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DIRITTO CIVILE - IL

CONTRATTO - CALVO
ROBERTO
Diritto Civile
Università degli Studi di Brescia
310 pag.

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RIASSUNTI
DI
DIRITTO
CIVILE I
-
CALVO

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CAP. I - LE CLASSIFICAZIONI

1. Il sinallagma

Il contratto è lo strumento messo a disposizione dei consociati per


amministrare in regime di

autonomi la ricchezza individuale. Art 1321 cc: "il contratto è l'accordo di due
o più parti per

costruire, regolare o estinguere tra loro in rapporto giuridico patrimoniale".

L'accordo che precede Gemma dall'incontro di più dichiarazioni di volontà


emesse da parti capaci

di agire. La volontà è diretta a creare un effetto giuridico-patrimoniale che trae


impulso dal programma negoziale fonte di diritti e obblighi reciproci.

Questo effetto implica che ciascun contraente è tenuto ad una prestazione di


dare/fare/non fare

nell'interesse dell'altra parte (o di un terzo). Il nesso unente la prestazione alla


controprestazione

genera il sinallagma, ossia il vincolo di corrispettività che giustifica gli


spostamenti patrimoniali in

funzione dei quali gli stipulanti raggiungono l'intesa.

Questa intersezione di prestazioni è innervata dal sottostante contratto, che


costituisce il motore

propulsore dello scambio.

Questo è il sinallagma genetico, che si distingue da quello funzionale, che


invece attiene

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all'adempimento delle prestazioni. L'alterazione sopravvenuta di quest'ultima
specie di nesso

d'interdipendenza tra il dato e il dovuto, rilevante sotto il profilo


dell'inadempimento, legittima il

creditore a chiedere la risoluzione del contratto.

2. Le categorie

Il contratto sinallagmatico (o commutativo) può essere accostato all'intesa


fonte di diritti e obblighi reciproci: ciascuna parte ha il diritto di esigere
qualcosa dall'altra, e detta pretesa giustifica gli spostamenti di ricchezza tra i
protagonisti dello scambio.

Il contratto può eccezionalmente obbligare una sola parte --> contratto


unilaterale: es contratto di fideiussione stipulato tra il promittente
(fideiussore) e creditore, da cui promana l'obbligo gravante il primo di prestare
la garanzia personale relativa all'adempimento dell'obbligazione altrui (art
1936 cc). Il creditore garantito acquista diritti dal garante (o mallevadore) ma
non assume obblighi corrispettivi, salvo che sia impegnato a versagli una
somma di denaro al fine di retribuire la prestazione di garanzia.

Riguardo alla componente personale, il contratto può essere:

- bilaterale: l'intesa viene raggiunta tra due soggetti, il cui accordo perfeziona
la fattispecie

negoziale. L'obbligazione che ciascuna parte assume è diretta a remunerare la


controprestazione.

- Plurilaterale: il perfezionamento della fattispecie implica la riduzione ad


unità di una molteplicità

di volizioni, tramite le quali ciascuna parte si obbliga verso le altre (es


transazione con 3 o più parti), oppure una parte è tenuta a adempiere nelle
mani del terzo beneficiario (es contratto ex

art 1411 cc). Quando c'è comunione di scopo, come nei contratti associativi, le
prestazioni

dovute sono unificate dal vincolo di destinazione. In quest'ultima situazione


ogni parte è titolare

di diritti e obblighi; esse sono governate dallo statuto particolare che le


disciplina, il quale dovrà

essere coordinato con quello del tipo negoziale regolante l'intesa plurilaterale.
Il contratto plurilaterale di natura associativa, sotto il profilo della finalità
economica, è accostabile al

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contratto di organizzazione. Può capitare che i contratti plurilaterali assumano
i lineamenti di una

fattispecie aperta, nella quale la modifica soggettiva non importa la necessità


di riformare l'accordo-base. Il vizio inficiante il consenso di un aderente non
importa l'invalidità dell'intero

contratto quando la sua partecipazione non assuma i toni dell'essenzialità (art


1420 e 1446 cc).

Il contratto è segnato dalla causa liberale se lo spostamento patrimoniale


tragga la propria

ragione giustificativa dell'interesse del disponente di arricchire il beneficiario,


senza ottenere nulla

in cambio (art 769 ss). La libertà donativa si sostanzia nel proposito di


beneficiare il destinatario

dell'atto negoziale attraverso l'impoverimento del donatore, il quale si spoglia


di una porzione del

proprio patrimonio per ragioni di generosità, per motivi ideali, per scopi
altruistici ecc, e quindi non per l'appartamento di interessi patrimoniali. Il tipo
negoziale utilizzato per assecondare tali interessi rende la libertà socialmente
individuabile e apprezzabile.

Il contratto a titolo gratuito sussiste quando lo spostamento di ricchezza,


non perequato da una

controprestazione, sia privo del proposito liberale, essendo il trasferente mosso


da un interesse

indirettamente patrimoniale.

L'attribuzione patrimoniale si consolida nella sfera del donatario solo quando


egli l'abbia accettata,

perché nessuno può essere tenuto a conseguire un arricchimento senza volerlo.


Da qui il

fondamento contrattuale della donazione.

Il contratto è aleatorio quando appare originariamente incerto se la


prestazione di una parte verrà

retribuita dalla controprestazione. Es contratto di assicurazione nel quale


mentre la prestazione

dell'aderente (pagamento del premio) è certa, quella dell'assicuratore


(pagamento dell'indennizzo) è incerta. Sono aleatori anche il gioco, la

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scommessa e il contratto vitalizio. Una parte assume, dietro corrispettivo, il
rischio di eseguire una prestazione (la cui consistenza supera di molto la
prestazione effettuata dalla controparte) condizionata da eventi molto incerti.
Ai contratti aleatori non è applicabile il rimedio della rescissione per lesione (art
1448 c4), ne quello della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art
1469 cc).

3. Consenso e realità

I contratti si perfezionano di regola per effetto del semplice accordo. Il nostro


ordinamento è

informato al principio consensualistico secondo il quale il diritto di proprietà


su cose determinate

si trasmette in virtù del consenso legittimamente manifestato.

Quanto alle cose non determinate ma determinabili (es cento quintali di


pesche), L'effetto

traslativo, traente sempre causa dal preesiste contratto (titulus acquirenti) È


posticipato all'atto di

individuazione (modus adquirenti). L'individuazione è un contratto accessorio


all'intesa principale

(rappresentata dalla compravendita) il cui fine è quello di completare la


vicenda traslativa

transitoriamente incompiuta.

La regola del consenso traslativo opera anche nell'area dei contratti aventi ad
oggetto la

costituzione o il trasferimento di altro diritto reale: es il diritto di superficie è


efficacemente costituito per effetto dell'accordo sigillato nella scrittura privata
o nell'atto pubblico.

Soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge il contratto si perfeziona


con la consegna,

come accade in ipotesi di mutuo, comodato, contratto estimatorio, deposito e


pegno e pegno.

Queste intese sono definite reali perché la d'azione non è un mero atto di
adempimento, ma a

natura costitutiva. Il consenso (assurgendo a titulus adquirenti) di per sé non


perfeziona la

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fattispecie che potrà considerarsi perfetta unicamente quando sia intervenuta
la consegna (che

funge da modus adquirenti).

Diverso è il contratto dotato di effetti reali: l'evocata realità riguardo agli


effetti implica che

l'accordo determina un trasferimento di proprietà (es mutuo), oppure la


costituzione o il

trasferimento di altro diritto reale minore (es contratto di superficie).

Vi sono contratti che generano solo effetti obbligatori, come il preliminare di


vendita, il quale

vincola le parti a stipulare un successivo negozio traslativo avente effetti reali.


Anche il contratto a

effetti reali produce effetti obbligatori Inter partes. L'effetto reale rappresenta
un qualcosa di più

rispetto all'immanente effetto obbligatorio.

4. Ulteriori precisazioni

I contratti possono essere a forma libera oppure vincolata. La volontà


manifestata abile ad

astrarre dall'osservanza di particolari oneri formali e può essere anche tacita,


essendo estrapolabili

e dalla forza espressiva di determinati comportamenti.

La legge ex Art 1325 Impone eccezionalmente forme vincolate:

- in alcuni casi la forma scritta, scrittura privata o atto pubblico, è richiesta


sotto pena di nullità (ad

substantiam) come accade per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento o la


costituzione di

diritti reali su immobili;

- In altri la forma è richiesta a fini probatori (ad probationem): il contratto non


può essere

dimostrato davanti al giudice mediante testimoni o presunzioni, ma


unicamente attraverso

l'esibizione del documento incorporante l'accordo, oppure tramite confessione


giuramento

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decisorio.

I contratti istantanei si esauriscono nel momento in cui vengono in essere gli


elementi costitutivi

della fattispecie. I contratti di durata implicano la nascita di obbligazioni di


fare, non fare o di dare

che si proiettano nel tempo, essendo destinate ad appagare interessi durevoli


delle parti: contratti

di appalto, locazione, comodato e mutuo. Questa categoria si divide in due


sottospecie: nella prima troviamo i contratti a esecuzione continuativa, dove la
prestazione di una parte è permanente (es obbligo del locatore di mettere a
disposizione la cosa); nella seconda rientrano i contratti a esecuzione periodica,
riguardo ai quali l'adempimento deve essere effettuato non in modo costante
ma osservando intervalli di tempo scanditi dal metro regolatore della natura
del singolo rapporto negoziale (es prestazione di lavoro subordinato).

L'istantaneità non implica che il contratto si estingua scintilla iuris una volta
che l'accordo sia stato

perfezionato, posto che le parti continueranno a rispondere del corretto di


incremento delle

prestazioni e obbligazioni corrispettive in forza del medesimo titolo negoziale.


Effetti del contratto e responsabilità riguardano due aspetti che, dal punto di
vista temporale, non coincidono

necessariamente, dato che il passaggio di proprietà, che si consolida ed


esaurisce con lo scambio

di volizioni, implica la nascita di vincoli, i quali si protraggono nel tempo e che


consistono nelle

garanzie dovute dal trasferente e negli obblighi corrispettivi assunti dall'avente


causa.

CAP. II - LA LIBERTÀ CONTRATTUALE

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1. Autonomia privata e legislazione Antimonopolistica

All'interno del diritto privato, l'autodeterminazione del singolo domina, entro


limiti di ordine pubblico stabiliti dal diritto cogente O accreditati dall'ordine
naturale delle cose e dei postulati introdotti dalla costituzione. Le libertà in
campo patrimoniale non possono però essere esercitate per fini emulativi o in
odio ai diritti fondamentali degli altri consociati.

La persona capace di agire, in linea di principio, e libera di entrare nel traffico


giuridico scegliendo

la controparte, la tipologia contrattuale e il contenuto del regolamento di


privati interessi (art 1322).

In un sistema economico dominato dai monopoli tale libertà si traduce in


illusione, per questo è

stata emanata la disciplina antitrust di cui alla l.287/1990. L'art 2 vieta a


pena di nullità le intese

tra imprese volte a impedire, restringere o falsare in maniera non marginale il


gioco della

concorrenza all'interno del mercato nazionale, o in una sua parte rilevante.


L'art 3 Vieta l'abuso di

posizione dominante Che si concreta in:

- imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre


condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;

- Impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo


sviluppo tecnico o il

progresso tecnologico, a scapito dei consumatori;

- Applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni


oggettivamente diverse per

prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi


nella concorrenza;

- Subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri


contraenti di

prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali,
non abbiano

alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.

L'accordo antimonopolistico cela il fine di impiegare I poteri di libertà negoziale


in danno dei terzi,

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ossia dei soggetti penalizzati dall'alterazione del gioco concorrenziale.

Spetta all'autorità garante della concorrenza del mercato esercitare i poteri di


vigilanza e di

indagine per verificare le eventuali trasgressioni ai divieti imposti. Essa anche


potestà punitiva,

essendo legittimata ad infliggere una sanzione amministrativa pecuniaria sino


al 10% del fatturato

contro le imprese che abbiano trasgredito la disciplina antitrust. L'intero


universo del diritto privato tendenzialmente si regge sulla dichiarazione di
volontà spontaneamente emessa da chi è padrone di se. La teoria del
negozio giuridico ha fornito la base concettuale della sistematica ordinante
gli atti giuridici.

L'autonomia contrattuale permette la creazione di accordi fuoriuscenti dalla


tipologia disegnata

dal cc. Le parti possono disporre della libertà di raggiungere accordi atipici o
innominati, purché

destinati ad appagare interessi meritevoli di protezione (art 1322). L'interesse


e degno di tutela

quando l'accordo non si infranga contro i valori costituiti dalle norme cogenti
ordinarie o dalle

superiori direttive della costituzione e delle altre fonti internazionali. La legalità


costituzionale

diventa l'imprescindibile metro di misura della liceità da cui muove il giudizio


sulla meritevolezza

dell'intesa atipica.

L'Art 1323 stabilisce che tutti i contratti, anche se non appartengono ai tipi
regolati da statuti

speciali, sono sottoposti alle norme generali contenuti nel titolo II del libro IV.

la disciplina sui contratti tipici può essere sfruttata dal giudice per integrare lo
statuto della

fattispecie innominata.

2. La forza emancipatrice del libero consenso

L'autonomia contrattuale ha segnato il passaggio da un sistema giuridico


diseguale (o di antico

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regime) fondato su status personali e privilegi nobiliari, a un ordinamento
nuovo in cui la libertà di

autodeterminazione, riconosciuta a ogni persona capace di agire, funge da


epicentro di un modello economico dominato dall'iniziativa privata e dalla
libertà d'impresa. L'accordo raggiunto tra soggetti liberi d'inserirsi nel traffico
mercantile simboleggiava il meccanismo che garantiva l'armonico sviluppo
della società e dell'economia, finalmente affrancate dai vincoli feudali e
corporativi.

A questo si accompagna il divieto per i magistrati di stravolgere l'atto di


autonomia privata allo

scopo di riassettare il meccanismo.

Il contratto, come legge, obbliga le parti al rispetto della parola data: la parte
non può

unilateralmente modificare il regolamento contrattuale --> per farlo deve


stringere una nuova

intesa. Per identità di ragioni, il terzo (giudice) non può rettificare l'atto di
autonomia privata in

maniera da proteggere l'interesse della parte ritenuta meritevole di tutela. Se il


contratto è invalido il giudice lo dichiara nullo, ma non può correggerlo in
funzione riequilibrante.

3. Il valore costituzionale dell'autonomia privata

L'autonomia privata in genere e la libertà contrattuale in specie assumono


rilievo deontologico ex

art 2 cose, siccome integrano la complessa e articolatissima categoria dei


diritti inviolabili dell'uomo. Anche l'art 14 cost dovrebbe essere compreso nella
più vasta area di competenza assiologia delineata dall'art 2.

4. Dal libero contratto al contratto non negoziato: le condizioni


generali

Con l'evoluzione economica si è arrivati alla nascita della grande impresa


capitalistica. Le parti che

entrano in contatto per allacciare un intesa discutono con eguali poteri il


contenuto del contratto

solo quando agiscono in una condizione paritaria, grazie alla quale l'interesse di
uno stipulante è

raffrenato dal controinteresse dell'altro. Tale contrapposizione permette di


raggiungere un punto

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d'intesa equilibrato. Qualora affiorasse una situazione di squilibrio, la parte più
forte non

accetterebbe il negozio finendo così con l'imporre unilateralmente le condizioni


generali del

contatto (art 1341 c1 cc).

Nel caso in cui la persona comune intenda sottoscrivere un contratto bancario


o di assicurazione

non dispone in concreto del potere di imbastire un negoziato con la controparte


per definire il

contenuto dell'accordo: lo stipulante economicamente forte propone alla massa


indistinta di

potenziali clienti un modulo prestampato ove sono riportate le clausole


standard dell'accordo,

destinato a regolare un numero indefinito di affari (contratto imposto). La


grande impresa ottiene

così due vantaggi:

- risparmia tempo nella trattativa, che di fatto è inesistente;

- Uniforma, attraverso la riduzione a unità, la modulistica contrattuale, che


viene plasmata in

maniera seriale ad astrarre dalle condizioni personali dell'aderente.

Il cc disciplina la categoria del contratto perfezionato tramite moduli e


formulari all'art 1342: essa

agevola la conoscibilità delle condizioni generali grazie alla loro riproduzione


nella scrittura privata.

Tale distinzione, che è completata dall'art 1370 cc (interpretativo contra


proferendum), enuncia la

regola secondo cui le clausole aggiunte prevalgono su quelle originarie ove


risultino incompatibili,

ancorché queste ultime non siano state cancellate.

In questi casi il negoziato è assente, perché l'offerente ha in anticipo


predisposto uno statuto

uniforme e tendenzialmente immutabile dei futuri contratti di volta in volta


stipulati con i singoli

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utilizzatori. Ciò è possibile in virtù dell'art 1341 c1, secondo cui le condizioni
generali di contratto

sono opponibili all'altra parte (aderente) se al momento della conclusione del


contatto quest'ultima le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscere usando la
diligenza ordinaria.

Onore del predisponente (offerente) è fare in modo che la totalità dei suoi
potenziali clienti possa

apprendere il contenuto delle condizioni generali di contratto prima di


perfezionare il vincolo

giudico. Non conta la conoscenza effettiva: basta la conoscibilità astratta. Le


condizioni sono

efficaci Inter partes, nel senso che concorreranno a formare l'ordinamento del
singolo accordo,

qualora il predisponente le abbia rese conoscibili. L'aderente non potrà dolersi


di averle trascurate, siccome la legge gli attribuisce un onere di diligenza (art
1176) il cui mancato adempimento costituisce eventualità inclinante verso la
sponda di rischio addossabile al medesimo soggetto (autoresponsabilità).

5. Le clausole vessatorie

In merito al negozio di massa, il legislatore del 1942 ha cercato di innalzare un


argine contro il

pericolo che l'aderente si veda opporre dall'altra parte clausole inattese, data
la loro vocazione a

provocare una limitazione insidiosa della responsabilità contrattuale, o a


generare altre vicende da

cui consegue la straordinaria alterazione della normale distribuzione dei rischi


tipici della fattispecie negoziale prescelta.

Allo scopo di scansare questa grave turbativa, l'art 1341 c2 ha introdotto la


regola secondo cui non

hanno effetto, ossia sono nulle, se non specificamente Approvate per iscritto, le
condizioni che

prevedano, a favore di colui che le abbia predisposte:

- limitazioni di responsabilità (art 1229 cc);

- Facoltà di recedere dal contratto (art 1373) o di sospenderne l'esecuzione (art


1461);

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- Condizioni che sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze (art 2965),
limitazioni alla

libertà contrattuale nei rapporti con terzi (art 1379, 1566, 2596), tacita proroga
o rinnovazione

del contratto, clausole compromissorie (art 808 cpc) o deroghe alla


competenza dell'autorità

giudiziaria (art 6, 28,29, 30 cpc).

L'espediente ha una valenza formale e non sostanziale, perché la protezione


della parte debole

(aderente) viene garantita attraverso la mera sottoscrizione specifica della


clausola vessatoria. La

circostanza che l'aderente abbia apposto la doppia firma in calce al modulo,


dichiarando di

accettare una o più clausole enumerate nell'art 1341 c2, concreta una
protezione priva di

effettività: ma tale sottoscrizione è accostabile a una sorta di automatismo


stimolato dalla

sottoscrizione principale, inadatto ad annientare la prevaricazione imputabile


alla disparità di poteri tra le parti.

Questa inadeguatezza e aggravata dalla persuasione dominante nel diritto


giudiziale, che si può

così riassumere:

- l'elenco che precede è tassativo per cui fu riuscirebbe dall'ambito di


competenza dell'Art 1341

c2, la clausola del contratto per adesione che prevedesse la corresponsione di


interessi in

misura superiore a quella legale, oppure la clausola attribuente alla parte forte
il potere di

modificare unilateralmente le condizioni generali del contratto;

- La doppia sottoscrizione non sarebbe richiesta per i contratti redatti dal notaio
(art 2699).

Queste rigidità interpretative unite alla mancata percezione che la tutela della
parte emarginata

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dalla trattativa potesse essere adeguatamente garantita applicando la clausola
generale di buona

fede ex Art 1375, hanno rappresentato il vero limite in vista dell'avanzamento


della tutela pro

aderente.

La giurisprudenza Forenza non è riuscita a districarsi dall'Art 1341 C2,


rinunciando così a

diffondere il sistematico controllo contenutistico sulle condizioni generali di


contratto alteranti

all'eccesso l'equilibrio giuridico dell'intesa. Si è giunti così alla conclusione che


le precitate regole

inducono a ritenere che la clausola, in quanto è sottoscritta dal contraente, sia


anche da lui voluta,

con la conseguenza che un controllo sostanziale non viene assolutamente più


in considerazione.

Allo scopo di superare questa situazione, parte della letteratura giuridica


italiana svelo che

l'interpretazione della legge ordinaria avrebbe dovuto persuadere il pratico a


individuare un limite

implicito all'uso delle clausole uniformi: dette clausole completano


legittimamente il contratto

seriale A patto che non introducano condizioni diseguali, tali da favorire il


predisponente o da

rendere più nervosa la posizione dell'aderente.

La dottrina auspicava il raggiungimento dell'equilibrio normativo del contratto


di massa

subordinando la vincolatività delle condizioni generali alla sussistenza di un


interesse sociale alla

realizzazione dell'attività economica: la tecnica del controllo sulla


meritevolezza delle condizioni

generali avrebbe permesso di moralizzare il contratto standard sotto il profilo


dell'equità

normativa del vincolo obbligatorio, assegnando alla doppia sottoscrizione il


suo vero valore di

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semplice rimedio formale, di per sé è incapace di dare una risposta concreta al
problema della

vessazione.

Si è così a facciata idea di sanzionare l'intollerabile alterazione della libertà


contrattuale facendo

leva sugli Art 1175 e 1375, grazie alla loro capacità di riflettere i valori
fondamentali di tutela

dell'individualità nelle relazioni patrimoniali. La resistenza all'abuso viene


assicurata tramite la

regola di giudizio fornita dalle norme dispositivi di legge allocanti il rischio


contrattuale.

6. Clausole abusive e tutela pro consumatore

L'effettività della tutela a favore dell'aderente (partie faible) È stata raggiunta


a seguito della

ricezione da parte dello Stato italiano della direttiva comunitaria sulle clausole
abusive 93/13/CEE.

La disciplina, racchiusa nel codice del consumo, è applicabile ai rapporti di


scambio tra

professionista (ossia la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio di


un'attività di impresa o

intellettuale) E il consumatore ( l'individuo che non agisce per fini di impresa o


professionali).

L'art 36 c.cons decreta la nullità delle clausole vessatorie: tale sanzione,


rilevabile d'ufficio a

beneficio del consumatore, assicura all decreta la nullità delle clausole


vessatorie: tale sanzione,

rilevabile d'ufficio a beneficio del consumatore, assicura all'aderente


un'adeguata protezione

giuridica, che non può essere frustrata tramite gli osservanza di requisiti
formali invece

caratterizzanti il sistema originario della doppia firma. Ancorché l'aderente


abbia sottoscritto

specificatamente la clausola iniqua, essa è nulla qualora rientri tra quelle


catalogate nella lista

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grigia ex Art 33 c2 cod.cons. esse hanno semplice valore indiziario dell'abuso,
quantunque la loro

ampia gittata induca a ritenere marginale l'evenienza che il frammento


negoziale stia al di fuori

dell'elenco.

La clausola innominata è invalida qualora urti contro la norma ex art 33 c2


cod.cons, secondo cui

si considerano vessatori gli elementi del contratto i quali, in spregio alle


direttive etiche venate di

buona fede oggettiva, determinano a nocumento del consumatore un


significativo squilibrio dei

diritti e degli obblighi contrattuali. Lo squilibrio significativo è un modo di


manifestarsi della

contrarietà al principio di buona fede. Buona fede, squilibrio rilevante e


correttezza nella

formazione del contratto predisposto, sono delle varianti semantiche dello


stesso concetto

unificatore di abuso della libertà contrattuale.

I criteri distintivi dell'abuso possono in linea di massima essere tratti facendo


perno sull'oggettivo

contenuto di giustizia espresso dalla disciplina suppletiva di legge, che


distribuisce tra le parti il

rischio negoziale conformemente ai criteri considerati come giusti ed equi


dall'autorità normativa.

La deroga al diritto dispositivo è tendenzialmente ammessa, purché non


implichi la mortificazione

dei poteri di autodeterminazione riconosciuti al capace di agire nella gestione


del patrimonio

individuale.

L'accertamento dell'uso abusivo del potere impone ai tribunali di indagare se


l'interesse

dell'aderente sia stato preso adeguatamente in considerazione dall'altro


stipulante, il quale

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monopolizza le leve del comando economico: ciò presuppone la
determinazione di una scala di

valori al cui vertice è possibile individuare beni giuridici che non possono
essere cancellati dal

contratto unilateralmente predisposto.

Esistono comandi la cui deroga pattizia non implica di necessità la formazione


di un contratto

normativamente squilibrato e perciò ingiusto, siccome fondato sull'abuso della


libertà negoziale.

Sono accomunate dal perseguire il dominante scopo di tutelare l'interesse delle


persone a

conoscere in anticipo la natura degli obblighi qui vanno incontro quando


partecipano al traffico

mercantile. In tale quadro l'autonomia privata non incontra particolari limiti,


neppure dove vi sia

un'alterazione di poteri generata Dallo squilibrio economico.

L'ordinamento introduce anche norme dispositive la cui particolarità consiste in


ciò, che sono

permeate da un intrinseco valore aggiunto di giustizia sostanziale, in quanto


assolvono al compito

di realizzare la ragionevole suddivisione del tipico rischio contrattuale. Non lo


sono norme Statuenti principi di ordine pubblico ma mirano a raggiungere lo
scopo di mantenere in equilibrio il carico di diritti e obblighi assegnati a ciascun
stipulante dalla disciplina del tipo contrattuale. La loro deroga può rendere il
contenuto del contratto estremamente gravosa. In un sistema così fatto i limiti
alla modifica della fattispecie legale si fanno tanto più intensi quanto più
debole è la parte pregiudicata dall'aut-aut.

L'equanimità legislativa non può essere cancellata dalle condizioni generali di


contratto amplianti a

dismisura i poteri dell'utilizzatore, altrimenti si verifica l'abuso del diritto


soggettivo, legittimante il

giudice a correggere il contratto normativamente ingiusto espungendo dal suo


contenuto le

clausole perpetranti l'abuso.

7. L'accertamento della vessatorietà

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La nullità è paralizzata qualora la clausola sia il risultato della trattativa
individuale (art 34 c4

cod.cons). L'art 33 c2 cod.cons non prevede un congegno utile


all'accertamento del fatto

costitutivo della vessatorietà messo in moto dalla logica deduttiva, ma enuncia


la regola di mero

riparto dell'onere probatorio. La presunzione semplice è ravvisabile


allorché l'autore del diktat

dimostri, in alternativa al negoziato ad hoc, la niente amento della vessatorietà


assicurato

Dall'effetto compensativo oppure riesca a convincere il giudice che la clausola


si limita a ricalcare il

diritto positivo (art 34 cod.cons).

Il criterio di riparto è giustificato dal carattere meramente esemplificativo del


catalogo di clausole

ritenute vessatorie fino a prova contraria. Quando la clausola sottoposta allo


scrutinio giudiziale

fuori esca dal paradigma normativo, spetta all'aderente allegare l'assenza di


trattativa e dimostrare il rilevante squilibrio. L'altra parte potrà a sua volta
replicare, all'interno del contraddittorio processuale, che la clausola stessa
riproduce la lettera della legge, oppure è stata sottoposta a un effettivo
marcanteggiamento.

La regola compensativa trova il proprio appiglio nell'atto 34 c1 cod.cons, A


mente del quale

l'accertamento della vessatorietà dipende dalle circostanze esistenti alle poca


dell'accordo (o al

momento in cui fu raggiunta l'intesa perfezionativa del regolamento pattizio a


latere di quello

dedotto in giudizio, allorché entrambi negozi siano destinate raggiungere


unitaria operazione

economica). Occorre sempre far leva sull'interpretazione della clausola


sospettata di vessatorietà

entro il sistema del contratto, in modo da guardare al contesto ove essa è


posta.

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L'idea è condivisibile in quanto l'accertamento dell'abuso imputabile
all'assenza di autoderminazione dipende dai rapporti di forza tra le parti, la cui
ponderazione non può astrarre da fattori contingenti. Es: la deroga all'Art 1755,
radicata nel contratto predisposto dal mediatore, per effetto della quale gli
viene riconosciuto il diritto alla provvigione a prescindere dalla vendita

dell'immobile appartenente all'altro stipulante, può essere compensata


dall'obbligo assunto dal mediatore stesso di custodire il bene sino alla scadenza
dell'incarico.

È corretto l'orientamento che parte dalla regola secondo cui si può raffrontate
soltanto ciò che si

presta ad essere comparato, da cui risulta che l'Art 4 dir 13/93 debba essere
inteso restrittivamente, perché la compensazione tra clausole peggiorative e
migliorative in paragone allo statuto del tipo contrattuale è ammissibile sempre
che le une siano strettamente correlate alle altre, entro il limite dei diritti
disponibili.

Es: non è in grado di ricostruire l'equilibrio normativo del contratto


unilateralmente predisposto

l'eventuale inserimento, all'interno del formulario utilizzato dal venditore di


immobili, della clausola con la quale egli si impegna a riparare i vizi materiali
accertati entro tre anni dalla consegna, laddove sia per contrappeso imposto al
compratore l'onere di denunciare il vizio entro 24 ore dalla scoperta. La prima
clausola potrebbe utilmente pareggiare il disfavore che deriva dalla condizione
generale con cui l'acquirente si vincola a pagare l'incremento di valore della res
derivante dalla riparazione, come succede qualora l'obbligato, allo scopo di
evitare la diffusione sui muri perimetrali di macchie di acqua, dadi a rivestire le
pareti di materiale coibente, con L'effetto mediato del maggiore isolamento
rustico dell'edificio rispetto allo stato precedente. La clausola introduce una
deroga alla disciplina legale ex Art 1223, giacché l'applicazione del principio
della compensazione renderebbe non ripetibile l'ipotizzato surplus.

Il giudizio di vessatorietà non si estende alle clausole che definiscono l'oggetto


del contratto o

l'adeguatezza del corrispettivo, purché tali elementi dell'intesa siano


facilmente comprensibili da

parte del consumatore (art 34 c2 cod.cons). L'indagine sulla comprensibilità


postula la

predisposizione da parte del professionista di un corredo di clausole informato


al principio della

trasparenza.

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Sono sempre nulle, ancorché oggetto di trattativa individuale, le clausole,
enumerate nella lista

nera ex art 36 c2 cod.cons, volte a:

- escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o


danno alla persona

del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;

- Escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista


o di un'altra parte

in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte


de professionista;

- Prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non hanno
avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.

8. Squilibrio formale e materiale

L'ingiustizia generata dal deficit emergente dal bilanciamento tra diritti e


doveri stabiliti nelle

clausole uniformi, può essere formale quando il contratto suddivida con


diseguale intensità le

posizioni soggettive attive o passive (squilibrio formale): es ipotesi in cui chi


detta le regole dell'affare si riserva il diritto di recedere entro un termine più
esteso rispetto a quello riconosciuto

alla controparte. Lo squilibrio deriva dalla deroga al diritto positivo, ma


dall'asimmetrica

assegnazione di potestà.

Spetta all'interprete far risaltare che sotto le vesti dell'astratta parità si cela
una situazione di

materiale disuguaglianza: caso in cui nel contratto di somministrazione a


tempo determinato, il

diritto di recesso ad nutum (recesso libero senza giustificazione) sia


riconosciuto a favore di

entrambi le parti, sebbene la sua previsione risponda pressoché


esclusivamente all'interesse del

somministrante.

Non bisogna generalizzare il discorso, perché quando la disparità affonda le


proprie radici nella

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disciplina del tipo normativo (es contratti bancari e di assicurazione) sarà
difficile negare che, in

virtù della causa di giustificazione ex Art 34 c3 cod.cons, la ripetizione nel lato


di autonomia privata del traboccamento normativo non configuri un indizio di
vessatorietà. Per cui non sono positive le clausole che riservano solo alla banca
il potere di recesso prima della scadenza, dato che tale potere tra i origine
dall'Art 1845. Non sono abusive le clausole che riconoscono soltanto

all'assicuratore il diritto di recesso in caso di dichiarazioni inesatte o reticenti in


quanto si ricalca

l'Art 1893.

Lo squilibrio ha natura materiale quando i diritti e gli obblighi della parte


esclusa dalla trattativa

individuale subiscano un rilevante peggioramento rispetto alla disciplina legale.


Questa ipotesi di

abuso della libertà contrattuale viene definito squilibrio normativo.

Il controllo sull'equilibrio formale e normativo servirà a svelare l'abuso sia sotto


il profilo della

simmetrica attribuzione di posizioni giuridiche attive o passive connotate dalle


asimmetriche

modalità di esercizio (controllo formale), sia sotto l'aspetto della deroga alla
legge (controllo

materiale).

L'indagine circa la non marginale alterazione degli elementi atti ad assicurare


l'equiparazione della

responsabilità e il mantenimento dell'armonica proporzione dei fattori del


meccanismo di scambio, esige il paragone con il contenuto di giustizia
espresso dalle norme suppletive disciplinanti il rischio contrattuale, perché è su
DS che si concreta l'ideale di giustizia prefigurato dal diritto privato.

La libertà di gestione del patrimonio individuale trova la sua massima e


legittima espressione

attraverso il ricorso alle intese derogatorie. Se viene meno il presupposto


dell'autodeterminazione

a causa dell'assenza di trattativa, il distacco dagli intrecci orditi dal diritto


positivo è meritevole di

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tutela solo se si riveli conforme al radicato senso di giustizia informante di se l'
ordinamento.

Altrimenti la causa è vessatoria E quindi nulla. Il freno all'uso unilaterale delle


prerogative

contrattuali nella fase costruttiva dell'accordo è scandito dalle norme, le quali,


pur non

rispondendo a direttive di ordine pubblico, risultano qualificate dal bisogno di


regolare il traffico

mercantile nel rispetto del principio della equilibrata suddivisione delle rischio
economico derivante dalla libera iniziativa privata.

Il diritto privato richiede il mantenimento in equilibrio di interessi antagonistici:


l'interesse del

singolo all'auto di affermazione, cui si affianca quello universale alla difesa dei
beni della vita

costituenti la spina dorsale della società civile. Il legislatore dispone di due


possibilità:

- fortificare con l'attributo dell'imperatività le regole volte a proteggere beni


della vita sottratti alla

disponibilità dei privati;

- Arricchire di equità immanente la moltitudine di regole le quali, benché


collocate ad un livello di

gerarchia assiologica inferiore a paragone di quelle precedenti, esprimono


l'ideale di giustizia non solo formale.

Da questo intreccio si deduce che la deroga alle norme dotate di contenuto di


giustizia sottostà alla condizione inespressa della scelta effettivamente
deliberata, laddove la libertà di formazione del contratto non può essere
monopolio esclusivo della parte forte.

La disciplina si fa più specifica quanto maggiore è la virtù di giustizia sigillata


nelle norme

disciplinanti il lego funzionamento della circolazione della ricchezza, perché ad


esse va riconosciuta la funzione di diffondere nel mercato regole di condotta
che danno sostanza al

concetto astratto di buona fede oggettiva.

Il prospettato rapporto inversamente proporzionale tra il grado di giustizia


materiale del diritto

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dispositivo e l'intensità dei limiti alla sua deroga per opera del potere
regolamentare

dell'imprenditore, è accreditato dall'ordine pubblico costituzionale, poiché


quando i valori espressi

dalla legislazione si ripercuotono sui beni primari della vita, l'idea di


compensazione per funzioni.

L'esercizio del diritto soggettivo contro la garanzia del pieno e libero sviluppo
della personalità, si

traduce in un abuso legittimante la reazione del sistema al fine di assicurare il


primato dei valori di

tutela dell'essere, controlli coesione dei detentori del capitale di comando


sociale. Si crea una

distinzione tra uso corretto e uso distorto delle libertà individuali: solo il primo
è ammesso ed è

meritevole di protezione. Nascono così limiti impliciti alle libertà negoziale ove
esse si manifestino

in atti contrari all'interesse generale.

L'abuso della libertà contrattuale È una forma particolarmente insidiosa della


più ampia categoria

dell'abuso del diritto, Che merita sempre la disapprovazione dell'ordinamento


ove si esprima nelle

esagerata compressione, a danno della parte debole, della libertà di contribuire


a determinare il

contenuto del programma disciplinante interessi privati.

9. La patologia colpente il contratto abusivo

Il diritto giudiziale ritiene che inosservanza della formalità previste nell'Art


1341 rende nullo il

contratto, ma è controverso se la nullità sia assoluta o di protezione e quindi


relativa.

La dottrina si suddivide in due filoni:

- l'uno afferma che la patologia in esame faccia scattare la sanzione di


inefficacia del negozio

giuridico, la quale impedirebbe l'applicazione della regola "utile per inutile non
vitiatur" la dove la

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clausola vessatoria fosse determinante del consenso ai sensi dell'Art 1419,
siccome essa, non

essendo stata accettata, è estranea al contenuto dell'accordo, ferma restando


l'applicabilità del

diritto dispositivo;

- L'altro propende per la tesi della nullità, fatta salva la validità del contratto
così depurato,

giacché la clausola vessatoria verrebbe sostituita dal diritto dispositivo, non


essendo vincolante

la limitazione del meccanismo sostitutivo alla previsione di norme imperative.

La disputa è attenuata dalla posizione teorica a mente della quale la natura


eccezionale del

meccanismo di estensione della nullità dal frammento all'intero regolamento


negoziale importa

l'inammissibilità della sua applicazione a vantaggio della parte che pretende di


diffondere la nullità

di una clausola per sé sfavorevole a tutto il contratto, ove le restanti clausole


siano favorevoli

oppure non siano connesse A quella nulla perché la nullità di una clausola
sfavorevole per una

parte, fino a quando non sia estesa alle clausole favorevoli, può arrecare alla
parte medesima solo

un vantaggio.

L'art 36 c1 cod.cons decreta la nullità delle clausole abusive ma la


sopravvivenza del contratto, il

quale rimane conseguentemente in piedi per il resto. Questa nullità ha posto il


problema relativo

all'utilizzo di clausole abusive all'interno di atti pubblici: l'illecito disciplinare


presuppone la

sussistenza di un vizio che dal luogo all'inequivocabile nullità assoluta Dell'atto,


con esclusione dei

vizi che comportino la nullità relativa, l'annullabilità o l'inefficacia del negozio


giuridico. Nell'ambito delle clausole abusive, fuori dal intangibile area
racchiudente i diritti indisponibili, lo squilibrio normativo non è accertabile
prima facie, implicando all'opposto la ponderazione di pesi e contrappesi e

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dunque un esame di merito sul contenuto del contratto in rapporto alla
situazione di fatto esistente all'epoca del suo perfezionamento.

Ci troviamo di fronte ad una nullità prevista dall'ordinamento nell'eventualità di


uso visivo del

potere contrattuale, i cui tratti distintivi sono:

- la relatività, posto che può essere invocata solo dal contraente protetto;

- L'imprescrittibilità dell'azione destinata a concludersi con una sentenza di


mero accertamento;

- La suscettibilità di sanatoria.

Le prime due caratteristiche sono comuni alla nullità, la terza è tipica


dell'annullabilità.

Quest'ultimo tratto distintivo affonda le radici nell'Art 36 c3 cc, secondo cui la


nullità opera solo

vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. È


impedito al giudice

l'esercizio del potere officioso là dove il contraente escluso dalla trattativa


individuale, essendo a

conoscenza dell'invalidità della clausola vessatoria, abbia ciononostante dato


volontaria esecuzione al contratto o tenuto un comportamento echeggiante il
proposito di recuperare l'atto

invalido: affiora una condotta capace di sanare l'abuso normativo perpetrato


dall'imprenditore. La

deroga al principio della domanda si giustifica tenendo conto della ratio legis
permeata dalla finalità di difesa della parte debole, in modo da consentire
all'autorità decidente di accertare l'invalidità della clausola abusiva su cui si
fonda la pretesa dell'autore sia in sede di ricorso monitorio, sia nel giudizio di
cognizione svolto in contumacia dall'aderente. Una tutela effettiva del
consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale qualità di valutare
di ufficio tale clausola.

La disposizione tace sul meccanismo di integrazione della vicenda


negoziale colpita da

invalidità parziale e si disinteressa dei limiti all'ammissibilità


dell'adeguamento ab extrinseco.

Sussistono dubbi sull'Art 1419 c2 derivanti dal fatto che esso presuppone che
la regola volta a

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sostituire la clausola Abusiva entri nel contenuto del regolamento di diritti
individuali in forza di una norma imperativa. Senonché, la finalità pratica delle
condizioni generali di contratto risponde

anzitutto al bisogno, avvertito dall'utilizzatore, di predisporre ad libitum (= a


piacere) una disciplina pattizia modificativa del diritto dispositivo. La
sostituzione statuito dall'Art 1419 avrebbe quindi scarse occasioni di
applicazione nell'area dei contratti standard. Acquista credito l' intuizione che il
fondamento della sostituzione per opera delle norme suppletive pare essere
immanente al sistema delle condizioni generali: tale percezione trova oggi il
proprio referente normativo nel principio ispirato al favor contractus,
informante di se l'art 36 cc.

In aderenza a questi principi, L'art 6 dir 13/93 proclama il contratto


parzialmente inefficace resta

vincolante fra le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa
sussistere senza le

clausole abusive. La norma non è stata espressamente recepita dal legislatore,


ma permette di

ergere una barriera all'indiscriminato adeguamento ab extrinseco del contratto


oltre la quale si

ricade nella sfera dell'aliud o di un patto così diverso rispetto a quello originario
da renderne

illusoria la preesistenza dell'accordo. Se il resto contratto privo delle clausole


abusive può essere

eseguito, dipende fortemente dal ciò che subentra. Il proposito delle legislatore
comunitario di far

salvo il contratto parzialmente inefficace non costringe l'interprete a tenerlo


sempre in piedi quando la natura delle cose esiga un diverso epilogo, come
succede quando l'integrazione attuata dal diritto dispositivo porti allo
stravolgimento del suo contenuto finendo con l'alterare gli scopi

perseguiti dalle parti.

Il punto di riferimento utilizzabile dai giudici nel proposito di delimitare la linea


di confine fra

colmatura delle lacune generate dall'accertamento dell'invalidità delle clausole


abusive e aliud pare essere rappresentato dalle dottrine del fondamento
negoziale e dalla causa concreta: qualora l'integrazione implichi la
straordinaria deviazione dell'assetto di interessi voluto dalle parti, viene di
riflesso a mancare l'ancora di legittimazione della regola "utile per inutile non
vitiatur". É punto fermo della Art 6, della forma extratestuale il principio

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secondo cui la sopravvivenza del contratto liberato dalle clausole abusive
sottintende che esso rimanga vincolato alla stessa base negoziale.

10. La tutela dell'imprenditore debole

La situazione di disparità contrattuale è ravvisabile anche nei rapporti fra


imprenditori, basti

pensare alla situazione in cui operano il medio piccolo commerciante E


l'artigiano, i quali,

similmente al consumatore finale, non hanno alcun potere di negoziato nei


confronti della grande

impresa fornitrice.

Si parla di terzo contratto: dal primo contratto tra parti regolato unicamente
dal codice civile, Dove gli status personale delle parti sono tendenzialmente
irrilevanti, si è passati alla disciplina speciale del secondo contratto tra
professionista e consumatore, per giungere al terzo stadio dedicato allo statuto
del contratto tra imprenditori forte e imprenditore debole.

La protezione della libertà negoziale intesa chiave non soltanto formale non
può tramutarsi in un

privilegio per il consumatore finale, ciò perché lo scopo della reazione messa.
Dall'ordinamento

giuridico per sterilizzare l'abuso dello strapotere contrattuale, implica che gli
strumenti a questo

proposito impiegati possano essere invocati da tutte le parti vessate.

Gli art 9 l.192/98 sulla subfornitura e art 7 dlgs 231/2002 permette al giudice di
contrastare

efficacemente l'abuso intollerabile della libertà contrattuale a scapito


dell'imprenditore vessato dal contratto unilateralmente predisposto per opera
della controparte economicamente forte. Tuttavia, i tribunali italiani hanno
confermato la propria disabitudine a manovrare l'istituto dell'abuso della libertà
contrattuale, disabitudine agevolata dal inesatto argomento secondo cui
l'ambito di applicazione del divieto sarebbe necessariamente delimitato dalla
sussistenza tra le parti di un antecedente vincolo di Subfornitura.

Rimangono irrisolti tre dilemmi:

- il primo sullo statuto applicabile all'atto oggettivamente misto o


soggettivamente complesso;

- Il secondo concernente la dispensa dal controllo contenutistico del contratto


standard stipulato

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fra professionista e persona giuridica non lucrativa, posto che l'Art 9
presuppone una relazione

d'affari tra due imprenditori, piuttosto che fra imprenditore ed ente no profit;

- Il terzo che attiene alla reazione all'abuso della libertà contrattuale nei
rapporti fra imprenditore

ed esercente la professione liberale.

Non vi è perfetta corrispondenza fra abuso di dipendenza economica e


controllo contenutistico,

perché elemento costitutivo della prima fattispecie è rappresentato dallo stato


di subalternità

derivante non solo dall'assenza di trattativa, bensì dalla circostanza che la


relazione giuridica con

l'autore dell'abuso si è rilevata per il vessato una strada obbligata a causa della
mancanza della

possibilità di scelta tra più concorrenti, la quale dovrà essere valutata tenuto
soprattutto conto delle condizioni del mercato, dell'oggetto dell'attività
produttiva svolta e delle dimensioni organizzative delle imprese contraenti.

Una tutela particolare a beneficio dell'affiliato è prevista dalla l.129/2004


recante norme per la

disciplina dell'affiliazione commerciale (franchising).

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CAP. III - LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE

1. Il recesso ingiustificato nelle trattative

Dall'Art 1337 risulta che durante le trattative precontrattuale le partite


comportarsi secondo

correttezza e lealtà (art 1175), in modo da non tradire la affidamento


reciprocamente riposto circa

la serietà del proposito di trovare l'accordo in funzione del quale le parti stesse
entrano in

relazione.

La regola ex Art 1337 trae il proprio fondamento dal divieto incombente sui
protagonisti del

negoziato di suscitare erronee aspettative intorno alla realistica possibilità di


giungere ad un'intesa, tramite condotte sleali perché contraddittorie. Le parti
devono agire in modo coerente al Comune proposito di trovare un accordo
equilibrato, per cui tradisce questa linea di comportamento colui il quale
frapponga ostacoli alla conclusione del contratto, oppure si rifiuti di rimuoverli
senza giustificazione alcuna.

L'accordo può non essere raggiunto e questa eventualità non importa


l'insorgere di responsabilità,

essendo nella natura delle cose che durante il negoziato sopravvengono


situazioni di contrasto

grande tra le parti. La trattativa presuppone l'immaturità della situazione e non


è detto che questa

si evolva in accordo: ciò che conta è che nessuna delle parti si determini a
trattare con il proposito

di impedire il processo di maturazione.

Le parti non devono impegnarsi in una trattativa sulla base di meri interessi
emulativi. La lealtà

imposta dall'Art 1337, Che si estende al di fuori del dialogico negoziare,


vincolando le parti a

serbare il segreto sugli elementi sensibili appresi nel suo divenire, la cui
divulgazione posto

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danneggiare l'altro stipulante, esige l'astensione dell'intraprendere un
negoziato che si sa essere

destinato all'insuccesso e esige la messa in guardia della controparte dal


rischio dell'errore, in

maniera utile ad assicurare il disinganno o a svelare la presentazione di una


realtà che invece

frutto di un'immaginazione illusoria.

Nelle relazioni commerciali dominate dalla disparità di potere tra le parti, la


legislazione speciale

tende a proteggere l'interesse del più debole alla corrette informazioni sul testo
unilateralmente

predisposto, addossando al più forte il dovere di redigere le clausole uniformi in


modo chiaro e

comprensibile.

Chi per malizia o noncuranza imbastisca un negoziato di cui Sin all'inizio sa o


dovrebbe sapere

che è destinato al sicuro fallimento, è tenuto a riparare i pregiudizi economici


sofferti dal

interlocutore. Sotto il profilo soggettivo è superfluo l'animus nocendi: L'illecito


precontrattuale è

ravvisabile anche quando la parte, anziché impegnare deliberatamente l'altra


in una trattativa

inutile, abbiamo semplicemente trascurato di valutare con la necessaria


diligenza le proprie

possibilità di stipulare il contratto.

Si crea un conflitto di interessi tra l'esigenza di proteggere l'affidamento


suscitato dall'apparente

serietà dell'abbozzato negoziato E l'imperativo di salvaguardia della libertà


contrattuale, la quale

non può essere immobilizzata per effetto della trattativa.

È pronosticabile che dal negoziato non si raggiunga alcuna intesa stante


l'insopprimibile libertà di

discernimento riconosciuta a ciascun dichiarante nel valutare


discrezionalmente l'opportunità di

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stringere e non stringere l'accordo. Non per questo può imputarsi ad una delle
parti la trasgressione dell'obbligazione di buona fede, sempre che questa
situazione non assuma i

contorni della capricciosa distruzione dell'affidamento circa la possibilità di


trovare un'intesa. Una

cosa é sollecitare la trattativa con il proposito di non concluderla O in assenza


di una meditata

riflessione sulle chances di portarla termine, altra è l'abbandono del negoziato


A seguito

dell'appurata disparità di vedute o di altre rilevanti circostanze non prevedibili


ex ante, tali da

rendere oggettivamente o soggettivamente giustificata l'interruzione del


negoziato.

Ogniqualvolta il comportamento tenuto dalla parte sia ragionevolmente


dimostrativo della propria

volontà di allacciare l'intesa, si da creare nell'altra la fiducia sul raggiungimento


di tale risultato, il

successivo immotivato pentimento integra gli estremi della responsabilità


precontrattuale = culpa

in contrahendo.

L'art 1337 protegge il reciproco affidamento circa la serietà dell'animus


contrahendi mentre l'arte

1328 sottolinea la libera Revocabilità della proposta: l'antinomia si dissolve se


si considera che

l'evocata revocabilità Deve comunque essere calata nell'ambito dell'Art 1337, il


quale impone alla

parte di svincolarsi dalla trattativa non arbitrariamente, ma entro i confini


segnati dalla realtà.

A fronte di un'intesa parziale le parti sono tenute A sviluppare l'ulteriore


trattativa in vista del

programmato accordo. Tale dovere non può però snaturare la libertà di


autodeterminazione tenuto conto del bilanciamento di interessi. Vi è
responsabilità precontrattuale quando una delle parti rifiuti di punto in bianco
ulteriore discussione destinata a completare la creazione della fattispecie in via
di formazione. Se il mancato accordo sia dipeso dalla circostanza che le parti
non sono riuscite a trovare un compromesso sulle questioni che si erano

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riservate di definire in epoca successiva, bisogna allora escludere la
responsabilità a titolo di culpa in contrahendo.

Qualora il proponente o mandante, valendosi di un mandatario senza


rappresentanza (art 1705),

comunicasse l'offerta di vendita riservandosi il diritto di approvazione, si


porrebbe il dubbio se

l'esercizio negativo di tale diritto possa far sorgere la responsabilità


precontrattuale. Questa

riserva, volta ad assegnare al proponente l'ultima parola, Al pari di un veto, è


nota all'accettante,

essendo inserita nel corpo dell'offerta. Questi è avvertito che il contratto non si
perfezionerà in

caso di scioglimento negativo della riserva da parte del mandante. Il diritto di


riserva deve essere

esercitato secondo gli obblighi di lealtà e correttezza, in maniera da non tradire


la affidamento

serbato dal destinatario dell'offerta. La mancata accettazione del mandante


basata sul mero

capriccio legittima la controparte all'esercizio dell'azione di risarcimento del


danno per culpa in

contrahendo.

L'intenzione di una parte di condizionare sospensivamente il contratto in via di


formazione

(clausola condizionale) alla volontà del terzo, deve essere immediatamente


portata a

conoscenza dell'altra parte: l'aver taciuto tale circostanza sino ad una fase
ormai avanzata del

negoziato può rilevare sotto il profilo dell'illecito precontrattuale.

Se la trattativa è stata condotta dal rappresentante volontario, il quale ad un


certo punto del

negoziato abbia ingiustificatamente posto fine alla discussione, risponde Del


danno patito

dall'interlocutore incolpevole:

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- il dominus: se il recesso è stato attuato in ottemperanza alle istruzioni
impartite dal dominus;

- Il procuratore: se il recesso si deve imputare alla discrezionalità tecnica del


procuratore.

2. La sopravvenuta offerta più vantaggiosa

Durante il negoziato la parte potrebbe ricevere un'offerta da Sempronio più


conveniente rispetto

quella che basa la trattativa pendente con Caio. Sembra Conforme ai principi di
autonomia privata

consentire al destinatario della nuova offerta di prenderla in esame, anziché


ritenerlo a priori

costretto a respingerla all'unico fine di non andare incontro alla responsabilità


per recesso

arbitrario dalle trattative.

Se è fondato riconoscere che la parte non possa legittimamente abbandonare il


negoziato perché

attratta dalla propria inclinazione al ripensamento circa la convenienza della


trattativa maturata

sulla base di circostanze immutate, è altrettanto logico permettere ad ogni


stipulante di valutare le migliori occasioni che possono medio tempore
presentarsi.

Un punto di equilibrio può essere trovato nell'addossare alla parte, cui sia stata
indirizzata la

vantaggiosa proposta per opera della terzo, l'onere di informare dell'evento


l'altro interlocutore, in maniera da permettergli di adeguare ad essa la
trattativa già in atto (meccanismo simile a quello

della denuntiatio del prelazionante). Se la parte non riesce ad ottenere


dall'altra lo stesso

vantaggio economico che conseguirebbe accettando la sopravvenuta offerta


del terzo, parrebbe

allora giustificato consentirle il legittimo recesso dal negoziato.

3. Il diritto di ripensamento (ius poenitendi)

Il sistema giuridico riconosce questo diritto al consumatore in ipotesi di vendita


fuori dei locali

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commerciali (vendite aggressive), in ordine alle quali si insinua il rischio
dell'effetto sorpresa.

È un diritto indisponibile e questo permette di evitare che venga imposta a


scapito dell'aderente la

rinuncia ad esso tramite condizioni generali di contratto.

In considerazione della finalità del diritto legale di recesso assegnato alla parte
economicamente

debole, volto a permetterle di ponderare più attentamente L'opportunità


dell'affare, il suo esercizio non può mai integrare gli estremi dell'illecito
precontrattuale.

4. Diritto di opzione e culpa in contrahendo

Se è stato stipulato un contratto di opzione, il promissario incorre in


responsabilità precontrattuale se non esercita il diritto potestativo, A dispetto
del ragionevole affidamento creato nell'altra parte in ordine alla costituzione
del rapporto obbligatorio oggetto del patto.

La potestà attribuita ad un contraente in forza del vincolo preparatorio alla


formazione dell'accordo, non pone nelle sue mani uno strumento giuridico Che
lo autorizza a violare i principi di autoresponsabilità e di etica negoziale
postulati del dovere di agire secondo buona fede. La libertà di accettare
l'offerta che vincola l'obbligato è limitata dalla condotta affidante, tale da
indurre l'opzionante a stimare come certo il perfezionamento dell'intesa finale.

5. Le trattative affidanti

Resta irrisolta la questione in merito ai presupposti suscettibili di provocare


l'affidamento nel corso delle trattative. La soluzione dipende dall'intensità del
negoziato, destinata a mutare in dipendenza della variabile che le parti si
trovino ad uno stadio iniziale oppure avanzato di formazione del regolamento
convenzionale. La libertà di fare un passo indietro, svincolandosi dalla relazione
preparatoria, si riduce con l'aumentare delle clausole già concordate.

É certo che è un mero contratto Per saggiare l'interesse a negoziare non


basta a sostanziare il

presupposto della condotta affidante. L'assegnamento deve apparire


ragionevole, sì da indurre

una persona mediamente diligente A confidare intorno alla serietà e


concludenza dell'interesse

manifestato dall'altra parte. Il sommare il sondaggio sulla disponibilità a


negoziare costituisce un

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minus a paragone della trattativa affidante E da esso non può scaturire
l'addebito di responsabilità

ex arte 1337.

A parere del diritto giudiziale le trattative assumono un grado sufficiente di


affidabilità quando le

parti abbiano almeno iniziato la discussione sugli elementi essenziali o


identificativi del contratto. Il grado di assegnamento riposto dalla parte fedele
È direttamente proporzionale agli elementi del

contratto sui quali è stata raggiunta l'intesa.

L'illecito precontrattuale è ravvisabile di fronte al repentino mutamento di


rotta, che si traduce

nell'abbandono della trattativa, ma nell'imposizione di un aut aut tramite la


fissazione di un termine strangolatorio entro cui l'altra parte è tenuta ad
accettare la proposta sino a quel momento progressivamente elaborata.

Per evitare il diffondersi di liti in merito al legittimo esercizio del diritto di


interrompere il negoziato, le parti possono Sin all'inizio riservarsi la potestà di
abbandonare la discussione in corso a prescindere dall'allegazione di una
giusta casa --> riserva del diritto di abbandono.

6. Stipulazione del contratto e responsabilità ex art 1337

Supponiamo che il contraente, agendo in modo subdolo, induca l'altro a


stipulare un contratto a

condizioni diverse rispetto a quelle che sarebbero state raggiunte se il


comportamento del primo si fosse uniformato ai canoni di buona fede. Può la
parte pregiudicata dalla slealtà esigere il

risarcimento dei danni invocando la culpa in contrahendo?

Secondo un orientamento minoritario, la risposta dovrebbe essere negativa,


siccome questa

responsabilità presupporrebbe il mancato perfezionamento della fattispecie


negoziale. Tale idea è

condizionata dalla suggestione a mente della quale l'illecito trarrebbe la propria


ragione giustificativa dal nesso di causalità fra la condotta dolosa o colposo
della parte infedele, e il

nocumento subito dall'altra parte Per avere ragionevolmente confidato sulla


serietà dell'altrui

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intento di giungere all'in idem consensus. Sicché, il torto precontrattuale
sfumerebbero se il

contratto alla fine fosse stato stipulato.

Questa tesi è inaccettabile:

- l'Art 1337 non circoscrivere la responsabilità ai soli casi di mancato accordo;

- L'accordo non pone nel nulla la rilevanza dell'azione sleale della parte che
abbia tradito i doveri

iridati dal FairPlay.

L'estensione dell'illecito precontrattuale alle ipotesi in cui il contratto sia stato


comunque concluso

lascia il risolto il problema della reticenza. La condotta omissiva di chi


maliziosamente taccia la

circostanza che, se nota all'altra, avrebbe indotto quest'ultima a mutare il


contenuto dell'intesa, più che rientrare nell'Art 1440 dovrebbe essere attratta
dall'Art 1337. Il mancato adempimento del dovere di parlare, capace di influire
sulla determinazione volitiva della controparte, non sembra appagare il
requisito della macchinazione imposto per integrare il dolo incidente.

Questa omissione maliziosa, destinata a indurre la controparte ad accettare un


regolamento di

interessi diverso da quello che avrebbe voluto conoscendo il reale stato delle
cose, rileva come

violazione dell'obbligazione di lealtà nell'iter formativo dell'intesa, costituendo


un illecito venato dai tratti tipici della culpa in contrahendo.

7. La conoscenza della cause d'invalidità e d'inefficacia del contratto

Diverso è l'interesse custodito dall'Art 1338 a paragone di quello difeso dall'Art


1337: oggetto della

tutela della prima disposizione e l'affidamento non intorno alla conclusione del
contratto bensì sulla sua validità ed efficacia.

La parte va incontro alla responsabilità precontrattuale ex Art 1338 quando,


conoscendo o

dovendo conoscere la causa di invalidità o d'inefficacia Del contratto, taccia la


circostanza all'altro

stipulante il quale patisce in tal modo un pregiudizio patrimoniale per avere


senza colpa confidato

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sulla forza impegnativa del contratto stesso.

La norma non è suscettibile di applicazione quando la causa viziante l'intesa sia


posta A scudo dal

contraente legalmente incapace: egli non risponde dove abbia taciuto la


circostanza invalidante,

siccome l'assolutezza dell'interesse alla sua tutela assurge a valore primario.


Ne la controparte

pare subire alcun danno allorché entri in azione la regola ex Art 1426
nell'eventualità di raggiri

usati dall'incapace, i quali giustificano la straordinaria prevalenza


dell'affidamento serbato dalla

vittima della macchinazione intorno alla vincolatività Dell'accordo. Uno spazio


di responsabilità

addebitabile all'incapace pare individuabile quando il deceptus, essendosi


avveduto dall'inghippo,

abbia troncato a giusto titolo il negoziato. Tale interruzione, rendendo


inapplicabile questa regola,

sembra legittimare la pretesa al ristoro dei danni ex arte 1337 in forza dell'Art
2047.

La giurisprudenza ha interpretato in modo restrittivo l'Art 1338, escludendone


l'applicazione

allorché la parte ometta di comunicare all'altra l'inefficacia del contratto


dipendente dal mancato

avveramento della condizione legale di validità: es quando la PA non ha


informato la controparte

che le efficacia del contratto è subordinata all'approvazione dell'autorità


tutoria.

Non merita protezione chi abbia ignorato la causa di invalidità o inefficacia


traente origine da una

norma inderogabile, siccome l'opposto affidamento avrebbe potuto, anzi


dovuto, essere annientato attraverso un comportamento diligente. Non
risponde a titolo di culpa in contrahendo colui il quale non abbia fatto rilevare
alla controparte l'esistenza di una causa di invalidità per contrasto dell'atto con
il diritto scritto, posto che ingnorantia legis non excusat.

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L'indirizzo consolidato non convince, perché crea una limitazione alla forza
espansiva dell'Art 1338

estranea alla ratio legis, tale da rendere sostanzialmente inoperante la


responsabilità

precontrattuale ove si consideri che le disposizioni, la cui violazione faccia


scattare la sanzione di

invalidità o di inefficacia dell'atto, sono generalmente di natura cogente.

Il legislatore ha introdotto una regola la cui radice elica giustifica la pretesa, in


capo alla parte che

è a conoscenza della causa di invalidità del contratto, di comunicarla


celermente all'altra. L'illecito

è integrato dalla reticenza in sé e per se, a prescindere dalla forza evocativa


del brocardo

ingnorantia legis non excusat, il quale vuole semmai evitare che il contraente
possa giustificare la

violazione del precetto invocandone l'ignoranza, mentre la nostra situazione È


diversa,

qualificandosi sotto l'aspetto del dovere di lealtà nella formazione del contratto,
che si sostanze

nell'obbligo di avvertire l'altra parte dell'antinomia fra regolamento privato e


norme imperativa.

L'errore rilevante ex Art 1338 non fare necessariamente circoscritto


all'ignoranza della legge: è un

errore sull'interpretazione o attuazione della disposizione, che integra gli


estremi del lecito

precontrattuale ove l'altra parte fosse a conoscenza dell'inesatta


rappresentazione.

Affiorano i presupposti della responsabilità precontrattuale quando la parte


abbia fatto nascere

nell'altra l'affidamento circa l'eliminazione, dipendente dalla propria sfera di


dominio, della causa di invalidità del contratto, come canta nel caso in cui la
p.a. di chiamare al privato la propria

disponibilità a tradurre per iscritto il contratto precedentemente stipulato senza


rispettare gli oneri formali ad essentiam imposti per legge: In Questa situazione
la responsabilità tra fondamento dell'Art 1337.

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8. Il danno risarcibile

L'autore dell'illecito precontrattuale deve rifondere la parte danneggiata del


pregiudizio economico circoscritto all'interesse negativo, consistente in
anzitutto nelle spese inutilmente sostenute per effetto della trattativa, la quale
non ha portato alla stipulazione di un contratto invalido o efficace.

Sono irrisarcibili I pregiudizi che si sarebbero evitati o i vantaggi che si


sarebbero conseguiti tramite l'esecuzione del contratto.

All'interesse negativo si contrappone quello positivo correlato


all'inadempimento del rapporto

obbligatorio: quest'ultimo interesse comprende sia il danno emergente che il


lucro cessante (art

1223).

Nella realtà concreta, la misura del danno da interesse negativo tende ad


avvicinarsi al danno per

lesione dell'interesse positivo: è vero che l'interesse negativo lascerebbe


scoperto il profitto

sperato, non potendo pretendere ciò che la parte avrebbe speculato stante il
mancato o ritardato

raggiungimento dell'intesa (art 1337) oppure a causa dell'invalidità o


inefficacia del contratto (art

1338), ma è anche vero che la parte danneggiata può chiedere il ristoro dei
danni derivanti dalle

occasioni perse a cagione dell'inconcludente trattativa. Questa pretesa è


preordinata alla

liquidazione di una somma pari al profitto sperato.

La giurisprudenza forense ammette che il danno da interesse contrattuale


negativo debba

comprendere tutti i pregiudizi subiti dalla parte lesa, i quali siano conseguenza
diretta del

comportamento illecito: da qui la risarcibilità del danno emergente e del lucro


cessante.

Immaginiamo che Tizio abbia rifiutato la proposta di acquisto formulata da


Milvio, concernente lo

stesso bene oggetto del preesistente negoziato imbastito con Caio. Se la


trattativa antecedente

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venga interrotta a seguito del recesso ingiustificato di Caio, tizio potrà agire
contro il proprio

interlocutore per ottenere il profitto di cui si sarebbe vantaggiato se avesse


accettato la

sopraggiunta proposta di Milvio. Se il prezzo preteso da tizio a Caio corrisponda


a quello offerto da

Milvio, l'utile perso per effetto della mancata accettazione della proposta del
terzo è

sostanzialmente pari al profitto sperato da tizio in vista della proficua trattativa


allacciata con Caio:

si tratta del lucro cessante richiedibile nonostante la mancata o invalida


stipulazione del contratto.

Se l'offerta di Milvio si rivelasse economicamente più vantaggiosa in paragone


all'utile che tizio

avrebbe incamerato nel caso in cui la trattativa imbastita contrario fosse


andata a buon fine,

potrebbe la parte lesa esigere a titolo di interesse contrattuale negativo il


maggior guadagno?

La questione riguarda il tema della compensatio lucri cum damno, la cui


applicazione è suppone

l'unicità della causa immediata generatrice del danno e dell'utile: pare allora
fondato propendere

per la soluzione positiva, in quanto il vantaggio non realizzato a cagione della


mancata

accettazione della proposta del terzo sembra derivare da una fonte autonoma
rispetto all'illecito

precontrattuale, rappresentata dalla dichiarazione di volontà emessa da un


soggetto estraneo alla

trattativa in corso. Si applicheranno limiti ex Art 1225, di modo che non si potrà
addossare

all'autore del recesso ingiustificato il lucro conseguibile dalla vantaggiosa


proposta del terzo,

laddove questi sia stato eccezionalmente indotto a sopravvalutare il bene.


Contro questa tesi

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potrebbe osservarsi che nella specie vi è unicità di cause, siccome la proposta
del terzo, non

essendo stata accettata per le ragioni anzidette, non costituirebbe un


antecedente autonomo del

mancato profitto. Per estirpare la critica è sufficiente osservare che il suddetto


profitto è

riconducibile alla proposta del medesimo terzo, la quale appare assolutamente


Disancorta dalla

preesistente trattativa.

9. La natura della responsabilità precontrattuale

C'è chi sostiene che la responsabilità precontrattuale debba essere secretato


nel recinto del torto

aquiliano (art 2043) --> teoria aquiliana. Essa soggiacerebbe di conseguenza


Al termine di

prescrizione quinquennale ex Art 2947 c1 cc.

Secondo le regole dell'illecito extracontrattuale, competerebbe al danneggiato


dimostrare il dolo o

la colpa dell'altro stipulante. È però possibile utilizzare un canone di


discernimento atto a

semplificare la fattispecie costitutiva della domanda, resa possibile


dall'applicazione della massima

res ipsa loquitur (basato sull'evidenza dei fatti): il recesso dalle trattative, di
per sé dimostrativo del dissidio fra condotta concreta e obbligazione di buona
fede oggettiva, induce a riversare sull'altra parte l'onere di persuadere il
giudice circa la sussistenza di una giusta causa di interruzione del negoziato.

Diversa è la distribuzione dell'onere probatorio quando si passi all'Art 1338,


siccome riguardo a

questa fattispecie spetta al danneggiato dimostrare, per presunzioni, che l'altro


stipulante fosse a

conoscenza O avrebbe dovuto conoscere della causa invalidante il contratto,


non essendo essa

immediatamente oggetto di deduzione logica in base alla semplice invalidità.

Contro questa interpretazione si replica che lo obbligazione di comportarsi


secondo buona fede

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durante le trattative abbia fondamento contrattuale, quantunque il rapporto
obbligatorio non si sia ancora perfezionato --> teoria contrattuale. Tale
mancato perfezionamento non costituisce un

ostacolo a ricondurre la responsabilità entro i confini dell'illecito ex Art 1218,


perché le parti durante il negoziato sono tenute a rispettare le direttive imposte
dall'etica negoziale E dal reciproco FairPlay. Detto obbligazione fonda le proprie
radici non in un contratto ma nella legge e nell'Art 1337: si tratta di un'ipotesi
in cui l'obbligazione, ex Art 1173, deriva recta via dalla legge scritta. Il dovere
è quindi precostituito.

Ad avviso dell'opinione criticata, la parte in colpa, la quale essa o dovrebbe


sapere delle ragioni

invalidanti l'intesa, non risponderebbe ex contractu Dei danni supportati dalla


parte in buona fede.

Senonché, l'obbligazione alla dirigenza in contrahendo È ravvisabile fino dal


momento in cui con la

trasmissione dell'offerta a inizio la sequenza programmaticamente mirata alla


stipula del contratto.

Di conseguenza, la violazione della predetta obbligazione legittima l'azione


contrattuale di danno,

sottoposta alla prescrizione ordinaria.

Affiora la categoria dell'obbligazione senza prestazione, la cui differenza


consiste in ciò, che la

parte non può pretendere il rispetto del dovere, sebbene la sua trasgressione
integri gli estremi

dell'illecito contrattuale, giustificata dalla qualificata relazione corrente fra i


protagonisti della

trattativa, Che li vincola a proteggere l'interesse della controparte circa la


affidamento intorno alla

serietà dell'intento A negoziare. Altrimenti si rischia di considerare ciascun


partecipe alla trattativa

alla stregua del Comune passante, rispetto al quale non può nascere alcun
affidamento sulla sua

onestà, perché l'autore dell'illecito e la sua vittima sono accidentalmente


venuti in contatto soltanto tramite il fatto produttivo del danno, senza tuttavia
considerare che il proponente, a differenza della passante, è obbligato ex legge
ad agire in buona fede e a proteggere la sfera giuridica dell'altra parte in modo
da non tradire l'aspettativa fiduciaria in generata dal contratto prenegoziale.

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Per questo il diritto giudiziale riconosce al medico il fondamento contrattuale
della sua

responsabilità discendente dal negligente operato, sebbene fra questi è il


paziente non sussista il

legame contrattuale: il paziente ripone la propria fiducia sull'abilità del


professionista, il quale

quindi È sottoposto ad un'obbligazione di protezione verso coloro i quali


pongono il proprio

equilibrato assegnamento sullo status e sulle abilità posseduti da chi


materialmente esegua la

prestazione oggetto del rapporto contrattuale intervenuto con la struttura


sanitaria.

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CAP. IV - L'ACCORDO

1. Premessa

L'Art 1325 enuncia gli elementi essenziali del contratto:

- accordo,

- causa,

- oggetto

- forma: solo quando sia imposta dalla legge sotto pena di nullità.

