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DIRITTO CIVILE – LIBRO CALVO VOL.

2 IL CONTRATTO
Disciplina: Il codice prevede la disciplina del contratto al Libro IV chiamato “Delle obbligazioni”. In particolare, esso:
- Libro IV Titolo II disciplina “Dei contratti in generale” (artt. 1321 – 1469 bis)
- Libro IV Titolo III disciplina “Dei singoli contratti” (artt. 1470 – 1986)
Sistematica del codice
Codice del 1865: Già il Codice civile del 1865 conteneva, sullo schema del code Napoléon, una disciplina del
contratto in generale e la conteneva nella parte dedicata a “i modi di acquisto della
proprietà e degli altri diritti sulle cose”.
Perché questa collocazione? C'era stata la rivoluzione industriale e il contratto era visto dal
legislatore come un modo di accesso alla proprietà.
Codice del 1942: Col Codice civile del 1942 invece il legislatore cambia la sistematica perché il contratto viene
inserito nel Libro II “Delle obbligazioni”. Perché? Perché il contratto non è più soltanto visto
come strumento per l'acquisto della proprietà, ma è una vera e propria fonte delle
obbligazioni.
Inserire il contratto nel Libro delle obbligazioni significa il contratto rappresenta la fonte
delle obbligazioni.
Come ha sistemato la disciplina del contratto il legislatore?
Il legislatore ha previsto un sistema a due livelli:
- 1° livello normativo: norme sul contratto in generale (1321 e ss.) applicabile a TUTTI i contratti
- 2° livello normativo: norme sui singoli contratti (1470 e ss.):

Negozio giuridico
Il contratto si inserisce nell’ampia categoria del “negozio giuridico”.
NO codice: Il nostro codice NON accoglie la nozione di negozio giuridico, infatti NON la considera una categoria
normativa.
Dottrina: La categoria del “negozio giuridico” è un istituto di creazione dottrinale: la dottrina italiana ha
creato la categoria del negozio giuridico partendo dalla scuola germanica, la quale ha sempre
riconosciuto tale categoria.
Art. 1324 cc: La dottrina italiana aveva comunque bisogno di un aggancio normativo, cioè di una
norma codicistica dalla quale partire per costruire la categoria del negozio giuridico.
Tale aggancio normativo è stato trovato nell’art. 1324 cc, che afferma: “Tutte le
norme che regolano i contratti si applicano, in quanto compatibili, anche agli atti
unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”.
Minervini: Secondo Minervini, in realtà l’art. 1324 cc dimostra proprio l’inutilità di creare la nuova categoria del
negozio giuridico.
Opinione pacifica: Ad ogni modo, è ormai pacifico che il nostro sistema giuridico accolga ormai la categoria del
negozio giuridico, differenziandola dal contratto:
- negozio giuridico: il negozio giuridico è quella manifestazione di volontà con cui il soggetto o i
soggetti enunciano gli effetti che intendono conseguire che l’ordinamento
riconosce e tutela
Quindi, il negozio giuridico richiede due presupposti:
1) la volontà di compiere l’atto
2) + la volontà della produzione degli effetti
3) struttura almeno unilaterale: il negozio, a differenza del contratto (che
ha una struttura quantomeno bilaterale),
può essere compiuto anche da una sola
parte.
- contratto: per il contratto è sufficiente la SOLA volontà di compiere l’atto, quindi NON è
necessaria anche la volontà della produzione degli effetti.
Infatti, ad es. se una parte non adempie la sua obbligazione, l’altra parte
può intimare per iscritto di pagare avvisandolo che in mancanza comincerà
un processo. Questa è la cd. costituzione in mora del debitore, la quale
produce effetti ex lege automaticamente, a prescindere dal se il creditore
intimante non sapesse, e dunque non volesse, gli effetti.

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CAP.1
NOZIONI INTRODUTTIVE
Definizione di contratto
def. L’art. 1321 cc afferma “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale”
Caratteristiche: Dalla definizione fornita dall’art. 1321 cc ricaviamo le tre caratteristiche del contratto:
1) accordo: rispetto all’elemento dell’accordo, la definizione fornita dell’art. 1321 cc non è una
definizione felice in quanto l’accordo:
- da un lato è considerato un sinonimo di contratto
- dall’altro lato è un elemento essenziale del contratto
2) struttura quantomeno bilaterale: essendo un accordo, il contratto presuppone la presenza di
almeno due parti, quindi si parla di struttura quantomeno
bilaterale (ma può essere anche plurilaterale).
3) patrimonialità: il contratto è diretto a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale. La patrimonialità è un requisito fondamentale del contratto:
se NON c’è patrimonialità = NON c’è contratto.
Che significa “rapporto giuridico patrimoniale”?
Per patrimoniale si intende suscettibile di valutazione economica: suscettibile
di valutazione economica può essere sia la prestazione che la controprestazione,
e non necessariamente entrambi lo sono.
Es. se assisto ad uno spettacolo sportivo, certamente non sono mosso da un
interesse economico (patrimoniale), ma da un mero interesse ricreativo.
Eppure, quando compro il biglietto per assistere allo spettacolo sportivo,
questo è un contratto in quanto è un accordo che serve per regolare un
rapporto giuridico patrimoniale: qui la patrimonialità sta nel fatto che
suscettibile di valutazione economica è la controprestazione,
NON la prestazione.
Gli elementi del contratto
Parte della dottrina italiana, sulla falsariga della classificazione germanica del negozio, afferma che gli elementi che
compongono il contratto sono idealmente scomponibili in:
1) elementi essenziali: sono quegli elementi richiesti necessariamente per la validità del contratto.
Essi sono: accordo, oggetto, causa e forma.
Se manca uno di questi elementi, il contratto è invalido.
2) elementi accidentali: sono quegli elementi che le parti possono inserire all’interno del contratto
sottoforma di clausole, ma comunque NON incidono sulla validità del contratto:
se mancano, il contratto è comunque valido. Essi sono: condizione, termine, modus.
3) elementi naturali: sono quegli elementi previsti dalle norme giuridiche come effetti naturali che
scaturiscono naturalmente dal tipo di contratto stipulato, a meno che le parti
non stabiliscano diversamente.
Es. se Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita e nulla statuiscono in tema di
vizi della cosa venduta, allora si applicheranno naturalmente le norme (artt. 1490 e
ss.) che prevedono la garanzia del venditore in presenza di vizi.
Minervini avverte: dal punto di vista scientifico questa tripartizione non ha un grosso valere, però è opportuna tenerle
a mente perché Calvo la richiama spesso. Ad ogni modo, il codice NON riporta questa tripartizione.

Struttura del contratto. La direzione degli effetti


Nella prassi è molto diffusa una distinzione - che anche il manuale di Calvo adotta - tra contratti unilaterali, bilaterali o
plurilaterali: è una distinzione che utilizza una terminologia piuttosto equivoca. Perché? Partiamo da una premessa
perentoria: il contratto ha SEMPRE una struttura quantomeno bilaterale, perché altrimenti non si parlerebbe di
“accordo tra due o più soggetti”.
Bisogna distinguere tra:
- struttura del contratto: può essere bilaterale o plurilaterale
- direzione degli effetti contrattuali: può essere unilaterale o plurilaterale.

Contratto bilaterale e plurilaterale: Riguardo alla struttura delle parti del contratto, il contratto può essere:
- bilaterale: il contratto è bilaterale quando ha due parti contrattuali
- plurilaterale: il contratto plurilaterale è quel contratto che ha più di due parti
contrattuali.

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Contratti unilaterali: I contratti unilaterali (o contratti con obbligazioni in capo al solo proponente) ex art. 1333 cc
sono quei contratti che si CONTRAPPONGONO ai contratti sinallagmatici (detti a prestazioni
corrispettive).
I contratti unilaterali che hanno le seguenti caratteristiche:
1) hanno una struttura bilaterale o plurilaterale: altrimenti non si parlerebbe di contratto,
perché il contratto è l’accordo tra due o più
soggetti.
2) MA tra le prestazioni NON c’è nesso sinallagmatico: le obbligazioni sorgono a carico di
una sola parte contrattuale, quindi
gli effetti contrattuali hanno
un’unica direzione, quindi sono a
favore soltanto di una parte.
Esempi di contratto unilaterale sono: deposito gratuito; mutuo; fideiussione; comodato;
donazione.
Distinzione: Se è vero che anche il contratto unilaterale ha una struttura quantomeno bilaterale,
allora capiamo la differenza tra:
- contratto unilaterale: ha una struttura quantomeno bilaterale (o plurilaterale)
- atto unilaterale: è un negozio giuridico (e NON un contratto) che NON richiede
necessariamente una struttura bilaterale, potendosi perfezionare
anche grazie alla dichiarazione di volontà di una sola parte.
Es. procura; testamento; convalida.
Contratti sinallagmatici: I contratti sinallagmatici, detti anche contratti a prestazioni corrispettive, sono quei contratti
che si CONTRAPPONGONO ai contratti unilaterali.
Il sinallagma è un elemento costitutivo implicito dei contratti sinallagmatici: per
sinallagmaticità (o corrispettività) si intende quel nesso sinallagmatico di
interdipendenza che lega la prestazione di una parte alla controprestazione
dell’altra parte.
Esempi: compravendita; locazione, contratto di lavoro subordinato.
Tipi di sinallagma: Nell’ambito del sinallagma contrattuale, si distinguono due momenti del
rapporto sinallagmatico:
- sinallagma genetico: il sinallagma genetico è quel nesso di interdipendenza
originario iniziale tra le prestazioni, quindi con riferimento al
momento della nascita del rapporto contrattuale (perciò
genetico) = al momento della conclusione del contratto.
In caso di impossibilità iniziale di una prestazione,
il contratto è nullo.
- sinallagma funzionale: il sinallagma funzionale è quel nesso di interdipendenza tra
le prestazioni che:
- NON attiene al momento della nascita del rapporto
- ma attiene al tempo di svolgimento del rapporto
contrattuale.
In caso di alterazione del sinallagma funzionale, il codice
prevede due tipi di tutele:
- l’eccezione di inadempimento
- la risoluzione del contratto.

Effetti del contratto: contratti obbligatori – contratti ad effetti reali


Sul piano della EFFICACIA del contratto, per effetti contrattuali si intendono le conseguenze materiali e giuridiche
che il contratto produce sul rapporto giuridico patrimoniale di riferimento: creandolo, modificandolo o estinguendolo.
In base agli effetti contrattuali si distingue tra:
- contratti ad effetti obbligatori: i contratti obbligatori (o ad effetti obbligatori) sono quei contratti fonti di
obbligazioni, quindi diretti a creare rapporti di obbligazione A PRESCINDERE
da eventuali effetti reali che possano scaturire.
Es. la vendita di cosa altrui; la vendita di cosa generica; ecc.
Stando all’art. 1173 cc, che in generale afferma “Le obbligazioni derivano
da contratto, da fatto illecito, …”, si può affermare che tutti i contratti
hanno un’efficacia obbligatoria di base, cui può aggiungersi un'efficacia
reale se sono integrati i requisiti di cui all'art. 1376 cc.

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- contratti ad effetti reali: l’art. 1376 cc afferma che i contratti a effetti reali sono quei contratti che hanno ad
oggetto:
a) la costituzione o il trasferimento di diritti reali:
- il diritto di proprietà di una cosa determinata
- usufrutto - servitù - uso - pegno - ipoteca - ecc.
b) la costituzione o il trasferimento di altri tipi di diritti diversi da quelli reali.

