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La formazione del contratto e il contratto preliminare

La responsabilità precontrattuale

L’art. 1337 c.c. prevede che le parti nelle trattative e nella formazione del contratto devono
comportarsi secondo buona fede. Poi l’art. 1338 c.c. che la parte che conoscendo o dovendo
conoscere una causa di invalidità è tenuta a risarcire all’altra parte il danno subito.
Il 1337, si distingue rispetto al 1326, che invece disciplina il modo di conclusione del
contratto, perché usa la parola “trattava” e non “conclusione”. Mentre il primo termine fa riferimento
ad una vicenda temporale scandita da una sequenza di atti, la seconda fa riferimento ad una vicenda
istantanea che si consuma e risolve nell’incontro delle volontà intesa in senso sociale e non
psicologico. Il primo è tempo che scorre, la seconda è il momento preciso.
Ciò premesso la responsabilità precontrattuale nasce dalla teorica di Jering del 1861. L’idea
di fondo è che la libertà, anche quella contrattuale, non è mai totalmente libera e assoluta. Anche la
libertà contrattuale, nel decidere se stipulare, con chi, quando e come, è relativa che conosce vincoli
modali, comportamentali e solidaristici e che sono scolpiti dal canone della buona fede. E’ infatti
evidente che quando si inizia una trattativa ci si ingerisce nella sfera giuridica altrui. Secondo
l’analisi economica del diritto quando si instaura una trattativa si sceglie di correre un rischio, a che
l’altra parte non voglia stipulare, e si infligge al contempo lo stesso rischio all’altra parte. Nelle
trattative, cioè, se non c’è un preliminare le parti sanno che c’è un rischio fisiologico che una delle
due possa tirarsi indietro. Questo rischio diviene tuttavia patologico quando il comportamento della
parte che si tiri indietro diviene contrario a correttezza e buona fede o addirittura doloso. Con la
responsabilità precontrattuale, quindi, si corregge l’allocazione normale del rischio facendo sì che
la parte non si debba accollare il rischio caratterizzato da scorrettezza altrui. Si vuole evidenziare che
è vero che chi intavola una trattativa sa di correre un rischio, ma è anche vero che questo rischio
deve essere trasferito sull’altro se costui si comporta scorrettamente, ferma restando l’impossibilità
di costringerlo a contrarre.
Il significato della responsabilità precontrattuale è quindi una garanzia a fronte di
comportamenti scorretti altrui. Cioè garantisce non il rischio fisiologico ma patologico.

I problemi sulla responsabilità precontrattuale, recepita dal codice civile, sono: la natura
giuridica, ambito di operatività ai casi tipizzati al 1337 c.c. (norma di fattispecie) o natura di clausola
generale e pa responsabilità precontrattuale della pa.

Natura giuridica: legale, da contatto sociale o extracontrattuale?

La responsabilità precontrattuale si colloca in una terra di mezzo tra il contratto, che ancora
non c’è, e la responsabilità extracontrattuale che invece riguarda soggetti tra loro estranei. Una parte
della dottrina ha parlato di “area di turbolenza” che non annega nella responsabilità generica del
passante ma manca del cuore del rapporto obbligatorio, che l’obbligo di prestazione.
Cass. 14188/2016 poi divenuta diritto vivente ha aderito alla tesi della responsabilità da
contatto sociale.
Non è una responsabilità aquiliana perché non viene in rilievo un dovere generico tra
estranei ma un dovere tra soggetti in relazione tra loro avente per oggetto un preciso contratto.
L’accento che la legge pone sulle parole “parti” e “contratto” vuole sottolineare la finalizzazione al
contratto e quindi comporta un dovere che va ben oltre un dovere di non ledere l’altrui sfera e si
sostanzia nel dovere specifico di non coinvolgere l’altra parte in trattative inutili, incomplete, ecc.
Anche la Plenaria 4/2018 e 20/2021 oltre che la Cass. esclude la tesi del tertium genus, cioè
di responsabilità mista. Secondo alcuni infatti questa responsabilità è il frutto di un’unione tra le due.
Secondo altri invece occorre distinguere i casi in cui la responsabilità precontrattuale è da contatto da
quelli in cui è aquiliana. Nella prima ipotesi rientrano i casi di danni causati dalla trattativa, cioè
quando la trattativa è fattore eziologico, come il caso del danno causato dall’interruzione della
trattativa, mentre sarebbe aquiliana quando il danno è occasionato dalla trattativa dove cioè un nesso
di occasionalità estrinseco, come il caso di chi, durante la visita all’appartamento con l’intento di
comprarlo, rompe il vaso Ming. Questa variante della tesi mista, che chiamiamo dicotomica,

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introduce un sistema differenziato che non convince a fronte di un modello legale che invece appare
unitario ai sensi dell’art. 1337.
Anche la tesi della natura mista in sé non è accettabile per il semplice fatto che mancherebbe
la disciplina giuridica perché i due modelli previsti dal nostro legislatore sono solo il 2043 e il 1218.
Non c’è spazio per un tertium genus perché ne manca la disciplina. Peraltro la tesi non ha alcun
fondamento normativo.

Plenaria e Cassazione dal 2016 in poi quindi affermano la natura contrattuale da contatto
sociale che comporta obblighi specifici di prestazione pur in assenza dell’obbligo principale di
prestazione. La trattativa è un contatto sociale dal quale non deriva un dovere di correttezza generico
ma di tutelare l’aspettativa altrui al fine di non impegnarlo in una trattativa inutile. Gli argomenti
della cassazione e della Plenaria sono:
1) Letterale: il 1337 usa la parola parti, per evidenziare che sono parti di un futuro contratto
ma parti di un rapporto presente;
2) Storico: la teoria della responsabilità precontrattuale, nasce con Jeriing proprio in relazione
alla responsabilità precontrattuale da contratto invalido. Jeriing partiva dall’idea che
l’invalidità del contratto di compravendita impedisce l’esperimento dell’azione di
adempimento del contratto e dall’altro però non impedisce l’effetto secondario che è la
garanzia della validità e l’efficacia del contratto che si andrà a stipulare. La parte cioè non
garantisce solo la sua capacità di eseguire il contratto ma anche in relazione alla validità del
contratto stesso, come effetto secondario e collaterale e prescinde dalla sua validità. La
vendita nulla non impedisce l’azione contrattuale finalizzata all’attuazione dell’effetto
secondario.
3) Dogmatico: tutta la teorica del contratto sociale qui trova piena applicazione. Specifico,
volontario, causalmente finalizzato, reciproco, perché produce obblighi attivi e non solo
omissivi. E’ un contratto pregante perché la trattiva determina un’ingerenza nella sfera altrui
con conseguente obbligo di protezione;
4) Causale: la trattativa ha quale finalità specifica quella di portare alla conclusione del
contratto, diversamente dal 2043 c.c. che invece ha una caratterizzazione semplicemente
negativa;
5) Argomento economico: la tesi contrattuale risponde meglio alla logica della traslazione
dell’allocazione naturale del rischio proprio della trattativa. Questa logica è più efficiente
mediante la più forte tutela contrattuale rispetto a quella extracontrattuale, dal punto di vista
della prova e della prescrizione;
6) Argomento sistematico: se analizziamo le norme sui vizi e in particolare tutte quelle norme
che riguardano l’omessa comunicazione di una parte dei vizi della cosa che ne impediscono
l’utilizzazione fruttuosa, 1494 c.c. vendita, 1578 c.c. locazione, 1718 c.c. custodia nel
mandato, 1812 vizi della cosa nel comodato, 1821 c.c. vizi della cosa nel mutuo. Anche se il
codice sembra prefigurare questi meccanismi come effetti del negozio in una logica di
responsabilità contrattuale da contratto, a ben vedere si tratta di ipotesi di responsabilità
precontrattuale che se non ci fossero sarebbero sussumibili nell’art. 1337 c.c. perché fanno
riferimento ad una condotta di mancata informazione antecedente il contratto. Queste norme
quindi dimostrano che la condotta precontrattuale, disciplinata in maniera specifica dalle
norme dei singoli contratti, è più vicina alla disciplina contrattuale che a quella aquiliana.
D’altronde questo dovere di informativa precontrattuale è poi corroborato dal neoformalismo
comunitario e di tutta la normativa consumeristica che mira alla conclusione di un contratto
consapevole. Così come le norme sui vizi che si collegano ad un obbligo informativo
precontrattuale che partecipa della matrice contrattuale della responsabilità, anche la
disciplina consumeristica volta a correggere l’asimmetria, partono dall’assunto che già prima
del contratto c’è una relazione qualificata che comporta obblighi puntuali.

La responsabilità precontrattuale, quindi è un contatto sociale. Peraltro storicamente il contatto


sociale è stato ricondotto a due ipotesi, quello del rapporto relazionale senza contratto e quello della
trattativa prima del contratto. Mentre il primo pone problemi con il sistema delle fonti, almeno per
quello prenegoziale non è possibile prevedere una natura differente tra mezzo e fine nel senso che se

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il fine ha natura contrattuale, lo ha anche il mezzo. Ciò è confermato dal 1337 c.c. che vuole
giuridicizzare la responsabilità precontrattuale così sottraendola al 2043 e collocandola, non a caso,
nella disciplina del contratto.