L'accordo ha come cardine l'unione armonica tra proposta e accettazione: si


tratta di atti unilaterali recettizi, che acquistano efficacia dal momento in cui
intervengono a conoscenza del destinatario (art 1334). Proposta e
accettazione, inserendosi nel processo formativo dell'accordo, acquistano
efficacia con il distacco dal loro autore essendo indirizzati al destinatario.

Vige la presunzione semplice di conoscenza: la proposta e l'accettazione, come


la loro revoca e

ogni altra dichiarazione recettizia, si reputano conosciute nel istante in cui


giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato,
senza colpa, nell'impossibilità di averne notizia (art 1335).

2. La trattativa frazionata

Il contratto è concluso quando le parti hanno raggiunto l'accordo (consensus ad


idem) sugli

elementi essenziali e accessori. L'accordo si fonda sulla sintomatica


combinazione di dichiarazioni

che consente la loro riduzione ad unità.

Nel corso della trattativa, preordinata all'intesa, gli interlocutori prospettano


soluzioni in funzione

dell'appagamento del proprio interesse.

Gli stipulanti possono vincolarsi immediatamente a rispettare l'accordo sugli


elementi essenziali

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della fattispecie negoziale (intesa sugli essentialia negotii), continuando la
discussione su quelli

accessori (o accidentali): l'autonomia contrattuale offre alle parti la chance di


obbligarsi sui punti

costitutivi dell'intesa in modo da rinviare a un negoziato ulteriore l'intesa sui


specifici frammenti

secondari.

La suddivisione fra elementi essenziali e accessori del regolamento


contrattuale è caratterizzata

da arbitrarietà: tutti gli elementi oggetto di trattativa possono, di fatto,


assurgere a essentiala

negotii.

Il disaccordo irreparabile sul frammento della trattativa pendente non si


riverbera sulla validità

dell'accordo già perfezionato, ove il tassello incompleto sia suscettibile


d'eterodeterminazione

entro i limiti ammessa dalla disciplina suppletiva. Es: se le parti hanno trovato
un punto d'incontro

sul prezzo e sull'oggetto della compravendita, posticipando la discussione in


merito alla fissazione

del termine di adempimento, in difetto di una successiva intesa possono


supplire le regole ex art

1183 e 1510 --> integrazione normativa. In assenza di una norma ad hoc, il


giudice utilizzerà gli

art 1349 e 1473.

La nullità del contatto per mancanza di accordo costituirà una conseguenza


estrema, cui fare

appello solo nell'eventualità che non sia possibile procedere all'integrazione


normativa.

3. La formazione dell'accordo fra le persone dialoganti e assenti

L'accordo può essere perfezionato tramite una discussione che si proietta entro
un certo arco

temporale, in modo continuo o interrotto, tra persone presenti o in contatto


diretto (es

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comunicazioni telefoniche).

L'accordo può essere raggiunto tra assenti (inter absentes) Per mezzo dello
scambio di proposta e

accettazione. A questo modello sia ispirato il legislatore del 1942 nella stesura
degli Art 1326 ss.

Il contratto è concluso quando l'offerente abbia avuto cognizione


dell'accettazione. La

determinazione del momento in cui l'accordo è stato stretto a implicazioni sul


fronte del rischio. Es: Se l'imprenditore Tizio propone alla società gamma
l'acquisto di beni, il contratto di vendita si

riterrà perfezionato nel momento in cui il proponente abbia avuto notizia


dell'accettazione: se prima di quell'istante l'oblata abbia dato corso all'ordine,
la merce viaggerà a suo rischio e pericolo

finché la vendita non si è perfezionata ex Art 1326 c1.

4. Proposta: il requisito della completezza

La proposta deve essere completa: deve contenere tutti gli elementi della
prefigurata fattispecie

negoziale, in modo che la stessa fattispecie sia suscettibile di perfezionamento


a seguito della

semplice accettazione imputabile all'oblato (destinatario della proposta).

Questo requisito è estrapolabile dall'art 1326, da cui risulta che l'accettazione


importa conclusione

del contratto, Quindi la totalità degli elementi essenziali dell'accordo deve


essere racchiusa nella

proposta.

La proposta può essere sospensivamente condizionata all'approvazione del


rappresentato, il cui

consenso innerva il rapporto obbligatorio. Essa non è di norma cedibile, perché,


se non è

diversamente stabilito, l'offerente intende stringere l'intesa con l'oblato, non


già con un terzo scelto dall'oblato stesso.

Ai sensi dell'art 1330 la proposta decade ipso iure qualora l'offerente deceda
prima della

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conclusione del contratto, salvo che si fatta dall'imprenditore medio-grande
nell'esercizio della

sua impresa o che diversamente risultati dalla natura dell'affare (es rapporti
fondati sulle qualità

personali delle parti) o da altre circostanze. L'eccezione risponde all'esigenza di


oggettivare la

proposta distaccandola dalla vita del proponente quando sia pertinente


all'attività organizzata in

forma d'impresa, la quale sopravvive alla persona fisica dell'imprenditore non


piccolo.

5. L'invito a proporre

Qualora la volontà del dichiarante sia stata espressa con le riserve tali da far
presagire che non

intende ad essa vincolarsi, si fuoriesce dall'istituto dell'autentica proposta


contrattuale per

approdare alla sponda dell'invito a proporre (invitatio ad offerendum): in questo


caso prevale

l'interesse a imbastire una trattativa oppure a sollecitare l'altrui proposta. Lo


stesso vale quando il

proposito negoziale sia espresso tramite dichiarazioni prive degli elementi


essenziali dell'intesa (es

cartello dove apposta la scritta vendesi). Uguale discorso vale in tema di


vendita e di grandi

magazzini: il contratto viene perfezionato solo dove il cliente abbia rimesso le


merci al cassiere per

effettuare il conteggio del dovuto.

L'interesse è facilmente percettibile se il dichiarante intenda sollecitare


l'interlocutore A formulare

una proposta. Se Caio spedisci a tizio una lettera con la quale palesa l'interesse
a comprare lo

stabile di sua proprietà, invitandolo a predisporre una proposta di vendita,


intende semplicemente

catturare l'attenzione del destinatario. Nulla esclude che l'invito a proporre sia
indirizzato ad una

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indistinta massa di potenziali interessati.

Anche se la proposta è completa, essa ha di massima il semplice significato di


invito alla trattativa

quando abbia ad oggetto contratti intuito personae, riguardo i quali non è


seriamente ipotizzabile

una proposta suscettibile di accettazione per opera di persona ignota.

6. Errore ostativo e trasmissione della proposta dal Nunzio

Secondo la regola ex Art 1433, l'errore ostativo, ossia l'errore nella


dichiarazione o trasmissione

della determinazione volitiva, è causa di annullamento del contratto quando sia


essenziale e

riconoscibile. Es: L'invio tramite posta da parte della segretaria della proposta
completa, collocata

dal dichiarante nel cassetto della propria scrivania al fine di valutarne più a
fondo la convenienza

economica, è fonte per l'oblato di affidamento tutelabile ove l'involontarietà


della trasmissione non fosse da lui riconoscibile ai sensi dell'Art 1431. Il
processo formativo della dichiarazione non è

stato completato essendo mancato il volontario distacco dell'espressione; ciò


nonostante, le

ragioni di affidamento legittimano l'epilogo della vincolattività.

Senonché, quando la trasmissione stessa sia avvenuta per mezzo di un


soggetto che assume le

vesti del Nunzio (o mero latore) ad avviso del diritto giudiziale sorge un
onere di diligenza in capo

all'apparente destinatario di accettare la legittimazione del messaggero.


Questo onere trova la sua

ragione in ciò, che la trasmissione mediante il terzo costituisce di per se


oggettivo elemento di

attenuazione delle esigenze di protezione dell'affidamento del destinatario, il


quale non può riporre la propria incondizionata fiducia nel semplice fatto che la
dichiarazione paia a prima vista

riconducibile al proponente, ma è all'opposto tenuto ad accertare che la


proposta in oggetto

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provenga effettivamente dal dichiarante e sia intenzione di questi impegnarsi
contrattualmente.

L'affidamento può rivelarsi meritevole di protezione allorché l'interessato abbia


concorso nel suo

consolidamento, come accade quando in virtù di pregressi rapporti d'affari il


proponente abbia

conferito a un determinato terzo il compito di trasmettere le proposte negoziali.

Questa diversità di trattamento dipende dal mezzo di trasmissione della


dichiarazione: se esso è

impersonale la vicenda viene sottoposta alla regola di diritto comune


Dell'errore ostativo; se è

personale sembra rispondere alla natura delle cose disancorare la fattispecie


concreta dalla forza

attrattiva esercitata dall'Art 1433 per approdare a un risultato che a te lui il


valore dell'affidamento promanante dalla teoria della dichiarazione. Ambedue
le situazioni rientrerebbero nell'Art 1433, ma il diritto casistico è orientato a
favore della distinzione, ritenendo non sempre meritevole di affidamento colui
il quale riceva la proposta le mezzo di chi appare incaricato, dato che risulta in
tal caso più semplice valutare la sussistenza della sottostante legittimazione.

7. La documentazione della trattativa

Le parti, al fine di evitare incertezze o contestazioni riguardo alle clausole su


cui è già stata

raggiunta l'intesa nel corso del negoziato tuttora pendente, possono


documentare in un atto scritto lo stato di avanzamento del negoziato,
formalizzando i frammenti Dell'intesa stessa =

puntuazione incompleta di clausole.

Diversamente la minuta (puntuazione completa) contiene il testo, esaustivo


ma provvisorio, del

regolamento privato di interessi. La minuta si tramuterà in un contratto una


volta che il testo sia

stato integralmente accettato.

Il diritto giudiziale distingue:

- qualora la fattispecie sia incompleta, nel senso che il documento incorpora


soltanto una parte

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delle clausole destinate ad integrare il contratto in itinere, non è allora possibile
ravvisare alcun

effetto giuridicamente vincolante, salva l'eventuale responsabilità


precontrattuale correlata

all'ingiustificata interruzione della trattativa (art 1337);

- Nel caso in cui la fattispecie fosse a prima vista completa per quel che attiene
al contenuto,

sussistendo tuttavia il dubbio se su di esso le parti abbiano o no manifestato


una concorde

volontà, entra in scena la presunzione semplice (art 2729) circa il


perfezionamento dell'accordo.

La stesura della minuta fa presumere l'accordo stesso, a meno che emerga la


prova contraria, e

sia evidente che essa esprime una semplice ricognizione dello stato dell'intesa
precontrattuale

man mano raggiunte nella produzione progressiva del testo.

Esibire un documento contenente la totalità delle clausole costitutive del


vincolo di per sé non

serve a dimostrare che l'accordo sia stato effettivamente raggiunto: occorrerà


vagliare gli elementi

concreti, i quali, se precisi e concordanti potranno corroborare la sussistenza


del fatto incerto,

ossia l'accordo.

8. La lettera d'intenti

Attraverso la lettera di intenti il soggetto capace di agire può manifestare


l'interesse a una

determinata intesa, specificando gli elementi cardine della proposta (da qua la
differenza con

l'invito ad offrire). Può darsi che la lettera di intenti sopraggiunga a trattative in


corso, allo scopo di

documentare l'attuale stato e impegnare i protagonisti a continuare il


negoziato sino al pronosticato esito finale (tale impegno non aziona nella
puntuazione incompleta di clausole).

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La lettera di intenti fa nascere in capo al destinatario l'affidamento sulla serietà
del proposito

manifestato dal dichiarante. Il tradimento dell'annunciato affidamento può


essere fonte di

responsabilità precontrattuale ex Art 1337: il soggetto che manifesta la propria


seria disponibilità a

imbastire la trattativa entro specifiche linee guida è responsabile dei danni


sofferti dall'altra parte

ove, successivamente e senza giustificata causa, non rispetti siffatto proposito.

Stessa cosa avviene quando la lettera di intenti attesti le precedenti tappe


della trattativa e impegni le parti a continuare la ricerca dell'accordo entro i
parametri già fissati: l'ingiustificato tradimento dell'evocato impegno è fonte di
responsabilità a titolo di culpa in contrahendo.

Tale lettera viene spesso richiesta per assaggiare la serietà dei propositi di una
determinata parte.

9. La rispondenza dell'accettazione alla proposta

L'art 1326 uc stabilisce che l'accettazione difforme dalla proposta vale quale
nuova proposta =

controproposta. La giurisprudenza ha interpretato in modo rigoroso la


simmetria tra proposta e

accettazione, per cui qualsiasi divergenza, anche secondaria, impedisce il


perfezionamento

dell'intesa. La dialettica tra proposta e accettazione non riesce a trovare un


momento di sintesi nel

consenso quando la perfetta simmetria tra le dichiarazioni sia impercettibile.


Solo tale sintesi

permette di considerare il precedente dialogo tra stipulanti un fatto storico,


posto che ciò che ora li lega è l'accordo, ossia l'unione di intenti resa possibile
dalla trattativa.

Diversamente l'Art 19 della convenzione di Vienna sulla vendita internazionale


(commercio

transfrontaliero), non esclude il perfezionamento del contratto quando


l'accettazione contenga

modifiche non essenziali, salvo che il proponente manifesti tempestivamente la


propria posizione

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(protestatio).

Parte della letteratura propone di applicare nel diritto interno l'orientamento


accolto dalla

convenzione, interpretando l'Art 1326 in modo estensivo come se la norma di


diritto interno

presupponesse la rilevanza della divergenza. Talché, difformità secondarie non


precluderebbero la

nascita dell'accordo.

Nel caso in cui l'accettante abbia risposto positivamente all'offerta, magari


limitandosi a richiamare in chiave di completamento una disposizione non
derogata dalla proposta, questa disposizione e naturalmente destinata a
integrare il regolamento privato, per cui diventa evitabile ritenere rispettata la
regola.

Un simile epilogo si potrebbe avere quando l'accettante abbia espulso dalla


proposta le clausole

contrarie a norme imperative oggetto del meccanismo della sostituzione


automatica ex Art 1339.

Nel caso in cui le clausole del testo negoziale, di per sé assolutamente valide,
fossero

ingiustamente riputate invalide dall'accettante, il quale perciò si determina a


obliterarli, dovrebbe

prevalere la consolidata massima giurisprudenziale.

Questa soluzione vale se l'oblato abbia accettato la proposta inserendo una


clausola mirata a

chiarirne il significato? Se la prospettata precisazione si svela ridondante


perché collina

esattamente con il tenore letterale della proposta, allora non ci sono questioni.
Il problema nasce

se la clausola interpretativa diverga dal tenore letterale della proposta


contraddicendo la volontà

del dichiarante. In tal Caso la suddetta clausola ha o no un valore sostanziale?


Ha lo stesso

valore della clausola interpretata? Se si ammette che la clausola interpretativa


completi la

dichiarazione, si deve allora negare che l'accordo sia stato raggiunto.

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Il tema tocca due diverse esigenze: quella connessa al dogma della volontà e
della perfetta

corrispondenza delle dichiarazioni negoziali e quella tesa a esprimere i valori


della buona fede

oggettiva, della tutela dell'affidamento, del divieto di agire contro il fatto


proprio e

dell'autoresponsabilità.

Secondo una prospettiva, il bilanciamento delle rappresentate esigenze


dovrebbe persuadere

l'interprete a preferire l'approdo al favor contractus, in protezione


dell'affidamento del destinatario della dichiarazione.

10. Il rifiuto della proposta

Il rifiuto della proposta, il quale è un actus legitimus in quanto non tollera


condizioni o altre cause

limitative, annienta l'efficacia della stessa.

È discusso se possa sopravvivere l'efficacia di una proposta a seguito


dell'accettazione difforme

qualora l'oblato, Per effetto del successivo ripensamento, si sia determinato ad


accettarla. Bisogna

valutare caso per caso la volontà delle parti, per appurare se il proponente
abbia inteso

subordinare l'effetto impegnativo della dichiarazione ad un'immediata


accettazione conforme e se

la difformità sia così rilevante da trasformarsi in una sorta di rifiuto tacito della
proposta

originariamente formulata.

Allo scopo di prevenire ogni futura controversia, potrebbe il dichiarante apporre


alla proposta una

condizione risolutiva, che la priva di efficacia in ipotesi di qualsiasi difformità


dell'accettazione.

11. Conclusione del contratto e formalismo

Quando il contratto sia ex lege sottoposto ad una forma particolare, tanto la


proposta quanto

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l'accettazione debbono rispettare tale onere di forma. Es Ai sensi dell'Art 1350,
la compravendita

immobiliare deve essere redatta per iscritto appena di nullità: questo requisito
deve essere

rispettato sia dal proponente sia dall'accettante. L'unione dei due atti
unilaterali, proposta e

accettazione, plasma l'accordo (contratto).

12. La volontà implicita

L'animus contrahendae obligationis può essere entrato per induzione. Es:


quando l'oblato,

destinatario della proposta relativa alla vendita di un fondo, accetti l'offerta ma


apporti delle

modifiche, il contratto è perfezionato se l'altra parte invii un atto scritto ove


manifesti la propria

volontà di dare attuazione al rapporto così emendato.

Quest'ultima dichiarazione, pur non contenendo espressamente l'accettazione


della

controproposta, è inequivocabilmente illustrativa dell'intento di allacciare il


vincolo obbligatorio.

L'oblato può rispondere dichiarando di far propria la proposta oppure può


dichiarare di adempiere

gli obblighi in essa previsti. In entrambi i casi il contratto viene in essere.

13. Accettazione soggetta alla forma volontariamente vincolata

Ai sensi dell'art 1326 c4, il proponente può esigere una forma particolare per
l'accettazione, la

quale non avrà effetto ove sia data in altra forma. Il proponente è di solito
mosso dall'intento di

assicurare la massima certezza in merito all'adesione dell'oblato. Ciò non


significa favorire

ingerenze indebite nella sfera altrui, ma significa solo prefigurare i presupposti


per vincolare il

proponente e il suo patrimonio all'esecuzione del rapporto dedotto nella


proposta. In tal modo la

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proposta si arricchisce di contenuti, sino a comprendere le regole sulla
procedura di

perfezionamento dell'accordo, che così assurgono a dignità di elementi


strutturali della fattispecie.

La violazione delle forme convenzionali ex Art 1352 non è fonte di nullità del
rapporto, perché il

rispetto dell'onere rappresenta un elemento di efficacia della fattispecie


contrattuale suscettibile di rinuncia concordata tra le parti (nel caso di
contratto normativo) O voluta dal solo proponente (ove lo nere tra due origine
dalla sua determinazione).

Assodato che la forma convenzionale risponde ad esigenze concernenti


l'esclusivo interesse degli

stipulanti ex Art 1352 o del singolo dichiarante ex Art 1326 c4, è evidente
come i contraenti siano

gli arbitri esclusivi delle sorti del patto. In relazione alla clausola sulla forma
dell'accettazione,

siccome il titolare dell'interesse al rispetto di essa pare essere il proponente,


egli è libero di

rinunciare all'onere, non potendo l'oblato eccepire l'inefficacia dell'accettazione


tacita non solo

perché gli non è titolare dell'interesse protetto, ma anche in quanto ciò


violerebbe il canone di

ragione che si esprime nel divieto di agire in modo contraddittorio.

Se è vero che quest'onere salvaguarda il proponente, È anche vero che


l'accettante non può

permanere all'infinito nell'incertezza circa le sorti del rapporto. Alla luce dei
principi di correttezza e lealtà ex Art 1175 e 1375, sembra che sussistono
fondati motivi per suggerire l'applicazione al

caso di specie Dell'onere di cui all'Art 1326 c3 allo scopo di contenere


l'insicurezza che altrimenti

deriverebbe sulle sorti dell'accettazione non rispettosa dell'onere formale. Il


proponente può

ritenere efficace l'accettazione mancante della forma da lui imposta a patto


che le dia

immediatamente avviso all'oblato.

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14. L'accettazione conseguente alla produzione in giudizio del
documento

Secondo una massima consolidata, la produzione in giudizio del documento da


parte di chi non lo

aveva sottoscritto, sopperisce a tale mancanza quando il medesimo soggetto


invochi L'atto a

proprio favore. Lo stipulante, il quale possiede il documento su cui fu apposta la


sottoscrizione

dell'altra parte, può manifestare ora per allora, tramite la sua allegazione nel
fascicolo di parte, la

volontà di accettarne contenuto ed effetti.

Questo iter di perfezionamento del contratto trova dei limiti, ed è precluso


quando la proposta sia

divenuta nel frattempo in efficace, per es perché è decorso il termine finale,


perché è deceduto il

proponente (fuori dalle ipotesi ex art 1329 e 1330) E perché l'altra parte ha
revocato la propria

dichiarazione di volontà. Non può dirsi efficace quando il documento sia stato
prodotto contro una

persona diversa dal sottoscrittore, siccome l'allegazione è nella specie inadatta


a generare

l'incontro delle volontà.

Il bilanciamento di interessi antagonistici, contrassegnati da un lato dal Favor


contractus, Dall'altro

dall'affidamento e dal divieto di agire in maniera incoerente, dovrebbe


suffragare l'orientamento

teso riconoscere che la produzione equivalga ad una sottoscrizione utiler data


conformemente alla

ragione ispiratrice dell'art 1326 c2 e c3. Ove l'inazione della parte sia
sintomatica del suo

disinteresse al contratto, la tardiva produzione in giudizio del documento non


supplirà alla mancata sottoscrizione.

Da quel momento il contratto acquista efficacia (dies A quo) e il rapporto


obbligatorio si consolida

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ex Nunc, ossia all'istante della produzione della scrittura per opera di chi non la
sottoscrisse in

precedenza.

15. Il silenzio circostanziato e il valore del linguaggio muto

Dal comportamento silente non può trarsi alcun significato giuridico o


negoziale. Il disinteresse e la

condotta inerte, anche se preceduti dalla proposta contrattuale, sono


tendenzialmente privi di

rilevanza.

Ragioni di speditezza e semplificazione dell'iter formativo Dell'accordo imposte


dal traffico

mercantile richiedono però un mutamento di prospettiva: quando le parti siano


stabilmente in

relazione d'affari, le massime di esperienza accreditate dalla prassi o il


particolare peso assunto

dalla buona fede, portano a capovolgere, in via dei eccezione, i termini della
questione sino ad

assegnare un significato legale al silenzio circostanziato. Il silenzio viene


così ad acquistare il

valore di un linguaggio muto, nel quale le parole sono sostituite dalla


concludenza della volizione

inespressa. La forza impegnativa del silenzio trova giustificazione nella cornice


delle relazioni e

circostanze in cui il silenzio si inquadra. Questa vincolatività non può essere


messa in discussione

dalla diversa valutazione soggettiva di chi mantiene una certa condotta dotata
di un valore

negoziale socialmente tipizzato.

Il silenzio, tenuto conto della sua immanente equivocità, è comunque inidoneo


A racchiudere

l'animus contrahendae obligationis, salvo che la consuetudine radicatasi tra le


parti o consolidata

in una determinata sfera sociale, ovvero i dettami fondati sulla correttezza


rendano

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straordinariamente doveroso per l'oblato rifiutare la proposta qualora intenda
allontanarsi dalla

prassi fino a lì osservata. Es: se è usuale che l'offerente tizio, dopo aver
trasmesso il catalogo dei

prodotti, invii all'imprenditore Sempronio una determinata quantità di beni, che


in precedenza sono sempre stati pagati decorso un certo periodo, se l'oblato
intenda paralizzare l'effetto affidante del silenzio avvalorato dalla prassi, è
tenuto a dichiarare alla controparte la propria nuova determinazione.

Il silenzio, nei casi in cui sia rilevante, assurge ad elemento che concerne
elemento che concorre

al perfezionamento dell'accordo. Il suo significato negoziale è incontestabile:


esso, ricorrendone i

presupposti, è impugnabile qualora sia stato determinato da errore


riconoscibile, dolo o violenza.

16. Segue: Il rischio di abuso

Il silenzio circostanziato può tramutarsi in uno strumento di abuso della libertà


contrattuale per

opera del contraente economicamente forte --> prevaricazione.

Es: caso in cui un piccolo imprenditore riceva ordini quasi esclusivamente da un


unico

committente, la cui posizione di dominio organizzativo lo induca a dettare le


clausole del contratto

fuori di ogni trattativa e che ponga l'altra parte di fronte all'alternativa Devi
prendere o lasciare. Se

il piccolo imprenditore da esecuzione agli ordini senza rispondere alla proposta


di modifica, ciò

significa che il silenzio sia concludente, nella misura in cui la condotta


successiva illustri la

volizione inespressa?

L'art 9 l.192/98 sulla subfornitura ha tipizzato il divieto di abuso di dipendenza


economica: grazie

questa clausola generale, il giudice potrà accertare la nullità della pretesa


modificativa esercitata

dal committente succitato.

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Il problema del silenzio è stato preso in considerazione anche dalla disciplina di
tutela del

consumatore al fine di paralizzare la pretesa del professionista di ritenere


perfezionato il contratto

a seguito dell'invio di una fornitura non richiesta, ove non sia stata seguita
dalla dichiarazione di

volontà negativa da trasmettersi al proponente entro un termine da lui


stabilito. L'art 66 quinquies

cod.cons dispone che il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione


corrispettiva in ipotesi di

fornitura richiesta e, in ogni caso, l'omessa risposta non significa consenso.


Analogo divieto è

espresso dall'art 18 dlgs 114/98 Che consente l'invio di campioni di prodotti o


omaggi senza spese

o vincoli per il consumatore.

17. Il termine per l'accettazione

Dall'interpretazione coordinata dei commi 2 e 3 art 1326, si individua la regola


secondo cui

l'accettazione deve essere tempestiva: la ritardata manifestazione di


volontà dell'oblato non

vincola il proponente, salvo che questi dichiari di voler lo stesso dar corso
all'intesa (l'avviso

dell'oblato è condizione d'efficacia dell'accettazione ritardata). Questa regola


intende contrastare

l'incertezza circa la sorte della proposta, a protezione della sicurezza del


traffico giuridico.

Questa incertezza può essere evitata apponendo all'atto unilaterale recettizio


(proposta) un

termine finale di decadenza.

Il principio di specialità impedisce di applicare alla proposta contrattuale il


termine di prescrizione

ordinario ex Art 2946, essendo derogato dai c2 e c3 art 1326.

Nel caso in cui il termine fissato sia diverso (eterodosso):

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- se il termine è già scaduto nel momento in cui la proposta giunga nella sfera
di conoscibilità del

destinatario, si dovrebbe affermare che essa sia priva di efficacia;

- Se il termine fosse di corso al momento della proposta, delle due l'una:

• O l'antedatazione è dimostrativa dell'assenza di una seria volontà del


dichiarante, nel qual caso

la proposta stessa appare sin dall'origine priva di efficacia stante l'assenza


dell'animus

contrahendae obligationis;

• Oppure essa è il risultato di un riconoscibile errore ostativo, che può essere di


vitalizzato tramite

una rettifica siccome falsa demostratio non nocet.

Nel caso di termine strangolatorio, ovvero così ravvicinato alla proposta da


richiedere

un'accettazione pressoché immediata, senza alcuna possibilità di disporre da


parte del destinatario di uno spazio di deliberazione:

- se tale termine è racchiuso in una proposta che fu preceduta da un


significativo negoziato: non

sorgono difficoltà nel riconoscere all'autonomia privata gli spazi idonei a


legittimare questa scelta;

- Se le parti sono ancora in trattativa le cose sono diverse: al di sotto del


termine così fissato da

uno dei protagonisti della trattativa si può celare una via d'uscita destinata a
illudere la

responsabilità precontrattuale. Ove ricorrano questi presupposti la fissazione


del termine rischia

di tradursi in un escamotage elusivo del recesso ingiustificato dal negoziato: il


giudice non può

modificare, fuori dei casi eccezionalmente previsti dall'ordinamento (es art


1183) un elemento

dell'atto di autonomia privata contro la volontà del dichiarante allo scopo di


adeguarlo ai principi

di etica negoziale e la parte non può porre fine di punto In bianco alla trattativa
ricorrendo

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all'escamotage in discussione. Per questo, se l'oblato non rispettasse L'aut aut,
la proposta

perderebbe efficacia, ferma restando la responsabilità ex Art 1337 del


proponente, il quale può

però confidare nel rigetto della domanda risarcitoria per lesione dell'interesse
contrattuale

negativo persuadendo il giudice che la sua iniziativa fu determinata


dall'insopportabile lassismo

dell'altra parte, non essendo egli è costretto a reggere la trattativa all'infinito.

Per quanto riguarda la fissazione di un termine iniziale di efficacia della


proposta, secondo un

indirizzo questo non sarebbe ammissibile perché verrebbe a introdursi nel


sistema una condizione

sospensiva meramente potestativa.

Questa tesi sembra errata in quanto la condizione non può essere assimilata al
termine iniziale,

siccome questo è certo, mentre è incerta sia in relazione al "se" che al


"quando" la verificazione

dell'evento condizionante. Il proponente può poi essere titolare di un interesse


meritevole di tutela, che lo persuade ad apporre tale termine.

L'orientamento criticato si fonda sulla suggestione che prima dello spirare del
termine, essendo

legittimato il dichiarante a revocare liberamente L'atto unilaterale, l'efficacia


giuridica della proposta verrebbe sospensivamente rimessa alla discrezionalità
del suo autore in spregio alla nullità ex Art 1355. In questo modo però non ci si
avvede che, fuori dall'Art 1329, il proponente è libero di revocare l'offerta fino
a che il contratto non sia stato stipulato. Il termine iniziale risponde

all'interesse del dichiarante di rendere certo il momento a decorrere dal quale,


ove non sia

intervenuta nel frattempo la sua controvolizione, la proposta produce il proprio


effetto tipico.

18. L'esecuzione concludente

L'art 1327 detta una regola di natura eccezionale, destinata a operare quando,
su richiesta del

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proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione debba
eseguirsi dall'oblato

senza una preventiva risposta: il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in
cui ha avuto inizio

l'esecuzione, anziché in quello della cognizione dell'accettazione.

Essendo una regola sui generis, essa viene sottoposta a interpretazione


restrittiva e si ritengono

tassativi i suoi presupposti di applicabilità. La regola dell'accettazione ex Art


1326 costituisce il

centro del sistema, mentre l'esonero dalla dichiarazione espressa riconosciuto


da questa disciplina

rappresenta un'eccezione, che si piega di fronte alle esigenze di speditezza Del


traffico mercantile,

che sono favorite dall'accordo non preceduto da un dialogo, qui sostituito dalla
prestazione.

La volontà del proponente di autorizzare l'oblato all'esecuzione concludente del


contratto non

richiede formule particolari (es pronta consegna).

Nel caso in cui sia inapplicabile l'art 1327, la condotta esecutiva dell'oblato
determina che Il

contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui l'accettazione, preceduta


dall'inizio della

prestazione, sia giunta nella sfera di conoscibilità del proponente, quantunque


l'oblato Sia mosso

dalla convinzione sbagliata che siffatta comunicazione configurasse l'avviso ex


Art 1327 c2.

Ai fini dell'Art 1327, questa condotta rileva quale atto che basa il rapporto
contrattuale: essa è

soggetta alla disciplina dei negozi giuridici unilaterali, con particolare riguardo
allo statuto sui vizi

della determinazione volitiva. È possibile che l'oblato privi di significato


negoziale il proprio

comportamento concludente, tramite una dichiarazione contraria


(protestatio): "la mia condotta

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non importa accettazione".

Se la condotta non tollera significati socialmente diversi rispetto a quelli cui è


indirizzata

all'opposizione, nel senso che la forza creativa del fatto porta univocamente al
consenso, diventa

impossibile sfuggire alla massima protestatio facto contraria non valet: questo
è il caso di chi si

appropria della prestazione offerta mediante un'azione la cui univocità non può
essere revocata in

discussione. Diversa è l'ipotesi in cui la condotta sia ambigua presentandosi a


plurime significanze,

di modo che l'autore della stessa ha il legittimo interesse a chiarire la sua


effettiva intenzione in

modo da far corrispondere perfettamente il fatto all'impulso volitivo.

Ricorrendo le circostanze fissate nella norma, il contratto è perfezionato non in


forza della

cognizione dell'accettazione ex Art 1326, bensì nel tempo e nel luogo in cui
avuto inizio

l'esecuzione (art 1327 c1).

L'interesse del proponente ad essere informato se l'oblato abbia accettato la


proposta mediante

questo comportamento concludente, è tutelato dall'Art 1327 c2., che onera


l'oblato stesso di dare

tempestiva comunicazione alla controparte dell'iniziata esecuzione, pena


l'obbligazione di risarcire

i danni, entro i limiti dell'interesse negativo, da questa subiti per avere


confidato senza colpa nel

mancato perfezionamento del rapporto. Questo pregiudizio non sembra


ravvisabile quando il

proponente sia comunque venuto a Conoscenza dell'esecuzione senza


eccessivo ritardo, a

prescindere dall'osservanza dell'enunciato onere: l'effetto utile, anche se


accidentale, paralizza il

possibile danno.

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La finalità dell'Art 1327 è orientata a tutelare l'interesse delle parti ad una
spedita esecuzione del

vincolo, in modo tale da snellire il traffico mercantile. Anche secondo lo schema


tradizionale ex Art

1326 la volontà dell'oblato può essere manifestata per fatti concludenti, ma


l'intesa è raggiunta

quando il proponente sia venuto a conoscenza della volontà tacita dell'altra


parte, mentre ai sensi

dell'Art 1327 c1 il contratto È perfezionato semplicemente a seguito


dell'adempimento (solutio),

laddove la comunicazione prevista dal capoverso rileva ai soli fini di superare


l'incertezza circa

l'avvenuta conclusione del rapporto obbligatorio.

Il comportamento dell'oblato perfeziona il contratto essendo dimostrativo della


volontà di accettare la proposta. Si fatta volontà è univoca quando la
rispondenza tra condotta e contenuto della proposta funga da punto Obiettivo
di riferimento da impiegare nella valutazione del significato attribuibile alla
prestazione. Non vi sono spazi per applicare questo procedimento alla proposta
avente ad oggetto un non fare, dato che in questa particolare situazione il
silenzio è sempre equivoco, non potendo da esso essere desunta l'inconfutabile
volontà dell'oblato di vincolarsi all'alla proposta, tanto più che lo si
costringerebbe indirettamente a tenere la condotta contraria per evitare il
perfezionamento del vincolo.

Non si può applicare questo schema con riguardo ai rapporti di durata, allorché
il contraente

proponga una modifica peggiorativa a scapito della controparte, la quale


andrebbe incontro

all'alternativa tra le eseguire la prestazione, accettando di fatto la modifica,


oppure la sospensione, violando il contratto.

Nella realtà concreta il comportamento concludente può lasciare taluni margini


di incertezza circa

la perfetta simmetria tra proposta e accettazione tacita.

La giurisprudenza forense, in base alla regola della piena simmetria tra


proposta e accettazione,

ritiene che l'inizio della prestazione ex Art 1327 c1, non perfettamente
coincidente alla proposta,

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impedisca la formazione del contratto in assonanza a questo schema
semplificato, finendo così

l'assumere il significato di una nuova proposta = controproposta. Se


quest'ultima non viene

accettata, spetta alla parte che abbia dato inizio alla prestazione sopportare i
costi inutilmente

sostenuti. Resta da verificare se possa o no incorrere in responsabilità


precontrattuale colui il

quale rifiuti di accettare detta controproposta, sebbene la discrasia sia ridotta


ai minimi termini. È

quindi inevitabile escludere ogni responsabilità verso chi rifiuti questa


controproposta.

I contratti formali sono esclusi dal campo di applicazione dell'Art 1327: es la


fattispecie semplificata non può essere invocata nei contratti con la p.a., a
causa della loro soggezione alla regola della forma scritta sotto pena di nullità.

L'eccezione ex art 2 c2 l.192/98 in tema di subfornitura, prevede che, posto che


tale tipologia

contrattuale, pur essendo sottoposta alla forma scritta sotto pena di nullità, è
suscettibile di

perfezionamento tramite comportamento concludente dell'oblato ove la


proposta sia redatta per

iscritto. Questa eccezione copre soltanto una parte della vicenda costitutiva,
ovvero l'accettazione.

Il legislatore ha cercato di accordare interessi conflittuali: da un lato è stata


protetta la parte debole affinché sia posta nelle condizioni di conoscere le
clausole contrattuali, dall'altro si ravvisa

l'esigenza di non rendere eccessivamente gravoso il procedimento formativo


degli accordi tra

imprenditori. Il ventilatore a ritenuto che per offrire una risposta alle istanze di
protezione del

subfornitore ciò che conta è che siano chiare e facilmente dimostrabili le


clausole contrattuali

predisposte dalla parte forte, riguardo alle quali lo stipulante economicamente


debole non ha di

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massima alcun potere di negoziato. È quindi sufficiente che la forma scritta sia
rispettata dal

committente limitatamente alla stesura della proposta, fermo restando che le


clausole vessatorie

debbano sottostare all'onere della specifica sottoscrizione ex Art 1341 c2.

19. La revocabilità della proposta e dell'accettazione

Proposta e accettazione sono atti unilaterali recettizi liberamente revocabili,


salva l'eventuale

responsabilità ex Art 1337 quando il ripensamento del dichiarante integri gli


estremi della culpa in

contrahendo.

Il diritto di ripensamento (ius poenitendi) si dissolve quando il contratto sia


stato perfezionato.

La revoca della dichiarazione unilaterale, proposta o accettazione, determina


l'effetto estintivo ove giunga nella sfera di conoscibilità del destinatario (art
1335), sia nel caso in cui il diritto di

ripensamento sia esercitato dal proponente sia dall'accettante.

La revoca elimina l'efficacia giuridica della proposta quando arrivi all'indirizzo


dell'oblato prima che

l'accettazione di questi sia giunta all'indirizzo del proponente prima dell'atto


oggetto di revoca.

La giurisprudenza storica e parte della dottrina negano la natura recettizia


della revoca

concernente la proposta: tale proposta sarebbe efficacemente revocata grazie


alla semplice

emissione della volontà contraria da parte del proponente, in quanto l'esercizio


del diritto di

ripensamento avrebbe di per sé efficacia ostativa al perfezionamento del


rapporto obbligatorio

indipendentemente dal requisito della sua conoscibilità, il quale risulterebbe


del tutto insignificante.

Troverebbe qui eccezionale applicazione la teoria della spedizione, che


getterebbe la propria

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legittimazione sulle basi del predicato normativo: l'art 1328 c2, nel confermare
il principio di

recettizietà, fa espresso riferimento solo alla revoca dell'accettazione senza


richiamare la revoca

della proposta + seconda parte del c1, la Dove riconosce l'obbligazione del
proponente di

indennizzare le spese e le perdite subite dall'oblato Per aver dato in buona fede
esecuzione alla

prestazione. Questa norma postulerebbe l'immediata efficacia della revoca


della proposta, i cui

effetti pregiudizievoli a casa a scapito del destinatario verrebbero alleviati


dell'indennizzo.

Questi argomenti appaiono deboli e confutabili: il diritto all'indennizzo,


circoscritto all'oblato, È

autonomo rispetto al tema attinente alla recettizietà della revoca della


proposta. Per quanto

riguarda il rapporto tra l'arte 1328 c1 parte seconda E l'Art 1327, il punto di
distinzione fra le due

fattispecie è netto, siccome in questo ultima l'inizio della prestazione


perfeziona il contratto

impedendo al proponente l'esercizio del diritto di ripensamento, mentre


nell'altra l'attività esecutiva trae la propria ragion d'essere da una massima di
esperienza ancorata alla constatazione che l'accettante possa confidare sulla
conclusione del negoziato come un epilogo normale. Il principio
dell'affidamento diventa un argomento solido per accogliere questa tesi.

Quanto alla revoca della proposta o dell'accettazione avente ad oggetto un


contratto sottoposto

alla forma scritta ad essentiam, parte della letteratura e la giurisprudenza


forense disconoscono la

simmetria tra atto unilaterale e fattispecie contrattuale programmata,


giungendo a professare la

piena libertà di forme della dichiarazione estintiva, la quale può essere


perfezionata anche tramite

comportamento concludente, identificabile la dove la parte ponga in essere


azioni incompatibili con la precedente dichiarazione. Questa opinione viene

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contrastata da alcuni autori, che ritengono che la revoca esiga la stessa forma
in cui è stata fatta la dichiarazione su cui essa va ad incidere.

20. La semplificazione ex art 1333

La finalità dell'accelerazione o semplificazione della fattispecie costitutiva del


vincolo consistente in ciò che quando esso implichi obbligazioni a carico del
solo offerente, l'accettazione perde il

carattere di elemento essenziale: il rapporto obbligatorio verrà in essere ove il


destinatario della

proposta non la rifiuti nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi.

Il legislatore ha ritenuto eccezionalmente superflua l'adesione espressa alla


proposta avente ad

oggetto un contratto che per l'oblato È fonte di esclusivi benefici, siccome da


esso nascono

obblighi unicamente a carico dell'altra parte. L'accettazione diventa superflua


perdendo il proprio

valore di elemento essenziale dell'iter perfezionativo dell'intesa.

Parte della dottrina fa salvo il modello tradizionale affermando che in realtà


l'accettazione sia

desumibile per fatti concludenti dal mancato rifiuto. Se così fosse,


bisognerebbe ammettere che il

silenzio assume i contraddittori tratti di una dichiarazione omissiva di volontà,


contro i principi

generalmente accolti, i quali portano ad escludere valore negoziale alla


mancata risposta. La

proposta di contratto unilaterale perfezione la fattispecie negoziale senza l'in


idem consensus, ma

semplicemente per effetto della sua ricezione decorso il termine entro il quale
l'oblato avrebbe

dovuto comunicare l'eventuale rifiuto.

L'Art 1333 contempla una fattispecie contrattuale priva di accettazione, che


non stravolge il

principio di autodeterminazione, in quanto l'oblato non è immediatamente


vincolato dalla proposta, essendo libero di rifiutarla entro un congruo termine.
Quando la proposta conferisse Al destinatario una mera situazione potestativa,
quale la posizione in cui viene a trovarsi il promissario nell'eventualità di

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opzione gratuita, il rifiuto diventerebbe sostanzialmente superflua, posto che la
mera inerzia sarebbe di per sé più che sufficiente a preservare la fissità dello
status quo ante.

Il vincolo obbligatorio si consolida (momento perfezionativo dell'intesa) allo


scadere del predetto

termine, sebbene per stabilire il foro del contratto occorre prendere in


considerazione il luogo di

destinazione della proposta, anziché quello in cui si trova l'oblato quando spira
il termine finale.

L'esigenza di proteggere l'oblato dal rischio di essere costretto da un contratto,


giustifica

l'orientamento secondo cui il rifiuto può essere tacito, ossia desumibile dal
comportamento

inconciliabile con la proposta. Mancando la retrocessione, assodato che finché


non sia decorso il

termine per il rifiuto, l'oblato non ha alcun titolarità riguardo al rapporto


gratuito, il rifiuto stesso non esige forme particolari, neppure quando la
proposta coinvolga diritti reali su immobili. L'oblato può rinunciare, di fatto, al
potere di rifiuto accettando implicitamente l'offerta tramite l'azione di
verificazione della stessa, se documentata in una scrittura privata, hai fini della
pubblicità immobiliare. Se la proposta è documentata per atto notarile o in una
scrittura autentica,

l'immediata trascrizione da parte dell'oblato conduce allo stesso risultato.


Qualora la trascrizione

fosse richiesta dall'offerente, il conservatore, sussistendo il dubbio sulla


consumazione del potere

di rifiuto spettante all'oblato, provvederà con riserva ex Art 2674 bis.

Rimane fermo il valore negoziale dell'inerzia consapevole dell'oblato (silenzio):


essa assurge ad

elemento costitutivo del vincolo contrattuale e il mancato esercizio del potere


di rifiuto e quindi

sottoposto alla disciplina degli atti negoziali, soprattutto per quanto concerne i
vizi della volizione.

Rientrano nella categoria dei contratti con obbligazioni a carico del solo
proponente:

- la fideiussione gratuita,

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- la proposta di novazione dell'obbligazione legale di garanzia dovuta dal
venditore per i vizi materiali della cosa con l'impegno di eliminare le
imperfezioni senza spese a carico dell'altra parte,

- La lettera di patronage forte, da cui nascono impegni per il proponente,

- Il trasferimento del genitore al figlio di una cosa in funzione di adempimento


di obblighi di

mantenimento;

- La prestazione eseguita in adempimento di un vincolo.

È controversa l'applicabilità dell'Art 1333 ai contratti solenni (formali) nonché


A quelli aventi ad

oggetto trasferimenti immobiliari. Se si fa leva sulla premessa secondo cui il


contratto unilaterale si perfezionerebbe in virtù di un'accettazione tacita, non vi
sarebbe alcun spazio per estendere a

questi contratti l'iter semplificato. Se, all'opposto, si condividesse l'opinione


elaborata da chi

ammette l'eccezionale irrilevanza Dell'accettazione in vista della formazione


del contratto con

obbligazioni a carico del solo proponente, verrebbero conseguentemente meno


le remore ad

applicare nell'area della solennità negoziale la citata disposizione. A questo si


aggiunge anche la

finalità dell'onere formale di indurre le parti a riflettere sulla rilevanza dell'atto.


Se si riconosce che il

contratto ex Art 1333 essere obbligazioni a carico del solo proponente, pare
allora disperdersi

l'esigenza di garantire la ponderatezza della volontà dell'oblato.

21. Segue: casistica

Il diritto giudiziale manifesta la propria predilezione a favore di quest'ultimo


orientamento. Ne

deriva l'efficacia della proposta di prelazione convenzionale senza


ripromissione avente ad oggetto

un immobile, ove non sia stata accompagnata dall'accettazione dell'oblato.

È stata considerata vincolante per il proponente la dichiarazione contenuta in


un atto pubblico

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inviato dal genitore alla figlia, con cui egli ha in tal modo dato attuazione
all'impegno assunto nel

verbale di separazione di provvedere al mantenimento di quest'ultima


mediante la promessa di

donarle un immobile. I giudici hanno ritenuto che il trasferimento immobiliare si


era perfezionato ex Art 1333 perché l'oggetto della proposta consisteva in un
atto giuridico non sorretto dall'intento di liberalità tipico delle donazioni,
siccome realizzato nell'adempimento dei sottostanti obblighi di mantenimento
correlati alla rapporto di filiazione. La causa concreta del trasferimento
immobiliare era esterna all'atto, dovendo essere ricercata nell'assetto della
crisi coniugale concordato mediante verbale di separazione. La conseguente
obbligazione di dare, assunta dal padre a favore della figlia è qualificata da una
causa solutoria funzionale all'adempimento dell'obbligo ex Art 147 Che
impedisce di ricondurre l'atto nella categoria delle donazioni, sorrette invece
dalla spontaneità dell'attribuzione patrimoniale.

22. L'offerta al pubblico

L'elemento caratterizzante l'offerta al pubblico è costituito dall'incertezza del


destinatario,

essendo rivolta alla generalità dei consociati oppure a una determinata


categoria di persone. Il

contratto è concluso quando il proponente abbia avuto notizia


dell'accettazione, salvo che risulti

diversamente dalle circostanze o dagli usi (art 1336 c1).

L'offerta perde efficacia ove sia stata revocata osservando le medesime forme
tramite le quali fu

resa pubblica (art 1336 c2).

Tale tipo di offerta è identificabile tramite condotte socialmente tipiche, come


avviene laddove il

commerciante abbia esposto i beni indicandone il prezzo.

La vendita è perfetta quando il cliente comunichi all'offerente il proprio


assenso. Se il bene è già

stato venduto, E si tratta di bene infungibile, viene applicato il principio


secondo cui la volontà del

commerciante assume il contenuto di un mero invito ad offrire. Questa


soluzione risponde alle

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esigenze avvertite nel traffico mercantile, assodato che sembrerebbe
irragionevole ritenere

vincolato il commerciante da un contratto perfezionato grazie alla senza


accettazione del

passante.

Diversa interpretazione dovrebbe invece valere se il bene esposto fosse un


oggetto di massa: in

conformità all'Art1336, il titolare dell'attività commerciale al dettaglio procede


alla vendita al

richiedente nel rispetto dell'ordine temporale della richiesta.

I restanti dubbi possono essere distolti quando sia inequivocabile l'animus


contrahendae

obligationis.

23. Segue: casistica

Risponde o no come custode il gestore di parcheggi a pagamento, allorché il


furto dell'auto mezzo

del cliente (depositante) Sia avvenuto nel corso di uno sciopero nazionale cui
abbia diritto al

personale addetto alla vigilanza? In un primo tempo è stata esclusa dalla


giurisprudenza di merito

la responsabilità del custode, perché sussisterebbero gli estremi dell'evento


non imputabile ex Art

1780, siccome la proclamata astensione degli ausiliari del debitore avrebbe


impedito l'obbligato il

corretto adempimento degli impegni assunti. I magistrati di cassazione hanno


riformato tale

interpretazione, partendo dal presupposto a mente del quale il contratto atipico


di parcheggio,

sorretto dalla disciplina sul deposito, si perfeziona secondo lo schema della


proposta al pubblico.

Di conseguenza l'errore commesso dal magistrato di merito si è sostanziato in


ciò, che per

escludere la responsabilità ex recepto (ossia a titolo di custodia) sarebbe stato


necessario

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impedire la formazione del contratto per mezzo della revoca dell'offerta ai sensi
dell'Art 1336 c2,

dovendo il debitore accertare a priori la propria capacità a adempiere.

Questo passaggio è debole, giacché al fine di risolvere la lite sarebbe bastato


porre l'accento sulla

circostanza secondo cui lo sciopero, essendo stato pronunciato, non poteva


assumere il lineamenti

dell'evento imponderabile ex Art 1256. La responsabilità Contrattuale del


depositario traeva fonte e non della mancata revoca dell'offerta, bensì dalla
violazione del dirigente adempimento

dell'obbligazione di custodia, in relazione alla quale l'evento estraneo alla sfera


di controllo del

debitore, lo sciopero, non costituiva caso fortuito idoneo a svincolarlo dalla


responsabilità per

inesatto adempimento.

23. Segue: questioni particolari

La linea di demarcazione fra offerta al pubblico e promessa al pubblico ex


Art 1989 È netta,

perché manca in questo ultima la ripromissione. Con riguardo all'offerta al


pubblico di contratto

unilaterale è controverso se sia attratta dalla forza gravitazionale ex Art 1989


oppure se anche per

questa fattispecie si renda necessaria l'accettazione, modo da proteggere


l'interesse a non subire

modifiche alla propria sfera giuridica. Questo interesse è adeguatamente


salvaguardato dal diritto

di rifiuto ex Art 1333.

Rientra nell'area di competenza dell'Art 1336 il bando di concorso per


l'assunzione di lavoratori

qualora esso enumeri gli elementi della fattispecie contrattuale in via di


formazione.

Quanto alle modalità di costituzione del vincolo negoziale occorre distinguere:


se il bando prevede

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che il rapporto verrà perfezionato con i concorrenti, i quali risulteranno
utilmente inseriti nella

graduatoria conseguente alla procedura di valutazione comparativa, il


contratto è automaticamente concluso con i vincitori, in quanto la domanda di
partecipazione ad essa integra gli estremi dell'accettazione: il bando contiene
un'offerta sospensivamente condizionata al superamento delle prove. Se
l'offerente non intende rispettare la proposta il candidato avente titolo può
agire in giudizio al fine di far accertare il perfezionamento dell'intesa, e
ottenere il pagamento delle retribuzioni non percepite dal momento in cui si è
verificato il precitato evento condizionante. La domanda dovrà essere respinta
quando il rifiuto sia giustificato dal sopravvenuto stravolgimento della base
negoziale, imputabile al mutato assetto organizzativo dell'ente banditore.

Quando il bando documenti un impegno ad assumere i vincitori, si ritiene che


l'offerta abbia ad

oggetto un contratto preliminare Che si perfeziona con la domanda di


partecipazione al concorso,

mentre l'obbligo di stipulare il definitivo è similmente condizionato all'esito


della prova selettiva. Il

mancato adempimento della promessa legittima l'interessato ad avvalersi del


rimedio ex Art 2932.

Il vincolo scaturente dal bando non è suscettibile di revoca ex Art 1336 dopo
l'accettazione dei

destinatari dell'offerta, in aderenza all'Inter accennato. L'offerente è tenuto a


svolgere la selezione

conformemente ai criteri fissati nel bando e hai il canone di buona fede


oggettiva, con il

conseguente diritto della parte lesa al risarcimento del danno pieno o da


perdita di chances. Viene

quindi riconosciuto un diritto tutelabile dal candidato Al corretto svolgimento


delle prove selettive.

Se l'ente proponente, completata la procedura per l'assunzione di un


lavoratore, non intende dare

esecuzione al contratto con il vincitore, perché questi non possiede alcuni


specifici requisiti

soggettivi imposti dalla modifica, questa motivazione non è giustificata: una


volta intervenuta

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l'accettazione dell'offerta al pubblico, essa non è suscettibile di modifica
unilaterale, essendosi

l'offerente vincolato a rispettare le regole per mezzo delle quali ha


autodisciplinato la propria

discrezionalità.

CAP. V- LA FORMA

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1. La tassatività

L'idea su cui si basa l'Art 1325 n4, A mente del quale la forma è elemento
essenziale del contratto

quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità, trae la propria
base di

legittimazione dal bisogno di evitare il moltiplicarsi di situazioni dominate


dall'incertezza circa il

modo di manifestazione della volizione, quindi Le regole sta Twenty particolari


oneri formali

riguardo agli atti di autonomia privata sono di natura eccezionale, non


suscettibili di applicazione

analogica.

Ogni determinazione volitiva deve essere esternata in una determinata forma


allo scopo di essere

socialmente percepita e apprezzata.

La forma può essere libera oppure vincolata: la legge può esigere il rispetto di
particolari oneri di

forma ai fini:

- della validità dell'atto: la forma diventa così elemento costitutivo della


vicenda negoziale, nel

senso che il rapporto che dà esecuzione a un intesa priva della solennità


richiesta dalla legge ha

il valore di mero accadimento storico, inadatto a surrogare il requisito


mancante al fini della

validità della fattispecie;

- Per scopi probatori: il contratto, mancando la forma scritta, è valido ma non


può essere provato

in giudizio tramite presunzioni o testimoni, ma esclusivamente attraverso


confessione giudiziale

o giuramento decisorio.

La libertà delle forme è quindi un principio informatore del nostro sistema. Il


dichiarante e libero

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nell'assenza del mezzo di espressione della volontà, la quale può essere
esternata con parole,

scritti o condotte utili ad attribuire un significato echeggiante la volontà stessa


e percettibile dai

destinatari come tale.

Il presupposto di questo principio consiste in ciò, che l'ordinamento si è mosso


verso la massima

semplificazione delle forme, ad eccezione delle ipotesi in cui sia ravvisabile la


necessità della

forma per motivi dipendenti dalla sicurezza della prova del fatto documentato
allo scopo di

assicurare una particolare certezza a specifici mutamenti dei rapporti inter


privati, oppure dalla

maturazione di un consenso informato, e particolarmente ponderato tenuto


conto Dell'incidenza

del negozio sulla sfera giuridico patrimoniale del dichiarante, sì da contrastare


l'eventuale

leggerezza di chi si fa a catturare dalla fretta, dalla noncuranza o


dell'approssimazione.

2. Libertà delle forme e neoformalismo

Il superamento del formalismo negoziale è il portato di un processo evolutivo


accelerato dalle

esigenze, del traffico mercantile, di semplificazione degli atti di trasferimento


fra vivi in relazione

all'esigenza di accelerare gli scambi. Affiora però l'esigenza di evitare che la


rapidità della

circolazione giuridica si tramuti in uno strumento dannoso per i consociati, a


cagione del rischio di

essere coinvolti in rapporti obbligatori sorretti da dichiarazioni di volontà non


adeguatamente

meditate.

Il bilanciamento di interessi antagonistici è stato raggiunto tramite il requisito


della forma scritta a

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pena di nullità limitatamente ai contratti destinati ad incidere in modo rilevante
nella sfera giuridica degli stipulanti (art 1350); Per essi l’accennato pericolo di
manifestazione di una volontà negoziale superficialmente espressa è stato
osteggiato imponendo alle parti la necessità di riflessione in merito al
contenuto e agli effetti del contratto tramite l'attribuzione alla forma solenne o
scritta della natura di elemento destinato a perfezionare la costituenda
fattispecie.

Dagli anni 90 si è assistito alla rinascita dell'indirizzo neoformalista: la forma


scritta si eleva a

strumento di protezione del soggetto debole contro il pericolo di abuso della


parte economicamente forte o meglio organizzata. La forma scritta favorisce la
comprensione dei diritti e obblighi scaturenti dal futuro vincolo.

Emerge l'interesse ad 1+ sicura e comoda conoscenza del contenuto del


regolamento privato di

interessi garantita dalla presenza del documento, che agevola la parte titolata
a dimostrare avanti

all'autorità giudiziaria il fatto costitutivo della domanda.

Talvolta il mancato rispetto della forma scritta implica la nullità testuale del
contratto, mentre in altre ipotesi la violazione è sanzionata in modo più
attenuato:

- l'Art 117 t.u.b ha imposto la forma scritta appena di nullità per i contratti
bancari, che può essere

invocata solo dall'aderente;

- L'Art 23 tuf prescrive la forma scritta per i contratti di investimento mobiliare


appena di nullità

opponibile dal solo investiture;

- L'art 50 cod.cons ha previsto la forma scritta in tema di avviso al consumatore


delle modalità di

esercizio del diritto di recesso, il cui mancato rispetto è sanzionato con il


prolungamento del

termine entro il quale il compratore è legittimato a esercitare lo ius poenitendi;

- L'art 35 c.turismo ha previsto la forma scritta per il contratto di vendita di


pacchetti turistici

invocabile esclusivamente dal consumatore;

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- L'art 71 cod.cons decreta la nullità del contratto d'acquisto del diritto di
godimento turnario

d'immobili ove non sia stata rispettata la forma scritta;

- L'art 2 l.192/98 richiede la forma scritta per il contratto di Subfornitura,


sebbene l'inizio

dell'esecuzione sani la mancata accettazione per iscritto della proposta


formale;

- L'art 1 l.431/98 prescrive la forma scritta ad validitatem Del contratto di


locazione di immobili ad

uso abitativo: la forma scritta risponde a esigenze erariali;

- L'art 62 dl 1/2012 prevede che i contratti aventi ad oggetto la cessione dei


prodotti agricoli e

alimentari debbano essere redatti per iscritto: l'atto scritto deve indicare la
scadenza del prodotto

negoziato, la quantità, le caratteristiche, il prezzo e i modi di consegna e


pagamento. Tali

contratti devono essere informati A principi di trasparenza, correttezza,


proporzionalità e

reciproca corrispettività delle prestazioni con riferimento ai beni forniti: vi è una


limitazione

dell'autonomia privata a tutela della parte economicamente debole.

3. Il formalismo della donazione

La donazione deve essere redatta a pena di nullità mediante atto pubblico ex


Art 782 con la

presenza di due testimoni ex Art 48 l.not.

Alcuni ritengono che questa regola risulti dal formalismo degli antichi negozi di
ius civile, nei quali

per la produzione di determinati effetti non si poteva fare a meno della


pronuncia di specifiche

formule, che surrogavano l'eventuale assenza di giusta causa.

Secondo questa visione, L'affermazione secondo cui la causa della donazione si


sostanzierebbe

nell'animus donandi sembra tradursi in un esercizio teorico, in quanto tale


elemento psicologico

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è semplicemente la rappresentazione, dal punto di vista del donante, della
funzione della donazione stessa, costituita dal trasferimento di ricchezza nella
sfera Del donatario non giustificata

da una contro prestazione. Si tratterebbe di un contratto senza causa in cui


l'assenza di casa

sarebbe eccezionalmente sostituita dalla consegna accompagnata dalla


presenza di testimoni. Il

rito notarile serve dunque sostenere la validità dell'atto altrimenti astratto e


quindi nullo siccome è privo di una causa sufficiente.

Questa tesi risulta essere eccessiva: la causa della donazione è rappresentato


dalla sua funzione

di arricchimento non contrappesato dalla prestazione corrispettiva: tale


mutamento di utilità di

natura traslativa o costitutiva, che pure reca un vantaggio patrimoniale al


donatario, appaga

interessi extra patrimoniali del donante. La solennità del negozio non funge da
mezzo

compensativo dell'elemento causale altrimenti mancante, ma serve a maturare


un consenso

ponderato e a rendere a tutti percettibile la liberalità oggettivamente intesa.

Mentre nella donazione L'interesse extrapatrimoniale giustifica la causa del


trasferimento, senza

escludere che il donante sia mosso da interessi ulteriori e diversi anche di


matrice patrimoniale, nei contratti di scambio l'interesse extrapatrimoniale può
lambire L'imprescindibile interesse

patrimoniale: il primo, una volta che sia stato condiviso dalla controparte,
concorrerà ad animare la causa concreta del rapporto commutativo.

4. Il documento: scrittura privata e atto pubblico

Il requisito della forma scritta può essere osservato ricorrendo alla scrittura
privata o all'atto

pubblico: documenti che recano la traccia dell'intesa e del suo attuarsi,


consentendole di avere

un'autonoma evidenza esterna.

L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza Del
documento dal

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pubblico ufficiale rogante e dei fatti che questi attesta avvenuti in sua presenza
ex art 2700.

La scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso della provenienza


delle dichiarazioni da

chi l'ha sottoscritta (art 2702) se colui contro cui essa è prodotta non la
disconosca oppure la

riconosca tacitamente. Se vi è disconoscimento, l'altra parte che intende a


valersi del documento

all'onere di proporre istanza di verificazione.

Quando il documento sia dotato efficacia probatoria legale, l'unico modo per
paralizzarne l'efficacia è rappresentato dalla proposizione però opera del
soggetto interessato della querela di falso a seguito della quale si apre un
giudizio, in via principale o incidentale, destinato a concludersi con una
sentenza volta ad accertare la verità del documento medesimo.

Ai sensi dell'Art 2703 sì ha per riconosciuta la scrittura privata con la


sottoscrizione autenticata dal

pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'atto pubblico o la scrittura privata


autenticata costituiscono

titolo per la trascrizione, mentre la scrittura privata semplice e trascrivi bile per
effetto della

sentenza Che accerta l'autenticità della sottoscrizione.

5. Unicità della scrittura e pluralità di atti

Le parti, anche quando il contratto fosse suscettibile di trascrizione al fine


dell'opponibilità ai terzi,

in un primo momento documentano il consenso tramite scrittura privata,


sicché, il successivo rogito è di massima volto a riprodurre informa pubblica il
contenuto dell'accordo già raggiunto.

La scrittura privata può consistere in un unico atto contenente la volontà di


ciascuna parte, oppure

in due atti materialmente separati ma destinati a essere armonicamente uniti


in un documento

complesso attestante l'accordo negoziale.

La sottoscrizione è rappresenta l'atto tramite il quale la parte fa proprio il


contenuto del documento (res signata). L'omessa sottoscrizione può essere

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surrogata dalla produzione in giudizio del documento. È prassi diffusa lo
scambio degli atti sottoscritti da ciascuna delle controparti.

6. Sottoscrizione al buio

Qualora la sottoscrizione sia stata apposta al buio, ossia senza la precedente


lettura del testo,

l'effetto vincolante che da essa scaturisce non è di norma pregiudicato


dall'antefatto della

deliberata ignoranza: vale il principio dell'autoresponsabilità, che si traduce


nel valore a fidante

verso l'altro stipulante della predetta sottoscrizione = principio della


dichiarazione.

Nell'ipotesi in cui questa omissione sia stata sollecitata dalla parte sleale
dolosamente, Al fine di

indurre la controparte in errore sul contenuto del documento rivelatosi


penalizzante rispetto alla

situazione diversamente prospettata, l'ingannato (deceptus) È legittimato a far


valere la

responsabilità precontrattuale ex Art 1440, salvo che l'additato errore sia stato
determinante della

volizione, siccome in tale eventualità il deceptus può impugnare il contratto ai


sensi dell'Art 1439.

Se L'inesatta rappresentazione È stata autodeterminata, e cioè non provocata,


avendo il

sottoscrittore scientemente tralasciato di leggere il testo confidando in modo


errato sul fatto che

esso noveri clausole il cui contenuto sia diverso rispetto a quello pronosticato,
egli potrà proporre

l'azione di annullamento sempre che la discrasia sia riconoscibile dall'altra


parte (art 1431).

Il legislatore ha introdotto il rimedio della specifica approvazione per iscritto


delle clausole elencate nell'Art 1341 C2, anche se la finalità di tutela è perlopiù
astratta, assodato che il rispetto di quest'onere non garantisce l'effettiva
cognizione circa il loro contenuto.

7. Il biancosegno

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Tramite il biancosegno le parti sottoscrivono il documento senza inserire il testo
del regolamento,

che dovrà essere composto dal terzo arbitratore (art 1349). Se gli stipulanti
hanno invece conferito

al terzo il mandato ad scribendum di riempire il documento secondo le


istruzioni concordate,

l'eventuale violazione dell'incarico, concretantesi nel riempimento contra


pacta può legittimare la

parte pregiudicata ad impugnare il contratto per errore ostativo ex Art 1433. La


riconoscibilità della discrasia fra voluto e dichiarato parrebbe in re Ipsa,
siccome l'altra parte è sin dall'origine a

conoscenza Dei limiti all'incarico.

Viceversa, se il terzo compila il documento sottoscritto in bianco senza aver


ricevuto l'incarico da

colui che risulta essere il dichiarante (riempimento sine pactis), questi,


qualora sia stata

riconosciuta la sottoscrizione, può reagire all'abuso proponendo la querela di


falso. Questa

patologia è individuabile anche se la difformità tra dichiarazione e incarico sia


talmente grave da

travolgere qualsiasi collegamento fra la dichiarazione e sottoscrizione.

Il fondamento della distinzione tra riempimento contra pacta e sine pactis si


basa su ciò, che

quest'ultimo costituisce un'ipotesi di falso materiale neutralizzarle con la


querela, si da eliminare la possibilità di collegare la dichiarazione all'autore
della sottoscrizione ai sensi dell'Art 2702, mentre se la compilazione del
documento sia avvenuta in difformità del mandato, la situazione che ne
consegue rivestirebbe i caratteri dell'antinomia tra dichiarato e voluto: essa si
presta ad essere rimediata tramite l'azione di annullamento ex Art 1433. Nel
primo caso l'abuso consiste nella falsa provenienza della dichiarazioni, mentre
nell'altra ipotesi la dichiarazione stessa sarebbe

riconducibile al dichiarante, quantunque la trasgressione del mandato ad


scribendum integri gli

estremi dell'errore ostativo. Viene così alla luce un evidente finzione, in quanto
l'errore non è stato perpetrato dal sottoscrittore essendo imputabile all'arbitrio
Del mandatario, arbitrio che grazie ha questo meccanismo di riferibilità è
equiparato al vizio autodeterminato della volizione.

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8. Forma e elementi della fattispecie

Per i contratti sottoposti alla regola della forma scritta ad essentiam tutti gli
elementi costitutivi della fattispecie debbono essere racchiusi nel documento.
Quelli non essenziali possono essere pattuiti anche oralmente, fatti salvi i limiti
probatori ex Art 2722. Lo stesso principio vale anche riguardo alla modifica
degli accidentalia negotii.

Sono comunque individuabili delle eccezioni: la condizione risolutiva o


sospensiva connessa alla

compravendita di un edificio è un elemento accessorio della fattispecie, ma in


considerazione della

sua capacità di influire sulla vicenda traslativa sembra che sia richiesta ai fini
della sua validità la

forma scritta.

Diversamente gli elementi destinati a regolare la sentimento dell'obbligazioni


contrattuali, si

prestano ad essere pattuiti senza l'osservanza di particolari oneri formali,


quantunque siano

correlati ad un rapporto traslativo di diritti reali su immobili. Per questo il patto


relativo alla data di consegna dell'edificio compravenduto, fuoriuscendo dagli
elementi essenziali, non esige la forma scritta quale elemento costitutivo della
fattispecie negoziale. Se tale clausola sia stata comunque documentata per
iscritto, la sua successiva modifica, potendo essere perfezionata anche
verbalmente, è suscettibile di dimostrazione mediante testimoni fuori dei limiti
ex art 2723.

Questo orientamento non è del tutto conforme all'Art 2723, il quale, pur
introducendo una

compressione al principio del predominio del documento sulla prova orale,


limita la discrezionalità

del giudice nell'ammettere la prova testimoniale alla sussistenza di circostanze


tali da rendere

credibile la sopravvenuta vicenda modificativa. Non sembra sufficiente, ai fini


dell'ammissibilità

della prova per testimoni in merito all'accordo modificativo, il rilievo che esso
abbia ad oggetto una clausola accessoria del contratto solenne, dato che il
giudice è altresì tenuto a sindacare la

verosimiglianza dell'assunto.

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La legislazione speciale a protezione della parte economicamente debole ha
esteso la gamma

degli elementi del rapporto obbligatorio i quali richiedono ad essentiam la


forma scritta:

- il tub prevede che nell'ambito dei contratti bancari debbano essere redatte
per iscritto le clausole relative al tasso di interesse, al prezzo e ogni altro onere
dovuto dal cliente;

- Il tuf, in materia di contratti relativi ai servizi di investimento dieta il rinvio agli


usi per la

determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo
carico;

- Il cod.consumo prevede un elenco di requisiti che devono essere contenuti nel


contratto di

acquisto del diritto di godimento turnario su immobili.

9. La determinazione per relationem del contenuto del contratto

Quando gli elementi minimali della fattispecie sono documentati nell'atto


scritto, gli ulteriori

frammenti destinati a completare il nucleo essenziale possono essere


estrapolati dal rinvio (relatio) ad un documento esterno, sempre che siano
soddisfatte le seguenti condizioni:

- l'oggetto della relatio Deve essere stato specificatamente individuato entro il


documento;

- La fonte esterna di integrazione dei nuovi caso rispettare requisiti formali


proprie del tipo

contrattuale: la vendita immobiliare è nulla quando l'individuazione


dell'oggetto sia stata

effettuata per relationem, allorché il documento oggetto del rinvio sia


rappresentato da una

planimetria non sottoscritta dalle parti.

se si ritenesse infatti sufficiente il mero rinvio ad un documento scritto esterno


non siglato da gli

stipulanti, si correrebbe il rischio di tradire la finalità del formalismo negoziale,


volta a garantire la

responsabilizzazione del consenso, che impone che ciascuna parte abbia


maturato una volontà

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ponderata su tutti gli elementi del rapporto, compresi quelli determinati per
relationem. Assurge a

elemento costitutivo del vincolo giuridico il rispetto degli oneri di forma anche
in riferimento al

frammento esterno oggetto di relatio. Non è sufficiente l'approvazione per


relationem Del

documento cui si fa rinvio, essendo indispensabile la propria azione specifica


mediante autonoma

sottoscrizione. Ciò che occorre appurare è se sia o no stata sostanzialmente


soddisfatta la ratio

essendi delle regole preordinate ad assicurare un consenso ragionato: non


conta tanto stabilire se

la planimetria sia stata firmata dalle parti, quanto assodare se sia pacifico che
le parti abbiano

voluto rimandare ad essa per specificare l'oggetto dell'accordo.

Quando l'assenza di sottoscrizione renda di per se nullo il documento oggetto


di rinvio, l'invalidità

del documento esterno, ritenuto però valido dalle parti, finisce col rinfrangersi
sul negozio

traslativo, inficiando uno dei suoi elementi costitutivi.

È valido il contratto di rinnovazione di un valido rapporto scaduto, nel quale le


parti si limitano a

richiamare integralmente la disciplina di quest'ultimo.

