. –; ecc...);
▪ Fuori della disciplina del contratto, l’equità è richiamata in tema di Riparazione del Danno.
(!) L’equità è fonte d’integrazione “suppletiva”, e non cogente: il Giudice colma le lacune del
regolamento contrattuale, introducendo sì nuove regole, ma coerenti con le logiche, gli assetti, gli
equilibri del regolamento concordato.
Equità non è “arbitraria intromissione” del Giudice nel contratto: questi non può invocarla
per affermare soluzioni incoerenti con i programmi dell'autonomia privata, e tanto meno per
modificare i contenuti dell'accordo, anche se questi gli appaiano “iniqui”!
L'unico caso in cui il Giudice può intervenire in via non suppletiva, ma cogente, è l'ipotesi della Riduzione della Clausola Penale
manifestamente eccessiva (art. 1384 C.c.).
Infatti, di regola, la Giustizia e l’Equilibrio del contratto sono decisi fondamentalmente dalle
Parti stesse: un controllo dell'ordinamento sulle pattuizioni private potrà aversi solo tramite Norme
Imperative, o potranno intervenire i richiami all'Ordine Pubblico ed al Buon Costume, ma tutto ciò
solo qualora vengano in gioco Interessi Collettivi (ad es. sono nulli i contratti illeciti) o vi siano
casi di Abuso di un Contraente sull'altro.
(!) Sacco concorda con le tesi di Roppo sopra esposte, affermando che non è possibile che l'art.
1374 C.c. diventi sbocco per quella disciplina interventistica che, limitando l'autonomia privata,
sostituisca ciò che le parti hanno deciso con precetti eteronomi.
▪ Il Giudice, quindi, dovrà colmare le lacune contrattuali ricercando soluzioni che siano giuste
ed equilibrate, alla luce dei programmi e degli assetti d'interessi definiti dalle parti: potrà andare
a considerare ad es. i motivi di una parte, noti all'altra; il bisogno atipico di una parte; o la
impossibilità soggettiva sopravvenuta; ecc... .
Così, sarà ristabilito l'Equilibrio Contrattuale e si eviteranno squilibri nel mercato.
♦ Buona Fede (art. 1375 C.c.) → La clausola generale di Buona Fede (oggettiva) comporta un
dovere di cooperazione e correttezza: nel merito, essa esige che il contraente tenga presente
l'interesse della controparte, e se ne dia carico (cfr. Cassaz. 3775/1994).
La buona fede obbliga la parte alla coerenza dei propri comportamenti, per non deludere gli
affidamenti che questi hanno generato nella controparte: essa vieta alla parte di esercitare i propri
diritti contrattuali in modo formalmente lecito, ma sostanzialmente sleale e dannoso per controparte.
▪ Buona Fede e Diligenza → La B.F. è criterio d’integrazione del contratto, serve a determinare
contenuti e modalità delle prestazioni o dei comportamenti contrattualmente dovuti o vietati;
La Diligenza è criterio d’imputazione della responsabilità: serve a stabilire se nell’eseguire la
prestazione dovuta il contraente debitore abbia impiegato la cura, l’attenzione, la competenza
necessarie a renderlo irresponsabile dell’inadempimento;
▪ Altri richiami → In contesti diversi dall’esecuzione del contratto, alla B.F. si richiamano norme
sulle trattative (art. 1337 C.c.) e sull’interpretazione (art. 1366 C.c.);
▪ Derogabilità della Buona Fede → Il principio di buona fede è derogabile dalle parti, od ha una
natura imperativa che lo rende inderogabile?
In linea di principio, le parti sono libere di concordare una regola opposta a quella che – in
assenza di accordo – scaturirebbe dall’integrazione secondo buona fede.
Sarebbe invece illecito, per contrarietà all’ordine pubblico, l’accordo con cui le parti escludano
una volta per tutte, in modo indifferenziato, che al loro rapporto s’applichi il principio di
buona fede;
▪ Buona Fede ed Inesatto Adempimento → La B.F. obbliga la parte, che riceve una prestazione
affetta da inesattezza rimediabile, a mettere la controparte in condizione di rimediare;
▪ Cooperazione → La B.F. obbliga la parte a cooperare con la controparte, per consentirle di
adempiere;
▪ Errori ed Equivoci → La B.F. obbliga la parte a prestarsi per correggere errori o chiarire
equivoci che potrebbero gettare il rapporto nell’incertezza;
▪ Modifica della Prestazione → La B.F. obbliga la parte a modificare la prestazione a suo
carico, quando ciò permetta – senza suo sacrificio o con suo minimo sacrificio – di realizzare
l’interesse di controparte, altrimenti frustrato.
▪ Rinegoziazione → Dalla B.F. può discendere un obbligo di rinegoziare le condizioni
contrattuali, squilibrate da sopravvenienze;
▪ Discriminazioni → La B.F. vieta alla parte di trattare la controparte in modo ingiustamente
discriminatorio rispetto ad altre controparti in circostanze analoghe.
Come per l'Equità, vi sono settori della Dottrina propensi ad adibire il principio a funzioni di
controllo dell’autonomia privata e d’integrazione cogente, che la tradizione riserverebbe a
strumenti diversi (norme imperative, ordine pubblico, buon costume): ma ciò non è accettabile.
Ad es., se un contratto apparentemente riconducibile al Trasporto di persone contiene una clausola limitativa della
responsabilità del vettore, vietata ex art. 1681 C.c. a pena di nullità , come si qualifica tale contratto? Da un lato
sembra riconducibile al trasporto, dall’altro, almeno a prima vista, sembra un contratto atipico, perché contiene una
clausola in forte discromia con quella giuridica. Tuttavia, la Giurisprudenza stabilisce che si applica comunque la
disciplina del tipo ritenuto prevalente.
3● Unificazione degli Effetti → Qualora un contratto atipico produca singoli effetti diversi, propri
di altri contratti Tipici, tali effetti possono essere considerati individualmente per ricostruire la
figura contrattuale corrispondente. Il contratto atipico risulterà dalla ricomposizione del tutto, e
potrà dirsi:
▪ “Complesso” quando i singoli effetti siano considerati individualmente, ma in un'ottica globale
(es. vendita più locazione). La disciplina sarà data dalle regole di quel Contratto Tipico di cui
sono caratteristiche le prestazioni che prevalgono nello stesso contratto complesso;
▪ “Misto” quando invece il contratto risulti dalla riunificazione di clausole costituenti frammenti
di più contratti tipici. La disciplina sarà data dalle regole del Contratto Tipico le cui componenti
appaiano prevalenti.
4● Applicazione Analogica → In Giurisprudenza è stata applicata la disciplina della locazione ad
un contratto con cui Tizio concedeva a Caio un’area di terreno a scopo di discarica: ovviamente,
se la parte cessionaria utilizza il bene a scopo di discarica, si può controvertere sul fatto che sia uno
scopo di godimento o no; tuttavia, per fugare ogni dubbio, la Cassazione ha stabilito l’applicabilità
in via analogica della disciplina della Locazione.
Il contratto tipizzato socialmente o giurisprudenzialmente finirà così per essere ricondotto dalla
stessa Giurisprudenza ad un tipo legale. Talvolta, inoltre, la tipizzazione sociale è puramente
“nominale”: ad es., il contratto di “parcheggio” sarà de plano ricondotto al Deposito.
Ciò premesso, si spiega l'impegno col quale gli interpreti si sforzano di tracciare le linee di confine
fra i vari tipi contrattuali: tuttavia, può essere ingiusta e paralizzante sul piano economico una
serrata tipizzazione dei contratti. Ecco che, quindi, la scappatoia giurisprudenziale favorirà lo
sviluppo di contratti atipici ex art. 1322 C.c., differenziandoli rispetto al tipo.
Ad es., il Contratto di Garanzia evade dallo schema della Fideiussione.
(1) Anzitutto, il “tipo contrattuale”, legislativamente previsto, non è “il tipo” di un contratto, non
disciplina un intero contratto: disciplina, ed ha come presupposto, uno specifico contenuto del
contratto, e ad esso la disciplina del tipo è rivolta.
Più che di “tipi di contratto”, bisogna parlare di tipi di “Pezzi del Contratto”, come afferma Sacco.
Ad esempio, si consideri il Contratto di Trasporto di persona, in cui è disciplinata l’attività di
trasporto del vettore: si potrebbe insolitamente stipulare un contratto di trasporto in cui la
controprestazione non sia in denaro, ma consista nella concessione in godimento di un immobile.
Qui, nulla vieta che siano applicate sia la disciplina del trasporto, che quella della locazione;
(2) Quindi, le discipline dei tipi contrattuali si possono applicare in via cumulativa: i tipi “non
sono compartimenti stagni”. Possono concorre alla disciplina del medesimo contratto concreto;
(3) Bisogna sottolineare come il tipo non attenga sempre all’oggetto del contratto: può attenere
all’intenzione delle parti o agli elementi accidentali del contratto stesso. Se già nell’opera di
tipizzazione del legislatore esiste una colorazione soggettivistica, questo stampo quasi
“psicologico” è ancor più marcato dell’opera di costruzione del tipo operata in giurisprudenza.
Essa adotta spesso criteri di distinzione dei tipi di stampo soggettivistico: l’Appalto è stato distinto
dal Contratto d’opera in virtù del criterio dell’obbligazione di mezzi; in entrambi i casi, la
prestazione dedotta in contratto è un servizio o un’opera, però il criterio distintivo è l’obbligazione
dei mezzi, che, nel caso del contratto di appalto, è a carico dell’appaltatore.
Oppure, ad es., quando si deve statuire se un certo contratto è “Vendita d'Erba” o “Affitto di Prato”, si ha riguardo ad
elementi sfuggenti, che conducono ad un accertamento in chiave psicologica: viene prima il godimento dell'erba, o del
suolo? O viceversa?
♦ Clausola di Meritevolezza → Opera anche per i Contratti Tipici? Per Sacco, sì: gli interessi da
proteggere saranno i medesimi, entro e fuori lo steccato dei contratti tipici.
Tra l'altro, fa notare Sacco, se un accordo è illegale, socialmente pericoloso o immorale, esso è già
nullo ex art. 1343 C.c. (Causa illecita): non è infatti possibile che i contratti contro cui si invoca
l’art. 1322 C.c. superino il vaglio dell’art. 1343 C.c..
(!) Sacco ritiene che l'art. 1322 C.c.:
▪ Abbia una funzione propria;
▪ Operi solo nell'alveo dei Contratti Atipici;
▪ Dia un peso all'Interesse sotteso al contratto.
Infatti: poiché i divieti legali, rivolti a chi conclude un contratto tipico, colpiscono
l’immeritevolezza di un rapporto (che tutela un interesse illecito o irrilevante), l’art. 1322 C.c.
avverte che non sfugge alla nullità colui che, per evitare il rapporto vietato, concluda un
contratto per proteggere quello stesso interesse (illecito, immorale, ecc...) con un rapporto
diverso da quello che corrisponde al contratto tipico.
Esempio → Sarà nullo il contratto di colui che, volendo disfarsi di una cosa non alienabile per disposizione di Legge,
non potendo vendere, rilasci contro un prezzo un’autorizzazione irrevocabile a usare, consumare ed alienare, con
dispensa da rendiconto e da conflitto d’interessi;
La pratica, quando adopererà l’articolo in esame in modo pertinente, condannerà quel contratto
atipico concluso dalle parti per sfuggire alle norme imperative rivolte al tipo: così, l’art. 1322
C.c. offre all’interprete un meccanismo più puntuale, e meno sfuggente, di quello predisposto
dall’art. 1344 C.c., che reprime il Contratto concluso in Frode alla Legge.
3 ♦ Onerosità e Gratuità → Anche l'Onerosità non dipende dal numero di obbligazioni: non tutto
ciò che è unilaterale è gratuito.
Infatti, la stipulazione contrattuale non è l'unico modo per essere arricchito delle altrui prestazioni:
se io prometto cento a chi eseguirà per me la tale opera, e Tizio la esegue pur non essendovi tenuto,
io ottengo lo stesso risultato (con un'unica obbligazione) che avrei ottenuto stipulando direttamente
con Tizio (due obbligazioni: do, ut facias).
In una simile ipotesi, l'Onerosità dipende da uno Scambio di Prestazioni, non di promesse: del
resto, il contratto unilaterale ex art. 1333 C.c. non può mai essere gratuito.
► Bilateralità, Corrispettività ed Onerosità sono quindi tre categorie autonome: inoltre, Sacco
nota che nulla assicura che le categorie non siano più numerose rispetto a quelle citate.