Il momento del perfezionamento del contratto. Il principio consensualistico


Per momento perfezionativo del contratto si intende il momento in cui il contratto è concluso e quindi è in grado di
produrre i suoi effetti. Quindi perfezionamento del contratto = conclusione del contratto = produzione degli effetti.
Sono tutti sinonimi per indicare lo stesso fenomeno.
In base al momento perfezionativo del contratto possiamo distinguere tra:
- contratti consensuali: il nostro ordinamento è di regola informato al principio consensualistico, detto anche
consenso traslativo. In virtù di tale principio, il contratto si perfeziona col mero
consenso delle parti legittimamente manifestato, quindi è sufficiente il solo accordo
tra le parti affinché il contratto produca immediatamente gli effetti.
• Il principio consensualistico nei contratti ad effetti reali
I contratti ad effetti reali rientrano nella categoria dei contratti consensuali, operando il
principio consensualistico.
Infatti, l’art. 1376 cc afferma che nei contratti ad effetti reali, la costituzione del diritto
reale (o di altro diritto) o il suo trasferimento avviene per effetto del solo consenso
delle parti legittimamente manifestato.
Esempio: Tizio (venditore) vende a Caio un orologio costoso. Nel momento in cui si
stringono le mani, concludono l’accordo, quindi il contratto di
compravendita è in questo momento che si conclude (perfeziona): è
adesso che la proprietà dell’orologio passa dalla sfera del venditore Tizio
alla sfera dell’acquirente Caio.
Perciò, quando dopo 10 minuti o 6 mesi il venditore consegnerà
materialmente l’orologio a Caio e Caio pagherà il prezzo, questi sono
meri adempimenti esecutivi del contratto già perfezionato, quindi già
produttivo di effetti da prima.
- contratti reali: i contratti reali costituiscono una ECCEZIONE al principio consensualistico. Perché?
I contratti reali si perfezionano:
- NON per effetto del consenso delle parti (perché NON opera il principio consensualistico)
- ma al momento della consegna della cosa oggetto del contratto: si parla di traditio, cioè
consegna della res.
Quindi, per il perfezionamento dei contratti reali occorrono due requisiti:
1) il consenso delle parti legittimamente manifestato
2) + la consegna materiale della cosa oggetto del contratto: nei contratti reali, la consegna
della cosa:
- NON è un mero atto di adempimento
della prestazione
- ma ha natura costitutiva: fino a che non
avviene la consegna,
il contratto non è
concluso.
Esempi di contratti reali: mutuo – comodato – deposito – pegno.
ATTENZIONE: NON bisogna confondere i contratti reali con i contratti ad effetti reali
• Oltre ai contratti reali ci sono altre eccezioni al principio consensualistico: sono le ipotesi di contratti ad effetti
obbligatori quando l’effetto traslativo:
- NON avviene per effetto del solo consenso delle parti (proprio perché NON opera il principio consensualistico)
- ma è sospeso in quanto è richiesto un evento ulteriore:
a) se il contratto ha ad oggetto una cosa generica  l’effetto traslativo della proprietà
avverrà SOLO al momento della esatta
individuazione del bene fatta tra le parti
nei modi stabiliti.
Es. in caso di vendita di 1 quintale di uva: qui la
proprietà (il trasferimento della proprietà

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dell’uva) si trasferirà NON al momento del
consenso delle parti, ma solo al momento
della esatta individuazione dell’uva.
b) se il contratto ha ad oggetto una cosa futura  l’effetto traslativo della proprietà avverrà
SOLO al momento della venuta ad
esistenza della cosa.
c) se il contratto ha ad oggetto una cosa altrui  l’effetto traslativo della proprietà avverrà
SOLO al momento dell’acquisto della
proprietà da parte del venditore.
Altre classificazioni dei contratti
Contratti a titolo gratuito: Il contratto è a titolo gratuito quando:
1) lo spostamento patrimoniale avviene SENZA una controprestazione dell’altra parte
(cd. beneficiario)
2) NO causa liberale = NO spirito di liberalità, cioè tale spostamento patrimoniale
NON è motivato da un proposito liberale,
perché comunque il trasferente è mosso da
un interesse indirettamente patrimoniale.
3) il beneficiario ha comunque sempre la possibilità di rifiutare l’attribuzione gratuita.
Es. il giovane violinista che si esibisce gratuitamente per uno spettacolo, al fine di farsi
pubblicità. Il “ritorno pubblicitario” rappresenta un valido interesse patrimoniale.
Es. la fideiussione gratuita.
Contratti liberali: I contratti a titolo gratuito NON vanno confusi con i veri e propri contratti liberali.
Il contratto liberale è quello avente una causa liberale, cioè quando:
1) lo spostamento patrimoniale avviene SENZA una controprestazione dell’altra parte (beneficiario)
2) SI causa liberale = spirito di liberalità, cioè tale spostamento patrimoniale avviene per spirito
(animus donandi) di liberalità, nel senso che il trasferente NON ha alcun
interesse patrimoniale: il suo scopo è meramente quello
di arricchire l’altro per ragioni di generosità, altruismo,
riconoscenza, SENZA alcun interesse patrimoniale.
Ecco perché si parla di animus donandi.
3) il beneficiario ha comunque sempre la possibilità di rifiutare l’attribuzione gratuita.
Es. esempio tipico di contratto liberale è la donazione.
Contratti a titolo oneroso: In contrapposizione ai contratti a titolo gratuito vi sono i contratti a titolo oneroso.
Nei contratti onerosi, alla diminuzione patrimoniale che una parte subisce adempiendo la
propria prestazione corrisponde un vantaggio patrimoniale che la stessa parte consegue
ricevendo la controprestazione della controparte.
Es. nel contratto di compravendita, chi vende subisce una diminuzione patrimoniale perché
si priva del bene, ma si avvantaggia perché riceve il prezzo come controprestazione.
NO codice: Nel codice NON troviamo la dicitura “contratti a titolo oneroso”.
Dottrina: In dottrina è discusso se contratti a titolo oneroso e contratti a prestazioni
corrispettive siano sinonimi.
Minervini: Probabilmente NON sono sinonimi perché esistono fattispecie in cui
le due definizioni non combaciano.
Es. il mio immobile vale un milione di euro ma lo vendo a 1 euro.
In questo caso ho una compravendita mista a donazioni, che è un
contratto a prestazioni corrispettive ma, data la clamorosa
sproporzione tra prestazione, catalogabile qui come atto a titolo
gratuito.
Contratti istantanei e di durata: Infine si distingue tra:
- contratti istantanei: sono quei contratti in cui l’adempimento delle prestazioni si
esaurisce nel compimento di un solo fatto in un unico momento,
che può essere simultaneo alla conclusione del contratto o anche
successivo.
Nell’ambito dei contratti istantanei si distingue tra:
- ad esecuzione immediata: quando l’adempimento delle
prestazioni si esaurisce in un unico
momento al momento della stipula
del contratto. Es. compravendita.

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- ad esecuzione differita: quando l’adempimento delle prestazioni
si esaurisce in un unico momento
ma successivo rispetto alla stipula del
contratto.
Es. cessione dei contratti.
- contratti di durata: sono quei contratti le cui l’adempimento delle prestazioni si sviluppa
nel tempo, essendo destinate ad appagare interessi durevoli delle parti.
Es. i contratti di appalto, di locazione.
Nell’ambito dei contratti di durata si distingue tra:
- ad esecuzione continuata: qui le prestazioni sono continuate nel
tempo. Es. locazione, assicurazione.
- ad esecuzione periodica: qui le prestazioni vengono ripetute nel
tempo in maniera non continuata,
ma osservando intervalli di tempo
regolari. Es. il contratto di lavoro.
Ci sono poi contratti particolari che presentano da un lato una
prestazione ad esecuzione continuata e dall’altro una
prestazione ad esecuzione periodica.
Es. contratto di somministrazione di energia elettrica: da un lato
colui che distribuisce energia elettrica si obbliga a fornire
energia elettrica continuativamente all’utente, e dall’altro lato
l’utente ha una obbligazione periodica ogni 2 mesi di pagare
la bolletta.

L’AUTONOMIA (LIBERTÀ) CONTRATTUALE CAP.2


Calvo descrive il diritto privato come il regno della libertà di autodeterminarsi per i consociati.
All’interno del diritto privato, l’autodeterminazione dei singoli domina sovrana in virtù del principio di autonomia
contrattuale.
Nozione: Il contratto è un atto di autonomia privata.
L’autonomia contrattuale privata è intesa come libertà contrattuale, cioè come potere dei privati di
operare liberamente le proprie scelte nel mercato, quindi come il potere di ogni consociato di:
- poter decidere se stipulare un contratto
- poter scegliere la controparte con cui stipulare un contratto
- poter scegliere il tipo contrattuale o un modello atipico, e il contenuto del regolamento di interessi
Art. 1322 cc: L’art. 1322 cc, rubricato proprio “Autonomia contrattuale”, afferma:
- comma 1: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti
dalla legge [41 Cost.]”.
Il primo profilo dell’autonomia contrattuale è individuato dal comma 1 e attiene al
contenuto del contratto: le parti sono libere di scegliere:
- SE concludere un contratto
- CON CHI concludere un contratto
- COME determinare il contenuto di un contratto.
Limite: La libertà contrattuale NON è sconfinata, ma deve avvenire comunque nei limiti
imposti dalla legge (norme imperative, ordine pubblico e buon costume).
- comma 2: Il secondo profilo dell’autonomia contrattuale è individuato dal comma 2 e attiene
al tipo di contratto: le parti sono libere di adottare:
- uno dei tipi contrattuali disciplinati dalla legge (i cd. contratti tipici)
- ma sono anche liberi di creare nuovi contratti (i cd. contratti atipici o innominati),
cioè contratti che non appartengono ai tipi disciplinati dal codice,
PURCHÉ siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico.
Art 1323 cc: “Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono
sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”
La disciplina sul contratto in generale si applica a TUTTI i contratti:
- sia ai contratti ATIPICI (o innominati)

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- sia ai contratti TIPICI: se il contratto è tipico, allora gli si applicherà:
- la disciplina generale de “Del contratto in generale”
- la disciplina specifica di quel singolo tipo contrattuale prevista ne “Dei
singoli contratti”
Es. contratto di compravendita: questo contratto è disciplinato dalle norme
sul contratto in generale + dalle norme sul
contratto di compravendita.
Con una particolarità: dato che le norme sulla compravendita sono speciali
rispetto alla disciplina sul contratto che è generale, l’interprete dovrà
applicare prima le norme speciali, perché queste prevalgono su quelle
generali, e, soltanto ove le norme speciali non dispongano, allora si
applicherà la parte generale sul contratto.
Art. 1324 cc: “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili,
per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”.
L'art. 1324 allude ai negozi giuridici unilaterali, con la sola limitazione che deve trattarsi di atti a
contenuto patrimoniale, per un maggiore ravvicinamento al contratto.
Tra gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale abbiamo:
- la procura
- l’autorizzazione
- la promessa unilaterale
- gli atti che provocano estinzione di rapporti (pagamento, recesso, disdetta).

Il valore costituzionale dell’autonomia contrattuale


Domanda: il principio di autonomia contrattuale è previsto in Costituzione?
NO, in Costituzione NON c’è alcuna norma che tuteli direttamente la libertà (autonomia) contrattuale.
TUTTAVIA, la Corte costituzionale con sentenza costituzionale 37/1969 ha affermato: l’autonomia contrattuale:
- è vero che NON riceve una tutela diretta dalla Costituzione
- ma riceve una tutela indiretta dagli artt. 41 – 42 Cost., quindi l’autonomia contrattuale gode,
seppur di riflesso, di una tutela indiretta.
Ricordiamo che:
- art. 41 Cost.: afferma che l’iniziativa economica privata è libera
- art. 42 Cost.: tutela la proprietà privata. Tutelando la proprietà privata,
chiaramente si tutela anche la libertà dei privati di
acquistare la proprietà stessa.