Le critiche:

1) La teoria del contatto sociale, fonte atipica di obblighi di protezione orfani dell’obbligo di
prestazione, è una teoria criticata perché basata sulla b.f. creatrice di obbligazioni, sulla
impossibilità di avere obbligazioni senza prestazione e quindi incoercibili. Un credito senza
azione di adempimento finisce per essere un diritto a non essere danneggiato e quindi
totalmente privo di rilevanza giuridica prima della sua lesione. Allora, secondo questa teoria,
non esiste rapporto obbligatorio prima dell’illecito ma un rapporto che nasce con l’illecito
secondo un criterio che è aquiliano. La teoria del contatto sociale è una finzione;
2) Che bisogno c’è di ricondurre la responsabilità precontrattuale alla lesione della buona
fede e al contatto sociale se c’è l’art. 1337 c.c. che in maniera puntuale formalizza e
giuridicizza il rapporto e lo qualifica come obbligatorio? La norma di legge cioè estende la
buona fede ai rapporti precontrattuali e trasforma la relazione generica in una rapporto
obbligatorio. Il contatto sociale non c’è perché c’è la legge. Cioè qui la buona fede non è
creatrice ma recepita dalla legge. La buona fede non è fonte autonoma ma è un presupposto
legale. [Caringella concorda con la tesi della responsabilità ex lege di natura contrattuale].
3) Se seguiamo il modello della responsabilità contrattuale, sia con il contatto sociale sia se
aderiamo alla tesi della responsabilità contrattuale tipizzata, abbiamo comunque un problema
di disciplina. Detto diversamente è una responsabilità contrattuale impropria e latissima.
Questo perché è una disciplina precontrattuale dal punto di vista remediale e non sostanziale,
cioè non è la volontà contrattuale a stabilire i comportamenti che devono essere tenuti ma è
la legge mediante il parametro della b.f. Di qui il problema se si applichi il 2059 c.c. o meno
e cioè se il danno non patrimoniale sia risarcibile sempre o nei casi previsti. Sembrerebbe si
applichi rispetto a beni specifici previsti dalla legge. Quanto alla prova e alla ripartizione poi
bisogna chiedersi se si applica il regime contrattuale o quello aquiliano. Così appare
difficilmente estensibile il 1225 c.c. che esclude la risarcibilità dei danni non prevedibili
all’assunzione dell’obbligazione, cioè che prevede un parametro legato ad un preciso vincolo
negoziale contenutisticamente determinato.

La tesi prevalente quindi è la tesi della responsabilità precontrattuale da contatto sociale, ma è


contestata da coloro i quali contestano in toto la teoria del contatto sociale e anche da coloro i quali,
pur ammettendola, ritengono che qui non serva.

La responsabilità precontrattuale è uno strumento generale di riequilibrio


dell’ingiustizia contrattuale?

Dobbiamo chiarire che la b.f. rende atipico il 1337 c.c. nel senso che la b.f. non è una regola
di fattispecie ma è una clausola generale. Quindi il 1337 c.c. richiamandola ha inteso fare riferimento
al modello della clausola generale. Ne deriva che la responsabilità precontrattuale non è tassativa ma
c’è una norma principio indeterminata e che spetta al giudice individuare il precetto in base
all’interpretazione, il suo lavoro non è di sussunzione ma di integrazione mediante l’individuazione
secondo parametri giuridici della norma concreta volta a risolvere il conflitto nel caso di specie.
Le figure sintomatiche di responsabilità precontrattuale esplicative della clausola di buona
fede, solo esplicative, sono 8:

1) Mancata comunicazione di cause di invalidità che è l’unica tipica ma è una


tipizzazione relativa, suscettibile di estensione non solo al contratto non solo invalido ma
anche inefficace perché ne ricorre la medesima ratio, così come per il 1338 c.c. per il
falsus procurator.

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Il problema poi si è posto anche in relazione all’estensione al caso di nullità del contratto
per violazione di norme imperative. Qualcuno in dottrina ha detto no rilevando che
ignorantia legis non excusat nel senso che rispetto alle norme imperative entrambe le
parti devono conoscerle e quindi non c’è alcuna affidamento. Altra tesi invece sottolinea
che l’asimmetria informativa comporta che le cause di nullità sia pure virtuale, possono
essere collocate nella sfera di conoscenza di una parte soltanto e non di entrambe. Non è
infatti un caso che l’art. 1429 c.c. n. 4 prevede l’errore di diritto essenziale quando esso
sia unica ragione del contratto così ammettendo che una delle parti possa essere
incolpevolmente incorrere in un errore del diritto. L’ignoranza della legge non è
necessariamente negligenza quando presuppone dati fattuali nella sfera dell’altra parte.

2) Violazione del canone di chiarezza dell’informazione e di trasparenza. Il codice in


realtà disciplina casi specifici come il 798 nella donazione, 1759 per gli obblighi del
mediatore, 1812 nel comodato, 1821 nel mutuo, 1892 e 1893 la reticenza dell’assicurato.
A livello extra-codicistico l’art 87 del codice del consumo, il 117 del TUb e il 21 del Tu
in materia finanziaria.

3) Recesso ingiustificato dalle trattative.

4) Violazione obblighi riservatezza

5) Violazione obblighi di custodia

6) Violazione degli obblighi di attivazione come quelli in capo alla pa per rendere il
contratto efficace;

7) Violazione del divieto di interferenza illecita caso in cui il contratto sia annullabile per
comportamento illecito che abbia influenzato la volontà altrui con violenza, dolo o
induzione in errore;

8) Induzione al contratto pregiudizievole cioè il problema dell’estensione oggettiva della


responsabilità contrattuale anche al caso di comportamento precontrattualmente scorretto
che si concretizzi in una trattativa fruttuosa ma ingiusta. Fruttuosa nel senso che il
contratto si realizza ma ingiusta perché il contratto è iniquo perché svantaggioso o meno
vantaggioso rispetto a come sarebbe stato se non ci fosse stato il comportamento
precontrattuale scorretto. In questo caso cioè la responsabilità va oltre il caso di mancata
stipula ma è da stipula leale, che dia un assetto negoziale giusto. La giurisprudenza
prevalente, Cass. 4715/22 ha concluso per l’ammissibilità di questa misura in base alla
scissione tra regole sull’atto e sul comportamento (queste ultime violate), il modello
della non interferenza tra il precetto attizio e quello comportamentale che comporta la
sola responsabilità. La cassazione cioè applica la c.d. teorica dei vizi incompleti della
volontà che si ha quando il comportamento, pur non integrando un comportamento non
sussumibile in nessuno dei motivi di annullamento o rescissione, comporta un contratto
ingiustificatamente influenzato dal comportamento, con conseguente responsabilità
precontrattuale.
Questa teorica dei vizi incompleti comporta non solo l’insorgenza di una nuova ipotesi di
responsabilità precontrattuale, ma anche la presenza di uno strumento generale di
riequilibrio dell’ingiustizia contrattuale mediante il risarcimento del danno.
Questa impostazione comprende il quasi dolo, in quasi errore, la quasi rescissione,
ma va anche oltre comprendendo l’immaturità, l’anzianità, la fragilità psicofisica
che non giunge all’incapacità ma comunque una situazione specifica di
soggiacenza. La responsabilità quindi costituisce uno strumento di reazione
all’ingiustizia contrattuale ben più efficace rispetto a quello della buona fede come
parametro di validità.

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Questa teorica muove dall’assunto per cui il 1440 c.c., che già postula il modello
della scissione, quando introduce il dolo incidente non è una regola eccezionale ma è
espressione di un principio generale.
Il corollario che ne deriva è che non è risarcibile il mero danno negativo da perdita
delle occasioni perse, ma il danno positivo differenziale parametrato al maggior
danno o minor vantaggio che da quel contratto si trae a causa del comportamento
scorretto altrui.
In dottrina D’Amico obietta alla tesi e al suo corollario che la tipicità dei vizi della
volontà si deve estendere anche ai vizi incompleti. Inoltre viene in giuoco di una
pericolosa ipotesi di responsabilità priva in cui non vi è fattispecie cioè priva di un
parametro di riferimento, infatti non sono individuati né i comportamenti censurabili
né il grado di alterazione della libertà e della volontà sufficiente a determinare un
vizio incompleto. Qui non c’è come parametro selettivo l’ingiustizia, perché siamo
fuori del 2043, per cui avremmo una responsabilità priva di argini e sorretta dalla
potenza creatrice della buonafede. La responsabilità, segno questa tesi, necessita di
una tipizzazione legale, come nel 1338, o giurisprudenziale come nel recesso
ingiustificato dalle trattative, me non è possibile parlare di una generica
responsabilità da vizi incompleti caratterizzata da una buona fede creatrice priva di
ogni parametro selettivo.
In terzo luogo si aggiunge che questa categoria mette a repentaglio la certezza
dei rapporti giuridici e l’autonomia negoziale perché questo meccanismo corregge il
contenuto economico del contratto al di là dei casi previsti dalla legge come il 1140,
1490, 1812, 1821. Il principio di coerenza dell’ordinamento impedisce che un
contratto valido sia trattato come se fosse invalido cioè che sia completamente
scardinato nel suo contenuto. La teorica del danno positivo differenziale da contratto
valido ma ingiusto, porta ad una sorta di nullità parziale del contratto. Viene cioè
incisa la clausola che fissa il contenuto economico del contratto. Quindi
diversamente dal danno negativo da responsabilità precontrattuale classica, il danno
positivo da contratto ingiusto determina uno stravolgimento del contenuto del
contratto e di conseguenza una contaminazione tra regola sull’atto e sul
comportamento. La scissione tra regola sulla validità e sulla responsabilità se è vera
per la responsabilità precontrattuale negativa non lo è per quella positiva. La norma
sulla responsabilità finisce per essere norma sulla fattispecie perché la regola sul
rapporto finisce per incidere sull’atto. Qui il contratto valido viene trattato come uno
invalido perché viene riscritto nella parte in incide il vizio incompleto.
Questa idea del danno precontrattuale da vizio incompleto contrasta con il principio
generale di irrilevanza dell’errore sui motivi operante non solo come regola sull’atto
ma anche come causa di risarcimento.
Infine ci si chiede il perché creare questo mostro della responsabilità precontrattuale
positiva quando il problema può essere risolto mediante norme ad hoc, come quelle che
prevedono obblighi legali come l’art. 1494, o il 1440 o mediante la responsabilità
exrtacontrattuale che ha il parametro dell’ingiustizia che funge da filtro per selezionare i
contratti ingiusti.