Perciò, riprendendo sempre le tre categorie, Sacco amplia il discorso, e nota che:
● L'Unilateralità degli artt. 1333 (Obbligazioni del solo proponente) e 1468 C.c. (contratti con
obbligazioni di una sola parte) è diversa: nel primo caso, si parlerebbe di sacrifici giuridici del
solo proponente -es. promessa di ricompensa-; il secondo articolo sarebbe invece genericamente
riferito al caso in cui un solo contraente sia obbligato, sia egli o meno soggetto di un sacrificio;
● Meno instabile è il concetto di Corrispettività delle Prestazioni, che ricorre spesso nel Codice.
“Prestazione” è un significato ampio, che può inglobare tanto il sacrificio quanto l'obbligazione:
ad es., la prestazione del venditore, lo si è visto, è un sacrificio, non un'obbligazione.
La corrispettività sta a significare che:
Ogni parte si sottomette al proprio sacrificio a condizione che l'altra faccia lo stesso;
Ogni sacrificio soddisfa il bisogno della controparte, naturalmente sorto prima del
contratto.
La corrispettività nasce quindi dalla Volontà delle parti: ma il Legislatore ne amplifica gli
effetti, ricollegando al mancato rispetto delle prestazioni corrispettive (inadempimento), ad es., la
Risoluzione del contratto.
Si parla di “corrispettività” in vari ambiti: Cessione del Contratto (in particolare qui, ex art. 1406
C.c., deve trattarsi di “prestazioni corrispettive non ancora eseguite”), Risoluzione per
Inadempimento, Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta ( anche l’art. 1467 C.c. presuppone
che le prestazioni non siano state ancora eseguite, ma presuppone anche che l’esecuzione sia
differita rispetto alla conclusione del contratto), Rescissione per Lesione, Eccezione
d'Inadempimento.
● L'Onerosità e la Gratuità non è detto che abbiano lo stesso significato in tutti i casi previsti
dalla Legge: infatti, la gratuità si considera diversamente quando sia guardata dal punto di
vista del soggetto dell'atto di disposizione (è correlata di regola ad un impoverimento) o da quello
del destinatario dell'atto (arricchimento).
(!) Sacco, inoltre, precisa che “Gratuito” non è sinonimo di “Liberale”: “gratuito” si
contrappone ad “oneroso”; “liberale” si contrappone ad “interessato”.
Ad es., non è liberale la promessa o prestazione fatta per un ritorno economico.
(!) Il rischio che rende il contratto aleatorio è il Rischio Giuridico-Economico: giuridico, perché
incide sull’an o sul quantum della prestazione; economico, perché incide al contempo sul valore
economico del contratto.
In tema di contratti aleatori, il Legislatore distingue tra:
▪ Contratti Aleatori “per Natura” → Sono quei contratti che tipicamente comportano un'alea,
per previsione espressa di Legge.
Esempi sono: Assicurazione, Rendita Vitalizia, Gioco, Scommessa, ecc... ;
▪ Contratti Aleatori “per Volontà delle Parti” → Il contratto non appartiene di per sé ad un tipo
che richiede o presuppone una certa alea per sua natura, ma appartiene piuttosto ad un sottotipo,
caratterizzato da una Clausola che rende il contratto aleatorio.
Esempio tipico è la Vendita di Cosa Futura: se il bene non viene ad esistenza, ai sensi dell’art.
1472, comma 2, C.c. il contratto di vendita di cosa futura è nullo (per impossibilità dell'oggetto),
salvo che le parti abbiano voluto concludere un contratto aleatorio (quindi, si aspetta e si vede se
la cosa viene ad esistenza: se non viene ad esistenza, l'acquirente sopporta il rischio e la perdita).
♦ Rilevanza del carattere “Aleatorio” → Sta in ciò: ossia, che le parti, avendo accettato
rispettivamente di subire l'alea, o di speculare su essa, non possono poi considerare il contratto
come “lesionario”, o come “eccessivamente oneroso”.
In altre parole, il Legislatore non vuole che un contratto, equo se valutato ex ante, venga rescisso o
risolto solo perché trovato iniquo ex post.
(!) Sacco conclude con un quesito: perché mai non potrebbe essere rescisso il contratto aleatorio
concluso in stato di bisogno, a prescindere dall'aggravio prodotto dal verificarsi dell'evento?
Esempio → Tizio, in stato di bisogno, è costretto a scommettere uno contro dieci, anziché uno contro uno.
Parimenti, perché mai un contratto aleatorio, ex ante iniquo, non potrebbe essere risolto per
eccessiva onerosità?
▪ Roppo, con riferimento alla Rescissione, dice che “anche un contratto aleatorio è rescindibile,
quando la lesione risulti ex ante come sproporzione fra la misura della prestazione a carico del
contraente in stato di bisogno e la misura del rischio dedotto in contratto”.
CONTRATTI PLURILATERALI
L’art. 1420 C.c. statuisce che nei contratti con più di due parti, in cui le reciproche prestazioni di
ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la Nullità che colpisce il vincolo di
una sola delle parti non importa nullità del contratto salvo che la partecipazione di essa debba
secondo le circostanze considerarsi essenziale
Norme simmetriche si ritrovano negli artt. 1446, 1459 e 1466 C.c. (rispettivamente nei casi di
annullamento, risoluzione e risoluzione per impossibilità).
Il contratto plurilaterale per eccellenza è la Società (e così le Associazioni, i Consorzi, le
Comproprietà), ma si conoscono contratti plurilaterali anche al di fuori dei contratti associativi (ad
es. divisione ereditaria; prestazioni a circolo chiuso; ecc...; v. pag. 593 Manuale).
Il contratto plurilaterale ha uno “Scopo Comune ai Contraenti”, che – si ritiene – connoterebbe la
Causa stessa del contratto.
▪ Di regola è plurilaterale il Contratto Aperto all'Adesione di Terzi (art. 1332 C.c.), dove vi è
una forte scissione fra la redazione del testo contrattuale e la dichiarazione individuale di
adesione.
(!) Sacco, comunque, ritiene sproporzionato lo sforzo condotto in dottrina per dare un'identità al
contratto plurilaterale: d'altra parte, dice l'Autore, tale contratto non è altro se non un particolare
modo di essere dei Contratti Sinallagmatici. Ad ogni modo, potrebbero esservi particolari sviluppi:
▪ Il C. Plurilaterale potrebbe sottrarsi alle regole sulle clausole vessatorie;
▪ Potrebbe essere terra d'elezione del Principio di Parità di Trattamento;
► Contratto Complesso → E' un unico contratto che risulta dall'unificazione degli effetti di più
contratti tipici, considerati nel loro contenuto “globale”.
E' disciplinato dalle regole relative al tipo contrattuale le cui prestazioni risultino prevalenti.
Esempio → Vendita più Locazione (c.d. Sale and Lease Back) : Tizio, non potendo più sostenere troppe spese, aliena a
Caio il suo appartamento ed ottiene – con lo stesso contratto – la contestuale locazione dell'appartamento, che ora non è
più suo, ma di cui può comunque godere dietro corresponsione di un canone;
♦ Invalidità Derivata → Il problema è più teorico che pratico: di fatto, in presenza di un contratto
collegato, ciò che conta sapere è che l’invalidità o l'inefficacia di un contratto può incidere
sull’inefficacia o invalidità dell’altro contratto.
E' l'Invalidità Derivata, proprio come quella che può riguardare i Provvedimenti Amministrativi.
A questa conclusione si può infatti giungere seguendo sia il pensiero di Sacco, sia quello di
Roppo.
♦ Tipo di Collegamento → Infine, il collegamento può essere Necessario (ad es., il contratto di
Fideiussione presuppone di regola un altro rapporto a monte, da garantire) o Convenzionale
(come quello dell'esempio di cui sopra).
Con una strategia un po' “paternalistica”, Sacco nota come il Legislatore non preveda già nuovi vizi
del volere, quanto forme di parziale incapacità d'agire che vanno a limitare le capacità di
autoregolamento del consumatore. Come?
Sancendo la non vincolatività delle Clausole Vessatorie, anche se sottoscritte dal consumatore;
tali clausole possono prevedere:
▪ Limitazioni delle Responsabilità Contrattuali, limitazioni di Azioni Giudiziarie, limitazione
della facoltà di opporre Eccezioni;
▪ Accettazione di difficoltà od altri svantaggi processuali;
▪ Clausole Penali eccessive;
▪ Limitazioni al Recesso per l'aderente (o maggiori possibilità di recesso per il predisponente);
▪ Possibilità per il predisponente di modificare unilateralmente il contenuto o gli effetti del
contratto;
▪ Riduzione della libertà contrattuale del consumatore;
▪ Previsione di Condizioni Potestative.
♦ Tutela → La tutela predisposta dalla Legge può comportare:
▪ L'Invalidità assoluta delle clausole vessatorie più gravi;
▪ La Validità delle clausole che siano state oggetto di Trattativa, se meno gravi.
♦ Sanzione → Le clausole invalide sono Nulle, e la loro inefficacia è Rilevabile d'Ufficio.
Inoltre, le Associazioni dei Consumatori e dei Professionisti, e le Camere di Commercio, possono
ottenere, a carico del Professionista, l'inibitoria dell'uso delle clausole vietate.
► Nullità (Capo XI: artt. 1418-1424 C.c.) → E' una forma di invalidità del contratto che, in base
al disposto dell'art. 1418 C.c., che elenca le “Cause di Nullità”, consegue:
▪ Comma 1 - Nullità Virtuale - → Alla contrarietà dell'atto a generiche norme imperative;
▪ Comma 2 - Nullità Strutturale - → Ricorre:
Per mancanza dei Requisiti Essenziali ex art. 1325 C.c.;
Per illiceità della Causa (art. 1343 C.c.) o del Motivo comune alle parti (art. 1345 C.c.);
Per mancanza, nell'Oggetto, dei requisiti richiesti ex art. 1346 C.c. (possibilità, ecc...).
▪ Comma 3 - Nullità Testuale - → Un atto è nullo perché così è espressamente previsto.
Ad es., si pensi all'espresso divieto del patto successorio o del patto commissorio.
Quanto alla disciplina della Nullità, il Codice dispone come segue:
● Nullità Parziale (art. 1419 C.c.) → La nullità di singole clausole non essenziali non comporta
la nullità dell'intero contratto – la comporta se erano “essenziali” –; parimenti, il contratto non è
nullo se quelle clausole nulle sono sostituite per Legge (v. art. 1339 C.c.).
● Nullità nel Contratto Plurilaterale (art. 1420 C.c.) → La nullità che colpisce il vincolo di una
sola parte non comporta la nullità dell'intero contratto, a meno che non fosse “essenziale”.
● Legittimazione (art. 1421 C.c.) → Salve diverse disposizioni di Legge, la nullità può essere
fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.
● Imprescrittibilità (art. 1422 C.c.) → L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a
prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione dell’azione di ripetizione.
● Inammissibilità della Convalida (art. 1423 C.c.) → Il contratto nullo non può essere
convalidato, se la Legge non dispone diversamente.
● Conversione Giudiziale (art. 1424 C.c.) → Il contratto nullo può produrre gli effetti di un
contratto diverso del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma qualora, avuto riguardo
allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero
conosciuto la nullità.
♦ La Rettifica (art. 1432 C.c.) → E' alternativa all’annullamento: infatti, la parte in Errore non
può domandare l’annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio,
l’altra offra di eseguirlo in modo conforme al contenuto ed alle modalità del contratto che quella
intendeva concludere.
Tale offerta non può essere invece avanzata da chi abbia agito con Violenza o Dolo: la norma ha
una portata circoscritta al solo caso dell'errore; cfr. infra.
(!) Se è decorso il termine utile, l'attore ha l'onere di provare che la scoperta dell'errore, del
raggiro, o la cessazione delle minacce si sono verificate entro e non oltre il quinquennio
anteriore al momento in cui viene intentata l'azione di annullamento.
● Eccezione di Annullamento (art. 1442, comma 4, C.c.) → L’annullabilità può essere opposta
come eccezione dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se si è prescritta
l’azione per farla valere.
● Ripetizione contro il Contraente Incapace (art. 1443 C.c.) → Se il negozio venga annullato
per Incapacità di uno dei contraenti, l'incapace è tenuto a restituire la prestazione dovuta solo nei
limiti in cui essa sia stata rivolta a suo vantaggio. Ciò in quanto si presume che l'incapace non
utilizzi, di norma, a proprio vantaggio quanto ricevuto dall'esecuzione del contratto (Confortini).