Legislazione antimonopolistica
Naturalmente, in un ordinamento in cui gioca un ruolo fondamentale l’autonomia contrattuale, non meraviglia che
vi sia una legislazione antimonopolistica (cd. disciplina antitrust) al fine di contrastare il formarsi di monopoli.
Perché? Perché i monopoli contrastano (devitalizzano) la libertà contrattuale, dunque è importante che l’ordinamento
prevede una disciplina antitrust per arginare la formazione dei monopoli.
Proprio a tale scopo, la L. 287/1990 ha previsto una disciplina antitrust:
- art. 2 vieta a pena di nullità le intese tra imprese volte a impedire, restringere o falsare il gioco della
concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante
- art. 3 vieta l’abuso di posizione dominante che si concreta in una delle seguenti condotte:
a) imporre prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni ingiustificatamente gravose
b) impedire o limitare la produzione o gli accessi al mercato
c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse
per prestazioni equivalenti.

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CAP.3

L’ASIMMETRIA CONTRATTUALE: DAL LIBERO CONTRATTO


AL CONTRATTO NON NEGOZIATO
I grandi ostacoli alla autonomia contrattuale sono rappresentati non soltanto dal formarsi di monopoli, ma anche da
un altro fenomeno: la disparità di potere contrattuale tra i contraenti.
Quando parliamo di autonomia contrattuale, noi siamo abituati a pensare al classico contratto come il prodotto frutto
di trattative tra parti dotate di una eguale forza contrattuale.
TUTTAVIA, ciò non solo non rappresenta l’intero universo contrattuale, ma addirittura è un modello che sta
diventando sempre più recessivo: oggi infatti hanno acquisito sempre più spazio i contratti cd. di massa o standard,
che rappresentano il regno della ASIMMETRIA CONTRATTUALE.
Come e perché si è arrivati al fenomeno della asimmetria contrattuale?
Procediamo per tappe:
- 1° tappa: economia agricola e codice del 1942
Partendo del codice del 1942, questo fornisce una impostazione tradizionale di contratto,
imperniata su due dogmi:
- il dogma della volontà
- il dogma della parità di potere contrattuale tra i contraenti.
In questo modello di economia, l’idea era che il contratto fosse sempre stipulato all’esito di
trattative tra soggetti dotati di eguale forza contrattuale.
- 2° tappa: le trasformazioni economiche
Tuttavia, nel corso del tempo quest’idea tradizionale che il contratto fosse sempre il frutto
di trattative tra parti dotate di eguale forza contrattuale è stata rivalutata.
Perché? Perché nel tempo è mutato il quadro economico:
- si è passati da un’economia agricola ad un’economia industriale di produzione di massa
- è accresciuta l’esigenza di erogare beni e servizi ad una massa indistinta di consumatori
- sono cresciute le interazioni economiche dovute principalmente a fenomeni di
concorrenza, globalizzazione, di e-commerce.
Alla luce di queste trasformazioni economiche e di queste nuove esigenze da soddisfare, la dottrina e
la giurisprudenza contemporanea hanno avvertito la necessità di adeguare la disciplina generale
del contratto alla realtà concreta che era notevolmente cambiata rispetto al 1942.
Ecco allora che si è delineata la categoria dei “contratti asimmetrici” o “contratti di massa (o
standard)”, cioè quei contratti stipulati tra parti contrattuali fisiologicamente asimmetriche a causa
delle diverse possibilità di forza informativa, economica e/o relazionale.
Esigenze: La contrattazione di massa nasce in quanto legata a due esigenze da soddisfare nella nuova realtà
economica:
- 1° esigenza: snellire il procedimento di
formazione del contratto: perché? Perché rispetto all’erogazione di beni e servizi di
massa vi è l’esigenza di speditezza (celerità) nella
conclusione del contratto per non rallentare/bloccare il
mercato, il che è possibile soltanto velocizzando la fase delle
trattative.
- 2° esigenza: uniformare il trattamento contrattuale: l’altra esigenza da soddisfare è garantire che i
contratti siano uniformi, cioè impostati in base ad
un trattamento uniforme.
Tale esigenza ovviamente contrasta col fatto che il
singolo si metta a negoziare di volta in volta
il contenuto del contratto.
Codice civile del 1942
Prima di vedere come si è sviluppata la disciplina dei contratti di massa dopo le trasformazioni economiche verificatesi
dopo il 1942, vediamo la disciplina del Codice civile del 1942. E perché? Perché, nonostante tutto, il fenomeno della
contrattazione di massa (contratti standard o contratti per adesione) era già stato intuito dal legislatore del 1942.
Infatti, già nel 1942 il legislatore italiano si era accorto che esistevano situazioni in cui i contraenti NON erano dotati di
eguale forza contrattuale ma c’era disparità di forza contrattuale tra i contraenti, essendoci:
- una parte contrattuale forte che aveva la forza contrattuale di predeterminare unilateralmente le condizioni
generali del contratto
- e una parte contrattuale debole che: - NON aveva il potere di predisporre né di modificare le condizioni
contrattuali poste dalla parte contrattuale forte
- ma si trovava nella mera posizione di accettare o non accettare.

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Es. l’acquisto di un biglietto del treno: il soggetto non aveva il potere di
trattare il prezzo del biglietto; non aveva il potere di cambiare orari dei
treni; non aveva il potere di cambiare tratta.
E allora, il Codice civile italiano del 1942 è stato il primo codice al mondo a porsi il problema dei contratti di massa,
preoccupandosi di offrire una tutela al contraente debole.
Il fenomeno della contrattazione asimmetrica trovò spazio in tre norme del Codice civile sin dal 1942:
- art. 1341: condizioni generali del contratto
- art. 1342: contratti stipulati mediante moduli e formulari
- art. 1370: interpretazione contro l’autore della clausola
Queste norme sono il primo germe dell’asimmetria contrattuale riconosciuta dal legislatore italiano.
Codice del consumo: Nel 2005, col D. Lgs. 206/2005 è stato poi creato il Codice del consumo che ha disciplinato in
modo molto più completo e specifico il fenomeno dell’asimmetria contrattuale e i contratti del
consumatore, offrendo tutele più aggiornate e penetranti per il contraente debole.

Art. 1341 cc: Condizioni generali del contratto


Terminologia: Il Codice civile individua il fenomeno dell’asimmetria contrattuale:
- NON facendo ricorso alla terminologia “contratti di massa” o “contratti standard”
- ma utilizzando l’espressione “condizioni generali del contratto”.
Modo di formazione del contratto: Le condizioni generali del contratto:
- NON definiscono un nuovo tipo contrattuale
- ma delineano un modo di formazione dei contratti di massa (o standard).
Nozione: Le condizioni generali del contratto delineano un modo di formazione dei contratti di massa (o standard),
cioè si tratta di condizioni contrattuali predisposte unilateralmente dalla parte contrattuale forte
(cd. predisponente) per disciplinare in modo uniforme una serie indefinita di rapporti contrattuali con la
generalità dei contraenti aderenti (clienti), che sono la parte contrattuale debole.
Requisiti: Si parla di condizioni generali del contratto quando le condizioni del contratto hanno due
caratteristiche:
1) predisposizione unilaterale ad opera
della parte contrattuale forte: le condizioni contrattuali sono stabilite unilateralmente dalla
parte contrattuale forte, per l’appunto detta predisponente.
NO limitazione dell’ambito
soggettivo: Il Codice civile, a differenza del Codice
del consumo, NON circoscrive quale
qualifica soggettiva debba avere il
predisponente.
Può trattarsi di un imprenditore, ma
può trattarsi anche ad es. di un grande
libero professionista (es. avvocato) che
è solito predisporre condizioni generali
del contratto ai suoi assistiti (clienti).
2) sono idonee a disciplinare la generalità
dei rapporti contrattuali: le condizioni contrattuali predisposte dalla parte
contrattuale forte rientrano nella categoria “condizioni
generali del contratto” se sono destinate a disciplinare in
modo uniforme una serie indefinita di rapporti
contrattuali con una massa indistinta di consociati.
Efficacia: Finora abbiamo le caratteristiche affinché possa parlarsi di condizioni generali del contratto.
Ora invece vediamo i requisiti di efficacia delle condizioni generali di contratto.
Per l’efficacia delle condizioni generali del contratto il comma 1 dell’art. 1341 IMPONE UN DOPPIO ONERE:
1) un onere di conoscibilità in capo al predisponente: le condizioni generali del contratto sono efficaci
SOLO SE il predisponente le ha rese normalmente
conoscibili all’aderente.
Che significa “conoscibili”? Il requisito della conoscibilità è
soddisfatto quando le condizioni
generali del contratto sono racchiuse
in un testo comprensibile e intellegibile.
Es. Trenitalia, per rendere conoscibili le sua condizioni
generali di trasporto, affigge un cartellone davanti ai

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tabelloni in cui elenca tutte le sue condizioni generali
di trasporto.
2) un onere di diligenza in capo all’aderente: le condizioni generali del contratto sono efficaci SOLO SE
l’aderente:
- le ha concretamente conosciute
- o avrebbe dovuto conoscere usando la diligenza
ordinaria perché erano comunque conoscibili.
La valutazione della conoscibilità
secondo il parametro dell’ordinaria
diligenza: Per valutare il requisito della conoscibilità
si deve far riferimento al parametro
dell’ordinaria ordinaria, cioè si deve far
riferimento all’astratto contraente medio
di normale diligenza, cioè ciò che è
normale attendersi dalla massa degli
aderenti.
In virtù di ciò, si ESCLUDE che all’aderente si
richieda un particolare sforzo di diligenza.
NO conoscenza effettiva: Da queste due condizioni di efficacia delle condizioni generali del contratto
comprendiamo che:
- NON rileva la concreta conoscenza effettiva delle condizioni generali
- ma è sufficiente la conoscibilità astratta.
Se le condizioni generali del contratto sono state rese conoscibili dal
predisponente, allora l’aderente NON potrà dolersi di averle trascurate,
dato che la legge impone all’aderente un onere di normale diligenza il cui
mancato adempimento è imputabile al solo aderente in virtù del principio di
autoresponsabilità.
Effetti della mancata conoscibilità: Cosa accade laddove le condizioni generali di contratto non siano state rese
conoscibili dal predisponente all’aderente che, pur utilizzando l’ordinaria diligenza
per conoscerle, non sia stato in grado di conoscerle?
In caso di mancanza di conoscibilità delle condizioni generali del contratto:
- dottrina minoritaria: le condizioni generali non rese conoscibili sono NULLE, potendosi
applicare l’art. 1419 (nullità parziale)
- dottrina maggioritaria: le condizioni generali non rese conoscibili sono INEFFICACI.
Perché? La dottrina maggioritaria ritiene che la mancata
conoscibilità delle condizioni generali del contratto:
- NON comporti la nullità di esse, perché la nullità presupporrebbe che le
condizioni generali del contratto non conoscibili comunque siano
entrate a far parte del contenuto del contratto. Ma non è così.
- ma comporti la INEFFICACIA: le condizioni generali non conoscibili sono
inefficaci perché:
- NON entrano a far parte del contenuto del
contratto
- NON producono effetti nei confronti
dell’aderente
- sono semplicemente espulse dal contenuto
del contratto.
Inoltre, si ritiene si tratti di inefficacia assoluta, quindi rilevabile sia dalle
parti che d’ufficio.
Onere probatorio: In caso di processo, è a carico del predisponente che intende avvalersi delle
condizioni generali di contratto l’onere di provare la conoscibilità o la
concreta conoscenza che aveva l’aderente delle condizioni generali del
contratto.
Art. 1342 cc: Moduli e formulari
Il successivo art. 1342 cc disciplina i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli e formulari, predisposti per
disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali.
Nella prassi il sistema più diffuso per rendere conoscibili le condizioni generali di contratto è inserirle per iscritto in
moduli e formulari. È una possibilità che il predisponente sfrutta spesso nella prassi (NON è una regola comunque).