La dottrina favorevole contrappone a questi argomenti:


- letterale, cioè il 1337 c.c. contienitene una formulazione elastica e anche alla
luce del riferimento della buona fede. Il 1338 è una mera species con valore
esemplificativo;
- assiologico la buona fede, anche se richiamata dalla legge, è un principio
generale ed è parametro assiologico indifferente a tipizzazioni aprioristiche
- teleologico, secondo cui la ratio della responsabilità precontrattuale è la tutela
della libertà negoziale, dell’autodeterminazione e della libertà di scelta. Questa
libertà viene violata non solo nel caso di trattativa non seria ma anche non leale.
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Il criterio discretivo per l’operatività del 1337 non è validità si/invalidità no,
interesse negativo si/positivo no, ma è la lealtà della condotta. Tutto ciò che è
comportamento sleale precontrattuale rientra;
- evolutivo di matrice comunitaria, costituzionale che impone una reazione
all’ingiustizia contrattuale intesa però non come substantial injustice ma come
procedural ingiustice cioè come procedimento scorretto caratterizzato da un
comportamento colpevole. Questa funzione è perfettamente sincronizzata con
l’evoluzione dell’ordinamento giuridico. Quindi è conforme all’evoluzione
europea e alla coscienza giurica.
- Non è vero che si viola il principio di certezza dei rapporti giuridici, il numerus
clausus delle invalidità e il principio di non interferenza, perché l’atto resta
valido ed efficace e il rapporto giuridico non è inciso in senso estintivo ma solo
riequilibrativo. In secondo luogo diversamente dall’invalidità qui non è
l’ingiustizia dell’atto ma del comportamento che viene sanzionata. Rotto il tabù
dell’insindacabilità dell’equilibrio, la buona fede precontrattuale diviene
strumento di riequilibrio del rapporto iniquo ma solo nei casi di comportamento
precontrattualmente scorretto.
- Sistematico il 1440 c.c. comporta che non ci sarebbe motivo di trattare
diversamente il caso del dolo dalle altre ipotesi come violenza, errore, con la
conseguenza che non si tratta di una norma speciale ma generale che è quello
della scissione e della non interferenza delle regole sulla validità e quelle sul
comportamento.

La responsabilità precontrattuale ai danni del minore

L’ipotesi è quella del minore che sia vittima dell’illecito ma anche autore del
comportamento precontrattuale.
Il minore può chiedere ex art. 1425 c.c. l’invalidità del contratto (sempre che non
ricorrano le ipotesi del 1426). Tutte le volte in cui ha tenuto un comportamento scorretto
suscitando affidamento nella controparte potrà essere chiamato a rispondere del risarcimento,
non solo quando compie condotte occultatrici ma anche quando pone in essere condotte dolose
falsificatrici in merito alla propria condizione.

La responsabilità precontrattuale del terzo.

Ce ne siamo occupati quando abbiamo parlato della cessione del credito e abbiamo detto che
non è precontrattualmente responsabile la parte del contratto generatore del credito ceduto nei
confronti del terzo che acquisisca il credito.
Il caso analizzato dalla Cassazione n. 3579/2013 era quello della vendita del cartellino di un
calciatore inefficace perché il venditore era falsus procurator. L’acquirente del cartellino ha ceduto il
diritto di credito al pagamento del prezzo per cui il problema era se fosse possibile da parte del
cessionario del credito derivante dal contratto inefficace far valere la responsabilità precontrattuale
verso la parte del contratto a monte responsabile del comportamento scorretto precontrattuale. La
Cassazione dice NO perché si tratta di una totale estraneità del cessionario rispetto al fatto costitutivo
del credito ceduto che è il contratto da cui derivava il diritto oggetto della cessione. Chi ha acquisito
il credito inesistente o inefficace non può agire verso la parte del contratto a monte che ha
determinato l’invalidità o inefficacia ma deve far valere ex art. 1266 c.c. la garanzia del nomen
verum. Il cessionario del credito relativo al pagamento del prezzo del calciatore non potrà agire verso
il soggetto responsabile dell’inefficacia del contratto a monte ma verso la parte cedente.
Al di la del caso di specie, che conosce una disciplina ad hoc per risolvere il problema, si
pone la questione se il termine parti contenuto nell’art. 1337 c.c. precluda la possibilità di una
responsabilità precontrattuale del terzo o meno. La risposa è nel senso estensivo dell’art. 1337 c.c.
sia in senso oggettivo, come abbiamo visto, sia soggettivo. Si tratta di una clausola generale in cui la
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legge si è occupata del rapporto tra i contraenti senza però escludere il relativo regime quando a buon
titolo alle trattative partecipano soggetti diversi dalle parti formali del contratto o dalle parti
sostanziali. Il cessionario del credito non può far valere la responsabilità precontrattuale della parte
del contratto a monte che abbia reso i contratto invalido non perché terzo rispetto al contratto ma
perché non ha partecipato alla trattativa mentre chi partecipa alla trattativa avendo un interesse
qualificato alla sua conclusione pur non essendo parti possono agire per ottenere la responsabilità
precontrattuale o possono essere chiamati per rispondere di responsabilità precontrattuale. I terzi
normalmente sono soggetti professionali come mediatori, intermediari bancari, muniti di uno status
professionale specifico o di altri che, pur non avendo tale status professionale specifico, sono
autorizzati dalla legge o dalle parti a ingerirsi con conseguente dovere di correttezza e di un diritto
alla correttezza. Si pensi al 1398 c.c. al falsus procuratora o 1754 c.c. mediazione, al garante nel
patronage debole, società di certificazione del patrimonio societario in caso di vendita di società
quotata e di vendita gonfiata per quotazione scorretta.
A livello sovranazionale, poi, la responsabilità precontrattuale è una teorica tedesca e l’art.
311 c.c. tedesco disciplina tale responsabilità anche nei confronti del terzo che non deve diventare
parte ma che assume una posizione che incide sulla trattativa precontrattuale.

La responsabilità precontrattuale della pa.

1) Dal punto di vista sostanziale Plenaria 5/2018, 20/2021 è evidente che la clausola di
buona fede è principio generale, come confermato dalla riscrittura dell’art. 1 comma 2
bis, che estende la buona fede anche alle relazioni tra soggetto pubblico e privato.

2) La buona fede precontrattuale agisce per la pa cronologicamente in tutte le fasi della


gara, non solo tra bando e aggiudicazione ma anche prima del bando e dopo
l’aggiudicazione. Un tempo si poneva il problema di restringere limitazioni temporali a
tale responsabilità, ma è orami evidente che poiché la clausola di buona fede è generale
ed è applicabile alla pa, la stessa debba trovare applicazione a tutte le fasi sia nella
trattativa procedimentale, sia nella trattativa personalizzata (quindi anche dopo
l’aggiudicazione).

3) Può essere pura o spuria. Pura quando la pa nel corso della procedura di evidenza
pubblica tiene una condotta violativa del canone del 1337 c.c. Il procedimento è
legittimo ma all’interno si colloca una condotta violativa che determina un danno
ristorabile come danno da interesse negativo. Ma può essere anche spuria da
provvedimento illegittimo nel corso della gara impeditivo dell’aggiudicazione. Non è da
lesione del diritto soggettivo alla correttezza precontrattuale, ma da provvedimento
illegittimo lesivo dell’interesse legittimo, qui l’interesse sarà positivo.

A livello di giurisdizione in ordine alla responsabilità precontrattuale pura c’è un contrasto tra
SSUU 17329/21 (è un caso di responsabilità precontrattuale a parti invertite in cui cioè è il privato
che si è comportato scorrettamente impedendo l’escussione da parte della pa della cauzione) e
Plenaria 20/2021.

Cassazione seguendo il modello dell’affidamento ritiene che il comportamento scorretto


della pa nel corso del procedimento è solo occasionato dal procedimento e non è esercizio né
diretto né indiretto del potere pubblicistico. Quindi la giurisdizione è del Go per quella pura,
al Ga per quella spuria (perché li c’è il provvedimento).

Plenaria invece ritiene che il comportamento è tenuto nell’ambito del procedimento ed è


pertanto espressione dell’esercizio scorretto del potere anche se non si traduce in
provvedimento illegittimo, è esercizio mediato del potere come tale riconducibile ex art. 133
lett. e quanto meno alla giurisdizione esclusiva del ga.

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La conclusione del contratto

La conclusione del contratto rispetto alle trattative, si differenzia per essere un concetto
istantaneo e non di durata.

Il punto di partenza è il 1321 e il 1326 che individuano la nozione di contratto e il momento


di conclusione dello stesso. Poi ci sono i modi speciali di conclusione. Tutti presuppongono tre
domande:
Cos’è l’accordo?
Esiste contratto senza accordo?
I modelli di conclusione sono di matrice imperativa o possono ammettersi modalità differenti
di conclusione?

Cos’è l’accordo?
Il 1321 dice che il contratto è l’accordo. E’ un’espressione forte che smentisce la teoria
secondo cui l’accordo sarebbe semplicemente uno dei requisiti come suggerisce il 1325, il contratto
invece si identifica nell’accordo.
Il legislatore recepisce la regola consensualistica secondo la quale il contratto è l’incontro
delle volontà e sono idonee. Si dice che il contratto è dato da volontà che combaciano.
La seconda osservazione è che quando si parla di accordo e di incontro tra dichiarazioni
abbiamo chiarire che le dichiarazioni di volontà delle parti non devono essere simili ma identiche sia
con riferimento agli elementi essenziali sia secondari. La volontà deve essere identica dal punto di
vista sostanziale e non formale (non le stesse parole ma la stessa dichiarazione di volontà).
La volontà che rileva peraltro non è quella psicologica ma quella dichiarata cioè la volontà
come fatto sociale, cioè due dichiarazioni che al di la dell’esserlo effettivamente appaiono
rispondenti alla volontà secondo un apprezzamento sociale.
Quarta considerazione è che affinché l’accordo sia tale le dichiarazioni, secondo
l’apprezzamento sociale, siano inequivoche e cogenti. Non lo è la dichiarazione ambigua, perplessa,
plurivoca. E’ necessario che la scelta espressa dalla dichiarazione sia univoca. Ciò ci introduce ad
altro tema secondo cui non è dichiarazione di volontà univoca l’omessa dichiarazione di volontà.
Cioè è necessario che la dichiarazione sia esternata e attiva. Il mero silenzio non può essere
considerato una dichiarazione di volontà. Il silenzio è insignificante. Il silenzio è contrario della
dichiarazione di volontà. E’ il principio di neutralità del silenzio. Ciò si spiega con l’intrinseca
ambiguità del silenzio che resta misterioso. Indagare cioè nel silenzio è un’operazione psicologica
ma non giuridica.
Non è quindi possibile che le parti qualifichino unilateralmente il silenzio altrui come nel
caso in cui mando a casa di un soggetto una cassetta di vini considerando come consenso il fatto che
il destinatario non me lo rispedisca. Il silenzio non può avere significato, pena la lesione del
principio di libertà negoziale. Il silenzio dell’oblato non può essere considerato dal proponente,
accettazione.
Questa regola generale però soffre di eccezioni nel brocardo qui tacet consientire videtur
siloqi debuisse ac potuisse nel senso che eccezionalmente chi ha il dovere di parlare, in caso di
silenzio, esprime una volontà di assenso.
Queste omissioni sintomatiche in deroga alla regola sono di due tipi:
- Silenzi significativi.
Quando cioè una norma oggettiva, una fonte dell’ordinamento, o soggettiva, cioè un
negozio tra le parti, dà al silenzio un significato e lo considera idoneo a produrre
effetti giuridici. Quello più rilevante è quello normativamente tipico cioè quello con
cui il legislatore stabilisce che il contratto o negozio si formi per silenzio. L’assenza
di dichiarazione è sostituita da una valutazione legale del comportamento omissivo
che gli dà significato (semplificazione anlitica della fattispecie). Ad esempio sono
silenzi legalmente tipici:
 art. 1236 c.c. nella remissione del debito