10. Volontà negoziale e atto ricognitivo

Il contratto soggetto alla solennità del vincolo di forma appena di nullità deve
essere incorporato in un documento racchiudente la volontà delle parti dirette
a realizzare gli effetti qualificanti il rapporto obbligatorio: la dichiarazione
semplicemente confessorie, con cui lo stipulante riconosce o ammette
l'avvenuto perfezionamento del rapporto stesso, non sana il mancato rispetto
dell'onere formale.

L'onere della forma scritta non è surrogabile mediante atti esecutivi o di


riconoscimento ex post: in ipotesi di vendita immobiliare per fatti concludenti,
la nullità del contratto non è sanabile ad opera della sopravvenuta ammissione,
pur espressa tramite atto scritto, dell'antecedente vicenda

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traslativa, non potendo l'ammissione produrre di per sé gli effetti della vicenda
documentata.

11. Il principio di non contestazione

La nullità assoluta (art 1421) e insanabile (art 1423) originata dal mancato
rispetto della forma

assurgente a elemento essenziale della fattispecie, non può essere sterilizzata


facendo ricorso al

principio di non contestazione, il quale sottintende che fra i protagonisti della


lite è indiscusso il

fatto costitutivo, che ai fini che qui rilevano è rappresentato Dall'avvenuta


stipulazione del contratto solenne (= fatto incontroverso).

Se l'attore non produce il documento su cui fonda la pretesa, il giudice è tenuto


a rigettare la

domanda ex Art 2697, anche se il convenuto non ha contestato l'avvenuta


conclusione del

contratto relativo a un diritto reale immobiliare.

12. Difetto di forma e negozio di accertamento

È inadatta a sanare la nullità ex Art 1325 n4, la stipulazione tra le parti di un


negozio di

accertamento, destinato ad assicurare l'incontrovertibilità della pendente


situazione giuridica: in

esso le parti non dichiarano una nuova volontà mirata a costituire un rinnovato
rapporto

obbligatorio, ma semplicemente enunciano una volontà che mette ordine alla


pregressa incertezza

in merito a una determinata vicenda oggetto di discorde valutazioni fra i


dichiaranti. La

sistemazione dei rapporti conseguenti all'intervenuto accertamento, non


avendo alcuna funzione

novativa, opera ex tunc (fatti salvi i diritti dei terzi).

Il negozio di accertamento, non documentando una nuova volontà volontà


dispositiva, presuppone la validità del contratto tra le parti, in relazione al
quale opera il susseguente atto chiarificatore, che è pertanto sfornito della
capacità di integrare il requisito formale mancante ai fini della validità del
vincolo sottostante, da cui scaturisce la discordia.

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Es: la mancata partecipazione di un soggetto al contratto di acquisto di un
immobile avvenuto con

denaro in parte proprio, non può essere superata, in vista della costituzione del
rapporto di

comunione di diritti reali, dal sopravvenuto negozio di accertamento con il


quale l'acquirente e il

sovventore riconoscono che il bene e tra loro oggetto di comproprietà indivisa.


La nullità non può

essere sanata dal successivo negozio di accertamento né dalla mancata


contestazione della

circostanza afferente alla contitolarità.

13. L'atto ricognitivo del diritto reale

L'effetto giuridico inattuabile per mezzo del negozio di accertamento non può
essere raggiunto

impiegando l'atto unilaterale ricognitivo dell'altrui diritto reale.

Es: Nell'interposizione reale di persona colui il quale abbia acquistato il diritto


immobiliare

nell'interesse dell'interponente non può sanare la nullità del sottostante


rapporto fiduciario

riconoscendo la titolarità del bene in capo a quest'ultimo. L'accertamento di


una preesistente

situazione giuridica per la cui costituzione dell'ordinamento richiede l'atto


scritto a pena di nullità

non riesce a sanare il difetto di forma che inficia: riconoscere non significa
trasferire, di modo che

la mancanza di forma dell'atto traslativo non è surrogabile dalla forma rivestita


dal negozio

meramente ricognitivo.

14. La funzione traslativa del verbale di separazione consensuale dei


coniugi

Nell'accordo di separazione consensuale ex Art 158 i coniugi possono regolare


i rapporti derivanti

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dalla patologia del rapporto mediante il trasferimento della proprietà di un
immobile, appartenenti in via esclusiva a uno dei due, a favore dell'altro in
funzione di mantenimento.

Questa volontà espressa dalle parti non rappresenta un mero negozio di


accertamento, che

presuppone l'antecedente rapporto traslativo, ma un valido atto dotato di


sostanziale funzioni

divisoria. Il verbale omologato, in quanto atto pubblico, è suscettibile di


trascrizione nei registri

immobiliari.

15. Il valore formale della quietanza, della fattura e della d'azione di


assegno

Visto che ai fini della valida formazione della fattispecie traslativa avente ad
oggetto diritti reali

immobiliari occorre, a pena di nullità, L'atto scritto documentante gli elementi


essenziali del

negozio prescelto dalle parti, si deve ritenere insufficiente a soddisfare il


requisito imposto dall'Art

1350 n1 la mera quietanza (art 1199) recante la sottoscrizione di ambedue le


parti, per il fatto che

essa è un atto unilaterale dotato di contenuto confessorio, ma non è di per sé


ido dal a produrre

autonomi effetti traslativi.

Simile conclusione è estensibile alla fattura commerciale, emessa nei fini del
pagamento

dell'imposta sul valore aggiunto, ove sia connessa ad un trasferimento


immobiliare senza tuttavia

enunciare la volontà dispositivo delle parti.

Non si può ammettere soddisfatto l'onere in questione (atto scritto completo di


tutti i suoi elementi essenziali) tramite condotta concludente indicativa della
volontà della parte di far proprio il contenuto del documento. Il problema è
sorto riguardo all'emissione di un assegno bancario con funzione solutoria
dell'obbligazione di pagamento del prezzo fissato nel contratto di
compravendita immobiliare: qualora la scrittura privata non rechi la
sottoscrizione del compratore, dovrebbe coerentemente escludersi che la

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mancata manifestazioni di volontà per atto scritto possa essere surrogata dalla
predetta condotta esecutiva.

16. Il contratto risolutorio

Il cc non si occupa espressamente della forma del contratto destinato a


risolvere un precedente

accordo. Il requisito della forma scritta assume il significato di elemento


essenziale quando dalla

vicenda estintiva promani una retrocessione di diritti reali su immobili (principio


della simmetria

delle forme): se le parti si determinano a sciogliere convenzionalmente la


precedente

compravendita immobiliare, l'accordo deve rivestire la forma richiesta dall'Art


1350, in quanto per

effetto dell'estinzione consensuale del rapporto, viene in essere un nuovo


trapasso di proprietà a

ritroso, che sottostà alla solennità richiesta per la fattispecie disciolta.


L'accordo estintivo deve

essere trascritto.

In tema di mutuo dissenso la regola della simmetria dei vincoli formali ad


essentiam vale allorché

esso importi una situazione o un'aspettativa di appartenenza di contenuto


eguale e contrario a

paragone di quell'estinta.

Il mutuo dissenso incide sull'atto e non sul rapporto, se non in via mediata. Al
fine di eliminare l'atto occorre pattuire una controvicenda che sottostà al
medesimo rigore di forme del negozio su cui ricade. Con riguardo ai contratti
istantanei, quali sono quelli sorretti dalla regola del consenso

traslativo ex Art 1376, la risoluzione opera di norma con effetto retroattivo tra
le parti. La vendita

risolta esiste tra le parti come fatto storico ma non giuridico, perché essa è
stata espunta come se

non fosse mai stata stipulata. Fermi restando i diritti dei terzi, le parti possono
tuttavia circoscrivere l'efficacia dell'accordo risolutorio ad un periodo
successivo al perfezionamento dell'intesa risolta: tra le parti le effetto traslativo
è esistito solo fino a un certo momento, oltre il quale, essendo sopraggiunto il

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mutuo dissenso, il dante causa è tornato nella pienezza del dominio non in
forza di una contro vendita, ma in virtù dell'intesa abolitiva. Per i contratti di
durata vale la regola ex Art 1458.

Ci si chiede se la forma scritta appena di nullità ex Art 1351 con rinvio all'Art
1350 debba essere o

meno rispettata per la situazione estintiva, ossia per l'accordo eliminativo del
preliminare di vendita immobiliare. A prima vista si applicherebbe la soluzione
negativa, perché il contrario consenso in questa situazione non determina
alcun trasferimento di diritti reali. Senonché, neppure il contratto preliminare di
vendita immobiliare è dotato di efficacia reale.

Attraverso il contratto preliminare avente ad oggetto diritti immobiliari il


promissario acquista

un'aspettativa reale, opponibile erga omnes ex Art 2645 bis e suscettibile di


esecuzione in forma

specifica. Il fondamento dell'Art 1351 consiste in ciò che l'effetto programmato


tramite il preliminare può condurre ad una modificazione della situazione
patrimoniale talmente rilevante da giustificare la corrispondenza tra forma del
preliminare e forma del contratto oggetto dell'obbligazione a contrarre. Per
questo il patto di rinuncia deve adattarsi alla solennità tipica del negozio
strumentale all'acquisto del diritto, valutata l'identità di ragioni fra la vicenda
programmata e la sopravvenuta fattispecie estintiva.

Quindi Deve ritenersi a forma libera il contratto di risoluzione di una locazione


ultranovennale di

cosa immobile, ancorché per la costruzione di quest'ultimo fattispecie sia


prescritta la forma scritta appena di nullità.

Il diritto giudiziale applica restrittivamente il divieto ex Art 2723, in quanto essa


riguarderebbe solo i patti modificativi della rapporto senza riguardare quelle di
natura istintiva: la risoluzione verbale di un contratto A forma libera ma redatto
per iscritto può essere provata mediante testimoni, siccome i patti aggiunti o
contrari all'ex Art 2723 sono solo quelli che apportano alle clausole contrattuali,
redatte per iscritto, aggiunte o modifiche destinate a regolare per il futuro
particolari aspetti del rapporto obbligatorio. Per questo non sorgerebbe ai limiti
di prova testimoniale ex Art 2723 l'accordo diretto a sciogliere il rapporto
stesso, che può desumersi tramite fatti concludenti.

17. L'accordo modificativo

Il patto volto a modificare il contratto formale deve essere redatto nell'identica


forma prevista Ai fini della validità di quest'ultimo, salvo che la variazione
ricada su elementi non essenziali della

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fattispecie, in relazione ai quali non sussiste di massima alcun particolare
vincolo formale, fermo

restando, sotto il profilo probatorio, il limite ex Art 2723.

Gli interessi tutelati dalle disposizioni prescriventi la forma scritta a pena di


nullità sono individuabili anche riguardo ai successivi accordi emendativi del
rapporto negoziale: per questo le clausole modificative degli elementi
strutturali di un contratto rientrante nell'ambito dell'Art 1350, ove non siano
state redatte per iscritto, sono nulle.

18. Il patto sulla forma

L'esercizio dei poteri di autonomia privata può esprimersi anche nell'ambito


delle forme

contrattuali, se affiori l'esigenza di adattare il regolamento negoziale, sotto il


profilo delle modalità

atipiche di espressione della volizione, alla specificità degli interessi


contingenti. Ai sensi dell'Art

1326 C4, L'offerente ha facoltà di imporre all'accettante la forma scritta ai fini


della programmata

costituzione del rapporto obbligatorio, quantunque l'oggetto della trattativa sia


un contratto per il

cui perfezionamento non siano necessari particolari oneri in merito alle forme
di concretazione

della volontà.

I vincoli formali cui soggiace il negozio giuridico possono altresì derivare dal
contratto normativo,

destinato a regolare future intese, con il quale le parti stabiliscono che per la
validità o la prova dei

futuri rapporti negoziali, altrimenti informali, la volontà deve essere


documentata tramite atto scritto ex Art 1352.

Rientra tra i poteri discrezionali delle parti stipulare convenzioni più circoscritte,
purché meritevoli

di tutela, che impongano ad esempio l'onere della sottoscrizione autentica,


dell'atto pubblico.

La prassi conosce anche l'intesa sui modi di esercizio di diritti potestativi: in


ipotesi di contratto

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predisposto dal professionista, tramite il quale si prevedano oneri extra
normativi di forma in vista

dell'esecuzione di atti unilaterali correlati al rapporto negoziale oggetto di


adesione, vale la

presunzione di vessatorietà ex art 33 cod.cons. Spesso nelle condizioni generali


di contratto si

stabilisce che il recesso o disdetta debba pervenire al predisponente a mezzo


di raccomandata

con ricevuta di ritorno: se la parte abbia trasmesso tale atto tramite


raccomandata semplice,

l'effetto utile non può comunque essere contestato una volta che sia
dimostrato che l'atto sia

comunque è giunto nella sfera di conoscibilità del destinatario.

L'art 1352 introduce una presunzione volta superare l'interrogativo sulla


funzione del patto: nel

silenzio delle parti, si deve ritenere che la sua osservanza sia richiesta a pena
di nullità, anziché ai

fini probatori.

L'intesa-quadro, da cui sorge il vincolo extra normativo sulle forme, deve


sottostare alla stessa

forma ad essentiam prescelta per i futuri accordi. Contro questa teoria si può
replicare che ad essa

manca un realistico ancoraggio giuridico, stante l'autonomia dell'intesa stessa


rispetto negozi

futuri. Viene irrogata La nullità della condotta negoziale violatrice Del patto
elevante eccezionalmente l'onere formale al rango di elemento costitutivo della
fattispecie. A giudizio di altri interpreti non sarebbe possibile invocare la
categoria della nullità, spettando esclusivamente al legislatore la competenza
a definire i frammenti dell'intesa richiesti ai fini della sua validità. Per aggirare
l'ostacolo della riserva di legge sono state prospettate soluzioni accreditanti
l'inefficacia del negozio giuridico privo della forma convenzionale, e si è
addirittura affermata la sua inesistenza.

Queste interpretazioni non sembrano accettabili: ad esse sfugge che è il


legislatore stesso ad aver

conferito ai privati il potere di trasformare la fattispecie negoziale a forma


libera in un negozio

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convenzionalmente soggetto alla forma vincolata ad validitatem.

L'Art 1352 deve essere sempre connesso al principio dell'autonomia negoziale


riconosciuta ai

consociati: il CC ha assegnato alle parti il potere di estendere il confine


delimitante l'area dei

contratti sottoposti ad una forma particolare oltre le ipotesi decretate


dall'autorità normativa,

conformemente alla regola finale ex Art 1350 n13, secondo cui debbono farsi
per iscritto, sotto

pena di nullità, gli altri atti specialmente indicati dalla legge. Si assiste ad una
sorta di

cooperazione tra ius positum e lex contractus, nel senso che i privati esercitano
il potere di

integrare il regolamento costitutivo della fattispecie per mezzo delle facoltà di


autodeterminazione positivamente sancite.

Il discrimine tra solennità legale e formalismo pattizio è segnato dal basamento


assiologico dei

beni della vita di volta in volta protetti: mentre la prima protegge interessi di
ordine pubblico, che

giustificano la nullità dell'atto privo dell'elemento costituente rilevabile anche


d'ufficio ex Art 1421 e insuscettibile di sanatoria ex art 1423, il secondo
salvaguarda interessi eminentemente privati

rimessi alla disponibilità di chi liberamente partecipa al traffico giuridico.

Questo supporta l'indirizzo che riconosce natura relativa alla nullità ex Art 1352
--> nullità relativa.

Acclarato che sul fronte delle solennità convenzionali non vengono in gioco
interessi pubblici,

siccome il patto sulle forme è il mero portato di una valutazione discrezionale


compiuta dalle parti

in merito alle modalità di manifestazione della volontà costitutiva dei futuri


rapporti negoziali,

sembra logico saldare il potere dovere del giudice di accertare l'eventuale


trasgressione del patto

alla domanda di parte.

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Dal presupposto secondo cui l'intesa sulle solennità extra normative implica
una deroga al

principio della libertà dei mezzi di espressione della volontà, la dominante


giurisprudenza pratica

accoglie l'interpretazione restrittiva del testo pattizio: non può estendersi al


contratto risolutorio

l'onere formale circoscritto alle modifiche del sottostante negozio giuridico. Il


contratto normativo

può quindi essere sciolto di fatto per comportamento concludente ravvisabile


laddove la volontà

abrogativa sia estrapolabili dalla sistematica e non contrastata modifica


verbale del rapporto

fondamentale.

Si obietta che quest'orientamento sarebbe troppo rigido il principio di


simmetria delle forme, A

mente del quale la forma prevista per la fattispecie costitutiva vale anche per
quella estintiva,

dovrebbe aprire le porte alla lettura a maglie larghe.

Il problema deve essere risolto nel modo che segue: l'evocata impronta
privatistica degli interessi

sottesi dal patto sulle forme da un lato legittima la radice relativa del nullità
scaturente dalla

trasgressione della regola Pattizia, Dall'altro preclude alla parte, la quale abbia
consapevolmente

disatteso l'accordo normativo, di invocare a proprio favore la nullità e di


esercitare il correlato di

impugnazione non potendo ella insorgere contro il fatto proprio.

Se la trasgressione sia dovuta a errore di diritto, cagionato dall'ignoranza circa


le conseguenze

revocatorie generate dalla modifica informale del vincolo pendente, la parte,


una volta dimostrato

l'errore stesso e la sua riconoscibilità, potrà contrastare la risoluzione tacita


dell'accordo normativo adducendo l'assenza del proposito estintivo.

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La nullità dell'intesa che viola l'accordo sulla forma è ravvisabile quando
implichi l'osservanza di

una forma particolare (atto pubblico), laddove il negozio attuativo sia stato
stipulato semplicemente con scrittura privata. Questa soluzione sottintende la
meritevolezza degli interessi coinvolti da un accordo di tale specie, la quale
deve escludersi quando sia frutto di progetti strangolatori congegnati da una
parte a scapito dell'altra.

19. La riproduzione del contratto

Le parti possono impegnarsi a riprodurre il contenuto dell'accordo già


perfezionato in un

documento separato. Le parti, se il contratto è a forma libera, possono


impegnarsi a dare un

rivestimento formale all'accordo verbale (scrittura privata o atto pubblico).

L'invalidità del contratto originario si ripercuote sul contratto riproduttivo,


salvo che le cause

generatrici della vicenda patologica sia nel frattempo svanite: se il primo


contratto è annullabile

perché uno dei dichiaranti era privo della capacità d'agire in quanto minorenne,
il contratto

riproduttivo è valido se nel frattempo il minore abbia raggiunto i 18 anni. Il


contratto riproduttivo è valido se la parte, il cui consenso risultasse viziato per
errore o dolo all'ippocampo del

perfezionamento del contratto oggetto di rinnovazione, dopo aver scoperto il


vizio si sia lo stesso

determinata a ripeterne il contenuto.

Nel caso di vizio formale, la nullità che si abbatte sulla compravendita verbale
di un immobile non

incide sulla scrittura privata tramite la quale le parti si limitino a consolidare nel
documento il

consenso già, invalidamente, espresso. In queste situazioni l'atto incorporante


la rinnovata volontà

dei dichiaranti, più che essere destinato ad avere funzione riproduttiva di un


pregresso vincolo,

costituisce di fatto la fonte esclusiva del vincolo stesso.

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Quando gli stipulanti rinnovino fedelmente il contenuto del precedente
contratto valido, senza

apportare variazioni di sostanza, è corretto ritenere che la diretta scaturigine


del vincolo sia

rappresentata dall'accordo riprodotto, siccome quello riproduttivo ha una


semplice funzione

ricognitiva Deve rapporto già perfezionatosi tra le parti: il rapporto è unico e


inscindibile, tant'è che la rinnovazione ha una valenza soltanto testuale,
determinando una mutazione estrinseca ma non sostanziale della causa
venante il vincolo, il quale fonda le proprie radici nel contratto riprodotto.

Non aziona dunque alcuna vicenda oggettivamente novativa.

Se sussiste invece una divergenza di contenuto, si pone il problema legato


al significato

dell'antinomia, che può essere affrontato verificando se le parti intesero


esprimere una volontà

piuttosto che limitarsi a rinnovare il consenso già espresso. Nel primo caso è
impegnativo il

contenuto del negozio riproduttivo, il quale ha nello stesso tempo una portata
anche modificativa.

Nell'altra ipotesi è possibile ravvisare il vizio della volizione di uno o di


ambedue i dichiaranti per

errore ostativo, dato che la prospettata divergenza non è voluta.

Stabilire se il contratto riproduttivo enunci una nuova e autonoma


manifestazione di volontà che

annienta il contratto riprodotto, oppure se sia dotato di una funzione


meramente ricognitiva,

assume significato anche sotto il profilo della decorrenza dei termini legali di
decadenza e di

prescrizione, oltre che della determinazione del foro del contratto. Se le parti
non hanno

espressamente chiarito quale delle due alternative in concreto ricorrono, spetta


al tribunale

risolvere il problema sulla base delle prove raccolte in sede istruttoria: dal
punto di vista

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cronologico è verosimile che il contratto più prossimo, apportando modifiche a
quello remoto,

implichi la novazione del vincolo. È onere della parte che è portatrice


dell'interesse opposto

persuadere il magistrato Che la modifica, viceversa, sia da imputarsi a un


errore essenziale e

riconoscibile, oppure comune, così da paralizzare l'efficacia delle clausole


modificate.

20. La forma dell'atto abdicativo

L'Art 1350 n5 prevede che debbano essere redatti per iscritto sotto pena di
nullità gli atti di rinuncia ai diritti indicati dei numeri precedenti.

È logico dedurre che l'accordo abdicativo richieda la medesima forma


imposta ex legge ai fini

della validità della fattispecie acquisitiva, laddove sia immediatamente diretto


a realizzare un

effetto ad essa opposto.

La retrocessione può derivare anche dall'evento risolutivamente condizionante,


oppure all'esercizio dei diritti di recesso o di risoluzione per inadempimento.

Mettiamo che tizio abbia promesso in vendita a Caio un fondo a condizione che
la p.a. rilasci il

permesso di costruire entro un determinato termine. A dispetto del


sopravvenuto provvedimento di rigetto, il prezzo, in esecuzione degli accordi
presi, viene corrisposto, senonché, il promettente si oppone alla stipulazione
del definitivo allegando il mancato avveramento dell'evento

condizionante: qualora il promissario abbia esperito L'azione di esecuzione in


forma specifica ex

Art 2932, a fronte della domanda riconvenzionale avanzata dalla parte


convenuta volta alla

dichiarazione dell'intervenuta caducazione del rapporto per il mancato rilascio


del menzionato

provvedimento amministrativo, può addurre fondatamente Che il pagamento


del prezzo abbia

integrato gli estremi della tacita rinuncia ad avvalersi degli effetti della
condizione risolutiva?

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Assodato che la predetta condizione a natura unilaterale, in quanto posta
nell'esclusivo interesse

del promissario acquirente, di modo che l'altro stipulante non è legittimato ad


avvalersene, E che la rinuncia non genera la retrocessione di diritti reali, la
soluzione al quesito deve di conseguenza

essere positiva.

Anche la rinuncia del compratore dell'immobile a far valere la clausola


risolutiva espressa è

dispensata dal rispetto di forme particolari, in quanto il negozio di contenuto


abdicativo non importa il trapasso a ritroso del diritto dominicale nel patrimonio
del dante causa.

21. La rinuncia all'usucapione immobiliare

Secondo una tesi la rinuncia espressa all'usucapione immobiliare è sottoposta


alla forma scritta a

pena di nullità (art ex art 1350), siccome l'avente titolo abbandona un diritto
già entrato nel suo

patrimonio.

Un'altra tesi nega cittadinanza al negozio abdicativo Dell'usucapione, in quanto


sarebbero

suscettibili di rinuncia i diritti ma mai materiale quale la prescrizione


acquisitiva.

Altri propende per la libertà delle forme sulla base della considerazione a
mente della quale

attraverso la rinuncia il dichiarante non abdica ad un diritto, ma si limita all'una


avvalersi della

facoltà messo a sua disposizione dall'ordinamento di far combaciare la


situazione di fatto con

quella di diritto in funzione della certezza delle vicende. La soluzione non può
essere fondata

Sull'Art 2937uc, in quanto oggetto della rinuncia non è l'acquisto della


proprietà discendente dalla

prescrizione acquisitiva, bensì il rimedio processuale ad avvalersene. Il


convenuto in rivendica, ove

non deduca la domanda O l'eccezione riconvenzionale di accertamento


dell'acquisto a titolo

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originario, rinuncia non al diritto reale ma ad un'azione, con la conseguente
inapplicabilità degli

oneri formali ex Art 1350 n5.

La distinzione dal punto di vista degli effetti fra azione e diritto sostanziale non
convince, in quanto

la rinuncia può intervenire anche fuori dal processo laddove il possessore


compia atti incompatibili

con il potere di fatto riflettente l'immagine del dominium: l'art 2937 uc prevede
infatti l'abdicazione mediante comportamento concludente. Li vocata censura
porterebbe anche ad una segregazione del diritto sostanziale della sua tutela
giudiziale.

La rinuncia al rimedio si riflette inevitabilmente sul diritto, tenuto anche conto


che la regola ex Art

2909 non offre spazio alla possibilità di sindacare il giudicato petitorio con una
successiva azione

di usucapione avente ad oggetto il possesso ad esso antecedente. Se si segue


l'opinione secondo

cui la sentenza di accoglimento dell'acquisto a titolo originario abbia natura di


accertamento di un

diritto già acquisito, sembra condivisibile la tesi a mente della quale l'atto
abdicativo, rientrando fra quelli previsti nell'Art 1350 n5, sottostà al rigore
formale ad essentiam.

La giurisprudenza richiede per la rinuncia al legato immobiliare la forma scritta


ad substantiam,

senza possibilità di condotte concludenti.

22. Il documento informatico

Il documento informatico è costituito dalla trasformazione in bit o cifre binarie


E dalla successiva

riproduzione sulle memorie ausiliarie di atti o fatti aventi rilevanza giuridica.

L'art 21 dlgs 82/2005 individua due tipologie di documento informatico

-Al documento con firma elettronica, costituita da un semplice codice


identificativo (usurname o

password), viene riconosciuta la natura di atto scritto liberamente valutabile sul


piano probatorio,

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tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza. Al
momento della redazione

del documento le parti non sono in grado di stabilire con certezza quale sia la
sua efficacia

probatoria, per cui viene utilizzata per affari di limitata importanza. Si deve
escludere che il

documento con firma elettronica non qualificata possa valere come atto scritto
ex Art 1350 e esso

non rileva come atto scritto ad probationem.

-Il documento con firma digitale, caratterizzata da un dispositivo che


permette di collegare in

modo certo un determinato algoritmo ad un soggetto mediante l'attestazione


del certificatore, ha

invece l'efficacia prevista dall'Art 2702.

Si ha per riconosciuta ai sensi dell'Art 2703 la firma digitale o altro tipo di firma
elettronica

qualificata, autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.


Il documento

informatico privo di firma al efficacia probatoria di cui all'arte 2712: esso fa


piena prova dei fatti e

delle cose presentate, se colui contro il quale si sia prodotto non ne disconosca
la conformità.

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CAP. VI - I VINCOLI PREPARATORI ALLA FORMAZIONE DEL CONTRATTO

SEZIONE 1: LA PROPOSTA IRREVOCABILE

1.La rilevanza del termine

Il proponente può rendere irrevocabile la proposta Per un determinato periodo:


l'atto rievocativo è inefficace qualora sia stato posto in essere entro tale
periodo ex Art 1329. Egli è libero di far

decorrere il revocabilità da un dies a quo successivo alla ricezione della


proposta. La morte o la

sopravvenuta incapacità del proponente, che ai sensi dell'Art 1330


rappresentano clausole di

caducazione automatica della proposta, salvo che il proponente medesimo sia


un imprenditore

medio grande, non incidono sull'efficacia dell'atto in esame, qualora ciò sia
compatibile con la

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natura dell'affare: avremo una sopraggiunta estinzione laddove la tipologia dei
rapporti tra le parti o altre circostanze suggeriscano la soluzione di segno
opposto.

La proposta irrevocabile ha soltanto efficacia obbligatoria, non essendo


suscettibile di trascrizione

e di conseguente opponibilità erga omnes ove attenga situazioni immobiliari. Il


proponente è che,

tradendo l'impegno assunto, perfezione nel frattempo il contratto con il terzo,


va incontro alla

responsabilità precontrattuale, la quale consente all'oblato di ottenere il ristoro


del danno da

interesse negativo ex Art 1337.

La proposta irrevocabile, dovendo adeguarsi al principio di completezza, deve


e numerare gli

elementi essenziali del negozio programmato, di modo che la mera


accettazione dell'oblato possa

perfezionare la vicenda negoziale.

L'accettazione difforme, implicando l'inversione dei ruoli, conferisce all'oblato


la veste di nuovo

proponente: essa non importa la caducazione automatica della proposta


irrevocabile, a meno che

il dichiarante l'abbia risolutivamente condizionata alla conformità della risposta


da parte dell'oblato.

Per quanto riguarda la sorte della proposta irrevocabile nel caso in cui il
dichiarante non abbia

apposto il termine finale volto a definire l'efficacia del vincolo di irrevocabilità,


secondo la teoria più radicale, il termine assumerebbe la veste di elemento
costitutivo della fattispecie, ragion per cui la sua mancanza sarebbe fonte di
nullità della clausola di irrevocabilità, con l'esito di convertire, ex Art 1424, la
proposta irrevocabile in semplice, la quale revocabile finché il contratto non sia
stato concluso.

Altri propendono per l'applicazione analogica dell'Art 1326 C2, giungendo alla
conclusione

secondo cui la proposta rimarrebbe ferma per il tempo ordinariamente


necessario tenuto conto

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della natura dell'affare o degli usi.

Vi è chi non intravide alcun ostacolo ad applicare il procedimento di fissazione


giudiziale del

termine ex Art 1183.

Alcuni autori ritengono che la proposta irrevocabile, rientrando nello schema


dell'opzione gratuita,

si perfezionerebbe ex Art 1333: essa si differenzierebbe dall'opzione tipica


sotto il profilo della

controprestazione, seppure la disciplina che regola tale contratto preparatorio


sia estensibile alla

proposta irrevocabile. Per tale motivo, in assenza di un termine, spetterà al


giudice fissarlo ex Art

1331 c2. Bisogna preferire la soluzione che riesca meglio bilanciare opposte
esigenze: occorre

salvaguardare la volontà del proponente, evitando di convertire l'offerta


irrevocabile in una

proposta semplice e serve elaborare percorsi argomentative semplificati, che


permettano alle part di gestire gli interessi patrimoniali in gioco senza l'onere
del ricorso giurisdizionale destinato

completare la fattispecie per mezzo di una decisione costitutiva.

L'opinione che meglio riesce a contemperare questi interessi e quella che


suggerisce

l'applicazione per estensione dell'art 1326 c2: non evita l'eventuale lite in
merito alla tempestività

dell'accettazione, perché non è prefissato in maniera rigida il termine finale,


essendo esso

determinabile secondo criteri fluidi, ma si permette di rendere immediatamente


operativa la

proposta ad astrarre del provvedimento integrativo del tribunale. Quantunque


La soluzione accolta non editi in assoluto le occasioni di contrasto, essa
consente all'oblato di accettare

tempestivamente la proposta dotata di immediata efficacia posto che


l'eventuale intervento del

giudice avrebbe il fine di verificare se l'accettazione stessa sia sopraggiunta


entro il termine

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ordinariamente necessario e non di completare la fattispecie negoziale.

Per quanto riguarda la sorte della proposta una volta decorso il termine di
durata della clausola di

irrevocabilità, la proposta irrevocabile tuo eccezionalmente sopravvivere alla


stregua di una

proposta semplice, laddove ciò risponda alla volontà dell'offerente.

La clausola di irrevocabilità Deve ritenersi nulla quando si è racchiusa in un


ordine sottoscritto dal

consumatore ma già predisposto dal professionista, dato che verrebbe in tal


modo espropriato

all'offerente il diritto di revocare la proposta determinando uno squilibrio


significativo a pregiudizio della parte debole. In alcuni casi è la legge stessa
che rende irrevocabile la proposta, come capita in tema di proposta diretta
all'assicuratore o di offerta pubblica di acquisto.

SEZIONE 2: L'OPZIONE

2. La funzione dell'istituto

Mentre ai sensi dell'Art 1329, l'irrevocabilità della proposta deriva dall'esclusiva

autodeterminazione dell'offerente, nel caso di opzione l'analoga irrevocabilità


trae origine dal

contratto, anziché dall'atto unilaterale, per effetto del quale al Promissario è


attribuito il diritto

potestativo di accertare la proposta, contenente tutti gli elementi essenziali del


contratto

programmato, cui il promettente è vincolato per un certo periodo (art 1331). Se


il promissario

accetta apportando variazioni alla proposta, il contratto a valle non può


ritenersi concluso, dato che tale emendamento muta l'apparente accettazione
in controproposta, la quale non estingue il

contratto preparatorio sinché non sia sopraggiunto il mutuo dissenso.

Le eventuali cause invalidanti la fattispecie a Monte (opzione) ricadono su


quella a valle (contratto

oggetto di opzione). La nullità dell'opzione si trasmette al contratto concluso


per effetto

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dell'accettazione da parte dell'opzionario; L'annullabilità importa che, accolta la
domanda di

annullamento con sentenza definitiva, venga a mancare un elemento


strutturale del contratto

collegato, sul quale si abbatte la senzione della nullità ex Art 1418 c2 -->
nullità successiva:

sopravviene per effetto della susseguente caducazione del negozio posto


all'apice della catena.

L'opzione deve rivestire la forma eventualmente richiesta per il contratto a


valle, ossia per l'intesa

programmata: è nulla l'opzione verbale concernente la proposta di vendita


immobiliare. L'onere

formale si estende all'accettazione proveniente dalla parte cui spetta tale


diritto potestativo. La

forma scritta dell'accettazione non è adatta a sanare l'eventuale invalidità del


precedente contratto di opzione mancante della solennità imposta dalla legge.

La funzione pratica del contratto di opzione identifica nell'attribuzione alla


parte favorita di un diritto potestativo. Per il perfezionamento della fattispecie
vale il meccanismo ex Art 1333. È prevista l'ammissibilità dell'opzione gratuita,
anche a favore del terzo.

La posizione in cui viene a trovarsi il beneficiario dell'opzione è alimentata dal


contratto: essa è

cedibile se vi è il consenso della parte vincolata, a differenza della situazione


del destinatario della

proposta irrevocabile, la quale non è suscettibile di atti dispositivi non essendo


radicata in un

vincolo contrattuale. Ambedue le posizioni sono suscettibili di trasferimento a


causa di morte o

della preferenza sia saldata ad un rapporto scindibile dalla persona del debitore
o del creditore.

L'eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto oggetto della proposta


incorporata nell'opzione

gratuita legittima il promittente ad i rimedi previsti nell'Art 1468, prima della


scadenza del termine di efficacia della clausola di irrevocabilità. Non occorre
attendere che il beneficiario della proposta si determini ad accettarla per
reagire al sopraggiunto squilibrio economico. Il promettente può

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tutelarsi in via di prevenzione tramite il rimedio che precede. Se, al contrario, lo
squilibrio penalizza l'opzionario, È sufficiente che questi non eserciti il diritto
potestativo; in caso contrario e gli andrebbe deliberatamente incontro al
cambiamento.

Il contratto di opzione, come la proposta irrevocabile, essendo dotato di pura


efficacia obbligatoria, non è trasferibile qualora abbia ad oggetto diritti reali
immobiliari.

Ciò non toglie che il complimento per opera del promettente di un atto
inconciliabile con il vincolo

preparatorio integri gli estremi della violazione dell'impegno assunto, da cui


discende la

responsabilità per danni, a titolo di inadempimento contrattuale, arrecati al


titolare del potere di

accettare. Ne deriva l'obbligazione negativa di non compiere azioni volte a


estinguere il diritto

potestàtivo spettante all'opzionario A causa della totale trasformazione,


alienazione o distruzione

del bene oggetto della proposta enunciata nella promessa.

Non sono estensibili le regole proprie della culpa in contrahendo. Ove si dia per
ammessa la natura contrattuale della responsabilità dell'opzionante E si voglia
estendere la responsabilità (aquiliana) al terzo a titolo di consapevole
cooperazione nell'inadempimento del suo dante causa riguardo al vincolo
preparatore sottostante, l'oblato potrebbe ottenere la retrocessione del diritto
qualora si ritenesse applicabile alla vicenda il meccanismo ex articolo 2058,
ovvero il risarcimento in forma specifica.

3. Il termine

Nell'eventualità che gli stipulanti non abbiano indicato il termine di durata del
vincolo, ciascuna

parte può ricorrere al tribunale per integrare l'elemento mancante (art 1331)
nei limiti derivanti dalla prescrizione decennale, il cui decorso estingue il diritto
potestativo conferito all'oblato.

L'intervento giudiziale non hanno natura meramente dichiarativa costitutiva del


termine: finché non si sia perfezionata l'estinzione, è precluso al magistrato di
fare ciò che gli permetterebbe l'Art 1183, ossia di considerare già decorso un
periodo sufficientemente esteso secondo i parametri della normale tollerabilità
e dichiarare quindi decaduto l'oblato Dall'esercizio del diritto.

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Cosa accade nell'ipotesi di accettazione tardiva? È applicabile analogicamente
la disposizione ex

Art 1326 c3 oppure la suddetta accettazione vale come nuova proposta?

L'art 1326 c3 introduce una regola utile a semplificare la fattispecie costitutiva,


malgrado l'originaria inefficacia dell'accettazione, la quale ultima basa il
rapporto obbligatorio se il proponente adempia l'onore di comunicare per
tempo alla controparte la propria volontà di considerarla comunque vincolante.
Non si individuano ostacoli ad estendere quest'ultima regola all'opzione.
L'accettazione oltre i tempi in ambedue i casi richiede ulteriore manifestazione
di volontà del proponente. Ciò che accomuna le due varianti è la
manifestazione dell'interesse della parte alla nascita del rapporto a valle.

SEZIONE 3: IL CONTRATTO NORMATIVO

4. Funzione e natura dell'istituto

Il contratto normativo ha ad oggetto la disciplina quadro di futuri contratti:


tramite questa fattispecie negoziale le parti si impegnano anticipatamente a
dare ai programmati contratti il contenuto forgiato nel modello tipo. Esso è
bilaterale quando il vincolo riguarda le stesse parti, mentre è unilaterale ove
concerne la disciplina dei contratti che una delle parti stipulerà con i terzi. Si
caratterizza per la libertà in merito alla decisione di stipulare i contratti a valle,
fatta salva

l'obbligazione di uniformare la disciplina alle clausole espresse nell'intesa a


monte. È un contratto

fonte di una obbligazione potestativa, sospensivamente e reciprocamente


condizionata alla

determinazione di ciascuna parte di stringere l'intesa programmata tramite


l'anticipata

predisposizione delle clausole regolamentari. L'eventuale rifiuto a stipulare i


singoli accordi non è

fonte di responsabilità, a meno che affiorino gli estremi della culpa in


contrahendo.

Attraverso il contratto normativo bilaterale le parti legate da stabili relazioni


commerciali di

contenuto sostanzialmente simile, evitando di dover rinnovare la trattativa per


ogni singola bordo

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esecutivo. Se il contratto normativo è unilaterale, l'interesse perseguito da uno
dei contraenti risponde al bisogno di assicurare il contenuto uniforme Dei futuri
rapporti negoziali tra la controparte e i terzi.

Tali intese ostacolano la libera concorrenza tra le imprese, impegnando le parti


ad allontanarsi

dalla disciplina antecedentemente stipulata --> normativa antitrust.

La violazione della promessa assunta da chi ha aderito al contratto normativo


unilaterale non è in

grado di interferire sul vincolo perfezionato con il terzo (art ex art 1372), fermo
restando la

responsabilità a titolo di inadempimento. Quando la parte abbia dato


attuazione al normativo

Unilaterale, praticando alla propria clientela praticanti i prezzi concordati con le


imprese rivali

partecipanti al cartello, la nullità di quest'ultimo non ricade automaticamente


sui singoli contratti a valle (nullità derivata).

Queste ultime intese non sono soggette all'autonoma causa di invalidità


dipendente dal loro

contrasto con l'ordine pubblico economico. I consumatori sono inizialmente


all'oscuro dell'intesa

monopolistica: L'elemento patologico precede l'accordo finale inquinandolo


sotto il profilo

dell'attentato al pieno sviluppo della competizione tra imprese. Il consumatore


non può lamentare

una lesione diretta al diritto fondamentale di conservazione di un mercato


libero e virtuoso nella

fase costitutiva dell'accordo, posto che la patologia sta al di fuori del contratto
a valle, essendo

ravvisabile nell'intesa occultata agli occhi dei terzi. I danneggiati, mediante


l'azione risarcitoria,

potranno chiedere la rifusione delle perdite pari alla differenza tra prezzo
monopolistico il prezzo

concorrenziale. L'ipotesi della nullità creerebbe un doppio danno, nel senso che
oltre a

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pregiudicare la sicurezza degli scambi, lederebbe l'interesse dei consumatori
finali, i quali per

effetto della nullità, dovrebbero restituire quanto ricevuto.

È dubbia la autentica natura contrattuale dell'accordo normativo, perché da


esso non sorgerebbe a carico delle parti alcun vincolo obbligatorio immediato,
essendo libere di stipulare gli accordi

esecutivi del progetto pattuito. Il vincolo sorgerebbe mediatamente, ossia una


volta che le parti

stesse essi sono liberamente determinati a perfezionare i singoli accordi. È un


meccanismo

procedimentale, la cui funzione esaurirebbe nell'iter di formazione del contratto


esecutivo

racchiudente la disciplina già plasmata dalle medesime parti.

Senonché, l'accordo normativo, a differenza del preliminare, non impegna a


stipulare futuri

contratto, ma esso è comunque idoneo a generare un'obbligazione (di secondo


grado, incidendo

non sull'atto ma sul rapporto), concretantesi nella ripetizione del contenuto


prefissato. Questa

obbligazione, sospensivamente condizionata alla volontà delle parti di


concludere il contratto

esecutivo, è perfetta, risultando insuscettibile di essere ridotta a mero


frammento della fase

formativa del contratto. Il rifiuto opposto da uno degli stipulanti a concludere


ulteriori intese a valle, può integrare gli estremi della culpa in contrahendo (art
1337). Nei rapporti commerciali, la posizione del ripudiante sarà aggravata
dall'eventuale stipulazione di contratti analoghi con i concorrenti dell'altra
parte.

5. Vicende patologiche

Il problema ruotante attorno alla natura di contratto normativo bilaterale


assume rilevanza ai fini

dell'eventuale ripercussione sui singoli contratti delle cause invalidanti l'intesa


quadro. Se si

dovesse ritenere che quest'ultima non costituisca un'autonoma fattispecie


contrattuale, rappresenti una fase del processo di formazione delle convenzioni

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esecutive, verrebbe allora a mancare il presupposto legittimante il
collegamento genetico e la conseguente trasmissione dei vizi invalidanti il
rapporto sottostante. Le singole intese potranno comunque essere impugnate
in quanto affetta da vizi autonomi.

Deve essere preferita la soluzione opposta, che individua il collegamento


necessario tra l'intesa

quadro e i singoli accordi a valle, i quali recepiscono il contenuto della prima. Il


diritto giudiziale

sancisce che la nullità dell'accordo normativo È destinata a ripercuotersi sui


singoli rapporti a valle.

SEZIONE 4: LE PRELAZIONI

6. La prelazione volontaria

Tramite il patto di prelazione il promittente (prelazionante) si obbliga a


preferire, a parità di

condizioni, il promissario (prelazionario) nella stipulazione di un determinato


contratto.

Il corrispettivo non è un elemento essenziale della fattispecie, la quale tollera


tanto la variabile

onerosa tanto quella gratuita. Il diritto di preferenza, che è suscettibile di


rinuncia prima che si verifichi il presupposto per il suo esercizio, è trasmissibile
tra vivi conformemente alla legge che governa la cessione delle posizioni
contrattuali; l'erede del favorito subentra nel contratto se il rapporto dedotto
nell'intesa preparatoria non si basi sull'intuitus personae.

Si esclude che da questo patto discende dall'obbligazione negativa in capo al


promettente di non

trasformare la cosa: la prelazione non limita il potere di godimento del bene


oggetto di preferenza,

posto che il promettente si è unicamente impegnato a preferire senza che ciò


importi alcuna

compressione dei diritti dominicali. La radicale trasformazione della cosa o la


sua distruzione,

rappresentano causa di estinzione del vincolo obbligatorio, fatta salva


l'eventuale responsabilità

per i danni. Il promettente può tuttavia obbligarsi a non mutare lo status quo.

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Il prelazionante, prima di stringere l'accordo con il terzo, deve comunicare al
preferito le condizioni dell'intesa programmata con l'estraneo (denuntiatio), in
modo da permettergli L'esercizio del diritto potestativo. La denuntiatio È
accostabile alla proposta vincolata, la quale soddisfa l'impegno preso dal
promettente.

È una fattispecie dotata di pura efficacia obbligatoria: essa non è suscettibile


di trascrizione ove

abbia ad oggetto diritti immobiliari. Il prelazionario pretermesso potrà


unicamente esperire l'azione di risarcimento del danno da inadempimento
contrattuale verso il promettente infedele, ed eventualmente contro il terzo ex
Art 2043, laddove quest'ultimo fosse stato colpevole della

violazione perpetrata cooperando nell'inadempimento.

Il promettente non assume alcun obbligo di promuovere o assecondare


trattative con i terzi.

Preferirei non significa ridurre la propria libertà di disporre: significa accordare


un trattamento di

favore, che si sostanzia nella chances a vantaggio di una determinata persona


di stipulare il

contratto alle stesse condizioni offerte dal terzo. Il mancato sfruttamento di


questa possibilità

implica la restaurazione della libertà di scelta della controparte.

Alcuni interpreti non avvertono la necessità di enumerare il termine di efficacia


del vincolo

obbligatorio (dies a quem) tra gli elementi essenziali della fattispecie.

Bisogna tuttavia considerare che la prelazione può scoraggiare i terzi, se ne


siano a conoscenza,

dal promuovere negoziati con l'obbligato. Il prelazionante deve ex fide bona


comunicare

tempestivamente al terzo il diritto di preferenza, siccome la tardiva allegazioni


del patto quale

causa volta giustificare l'interruzione del negoziato non emancipa il recedente


dalla responsabilità

a titolo di culpa in contrahendo. Per evitare la nullità del patto di prelazione per
lesione della libertà contrattuale, essendo pacifico che nessun individuo può
essere vincolato alla lex contractus Per periodi straordinariamente estesi o in
perpetuo, tenuto conto del fatto che il patto, pur non limitando il diritto di

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disposizione, pone un intralcio mediato alla libera circolazione della ricchezza
sotto il profilo della scelta della controparte, è fondato riconoscere alla parte
interessata il diritto di chiedere all'autorità giudiziaria ex Art 1133
l'integrazione dell'estremo mancante, A meno che la preferenza sia collegata
ad un rapporto avente durata definita: in tale ipotesi il termine è desumibile
per relationem dall'estensione temporale del vincolo obbligatorio principale.

7. La prelazione impropria

Se il promittente, prima di vendere L'immobile al terzo, si sia impegnato ad


offrirlo al promissario

ad un prezzo determinato, siamo di fronte ad una prelazione impropria, dove


sfuma il requisito

della parità di condizioni: lo stipulante preferito potrà decidere di perfezionare


l'intesa

disinteressandosi del corrispettivo offerto o accettato dal terzo.

Qualora fosse condivisa la tesi secondo cui questa caratteristica non sia idonea
ad essere

classificata tra gli elementi immancabili della fattispecie, svanirebbe ogni


remora ad ammettere

prelazioni permeate dalla disparità di trattamento, entro il limite della


meritevolezza degli interessi.

Tuttavia, la prelazione impropria si riflette in modo incisivo sulle libertà


contrattuale del

prelazionante, il quale viene sottoposto ad un'obbligazione di preferenza a


condizioni economiche

già prefissate, che finiscono con il porre un limite indiretto alla circolazione del
bene oggetto del

vincolo obbligatorio. La soggezione di questa fattispecie all'Art 1341 c2 cc e


all'art 33 cod.cons.

8. Le prelazioni legali: l'efficacia reale (ius retractionis)

Nei casi in cui è la legge a riconoscere ad uno specifico soggetto il diritto


potestativo di prelazione,

questi può opporlo al terzo. Tale tipologia di prelazioni, avendo efficacia reale,
permette al favorito, attraverso il diritto di riscatto, di ottenere il trasferimento
della cosa nella sua sfera di

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appartenenza: non subentra il retraente nel contratto vincolante le parti
originarie, posto che il

mutamento di titolarità conseguente all'esercizio della preferenza, essendo


essa imposta dalla

legge, discende dalla cessione della posizione di parte, ma dall'esercizio della


potestà e fondata

sulla norma generale e astratta.

L'utile esercizio della potestà di riscatto ha efficacia erga omnes, comportando


la surrogazione

legale del riscattante nella stessa posizione del riscattato con effetti retroattivi,
cioè dalla

conclusione del contratto. Il riscattante, che deve restituire il prezzo al terzo, è


considerato diretto

acquirente rispetto all'alienante nella stessa posizione del riscattato con effetti
retroattivi, cioè dalla conclusione del contratto. Il riscattante, che deve
restituire il prezzo al terzo, è considerato diretto acquirente rispetto
all'alienante; tutte le ulteriori alienazioni non sono opponibili al primo

indipendentemente dalla trascrizione dell'originario atto dispositivo o dalla


priorità dell'eventuale

trascrizione dei successivi negozi traslativi.

Il preferito dalla legge può rinunciare alla prelazione prima che gli venga
notificata la proposta di

alienazione, in quanto si ritiene che egli si limiti ad abdicare a un diritto di cui


è pienamente titolare. Una parte della dottrina tende invece a distinguere la
prelazione ereditaria dalle altre ipotesi di prelazione legale, qualificate da un
interesse di natura generale anziché strettamente individuale. Dopo la
denuntiatio il disinteresse del preferito non determina rinuncia ma semplice
mancato esercizio della potestà. La forma è libera perché in nessuna ipotesi si
verifica uno spostamento di diritti reali immobiliari.

L'azione di riscatto, se non è diversamente previsto, si estingue decorso di 10


anni dal contratto di

alienazione che ne da causa.

9. Le singole ipotesi: la prelazione ereditaria

Ai sensi dell'Art 732 il coerede, che vuole alienare a un terzo la sua quota O
parte di essa, deve

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notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i
quali hanno diritto di

prelazione. Questo diritto va esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle
notificazioni

(spatium deliberandi).

Se l'eredità comprende beni immobili la denuntiatio Deve essere redatta per


iscritto a pena di

nullità. In mancanza della notificazione (denuntiatio) I coeredi hanno diritto di


riscattare la quota

dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di


comunione ereditaria

(retratto successorio). Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di


riscatto sono più, la quota

è assegnata a tutti in parti uguali. La legge vuole evitare il subingresso di un


estraneo nella

comunione incidentale.

La prelazione ereditaria è esclusa quando la vendita effettuata da uno o più


dei coeredi non

riguardi una o più quote ereditarie, ma abbia ad oggetto quote di un bene in


parte sottoposto alla

comunione ereditaria e in parte costituente un'autonoma comunione ordinaria.

Questo diritto non è invocabile quando il testatore abbia effettuato la divisione,


percettibile anche

tramite l'assegnazione ad un gruppo di discendenti di un certo bene in


comunione, siccome questa

contitolarità di diritti reali è diversa da quella ereditaria, traendo la sua origine


non dalla

successione a causa di morte ma dall'atto dispositivo-attributivo con effetto


reali.

Grazie al rinvio enunciato dall'art 230 bis all'art 732, il partecipe all'impresa
familiare, che non sia

stato messo in condizioni di far valere il proprio diritto di prelazione in sede di


trasferimento

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dell'azienda per atto tra vivi, è legittimato ad esercitare il riscatto nei confronti
del terzo cessionario.

10. La prelazione agraria

In caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi


dati in affitto a

coltivatore diretto, l'affittuario, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione


qualora ricorrano i

presupposti ex Art 8 l.590/1965.

Il proprietario è tenuto a notificare per iscritto al preferito la proposta di


alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita, dove devono essere
indicati il nome dell'acquirente e il prezzo di

vendita. Il coltivatore, se ne ha interesse, deve esercitare il suo diritto entro il


termine di 30 giorni.

Se il proprietario omette tale notificazione o il prezzo indicato sia superiore a


quello risultante dalla compravendita, l'avente titolo al diritto di prelazione,
entro un anno dalla trascrizione della

medesima compravendita, può riscattare il fondo dell'acquirente e da ogni altro


successivo avente

causa. L'art 7 c2 l.817/71 ha esteso la prelazione legale alle coltivatore diretto


proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi
non siano insediati affittuari o enfiteuti coltivatori diretti: in queste ipotesi la
legge intente assicurare l'accesso alla proprietà della terra d parte di chi la
coltiva.

11. La prelazione urbana

Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile


destinato ad uso

commerciale o artigianale, deve darne comunicazione (denuntiatio) Al


conduttore con atto

notificato mediante ufficiale giudiziario (art 39 l.392/78).

Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo in denaro, le altre


condizioni alle quali

la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare il diritto di


prelazione.

La ratio legis della prelazione urbana si individua nell'intenzione di favorire


l'interesse del

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conduttore l'immobile destinato all'attività commerciale o artigianale ad
acquistarne la proprietà,

così da garantire la conservazione delle attività produttive di beni o servizi. Si


deve trattare di

un'attività comportante diretto contatto con il pubblico.

Il conduttore, avendone interesse, può esercitare tale diritto entro il termine di


60 giorni dalla

ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario per mezzo di


ufficiale giudiziario,

offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli. Ove il diritto di prelazione sia


attuato, il

versamento del prezzo d'acquisto deve essere eseguito entro il termine di 30


giorni decorrenti dal

60º giorno successivo a quello dell'avvenuta notificazione della comunicazione


da parte del

proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita


o del contratto

preliminare. Nel caso in cui l'immobile risulti locato a più persone (pluralità di
conduttori), la denuntiatio Deve essere notificata a ciascuna di esse. Il diritto di
prelazione può essere esercitato congiuntamente da tutti conduttori ovvero dai
rimanenti o dal rimanente conduttore (se qualcuno rinuncia). L'avente titolo
che, entro 30 giorni dalla notificazione, non abbia comunicato agli altri aventi
diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione, si considera rinunciante
alla prelazione medesima. Queste regole non si applicano nelle ipotesi ex Art
732 e nell'eventualità di trasferimento perfezionato a favore del coniuge o dei
parenti entro il secondo grado.

Laddove il proprietario non provveda alla notificazione oppure il corrispettivo


indicato sia superiore a quello risultante Dall'atto di trasferimento a titolo
oneroso, L'avente diritto alla prelazione, entro sei mesi dalla trascrizione del
contratto, può riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo
avente causa (art 39 l.392/78).

I diritti di prelazione e di riscatto non sono invocabili qualora la linea azione


riguardi l'intero edificio nel quale si trova l'immobile locato o una parte dello
stabile medesimo costituente un complesso unitario, con l'individualità propria
diversa da quella della singola unità locata (vendita in blocco); possono
essere fatti valere se la vendita riguardi più unità immobiliari appartenenti al
medesimo edificio ma non strutturalmente omogenea e ne funzionalmente
coordinate (vendita cumulativa). Analoga prelazione viene riconosciuta al
conduttore di immobili destinati a uso abitativo in ipotesi di diniego di rinnovo

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del contratto alla prima scadenza scaturente dall'intenzione del locatore di
vendere a terzi.

12. Presupposti

Il Ministro per i beni e le attività culturali o la regione o gli altri enti pubblici
territoriali interessati,

hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i Beni Culturali alienati a titolo


o conferiti in società,

rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione O al


medesimo valore

attribuito nell'atto di conferimento. La prelazione è invocabile anche quando il


bene sia stato

indotto in un accordo di Datio in solutum.

Qualora il bene sia alienato assieme ad altri per corrispettivo unitario ossia
ceduto senza

previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il valore


economico è

determinato da ufficio dall'istituzione che esercita la preferenza. Se L'alienante


non ritenga di

accettare la determinazione, il valore economico della cosa è stabilito da un


terzo, designato

concordemente dal alienante e dal preferito. Se le parti non si accordano per la


nomina del terzo, o per la sua sostituzione qualora il terzo nominato non voglia
o non possa accettare il mandato, la

nomina effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribunale
dell'luogo in cui è

stato concluso il contratto. Le spese che ne conseguono sono anticipate dal


alienante. La

determinazione del terzo è impugnabile in caso di errore o di manifesta


iniquità.

13. Modi di esercizio della prelazione

La prelazione può essere fatta valere nel termine di 60 giorni dalla data di
ricezione della

denuntiatio ex art 59 c.beni.cult. Tra le parti private l'effetto traslativo è per


legge sospensivamente condizionato alla determinazione dell'ente pubblico.
Durante tale sospensione è fatto divieto all'alienante di consegnare la cosa

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oggetto di prelazione. L'esercizio del diritto di prelazione importa la nascita in
capo all'istituzione favorita dall'acquisto immediato del bene, con la
consequenziale caducazione del rapporto obbligatorio pendente tra alienante
e avente causa,

completato da una condizione legale sospensiva.

Nel caso in cui la denuncia sia stata omessa, presentata tardivamente oppure
risulti incompleta, la

prelazione è esercitabile nel termine di 180 giorni dal momento in cui il


ministero competente ha

ricevuto la denuncia tardiva o a comunque acquisito tutti gli elementi


costitutivi della stessa ai

sensi dell'Art 59 c4 c. beni culturali.

Entro questi termini il provvedimento con cui viene esercitata la preferenza e


notificato all'alienante e all'acquirente. La proprietà passa allo stato dalla data
dell'ultima notifica (acquisto ope legis). Qualora il ministero per i beni e le
attività culturali facesse valere la prelazione su parte delle cose alienate,
L'acquirente avrebbe facoltà di recedere dal contratto.

SEZIONE 5: IL CONTRATTO PRELIMINARE

14. Funzione

Il contratto preliminare impegna le parti a stipulare l'intesa definitiva entro un


determinato periodo: è possibile stringere il vincolo proiettato al definitivo e
disporre del tempo da impiegare per le attività accessorie quali la ricerca di
documenti necessari ai fini dell'atto pubblico, della provvista destinata al
pagamento O di un terzo cui ritrasferire il bene oggetto della promessa.

Il promittente non può alterare il bene oggetto dell'intesa preparatoria,


dovendo custodirlo in modo da conservarne le caratteristiche strutturali,
funzionali e giuridiche originarie o pattuite.

L'obbligazione di prestare il consenso per l'accordo Che chiude la sequenza


procedimentale può:

- gravare ambedue le parti -->preliminare bilaterale;

- gravare soltanto uno dei due contraenti --> preliminare unilaterale: si


differenzia dal contratto

di opzione perché non ha ad oggetto una proposta irrevocabile, ma il vincolo


del promittente di

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prestare il consenso in vista del definitivo. Se l'obbligazione traslativa è stata
assunta solo dal

promittente, allora l'altra parte potrà valutare con maggiore serenità la


convenienza dell'affare.

I requisiti di capacità previsti per il definitivo si estendono al preliminare.

In ipotesi di inadempimento la parte legittimata può chiedere al tribunale di


emanare la sentenza

costitutiva, che tenga luogo al contratto, avente ad oggetto una cosa


determinata, non è stipulato a causa della violazione della promessa perpetrata
Dall'altro stipulante (art 2932) oltre al ristoro dei danni (art 1223).

L'offerta della prestazione ex Art 2932 esigibile soltanto alla data fissata per il
definitivo, può

ritenersi sottintesa alla domanda di esecuzione in forma specifica


dell'obbligo di concludere il

contratto a valle. Se il giudice l'accoglie, condizionerà sospensivamente


l'effetto traslativo al

versamento del corrispettivo. Se sia stata convenzionalmente esclusa la


possibilità di domandare

l'esecuzione in forma specifica del definitivo, in caso di inadempimento il


danneggiato potrà

unicamente optare per il ristoro del pregiudizio patrimoniale.

La parte, che ignorando l'invalidità del preliminare, si determini a stipulare il


definitivo in

adempimento dell'obbligazione assunta precedentemente, può impugnare


quest'ultimo contratto

per errore di diritto (art 1429 n4). Se il vizio inficiante l'intesa preparatoria
risulti egualmente

presente nell'accordo esecutivo, allora anche quest'ultimo sarà nullo.

Qualora sia stato stipulato il preliminare di compravendita, anche


immobiliare, a favore del terzo,

questi deve ritenersi legittimato a chiedere l'esecuzione contro il promettente,


gravando

l'obbligazione di pagare il prezzo in capo allo stipulante. Può darsi che le parti
abbiano stabilito che il prezzo debba essere pagato successivamente al
definitivo (termine di adempimento): la sentenza dovrà adeguarsi a questa

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clausola ripetendone il contenuto e il giudice non potrà condizionare l'effetto
reale al futuro pagamento, se non a costo di alterare il contenuto dell'intesa e
la partizione dei rischi valutata come equa dalle parti.

Se lo obbligazione corrispettiva assunta dal promissario acquirente sia già


maturata al momento

dell'instaurazione del contraddittorio, questi è tenuto offrire la Debbie mento


per mezzo della

introduttivo del giudizio civile. Il promittente in caso di mancato pagamento


potrà efficacemente

opporsi alla domanda sollevando l'eccezione di inadempimento contrattuale.

Il rapporto contrattuale con effetti traslativi trai origine dal provvedimento del
giudice (origine

giudiziale): alla sentenza costitutiva del vincolo negoziale oggetto del


preliminare e quindi

applicabile il rimedio della risoluzione di diritto comune ex Art 1453, allorché il


promissario non

paghi il prezzo, laddove il passaggio di proprietà sia stato sospensivamente


condizionato

all'adempimento di quest'ultima prestazione.

Il giudicato formatosi sulla pronuncia di rigetto della domanda di esecuzione in


forma specifica a

causa del mancato adempimento o della mancata offerta della prestazione


dovuta dal promissario, non impedisce la successiva rinnovazione della
medesima domanda se, nel frattempo, l'attore abbia sanato l'inadempimento:
il giudicato copre il dedotto e il deducibile con esclusivo riguardo alla situazione
esistente all'epoca della decisione (art 2909) senza precludere la deduzione di
nuove circostanze che sanano le antecedenti preclusioni di diritto sostanziale.

Il rimedio dell'esecuzione in forma specifica non è invocabile in caso di


preliminare di cosa futura,

qualora sia stata trasgredita la correlata obbligazione di fare, A meno che non
venga richiesta una

sentenza soggetta alla condizione sospensiva dell'evento futuro e incerto.


Questo escamotage e

impraticabile quando le parti abbiano sospensivamente condizionato il


definitivo alla venuta in

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essere dei beni oggetto della promessa traslativa.

15. Formalismo negoziale e disciplina urbanistica

L'Art 1351 si limita a stabilire che per il contratto preliminare vale il requisito
formale previsto a

pena di nullità con riguardo al definitivo: il preliminare è a forma libera se il


definitivo è oggetto alla forma scritta ai fini probatori; se per il definitivo è stata
scelta una forma convenzionale ex Art

1352, il preliminare resta forma libera, siccome l'Art 1351 circoscrive la propria
gittata al

formalismo legale. Riguardo alle modifiche dei patti accessori, esse possono
essere concordate anche verbalmente, fermo restando il divieto di trarre
elementi conclusivi e concludenti dal mero silenzio dall'oblato. Sussiste un
problema relativo all'applicabilità degli oneri formali di cui agli Art 46, in tema
di trasferimento di edifici, e 30 in tema di trasferimenti di terreni, t.u. Edil. Se
si propendesse per la biunivocità delle forme occorrerebbe dare una risposta
positiva al quesito. All'analogo esito si potrebbe addivenire conducendo la
riflessione sui binari degli interessi sostanziali coinvolti nel preliminare di
compravendita immobiliare, perché se è vero che esso ha effetti meramente
obbligatori, non va dimenticato che il promissario acquista un'aspettativa reale
opponibile ai terzi entro i limiti ex Art 2645 bis.

La dominante giurisprudenza di legittimità ha invece disconosciuto la


possibilità di applicare le

precitate disposizioni al preliminare di compravendita di suoli e edifici, in


quanto esse sono state

previste solo con riguardo alle vicende negoziali destinati a produrre immediati
effetti reali. Ciò non toglie che le parti condizionino l'obbligazione traslativa Al
mutamento di destinazione urbanistica del fondo promesso.

Questa interpretazione non implica che si possa dare esecuzione alla promessa
in forma specifica

(art 2932) eludendo le regole dettate dalla legislazione speciale (art 30 e 46 tu


Edil), poste a tutela

del compratore per garantirgli la conoscenza dell'attuale situazione urbanistica


concernente

l'immobile negoziato. L'inosservanza delle predette formalità (certificato di


destinazione

urbanistica, permesso di costruire e simili) in seno all'azione ex Art 2932 rende


la domanda

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immeritevole di accoglimento.

L'orientamento segregante il formalismo di cui alla legislazione urbanistica


nell'area del contratto

traslativo, non legittima la deduzione della validità del preliminare avente ad


oggetto un immobile

abusivo: i giudici ritengono che la promessa di vendere un edificio non


suscettibile di sanatoria o

radicalmente difforme dal permesso di costruire, Sia affetta da nullità al pari


della compravendita

riguardante il medesimo bene.

Parte della giurisprudenza pratica ritiene applicabile l'Art 15 l.10/77, Che


decreta la nullità degli atti giuridici aventi ad un oggetto unità edilizie costruite
in totale difformità o assenza della concessione o da essi non risulti che
l'acquirente era conoscenza della mancata concessione: questa nullità non
sarebbe invocabile se il promissario compratore fosse a conoscenza dell'abuso
E se tale conoscenza immergesse dalla della cui nullità si dibatte.

È legittimo il rifiuto opposto dal promissario acquirente alla stipula del


definitivo allorché lamenti

L'assenza del certificato di agibilità: ne la fondatezza della sua domanda di


risoluzione stante

l'interesse a ottenere il trasferimento di un bene conforme alla destinazione


concordata o sottintesa.

16. Trascrizione e privilegio

L'Art 2645 bis ha consentito la trascribilità del preliminare avente ad oggetto


uno dei contratti

elencati nei numeri da 1 a 4 art 2643, quantunque sottoposti a condizione o


concernenti edifici da

costruire o in corso di costruzione.

La pubblicità del negozio obbligatorio prende opponibile erga omnes il diritto


all'acquisto spettante al promissario acquirente.

Tale opponibilità viene meno con effetto ex tunc se entro un anno dalla data
concordata per l'intesa finale, in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione del
preliminare, non sia stata eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di
altro atto che costituisca esecuzione dell'accordo

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preliminare o della domanda giudiziale ex Art 2652 c1 n2. Questo limite
temporale risponde all'esigenza di ordine pubblico volto ad evitare che sul
bene promesso venga a crearsi un vincolo reale di destinazione nell'interesse
dei beneficiari della prestazione di dare, il quale, ove si estendesse per periodi
eccessivi, finirebbe con lo snaturare la posizione di dominio del dante causa,
anche a scapito dei suoi creditori.

Da qui la regola secondo cui l'opponibilità del ius ad rem E delle altre situazioni
patrimoniali

connessi è risolutivamente condizionata alla trascrizione del definitivo o della


domanda di

esecuzione ex Art 2932. L'estinzione può essere anche d'ufficio.

Sempre il preliminare è racchiuso in una scrittura privata, il promissario


acquirente può trascrivere

immediatamente la domanda di verificazione e, al fine di raggirare l'effetto


istintivo, chiedere

cumulativamente l'adempimento della promessa traslativa, assodato che il


termine per

l'esecuzione della promessa deve essere maturato al momento della decisione


e non all'ipotesi

dell'instaurazione del contraddittorio.

È importante la conformità tra domanda giudiziale risultante dalla nota di


trascrizione e

provvedimento magistraturale destinato ad essere fatto valere erga omnes:


L'opponibilità si fonda

sulla sequenza di tali atti e sulla rispondenza contenutistica. Se dopo la notifica


e trascrizione della

citazione le parti perfezionino il definitivo tramite atto pubblico, la pubblicità di


quest'ultimo, ove

intervenuta oltre il triennio, lunedì taralli estinzione. Ci dev'essere sintonia di


contenuti essenziali

tra preliminare trascritto e definitivo, laddove variazioni secondarie che


tocchino taluni elementi

accessori non intaccano l'additata consonanza.

La trascrizione del preliminare rinnovato a ridosso del triennio produce effetti


ex nunc.

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Nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento del promittente, I
consequenziali crediti

della controparte sono muniti di privilegio speciale sul bene immobile


promesso, sempre che gli

effetti della trascrizione non siano decaduti all'epoca dello scioglimento


Dell'intesa risultante da

atto avente data certa, ovvero al momento della domanda giudiziale di


risoluzione del contratto o di condanna al pagamento, ovvero al momento della
trascrizione del pignoramento o dell'intervento nell'esecuzione promossa da
terzi (art 2775 bis).

Deve essere preferita l'opinione che circoscrive la causa di prelazione ai crediti


ex ante accertabili

tramite la lettura della nota di trascrizione, fra cui quelli sottesi dalla condictio
indebiti (art 2033) E

le somme dovute a titolo di clausola penale o di caparra confirmatoria, perché


i terzi devono

essere messi nella condizione di valutare l'entità del privilegio in ipotesi di


futuro inadempimento

imputabile al promittente venditore.

Il privilegio non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui


erogati al promissario

acquirente per l'acquisto del bene immobile, nonché ai creditori garantiti da


ipoteca ex Art 2825

bis: il legislatore ha voluto preferire i creditori, i quali hanno contribuito alla


realizzazione

dell'edificio poi messo in vendita.

Il privilegio speciale riconosciuto al promissario prevale sull'ipoteca iscritta


sull'immobile promesso

(art 2748 c2), fatta salva l'eccezione ante detta collegata all'ipoteca Che
garantisce il mutuo di

scopo concesso al promissario per l'acquisto dell'edificio o il finanziamento


edilizio a favore del

promettente alienante entro i limiti dell'accollo del debito e da parte del


Promissario compratore.

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Secondo l'orientamento della giurisdizione di legittimità, l'art 2748 c2 non
sarebbe estensibile al

privilegio in esame perché quest'ultimo sottostà al meccanismo della pubblicità


costitutiva e

sarebbe quindi informato al principio prior in tempore potir in iure.

Il punto debole di questa tesi è che la prevalenza accordata al privilegio


rispetto all'ipoteca sembra

prescindere dalla fonte del privilegio stesso o della sua vicenda costitutiva. Per
suffragare

l'indirizzo predicato si afferma che la causa di prelazione sia nella specie


accordata a tutela di

interessi unicamente individuali, quali sono quelli correlati al creditore del


promissario compratore.

Questa motivazione si espungere dalla region tutela di interessi unicamente


individuali, quali sono

quelli correlati al creditore del promissario compratore. Questa motivazione


espungere dal

ragionamento giuridico l'argomento che permette di affermare che il medesimo


criterio assume una rilevanza sotto il profilo dei diritti fondamentali della
persona. Prova ne sia che attraverso l'accordo preliminare l'avente causa metta
a profitto i propri risparmi allo scopo di ottenere la titolarità dell'abitazione, per
avere una vita libreria e dignitosa.

Non vi è unità di vedute in merito alla trascrivibilità del preliminare unilaterale:


parte della dottrina propende per la soluzione positiva limitatamente all'ipotesi
in cui la promessa sia stata assunta dal futuro alienante. È però ingiustificata
questa lettura restrittiva: se la disciplina in esame vuole proteggere il
promittente compratore conferendogli la tutela reale del ius ad rem nonche una
causa legittima di prelazione in caso di inadempimento imputabile alla
controparte, non c'è ragione per circoscrivere l'ambito di applicazione della
norma al vincolo addossato esclusivamente al dante causa.