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Es. moduli e fac-simile, in cui il cliente si limita sostanzialmente a riempire i punti del modulo che sono lasciati in
bianco: nome, cognome, codice fiscale, ecc.
Clausole aggiunte: Se sono state aggiunte delle clausole rispetto al modulo/formulario standard, allora tali clausole
aggiunte prevalgono sulle clausole standard del modulo/formulario laddove esse siano
incompatibili con esse.
Perché? Perché la volontà particolare dei contraenti racchiusa nella clausola
aggiunta prevale sulla volontà del predisponente contenuta nel modulo
o formulario.

Art. 1370 cc: Interpretazione delle condizioni generali del contratto


L’ultima norma prevista dal Codice civile del 1942 sulle condizioni generali del contratto nel tentativo di tutelare la
parte debole (= l’aderente) è una norma contenuta in sede di interpretazione ed è l’art. 1370 cc: l’interpretazione
contro l’autore della clausola.
L’art. 1370 cc afferma: se una clausola prevista tra le condizioni generali di contratto è dubbia o ambigua, allora
tale clausola va intrepretata nel senso più favorevole all’aderente.

LE CLAUSOLE VESSATORIE
Fonte: Art. 1341 comma 2 cc
Ratio storica: In tema di contrattazione asimmetrica e di contratti di massa (o standard), già il legislatore del 1942 si
rese conto che alcune condizioni generali del contratto potevano essere particolarmente gravose per
l’aderente (parte debole): si parla delle clausole cd. vessatorie.
NO codice: Il Codice civile: - NON utilizza la locuzione “clausola “vessatoria”
- NON dà una definizione di clausola vessatoria
Quindi ATTENZIONE: è la dottrina ad utilizzare la locuzione “clausole vessatorie”, ma
NON è il legislatore che lo utilizza.
Definizione in dottrina: Se il codice tace sulla definizione di clausola vessatoria, allora è la dottrina che è intervenute
per fornire una definizione di clausola vessatoria: la clausola vessatoria è quella clausola,
rientrante tra le condizioni generali del contratto, che prevede un forte squilibrio tra le parti,
ponendo delle condizioni particolarmente favorevoli al predisponente ma
contemporaneamente particolarmente gravose (onerose) per l’aderente.
Requisito della “specifica approvazione per iscritto”
Per le clausole vessatorie previste dal comma 2 dell’art. 1341 NON è sufficiente il solo requisito della conoscibilità
secondo il parametro della ordinaria diligenza, ma è necessario un ulteriore requisito: la specifica approvazione per
pena
iscritto da parte dell’aderente. inefficacia
Quindi le clausole vessatorie sono efficaci SOLO se specificamente approvate per iscritto dall’aderente. delle
Ecco perché si parla del fenomeno della cd. doppia sottoscrizione, cioè l’aderente che accetta condizioni generali del clausole
contratto e clausole vessatorie, è chiamato a sottoscrivere due volte il contratto:
1) una 1° sottoscrizione per l’accettazione del contratto nella sua interezza
2) una 2° sottoscrizione per la specifica approvazione della/e singola/e clausola/e vessatoria/e.
Se ci sono più clausole vessatorie, ovviamente è sufficiente una
sola sottoscrizione con una dichiarazione che le raggruppi (cd.
sottoscrizione globale), non essendo necessari sottoscrivere ogni
singola clausola vessatoria.
Ratio: Perché è previsto questo requisito della specifica approvazione per iscritto?
Il legislatore del 1942 ha così ragionato: in presenza di clausole particolarmente sfavorevoli per l’aderente,
dobbiamo richiamare la sua attenzione sulle conseguenze che gli possano derivare da queste specifiche
clausole vessatorie. Con il requisito della necessaria specifica approvazione per iscritto, l’aderente quantomeno
dovrà leggere queste clausole prima di sottoscriverle, e quindi in teoria dovrebbe renderlo più consapevole
della portata vessatoria della clausola, sterilizzando così il cd. effetto sorpresa.
È un requisito di forma. Tutela inadeguata: Questo requisito della specifica approvazione per iscritto è un requisito di
forma che, in quanto tale, offre una tutela che però è meramente formale
all’aderente, NON anche sostanziale.
Perché? Perché, in quanto mero requisito di forma, la specifica approvazione per
iscritto significa accettazione della clausola vessatoria A PRESCINDERE dal
se l’aderente abbia piena consapevolezza della portata della clausola
vessatoria.

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Quindi, col requisito della specifica approvazione per iscritto, la “tutela” offerta dal
codice all’aderente è in realtà una tutela meramente formale, priva di tutela
sostanziale, perché comunque:
- NON si evita la vessatorietà perché la clausola vessatoria era e resta vessatoria,
- NON si combatte l’iniquità della clausola vessatoria
- semplicemente si sterilizza il cd. effetto sorpresa.
In realtà, a ben vedere, la specifica approvazione per iscritto non è in grado
nemmeno di sterilizzare l’effetto sorpresa, perché l’esperienza pratica ha
dimostrato che l’aderente sottoscrive come se fosse una sorta di automatismo
stimolato dalla sottoscrizione “principale”: l’aderente che stipula il contratto
contenente una clausola vessatoria, approva la clausola vessatoria pur di
sottoscrivere l’intero contratto (perché a lui interessa l’intero contratto), quindi alla
fine nemmeno si rende conto della portata delle clausole vessatorie in esso
contenute.
Ecco allora che la tutela codicistica per l’aderente si rivela una tutela meramente
formale, inadeguata a garantire davvero l’aderente.
Come vedremo, soltanto il Codice del consumo sarà in grado di offrire una tutela
sostanziale e forte all’aderente.
Effetto della mancanza approvazione per iscritto: L’art. 1341 comma 2 afferma che se la clausola vessatoria non è
specificamente approvata per iscritto dall’aderente, allora tale
clausola “non ha effetto”.
Che significa “non ha effetto”? Su questa locuzione c’è stato molto dibattito:
- tesi minoritaria: la clausola vessatoria non approvata specificamente per iscritto
dall’aderente è nulla.
Perché? Perché verrebbe meno un requisito di forma (l’approvazione per
iscritto) rispetto a quella specifica clausola.
- tesi maggioritaria: l’opinione preferibile invece ritiene che la clausola vessatoria non
approvata specificamente per iscritto dall’aderente è INEFFICACE.
Perché? Comprendere se si tratti di nullità o di inefficacia è un problema teorico che può avere delle
rilevanti conseguenze pratiche, anche gravi, rispetto al contraente aderente (parte debole), perciò è
importante capire le motivazioni che portano a preferire la tesi della inefficacia. Perché?
- affermare che si tratti di nullità complica il discorso perché bisognare considerare che nel nostro codice
l’art. 1419 comma 1, che disciplina la nullità parziale, prevede che in caso
di nullità di una clausola del contratto:
- SE risulta che la clausola era essenziale per i contraenti, ALLORA la
applicazione della nullità parziale nullità della singola clausola si propaga all’intero
e rischio di estendere la nullità all' contratto, quindi è nullo TUTTO il contratto
intero contratto
- SE risulta che la clausola NON era essenziale per i contraenti,
ALLORA è nulla soltanto la singola clausola
Ora, il punto è: se si ritiene che alla mancata approvazione per iscritto di
una clausola vessatoria si debba applicare la disciplina della nullità parziale
ex art. 1419 comma 1, allora si correrebbe un grossissimo rischio: se quella
clausola vessatoria era essenziale per i contraenti, allora la nullità di quella
clausola si propagherà all’intero contratto, quindi tutto il contratto sarà
dichiarato nullo. Ciò avrà una conseguenza grave perché tutto finirà per
andare a danno del cliente aderente perché, dato che il contratto sarà
dichiarato nullo, lui si troverà privato del bene/servizio di cui aveva
bisogno e per il quale aveva stipulato il contratto.
Quindi, parlare di nullità della clausola è molto rischioso perché potrebbe
rivelarsi una vittoria inutile per l’aderente: l’aderente ha bisogno di quel
bene o di quel servizio, ma rischia di venirne privato perché c’è il rischio
che la nullità di quella clausola trascini con sè l’intero contratto.
- ecco perché è preferibile parlare di inefficacia: la clausola vessatoria non approvata specificamente per
iscritto dall’aderente è inefficace, quindi:
- il contratto resta valido ed efficace
- semplicemente viene espulsa quella singola clausola vessatoria.
In questo modo si sta tutelando l’aderente perché il contratto resta
valido ed efficace e quindi può continuare a godere del bene/servizio.

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L’elenco tassativo delle clausole vessatorie
Il comma 2 dell’art. 1341 cc prevede un elenco di clausole ritenute vessatorie.
Tassatività: Secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’elenco delle clausole vessatorie previsto dal comma 2 dell’art.
1341 cc è da considerarsi TASSATIVO, di conseguenza:
- SOLO le clausole tassativamente prevista nell’art. 1341 comma 2 sono considerabili vessatorie
- NO applicazione analogica: le clausole diverse da quelle previste nell’elenco tassativo, quand’anche
abbiano un contenuto penalizzante per l’aderente, comunque:
- NON sono considerabili vessatorie
- quindi NON necessitano della specifica approvazione per iscritto.
Perché? Perché si tratta di norme che pongono una restrizione di forma, quindi devono ritenersi eccezionali.
Quali sono le clausole vessatorie? Le clausole vessatorie che necessitano della specifica approvazione per iscritto da
parte dell’aderente sono elencate dal comma 2 dell’art. 1341 cc: si tratta di quelle
condizioni generali del contratto che stabiliscono:
A) limitazioni alla responsabilità del predisponente
Sono vessatorie quelle clausole che prevedono limitazioni di responsabilità per il
predisponente in caso di suo inadempimento. Qui bisogna distinguere:
a) clausole di esonero della responsabilità
del predisponente per colpa lieve: è una clausola vessatoria che necessita della
specifica approvazione per iscritto
b) clausole di esonero della responsabilità
del predisponente per dolo o colpa grave: queste clausola sono SEMPRE VIETATE,
a prescindere dalla loro specifica
approvazione per iscritto
B) facoltà di recesso dal contratto oltre i casi espressamente previsti dalla legge
In questo caso si ritiene che:
- è vessatoria quella clausola con cui il predisponente si attribuisce una facoltà di recesso
al di là dei casi espressamente previsti dalla legge
- NON è vessatoria la clausola risolutiva espressa che consente al predisponente di recesso
dal contratto in caso di inadempimento dell’aderente o in dipendenza
di fatti diversi dall’inadempimento.
C) decadenze a carico dell’aderente
Sono vessatorie quelle clausole che sanciscono decadenze a carico dell’aderente,
imponendo particolari oneri per l’acquisto/conservazione di un diritto ovvero aggravando
gli oneri previsti dalla legge.
Es. sono vessatorie le clausole che stabiliscono che se l’aderente intende denunciare i vizi
della cosa, ha l’onere di farlo in una determinata forma o che restringono il termine
legale entro il quale tale denunzia deve essere fatta.
D) limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni dell’aderente
Sono vessatorie quelle clausole che limitano sul piano processuale la posizione
dell’aderente.
Es. la clausola solve et repete: è la clausola in forza della quale se vi sono contestazioni sulla
qualità del bene o del servizio ricevuto, l’aderente non può
sospendere l’adempimento della propria prestazione, quindi
prima paga il corrispettivo e soltanto dopo potrà agire in
giudizio per far valere il vizio e dunque chiedere la ripetizione
dell’indebito (cioè la restituzione di quanto adempiuto).
ATTENZIONE: a prescindere dal requisito della specifica approvazione per iscritto, sono
SEMPRE VIETATE in quanto NULLE le clausole che limitano la possibilità di
proporre eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del contratto.
E) restrizioni alla libertà contrattuale dell’aderente nei rapporti con i terzi
Sono vessatorie quelle clausole che a carico dell’aderente prevedono restrizioni alle libertà
contrattuali nei rapporti coi terzi, cioè limitano l’autonomia contrattuale dell’aderente in
ordine alla stipulazione di negozi con terzi, alla determinazione del loro contenuto ovvero
alla scelta dei contraenti o destinatari dell’atto.
Es. i divieti di alienazione; i prezzi imposti; i patti di non concorrenza; i patti di prelazione.
Es. i contratti di franchising che prevedono l’obbligo per tutti gli aderenti al franchising di
vendere i panini ad un prezzo prestabilito.