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 art. 1341 comma II approvazione condizioni generali di contratto;
 art. 1333 c.c. nel contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente (per alcuni, per noi no perché riteniamo essere un
negozio unilaterale);
 art. 1399 c.c comma IV in tema di ratifica nella rappresentanza.
 art. 1712 comma II c.c. in tema di mandato
 tu bancario art. 118 e 126 sexies, ius variandi che considera
approvata la variazione delle condizioni contrattuale dell’istituto in
caso di mancata protestatio da parte del cliente;
 art. 4 L. 91/1999 nel trapianto degli organi dove è previsto un
silenzio assenso alla donazione, in caso di omessa dichiarazione di
volontà.
In questi casi opera un meccanismo legale che surroga l’assenza di volontà e che
determina una equiparazione effettuale. Tuttavia le parti possono prevedere nel
contratto il significato dell’omissione in determinate circostanze, come l’omessa
disdetta del contratto di locazione. Questi sono i silenzi convenzionali.
- Silenzi circostanziati.
Sono i c.d. silenzi impliciti che sono atipici rispetto a quelli di cui sopra però si
ritiene che possa essere considerato dichiarazione di volontà e produttivo di effetti
giuridici quante volte in base alle circostanze, secondo buona fede, prassi, usi e
negozi precedenti tra le parti, c’era l’onere o il dovere di parlare. La violazione del
dovere di pronunciarsi comporta un effetto giuridico, si parla in proposito di
contestual wish, la volontà è ricavabile più che dal silenzio dal complesso delle
circostanze che lo circondano. Se c’è un negozio di vini che da 30 anni mi manda
una cassetta di vini che compro, è ovvio che il 31 esimo anno me la manderà. Così
come se nel corso del contratto d’opera c’è una continua variazione del contratto in
un lungo periodo di tempo, è evidente che la mancata contestazione della difformità
delle prestazioni eseguite dal prestatore equivale ad accettazione delle modifiche
delle prestazioni contrattuali. Così la reiterata mancata contestazione delle fatture
che rechino un importo differente da quello concordato implica una accettazione
delle modifiche contrattuali. La reiterata accettazione di reiterati inadempimenti
senza reazione può determinare una rinuncia al credito a pretendere la prestazione
nelle modalità originariamente dedotte.
Tuttavia in tutti questi casi occorre chiedersi se sia corretto parlare di silenzio perché di fatto
nel caso di silenzio circostanziato la parte interpreta il silenzio, assegnandogli alla luce delle
circostanze, un significato nel senso di volontà contrattuale. In questi casi più che di silenzio
si tratta di comportamento concludente qualificativo del silenzio, cioè non il silenzio ad
essere comportamento concludente, ma è un elemento di un comportamento complessivo e
circostanziato. Allora qui non abbiamo un silenzio che eccezionalmente produce effetto
giuridico vincolante come una dichiarazione ma abbiamo una manifestazione di volontà
attiva da comportamento concludente. In questi casi rileva non l’inerzia in sé ma il
comportamento complessivo, in cui si colloca il silenzio, che costituisce una dichiarazione di
volontà. Non è l’inerzia in sé ma il contesto rilevatore della volontà negoziale in base alla
teoria dell’auto responsabilità e al principio dell’affidamento.
Questo è coerente con il concetto di volontà come volontà sociali e non interiori. Il silenzio
quindi qui rileva come volontà socialmente rilevante. Tutte le ipotesi che abbiamo analizzato quindi
se l’omissione si inserisce in una serie di circostanze come il tempo trascorso, dei rapporti tra le
parti, delle caratteristiche soggettive dei contraenti e della buona fede, essa rende doverosa una
effettiva volontà nel senso di uso della parola, la cui violazione da al silenzio un significato
circostanziato collocandolo in un complessivo comportamento concludente.
Il silenzio circostanziato si differenzia rispetto a quello legalmente tipico perché in
quest’ultimo non c’è volontà ma la legge equipara quanto agli effetti il silenzio alla volontà. Nel
primo caso c’è una dichiarazione volontà circostanziata seppure per silenzio, con la conseguenza che
andranno applicate le norme relative alla dichiarazione di volontà come i vizi di volontà e

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l’incapacità con conseguente annullabilità del negozio anche nel caso il cui il vizio riguardi il
silenzio.

Il silenzio ci introduce alla distinzione tra la dichiarazione di volontà espressa (o diretta) e


quella tacita (o indiretta). Secondo la tesi prevalente è espressa quella caratterizzata dall’uso del
linguaggio, la c.d. dichiarazione semantica, quando cioè uso la lingua verbale o scritta.
E’ dichiarazione tacita quando si utilizza un comportamento alternativo al linguaggio che
non ha un significato prestabilito ma che alla luce dell’interpretazione secondo criteri sociali è
espressione di volontà. Tra queste c’è il silenzio circostanziato che non è silenzio ma comportamento
concludente.
La dichiarazione tacita non è possibile tutte le vote in cui la legge richieda una
dichiarazione espressa come il 1326 comma IV, 1456, 1937 o quando sia richiesta
convenzionalmente o quando la legge richieda una forma scritta.
Questa tesi che distingue le due dichiarazioni di volontà mediante il mezzo utilizzato
(linguistico o comportamentale) è contraddetta da Santoro Passarelli secondo cui ciò che rileva nella
distinzione non è il mezzo ma il fine cioè è dichiarazione di volontà espressa ogni dichiarazione che
ha per oggetto direttamente la volontà, cioè non ha un oggetto diverso da cui ricavare la volontà
implicita. Anche il comportamento c.d. concludente e il silenzio circostanziato, anche la
dichiarazione non linguistica, può essere espressa come il caso in cui parcheggio l’auto in un autosilo
o prendo la merce dallo scaffale del supermercato. Manca la dichiarazione di volontà verbale ma c’è
volontà espressa perché quel comportamento non è diversamente interpretabile ed ha per oggetto
diretto quella volontà. Oppure nel commercio on line, dove io acquisto cliccando su “acquista” ed
esprimo con un comportamento in maniera espressa una volontà.
Né questo problema può essere confuso con la necessità di forma scritta perché tutti i casi in cui la
legge impone la forma scritta in realtà non impone la forma espressa ma solenne.
La dichiarazione tacita, secondo questa teoria, si ha quando la dichiarazione ha ad oggetto un fatto o
una volontà dal quale poter ricavare implicitamente la volontà impegnativa che quindi si ricava.
Come nel caso di riconoscimento del figlio che si ricava dalla domanda di legittimazione, la
dichiarazione tacita di rimessione che si ricava dalla restituzione volontaria del titolo, la revoca tacita
del mandato che si ricava dagli atti incompatibili di legge, la rinuncia tacita alla prescrizione che si
ricava da fatti incompatibili considerati dalla legge.

Può esserci contratto in assenza della diversità delle parti?

Il contratto con se stesso di cui al 1395 è possibile in due casi: o quando un soggetto stipula in
proprio e come rappresentante dell’altra parte, salvi i problemi relativi al conflitto di interessi, o
quando rappresenta due parti diverse. In questi casi la dichiarazione proviene dallo stesso soggetto a
livello formale, anche se a livello sostanziale il contratto si rivolge a parti diverse.
Secondo una tesi si può parlare di contratto solo quando le due parti formali siano diverse e che, in
realtà il 1395 c.c. sia un’ipotesi di negozio unilaterale. Questa tesi però si scontra con il dato letterale
della legge che invece parla di “contratto” e non di negozio. Inoltre quando il 1321 c.c. parla di parti
di contratti si riferisce ai centri di interessi, in disparte la dichiarazione che può provenire da un
unico soggetto seppure imputabile a parti diverse. Per la stessa ragione è ben possibile che il centro
di interessi comprenda in realtà più soggetti come nel caso dei comproprietari che vendono il bene
comune, in questo abbiamo un’unica parte soggettivamente complessa.

E’ possibile un rapporto contrattuale senza accordo?

La teorica dei rapporti contrattuali di fatto di matrice tedesca reputa che è possibile che un
rapporto contrattuale ci sia senza l’incontro di volontà. I casi sono il contatto sociale, nei negozi di
attuazione e nei negozi esecutivi di contratti invalidi ritenuti rilevanti e quindi assoggettati al regime
contrattuale sulla base di un’opzione legale che equipara il contratto invalido a quello valido come il

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2126 in tema di lavoro e 2352. In questi casi ciò che rapporto contrattuale non è viene trattato come
tale.