17. Il preliminare di vendita di cosa comune

Nel caso in cui il comproprietario di un immobile si obblighi a vendere l'intero


bene in nome

proprio, ci si interroga se il promissario acquirente possa pretendere il


trasferimento della quota

pro indiviso che appartiene al dante causa, allorché questi non riesca nel
progetto di persuader e

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gli altri condomini a vendere le rispettive quote.

Si tratta di un preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui, caratterizzato


dalla circostanza che le parti hanno inteso dedurre nel contratto ad effetti
obbligatori l'intero bene, indipendentemente dalla circostanza che il
promissario fosse a conoscenza delle regime di comunione. A parere della
massima, in questa vicenda mancano i presupposti per l'accoglimento della
domanda di esecuzione forzata, entrando in gioco la presunzione semplice
secondo cui le parti intesero considerare la res come un unicum inscindibile
stante l'indivisibilità dell'obbligazione

traslativa. Per questi motivi non può essere trasferito l'intero immobile e
neppure la quota indivisa

di proprietà del promittente, siccome ciò implicherebbe una trasformazione


giudiziale dell'oggetto

dell'obbligazione non consentita dall'Art 1372.

Questa presunzione ha talvolta spinto le corti a scorgere la nullità o


l'inesistenza del preliminare,

per difetto dell'elemento volitivo: Dall'antefatto secondo cui gli stipulanti


vollero impegnarsi a

compravendere L'intero bene, si giunge ad ammettere che, qualora esso sia


oggetto di

comproprietà indivisa, la parte promettente è soggettivamente complessa e


giuridicamente unica.

L'omessa manifestazione di volontà di una o più comproprietari si traduce


nell'inesistenza del

consenso. Recentemente la cassazione sembra avere l'idea dell'inesistenza,


prediligendo la tesi

circa l'impossibilità alla prestazione del consenso della parte soggettivamente


complessa. Viene

anche riconosciuto che contro la domanda di trasferimento pro quota osti il


fatto che si verrebbe a

modificare l'oggetto del preliminare e la simmetria tra questo e il definitivo.

Non si prospetta un divieto assoluto alla limitazione del trasferimento entro i


confini della quota del promittente, ma tramite l'arte 2932, si subordina
l'effetto traslativo alla prova che la volontà delle parti fosse mirata a
considerare scindibile lo getto indiviso in proporzione alle quote astratte di
comproprietà. Vi sarebbe non un unico contratto, ma un unitario documento
contenente molteplici accordi preliminari fra l'identico promissario e la pluralità

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di promettenti pro quota. La presunzione permetterebbe al magistrato non
avrebbe necessità di accertare l'effettiva volontà delle parti e graverebbe sulla
parte interessata l'onere di provare la sussistenza di elementi paralizzanti la
presunzione stesso. Bisogna quindi costatare la diversità di disciplina tra
preliminare di vendita e vendita di cosa parzialmente altrui: per quest'ultima
fattispecie l'Art 1480 legittima il compratore a tenere in piedi il contratto, salva
la riduzione del prezzo.

Un altro problema riguarda il caso in cui il promissario chieda il trasferimento


ope iudicis della

quota indivisa di proprietà dei promettenti in Bonis quando, a seguito del


sopraggiunto fallimento

di uno di loro, il curatore abbia sciolto il contratto ex Art 72 c4 l.fall. La


giurisprudenza pratica,

quantunque tutti comproprietari si siano obbligati a vendere, nega la


fondatezza della domanda

facendo leva sulla presunzione di unitarietà della promessa traslativa e della


volontà dei

promettenti, non scomponibile in pluralità di contratti preliminari. Il preliminare


viene sciolto a causa dell'impossibilità sopravvenuta all'adempimento.
Ravvisandosi una solidarietà passiva tra i

promittenti in bonis, costoro sono tenuti a restituire al promissario, il quale


abbia esercitazione

l'azione di restituzione ex Art 2033, la totalità di quanto da questi sborsato ai


singoli comproprietari.

Le corti ritengono che quando il bene oggetto di comunione legale sia stato
promesso in vendita

da uno solo dei coniugi in nome proprio, non vi sarebbero ostacoli ad


ammettere l'azione di

esecuzione sul tutto da parte del promissario, ove l'altro coniuge non abbia
impugnato il negozio

obbligatorio ex Art 184. Qualora il promissario abbia evocato in giudizio ex Art


2932 il solo

promittente, occorrerà integrare il contraddittorio verso il coniuge che non ha


partecipato al

contratto, siccome l'eventuale accoglimento della domanda si rifletterebbe


sulla posizione giuridica di quest'ultimo. Nell'ipotesi in cui il coniuge abbia
assunto la veste di promissario acquirente anziché di promittente alienante, la

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giurisprudenza prevalente, facendo perno sulla premessa secondo cui rientrano
nella comunione legale ex Art 177 soltanto gli acquisti, vale a dire gli atti
implicanti il trasferimento della proprietà della res O la costituzione di diritti
reali minori sulla medesima, ma non i diritti di credito, nega all'altro la
legittimazione ad agire o contraddire nel processo di esecuzione in forma
specifica dell'obbligazione di dare.

La regola ex Art 184, riguardo alla tua di straordinaria amministrazione


compiuto disgiuntamente

da uno dei coniugi, porta al risultato che il disinteresse manifestato dall'altro


all'impugnazione del

preliminare entro il termine di prescrizione consolidi a suo favore gli effetti del
rapporto

obbligatorio, i quali sino a quell'istante erano suscettibili di caducazione,


rendendo così

inaccettabile il diritto del promissario. Si individua così la caratteristica tipica


della comunione

legale, diversa da quella ordinaria, consistente in ciò, che la mancata reazione


del coniuge

estraneo alla dorsi converte nella rimozione del limite all'esercizio del potere
riconosciuto ai coniugi stessi come singoli di compiere negozi di straordinaria
amministrazione. La comunione legale viene considerata senza quote,
caratterizzandosi per il fatto che i coniugi sono solidamente titolare di un diritto
avente ad oggetto I beni che la compongono. Ne discende che, riguardo ai
rapporti con i terzi, ciascun coniuge, anche se privo del diritto di disporre della
propria quota, è ciononostante legittimato a disporre dell'intero bene: il
consenso del coniuge Pretermesso assume i contatti del negozio unilaterale
autorizzativo e non attributivo di un potere, ossia destinato a rimuovere un
ostacolo all'esercizio del preesistente potere, la cui assenza non rende l'atto
invalido o inefficace, ma lo sottopone all'eventuale azione di annullamento ex
Art 184.

18. Il preliminare di cosa altrui

Nel caso in cui l'obbligato promette di vendere il bene del terzo, ci si chiede se
sia o no applicabile

la disciplina ex Art 1479 in tema di vendita altrui, la quale facendo perno sul
stato soggettivo del

compratore, prevede che se costui fosse ignaro, alle poca dell'intesa,


dell'alienità del bene, potrà

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chiedere la risoluzione del rapporto negoziale, altrimenti questo rimedio è
esperibili solo decorso

un congruo termine, stabilito dalle parti o fissato dal giudice, in maniera da


permettere all'alienante di portare a compimento l'effetto traslativo.

Viene negata la possibilità di estendere questa disposizione al preliminare,


indipendentemente

dalla conoscenza in capo al promissario della situazione dominicale. A supporto


di questa

conclusione si osserva che mentre nel contratto di vendita a una ragion


d'essere il riconoscimento

al compratore in buona fede del diritto di domandare l'L'immediata risoluzione,


consolidandosi

l'inadempimento nel medesimo istante in cui viene perfezionato il contratto ex


Art 1376, riguardo al preliminare i termini della questione cambiano in modo
radicale per la ragione che da esso

scaturiscono meri effetti obbligatori.

Essendo il promettente venditore contrattualmente vincolato a trasferire la


proprietà all'altra parte tramite l'accordo finale, nella fase che precede la
vicenda traslativa non è possibile scorgere alcun inadempimento del debitore
a soddisfare la finalità programmata attraverso la sequenza

preliminare- definitiva, almeno fino a che non sia decorso inutilmente il termine
stabilito per la

sottoscrizione del negozio-fine, ad astrarre dallo stato soggettivo del


promissario. Per questi motivi, anche se il promissario stesso fosse all'oscuro
delle alienità del bene, non può esigere l'istantanea risoluzione, dovendo
necessariamente attendere il decorso del termine concordato.

Nulla esclude che il promissario nel frattempo alieni la cosa oggetto del
contratto obbligatorio:

affioreranno gli estremi della vendita di res aliena. Ci si trova davanti ha un


inadempimento

anticipato: la condotta tenuta dal promettente, anche se non si può


astrattamente escludere la

pagamento per il futuro dell'interesse traslativo animante il consenso del


promissario a conseguire

il dominio sulla cosa, manifesta inequivocabilmente la sua scarsa affidabilità;


L'azione

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contraddittorio dell'obbligato legittimerà la domanda di risoluzione anticipata.

Il promettente venditore di cosa altrui è tenuto a procurare alla controparte


l'acquisto della

proprietà della cosa: questa obbligazione di dare può essere adempiuta:

- mediante l'acquisto della res dal terzo cui segue il trasferimento al


promissario;

- per mezzo del passaggio di proprietà dal terzo al promissario: viene


completato il risultato

programmato tramite l'intesa preparatoria a patto che l'intervento del Dominos


effettivo tragga la

propria ragione giustificativa degli accordi raggiunti tra lui e il promittente.


L'obbligazione

traslativa gravante l'obbligato risulterebbe inadempiuta se quest'ultimo


passaggio di titolarità si

fosse perfezionato grazie all'impegno autonomo assunto dal proprietario verso


il promissario o in

altra maniera che escluda la cooperazione del promettente stesso.

Il promissario non potrebbe nel rifiutare l'acquisto del terzo alienante, siccome
il trasferimento

diretto soddisfa di diritto il suo diritto di credito, né intimare al terzo la diffida


ad adempiere,

mancando qualsiasi vincolo obbligatorio tra questi soggetti. Il promissario


compratore è legittimato ad esperire il rimedio ex Art 2932 soltanto una volta
che la controparte abbia medio tempore acquistato la proprietà del bene altrui.

Lo spostamento patrimoniale tra terzo e il promissario assume una funzione


solutoria, concretandosi nell'attuazione del vincolo sorgente dal preliminare.
Non sembra però applicabile la

semplificazione ex Art 1333, perché nei confronti del promissario compratore il


passaggio di

proprietà non avviene a titolo gratuito: la causa onerosa è radicata nella


vendita, Al cui

perfezionamento si sono obbligate le parti del preliminare. In relazione alla


responsabilità per vizi e difetti materiali o giuridici, il rapporto negoziale
intercorre tra promittente il promissario, di modo che ricadano su il primo tutte
le obbligazioni tipiche del venditore.

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Il terzo proprietario non assume alcun impegno diretto nei riguardi del
promissario acquirente: il

Dominos è estraneo al preliminare di vendita di cose altrui, essendosi obbligato


perfezionare

l'effetto traslativo esclusivamente nei confronti del promittente alienante. Non


affiorando alcuna

obbligazione di questo estraneo verso il promissario acquirente di cosa altrui,


questi non è

legittimato ad esperire rimedi legali nei confronti del primo. Soltanto il


promittente ha facoltà di

agire contro il proprietario stesso se quest'ultimo, essendo supplicato nei suoi


confronti, non onori

la parola data rifiutandosi di prestare il consenso al trasferimento solutorio del


bene.

Il promissario può chiedere la risoluzione del preliminare e il ristoro dei danni


quando, decorso il

termine per il definitivo, la controparte non egli abbia procurato la titolarità


della cosa, ancorché il

promissario fosse sin dall'inizio consapevole della sua appartenenza al terzo.

19. Il termine di adempimento

Il termine di adempimento è un elemento essenziale del preliminare. Il


compimento della causa

negoziale, rispondente all'interesse di bloccare immediatamente a fare in modo


da disporre di un

periodo minimo indispensabile per la messa a punto Dell'operazione, rende


imprescindibile

L'interruzione fra la fase preparatoria e quella esecutiva.

Non significa che il decorrere del termine previsto per il definitivo produca
automaticamente

l'effetto della risoluzione ex Art 1457.

La vocazione del preliminare di differire l'accordo definitivo tramite l'impegno


alla sua stipulazione, fa sì che il termine assurga a frammento costitutivo della
fattispecie.

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Sarebbe incoerente escludere che, in ipotesi di promessa avente ad oggetto
diritti immobiliari,

l'onere della forma scritta ad substantiam abbracci il termine di adempimento


della sua

esecuzione, per il fatto che il termine stesso non costituisce un elemento


accidentale, riguardo al

quale vale la libertà delle forme.

Sfumano i presupposti per applicare la massima che prevede che ciò che è
dovuto senza

predeterminazione di un termine va prestato immediatamente. Trattandosi


però di un termine che attiene all'esecuzione della promessa, la sua mancata
previsione non è fonte di nullità del

contratto, essendo integrabile attraverso il procedimento di volontaria


giurisdizione ex Art 1183.

Spesso i giudici riconoscono l'immediata esigibilità dell'obbligazione laddove le


parti non abbiano

pattuito in merito al tempo della prestazione. Si trascura così di osservare il


secondo periodo

dell'Art 1183 c2 Che svela che le sensualità del termine può dipendere dalla
volontà dei contraenti

ma anche dalla natura della prestazione. È Proprio la ragion pratica del


preliminare ad avvalorare

la tesi assegnante al termine di adempimento la natura di fattore identificativo


della fattispecie.

Nel caso in cui sia stato conferito ad una delle parti il potere di stabilire il
termine, e quest'ultima

nei ritardi ingiustificatamente l'esercizio, deve riconoscersi all'altra parte la


facoltà di rivolgersi al

giudice per la determinazione del termine ex Art 1183 o di proporre la


domanda di adempimento in forma specifica, comprendente la richiesta di
fissazione dell'elemento assente. Il termine,

quantunque non sia stato già concordato, deve ritenersi ormai decorso tutte le
volte in cui

l'inadempimento del debitore lasci presagire il suo disinteresse all'osservanza


degli impegni

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assunti. L'omesso esercizio di queste facoltà alternative entro il termine
ordinario di prescrizione,

decorrente dal momento in cui il diritto alla stipulazione del definitivo poteva
essere fatto valere,

importa l'estinzione del vincolo giuridico qualora sia nel frattempo maturato un
congruo termine,

altrimenti verrebbe a consolidarsi un rapporto obbligatorio perpetuo. Il canone


secondo cui le

facoltà non cadono in prescrizione, operante riguardo alle posizioni dominicali


di per sé non è

suscettibile di prescrizione estintiva, è inapplicabile allorché sia connesso ai


diritti di credito.

20. Preliminari ad oggetto particolare

Il preliminare è, di massima, utilizzato per vincolare le parti (o la parte se è


unilaterale) a stipulare

la programmata vendita.

Non sussistono problemi a riconoscere la validità del preliminare di


contratto unilaterale: es tizio

che si obblighi a prestare una fideiussione gratuita a favore di caio, nel suo
interesse e a garanzia

del credito di sempronio. Se anche il preliminare è gratuito e se l'obbligazione


preparatoria vincola

solo il promittente, avremmo un preliminare unilaterale di contratto unilaterale:


il rapporto sarà

perfetto a seguito della semplice dichiarazione del promittente (art 1333). In


linea di massima si

tende invece a negare che il contratto preliminare possa avere ad oggetto


l'obbligo a porre in

essere un negozio unilaterale.

Si può escludere la validità del preliminare di secondo grado, ovvero il


preliminare di preliminare,

per difetto di causa essendo privo di un'apprezzabile ragione giustificativa il


contratto che obbliga

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le parti a concludere un mero simulacro, nel senso che impegna a obbligarsi. È
stata ravvisata la

nullità del preliminare di un contratto simulato.

La stessa conclusione vale riguardo al preliminare di donazione: in caso


contrario verrebbe

stravolto il tratto distintivo rappresentato dalla liberalità dell'atto, che non


tollera costrizioni

giuridiche di sorta, siccome adempimento di un obbligazione è proposito


donativo raffigurano

estremi inconciliabili.

L'art 1822 evoca la promessa di mutuo assegnando al mutuante un rimedio


votato all'autotutela

preventiva dinnanzi alla sopravvenuta modifica delle condizioni patrimoniali del


promissario, tali di

rendere notevolmente difficile la restituzione qualora non siano state offerte


idonee garanzie a

presidio del credito concernente la restituzione. La promessa di mutuo non pare


suscettibile di

esecuzione forzata implicando un fare infungibile, di modo che


l'inadempimento del promittente

verrebbe sanzionato con la mera azione di risarcimento per equivalente.

È ammesso il preliminare di società, ma non sussistono casi di esecuzione in


forma specifica.

Mentre ad avviso dell'orientamento prevalente il contratto preliminare deve


enunciare a pena di

nullità il tipo sociale voluto dalle parti, secondo un altro filone, laddove le parti
non abbiano detto

nulla sul punto, spetta all'interprete integrarne la volontà facendo leva


sull'oggetto sociale, di guisa che qualora l'attività programmata sia di natura
commerciale o agricola, bisognerà dedurre che gli stipulanti vollero impegnarsi
a perfezionare rispettivamente il contatto di società in nome collettivo oppure
semplice. L'art 1351 impone in ogni caso di rispettare per la validità del
preliminare la stessa forma prevista ai fini della costituzione del tipo sociale
dedotto nella promessa.

21. Il rapporto fra preliminare e definitivo

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Nel rapporto tra preliminare e definitivo, la discrasia contenutistica fra il
contratto preparatorio e

l'intesa a valle, può dipendere da molteplici circostanze: può ravvisarsi


un'estensione o una

riduzione Dell'oggetto, oppure possono essere concordate variazioni della


prestazione

corrispettiva addossata al promissario.

Vige la teoria dell'assorbimento: il collegamento tra preliminare e definitivo


implica che

l'esclusiva fonte del rapporto obbligatorio Sia costituita dal negozio fine, come
se l'accordo

strumentale fosse cancellato dalla realtà giuridica assumendo il ruolo di mero


antecedente. Non

mancano precedenti i quali cercano di trovare la soluzione più coerente al caso


scrutinato

dall'autorità giurisdizionale.

La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti


potrebbe essere

sormontata, stante il silenzio del definitivo, solo dalla prova, documentata per
iscritto se il contratto abbia ad oggetto immobili, dell'intesa perfezionata
contemporaneamente al medesimo definitivo, da cui risulti che specifici
obblighi, scaturenti in via esclusiva dal preliminare, sopravvivono al suo
parziale adempimento.

In ipotesi di divergenza fra le due intese, il giudice, grazie a questa


presunzione, non è tenuto ad

appurare se essa sia frutto di una scelta deliberata, anziché di un errore


ostativo o di un'eccezione

parziale del preliminare.

L'interpretazione è permeata dal metodo formalista: l'idea secondo cui a


seguito della stipulazione

del definitivo verrebbe ad esaurirsi la funzione del preliminare, che resterebbe


superato dalla

nuova manifestazione di volontà, è il portato di una suggestione disancorata


dalla reale

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determinazione delle parti, le quali possono invece aver voluto implicitamente
tenere fermo il

vincolo obbligatorio entro i limiti dell'oggetto non trasfuso nel definitivo.

È come se il preliminare rilevasse solo sotto il profilo dell'obbligazione a


stringere il definitivo,

cosicché, una volta adempiuta, verrebbero a cedere automaticamente tutti i


vincoli che da esso si

diramano, essendo dunque irrilevante l'eventuale discrasia contenutistica tra il


contratto-mezzo e il contratto-fine. Si tende di conseguenza ad escludere ogni
rilevanza tanto alle trattative negoziali,

quanto alla condotta delle parti susseguente al definitivo, dalle quali


potrebbero essere tratti utili

indizi capaci di rovesciare l'additata presunzione.

Dovrebbe essere messo ben in chiaro quando venga data esecuzione al


contratto preparatorio, se

si è inteso estinguere l'obbligazione non dedotta nel definitivo, oppure se si è


semplicemente

voluto dar corso a un adempimento parziale, il quale non importa la


caducazione del frammento

d'intesa preparatoria provvisoriamente inseguito.

22. L'anticipazione di taluni effetti del definitivo (preliminare


complesso)

I contraenti sono liberi di anticipare, nello spazio di tempo circoscritto


dall'intesa preliminare,

l'esecuzione di alcune prestazioni tipiche del definitivo. È ricorrente che il dante


causa consegni il

bene promesso in vendita oppure che il promissario anticipi il pagamento di


una parte del

corrispettivo. Tali prestazioni dovranno essere restituite (art 2033 e 2037)


qualora non sia data

esecuzione all'intesa preparatoria, poiché la sua estinzione priverebbe di causa


le vicende

anticipatorie.

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Se il promittente sì è obbligato a consegnare l'oggetto negoziato prima del
definitivo, sorge il

problema in merito all'applicabilità dell'Art 1499, a mente del quale chi


compera è tenuto a versare gli interessi compensativi sul prezzo, quantunque
esso non sia attualmente esigibile, ove la cosa produca redditi o frutti, salvo
che le parti abbiano concordato meccanismi autonomi di

adeguamento. La norma ha una radice equitativa perché mira a ripristinare


l'equilibrio economico

del contratto a fronte Del vantaggio di cui viene a trovarsi il compratore grazie
al godimento della

cosa produttiva di utilità, ancorché egli benefici ex contractu Della dilazione di


pagamento.

Nel caso in cui il promissario abbia ottenuto la detenzione della cosa,


quantunque il pagamento del prezzo debba avvenire al momento del
trasferimento di proprietà, sembrerebbe logico individuare le stesse ragioni
equitative alla base dell'Art 1499. Di conseguenza, in assenza di un diverso
accordo, la vicinanza tra fattispecie tipica situazione non espressamente
regolata sembrerebbe costituire un commento per estendere l'Art 1499
all'intesa preparatoria.

In senso opposto si fa notare che nel preliminare, a differenza della vendita,


non vi è alcun obbligo

legale di pagare il prezzo, di modo che l'eventuale anticipazione della


consegna, essendo

disancorate dalla prestazione del promissario, non esigerebbe riequilibri di


sorta. La corrispettività

non è elemento distintivo del preliminare: L'obbligo assunto dal promittente


non deve essere

necessariamente è giustificato dalla controprestazione. La tesi contraria


porterebbe a far sorgere

l'obbligazione accessoria di pagamento degli interessi prima della nascita di


quella principale

concernente il pagamento del corrispettivo.

Sempre nell'ambito della consegna anticipata, bisogna verificare il rapporto fra


promissario

acquirente e res: costui è semplice detentore o possessore del bene oggetto


del contratto?

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Il tema è simile a quello attinente all'ammissibilità del costituto possessorio
implicito: mentre a

parere di alcuni la volontà di alienare implica necessariamente quella di


mantenere la sola

detenzione, secondo altri occorre invece saggiare caso per caso la volontà delle
parti allo scopo di

stabilire se la relazione fra alienante e cosa sia qualificata dall'elemento


psicologico dell'animus

rem sibi habendi oppure assuma i lineamenti dell'animus detinendi. Questo


impone al tribunale di

accertare l'elemento psicologico e la ricorrenza in concreto del costituto


possessorio

sostanziantesi Nell'eventuale trasformazione del possesso in detenzione.


Nell'ambito del

preliminare con dazioni anticipata, verrebbero a delinearsi gli elementi di


giudizio suffraganti la

conclusione secondo cui la natura obbligatoria del contratto strumentale


impone di negare a priori

l'animus rem simi habendi in capo al promissario, occorrendo appurare


l'elemento psicologico di

volta in volta alla luce delle circostanze fattuali.

La giurisprudenza forense ha elaborato interpretazioni contrastanti accumulate


dall'identico e

opposto criterio ispiratore dell'automatismo psicologico:

- da un lato si afferma che la natura obbligatoria del preliminare di vendita sia


ostativa alla

configurazione in capo al promissario dell'animus possedenti; dato che costui,


finché non sia

stato concluso il definitivo, è consapevole dell'altruità della cosa, non può allora
giustificarsi

l'anticipata consegna se non come detenzione.

- Dall'altro lato, si ritiene che il riconoscimento della funzione strumentale del


preliminare importi

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che le eventuale consegna anticipata innervi in capo al promissario l'animus
rem sibi habendi: la

datio rei rappresenterebbe un frammento del idealizzata posizione di


appartenenza suscettibile

di perfezionamento per mezzo dell'intesa a valle. Il promissario, il quale abbia


compiuto sul bene

opere di miglioramento, può avvalersi della regola ex Art 1150, Al fine di


ottenere il pagamento

dell'indennità per l'incremento di valore.

Deve essere preferito l'orientamento che tende a ricondurre la relazione fra


promissario e cosa

della della detenzione, perché la consegna anticipata si inserisce nell'ambito di


un contratto

obbligatorio, la cui funzione programmatica non sembra idonea a sorreggere


automaticamente

l'animus sibi habendi. Anche questa interpretazione non è del tutto


soddisfacente, in quanto il

dubbio attorno alla natura della relazione richiederebbe un'indagine fattuale,


mirata a svelare se il

promissario abbia o meno agito realmente animo domini.

Assodato che il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto,


salvo che si dimostri

che esso equivalga a detenzione (art 1141 c1), diventa ragionevole ammettere
che l'anticipata

dazione in forza di un titolo obbligatorio paralizzi quest'ultima presunzione


semplice. L'eventuale

sopraggiunta conversione di tale detenzione in possesso implica la prova di una


delle due vicende

ex Art 1141 c2. Il contrasto di giudicati è stato superato dalle SU Cass, le quali
hanno statuito che la relazione tra promissario compratore e cosa, fondandosi
su un contratto di comodato funzionalmente collegato al preliminare, deve
essere qualificata come detenzione e non come possesso utile all'usucapione,
fatta salva la dimostrazione dell'Interversione ex art 1141.

23. I vincoli reali sul bene promesso in vendita

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Nel caso in cui il bene promesso in vendita sia gravato da pegno o ipoteca, ci si
chiede quali tutele

possa invocare il promissario a fronte del pericolo di evizione: L'Art 1482


concede all'acquirente

in buona fede i rimedi cautelari della sospensione del pagamento del prezzo e
della fissazione

giudiziale di un termine per la liberazione del bene dal vincolo preesistente.

La norma può essere fatta valere anche dal promissario compratore: in


considerazione della

vocazione strumentale del preliminare di vendita a conseguire l'effetto


traslativo, si applica

analogicamente questa disposizione qualora l'avente causa fosse all'oscuro del


vincolo.

Il promissario può anche domandare l'immediata risoluzione del preliminare ex


Art 1453, allorché il promittente abbia ingannevolmente dichiarato che il bene
è libero da vincoli reali, fatta salva

l'impugnazione del contratto per dolo determinante. Questa menzogna


testimonia la scarsa

affidabilità del promittente, la quale deve essere contrastata con l'azione volta
alla recisone del

vincolo obbligatorio.

Il Promissario sin dall'inizio consapevole o informato del pericolo di evizione,


non può utilizzare

rimedi Cutelari o demolitori finché non si sia perfezionata la vicenda


espropriativa.

Il presupposto della responsabilità evizionale Addossabile al venditore è


costituito dalla

preesistenza all'intesa traslativa della causa generante l'inattuazione O


l'irregolare attuazione Del

passaggio di proprietà, mentre l'evento da cui dipende la retrocessione del


diritto assoluto o

l'obbligo di restituire la cosa al terzo rivendicante è ad essa successivo.

Nel caso del preliminare di vendita non trascritto, può identificarsi la


responsabilità evizionale Del

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promittente, siccome l'obbligazione traslativa non si esaurisce in un atto come
nella vendita è un

contratto istantaneo, quando il vincolo reale sia stato iscritto o sorto


successivamente all'intesa

preparatoria, ma in epoca antecedente al negozio esecutivo situato a valle


della sequenza

indagata. Non può essere preclusa al promissario la facoltà di sospendere in via


cautelare

L'eventuale obbligazione di pagamento anticipato del prezzo.

Non si esclude l'applicabilità del rimedio ordinario ex Art 1461 quando il


contraente che intenda

avvalersene alleghi la sopraggiunta conoscenza della mutata situazione


patrimoniale dell'altro

stipulante, di gravità tale da mettere in forse il conseguimento della


controprestazione.

La giurisprudenza forense permette al promissario di avvalersi dell'azione di


attuazione dell'obbligo di concludere il definitivo avente ad oggetto il
trasferimento del bene gravato da garanzie reali da lui ignorate, dispensandolo
dall'onere di pagare il corrispettivo nelle mani del comparatore. La dinamica
del procedimento esecutivo ex Art 2932 da origine a un provvedimento
giurisdizionale che determina i modi di corresponsione del prezzo idonei ad
assicurare la liberazione della cosa trasferita da pesi e vincoli comprimenti la
pienezza del dominio: il giudice può autorizzare il promissario acquirente,
grazie ad una sorta di delegazione iusso iudicis, A impiegare il prezzo dovuto
per soddisfare le pretese vantate dei creditori ipotecari o pignoranti.

Il promissario non può dolersi ex post del inadempimento imputabile alla


controparte quando,

anziché chiedere la risoluzione del preliminare di cosa altrui soggetta a


garanzie ipotecarie o

invocare il meccanismo delegatorio, stringa l'accordo definitivo pagando


l'intero prezzo.

Se la cosa oggetto di preliminare è gravata da oneri o diritti, non apparenti né


conosciuti dal

promissario, Che ne limitano il godimento, questi è legittimato a domandare la


risoluzione del

contratto oppure l'esecuzione in forma specifica ex Art 2932 con la riduzione


del prezzo secondo

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quanto disposto dall'Art 1480. laddove tali oneri incidano sulle qualità materiali
o giuridiche della

cosa, il promissario ha facoltà di chiedere in via alternativa l'annullamento del


contratto per errore

essenziale (error in qualitate) ove sia conosciuto o conoscibile da parte del


promittente.

24. Vizi materiali del bene

In tema di tutela del promissario acquirente di cosa affetta da vizi materiali


occulti, le corti hanno

abbandonato l'orientamento più risalente, dell'inammissibilità della domanda di


riduzione del

prezzo giungendo all'approdo dell'estensione al preliminare di vendita della


disciplina

sull'inadempimento di diritto comune.

È prevalsa l'argomentazione basata sulla funzione del preliminare di vendita, la


quale giustifica

l'anticipazione della tutela legale già alla fase preparatoria delimitata dal
negozio strumentale al

conseguimento del risultato traslativo.

L'identità programmatica del preliminare sottintende l'obbligazione di


conformità tra il bene di

scritto nel contratto e quello reale: ogni divergenza insuscettibile di essere


eliminata durante il

termine di adempimento, integra di per sé gli estremi della violazione alla lex
contractus.

Non occorre applicare analogicamente le regole sulla compravendita (artt 1490


ss), perché manca

il presupposto della lacuna normativa. Le tutele conservative della riduzione


del corrispettivo o

dell'esatto adempimento, essendo alternative alla risoluzione che invece


appare dall'interesse

dell'avente titolo a liberarsi dai vincoli del preliminare, traggono fondamento


dall'Art 1453.

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Il fatto che l'Art 2932 non si occupi del diritto del promissario compratore alla
riparazione o

riduzione del prezzo si spiega in quanto:

- la norma non è stata esclusivamente creata per l'esecuzione del preliminare


di compravendita;

- Essa volendo assicurare l'attuazione della promessa di dare, non si è occupata


del tema dei

rimedi in ipotesi di situazioni patologiche affliggenti la cosa promessa, il quale


va affrontato

secondo i principi ordinari relativi all'inadempimento.

Ne deriva l'inapplicabilità degli elementi Art 1495 i quali presuppongono il


consolidamento

dell'effetto traslativo: il promissario, ancorché abbia ottenuto la consegna


anticipata della cosa, non va incontro alla decadenza o prescrizione breve,
siccome l'anticipazione di taluni effetti non

estingue l'obbligo del promettente a trasferire una cosa priva di imperfezioni


strutturali o qualitative.

Vizi e difetti corporali potranno essere fatti valere dal promissario nel processo
di esecuzione in

forma specifica ex Art 2932.

La tesi tendente alla rivisitazione del dogma professate la rigorosa intangibilità


Del preliminare

tramite la sentenza che sostituisce il definitivo non stipulato, grava attorno


all'idea che il provvedimento costitutivo dovesse essere il contenuto del
regolamento pattizio in considerazione

della sua immodificabilità giudiziale.

Per rovesciare questo ultima congettura è stato obiettato che l'autorità


decidente non altera ab

extrinseco la convenzione, ma si limita a correggere lo squilibrio sinallagmatico


danneggiante il

promissario qualora fosse costretto ex Art 2932 a pagare l'intero corrispettivo


nonostante il difetto

occulto, mentre in ipotesi di immediata stipulazione del negozio traslativo


avrebbe potuto giovarsi

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dell'actio quanti minoris ex art 1492 c1. Accogliendo questa lettura restrittiva,
l'azione di

esecuzione in forma specifica si sarebbe rivelata sconveniente per il


promissario, il quale avrebbe

dovuto avvicinarsi al rimedio della risoluzione, che entra in tensione con


l'interesse all'attuazione

dell'obbligazione di dare accompagnata dal ripristino dell'equilibrio economico,


grazie alla riduzione del corrispettivo pari al deprezzamento del bene
determinato dall'imperfezione corporale o qualitativa. Quando il giudice
accoglie la domanda ex Art 2932 riducendo il prezzo o condannando il
promittente all'esatto adempimento, non altera l'additata simmetria, ma
assicura la sua tenuta evitando che il regolamento di interessi giurisdizionale
sia gravemente difforme dallo schema previsto e voluto dalle parti.

Il promissario merita tutela in quanto tale in uno solo laddove sia sopraggiunto,
per accordo o

sentenza, L'effetto reale: egli quindi può proporre l'actio quanti minoris
indipendentemente dalla

richiesta di esecuzione in forma specifica.

Ne deriva l'autonomia delle tutele: i rimedi invocabili nella fase preparatoria


viaggiano su un binario parallelo ma diverso rispetto alla protezione spettante
a chi abbia ottenuto il titolo di investitura grazie alla promessa traslativa.

Questa libertà di scelta opera sia in via principale, allorché il promissario


introduca il processo

civile tramite atto di citazione, sia in via riconvenzionale, quando, convenuto


dal promittente con

l'azione di esecuzione in forma specifica, contrapponga l'istanza di eliminazione


dei vizi senza

nello stesso tempo chiedere il trasferimento sospensivamente condizionato


all'esatto

adempimento.

Il principio di corrispondenza sostanziale fra negozio- mezzo e negozio-fine,


impedirebbe

l'emanazione della sentenza costitutiva ex Art 2932, quando sussistono gli


estremi dell'aliud pro

alio, perché, essendo il bene trasferito ope iudicis diverso rispetto a quello
oggetto della

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preesistente obbligazione traslativa, si verrebbe a distorcere la volontà delle
parti confluita

nell'intesa preparatoria.

Una volta riconosciuto che l'interesse custodito dalla disciplina sull'aliud È


unicamente quello del

compratore, parrebbe eccessivo negare al promissario il trasferimento


giudiziale della cosa diversa

da quella promessa, ove sia comunque interessato ad acquistarne la proprietà,


benché la cosa sia

affetta da vizi strutturali, qualitativi o giuridici: solo il promissario è legittimato


ad eccepire la

difformità, anche se questo non esclude che la parte caduta in errore sulle
qualità della cosa

negoziata possa domandare l'annullamento del contratto se riesca dimostrare


la natura essenziale

e riconoscibile dello stesso.

Quando sopraggiunge una nuova disciplina urbanistica tale da variare in modo


radicale la

destinazione del bene promesso, non essendo imputabile al promittente ma


determinata dal

provvedimento della p.a, il giudice non potrà accogliere la domanda di


esecuzione in forma

specifica proposta dalla parte favorita dalla sopravvenienza normativa, per


impossibilità giuridica

dell'oggetto (art 1256), A meno che la medesima parte sia in mora. Se invece
sia stato promesso

un bene avente caratteristiche urbanistiche differenti rispetto a quelle


effettivamente possedute, il contratto deve ritenersi nullo per iniziale
impossibilità giuridica dell'oggetto ex Art 1346.

L'impossibilità dipende dal fatto che non è possibile trasferire il bene dotato
delle qualità previsti.

Se poi le parti abbiano volontariamente stipulato il definitivo, questo potrà


essere impugnato ex

arte 1429 n2 dal contraente caduto errore sulle qualità dell'oggetto.

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Le parti possono dire deliberatamente di tutto nel contratto preliminare un
immobile contando sul

presupposto della modifica urbanistica: l'errore reciproco di previsione


legittimerà la parte

svantaggiata ad avvalersi del rimedio della risoluzione per frustrazione del


fondamento negoziale.

Ammessa l'azione di riduzione del prezzo contestualmente alla domanda di


trasferimento del bene

promesso in vendita, la possibilità di esperire l'azione di esatto adempimento


dell'obbligazione di

conformità materiale, sostanziantesi nella condanna del promettente venditore


all'eliminazione

dei difetti occulti, viene esclusa da alcuni interpreti perché non potrebbe
estendersi al rapporto il

rimedio tradizionalmente escluso dal novero degli strumenti di protezione


concessi all'acquirente: ove si affermi che la prestazione del venditore e del
promissario alienante consista in un dare,

discende l'inammissibilità della domanda di condanna all'eliminazione dei


difetti materiali, giacché

essa, concretandosi in un fare, sarebbe estranea alla rapporto obbligatorio


intercorrente fra le

parti.

Bisogna tenere in considerazione per confutare questa opinione Che il


venditore è obbligato a

consegnare la cosa priva di vizi occulti e conforme all'impegno contrattuale


assunto. La discrasia

fra dato e dovuto determina un inadempimento della promessa di conformità.


Sfumerebbero così

gli elementi volti a suffragare la pretesa straordinarietà della responsabilità per


vizi materiali

rispetto alla normativa generale sull'inadempimento: lo statuto sui vizi


costituisce quindi una

particolare applicazione della disciplina ex Art 1218 e 1453.

Posto che quest'ultima disposizione concede al creditore l'alternativa


dell'esatto adempimento,

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verrebbero a cadere gli ostacoli all'estensione della domanda di eliminazione
dei vizi in materia di

compravendita, quantunque essa debba ragionevolmente sottostare al


principio di esigibilità ex Art 2058.

La giurisprudenza è giunta ad ammettere il rimedio della condanna all'esatto


adempimento in

ipotesi di bene difettoso, a prescindere dalle qualità professionali del


promitettente E dalla

consegna anticipata della cosa dovuta. La crisi fa leva sulla rimanenza


all'aspetto programmatico

obbligatorio relativo al trasferimento della cosa nella consistenza e con le


caratteristiche promesse, rispetto all'esigenza di assicurare una rigorosa
rispondenza di rimedi tra contratto preparatorio e accordo finale di assicurare
una rigorosa rispondenza di rimedi tra contratto preparatorio e accordo finale.

25. Sopravvenienza e rescissione

Le sopravvenienze economiche, alteranti l'equilibrio sinallagmatico ristabilito


alla data di

costituzione della sequenza procedimentale, in rapporto alla situazione che si


determinerebbe a

seguito del definitivo, giustificano la domanda di risoluzione ex Art 1467


dell'intesa preparatoria da parte del promettente svantaggiato Dall'imprevisto,
a meno che costui abbia ottenuto

anticipatamente la controprestazione, perché in tale ultima ipotesi disporre


della chances di

impiegare utilmente il corrispettivo per fronteggiare il rischio del sopraggiunto


deprezzamento

monetario.

La parte pregiudicata non può però impegnare il definitivo se non abbia posto il
proprio rifiuto al

suo perfezionamento. Tramite questa omissione la parte assume


consapevolmente il rischio della

sopravvenienza, lasciando ragionevolmente intendere di aver comunque


valutato conveniente

l'affare. È comunque possibile ricorrere all'annullamento del definitivo per


errore di diritto ex Art

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1429 n4 qualora l'interessato dimostri la propria inesatta persuasione di essere
tenuto al

adempimento della promessa.

Ci si interroga se l'avente titolo possa esperire l'azione di rescissione per


lesione nel caso in cui il

prezzo concordato ai fini della vendita fosse inferiore o superiore di oltre la


metà rispetto al valore

reale della cosa, qualora la sproporzione sia imputabile allo stato di bisogno,
noto allo stipulante

che ne trae scientemente beneficio, in cui versava la controparte svantaggiata.

Il dubbio nasce perché lo squilibrio patrimoniale effettivo sia solo quando viene
in essere l'effetto

reale giustificato dalla controprestazione generante la sproporzione.

Se si richiede che l'allarme sociale combattuto dalla disciplina Sulla rescissione


per sproporzione

sia percettibile al momento dell'intesa obbligatoria, diventa inevitabile


accogliere la soluzione

positiva: se l'approfittamento, incidente Sulla libera determinazione della


vittima, sia stato

perpetrato alle poca dell'intesa preparatoria, non si può revocare in dubbio che
il preliminare possa essere rescisso ove il soggetto passivo abbia prestato il
consenso a cagione della difficoltà

economica fonte dello stato di bisogno. La domanda deve essere rigettata se la


lesione sia svanita

Al momento in cui fu esercitata la domanda di esecuzione in forma specifica.

La parte lesa dispone di una tutela anticipata rappresentata dal rifiuto di


prestare il proprio

consenso, anche se si tratta di una cautela debole, perché va incontro alla


prescrizione breve che

colpisce anche l'eccezione.

Le corti ritengono che, sebbene l'identificazione dell'epoca in cui si è verificata


la lesione risalga

all'intesa obbligatoria, l'interesse ad agire o contraddire per ottenere la


rescissione diviene invece

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attuale unicamente nel giudizio di esecuzione del definitivo. Il termine di
prescrizione di un anno ex Art 1449, decorrerà quindi dall'accordo definitivo,
raggiunto consensualmente o tramite sentenza costitutiva, e non dall'intesa
preliminare. Viene quindi negata la possibilità di esperire l'azione revocatoria
contro il preliminare, in quanto l'evento dannoso è compiutamente ravvisabile
solo al momento dell'accordo definitivo.

CAP. VII - L'OGGETTO

1. La possibilità giuridica

L'oggetto del contratto consiste nelle prestazioni di ciascuna parte è tenuta a


effettuare in

adempimento della parola data. La ragione pratica che giustifica la prestazione


e gli spostamenti

patrimoniali, rappresenta la causa negoziale.

Tra oggetto e causa si individua un rapporto da mezzo a fine: L'oggetto assume


i connotati della

prestazione che soddisfa l'interesse, il quale dà impulso al consenso delle parti.


Es: la prestazione

che si concreta nel trasferimento del dominio sul bene accomuna la vendita e
la donazione, ma ciò

che le distingue è l'elemento causale tipico, il quale si esprime nella funzione di


scambio di cosa

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contro prezzo nel primo caso, in quella di liberalità nell'atro. Mentre la vendita
può dissimulare una donazione qualora il prezzo, pur concordato, non sia in
realtà stato pagato per secondare lo scopo liberale permeante l'intesa celata ai
terzi, lo scambio incongruo da luogo ad un contratto misto con causa solo in
parte onerosa, ove risulti che la differenza fra valore di mercato della cosa
negoziata e prezzo pattuito miri a raggiungere il proponimento liberale. È nullo
il contratto, per assenza dell'elemento essenziale, quando il prezzo sia
talmente basso da poter essere stimato come apparente.

L'Art 1346 individua i requisiti: l'oggetto deve essere possibile, lecito,


determinato o

determinabile.

Il legislatore si riferisce alla possibilità originaria della prestazione: la


prestazione inizialmente

possibile che, per vicende sopravvenuto, sia divenuta impossibile non inficia la
validità del

contratto, ma avremo l'inadempimento se è in potabile al debitore, oppure la


risoluzione del

rapporto ex Art 1256 qualora sia determinata da fattori estranei alla sua sfera
di controllo. La parte consapevole che l'oggetto dedotto nel contratto è
inizialmente impossibile, risponde dei danni patiti Dall'altra parte, la quale in
buona fede abbia confidato sulla validità dell'intesa ex arte 1338.
L'impossibilità giuridica originario dell'oggetto può dipendere dalla regola
vietante la prestazione concordata. In questa eventualità i beni o le attività
dedotte nel vincolo giuridico sono

materialmente possibili e astrattamente non disapprovate dall'ordinamento,


quantunque il loro

scambio sia proibito giacché si finirebbe altrimenti per aggirare la protezione


Dell'interesse

custodito dalla normativa di diritto pubblico. Il contratto è quindi nullo in


quanto ha ad oggetto

un'attività giuridicamente impossibile.

L'impossibilità giuridica può dipendere dalla circostanza che la situazione


soggettiva dedotta

nell'accordo è insuscettibile di scambio, come accade riguardo al possesso.


Esso è un potere di

fatto non trasferibili per atto tra vivi, salva l'eccezione rappresentata dalla
continuazione nell'erede.

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2. Segue: la possibilità materiale

L'impossibilità della prestazione è di natura materiale quando dipende da


circostanze naturali: ciò

accade allorché l'adempimento della promessa sia incompatibile alla legge di


natura. Es: vendita di

un oggetto inesistente.

Il contratto è nullo per impossibilità materiale dell'oggetto quando una parte si


sia obbligata ad una prestazione estranea alle sue competenze o cognizioni.

Per il resto vale il principio dell'autoresponsabilità: se lo stipulante si è


obbligato ad eseguire una

prestazione la quale, benché oggettivamente possibile, richieda un impegno


straordinario, allora

dovrà subire le eventuali perdite economiche cui va incontro al fine di onorare


la parola data. Se le

difficoltà risultino generate da imprevisti o imprevedibili eventi sopravvenuti,


fuori uscenti dal

controllo del debitore, sorge l'esimente dell'impossibilità oggettiva ma non


assoluta,

conformemente al parametro dello sforzo esigibile da valutarsi caso per caso


Sulla base

dell'originaria allocazione dei rischi negoziali.

3. Segue: il contratto atipico di protezione astrale

È stata riconosciuta la nullità per iniziale impossibilità dell'oggetto del contratto


atipico di protezione astrale, con cui il maliardo, dietro pagamento di una
cospicua somma versata dalla controparte sentimentalmente affranta, si
obbligava, grazie al millantato dominio delle forze esoteriche, A riaccendere la
fiamma dell'amore perduto. L'obbligato non avrebbe potuto ottenere i risultati
promessi né con le sue forze, né mobilitando quelle dell'occulto: l'eventuale
raggiungimento degli esiti promessi sarebbe stato frutto di una semplice
casualità.

4. Segue: cenni finali

Allo scopo di mitigare il rischio della nullità del contratto per impossibilità
originaria dell'oggetto, le parti hanno la facoltà di pattuire un termine iniziale di
efficacia del contratto medesimo o d'apporre ad esso una condizione
sospensiva, di modo che se la prestazione diviene materialmente o

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giuridicamente possibile prima della scadenza del termine o dell'avveramento
della condizione, il contratto è valido (art 1347).

5. La liceità

La prestazione illecita rende nullo il contratto. La nozione di illiceità È


desumibile dall'Art 1343:

l'oggetto è illecito quando sia contrario a norme imperative, all'ordine pubblico


o al buon costume. L'illiceità è il risultato del contrasto tra oggetto del rapporto
e Norma presidiante un interesse collettivo o indisponibile. Nelle situazioni di
maggiore evidenza è la legge a sottrarre la prestazione al libero scambio, per
cui la circolazione tra privati della cosa trasgredisce il divieto con la
conseguente nullità dell'accordo. In altri casi la prestazione, pur essendo di per
sé lecita, ricavi

connotati dell'illiceità ove risulti funzionale alla lesione dell'interesse protetto


dalla norma cogente.

L'orientamento maggioritario accredita la tesi postulante la nullità per illiceità


dell'oggetto

Dell'intesa tramite la quale l'appaltatore si impegna a edificare un immobile


abusivo su suolo altrui

in assenza del permesso edilizio. La appaltatore potrà esperire contro l'altra


parte l'azione di

indebito arricchimento. Il tribunale dovrà tener conto dell'eventuale precarietà


del vantaggio

economico a causa del provvedimento amministrativo che impone la


demolizione del manufatto.

La giurisprudenza di legittimità rinnega l'illiceità quando il contratto rientri nella


categoria della

prestazione d'opera intellettuale, escludendo la sanzione di nullità in ipotesi di


incarico conferito al

professionista, concernente la preparazione di un progetto edilizio difforme


dalle previsioni

urbanistiche.

Se il contratto di appalto di un immobile in assenza o in difformità della


concessione edilizia è nullo

tenuto conto degli interessi generali protetti dalla disciplina urbanistica, ci si


chiede quale sia la

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sorte del contratto di locazione ad uso abitativo di un alloggio abusivo. I giudici
hanno respinto la

domanda circa la fondatezza della pretesa vantata dal conduttore di non


pagare il canone scaduti

stante l'asserita nullità del contratto, perché il rapporto di locazione è in questo


caso illecito, non

essendo preordinato ad attuare il risultato disapprovato dall'ordinamento. Esso


non collide con gli

interessi tutelati dalla disciplina urbanistica, costituendo la fattispecie


perfezionativa Del diritto

personale di godimento un mero post factum estraneo alla tutela dei valori
inerenti alla razionale

amministrazione dello sfruttamento territoriale.

È nullo per illiceità dell'oggetto il contratto che restringa la libertà di iniziativa


economica del

soggetto.

Partendo dalla premessa secondo cui le disposizioni poste a presidio della


quota di legittima non

partecipano della natura di norme di ordine pubblico, È stata tratta la


conseguenza secondo cui il

contratto destinato ad eludere i diritti dei legittimari non ha contenuto illecito.

6. La determinazione della prestazione: l'arbitraggio

La prestazione dedotta in obbligazione deve essere determinata o


determinabile. L'Art 1349

autorizza le parti a conferire l'incarico al terzo arbitratore di determinare il


contenuto della

prestazione, la quale diventerà eseguibile quando l'extranues abbia compiuto


L'attività integrativa

del regolamento pattizio.

Il contratto, all'epoca dell'intesa, È valido ma non attuabile: per la sua


esecuzione occorre un

intervento aggiuntivo destinato ad integrare il frammento incompleto.


L'incompletezza, laddove sia suscettibile di superamento, non autorizza

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ritenere che il contratto non sia già perfezionato, oppure che sia una fattispecie
in via di mera formazione.

È discusso se l'atto del terzo abbia natura negoziale o costituisca un semplice


fatto materiale. Per

capovolgere la prima tesi si fa notare che il terzo non esprime una volontà
diretta a produrre effetto giuridico incidente sulla sua sfera patrimoniale,
limitandosi a fissare un elemento della fattispecie, mentre la debolezza della
tesi opposta consiste in ciò, che non riesce a cogliere l'essenza dell'intervento
del terzo sostanziandosi in un vero e proprio incarico destinato a completare il
rapporto obbligatorio. Assodato che la clausola di determinazione dell'oggetto
concordata dalle stesse parti ha natura negoziale, convertirla in un mero fatto
solo perché predisposta dall'arbitratore sarebbe contraddittorio.

Si preferisce l'interpretazione che scorge nell'arbitraggio gli elementi


dell'autonomo atto giuridico

integrativo del contratto altrui. Il terzo non manifesta una volontà diretta A
incidere sulla sua sfera

patrimoniale, ma enuncia una determinazione senza la quale l'altrui accordo


sarebbe improduttivo

di effetti. L'incarico si traduce in un mandato collettivo attribuito dalle parti


all'arbitratore, che può essere svolto:

- secondo equità: l'interposto deve eseguire la delega usando la discrezionalità


tecnica o

oggettiva;

- mediante semplice arbitrio: discrezionalità soggettiva.

Quando le parti conferiscono poteri meramente discrezionale al terzo,


confidano sulla sua

sostanziale imparzialità E sulle sue doti di equilibrio e ragionevolezza -->


designazione intuito

personae, Che fa perno sulla irripetibile soggettività del giudizio affidato


all'incaricato. La

consequenziale ampiezza dei poteri giustifica la restrizione dei mezzi di


impugnazione, invocabili

solo quando l'arbitratore, tradendo la fiducia, abbia agito con il proposito di


danneggiare una delle

parti. Non si infrange mai il postulato dell'autodeterminazione, ossia della


volontà sovrana delle parti: gli si dà invece compiuta attuazione, secondando

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l'interesse dei privati a realizzare l'eterointegrazione della fattispecie tramite
l'abdicazione all'esercizio di un potere che altrimenti spetterebbe loro.

In base alla tipologia di potere attribuito al terzo la legge fa discendere due


conseguenze:

- da un lato modula diversamente il regime di impugnazione, accreditante la


tesi incline alla

giuridicità dell'atto di integrazione della volontà delle parti (art 1349 c1 e c2);

- Dall'altro autorizza l'intervento sostitutivo del giudice, laddove il terzo non


voglia o non possa

eseguire l'incarico, soltanto in caso di arbitraggio fondato sull'equo


apprezzamento (art 1349),

essendo nell'altra ipotesi nullo o definitivamente inefficace il contratto, in


quanto il giudice non

può agire secondo i cani contrassegnati dal mero arbitrio (art 1349).

È certa la volontà delle parti di rimettersi al prudente apprezzamento del terzo


quando sia stato

scelto tenuto conto delle sue cognizioni tecniche.

Per quanto riguarda la sanzione che inficia la determinazione abusiva,


erronea, manifestamente

iniqua, capziosa O viziata da violenza, se sono state disattese le direttive


impartite dalle parti o

l'incaricato abbia ecceduto nel potere a lui conferito, il suo atto è inefficace
salvo che i mandanti lo

ratifichino (art 1171).

Quando l'atto del mandatario sia platealemente iniquo, viziato da dolo o affetto
da violenza:

- o si ritiene che esso sia annullabile ex Art 1349;

- Oppure occorre ravvisarne l'inefficacia.

Se le parti non si accordano, rispettivamente, per la convalida o per la ratifica,


oppure per la

sostituzione del mandatario, spetterà al giudice a decidere sul lamentato vizio,


accertato il quale

sarà inevitabile la pronuncia della nullità del contratto allorché il mandato fosse
basato sul mero

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vincolo fiduciario intercedente tra incaricante e incaricato. Quando la
determinazione invalida sia

suscettibile di sostituzione ope iudicis, È ammessa l'impugnazione del


provvedimento

magistratuale, laddove l'interessato lamenti la sua erroneità o la manifesta


iniquità, convertendosi i vizi della determinazione stessa in motivi di gravame.

7. La perizia contrattuale

L'atto giuridico di arbitraggio deve essere distinto dalla perizia contrattuale,


che si ha allorché le

parti nominino uno o più esperti, ai quali viene delegato il compito di risolvere
non una controversia giuridica, bensì di formulare una valutazione tecnica.
L'autonomia della perizia contrattuale non è da tutti condivisa, in quanto
secondo una parte della letteratura essa sarebbe riconducibile all'arbitraggio o
all'arbitraggio irrituale.

La clausola non importa una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria


ordinaria, come

avviene nell'ipotesi di clausola compromissoria per arbitrato rituale, ma una


rinuncia temporanea

alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale. Le parti
acquistano la

legittimazione ad agire dinanzi al giudice ordinario esaurita la procedura


contrattualmente prevista. Non è applicabile il regime limitato di rimedi ex Art
1349 in ipotesi di erroneità manifesta o iniqua della determinazione del terzo,
in quanto quest'ultima presuppone una valutazione discrezionale o un
apprezzamento equitativo, che non è conciliabile con L'attività tecnica
dell'arbitro-perito. La perizia è impugnabile attraverso le azioni di risoluzione o
annullamento ove si deduca l'errore degli arbitri rilevante ai sensi dell'Art 1429.

La parte può immediatamente agire in giudizio quando l'altro stipulante abbia


escluso la

sussistenza del dovuto.

8. L'integrazione posta in essere dalla parte (autoarbitraggio)

Le parti sono libere di assegnare ad uno degli stipulanti il potere di determinare


o di variare il

contenuto del contratto. Es L'arte 1378 in tema di vendita di cose mobili da


spedire, prevede che

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l'individuazione avvenga mediante consegna al vettore da parte di chi
trasferisce. Ciò di per sé non

urta contro il principio secondo cui il contratto stesso si fonda sull'incontro delle
volontà, perché è

la volontà stessa Che, con riguardo all'esercizio di poteri di


autodeterminazione, ripone nelle mani

della parte la potestà di integrazione della regolamento di interessi.

L'atto di completamento è eseguito da colui che riveste nello stesso tempo la


qualifica di

stipulante, e da qui il potenziale rischio di abuso per conflitto di interessi.

Il nostro ordinamento considera come meritevole di tutela la parziale


determinazione o

modificazione del rapporto per opera dell'interessato. Nel contratto di


somministrazione, al

somministrato può essere espressamente riconosciuto il diritto di determinare


L'entità della

prestazione dovuta dall'altra parte a piacere o a richiesta, mentre quando le


parti abbiano soltanto

fissato il limite massimo e quello minimo, spetta alla somministrato stesso


circoscrivere la quantità

dovuta.

Il rischio di abuso tenderà a diminuire tanto più sono netti i limiti entro cui la
parte può integrare il

regolamento in forza della clausola di auto arbitraggio: l'ordinamento vuole


impedire che la

determinazione della prestazione possa generare un effetto sorprendente


contro la parte esclusa

dal potere integratore.

Sussiste una tendenziale inammissibilità della determinazione è rimessa al


mero arbitrio della

parte, dovendosi questa muovere entro gli irrinunciabili confini dell'equilibrato


apprezzamento,

segnato dei limiti prefissati di comune intesa dagli gli stipulanti, Al fine di
evitare che la

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determinazione integrativa della parte assuma le sembianze della volontà
sovrana e incontrollata.

Nell'ambito del conflitto di interessi prende corpo la presunzione


giurisprudenziale di mancata

neutralità ostacolante l'auto arbitraggio mero.

9. La determinabilità dell'oggetto nella vendita immobiliare

Nell'ambito della compravendita immobiliare si individua il problema circa la


ammissibilità

dell'intesa avente ad oggetto un genere limitato. Non vi sono dubbi circa la


nullità della vendita

affatto generica, perché i beni immobili hanno caratteristiche peculiari tali da


renderli naturalmente incompatibili rispetto alla determinazione fondata sul
genere limit rispetto alla determinazione fondata sul genere illimitato; discorso
autonomo va svolto quando lo getto della prestazione traslativa consista nel
frammento specificamente individuato di una maggiore superficie, come
accade quando il getto sia definito secondo lo schema dell'obbligazione
alternativa, conformemente al seguente ib discorso autonomo va svolto
quando lo getto della prestazione traslativa consista nel frammento
specificamente individuato di una maggiore superficie, come accade quando
l'oggetto sia definito secondo lo schema dell'obbligazione alternativa
conformemente ai seguenti paradigmi:

- tizio vende a Caio una tra le 10 villa schiera di un determinato complesso


immobiliare, aventi le

identiche caratteristiche;

- Il trasferimento riguarda la superficie di un fondo rustico che deve essere


distaccato da un

appezzamento di più ampia estensione.

La validità della vendita immobiliare di genere limitato presuppone la


fungibilità delle singole

particelle del tutto, in caso contrario verrebbe a cadere le premesse utili ai fini
della determina

abilità della cosa. Se il fondo si compone per metà di un terreno edificabile e


per il resto di area

vincolata a verde urbano, in mancanza di ulteriori elementi di specificazione in


oggetto risulta

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indeterminato, lune s'and ho dato comprendere entro quale delle due metà
debba essere situato lo scorporo.

L'individuazione non deve essere intesa in senso oggettivo, potendo le parti


determinare l'oggetto

secondo criteri selettivi che ad esempio si basano su un linguaggio


convenzionale. Il canone di

determinazione della cosa venduta richieste ai fini della trascrizione del titolo
non sono imposti ai

fini della validità della scrittura privata.

10. Il rinvio alla fonte normativa esterna

Può succedere che le parti determinino un elemento dell'accordo tramite il


rinvio libero ad una

fonte normativa esterna alla lex contractus, la quale, in assenza di richiamo,


non integrerebbe lo

statuto della fattispecie (es. prezzo individuato con riferimento ad una specifica
legge).

Il problema che nasce dalle clausole incorporatrici consiste nel verificare se il


rinvio sia fisso o

mobile: appurare se le parti vollero riferirsi alla disciplina cristallizzata al


momento dell'intesa a

prescindere dalle mutazioni future, oppure a quella, eventualmente cambiata,


vigente quando la

prestazione sia divenuta esigibile.

In assenza di una scelta inequivocabile delle parti, bisogna analizzare se Esse,


nel richiamare la

fonte integrativa extra testuale, abbiano voluto recepirla nel regolamento


privato in modo statico,

ossia senza tener conto delle variazioni future, oppure se intesero adattare il
regolamento al

dinamismo delle ipotetiche modifiche sopravvenute. In quest'ultimo caso,


L'eventuale espunzione,

Per abrogazione o incostituzionalità, della fonte esterna implicherà che la


susseguente lacuna Del

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testo contrattuale dovrà essere colmata attingendo alla disciplina dispositiva,
salvo che le parti

abbiano previsto uno statuto suppletivo oppure abbiano risolutivamente


condizionato l'intesa alla

cancellazione della regola esterna.

Nel dubbio circa la natura fissa o mobile delle rinvio, sussiste una presunzione
semplice di

staticità.

CAP. VIII - CAUSA E MOTIVI

1. Inquadramento storico-comparativo

Gli art 1108 e 11131 code civil si riferiscono alla causa dell'obbligazione
anziché alla causa del

contratto, in quanto il legislatore francese prese le mosse dall'idea che le


obbligazioni derivano non dal contratto bensì dalle reciproche promesse.
Occorreva sceverare la causa efficiente, che

rappresenta la fonte del rapporto obbligatorio, dalla causa finale identificante


la ragione pratica del vincolo.

Ad avviso della dottrina classica la causa dell'obbligazione, corrispondono alla


causa efficiente, era

definita dalla legislazione.

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I fautori delle teorie anticausalistiche giudicavano superfluo il concetto stesso
di causa: a sopporto, notavano che nei contratti a titolo liberale l'intento
donativo coincideva con la determinazione del disponente; se essa fosse
mancata il contatto sarebbe stato nullo non per assenza di causa, ma per
mancanza dell'elemento volitivo.

La dottrina cerco di superare la contrapposizione fra causa e motivi,


argomentando sulla base

dell'art 1131 code civil, secondo cui il contratto è nullo se la causa è illecita. Se
rispondesse al vero

il convincimento difeso da chi ritiene che la causa sia tipica siccome


predeterminata dal legislatore, non sarebbe logicamente prospettabile la
categoria del contratto nullo per illiceità della causa, siccome il riconoscimento
del tipo contrattuale per opera del diritto scritto implica la valutazione ex ante
di legalità della fattispecie stessa.

Da qua prendono consistenza le basi della separazione fra causa


dell'obbligazione, che è fissa

perché tipizzata dalle legge e causa del contratto, la quale affonda le proprie
radici nel l'analisi

giudiziale dei motivi del dichiarante, destinati a variare. Il contratto è nullo


quando la sua causa,

assurgente a ragione effettiva dello scambio, urti contro le regole fondamentali


dell'ordinamento

giuridico. L'intento empirico obbiettivato nel contratto, ove immeritevole di


protezione, rende nullo il rapporto obbligatorio.

Nel sistema inglese la semplice volontà di vincolarsi non è fonte di


obbligazione, ma occorre:

- o che la promessa sia sostenuta da una controprestazione che diventa la


condizione di esistenza del contratto;

- O che assuma una forma che richiede: atto scritto, firmato alla presenza di un
testimone e la consegna del documento.

Questi due elementi svolgono il ruolo della causa nella misura in cui
giustificano la forza impegnativa delle promesse:

- nel primo caso la giustificazione deriva dalla repromissione;

- Nel secondo caso dalla forza evocativa riconosciuta alla forma dell'atto.

Nel sistema tedesco i negozi obbligatori individuano la categoria degli atti fonte
di obbligazione, da

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cui promana il vincolo in capo al debitore di effettuare una o più prestazioni.
Tali negozi sono dotati di mera efficacia obbligatoria, perché creano il vincolo
giuridico ma non lo spostamento

patrimoniale, il quale si perfeziona tramite l'atto dispositivo. L'atto obbligatorio


è causale, mentre è astratto quello dispositivo, di modo che gli effetti generati
da quest'ultimo sono indipendenti dalla volontà del primo. La disciplina in tema
di atto dispositivo non presuppone la validità del

sottostante negozio obbligatorio.

Il cod civile spagnolo identifica la causa dei contratti a titolo oneroso con la
repromissione, mentre

per quelli gratuiti essa è rappresentata dall'intento di liberalità del benefattore.

2. L'astrazione della causa

Il nostro ordinamento è informato al principio causale: ogni spostamento


patrimoniale deve essere sorretto da una ragione giustificativa sotto pena di
nullità (art 1325 n2). Il consenso venato da una giusta causa costituisce il titolo
dell'attribuzione, salvo che la legge richieda un atto esecutivo, come la
consegna, ai fini del completamento della fattispecie.

La causa non è distinguibile laddove l'acquirente comperi un bene già suo,


oppure allorché il

preliminare di vendita abbia ad oggetto il perfezionamento di una mera


promessa a

compravendere (preliminare di preliminare): non ci si può obbligare


semplicemente a obbligarsi.

Non è identificabile neanche quando venga affidato alla parte il compito di


svolgere una certa

attività dovuta in forza di un preesiste vincolo giuridico.

Le parti non possono creare validi negozi astratti. Bisogna distinguere


l'astrazione assoluta da

quella relativa. Sono immeritevoli di tutela i contratti permeati dall'astrazione


totale (o

sostanziale) della causa.

È invece ammissibile forgiare vincoli particolari riguardo ai quali l'astrazione


viene ad assumere

tratti di relatività. Es delegazione astratta, in cui il delegato non può opporre


al delegatario

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l'invalidità del rapporto di provvista, a meno che sia altresì nullo quello di
valuta. Qualora non

ricorra la nullità della doppia causa per il motivo che l'invalidità colpisce
esclusivamente il rapporto

di provvista (es se fosse stata accertata la nullità della fonte del debito del
delegato verso il

delegante), il delegato stesso, dopo aver soddisfatto il delegatario, è


legittimato ad esperire

l'azione d'indebito contro il delegante, mentre se la nullità vizia il rapporto di


valuta tale azione può essere promossa dal delegante contro il delegatario.
Affiora la parziale astrattezza della fattispecie contrattuale, perché la nullità di
uno dei sottostanti rapporti causali non libera immediatamente il delegato
dall'impegno assunto con il delegatario, sebbene la conseguente attribuzione
patrimoniale deve essere restituita alla parte che va incontro all'impoverimento
emancipato dalla valida obbligazione che da causa, rispettivamente, al
rapporto tra il delegante e delegato, e dall'altro al preesistente vincolo tra
delegante e delegatario.

Anche il contratto autonomo di garanzia è sorretto da un simile meccanismo


causale: se è vero

che il garante non può opporre al garantito le eccezioni fondate sulla validità
ed efficacia Del

rapporto fondamentale fuori dalla exceptio doli generalis, ragione per cui la
prestazione del garante è di per sé è giustificata dall'obbligazione di garanzia,
è altresì vero che il debitore principale può successivamente aggredire
mediante l'azione di indebito arricchimento il creditore garantito al fine di
recuperare quanto anticipato dal garante ove non sussista o sia venuta A
mancare l'obbligazione garantita.

L'astrazione opera invece sul piano processuale attraverso l'inversione


dell'onere probatorio. Ai

sensi dell'Art 1988 la promessa di pagamento o la ricognizione di debito non


costituiscono

autonomi fonti di obbligazioni, essendo dotate di un semplice effetto


confermativo Del preesistente vincolo giuridico, il quale esonera il destinatario
dalla promessa o il beneficiario dalla ricognizione dall'onere di dimostrare la
sussistenza del rapporto causale, che si presume sino a prova contraria.

3. L'interpretazione ideologicamente orientata: dalla causa


economico-sociale alla

causa concreta o economico-individuale

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L'art 1119 cc previg., faceva riferimento alla causa dell'obbligazione
interpretata dalla lettura

prevalente in senso oggettivo: la causa giustificativa della promessa era data


dalla

controprestazione per i contratti di scambio e dall'intento liberale per quelli


donativi.

Da questa premessa si traeva la conferma dell'estraneità della causa Al


contratto, posto che

altrimenti sarebbe stata assegnata rilevanza giuridica ai motivi venanti la


dichiarazione di volontà.

Qualora fosse stato accolto l'indirizzo posto, rappresentato dalla nozione


concreta di causa, si

sarebbe giunti all'epilogo della nullità per difetto di clausola del contratto di
acquisto di un cavallo,

conclusa in vista del soddisfacimento dell'interesse del compratore all'esercizio


dell'equitazione

allorché egli, Per inabilità o per altre ragioni, non fosse stato più in grado di
esercitare tale

disciplina. Da ciò discendeva che l'unica strada percorribile era quella, fedele al
dettato normativo,

della rilevanza della causa con riguardo alla sola obbligazione.

Nel nuovo sistema del codice del 1942, la causa partecipa della natura di
elemento essenziale del

contratto. La causa del contratto indica la funzione economico sociale del


rapporto giuridico, ossia lo scopo prefigurato dalle legislatore e, in quanto tale,
socialmente apprezzabile. Il contratto

persegue fini meritevoli di protezione quando sia funzionale al benessere della


nazione. Gli

interessi dei singoli consociati sono degni di difesa a patto che collimino con
quelli della collettività.

Spetta all'autorità normativa, attraverso l'individuazione della causa tipica,


definire le frontiere del

contratto in sintonia con questi valori.

Si assiste all'oggettivizzazione della causa, che diventa il mezzo messo nelle


mani dello Stato, per

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accertare l'utilità sociale delle singole intese, in vista del conseguimento
dell'illiberale obiettivo di

ridurre l'autonomia privata a fenomeno socialmente controllabile. La causa


viene svilita a categoria burocratica. Di riflesso, i motivi individuali, non è di
tutti in condizione, sarebbero sempre in rilevanti obiettivo di ridurre
l'autonomia privata a fenomeno socialmente e controllabile. La causa viene
svilita a categoria burocratica. Di riflesso, i motivi individuali, non dedotto in
condizione, sarebbero sempre irrilevanti.

Posto che non sono tutelate le intesi che realizzano interessi futili con lo scopo
antisociale, diventa

inevitabile l'intervento censorio del magistrato, cui è conferito il potere dovere


di valutare se in

concreto gli obiettivi perseguiti dai privati siano o meno armonizzabili con quelli
accettati dal

pubblico potere: nel caso di discrasia, egli è tenuto a rendere nullo il contratto.
Viene così a

delinearsi l'uso politico della causa, volto a tradursi in uno strumento di


limitazione della libertà

contrattuale, perché annienta la regola ex Art 1322 c2. La nozione di causa del
contratto quale

sintesi dei suoi elementi essenziali, è lo schermo giuridico mirato ad occultare


gli ideali politici.

Questa visione è ancora radicata nella nostra cultura giuridica. Non ci si avvede
che la causa se

fosse tipica, corrispondendo agli elementi costanti e invariabili qualificanti la


fattispecie

contrattuale, che sono indispensabili ai fini della sua identificazione, non vi


sarebbe spazio per la

causa illecita. L'ordinamento nega la tutela ai negozi illeciti indipendentemente


dall'utilità sociale:

anche negozi futili sono suscettibili di protezione se si armonizzano alla legalità


costituzionale. I

giudici non sono chiamati a imporre stili di vita, ma solo ad applicare le regole
scritte in aderenza

alle linee direttrici liberali e solidaristiche.

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Contro l'interpretazione che precede si è affermata l'opposta idea di causa
quale funzione

economico individuale del contratto, ossia quale somma algebrica della


pluralità di interessi che

induce le parti a negoziare e che si riverbera quasi inevitabilmente sul


contenuto dell'accordo. La

causa Ha finito così per conferire rilevanza giuridica alla sensazione di bisogno
in funzione della

quale le parti si determinarono a stringere l'intesa.