● Convalida (art. 1444 C.c.) → Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al
legittimato attivo all’Azione di Annullamento, in due modi:
▪ Comma 1: mediante un Atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di
annullabilità con la dichiarazione che intende convalidarlo;
▪ Comma 2: dando volontaria Esecuzione al contratto, conoscendo il motivo di annullabilità;
(!) In base al Comma 3, la convalida non ha effetto se chi la esegue non sia in condizione di
concludere validamente il contratto – ad es., il minore che sia ancora minorenne –.
● Effetti dell'Annullamento rispetto ai Terzi (art. 1445 C.c.) → Sono fatti salvi i diritti dei Terzi
subacquirenti che abbiano acquistato in buona fede (che si presume) ed a titolo oneroso (che va
provato).
(!) Se però l'annullamento dipenda da Incapacità Legale, i Terzi perdono i loro diritti in favore
di una maggior tutela dell'incapace.
● Annullabilità nel Contratto Plurilaterale (art. 1446 C.c.) → Non annulla il contratto
l'annullabilità del vincolo di una sola delle parti, a meno che non sia essenziale.
(!) Nel pronunciare la rescissione, il Giudice può assegnare un Equo Compenso alla controparte.
▪ In stato di Bisogno (1448 C.c.): è una difficoltà economica, anche temporanea, che induce la
parte ad accettare una sproporzione nel sinallagma.
Si richiedono qui una Lesione “ultra dimidium”, che deve perdurare fino al tempo in cui la
domanda dev'essere proposta; la notorietà dello stato di bisogno in capo alla controparte;
l'approfittamento della controparte.
La sproporzione deve misurarsi in base a valori oggettivi, e non soggettivi: infatti, non si tiene conto del plusvalore
d'affezione che il bene abbia per chi lo vende.
I valori di riferimento sono i Valori di Mercato: il mercato rilevante è quello del tempo e del luogo in cui
concretamente le parti hanno contrattato (Roppo).
● Legittimazione Attiva → Legittimata Attiva per la domanda di rescissione è la parte che abbia
stipulato il contratto in stato di pericolo o di bisogno.
● Effetti della Rescissione → La rescissione ha Efficacia Retroattiva: fa cessare gli effetti del
contratto “ex tunc”, e le parti procederanno alla restituzione delle prestazioni secondo le norme
della Ripetizione dell'Indebito.
● Prescrizione ed Eccezione di Rescissione (art. 1449 C.c.) → L'azione si prescrive in 1 anno
dalla conclusione del Contratto, a meno che il fatto non costituisca Reato: in tal caso se per quel
reato sia prevista una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'Azione Civile (ex art.
2947 comma 3 C.c.).
Inoltre, a differenza dell'annullamento, la rescissione non può essere oggetto di Eccezione
processuale, se è prescritta l'azione.
(!) La Sentenza che accolga l'azione di rescissione è una Sentenza Costitutiva ed obbliga le parti
alla restituzione delle prestazioni secondo la disciplina della ripetizione dell'indebito.
● Offerta di Modificazione del Contratto (art. 1450 C.c.) → Il contraente contro il quale è
domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per
ricondurlo ad equità.
La modifica del contratto rescindibile costituisce un negozio unilaterale recettizio, con il quale si attribuisce alla parte non
danneggiata il potere di evitare la rescissione del contratto. Se l'offerta di modificazione è idonea a ristabilire il sinallagma, la
volontà eventualmente contraria del danneggiato non avrà alcuna rilevanza, e sarà il giudice a valutarne la congruità.
● Inammissibilità della Convalida (art. 1451 C.c.) → Il contratto rescindibile non può essere
convalidato: la convalida non sarebbe idonea a rimuovere lo squilibrio del sinallagma.
● Effetti della Rescissione rispetto ai Terzi (art. 1452 C.c.) → La rescissione del contatto non
pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della Trascrizione della domanda di
rescissione.
I diritti dei terzi, quindi, non sono di regola pregiudicati, a meno che il contratto rescisso abbia ad oggetto beni immobili o beni
mobili registrati e la domanda di rescissione venga trascritta prima dell'acquisto da parte del terzo.
Sacco, quindi, prosegue affermando che, oltre alle norme che possono riguardare qualsiasi
contratto, indipendentemente dal tipo, occorre considerare norme più specialistiche, in particolare
ricorda alcune norme che, in relazione a quella o questa figura di contratto, hanno configurato
un’invalidità:
Art. 4 della L. 604/1960 → E' invalido il licenziamento del lavoratore, se voluto per ragioni
di credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato, ecc... ;
L. 416/1981 → Vieta la formazione di posizioni dominanti nel settore dell'editoria;
L. 287/1990 (Legge Antitrust) → Vieta le concentrazioni di imprese e le condotte lesive della
libera concorrenza;
D. Lgs. 385/1993 (T.U.B., Testo unico in materia bancaria e creditizia) → Dispone, per
vizio di forma, la nullità della clausola che può essere fatta valere solo dal cliente.
L'INEFFICACIA
Cos'è l' “Inefficacia”? Di regola, si suole dire che:
▪ Il Contratto “Nullo” presenterebbe una divergenza fra lo stato di fatto sottoposto al Giudice e lo
schema legale della fattispecie (ad es., difetto di forma).
Sarebbe, perciò, Invalido ed inefficace.
▪ Il Contratto “Inefficace” sarebbe invece quello dotato di tutti i requisiti di Legge, ma che fa
difetto d'una circostanza diversa dai costituenti del negozio ed esterna rispetto ad essi, cui è
subordinata la produzione degli effetti.
Sarebbe, perciò, Valido, ma – appunto – inefficace.
LA VALIDITA' MINORATA
Di solito si afferma che il Contratto “Valido” sia quel contratto cui l’ordinamento ricollega effetti
giuridici simmetrici rispetto a quelli economico-sociali empiricamente voluti dalle parti: in altre
parole, l'ordinamento garantisce la realizzazione dell'Interesse Positivo (anche tramite azione di
adempimento).
Di contro, tali effetti non sarebbero ricollegati al Contratto “Nullo” od “Invalido”, che, al
massimo, può generare un’azione per tutelare l’Interesse Negativo.
(!) Ma rispetto a questa distinzione, Sacco porta degli esempi di “minorazione degli effetti”, ossia
casi in cui cioè il contratto è valido, ma i suoi effetti sono limitati; in particolare si pensi al:
• Comodato → Ex artt. 1809-1810 C.c., se non è stato pattuito un termine, il comodante può
richiedere la cosa che ha già dato al comodatario quando vuole; ed addirittura, anche in presenza
di un termine pattuito, può richiederla se ne ha bisogno.
Si tratta d'un contratto tipico previsto dal Legislatore, che è valido, e che però produce come
possibilità anche la ripetizione dell’indebito, che è conseguenza naturale della nullità del contratto.
• Mandato Gratuito → Sacco osserva che il mandante può revocare il mandato quando vuole;
anche l’altra parte (il mandatario) può in ogni momento rinunciare al mandato, e se lo fa senza
giusta causa deve i danni che consistono a quelli corrispondenti al ristoro dell’interesse negativo (ex
art. 1727 C.c.).
(!) Sacco, alla luce di questa analisi, conclude che il vincolo del mandatario non è quello di
soddisfare l’interesse positivo dell’altra parte attraverso l’adempimento, ma, in generale, è quello di
non dare all’altra parte degli affidamenti illusori.
Questi sono due casi di nicchia, in cui, alla stipula di un contratto valido, si accompagna qualcosa
che assomiglia di più agli effetti che discendono da un contratto invalido, e cioè l’emergere
dell’interesse negativo.
♦ Annullamento del Contratto Nullo → Tizio, per una violenza di Caio, è costretto a stipulare
fittiziamente con lui; il contratto simulato è nullo: può chiederne l'annullamento per violenza?
In base alla dicotomia vista sopra, no: però, Sacco nota che la difesa di Tizio sarebbe fondata;
inoltre, in Giurisprudenza si trovano pronunce che annullano contratti simulati (Cassaz. 4105/1982).
Per questo, tale situazione ha indotto molti giuristi a ritenere di dover abbandonare la distinzione
fra negozio Nullo ed Annullabile.
♦ Applicabilità delle norme sull'Annullamento → Sacco rileva che, in buona sostanza, il negozio
annullabile sarebbe quel negozio che ha un'efficacia quantomeno provvisoria.
Secondo l'Autore, il caos sistematico potrebbe semplificarsi parlando di “situazione sospesa” del
contratto, che ricorrerebbe:
▪ In caso di contratto concluso fuori dai locali commerciali di cui il contraente potrebbe pentirsi;
▪ In presenza di un'Autorità che possa cancellare l'accordo (es. Autorità garante dell'editoria);
▪ Quando l'accordo (sia esso definito nullo, invalido, inefficace) possa essere concretamente
cancellato solo tramite l'attivazione del contraente legittimato a far valere la protezione;
▪ Quando il contraente abbia il potere di sollecitare dal giudice la cancellazione dell'accordo.
Gli ultimi due punti coinciderebbero, se il Codice non prevedesse una disciplina differenziata per
l'Annullamento, con particolari caratteristiche (spesso opposte) rispetto alla Nullità.
(!) Per cui, Sacco ritiene che le norme sull’annullamento del contratto contenute negli artt. 1441
e ss. C.c. siano speciali, ed applicabili solo là dove lo dice espressamente il Codice.
Tutte le altre figure di invalidità saranno invece riconducibili alla Nullità: nullità relative,
successive, sopravvenute, ecc... .
LA NULLITA' e l'ESECUZIONE
Gioco e scommessa sono due contratti validi, che hanno come effetto l'Irripetibilità del Pagato
(c.d. Soluti Retentio): lo stesso effetto può essere prodotto dando esecuzione ad un contratto nullo
per Causa turpe (contraria al buon costume).
Quindi, l'esecuzione può comportare specifici effetti: in alcuni casi, è indispensabile per sanare un
contratto nullo (v. supra, Donazione Nulla, art. 799 C.c.); in altri casi è, invece, un momento
costitutivo della fattispecie (ad es., la Donazione Manuale, che esige la traditio).
Anche questo esempio corrobora l’idea che Validità e Nullità siano delle categorie significative: ma
quello che Sacco vuole denunciare e che, se si osserva profondamente il sistema, si possono avere
dei dubbi sulla completa distinzione tra queste categorie.
LA NULLITA' PARZIALE
La Nullità, di regola, inficia un singolo punto del Contratto: l'Espansione della Nullità all'intero
contratto si spiega constatando che, crollata la clausola inficiante, manca il consenso dei contraenti
agli effetti residui del negozio.
(!) L'art. 1419, comma 1, C.c., nell'ottica di una conservazione del contratto, prevede però che se
la clausola nulla non sia essenziale, il contratto resti valido per la parte restante.
Il Giudice deve quindi valutare se la clausola fosse essenziale o meno; inoltre, al fine di una
maggior tutela della volontà delle parti, la Giurisprudenza è arrivata addirittura ad affermare che la
dichiarazione di Nullità Totale sia subordinata alla richiesta della parte interessata.
La Giurisprudenza, infatti, non disdegna una “ortopedia contrattuale”, finalizzata a conservare il
contratto.
Sacco, infine, nota che l'espansione della nullità non opera solo dalla clausola al contratto, ma
anche da un contratto ad altro contratto collegato.
♦ Effetti dell'art. 1339 C.c. → La norma in esame da un lato integra i contratti lacunosi, ma,
dall'altro lato, può anche alterare contratti con un contenuto ben determinato.
(!) Alcuni giuristi sostengono che l'Annullabilità consista in un vizio meno grave: Sacco dice che
non è così; anzi, dice che è un rimedio “quasi penale”, più drastico e più grave della nullità.
Esempio di Nullità → Tizio e Caio concludono una compravendita immobiliare senza la forma
scritta: il contratto è nullo. Se Tizio chiede a Caio di rinegoziare il patto con la forma richiesta, Caio
può teoricamente anche opporsi, e restituire il denaro a Tizio, che torna così nella situazione
antecedente al contratto, senza aver subito sacrifici.
Esempio di Annullabilità → Tizio compra un fondo da Caio, minorenne: il contratto è annullabile.
Tizio ha dato a Caio il proprio denaro, non può più comprare altri fondi, né può chiedere
l'annullamento (unico legittimato è Caio).