Il contratto sociale, però, va precisato che non determina un rapporto contrattuale pieno ma
un obbligo di protezione senza prestazione. Quindi non è un vero contratto senza accordo.
Il problema si pone invece con in negozio esecutivo del contratto nullo nei casi specificati
dalla legge. Le norme del 2126 e 2352 sono norme eccezionali che derogano al principio del
rapporto di collegamento tra contratto e atto a valle. Quindi al di fuori di queste ipotesi non è
ammissibile la figura generale, ma occorre una puntuale previsione dotata di una sua ratio. Ciò anche
in un’ottica garantista che determina che per poter esserci un vincolo occorre ci sia anche la volontà
della parte.
D’altronde molti rapporti contrattuali di fatto vanno affrontati sulla base di un diverso strumento cioè
che il contratto si formi con dichiarazioni comportamentali, in questo caso quindi non è che non c’è
accordo, ma l’accordo c’è ma avviene con una dichiarazione di volontà sub specie di
comportamento.

Il contratto unilaterale non è ammissibile, il contratto non può esserci senza


accordo. Questo perché la scelta positiva e l’elaborazione dogmatica portano a concludere che il
contratto è l’accordo e che requisito del contratto è l’accordo. L’accordo è imprescindibile. Ci può
essere un vincolo senza contratto (in forza di negozio unilaterale) ma non un contratto senza accordo.
Possono esserci negozi unilaterali atipici soggetti alla disciplina del contratto ma non potranno
trovare applicazione tutte quelle norme che sono proprie solo del contratto e riguardano l’accordo.
Tutti i procedimenti di conclusione del contratto, ordinari e straordinari, presuppongono
l’accordo.
- L’incontro tra proposta e accettazione 1326 c.c.;
- L’accordo c’è anche nel 1327, 1333, 1332;
- C’è accordo anche nei contratti formali, nei contratti reali, nei contratti
consumeristici, acquisto immobili da costruire, condizioni generali di contratto
vessatorie, contratti della pa.
- Nei procedimenti speciali come nel contratto perfezionato a seguito di offerta al
pubblico 1336 c.c. dove l’offerta è una vera e propria proposta;
- Contratti digitali (stipulati in forma elettronica con firma digitale), telematici
(conclusi a distanza) e informatici (che ha per oggetto beni o servizi informatici).
L’art. 13 del dlgs 70/2003 prevede che le norme sulla conclusione dei contratti si
applicano anche quando l’ordine è inviato per iva telematica. Nel contratto
elettronico quindi il meccanismo formativo e l’accordo sono quelle del c.c., tuttavia
ci sono delle cautele dipese non solo dalla asimmetria ma anche dalla peculiarità del
contesto del rapporto che è internet. L’art. 13 dice che il gestore della piattaforma, a
seguito dell’ordine, deve emettere una ricevuta dell’ordine con riepilogo delle
condizioni generali.
“Salvo differente accordo tra patti diverse dai consumatori, il prestatore deve,
senza ingiustificato ritardo e per via telematica, accusare ricevuta dell'ordine
del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni generali e particolari
applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del
bene o del servizio e l'indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento,
del recesso, dei costi di consegna e dei tributi applicabili”. Per un tesi questo
obbligo informativo è a valle del contratto, così non impedendo a colui che esegue
l’ordine di pagare. Secondo altra è un procedimento di conclusione aggravato
funzionale alla piena conoscenza in forza del quale qui la sequenza è trifasica:
offerta/ordine/avviso di conferma. La prima tesi ritiene di differenziare il
meccanismo di conclusione del contratto, per cui occorre verificare, anche per questi
contratti, l’esposizione del bene su piattaforma quale offerta al pubblico accettata nel
momento dell’ordine, equivalga a invito ad offrire o se sia applicabile il meccanismo

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contrattuale del 1327 c.c. laddove la piattaforma chieda l’inserimento dei dati della
carta di credito comportando la conclusione mediante inizio dell’esecuzione.

Quindi non esiste contratto senza accordo. Questo ci permette di interpretare tre disposizioni: 1333,
1332 e 1327.

1333 . il contratto con prestazioni a carico del solo proponente

E’ inserito all’interno del titolo II del libro IV nella disciplina sull’accordo nel contratto.
Sullo stesso diverse tesi.
Non è sostenibile la tesi del contratto unilaterale, cioè quello che si forma sulla base della
sola proposta del proponente che non sia impedita dall’oblato, quando l’effetto obbligatorio è solo
per una parte, è unilaterale anche il procedimento formativo con necessaria volontà del solo
obbligato.
La prima critica è quella sistematica e cioè la collocazione del 1333 all’interno della
disciplina sull’accordo.
Obiezione dogmatica in forza della quale il contratto è l’accordo e senza accordo non vi è
contratto, la bilateralità è strutturale.
Obiezione di diritto positivo e cioè nel 1321 c.c. si dice diversamente dal 1325 che lo
qualifica solo come elemento, che il contratto è solo bilaterale dal punto di vista strutturale,
indipendenti dagli effetti obbligatori e presuppone due dichiarazioni di volontà combacianti.
Secondo altra tesi, quindi, questo non è un contratto ma un negozio unilaterale chiamato
contratto sol o per omogeneità di disciplina sotto il profilo causa.
Altra tesi sostiene che si tratti comunque di un contratto, ma con una peculiare procedura di
formazione cioè somma di proposta+ accettazione tacita per comportamento concludente legalmente
tipico. Anche questa tesi però è opinabile perché è difficilmente compatibile con il principio di
autonomia contrattuale ed è difficilmente sostenibile che un contratto sorga in forza di un silenzio,
sia pure legalmente tipizzato. Cioè qui non c’è volontà della parte ma volontà della legge.
La tesi prevalente è quindi quella di un negozio unilaterale recettizio rifiutabile.
Optare per questa tesi piuttosto che per quella del contratto per silentium implica delle
conseguenze di disciplina:
- Il momento di produzione di effetti nel caso di negozio unilaterale è la conoscenza
della promessa, per il contratto dal momento di avvenuto decorso del termine per la
protestatio.
- I vizi del consenso: se è un negozio unilaterale non rileva il vizio della volontà o di
incapacità sarà irrilevante il vizio o l’incapacità del destinatario (salvo per quanto
riguarda la rimessione in termini rispetto alla protestatio), mentre se è un contratto
potrà essere fatta valere come causa di annullabilità.
- Per i contratti formali che devono avvenire per forma scritta: è necessario che la
forma scritta abbia la promessa, mentre la conclusione del contratto per silenzio non
sarà compatibile con questa tipologia di contratti.

La disciplina dell’art. 1327 c.c.

Il contratto mediante inizio dell’esecuzione. Anche qui si sono posti problemi interpretativi
per la peculiarità del meccanismo di conclusione. Ci si è chiesti se fosse un contratto senza accordo,
un contratto con un accordo particolare o se non si tratti affatto di un contratto.
Alcuni hanno sostenuto che si tratti di una fictio legale, cioè un comportamento legalmente
tipico equiparato ad una accettazione. L’accordo non c’è ma è come se ci sia. Anche qui l’obiezione
è che si ammetterebbe un contratto in cui manca l’incontro delle volontà perché la fictio rappresenta
una volontà legale.
La seconda tesi è la presenza di due negozi unilaterali: la proposta con cui si attribuisce il
diritto potestativo di eseguire la prestazione, e il negozio esecutivo del diritto potestativo. E’ un
approccio tuttavia barocco che rompe l’unitarietà della figura delineata dal 1327 che, in quanto

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inserito nella sezione sull’accordo delle parti e sul contratto, è impensabile che faccia a meno
dell’accordo e del contratto.
Altra tesi è quella della promessa unilaterale sub specie di promessa al pubblico ove il
proponente è in realtà un promittente che promette una prestazione nei confronti di chi liberamente
svolgerà quella prestazione. La promessa in questo caso è al tempo stesso impegno e regolamento. E’
impegno perché il promittente si impegna alla prestazione ma è anche regolamento perché si
stabiliscono le regole da seguire per poter rivendicare la prestazione e per potersi ingerire nella sfera
giuridica altrui (in questo senso è anche autorizzazione). Si avvicina molto alla gestione di affari
altrui con la differenza però che gli effetti della gestione non li stabilisce la legge ma la parte. Anche
questa tesi non convince per motivi sistematici, collocandosi nella disciplina del contratto, ma anche
per la ragione che si permette l’ingerenza nella propria sfera mediante un negozio unilaterale mentre
la regola è quella del contratto perché solo il contratto permette la relativa tutela nel caso in cui non
ne siano rispettati i limiti e le regole. Si obietta poi che chi svolge l’attività oggetto di promessa non
ha nessuna obbligazione e nessuna responsabilità con la conseguenza che in caso di prestazione
inesatta, interrotta o dannosa non saranno attivabili i rimedi contrattuali.
Neppure è convincente la teorica di Santoro Passarelli secondo cui l’esecuzione sarebbe un
negozio di attuazione, così come il caso della la distruzione del testamento olografo, l’occupazione
della res nullius, la convalida tacita del contratto, il ritiro del testamento segreto, la trasformazione
della cosa legata. Si tratta di un caso di volontà attuata senza dichiarazione, cioè ipotesi tipiche in cui
la legge che una volontà possa produrre effetti giuridici anche se non è dichiarata ma è espressa con
la sua attuazione consapevole. Si tratta di negozi che realizzano la volontà del soggetto senza
metterlo in relazione con altri. Negozi che esauriscono l’intento contrapposti a quelli dichiarativi. Il
fatto che manchi la dichiarazione e la ricezione da parte del destinatario della prestazione fa sì che
non trovino applicazione tutte le norme sulla dichiarazione in particolare quelle sull’affidamento. I
vizi della volontà, quindi, avranno valenza assoluta, a prescindere dalla loro conoscibilità da parte
del destinatario.
Anche questa tesi non convince dal punto di vista sistematico perché rinuncia alla
costruzione che vuole il 1327 come un contratto fondato su un accodo, dogmatico, perché il negozio
giuridico è una dichiarazione di volontà e l’attuazione non è irrilevante a meno che non si tratti di
una dichiarazione tacita che deve essere peraltro percepibile. Non è poi convincente perché non offre
nemmeno spunti di disciplina, come dimostrato dalle conseguenze che ne derivano per i vizi della
volontà che destabilizzerebbero i rapporti giuridici e la posizione della controparte.
Anche questa norma quindi è un contratto con accordo semplificato nel senso che c’è
un’accettazione tacita semplificata perché non recettizia. Si tratta di comportamenti in cui la
dichiarazione è tacita ma è pur sempre dichiarazione.