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F) proroghe o rinnovazioni tacite del contratto
Sono vessatorie quelle clausole che:
- riservano al predisponente la facoltà di prorogare o rinnovare il contratto
- sanciscono l’automatica proroga o rinnovazione del contratto in mancanza di un’apposita
denunzia
- ampliano la previsione legislativa della proroga o rinnovazione tacita, imponendo ad es. un
più lungo termine di preavviso.
G) clausole compromissorie e che comportano deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria
Sono vessatorie:
- le clausole compromissorie: sono quelle clausole che impongono di fare ricorso ad
arbitrato per la risoluzione di eventuali controversie
tra aderente e predisponente o terzi.
In generale le clausole compromissorie devono essere
stipulate in forma scritta. Però, se tali clausole
compromissorie rientrano tra le condizioni generali di
contratto, allora oltre alla forma scritta è necessaria
anche la specifica approvazione per iscritto dell’aderente
- le clausole che stabiliscono deroghe
alla competenza dell’autorità giudiziaria: Es. clausola con cui si fissa un foro in
un Tribunale diverso da quello del
luogo di residenza del cliente o di
stipulazione del contratto,
ad es. stipulo un contratto a Napoli con
un’impresa napoletana e mi trovo che
il contenzioso la debbo fare al Tribunale
di Bolzano.
Tutte queste clausole vessatorie sono valide ed efficaci PURCHÈ siano state specificamente approvate per iscritto
dall’aderente.

CODICE DEL CONSUMO E TUTELA DEL CONSUMATORE


Finora abbiamo visto la disciplina del Codice civile nel campo della contrattazione asimmetrica.
Ora, bisogna riflettere su un aspetto: la tutela meramente formale offerta dal Codice civile nel tempo si è rivelata
insufficiente, incapace di tutelare in concreto la libertà contrattuale dell’aderente e di fronteggiare la realtà
dell’asimmetria contrattuale. Basti pensare ad esempio che, stando al Codice civile, l’aderente (contraente debole)
NON ha nessuno strumento per modificare il testo contrattuale o per eliminare le clausole vessatorie.
L’unico strumento che ha è quello di non aderire al contratto standard, ma, se decide di aderire, non può modificare le
clausole vessatorie: dovrà accettarla così come posta dal predisponente.
Ecco quindi che la tutela offerta dal Codice civile nel tempo si è mostrata altamente insufficiente.
Diritto comunitario: A far emergere l’insufficienza della disciplina italiana è stato anche il moltiplicarsi delle Direttive
comunitarie, tra cui la Direttiva Europea 13/1993 CEE concernente le clausole abusive nei
contratti di massa stipulati con i consumatori, che hanno agito su due piani:
- sul piano sociale, inteso a tutelare i contraenti deboli
- sul piano economico, per far in modo che l’utilizzo di clausole abusive non fosse uno
strumento per falsare la concorrenza (es. tenendo bassi i prezzi)
A seguito di tali Direttive comunitarie è emersa ancora di più l’esigenza di riorganizzare le
disposizioni vigenti in materia di contrattazione asimmetrica, al fine di rafforzare la tutela dei
soggetti deboli.
E allora il legislatore italiano è intervenuto recependo proprio tale la Direttiva Europea 13/1993:
- dapprima inserendola negli artt. 1469 bis e ss.
- e poi elaborando un apposito Codice del consumo con il D. Lgs. 206/2005.
Quindi col D. Lgs. 206/2005 il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento il Codice del consumo.
Nozione: Il Codice del Consumo, introdotto col D. Lgs. 206/2005, è un corpus di regole organicamente coordinate ed
incentrate a disciplinare i rapporti tra consumatore e professionista.
Finalità ed oggetto: Le finalità del Codice del consumo sono state principalmente due:
- riorganizzare le disposizioni frammentate che esistevano nel settore dell’acquisto e del
consumo, quindi il mercato dei beni e dei servizi
- tutelare la figura del consumatore considerato quale contraente debole.

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Ambito SOGGETTIVO di applicazione: La logica del Codice del consumo è diversa da quella del Codice civile. Perché?
- il Codice civile NON tiene conto
della qualità dei contraenti: abbiamo semplicemente parlato di
predisponente (parte forte) e aderente (parte
debole).
Quindi la disciplina del Codice civile si applica a
tutti i contratti in cui ci sono delle condizioni
generali del contratto, A PRESCINDERE da quale
sia la qualità soggettiva delle parti.
- il Codice del consumo tiene conto
delle QUALITÀ SOGGETTIVE dei contraenti.
Infatti la disciplina del Codice del consumo NON si applica a tutti i rapporti contrattuali,
ma si applica SOLO ai rapporti contrattuali tra:
- professionista: è quella persona fisica o persona giuridica che agisce nel quadro della
sua attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale
per la produzione o distribuzione di beni/servizi.
ATTENZIONE: Il Codice del consumo parla di professionista e
NON di “imprenditore”, come invece sarebbe stato
giusto. Perché? Perché la direttiva 13/1993 era
scritta in francese e il traduttore italiano ha tradotto
il termine “professionel” col termine professionista.
Quindi, sono definiti professionisti tutti quelli che noi in
Italia definiamo come imprenditori.
- consumatore: è quella persona fisica che stipula un contratto NON per scopi che
rientrano nella sua attività professionale o di impresa, ma per
finalità private di consumo.
ATTENZIONE: NON possono essere qualificati come consumatori:
- le persone giuridiche
- gli enti non personificati (associazione, fondazione,
società, consorzio)
Domanda: Come si fa a stabilire nel momento in cui si acquista un bene
se è stato acquistato in qualità di consumatore oppure no?
L’opinione prevalente è: se in astratto un acquisto può essere
effettuato sia per scopi privati che per scopi professionali, allora
per stabilire le finalità dell’acquisto si applica il criterio della
prevalenza, cioè la parte riveste la qualifica di “consumatore” se
le finalità private di consumo prevalgono sulle finalità
professionali.
In alcuni casi è semplice, ad es. se Tizio acquista un romanzo, lo
compra per finalità private di consumo, per il piacere di leggerlo.
Oppure se l’avvocato Tizio acquista un codice civile, questo
acquisto è avvenuto a scopo professionale, quindi in veste di
“professionista”
Ma in altri casi è complesso: se un avvocato acquista un pc,
l’acquisto del pc per il consumo privato oppure per finalità
professionali? È complicato qui stabilire se l’acquisto è
prevalentemente per scopo privato o per scopi professionali.
Alla luce della rilevanza della qualità soggettiva delle parti contraenti, possiamo dire che la disciplina
del Codice del consumo è una disciplina settoriale e speciale perché si applica SOLO ai contratti tra
professionista e consumatore in cui vi sia una predisposizione unilaterale delle condizioni
contrattuali da parte del professionista.
Da ciò cosa capiamo che la disciplina del Codice del consumo diventa una sorta di completamento
delle regole poste dal Codice civile: se non abbiamo il professionista e il consumatore, allora gli artt.
1341 - 1342 - 1370 cc saranno le uniche norme a disciplinare la fattispecie.

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Le clausole vessatorie nel Codice del consumo
A differenza del Codice civile, il Codice del consumo fornisce una definizione generale di clausola vessatoria, oltre a
fornirne un elenco. C’è dunque una diversa impostazione rispetto al Codice civile, perché:
- Codice civile: il Codice civile:
- NON dà una definizione di clausola vessatoria
- si limita a dettare un elenco di clausole vessatorie all’art. 1341 comma 2.
- Codice del consumo: il Codice del consumo:
1) dà una definizione di clausola vessatoria
2) + e fornisce un elenco di clausole vessatorie
Definizione: L’art. 33 comma 1 Cod. consumo afferma: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il
professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico
del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Il Codice del consumo dunque fornisce una definizione ampia di clausola vessatoria, ritenendo che una
clausola è vessatoria quando ha 3 caratteristiche:
1) predisposizione unilaterale delle clausole da parte del professionista (predisponente)
2) determina un significativo squilibrio tra le parti: una clausola è vessatoria quando determina un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi
contrattuali a favore del professionista predisponente e
a danno del consumatore aderente.
Che significa “significativo squilibrio”?
- NON tutti gli squilibri comportano che la clausola vessatoria
- NON ci si riferisce ad uno squilibrio economico: in un’economia di
mercato NON spetta al
giudice valutare la
convenienza economica
del contratto, ma soltanto
ai contraenti.
Eccezione: C’è un solo caso in cui può essere
valutato lo squilibrio economico in
sede di valutazione della
vessatorietà: quando la clausola
relativa al corrispettivo da cui emerge
lo squilibrio economico sia poco
chiara (opaca).
- si riferisce ad un significativo
squilibrio normativo: la clausola è vessatoria quando determina
un significativo squilibrio di tipo
NORMATIVO tra professionista e
consumatore, cioè uno squilibrio di diritti
e obblighi a favore del professionista.
3) è in contrasto con la buona fede oggettiva: una clausola è vessatoria quando, oltre al significativo
squilibrio normativo, contrasti con la cd. buona fede in
senso oggettivo (= dovere di correttezza e lealtà).
Terminologia: L’art. 33 dice “malgrado la buona fede”. La direttiva, scritta
in francese, utilizza il termine malgrè e il traduttore
italiano ha tradotto con “malgrado la buona fede”.
In realtà, il legislatore europeo non diceva “malgrado” ma
diceva “in contrasto”.
E infatti è corretto dire “in contrasto” con la buona fede.
Le liste di clausole vessatorie del Codice del consumo
Il Codice del consumo, all’interno degli artt. 33 comma 2 - 36 comma 2, al fine di agevolare l’accertamento della
vessatorietà delle clausole, ha previsto due elenchi NON tassativi:
- lista grigia (art. 33 comma 2): l’art. 33 comma 2 Cod. consumo contiene l’elenco di clausole
PRESUNTIVAMENTE vessatorie, cioè quelle che si presumono vessatorie fino a
prova contraria, cioè si presumono vessatorie A MENO CHE il professionista
riesca a dimostrare che la clausola non è vessatoria:
- o perché è stata oggetto di trattativa
- o perché si limita a ricalcare il diritto positivo.