Per il tempo della prescrizione, Caio può comportarsi come se avesse un'opzione che gli consenta la
più beffarda delle speculazioni.
CAP. II - IL GIUDIZIO
IL GIUDIZIO di NULLITA'
Ex art. 1421 C.c., la Nullità è rilevabile d'ufficio, ed il giudicato si forma sulla Nullità del
Contratto.
(!) Se si agisce in giudizio per una ragione diversa dalla nullità del contratto (ad es., si agisce per
l'adempimento), qualora il Giudice rilevi d'ufficio la nullità, può egli inscrivere nel dispositivo
della Sentenza un capo che dichiari, con efficacia di giudicato, la nullità del contratto?
In tema di Simulazione ciò è vero senza ombra di dubbio: il giudice rileva la nullità della
simulazione sempre con efficacia di giudicato. E nelle altre ipotesi?
Sacco, affrontando il caso, ritiene che:
Il Giudice debba sempre rilevare la Nullità: lo dispone la Legge e lo esige la logica;
Al contempo, in assenza di espressa domanda, il Giudice non può pronunciare la nullità
con efficacia di giudicato: può rilevarla solo in via incidentale.
Ma la Giurisprudenza opera diversamente:
Non pratica la rilevazione incidentale della nullità;
Ammette la rilevabilità d'ufficio anche in Cassazione, se non sono necessari altri accertamenti di fatto;
Il Giudice può rilevare d'ufficio la nullità solo se in giudizio è stata chiesta la declaratoria di nullità, oppure se si agisce per
l'applicazione del contratto; di contro, non può rilevarla in giudizi di risoluzione, annullamento e recesso;
Promosso un giudizio volto ad ottenere la nullità per una data ragione (es. mancanza di causa), non sarebbe possibile
dichiarare la nullità per un'altra ragione (es. difetto di forma);
Non potrebbe rilevarsi la nullità se si sia formato il giudicato parziale rispetto a quella pronuncia del giudice di merito che
escludeva quella causa di nullità.
Così, invece di estendere la formazione del giudicato ai casi in cui l'azione di nullità è
proposta, allargando così il rilevamento incidentale d'ufficio della nullità a tutti i casi possibili,
la giurisprudenza decide con efficacia di giudicato in tutti i casi in cui la nullità è rilevabile.
♦ Soggetti del Giudizio → Per Sacco, il giudizio di nullità può servire tanto per impedire a
chicchessia di ritornare su una questione di nullità, e si avrà allora Litisconsorzio Necessario; e
tanto per difendere posizioni giuridiche offese dall'atto nullo, con integrazione del
contraddittorio solo nei confronti dei soggetti interessati e controinteressati.
Inoltre, l'art. 1450 C.c. ammette la Riconduzione ad Equità del contratto, che si può operare
convenzionalmente tramite un accertamento bilaterale sul “quantum”, che Sacco riconduce ad
una Transazione.
Tale transazione sarà equiparabile ad una Convalida convenzionale a titolo oneroso.
Sacco, quindi, ne conclude che l'art. 1451 C.c. sia mal congegnato, perché il divieto di convalida
può essere facilmente eroso (la dottrina concorda).
♦ Oggetto della Rettifica → Il soggetto non caduto in errore deve offrire alla controparte un
contratto identico a quello che quest'ultima avrebbe concluso, se non avesse errato.
I SOGGETTI
Sono assoggettabili a responsabilità i Minori, le Persone Giuridiche, le P.A.?
▪ Minori → Ex art. 1426 C.c., il contratto non è annullabile se il minore ha, con raggiri,
occultato la sua minore età: la semplice dichiarazione da lui fatta di essere maggiorenne non è di
ostacolo all’azione di annullamento proposta dal minore.
Ma il non aver rivelato la propria minore età, può far scattare l'art. 1338 C.c. a tutela della
controparte in buona fede? Per Sacco, no: la scriminante che lo esonera dall'osservanza del
contratto lo esonera altresì dalla responsabilità per aver contratto.
Se infatti il minore chiedesse l'annullamento, ma poi sarebbe condannato ex art. 1338 C.c.,
l'esperimento dell'azione di annullamento sarebbe meno libero.
▪ Persone Giuridiche e P.A. → Anche le P. Giuridiche e le P.A. possono essere responsabili ex
art. 1338 C.c.: concluso il contratto nullo, la conclusione viene imputata all'ente, che come tale
diventa responsabile delle conseguenze.
LA FATTISPECIE
La fattispecie dell'art. 1338 C.c. consta di tre elementi, ossia:
Contratto Invalido + Colpa del Convenuto + Incolpevolezza (ed Affidamento) dell'Attore
► In alcuni casi, però, la Giurisprudenza nega la responsabilità del Convenuto:
Quando il contratto sia contrario a Norma Imperativa;
Quando è imposta la Forma Scritta.
Si opera qui un'esaltazione di tali cause di nullità, incompatibili con l'affidamento del contraente.
► In altri casi, la Giurisprudenza ha accolto domande di danni provenienti da soggetti che non
ignoravano la norma che invalida la promessa: ad es., Tizia che creda alla promessa di nozze.
(!) Sacco opta di più per questo secondo orientamento: l'inoperatività giuridica della promessa,
quand’anche nota ed evidente, non è d’impedimento ad una Responsabilità quando il
promissario abbia confidato nella prestazione; infatti, l’art. 1338 C.c. non va letto insistendo sulla
convinzione dell’attore che il contratto generasse azione, ma imperniando il discorso sulla
convinzione dell’attore che il contratto “sarebbe stato eseguito”.
♦ Ammontare massimo del Danno risarcibile → E' una questione ancora aperta.
Normalmente si insegna che il danno risarcibile può anche raggiungere, ma non può mai
superare, la misura dell’Interesse Positivo.
Ad es., si pensi ad un artista che compri un abito di scena per un ingaggio, pagandolo di più di
quanto potrà ricevere come compenso per lo spettacolo.
Se il contratto d'ingaggio si dovesse rivelare nullo, l'artista chiederà i danni ex art. 1338 C.c.: il
danno sarà quantificato considerando anche l'Interesse Positivo, per capire fino a quale livello
massimo può innalzarsi la misura del danno da Interesse Negativo.
♦ Effetti della Risoluzione (art. 1458 C.c.) → Ha efficacia Retroattiva, tranne nei casi di
Contratti ad Esecuzione Continuata o Periodica, dove ha efficacia ex nunc e non si estende alle
prestazioni già eseguite.
Essa non pregiudica i Diritti dei Terzi, salvi gli effetti della Trascrizione della Domanda.
Le parti sono liberate per il futuro delle loro obbligazioni e sono tenute alla Ripetizione delle
Prestazioni.
♦ Ammissibilità della Clausola di Irresolubilità → Ammettere una tale clausola significa
aumentare la probabilità di un arricchimento a favore della parte inadempiente.
Sacco ritiene che si possa quantomeno dubitare sulla validità di una clausola siffatta; altri autori
(es. Auletta) ritengono che tale clausola sia nulla, in quanto affine ad una clausola limitativa di
responsabilità.
♦ La Risoluzione Parziale → Di regola, la risoluzione travolge tutti gli effetti del negozio; si è però
visto che in alcuni casi (contratti ad esecuzione continuata; risoluzione del contratto plurilaterale) è
cancellata solo una parte degli effetti: questo ha consentito ad alcuni di costruire una dottrina
generale sulla Risoluzione Parziale del contratto, che verrà in aiuto nel caso in cui una parte
adempia parzialmente e la controparte voglia sganciarsi dal rapporto per la parte residua,
lasciando in piedi il rapporto contrattuale per la parte eseguita.
▪ Contratti “Doppi” per regolare il medesimo rapporto → Quando sono stipulati due contratti
per regolare il medesimo rapporto (es. Tizio vende un immobile a Caio, e poi pattuiscono
successivamente che il pagamento di Caio avverrà in azioni anziché il denaro), l'inadempimento di
uno travolgerà entrambi i contratti: si deve guardare alla sostanza economica;
▪ Rapporti Obbligatori derivanti “ex Lege” → La violazione di un obbligo non comporta
l'eliminazione dell'altro, poiché, ai fini della risoluzione, è necessario che il rapporto fra le parti sia
contrattuale (e non legale);
▪ Contratti ad Effetti Reali → E' ammessa la Risoluzione, poiché il riferimento alle “prestazioni
corrispettive” non indica di per sé che gli effetti del contratto siano solo obbligatori. “Prestazione”
indica, in modo generico, qualsiasi sacrificio patrimoniale; quindi, chi aliena un fondo e non ottiene
il corrispettivo potrà chiedere la risoluzione;
▪ Contratti Reali → E' ammessa la risoluzione se ad es. Tizio si obbliga a consegnare il bene
mobile a Caio e non lo fa;
▪ Contratto costitutivo di Servitù o di Limitazioni di Proprietà → L'inadempimento consiste qui
nella violazione dei doveri nascenti dalla servitù o dalla limitazione di proprietà (ad es., vincolo di
non edificare): la risoluzione sarà ammissibile a condizione che sia richiesta in occasione di una
violazione avvenuta immediatamente dopo la conclusione del contratto.
▪ Contratti Associativi, Risolutori e Modificativi → Sono risolubili, in quanto le prestazioni sono
comunque corrispettive.
▪ Sentenza ex art. 2932 comma 1 C.c. → E' risolubile la sentenza che attua coattivamente l'obbligo
di concludere il contratto definitivo;
(!) La risoluzione opera solo se la prestazione inadempiuta rientri fra quelle “Corrispettive”.
IL LEGITTIMATO
Può risolvere il contratto o chiederne giudizialmente la risoluzione il contraente che ha subito gli
effetti dell’inadempimento. Sorgono però dei problemi in queste ipotesi:
▪ Contratto a Favore di Terzo → Potrà chiedere la risoluzione lo stipulante od il terzo
beneficiario? In teoria, il beneficiario non avrà interesse a chiedere la risoluzione, perché
l’interesse alla liberazione appartiene allo stipulante.
Reciprocamente, lo stipulante, senza il consenso del favorito, non può chiedere una risoluzione
che comprometterebbe le ragioni oramai irrevocabili del terzo;
▪ Cessione del Contratto → Si pone lo stesso problema visto sopra;
▪ Parte Soggettivamente Complessa (es.: Coeredi) → Alcuni ritengono che ogni membro del
gruppo possa autonomamente chiedere la risoluzione; altri ritengono necessaria un'unanime
decisione; altri distinguono in base alla divisibilità del rapporto.
(!) Sacco ritiene che chi sia parte in un contratto acquisisca un autonomo diritto all’adempimento
altrui, finchè il suo interesse al buon fine del contratto non venga travolto dalla sua propria
inadempienza: perciò, se il contratto è divisibile, ognuno potrà agire per sé; altrimenti, solo il
consenso unanime dei legittimati potrà risolvere il contratto, o chiederne la risoluzione.
(!) La dichiarazione o la domanda giudiziale di risoluzione implica la rinuncia allo scambio delle
prestazioni, ma non implica la rinuncia al Lucro che il Contratto autorizzava a sperare.
► Effetti rispetto ai Terzi (comma 2) → La Legge dispone che la Risoluzione, anche se è stata
espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di risoluzione.
► Il Ritardo → Merita un discorso a parte. Innanzitutto, anche il ritardo sottosta all'art. 1455 C.c.:
per cui, un ritardo esiguo non dà luogo a risoluzione. Sorgono però dei problemi in caso contrario:
▪ In caso di Ritardo Intollerabile, tale da giustificare la risoluzione, può il debitore liberarsi,
adempiendo prima che sia proposta la Domanda di Risoluzione?
Alcuni dicono di sì, ma Sacco ritiene che ciò non sia possibile: l'adempimento tardivo non
preclude al creditore la possibilità di agire per la risoluzione.
In ogni caso, il debitore non può liberarsi adempiendo dopo che sia stata proposta la Domanda
di Risoluzione (ex art. 1453, comma 3, C.c.).
▪ In caso di Ritardo non Grave al momento della proposizione della Domanda (che dovrebbe
quindi essere rigettata ex art. 1455 C.c.), che però diventi intollerabile in corso di giudizio, che
accade?
(!) Sacco ritiene che il Giudice debba valutare la Gravità del ritardo con riferimento al
momento di proposizione della Domanda: se il ritardo non era grave, non c'è Risoluzione.
Inoltre, ne deriva che, in corso di giudizio, il Debitore può validamente adempiere, provocando
così a maggior ragione il respingimento della domanda di risoluzione.