La disciplina del 1332 c.c.

Anche il contratto per adesione, secondo la tesi preferibile, è un contratto con accordo. Il
contratto all’adesione altrui (bilaterale o plurilaterale) con comunione di scopo o anche di scambio, è
un contratto tra le parti ma è anche una proposta contrattuale per i terzi legittimandoli ad aderire, è
quindi double face. Per questa tesi detta unitaria il contratto è unico ma resta aperto all’adesione di
altri soggetti nel tempo sicché è destinata ad arricchirsi sotto il profilo soggettivo mediante le
adesioni.
Non è una tesi contraddittoria perché non è contraddittorio dire che è sia contratto sia
proposta perché in questo schema il contratto è già perfetto ma è destinato ad arricchirsi per effetto
dell’adesione dei terzi.
E’ meno convincente la tesi che esclude che la clausola di adesione sia una proposta
contrattuale per mancanza di recettizietà, perché non perde efficacia in caso di morte o incapacità
(1330 c.c.), perché è possibile cancellarla senza comunicazione, perché il rifiuto non impedisce
l’adesione successiva da parte del destinatario. Sulla base di queste considerazioni si dice che non è
una proposta al quale si esercita una adesione ma è un negozio giuridico unilaterale.
Questa tesi tende a destrutturare la fattispecie unitaria delineata dal 1332 c.c. che ha riguardo
ad un unico contratto a struttura necessariamente bilaterale e a ritenere inammissibilmente che
avremmo un contratto originario seguito da più negozi unilaterali.

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Quale ruolo ha l’autonomia privata nella formazione del contratto? Le parti possono
introdurre delle modalità alternative di conclusione del contratto rispetto allo schema delineato
dalla legge?

L’assunto di partenza è che l’art. 1321 c.c. è norma di fattispecie di natura qualificatoria, non
è una norma quindi procedimentale né una norma proibitiva. Ci dice in altri termini che il contratto è
un accordo ma non stabilisce dei procedimenti di formazione del contratto imperativi e non
impedisce quindi l’uso di modalità diverse. Le norme quindi che prevedono le modalità di
conclusione con schemi ordinari e schemi eccentrici, sono norme dispositive e non imperative e
quindi non impediscono all’autonomia di partorire procedure atipiche o di aggiungere varianti
atipiche al modello tipico. E’ una norma dispositiva sostanziale, non procedurale né impeditiva ed è
una norma rispetto alla quale le norme specifiche sui procedimenti di conclusione del contratto
fungono da modelli esemplificativi e non esaustivi.
Ciò significa che le parti, nella loro autonomia negoziale, possono stipulare contratti con
procedure diverse da quelle tipizzate, con un vincolo però che è il principio di ordine pubblico
dell’accordo. Possono esse quindi semplificate e personalizzate le modalità di raggiungimento
dell’accordo ma non è possibile rinunciare all’accordo in sé.
Queste modalità alternative atipiche sono ad esempio: le dichiarazioni incrociate, la
sottoscrizione contestuale di documenti, le dichiarazioni contestuali in posti diversi, accordi verbali
istantanei, ecc.
E’ poi possibile che le parti introducano delle varianti atipiche agli schemi tipici come il caso
in cui il proponente rinuncia a quei diritti a lui attribuiti dalle norme dispositive come:
- nel caso in cui rinunci alla ricettizietà dell’accettazione ritenendo a suo danno sufficiente
l’emissione della spedizione
- al carattere non recettizio della revoca della proposta;
- alla revocabilità della proposta ponendo un vincolo di irrevocabilità;
- il proponente può fissare dei vicoli e delle regole a patto che non impongano
comportamenti attivi la cui mancanza implichi la formazione del contratto in violazione della libertà
negoziale e dell’inerzia;
- è possibile fissare vincoli temporali per l’adesione, secondo alcuni anche a quo;
- è possibile fissare vincoli di carattere formale come l’adesione necessariamente per forma
scritta;
- il caso della accettazione non conforma che diviene controproposta e quindi con
formazione trifasica, secondo altri si applicherebbe analogicamente il 1326 comma 3 con la
conseguenza che il contratto si forma in due steps perché l’accettazione non conforme diviene
vincolante nel momento in cui interviene la rinuncia del proponente a far valere la difformità. Queste
due tesi hanno ripercussioni importanti in ordine al momento di perfezionamento del contratto e alla
validità della revoca della proposta nelle more tra accettazione difforme e successiva dichiarazione di
ritenere perfezionato il contratto. La tesi prevalente è nel senso che l’accettazione non conforme è
una controproposta;
- la richiesta di una certa lingua per l’accettazione;
- l’attribuzione di valore di accettazione a certi comportamenti attivi concludenti.
E’ anche possibile derogare all’art. 1326 anche in favore dell’oblato. Per alcuni infatti
sarebbe possibile l’inserimento della clausola di cedibilità ex art. 1405 c.c. già nella proposta così
abilitando immediatamente il terzo all’accettazione. E’ invece pacifico che il proponente non possa
stabilire che il mancato rifiuto implichi la stipula del contratto né può imporre una rinuncia
all’indennizzo in caso di revoca della proposta, trattandosi di una norma imperativa quella del 1328 e
1418 c.c.
Sono poi possibili deroghe anche ai procedimenti speciali di tipo aggravante, come
chiedere l’accettazione espressa nel caso di 1333 dove è invece sufficiente la mancata protestatio,
oppure dettare specifiche regole per quanto riguarda la rilevanza dell’appropriazione della
prestazione del 1327.

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Secondo alcuni è possibile anche inserire deroghe semplificanti ai procedimenti speciali,
sebbene tale soluzione possa entrare in contrasto con l’effettività della volontà.
Un’ulteriore teoria ammette addirittura che l’autonomia possa intromettersi nei rapporti tra
contratti consensuali e contratti reali ammettendo alternative consensuali ai contratti reali ed
alternative reali a contratti consensuali. E’ quindi possibile che le parti decidano di stipulare in forma
consensuale un contratto che normalmente è reale come il mutuo obbligatorio o la custodia
obbligatoria, salvo poi verificare la compatibilità della disciplina che attiene all’aspetto reale. Del
pari possono stipulare contratti reali a rapporti normalmente obbligatori come nel caso della
locazione reale o vendita reale che si perfezionano con la consegna.
Entrambe le varianti ci appaiono esplicazione di autonomia contrattuale che, in assenza di
norme imperative e di norme di ordine pubblico e buon costume, consentono di rendere reale il
contratto consensuale e viceversa. Non colgono nel segno quindi le critiche secondo le quali non
sarebbe possibile l’alternativa reale al consensuale sull’assunto della vigenza del principio
consensualistico quale norma imperativa. Tuttavia la corretta interpretazione di questo principio
comporta la sola necessità del consenso e non la necessaria sufficienza del consenso e sono quindi
possibili contratti reali atipici. Così come appare eccessivo sostenere che la consegna innervi la causa
del contratto e che quindi non sarebbe possibile un equivalente figura contrattuale di tipo
consensualistico.

I negozi preparatori e il contratto preliminare.

La formazione progressiva del contratto è quella che transita attraverso un negozio


preparatorio e uno definitivo che completa. Sono esempi la:
- prelazione/contratto attuativo della prelazione;
- opzione/esercizio dell’opzione;
- proposta irrevocabile/attuazione del diritto che nasce dal vincolo di irrevocabilità;
- preliminare/definitivo.

Possiamo poi distinguere i casi in cui ci sono sequenze che si innestano in un rapporto
obbligatori, come nel preliminare o nella prelazione e casi che attribuiscono un diritto potestativo
con soggezione come nell’opzione.

I rapporti contrattuali di fatto

Si tratta di una teorica nata con il nazismo che contestava la dogmatica individualista del
contratto esaltando il rilievo sociale del contratto. Sono rapporti modellati secondo il contenuto di
determinati contratti tipici ma che non derivano dagli stessi, cioè da atti di autonomia privata, ma da
fatti socialmente rilevanti. Questa teorica ricomprende:
1) il contatto sociale;
2) i rapporti di attuazione;
3) i rapporti di massa (come l’apprensione del bene nel supermercato in cui vi è rapporto
contrattuale senza un vero dialogo ma ci sono due atti autonomi che non s’incontrano
come lo scegliere la merce e offrire la merce. Qui la peculiarità è che la volontà non è
rivolta verso l’altro ma verso la res oggetto di appropriazione);
4) esecuzione del contratto nullo di lavoro e del contratto di società, 2126 e 2132.
La teorica delle relazioni contrattuali di fatto, attualmente, però non può essere considerata come una
figura generale pena la compromissione dell’autonomia privata e della libertà negoziale che deve
transitare attraverso l’atto di volontà che formano negozi che generano rapporti.
Peraltro anche aderendo al contatto sociale, la conseguenza è l’assunzione di obblighi
protettivi che portano ad una tutela risarcitoria e non di esatto adempimento come il contratto tout
court.
Quanto ai contratti di massa sarà pur vero che la volontà del gesto è standardizzata in questo
tipo di rapporti, però l’automazione dei negozi non significa assenza di volontà. Cambia il modello,

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la profondità, l’intelligenza, ma non cambia il fatto che c’è una manifestazione di volontà. In tutti
questi casi quindi la volontà non è verso la res ma verso la persona. Qui il dialogo c’è ma è gestuale
e simbolico e rappresenta pur sempre dichiarazione di volontà.
Stessa conclusione per la società di fatto in assenza di contratto. In questo caso c’è un
negozio societario che non segue le caratteristiche della forma scritta ma deriva dalla condotta, ma è
pur sempre contratto (Bianca fa riferimento alla gestione in comune dell’azienda dei coeredi pur
senza costituzione di società).
La teorica dei rapporti contrattuali di fatto ha come terreno elettivo quello dell’esecuzione
dei rapporti contrattuali nulli, non in generale, ma come figura speciale cioè nel caso del contratto di
società nullo e del rapporto di lavoro. la società da contratto nullo viene equiparata alla società da
contratto valido per i rapporti che abbiano preceduto la pronuncia. Ancor più significativo è il caso
del contratto di lavoro nullo per illegalità e non illiceità. In questo caso sono ferme le prestazioni già
eseguite e pagate. In questo caso cioè il rapporto non è di pur fatto ma ha matrice contrattuale.
Queste norme però sono norme eccezionali, quindi al di fuori di esse il contratto nullo è privo di
effetti e privo di volontà contrattuale con la conseguente applicazione delle norme sui fatti leciti e
mutati mutandis il riequilibrio delle prestazioni eseguite in esecuzione di un contratto nullo saranno
disciplinate dalle norme sulla ripetizione di indebito, gestione di affari altrui e arricchimento senza
causa.