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- lista nera (art. 36 comma 2): l’art. 36 comma 2 Cod. consumo invece contiene l’elenco di clausole SEMPRE
vessatorie, quand’anche siano state oggetto di trattativa.
Quindi, in questo caso, il compito del giudice è piuttosto agevole: se la clausola
contrattuale rientra nella lista nera stabilita ex ante dal codice del consumo, allora
il giudice ne dichiara immediatamente la nullità.
Es. la clausola che esclude o limita le azioni del consumatore contro il
professionista.
NO tassatività: Queste due liste contengono un elenco NON tassativo di clausole vessatorie. Di conseguenza, il
consumatore potrà comunque provare che una clausola, pur non essendo ex ante prevista come
vessatoria dal Codice del consumo, in concreto produca un significativo squilibrio normativo dei diritti e
degli obblighi tra le parti.
Accertamento della vessatorietà (art. 34 cod. consumo)
Il Codice del consumo, oltre a fornire una definizione di clausola vessatoria e a prevedere due elenchi di clausole
vessatorie (quelle presuntivamente vessatorie e quelle sempre vessatorie), si preoccupa anche di fornire dei criteri per
l’accertamento della vessatorietà di una clausola inserita in un contratto tra professionista e consumatore.
Infatti, l’art. 34 Cod. consumo afferma che per accertare la vessatorietà di una clausola inserita in un contratto tra
professionista e consumatore bisogna effettuare una valutazione in concreto: per valutare se la clausola contrastante
con la buona fede abbia determinato un significativo squilibrio normativo tra le parti occorre valutare:
- la natura della prestazione
- le circostanze del contratto (cioè le circostanze esistenti nel momento dell’accordo)
- NON si deve tener conto dell’adeguatezza economica
del corrispettivo dei beni e dei servizi: lo abbiamo già visto quando abbiamo parlato delle
caratteristiche delle clausole vessatorie: NON bisogna
valutare lo squilibrio economico determinato dalla
clausola, ma lo squilibrio di tipo normativo
tra le parti
Eccezione: Il giudice può estendere la valutazione anche
all’equilibrio economico SOLO in un caso: quando le
clausole redatte dal professionista siano poco chiare
e poco comprensibili.

Nullità di protezione (art. 36 cod. consumo)


Fonte: Art. 36 Cod. consumo
Nozione: Se si accerta la natura vessatoria di una clausola predisposta dal professionista nel contratto col
consumatore, allora si verifica la cd. nullità di protezione, la quale colpisce solo la clausola vessatoria.
La circostanza che il consumatore abbia approvato specificamente per iscritto la clausola vessatoria non gli
impedisce di agire in giudizio per far dichiarare la nullità della clausola vessatoria. Infatti, nel codice del
consumo, NON ha alcuna rilevanza la specifica approvazione per iscritto: la clausola vessatoria è comunque
nulla.
Quindi, al professionista NON basterà dire che aveva reso conoscibile la clausola vessatoria e che il
consumatore l’ha anche approvata per iscritto perché se il giudice riterrà vessatoria la clausola, la dichiarerà
nulla, a prescindere da tutto.
Tutela: Si parla di nullità di protezione perché è a tutela (protezione) NON di interessi generali collettivi, ma del singolo
consumatore.
Caratteristiche: La nullità di protezione ex art. 36 Cod. consumo presenta caratteristiche peculiari:
- è parziale: la nullità di protezione colpisce SOLO la clausola vessatoria, mentre il contratto resta
valido per il resto.
Quindi la nullità della clausola vessatoria NON si riverbera MAI sull’intero contratto.
Ratio: Ciò costituisce una forte tutela a favore del consumatore perché, pur laddove in
giudizio si accerti che la clausola è vessatoria e dunque è nulla, comunque
il consumatore ha la garanzia che il contratto resta valido per il resto, e dunque
non viene privato del bene/servizio per il quale aveva stipulato il contratto.
Il legislatore è ben consapevole che se fosse interamente nullo il contratto,
non sarebbe una vittoria per il consumatore.
- è relativa: seconda caratteristica della nullità di protezione è che è una nullità relativa perché
opera solo a vantaggio del consumatore, quindi la nullità della clausola vessatoria:
- PUÒ essere eccepita dal consumatore
- NON può MAI essere eccepita dal professionista

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- PUÒ essere rilevata anche d’ufficio dal giudice: l’art. 36 però afferma espressamente
che può essere rilevata anche
d’ufficio dal giudice, anche senza una
esplicita domanda del consumatore.
ATTENZIONE: Secondo l’opinione dei molti, è vero che il
giudice può rilevare d’ufficio la nullità di
protezione, MA SOLO nell’interesse del
consumatore, quindi NON CONTRO la
volontà del consumatore.
Quindi, NON può essere dichiarata
d’ufficio se il consumatore non lo vuole.
Tutela sostanziale del Codice del consumo
Alla luce della disciplina della vessatorietà e della nullità di protezione del Codice del consumo, soffermiamoci sulla
differenza di tutela tra Codice civile e Codice del consumo riprendendo quel discorso sull’inadeguatezza della tutela
formale del Codice civile. Possiamo facilmente comprendere che il Codice del consumo offre una tutela sostanziale al
consumatore, una tutela forte e non meramente formale come quella del Codice civile. Perché?
- Codice civile: prevede una disciplina che si può così sintetizzare:
- la clausola vessatoria: 1) deve essere resa conoscibile
2) deve essere approvata specificamente per iscritto dall’aderente.
Se ci sono questi due presupposti, allora la clausola vessatoria è
valida ed efficace.
- vige il requisito della specifica approvazione per iscritto
- la tutela è meramente formale: con il requisito della specifica approvazione per iscritto:
- si sterilizza l’effetto sorpresa
- ma NON si elimina l’iniquità della clausola vessatoria
- Codice del consumo: prevede una disciplina molto più forte a tutela del consumatore:
- NON ha alcuna rilevanza che la clausola vessatoria sia stata resa conoscibile e sia
stata specificamente approvata per iscritto: se la clausola
rientra in una delle due liste (grigia e nera), la clausola è
vessatoria per il cod. consumo e quindi è sempre nulla.
- la clausola vessatoria è SEMPRE NULLA per il solo fatto di essere vessatoria,
a meno che si tratti di una clausola che rientra tra quelle
presuntivamente vessatorie (art. 33 comma 2) e il
professionista sia riuscito a dimostrare che è stata oggetto di
trattativa o che ricalca il diritto positivo.
- la tutela è sostanziale: con la disciplina della nullità di protezione:
- la clausola vessatoria nulla si elimina dal contratto
- il contratto resta valido per il resto
La tutela è sostanziale perché con la disciplina del codice del consumo:
- NON si vuole semplicemente sterilizzare l’effetto sorpresa
- ma si vuole proprio evitare l’iniquità (ingiustizia) che determina la
clausola vessatoria, quindi lo squilibrio normativo che crea.
E infatti la clausola vessatoria viene eliminata dal contratto.

Dovere di trasparenza e interpretazione delle clausole (art. 35 Cod. consumo)


Il Codice del consumo pone un ulteriore strumento di tutela per il consumatore, finalizzato a soddisfare il principio di
trasparenza del contratto: il professionista predisponente ha il DOVERE di chiarezza e comprensibilità con riferimento
ad un consumatore di media prudenza che deve essere in grado di comprendere il contenuto del contratto.
L’art. 35 Cod. consumo prevede:
- le clausole contrattuali devono essere formulate
dal professionista in modo chiaro e comprensibile: chiarezza e comprensibilità sono termini che evocano
due esigenze distinte:
- chiarezza: le clausole devono essere redatte in modo non
equivoco
- comprensibilità: le clausole devono essere espresse in una lingua
conosciuta dalla controparte e risultare leggibili
dal punto di vista grafico.

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- in caso di clausole ambigue (di oscuro significato),
queste vanno intrepretate nel senso più favorevole al consumatore: questo è un principio che ricalca il
Codice civile in tema di condizioni
generali di contratto all’art. 1370 cc.
Effetti: Cosa succede laddove le clausole siano poco chiare e comprensibili, insuscettibili di essere comprese da una
persona di media capacità o intelligenza?
- alcuni parlano di nullità
- altri autori parlano di inefficacia.
Ad ogni modo, si ritiene che il consumatore possa agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno
laddove dimostri che, a causa della poca chiarezza e comprensibilità della clausola, ha stipulato il contratto a
quelle condizioni perché non aveva compreso l’esatta portata economica di quel contratto.

LA TUTELA DELL’IMPRENDITORE DEBOLE


Finora abbiamo trattato il fenomeno dell’asimmetria contrattuale nei contratti tra professionisti e consumatori.
Tuttavia, la situazione di asimmetria contrattuale può presentarsi anche nei rapporti tra imprenditori.
Es. si pensi alla situazione in cui le parti contrattuali sono da un lato l’artigiano e dall’altro una grande impresa: anche
in questo caso abbiamo uno squilibrio contrattuale tra le parti perché c’è una parte in una situazione di debolezza
economica rispetto all’altra parte.
Lentamente si diffonde, dapprima nella dottrina italiana e poi nel legislatore italiano, la consapevolezza che non si
debba tutelare soltanto il consumatore come parte debole, ma anche l’imprenditore debole come parte debole.
Perciò si parla della tutela dell’imprenditore debole.
Dottrina: Inizialmente è la dottrina a ricostruire un quadro dove inserisce tre grandi ripartizioni del contratto:
A) il cd. primo contratto: è quel contratto person to person (p2p), cioè contratto tra soggetti in condizione
di parità contrattuale, dotati di una eguale forza economica e di eguale capacità
tecnica e informativa.
B) il cd. secondo contratto: è quel contratto tra professionista e consumatore, che prende il nome di
contratto business to consumer (b2c).
C) il cd. terzo contratto: è quel contratto tra imprenditori in condizioni di disparità contrattuale: un
imprenditore forte e imprenditore debole.
Prende il nome di business to business (b2b).
Debolezza dell’imprenditore debole: Ma in cosa consiste la debolezza dell’imprenditore cd. debole?
La debolezza di un imprenditore è diversa dalla debolezza di un consumatore,
perché la debolezza si atteggia in modo diverso a seconda della qualifica della
parte contrattuale:
- la debolezza di un consumatore
è di tipo tecnico e informativo: il consumatore è parte debole perché ha un
bagaglio di conoscenze limitato per poter
valutare adeguatamente i profili tecnici
dell’affare. Perciò, l’unico profilo che può
valutare più compiutamente è il profilo
economico, di convenienza.
- la debolezza di un imprenditore
è di tipo economico: l’imprenditore debole è parte debole perché la
sua debolezza:
- NON è di tipo tecnico-informativo
- ma è di tipo economico.
Perché? Perché l’imprenditore debole ha le
conoscenze tecniche e informative per poter
valutare adeguatamente il profilo tecnico
dell’affare, però ha una sua debolezza
economica perché non dispone del
patrimonio dell’imprenditore forte, il che lo
mette in una posizione di soggezione, tale da
non poter dettare condizioni diverse da
quelle che gli “impone” l’imprenditore forte.