♦ Costituzione in Mora e Diffida → In caso di ritardo, per ottenere la Risoluzione giudiziale non
occorre la Costituzione in Mora, né occorre la Diffida.
(!) N.B.: se l'obbligazione non comportava un Termine (neanche implicito o comunque
desumibile), la Costituzione in Mora è necessaria ai fini dell'Inadempimento; in difetto, varrà
come costituzione in mora la Citazione in Giudizio (ed il tempo utile per adempiere decorrerà in
corso di giudizio).
La Costituzione in Mora aggrava l'inadempimento ed elimina i dubbi sul comportamento
tollerante del creditore.
► Il Reciproco Inadempimento → La regola giurisprudenziale fondamentale sull’inadempienza
reciproca sta nel principio della valutazione comparativa delle inadempienze: il Giudice deve
accertare quale di essa sia prevalente sull’altra, così da giustificarla.
Questo giudizio coinvolge però anche problemi cronologici e causali: i criteri cronologico (priorità nel tempo),
eziologico (causalità) e quantitativo (proporzionalità) verranno applicati in via alternativa (quando un criterio solo
appaia appagante) o cumulativamente (integrandosi a vicenda).
In caso di inadempimenti reciproci di pari gravità, il Giudice deve trovare una soluzione che
tratti le parti in ugual modo; vi sono varie soluzioni: respingere entrambe le domande, pronunciare
una risoluzione per doppio inadempimento; pronunciare una risoluzione per impossibilità (tesi
prevalente), da pronunciarsi in specie quando i pretesi inadempimenti non risultino sufficientemente
provati.
IL GIUDIZIO di RISOLUZIONE
La disciplina è la seguente:
♦ Azione di Risoluzione → L'azione di risoluzione si fonda su un dato Fatto, che costituisce causa
petendi di quel giudizio: l'evocazione di fatti diversi vale come mutazione della domanda.
▪ La domanda deve essere specifica: deve specificamente chiedersi la risoluzione; la
Giurisprudenza irrigidisce al massimo tale regola, negando anche le conversioni meno rischiose
(ad es. se si chiede il risarcimento, la domanda successiva di risoluzione è nuova);
▪ L'azione di risoluzione è imprescrittibile, perché può essere esperita finché sia in atto la
situazione illecita cui la risoluzione deve rimediare: però, può prescriversi il diritto
all'adempimento.
♦ Contraddittorio → Il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutti coloro che furono parte nel
contratto: vi è Litisconsorzio Necessario fra le parti contrattuali, perché la sentenza coinvolge
l'intero contratto.
LA DIFFIDA ad ADEMPIERE
L'art. 1454 C.c. contempla una prima ipotesi di Risoluzione Non Giudiziale, che cioè non
necessita di una Sentenza costitutiva del Giudice: è la Diffida ad Adempiere.
Il creditore potrà preferire la diffida alla risoluzione giudiziale, perché la Diffida non preclude
l'Adempimento Tardivo (è l'unico rimedio risolutivo che lo ammette): anzi, contiene una effettiva
Rimessione in Termini del Debitore, per un periodo non inferiore a 15 giorni (di regola).
La norma parla, in proposito, di “congruo termine”: se il termine fosse incongruo, il Giudice lo
sostituisce con altro termine congruo.
N.B.: la Diffida richiede comunque i requisiti ordinari della risoluzione (gravità
dell'inadempimento, imputabilità dell'inadempimento al debitore, ecc...).
(!) Scaduto il termine, l'inadempimento produce ipso iure la Risoluzione: perciò, in caso di lite, la
Sentenza del Giudice sarà di Accertamento.
♦ Caratteri della Diffida → E' un Negozio Unilaterale Recettizio, che deve avere Forma Scritta
(se la diffida è inoltrata a mezzo di Rappresentante, la Procura deve anch'essa essere scritta, anche
qualora il contratto non abbia una forma vincolata).
▪ Contenuto: la diffida deve espressamente indicare il Termine e la comminatoria di Risoluzione;
▪ Effetti: la diffida preclude la possibilità di domandare la Risoluzione Giudiziale;
IL TERMINE ESSENZIALE
La risoluzione interviene senza opera del Giudice, e senza necessità della dichiarazione del
contraente deluso, in un ultimo caso: quando cioè scada infruttuosamente il termine essenziale
fissato per l’adempimento, che indica il momento al di là del quale il Creditore non ha più
interesse ad ottenere l'esecuzione della prestazione, ex art. 1457 C.c..
La fissazione d'un termine essenziale può essere pattizia (statuita dalle parti; c.d. “Essenzialità
Soggettiva”) o risultare dalle circostanze (desumibile dalla natura o dall’oggetto del contratto; c.d.
“Essenzialità Oggettiva”).
Il termine essenziale dev’essere individuato in modo preciso; va inoltre tenuto presente che
l’essenzialità del termine non si presume (in caso di controversia, quindi, andrà dimostrata).
(!) La clausola “entro e non oltre” è una Clausola di Stile, inidonea a conferire al termine un
carattere “essenziale”.
♦ Patto di Fissazione d'un Termine Essenziale → Non sono richieste né una Forma speciale, né
Formule sacramentali.
♦ Gravità → Verificatosi il ritardo, ogni giudizio sulla gravità dell’inadempimento sarà superfluo;
al contrario, occorrerà discriminare il caso del Ritardo Incolpevole, che non darà luogo
all’applicazione dell’art. 1457 C.c. in quanto è richiesta l'imputabilità dell'inadempimento.
(!) Il Giudice non può rilevare d'ufficio la Risoluzione per decorso del termine essenziale.
L'ECCEZIONE di INADEMPIMENTO
Questa misura dà luogo ad alcuni problemi.
♦ Quando può essere sollevata l'Eccezione → Può esser sollevata indifferentemente a fronte di
una domanda di Adempimento o di Risoluzione.
♦ Effetti → Se sollevata legittimamente, assicura al debitore convenuto l'immunità da ogni
Responsabilità per Danni provocati dal suo mancato adempimento.
♦ Natura → Si discute, e Sacco non dà risposte sul punto, se l'Eccezione d'Inadempimento sia:
Un Diritto Potestativo di auto-esonero dall'adempimento;
Un Diritto Potestativo di conseguire una sentenza costitutiva di temporaneo esonero;
Una lecita e legittima forma d'Inerzia del contraente cui non sia stata offerta la prestazione
cui aveva diritto in base al contratto.
♦ Legittimità → Sacco ritiene che il mancato adempimento di Tizio legittima senz'altro
l'inadempimento di Caio: il Giudice riterrà legittima la condotta di Caio, e rigetterà la domanda di
adempimento (o risoluzione) avanzata da Tizio.
♦ In Giurisprudenza → I Giudici hanno fatto dell'eccezione in esame un'Eccezione in senso
Sostanziale (= non processuale), che trova una giustificazione in sede di giudizio, allorché la
controparte invochi l'adempimento o la risoluzione.
La giurisprudenza subordina l'eccezione solo ad una previa Comunicazione, altrimenti al condotta
del debitore sarebbe contraria a buona fede.
♦ La Colpa → L'insolvibilità sopravvenuta va considerata senza dare rilevanza alla colpa: può
cioè essere sospeso l'adempimento anche qualora l'insolvenza della controparte non dipenda da una
sua colpa.
Fin dal tempo degli antichi Romani, il problema è stato battezzato “Problema dei Rischi”: il dato
fondamentale da cui partire è la connessione fra le due prestazioni contrattuali:
In Francia si prevede la Risoluzione per impossibilità sopravvenuta in tema di Locazione ed Appalto, anche
qualora la controprestazione sia già stata effettuata (es. pagamento): la risoluzione è inquadrata nella Teoria
della Causa (venendo meno una prestazione, cade la causa del contratto che, quindi, va risolto);
In Germania ed in Italia si prevede la duplice regola dell'estinzione del diritto alla controprestazione, e
dell'obbligazione restitutoria;
Nel Regno Unito, si è pervenuti alle medesime conclusioni tedesche ed italiane, anche se ci sono state difficoltà
a ritenere ammissibile la liberazione del promissario, nonché ad ammettere la restituzione del corrispettivo già
pagato.
● In caso di Impossibilità Parziale (art. 1464 C.c.), sarà dovuto un corrispettivo ridotto qualora
sussista un interesse apprezzabile del creditore e, quindi, vi sarà Risoluzione Parziale.
In assenza d'un interesse apprezzabile alla prestazione parziale, il Creditore può rifiutarsi di dare il
corrispettivo ridotto, e può recedere dal contratto.
L'impossibilità parziale differisce dall'Impossibilità Temporanea, perché in quest'ultimo caso la prestazione potrà
eseguirsi più tardi, ma potrà eseguirsi tutta.
(!) Le norme sulla Risoluzione sono tutte Derogabili.
► Requisiti dell'Impossibilità → La causa dell'impossibilità è liberatoria quando l'impossibilità:
Non sia imputabile al Debitore (altrimenti, si avrebbe Inadempimento, e la Risoluzione
potrebbe chiedersi non ex art. 1463 e ss. C.c., ma ex art. 1453 C.c.);
Sia anteriore all'Adempimento;
Sia definitiva: l'impossibilità temporanea – v. infra –, finché perduri l'interesse del creditore, è
compatibile con l'obbligazione.
Sono stati poi aggiunti altri due requisiti, contestati però da una parte della dottrina:
L'Infungibilità della Prestazione;
Afferenza dell'Impossibilità alla Prestazione, e non al Promittente.
Quindi, l’impossibilità temporanea di per sé non risolve il contratto, e lascia vive le obbligazioni
delle parti: ma la parte impossibilitata ad adempiere non è responsabile del ritardo
nell’adempimento.
(!) Ci si può chiedere se l’altra parte debba la controprestazione: sembra ragionevole rispondere che
può a sua volta sospenderla, opponendo un’Eccezione d’Inadempimento.
Col tempo, però, anche l’impossibilità temporanea può diventare definitiva e, quindi, “risolutoria”:
infatti, se essa perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad
eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla, allora
l’obbligazione si estingue: e quindi, per via del sinallagma, si risolve il contratto.
Il momento in cui l’impossibilità temporanea da sospensiva si trasforma in risolutoria dipende dal
Titolo dell'Obbligazione e dalla Natura dell’Oggetto.
► Impossibilità dovuta al fatto del Creditore (Roppo) → Talora la prestazione non può essere
adempiuta, per cause che si producono nella sfera del Creditore.
Roppo distingue due gruppi di impossibilità:
Impossibilità Oggettiva della Prestazione → L'impossibilità può qui essere:
▪ Imputabile al Creditore: ad es., si pensi ad un appalto in cui Tizio, committente, non lasci
ristrutturare l'immobile a Caio, appaltatore, perché non gli consegna l'immobile.
Il debitore (cioè l'appaltatore) può qui tutelarsi con diversi rimedi:
Può chiedere la Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta imputabile al Creditore, ma
con un limite: in casi simili, l'impossibilità è spesso temporanea, ed il Debitore dovrà
quindi attendere che maturi il termine ex art. 1256 comma 2 C.c.;
Può chiedere il Risarcimento del Danno, ma solo se ha previamente costituito in mora il
Creditore (artt. 1206-1207 C.c.), cioè il committente;
Può chiedere la Risoluzione per Inadempimento ex art. 1453 C.c., che non richiede né la
costituzione in mora, né l'attesa del termine ex art. 1256 C.c.: per ottenerla, basta che il
ritardo del Creditore raggiunga la soglia dell'importanza non scarsa, ma il Debitore deve
riuscire a qualificare il fatto del creditore come “inattuazione di un vero obbligo
contrattuale”, e non come semplice “onere di cooperazione”.
▪ Non imputabile al Creditore: ad es., Tizio committente non può consegnare l'immobile a
Caio, appaltatore, perché l'immobile è crollato a seguito d'un terremoto.
Qui, il contratto si risolve, con le note conseguenze.
Impossibilità Soggettiva del Creditore → Anche qui, l'impossibilità può essere:
▪ Imputabile al Creditore: non spetta al Creditore alcun rimedio legale.
Si pensi a Tizio che, acquistato un biglietto per l'Opera, la sera cambi idea e vada al ristorante:
non può farsi restituire il denaro speso per il biglietto del teatro;
▪ Non imputabile al Creditore: si pensi a Tizio che, acquistato il biglietto per l'Opera, non
possa andarci perché rimasto chiuso in ascensore.