Il 2058 c.c. è un rimedio idoneo tutelare l’obbligo nascente dal negozio preparatorio? Il
beneficiario può sostituirsi nella posizione del contraente stipulante? NO

L’assunto di partenza è l’art. 1379 c.c. in tema di divieto di limitazione al potere di vendita.
L’art. 1379 c.c prevede che il divieto di vendita vale solo tra le parti e deve essere contenuto nel
tempo e rispondente ad un interesse meritavole. In realtà questa norma sancisce il principio di
carattere generale secondo cui i negozi preparatori non stabiliscono regole attizie limitative del
potere dispositivo, la cui violazione produca invalidità, inefficacia o invalidità, ma danno la stura a
vincoli obbligatori inter partes privi di efficacia esterna, che rilevano solo come regole di condotta.
Ne deriva l’assenza di efficacia esterna, di effetto reale del vincolo, con la conseguenza che il
contratto concluso dal terzo in violazione è valido salvo la responsabilità eventuale per contratto in
frode al terzo, per comportamento illecito ex 2055 c.c., che sarà contrattuale per il soggetto vincolato
che viola il vincolo e aquiliana in capo al terzo consapevole.
E’ quindi evidente che il 2058 c.c. che prevede il risarcimento in forma specifica non può
sovvertire quanto abbiamo detto sin d’ora al fine di consentire al titolare del diritto di essere risarcito
con una sentenza che vanifichi il negozio dannoso e che disponga o obblighi al trasferimento del
bene con un totale ripristino della sfera giuridica del soggetto. Ciò non è possibile perché il 2058 c.c.
fa riferimento al risarcimento specifico riferendosi all’eliminazione degli effetti materiali dell’illecito
e non gli effetti giuridici prodotti dall’illecito e in secondo luogo perché il principio di coerenza non
consente di ritenere che con una tutela risarcitoria si eluda la volontà legislativa travolgendo la regola
dell’efficacia obbligatoria, dell’assenza di opponibilità e della prevalenza dell’acquisto del terzo
rispetto alla più generale regola del 1379 c.c.

In negozi preparatori plurimi

E’ possibile una sequenza di plurimi negozi preparatori rispetto ad un unico contratto


finale?
Il caso è quello del preliminare, ma anche per il preliminare e l’opzione, ma anche
per l’opzione di preliminare, o la prelazione avente ad oggetto un’opzione. Più in generale il 1321,
quando parla di autonomia negoziale, si riferisce solo a quella sostanziale (con cui le parti regolano
nella sostanza il rapporto) o anche formal procedurale con la conseguenza che possono anche al di
fuori dei casi tipizzati possono dettare modi e forme con cui debba avvenire la futura regolazione del
rapporto sostanziale.

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La latitudine della formulazione del 1321 c.c., l’accento sulla regolazione, il
collegamento con il canone costituzionale di libertà e iniziativa economica porta a concludere che
l’autonomia negoziale sia sostanziale ma anche di tipo formal procedurale come libertà delle parti
di forgiare modalità di formazione del vincolo alternative a quelle tipicamente riconosciute
dall’ordinamento.
Ciò è confermato dall’art. 1352 c.c. che prevedendo il patto sulla forma legittima
legittima la conclusione che le parti abbiano libertà nel decidere quale sarà il procedimento che porta
alla conclusione del contratto. Questo tema intercetta sia quello dell’ammissibilità del preliminare di
preliminare, sia quello dei negozi normativi, sia quello dei contratti reali atipici o la possibilità di
doppiare contratti reali con quelli obbligatori o viceversa.
Quindi che si possano dettare regole che abbiano ad oggetto la formazione del
contratto non è discutibile, piuttosto ciò che è discutibile è il perché, cioè la meritevolezza
dell’interesse.
Le SSUU 2015 n. 4628danno a questa domanda una risposta positiva sulla base però
di una precisazione e cioè che occorre la ragionevolezza che c’è solo quando ci sia una
progressione cioè in cui il negozio prodromico e il successivo negozio preparatorio si pongano
in una logica di progressività e on di mera ripetizione o inammissibile e incomprensibile
regressione.

definitivo Preliminare

Preliminare di preliminare

Posto quindi che


questa sequenza è in astratto possibile, occorre ora vedere se sia possibile una sequenza tra negozi
preparatori diversi come preliminare unilaterale di opzione, opzione di un preliminare bilaterale, il
preliminare bilaterale di opzione, ecc?
Ciò che è indispensabile è che tra i diversi negozi preparatori ci sia un salto in avanti verso il
definitivo nel senso che si abbia la progressione, progressione cronologica ma anche sostanziale.
E’ quindi ammissibile l’opzione di un preliminare bilaterale perché è vero che il risultato
finale si prefigura in termini meno immediati ma è evidente che il preliminare bilaterale rende più
certo l’affare essendo entrambi i soggetti obbligati.
E’ inammissibile l’opzione di un preliminare unilaterale perché il risultato finale sarebbe
meno immediato atteso che a parità di unilateralità c’è un’incertezza nel preliminare unilaterale che
non c’è nell’ambito dell’opzione, c’è minare immediatezza perché mentre il preliminare necessita di
un contratto definitivo, invece l’opzione si caratterizza per la presenza di un diritto potestativo.
Quindi si opzione di preliminare bilaterale, no opzione di preliminare bilaterale perché a
parità di incertezza il risultato è meno immediato. E’ ammissibile perché a parità di incertezza il
risultato finale è più immediato.
Sempre inammissibile l’opzione di preliminare unilaterale
Inammissibile il preliminare unilaterale di opzione perché viene meno la certezza del
risultato finale.

È disciplinato dal 1351, 2645bis, 2932, e le norme sugli immobili da contruire.

Sulla natura giuridica del contratto preliminare ad effetti anticipati le SSUU2008 hanno
chiarito che resta un preliminare, non è un definitivo, e si caratterizza per un collegamento negoziale
tra mutuo e comodato (non utile ai fini della usucapione).

Sul preliminare di donazione una tesi l’ha escluso dicendo che la doverosità derivante dal
preliminare è incompatibile con un negozio caratterizzato da spirito di liberalità. La tesi prevalente

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invece lo ammette affermando che nella donazione anteceduta dal preliminare la causa liberale è
presente ma è semplicemente anticipata al momento del preliminare.

e’ ammessa dalla giurisprudenza il preliminare di contratto reale, per il generale favor nella
combinazione di contratti consensuali e reali o consensuali sostitutivi dei reali. La conferma
dell’ammissibilità del preliminare di contratto reale si ha per il mutuo, art. 1822, che disciplina come
promessa di mutuo qualificata da parte della dottrina come un vero e proprio preliminare di mutuo.
E’ ammissibile anche rispetto al contratto di società sebbene sia discutibile la praticabilità
del rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre.
E’ ammissibile il preliminare in favore altrui, in favore del terzo.
Il preliminare avente ad oggetto l’immobile abusivo è affetto invece da nullità fissata per
gli atti dispositivi anche preliminari ex art. 40 della L. 47/85 e dal Tu edilizia.
Quanto al preliminare di bene comune la Cassazione sin dal 2003 con sentenza 7481 resa a
SSu hanno chiarito che nella comunione ordinaria il preliminare concluso solo da una parte dei
comunisti è nullo per assenza dell’accordo cioè della volontà della parte complessa composta da tutti
i comunisti. Diversamente invece se il preliminare ha ad oggetto le singole quote. Per la comunione
legale tra coniugi, invece, vige un discorso diverso perché non opera la logica delle quote per cui
entrambi sono proprietari sia pure solidaristicamente dell’intero bene e può quindi disporne, anche
con un preliminare, e il preliminare di vendita concluso da uno solo dei coniugi non è nullo ma
semplicemente annullabile con una prescrizione ridotta. Questa regola, dettata per il definitivo, è
applicabile anche al preliminare atteso che lo stesso da promessa di consensi è divenuto una
promessa anche di prestazioni e quindi con un effetto dispositivo anticipato.
Le SSUU poi si sono poste il problema se il rimedio della risoluzione ex art. 1478 e 1479 c.c.
per la alienazione di cosa altrui e hanno affermato che il rimedio dell’immediata risolubilità della
vendita di cosa altrui per la quale non è stata data comunicazione non centra nulla con il preliminare
perché in questo secondo caso, pur essendo una scorrettezza, non si registra alcuna frustrazione dello
scopo del contratto. Fino alla scadenza del termine infatti è ben possibile che il promittente venditore
acquisti il bene e lo trasferisca o che procuri l’acquisto mediante un trasferimento da parte del terzo.
La risoluzione, sino alla scadenza del termine, non è quindi possibile perché non si realizza alcuna
frustrazione del programma finale come invece avviene per il definitivo di cosa altrui agli artt. 1478
e 1479.

Le SSUU n. 18131 del 2015 hanno affrontato il problema del potere del curatore del
fallimento di sciogliersi dal preliminare trascritto. Perché in effetti l’art. 72 della L.Fall. prevede
questo potere del curatore.
Il problema non si pone se non è stato trascritto ma quando il promissario acquirente abbia
trascritto prima la domanda ex art. 2932 c.c.
Le SSUU hanno concluso che il curatore può esercitare comunque il suo potere di sciogliersi
dal contratto ma
 se la domanda del promissario acquirente di esecuzione in forma specifica viene
accolta la scelta del curatore non è opponibile al terzo, con la conseguenza che il
curatore non può riprendersi il bene;
 se viene respinta l’effetto prenotativo della trascrizione decade e diviene opponibile
al promissario acquirente sia la dichiarazione di fallimento sia la scelta del curatore.