La causa è un elemento imprescindibile del vincolo negoziale, perché è in viene


stabile che vi sia

un contratto non è animato da un interesse, la cui mancanza segnerà la


declinazione del contratto

nel suo esatto opposto: l'atto emulativo o il negozio di fantasia, entrambi nulli.
L'interesse serve a

identificare il tipo negoziale, aldilà della struttura conferita dalle parti, E a


selezionare le vicende di

inadempimento che, in quanto attentino a quell'interesse, debbono essere


combattute con i rimedi messi a disposizione dall'ordinamento (art 1453 e ss).

Da qui la necessità di sottoporre al sindacato di meritevolezza anche i contratti


tipici, perché il

germe dell'illegalità può essere celato da una forma legale, laddove il proposito
antigiuridico sia

alimentato dall'uso abusivo o fraudolento dell'auto regolamento.

L'autonomia dei privati è lo strumento indispensabile al fine di concretare


interessi patrimoniali,

non è per adeguare i rapporti giuridici al bene comune. Le parti mirano a


realizzare obiettivi

eminentemente egoistici, entro i limiti fissati dall'ordine pubblico E dalla


meritevolezza degli

interessi. La causa non corrisponde alla sintesi degli elementi essenziali


dell'ego, ma individua l'interesse concreto che induce ciascun contraente a
stringere l'intesa e a dare al proprio patrimonio la sistemazione ritenuta più
corretta a questo scopo. La causa non è astratta e preconfezionata dal
legislatore, ma varia di volta in volta secondo le finalità perseguite dalle parti.

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Compito del giudice é di apprezzare volta in volta la meritevolezza di tale
finalità.

Sulla base di questo interesse empirico, su cui si leva il fondamento causale del
vincolo

obbligatorio, il titolare del potere giurisdizionale riesce ad orientarsi


nell'indagine circa la disciplina

applicabile alla fattispecie oggetto di controversia, aldilà delle formali


qualificazioni adoperate dalle parti.

4. I motivi

L'interpretazione soggettivamente orientata permette di superare l'idea


professate l'irrilevanza dei motivi ove non siano illeciti e comuni (art 1345).

Si può ammettere che il movente della volontà, fecondante la determinazione


volitiva, È sfornito di rilevanza giuridica qualora risulti segregato nella sfera
individuale del contraente partecipando

della natura di mero proposito, ma diversa è la situazione allorché esso sia


stato obiettivato,

sebbene implicitamente, nel regolamento privato di interessi, al punto da


assumere, di fatto, un

ruolo determinante in vista della ripartizione Pattizia del rischio negoziale o sia
comunque stato

condiviso dalle parti. È scontato quindi l'assunto ex Art 1345, essendo evidente
che la condivisione

del motivo illegale, implichi l'illiceità della pattuizione contrassegnata, per


effetto della

compartecipazione al proponimento infrangente i valori dell'ordinamento, da


una causa

immeritevole di tutela.

Si arriva così al tema del fondamento negoziale: la sensazione di bisogno


che stimola il privato a

calarsi nel traffico giuridico grazie al contratto, laddove serva a determinare il


contenuto

contrattuale in quanto nota all'altro stipulante, il quale ha così ingenerato un


affidamento

ragionevole circa l'idoneità dello scambio al soddisfacimento del bisogno


stesso, finisce con il

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caratterizzare la ragione pratica, o causa concreta, della fattispecie.

La demolizione della prospettata condotta affidante autorizza la parte delusa


ad avvalersi dei

rimedi in tema di inadempimento. Un es di codificazione della causa concreta


è dato dall'Art 129

cod.cons: se una parte manifesta all'altra parte la propria intenzione di


acquistare un oggetto

idoneo ad impieghi specifici, e il professionista attraverso una condotta


affidante crea nel suo

interlocutore la ragionevole aspettativa che il bene presente ossia funzionale al


predetto scopo,

occorre riconoscere che il movente si disancorate dal irrilevante sfera


psicologica del dichiarante,

sino ad entrare a far parte del regolamento privato di interessi. L'eventuale


frustrazione dell'intento empirico legittima la parte delusa all'esperimento di
rimedi ex Art 130 cod.cons.

L'idea dell'irrilevanza del motivo è condivisibile qualora venga intesa nel senso
che il movente

psicologico fuoriesce dal contenuto del contratto essendo non idoneo a


determinare ragionevoli

affidamenti. È invece errato se usata per rinnegare le dottrine della condotta


affidante ed è il

fondamento negoziale: è giusto riconoscere che il motivo sia giuridicamente


rilevante quand'era

presenti aspettative e revisioni apprezzate nella loro oggettività e dedotte,


quantunque per

implicito, nell'auto regolamento dei privati interessi.

Elementi a sostegno della rilevanza dei motivi, si individuano negli Art 624 C2
e 787, i quali danno

peso al motivo determinante la volontà del disponente qualora risulti dall'atto,


riconoscendo

l'azione di annullamento dell'attribuzione liberale ove sia stata cagionata


dall'errata

rappresentazione di un fatto costituente l'antecedente causale della


dichiarazione. Tali norme,

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anziché di derogare alla regola dell'irrilevanza di motivi, accreditano la tesi
opposta, in quanto

conferiscono un significato giuridicamente apprezzabile non al intime


rappresentazioni

psicologiche del disponente, ma alla ragione giustificativa dell'atto, ossia alla


sua causa concreta.

5. Casistica

In alcuni casi le corti si muovono sulla direttrice della dottrina tradizionale della
causa quale

funzione economico sociale del contratto, per giungere a confermare


l'irrilevanza dell'intento

pratico perseguito dalle parti siccome considerato alla stregua del motivo
irrilevante e a far

coincidere la causa con lo scambio fra reciproche prestazioni. In altre occasioni


isolate l'atto di

fede verso la teoria della causa tipica rappresenta una vacua premessa priva di
rilevanza

sostanziale ai fini dell'individuazione delle rationes decidendi.

La prevalente giurisprudenza pratica condivide però l'interpretazione che


scorge nella causa la

funzione economico individuale del contratto: si afferma che la valutazione in


concreto della causa

dire a risolversi nella sintesi degli interessi effettivi dei contraenti, costituendo
il metro di

ponderazione per l'accertamento della meritevolezza degli scopi perseguiti


dalle parti.

Il superamento dell'antica teoria emerge la dove si dia rilevanza alla delusione


dell'aspettativa

ingenerata dal debitore in ordine all'adeguatezza della prestazione promessa a


soddisfare gli

interessi empirici del creditore. La sensazione di bisogno, costituente elemento


essenziale della

volontà del dichiarante, essendo indotto a perfezionare l'accordo forte


dell'affidamento a questo

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scopo suscitato dal debitore della prestazione dedotta in obbligazione, non
rappresenta un mero

motivo irrilevante perché informa di sé è il fondamento negoziale, permettendo


l'individuazione

della causa concreta del vincolo obbligatorio.

Se la causa del contratto è data dalla finalità reale della prestazione


secondante gli impulsi

motivazionali del creditore noti al promettente e oggetto di aspettativa


ragionevolmente affidante, la conseguente frustrazione della divisata ragion
pratica dello scambio si riflette sul sinallagma funzionale, il quale è un modo
alternativo per contrassegnare la causa concreta.

6. Il collegamento negoziale

Due o più contratti oggettivamente distinti possono essere coordinati per il


raggiungimento di un

unitario e articolato risultato economico. Il nesso che unisce funzionalmente


queste in tese viene

detto collegamento negoziale: non importa l'entificazione Del legame tramite la


finzione della

nascita di un terzo contratto frutto dell'accennato finalismo. I singoli contratti


conservano la loro

specificità, fermo restando che la nozione di causa deve essere individuata in


relazione

all'interdipendenza Che li unisce: l'atto diventa pertanto il tassello di un


procedimento negoziale,

per cui il controllo di meritevolezza non potrà prescindere da tale connessione.

La funzione dei contratti collegati si riflette sulla loro giustificazione economica,


e quindi sulla

causa concreta, posto che l'interesse Che induce le parti a utilizzare il


collegamento plasma la

ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali provocati dalle fattispecie


negoziali.

Il collegamento è necessario quando trova il suo radicamento nella legge, la


quale sancisce il

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nesso funzionale: es rapporti tra obbligazione principale e obbligazioni di
garanzia, tra contratto base e subcontratto, tra contratto di trasporto di
persone e trasporto del suo bagaglio a mano. La

nullità del contratto sottostante importa la nullità della fideiussione, così come
l'invalidità del

contratto di locazione rende nulla la sublocazione. Sì individua quindi un


collegamento gerarchico

o unilaterale, nel senso che per un verso l'invalidità del contratto a monte
colpisce il contratto

subordinato, per l'altro l'invalidità di quest'ultimo non si riverbera sul


precedente. Lo stesso vale se negozio principale viene risolto o rescisso: la sua
consequenziale caducazione implica la

risoluzione del contratto subordinato per sopravvenuta impossibilità a di


attuarne la causa

concreta. Nulla esclude che tramite il collegamento le parti realizzano un


proposito il legale: la

comunanza del motivo giustifica la nullità ex Art 1345. Per le stesse ragioni l'Art
34 cod.cons,

conferisce al collegamento la capacità di svelare la vessatorietà delle clausole


non negoziate

qualora il loro carattere abusivo venga espresso dal nesso funzionale.

Le parti, nell'esercizio dei poteri di autodeterminazione, possono collegare tra


loro più contratti di

per sé autonomi --> collegamento volontario, da cui deriva l'inscindibilità


funzionale delle singole

pattuizioni. Il collegamento non è imposto da esigenze di natura obiettiva, ma


dipende dalla

determinazione delle parti e da valutazioni soggettive. L'interesse empirico


all'unitarietà

dell'operazione genera il nesso.

Bisogna verificare se il collegamento volontario abbia natura gerarchica:


qualora si dovesse

rispondere in termini negativi, bisognerebbe concludere che l'invalidità di uno


dei due contratti

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travolge l'altro perché "simul stabunt, aut simul cadent". In caso contrario,
ossia quando soltanto

uno dei due contratti presupponga la validità e l'efficacia di un altro rapporto, il


quale ultimo finisce causalmente con il prevalere su quello che viene a porsi in
posizione di subordine, dovremmo ammettere che l'effetto invalidante si rifletta
sul contratto collegato esclusivamente quando il vizio infici l'accordo posto
all'apice dell'immaginata piramide. Se, in concreto, prevalesse l'interesse alla
titolarità (obbligazione di dare) mentre quello legato alla prestazione di fare
assumesse un significato secondario, ne conseguirebbe Che la vendita
verrebbe a occupare il vertice della sequenza; viceversa, se i due interessi,
correlati rispettivamente al dare e al fare, si equivalessero in chiave di
efficienza causale, allora dovremmo riconoscere l'influenza reciproca o
biunivoca. Un altro esempio è dato dal collegamento intercedente fra il
contratto di prestazione d'opera manuale e il contratto di deposito, come
accade quando venga condotta l'autovettura in officina affinché sia riparata
dall'artigiano, il quale assume l'obbligazione accessoria di custodia della cosa,
che funzionale alla piena realizzazione Dell'interesse della controparte.

L'unità dell'operazione economica può essere ammessa anche quando tra le


parti siano stati

contemporaneamente stipulati più contratti aventi ad oggetto beni distinti. Es:


caso in cui tizio

vende a Caio un dipinto e nello stesso contratto conceda gratuitamente a Caio


l'opzione per

l'acquisto di un altro dipinto; qualora la vendita venisse risolta per


inadempimento dal compratore, l'effetto estintivo si riverbera necessariamente
sull'opzione, tenuto conto del fatto che da un lato l'affidamento sulla lealtà
dell'avente causa è venuto meno, dall'altro che il vincolo preparatorio
presupponeva tacitamente che Caio avesse dato buona prova di sé, onorando
gli impegni presi con l'intesa effetti reali.

Nulla esclude che il collegamento possa intercorrere tra accordi aventi parti
distinte: se il

contratto di manutenzione fosse stato perfezionato con un soggetto diverso dal


venditore,

L'unitarietà potrebbe comunque essere identificata, dato che l'eventuale


caducazione della

compravendita depriverebbe della propria funzione sostanziale il correlato


contratto di prestazione d'opera manuale. Se Tizio acquista due fondi contigui,
uno da Caio e uno da Sempronio e il trasferimento degli appezzamenti è
scaturito dal proposito di tizio, noto ai vari venditori, di edificare un unitario
centro commerciale, si individua il collegamento extralegale, stante l'unicità

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Del fine economico. L'invalidità che colpisce uno di questi negozi si riflette
sull'altro proprio perché, venendo meno uno dei due tasselli, viene di riflesso a
cadere la possibilità di concretare il risultato programmato.

Sino a qui si faceva riferimento a un collegamento implicito, ma le parti sono


libere di rendere

esplicita l'interdipendenza, bilaterale o unilaterale, tramite una clausola. Si


potrebbe pattuire che

il contratto di manutenzione sia destinato ad estinguersi ove fosse accertata o


dichiarata l'invalidità della vendita, oppure il negozio traslativo si estinguesse
per altra ragione. Le parti potrebbero concordare che la vendita del fondo si
sciolga o perda di efficacia una volta risolta o dichiarata l'invalidità
dell'alienazione avente ad oggetto il fondo contiguo. Se la causa dei contratti di
per sé autonomi nasce dalla loro interrelazione, ogni vicenda che ponga in crisi
questo legame finisce con l'incidere sulla loro ragion d'essere.

Il collegamento può servire a plasmare contratti atipici: nelle leasing


finanziario, il contratto di

vendita tra terzo produttore e impresa di leasing si collega al contratto di


locazione con patto

d'opzione tra questa e l'utilizzatore. Il contratto traslativo diventa strumentale


alla causa di

finanziamento e di godimento del bene dato in locazione, individuandosi così il


collegamento

biunivoco.

Dal collegamento implicito tra due contratti è possibile intravedere lo scopo


elusivo della norma

imperativa. Questo si individua nel rapporto tra preliminare di vendita e


definitivo, laddove nel

primo si stabilisca che il promettente conservi il diritto di abitare l'immobile,


anche in epoca

successiva al passaggio di proprietà, dietro pagamento di una somma che va


oltre l'ammontare di

un normale canone di locazione. Dal nesso tra il negozio preparatorio e intesa


traslativa si riesce a

scorgere l'accordo preordinato alla costituzione di una garanzia atipica, che


aggira il divieto di

patto Commissorio.

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7. Il negozio indiretto

Il contratto può essere utilizzato per raggiungere un fine diverso rispetto a


quello tipico, in maniera da celare ai terzi il proposito mediato il quale diventa
l'obiettivo prevalente secondo l'interesse concreto che muove la
determinazione volitiva delle parti. Il conseguimento del fine tipico è voluto
dalle parti stesse essendo strumentale al conseguimento del fine ulteriore, di
per sé estraneo all'impianto causale del negozio strumentale.

Quest'ultimo proponimento non viene raggiunto tramite la stipulazione di un


ulteriore contratto, con il quale si mettono a profitto le utilità o le capacità di
sfruttamento della cosa negoziata.

Es: tizio intende donare a Caio un fondo di proprietà di medio, preoccupandosi


di nascondere a

suo figlio Sempronio l'evocato proposito liberale. Per assicurare l'interesse


all'occultamento della

causa concreta, tizio paga di tasca propria il prezzo, mentre il contratto di


vendita interviene tra

medio e Caio, il quale risulta compratore anziché effettivo donatario. Oggetto


della donazione è

l'immobile e non il denaro. Vale la disciplina sulla struttura e forma del


contratto strumentale,

anziché quella tipica del negozio- fine.

Gli interessati possono agire in giudizio per far accertare il fine mediato.
Sempronio, dopo la morte

del genitore, ha facoltà di proporre contro Caio la domanda di riduzione della


donazione indiretta o dove il negozio liberale abbia leso la sua quota di riserva.

L'estinzione da parte del genitore del debito del figlio verso il terzo creditore
integra gli estremi

dell'adempimento dell'obbligazione altrui, si sostanzia nella donazione indiretta


della somma. La

liberalità compiuta per mezzo dell'adempimento, qualora pregiudichi la quota


indisponibile

spettante agli altri legittimari, costituisce l'antefatto per l'accoglimento della


domanda di riduzione.

Nel caso in cui Il contratto sia stato perfezionato non per eludere una norma
imperativa, ma per

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ostacolare l'esercizio dei diritti patrimoniali spettanti ai terzi (contratto in
danno di terzi -->

emulazione negoziale) il contratto non è nullo ex Art 1344, posto che non
offende l'ordine

pubblico economico interno. I terzi danneggiati possono proporre contro di esso


i rimedi concessi

loro dal sistema (azione revocatoria o di simulazione).

8. Il negozio misto

Il contrasto misto presuppone che le parti abbiano consegnato un regolamento


di interessi nelle

quale convergano più schemi causali appartenenti a distinte fattispecie


negoziali. Es: se tizio

vende a Caio un fondo del valore di 100 a 50 Per motivi filantropici, attribuirà a
titolo di liberalità

indiretta la quota del bene pari alla prospettata differenza economica. Ciò
implica che tizio sia

motivato da una finalità liberale, ma nulla esclude che egli abbia


semplicemente interesse a

convertire rapidamente il fondo in moneta: in questo ultima eventualità la


causa è unica e avrà

fondamento commutativo. È sempre fatto salvo il diritto dei legittimari di agire


in riduzione nei limiti del frammento mediatamente Donato tramite la vendita.
Il contratto misto rappresenta lo strumento preordinato all'attuazione di un fine
indiretto: la vendita viene utilizzata per il conseguimento di un obiettivo
estraneo allo scambio di cosa contro prezzo.

La convergenza di cause è ugualmente individuabile nei rapporti tra vendita e


appalto: quando

l'appaltatore fornisce la materia prima nasce dal contratto di durata un effetto


traslativo. Secondo

la teoria dell'assorbimento occorre applicare lo statuto del tipo negoziale


prevalente alla luce della

causa reale dello scambio: se prevale il dare il rapporto è governato dalla


vendita, mentre se

domina il fare va data esecuzione alla disciplina in tema di appalto.

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Sussistono precedenti giudiziali in cui, pur riconoscendo l'applicazione dello
statuto normativo del

contratto causalmente prevalente, si riconosce comunque l'estensione della


disciplina inerente il

contratto accessorio ove compatibile con il primo: si riconosce la sostanziale


autonomia dei singoli

contratti tra loro coordinati dall'unicità del fine (teoria del collegamento).

9. Il negozio in frode alla legge

Nei casi in cui il contratto sia stato concluso per ottenere un risultato indiretto,
L'autonomia privata è immeritevole di tutela se il proposito mediato,
informante di sé la causa concreta dell'accordo, serva a eludere una norma
inderogabile presidiante interessi collettivi o di ordine pubblico. Di per sé il
contratto non è viziato perché i suoi elementi, Astrattamente considerati, non
sono formalmente incompatibili con il sistema; L'invalidità deriva dalla
circostanza che esso è uno

strumento per aggirare una regola insuscettibile di deroga da parte dei privati.

Se i contratti che eludono la disciplina dei diritti dei legittimari, non sono nulli
ma soggetti a

riduzione (inefficacia relativa entro limiti necessari a reintegrare la quota


indisponibile), qualora

l'aggiramento della norma pregiudichi interessi generali, il contratto ha una


funzione (causa

concreta) illegale, siccome è preordinata a frodare la legge (art 1344) -->


nullità dell'intesa.

Il contratto può essere stato concordato anche per illudere i vincoli fiscali: è
esclusa la sanzione ex

Art 1344, perché in base al principio di specialità, la sanzione deve essere


individuata nella

disciplina di diritto tributario.

10. Il negozio fiduciario

Si distinguono due ipotesi di fiducia:

- fiducia cum creditore: caratterizzata dalla specificità che il debitore trasferisce


un bene in

garanzia del debito sottostante. Questo fine viene raggiunto tramite la vendita
elusiva del divieto

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di patto Commissorio (art 2744), Che è nulla ex Art 1344;

- Fiducia cum amico: Per mezzo di questa si trasferisce al fiduciario la posizione


dominicale sul

bene affinché lo alieni al terzo oppure lo utilizzi secondo le istruzioni impartite


dal fiduciante. Il

vincolo fiduciario viene attuato, nei rapporti tra vivi, attraverso il contratto di
mandato senza

procura. L'interposto acquista la proprietà piena verso i terzi, ma tale posizione


di dominio, nei

rapporti interni, È compressa dall'obbligazione verso il fiduciante.

Il negozio fiduciario si perfeziona mediante il collegamento di due negozi:

- l'uno reale ed esterno, opponibile erga omnes, comportante il trasferimento


del diritto al

fiduciario;

- L'altro obbligatorio ed interno, rilevante solo fra le parti, da cui nasce la


promessa del fiduciario

di trasferire il diritto al fiduciante oh al terzo oppure, ove preesista una


situazione giuridica attiva

in capo al fiduciario, di modificarla secondo le istruzioni del fiduciante.

Secondo il Calvo, se dal contratto traslativo di matrice fiduciaria tragga origine


l'impegno di

amministrare il patrimonio nell'interesse altrui, diventa logico accostare la


situazione che ne deriva a quella nascente dal mandato a vendere. Quando
esso abbia ad oggetto immobili, non si

ravvisano ostacoli alla sua trascrivibilità, posto che al mandatario viene


assegnata la

legittimazione a disporre del bene del mandante: gli effetti reali, conseguenti al
negozio esterno, si

perfezioneranno direttamente tra quest'ultimo e l'avente causa, sul piano degli


effetti obbligatori,

del mandatario. La trascrizione implicherà l'opponibilità erga omnes del vincolo


fiduciario

obbligante l'interposto, titolare di una posizione soggettiva fiduciaria, a


disporre del bene a favore

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della persona indicata nel contratto.

Nel caso di negozio fiduciario nel campo dei rapporti a causa di morte, si tratta
di fiducia

testamentaria ex Art 627.

Una volta ammessa la trascrivibilità del mandato immobiliare a vendere, ne


discende l'opponibilità

erga omnes del diritto del terzo destinatario del bene a ottenere il
trasferimento a suo favore da

parte dell'interposto.

Nell'area dei beni svincolati da formalità speciali di investitura, l'infedeltà del


fiduciario, il quale

esercita il ius disponendi contro gli impegni assunti, importa la nascita di una
pretesa risarcitoria

del fiducianti, la quale non potrebbe essere fatta valere contro i terzi a
prescindere dalla loro buona o mala fede.

11. Il trust di diritto interno

La fiducia è alla base del Trust: bisogna capire se questo istituto possa trovare
applicazione nel

diritto italiano. Spetta alla giurisprudenza verificare se il diritto privato italiano


consenta di dare una disciplina compiuta al patrimonio rientrante nella
gestione del fiduciario, la cui proprietà è limitata dall'interesse altrui.

12. Segue: la proprietà sui generis del fiduciario

La segregazione del patrimonio amministrato dal gestore importa la nascita di


un diritto di proprietà che poco si adegua al modello tradizionale ex Art 832,
ancorato agli attributi di esclusività e assolutezza del dominio. La proprietà del
trust è programmaticamente destinata ai beneficiari ed è quindi
temporaneamente esercitata nel loro interesse. L'interesse dei beneficiari
assieme alla fiducia del disponente sulla probità Del gestore costituiscono la
base della vicenda segregativa, la quale giustifica e limita la proprietà
temporanea dell'amministratore. Il fiduciario non può godere a proprio
vantaggio dei beni attribuitegli dal disponente, ne di massima è legittimato a
disporre mettendo a frutto il valore di scambio.

Ne deriva la specificità della proprietà fiduciaria sul patrimonio segregato, che


dà corpo allo

smembramento della proprietà, essendo l'atto traslativo, che attribuisce la


titolarità del trust in

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capo al gestore, preordinato alla realizzazione di un obiettivo ulteriore
rappresentato dalla cura

dell'interesse altrui. Il vincolo obbligatorio, permeante di attributi fiduciari la


proprietà, finisce con

l'alterare il normale contenuto del diritto di proprietà: da qui il rischio di


formazione di situazioni

d'appartenenza incriminanti il principio di tipicità dei diritti reali, che si


percepisce con particolare

evidenza in ipotesi di perpetuità del vincolo segregativo.

L'istituzione del patrimonio fiduciario deve essere razionalizzata con il principio


di ordine pubblico

ex Art 1379 e 2645, da cui deriva il presupposto che la limitazione, frutto dei
poteri di autonomia

privata, alle prerogative del proprietario non possono protrarsi in eterno.

13. Segue: l'opponibilità del vincolo fiduciario. I mobili non registrati

Ci si chiede se l'Art 1379 faccia discendere l'efficacia veramente obbligatoria


del predetto vincolo

di segregazione patrimoniale. Partiamo dai mobili non registrati.

La proprietà del fiduciario è avvicinabile a quella del mandatario all'acquisto: a


seguito del

compimento dell'incarico gestorio questi diventa titolare del diritto reale sul
bene trasferitogli dal

terzo. Il diritto assoluto È costretto dall'obbligazione traslativa interna


diramantesi dal mandato,

prova ne sia che la posizione dominicale è strumentale al completamento del


programma gestorio

e, dunque, al soddisfacimento dell'interesse vantato dall'interponente nella cui


sfera giuridica dovrà essere trasferito il bene. Il mandato è fonte
dell'obbligazione di dare solvendi causa gravante l'interposto, la quale
prescinde dalla natura mobiliare o immobiliare del bene oggetto dell'incarico.
La proprietà del trustee è vincolata dall'obbligazione gestorio scaturente dal
negozio istitutivo del trust. L'interposto deve assolvere l'incarico fiduciario
nell'interesse dei beneficiari E a tal fine è essenziale il trasferimento del
patrimonio nella sua sfera giuridica. La proprietà del fiduciario è preordinata
all'esecuzione del sottostante programma negoziale. Tutto ciò rafforza l'idea

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che questo rapporto strumentale costituisca l'immanente limite alla proprietà
fiduciaria.

I beneficiari hanno piena legittimazione ad opporre il proprio "diritto alla cosa"


Al terzo acquirente in virtù della regola ex Art 1706. Il legislatore ha concesso
così all'interponente un'azione reale a

presidio del suo diritto di credito, il quale sarebbe stato indebolito se


l'obbligazione di dare solvendi causa concernente mobili non registrati fosse
stata protetta secondo il tradizionale modello del risarcimento per equivalente.

Il richiamo contenuto nell'Art 1706 alla regola possesso vale titolo non significa
che il terzo acquisti

da chi non sia proprietario, avendo l'interposto perso la proprietà nello stesso
istante in cui

concluse il contratto esterno nell'interesse dell'interponente, quasi che il diritto


assoluto così

negoziato fosse dotato di un'autonoma forza propulsiva accreditante


l'immagine del dominio

saltellante, ma vuole piuttosto affermare la regola secondo cui la pretesa


traslativa invocata dal

mandante è opponibile ultra partes allorché il subacquirente sia stato a


conoscenza dell'abuso

perpetrato dal suo diretto dante causa al momento della consegna del bene
mobile non registrato.

Non si ravvisano particolari ostacoli a estendere questa regola al mandato a


trasferire: non si può

escludere che la dinamica del trust importi in capo al trustee potestà gestore
complesse.

Il legislatore è riuscito così a bilanciare interessi antagonistici: sono state


contemplate le distanze

di sicurezza del traffico mobiliare all'esigenza di rafforzare l'affidamento del


mandante rendendo

opponibile l'aspettativa traslativa e nello stesso tempo è stata evitata la


frattura del principio

consensualistico, la cui forza espansiva trascende la natura mobiliare o


immobiliare del bene

oggetto di disposizione.

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14. Segue: i mobili registrati e gli immobili

Per queste categorie di beni, l'atto 12 convenzione dell'Aja riconosce la


trascrivibilità del titolo

costitutivo del trust. Ad avviso di alcuni autori gli Art 11 e 12 conv. enunciano
un complesso di

regole minimali qualificanti l'essenza del trust tra vivi o di ultima volontà, in
difetto delle quali

l'istituto forgiato dal diritto straniero perderebbe la propria ragion d'essere, con
l'impossibilità di

produrre effetti all'interno dell'ordinamento giuridico italiano. Esse


costituirebbero lo statuto

essenziale del trust interno, assumendo i tratti distintivi di norme materiali. La


convenzione, a

seguito della sua ratifica, avrebbe introdotto in Italia le regole indispensabili per
la ricezione del

trust o dei criteri di collegamento individuino la legge nazionale quale fonte


disciplinante l'istituto.

Questi articoli non costituirebbero una semplice linea guida, ma conterrebbero


i cardini della

categoria giuridica in oggetto.

Gli Art 11 e 12 se da un lato colmano le lacune del sistema difficilmente


suscettibili di essere

sormontate mediante il ragionamento analogico, dall'altro offrono una


disciplina essenziale per

nulla esaustiva, ma pur sempre in grado di essere completata facendo perno


sull'argomento a

simili gravitante attorno alla ricerca di un elemento di somiglianza tra


fattispecie regolata e ipotesi

innominata. Il problema perderebbe di interesse qualora si ritenga che il nostro


CC detti regole la cui estensione al trust permetta di raggiungere gli stessi
effetti altrimenti ottenibili per mezzo

dell'applicazione immediata degli art 11 e 12 conv intesi alla stregua di norme


di diritto uniforme.

La separazione patrimoniale prevista nell'Art 11 sembra ammessa dall'Art


1707 c.c.: per questo il

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patrimonio fiduciario non può essere aggredito dai creditori personali del
gestore, ne è destinato a

cadere sotto il regime della comunione legale. La specializzazione del


patrimonio oggetto di

segregazione preclude la sua attrazione nelle orbite normative disegnate dalla


comunione dei

coniugi o dalla garanzia generica ex Art 2740. Non dovrebbero sussistere dubbi
circa l'esclusione

delle regime patrimoniale della famiglia dei diritti acquistati dai terzi in
attuazione del mandato,

senza procura, a comprare.

Ne deriva L'incompatibilità con la disciplina sulla comunione legale degli


acquisti realizzati

nell'interesse altrui. L'Art 177 c.c. contiene un frammento normativo inespresso


Che prevede che

dagli acquisti effettuati durante il matrimonio sono esclusi quelli oggetto di


proprietà fiduciaria.

Dall'Art 1707 È possibile dedurre che nei casi in cui l'atto costitutivo del Trust
abbia data certa, i

creditori personali del trustee non possono agire sui beni mobili non registrati
che lo compongono,

essendo loro opponibile il vincolo di destinazione impressa dal disponente. Per


gli immobili e

immobili registrati questo vincolo è invocabile erga omnes grazie alla


trascrizione dell'atto istitutivo.

In merito alla pubblicità di tale negozio nei registri immobiliari non sussistono
dubbi tenuto conto

della sua vocazione traslativa. L'incarico conferito al trustee sottintende


l'obbligazione di

amministrare a titolo provvisorio il patrimonio immobiliare segretato


nell'interesse dei beneficiari

all'unisono con le istruzioni impartite dal disponente, cui si aggiungono il potere


dovere di alienare

il nome proprio i beni ai beneficiari stessi decorso il termine finale o verificatosi


l'evento

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condizionale. Non si può escludere il potere del trust di acquistare beni
impiegando la provvista

conferita nel trust fund. È possibile ipotizzare che il fiducianti sia il destinatario
dell'obbligazione di dare, a patto che la creazione del trust fund risponda a
interessi meritevoli di tutela, come quando il trasferimento al fiduciario sia
preordinato a realizzare finalità di liquidazione. Da qui la liceità
dell'obbligazione di retrocessione al fiduciante del patrimonio che
eventualmente residui dalla predetta liquidazione concorsuale. Ciò che importa
è che il distacco del patrimonio dalla sfera del fiduciante E il riacquisto dello
stesso a seguito dell'adempimento del vincolo di fiducia risponda al legittimo
interesse di terzi, in maniera da evitare la creazione di negozi in frode al
principio della

responsabilità patrimoniale generica ex Art 2740.

Per questa ragione il trustee acquista la proprietà fiduciaria del trust fund.
L'effetto traslativo

scaturente dall'atto istitutivo del trust tra Vivi o a causa di morte giustifica la
sua trasferibilità ai

sensi, rispettivamente, degli Art 2643 n1 e art 2660, benché, con riguardo al
trust testamentario,

l'acquisto del trustee non sia a causa di morte bensì post mortem.

Si arriva quindi al problema dell'opponibilità dei diritti dei beneficiari, sui


immobili o mobili registrati, contro la generalità dei consociati. Ammessa la
trascrizione dell'atto istitutivo del trust tra vivi o di ultima volontà a iniziativa
del gestore, il vincolo fiduciario riverberantesi Sul patrimonio segregato può
essere fatto valere contro chiunque. L'atto dispositivo perfezionato
dall'amministratore in antitesi al programma gestorio legittimerà gli aventi
titolo pregiudicati dall'infedeltà del fiduciario a promuovere la rivendica nei
riguardi dei terzi indipendentemente dal loro stato soggettivo di buona o mala
fede.

I beneficiari agiscono non nella veste di proprietari, ma a difesa del diritto di


credito i cui elementi

tipizzati sono simili all'analogo diritto fatto valere dal mandante al acquisto,
allorché la pretesa al

trasferimento solvendi causa Sia stata trascritta anteriormente all'acquisto del


terzo sub acquirente.

15. Segue: la durata della segregazione

Per quanto riguarda i limiti temporali della segregazione patrimoniale, l'art


1379 ha limitato la

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libertà contrattuale, condizionando la validità dei divieti negoziali di alienazione
alla sussistenza dei requisiti simboleggiati della forza meramente obbligatoria
del vincolo, dall'esistenza di un interesse meritevole di tutela e dalla previsione
di un conveniente limite di tempo.

Spetta all'interprete risolvere il problema circa la durata ragionevole della


segregazione.

Restringere smisuratamente il termine significherebbe però bloccare sul


nascere le occasioni di

utilizzo della segregazione fiduciaria regolata dal cc.

L'art 2646 ter prevede il termine certo pari a 90 anni di efficacia del vincolo
stesso. Non si deve

perdere di vista che il vincolo di destinazione costituisce il minimo comune


denominatore fra

fattispecie tipica e vicenda non espressamente regolata. Si ravvisano così i


presupposti per

estendere il frammento normativo positivamente sancito alla segregazione.

La proprietà fiduciaria non può varcare i limiti di 90 anni: l'additato limite, che
deve comunque

essere meritevole, rispondendo a esigenze di ordine pubblico economico, non


è suscettibile di

deroga; la clausola contraria è sostituta di diritto dal termine legale.

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CAP. IX - LA CONDIZIONE

1. Tipologia

La condizione è l'evento futuro e incerto il cui verificarsi determina l'efficacia


del contratto, di per sé è perfetto, se essa è sospensiva, o la caducazione dei
suoi effetti qualora sia risolutiva.

La condizione, considerata un elemento accidentale del contratto (+ modo e


termine), è dotata di

efficacia subordinante della fattispecie cui accede: la condizione non è un


frammento costitutivo

della fattispecie stessa, ma è un elemento ad essa esterno, che integra il


regolamento di interessi

grazie alla libera scelta delle parti di apporre la clausola condizionale laddove
la legge non lo

impedisca. La condizione non si riflette sul lato ma sulla rapporto, nel senso
che incide sulla

validità della fattispecie (fuori di quanto previsto dall'Art 1354) bensì


unicamente sugli effetti.

L'impegno nasce in capo al debitore quando si verifica l'evento condizionante,


in ipotesi di

condizione sospensiva: chi ha promesso sotto una condizione, non è debitore


finché la condizione

non si è verificata, e vi ha soltanto la speranza che possa esserlo. Ne segue che


si paga per errore

prima della condizione, può ripetere l'indebito che ha pagato. Pendente la


condizione sospensiva il

debitore deve comportarsi in maniera da non pregiudicare l'aspettativa


solutoria dell'altra parte.

La condizione, costituisce uno strumento di gestione del rischio


contrattuale contro gli

avvenimenti fuori uscenti dalla possibilità di controllo delle parti.

L'avveramento della condizione risolutiva non può essere rilevata d'ufficio dal
giudice, essendo

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rimessa la determinazione di farla valere nel contraddittorio processuale alla
potestà della parte

interessata (eccezione in senso stretto). Nulla impedisce di trasformare, tramite


patto modificativo, il contratto da semplice in condizionato.

La condizione è casuale quando l'evento condizionante dipende da circostanze


estranee alla sfera

di dominio di una o entrambe le parti (es condizione che sorga un aereo porto
nel Luogo in cui c'è

l'immobile in commercio), mentre è potestativa nel caso opposto (tizio che si


trasferisce nel luogo

in cui si trova l'immobile in commercio).

L'evento condizionante, una volta verificatosi, inciderà sugli effetti del contratto
condizionato a

patto che sia stabile nel tempo. Quando la stabilità dipende dalla semplice
potestà della parte,

allora i ripensamenti sopravvenuti non incideranno sul rapporto.

Bisogna distinguere tra condizione potestativa e condizione meramente


potestativa, che rende

nullo il contratto (art 1355): mentre nella prima la parte a un interesse


apprezzabile a realizzare il

fatto condizionante, riguardo alla condizione meramente potestativa


l'accadimento condizionante

dipende da un capriccio o da un semplice arbitrio, incompatibile con la


vincolatività del nesso

obbligatorio (acquisto se deciderò di acquistare). È contrario con il concetto


stesso di obbligazione,

che il suo sorgere dipenda dall'arbitrio di colui che si suppone voglio assumerla.
Si potrebbe

riconoscere che la nullità sia strettamente legata all'assenza di causa, visto che
l'obbligazione di

secondo grado (prometto di promettere, mi obbligo ad obbligarmi) È una


costruzione teorica

inadatta a sostanziare la giuridicità dell'impegno.

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La condizione ha natura mista quando dipende sia dalla discrezionalità dello
stipulante, sia da

eventi esterni al dominio dei protagonisti dell'affare: riguardo alla vendita


sospensivamente

condizionata alla concessione di un finanziamento, se per un verso l'evento


(prestito) è di per se

svincolato dal controllo delle parti che soggiacciono al potere della banca, per
l'altro occorre

l'impulso della controparte con la presentazione della domanda di mutuo.

La condizione può essere positiva quando abbia ad oggetto il verificarsi di un


fatto giuridico o

materiale, mentre è negativa nell'ipotesi opposta. La clausola condizionale


dipende da una scelta Che affonda le proprie radici nella potestà di
autodeterminazione. Essa può essere imposta anche dall'ordinamento, come
ad esempio quando la legislazione subordini l'efficacia del contratto
all'emanazione di un provvedimento della PA (condizione legale).

Nell'esercizio della libertà negoziale le parti hanno facoltà di condizionare gli


effetti della rapporto

giuridico al verificarsi di più eventi condizionanti (condizione cumulativa),


oppure di uno soltanto

(condizione alternativa). Il requisito dell'incertezza permea l'evento


condizionante. Lo stato di incertezza può anche essere relativo o meramente
soggettivo, posto che fatti storicamente certi, siccome già accaduti, sono
suscettibili di essere contornati da una aura di incertezza tenuto conto delle
cognizioni rientranti nella disponibilità dei singoli contraenti. Quando le parti
abbiano interesse a subordinare gli effetti del contratto all'accertamento di un
evento che dal loro punto di vista sia incerto, quantunque risulti obiettivamente
assodato o comunque documentabile, e se lo stato di incertezza appaia
soggettivamente ragionevole, perché altrimenti verrebbe compromessa la
serietà dell'animus contrahendi, da cui discenderebbe la nullità del rapporto
giuridico, non pare che sussistano significative ragioni ostative all'applicazione
della normativa dettata in tema di contratto condizionato.

Ci troviamo di fronte a un condizionamento improprio, prova ne sia che l'intera


disciplina sulla

condizione di nata dallo stato di incertezza oggettiva, che di norma si proietta


nel tempo per periodi anche rilevanti, non può trovare applicazione, se non
ricorrendo a forzature asistematiche.

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L'incertezza legata ad un fatto presente o passato può essere sciolta tramite
azioni cognitive

talvolta istantanee.

Meglio riconoscere che Il contratto è quindi stato sottoposto ad una riserva di


verifica, i cui tratti

caratterizzanti dipenderanno dalle specificità della vicenda. Immaginiamo che


tizio prometta di

vendere a caio un fondo alla condizione che esso sia attualmente edificabile.
Appurato in senso

positivo l'elemento soggettivamente incerto, il contratto dispiegherà i suoi


effetti; in caso contrario l'obbligazione traslativa ripiegherà su se stessa per la
consapevole discrasia tra comune volizione e fatto presupposto,
originariamente certo ma ignorato dalle parti.

2. La condizione illecita e impossibile

Ai sensi dell'art 1354 c1, il contratto è nullo quando la condizione abbia ad


oggetto un

avvenimento illecito per contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico o al


buon costume.

È nullo quando sia sottoposto ad una condizione impossibile qualora sia


sospensiva, mentre la

condizione impossibile risolutiva si considera come non apposta.

La nullità si individua anche in caso di indeterminabilità dell'evento


condizionante.

L'impossibilità può essere materiale o giuridica.

Il legislatore considera come non meritevole di protezione il contratto i cui


effetti siano inattuabili

stante l'impossibilità dell'avveramento dell'evento condizionate. Se però le


parti avessero trattato

l'affare con la consapevolezza dell'impossibilità, potrebbe configurarsi


l'inesistenza del contratto

per assenza di una seria volontà; se fosse invece mancata questa


rappresentazione, il fondamento

della sanzione sarebbe avvicinabile alla ratio essendi della nullità per
impossibilità dell'oggetto.

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Questa soluzione risulterebbe immotivata in caso di condizione risolutiva,
siccome il contratto è

immediatamente efficace e quindi suscettibile di protezione nonostante


l'impossibilità dell'evento

destinato, secondo il proponimento delle parti, a ripercuotersi sul rapporto.

La possibilità dell'evento dedotto in condizione va apprezzata ex ante e cioè


alla data dell'accordo,

salvo che le parti abbiano previsto un termine iniziale di efficacia.


L'impossibilità sopravvenuta

implica il mancato avverarsi dell'evento. La prova dell'avveramento o del


mancato avveramento dell'evento condizionante può essere raggiunta anche
mediante testimoni, quantunque il contratto condizionato soggiaccia alla forma
scritta sotto pena di nullità, in quanto la dimostrazione ha ad oggetto un fatto
e non un patto aggiunto o contrario (art 2722).

Ai sensi dell'art 1354 uc, se la condizione illecita o impossibile è apposta a una


singola clausola

contrattuale si osservano, riguardo alla sua efficacia, le disposizioni dei c1 e c2,


fermo quanto

disposto dall'art 1419 a mente del quale:

- la nullità della clausola importa la nullità dell'intero contratto se risulta che le


parti non lo avrebbero concluso senza;

- In ogni caso di nullità del frammento non si riverbera sul tutto quando le
clausole nulle sono

sostitute di diritto da norme imperative (art 1339).

3. Condizione sospensiva e termine di adempimento

L'incertezza dell'evento condizionate permette di tracciare la linea di divisione


tra condizione e

termine. L'accadimento prossimo, il cui verificarsi è fuori discussione,


quantunque sussista lo stato

di incertezza sul quando, partecipa della natura di termine e non di condizione,


giàcché il discrimine fra i due istituti è segnato dall'incertezza sul se del futuro
accadimento. Vi è condizione

quando dies incertus an, mentre sussiste termine ove dies certus an.

4. Il termine di avveramento dell'evento condizionante

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Le parti possono evitare che la situazione di incertezza derivante dalla clausola
condizionale di

trascini senza fine, prevedendo il termine finale entro cui l'evento futuro e
incerto dovrebbe

realizzarsi. Decorso inutilmente tale dies a quem, il contratto acquista


definitiva efficacia o si

risolve, secondo che la condizione sia risolutiva o sospensiva.

Altrimenti, tenuto conto della necessaria temporaneità dei rapporti obbligatori,


la parte che ha

interesse è legittimata ad agire in giudizio al fine di ottenere la dichiarazione di


inefficacia o di

definitiva efficacia del contratto, in virtù della circostanza che sia stata
originariamente pattuita una condizione, rispettivamente sospensiva o
risolutiva, quando sia decorso un congruo periodo di

tempo senza che nel frattempo si sia verificato l'avvenimento condizionante.


Non occorre proporre ex ante una domanda di fissazione giudiziale del termine
ex art 1183.

Questo principio suscita qualche dubbio ove venga esteso alla diatriba attorno
alla liceità della

condotta di tizio, il quale, dopo aver alienato a Caio il fondo sottoponendo il


contratto alla

condizione del rilascio del permesso a costruire, decorsi sei anni rivenda A
Sempronio lo stesso

bene. Tizio, di fronte alla pretesa avanzata da Caio di risarcimento basata sul
fatto che il mancato

avveramento dell'evento condizionante sarebbe stato a lui imputabile per


effetto della seconda

alienazione, professa la legittimità della propria condotta avendo agito uti


dominus, siccome non si è avverata la condizione di efficacia del primo
trasferimento. Il mancato avveramento

discenderebbe dalla rilevanza del tempo nel frattempo trascorso. La condizione


è nella specie

unilaterale, essendo posta nell'esclusivo interesse di Caio. Qualora si muove


dalla premessa che

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essa sia suscettibile di rinuncia, anche tacita, da parte del contraente favorito,
non sembra corretto escludere la responsabilità del venditore permettendogli di
invocare il decorso di un confacente periodo, perché così ragionando si corre il
rischio di violare il divieto di agire contro il fatto proprio e di stravolgere il
principio di disponibilità della condizione unilaterale. La congruità del periodo
entro cui dovrebbe ragionevolmente avverarsi la condizione va stimata tenuto
conto Del metro di prevedibilità calibrabile all'epoca dell'intesa.

5. La deducibilità dell'adempimento in condizione

È discussa la deducibilità in condizione delle prestazioni caratterizzanti il tipo


contrattuale, come

accade quando l'obbligazione del compratore di pagare il prezzo sia stata


subordinata al rilascio

del permesso di edificare. Ci si interroga se questi, ove non abbia ottenuto il


provvedimento

amministrativo richiesto, possa rifiutare l'adempimento adducendo il mancato


avveramento

dell'evento condizionante la propria prestazione.

Secondo l'indirizzo tradizionale, il quesito merita risposta negativa, perché


risulterebbero

suscettibili di essere condizionati soltanto gli elementi estrinseci del contratto,


ma non quelli

essenziali. La condizione, in quanto partecipa della natura dell'evento


collocantesi fuori della

fattispecie legale, fungerebbe da concausa dell'efficacia del contratto,


differenziandosi, in ciò, dagli elementi essenziali, i quali sono causa
dell'efficacia stessa. Per questi motivi, l'avvenimento futuro e incerto, il quale si
riverberi sugli effetti essenziali del tipo negoziale, non potrebbe essere dedotto
in condizione, dovendo necessariamente essere valutato sotto il profilo
dell'inadempimento. L'autonomia privata risulta limitata laddove i contraenti
intendono condizionare l'efficacia del regolamento pattizio al previo
adempimento: l'autonomia non può essere così estesa da trasformare un
elemento del tipo contrattuale da essenziale in accidentale. Qualora le parti
travalicassero questo limite, il contratto risulterebbe privo di causa e nullo ex
Art 1418 c2. Quest'idea è legata alla nozione di causa in senso economico
sociale. Quando si intenda

abbandonare questa nozione di causa per approdare alla causa empirica


dell'accordo, viene meno

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ogni remora alla deducibilità della prestazione solutoria in condizione. Una
volta ammesso Che

l'intento assume giuridica rilevanza allorché sia stato obiettivando nel


regolamento negoziale,

diventa inevitabile imboccare la strada che conferisce piena meritevolezza


dell'interesse a

subordinare l'esigibilità dell'obbligazione al verificarsi dell'evento destinato a


concretare il

menzionato interesse. La deduzione dell'adempimento in condizione È coerente


ad un sistema che assegna alle parti strumenti di autotutela quali la clausola
risolutiva espressa ex Art 1456 e eccezione di inadempimento ex Art 1460.

Questa condizione può essere non solo sospensiva ma anche risolutiva, come
succede quando le

parti stabiliscono che l'effetto traslativo venga a decadere in ipotesi di


inadempimento

dell'obbligazione corrispettiva gravante il compratore.

6. Pendenza della condizione

In pendenza della condizione sospensiva l'acquirente di un diritto può compiere


atti conservativi

(art 1356 c1): la parte è legittimata a chiedere tutte le misure utili alla
conservazione dell'oggetto

della prestazione, ovvero provvedimenti cautelari o possessori adatti a


proteggere lo Stato di

aspettativa in cui si trova il compratore di un diritto soggetto alla condizione


sospensiva. E gli può

anche domandare una sentenza di accertamento del rapporto condizionato.

Chi è divenuto titolare di un diritto sotto condizione risolutiva può esercitarlo in


pendenza di questa ed è trasmissibile mortis causa, Ma l'altro contraente ha
facoltà di compiere atti conservativi: la legge protegge l'opposta aspettativa al
riacquisto del dominio da parte di chi ha trasferito una posizione soggettiva
sotto condizione risolutiva.

Il titolare di un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva può


disporre, anche per

negozio di ultima volontà, in pendenza di questa, ma gli effetti di ogni atto di


disposizione sono

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subordinati alla stessa condizione (art 1357).

La clausola condizionale costituisce un limite alla libera disponibilità dei beni


per cui non può

essere fatta valere all'infinito, dovendo essere circoscritta entro limiti temporali
ragionevoli (arg. Ex art 1379). Se pendente la condizione, una delle parti violi le
obbligazioni assunte, l'altra è libera di chiedere la risoluzione ancorché sia
scaduto il termine per il suo avveramento.

7. Retroattività

Gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è


stato concluso il

contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli
effetti del contratto o

della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso (art 1360 c1).

L'avveramento della condizione ha efficacia reale, essendo opponibile a


chiunque laddove sia

stata soddisfatta, nel caso di diritti reali immobiliari o altri diritti soggetti a
trascrizione, la formalità ex Art 2659 C2: l'omessa menzione della condizione
nella nota di trascrizione implica la sua inopponibilità a terzi.

Per i mobili non registrati vale la regola del possesso vale titolo: l'Art 1357, ti
mando l'atto di

disposizione anche da parte di chi abbia acquistato sotto condizione


sospensiva, permette di

scorgere il titolo idoneo richiesto dall'Art 1153. Qualora la condizione risolutiva


sia stata apposta ad un contratto a esecuzione continuata o periodica
(rapporto di durata), l'avveramento di essa, in mancanza di un diverso
accordo, non ha effetto per quel che attiene alle prestazioni già eseguite (art
1360 c2). L'avveramento della condizione non pregiudica la validità degli atti di
amministrazione eseguiti dalla parte cui, in pendenza della condizione stessa,
spettava l'esercizio del diritto; sono ammessi anche gli atti di straordinaria
amministrazione purché siano funzionali alla tutela dell'interesse in capo al
titolare dell'aspettativa.

Se non è diversamente stabilito dalla legge o dal contratto, i frutti percepiti


sono dovuti dal giorno

in cui la condizione si è avverata (Art 1361 c2).

8. Condizione risolutiva e pregresso inadempimento

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Il verificarsi della condizione risolutiva importa, in linea di principio, la
caducazione ex tunc del

contratto. Ci si chiede se questa conseguenza possa giustificare la pretesa di


risoluzione per

inadempimento della prestazione da eseguirsi antecedentemente al verificarsi


dell'evento

condizionante. Supponiamo che Tizio prometta in vendita a Caio un fondo


rustico, e il preliminare, vincolante il primissario a pagare una parte del prezzo
prima del definitivo, è sottoposto alla condizion risolutiva del rilascio del
permesso di costruire, che però non viene concesso. Nel frattempo il
promissario omette di adempiere l'obbligazione, Talché il promittente agisce in
giudizio chiedendo la risoluzione del contratto a causa dell'inadempimento
dell'altra parte, oltre i danni. Il convenuto si difende sostenendo l'infondatezza
della pretesa, essendosi il contratto risolto in seguito all'avveramento della
condizione: Questa risoluzione, operando ex Tunc, renderebbe privo di
rilevanza giuridica l'inadempimento lamentato dal promittente. La tesi
sostenuta dal promissario è fondata, perché la violazione del regolamento
contrattuale è stata annientata dal sopravvenuto evento condizionante.

Nel caso in cui il mancato verificarsi della condizione determini la risoluzione


del contratto, gli

effetti dell'eventuale clausola regolante gli obblighi di restituzione conseguenti


all'esecuzione del

rapporto non possono essere impugnati ex Art 1467 a causa della


sopravvenuta onerosità

eccessiva, posto che tali fattispecie postula necessariamente un contratto


efficace e quindi

suscettibile di esecuzione.

9. La condizione unilaterale

La condizione può essere pattuita nell'interesse di entrambe le parti, ma


l'evento condizionante

puoi rispondere anche all'interesse di una sola parte, come accade laddove
l'alienazione di un

fondo sia stata condizionata al rilascio del permesso di edificare. Il venditore


non ha alcun

interesse in ordine al verificarsi dell'evento, posto che l'emanazione del


menzionato provvedimento amministrativo protegge esclusivamente l'interesse
del compratore in vista del programmato esercizio del diritto di edificare.

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L'interesse del venditore è semmai toccato indirettamente, sotto il profilo delle
obbligazioni di restituzione che sopravvengono in ipotesi di inefficacia definitiva
dell'accordo traslativo.

La condizione unilaterale rientra nella piena disponibilità dello stipulante a


vantaggio del quale è

stata prevista, di modo che egli può rinunciare alla facoltà di avvalersene
trasformando il contratto

da condizionato in semplice. La rinuncia alla condizione può essere compiuta


anche per fatti concludenti, sebbene il contratto sia solenne, e può avvenire
senza vincoli di forma in epoca successiva al suo mancato avveramento: si
tratta di una finzione, la quale consente di ritenere mai verificatosi l'evento
negativo che è venuto oggettivamente in essere. La rinuncia non ha infatti ad
oggetto il diritto sulla cosa, ma implica l'esercizio del potere unilaterale di
modificare il contratto. Le parti possono anche concludere una clausola
vietante questa alterazione dell'auto regolamento rimessa alla potestà dello
stipulante nel cui interesse esclusivo la condizione fu pattuita. La rinuncia
giustificherà l cancellazione della condizione ex art 2668 c3.

La stessa condizione assumerebbe i tratti della bilateralità in caso di permuta


di terreno dietro

trasferimento di una porzione di edificio da costruire al di sopra di tale predio.

10. La finzione di avveramento

In pendenza della condizione ciascuna parte è tenuta a comportarsi secondo


buona fede al fine di

conservare le ragioni dell'altra (art 1358). Trova applicazione il principio ex Art


1375, che si traduce

nella tutela delle aspettative vantate dal titolare del diritto condizionato.

L'infrazione A questo dovere è punita dall'Art 1359, il quale introduce la


finzione giuridica di

avveramento: la condizione si considera avverata qualora sia mancata per


causa imputabile alla

parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa. Questa sanzione


non è applicabile

quando la condizione sia bilaterale, ossia prevista nell'interesse di entrambi gli


stipulanti.

Nulla esclude che la parte, deducendo la trascrizione dell'Art 1358 possa


ricorrere ai rimedi comuni della risoluzione e del risarcimento del danno: è
rimessa alla sua discrezionalità invocare o meno la finzione.

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La finzione giuridica, Che opera anche quando l'impedimento sia imputabile a
titolo di colpa e

sempre che la condizione non sia di natura potestativa (Per incompatibilità


logica tenuto conto

della libertà che gode la parte nelle scelte relative al proprio agire), è
strumentale a garantire in

concreto lo stipulante dal rischio della frustrazione dell'intento empirico per la


tutela del quale fu

pattuita la clausola condizionale. La funzione di garanzia, vanificata dalla


condotta scorretta della parte contro interessata, la quale abbia alterato il
normale corso degli eventi impedendo il verificarsi dell'accadimento dedotto in
condizione, è protetta dal rimedio della finzione: es tizio acquista da Caio un tot
di sementi alla condizione sospensiva di concludere entro sei mesi il contratto
di affitto del fondo di proprietà di Sempronio, ma quest'ultimo contratto non
viene perfezionato a causa della dissuasione esercitata da Caio verso
Sempronio, giustificata dall'interesse di Caio di acquistare lo stesso fondo libero
da rapporti personali di godimento. Tizio ha facoltà di invocare la finzione
giuridica, siccome il mancato avveramento dell'evento condizionante è
imputabile alla parte controinteressata.

L'individuazione del controinteressato va operata tenuto conto


dell'assetto degli interessi

cristallizzato al momento dell'accordo e prendendo in esame gli avvenimenti


sopravvenuti, i quali

possono comprovare un mutamento dello stato iniziale delle cose. L'evento si


considera avverato

quando il contraente, nel cui interesse la condizione fu pattuita, abbia perso


l'originaria

convenienza alla sua attuazione, nella misura in cui la condotta successiva


suffragi la prospettata

conversione di rotta. Es: tra tizio e Caio è stato concluso un preliminare di


permuta di terreno contro una porzione di edificio da costruire, sottoposto alla
condizione sospensiva del rilascio del permesso a edificare. La condizione è
stata fissata nell'interesse di entrambe le parti, ma il provvedimento viene
negato perché il promittente, in quanto proprietario, non ha presentato alla PA
la documentazione necessaria.

Nascono due interrogativi:

1) il promissario è legittimato a invocare la funzione di avveramento in vista


dell'accoglimento

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della domanda di esecuzione in forma specifica del definitivo? È vero che il
rigetto della domanda

entro il termine previsto è dipeso dalla condotta negligente del promettente,


nel cui interesse la

condizione fu pattuita, ma è anche vero che l'attribuzione della qualifica di


contro interessato,

rilevante ex Art 1359, va attuata in senso dinamico, avendo cura di appurare


se durante

l'esecuzione del rapporto obbligatorio siano emerse circostanze atte a


dimostrare il mutamento

sopravvenuto di interessi rispetto alla situazione esistente all'epoca


dell'accordo: Il promittente,

attraverso questa condotta, ha svelato il proprio disinteresse all'avveramento


della condizione.

2) È applicabile o meno l'Art 1359, laddove l'evento condizionante consiste in


un provvedimento

amministrativo? Non può essere tollerato che attraverso la finzione si possa


considerare come

emesso il degenerato atto amministrativo. Tuttavia, quando il rigetto non


discenda da un

impedimento invalicabile, bensì dall'insufficiente allegazione documentale


imputabile alla parte che abbia agito scorrettamente, sfumano gli ostacoli ad
estendere l'Art 1359 al caso di specie, perché l'accoglimento della domanda ex
Art 2932, lungi dall'autorizzare l'attore a costruire, importa l'attribuzione a suo
favore della legittimazione a promuovere l'iter burocratico finalizzato al
conseguimento del permesso a costruire. La sentenza costitutiva dell'accordo
traslativo di permuta di cosa presente contro cosa futura fa nascere in capo al
promissario lo obbligo di costruire, la cui eventuale violazione è emendabile da
parte del promittente avvalendosi dei rimedi di diritto comune.

Supponiamo che Tizio e Caio concludere un contratto di locazione di un fondo,


sottoposto alla

condizione sospensiva del conseguimento però tra del locatore del permesso di
edificare,

legittimante l'innalzamento sulla predetta area di strutture, da realizzarsi a


spese del conduttore,

destinate all'esercizio dell'attività commerciale da parte del detentore.


Successivamente, questi

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agisce contro il locatore al fine di ottenere la risoluzione del contratto e il
ristoro dei danni, in

ragione del fatto che il convenuto ha omesso di compiere le attività


indispensabili in vista delle

rilascio del provvedimento dedotto in condizione. Il punto centrale è focalizzato


intorno

all'incidenza causale dell'inazione sul mancato verificarsi dell'evento


condizionante. Perché se la

struttura servente allo svolgimento dell'attività commerciale si rivelasse


contraria alle prescrizioni

urbanistiche, e se quindi la domanda diretta all'emanazione dell'atto


amministrativo fosse non

suscettibile di accoglimento, verrebbe a mancare ogni efficienza eziologica ai


sensi dell'arte 1223

tra la condotta omissiva del locatore e il mancato perfezionamento dell'evento


condizionante.

Spetta alla giurisdizione apprezzare questo rapporto di causa effetto, sì da


assodare astrattamente

se emergano o meno impedimenti pubblicistici alla realizzazione del


programma negoziale. Nel

caso in cui la risposta fosse di segno positivo, crollerebbe ogni appiglio a


supporto della domanda

risarcitoria, legata alla finzione ex Art 1359, in quanto il contratto sarebbe


affetto da nullità per

impossibilità giuridica dell'oggetto.

11. La finzione di non avveramento

È possibile estendere la regola ex Art 1359 all'ipotesi non contemplata, della


finzione di non

avveramento, allorché L'evento si sia verificato per fatto imputabile


all'interferenza anomala della

parte interessata. Supponiamo che Tizio e Caio cedano a Sempronio le quote


della società beta, sottoponendo il contratto alla condizione per cui, se la
società gamma revocherà prima di un determinato termine il contratto di
mandato intercorrente con beta, i cedenti saranno tenuti a versare al
cessionario una somma a titolo di indennizzo. Poco dopo la condizione si avvera

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a causa del comportamento scorretto del cessionario, il quale lascia scadere
una proposta contrattuale formulata dalla società mandante, che, se fosse
stata accettata, avrebbe determinato la prosecuzione del rapporto gestorio.

La maliziosa inazione della parte interessata Al verificarsi dell'evento


condizionante arreca una

lesione all'interesse dei cedenti, facendo andare in cortocircuito le finalità della


clausola

condizionale, le quali erano mirate a proteggere il cessionario dalla rischio della


caduta di uno degli elementi centrali nella direzione dell'equilibrio economico
del contratto di vendita di quote sociali, rappresentato dalla permanenza del
vincolo di mandato tra la società emittente E la società gamma. Senonché la
revoca dell'incarico gestorio è stata provocata dal cessionario, al fine di
escutere la garanzia convenzionale. Risulta giustificato il rigetto della pretesa
vantata dal cessionario stesso alla luce del principio di finzione giuridica di
avveramento della condizione ex Art 1359, stante la sostanziale identità della
ratio intercorrente fra la stipulazione tipica e quella non espressamente
contemplata dalla lettura del testo normativo.

CAP. X - L'INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO

1. Le tecniche di integrazione

L'Art 1374 sancisce il principio secondo cui il contratto obbliga le parti non solo
a quanto è nel

medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano


secondo la legge o, in

mancanza, secondo gli usi e l'equità. Le parti, in esecuzione dei poteri di


autodeterminazione, sono libere di delineare il contenuto del contratto e di
scegliere il tipo negoziale più idoneo al conseguimento del risultato
programmato (causa concreta). Non sempre il regolamento è così esaustivo da

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esprimere la totalità delle regole, strutturanti la singola fattispecie, idonee a
raggiungimento degli obiettivi concordati = lacune.

La vicenda integrativa che ne consegue ha una radice suppletiva: ad essa si


contrappone quella

cogente, la quale entra in scena nonostante l'eventuale patto contrario,


allorché la norma

trasgredita abbia natura imperativa. In quest'ambito si inserisce l'Art 1419 in


tema di nullità parziale del contratto. Si individua la regola secondo la quale la
nullità delle singole clausole si ripercuote sull'intero contratto se esse erano
determinanti del consenso, salvo che i frammenti decapitati dalla sanzione
demolitoria siano sostituiti di diritto dalle norme di integrazione cogente in
armonia al favor contractus.

Anche l'Art 1339 disciplina un meccanismo di sostituzione automatica delle


clausole legali

inderogabili con quelle convenzionali antinomiche rispetto alle prime, sempre


che il diritto scritto

non abbia decretato una diversa sanzione per colpire l'additato contrasto.

2. Gli usi

L'Art 1374 menzione gli usi tra le fonti di integrazione del contratto, facendo
riferimento agli usi

normativi o consuetudini ex Art 8 prel, raccolti e ordinati dalle camere di


commercio.

Gli elementi costitutivi dell'uso normativo sono:

- uno di carattere oggettivo dato dalla reiterazione uniforme e costante di un


determinato

comportamento;

- L'altro di carattere soggettivo, consistente nella convinzione


dell'obbligatorietà di siffatta condotta.

Questi usi costituiscono una fonte sussidiaria di produzione nelle materie non
regolate dal diritto

scritto, mentre nelle altre ipotesi al efficacia soltanto in quanto siano


espressamente richiamati

dalla fonte superiore. Gli usi richiamati dall'Art 1340 hanno natura negoziale:
consistono in pratiche seguite da una determinata cerchia di contraenti oppure
diffuse entro un circoscritto settore merceologico, senza che siano richiesti i

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presupposti di consolidazione tipici degli usi normativi. A giudizio delle corti, gli
usi convenzionali integrano il regolamento privato di interessi anche se ignorati
dalle parti, siccome l'Art 1340 esclude la descritta funzione di completamento
solo laddove risulti che le parti stesse non intesero a far rinvio ad essi. Secondo
il Calvo, quando il contraente sia riuscito a dimostrare l'ignoranza dell'uso
prova senz'altro di non averlo voluto, posto che non si può volere ciò di cui si
ignora l'esistenza.

In caso di antinomia gli usi negoziali, a differenza di quelli normativi,


prevalgono sulle disposizioni

suppletive di legge, in quanto l'efficacia dell'uso negoziale è assimilabile a


quella riconosciuta alla

clausola contrattuale, che può derogare la norma integrativa. La forza giuridica


dell'uso convenzionale trova un limite riguardo agli oneri di forma previsti per il
tipo negoziale, di modo che detto uso non può supplire all'eventuale assenza di
forma scritta richiesta sotto pena di nullità. La specifica approvazione per
iscritto delle clausole onerose A norma dell'Art 1341 C2, non è richiesta
riguardo a quelle riproducenti il contenuto di un uso normativo, mentre lo è
riguardo

all'uso contrattuale.

Pacta sund servanda: la manifestazione della volontà contraria all'inserimento


nel contratto di

clausole d'uso non ha effetto se intervenuta dopo la sua conclusione. Non può
essere ex post

modificata in peggio ad iniziativa di uno solo degli stipulanti la disciplina


risultante dall'integrazione del contratto di lavoro per opera delle prassi
aziendali (usi aziendali), la quale è riconducibile alle clausole d'uso ex Art
1340.

Ove il datore di lavoro pagasse alla generalità dei suoi dipendenti un


determinato emolumento, al

fine di appurarne l'obbligatorietà sarebbe indispensabile valutare se tale


prestazione fosse poi è

stata corrisposta a I'll beneficianti in modo continuativo. Occorre tenere in


considerazione del fatto che le condizioni di miglior favore derivanti dagli usi
aziendali non sono di erogabili in peggio dalla sopravvenuta contrattazione
collettiva. Qualora il comportamento in questione sia circoscritto a specifici
lavoratori, non affioreranno i tratti dell'uso aziendale, dovendosi a mettere la
sussistenza di fatti individuali, ciascuno fonte di un distinto obbligo contrattuale
verso il singolo destinatario.

3. Le clausole di stile

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Le clausole di stile non esprimono una volontà concreta delle parti essendo
state inserite nel testo

negoziale per una sorta di atto di fede a prassi inveterate, oppure al fine di
colmare eventuali

omissioni. Esse sono sfornite di significato giuridico a causa della loro


genericità ed

indeterminatezza.

Es rientra in questa categoria la proposizione con cui si stabilisce che ogni


violazione del contratto

importerà la sua risoluzione automatica. Ai fini della costruzione convenzionale


di una servitù

prediale non è sufficiente la clausola di stile che prevede che "la vendita
comprende i connessi

diritti, accessori e pertinenze", essendo indispensabile la manifestazione


dell'inequivocabile

volontà del proprietario Del fondo servente diretta a istituire la servitù e la


specifica determinazione di tutti suoi elementi essenziali.

All'opposto, la clausola relativa alla vendita di un terreno con cui si stabilisce


che esso viene

trasferito libero da pesi, canoni, vincoli ed oneri pregiudizievoli, non essendo di


stile è quindi

idonea ad esprimere la volontà contraria al sorgere di una servitù per


destinazione del padre di

famiglia (art 1062).

4. L'equità

In alcuni casi è la legge che assegna al giudice poteri equitativi: art 1226,
1384, 1450, 1468, 1733,

1736, 1748, 1751 bis, 1755, 2109, 2110, 2118, 2263, 2500 quater. Si tratta di
ipotesi riguardo alle

quali, non essendo possibile dettare una regola generale e astratta del caso
concreto, appare

preferibile riconoscere al magistrato ampi poteri discrezionali, legittimandolo a


decretare la norma

più idonea alla vicenda soggetta al suo scrutinio.

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L'equità assurge ad argomento usato per rimediare all'estremo rigore del diritto
scritto, nell'intento di differenziare la posizione del debitore corretto da quella
in cui si trova l'obbligato disonesto, riconoscendo soltanto al primo il
trattamento di favore stabilito in via di eccezione dallo statuto normativo.
L'equità permette anche di integrare le lacune del regolamento contrattuale in
modo da creare ex post la regola più adatta alla soluzione del contrasto grazie
ai superiori ideali di giustizia (art 1374). La competenza integrativa del giudice
deve essere mantenuta nell'ambito dei principi informanti il sistema: il giudice
non può fare esclusivo affidamento sulla sua personale sensibilità equitativa,
essendo tenuto a esercitare i poteri discrezionali lasciandosi guidare dal
ragionamento analogico, dalla legge, Dall'interpretazione logica e teleologica e
dai valori costituzionali; egli deve sempre rispettare il principio di parità di
trattamento di fronte a situazioni simili.

5. La buona fede

Valore determinante in vista dell'integrazione dell'atto di autonomia privata


deve essere

riconosciuto alla clausola generale di buona fede ex Art 1175 e 1375. Risulta
essere un mezzo di

completamento del contratto, contro i propositi delle parti maliziose di


stravolgere l'originario

fondamento negoziale in vista dell'attuazione di interessi egoistici in


opposizione ai canoni di etica

negoziale.

La clausola generale di buona fede è destinata a rivestire un duplice ruolo,


consistente nella

legittimazione del giudice ad accertare la nullità delle singole pattuizioni in cui


contenuti entrino in

contrasto con la legalità costituzionale. Inoltre la buona fede permette al


giudice, tenuto conto

dell'assetto di interessi originariamente forgiato Dalle parti in vista


dell'attuazione della causa

concreta dello scambio, di individuare gli obblighi inespressi ma immanenti,


strumentali al

raggiungimento del programma. Le clausole generali obbligano i giudici a


ricercare la volontà

implicita, accertando quanto si cela al di sotto delle clausole espresse, in modo


da contemperare

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opposti interessi in funzione della finalità concreta dell'atto di autonomia
privata.

I valori di etica negoziale, che permettono di valutare se il regolamento privato


o la condotta delle

parti si uniformi o meno al fondamenti dell'ordinamento costituzionale, non


autorizzano improprie

invasioni di campo del potere statale attraverso il giudice, nell'ambito


dell'autonomia privata e

dell'autodeterminazione dei consociati, sino a legittimare autoritari interventi di


adeguamento del

contenuto del contratto a vantaggio del contraente cui si intende prestare


soccorso. L'integrazione

del contratto secondo buona fede si deve armonizzare con i postulati della
libertà negoziale: il

giudice è tenuto intervenire laddove ravvisi la mortificazione dell'individualità


(extrema ratio).

L'attitudine integrativa della buona sede in senso oggettivo presuppone un


regolamento di interessi già definitivo, in modo che essa in relazione alle
circostanze concrete, possa solo fondare obblighi ulteriori non previsti né
astrattamente tipizzabili, ma funzionali alla realizzazione del programma
negoziale e solidali, senza alterare il contenuto precostituito.