Roppo ritiene qui che il rischio cada sempre sul creditore, che quindi non può chiedere alcun
rimedio (salvi eventuali diritti di Recesso, legali o convenzionali); mentre la Giurisprudenza,
invece, accorda talvolta la Risoluzione ex art. 1463 C.c.. o un rimedio basato sul venir meno
della “causa concreta”.
♦ Contratto a prestazioni corrispettive con una prestazione già eseguita → Se una prestazione è
già stata eseguita, la situazione sarà simile a quella di un'obbligazione isolata, ex art. 1333 C.c..
In caso di eccessiva onerosità, deve perciò applicarsi l'art. 1467 o l'art. 1468 C.c.?
Di regola, si applica l'art. 1467 C.c., in quanto si dice che abbia qui rilevanza la funzione
originaria del contratto: quindi, si ha Risoluzione, con ripetizione delle prestazioni.
(!) Sacco, però, ritiene inadatta tale soluzione, a favore invece dell'art. 1468 C.c.; infatti:
Esempio → Si immagini il seguente contratto:
Tizio si obbliga a cedere a Caio il bene Alfa, che vale 100;
Caio si obbliga a cedere a Tizio il bene Beta, che vale 50;
Tizio ottempera al proprio obbligo e consegna a Caio il bene Alfa: a questo punto, Caio paga 100.
Caio, quindi, deve consegnare a Tizio il bene Beta. Senonché, poco prima della consegna, il bene Beta aumenta di
valore, fino a valere 500: quindi ora, per Caio, cedere il bene Beta è eccessivamente oneroso.
Allo stesso tempo, il bene Alfa perde di valore, fino a valere 30.
Se si ammettesse la risoluzione applicando l'art. 1467 C.c., Caio potrebbe semplicemente restituire il “tantundem”
del bene Alfa svalutato (30), speculando così sulla svalutazione.
Invece, applicando l'art. 1468 C.c., Caio, invece di restituire Alfa e dare il bene Beta facendosi pagare di più,
potrebbe tenersi Beta e pagare una somma proporzionata al valore che Beta aveva al momento del contratto.
► I Contratti Aleatori → L’art. 1469 C.c. sottrae alla risoluzione il contratto aleatorio, tale per
sua natura o per volontà delle parti; della norma possono darsi due letture:
▪ Il Giudice adito per la risoluzione o riduzione deve valutare la natura aleatoria del contratto
per concedere i rimedi suddetti;
Questa soluzione è coerente con l'art. 1469 C.c., che opera una discriminazione basata sul
Contratto (non aleatorio → risoluzione/riduzione; aleatorio → nessun rimedio);
▪ Il Giudice adito per la risoluzione o riduzione deve esaminare la natura dell'evento nocivo
sopravvenuto, accertando se il contratto avesse accollato o meno al danneggiato il rischio di
quel determinato evento che poi si è realizzato.
Questa soluzione è incoerente con l'art. 1469 C.c., perché distingue in base all'Alea.
(!) Sacco, però, preferisce la seconda lettura, per varie ragioni.
In primis, è la stessa Legge che concede a dei Contratti Aleatori, come quello d'Assicurazione, una
serie di rimedi contro le perturbazioni dei rischi (v. artt. 1897-98 C.c.).
Inoltre, l'impostazione per cui, di regola, chi si sobbarca un rischio non possa disporre in ogni caso
di rimedi a causa dell'aleatorietà, impedisce di fornire dei rimedi anche a colui che si sia caricato
un certo rischio, da cui però scaturiscano eventi dannosi ulteriori e non previsti.
Questa lettura, quindi, consentirebbe di disapplicare gli artt. 1467-68 C.c. ogniqualvolta il
contenuto del contratto accolli un certo rischio, precisamente individuato, ad una delle Parti.
Se il contratto nulla dispone su un certo rischio, si applicano gli articoli citati.
Esempio → Se il contratto accolla un'alea a Tizio, questi non può chiedere la risoluzione/riduzione: le due norme sono
così disapplicate in presenza di un'alea che una parte si sia sobbarcata.
La risoluzione/riduzione sarebbe invocabile da Tizio se il contratto, magari aleatorio per altri motivi, non avesse
disciplinato quella particolare alea, assolutamente imprevedibile: quindi, si distingue in base all'Alea.
♦ Negozi Strumentali ed art. 1469 C.c. → L’applicazione dei principi fin qui esposti dà luogo a
difficoltà maggiori nel campo dei contratti, negozi e situazioni strumentali (es. contratti preliminari,
opzioni e proposte irrevocabili); è stato infatti affermato che la prestazione strumentale non
avrebbe di per sé un proprio valore economico, e che pertanto sarebbe impossibile constatare la
presenza di un equilibrio fra prestazione e controprestazione.
Uno squilibrio sarebbe constatabile soltanto nelle situazioni definitive.
Ad es., si è sostenuto che i rimedi siano inapplicabili ai Contratti Preliminari, perché l’onerosità
colpirebbe non la prestazione propria di questi (concludere il definitivo), ma la prestazione dedotta
nel definitivo. La tesi in esame va respinta: la parte colpita dalla sopravvenienza dovrebbe
concludere il definitivo, salvo chiederne poi la risoluzione per una onerosità sopravvenuta già in
pendenza del preliminare.
Quindi, chi ha contratto un preliminare se ne potrà difendere se, prima della conclusione del definitivo, la prestazione
che il contratto definitivo sarà destinato a porre a suo carico sia divenuta troppo gravosa.
La stessa soluzione vale anche per i Contratti Associativi: si concederanno i rimedi del caso,
qualora il rischio sia relativo alla prestazione di un singolo socio (Sacco, Roppo).
L'ONEROSITA' ECCESSIVA
In cosa consiste l’onerosità rilevante?
La Legge parla di prestazione divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi…: in questo modo
sembra riferirsi all’onerosità come ad una condizione che tocca direttamente la prestazione dovuta
da chi invoca il rimedio. Si parla qui di “Onerosità Diretta” (Roppo).
Ciò che importa è il mancato esaurimento della prestazione direttamente colpita dall’onerosità, e
dovuta da chi invoca il rimedio; è irrilevante che sia o meno esaurita la controprestazione.
L’onerosità eccessiva va riferita alla prestazione considerata “oggettivamente” e non alla
situazione soggettiva in cui si trova il debitore.
(!) L’interprete, inoltre, ha equiparato alla sopravvenuta onerosità della prestazione del debitore il
sopravvenuto “svilimento” della controprestazione: si parla qui di “Onerosità Indiretta”.
Deve comunque trattarsi sempre di svilimento oggettivo, cioè di perdita di valore di mercato della
controprestazione; non rileva, invece, la minore costosità di quest'ultima, intervenuta nella sfera
soggettiva di chi la deve.
La rilevanza dell’onerosità indiretta è subordinata alla condizione che anche la controprestazione
svilita non sia ancora esaurita al tempo dell’evento che la svilisce: infatti, una volta prestato il
pagamento, chi lo ha ricevuto non può più invocare la svalutazione, a condizione che, a sua volta,
abbia già svolto la propria prestazione (cioè si sia già liberato).
♦ Alea Normale → Ogni contratto espone le parti a qualche rischio: l'alea normale del contratto è
“la tipologia e la misura del rischio” che la parte implicitamente si assume col contratto.
Essa dipende in primo luogo dal tipo e dal sottotipo contrattuale, giacché ogni tipo incorpora un
diverso piano di ripartizione dei rischi fra i contraenti.
Ma alla considerazione del tipo deve aggiungersi l’apprezzamento di ogni altro dato
personalizzante che concorra a disegnare il piano di ripartizione dei rischi concretamente adottato
dalle parti (il particolare oggetto del contratto; clausole estranee alla disciplina del tipo, negoziate
ad hoc; ecc...).
♦ Il Tempo di riferimento (Roppo) → Il tempo al quale riferirsi per misurare il sopravvenuto
squilibrio dei valori delle prestazioni non è detto che sia quello in cui si verifica l'evento che lo
causa: infatti, vanno considerate tutte le eventuali correzioni successive.
Per cui, il tempo rilevante sarà quello del Giudizio.
LA RISOLUZIONE e la MODIFICAZIONE
Perché il contratto si risolva o si modifichi, occorrono le dichiarazioni degli interessati: infatti, il
contraente su cui non grava l’onerosità dev’essere messo in grado di sapere che non può più
contare sul contratto (per lo meno nei suoi termini iniziali) e dev’essere messo in termini per
paralizzare la Risoluzione proponendo la riduzione ad equità, ove lo ritenga opportuno.
♦ Domanda (Sacco, Roppo) → Il rimedio risolutorio si attiva, normalmente, proponendo in
giudizio domanda di risoluzione, dunque facendo valere l’eccessiva onerosità in via di Azione.
▪ Eccezione → Ci s’interroga se il rimedio si possa far valere anche in via di eccezione: se in un
contratto di durata A conviene B per l’adempimento, B può certo difendersi eccependo
l’eccessiva onerosità.
(!) Tuttavia, non si può eccepire l'onerosità sopravvenuta per giustificare il proprio
inadempimento.
▪ Sentenza ed Effetti → La sentenza che accolga la domanda è una Sentenza Costitutiva.
Secondo il modello comune, la risoluzione non retroagisce contro i Terzi, ma è retroattiva fra le
Parti, generando obblighi di restituzione.
Peraltro, la retroattività rimonta al momento del contratto solo per i contratti ad esecuzione
differita.
(!) Invece, nei Contratti di Durata, essa non pregiudica le prestazioni già eseguite o, più
precisamente, eseguite prima della sopravvenienza onerosa.
Indirizzare le parti alla rinegoziazione non contrasta col principio di autonomia: infatti, quando le
parti non hanno previsto un rischio (quindi vi è una Lacuna Contrattuale), è meglio avviarle
verso l'itinerario che, se informate, avrebbero trovato normale e naturale, piuttosto che
schiacciarle sotto il peso d'una regola che esse non avrebbero voluto, se solo avessero saputo.
Tuttavia, se le parti, concludendo il contratto originale, temono una modifica operata dal Giudice,
potranno anche bloccare, con apposita clausola, la revisione del contratto nell’ipotesi di
sopravvenienza: è la c.d. “Clausola di Non Revisibilità” , ed è perfettamente ammissibile.
Sacco, però, ritiene che una tale clausola comporti conseguenze rovinose.
♦ Forma del Mutuo Dissenso → La Giurisprudenza richiede (v. Cassaz. SS.UU. 8878/1990):
Una Forma “per Relationem”, se la forma del contratto da sciogliere è “ad substantiam”
per Legge o per volontà delle parti ex art. 1352 C.c. (salvo diversa previsione); la stessa
regola si applica anche allo scioglimento di Contratti Preliminari ex art. 1351 C.c.;
Una Forma Libera, se la forma è ad probationem; se è stata prevista dalle parti non ad
substantiam; o è già libera.
Nel primo caso, la forma vincolata è senz'altro richiesta se il contratto da sciogliere ha ad oggetto
Diritti Reali Immobiliari: negli altri casi che non hanno ad oggetto diritti immobiliari, per Roppo,
anche se il contratto ha una forma ad substantiam, si può ammettere la forma libera.
La ratio starebbe nel fatto che sciogliere un rapporto esistente sia meno grave che modificarlo, per
cui sono ammissibili minori cautele rispetto alla forma richiesta per il patto modificativo (soggetto
agli stessi requisiti di forma del contratto che va a modificare).
► Il Recesso Unilaterale → Il Mutuo Dissenso è quindi una facoltà normale delle Parti:
all'opposto, il Recesso Unilaterale presuppone che esso sia specificatamente attribuito per Legge o
per Clausola contrattuale, come richiede l'art. 1373 C.c..
Ma ci sono delle eccezioni:
Contratti a Tempo Indeterminato → Si ammette il recesso in ogni caso, perché
l'ordinamento non tollera che un vincolo duri in eterno (la Dottrina ammette il recesso
anche dai contratti atipici a tempo indeterminato);
Contratti ad Esecuzione Continuata → Il contraente fedele può reagire tramite il recesso,
a fronte delle inadempienze della controparte (Dottrina e Giurisprudenza sono concordi).
Cassaz. 6347/1985 ha infatti ammesso il recesso della Società Alfa dal contratto con cui la Società Beta
s'impegnava a vigilare sui magazzini della società Alfa, a seguito d'un furto, anche in assenza di una clausola di
recesso, e nonostante residuassero ben 6 mesi di durata del contratto.
(!) Tale recesso ad nutum non comporta nemmeno alcun obbligo risarcitorio in capo ad Alfa.