Tutta questa carrellata dimostra quindi che il preliminare è un modello generale capace di
attagliarsi, a seconda dell’esercizio dell’autonomia contrattuale, ad ogni programma sia esso tipico o
atipico.
La sua funzione non è semplicemente quella di giungere a piccoli passi al definitivo perché
preliminare e definitivo possono benissimo essere identici e però c’è l’esigenza di stipulare il
definitivo in un certo momento piuttosto che in un altro. Allora la funzione del preliminare è quello
del controllo delle sopravvenienze cioè subordinare la realizzazione definitiva dell’assetto ad un
tempo utile per poter valutare se si realizzano le sopravvenienze previste o se al contrario non si

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verifichino sopravvenienze perturbatrici. Un esempio è il preliminare di acquisto di un bene in
funzione del futuro ottenimento del mutuo.

La natura giuridica del preliminare:


- non è un contratto obbligatorio definitivo;
- non è un contratto preparatorio quale promessa di consensi;
- è invece un “doppio contratto” primessa di consensi e di prestazioni.

Il nomen contratto, il regime e il fatto che la trascrizione del preliminare sia solo
prenotativa, dimostrano che non è un contratto obbligatorio definitivo. Non si spieghierebbe infatti la
differente disciplina rispetto al definitivo, il diverso nome e soprattutto la trascrizione che non
sarebbe prenotativa se fosse un definitivo ma sarebbe piena. Il contratto definitivo quindi non è un
contratto solutorio con causa esterna come avviene invece nel pagamento traslativo.
Neppure coglie nel segno il riferimento 2645 bis quando si dice che la trascrizione può
essere anche dell’”atto che costituisca esecuzione dei contratti preliminari” non significa che l’atto
attuativo è non contrattuale ma semplicemente significa che il contratto a valle rispetto al preliminare
può essere diverso da quello programmato come nel caso della transazione o il caso di un
preliminare di vendita cui segua una permuta, ecc. “altro atto” vuol dire altro contratto.
Non è accettabile nemmeno la tesi del preliminare come promessa di consensi in cui la
causa sarebbe tutta nel definitivo e dal quale consegue solo l’obbligo di dare il consenso e non di
predisporre gli atti necessari alla realizzazione del programma del definitivo. Non è una tesi
compatibile con la causa in concreto.
SSUU 1985 affermano quindi che il preliminare non è meramente preparatorio con cui si
assume solo un obbligo di contrarre ma un contratto che ha la stessa causa del definitivo e quindi
l’attuazione dello stesso, con la conseguenza che ci si obbliga non solo a dire si ma anche di eseguire
le prestazioni preparatorie o necessarie a preservare il definitivo. La causa è unitaria. Il definitivo ha
causa solutoria ma anche autonoma, anche il preliminare ha come causa anche quella del contratto
finale.

Ciò fa si che:
1) si possano far valere anche nei confronti del preliminare i rimedi contro
l’inadempimento quante volte i comportamenti successivi al preliminare rendano la
prestazione del definitivo impossibile, tardiva o inutile. Quindi si può agire con
l’azione di inadempimento del preliminare sia quando ci si rifiuti di stipulare sia
quando si hanno comportamenti che frustrino la realizzazione del programma finale.
2) Sono possibili rimedi già nei confronti del preliminare per i vizi della cosa, ma non
quelli di cui al 1490, ma in generale quelli contro l’inadempimento ai fini della
risoluzione, del risarcimento o ai fini della riduzione del prezzo ex 2932 c.c.
3) Lo squilibrio del programma finale può essere fatto vale re già nei confronti del
preliminare;
4) Lo squilibrio da sopravvenienza può essere fatto valere già nei confronti del
preliminare come la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, per eccessiva
onerosità, sopravvenienze atipiche come la presupposizione;
5) E’ secondo alcuni possibile l’esercizio dell’azione revocatoria e in particolare
l’apprezzamento del consilium fraudis già nel momento di conclusione del
preliminare;
6) È possibile far valere nei confronti del preliminare l’azione del coniuge che non abbia
espresso il consenso quando oggetto del contratto è un bene della comunione ai sensi
dell’art. 180/184 c.c.

La conclusione della natura di doppio contratto del preliminare e del definitivo, quindi, come atto
non solo solutorio esclude che possa risolversi il problema della difformità tra preliminare e
definitivo dogmaticamente affermando che il definitivo non conforme è un inadempimento o un
adempimento non completo da integrare. Ma bisogna valutare case by case, tenuto conto del
collegamento, se la difformità derivi dalla necessità di apportare delle modifiche al programma o se

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la difformità evidenzi un’attuazione non ancora attuata e quindi un adempimento non ancora
integrale. Certo si deve presumere che il contratto definitivo variato sia espressione di una volontà
definitiva di apportare modifiche rispetto al programma preliminare. La giurisprudenza valorizzando
il ruolo delle sopravvenienze che il preliminare vuole gestire e il principio di conservazione dei
mezzi giudici e di valorizzazione dell’autonomia negoziale fanno si che anche per il giudice non
possa esser concepita come dogmatica la perfetta identità tra preliminare e sentenza definitiva ai
sensi dell’art. 2932 c.c. dall’altro, per cui quante volte ci sono sopravvenienze che incidano sui
termini economici e sulle regole del preliminare ma che non frustrino il programma, il giudice
accogliendo la domanda potrà calare il programma preliminare nella sentenza apportandovi le
modifiche rese necessarie dalle sopravvenienze squilibranti al fine di preservare la sostanza
dell’equilibrio negoziale.
Il caso è quello del vizio della cosa venduta non impeditivi dell’uso del bene in cui il promissario
acquirente chiede la sentenza costitutiva ma anche di apportare modifiche economiche mediante la
riduzione del prezzo per il tramite dell’actio quanti minoris che si ingloba nella sentenza ex 2932 c.c.
Questo vale per tutte le sopravvenienze che non impediscono di realizzare la causa del
contratto ma comportano un mutamento dell’equilibrio economico o giuridico del rapporto. Qui la
modifica è conservati va e serve ad evitare che il soggetto svantaggiato dalle sopravvenienze sia
costretto a scegliere tra la rinuncia al contratto e la conclusione per via giudiziale tuttavia a
condizioni economiche svantaggiose. Se la causa è invece totalmente stravolta ciò ovviamente non è
possibile.

Altra sentenza importante è quella in cui la Cassazione, superando il tradizionale distinguo


tra emendatio libelli ammessa e mutatio libelli preclusa, stabilisce che possa essere mutata la
domanda nel corso del giudizio da domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di
contrarre a domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo. Quindi da domanda di sentenza
costitutiva a sentenza di accertamento che accerti che il preliminare era in realtà un definitivo. Tanto
sull’assunto che il bene è lo stesso, il rapporto è lo stesso l’effetto è identico e la variazione del
petitum non incide sulla vicenda oggetto di giudizio.

Il preliminare di preliminare

SS.UU 2015 n. 4628 + Cass 2017 e ss.

Afferma alcuni principi:


1) L’autonomia procedurale non è un disvalore e quindi se c’è una ragione meritevole è
possibile proceduralizzare con negozi preparatori il percorso verso il definitivo. E’
quindi possibile quindi un preliminare di preliminare.
2) Tutto ciò è possibile a patto che ci sia una causa giustificativa e cioè una gradualità da
uun preliminare c.d. aperto, incompleto, sostanziale, atipico o puntuazione vincolante a
uno preliminare effettivamente tale, cioè tipico, proprio e formale. Occorre quindi
progressività.
3) Il preliminare di preliminare finisce per essere una puntuazione vincolante con l’obbligo
di portare avanti le trattative con conseguente natura di pactum de tractando e non già
pactum de conrahendo.
4) Quando i due preliminari sono uguali o addirittura ci sia una regressione il secondo
preliminare è affetto da nullità parziale nella parte in cui prevede la duplicazione mentre
il primo preliminare se valutabile come tale sarà passibile di attuazione mediante stipula
del contratto definitivo.

Le critiche sono che questa teorica ammette un preliminare di preliminare che non è neppure
tale, non è nemmeno un contratto ma è un pactum de tractando e sostanzialmente è una puntuazione
vincolante, un contatto sociale foriero di responsabilità precontrattuale. E’ un preliminare che
sostanzialmente serve a poco perché non è trascrivibile, non è attuabile in forma specifica, non rileva

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ai fini dell’art. 72 della L. Fall, non rileva rispetto alla dl 122/2005, non è nemmeno un affare ai fini
della mediazione.
Altra critica è quella alla necessaria progressività contenutistica tra i due atti. Cioè il
preliminare ripetitivo, per questa tesi, non è una superfetazione perché lo stesso contenuto espresso
in momenti diversi ha un significato diverso. Se rinnovo la volontà tra sei mesi è perché questa
nuova volontà rivaluta le sopravvenienze. La distanza temporale tra i due ha rilievo sostanziale,
quindi, perché consente per esempio l’eventuale rimozione di vizi presenti nel primo contratto, la
verifica di situazioni oggettivi o soggettive esterne non deducibili in condizioni.
La terza obiezione è sul tipo di progressione che secondo la cassazione deve essere
contenutistico mentre potrebbe, a contenuto identico, concernere il regolamento, le forme i rimedi e
più in generale gli strumenti regolatori remediali, con il passaggio da un primo preliminare con
recesso, sospensivamente condizionato, senza 2932 c.c. ad uno forte senza recesso, efficace e
suscettibile di esecuzione in forma specifica e quindi trascrivibile. Il contenuto è uguale ma gli
strumenti remediali sono diversi.
Ultima obiezione è quella per cui non si comprende quale sia il rimedio a fronte del
preliminare ripetitivo o regressivo. Perché in realtà se concludessimo che non è meritevole la
procedimentalizzazione senza progressione, allora l’intera vicenda contrattuale sarebbe viziata,
perché la causa è unica con conseguente nullità sia del primo che del secondo preliminare. Invece la
Cassazione dice che il primo preliminare è nullo nella sola parte in cui prevede la clausola reiterativa
mentre per il resto è salvo, mentre il secondo è integralmente nullo. La nullità parziale del primo
contratto non opera ai sensi del 1419 ma è uno stravolgimento completo del programma negoziale,

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