La clausola di buona fede viene invocata come regola di condotta allo scopo di
avvalorare la

pretesa all'esecuzione di prestazioni le quali, sebbene non espressamente


pattuite, appaiano

necessarie in vista della realizzazione della causa concreta e non richiedono un


impegno di

rilevanza tale da stravolgere l'assetto di interessi voluto dalle parti. Questa


pretesa non postula

necessariamente in capo al richiedente la qualifica di creditore, ben potendo


essere invocata

anche dal debitore nella misura in cui si riveli strumentalmente utile


all'adempimento. Il creditore

può pretendere che il debitore modifichi il comportamento tipizzato nel


contratto in tutti casi in cui sia utile al soddisfacimento della causa concreta. La
condotta non prevista ma necessitata in

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funzione dell'interesse della controparte è dovuta nel rispetto della clausola
generale decretata

dall'Art 1375, a patto che non implichi un sacrificio talmente ampio da alterare
l'equilibrio

economico fra promessa e repromissione.

6. Segue: casistica

È infondata ex fide bona la domanda di risoluzione del contratto preliminare di


vendita proposta dal promettente a seguito dell'inadempimento perpetrato
dall'altra parte, ove quest'ultima provi ex Art 1460 che l'inosservanza della
parola data sia dipesa dal rigetto dell'istanza di concessione del mutuo di scopo
imputabile alla mancata collaborazione del promittente stesso in ordine

all'espletamento delle formalità a ciò indispensabili. L'atteggiamento difforme


Dalle direttive di

onestà e solidarietà contrattuale, la cui osservanza lascia immutato l'equilibrio


economico del

contratto, non può essere giustificato solo perché la cooperazione fuoriesca dal
nostro dei patti

espressi. La clausola generale di buona fede impone alle parti di adeguare il


proprio agire in

relazione alle concrete circostanze che affiorano nell'esecuzione degli obblighi


contrattuali.

Le corti si sono espresse intorno alla liceità della condotta preordinata


all'illusione di un'obbligazione: es caso Fiuggi: caso in cui il canone di affitto di
un bacino sorgentifero Sia stato

commisurato al prezzo di fabbrica delle bottiglie. L'interesse delle parti è


orientato a adeguare il

canone al valore reale della moneta tramite la clausola di salvaguardia,


senonché l'affittuario

elabora uno stratagemma per frustrare la finalità della clausola in maniera da


beneficiare del

deprezzamento monetario a scapito del concedente: lascia immutato il prezzo


di vendita delle

bottiglie avvalendosi di società distributrici controllate, le quali operano in


seconda battuta il ricarico nei confronti di fornitura al dettaglio. La vendita a
prezzo bloccato alle controllate integra gli estremi della manovra elusiva della
clausola convenzionale di protezione monetaria: l'affittuario beneficia

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indirettamente dell'aumento del prezzo di vendita della qua minerale praticato
dalle distributrici, ma ciononostante fa leva sulla descritto artificio per deludere
le aspettative dell'altra parte in relazione all'adeguamento del canone al costo
della vita. Sussiste una violazione dell'obbligo di correttezza, sì da rendere
giustificata la pretesa del concedente di ottenere il pagamento della porzione
di canone dovuta sulla base del ricarico proporzionalmente praticato dalle
società distributrice. Il diritto di recesso previsto a favore della banca dall'Art
1845 può prestarsi a un abuso che stride con i doveri di etica negoziale quando
assume i tratti caratteristici il divieto di agire contro il fatto proprio. Es caso in
cui questo rimedio frustri la ragionevole aspettativa del correntista, il quale
abbia riposto il proprio assegnamento sulla possibilità di disporre della
provvista sino al pattuito termine finale.

La banca può anche essere condannata al risarcimento del danno nel caso in
cui improvvisamente

receda dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato e, in


pendenza del termine

convenzionale di un solo giorno previsto per la restituzione del credito


proponga ricorso per

decreto ingiuntivo iscrivendo, grazie alla clausola di provvisoria esecutività,


l'ipoteca sui beni del

debitrice e dei fideiussori. Il diritto di azione non può costituire uno strumento
da scagliare contro il debitore ove il creditore abbia voluto precostituirsi gli
elementi al fine di vessarlo. Si potrebbe

dichiarare nulla per contrasto alla buona fede la clausola standard che
autorizza la banca a

pretendere dall'aderente la restituzione della somma accreditatagli entro il


predetto termine

strangolatorio. Il termine legale previsto nell'Art 1845 ha un immanente


contenuto di equità

esprimendo il suo rispetto l'ideale di giustizia contrattuale. La sua deroga in


peggio imposta tramite le condizioni generali di contratto praticate dagli istituti
di credito urterebbe contro i principi di libertà contrattuale, pregiudicati dal
ingiustificato abuso sostanziatesi nel prepotere della parte che detta
unilateralmente lo statuto del contratto, si dà rendere inevitabile il ricorso alla
scure della nullità calante sulla clausola eterodossa.

Ci si chiede se sia abusiva e quindi contraria ai doveri di buona fede, la


parcellizzazione

processuale del credito derivante da un unico rapporto obbligatorio tramite il


ricorso ad azioni

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giudiziali distinte e autonome pro quota. Si deve ritenere contrario alla clausola
generale di

correttezza e buona fede il frazionamento giudiziale di un credito unitario, a


meno che affiori una

particolare ragione degna di tutela.

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CAP. XI - LA SIMULAZIONE

1. La struttura del meccanismo simulatorio

Tramite la vicenda simulatoria le parti appagano il comune interesse a


plasmare un regolamento

negoziale diverso da quello effettivamente voluto. L'intesa che contiene la


volontà vera, la quale si

sostanzia nell'accordo occultato ai terzi ossia dalla fattispecie oggetto di


ostentazione, destinata a

disciplinare in concreto le relazioni patrimoniali tra le parti, è tenuta in riserbo.

Si percepisce l'anomalia della simulazione consistente in ciò, che il contratto


simulato assume la

funzione di elemento che si interpone tra la messa in scena raffigurata dalle


parti e ciò che

effettivamente voluto. Il requisito della segretezza raffigura il cardine della


simulazione. Il programma occulto o dissimulato è ignorato dei terzi, proprio in
quanto gli stipulanti voglio creare un apparenza difforme dalla realtà.

La discrasia tra voluto e dichiarato è consapevole, essendo accettata da tutti i


partecipanti al

rapporto obbligatorio oggetto di simulazione. Se all'intesa occulta


partecipassero solo alcuni parti,

nei confronti delle altre il contratto simulato risulterebbe vincolante, ossia


costituirebbe la fonte

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esclusiva Del rapporto obbligatorio, in quanto nei loro riguardi la simulazione
non sarebbe

percettibile e quindi mancherebbe il contrasto tra l'essere e l'apparire.

Quando l'antinomia fosse isolata nel foro interno di uno soltanto dei contraenti
occorrerebbe

evocare la categoria della riserva mentale, incapace di dispiegare effetti sulla


validità o efficacia

del negozio. La divergenza involontaria rileverebbe quale errore ostativo. La


simulazione

contrattuale è caratterizzata dalla concordanza di intenti: non potrebbe


ravvisarsi la discrasia tra

realtà e apparenza quando difettasse la convergenza di volizioni nella


configurazione del contratto

vero e della proiezione esterna destinata a creare, almeno per quanto attiene
al progetto condiviso tra le parti, una realtà immaginaria e illusoria agli occhi
dei terzi.

La simulazione è assoluta quando le parti attraverso l'intesa dissimulata non


intendano

perfezionare alcun rapporto giuridico, né modificare lo stato delle cose o la


consistenza delle

rispettive sfere giuridico patrimoniali. È relativa nel caso in cui gli stipulanti
vogliono modificare la situazione giuridica avvalendosi di un regolamento
negoziale diverso dal vincolo apparente.

La simulazione relativa può essere oggettiva quando gli elementi di


distinzione fra contratto

simulato (dichiarazione apparente) e contratto dissimulato (volizione vera)


concernano il modello

negoziale (tizio dichiara di vendere a caio, ma vuole donare), oppure gli


elementi dello stesso (le

parti dichiarano di vendere ad un prezzo inferiore/superiore rispetto a quello


effettivamente voluto e praticato). La simulazione relativa ha portata
soggettiva quando il rapporto giuridico, di fatto, intercorre fra parti diverse
rispetto a quelle del contratto simulato o apparente. Si concretano gli estremi
dell'interposizione fittizia di persona, sempre che all'intesa dissimulata o
segreta partecipino tutti protagonisti della vicenda plurilaterale. L'elemento
costitutivo della fattispecie e l'adesione all'accordo dissimulato
dell'interponente (titolare effettivo) e dell'interposto (titolare apparente), ma

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anche dell'altro contraente (Dante causa), in modo che questi manifesti la
volontà di assumere diritti e obblighi contrattuali direttamente nei confronti
dell'interponente anziché verso il prestanome (interposto).

L'interposizione reale, Che dà luogo ad un trasferimento fiduciario fondato sul


mandato senza

procura a comprare oppure sul trasferimento di proprietà al gestore con


l'impegno a ritrasferire il

bene in capo ad un terzo, è estranea alla fattispecie simulatoria, in quanto gli


effetti della cessione

strumentale, siccome vincolata dall'obbligazione collaterale di dare, sono voluti


dalle parti, e

rappresentano il presupposto irrinunciabile ai fini della concretazione del


pactum fiduciae.

2. Contratto in frode ai terzi e abuso del diritto

L'Ordinamento giuridico non considera di per sé la simulazione alla stregua di


una pratica

moralmente riprovevole e quindi da punire, pur limitandola sotto il profilo


probatorio allorché sia

fatta valere dalle parti. L'intesa simulatoria si presta all'elusione della


responsabilità patrimoniale ex Art 2740 oppure ad aggirare i divieti legali. Gli
interessati possono reagire davanti all'uso sleale della fattispecie attraverso
L'azione di accertamento della simulazione, nonché deducendo la nullità del
contratto in frode alla legge. Può essere utilizzata anche la revocatoria
ordinaria quando i terzi non siano a conoscenza della dissimulazione, oppure
non riescano a dare prova dei suoi elementi costitutivi (controdichiarazione).
L'ordinamento non infligge la sanzione di nullità al contratto in frode ai terzi,
essendo stata circoscritta all'invalidità all'intesa in frode alla legge (art 1344).
È tuttavia possibile che la simulazione sia impiegata dai contraenti per arrecare
ai terzi un danno ingiusto in spregio al divieto di neminem laedere (art 2043).

Es: allorché si ravvisino gli elementi dimostrativi della circostanza che la


locazione fu perfezionata

all'unico fine di pregiudicare le ragioni del terzo aggiudicatario, essendogli


formalmente opponibile

il rapporto obbligatorio ex Art 2923, questi, oltre a chiedere l'accertamento


della natura simulata di tale fattispecie negoziale, è nello stesso tempo
legittimato a pretendere da ambedue gli stipulanti il ristoro dei danni ex Art
2043 derivanti dall'impedimento maliziosamente frapposto al tempestivo uso
dell'immobile acquistato. Si individuano gli estremi dell'illecito, che si

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materializza nel raggiungimento dell'intesa mirata a rendere opponibile erga
omnes I diritti del conduttore: l'art. 2923 protegge il conduttore stesso di fronte
alla sopravvenuta vendita forzata dell'immobile di proprietà del locatore, ma
quando la norma sia fatta valere in modo abusivo, l'esercizio della libertà
contrattuale si traduce in un torto aquiliano.

Si tratta di un illecito che trae origine tale ricorso alla simulazione assoluta
quale escamotage

strumentale all'abuso del diritto. È un fenomeno diverso rispetto quello della


tutela aquiliana del

credito: riguardo ad essa l'illecito infrange l'aspettativa del terzo all'attuazione


del programma

negoziale con l'effetto di legittimarlo ad agire ex Art 2043, contro il


danneggiante del proprio

obbligato. In caso di simulazione è il contratto medesimo che va a pregiudicare


l'aspettativa del

terzo aggiudicatario di giovarsi del valore dell'uso della cosa. L'accordo


simulatorio è indicativo

dell'animus nocendi, rilevante sotto il profilo del torto extra contrattuale


siccome destinato a

frustrare diritti dell'aggiudicatario. Contratto simulato e intesa dissimulata o


accordo simulatorio, costituiscono sotto il profilo funzionale un tutt'uno:
rappresentano le tue facce dell'unica medaglia: il lato destinato a esternare la
volontà apparente, cui si contrappone quello interno, incorporante il reale
assetto di interessi divisato dai partecipi all'intesa simulatoria. La causa
concreta del rapporto è decifrabile grazie alla lettura unitaria della vicenda
negoziale: quella simulata alla quale si sovrappone l'accordo simulato.

3. La sorte del contratto simulato

In giurisprudenza prevale la tesi della nullità. È tuttavia preferibile l'indirizzo


affermante la semplice inefficacia del negozio apparente: l'accordo
proiettante l'immagine deliberatamente ingannevole agli occhi dei terzi è di per
sé è perfetto, ma viene privato di efficacia dalla contro intesa. Tale
depredazione funzionale costituisce l'essenza della simulazione, la quale è
accostabile alla disciplina che regolamenta conflitti ma non infligge sanzioni
invalidanti.

Il negozio simulato non reca in sé il germe del vizio intaccante la sua struttura,
semmai la fonte

della sua efficacia tra le parti è esterna al contratto, essendo radicata


nell'intesa dissimulata, la

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quale incide soltanto sulla effetti dell'accordo simulato, senza inficiarne gli
elementi costitutivi.

A supporto dell'inefficacia troviamo L'Art 1415, Che prevede che il contratto


dissimulato è

inopponibile ai terzi che in buona fede abbiano acquistato diritti dal titolare
apparente, salvi gli

effetti della trascrizione della domanda di accertamento della simulazione. L'Art


1416 rende

inopponibile la simulazione contro i creditori del titolare apparente, i quali


abbiano in buona fede

compiuto atti esecutivi sui beni oggetto del contratto simulato. In caso di
simulazione assoluta o soggettiva il titolare apparente dispone di un potere
dispositivo legittimante l'acquisto derivato del terzo in buona fede.

4. Profili cronologici

L'accordo simulatorio è di regola contestuale al perfezionamento del contratto


simulato. Può

essere anche precedente laddove il Comune proposito di creare un simulacro


sia rimasto intatto

sino alla stipula del contratto apparente. Il sopravvenire della contro volizione
rileva quale semplice vicenda estintiva (mutuo dissenso) in ipotesi di
simulazione assoluta, oppure quale modifica occultata ai terzi. Ciò è quanto di
solito accade al rapporto tra preliminare e definitivo.

Le parti possono accertare ex post per iscritto l'accordo simulatorio. La prova di


questa intesa è

conseguibile tramite dichiarazione O confessione proveniente dallo stipulante


contro il cui

interesse è diretta (simulato acquirente). Tale documento può essere


unicamente sottoscritto dalla parte che potrebbe trarre vantaggio dalla
situazione apparente, in quanto assunse obblighi fiduciari contrastanti con
l'intesa preordinata a creare il simulacro.

La dichiarazione non essendo un contratto ma un semplice atto ricognitivo, non


può essere risolta

per mutuo dissenso. Essa non è idonea a surrogare l'atto scritto ove
quest'ultimo sia necessario,

partecipando della natura di elemento costitutivo della fattispecie: la sua


operatività pare

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circoscritta alle vicende di simulazione assoluta, riguardo alla quale l'accordo
dissimulato non

sottostà ad alcun onere di forma. Le parti stesse possono estinguere ex Nunc


l'accordo dissimulato in modo da attribuire nei rapporti interni piena efficacia al
patto oggetto di esternazione, il quale fino a quell'istante era un puro
simulacro. L'estinzione dell'accordo dissimulato avente ad oggetto immobili
esige una nuova intesa sottoposta alla forma imposta dalla Art 1350 n1.

5. La simulazione degli atti unilaterali

La simulazione dell'atto unilaterale, al fine di non essere riposta nell'ambito


della riserva mentale,

richiede la consapevolezza in capo al destinatario che il dichiarante


intende dar vita a una mera

apparenza. Nel diritto giudiziale è emerso un contrasto intorno all'ammissibilità


della prova testimoniale per dimostrare la simulazione della quietanza, Che è
stato risolto nel senso che la prova può essere offerta dalle parti producendo in
giudizio il documento che racchiude la contro dichiarazione, anziché mediante
deposizioni testimoniali a causa del divieto ex Art 2722.

Quanto alle promesse al pubblico, la simulazione serve unicamente a


neutralizzare l'efficacia

dell'impegno nei riguardi dei potenziali destinatari consci della riserva mentale.

6. L'interposizione fittizia

L'interposizione di persona si distingue in fittizia e reale: solo la prima è


riconducibile al

meccanismo simulatorio avente natura relativa e soggettiva. Il contratto, pur


essendo voluto,

produce i propri effetti a favore del soggetto diverso da quello che risulta
essere il titolare

apparente del diritto acquisito. Es: Tizio è disposto ad alienare il fondo a Caio, il
quale, pur

essendo interessato, voglia celare il trasferimento. Le parti possono ricorrere ad


un prestanome, il

quale assume le apparenti vesti di compratore, sebbene nei rapporti interni,


coperti ai terzi, egli

non acquisti alcunché, essendo il suo intervento funzionale all'occultamento.

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Questa causa simulatoria necessità della partecipazione all'intesa dissimulata
di tutti i soggetti

coinvolti nella vicenda, che quindi assume il lineamenti del contratto


plurilaterale: il venditore,

l'interposto (uomo di paglia o titolare fittizio) e l'interponente (acquirente


effettivo). Laddove

l'intestazione fiduciaria sì sveli essere una vicenda estranea alla sfera giuridica
del venditore, la cui

diretta e esclusiva controparte risulta quindi il gestore, è giocoforza ravvisare i


tratti costitutivi

dell'interposizione reale, che importa la titolarità effettiva dell'altrui interesse.

Diversa è la tutela riconosciuta all'interponente, perché se l'interposizione è


fittizia egli esperirà

l'azione volta ad accertare la titolarità verso gli altri contraenti, mentre in caso
di intestazione

fiduciaria agirà contro l'interposto mandatario Al fine di ottenere la sentenza


costitutiva che tenga

luogo allatto traslativo interno non stipulato. Se interposizione fittizia ha ad


oggetto immobili, l'accordo simulatorio deve essere redatto per iscritto a pena
di nullità. La mancata partecipazione all'intesa simulatoria una delle tre parti
protagoniste del meccanismo simulatorio non può essere surrogata dalla
confessione del contraente, il quale non abbia sottoscritto l'atto documentante
l'inefficacia relativa del trasferimento apparente o esterno.

7. La forma del contratto dissimulato

La prova dell'accordo simulatorio nei rapporti interni può essere raggiunta


allegando l'accordo

dissimulato. La medesima prova può essere assicurata dal riconoscimento della


simulazione

proveniente dal titolare apparente (controdichiarazione). Trattandosi di atto


confessorio,

incorporante l'ammissione della simulazione anziché dell'intesa dissimulata,


non dovrebbe

sussistere alcun ostacolo a sostenere che la contro dichiarazione possa essere


documentata ex

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post. In dottrina si ritiene che nel caso di simulazione assoluta, l'accordo
dissimulato si caratterizzi per la libertà delle forme, non avendo natura
contrattuale. Nella simulazione assoluta la contro scrittura risulta venata da
mera negatività essendo votata all'annientamento Dell'accordo simulato,
affinché le cose stiano come originariamente erano. Nei rapporti interni, il
simulato un venditore di un fabbricato non smarrisce la titolarità della cosa
precariamente trasferita nella sfera dominicale del prestanome. Per queste
ragioni L'intesa occulta, determinando alcuna circolazione di diritti immobiliari,
può essere perfezionata anche verbalmente. Bisogna tenere in considerazione
che l'accordo in ogni caso esiste e il suo segno negativo ha comunque un
valore negoziale, Che si esprime nello scopo di annientare gli effetti dell'intesa
apparente. Per questo motivo sottrarre la dissimulazione totale allo statuto
normativo disciplinante il contratto sembra una forzatura da contrastare.

Ai sensi dell'Art 1414 c2 il contratto dissimulato è efficace fra le parti qualora


ne sussistano i

requisiti di sostanza (elementi costitutivi della fattispecie) E di forma. Se si


applicasse alla lettera

questa regola, in ipotesi di vendita occultante una donazione, occorrerebbe che


la contro

dichiarazione si uniformasse alla forma imposta dall'art 782. Il diritto applicato


segue un indirizzo

meno rigoroso, ritenendo sufficiente il rispetto della forma propria dell'atto


liberale da parte del

negozio apparentemente oneroso. La donazione sarebbe efficace sebbene


l'accordo simulatorio

sia incorporato in una scrittura privata anziché in un atto notarile con la


presenza di due testimoni.

Questa interpretazione trae il proprio fondamento dalla constatazione che nel


caso in cui l'Art 1414 trovasse rigorosa osservanza, le parti verrebbero dissuase
dal far ricorso all'accordo simulatorio, posto che qualora esso dovesse rivestire
la forma pubblica sarebbero frustrate e le finalità del suo occultamento, non
potendo il notaio rogante occultare l'atto cui appone il sigillo.

8. L'azione di simulazione

L'azione diretta a far valere la simulazione assoluta, avendo natura di mero


accertamento, è

imprescrittibile. Sono fatti salvi gli eventuali effetti del possesso rilevante ai
fini dell'acquisto a

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titolo originario. In ipotesi di simulazione relativa è imprescrittibile l'azione
diretta ad accertare

l'inefficacia Del contratto simulato, mentre soggiace alla prescrizione ordinaria


la domanda con cui

si chiede l'attuazione dei diritti scaturenti dall'intesa dissimulata. Le corti


ritengono che la

prescrizione dei diritti annodati al contratto dissimulato si riverberi


sull'interesse all'accertamento

del negozio apparente. L'accordo simulatorio può essere opposto dal convenuto
per contestare il titolo addotto a fondamento della domanda principale.
Bisogna distinguere secondo che tale parte sollevi

- la semplice eccezione riconvenzionale: si tratta di una difesa diretta al fine


di provocare il

rigetto della pretesa avversaria. Non è richiesta l'integrazione del


contraddittorio con le altre parti

dell'intesa fittizia, dato che l'evocato accertamento incidentale è destinato ad


esaudire i propri

effetti tra le parti del processo.

- oppure deduca un avere propria domanda riconvenzionale: il convenuto


non si limita a

chiedere l'accertamento incidentale della rapporto giuridico effettivamente


voluto dagli stipulanti,

ma esercita i diritti ad esso connessi. Da qui l'esigenza di estendere il


contraddittorio a tutti

coloro che hanno partecipato alla convenzione dissimulata.

Assodato che la stipulazione di più contratti autonomi, ancorché inclusi nella


stessa scrittura

privata, non pregiudica l'autonomia dei singoli rapporti obbligatori, occorre


ammettere che la

legittimazione ad agire per la simulazione di un negozio non si estende


necessariamente all'altro.

9. La posizione dei terzi: gli aventi causa del simulato alienante

L'art 1415 c1, statuisce L'inattaccabilità Del diritto di colui che in buona fede
abbia acquistato dal

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titolare apparente: la simulazione non può essergli opposta ne dai partecipanti
all'accordo

dissimulato, ne dagli aventi causa o creditori del simulato alienante. La norma


non circoscrive la

protezione del terzo alle ipotesi di acquisto a titolo oneroso e bisogna


riconoscere che anche

l'attribuzione liberale prevale, dove il destinatario sia in buona fede, sulle


pretese del simulato

alienante e degli altri soggetti indicati nella stessa posizione normativa.

Sussistono una serie di insidie nel meccanismo simulatorio: esso mette nelle
mani del compratore

simulato un titolo di disposizione che gli permette di trasferire validamente il


diritto apparente alla

terzo ignaro dello sdoppiamento di intese. Il legislatore ha fatto prevalere la


situazione apparente,

ancorché contraddetta da quella reale, al fine di evitare che si ingenerassero


ostacoli eccessivi alla

circolazione e sicurezza del traffico giuridico. Queste insidia può essere


combattuta solo nel caso

in cui l'elevato grado di fiducia intercorrente tra le parti funga da infallibile


antidoto contro i rischi.

L'inefficacia interna del trasferimento non realmente voluto È irrilevante per


l'avente causa in

buona fede del simulato acquirente, siccome nei suoi confronti la situazione da
apparenza

originata dal meccanismo simulatorio È reputata meritevole di protezione


assoluta. Se la

simulazione rappresenta un artificio adoperato dalle parti al fine di celare


l'assetto di interessi

voluto e risultante dall'intesa dissimulata, i moventi di tutela dell'affidamento


serbato da costoro E

di sicurezza del traffico giuridico simboleggiano la ragion d'essere della regola


che si traduce nella

protezione dell'acquisto perfezionato dal terzo in consapevole del significato


meramente apparente del rapporto esteriorizzato, il quale costituisce

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l'antecedente causale del diritto del titolare apparente. Né il Titolare effettivo
(simulato alienante), né l'avente causa di quest'ultimo a titolo universale
(erede) o particolare (legatario o acquirente) possono opporre la simulazione al
terzo, che in buona fede abbia acquistato dal prestanome infedele.

La condotta dell'uomo di paglia, frustrante l'aspettativa fiduciaria del titolare


effettivo, implica la

trasgressione del dovere del titolare apparente di non deludere l'affidamento


venante l'intesa

simulatoria. La prevalenza accordata dall'ordinamento al terzo in buona fede


giustificherà la

domanda di risarcimento del danno patrimoniale, fondata sul tradimento


del vincolo fiduciario

imputabile al titolare formale, però opera del simulato alienante contro il


prestanome, il quale abbia abusato della propria situazione di appartenenza
negoziando uti dominus con il terzo all'oscuro dell'intesa occulta.

Identica regola vale riguardo ai creditori del simulato alienante, i quali sono
pregiudicati dalla

simulazione per il motivo che essa può prestarsi al malizioso proposito di


scalfire la garanzia

generica sul patrimonio del debitore, tramite la compiacente cooperazione


dell'uomo di paglia; tali

soggetti hanno interesse a svelare la realtà occulta dall'apparenza.

Ciò spiega le ragioni della soccombenza del terzo acquirente dal simulante
alienante (titolare

effettivo) verso l'avente causa, all'oscuro della duplicità di intesa, del simulato
acquirente (titolare

apparente); viene a crollare il presupposto della tutela pro affidamento serbato


da chi negozia con

il titolare occulto, posto che quest'ultimo avente causa, specie in materia


immobiliare, difficilmente ignora il sottostante accordo indirizzato a
devitalizzare il contratto apparente.

Sul versante dei beni immobili valgono i principi di priorità e continuità delle
trascrizioni, di modo

che il diritto dell'avente causa in buona fede del titolare apparente è


inopponibile all'avente causa

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Del titolare effettivo quando non sia stato antecedentemente trascritto il
trasferimento simulato. La simulazione è inopponibile ex Art 2652 n4, allorché
la domanda diretta ad accertarla sia stata

trascritta posteriormente all'acquisto del terzo avente causa del simulato


acquirente, salvo che il

simulato alienante alleghi la malafede di tale oggetto.

Per quanto riguarda il concetto di buonasera ex Art 1415, qui emerge


l'attenzione delle corti nel

salvaguardare la finalità della norma di protezione della libera circolazione dei


beni Per mezzo

dell'affidamento maturato dal terzo intorno alla pienezza giuridica del titolo
vantato dal titolare

apparente. Da qui la ragione giustificativa delle decisioni secondo le quali non


basta allegare lo

stato di malafede del terzo affinché possa essere a lui opposto il rapporto
occulto, ma è necessario

dimostrare un qualcosa in più, dato dalla prova che il terzo stesso,


accordandosi con il titolare

apparente, abbia inteso favorire il simulato alienante per consolidare rispetto


agli altri terzo lo

scopo pratico della simulazione, oppure abbia voluto approfittare della


simulazione in pregiudizio

del simulato alienante. La posizione del terzo è così rafforzata, posto che per
intaccare il suo

questo occorre sostanzialmente dimostrare che era partecipe dell'originaria


intesa simulatoria.

L'acquisto del terzo è compromesso in virtù della simulazione del titolo di


investitura legittimante la controparte solo quando egli abbia cooperato alla
realizzazione del meccanismo simulatorio,

anticipando la propria disponibilità al perfezionamento del Sub acquisto Per


irrobustire la

situazione di apparenza ingenerata verso gli altri terzi, e a scapito degli


interessi patrimoniali

vantati dai creditori del simulato alienante: occorre la prova del dolo specifico.

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La simulazione non può essere opposta dai contraenti ai creditori del titolare
apparente, i quali in

buona fede abbiano eseguito atti di esecuzione sui beni che furono oggetto del
contratto simulato

(art 1416). I creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione
che pregiudica i loro diritti e, nel conflitto con i creditori chirografari Del
simulato acquirente, sono preferiti a questi, se il loro credito sia anteriore
all'atto simulato (art 1416 c2). I creditori del simulato Dante causa prevalgono
sui creditori del prestanome se il loro credito sia nato prima dell'atto simulato,
e se i contro interessati siano sforniti di legittime cause di prelazione. La
sottrazione del bene, da parte di creditori del simulato acquirente, alla
disponibilità del titolare effettivo importa una responsabilità in capo al
prestanome, il quale ha violato la sua obbligazione di gestire la titolarità del
bene nell'interesse del fiduciante. Tra le obbligazioni del fiduciario di ieri quella
di preservare la possibilità di ritrasferire il bene nella sfera giuridica del
simulato alienante.

10. Segue: l'opponibilità della simulazione contro le parti

L'art 1415 c2 stabilisce la pena opponibilità della simulazione per opera dei
terzi contro le parti,

quando essa pregiudichi i loro diritti. I terzi possono provare la concordata


discrasia tra voluto e

dichiarato anche attraverso testimoni (art 1417).

Deve escludersi che il mezzo istruttorio subisca limiti se il contratto simulato


sia stato redatto per

atto pubblico, siccome l'efficacia di prova legale non si estende alla veridicità
delle affermazioni

rese dalle parti al notaio: la mendacità delle stesse non esige la querela di
falso.

Appurato che l'azione di simulazione postula l'esistenza di un diritto soggettivo


destinato a essere

protetto attraverso la domanda giudiziale, deve escludersi l'interesse ad agire


del terzo quando

non risulti titolare dell'evocata posizione giuridica. Es caso in cui il coltivatore


diretto oltre ad

esercitare l'azione di riscatto, domandi nello stesso tempo l'accertamento della


simulazione relativa alla vendita con cui è stata perpetrata la violazione del suo
diritto di prelazione legale, siccome il prezzo apparente risulterebbe superiore

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rispetto a quello effettivamente pattuito. Una volta constatata l'inesistenza del
diritto di riscatto, rispetto al quale l'accertamento della simulazione assume
natura strumentale, perché è nelle intenzioni della parte favorita esercitare la
potestà pagando il minor prezzo, viene meno l'interesse a far dichiarare la non
corrispondenza del prezzo dichiarato a paragone di quello reale.

È stata così negata la legittimazione del figlio a far valere la simulazione della
compravendita

stipulata tra genitore in vita e terzo, in funzione della tutela della legittima, che
ritiene essere stata

lesa dalla dissimulata donazione in virtù del rilievo che non è ravvisabile il
diritto soggettivo

pregiudicato dalla simulazione, giacché prima della morte dell'ascendente vi è


soltanto

un'aspettativa successoria del discendente, la quale non dà titolo all'esercizio


della pretesa

giudiziale. È generalmente riconosciuta la posizione di terzi ai legittimari, I


quali, per preservare la quota di riserva Lisa, agiscano in giudizio allo scopo di
accertare che il contratto di compravendita tra il de cuius e l'acquirente
dissimuli una donazione in vista della riconduzione dell'asse del bene oggetto
della predetta liberalità occulta, nonché della connessa riduzione della
liberalità. Tale legittimario può avvalersi della prova testimoniale senza limiti si
chiede la reintegrazione della quota lui riservata, mentre soggiace alle
restrizioni probatorie imposte alle parti laddove l'impugnazione sia proposta
come erede legittimo o testamentario e tenda al solo conseguimento della
disponibile. Il legittimario, nel caso in cui richiede l'accertamento della
simulazione A tutela della quota di riserva, fa valere un diritto rientrante nel
patrimonio dell'ereditando bensì un diritto proprio: egli si pone come terzo
rispetto al contratto che assume essere stato oggetto di intesa simulatoria, ed
in quanto terzo ha facoltà di provare la simulazione anche tramite testimoni.

Qualora la donazione dissimulata fosse nulla per difetto di forma, cade


l'esigenza di esperire la

riduzione dovendosi ricondurre all'asse l'intero bene donato. A seguito della


ricostruzione del

patrimonio relitto il legittimario potrà soddisfare i diritti patrimoniali di


successore necessario

partecipando pro quota alla comunione incidentale del compendio.

11. Simulazione e fallimento

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L'atto di disposizione simulato indebolisce la garanzia generica a tutela dei
creditori dell'alienante

(titolare reale); Per questo motivo il curatore, ove faccia valere la simulazione
del negozio

perfezionato dal fallito, agisce come terzo quando intende dimostrare la


discrasia tra voluto e

dichiarato tramite presunzioni ai sensi dell'Art 1417.

Il fondamento della regola è da individuare nell'interesse difeso dal curatore


per mezzo dell'azione

di simulazione, che fa capo alla massa dei creditori, i quali sono terzi rispetto ai
protagonisti

dell'accordo dissimulato.

Il curatore, ex Art 67 l.fall, può esperire l'azione revocatoria ove dedica lo


squilibrio delle

prestazioni A scapito del fallito. In tal modo il curatore raggiunge lo stesso


effetto utile, giovandosi

della presunzione relativa della cognizione dello stato di insolvenza in capo alla
controparte in

Bonis. Il convenuto è legittimato a svelare l'assenza di squilibrio qualora il


corrispettivo effettivamente pagato oltrepassi quello indicato nel contratto
relativamente simulato. Tale circostanza deve emergere dalla
controdichiarazione avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento
(art 2704). A sostegno dell'opponibilità alla massa della succitata simulazione
relativa non ostano gli Art 1415 e 1416, siccome il curatore non può essere
assimilato al terzo che in buona fede abbia acquistato diritti dal titolare
apparente, né è creditore dello stesso titolare apparente Che in buona fede
abbia compiuto atti di esecuzione sui beni oggetti della rapporto simulato.

12. La prova della simulazione

L'onore di provare il rapporto celato dall'intesa apparente ricade su chi deduca


tale circostanza.

Con riguardo alla simulazione relativa, l'art 1417 sottrae alle parti il diritto di
avvalersi della prova

per testimoni, salvo che tale mezzo istruttorio sia preordinato a svelare
l'illiceità del contratto

dissimulato, ossia il suo impegno per il conseguimento di Fini antisociali o


contrari all'ordine

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pubblico economico, come accade nell'ipotesi in cui la compravendita celi un
mutuo garantito dal

patto commissorio. Le parti, fuori da questa ultima ipotesi eccezionale, possono


provare la simulazione relativa, qualora il contratto sia a forma libera, tramite
confessione e giuramento decisorio. La regola, che si adegua al principio
dispositivo essendo impedito al magistrato di rilevare d'ufficio la simulazione,
costituisce un applicazione del precetto ex art 2722 in tema di Patti aggiunti o
contrari al contenuto del documento. Per effetto dell'eccezione ex art 2725 la
prova per testimoni è ammissibile quando il contraente abbia senza colpa
perduto il documento dimostrativo dell'accordo simulatorio.

Ai terzi è invece riconosciuta senza restrizioni particolari la facoltà di dedurre il


rapporto occulto

tramite testimoni e presunzioni. I terzi spesso riescono a intravedere i


lineamenti fisionomici della

simulazione facendo perno sugli elementi sintomatici del contrasto tra accordo
apparente e intesa

segreta. Questa disciplina è fondata sul presupposto che i terzi, a differenza


delle parti, non dispongono dei mezzi per precostituirsi la prova della
simulazione.

I limiti ex art 1417 si dissolvono ove l'oggetto della prova non verta
direttamente sull'accordo

dissimulato, bensì sul dato storico di quale dei molteplici contratti documentati
per iscritto e

concernenti l'identico bene sia sorretto l'animus contrahendi.

In merito all'interposizione fittizia di persona avente ad oggetto un immobile,


riguardo alla quale

l'accordo simulatorio soggiace alla forma scritta sotto pena di nullità, la prova
della simulazione

deve essere data allegando la scrittura privata, salva la possibilità di ricorrere


alla testimonianza in

ipotesi di perdita incolpevole del documento. Quando l'azione sia promossa dal
curatore al fine di

accertare la titolarità del bene immobile in capo all'interponente-fallito, non


valgono nei suoi

riguardi i limiti all'ammissibilità della prova testimoniale in quanto egli agisce


nell'interesse della

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massa dei creditori.

Ove si deduca la simulazione assoluta vale la regola secondo cui la


controvolizione, non avendo

natura contrattuale, sfugge a ogni rigore formale indipendentemente dalla


natura dei beni oggetto

del rapporto. Secondo l'orientamento delle corti, l'accordo simulatorio è


estraneo agli atti cui fa

riferimento l'art 2725, perché adempie una funzione volta a certificare


l'inesistenza del contratto

apparentemente stipulato. La prova testimoniale è così ammissibile in tutte le


ipotesi espresse

nell'art 2724. Il fatto incerto (simulazione assoluta) può altresì essere


dimostrato dalle parte

interessata deferendo l'interrogatorio formale o il giuramento decisorio.

CAP. XII - LA NULLITA’

Specie di nullità: nullità testuali e virtuali.

L’art.1418 delinea due classi di nullità, la prima prevista dal c3 è rappresentata


dalla nullità testuali, che si hanno quando è il dettato normativo a scegliere
espressamente la sanzione contro l’atto negoziale immeritevole di tutela e
quindi disapprovato dal sistema.

L’altra è la nullità virtuale (c.1-2) entra in scena quando il disvalore dell’atto,


giustificante la reazione dell’ordinamento che ne determina l’espunzione
dall’universo delle cose giuridicamente rilevanti ed efficaci, dipenda dalla sua
contrarietà a norme imperative particolarmente qualificate sotto il profilo degli
interessi protetti, oppure dall’assenza di un elemento essenziale (c.d. nullità
strutturale). In questi casi la legge non proclama con parole esplicite la nullità
dell’atto demandando all’interprete il lavoro di integrazione attraverso il
riconoscimento della natura cogente del precetto violato presidiante interessi
indisponibile, oppure dell’assenza di essetiale negotii.

Oltre a valutare l’antinomia tra ius cogens e atto privato bisogna stabilire se nel
caso concreto la sanzione demolitoria sia proporzionata all’offesa e non rischi
di creare più danni che effetti favorevoli.

La legge può sopravvenire al perfezionamento dell’accordo dettando norme


inderogabili che stridono con tale atto di autonomia privata; se il ius

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superveniens è dotato di efficacia retroattiva si dovrà riconoscere la nullità del
contratto fatta salva la legittimità delle prestazioni già eseguite. Nulla esclude
che le parti appongano al contratto una condizione risolutiva dipendente dalla
sopraggiunta variazione normativa, oppure dalle modifiche dei precedenti
giudiziali.

Non qualsiasi violazione della norma inderogabile giustifica la reazione


dell’ordinamento attraverso la nullità: il giurista è sempre chiamato a usare un
criterio di adeguatezza e proporzionalità.

La nullità, insomma, è un rimedio all’antisocialià dell’atto, che ha come effetto


collaterale il turbamento delle relazioni commerciali e la sicurezza degli
scambi. In alcuni casi è la legislazione stessa che prevede, in via eccezionale,
un rimedio alternativo in caso di trasgressione della norma cogente. Nullità va
tenuta distinta dall’inesistenza: la prima è una sanzione invalidante la
fattispecie viziata, ma di per sé esistente, l’altra invece identificabile quando
manchi la volontà (es. contratto concluso sotto violenza fisica), oppure vi sia
solamene una prevalenza di volontà non affidante (es dichiarazione emessa in
funzione di un’evidente finzione).

La materia delle cause invalidanti il contratto è coperta da riserva di legge,


essa è quindi sottratta alla disponibilità dei privati, essendo loro proibito creare
ipotesi atipiche di nullità.

Nullità formali e sostanziali.

Art.15 c7 l 10/1977 sancisce la nullità, invocabile dal solo acquirente in buona


fede, degli atti giuridici aventi ad oggetto immobili costruiti senza concessione
edilizia, allorché dall’atto stesso non risulti che tale parte fosse a conoscenza
della mancata concessione.

La legge 47/1985 introduce un punto fermo: la distinzione tra nullità


sostanziale insanabile e nullità formale rimediabile limitatamente ai
trasferimenti di edifici; nel caso in cui la mancata indicazione della concessione
derivi da mera dimenticanza, non essendo imputabile all’insussistenza dell’atto
amministrativo legittimante iure l’esercizio del diritto di edificare, la nullità è
estinguibile, a iniziativa anche di una sola delle parti tramite la conferma
contenente l’estremo mancante.

Ci troviamo dinnanzi alla nullità formale e quindi ricuperabile, perché la vicenda


demolitoria entra automaticamente in gioco già a seguito della pura e semplice
violazione dell’onere; accade allora che la conferma (con natura negoziale)
permette la reviviscenza degli effetti della fattispecie provvisoriamente
invalida. Da qui la possibilità di accostare l’istituto della conferma a quello
della convalida: ambedue i negozi operano sulla fattispecie invalida
eliminandone il vizio e quindi facendo acquistare alla stessa l’efficacia
originariamente mancante. Elemento distintivo consiste nel fatto che la

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convalida presuppone l’esistenza di un diritto all’annullamento cui si rinunzia,
la conferma ha una portata più ristretta, richiedendo la mera allegazione ex
post del documento omesso.

L’inclusione dell’atto amministrativo diventa presupposto di validità della


compravendita, la sua mancanza è causa di nullità irrimediabile, questo
perché:

- Il legislatore vuole sconfiggere il traffico di edifici illegali perché realizzati in


assenza di permesso (tentativo i dissuadere l’abusivismo edilizio);

- Volontà di informare il compratore circa le condizioni giuridiche dello stabile.

In breve, quando la fattispecie traslativa non contenga gli estremi del permesso
di costruire si aprono i seguenti scenari: o essa è radicalmente nulla poiché
l’omissione dipende dall’assenza del provvedimento, oppure la nullità è
emendabile se l’omissione stessa sia frutto di semplice dimenticanza.

Si può ipotizzare un’ulteriore eventualità, quando il venditore ha falsamente


indicato gli stremi del permesso inesistente, a parte il caso del rimedio per
effetto dell’errore provocato da raggiro, non sembra possibile affermare la
validità del contratto.

La sussistenza del permesso di edificare non esclude l’irregolarità


dell’immobile, posto che quest’ultimo potrebbe essere stato eseguito in
difformità della medesima; art.46 t.u. edil. Condiziona la nullità definitiva alla
semplice inesistenza dell’atto amministrativo, non rilevando l’eventuale abuso
perpetrato durante i lavori di costruzione.

Art. 40 c2 l.47/1985 ha introdotto la regola secondo cui per rendere


commerciabile il bene privo di concessione edilizia basta allegare al negozio tra
vivi la copia della domanda di sanatoria. Di conseguenza, una volta che l’iter
per ottenere il rilascio della concessione in sanatoria preesista all’atto
dispositivo, quest’ultimo può essere validamente concluso.

Capita che la domanda di sanatoria, antecedente alla vendita sia rigettata dalla
PA, in questo caso la SC ha riconosciuto l’irrilevanza del procedimento
amministrativo in relazione alla validità del contratto traslativo contenente gli
estremi della domanda di concessione in sanatoria, questo per evitare che
l’acquirente si crei un falso affidamento in merito alla regolarità dell’edificio
oggetto di trasferimento; l’allegazione di domanda di sanatoria sarebbe
sufficiente a permettergli di apprendere le esatte condizioni giuridiche della res
(ciò equivale ad affermare che lo scopo della norma è quello di consentire
all’interessato di accertare se al momento dell’acquisto il bene è abusivo).

Il parlamento volle colpire mediante la nullità sostanziale l’alienazione tra vivi


di edifici abusivi per i quali, all’epoca dell’intesa, non fosse almeno iniziato il

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procedimento necessario in vista della sanatoria. L’eventuale rilascio della
concessione ex post a seguito della domanda tardiva non avrebbe scosso il
fondamento della sanzione di diritto privato.

La scelta di negare il rimedio nell’ipotesi in cui l’istanza di sanatoria avesse


avuto esito favorevole suonava eccessivamente formale, così art. 2 c57 l
662/1996 espresse che grazie alla concessione estintiva della condizione
d’irregolarità urbanistico-edilizia dell’immobile viene altresì rimossa ex tunc la
ragione dell’originaria invalidità del negozio giuridico a patto che non sia già
stata accertata con sentenza passata in giudicato.

Nel caso in cui la nullità sia stata riconosciuta con provvedimento


giurisdizionale non più impugnabile, può essere richiesta la sanatoria su
accordo delle parti grazie all’atto contenete gli allegati di cui all’art.40 c2
(nullità a causa di mancata erogazione della licenza o concessione edilizia)
citato, fatti salvi i diritti dei terzi trascriventi. Dinanzi al giudicato la sanatoria
con effetto ex tunc deve essere concordemente richiesta alla PA.

Art.30 c4-bis, t.u. edil “Gli atti di cui al c2, ai quali non siano stati allegati
certificati di destinazione urbanistica, oche non contengano la dichiarazione di
cui al c3, possono essere confermati o integrati anche da una sola delle parti o
dai suoi aventi causa, mediante atto pubblico o autenticato, al quale sia
allegato un certificato concernente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le
aree di interesse a giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare o
contenere la dichiarazione omessa; il c5 ha inoltre stabilito che possono essere
confermati anche gli atti redatti prima della data di entrata in vigore della
presente legge (2005) purché la nullità non sia stata accertata con sentenza
passata in giudicato.

Il tentativo del legislatore è quello di semplificare la disciplina riguardante la


compravendita di terreni in maniera da riprodurre, secondo il canone sensibile
al favor contractus, gli intoppi alla circolazione immobiliare generali dalla
nullità conseguente alla mancata allegazione del certificato di destinazione
urbanistica.

La politica di circoscrivere la conferma anche unilaterale alla compravendita di


stabili tramite ricognizione dell’estremo omesso (percorso preso dalla
l.47/1985) era conforme alla logica perché la mancata indicazione dell’atto
traslativo della concessione esistente non pregiudicava il destinatario della
tutela. La sussistenza del documento rilasciato a tempo debito dalla PA, se non
garantiva l’assoluta rispondenza del bene alla disciplina edilizia o urbanistica
imposta dal singolo comune, serviva a osteggiare il rischio che il bene stesso
fosse stato realizzato in assenza di permesso.

Rendere giuridicamente inattuabile il trasferimento dell’edificio solo a motivo


della mancata allegazione della concessione esistente avrebbe significato

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spalancare le porte del sistema ad una regola irrazionale (perché non
corroborata dall’interesse pubblico e contraria alle ragioni di tutela
sull’acquirente).

La previsione della nullità formale, non rimediabile tramite negozio integrativo,


avrebbe potuto trasformarsi in un’arma danneggiante anche il compratore
interessato a far salvo l’acquisto in considerazione della regolarità urbanistica
dell’edificio: in casi del genere si confà al principio di ragionevolezza la
possibilità attribuita agli stipulanti di confermare il contratto soggetto a nullità
soltanto formale, proprio perché non si coglie alcuna antinomia tra l’interesse
generale al razionale sviluppo del territorio e il costringente interesse della
parte ritenuta strutturalmente debole e meno informata.

Il legislatore del 1985 si è lasciato persuadere dalla tendenza a proteggere iure


privatorum il compratore di costruzioni radicalmente abusive perché non
autorizzate, finendo con l’allentare la tutela stessa in ipotesi di costruzioni
realizzate in difformità.

Sul versante delle compravendite dei terreni l’art.18 non rconosceva il rimedio
della conferma invece ammesso per le compravendite di case. La mancata
allegazione del certificato di destinazione giustifica l’invalidità irrimediabile del
contratto a prescindere dallo stato di buona o mala fede delle parti; l’obiettivo
è di salvaguardare lo stipulante attribuendogli la possibilità di provvedere alla
conferma unilaterale.

La prescrizione formale imposta dall’art.18 non appare finalizzata a precludere


il commercio del bene ma è esclusivamente indirizzata a tutelare l’interesse
dell’acquirente a conoscere la destinazione urbanistica, sì da poterne valutare
la possibilità di utilizzazione.

La consequenziale disparità di trattamento tra edifici e terreni non fu giudicata


discriminatoria dalla magistratura, sfugge però al giudice costituzionale che la
prevista allegazione del certificato pare rispondere ad una finalità
eminentemente informativa, mirata a facilitare la conoscenza della condizione
giuridica del fondo; tale strumento costituisce la funzione di prevenire
lottizzazioni abusive.

Il rischio che attraverso isolati atti ai alienazione si realizzi una lottizzazione


contra legem è efficacemente contrastato dalla sanzione di nullità sostanziale
per violazione della norma imperativa proteggente l’interesse pubblico.

La novella del 2005 ha sovvertito il rappresentato stato delle cose, estendendo


il rimedio della conferma unilaterale alla compravendita di terreni. Il
riformatore ha rincorso l’obiettivo di semplificare il traffico immobiliare
attenuando lo spauracchio di nullità formale.

È sotto gli occhi di tutti l’errore di prospettiva da cui scaturisce il singolare


ondeggiamento caratterizzante la tutela nell’interesse dell’acquirente. La
giurisprudenza pratica fece perno sulla discussa opponibilità erga omnes dei

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vincoli urbanistici al fine di scoraggiare il commercio di immobili abusivi. Le
corti scelsero di rimediare ai difetti del legislatore che non è stato capace di
debellare l’abusivismo edilizio. Per evitare che la tutela del bene si riversasse
contro i piccoli risparmiatori il legislatore del 1985 escogitò il rimedio che
elevava l’allegazione del certificato di destinazione a elemento costitutivo della
fattispecie traslativa tra vivi.

La via d’uscita fu assegnare la facoltà di conferma unicamente al compratore,


evitando di sottrarre a questo soggetto spazi di tutela per effetto
dell’art.1489cc (cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi).

Regole di validità di condotta nel prisma della prospettiva assiologica.

È stato escluso che l’infrazione alle regole sul consenso informato del
risparmiatore integri gli estremi della nullità extra testuale. La nullità relativa
dei contratti nei quali il consenso di una parte sia stato deformato dalla
decettività della pratica sleale. L’inottemperanza, si deduce, genera
responsabilità precontrattuale autorizzante l’investitore a domandare il
risarcimento del danno patrimoniale.

L’interprete, introno all’applicazione dell’art.1418 c1 cc (il contratto è nullo


quando contrario a norme imperative salvo che la legge delega disponga
diversamente), dovrà accertare con questa forza l’intesa contraria alla norma
imperativa deformi il valore preservato dalla disposizione positivamente
sancita; se oggetto della tutela è la garanzia dei beni primari della vita, allora
la nullità diventa una strada obbligatoria.

L’invalidità deriva da una condotta, ma quando la condotta dovrebbe


assicurare la formazione di una violazione consapevole del rischio che il
particulier sta per assumere, allora l’interesse protetto diventa di natura
generale perché orienta la corretta gestione del risparmio privato.

Il contratto d’investimento non innalzato sulle salde fondamenta del consenso


informato è né più né meno accostabile all’intesa la cui giustificazione sociale
appare quantomeno dubbia: il diritto dei contratti non può esaurirsi
nell’indagine patrimonialistica della vicenda, ma deve necessariamente aprirsi
alla ricerca dei capisaldi informanti il regolamento di privati interessi. Il
consumatore disinformato stringe un patto traente la funzione sociale del
contratto seriale; le parti economicamente dominanti sono libere di
raggiungere il profitto purché questo non calpesti la dignità e
l’autodeterminazione dei ceti più deboli.

La lesione della libertà di autodeterminazione si sostanzia nella paralisi


dell’attività valutativa e rappresentativa circa la conformità dell’atto negoziale
al programma congetturato dall’aderente; in quest’ottica il consenso informato
diventa uno strumento imprescindibile per l’agire consapevole e cosciente.

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In breve: le libertà postulate dell’economia di mercato non sono
autoreferenziali; detta libertà non possono essere esercitate come se fossero
fini a se stesse, ma devono presupporre la loro permeabilità all’utilità sociale.

Nullità virtuale e illecito penale

Quando il raggiungimento dell’intesa costituisca l’elemento della condotta


perfezionative dell’illecito penale, non si può sfuggire alla domanda circa la
rilevanza civilistica della vicenda incriminata.

La sanzione criminale è esterna al negozio privato, il fatto che esso varchi la


soglia del penalmente rilevante non giustifica l’automatismo della sua diretta
espunzione dall’ordinamento civile.

Occorre distinguere

- L’ipotesi in cui la sanzione criminale colpisca la condotta di entrambe le parti,


solo questa prevede la nullità del contratto;

- Da quella caratterizzata dall’illegalità della condotta di una sola parte, nella


quale la parte lesa potrà ottenere tutela invocando la disciplina di diritto
privato modellata a scudo dei suoi interessi.

La giurisprudenza forense è d’accordo con la dottrina quando si tratta di


valutare la rilevanza civilistica della truffa negoziale; diversamente riguardo al
reato di circonvenzione dell’incapace che comporta la nullità del contratto
secondo l’art. 1418 c1 cc (poiché dalla condotta incriminata dalla norma penale
mancherebbe il presupposto della libertà contrattuale rappresentata
dall’autodeterminazione).

La categoria della nullità virtuale viene così disancorata dall’equazione fra


norma imperativa e sanzione penale. In sintesi: il contratto è nullo perché la
volontà del soggetto debole sarebbe semplicemente apparente; la dottrina
osserva che quando la condotta dell’agente non ponga il circonvenuto in uno
stato di incapacità tale da integrare gli estremi della fattispecie ex art. 428cc
(atti compiuti da persona incapace di intendere e di volere), l’illecito rileverà
unicamente ai sensi dell’art 1337 cc (responsabilità precontrattuale) stante la
slealtà della condotta osservata dalla parte che abusi delle condizioni di
vulnerabilità in cui si trova la vittima.

Prestazioni “ob turpem causam”

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Quando la causa di invalidità del contratto dipenda dalla finalità turpe condivisa
dalle parti viene a mancare la possibilità di esperire l’azione di ripetizione
d’indebito.

L’incapacità di intendere e volere di una delle parti impedisce di ravvisare la


condivisione del proposito turpe, lo stesso vale quando la violazione di uno
stipulante non sia libera e consapevole, essendo stata determinata da errore,
dolo o violenza.

L’eventuale allegazione della tupritudine contro chi richiede la restituzione (ex


art.2033) giustifica il trattamento di favore riservato all’accipiens, che si
sostanzia nella perdita dell’azione d’ingiustificato arricchimento quando la
prestazione eseguita per l’attuazione di uno scopo immorale consista in un
facere.

Il legislatore, davanti alla scelta se giustificare il solvens o vantaggiare


l’accipiens ha optato per la soluti retentio, cristallizzando gli spostamenti
patrimoniali già posti in essere, ancorché l’uso lecito delle utilità tratte dal
macrimonio non trasfiguri il susseguente contratto di una fattispecie. La scelta
del legislatore è volontà a disincentivare il solvens dal portare a compimento
un programma negoziale immorale.

L’additata nullità non impedisce eccezionalmente a chi riceve la prestazione di


trattenerla. La norma non stabilisce però che l’accipiens acquista la proprietà,
dice soltanto che chi dà è privo del diritto di ripetere l’oggetto della dazione.

Ne discende i ridimensionamento dell’art.2035 e la diversità di trattamento


condizionata dall’oggetto della prestazione retributiva di un’attività turpe.

L’immoralità è identificabile anche quando si mercifichino le prestazioni dovute


in adempimento di doveri ex officio. Al di fuori dei casi in cui sia prospettabile il
vizio del consenso generato dalla violenza, deve prevalere l’interesse al buon
andamento e all’imparzialità della PA, per questo l’immoralità è identificabile
anche quando il privato abbia ceduto all’abuso di chi rappresenta il potere
pubblico.

Rientra nella regola che chi ha ricevuto un pagamento indebito non è tenuto a
restituirlo in caso di comportamento turpe si estende al contratto con cui una
parte si obblighi a tener indenne l’altro stipulante delle perdite patrimoniali cui
andrà incontro per effetto delle sanzioni pecuniarie che dovrà pagare a causa
della rilevanza penale della prestazione dedotta dall’intesa l’immoralità
dipende dalle circostanze che tramite accollo interno si reca grave offesa
all’interesse pubblico.

La nullità parziale

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L’art.1419 c1 s’intona al principio di conservazione del negozio giuridico
tramite un procedimento votato alla riduzione del suo contenuto: la nullità
parziale (la quale sottintende che il regolamento negoziale, pur decapitato
dalla sanzione di nullità, conservi un autonomi valore programmatico) non
inficia l’intero rapporto obbligatorio, a meno che il frammento invalido sia
determinante dell’accordo.

Ricade sulla parte interessata alla totale cancellazione del rapporto l’onere di
persuadere il giudice che in assenza della clausola nulla il contratto non
sarebbe stato perfezionato.

La connessione proposta può essere:

- Oggettiva, come accade quando la nullità della clausola condizionale dipenda


dalla illiceità dell’oggetto contrattuale, oppure

- Soggettiva, come si verifica allorché la clausola valida sarebbe deprivata della


propria legittimazione causale in assenza di quella espunta
dall’autoregolamento.

La regola tende a preservare l’equilibrio negoziale considerato come giusto


dalle parti al momento dell’intesa, questo equilibrio è destinato a rompersi
quando la caduta della clausola nulla importi lo stravolgimento della
distribuzione convenzionale dei rischi. L’indagine sull’alterazione dell’equilibrio
permette di emancipare l’operato del giudice dall’individuazione di una volontà
che non c’è, perché le parti non hanno preso realisticamente in considerazione
l’eventualità che la clausola decapitata fosse affetta da nullità.

Le parti hanno voluto il contratto, che l’ordinamento ritiene non meritevole di


tutela nella sua totalità; se le parti fossero state consapevoli dell’invalidità
avrebbero disposto altrimenti.

Nel caso in cui le parti, invece, avessero programmato uno statuto suppletivo
destinato ad entrare in azione come riserva di quello invalido, il problema
intorno alla nullità parziale non avrebbe ragion d’essere.

La nullità si estende dal frammento al tutto soltanto allorché il contenuto


dell’autoregolamento, denudato della parte nulla, sia inidoneo ad attuare lo
scopo contrattuale.

Ai sensi dell’art.1419 c2 cc la nullità delle singole clausole non importa la


nullità dell’intero contratto quando esse siano sostituite di diritto da norme
imperative, a prescindere dalla loro essenzialità.

Nullità del contratto plurilaterale

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Nei contratti con più di due stipulanti, in cui le prestazioni di ciascuno sono
dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che si abbatte sul
vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la
partecipazione inficiata debba essere considerata essenziale tenuto conto delle
circostanze fattuali.

Il contratto, a seguito dell’invalidità del vincolo di partecipazione di una parte,


non importa la nullità dell’intero contratto plurilaterale. L’eccezione, che deve
essere dimostrata da chi abbia interesse ad avvalersene, è che la nullità del
vincolo, a cagione della sua essenzialità, si riverbera sulla totalità del rapporto.

Opponibilità

La nullità opera retroattivamente e coinvolge anche i diritti dei terzi


subacquirenti in buona fede, fatta salva la regola possesso vale titolo
(art.1153cc) o altre vicenda acquisitiva disancorata da un atto di trasferimento.

Il giudicato di nullità fa stato verso gli eredi e aventi causa delle parti, nel senso
che chi acquista da colui il cui titolo d’investitura sia stato dichiarato nullo
subisce gli effetti della sentenza.

Eccezione: se il terzo di buona fede ha trascritto il proprio titolo


antecedentemente alla trascrizione ella domanda diretta a far accertare la
nullità del preesistente titolo del dante causa, il suo acquisto resta inattaccabile
quando la domanda sia stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione
dell’atto impugnato (art.2652 c6 cc).

La sentenza di nullità è inopponibile ai terzi ove ricorra tanto il presupposto


temporale (quinquennio) quanto quello soggettivo (buona fede).

Il meccanismo dell’art. 2652 c6 viene definito pubblicità sanante, siffatta


denominazione è inappropriata siccome la trascrizione tardiva della domanda
di nullità non rimuove la causa di invalidità dell’atto (il legislatore ha voluto
garantire l’interesse alla sicurezza dei trasferimenti immobiliari salvaguardando
la situazione del terzo in buona fede a dispetto della nullità del titolo
d’investitura del suo dante causa).

Bisogna però evitare di accogliere soluzione eccessivamente generalizzanti, si


deve allora ammettere che, qualora il giudizio di disvalore dipenda
dall’anisocialità del negozio nullo, ossia dalla sua vocazione ad infrangere
l’ordine pubblico costituzionale, spunti la legittima causa d’impedimento
all’attuazione del meccanismo di cristallizzazione degli effetti del subacquisto
tra colui che si comporta come proprietario e il terzo in buona fede.

Se la nullità dell’atto discende dall’incommerciabilità dell’oggetto, l’evocazione


del disvalore non può essere purgato dal meccanismo pubblicitario di cui art.
2652 c6 cc. I beni sottratti alla circolazione giuridica non possono essere ex

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post tramutati in cose liberamente commerciabili grazie alla pubblicità in
esame. La buona fede del terzo trascrivente, unità al ritardo ultraquinquennale,
non importa la sanatoria dell’antecedente negozio nullo, ma determina la
sopraggiunta validità dell’acquisto del terzo ignaro della patologia. L’acquisto
viene in essere a seguito di una vicenda complessa: il secondo acquirente
diventa titolare del diritto sulla cosa per effetto della trascrizione prioritaria
rispetto a quella dell’antecedente compratore. In tutte e due le ipotesi il non
diritto (situazione iniziale) si evolve in un diritto pieno (situazione finale): la
pubblicità annienta gli effetti della sentenza accertate la nullità del contratto di
vendita.

L’acquisto del terzo, immune dalla vis expasiva della sentenza di nullità, è a
non dominio (assodata la mancanza di un valido titolo d’investitura in capo al
dante causa del terzo stesso). È come se attorno al titolo d’acquisto della parte
subacquirente il sistema pubblicitario erigesse uno scudo per proteggere tale
atto dagli effetti ultra partes del provvedimento accertante la nullità del
negozio d’investitura del cedente.

Il non diritto si capovolge in diritto pieno non per effetto della situazione di
fatto (es possesso prolungato) ma in forza di un atto negoziale la cui validità
non viene ex post scalfita dalla nullità del titolo precedente grazie ai
presupposti illustrati.

Il nesso tra sunacquisto ex fide bona, sua trascrizione e lassismo dell’originario


dominus nel proporre la domanda giudiziale o nel renderla pubblica,
legittimano la cristallizzazione del diritto inizialmente inesistente. L’acquisto a
non dominio, fondato sula buona fede e sulla trascrizione prioritaria del terzo
agevolate dalla non curanza del primo dante causa, manda in cortocircuito la
regola sancente la paralisi del contratto traslativo posto in essere da chi non
aveva il potere di disporre a cagione dell’assenza di un valido titolus
adquirendi.

L’art.2652 n6 fa salvo l’acquisto del medesimo terzo quando la trascrizione


della domanda di nullità sopraggiunga a distanza di oltre 5 anni dalla
trascrizione del titolo invalido. È necessario stabilire gli acquisti immobiliari
allorché la medesima domanda sia stata trascritta oltre il quinquennio; si potrà
parlare quindi più che di pubblicità sanante di pubblicità consolidante.

Sorge però un limite alla regola di imprescrittibilità dell’azione di nullità


(art.1422): la domanda di accertamento di siffatta patologia è sempre
proponibile, ma i suoi effetti sui negozi posti a ridosso dell’atto invalido
sottostanno al meccanismo acquisitivo a non dominio.

Convalida e rinnovazione

Art.1423 cc non ammette la convalida del contratto nullo. Derogano a questo


principio, oltre alle disposizioni in materia urbanistica, gli artt. 590 (conferma

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ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle), 799 (conferma ed
es. vol. di donazioni nulle) e 2126 (prestazioni di fatto con violaione di legge)
cc.

La nullità attiene però all’atto e non al fatto: la spontanea esecuzione data al


contratto nullo è inadatta a sanare l’invalidità. Le parti sono tuttavia libere di
rinnovare l’accordo, con effetti ex nunc, espungendo dalla nuova intesa
l’elemento che originariamente la inficiava. Qualora non siano coinvolti
interessi di terzi, è permesso ai privati di attribuire al contratto rinnovato
efficacia retroattiva del perfezionamento della fattispecie invalida, in maniera
da salvaguardare l’attività esecutiva nel frattempo svolta.

La conversione

L’art.1424 cc (conversione del contratto nullo) viene considerato violazione


virtuale: il contratto nullo produce gli effetti del contratto non voluto del quale
contenga i requisiti essenziali, quando risulti che le parti lo avrebbero voluto se
avessero sin dall’inizio conosciuto la patologia.

L’interesse protetto dalla norma è quello di assicurare il recupero della


fattispecie colpita da invalidità radicale (nullità) in modo da evitare la
dispersione dell’utilità che l’atto potrebbe comunque assicurare alle parti sotto
altre sembianze terminologiche.

Il magistrato di merito dovrebbe andare alla ricerca della volontà inespressa. La


conversione prescinde dalla violazione essendo essa univocamente mirata non
alla costituzione di una fattispecie negoziale invalida, a al salvataggio degli
effetti che questa era incapace di produrre. Il legislatore giustifica la
vincolatività della parola allorché si intravedano i presupposti per modificare la
fattispecie negoziale (invalida) originariamente concordata, sussumendola
sotto un’altra fattispecie ritenuta compatibile per quel che concerne i risultati
programmati. Viene così dato un margine di discrezionalità al giudicante.

Non vi è alcuno spazio per la conversione allorché le parti abbiano previsto uno
statuto negoziale di secondo grado, destinato a trovare applicazione in via
suppletiva a puntello di quello falciato dalla vicenda invalidante.

L’interesse alla conservazione del rapporto obbligatorio sta alla base della
conversione, così da far salvi gli effetti germinati dalla fattispecie sussidiaria
sostenuta dalla volontà potenziale, atta a realizzare l’intento empirico
perseguito inizialmente dalle parti attraverso un contratto invalido. È escluso,
quindi, l ‘uso della conversione quando sia dimostrato che le parti fossero
consapevoli della situazione invalidante. L’indagine è indirizzata
all’individuazione del contratto, di cui sono stati soddisfatti per relationem i
requisiti di validità (è bene ricordare che la conversione non è invocabile
quando la causa concreta sia illecita).

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Vi è la tendenza a escludere la conversione del contratto unilaterale. La
conversione non deve sviare la funzione della libertà contrattuale (i privati
possono infatti escludere a priori la vincolarità dell’istituto e in più richiede la
domanda della parte interessata).

La conversione è esclusa anche quando tramite essa venga trasfigurata la


causa di giustificazione del contratto invalido: le parti non avrebbero soluto il
negozio diverso ove da esso scaturisse l’effetto indesiderato sotto il profilo
funzionale.

Imprescrittibilità, deducibilità e rilevabilità

L’azione di accertamento della nullità, il cui petitum è dato dalla dichiarazione


d’inefficacia giuridica dell’atto invalido, è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti
dell’usucapione ordinaria, del possesso vale titolo e della prescrizione
decennale dell’azione d’indebito oggettivo.

Art.1421 cc dispone che dove non sia diversamente stabilito dalla legge la
nullità possa essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. L’interesse
deve essere dimostrato deducendo la necessità di ricorrere all’autorità
giudiziaria per scansare il pregiudizio al diritto vantato e la conseguente lesione
alla propria sfera giuridica, non è sufficiente, quindi, invocare lo stato di
astratta incertezza in merito alla validità della fattispecie negoziale, ma occorre
che questo dubbio cagioni un danno giuridicamente rilevante all’azione
dell’attore.

La norma si riferisce anzitutto ai terzi, che devono essere qualificati e non


generici: devono cioè allargare non semplicemente l’interesse alla legalità, ma
l’interesse specifico consistente nella lesione di una posizione soggettiva
dipendente dall’atto impugnato.

La materia è sottratta alla disponibilità delle parti allorché l’invalidità dell’intesa


dipenda dalla sua contrarietà all’ordine pubblico economico o ad altri interessi
collettivi.

Quando la nullità parziale colpisca le clausole sfavorevoli a uno solo degli


stipulanti, il soggetto favorito non è legittimato all’azione d‘accertamento della
nullità parziale. Fuori dalle preclusioni imposte dal giudicato interno, la nullità
può essere invocata in ogni stato e grado del processo, potendo anche essere
rilevata d’ufficio dal giudice.

Per molto tempo si considerato l’accertamento officioso della nullità attuabile


unicamente quando la nullità stessa costituisca la ragione del rigetto della
pretesa vantata dall’attore; nel caso in cui invece sia la parte a chiedere la
risoluzione o la dichiarazione di invalidità di una fattispecie negoziale a lei
pregiudizievole, la pronuncia del tribunale è delimitata dal principio della
domanda.

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Il legislatore ha assegnato al magistrato un’ampia legittimazione a rilevare la
nullità indipendentemente dall’iniziativa di parte, senza limitarla alla domanda
di esecuzione e senza escluderla ove sia stata proposta l’azione di risoluzione
o di annullamento. La nullità del contratto del quale sia stato chiesto
l’annullamento, la risoluzione o la rescissione, è incidentalmente rilevabile
d’ufficio dal giudice senza incorrere in un vizio di ultrapetizione, atteso che in
ognuna di tali domande s’intravede l’assenza di cause determinanti l’invalidità
del rapporto giuridico.

La nullità relativa

Talvolta la legge comprime la forza espansiva dell’art.1421 stabilendo che la


nullità possa essere fatta valere esclusivamente dalla parte a favore della quale
è stata posta la norma violata.

Questa disciplina fa leva sulla protezione dello stipulante economicamente


debole o meno organizzato: la nullità può essere fatta valere solo dal
contraente protetto; se è contumace spetta al giudice il potere-dovere di
rilevare d’ufficio l’invalidità, se partecipa al contraddittorio, il giudice può
rilevarla se ravvisa l’interesse della parte destinataria della protezione.

Il mancato e deliberato rilevamento dell’invalidità da parte dell’interessato


importi l’esercizio del potere dispositivo, che si concreta nella rinunzia
all’azione o all’accezione, con la conseguente salvezza dell’atto.

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CAP.XIII - L’INCAPACITA’ NATURALE

Atti unilaterali

Art.428 c1 attribuisce a colui il quale, pur disponendo della piena capacità


legale, abbia compiuto l’atto giuridico i stato di naturale incapacità d’intendere
e di volere, la facoltà di esercitare l’azione di annullamento a causa del vizio
della violazione, ove sia dimostrato grave pregiudizio dell’autore.

Per aversi incapacità naturale non è sufficiente che il normale processo di


formazione e manifestazione della violazione sia turbato (per ragioni emotive o
per malattia), essendo necessario che le facoltà intellettive del dichiarante
siano alterate al punto da impedirgli una seria valutazione degli effetti del
negozio. La sussistenza di tale stato d’alterazione delle facoltà intellettive va
provato dall’interessato.

Si applica, invece, la disciplina in tema di violenza quando lo stato di incapacità


sia stato provocato da un terzo (es per mezzo di suggestione ipnotica).

Contratti

In ipotesi di negozio bilaterale l’art.428 c2 condiziona l’annullamento alla


sussistenza della mala fede dell’altra parte; il tentativo è quello di proteggere
le ragioni di sicurezza del traffico giuridico.

Ai fini dell’annullamento dei contratti stipulati dall’acquirente incapace naturale


è sufficiente il requisito della mala fede, rispetto al quale il grave pregiudizio di
pone soltanto come uno dei possibili indici sintomatici.