♦ Disciplina (art. 1373 C.c.) → De Nova affronta quindi la disciplina del Recesso:
▪ Comma 1: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata
finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
Se il contratto è ad esecuzione istantanea, il recesso può essere esercitato in quanto il contratto
non abbia avuto un principio d’esecuzione.
▪ Comma 2: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche
successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione”.
Se il contratto è ad esecuzione continuata o periodica, il recesso può esercitato anche se il
contratto ha avuto un principio di esecuzione, ma il recesso non vale per le prestazioni già
eseguite o in corso di esecuzione: quindi, il Recesso non è Retroattivo!
▪ Comma 3: “Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto
quando la prestazione è eseguita”.
Il comma si riferisce alla c.d. “Multa Penitenziale”, di cui infra.
▪ Comma 4: “E' salvo in ogni caso il patto contrario”.
Quest'ultimo comma, posto a chiusura dell'articolo, si riferisce a tutti i commi precedenti!
Per cui, ex comma 4, può benissimo capitare che nei contratti istantanei le parti prevedano il recesso
anche dopo il principio di esecuzione; e che nei contratti di durata prevedano un recesso retroattivo.
(!) Tuttavia, la libertà riconosciuta dalle parti non è assoluta: il limite è dato dal fatto che le
parti non possono attribuire al recesso Efficacia Retroattiva Reale, cioè efficacia che produca i
suoi effetti anche nei confronti dei Terzi.
Infatti, argomentando ex art. 1372 comma 2 C.c., che prevede che il contratto non produca effetto
rispetto ai terzi, salvo nei casi previsti dalla Legge, ne deriva che l'efficacia retroattiva reale
possa essere prevista solo dalla Legge stessa.
♦ Contratto ed Effetti Reali → Alcuni limitano l'efficacia del recesso solo ad alcune categorie di
contratti, in particolare a quelli ad effetti obbligatori: secondo De Nova, invece, il recesso vale
anche nei contratti ad Effetti Reali, e ciò in forza dell'ampio potere di autonomia nella
definizione dello scioglimento del vincolo contrattuale riconosciuto in capo alle parti.
(!) In forza di tale ampio potere, potrà capitare che un recesso convenzionale atteggiato dalle parti
in modo nettamente divergente dal modello legale finisca per ricadere sotto un diverso istituto; in
particolare potrebbe essere inteso come una Condizione Risolutiva Meramente Potestativa.
Come distinguere il Recesso dalla C. Risolutiva meramente potestativa? Non ci si può basare sul fatto che la condizione
sia retroattiva ed il recesso no, perché in ambo i casi la disciplina della retroattività è derogabile.
(!) Per cui, Cassaz. 3626/1989 ha stabilito che, a prescindere dalla qualificazione operata dalle parti, si abbia:
Recesso Convenzionale → Quando ad una delle parti è consentito sciogliere il vincolo mediante una dichiarazione;
Condizione Meramente Potestativa → Quando lo scioglimento deriva da un evento indipendente dalla volontà delle
parti.
♦ Rapporti fra Recesso Legale e Convenzionale → Nel caso del recesso legale, l'ampia
autonomia delle parti perde peso. Infatti vi sono tipi contrattuali o gruppi di contratti in cui:
▪ Il Recesso è previsto solo a favore di una parte: è il caso della Locazione d'Immobili Urbani;
▪ E' prevista una normativa inderogabile per il Recesso; ad es. per i contratti:
di Lavoro Subordinato;
Negoziati fuori dai locali commerciali;
Bancari e Finanziari, in caso di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali;
di Collocamento a distanza di Strumenti Finanziari o di Gestione di Portafogli;
di acquisizione di un D. di Godimento a tempo parziale su immobili;
c.d. “a Distanza”.
▪ La previsione d'una clausola di Recesso Convenzionale può essere imposta: è il caso di Contratti
di Somministrazione di Energia Elettrica, per previsione dell'Autorità per l'Energia Elettrica;
▪ La previsione di tale clausola può essere altrimenti vietata: ad es., così accade per i Contratti di
Assicurazione Malattia di durata fino a 5 anni, per previsione dell'IVASS.
♦ Funzioni del Recesso → Il recesso (legale e convenzionale) svolge funzioni diverse:
▪ Recesso Determinativo → Serve a dare un termine a contratti di durata che ne siano privi;
▪ Recesso come Mezzo d'Impugnazione → Serve ad impugnare il contratto per la presenza di
vizi originari o sopravvenuti;
▪ Recesso come “Ius Poenitendi” → Consente alla parte, nei contratti di durata, perpetui o a
lungo termine, di sciogliersi dal rapporto, venuto meno il suo interesse;
Ad es., affrancazione del fondo enfiteutico (art. 971 C.c.); riscatto della rendita (art. 1866 C.c.).
▪ Recesso Iniziale → E' il recesso che consente di recedere da un contratto concluso a seguito di
un approccio aggressivo (es. vendite da porta a porta);
▪ Recesso di Protezione → E' consentito alla parte considerata più debole;
▪ Recesso per Modificazione dei Presupposti → Consente alla parte, a fronte di una
modificazione importante delle condizioni contrattuali, di sciogliersi dal vincolo (es. cambio del
piano tariffario del telefonino).
N.B.: Gli ultimi tre punti sono stati aggiunti al seminario del Dott. Patrizio Cataldo, 3/05/2017.
LA DISCIPLINA
● La facoltà di recesso prevista dal contratto si esercita per mezzo di una Dichiarazione: non è
sufficiente un comportamento da cui risulta la volontà di non adempiere al contratto.
● Tale dichiarazione integra un Negozio Unilaterale Recettizio che deve rivestire la stessa Forma
prescritta per la conclusione del contratto oggetto di scioglimento:
Vi è maggior rigore formale rispetto al mutuo dissenso in quanto la struttura unilaterale del recesso impone un
sovrappiù di certezza a tutela di chi subisce gli effetti di un atto al quale non partecipa (Roppo).
● Le parti possono subordinare il patto di recesso a Condizione (inapplicabile invece al “diritto di
recesso”) e possono prevedere un Termine per l’esercizio dello stesso (iniziale: a partire da un anno
dalla stipulazione; finale: entro x giorni dalla conclusione del contratto; oppure sia iniziale che
finale). Il termine finale non legittima il recesso se la prestazione istantanea sia già stata eseguita.
● Per precludere il recesso, il “Principio di Esecuzione” dev’essere posto in essere dal recedente
o da lui consentito e dev’essere successivo alla conclusione del contratto (e non contestuale).
● E' illogico parlare di “prestazioni già eseguite” per i Contratti ad Esecuzione Continuata,
perché qui la prestazione è unitaria: qui, necessariamente, il recesso interviene in corso di
esecuzione. Perciò, per i contratti ad esecuzione continuata il recesso ha effetto dal momento in cui
la dichiarazione del recedente giunge a conoscenza dell’altra parte.
● Se il contratto è “divisibile”, si può ammettere che il diritto di recesso possa essere esercitato pro-
parte: quindi, De Nova ritiene ammissibile, a queste condizioni, il Recesso Parziale.
IL RECESSO LEGALE
Esistono tre fondamentali ipotesi di Recesso Legale:
● Versamento di Caparra Confirmatoria ed Inadempimento ( art. 1385 C.c.) → E' il recesso
previsto a favore della parte che ha ricevuto la caparra confirmatoria, a fronte dell’inadempimento
della controparte: infatti, ribaltando il discorso, nel momento in cui una parte paga una caparra
confirmatoria ed è inadempiente, l’altra parte può recedere trattenendo la caparra.
● Impossibilità Parziale della prestazione della Controparte ( art. 1464 C.c.) → E' il recesso
previsto per il creditore che, qualora la prestazione della controparte diventi parzialmente
impossibile, non abbia più interesse all'adempimento parziale.
● Recesso nei casi di “Ius Poenitendi” → Si tratta dei casi di ius poenitendi riconosciuto al
Consumatore in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (perché colto di
sorpresa); a queste ipotesi si possono aggiungere tutti i casi di Recesso “di Protezione” (contratti
che rientrano nell'ambito del credito al consumo; contratti di gestione di patrimoni; contratti bancari
modificati unilateralmente dall'ente creditizio; contratti di assicurazione sulla vita; multiproprietà;
contratti a distanza).
► Recesso e Tipi Contrattuali → In moltissimi tipi contrattuali, il Legislatore prevede il Recesso
Unilaterale (somministrazione a tempo indeterminato; locazione a tempo indeterminato; locazione
di fondi urbani; affitto; appalto; trasporto; mandato; deposito; comodato; assicurazione; contratti
bancari; contratti agrari; contratti di lavoro subordinato; ecc...): per i contratti tipici, la regola è il
recesso unilaterale, sicché l'art. 1372 C.c. è sostanzialmente svuotato.
Anche l'art. 1373 C.c. ha poco spazio, visto la dettagliata disciplina del recesso tipo per tipo.
(!) De Nova ritiene che anche per i Contratti Atipici a Tempo Indeterminato le Parti sono libere
di recedere unilateralmente, pur se nulla hanno previsto a riguardo.
Le varie ipotesi di recesso legale possono essere raggruppate in vario modo: una classificazione
ormai consolidata contrappone il Recesso Ordinario – che è causa estintiva normale del rapporto di
durata a tempo indeterminato e risponde all’esigenza di evitare la perpetuità dei vincoli obbligatori
– al Recesso Straordinario – che incide sui rapporti muniti di termine, anticipandone la cessazione,
e risponde ad esigenze eccezionali attinenti alla patologia del rapporto –.
♦ La Posizione Contrattuale e gli Effetti della Cessione → La Cessione del Contratto ha per
effetto non solo la trasmissione dei Debiti o dei Crediti nascenti dal contratto con i relativi
accessori, ma anche di quel complesso di diritti potestativi, azioni ed aspettative che sono connessi
alla qualità di contraente (ad es., poteri di annullamento, rescissione, risoluzione, eccezione
dilatoria, recesso, ecc...).
(!) Quindi, De Nova afferma che non è vero che la Cessione consiste nella semplice “cessione dei
crediti ed accollo dei debiti”, come ha sostenuto il Cicala: in realtà vi è, nella Cessione, una vera e
propria successione del cessionario nella posizione contrattuale del cedente, sì che il contratto
non produrrà più effetti fra cedente e ceduto, ma fra cessionario e ceduto.
In particolare, De Nova ribatte a Cicala affermando che l'Accollo non ha per effetto naturale la liberazione del debitore
originario, mentre così è per la cessione; nell'accollo cumulativo il debitore rimane obbligato in solido col terzo, mentre
nella cessione non liberatoria il cedente non è condebitore solidale, ma debitore sussidiario;inoltre, nella Cessione dei
Crediti, il cedente che garantisca il cessionario risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, mentre nella Cessione del
Contratto il cedente garante risponde come fideiussore.
Roppo definisce “Teoria Atomistica” quella sostenuta dal Cicala e “Teoria Unitaria” quella di De Nova
(che Roppo condivide)
(!) Con la cessione il contratto, il suo Contenuto oggettivo resta immutato, tanto che
l’Interpretazione dei contraenti originari vincola anche il cessionario.
♦ Modifiche e Cessione Parziale → Sul punto, occorre distinguere due punti di vista:
▪ Giurisprudenza → Ritiene che le parti della cessione non possano modificare il contratto
oggetto di cessione (anche se negli anni '90 alcune sentenze hanno derogato a tale impostazione,
ammettendo modificazioni marginali e l'inserimento di obbligazioni aggiuntive, fino ad arrivare
all'ammissibilità di modifiche del contratto ceduto, pattuite fra cedente e cessionario).
Inoltre, la Giurisprudenza vieta la Cessione Parziale del Contratto;
▪ De Nova ed altra Dottrina (Bianca, Roppo) → Sono ammissibili modifiche al contenuto del
rapporto, compatibili con l'intento delle Parti di tener fermo per il resto il rapporto originario.
Inoltre, è ammissibile la Cessione Parziale del contratto, ferma restando la titolarità del Cedente
per la quota non trasferita (ad es., cessione di una parte di un contratto d'appalto).
♦ Cessione Onerosa e Gratuita → La cessione può avvenire o meno dietro corrispettivo, pagato
dal Cessionario al Cedente.
De Nova ammette che anche il Ceduto possa ottenere un corrispettivo per prestare il proprio
consenso alla cessione.
Inoltre, Torrente ammette invece che addirittura possa essere il Cedente a pagare il Cessionario,
pur di liberarsi di un contratto scomodo.