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Intervento del legislatore: Proprio perché la debolezza dell’imprenditore debole è diversa dalla debolezza del
consumatore, il legislatore, consapevole di ciò, ha ritenuto di NON estendere
meccanicamente la tutela prevista per il consumatore anche all’imprenditore debole,
perché giustamente si tratta di fattispecie diverse che richiedono discipline diverse.
Tutela dell’imprenditore debole: Gli interventi più rilevanti del legislatore italiano a tutela dell’imprenditore debole
sono stati in particolare due:
- in tema di subfornitura: Con la L. 192/1998 in tema di subfornitura è la prima volta che il
legislatore considera quelle ipotesi in cui lo squilibrio contrattuale possa
verificarsi anche nei rapporti tra imprenditori
Innanzitutto, che cos’è la subfornitura?
La subfornitura: - NON è un tipo contrattuale
- ma è uno schema contrattuale generale con cui si designa
in generale una situazione che può riguardare
qualsiasi contratto (appalto, vendita,
somministrazione, ecc).
Quindi, per subfornitura si intende quello schema contrattuale generale
mediante cui un imprenditore debole (subfornitore) effettua lavorazioni per
conto di un altro imprenditore forte (committente).
La definizione di subfornitura è ampia perché esistono due diverse tipologie di
subfornitura:
- la subfornitura di produzione: quando il subfornitore è chiamato a lavorare
materiali, materie prime o semilavorati che
vengono forniti dal committente
- la subfornitura di fornitura di beni e servizi, che poi sono destinati ad essere
incorporati nel prodotto finale
dell’imprenditore forte.
Il filo rosso che lega le due ipotesi di subfornitura sta nel rapporto di dipendenza
economica, cioè di subordinazione imprenditoriale del subfornitore (imprenditore
debole) rispetto alla posizione superiore del committente (imprenditore forte).
Ecco perché il legislatore italiano, consapevole di tale rapporto di dipendenza
economica, è intervenuto per VIETARE il fenomeno dell’abuso di dipendenza
economica, che si realizza nell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti.
Con l’intento di tutelare la posizione del subfornitore (imprenditore debole) e di
vietare l’abuso di dipendenza economica, la Legge sulla subfornitura statuisce:
- il contratto di subfornitura deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam
- sono nulli i patti che riservino la facoltà di modificare unilateralmente una o più
clausole del contratto, o che attribuisca ad una delle parti la
facoltà di recesso senza congruo preavviso
- è nullo qualunque patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza
economica.
- in tema di franchising: altro intervento del legislatore italiano in tema di contrattazione
asimmetrica tra imprenditore è avvenuto in tema di rapporto di affiliazione
commerciale, il cd. franchising, es. McDonald’s, Rosso pomodoro, Benetton.
Fonte: L. 129/2004. Il franchising è di importazione americana.
Nozione: La particolarità del contratto di franchising sta nel fatto che l’imprenditore
debole, tramite il contratto di affiliazione commerciale con la casa
madre (imprenditore forte), realizza l’attività dell’imprenditore principale
utilizzando marchi, brevetti e reti commerciali di contatti della casa
madre, il che deve avvenire secondo le direttive specifiche del franchisee.
Tutela: Questa L. 129/2004 cerca di offrire tutela all’imprenditore debole in tema di
franchising, ad esempio l’art. 3 afferma: se il contratto di affiliazione
commerciale è a tempo determinato, l’affiliante (imprenditore forte) dovrà
comunque garantire all’affiliato (imprenditore debole) una durata minima
sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a
3 anni.

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CAP.4

LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
La responsabilità precontrattuale è disciplinata nel Codice civile da almeno due norme: gli artt. 1337 – 1338 cc.
Nozione: La responsabilità precontrattuale (o culpa in contrahendo) è quella forma di responsabilità che deriva dalla
lesione della libertà contrattuale della controparte derivante dal mancato rispetto degli obblighi imposti
alle parti durante le trattative e la formazione del contratto.
La violazione dei suddetti obblighi può portare a diverse conseguenze:
- la mancata stipula del contratto (in caso di recesso ingiustificato dalle trattative)
- la stipulazione di un contratto invalido o inefficace
- la stipulazione di un contratto valido ed efficace, ma non conveniente.
Ratio: Ma perché assume rilevanza quello che è successo prima della conclusione del contratto?
Perché la formazione del contratto assume una prospettiva dinamica: le trattative contrattuali prevedono una
formazione progressiva del contratto, quindi una formazione che avviene per tappe.
È vero che le parti NON hanno l'obbligo di stipulare il contratto, ma hanno sempre e comunque una serie di
obblighi contrattuali durante la fase delle trattative.
Tutela: L’interesse che intende tutelare la disicplina della responsabilità precontrattuale:
- NON è l’adempimento della prestazione
- ma è l’interesse alla libertà contrattuale, cioè l’interesse della parte a:
- a non essere coinvolta in trattative inutili
- a non concludere contratti invalidi, inefficaci o
comunque sconvenienti.
Ambito di applicazione: La responsabilità precontrattuale:
- riguarda SOLO quei contratti che sono il frutto di trattative tra le parti
- NON riguarda i contratti che sono frutto di predisposizione unilaterale da parte di uno dei
contraenti. In questo caso il legislatore prevede quella normativa cd. di
trasparenza, cioè che il professionista deve redigere le clausole contrattuali
in modo chiaro e comprensibile.
ART. 1337 cc
È la norma generale sulla responsabilità precontrattuale.
Art. 1337: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo
buona fede. La violazione del dovere di buona fede genera responsabilità precontrattuale”.
Buona fede: L’art. 1337 cc impone il rispetto dell’obbligo di buona fede. Ma cos’è la buona fede?
IN GENERALE, la buona fede è un canone di condotta che può essere inteso in due modi:
- in senso soggettivo: la buona fede soggettiva è l’ignoranza incolpevole di ledere una situazione
giuridica altrui. È il cd. neminem laedere, cioè il principio secondo cui tutti sono
tenuti al dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica.
- in senso oggettivo: la buona fede oggettiva coincide con la correttezza e la lealtà.
Buona fede in senso oggettivo: In tema di responsabilità precontrattuale ci riferiamo SOLO alla buona fede in senso
oggettivo, quindi come obbligo per le parti durante le trattative di comportarsi
secondo correttezza e lealtà. In proposito Calvo parla del cd. fairplay negoziale.
Ratio: Ma perché si impone alle parti contrattuali il dovere di comportarsi secondo correttezza e lealtà durante lo
svolgimento delle trattative?
Si vuole tutelare il ragionevole affidamento di una parte a confidare sulla serietà della controparte ad
addivenire alla stipula del contratto, cioè io intanto tratto in quanto sono convinto che la mia controparte sia
seria nel suo proposito di voler giungere alla stipula del contratto.
Obblighi tipici di buona fede: Gli obblighi precontrattuali che discendono dal rispetto della buona fede in senso
oggettivo sono:
- obblighi di informazione: l’obbligo di buona fede oggettiva postula il dovere di informare la
controparte circa le circostanze rilevanti per l’affare.
Un comportamento contrario a tale obbligo è considerato reticente.
ATTENZIONE: l’obbligo di informazione NON riguarda la convenienza
del contratto poiché questo inerisce alla negoziazione.
Gli obblighi di comunicazione/informazione riguardano l’obbligo di
comunicare alla controparte:
a) le cause che rendono il contratto invalido, inefficace o inutile:
il contraente è responsabile se, PRIMA della stipula del
contratto, non avverte la controparte delle cause di
invalidità o inefficacia (art. 1338 cc).

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Tuttavia, DOPO la stipula del contratto, l’eventuale
reticenza di una parte perde la sua rilevanza, in quanto
vigerà poi il principio di autoresponsabilità (la parte che
non ha verificato le condizioni di validità ed efficacia non
se ne può dolere).
b) le cause di inadempimento del contratto
c) le condizioni circa la pericolosità della prestazione o del bene.
- obbligo di chiarezza: l’obbligo di buona fede oggettiva postula anche il dovere di chiarezza, cioè le
parti hanno il dovere di esprimersi in modo comprensibile alla controparte.

Le varie ipotesi di responsabilità precontrattuale


Dopo aver visto il contenuto dell’obbligo di correttezza precontrattuale, dobbiamo inquadrare tutte quelle condotte
delle parti che integrano la violazione del dovere di buona fede e che dunque generano responsabilità
precontrattuale.
La responsabilità precontrattuale si genera in numerose ipotesi, tra cui:
a) La violazione degli obblighi di buona fede oggettiva
La prima ipotesi di responsabilità precontrattuale riguarda la violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva.
Abbiamo visto che l’obbligo di buona fede oggettiva postula in primis l’obbligo di informazione delle circostanze
relative all’affare: un comportamento contrario a tale obbligo è considerato reticente.
La reticenza: Calvo si chiede: la reticenza può costituire una scorrettezza precontrattuale e dunque essere fonte di
responsabilità precontrattuale?
Nozione: Per reticenza si intende l’atteggiamento di chi maliziosamente resta in silenzio, quindi tace
maliziosamente circostanze che, se note alla controparte, l’avrebbero indotta a non stipulare
oppure a stipulare a condizioni diverse.
Es. Tu credi che l’orologio sia d’oro, io so che in realtà è soltanto placcato, ma mi limito a
tacere, cioè non ti avverto che quell’orologio in realtà è soltanto placcato; quindi di
fronte alla tua falsa rappresentazione della realtà io non ti do quelle notizie che ti
potrebbe aiutare.
Fonte di responsabilità precontrattuale: Per Calvo SI, la reticenza durante le trattative può far sorgere
responsabilità precontrattuale perché, affinché ci sia una
scorrettezza precontrattuale, NON è richiesta necessariamente
un comportamento attivo: può valere come scorrettezza
precontrattuale anche il mero tacere malizioso.
Quindi, se la reticenza maliziosa di una parte ha indotto la
controparte a non stipulare il contratto oppure a stipulare il
contratto a condizioni diverse da quelle a cui avrebbe stipulato se
avesse conosciuto le reali circostanze dell’affare, allora ciò è
certamente fonte di responsabilità precontrattuale.
Intreccio col dolo omissivo: Chiaramente, il tema della reticenza si intreccia al tema del dolo omissivo.
Secondo Calvo, durante la fase precontrattuale, il silenzio malizioso deve
essere apprezzato più come reticenza che come dolo.

b) Il recesso ingiustificato dalle trattative (affidanti)


La prima ipotesi di responsabilità precontrattuale si configura in caso di recesso ingiustificato dalle trattative.
Innanzitutto ci soffermiamo sul concetto di trattiva “affidante” e poi parliamo del recesso ingiustificato dalle
trattative.
Le trattative affidanti: Abbiamo detto che le parti hanno il dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza
durante lo svolgimento delle trattative perché si vuole tutelare il ragionevole affidamento
suscitato nella parte circa la serietà del proposito di trovare l’accordo.
Però attenzione: le trattative hanno una funzione preparatoria e strumentale alla stipula del
contratto, TUTTAVIA nel nostro ordinamento NON esiste un obbligo di
contrarre: NON ogni trattativa deve per forza addivenire alla stipula del
contratto, stante la libertà contrattuale di ognuno di valutare
discrezionalmente l’opportunità di stringere o no l’accordo.
Infatti, per il solo fatto che due parti siano in trattativa, NON hanno l’obbligo di
concludere il contratto: una parte può anche recedere dalle trattive e quindi
può non concludere il contratto.