La legittimazione all’azione di annullamento spetta all’incapace naturale,


oppure ai suoi successori a titolo universale o particolare; si ritiene che la
legittimazione venga meno quando l’altra parte offra di eseguirlo a condizioni
tali da evitare il pregiudizio dell’incapace.

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CAP. XIV- L’ERRORE

[Errore FE 00 falsa conoscenza della realtà. Errore può essere errore vizio: colpisce
il formarsi della volontà; ed errore ostativo: cade sulla dichiarazione o sulla
trasmissione.]

Riconoscibilità

Art. 1428: l’errore deve essere riconoscibile dall’altro contraente. Qualora


l’interessato fosse consapevole che dietro la volontà espressa della controparte
si annidava l’inesatta rappresentazione del vero, oppure quando tale
conoscenza fosse raggiungibile mediante la cautela che dovrebbe essere
osservata dalla persona di media avvedutezza, verrebbe a mancare la ragione
d’addossare al dichiarante il rischio relativo alla forza affidante della propria
manifestazione di volontà.

Il dichiarante va incontro al rischio dell’errore sempre che sia degno di


protezione l’affidamento suscitato dalla dichiarazione viziata nei suoi elementi
costitutivi. La riconoscibilità delle vicende turbatrici implica l’emersione
dell’onere di diligenza o d’autoresposabilità in capo al destinatario della
dichiarazione viziata.

La percettibilità dell’errore va commisurata alle qualità personali del


destinatario della dichiarazione formatasi a causa dell’imperfetta
rappresentazione della realtà.

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L’errore invalida il contratto anche quando sia conosciuto, ancorché si rilevi non
conoscibile secondo gli elementi enumerati dall’art.1431.

La tutela dell’affidamento non si presta a valutazioni standardizzate;


l’affidamento implica un giudizio di meritevolezza degli interessi vantati da chi
accampa posizioni fiduciarie.

Errore comune

La riconoscibilità smarrisce rilievo giuridico là dove entrambe le parti siano


cadute nel medesimo errore.

Es: Tizio e Caio, collezionatori di oggetti d’arte senza disporre di specifica


preparazione in materia sono persuasi dalla compravendita di un dipinto
antico, che in realtà non è tale; il prezzo risulterà conforme all’apparente
prestigio. Se l’errore non fosse giudicato riconoscibile il venditore fruirebbe di
una sorta di privilegio (se non addirittura rendita di posizione) sostanziato dal
semplice affidamento sulla forza impegnativa della dichiarazione emessa dal
compratore; il compratore sarebbe impedito dall’invocare l’errore-vizio a causa
della natura occulta agli occhi del disponente. Non è dato scorgere alcuna
ragione sufficientemente solida al fine di escludere la tutela di entrambi gli
erranti ad astrarre dall’argomento legato all’oggettiva riconoscibilità del vizio.

Il nostro ordinamento depotenzia l’assolutezza della tutela dell’errante tramite


il presupposto della riconoscibilità attinente all’irregolare processo formativo
della violazione; situazione che si giustifica allorché il destinatario della
dichiarazione abbia in buona fede confidato sulla sua forza vincolante,
ignorando senza colpa l’errore viziante la violazione del suo autore. Quando lo
stesso errore infici in modo determinane ambedue le volontà costitutive
dell’intesa, le esigenze di protezione degli erranti finiscono con il pareggiarsi. In
casi del genere sfuma il conflitto di interessi: la condivisione dell’errore attenua
il primato della dichiarazione.

Scusabilità

Non è invece richiesto il requisito rappresentato dalla scusabilità dell’errore:


l’errante è dunque meritevole di protezione a prescindere dalla sua diligenza,
sagacia o dal grado d’attenzione osservato nella gestione del proprio
patrimonio e dei propri affari.

Si può casomai discutere riguardo alla circostanza se la grossolanità dell’errore


sia o meno in grado di riflettersi sull’inverosomiglianza agli occhi del
compratore. L’osservanza dei criteri fondati sulla diligenza minima esigibile
dalla generalità dei consociati serve a coagulare l’aspettativa che quanto
voluto sia il portato della corretta valutazione dei dati fattuali. In questa

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cornica, accreditante il rapporto inversamente proporzionale tra inescusabilità
dell’errore e la sua riconoscibilità, l’errore imputabile a colpa del dichiarante
può al più giustificare l’irrisarcibilità del danno ai sensi dell’art.1338
(conoscenza delle causa di invalidità) là dove l’altro stipulante, ritenendo
inverosimile l’inesatta rappresentazione o l’ignoranza viziante la violazione,
non l’abbia messo in guardia svelando il reale stato delle cose.

In nessun caso l’inescusabilità dell’errore si presta ad assumere le sembianze


della sanzione contro il soggetto che non è stato sufficientemente attento alla
cura dei propri affari.

L’errore sulle qualità dell’oggetto

Ai sensi dell’art.1429 n2 cc, l’errore è essenziale nel caso in cui casa sopra le
qualità dell’oggetto della prestazione, le quali debbono ritenersi determinanti
del consenso.

L’errore incide sugli impulsi motivazionali del dichiarante; l’errore sul motivo è
rilevante in quanto si riverberi sugli elementi tipizzanti dalle regole sancite.

Siamo di fronte all’error in quaitate, legittimante l’annullamento del trontratto,


quando esso sia causam dans della volontà. Il destinatario della dichiarazione
deve avvedersi che lo sbaglio o l’imperfetta rappresentazione della realtà
concerne una circostanza di tale importanza da far nascere la sanzione di
bisogno in vista del cui appagamento l’errante di determinò a compravendere.
Ciò significa che in assenza di errore la parte non avrebbe negoziato, o avrebbe
negoziato diversamente.

L’errore può essere imputabile all’equivoca o inesatta conoscenza dello stato di


fatto. Ma l’inganno spontaneo può essere generato dalla situazione negativa di
mancata conoscenza del vero. (es il compratore può cadere in errore sulle
qualità della cosa perché confonde l’oro con il rame, oppure perché ignora che
recenti studi critici hanno definitivamente accertato la falsità dell’opera d’arte
negoziata FE 00l’errore innverva la violazione spingendola in una direzione diversa
da quella che avrebbe preso qualora fosse mancato il contrasto tra realtà e la
sua rappresentazione).

L’errore vizia la violazione quando la parte in esso cada all’stante dell’accordo;


riguardo all’errore sulle qualità ciò importa che la res vendita debba esistere in
quel momento.

L’errore proiettato verso la realtà in divenire non è un autentico errore ma


costituisce una previsione difettosa che assume rilievo o sotto il profilo della
presupposizione o dell’inadempimento (errore di previsione). Se l’errore
ammorba la violazione nell’istante in cui essa si è formata allora è evidente che
tale violazione nasca integra quando l’errore sia rintracciabile ex post. La
violazione non è alterata dalla cessazione della conoscenza, ma è contraddetta

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dalla sua mancata realizzazione; la patologia si riflette sul risultato ma non
sull’accordo. L’errore sull’irrealtà si trasforma in sbagliato affidamento, siccome
il verdetto d’inesattezza è il portato di una valutazione ex post.

La nozione di qualità essenziali: le qualità corporali

[Da ricordare la differenza tra vizio oggettivo e soggettivo].

L’errore inerente alle qualità può cadere sugli elementi strutturali della cosa,
sui pregi ed altre peculiarità ritenute essenziali dalla generalità dei consociati
o dagli usi del mercato.

Le parti sono libere di considerare irrilevante una qualità normalmente


rilevante. L’errore sulle qualità si riverbera quasi inevitabilmente sul valore
concordato (inteso come rapporto tra cosa e quantità di moneta richiesta per
scambiarla). Es. se il compratore si determini a ottenere una particolare
autovettura ritenendola nuova senza avvedersi che in realtà ad essa è stato
azzerato il contachilometri, è disposto a pagare il giusto prezzo corrispondente
alla sua distorta rappresentazione della realtà.

L’errore sul valore è irrilevante, a meno che non consegua all’errore sulle
qualità corporali o giuridiche del bene compravenduto.

La paternità delle opere d’arte

Ci si trova in questo caso di fronte ad un errore che si riverbera sulla relazione


genetica tra la cosa ed il suo autore. L’errore è essenziale qualora il venditore
erri sulla reale paternità del dipinto alienato a prezzo irrisorio. L’errore è
essenziale, perché se avesse conosciuto il vero stato delle cose non si sarebbe
privato del capolavoro a condizioni svantaggiose. Nel caso in cui l’errante
riesca a persuadere il giudice che la controparte era al corrente della genuina
appartenenza, l’azione d’annullamento dovrà essere accolta senz’altro.

Sfumerebbe la necessità di provare l’estremo della riconoscibilità se l’errore


sull’origine avesse corrotto la volontà di ambedue le parti. Il venditore scivolerà
nel dolo nel caso in cui abbia mendacemente voluto ingannare l’altro
stipulante.

Spesso non esiste alcuna certezza intorno alla provenienza del quadro o della
scultura, al massimo può esserci su di essa consolidata opinione, suffragata
dalla letteratura maggioritaria che attribuisce l’opera al suo verosimile autore.

Il margine d’errore in questi casi è spesso un elemento congenito della


contrattazione. Occorre allora verificare caso per caso qual è il contraente che
ha accettato il rischio della sorpresa, ossia del possibile mutamento d’opinioni
ancorché esse apparissero consolidate all’epoca dell’accordo. Se la parte ha

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voluto acquistare un bene come autentico, l’autenticità diventa promessa di
qualità viziante il suo consenso quando sia attualmente contraddetta dalla
verità. Se invece la stessa parte ha assunto il rischio della mancanza di
autenticità il compratore va incontro deliberatamente al rischio di ottenere una
cosa diversa.

Quando l’autenticità non sia una qualità promessa ma un elemento aleatorio,


l’operazione commerciale diventa essenzialmente un azzardo.

È bene chiamare in causa la differenza tra errore sulla realtà presente ed errore
sul suo possibile mutamento, l’errore rilevante ai sensi dell’art.1429 (errore
essenziale) rientra nella prima specie (il vizio della volontà è radicato in ciò che
è o in ciò che è stato), fuoriesce da quelle dell’inesatto pronostico sulle future
alterazioni dello status quo.

L’errore sull’origine dell’opera d’arte presuppone due circostanze:

1) Il contraente danneggiato ignori la correzione delle cognizioni consolidate;


2) Il fatto viziante sia conosciuto o riconoscibile dalla controparte.

Da qui l’esigenza di appurare, caso per caso, quale è stato l’oggetto della
compravendita. L’errore sulla qualità è scorgibile nel caso in cui l’opera d’arte
offerta come pura sia stata sottoposta a pesanti interventi di restauro, oppure
rimaneggiata in modo da costituire un’altra cosa rispetto all’originale. Diventa
allora indispensabile distinguere la vendita di una certezza dall’offerta di una
ragionevole intuizione, di una non effimera verosimiglianza o di una mera
speranza.

Quando le parti si esprimano in modo chiaro diventa facile tracciare la linea di


confine tra la cosa venduta giuridicamente rilevante e la probabilità che essa
possieda l’attributo soltanto preconizzato; la certezza della paternità diventa
causam dans del consenso espresso dall’acquirente, il quale a ragione può
scegliersi dal contratto facendo valere il vizio di violazione.

Il compratore, davanti alla trattativa onesta, è messo in guardia ed è quindi


spronato a ponderare i pro e i contro dell’affare.

L’esternazione del margine d’errore intorno alla dazione o provenienza


dell’opera legittima il trasferimento del relativo rischio nella sfera patrimoniale
del compratore, il quale decide d’affrontare l’azzardo, non potendo poi invocare
l’errore, perché il fatto incerto era noto sin dall’inizio.

Le qualità giuridiche

Le qualità rilevanti possono avere ad oggetto lo statuto giuridico del bene. Es.
edificabilità del fondo rustico o modificabilità di destinazione dell’uso

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dell’edificio. L’errore inerente alla situazione giuridica della cosa venduta può
rilevare anche come errore di diritto.

La giurisprudenza pratica è convinta che l’errore sulle qualità giuridiche del


terreno sia di fatto e on di diritto, perché la falsa rappresentazione della norma
si risolve nell’inesatta conoscenza dell’edificabilità o inedificabilità del suolo,
cioè una circostanza relativa ai suoi caratteri reali.

La caratteristica dello sfruttamento edilizio del fondo incide sulle qualità


dell’oggetto compravenduto.

La destinazione urbanistica diventa un fattore che accresce il valore del fondo;


l’errore sulla stima, quando dipenda dall’ignoranza circa la destinazione
impressa dagli strumenti di programmazione del territorio, costituisce vizio ella
violazione. Tale patologia, se riconoscibile, legittima l’errane a domandare
l’annullamento della compravendita.

È difficile per l’alienante superare la presunzione di riconoscibilità del vizio


alterante la volontà della controparte, nel caso egli stesso vi sia caduto.

Errore e vendita di partecipazioni sociali

Oggetto del contratto non è il patrimonio sociale, che appartiene


all’universitas, ma il diritto di credito consistente nella partecipazione a
contratto in comunione di scopo.

Il diritto di partecipazione alla società è dunque oggetto immediato del


contratto, mentre il trasferimento della porzione di patrimonio espressa dalla
quota negoziata sarebbe l’oggetto mediato. L’errore inerente alla situazione
patrimoniale, che si è riverberato sulla stima del prezzo di cessione, sarebbe
irrilevante siccome estraneo all’oggetto dell’affare.

L’acquirente, il quale lamenti che il prezzo corrisposto sia inadeguato rispetto


all’effettivo valore della società partecipata, non può ricorrere all’errore in
qualità, gli è solo concesso di far valere la clausola convenzionale di garanzia
sulla consistenza patrimoniale oppure l’eventuale dolo qualora sia stato vittima
di un raggiro.

Errore sulla natura e sull’oggetto

L’art.1429 cc enumera altre ipotesi, diverse dall’errore sulle qualità, di


situazioni integranti gli estremi dell’errore essenziale:

- Errore sulla natura del contratto, il contraente abbia rappresentato in modo


errato gli effetti giuridici essenziali della fattispecie concordata. Es tizio

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concluda un contratto di comodato essendo persuaso che si tratti di
trasferimento di proprietà.

- Errore sull’oggetto, attiene invece alla cosa o alla prestazione dedotta nel
rapporto di scambio. Es. acquistando titoli azionari credendo che si tratti di
obbligazioni.

Errore sull’identità dell’oggetto

L’errore di questo tipo è essenziale soltanto quando abbia effettivamente


impedito l’individuazione della cosa negoziata. Vale altrimenti il principio che
l’errata descrizione non invalida il contratto.

Anche in ipotesi di contratti solenni le parti non incontrano i limiti previsti


dall’art.2725 cc, quando la prova testimoniale sia diretta a dimostrare l’inattesa
descrizione dell’oggetto contrattuale.

L’errore sulla controparte

L’errore sull’identità della persona dell’altro contraente o sulle sue qualità


personali assume rilevanza quando l’identità o la qualità siano determinanti del
consenso dell’errante. Es. cade in errore colui il quale attribuisca al
patrocinatore legale il mandato a proporre un ricorso in cassazione, ignorando
che questi non è abilitato alla difesa di questo tipo.

L’errore di diritto

Si esprime nell’ignoranza o errata interpretazione della norma giuridica ad


astrarre dalla sua natura imperativa o suppletiva. È causa di annullamento del
contratto quando sia riconoscibile dall’altra parte.

Si deve escludere il diritto dell’errante d’impugnare il contratto quando


l’ignoranza ricada su norme integranti ope legis il ragionamento negoziale.

L’errante si limita a chiedere l’annullamento del contratto a seguito della


rappresentazione errata della realtà normativa.

La falsa conoscenza della regola giuridica non legittima il dichiarante a far


valere il vizio del consenso nel caso in cui sia dimostrato che il destinatario
della dichiarazione abbia tempestivamente avvertito l’altra parte della possibile
o verosimile incertezza ermeneutica.

L’errore di calcolo

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L’errore compiuto nell’operazione aritmetica dà luogo a semplice rettifica, salvo
che si concreti in un errore sui fattori di calcolo. La correzione dell’errore deve
avvenire anche se manchi una norma ad hoc; la rettifica non si pone in
alternativa all’annullamento, ma è l’unico rimedio invocabile per annientare il
vizio.

Nel caso di errore suoi fattori del computo nel caso in cui sia dimostrato che
esso è essenziale e riconoscibile, il vizio può condurre all’annullamento del
contratto (es. utilizzo di bilancia guasta nella compravendita di oro).

Errore ostativo

Art.1433 equipara l’errore vizio a quello ostativo, che si ha quando la volontà,


formatasi correttamente, sia stata inesattamente dichiarata o trasmessa dalla
persona o dall’ufficio incaricato.

Discrasia non intenzionale tra voluto e dichiarato. Es. Tizio dice cento mentre
pensava mille, errore che cade sulla dichiarazione.

Dissenso occulto e ignoranza linguistica

Si ha dissenso occulto quando l’oblato dia alla volontà dell’offerente un


significato diverso rispetto a quello autentico e, per effetto di tale malinteso,
presti il proprio consenso. Il fraintendimento in cui cade l’oblato lo indice ad
accettare la proposta e a ritenere che essa collimi con il significato attribuitole
dalla controparte.

- TEORIA DOMINANTE: il contratto è efficace ancorché annullabile quando Tizio


abbia accettato la proposta di Caio a causa della sua errata lettura (es pensava
che il prezzo fosse espresso in altra moneta), Tizio potrà chiedere
l’annullamento dell’accorso se il malinteso fosse riconoscibile ed essenziale.
L’errore può inoltre scaturire da ignoranza linguistica, a causa di clausole
scritte in idioma da lui sconosciuto. I contratto sarebbe annullabile per errore
ostativo nel caso in cui il predisponente fosse a conoscenza dell’ipotizzata
ignoranza.

TESI MINORITARIA: il dissenso linguistico si deve convertire nell’assenza di


volontà simmetrica, rilevando quale causa di nullità del contratto per mancato
perfezionamento dell’accordo.

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CAP.XV: IL DOLO

Il dolo commissivo

L’art.1439 cc, nel descrivere la condotta ingannatrice che è causa di


annullamento del contratto, si riferisce ai raggiri (falsità ammantata di parole
abilmente intrecciate per rendere verosimile l’oggetto della rappresentazione)
ma tace con riguardo agli artifizi (ogni alterazione o camuffamento del vero
perpetrato tramite simulazione di ciò che non esiste).

Tanto l’astuzia quanto la furberia, così come il ragionamento falso o


ingannevole e ogni altra macchinazione o imbroglio idonei ad alterare i corretto
processo di formazione dell’altrui volontà, rilevano quale frode civile.

Nel caso in cui ricorrano le suddette circostanze occorre ravvisare l’errore,


inteso come inesatta percezione della realtà, indotto dalla controparte o da un
terzo: ne consegue l’irrilevanza della riconoscibilità dell’errore provocato dalla
parte.

Se la parte ignorava il raggiro il contratto è valido perché le esigenze di


sicurezza del traffico mercantile consigliano di proteggere l’affidamento di chi
è in buona fede, salvo il diritto dell’ingannato ad esperire l’azione di ristoro del
danno contro il terzo.

Il rapporto eziologico fra attività decettiva e vizio del consenso importa


l’annullabilità del contratto a prescindere dall’elemento su quale va a cadere
l’errore; l’assenza della prospettiva di relazione causale rende il dolo
incidentale, in tal caso l’azione decettiva dà luogo solo a responsabilità
precontrattuale senza invalidare il contratto (art.1440).

È indifferente la circostanza determinativa della volontà ammorbata dal dolo:


anche l’errore indotto sul motivo giustifica l’annullamento del contratto. In
breve, l’errore provocato altera il consenso invalidando il contratto, a meno che
tale errore non sia essenziale ai sensi dell’art. 1429 cc.

Per esserci dolo causam dans o dolo incidentale occorre che il raggiro si elevi a
causa determinante l’alterazione del corretto procedimento di formazione della
volontà, è una relazione causale che deve essere valutata in termini soggettivi.

Risulta, in quest’ottica, che il dolo non invalida il contratto quando il


destinatario della falsa informazione, pur avendo percepito la sua decettività,
se ne sia disinteressato. Manca il nesso causale tra l’attività ingannatrice e il
vizio del volere là dove il soggetto passivo abbia con piena coscienza affrontato
l’azzardo del raggiro. Secondo coloro che seguono questo indirizzo è necessario
accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo, costituto dalla coscienza e
volontà di distorcere il vero o simulare il falso nell’intento di trarre in errore la
vittima.

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Per integrare gli estremi del raggiro fonte dell’inganno pare essere sufficiente
la colpa, che è ravvisabile quando siano messe in circolazione notizie
inveritiere attraverso condotte noncuranti. L’interesse protetto dalla disciplina
sul dolo viziante il consenso è egualmente pregiudicato sia quando c’è
coscienza e volontà della propria azione od omissione, sia quando l’inganno
consegua alla mera imperizia. Da questo discende l’annullabilità del contratto
anche nel caso in cui la violazione del dovere di svolgere il negoziato di buona
fede sia imputabile a titolo di colpa.

Ciò che conta è l’effetto distorcente la corretta formazione della volizione


aggirabile attraverso l’osservanza, entro i confini segnati dall’esigibilità, della
clausola generale ex art.1337cc (trattative e responsabilità precontrattuale: le
parti, nello svolgimento delle trattative o nella formazione del contratto,
devono comportarsi secondo buona fede).

La coscienza e volontà dell’azione ingannatrice preordinata a trarre in errore la


vittima perde l’attributo di elemento costitutivo della nozione civilistica di dolo
la quale finisce con l’essere focalizzata attorno alla condotta decettiva
generatrice la falsa rappresentazione.

Gli artt.1439 (Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri
usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non
avrebbe contratto) e 1440 (dolo incidente: se i raggiri non sono stati tali da
determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe
stato concluso a condizioni diversa; il contraente in mala fede risponde dei
danni) rappresentano il mezzo per fronteggiare la lesione subita alla propria
libertà d’autodeterminazione, lesione che ha preso copro durante le trattative,
le quali non sono state irradiate dalla clausola di buona fede. La colpa in
contrahendo (art.1338 cc) assurge a condotta che incrina l’integrità del bene
protetto dalle succinte disposizioni ed è proprio essa che dovrebbe proteggere
il singolo consumatore sulle pratiche commerciali sleali.

Art.1337 cc impone l’onere di diligenza durante le trattative nell’intento di


salvaguardare l’interesse della parte a maturare una volontà consapevole; chi
si immette nel traffico giuridico non solo deve agire in buona fede, ma anche
guardarsi dal suscitare falsi affidamenti o aspettative illusorie tramite
dichiarazioni prive di fondamento. Dall’articolo in esame è stato desunto
l’obbligo generico di dire la verità, che si trasforma in specifico dal momento in
cui il legislatore ha ritenuto opportuno precisarlo ricorrendo al metodo
casistico.

Il dolo vizio affiora nel caso in cui l’autore dell’imbroglio non sia stato animato
da una prava intenzione, essendosi lasciato trascinare dalla propria non
curanza.

Nel caso l’errore sia provocato da colui che è caduto nel medesimo vizio del
consenso prevede l’annullabilità nel caso in cui si dimostri che tale parte ha
agito con sprovvedutezza.

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La rilevanza della menzogna

Secondo la dottrina tradizionale non è sufficiente affermare il falso per


concretare il dolo-vizio, la notizia inveritiera non è causa di annullamento salvo
che risulti accompagnata da artifizi atti ad avvalorarla.

Esiste però un altro filone di pensiero che tende a dividere:

- Menzogne irrilevanti, che incidono sulla sfera propria o di terzi;


- Menzogne rilevanti, si riverberano anche sulla controparte.

Altri autori ancora ritengono che l’illiceità della menzogna sia collegata alla
variabile che l’autore dell’inganno sia persona nella quale la vittima riponga la
massima fiducia.

Giova quindi distinguere la menzogna sulle circostanze ininfluenti a


determinare il ‘se’ e il ‘come’ del consenso, da quella sulle circostanze idonee
a condizionare il processo volitivo. Es: il dolo inficia l’autodeterminazione
allorché l’alienante, nel tentativo di persuadere l’altra parte a concludere
l’accordo dichiari falsatamente che il terreno agricolo entro un paio d’anni
raddoppierà il valore grazie alla variante urbanistica che destinerà l’area a zona
di insediamenti produttivi.

In ipotesi specifiche l’ordinamento detta una disciplina particolare sul fronte


delle affermazioni fallaci; art. 1491 cu dispone che:

- La garanzia è dovuta anche per i vizi apparenti, qualora il venditore abbia


dichiarato che la cosa ne era priva. Il venditore dovrà avvertire il compratore
circa la verità della cosa data, per evitare che nasca nei confronti del
compratore un’aspettativa illusoria.

Si pone però il problema sui rapporti tra dolo-vizio e diritto speciale, quando
quest’ultimo detti una tutela diversa dall’annullamento. Il tema porta alla luce il
rapporto intercorrente tra garanzia edilizia e disciplina relativa ai vizi del
consenso:

1) C’è chi ammette il consenso cumulativo, riconoscendo la legittimazione


dell’acquirente a impugnare il contratto per dolo determinante o ad avvalersi
della garanzia edilizia.

2) C’è chi, per altra opinione, restringerà la tutela pro acquirente ai rimedi ex
art. 1492 cc ( effetti della garanzia: Nei casi indicati dall'articolo 1490 il
compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la
riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la

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risoluzione. La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.
Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto
alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa
del compratore, o se questi l'ha alienata o trasformata, egli non può
domandare che la riduzione del prezzo.)

Il dolo tollerato

Il dolo tollerato altro non sarebbe che il dolo buono, in opposizione con il dolus
malus. Dolo tollerabile: è ravvisabile quando la simulazione del vero sia
talmente lampante, se non addirittura grossolana, da essere sostanzialmente
sfornita di capacità decettiva nei riguardi delle persone normalmente avvedute.

Una volta ammessa l’irrilevanza del dolo buono, lo stipulante indotto in errore
non potrà confidare nell’accoglimento della domanda di annullamento perché
la propria soglia d’attenzione, collocandosi al di sotto del criterio di normalità,
non lo rende meritevole di tutela. Ovvero: chi a seguito della propria
disattenzione cade nel tranello della persona di comune avvedutezza oppure
omette di raccogliere le informazioni utili a smascherare la trappola, non può
tardivamente pentirsi dell’accennata trascuratezza tramite l’azione di
annullamento.

Per quanto riguarda astuzie generanti l’errore dello sprovveduto, invece, sono
considerabili vicende patologiche. Le aggressioni promosse dai contraenti
disonesti, il cui proposito sia rappresentare una realtà distorta allo scopo di
alterare l’altrui determinazione negoziale, assumono le caratteristiche della
condotta che rileva in sé e per sé.

Importante è distinguere la pratica disonesta ordinata ad personam e quella


diretta alla generalità dei consumatori finali. Il dolo rileva da sé, deve suscitare
la disapprovazione dell’ordinamento perché nel singolo caso trasse in fallo la
vittima del raggiro. Le variabili della colpa e del grado di vulnerabilità del
deceptus diventano irrilevanti negli stessi termini in cui non assume significato
l’eventuale errore naturale inescusabile o non provocato. L’assenza di colpa del
deceptus non partecipa come elemento costitutivo del dolo-vizio, casomai la
violazione dell’onere di diligenza della vittima del raggiro potrebbe rilevare
sotto il profilo del risarcimento.

È rilevante l’onere probatorio: il vizio originato dall’inganno deve essere


provato da colui il quale invochi tutela.

Una volta riconosciuto che il contratto seriale soddisfi interessi meritevoli di


protezione, sembra inevitabile legittimare iure il professionista a modellare il
contenuto alla capacità critica del cliente standard.

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Dalla messinscena alla mera omissione

Sarebbe ingiusto tollerare che la parte meglio informata tragga plateali


vantaggi dallo stato di ignoranza o di incompleta conoscenza della realtà in cui
versa la controparte.

Ai fini del diritto privato si ha raggiro anche quando una parte intenzionalmente
mantenga o rafforzi lo stato d’inesatta rappresentazione della realtà in cui si
viene a trovare l’errante; colui che rimane inerte davanti all’errore in cui versa
l’altro stipulante realizzerebbe un’omissione ai fini del perfezionamento della
fattispecie in discorso; non susciterebbe frode civile la situazione in cui la parte
in mala fede si limitasse ad approfittare del preesistente errore evitando di
correggerlo.

La conoscenza della falsa rappresentazione permette di scansare il requisito


della conoscibilità in astratto del vizio autodeterminato, il contratto è quindi
annullabile a causa del vizio volitivo in virtù dello statuto dell’errore. Il dolo-
vizio segue alla trasgressione dell’obbligo di informare correttamente l’altro
stipulante e concorre alla difesa della libertà d’autodeterminazione lesa
dall’infedeltà della parte o del terzo.

Errore: fatto unilaterali, siccome in esso cade senza esserci pinta la vittima
della rappresentazione inesatta; dolo: bilaterale, si fonda sull’influenza
dell’operato malizioso del terzo a scapito del soggetto passivo della intrusione
illecita.

Non vi è reticenza quando la parte si limiti a mantenere il riserbo sul


programma che intenderà porre in essere una volta acquisito il bene. Il dolo è
invece ravvisabile quando la reticenza distorca la determinazione volitiva del
venditore.

La rilevanza della reticenza ingannevole nel diritto privato europeo: il


diritto tedesco

Bisogna aprire una piccola finestra sul diritto extrastatuale, per vedere come
comparare le discipline straniere a quella italiana. Il diritto tedesco con
riguardo alla reticenza dolosa, ritiene che l’autore dell’omissione trasgredisca
l’obbligo di dichiarare il vero stato delle cose; tale obbligo è previsto da una
disposizione normativa, ciò significa che, fuori dalle ipotesi in cui è la stessa
legge a sancire l’obbligo d’informare, esso trae origine dalla prassi
commerciale integrata dalla clausola generale di buona fede. Tanto più la parte
si affida all’esperienza professionale della controparte, tanto maggiore è il
dovere di questa di informare l’interlocutore in merito alle circostanze di diritto
o di fatto la cui cognizione si riveli essenziale per la maturazione del consenso.

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Diritto francese

Un regime analogo è dato dal diritto francese, svariate norme stabiliscono


specifici obblighi a carico delle parti (ricca la legislazione sulla tutela del
consumatore). La reticenza è considerata dai giudici equivalente al dolo
quando risulti biasimevole e quindi tale da palesare l’intenzione d’indurre in
errore la vittima.

Spetta al giudice di merito accertare che la parte in mala fede non informa la
parte circa la verità.

Diritto inglese

Nel sistema anglosassone domina l’autonomia privata. Di norma il silenzio non


costituisce travisamento, perché è improspettabile nel diritto contrattuale il
dovere di manifestare i fatti influenzanti il consenso della parte.

Vi sono però delle eccezioni:

1) Se durante le trattative vengono in essere sopravvenienze destinate a


modificare lo status quo ante, la parte che è a conoscenza di tale mutamento
deve svelare la circostanza all’altro stipulante.

2) Quando il contraente illustra spontaneamente le circostanze incidenti sulla


volontà dell’interlocutore è tenuto a rispettare l’onere di completezza.

3) L’obbligo informativo può trarre la propria ragion d’essere dalla natura


fiduciaria dei vincoli contrattuali, indipendentemente dalla varietà di relazioni
intercorrenti tra le parti.

Gli obblighi d’informazione

Molteplici norme impongono o presuppongono particolari obblighi informativi.


Gli artt.1482 e 1489 stabiliscono autentici oneri di dichiarare il vizio giuridico,
perché la garanza contemplata da tali disposizioni è invocabile dal compratore
in buona fede qualora il disponente abbia taciuto il vincolo ricadente sulla cosa.
Con riguardo ai beni soggetto di diritti reali o personali di godimento vale la
pena chiarire che la garanzia non è dovuta quando il peso sia oggettivamente
percettibile grazie allo scrutamento della res, da qui consegue l’onere per il
compratore di verificarne la sussistenza tramite l’ispezione dell’oggetto
negoziato.

Richiamare l’onere significa ravvisare l’autoresponsabilità del compratore utile


a distinguere la garanzia ex art. 1489 (cosa gravata da oneri o da diritti di
godimento di terzi) da quella a titolo evizionale.

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Il silenzio eventualmente serbato dal venditore durante le trattative, implicante
la comunicazione del peso apparente, non sembra circostanza adatta a
sostanziare la sua responsabilità in contrahendo, ciò perché il legislatore ha
imposto all’altra parte di agire con sagacia allo scopo di rendersi conto
autonomamente dello stato materiale delle cose.

Art.1490 c2 va a definire che il patto d’esonero dalla garanzia per vizi materiali
è nullo se il venditore li abbia deliberatamente taciuti; viene sanzionata la
reticenza del venditore stesso.

Il consumatore che si sia rivolto al professionista per l’acquisto di una cosa da


impiegare per uno specifico uso, inserisce tacitamente nel regolamento
negoziale la clausola concorrente alla delimitazione del debito di conformità; da
qui si dipartono due diverse strade: o il professionista accetta il rischio
dell’imperfetto inadempimento dando luogo all’accordo sulla destinazione,
oppure scansa tale assunzione di responsabilità dichiarando che il bene
oggetto della trattativa è inidoneo alla particolare destinazione voluta dalla
controparte. L’art. 1667 c1 cc esclude la perdita della garanzia in ipotesi di
accettazione dell’opera affetta da vizi conosciuti o conoscibili quando
l’appaltatore li abbia taciuti in mala fede.

Art. 1749 c1 in tema di agenzia, si occupa di obblighi informativi del


preponente a favore dell’agente: il preponente nei rapporti con l’agente deve
agire con lealtà e buona fede, egli deve mettere a disposizione dell’agente la
documentazione necessaria relativa ai beni o servizi trattati e fornire le
informazioni per l’esecuzione del contratto.

Art. 1759, sul versante della mediazione, l’interposto deve comunicare alle
parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza
dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso. Il mediatore è per di
più tenuto a verificare l’esattezza delle informazioni fornite alle parti: se da una
parte non è obbligato ad eseguire indagini di natura tecnico-giuridica è anche
vero che incorre in responsabilità qualora con noncuranza rilasci informazioni
su fatti di cui non abbia piena cognizione. Per quanto riguarda il debito
informativo il mediatore ha un doppio compito: positivo da una parte, dal
momento che è tenuto ad informare le parti circa le circostanze che sono da lui
conosciute o conoscibili; negativo, dovendo astenersi dal comunicare dai non
adeguatamente verificati.

Artt. 1892-1894 cc, scandiscono gli obblighi informativi del contratto


d’assicurazione, essi vanno a sanzionare la condotta reticente.

Il codice del consumo eleva i diritti all’informazioni e alla corretta pubblicità al


rango dei beni fondamentali, vietando le pratiche commerciali scorrette.

Altro punto da valutare è quello sull’affiliazione commerciale, essa conduce ad


una forte asimmetria di potere informativo che in genere separa l’affiliante
dalla massa di affiliati, che vengono spesso presi alla sprovvista nel caso di

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esecuzione del rapporto in cui si rendano conto del vero stato delle cose
compravendute.

Importante è l’obbligazione informativa vincolante il medico: il consenso del


paziente al trattamento chirurgico o alla terapia non può essere presunto;
obbligo in capo al medico di rendere edotto il malato dei rischi prevedibili
dell’operazione.

Reticenza e buon fede nelle trattative

La reticenza rileva, ai sensi degli artt. 1439 e 1440, quando sia stato violato
uno dei suddetti obblighi destinati in modo inequivocabile vuoi a evitare
l’errata rappresentazione della realtà a nocumento di chi si trova in una
condizione di deficit cognitivo, vuoi a svelare il preesistente errore. Il bene
tutelato è la libertà negoziale dell’errante, che viene leso quando la parte
tenuta ad illustrare il vero stato delle cose taccia.

Ci si domanda in questo caso come ci si debba comportare davanti ad un


mancato obbligo informativo nel caso in cui lo statuto del singolo tipo
contrattuale non enunci una disciplina ad hoc.

Si prende come base l’art. 1337 cc: la buona fede costituisce la fonte da cui
scaturisce una serie articolata di obblighi, che assumono specifico contenuto in
base alle circostanze qualificanti volta per volta la natura delle cose; ciò
significa che chi disponga di informazioni utili alla corretta maturazione del
consenso dell’altra parte deve fornirle.

Il dovere di informare si fa ancora più stringente quando la parte che necessiti


di notizie proponga all’altro stipulante specifici quesiti; in tal caso o si sceglie la
strada del silenzio, la quale apre le porte alla reticenza traviatrice della
volizione, oppure si decide di rispondere in modo esatto e completo.

L’art. 1337 non specifica il contenuto dell’obbligazione informativa, questo


implica una domanda circa quali debbano essere i fatti messi a disposizione
della parte debole o meno organizzata: in linea di principio, emerge in
giurisprudenza, dovrà essere comunicato l’insieme delle circostanze, capaci
d’influenzare la decisione dell’avente diritto all’informazione, relative alla
convenienza e sicurezza dell’affare. Più esattamente, una cosa è dire che la
parte non sia costretta a subordinare il proprio interesse speculativo a quello
dell’antagonista, altro è riconoscere che il dovere di informare si estenda fino ai
fattori economici, i quali contribuiscono a definire i tratti dea causa reale
venante lo scambio. Da qui si può dedurre l’irrilivenza del silenzio di chi
immetta nel mercato una cosa tacendo che essa è offerta da altri a condizioni
più vantaggiose o di colui il quale acquisti un determinato bene astenendosi dal
comunicare al suo dante causa di aver già trovato un subacquirente disposto a
pagare il doppio.

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Ma nel caso in cui i fattori condizionanti l’equilibrio economico del contratto si
ripercuotano in modo determinante sullo scopo negoziale occorrerà che il
contraente meglio informato non riservi a sé i benefici del previlegio cognitivo.
Es imprenditore edile che venda un fondo edificabile al soggetto con volontà di
edificare, ben sapendo che di lì a poco l’autorità comunale renderà il fondo
verde pubblico.

Dall’art.1759 c1 cc è possibile dedurre che incomba sulla parte debitamente


informata l’obbligo di rendere edotto l’altro stipulante circa la sussistenza di
vicende, le quali siano in grado di pregiudicare, anche solo parzialmente, il
conseguimento dello scopo innervante il consenso. È bene prendere in
considerazione questo articolo armonizzandolo con le regole positivamente
sancite. Es. nel caso in cui il venditore ometta di comunicare al compratore
della sussistenza dell’ipoteca gravante il fondo negoziato e allo stesso tempo il
compratore non consulti i registri immobiliari, la tutela speciale approntata
sulla disciplina relativa ai vizi materiali (artt. 1482 e 1483 cc) rimpiazza la
succinta clausola generale.

Per riassumere, sembra che l’art.1337 costituisca la fonte principale


dell’obbligo di comunicare le circostanze atte a condizionare la determinazione
negoziale di chi non abbia accesso diretto alle fonti cognitive. La trasgressione
dell’obbligazione è di per sé motivo di responsabilità precontrattuale. Nello
stesso tempo l’illecito in parola rileva quale vizio della volizione; da qui a
possibilità di proporre la domanda di annullamento cumulativamente a quella
di ristoro del danno.

L’orientamento delle corti in tema di dolo omissivo

Secondo un indirizzo, il dolo omissivo è causa di annullamento del contratto ai


sensi dell’art. 1439 cc soltanto quando l’inerzia della parte s’inserisca in un
comportamento articolato, ordito con malizia o astuzia per realizzare l’inganno
avuto in mente. Di conseguenza il semplice silenzio e la reticenza non
costituiscono causa invalidante del contratto.

Quest’indirizzo non è pacifico, in alcuni casi la giurisprudenza pratica se ne


discosta riconoscendo autonoma rilevanza alla reticenza.

Dove si riconosca che il silenzio durate il negoziato violi l’art. 1337 cc anche
quando l’omessa comunicazione della circostanza incidente sulla volizione
della controparte sia cagionata dalla negligenza dell’agente, occorrerebbe
ammettere che il dolo omissivo sia causa d’annullamento del contratto o del
risarcimento del danno, ancorché l’evento risulti imputabile a titolo di mera
colpa.

Le pratiche commerciali scorrette

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L’intero tessuto connettivo di norme dedicate alla protezione del consumatore,
inteso come soggetto che opera individualmente all’interno del mercato
concorrenziale, rischia di tradursi in una disciplina articolata poco incisiva a
causa delle difficoltà applicative. Da qui nasce il proposito di spostare il piano
delle tutele dal singolo consumatore alla collettività dei soggetti deboli.

Direttiva 2005/29/CE eleva il livello di difesa dei consumatori allo scopo di


favorire la razionalizzazione del mercato attraverso l’uniformazione delle
regole. La disciplina espressa dal codice di settore in tema di pratiche
commerciali scorrete finisce col toccare la questione del diritto del
consumatore a disporre di un patrimonio d’informazioni adeguato a
raggiungere una determinazione negoziale consapevole.

La nozione di pratica commerciale

Per pratica commerciale scorretta s’intende qualsiasi azione, omissione,


condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, compresa la pubblicità
e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in
relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

Tra le pratiche commerciali scorrette si dividono le pratiche commerciali


ingannevoli (artt.21 e ss c. consumo) e pratiche aggressive (artt. 24 e ss c.
consumo). Il divieto di pratiche scorrette colpisce non solo l’attività
preparatoria del contratto, ma anche quella attinente alla fase esecutiva e
patologica.

Fuoriesce dall’ambito di applicazione della norma la diffusione di notizie errate


da parte di soggetti che non partecipano al traffico mercantile.

I rapporti tra tutela collettiva e individuale

La disciplina sulle pratiche commerciali scorrette non è incompatibile con


l’applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in
particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia del contratto.

Al centro dello statuo viene posto il consumatore medio, essa sottintende una
protezione basata sull’inidoneità della condotta perpetrata dal professionista a
danneggiare gli interessi di una massa indistinta d’individui, i quali agiscono
all’interno del mercato concorrenziale in condizioni di debolezza economica.

Il consumatore non potrà far leva sulla disciplina di diritto comune riguardante
i vizi del consenso (solo, violenza o errore) e la condotta del professionista non
generi alcun allarme sociale. Il vizio della volontà legittimerà l’azione di
annullamento quando la condotta del professionista sia svincolata da attività
promozionali non aventi un destinatario individuato.

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Il legislatore comunitario si è disinteressato della tutela individuale perché
sotto il profilo del mercato europeo la classe dei consumatori finali è meritevole
di attenzione soltanto in quanto rappresentativa di un numero indistinto di
soggetti aggregati da simili bisogno economici. Il codice civile va a proteggere
le relazioni commerciali isolatamente considerate.

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CAP. XVI - L’AZIONE DI ANNULLAMENTO

Tassatività

Mentre la nullità può derivare dalla natura inderogabile della legge trasgredita
dall’atto di autonomia privata e dalla sua inclinazione alla tutela di interessi
indisponibili e fondamentali, l’annullamento è un rimedio giuridico
invocabile soltanto quando la causa invalidante, posta a presidio
d’interesse della parte pregiudicata, rientri nel catalogo d’ipotesi tipizzate
dall’autorità normativa.

L’annullabilità può dipendere:

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- Dallo stato di incapacità legale o naturale del dichiarante (art.1425 cc)
- - Dalla circostanza che la sua violazione sia viziata da errore o dolo.
Di massima, il rimedio dell’annullamento vale con riguardo a patologie meno
gravi rispetto a quelle sottese dall’azione di nullità. In altre ipotesi particolari
l’annullabilità funge da rimedio assegnato alla parte come strumento per
reagire ad una stortura integrante l’estremo dell’uso improprio dei poteri
negoziali. Il contratto nullo produce effetti sotto il profilo sostanziale, ciò
significa che il contratto colpito dalla sanzione di nullità non ha forza di legge
tra e parti perché la legge sessa disconosce validità all’intesa. La nullità non ha
bisogno di una fase attuativa, l’efficacia del contratto nullo prescinde dalla
decisione giudiziale. La nullità del negozio giuridico è ravvisabile quando esso
metta a rischio beni della vita d’interesse collettivo o crei situazioni di pericolo
minanti valori indispensabili. All’inverso il contratto annullabile è efficace
sinché non sia invalidato dal giudicato magistratuale, accertante la
contrarietà alla legge tramite provvedimento costitutivo dell’inefficacia
dell’atto. Il suo dinamismo non viene compromesso fino a che non sopravvenga
il verdetto giudiziale, per questa ragione la sentenza di annullamento ha effetto
costitutivo, mentre nel caso di nullità essa ha valenza dichiarativa. Nel caso di
contratti plurilaterali l’annullabilità incidente sul vincolo di una sola parte non
importa annullamento del contratto, salvo la partecipazione di questa debba
considerarsi essenziale. Nel caso di parte soggettivamente complessa, ciascun
aderente è legittimato a chiedere l’annullamento del contratto.
Legittimazione ed effetti
La nullità opera di diritto ed è invocabile da qualsiasi interessato, fatte salve le
ipotesi di nullità relativa poste a garanzia della parte debole o meno
organizzata. L’annullabilità è di massima relativa, potendo essere invocata
unicamente dalla parte nel cui interesse la sanzione invalidate è
posta, ad eccezione del contratto stipulato dal condannato in stato di
interdizione legale. Il sistema rimette all’iniziativa della parte la scelta tra
l’eliminazione del regolamento negoziale produttivo di effetti instabili e la sua
conservazione; l’annullabilità si configura come rimedio strettamente legato
alla valutazione della parte in merito all’efficienza della fattispecie viziata. Ai
sensi dell’art 1432 cc: la parte in errore non può domandare l’annullamento del
contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offre di
eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che
quella intendeva concludere. Questo articolo ci presenta la rettifica, atto
giuridico unilaterale recettizio (nel caso in cui il disaccordo permanga decide il
giudice con sentenza di accertamento). Il potere di rettifica può essere
esercitato al fine di paralizzare l’eccezione di annullamento e sembra non
possa essere applicabile in caso di incapacità legale, perché l’incapace ha
diritto all’annullamento indipendentemente dal contenuto del contratto
annullabile. Secondo alcuni la disciplina della rettifica dovrebbe valere pure per
il negozio annullabile a titolo di errore provocato. Tornando all’annullabilità,
l’espulsione dal sistema del contratto annullabile dipende dall’iniziativa della
parte legittimata alla quale l’ordinamento conferisce la potestà di mantenere in
piedi il vincolo, oppure di determinare la caducazione tramite il provvedimento

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giurisdizionale. Il contratto annullabile è sottoposto, per un quinquennio,
all’azione di annullamento spettante alla parte titolare dell’interesse protetto
dalla norma; quando il negozio non sia più impugnabile vengono
definitivamente consolidati i rapporti da esso sorgenti. La nullità è
imprescrittibile, fermi restando gli effetti della usucapione, del possesso vale
titolo e della pubblicità consolidante. L’annullabilità si prescrive in 5 anni
decorrenti, quando sia imputabile al vizio della volizione o all’incapacità legale,
dal giorno in cui sia cessata la violenza, sia stato scoperto l’errore o il dolo, sia
cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione, oppure il minore abbia
raggiunto la maggiore età. Negli altri casi il termine decorre dal
perfezionamento dell’intesa.

L’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del
contratto, benché sia decorso il termine di prescrizione dell’azione per farla
valere (art.1442 cu), soltanto quando il convenuto, titolare del relativo potere,
non abbia già eseguito la prestazione dovuta in forza del titolo annullabile.

L’accertamento della nullità opera retroattivamente ed è opponibile erga


omens, ad eccezione degli effetti a favore del terzo di buona fede. La sentenza
di annullamento, pur essendo dotata di effetti ex tunc, è inopponibile ai terzi
acquirenti a titolo oneroso in buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della
relativa domanda. Quando la domanda sia diretta a far pronunziare
l’annullamento per una causa diversa dall’incapacità legale, la sentenza che
l’accoglie non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi in buona fede in base a un
atto reso pubblico anteriormente alla trascrizione della domanda, il
provvedimento giudiziale che annulla il contratto legittima le parti a
domandare reciprocamente la restituzione di quanto dato in sua attuazione,
tale azione di ripetizione subisce una compressione quando sia proposta contro
la parte incapace.

Convalida

Il contratto annullabile può essere convalidato dalla parte cui spetti la


conseguente azione, mediante un atto che contenga la menzione del contratto
e del motivo di annullabilità e la dichiarazione che si intenda convalidarlo.

La convalida si limita ad annientare ex uno latere lo stato di precarietà


dell’intesa suscettibile di invalidazione. È ammessa la convalida tacita, quando
il contraente cui spettava l’azione di annullamento abbia dato volontariamente
esecuzione conoscendo il motivo dell’annullabilità, ma non la convalida
preventiva. Altro non è che la rinuncia all’azione di annullamento: si
considerano gli effetti del contratto come se non fossero mai stati annullabili.

In tutte le ipotesi in cui l’effetto convalidante deriva dalla valutazione data dalla
legge a specifiche condotte, le quali determinano non solo la sanatoria dell’atto

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viziato, ma la mera perdita del diritto di impugnare l’atto altrimenti suscettibile
di annullamento.

Nel caso in cui la prestazione sia eseguita dal terzo è possibile configurare gli
elementi identificativi della convalida quando costui intervenga in
adempimento del mandato conferito dalla parte debitrice, la quale lo abbia
delegato nonostante la piena consapevolezza della causa d’invalidità.

Si deve escludere la natura negoziale della convalida tacita.

La convalida non ha effetto se chi la esegue non sia in condizioni di concludere


validamente il contratto.

Non sembra ammissibile la convalida parziale, ravvisabile quando il titolare del


potere la circoscriva ad un frammento dell’oggetto originario.

Annullabilità parziale

L’annullabilità parziale è ravvisabile quando il vizio sia circoscritto a una singola


clausola del regolamento negoziale, la cui espunzione non frustra la causa
reale dell’intesa. In questi casi viene ammessa la possibilità di convalida pro
parte.

Nel caso di parte soggettivamente complessa la convalida circoscritta a uno o


più stipulanti è ammissibile, a meno che la partecipazione del contraente non
debba ritenersi essenziale.

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CAP. XVII - VIOLENZA E RESCISSIONE

La violenza psichica e fisica

L’art. 1434 cc sancisce l’annullabilità del contratto stipulato a seguito di


violazione, anche se esercitata dal terzo.

La violenza deve essere reale, nel senso che il sopraffare deve governare le
forze destinate all’esecuzione dell’azione antisociale fonte della coercizione
influente sulla determinazione volitiva di chi è posto dinanzi all’alternativa, e
deve impressionare una persona sensata e farle temere di esporre sé o i suoi
beni ad un male ingiusto e notevole.

Lo scotimento psicologico, conseguente all’azione violenta o intimidatoria per


avere l’altrui consenso, deve essere apprezzato tenuto conto dell’età, del sesso
e delle condizioni delle persone (art. 1435 cc). La valutazione dell’ingiustizia
del male sottostà ad un doppio filtro:

- Oggettivo: escludere dal novero delle condotte estorsive le azioni inoffensive;


- Soggettivo: prende in considerazioni le qualità del minacciato.

Non occorre, invece, che i minacciante avverta l’ingiustizia della propria azione
(animus nocendi).

Nel caso in cui il male minacciato sia rivolto contro i terzi: art. 1436 cc,
legittima l’azione di annullamento quando tale male riguardi la persona o i beni
del coniuge o di un suo ascendente o discendente; se il male ipotizzato
riguarda altre persone, l’annullamento del contratto è rimesso
all’apprezzamento del giudice.

Nel caso di autominaccia (es. Tizio minacci di togliersi la vita se Caio non gli
vende un certo bene), lo stipulante, il quale si determini a contrare soltanto allo
scopo di evitare l’evento prospettato dall’altro interlocutore contro la propria
persona, non potrebbe impugnare il contratto per violenza, giacché il male
sarebbe privo dell’estremo dell’ingiustizia; tuttavia sembra percettibile quando
la condotta incida sulla salute psicofisica dell’essere.

Ciò che caratterizza la violenza è la coazione psicologica, a cagione della quale


il soggetto passivo si trova di fronte all’alternativa se sottoporsi al male
minacciato o stipulare il contratto al fine di scansarlo 8in questo caso volizione
non libera).

Quando la violenza sia circoscritta ad una clausola del contratto, parte della
dottrina ritiene che se tale frammento, privo dei requisiti dell’essenzialità, fosse
scindibile dal resto del contenuto precettivo del regolamento negoziale,
sarebbe possibile invocare l’annullamento parziale, in caso contrario

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l’annullabilità involgerebbe l’intero atto; altri autori escludono questa soluzione
perché:

• Primo sfornito di base normativa questo annullamento parziale

• Secondo, non si potrebbe immaginare un’incidenza soltanto parziale della


violenza sulla volizione della vittima.

Ci si chiede se possa essere impugnato a titolo di violazione il contratto


stipulato al fine di ottenere la provvista per sfuggire alla minaccia. Es. Tizio
avverte Caio che se non gli darà una certa somma incendierà la sua abitazione;
Caio per pagare tale somma vende la sua casa. Ci si chiede se sia annullabile la
vendita stipulata per evitare l’oppressione: il comportamento del terzo (colui
che pone in essere la violazione) ha giocato un ruolo decisivo nella
determinazione del dante causa, che quindi potrà invocare il rimedio
dell’annullamento.

Diversa è la violenza fisica, non espressamente presa in considerazione dal


legislatore. Secondo la teoria tradizionale manca la volontarietà dell’atto,
rendendolo nullo se non addirittura inesistente. In realtà pare più consono fare
una distinzione tra:

• Violenza relativa, ovvero una minaccia di eventuale violenza fisica;

• Violenza assoluta, ravvisabile con l’uso della forza fisica che va a


paralizzare la libertà di scelta del soggetto passivo, sottraendogli facoltà
intellettive e volitive; solo in questo caso il contratto dovrà ritenersi nullo.

Infine occorre fare riferimento alla situazione in cui la violenza sia esercitata
per impedire che la vittima stipuli un determinato contratto, in questo caso il
soggetto passivo potrà proporre un’azione di risarcimento del danno.

Metus ab intrinseco

Altro non è che il perturbamento emotivo determinato dalla paura traente


origine da una vicenda obiettivamente in grado di scatenarla, dovuta a cause
naturali o provocate dall’azione umana, sfugge dalla competenza dell’art. 1434
cc se non sia destinato ad estorcere il consenso di colui che subisca
l’alterazione emotiva.

Ai fini dell’annullamento occorre che:

- Il timore abbia un basamento esterno imputabile all’autore della violenza


morale (metus ab extrinseco)

- La minaccia del male ingiusto e notevole sia tale da incidere sul processo
costitutivo della volizione maturata dal soggetto passivo.

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Es: non è annullabile per violenza psichica il contratto di transazione stipulato
fra assicurato e società di assicurazione con il quale egli accetti una somma
sensibilmente inferiore rispetto a quella indennizzabile al solo fine di poter
disporre del capitale necessario per soddisfare i creditori che hanno presentato
istanze di fallimento.

Neppure il timore reverenziale è causa di invalidità del contratto (art.1437


cc): chi ha prestato il consenso mosso dalla preoccupazione di non urtare la
sensibilità della controparte, la quale agisce in una condizione di superiorità
gerarchica, non può chiedere l’annullamento del vincolo, essendo stato arbitro
assoluto della propria determinazione volitiva. L’annullamento invocabile in
caso di intimidazione morale non esplicita ma che sorga da un comportamento
che lasci intendere il nascere di gravi ritorsioni a scapito della controparte ove
questa non si determini ad accettare la proposta negoziale.

La minaccia di far valere un diritto

Art. 1438 cc: la minaccia di esercitare un diritto costituisce violenza psichica


quando manchi qualsiasi rapporto fra diritto preteso e diritto minacciato.

Non è quindi illegale la condotta di chi minacci di esercitare un diritto


preordinato a tutelare una determinata posizione giuridica, la minaccia assume
i tratti dell’abuso o dell’illegalità quando venga prospettato l’esercizio di un
diritto per ottenere vantaggi incoerenti o esorbitanti.

La rescissione: premessa

La rescissione è una forma di invalidità del negozio giuridico dotata di uno


statuto autonomo; il contratto rescindibile è efficace finché non venga rescisso
con sentenza costitutiva, che ne elimina gli effetti ex tunc, anche con riguardo
ai rapporti di durata, il provvedimento giurisdizionale obbligale parti a restituire
quanto ricevuto secondo le regole sulla ripetizione.

A differenza della sentenza di annullamento, il dictum che accoglie l’istanza di


rescissione non pregiudica i diritti dei terzi anche se di mala fede, fatti salvi gli
effetti della trascrizione della domanda giudiziale.

La rescissione risponde all’esigenza di assicurare alla parte, che concluse il


contratto in uno stato di menomazione della propria libertà di
autodeterminazione, un rimedio per reagire contro chi abbia approfittato
dell’evocata minorità.

Viene assicurata una speciale tutela che si lascia condurre dalla nota
dominante del dovere di agire in buona fede durante le trattative (art. 1337

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cc), nel più generale rispetto del dovere costituzionale di solidarietà, che esige
l’uso di efficienti mezzi di difesa volti a proteggere lo snaturamento funzionale
del contratto ove esso si tramuti in strumento di sopraffazione.

La vittima del profittatore può inoltre chiedere il risarcimento del danno per
aver provocato l’invalidità.

Il contratto concluso a condizioni inique

L’art.1447 cc si occupa della rescissione del contratto concluso a condizioni


inique, per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno
grave alla persona. Il pericolo può derivare dall’azione umana (tanto
involontaria quando provocata) o da fatti naturali; nel caso sia imputabile ad un
terzo o ad eventi naturali è richiesta cognizione della controparte.

Il negozio giuridico costituisce lo strumento utile per scansare la situazione di


pericolo.

Il giudice nel pronunciare la rescissione può assegnare un equo compenso


all’altra parte per l’opera prestata.

Occorre inoltre la sussistenza di un rapporto di causalità fra il pericolo e


l’assunzione di obbligazioni, dimostrando che la parte si è determinata a
prestare il consenso per scansare il suddetto pericolo.

Non pronunciando, l’art. 1447 cc, circa i criteri utilizzabili per l’accertamento
dell’iniquità sono dati al magistrato ampi spazi di discrezionalità.

L’azione generale di rescissione per lesione

Art. 1448 cc: gli elemini costitutivi della domanda per la presentazione
dell’azione generali di rescissione per lesione sono rappresentati
dall’approfittamento dello stato di bisogno attuale, che può essere attuabile
anche alla parte in difficoltà, e dalla lesione oltre la metà fra dato e ricevuto.

I contratti aleatori (caratterizzati fa rischio della proporzione fra prestazioni)


non sono rescindibili per causa di lesione, salvo che la sproporzione già
affiorasse all’epoca dell’intesa non essendo quindi imputabile all’alea. Non è
similmente impugnabile per lesione il contratto di componimento della lite. Lo
stesso vale per la rescissione che coinvolge le vendite forzate. Per quanto
riguarda il contratto di divisione vale una norma ad hoc.

Se il contratto sia stato concluso nell’interesse del terzo, occorre valutare lo


stato di bisogno del mandante o, in caso di procura, del dominus negotii.

A dispetto del silenzio serbato dalla legge, non si può escludere il rimedio della
rescissione quando la lesione sia derivata dall’esigenza di sopprimere l’altrui

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bisogno. Per bisogno si intende far riferimento all’estremo della patrimonialità,
potendo lo stato di minorità anche sostanziarsi in impellenti urgenze di matrice
morale.

Sarebbe immeritevole di tutela la domanda di rescissione avanzata da chi


abbia svenduto determinati ben per l’acquisto dei mezzi destinati alla
perpetrazione di un crimine.

L’art. 1448 c3 specifica che la sproporzione deve perdurare sino alla


proposizione della domanda; ma non basta che i valori si riequilibrio al di sopra
della metà ma occorre la totale rimozione dello scompenso fra le prestazioni
oggetto di scambio.

La rescissione può essere evitata quando la parte contro cui sia fatta valere
manifesti la propria seria disponibilità a ricondurre l’intesa ad equità.

(finisci p.553-554)

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CAP.XVIII - LA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO

Gli elementi caratteristici

La risoluzione appartiene alla categoria dei rimedi che generano l’estinzione


del contratto in conseguenza di una situazione patologica alterante il
sinallagma funzionale (ossia l’equilibrio dinamico tra dare ed avere). Artt. 1453
ss cc avvalorano la disciplina che va a tutelare il creditore che subisca la
trasgressione della lex contractus, più che sanzionare l’inadempiente.

La vicenda implicata dal rimedio rappresenta il rapporto obbligatorio perfetto


ed efficace, ma il debitore tradisce la promessa violando l’impegno di
adempiere (inadempimento totale) o di adempiere esattamente e
tempestivamente (impedimento parziale o tardivo); questa trasgressione deve
essere imputabile al debitore, altrimenti entrerebbe in gioco la normativa
sull’impossibilità sopraggiunta.

Il sistema accorda al creditore la risoluzione del contratto preordinata allo


scioglimento del vincolo e alla consequenziale nascita delle pretese di
restituzione (art. 2033 cc) e di risarcimento del danno (art. 1218 cc).

È il creditore che sceglie intorno alla sua sorte, egli potrebbe privilegiare la
conservazione del vincolo chiedendo al giudice una sentenza che condanni il
debitore all’esatto adempimento, oltre al pagamento delle perdite patrimoniali.
La domanda di ristoro del danno è scindibile da quella di risoluzione o
adempimento.

Un discorso a sé viene fatto circa il danno extrapatrimoniale conseguente


all’inadempimento: quando la violazione della lex contractus leda rilevanti beni
della vita insuscettibili di essere convertiti in valori pecuniari, dovrebbe allora
ammettersi la legittimazione della parte pregiudicata a domandare la rifusione
delle sofferenze emotive e esistenziali cagionate dall’inadempimento.

Il rimedio della risoluzione presuppone che l’inadempimento sia rilevante,


quindi non di scarsa importanza riguardo all’interesse del creditore stesso al
conseguimento della prestazione dovuta; il giudice dovrà soppesare la
situazione esistente al momento in cui la prestazione sia divenuta esigibile.

Il legislatore ha condizionato la possibilità d’invocare la risoluzione


all’accertamento non solo della colpa ma anche dell’importanza della
trasgressione alla parola data, così onerando il creditore della prova circa la
lesione rilevante dell’interesse all’adempimento. No basta allegare l’alterazione
del sinallagma dinamico, ma occorre persuadere il tribunale che essa abbia
inciso in modo rilevante sul predetto interesse.

Art. 1455 cc funge da fattore distributivo del rischio contrattuale addossando al


debitore il rischio dell’inadempimento imputabile quando oltrepassi la soglia

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del giuridicamente rilevante. È giusto concedere al debitore la chance
sottintendente la recisione del vincolo, di cercare un atro partner finalmente
capace di soddisfare gli interessi dedotti dal precedente accordo.

Il giudizio intorno alla gravità esige un’indagine (indipendentemente dalla


domanda di parte) sulla funzione concreta della prestazione, in maniera da
acclarare se l’inadempimento abbia o no snaturato la causa effettiva dello
scambio contrassegnata dal bisogno della vita il cui appagamento, noto al
debitore, rappresenta l’antecedente della determinazione volitiva del creditore.

Importante è la proporzionalità tra offesa e rimedio, che impedisce il ricorso


alla tutela demolente il vincolo dinanzi a patologie non gravi; bisogno guardarsi
dal proporre indagini rigorosamente oggettive, perché esse sono ispirate ad
una nozione di causa tipica, la quale non può essere accolta. Art. 1453 c1 cc
circoscrive il rimedio della risoluzione ai contratti sinallagmatici, da qui sorge il
dubbio se esso sia invocabile riguardo a contratti gratuito o unilaterali, nei quali
manca il rapporto di corrispettività: la dottrina prevede il presupposto
imprescindibile della risoluzione è rappresentato dalla sussistenza di un
contratto e dalla violazione imputabile della premessa assunta dal debitore. Le
corti tendono invece a negare questo rimedio quando l’obbligazione violata
tragga origine dal diritto positivo, eppure la fonte legale della preferenza non
sembra sufficiente a escludere che l’obbligazione del retraente abbia natura
sinallagmatica, in quanto corrispettiva all’acquisto della proprietà. In caso di
contratto plurilaterale qualificato dalla comunione di scopo vale il principio di
conservazione: l’inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione
dell’intero contratto, salvo che la prestazione non eseguita debba ritenersi
essenziale; prevale la scindibilità del vincolo entro il limite della tutela della sua
funzione pratica.

La sentenza di risoluzione

La risoluzione trae normalmente fondamento dalla sentenza costitutiva


(risoluzione giudiziale) che determina lo scioglimento del vincolo sulla base del
presupposto rappresentato dall’inadempimento imputabile. Se il trasferimento
di un bene sia sottoposto alla condizione sospensiva, il suo avveramento
innerva l’effetto reale ancorché sopravvenga alla domanda di risoluzione, ma
preceda la sentenza che accoglie la domanda stessa. Al giudice spetta il
compito di verificare la sussistenza dei presupposti legali giustificanti
l’estinzione del contratto per colpa del debitore. Alle parti è riconosciuta la
facoltà di semplificare la vicenda estintiva tramite la previsione di clausole
contrattuali (termine essenziale, clausola risolutiva espressa) generanti
l’immediata risoluzione del contratto.

Un effetto analogo risulta dalla diffida ad adempiere.

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In caso di risoluzione di diritto l sentenza funge da atto conclusivo del processo
di cognizione, il cui prius è la controversia intorno all’esistenza o entità
dell’inadempimento; tale provvedimento giurisdizionale ha natura di semplice
accertamento di una vicenda estintiva la cui fonte diretta è la clausola del
contratto.

Si è creato però un nuovo orientamento secondo cui il rimedio della risoluzione


abbia sempre natura di diritto potestativo sostanziale, che non richiede
necessariamente l’accertamento giudiziale: il creditore può risolvere il
contratto mediante dichiarazione di recesso che scioglie il rapporto con effetto
immediato (scioglimento unilaterale).

Gli accordi sulla risoluzione

L’autonomia privata può intervenire sul tema della risolubilità tramite


convenzioni volte a derogare alla disciplina legale: acquistano particolare
rilievo i patti di esclusione della risoluzione per inadempimento, dell’esatto
adempimento e del ristoro del danno. Tali accordi debbono ritenersi nulli perché
naturano il principio del sistema postulante la causalità degli spostamenti di
ricchezza; infatti se il debitore fosse del tutto affrancato dal rischio di
inadempimento grazie all’irresponsabilità garantitagli dalla paralisi della tutela
attribuita alla controparte (art. 1453cc), essendogli permesso di sciogliersi da
qualsiasi responsabilità o sanzione in caso di mancata o inesatta attuazione del
vincolo negoziale, si verrebbe a determinare una situazione per effetto della
quale il debitore stesso potrebbe esigere il corrispettivo indipendentemente dal
se e some della sua prestazione solutoria.

Possono ritersi valide le clausole, escludono soltanto uno dei rimedi alternativi
concessi ex lege al creditore (risoluzione o esatto adempimento quando la
prestazione sia fungibile); questo tipo di patto non prevede un arricchimento
ingiustificato.

I patti di riduzione o esclusione del diritto al ristoro dei danni valgono secondo
l’art. 1229 cc e lo statuto di protezione della parte debole.

Efficacia e opponibilità

Tra le parti la risoluzione opera con efficacia retroattiva, nel senso che esse
sono svincolate ex tunc dai propri obblighi, mentre le eventuali prestazioni già
eseguite debbono essere reciprocamente restituite.

Nulla esclude, in caso di adempimento incompleto, che la risoluzione venga


circoscritta al frammento non eseguito, nel caso i beni oggetto del contratto
siano suscettibili di frazionamento. Se l’interesse del creditore è parzialmente
soddisfatto dalla prestazione incompleta è allora giusto consentirgli di

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proteggerlo tramite la domanda di estinzione pro parte che non coinvolge le
obbligazioni regolarmente soddisfatte.

Il problema può essere risolto attraverso l’apposizione di clausole: ciascun atto


esecutivo ha una sua propria autonomia, così l’inadempimento di una frazione
non si riverbererà su quella già regolarmente eseguita (il contratto risulta come
somma di risultati divisibili). Se il rapporto è di durata le prestazioni oggetto di
regolare scambio restano nella sfera patrimoniale del ricevente non
estendendosi ad esse l’effetti estintivo: è la legge stessa a disporre la
risoluzione parziale il contratto viene a scindersi, andando la risoluzione a
colpire unicamente la porzione di rapporto ineseguito, mentre il restante
frammento oggetto di regolare esecuzione sopravviene alla condotta violatrice
dell’intesa obbligatoria.

Verso i terzi vale la regola opposta: la risoluzione è loro inopponibile a


prescindere dallo stato di buona fede o dalla natura dell’acquisto, sono fatti
però salvi gli effetti della trascrizione relativa alla domanda di risoluzione.

Per la situazione di successione a titolo particolare del diritto controverso e di


opponibilità del giudicato viene data la possibilità non solo di opposizione agli
stipulanti del contratto, ma anche ai loro successori, ad astrarre dal titolo
particolare o universale e dalla natura della fattispecie successoria, purché la
vicenda dispositiva sia posteriore alla formazione del giudicato.

Nei contratti ad esecuzione istantanea l’impossibilità di restituzione della cosa


non impedisce il rimedio della risoluzione per inadempimento, comportando
semplicemente la modifica della prestazione restitutoria. Sul versante della
compravendita, art. 1492 cu, stabilisce che se la cosa è perita per caso fortuito
o per colpa del compratore, oppure questi l’abbia alienata o trasformata,
l’unico rimedio invocabile è la domanda di riduzione del prezzo.

Colui che agisce in giudizio per la risoluzione non è tenuto a provare la colpa
dell’obbligato, incombendo su questi l’onere di dimostrate che la mancata o
inesatta attuazione del rapporto obbligatorio dipese da eventi non imputabili.

Il cumulo di domande

Una vola proposta la domanda di risoluzione non è più possibile richiedere


l’esatto adempimento, è tuttavia ammissibile convertire (secondo buona fede)
la domanda di adempimento in domanda di risoluzione e di restituzione a patto
che il giudice possa decidere basandosi sul materiale istruttorio già acquisito.

Il legislatore tutela l’affidamento del creditore consentendogli di liberarsi dal


vincolo quando sopravvenga il disinteresse alla prestazione; allo stesso tempo
è stato protetto l’interesse del debitore che confida nel sopravvenuto
disinteresse della controparte all’esecuzione dell’originario progetto negoziale.

La preclusione non può essere rilevata d’ufficio, siccome il debitore


soccombente potrebbe preferire adempiere anziché restituire quanto già

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ricevuto. La soluzione risponde a criteri di razionalità uniformandosi
all’insegnamento secondo cui il principio dispositivo, sorreggente il processo
ordinario di cognizione, costituisce un’estensione dei poteri sostanziali di
autonomia privata in relazione ai quali non è tollerabile che il magistrato da
arbitro diventi tutore degli interessi della parte ritenuta più meritevole di
protezione.

La domanda di adempimento sortisce l’effetto interruttivo della prescrizione del


diritto potestativo di risoluzione in quanto essenzialmente uguale è il bene
oggetto di tutela rappresentato dai diritti vantati dal creditore in ipotesi di
trasgressione dell’obbligazione vincolante il soggetto passivo.

La preclusione viene meno quando sia stata rigettata la domanda di


risoluzione.

La preclusione all’adempimento

Art. 1453 cu cc: dalla domanda di risoluzione l’inadempiente non può più
adempiere la propria obbligazione.