♦ Disciplina. Le Cessioni Atipiche → L'istituto in esame è regolato agli artt. 1406-1410 C.c..
Si è così posta fine ai dubbi della dottrina sull'ammissibilità della cessione del contratto, e si è cristallizzata al
contempo una prassi assai diffusa nel settore della compravendita di merci.
In base alla Legge, può cedersi solo un contratto che sia:
A prestazioni corrispettive;
Non ancora eseguite;
Occorre inoltre il consenso del contraente ceduto.
Questi tre elementi sono requisiti inderogabili?
▪ Secondo la Giurisprudenza e la Dottrina un tempo prevalenti, sì: sarebbero precluse le
Cessioni Atipiche;
▪ Oggi, invece, si ritiene che, invero, non vi siano ragioni per non ammettere Cessioni Atipiche.
(!) De Nova analizza quindi le ragioni di tale ammissibilità:
▪ Cessione di Contratti Unilaterali o Bilaterali eseguiti “ex uno latere” → Teoricamente non
sarebbe ammessa, e potrebbe esser ceduta solo la posizione di debitore o di creditore.
Ma, pur in assenza di una “corrispettività” delle prestazioni, oggi si ritiene che la posizione attiva o
passiva ricomprenda anche i Diritti Potestativi del contraente, le azioni relative, i Diritti fondati su
patti speciali: quindi ha ragion d'essere la Cessione del Contratto, poiché essa, come s'è detto,
consente di ottenere un risultato altrimenti non conseguibile con la cessione del credito o con
l'accollo del debito;
▪ Cessione di Contratti ad Effetti Reali → Una volta intervenuto l'effetto reale (es. trasferimento
proprietà), alcuni ritengono che sarebbe possibile operare solo un altro autonomo atto di
ritrasferimento (= rivendita), e non la cessione.
Ma De Nova ritiene che non è escluso che la cessione del contratto possa avere effetto traslativo: in
particolare, in caso di Rivendita, il subacquirente avrebbe causa dal primo acquirente; invece,
ricorrendo alla Cessione del Contratto, avrebbe causa direttamente dall'alienante, il che
rileverebbe soprattutto per i naturalia negotii, ad es. per l'evizione;
▪ Mancanza di Consenso → E' la stessa Legge a prevedere casi in cui il consenso non è necessario:
ad es., il conduttore dell'immobile ad uso non abitativo può cedere il contratto di locazione anche
senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda; oppure, l'affittuario
di fondi rustici, che abbia eseguito a sue spese le migliorie del fondo, può cedere il contratto ad uno o
più familiari che continuino la coltivazione del fondo, anche senza il consenso del locatore.
♦ Limiti alla Cessione → Va precisato però che non tutti i contratti possono essere ceduti.
Un caso di incedibilità assoluta riguarda l'Appalto di Opere o Lavori Pubblici: se il contratto
venisse ceduto, la cessione sarebbe nulla.
In altri casi, la Natura del Contratto limita la cessione: così accade in caso di contratti la cui
conclusione sia consentita solo a Soggetti con particolari requisiti di Legge (contratti relativi a
fondi rustici, mutuo di scopo, contratto di lavoro sportivo): solo loro possono cedere il contratto.
In tali casi, infatti, sono in gioco Interessi d'Ordine Generale, che non possono essere rimessi alla
valutazione del contraente ceduto.
▪ Contratto di Lavoro Subordinato → E' un caso particolare: il datore di lavoro può cedere il
contratto, col consenso del lavoratore, che continua la prestazione della propria opera alle
dipendenze del cessionario con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente; mentre,
invece, il lavoratore non può cedere il contratto, nemmeno col consenso del datore di lavoro;
▪ Contratti “Intuitu Personae” → De Nova rifiuta l'idea della totale incedibilità di tali contratti.
Infatti, sarà il contraente ceduto (ad es. l'impresa teatrale) a valutare se le qualità personali che lo
avevano indotto alla conclusione del contratto originario con il cedente (es. quel famoso attore)
siano presenti anche nel cessionario (un altro attore che sostituisce il primo);
▪ Contratti che si estinguono “Mortis Causa” → De Nova ritiene che non vadano considerati
per natura “incedibili”, perché la trasmissibilità inter vivos e quella mortis causa non sono
soggette ad una disciplina unitaria.
Infine, in alcuni casi il Legislatore sembra vietare espressamente la Cessione del Contratto (es.
mezzadria, locazione, colonia parziaria): ma il divieto è solo apparente, perché in quei casi ciò che
è vietato è cedere il contratto senza il consenso del ceduto.
(!) Invece, De Nova ritiene che un divieto di cessione deve dedursi dai Divieti di Contrarre in
Conflitto d'Interessi fra due soggetti, uno dei quali amministri i beni dell'altro: infatti, se il
soggetto a carico del quale è posto il divieto, potesse diventare cessionario del contratto che altri ha
stipulato, il divieto sarebbe troppo facilmente aggirato (ed il ceduto che dovrebbe dare il consenso
sarebbe proprio l'altra parte in conflitto d'interessi!).
♦ Mancanza del Consenso: effetti residui → Quali sono gli effetti di un accordo fra cedente e
cessionario in mancanza del consenso del ceduto?
▪ Giurisprudenza → Considerando il consenso un elemento costitutivo, la sua mancanza rende
totalmente non operativa la cessione, neppure fra cedente e cessionario;
▪ Dottrina → In un'ottica più permissiva, ammette la cessione dei crediti e l’accollo dei debiti.
(!) Qualora le parti, pur non essendo obbligate ad attivarsi per ottenere il consenso, ne ostacolino la
manifestazione, sono ritenute responsabili ex art. 1337 C.c..
♦ Consenso Tacito → In linea di principio il consenso può essere anche tacito, ma non potrà
esserlo nei casi in cui la cessione dev’essere formale (v. infra).
L'onere di provare l'esistenza di tale consenso tacito incombe su chi invochi la cessione del
contratto.
♦ Rapporti fra Ceduto e Cessionario (art. 1409 C.c.) → Il cessionario subentra al cedente in tutti
i diritti e gli obblighi che facevano capo a quest'ultimo in base al contratto ceduto: egli sarà inoltre
titolare di ogni potere, facoltà, obbligo, azione od eccezione derivante dal contratto, compreso il
diritto, ad es., di far valere l'eventuale nullità dello stesso.
Il contraente ceduto, quindi, può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto,
ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente (c.d. “Eccezioni Personali”: ad es.,
l'Eccezione di Compensazione), salvo che ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha
consentito alla sostituzione (lo stesso, per De Nova, può dirsi per il cessionario contro il ceduto,
qualora le parti lo prevedano).
♦ Rapporti fra Cedente e Cessionario (art. 1410 C.c.) → Il cedente è tenuto a garantire la
validità del contratto (cioè deve garantire il c.d. nomen verum, ma ciò può anche escludersi, per
previsione delle parti).
▪ Cessione “pro Soluto” → Di regola, il Cedente non è tenuto a garantire il cessionario anche
per l'adempimento del ceduto: quindi, ha comunque diritto al corrispettivo anche in caso
d'inadempimento del ceduto;
▪ Cessione “pro Solvendo” → Il Cedente che assume la garanzia anche dell’adempimento del
contratto (da parte del ceduto), risponde come un fideiussore.
LA FORMA
La Legge tace sulla Forma della Cessione: in origine si era optato per una libertà di forme; ma
presto, però, si è affermata l’opinione opposta, trovando anche l’adesione della Giurisprudenza.
(!) De Nova ritiene che la cessione di un contratto formale debba essere anch'essa formale per
ragioni di sostanza, in quanto comporta una vicenda di rapporti per i quali è imposto l’onere di
forma (alcuni – Carresi e Mirabelli – hanno invocato un principio generale, secondo cui ogni
negozio modificativo di altro negozio con forma ad substantiam debba avere forma per relationem).
L'autore rigetta invece le giustificazioni elaborate sulla base di esigenze pratiche: pur arrivando alle
stesse conclusioni (= necessità della forma), si basano su argomenti che non reggono.
Ad esempio:
▪ Si è ritenuto che la cessione formale possa consentire alle parti di eludere l'onere formale imposto
per il contratto principale: ma questo non ha senso, perché se non è rispettato l'onere di forma per il
contratto di base, esso sarà nullo, e la cessione di un contratto nullo non produce alcun effetto
(cfr. Cassaz. 2070/1977).
Il rispetto della forma assume particolare importanza nella Cessione dei Contratti ad Effetti Reali;
in questi casi, si deve anche ritenere necessaria la Trascrizione del contratto di cessione.
Chi nega che sia cedibile il contratto ad effetti reali, ritiene che il problema si ponga solo con
riferimento alla cessione del preliminare relativo ad un diritto reale immobiliare.
L'ESTINZIONE
Il legislatore non dice nulla neanche sulla patologia della cessione del contratto, facendo così
implicito rinvio ai princìpi generali.
La cessione del contratto, nonostante abbia una struttura trilaterale, non è contratto plurilaterale
nel senso in cui è inteso dal legislatore, e ciò perché non è caratterizzata dalla comunione di scopo:
quindi, non si applicheranno gli artt. 1420, 1446, 1459 e 1466 C.c..
Seguendo questa via si è affermato che:
▪ La Violenza inficia la cessione anche quando sia esercitata contro una sola delle parti;
▪ L’Errore od il Dolo sono rilevanti soltanto quando sono noti o riconoscibili da entrambe le parti;
▪ Quanto alla Risoluzione, si è escluso che essa possa operare (Roppo invece dice di sì), in base al
rilievo che dalla cessione del contratto non sorgono, se non in via eventuale, obbligazioni per le
parti.
(!) Fra cedente e ceduto, il venir meno degli effetti del contratto di cessione riporta la posizione
contrattuale in capo al cedente, ripristinando i suoi obblighi e le sue pretese contrattuali verso il
ceduto (Roppo).
PROFILI PROCESSUALI
Ricorre Litisconsorzio Necessario (art. 102 C.p.c.) in caso di controversie relative al contratto di
cessione?
▪ Sì → Quando il giudizio ha per oggetto l’accertamento dell’avvenuta conclusione, della validità
e degli effetti della cessione del contratto,
▪ No → Quando il giudizio ha per oggetto esclusivamente le vicende del contratto ceduto.
IL SUBCONTRATTO
Nel subcontratto, il rapporto tra gli originari contraenti continua, e si costituisce solamente in
capo ad un terzo una situazione derivata da quella di un contraente: così, si può parlare di un
“Acquisto derivativo-costitutivo del Terzo”.
La distinzione rimane ferma anche se si ammette la cessione parziale del contratto, perché se dal
punto di vista oggettivo le due figure si avvicinano, rimane pur sempre l’elemento distintivo
dell’esistenza o meno di un rapporto diretto tra le parti del contratto originario e del nuovo
contratto.
Il Subcontratto non si identifica nemmeno col Contratto a favore di Terzo: questo crea per
definizione un rapporto diretto fra promittente e terzo, mentre un tale rapporto non necessariamente
si crea fra il terzo subcontraente e la parte (non subcontraente) del contratto base (Roppo).
(!) Il subcontratto non è un istituto di parte generale, non ha una sua specifica disciplina: infatti,
proprio sul piano della disciplina, tutto si riduce alla presenza di un’ipotesi di Collegamento
Contrattuale.
L’estinzione del contratto base, per l'appunto, mette in crisi anche il subcontratto.
Il tema appartiene dunque alla parte speciale sui singoli contratti, dove si trovano:
▪ Divieti di Subcontratto → Per enfiteusi, subpegno, affitto di fondi rustici, lavoro a cottimo,
intermediazione di mano d'opera;
▪ Subcontratto ammesso solo dietro Consenso del contraente originario → Per sublocazione di
cose mobili, sublocazione totale di immobili urbani ad uso abitativo, sublocazione di immobili
urbani ad uso non abitativo disgiunta dalla cessione/locazione di azienda, subaffitto, subappalto,
submandato, subdeposito, subcomodato, submezzadria.
▪ Subcontratto ammesso senza limiti → Per riassicurazione, fideiussione del fideiussore,
subnoleggio.
Alessandro Marchi
Riassunto del Manuale “Il Contratto”, di Rodolfo Sacco e Giorgio De Nova
Volume 10: “Obbligazioni e Contratti”, Tomo secondo; III Edizione
dal “Trattato di Diritto Privato” diretto da Pietro Rescigno; ed. UTET Giuridica, Torino, 2015