La domanda di risoluzione proposta con riguardo alle prestazioni scadute non


preclude che il debitore possa adempiere quelle future, salvo che l’antecedente
inadempimento incida sul vincolo fiduciario venante il regolamento negoziale
così da giustificare la pretesa alla risoluzione totale dell’intesa. Sorge così il
problema dell’inadempimento protrattosi durane il giudizio di risoluzione del
contratto istantaneo. La soluzione deve muovere dalla premessa a mente della
quale il tempo intercorso successivamente alla domanda giudiziale non può
andare a scapito del debitore: non è consentito rimediare al pregresso
inadempimento nel corso del processo civile. Il debitore potrebbe offrire la
prestazione, dopo aver ricevuto la suddetta notifica, al fine di eventualmente
giovarsi dagli effetti in tema di mora credenti: il rifiuto del creditore presuppone
la fondatezza della domanda di risoluzione.

Art.1453 cc ultimi due commi, sono legati dal rapporto di simmetria:

- Non è consentito al creditore di pretendere l’adempimento dopo aver richiesto


la risoluzione del contratto;

- Precluso al debitore di eseguire la prestazione successivamente all’istanza di


risoluzione, fermo restando che l’accertamento dei presupposti per
l’accoglimento della presa va effettuato tenuto conto della situazione
cristallizzatasi quando il contraddittorio fu incardinato.

La preclusione espressa nell’art. 1453 cu non richiede necessariamente la


domanda giudiziale di risoluzione, il ritardo rilevante nell’adempimento non
può essere annientato invito creditore dall’offerta tardiva del debitore di
eseguire la prestazione dovuta.

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Il creditore non può agire in modo contraddittorio, essendogli impedito di
chiedere l’adempimento dopo aver rifiutato la prestazione tardiva.

Inadempimenti reciproci ed eccezione di inadempimento

Nel caso in cui entrambi i litiganti invochino reciprocamente la risoluzione del


rapporto contrattuale per mutui inadempimenti l’inadempimento più recente
può essere conseguenza di quello precedente, quindi la parte che per seconda
deve effettuare la prestazione può legittimamente opporre l’eccezione
d’inadempimento (art.1460 cc); può anche sussistere il caso in cui ciascun
inadempimento sia slegato dall’altro, per cui questa accezione non ha valore.

È necessario che l’inadempimento sia sollevato con lealtà, in maniera da


evitare che il rimedio possa trasfigurarsi in uno strumento di abuso stante la
sproporzione tra offesa e conseguente reazione.

Quando gli inadempimenti sono scollegati l’attenzione del magistrato deve


focalizzarsi sull’importanza degli addebiti incrociati. Se il peso specifico dei
singoli inadempimenti sia sproporzionalmente impari è conforme l’applicazione
del canone ermeneutico secondo cui merita accoglimento la domanda di
risoluzione avanzata dalla parte che abbia patito più grave alterazione
dell’equilibrio sinallagmatico. Nei caso in cui i turbamenti del sinallagma
risultino grossomodo equivalenti e oltrepassino la soglia di rilevanza non
dovrebbero sussistere ostacoli ad accogliere le contrapposte istanze essendo
tutte e due fondate: la graduazione delle colpe servirà a bilanciare la
ripartizione dei danni.

Nel caso in cui le domande siano prive di fondamento giuridico perché nessuno
dei litiganti è inadempiente la soluzione deve essere di rigetto della domanda
principale quando della domanda riconvenzionale; alcuni studiosi e la
giurisprudenza hanno dedotto un’interpretazione diversa occorre comunque
costatare la volontà immanente delle parti di risolvere il contratto per mutuo
dissenso o per impossibilità di eseguirlo.

La risoluzione per diffida

Art. 1454 cc: la parte inadempiente può ingiungere alla controparte


inadempiente l’intimazione per atto scritto ad adempiere entro congruo
termine, che di regola non può essere inferiore a 15 gg, con l’avvertimento che
in difetto il contratto si intende risolto senz’altro (risoluzione di diritto).

Spetta al creditore la scelta del rimedio più idoneo alla protezione dei suoi
interessi, se non sfrutta la risoluzione di diritto può sempre percorrere la strada
dall’estinzione giudiziale.

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L’intimazione produce lo scioglimento ipso iure soltanto quando
l’inadempimento lamentato dal diffidente sia grave e imputabile al diffidato; la
diffida non sottrae l’inadempimento che la sottintende ai presupposti
dell’imputabilità e gravità. Se l’inadempimento sia irrimediabile, nel senso che
la prestazione oggetto del contratto risulti definitivamente estinta, sfuma
l’utilità della diffida essendo inattuabile l’ordine di esecuzione contenuto
nell’intimazione.

Se il diffidente fosse a sua volta inadempiente, dalla diffida non potrebbe


discendere l’automatica estinzione del rapporto obbligatorio, siccome
l’inadempimento dell’intimato è giustificato secondo l’art.1460 cc.

La fissazione del termine è prevista dall’art. 1454 c2: in linea generale non può
essere inferiore a quindici giorni, tuttavia è ammessa la riduzione quando, per
effetto della diversa pattuizione fra le parti, per natura del rapporto o per forza
degli usi appaia congruo un termine minore; è necessario, infatti, prendere in
considerazione anche l’interesse del creditore all’adempimento, valutando con
particolare attenzione il sacrificio che sopporta per l’attesa della prestazione.

Gli effetti risolutori derivanti dalla diffida efficacemente intimata implicano che
il creditore sia sfornito del potere di rinunciare ad avvalersene. Nel caso in cui il
creditore risolvente intimasse al debitore l’adempimento dichiarando di
abdicare agli effetti della precedente risoluzione, questi potrebbe
efficacemente opporre l’eccezione di avvenuta estinzione del vincolo.

La clausola risolutiva espressa

Attraverso questa clausola (art.1456 cc) il potere dovranno delle parti nella
formulazione della norma privata assicura l’interesse all’estinzione automatica
del contratto per violazione della condotta in essa descritta, con l’esito di
sottrarre al giudice il potere di sindacare l’importanza dell’inadempimento.

Protetti due interessi:

- Creditore ha l’opportunità di tornare sul mercato per reperire il bene o il


servizio promesso dalla parte infedele evitando l’aggravamento della lesione al
proprio patrimonio;

- Rafforzata la funzione deterrente della clausola essedo il debitore avvisato


che anche dinanzi a un inadempimento di secondario rilievo egli rischia di
subire risoluzione e perdere il corrispettivo.

Le parti possono imprimere rilevanza a inadempimenti marginali così


ingeneranti la risoluzione automatica, i quali sarebbero di norma inidonei a
giustificare lo scioglimento del vincolo perché non oltrepasserebbero lo

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sbarramento dell’art. 1455 cc (il contratto non si può risolvere se
l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza).

La clausola risolutiva non impedisce alle parti di esperire l’azione di risoluzione


giudiziale del vincolo obbligatorio a causa di trasgressioni del regolamento
privato fuoriuscenti dal suo perimetro.

Inoltre l’interessato può chiedere lo scioglimento per opera del giudice ogni
volta che la condotta violatrice dell’intesa obbligatoria rientri astrattamente
nella sfera di competenza delimitata dalla clausola, sempre tenendo presente i
limiti dell’art. 1455 cc.

Le obbligazioni protette dalla clausola risolutiva devono essere individuate in


modo specifico, l’estinzione di diritto non può quindi intervenire quando le parti
abbiano stabilito che qualsiasi inadempimento cagioni lo scioglimento
dell’accordo.

La risoluzione non si perfezione per effetto del mero inadempimento descritto


nella clausola, ma soltanto a seguito della dichiarazione del creditore di
volersene avvalere, anche se viene data la possibilità alle arti di consegnare
l’automatismo per mezzo di accordo.

Non è sancito alcun termine per esercitare il diritto potestativo innervante


l’effetto risolutivo, si ritiene debba giungere a conoscenza del debitore prima
che sopravvenga il termine di prescrizione.

Il creditore è legittimato a rinunciare, anche tacitamente, al diritto potestativo


in discorso, a meno che si sia limitato a manifestare una condotta tollerante.

Il termine essenziale

La risoluzione di diritto può essere determinata dall’inadempimento che si


protrae, per cause imputabili al debitore, di là del termine essenziale fissato
dalle parti per la prestazione. Il ritardo coincide con l’inadempimento essendo
sottratto al giudice il sindacato sulla gravità del ritardo stesso.

La legge protegge l’interesse del creditore ad ottenere la prestazione tardiva,


perché egli esprima alla controparte tale proposito entro tre giorni dalla
scadenza; questo termine di tre giorni deve considerarsi importo sotto pena di
decadenza, una volta sopraggiunta l’estinzione de vincolo contrattuale, sfugge
alla disponibilità del creditore il potere di ridargli vita essendo prevalente
l’interesse del debitore a conoscere la sorte del vincolo.

Considerazione comunque è che si sconsiglia l’uso incauto del termine.

Nulla esclude che le parti, fuori dall’abuso imputabile a vessazione


contrattuale, espressamente chiariscano che il termine di adempimento debba
essere considerato inessenziale. Conviene evitare l’uso di criteri oggettivi,

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perché mal si adattano alla causa dell’accordo. Se le parti ritengono di
sanzionare mediante risoluzione automatica il mancato rispetto del termine,
parrebbe un nonsenso sottomettere l’effetto promanante da tale clausola alla
valutazione del giudice circa la concreta incidenza del ritardo sotto il profilo
degli interessi dei contraenti. Vero è che il giudice ha il potere di annullare gli
effetti del termine nel caso in cui esso sia espressione di un potere della parte
economicamente dominante.

Di fronte ad un termine essenziale la risoluzione di diritto prescinde di massima


da ogni investigazione in merito alla ritardata prestazione, postulando
unicamente la valutazione sulla sua imputabilità.

L’autotutela del solvens

Art. 1460 c1 cc (Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei


contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non
adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che
termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla
natura del contratti.) riconosce alla parte tenuta ad adempiere la facoltà di
avvalersi di uno strumento di tutela: eccezione di inadempimento, permette di
non eseguire la prestazione fino a quando l’altra parte sia inadempiente o non
offra di adempiere contemporaneamente.

Questa eccezione non è opponibile nei contratti unilaterali.

La norma presuppone la simultaneità delle prestazioni, ma la parte che per


prima sia tenuta ad adempiere può ugualmente giovarsi dell’eccezione quando,
in ipotesi di rapporti di durata, già sussista un inadempimento della
controparte. Lo stesso vale nel caso in cui la parte che deve adempiere per
seconda abbia preannunziato il proprio disinteresse all’osservanza della parola
data, oppure nel caso in cui vi sia un serio pericolo di perdere la
controprestazione.

Qualora l’inadempimento perpetrato dalla parte contro cui sia stata fatto valere
l’eccezione non oltrepassi la soglia di rilevanza ex art. 1455cc, deve ritenersi
che3 il rifiuto opposto da questa di eseguire la prestazione sia contrario alla
clausola generale di buona fede.

Se le prestazioni non devono essere eseguite contemporaneamente, la parte


che per prima sia tenuta a dare esecuzione al rapporto obbligatorio può
invocare il rimedio previsto dall’art. 1461 cc (ciascun contraente può
sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni
patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in pericolo evidente il
conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia)
in modo da sospendere la solutio dove le condizioni patrimoniali dell’altro
stipulante, per ragioni sopravvenute, siano tali da porre in evidente pericolo il

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conseguimento della controprestazione, a meno che venga data garanzia
idonea a scansare il prospettato rischio.

Entrambi gli istituti, avendo natura cautelare, non importano alcun effetto sulla
validità del contratto: è sufficiente che il rimedio sia adeguato all’entità
dell’inadempimento e alla sua influenza sulla realizzazione del programma
negoziale, senza chiamare in causa la colpa del debitore. Nel caso in cui
l’inadempimento sia dovuto alla sopraggiunta impossibilità della prestazione
per accadimenti estranei alla sfera di responsabilità del debitore ci si
troverebbe di fronte all’estinzione del rapporto (ex art. 1256).

La clausola ‘solve et repete’

Art. 1462 c1 cc (Clausola limitativa della proponibilità delle eccezioni): la


clausola con cui si stabilisce che una delle parti non può opporre eccezioni al
fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per le eccezioni
di nullità, annullabilità e rescissione del contratto.

Tramite la clausola di previo adempimento le parti rendono autonome, essendo


il debitore tenuto a pagare sebbene l’altra parte non abbia adempiuto in
aderenza all’impegno preso oppure sussista il rischio circa la sua solvibilità. (es.
valido il patto con cui si vieti all’acquirente di proporre azioni giudiziali
concernenti l’inesatto adempimento finché non abbia pagato le rate di prezzo
scadute).

La clausola non impedisce al debitore di opporre efficacemente fatti estintivi


del vincolo (come pagamento, prescrizione, remissione, confusione).

Il risultato è tutelare l’interesse opposto della controparte a incamerare il


corrispettivo posponendo l’eventuale eccezione d’inesatto adempimento.

Nel complesso si intende garantire l’interesse al celere adempimento così da


evitare che il debitore sollevi eccezioni dilatorie rallentanti l’esecuzione
dell’intesa.

Ci troviamo davanti ad un patto che non costituisce ostacolo all’instaurazione


del rapporto processuale.

La clausola solve et repete non impedisce per sempre alla parte di far valere le
eccezioni concernenti l’inesatta esecuzione della promessa corrispettiva, ma
semplicemente implica la loro posterogazione.

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CAP. XIX - LE SOPRAVVIVENZE

L’eccessiva onerosità sopravvenuta

Può succedere, nei rapporti contrattuali di durata o istantanei ma con


esecuzione differita (es. pagamento dilazionato cosa acquistata), che lo stato di
fatto iniziale subisca mutamenti, non previsti dalle parti, per eventi estranei al
loro dominio, di entità tale da incidere sull’originario equilibrio economico
sotteso da programma negoziale.

Cade così l’affidabilità della valutazione comparativa tra il costo e il rendimento


delle prestazioni dedotte in obbligazione; il metro di scambio utilizzato dalle
parti per commisurare l’entità delle reciproche promesse subisce una sensibile
alterazione deviante dal rischio sopportabile da ciascun promittente:
alterazione che finisce con il modificare la causa contrattuale.

Il rischio contrattuale, delimitato nell’autoregolarmento e sotteso dal


meccanismo ideato dal legislatore, serve a segnare i confini oltre i quali le
oscillazioni economiche o gli altri accadimenti in grado di sovvertire la misura
dello scambio diventano intollerabili, perché sortiscono l’effetto di
trasformare il contratto in una fattispecie che solo in apparenza corrisponde
al programma effettivamente concordato dalle parti.

Art. 1467 c1 cc: quando gli eventi sopravvenuti distorcano pesantemente


l’equilibrio soggettivo dello scambio, costringere la parte svantaggiata a
eseguire la prestazione nei modi e nei tempi concordati significherebbe alterare
il programma negoziale falsando il ruolo del contratto come atto di
autodeterminazione, essendo tale parte costretta ad eseguire un negozio
sostanzialmente diverso rispetto a quello voluto.

L’esecuzione differita o periodica contiene in sé un fattore di rischio, utilmente


apprezzato dal legislatore, che consiste nelle variazioni incidenti in modo vario
e variabile sul nesso di corrispettività cristallizzatosi quando la
programmazione del rapporto fu plasmata dalle parti; nel caso in cui questo
fattore oltrepassi i criteri della prevedibilità e normalità viene in soccorso della
parte svantaggiata questo rimedio.

Le parti possono prevedere dei meccanismi giuridici utili a riequilibrare lo


scambio e a devitalizzare i fattori incidenti sull’economia del contratto; altre
volte è la legge che prevede specifici rimedi (es affitto, appalto, assicurazione).
Se queste due situazioni non si verificano si cadrà in eccessiva onerosità
sopravvenuta, che consente alla parte pregiudicata dall’alterazione tra dato
e dovuto di chiedere la risoluzione del contratto (ex art. 1458 cc, effetti della
risoluzione del contratto).

Art. 1467 c2: il rimedio non può essere invocato qualora la sopravvivenza
rientri nell’alea normale del contratto. Ciò significa che le parti hanno un onere

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di diligenza, che impone loro di appurare ex ante l’entità dei rischi connaturati
alla tipologia di rapporto prescelto e le realistiche prospettive di guadagno
legate alla fase di attuazione: il rimedio ex c1 può essere fatto valere solo nel
caso in cui gli eventi perturbatori oltrepassino i confini segnati dai comuni
fattori di responsabilità.

L’accoglimento della domanda, trascritta nel caso di oggetti immobili o mobili


registrati, importa lo scioglimento del contratto con effetti ex tunc, con
salvezza delle prestazioni eseguite prima della lamentata sopravvivenza e
regolarmente retribuite. Il provvedimento conclusivo del processo civile accerta
nel contempo la legittima sospensione della prestazione ad opera dello
stipulante che addusse l’alterazione dell’equilibrio imputabile a eventi
imprevisti e imprevedibili.

È discusso se sia consentito al debitore-convenuto di eccepire incidentalmente


l’eccessiva onerosità, oppure se sia tenuto a chiedere in via riconvenzionale la
risoluzione del contratto ex art. 1467 c1; pare prevalga la seconda opzione.

Ci si chiede infine se il debitore possa adempiere: non basta allegare


l’adempimento per contrastare la domanda si risoluzione.

L’ambito oggettivo di applicazione

Il presupposto per l’applicazione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta è dato


dalla sussistenza di un contratto a prestazioni corrispettive, istantaneo o di
durata, la cui esecuzione non si esaurisca con lo scambio dei consensi ma si
estenda nel tempo. Nei rapporti a esecuzione differita il rimedio è invocabile da
chi abbia già ottenuto la prestazione di cui lamenta l’oggettivo deprezzamento
(es in caso di preliminare di vendita a esecuzione anticipata, al promittente
alienante che abbia ricevuto il pagamento del prezzo non è riconosciuta la
facoltà di chiedere la risoluzione del contratto per alterazione dei valori oggetto
di scambio).

La tutela può essere riconosciuta soltanto alla parte che risulti pulita, il
contraente inadempiente non è legittimato a pretendere la risoluzione del
contratto per eccessiva onerosità dovendo sopportare le conseguenze degli
eventi sopravvenuti durante il suo inadempimento.

La sopravvenienza può colpire direttamente la prestazione dovuta dal debitore


(es quando sia tenuto a sobbarcarsi uno sforzo economico maggiore rispetto a
quello programmato per sopravvenuto rincaro della materia prima); in questo
caso la parte onerata può provocare il rimedio di eccessiva onerosità
quantunque abbia già ricevuto la controprestazione.

Vi sono dei casi in cui però la sopravvenienza può colpire anche il creditore, per
esempio nel caso in cui vi sia un sorprendente deprezzamento monetario, è il

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creditore stesso in questo caso a poter chiedere la risoluzione del contratto per
eccessiva onerosità purché non abbia già ottenuto la prestazione corrispettiva.

L’evento sopravvenuto

La sopravvenienza è rilevante quando da una parte fuoriesca dal rischio tipico


del singolo contratto, dall’altra sia estranea alla situazione caratterizzante il
mercato all’epoca dell’accordo.

La sopravvenienza oltre che ad essere di natura economica può avere


contenuto anche normativo essendo il portato di un’improvvisa modifica
legislativa o di altro atto politico tale da incidere indirettamente sull’equilibrio
economico dello scambio.

Deve essere straordinaria ed imprevedibile; l’inflazione, nonostante fenomeno


frequente ai nostri giorni, è considerato non prevedibile.

L’offerta di riduzione ad equità

La parte contro cui sia stata proposta la domanda di risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta ha la facoltà di evitarla, offrendo di rivedere
equamente il contenuto dell’accordo al fine di riequilibrare il nesso
sinallagmatico; risulta quindi posto nelle mani dello stipulante favorito uno
strumento utile a rimodulare i termini dello scambio in maniera da
neutralizzare l’alterazione dell’equilibrio inizialmente fissato dalla lex
contractus.

Questo strumento ha la funzione di impedire la risoluzione ex art. 1467 c1; nel


caso in cui il giudice ritenga la domanda priva di fondamento è tenuto a
rigettarla.

Questo strumento di revisione rimesso alla potestà della parte vantaggiata


dall’accadimento inaspettato, non debba necessariamente condurre ad un
incremento nella prestazione gravante la medesima parte, ma è sufficiente
ripristinare l’equità del regime commutativo entro i più elastici limiti della
normale alea contrattuale.

Qualora la parte sfavorita dal sopravvenuto deprezzamento della prestazione


corrispettiva abbia già ottenuto un adempimento parziale, l’offerta di riduzione
dovrà concentrarsi sulla parte di prestazione residua. Lo stipulante interessato
non è tenuto, proponendo il rimedio, a indicare nel dettaglio il contenuto
dell’adeguamento, potendo rimettersi alla discrezionalità tecnica del giudice
per l’esatta individuazione delle modifiche.

In caso di contratto con obbligazione di una sola parte o a titolo gratuito la


parte può chiedere una riduzione della sua prestazione oppure modificazione

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nelle modalità di esecuzione sufficienti per rimodellarla secondo equità (art.
1468 cc).

La presupposizione

È necessario spostare l’attenzione sull’esperienza germanica nei confronti di


questo argomento. Il contratto è risolvibile nel caso in cui entri in azione una
circostanza che frusti conseguentemente la funzione pratica dell’intesa al
punto che l’effetto giuridico prodottosi non corrisponde all’autentico valore del
dichiarante. La ragione del principio è ricercare all’interno di ogni
determinazione volitiva una condizione tacita i cui contorni sono delineabili
attraverso un procedimento ermeneutico deduttivo.

Lo scopo è quello di giungere ad una giustizia contrattuale, allo scopo di evitare


che la parte pregiudicata dalle sopravvenienze o dall’alterazione dello status
quo ante debba rispettare la parola data nel caso in cui l’impegno sia stato
preso da un presupposto, considerato certo poi contraddetto dalla realtà
fattuale.

Una prima tesi ritiene che la conoscenza del movente che si eleva ad
antecedente causale della volontà, costituirebbe una circostanza neutra per
l’ordinamento, dato che il motivo non smarrisce la propria essenza di elemento
ingiustificate. Presupposizione si esprime diventando parte integrante della
volontà stessa.

Le obiezioni a questa tesi ebbero la meglio, non permettendo che quella tesi
venisse inserita nel cc tedesco, in virtù della circostanza secondo cui
subordinare l’efficacia del contratto al realizzarsi della finalità pratica avrebbe
favorito la conseguenza di assegnare peso giuridico al motivo con l’effetto di
porlo sullo stesso piano della condizione; il tema della presupposizione
coinvolge due profili antitetici:

- Forza vincolante del rapporto obbligatorio


- Valori di giustizia contrattuale

A seguito della prima guerra mondiale le corti tedesche furono costrette a


risolvere il problema legato all’incidenza del fenomeno inflativo sull’equilibrio
sinallagmatico dei contratti di durata, che favoriva una parte a scapito
dell’altra. Attraverso il sostegno della clausola generale di buona fede la teoria
della liberazione del debitore per gatto sopravvenuto transitò dalla teoria
dell’impossibilità economica a tutela del contraente svantaggiato dagli eventi
imprevisti ed imprevedibili (per la trasformazione del contratto rispetto a
quanto era stato pattuito in origine).

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L’evoluzione dalla teoria dell’impossibilità economica a quella dell’inesigibilità
della prestazione contrassegnò la svolta del ruolo assegnato al giudice nella
valutazione dell’equilibrio contrattuale.

Il fenomeno negoziale

Il fenomeno negoziale consiste nell’iniziale rappresentazione del dichiarante,


conosciuta e non contestata dall’altra parte, sull’esistenza o sopravvenienza di
determinati eventi costituenti il basamento della sua volontà.

Il giudice di merito ha il compito di accertare se il presupposto della volontà del


dichiarante, che si forma sull’esistenza di determinate circostanze, fosse
svanito per effetto dell’evento sopravvenuto. Il mantenimento dell’equivalenza
di valori fra le prestazioni corrispettive può costituire la base del contratto, la
cui demolizione giustifica la risoluzione del rapporto a cagione dell’imprevisto
evento alterativo.

La frustrazione della causa concreta

Il sopravvenuto annientamento del fondamento negoziale fu inizialmente


circoscritto ai contratti di lunga durata, in relazione ai quali le circostanze
inattese avessero considerevolmente alterato l’iniziale equilibrio di valori fra
prestazione e controprestazione. Lo sviluppo della giurisprudenza condusse ad
un’estensione della sfera di operatività fino ad abbracciare i casi di
impedimento dello scopo non paralizzanti ex se l’esclusione della prestazione.

Base negoziale nel diritto intero

Art. 1467 cc (nei contratti ad esecuzione continuata o periodica o differita, e la


prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il
verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale
prestazione può domandare la risoluzione del contratto) rappresenta la dottrina
del fondamento negoziale: permanenza del rapporto economico fra prestazioni
secondo l’originario assetto voluto dalle parti. Il rimedio invocabile dalla parte
pregiudicata dalla sopravvenienza distorcente il fenomeno negoziale è
rappresentato dalla domanda di risoluzione del vincolo; soltanto il
contraente, la cui volontà non possa più essere congruamente attuata per
effetto della sopravvenienza, legittimato ad invocare lo scioglimento del patto
snaturato sotto il profilo progettuale.

La presupposizione ha ad oggetto una situazione in divenire, l’errore-vizio,


invocabile quindi anche dalla parte non danneggiata, si riflette sull’inesatta
previsione relativa al mantenimento dello status quo.

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La comunanza della situazione presupposta

La comunanza delle situazioni di fatto e di diritto costituisce la ragione


giustificativa dello scambio. Nel caso in cui l’obiettivo di una parte si sia
sostanziato nel regolamento privato d’interessi, finisce con l’imprimere
un’impronta specifica alla causa reale dello scambio emancipandosi così al
mero motivo.

L’eventuale modifica sul piano regolatore altera l’elemento immanente, che


diventa un fattore del rischio contrattuale.

Il fondamento negoziale entra a far parte della damma di elementi destinati a


bilanciare i sinallagma quando l’equilibrio economico del contratto sua stato
ancorato ad una situazione in divenire o al mantenimento dello status quo
anche in futuro.

È necessario che questo bilanciamento sia svolto in buona fede: il sistema non
può tollerare che la parte, la quale abbia tratto vantaggio dal giuoco
speculativo ruotante attorno alla previsione sottesa dal contratto, possa
beneficiare dell’arricchimento a pregiudizio della controparte che non sia
similmente riuscita a trarre utilità dalla situazione comunemente presupposta.

Si è fuori dal fondamento negoziale quando la frustrazione del proposito,


animante la ragion pratica dello scambio, sia imputabile alla negligenza della
parte.

Il dovere di rinegoziare le clausole contrattuali

Art. 1467 cu definisce che il danneggiato dalla sopravvenienza alterante


l’equilibrio economico del rapporto può chiederne lo scioglimento, fatta salvala
facoltà riconosciuta alla controparte di paralizzare la domanda offrendo di
modificare equamente le condizioni dell’intesa. È una situazione di equilibrio
tra il potere della parte svantaggiata di proporre risoluzione e il contrapposto
potere della controparte di paralizzare la domanda restaurando l’economia
dell’affare secondo criteri equitativi.

La parte pregiudicata dalla sopravvenienza è legittimata a proporre la modifica


extragiudiziale del contratto, a meno che la restaurazione appaia irragionevole
giacché l’adempimento rivisitato sia ormai privo di utilità per il creditore;
importante è il fatto che non si può mai snaturare la causa certa del rapporto
con la rinegoziazione.

Nulla esclude che lo stipulante svantaggiato scelga la strada della risoluzione


ordinaria e del ristoro del danno per equivalente facendo valere la
trasgressione dell’obbligazione rinegoziale.

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Si aprono quindi due diramazioni:

- Il creditore accetta di rinegoziare con l’esito che lo squilibrio viene


sostanzialmente annientato dall’intesa modificativa;

- Il debitore si vedrà costretto ad agire in giudizio per ottenere l’adeguamento


dell’accordo stante la contrarietà del rifiuto alla lealtà contrattuale.

Il rifiuto della parte che si ostini ad eseguire alle condizioni originariamente


pattuite, ma divenute incongrue, sarà considerato comportamento
opportunistico e quindi non tutelato dall’ordinamento con il conseguente diritto
dell’altra parte a sospendere l’esecuzione (artt. 1375 e 1460), salvo diritto di
risarcimento del danno. Può capitare che e parti scartino convenzionalmente il
dovere di rinegoziare l’intesa, oppure escludano unicamente la possibilità di
ottenere l’adeguamento giudiziale: questa pattuizione deve ritenersi valida,
limitandosi a sottrarre alla parte svantaggiata il diritto di pretendere la modifica
dell’accordo sufficiente a ridurlo ad equità; è nulla quando si scontri con la
disciplina volta ad eliminare le storture giuridico-economiche.

Un caso paradigmatico

Supponiamo che Tizio, nel 2006, abbia condotto in affitto per i successivi
quindici anni un terreno di proprietà di Caio, al fine di coltivarvi actinidia. Nel
2012 un calo insolito delle temperature cagionò la distruzione dell’impianto;
l’affittuario fu costretto a ripristinarlo. Nel 2014 un’epidemia di batteri si
abbatté sulla piantagione, che abbisogna di essere ricostruite; Tizio non ha
partecipato ad alcun indennizzo all’espirazione delle piante necessaria al fine di
impedire la propagazione della piantagione. Tizio è ben disposto a ripristinare
per l’ennesima volta la piantagione, ma esclusivamente se il contratto di affitto
oggetto non terminasse come pattuito nel 2021 ma si protraesse per altri 15
anni.

Bisogna capire quali pretese possono essere valutare dal conduttore del fondo
per tutelare le sue ragioni; gli stipulanti fondarono la determinazione di
stringere l’intesa sul presupposto comune informante di sé la causa empirica
del vincolo obbligatorio (il tempo di affitto era calcolato su una coltivazione di
kiwi adatta ad assicurare un investimento produttivo). Essendo intercorsi gli
eventi illustrati è stato frustrato il presupposto condiviso: viene alla luce la
sproporzione di valore tra la prestazione del dominus e quella dell’affittuario; il
mutamento dell’economia contrattuale ha impedito la realizzazione
dell’investimento produttivo: concedere alla parte favorita il monopolio di
rinegoziare il contratto sembra inefficiente e ingiusto.

Art. 2 c1 l.203/1982 pone nelle mani dell’affittuario il rimedio del recesso, che
nel caso di specie legittimerebbe l’estinzione unilaterale del vincolo: la

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domanda di risoluzione del contratto è giustificata dall’alterazione stravolgente
il fondamento negoziale.

Il gelo e la batteriosi implicano la disgregazione della base contrattuale e


autorizzano l’affittuario a recedere dal contratto o promuovere l’azione di
risoluzione.

Sembra opportuno che la parte favorevole al contratto possa proporre la


rinegoziazione del contratto (art. 1467 c3) così da contrastare lo
stravolgimento.

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CAP. XX - IL RECESSO E LE PENE CONTRATTUALI

Il recesso: fondamento

Art. 1372 cc (il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto
che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Il contratto non
produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge) equipara
allusivamente il contratto alla legge, con l’allusione di porre un argine
all’intrusione del giudice nell’atto di autonomia privata.

Le parti stesse possono sciogliere il vincolo contrattuale, essendo tuttavia loro


precluso di derogare all’ordine decretato dalla norma imperativa.

Lo scioglimento può derivare da:

• Mutuo dissenso

• Risoluzione di diritto giudiziale

• Esercizio del diritto potestativo di recesso.

La fonte del recesso può essere legale o volontaria; nel primo caso la legge
riconosce il rimedio dello scioglimento unilaterale per fronteggiare particolari
situazioni di debolezza economica in cui si trova il consumatore; nel secondo
caso può essere invocato dalla parte che si sia allacciata ad un contratto a
tempo indeterminato.

Il recesso servirebbe a determinare per relationem il termine finale, viene fatto


valere per condurre il contratto alla sua caducazione.

Può accadere che il recesso sia attribuito alla parte in forza di un’espressa
clausola contrattuale, che ne disciplina le modalità applicative (potere di
estinzione unilaterale del contratto esercitabile ad nutum oppure dove
sussistano specifici presupposti tipizzati dalle parti).

Disciplina

Il recesso, che ha natura di negozio unilaterale recettizio, deve rivestire la


medesima forma richiesta per il contratto su cui ricade (es contratto avente ad
oggetto diritti reali su beni immobili deve rispettare la forma scritta a pena di
nullità) e nel caso in cui sia soggetto a trascrizione deve essere trascritto.

Viene considerata clausola soggetta a presunzione relativa di abusività quella


contente patti che attribuiscono al solo professionista il diritto di recesso,

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oppure che gli consentano di recedere nei contratti a tempo indeterminato
senza preavviso fuori dalla sussistenza di giusta causa.

Art. 1341 c2: onere della specifica approvazione per iscritto della condizione
generale di contratto attribuente all’utilizzatore il diritto di recesso.

L’art. 1373 c1 stabilisce che nei contratti istantanei il recesso può essere
esercitato dalla parte legittimata finché non vi sia stato un principio di
esecuzione del rapporto; anche se è data la possibilità di estendere il recesso
anche nel caso in cui il contratto sia stato in tutto o in parte eseguito.

La ratio della norma: il legislatore ha ritenuto incompatibile con la volontà di


sciogliere il contratto il consenso in precedenza dato all’esecuzione del vincolo,
chi accetta la prestazione dimostra un interesse opposto allo scioglimento
monolaterale del rapporto, lo stesso vale con riguardo a chi adempie.

In mancanza di un accordo di deroga, il recesso è annientato soltanto


dall’esecuzione della prestazione per opera dello stesso titolare della potestà
oppure della controparte qualora il titolare abbia accettato l’adempimento puro
e semplice.

Nulla esclude l’ammissibilità del recesso convenzionale in relazione ai contratti


con effetti reali immediati; nulla esclude la condizione sospensiva nei casi in cui
venga ad affiancare la clausola attributiva del diritto potestativo preordinato
all’estinzione del vincolo.

Il recesso può essere la via alternativa alla risoluzione giudiziale o di diritto nel
caso di inadempimento. Nel caso in cui il contratto sia ad esecuzione
continuativa o periodica, il recesso è esercitabile, ma il suo esercizio non
pregiudica, se non è stato diversamente concordato, le prestazioni già eseguite
o in corso di esecuzione (art. 1373 c2). Se il recesso ha effetto ex nunc occorre
ammettere che la ritardata o inesatta esecuzione delle prestazioni antecedenti
autorizzi il creditore a esperire l’azione di risoluzione del contratto o del
risarcimento del danno per quanto egli si sia successivamente avvalso della
potestà estintiva del vincolo obbligatorio.

Se la legge o il contratto abbiano definito un termine iniziale o finale per la


proposizione del recesso non c’è nulla da dire, nel caso in cui manchi questa
predeterminazione è necessario usufruirne secondo i canoni di lealtà (in caso
contrario si avrà nullità dell’atto di recesso).

Preavviso

Al fine di evitare che il recesso possa cogliere alla sprovvista l’altro stipulante
è possibile condizionarne l’efficacia all’intimazione del preavviso. Durante tale
temine il rapporto continua a dispiegare i suoi effetti giuridici; in presenza di
giusta causa (evento di tale rilevanza da non permettere la prosecuzione del

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rapporto), tuttavia, viene legittimato in ogni caso il recesso in tronco. Qualora
il contratto tacesse sul punto bisognerebbe senz’altro riconoscere in capo a
quest’ultimo l’onere di rispettare la regola di buona fede oggettiva, la quale
può esigere che il recesso medesimo sia intimato con un preavviso adeguato.

Caparra e multa penitenziali

I contraenti sono liberi di prevedere un corrispettivo per il recesso ad nutum


che si può sostanziare in una caparra penitenziale apparentata da una
somma di denaro o da altre cose fungibili consegnate dal titolare le diritto
potestativo all’altra parte al momento dell’accordo (art. 1386 c1).

L’elemento patrimoniale della fattispecie può servire a indennizzare il


destinatario del recesso delle perdite di cui va incontro per la caducazione del
rapporto obbligatorio, tuttavia è possibile che abbia una funzione deterrente,
con l’effetto di scoraggiare il titolare della potestà al suo esercizio.

L’art. 1386 c2 dispone che nell’ipotesi del primo comma il recedente perde la
caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto. Qualora il
diritto di recesso sia stata esclusivamente attribuito allo stipulante che abbia
pagato il suddetto corrispettivo, questi perderà la caparra versata, la quale
serve a retribuire l’esercizio del diritto. Invece, se soltanto una abbia dovuto
versare la caparra ma il diritto di recesso sia stato assegnato ad entrambe,
quella che non ha pagato la caparra, ove receda, dovrà corrispondere il doppio
di essa.

La multa penitenziale è una somma di denaro che dovrà essere pagata dal
titolare dello ius poenitendi affinché il recesso possa produrre il proprio effetto
estintivo; il titolare del diritto potestativo promette la dazione di una somma di
denaro da versarsi se e quando si determinerà a esercitare il diritto stesso, la
cui efficacia è subordinata all’adempimento di tale impegno.

Si prescinde da una valida causa di giustificazione del recesso, diversamente


da quanto avviene in tema di caparra confirmatoria (la vicenda estintiva
presuppone l’imputabilità dell’inadempimento vivificante il rimedio invocato dal
creditore).

Qualora, sopravvenuto l’inadempimento del contraente cui spetta la facoltà di


recesso, l’altra parte proponesse la domanda di risoluzione giudiziale,
occorrerebbe riconoscere l’inefficacia del diritto di ripensamento esercitato
dopo l’istanza.

Se non viene esercitato il recesso la somma corrisposta a titolo di corrispettivo


del diritto potestativo deve essere restituita.

La caparra confirmatoria

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Ci si trova di fronte ad un contratto reale che ha ad oggetto la dazione di una
somma di denaro o di una quantità di altre cose fungibili. Viene in
essere un collegamento gerarchico (o unilaterale) il cui vertice è rappresentato
dal contratto principale, l’invalidità del quale si riverbera sull’intesa accessoria,
a meno che le parti abbiano previsto il condizionamento reciproco. La caparra
assume un ruolo confirmatorio tenuto conto della sua inclinazione a confermare
l’accordo principale: tramite la consegna delle predette cose mobili, che funge
da anticipazione della prestazione corrispettiva, le parti danno inizio
all’esecuzione del contratto. La datio rei viene imputata al maggior debito,
fungendo da garanzia parziale, che potrebbe essere successivamente
rafforzata dall’eccezione d’inadempimento.

Svolge, essa, inoltre la funzione di liquidazione convenzionale del denaro; nel


caso in cui la parte che abbia pagato la caparra non adempia le proprie
obbligazioni, al creditore spetta la potestà di recedere ritenendo la caparra.

Il recedente si accontenta di ottenere la somma predeterminata, non potendo


chiede la rifusione di ulteriori perdite patrimoniali.

La parte fedele, convenuta nel giudizio di restituzione della caparra, può


eccepire l’inadempimento dell’attore, senza necessità di proporre la domanda
riconvenzionale di condanna al pagamento del doppio. Residua la facoltà di
agire per l’adempimento o per la risoluzione giudiziale del rapporto: i danni
dovranno essere risarciti secondo i criteri orinari. La caparra dovrà essere
compensata con il debito risarcitorio determinato dal tribunale, in attesa di
questa pronuncia il creditore potrà trattenere la caparra a titolo di garanzia
impropria.

Una volta proposta la domanda di risoluzione e risarcimento integrale del


danno in una misura superiore all’importo della caparra, non è ammessa la sua
trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra, ponendosi i
rapporti tra le due azioni in termini di incompatibilità. L’incompatibilità sta nel
fatto che con la caparra chi subisce l’inadempimento si libera del contratto
accontentandosi di una liquidazione anticipata del pregiudizio, la quale
necessariamente astrae dal pregiudizio reale.

La parte non inadempiente, che abbia agito per l’esatto adempimento, può
mutare la domanda esercitando il diritto potestativo implicante l’estinzione ipso
iure del contratto.

L’autonomia dell’azione di risoluzione rispetto alla domanda di risarcimento


consente alla parte fedele di esperire la prima facendo espressamente salva la
facoltà di invocare la liquidazione forfettaria dei danni.

Se la violazione del contratto sia stata perpetrata dal soggetto che ricevette la
caparra, l’altra parte potrà recedere chiedendo non soltanto la somma
corrisposta a titolo di caparra ma anche la condanna al pagamento di ulteriore
somma di pari ammontare.

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Nel caso in cui entrambe le parti invochino il diritto di recesso, spetta al giudice
appurare quale delle due abbia per prima disatteso gli impegni assunti.

La caparra confirmatoria a differenza di quella penitenziale (nella quale la


somma pagata funge unicamente da corrispettivo) ha natura punitiva.

Nulla esclude che la somma corrisposta a titolo di caparra sia superiore al


pregiudizio economico cui va incontro il recedente a causa dell’evocato
inadempimento. Le corti negano, comunque, la possibilità di ridurre la caparra
eccessiva, in quando considerano eccezionale l’art. 1384 cc (la penale può
essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata
eseguita in parte o se l’ammontare della penale è manifestatamente eccessivo,
avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’inadempimento).

Clausola penale

La clausola con cui si stabilisce che, in caso di inadempimento o di ritardo


nell’adempimento, uno dei contraenti sia tenuto a una determinata
prestazione, ha effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se
non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. Clausola è detta
penale per il suo collegamento con l’inadempimento, prestazione dovuta a
titolo di sanzione delle ragioni del creditore. La penale deve essere pagata
indipendentemente dalla prova del pregiudizio effettivo, dalla gravità
dell’inadempimento e dalla costituzione in mora. La prova del danno ulteriore,
ove oggetto di esplicita riserva, sottosta alle regole ordinarie. La condanna di
dazione della somma dovuta a titolo di penale è similmente suscettibile di
astrazione rispetto all’stanza di scioglimento del rapporto obbligatorio a titolo
di inadempimento.

Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale,


se questa non sia stata stipulata per il semplice ritardo. Nulla però impedisce
alle parti di concordare due distinte penali: la prima riguardante l’inattuazione
del rapporto, la secondo la ritardata esecuzione dello stesso. La clausola
penale ha una finalità di anticipata liquidazione del danno contrattuale; il
tentativo di ridurre a unità lo scopo della penale pare scontrarsi con i poteri di
autonomia privata di cui essa è espressione, in quanto le parti sono libere di
perseguire diversi interessi empirici (es fissazione del danno per eventuali
inadempimenti). L’autonomia delle parti può spingersi fino a conferire alla
penale un improprio ruolo di limitazione della responsabilità contrattuale.

Nei casi in cui la penale svolge la duplice funzione di liquidazione anticipata del
danno e di minacciata applicazione di una comminatoria destinata ad
aggravare la posizione del debitore, pare possedere una natura di strumento
indirettamente rafforzativo dell’efficacia del vincolo negoziale e di pressione
per spronare la parte ad adempiere correttamente proprio al ine di sfuggire alla
pena convenzionale.

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Quando l’ammontare della penale risulta manifestamente eccessivo il tribunale
può ridurla a equità (art. 1384 cc). L’intervento manipolativo non può essere
convenzionalmente escluso perché fa da scudo all’interesse della parte
economicamente debole o meno organizzata a non subire la prevaricazione del
più forte.

L’art 1384 cc prevede un processo di accertamento per il quale il giudice deve


prendere equitativamente in esame gli elementi allegati dalle parti; nel caso in
cui la clausola penale soddisfi un interesse anche non patrimoniale, il quale sia
venuto meno, occorre ritenere che il debitore inadempiente sia comunque
tenuto a rispettare il vincolo da essa derivante.

Non sempre il debitore della penale è la parte debole, la penale in questo caso
funge da incentivo all’inadempimento, perché assicura un risparmio di spesa
nella misura in cui il debitore infedele va incontro ad una sanzione inferiore alla
prestazione promessa FE 00l’eventuale limitazione della responsabilità tramite la
clausola non libera il debitore dalle conseguenze dell’inadempimento
qualificato da dolo o colpa grave, dovendo egli in tale evenienza rispondere
dell’integrale danno patito dal creditore. La responsabilità del debitore è da
escludere non soltanto quando dimostri che l’inadempimento o l’inesatto
adempimento sia stato determinato da eventi a lui non imputabili, ma anche
quando risulti comunque giustificato ex art. 1460 stante l’inadempimento della
controparte. Valido, di massima, il patto con cui viene imposto al debitore di
pagare la somma prestabilita a prescindere dall’imputabilità
dell’inadempimento.

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CAP XXI - LA RAPPRESENTANZA VOLONTARIA

La procura

Il potere di rappresentanza può sorgere dal diritto scritto (rappresentanza


legale) o dall’autodeterminazione della parte interessata) rappresentanza
volontaria) FE 00 art. 1387 cc. Si ha rappresentanza organica quando il potere ad
essa sotteso dia correlato all’ufficio ricoperto da una determinata persona (es
amministratore unico di una fondazione).

L’atto con cui la parte attribuisce volontariamente ad un terzo il potere di


rappresentarla si chiama procura: negozio unilaterale recettizio che si
perfeziona ad astrarre dall’accettazione del destinatario
(rappresentante). L potere rappresentativo produce effetti anche nel caso in cui
la procura non sia accidentalmente giunta a destinazione ma sia lo stesso
venuta a conoscenza del rappresentante.

La causa di questo negozio unilaterale consiste nell’attribuzione al destinatario


della potestà di agire in nome e nell’interesse del proponente.

Il rappresentante (o procuratore) non è obbligato a spendere il nome del


rappresentato, perché la procura è mera fonte di poteri disancorata dalla
promessa di agire in nome altrui. L’obbligo di gestire l’interesse alieno potrebbe
derivare anche dal contratto di mandato o da altri contratti implicanti l’impiego
di curare l’interesse della controparte (es patrocinio).

Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del


rappresentato, entro i confini della facoltà conferitegli, produce direttamente
effetto nei confronti del rappresentato (art. 1388cc).

L’effetto rappresentativo presuppone che il dichiarante si qualifichi come


procuratore del negozio: la spendita del nome non esige forme particolari, può
desumersi anche da elementi idonei a rendere manifesto che il procuratore
agisce in nome altrui. Ci sono casi in cui la spendita del nome è superflua
essendo implicita nel ruolo svolto dal dichiarante (es commesso art. 2210 cc).

Vi sono atti che non tollerano la dissociazione tra rappresentante (parte in


senso formale) e rappresentato (parte in senso sostanziale), come per esempio
nel caso di negozi che richiedono necessariamente il perfezionamento
dell’interessato (es redazione testamento olografo).

Il rappresentante va distinto dal nunzio, che è colui che non forma la volontà i
cui effetti ricadono sul rappresentato, ma si limita a trasmettere l’altrui
determinazione volitiva.

La procura deve avere la stessa forma del negozio oggetto del potere
rappresentativo (es procura a vendere o acquistare immobili deve essere
redatta per iscritto a pena di nullità), ma non ha necessità di essere trascritta

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per mancanza di autonomo potere traslativo. Se la procura è svincolata da
oneri formali, il consequenziale potere rappresentativo può essere anche
dedotto da tacita volontà del proponente. La procura informale relativa ad un
contratto soggetto alla forma scritta ad probationem è valida ma sottoposta
alle stesse limitazioni probatorie cui va incontro il contratto stesso.

L’oggetto della procura può essere:

- Generale: il procuratore ha facoltà di compiere tutti gli atti di orinaria


amministrazione;

- Speciale: il procuratore è legittimato a perfezionare unicamente l’atto o gli


atti indicati, potendo comunque porre in essere gli atti accessori o quelli
strettamente strumentali a quelli in essa enumerati.

Per la validità del contratto stipulato dal rappresentante basta la capacità ad


agire del rappresentato, mentre è sufficiente che il primo abbia capacità
naturale di intendere e volere, in assenza il negozio da lui perfezionato è
annullabile. La sopravvenuta incapacità legale del rappresentato è causa di
estinzione del potere conferito al procuratore. L’incapace legale ove sia
naturalmente capace pur non avendo capacità di compiere l’atto in nome
proprio, dispone della capacità di perfezionare nell’interesse del soggetto
legittimamente capace. Per quanto attiene alla validità del contratto
sottoscritto dal rappresentante è necessario che il contratto non sia proibito al
rappresentato (art. 1389 cc): si è voluto evitare che attraverso la procura il
rappresentato riesca nel proposito di eludere i divieti di legge.

Il contratto è annullabile nel caso in cui sia viziata la volontà del


rappresentante. Ma se il vizio riguarda specifici elementi predeterminati dal
rappresentato, il contratto è annullabile solamente nel caso in cui il vizio abbia
inficiato la volontà di quest’ultimo.

Qualora sia rilevante lo stato di buona o mala fede occorre guardare alla
persona del rappresentante, salvo che si tratti di elementi prefissati dal
rappresentato; in nessun caso il rappresentato in mala fede può giovarsi dello
stato d’ignoranza o di buona fede del procuratore.

Il procuratore può nominare un sostituto (subprocuratore) nel caso in cui vi sia


l’autorizzazione iniziale o sopravvenuta del dominus; se manca l’attività del
subprocuratore non potrà essere imputata al dominus.

Il conflitto di interessi

Il rappresentante, quando si determini a spendere il nome del preponente, è


tenuto ad agire in maniera da soddisfare l’interesse sotteso dal negozio
unilaterale ed eventualmente dal vincolo gestorio che lo affianca. L’agire

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nell’interesse del rappresentato (art.1388 cc) significa realizzare, tramite la
legittimazione rappresentativa, il proposito pianificato mediante l’attribuzione
del potere.

Il rischio che il programma sia frustrato è immanente quando il procuratore


sacrifichi l’interesse del dominus per appagare il conflittuale interesse proprio
o del terzo (il legame coniugale è un esempio di conflitto di interesse).

Il conflitto sarà scorgibile non solo quando lo scopo conflittuale perseguito dal
procuratore affiori in via diretta là dove il procuratore stesso sia portatore di
una posizione soggettiva astrattamente inconciliabile con quella del
rappresentato, ma anche in via mediata a causa dei vincoli di solidarietà con
terze persone venati da rapporti di famiglia, convivenza more uxorio, societari,
comunanza politica ecc.

Il paventato antagonismo è presunto nel caso in cui il rappresentante agisca


come controparte del rappresentato (si instauri un contratto con sé stesso)
oppure come procuratore del terzo.

Il conflitto smarrisce la sua potenzialità offensiva quando il rappresentato


autorizzi espressamente il procuratore a compiere l’atto (es ti permetto di
compare una partita di legno dalla società di cui tu sei socio) oppure là dove il
contenuto del contratto sia determinato in maniera da escludere il rischio del
paventato conflitto.

La legittimazione del rappresentante potrebbe essere sospensivamente


condizionata all’approvazione del contratto fonte di eventuali confitti:
antagonismo potenziale devitalizzato ex post, ma sempre prima che l’intesa
con il terzo acquisti efficacia.

Non costituisce motivo rilevante di conflitto il mandato, collegato alla procura


a vendere un determinato edificio, attribuito al procuratore che lo legittima ad
incassare le somme dovute dal terzo acquirente per compensare il credito che
il rappresentante vanta nei riguardi del domins negotii.

Un contratto in cui ci si trovi nella situazione di accavallamento di interessi


conflittuali è annullabile su domanda del rappresentato se il conflitto stesso
era conosciuto o riconoscibile dal terzo (art.1394 cc); il terzo è tutelato non
sulla base della sua buona fede soggettiva, ma soltanto quando l’affidamento
sia venato da un’apparenza di valida rappresentanza. La mala fede e la colpa
del terzo legittimano e nello stesso tempo limitano la protezione del rapporto
per evitare di rendere sostanzialmente inapplicabile l’istituto della procura. La
conoscenza è implicita quando il rappresentante e il terzo abbiano
concordemente agito a scapito del rappresentato. La conoscibilità presuppone
l’onere di diligenza in capo al terzo, che esclude la sua buona fede soggettiva
quando abbia agito con palese noncuranza o superficialità, non avvedendosi
del conflitto che si stava consumando. Questo requisito deve essere
provato da chi chiede l’annullamento FE 00 mancando l’estremo della

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riconoscibilità il contratto è valido, ma il dominus può agire contro il suo
rappresentante per ottenere il ristoro degli eventuali pregiudizi patrimoniali
conseguenti all’incompatibilità degli stessi coinvolti nell’affare.

Il rappresentato ha, quindi, nelle proprie mani a sorte dell’affare: se ritiene che,
nonostante il potenziale conflitto, esso sia per lui conveniente o utile, lascerà le
cose come stanno senza proporre l’azione volta a farlo annullare.

Nel caso in cui scelga la strada giudiziale non occorre dimostrare di aver subito
un danno effettivo: il contratto è invalidabile ancorché il rappresentante si sia
guardato dall’abusare del potere tramite atti di prevaricazione. Il legislatore ha
voluto proteggere il rappresentato anche in ipotesi di conflitto soltanto virtuale,
liberandolo dall’insidia di persuadere il giudice del pregiudizio concreto.
Presupposto dell’annullabilità è dunque la situazione in cui viene a trovarsi il
procuratore quando si trovi costretto a fare una scelta tra la tutela
dell’interesse innervato dalla procura e la salvaguardia dell’opposto interesse
personale o risalente al terzo.

Il termine di prescrizione dell’azione di annullamento decorre da quando il


dominus sia venuto a conoscenza del conflitto (ex art. 1442 c2 cc).

Una particolare ipotesi di conflitto d’interessi fonte di abuso del potere


rappresentativo è data dal contratto con sé stesso, che il rappresentante
stipula in proprio nome (es commesso che acquista merce da proponente,
ovvero dal procuratore che rappresenta tanto il dante quando l’avente causa).

Art. 1395 cc introduce una presunzione semplice di conflitto di interessi


sormontabile unitamene dall’allegazione dell’autorizzazione ad hoc, oppure
dalla fissazione anticipata degli elementi negoziali. Nel caso di possibilità
di annullamento del contratto la parte rappresentata potrà agire anche per il
ristoro del danno derivante dalla sua infedeltà: responsabilità contrattuale.

Il falsus procurator

Colui che abbia negoziato come rappresentante senza averne i poteri o


eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il
terzo contraente abbia sofferto per avere confidato senza sua colpa nella
validità del contratto (art. 1389 cc).

È l’ipotesi della responsabilità precontrattuale del falsus procurator: egli,


essendo consapevole dell’inefficacia del contratto a causa dell’assenza di
procura o del contrasto tra essa e l’atto compiuto, tace la circostanza al terzo
di buona fede, il quale fa pertanto affidamento sulla forza vincolane della
situazione apparente.

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Il contratto non è nullo ma inefficace; può essere ratificato dall’interessato, con
l’osservanza delle forme prescritte per la sua conclusione (per il diritto
cartolare e delle assicurazione il falsus procurator è direttamente responsabile).

Secondo un orientamento non sarebbe rilevabile d’ufficio l’inefficacia, essendo


invocabile unicamente dal soggetto falsamente rappresentato. Secondo una
diversa tesi, con cui Calvo è concorde, pare vero che la ratifica, appartenendo
alla categoria degli atti discrezionali, possa sempre essere fatta valere finché
non intervenga l’estinzione della potestà per rinuncia o decorso del termine di
prescrizione, ma è altrettanto vero che il magistrato, trovandosi di fronte ad un
contratto attualmente inefficace per difetto o eccesso del potere
rappresentativo, non può considerarlo come produttivo di effetti, dandogli
esecuzione a dispetto dell’assenza di legittimazione da parte del procuratore.
La sentenza che accerta la mancanza di procura si limita, come nel caso della
nullità, ad assodare con autorità di giudicato un’imperfezione della fattispecie
costitutiva del vincolo negoziale preesistente alla controversia giudiziale.

La ratifica

La ratifica è un negozio unilaterale recettizio (ossia destinato all’interlocutore


del rappresentante fittizio o abusivo), incidente sul rapporto ma non già
sull’atto, per mezzo del quale il soggetto che ha subito l’abuso dichiara di fare
propri gli effetti del negozio perfezionato dal falso rappresentante; essa ha
effetto retroattivo.

Non è ammissibile la ratifica parziale, perché ciò implicherebbe riconoscere al


titolare del potere la facoltà di modificare il contratto oggetto di approvazione;
lo stesso vale per ratifica condizionata o a termine finale.

Deve essere redatta nella stessa forma richiesta per la validità della procura,
ma la volontà del ratificante può essere desunta dal contesto dello scritto che
sottintende. Nel caso di ratifica verbale non può essere provata per
presunzione o testimoni. Nei contratti svincolati da oneri di forma la ratifica può
essere desunta dalla determinazione del rappresentato di trarre vantaggio
dalle posizioni soggettive derivanti dal contratto perfezionato dal procuratore
abusivo.

La ratifica di un negozio avente ad oggetto diritti reali immobiliari non deve


essere trascritta ex art. 2645 cc, in vista della sua opponibilità erga omnes.

Il terzo e il falso rapprendente possono d’accordo sciogliere il contratto; il terzo


può invitare l’interessato a pronunciarsi sulla ratifica assegnandogli un termine
di decadenza, scaduto il quale la ratifica si intende negata. La facoltà di
ratifica si trasmette agli eredi; il suo mancato esercizio implica che le parti
debbano restituire le prestazioni già conseguite, tra cui va noverato il
pagamento della caparra confirmatoria.

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La rappresentanza apparente

Nel caso in cui il soggetto falsamente rappresentato, mediante il proprio


comportamento tollerante verso il falsus procurator, abbia ingenerato nel terzo
la convinzione ragionevole della sussistenza di una procura, trova applicazione
il principio dell’appartenenza giuridica con l’effetto che lo pseudo-
rappresentato è tenuto a farsi carico degli obblighi assunti in suo nome: il
contratto è efficace e vincolante perché, nonostante l’effettiva assenza di
potere rappresentativo, vengono privilegiati gli interessi alla protezione
dell’affidamento pro terzo tollerato dall’interessato.

Nel caso dei contratti in cui sia necessaria la forma scritta a pena di nullità, il
principio della procura apparente non può trovare applicazione, poiché
necessario l’onere di appurare l’esistenza dell’atto scritto.

Art. 1396 cc: il rappresentato deve rendere conoscibili erga omnes con i mezzi
idonei, le modificazioni e la revoca della procura.

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CAP XXII - FATTISPECIE CONTRATTUALI SOGGETTIVAMENTE VARIABILI

Il contratto per persona da nominare

L’elemento qualificante il contratto per persona da nominare consiste nel fatto


che un soggetto si riserva di nominare, successivamente alla stipula, la
persona che gli subentra nella qualità di parte (sostanziale) del contratto. Tale
meccanismo è soprattutto impiegato, oggi, nell’area dei contratti preliminari
aventi ad oggetto cose immobili, nelle quali il promissario acquirente si riserva
la facoltà di designare un terzo alla data fissata per il definitivo.

Viene assicurato un risparmio tributario evitando il duplice passaggio di


proprietà (es lontana è l’ipotesi del compratore di un immobile per scrittura
privata che riserva d’intestare il bene al momento della redazione dell’atto
pubblico ad un terzo).

La facoltà di inserire in un contratto di permuta la riserva di nominare la


persona dovrà acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto
è assimilabile unicamente là dove lo scambio abbia ad oggetto cose future.

Quando l’oggetto del contratto è frazionabile, il potere di elezione può essere


circoscritto ad una porzione del tutto; il contratto viene così scisso in due
rapporti autonomi, anziché in un unico rapporto con la parte soggettivamente
complessa.

Se le parti hanno stabilito un termine diverso, la dichiarazione di nomina deve


essere comunicata all’altra parte entro tre giorni dal perfezionamento
dell’intesa. Tale dichiarazione è inefficace se non è accompagnata
dall’accettazione della persona nominata, salvo che esista un procuratore
anteriore al contratto.

Tanto la nomina quanto l’accettazione devono essere comunicate all’altra


parte entro 3 giorni dalla stipulazione, salvo che non sia diversamente
pattuito. Nulla esclude che le parti plasmino una clausola grazie alla quale
l’accettazione dell’eligendo debba intervenire entro un temine stabilito dal
dichiarante o necessario secondo natura dell’affare.

La nomina tardiva può essere convertita in cessione del contratto.

Per effetto della nomina l’eletto acquista con effetto retroattivo la qualifica di
parte: questi può impugnare il contratto per vizi della violazione facendo leva
sulla disciplina in tema di rappresentanza. Il contratto è immediatamente
vincolante tra le parti originarie, in modo che gli effetti scaturenti dall’intesa di
proiettino nella sfera giuridico-patrimoniale dello stipulante cui spetta la facoltà
di nomina. Per il contratto che abbia ad oggetto immobili è immediatamente
trascrivibile a favore dell’originario avente causa.

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Le parti possono prevedere una condizione sospensiva in forza della quale il
contratto è inefficace finché non sia intervenuta la valida nomina dell’eletto.

L’atto di investitura del nominato deve avere la stessa forma che le parti hanno
usato per il contratto, ancorché esso sia di forma libera; nel caso in cui il
contratto abbia ad oggetto diritti reali su immobili, la riserva di nomina deve
essere trascritta al fine della sua opponibilità erga omens. La riserva di nomina
si distingue dalla cessione del contratto perché questa non opera
retroattivamente.

La cessione del contratto

Nei contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite ciascun contraente


può sostituire sé ad un terzo qualora l’altra parte vi consenta. Il
negozio che attua tale modifica (ossia il trasferimento della titolarità del
rapporto da un soggetto all’altro senza che tale mutamento personale importi
alcuna vicenda estintiva del vincolo obbligatorio) prende il nome di cessione
del contratto. Questo contratto ha natura trilaterale, in quanto per il suo
perfezionamento occorre il consenso del cedente, del cessionario e anche del
contraente ceduto; l’assenso di questo può essere successivo all’intesa tra i
primi due. La partecipazione volitiva del ceduto nella formazione dell’accordo
trilaterale assume il significato di assenso alla produzione di un effetto
modificativo. Il corrispettivo non è elemento qualificante la fattispecie, che può
essere a titolo oneroso o gratuito (nulla esclude che il cessionario paghi al
ceduto un compenso affinché non si opponga alla proposta vicenda
modificativa).

L’elemento caratterizzante l’istituto è rappresentato dall’oggetto del


trasferimento, consistente nel passaggio di titolarità della situazione giuridica
sorta dall’intesa originaria.

Il cedente è liberato dalle sua obbligazione verso il contraente ceduto dal


momento in cui la situazione diviene efficace nei confronti di questo; l’effetto
liberatorio opera ex nunc, nei contratti di durata il cedente continua a
rispondere, salvo patto contrario, delle obbligazioni maturate prima della
vicenda traslativa su cui stia indagando.

Il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire


contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte; il
ceduto deve dare notizia al cedente dell’inadempimento del cessionario, entro
quindici giorni dall’istante in cui l’inadempimento di è verificato: in mancanza
è tenuto al risarcimento del danno (ex art. 1408).

Il ceduto può opporre al cessionario le eccezioni fondate sul contratto, ma non


quelle basate sui rapporti personali con il cedente, salvo che ne abbia fatto
espressa riserva al momento in cui ha accettato la cessione. Anche il
cessionario può opporre al ceduto eccezioni radicate dal contratto.

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Art. 1410 c1 cc: il cedente è tenuto a garantire la validità del vincolo, se il
contratto ceduto è nullo o viene annullato o rescisso, la vicenda traslativa resta
indifferente a tali situazioni invalidanti; ciò significa che la cessione del
contratto invalido importa il trasferimento del diritto in caso all’avente causa di
recuperare la prestazione già eseguita dal cedente o da lui stesso. In
alternativa, il cessionario potrà proporre l’azione di risoluzione del contratto di
cessione e il ristoro dei danni patiti pari ai vantaggi conseguibili
dall’adempimento della posizione ceduta.

Se il cedente ha espressamente assunto la garanza dell’adempimento del


rapporto risponderà come fideiussore dell’inadempimento del ceduto (art. 1410
c2).

Le cessioni ex lege

La cessione del contratto può discendere dalla legge; ai sensi dell’art.36


l.392/1978 in tema di locazione d’immobili destinati ad attività d’impresa, il
conduttore può cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del
locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda. Il locatore ha facoltà
di opporsi per gravi motivi.

Art. 2112 cc in caso di trasferimento d’azione il rapporto di lavoro continua con


il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il cedente
ed il cessionario sono obbligati per tutti i crediti che il lavoratore aveva al
tempo del trasferimento.

Se non è stato altrimenti pattuito, l’acquirente dell’azienda subentra nei


contratti stipulati per l’esercizio della stessa che non abbiano carattere
personale. Il terzo può recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del
trasferimento, se sussiste giusta causa.

Art. 39 c1 c. turismo: il turista può sostituire a sé un terzo che soddisfi le


condizioni per la fruizione del servizio ove comunichi per iscritto
all’organizzatore o all’intermediario entro e non oltre quattro giorni lavorativi
prima della partenza, di trovarsi nell’impossibilità di usufruire del pacchetto
turistico. C2: il cedente e il cessionario sono solidamente obbligati nei confronti
dell’organizzatore al pagamento del prezzo e delle spese ulteriori
eventualmente derivanti dalla cessione.

Il contratto a favore del terzo

È ammessa la stipulazione a favore di un terzo qualora lo stipulante vi abbia


interesse (art. 1411 c1 cc). L’interesse può essere anche extrapatrimoniale;
esso serve a definire la causa concreta della fattispecie negoziale: ossia
l’impulso che determina lo stipulante a indirizzare la prestazione dell’obbligato

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nella sfera del beneficiario. La mancanza originaria dell’interesse rende nullo il
contratto quando sia inapplicabile il meccanismo di recupero secondo art. 1411
cu.

Il contratto pro terzo esige la forma scritta a pena di nullità quando abbia ad
oggetto diritti reali su immobili.

Il terzo estraneo alla convenzione stipulata a suo favore viene a trovarsi in una
situazione di puro vantaggio, che deve essere diretto, in quanto le parti hanno
voluto attribuire al terzo la titolarità di un diritto o di una pretesa contro il
promittente.

Il terzo, avvantaggiandosi della prestazione del promittente, diventa


beneficiario di una libertà indiretta; se la prestazione è destinata a estinguere
l’obbligazione dello stipulante verso il terzo, la vicenda va ricondotta alla
delegazione di debito.

La posizione soggettiva del beneficiario è suscettibile di limitazione mediata nel


caso in cui da essa derivino oneri giuridici o fiscali.

È considerato ammissibile il contratto di opzione a favore del terzo, che lo


legittima ad accettare la proposta irrevocabile a suo favore, ferma restando la
responsabilità che ne consegue per l’adempimento degli obblighi ancorati al
vincolo oggetto del rapporto proprietario.

L’accettazione rende soltanto definitivi contenuto ed effetti della convenzione


pro beneficiario, posto che prima di tale istante lo stipulante ha la facoltà di
modificare o revocare la vicenda obbligatoria che lo vincola al promittente.

Il terzo può pretendere dal promittente la prestazione a suo favore in aggiunta


ai danni scaturenti dall’eventuale ritardo; non è necessario evocare in giudizio
anche lo stipulante. Il promittente è tenuto nei confronti dello stipulane a
svolgere l’attività in direzione del terzo; per questo motivo lo stipulante è
legittimato a domandare la condanna all’adempimento dell’obbligato oppure la
risoluzione del contratto, oltre al ristoro dei pregiudizi patrimoniali. Insomma, il
beneficiario, in quanto unico avente titolo alla prestazione dedotta in
obbligazione, è legittimato a proporre tutti i rimedi che l’ordinamento concede
al creditore in ipotesi di violazione della promessa; sottratto il rimedio della
risoluzione poiché questi non ha partecipato al perfezionamento dell’intesa a
suo favore. Si deve semmai escludere che il favorito possa esercitare le azioni
per i vizi della violazione, di rescissione, della frustrazione del fondamento
giudiziale.

Il promittente, ove ne abbia interesse, può opporre al terzo le eccezioni fondate


sul contratto fonte del diritto di credito ma non le doglienze legate ad altri
rapporti tra promittente e stipulante medesimo; tuttavia è ammissibile il patto
contrario.

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In caso di revoca della stipulazione o del rifiuto del terzo di profittare, la
prestazione rimane appannaggio dello stipulante, il quale vede arricchita la
propria posizione, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla
natura del contratto. La revoca e il rifiuto sono atti giuridici unilaterali recettizi
di natura potestativa, da comunicare alle parti in quanto incidono sulla
struttura del rapporto.

Il rifiuto, cagionante la perdita ex tunc di una posizione soggettiva già entrata


nel patrimonio del terzo costituisce la valvola di sicurezza del sistema (consiste
nell’acquisto automatico di una situazione vantaggiosa senza la volontà del
beneficiario ma non contro la sua determinazione), che garantisce la perfetta
coerenza della fattispecie, proiettata ad assicurare al terzo una posizione di
vantaggio e non di debito.

Revoca e modifica rientrano nella categoria delle posizioni soggettive


disponibili, sono suscettibili di anticipata abdicazione da parte del titolare.

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CAP.XXIII - L’INTERPRETAZIONE

La comune intenzione

Nell’interpretare il contratto bisogna indagare quale sia stata la comune


intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, si deve
valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione
del contratto (art.1362 c2).

La norma pone due regole fondamentali per interpretare la volontà delle parti:

• Appurare la loro comune intenzione;

• Accertare tale intenzione può essere tratto da elementi extratestuali,


come il comportamento successivo all’accordo.

La comune intenzione implica che il giudice debba verificare quale è la


funzione pratica dell’accordo ossia la causa dell’intesa; e deve qualificare la
fattispecie contrattuale a prescindere dalla nomen iuris utilizzato dalle parti.

La condotta delle parti può agevolare l’ermeneutica giudiziale, poiché il loro


comportamento precedente o successivo all’accordo può essere utili per trarre
elementi di prova.

Le parti possono anche concordare clausole preordinate a meglio chiarire quale


sua la loro effettiva intenzione.

Canoni interpretativi

Criteri soggettivi FE 00 le clausole del contratto si interpretano per mezzo delle


altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (art.
1363); le espressioni generali sono circoscritte dall’oggetto contrattuale (art.
1364); indicazioni esemplificative non hanno natura tassativa (art.1365).

Criteri oggettivi, danno al contratto il significato più rispondente ai valori di


ragionevolezza e adeguatezza (artt.1367-1370):

- Principio di conservazione del contratto, il regolamento negoziale deve essere


interpretato in modo da assegnare alle sue clausole una funzione applicativa
anziché devitalizzante la finalità empirica;

- Clausole ambigue, interpretate secondo la prassi del luogo dove il contratto è


stato concluso;

- Espressioni polisense, intese nel senso più consentaneo alla teleologia del
singolo contratto;

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- Condizioni generali, interpretate contra proferentem.

Anche la buona fede interpretativa riveste un ruolo importante: anche se


residuano tesi diverse a riguardo per la considerazione che la buona fede ha
nell’interpretazione.

L’interpretazione autentica del testo

Le parti possono ex post stringere un’intesa volta ad attribuire il giusto ed


univoco significato delle clausole contrattuali sulle quali siano sorte questioni
interpretative.

Accordi di questo genere sono tendenzialmente ricondotti nell’area dei negozi


di accertamento, in quanto destinati a risolvere un contratto circa il significato
precettivo da attribuire alla preesistente lex contractus. L’autenticità va intesa
nel senso che sussiste corrispondendo piena tra volontà interpretata e i
soggetti titolari delle situazioni regolate dalla lex contractus, senza che la
simmetria dia assoluta garanzia della corrispondenza tra la volontà originaria e
quella racchiusa nel documento interpretativo.

La definizione dell’interpretazione condivisa dai protagonisti nel negozio serve


a colmare lo iato che separa la lettera del regolamento dall’intenzione delle
parti tramite l’elaborazione di un programma applicativo, cui non si sarebbe
pacificamente giunti a causa dell’imprecisa o equivoca formilazione delle
clausole contessenti il testo autenticamente interpretato.

L’accordo interpretativo, quando abbia ad oggetto atti trascritti, deve essere


annotato.

L’interpretazione autentica vincola il giudice e allo stesso tempo le parti.

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