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Il recesso dalle trattative di per sé NON costituisce un illecito precontrattuale,
anzi è espressione della libertà contrattuale.
Ora, è vero che durante le trattative le parti NON hanno l’obbligo di contrarre, però abbiamo
detto che la responsabilità precontrattuale è quella forma di responsabilità che serve a tutelare
il ragionevole affidamento della parte circa la serietà della controparte ad addivenire alla stipula
del contratto.
Vediamo allora che l’ipotesi del recesso dalle trattative pone un problema perché vengono in
contrasto due principi che tutelano due interessi opposti:
- da un lato c’è il principio della libertà contrattuale delle parti, in virtù del quale una parte è libera
sì di stipulare ma anche di non
stipulare il contratto
- dall’altro c’è il problema di tutelare il ragionevole affidamento che la controparte non recedente
aveva riposto nella serietà della
parte (recedente) ad addivenire
alla conclusione del contratto.
E allora il nostro ordinamento ha dovuto trovare un equilibrio tra questi principi opposti: se è
vero che le parti restano libere di decidere se concludere o meno un contratto, allora quand’è che
scatta la responsabilità precontrattuale?
La responsabilità precontrattuale:
- NON scatta in qualunque ipotesi di recesso dalle trattative
- ma scatta SOLO in caso di recesso ingiustificato da quelle trattative che si trovino in uno stadio tale
da far ritenere già sorto il ragionevole affidamento della
parte (non recedente) circa la serietà dell’altra parte (recedente)
addivenire alla stipula del contratto.
Il punto è proprio quando: durante la fase delle trattative, qual è il momento iniziale a partire dal
quale si può ritenere che sia sorto il ragionevole affidamento nella parte tale da far sorgere una
responsabilità precontrattuale laddove la controparte receda ingiustificatamente dalle trattative?
L’affidamento della controparte va valutato caso per caso, analizzando le circostanze del caso
concreto.
Calvo, in proposito, introduce il concetto di trattativa “affidante”: il momento della trattativa a
partire si può parlarsi di affidamento ragionevole dipende dal se è stato già raggiunto un
accordo di massima sugli elementi essenziali del contratto:
a) se durante le trattative è stato già raggiunto
un accordo di massima sugli
elementi essenziali del contratto  si può parlare di trattativa “affidante” perché a
questo stadio si è creato il ragionevole
affidamento tra le parti sulla positiva
conclusione del contratto.
A questo punto, un recesso ingiustificato dalle
trattative farebbe scattare la responsabilità
precontrattuale a carico della parte recedente.
b) se invece durante le trattative NON è stato
ancora raggiunto un accordo di massima
sugli elementi essenziali del contratto  allora NON si può parlare ancora di trattativa
affidante, pertanto in caso di recesso
NON scatta responsabilità precontrattuale.
Giurisprudenza: la giurisprudenza invece ritiene che per valutare se si tratta di trattative
affidanti oppure no bisogna valutare se è stato raggiunto un accordo di massima:
- sia sugli elementi essenziali del contratto
- ma anche su elementi non essenziali del contratto ma comunque
importanti nell’economia dell’affare.
Es. Tizio e Caio raggiungono un accordo sugli elementi essenziali del loro contratto
di compravendita, ma non riescono a trovare un accordo sulla modalità di
pagamento del corrispettivo. In questo caso per la giurisprudenza: la trattativa
non è ancora affidante, quindi se una parte recede dalle trattative,
NON sorgerebbe responsabilità precontrattuale.

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Il recesso ingiustificato da una trattativa affidante
Una volta definito da quale momento è possibile ritenere affidante una trattativa, abbiamo detto che sorge
responsabilità precontrattuale in caso di recesso ingiustificato dalle trattative affidanti, cioè quando una parte rompe
le trattative senza una valida giustificazione quando la controparte aveva già ragionevolmente confidato nella serietà
del recedente ad addivenire alla conclusione del contratto.
Quindi la responsabilità precontrattuale sorge quando: 1) quando la trattativa sia affidante
2) + e il recesso dalle trattative sia stato ingiustificato
“Ingiustificato”: Bisogna sottolineare che la responsabilità precontrattuale sussiste SOLO SE il recesso è stato
“ingiustificato”, cioè senza una valida giustificazione.
Perché? Perché il recesso dalle trattative di per sé NON costituisce un illecito, in quanto rappresenta
espressione della libertà contrattuale.
Quindi, un conto è recedere dalle trattative dopo aver valutato che c’era una oggettiva
profonda disparità di vedute, altra cosa è invece abbandonare le trattative senza giustificato
motivo.
NO rilevanza dell’animus nocendi: Sotto il profilo soggettivo, è irrilevante il cd. animus nocendi: in caso di recesso
ingiustificato da trattative affidanti, la responsabilità precontrattuale sorge
A PRESCINDERE dal se il recedente avesse o meno intenzione di arrecare un danno
alla controparte.
Es. chi intraprende trattative per acquistare un violino Stradivari particolarmente
costoso va incontro a responsabilità precontrattuale qualora in uno stadio
avanzato delle trattative recedesse dalla stipula del contratto perché resosi
conto della mancanza di liquidità necessaria.
Calvo: In tema di recesso ingiustificato, Calvo analizza una serie di fattispecie:
- in caso di riserva di approvazione: se un mandante, avvalendosi di un mandatario senza rappresentanza,
comunica la propria offerta di vendita riservandosi il diritto di
approvazione, cosa accade se il destinatario dell’offerta accetta ma il
mandante (che con la riserva di approvazione si era riservato l’ultima
parola) poi non stipula il contratto?
Secondo Calvo, qui sorge responsabilità precontrattuale in capo al
mandante (riservante) perché anche il diritto di riserva deve essere
esercitato secondo correttezza in modo da non tradire l’affidamento
serbato dal destinatario dell’offerta.
- in caso di diritto di opzione: il promissario incorre in responsabilità precontrattuale se non esercita il diritto
potestativo di opzione, tradendo il ragionevole affidamento della controparte in
ordine alla costituzione del rapporto obbligatorio oggetto del patto in esame.
- in caso di procura: se la trattativa è stata condotta dal procuratore (rappresentante) il quale poi abbia
ingiustificatamente posto fine alle trattative, allora Calvo dice: anche qui sorge
responsabilità precontrattuale, ma bisogna distinguere:
a) se il recesso è stato attuato semplicemente perché è stata eseguita una
istruzione del dominus (rappresentato), allora la responsabilità
precontrattuale è a carico
del dominus
b) se il recesso è stato attuato per volontà personale del procuratore senza che il
dominus gli avesse dato l’istruzione di recedere dalle trattative,
allora la responsabilità precontrattuale è a carico del procuratore.

Il recesso dalle trattative per sopraggiunta offerta più vantaggiosa


Una fattispecie ancora molto dibattuta in quanto è difficile valutare se si configura o meno illecito precontrattuale è
quello del recesso dalla trattative per sopraggiunta offerta più vantaggiosa.
Partiamo da un esempio: durante le trattative tra Tizio e Caio, Tizio riceve un’offerta da un terzo Sempronio più
vantaggiosa e conveniente rispetto a quella formulata da Caio nelle trattative pendenti.
A questo punto Tizio interrompe le trattative con Caio.
Questa potrebbe essere un’ipotesi di responsabilità precontrattuale?
A questa domanda NON si può dare una risposta univoca, ma dipende dalle circostanze concrete:
- Minervini: secondo il prof. Minervini, tale condotta NON fa sorgere responsabilità precontrattuale perché
è legittimo che la parte receda dalle trattative per andare a stipulare il contratto col terzo che
ha formulato l’offerta più vantaggiosa. Perché? Perché ogni stipulante ha il diritto di valutare le
migliori occasioni che possano presentarsi medio tempore.

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- Calvo: Calvo invece propone una soluzione di compromesso che consiste in una sorta di onere di
denuntiatio, perché afferma: interrompere bruscamente le trattative a seguito della sopravvenuta
offerta più vantaggiosa è sì legittimo, tuttavia la parte che ha ricevuto quest’offerta dal terzo ha
l’onere di rendere edotto l’originario offerente di aver ricevuto un’offerta più vantaggiosa.
Solo a seguito di questa comunicazione l’eventuale recesso non darà luogo a responsabilità
precontrattuale.

c) La stipulazione di un contratto valido ed efficace ma non conveniente


L’ultima ipotesi di responsabilità precontrattuale che può rientrare nell’art. 1337 cc riguarda il caso in cui il contratto
concluso tra le parti sia VALIDO ed EFFICACE, ma NON CONVENIENTE.
A questa ulteriore ipotesi di responsabilità precontrattuale ci si è arrivati di recente perché non è stata sempre
considerata un’ipotesi di responsabilità precontrattuale.
PRIMA: Per molto tempo, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che la responsabilità precontrattuale ex art. 1337
sorgesse SOLO se: - o il contratto non veniva stipulato (per recesso dalle trattative)
- o se il contratto stipulato era invalido/inefficace.
Si ragionava così: se ci sono state scorrettezze precontrattuali ma ciononostante il contratto è stato stipulato
ed è valido ed efficace, allora non si poteva parlare di responsabilità precontrattuale.
OGGI: Oggi invece, giurisprudenza e dottrina (tra cui Calvo) hanno mutato orientamento, arrivando ad affermare ciò:
la regola posta dall'art. 1337 cc ha valore di clausola generale applicabile sempre, quindi:
- sia in caso di mancata stipula del contratto prima solo queste due ipotesi
- sia in caso di stipula di un contratto invalido o inefficace (art. 1338)
- sia in caso di stipula di un contratto valido ed efficace, ma non conveniente.
Quindi ATTENZIONE: la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso NON può escludere
aprioristicamente la responsabilità precontrattuale.
E infatti è ravvisabile un illecito precontrattuale anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido ed
efficace, ma risulti non conveniente per una parte a causa di comportamenti maliziosi o reticenti della
controparte durante le trattative, ad es. se false informazioni o reticenza hanno inficiato il contenuto del
contratto, il quale avrebbe avuto un contenuto diverso se la controparte si fosse comportata correttamente.

Domanda: come si è arrivati a questa conclusione?


La giurisprudenza e la dottrina sono partiti dall’art. 1440 cc che disciplina il cd. dolo incidente o
incidentale. Il dolo incidentale è quel tipo di raggiro NON determinante del consenso della
controparte, nel senso che ha indotto la parte raggirata a concludere il contratto a condizioni diverse
rispetto a quelle a cui lo avrebbe concluso se non fosse stata raggirata.
In caso di dolo incidentale, il contratto è VALIDO, ma la parte raggirata può
chiedere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale.
Ecco, partendo dalla disciplina del dolo incidente, la giurisprudenza e la dottrina hanno affermato:
se la parte è stata vittima di una scorrettezza precontrattuale della controparte che l’ha indotta a
concludere il contratto (valido ed efficace) a condizioni meno convenienti rispetto a quelle a cui lo
avrebbe concluso se la controparte si fosse comportamento correttamente, allora sorge
responsabilità precontrattuale in capo alla parte scorretta.

ART. 1338 cc
L’art. 1337 cc visto sinora è definito norma generale della responsabilità precontrattuale.
Il successivo art. 1338 cc è invece definito norma speciale della responsabilità precontrattuale perché costituisce una
applicazione dell’art. 1337 cc ma con riferimento SOLTANTO al contratto invalido o inefficace.
Art. 1338 cc: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto,
non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere
confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”
L’art. 1338 cc configura un’ipotesi speciale di responsabilità precontrattuale consistente nella dolosa o colposa
conclusione di un contratto invalido o inefficace.
Ambito di applicazione: La giurisprudenza estende l’ambito applicativo dell’art. 1338 cc perché:
- l’art. 1338 cc parla soltanto di “validità” del contratto
- invece la giurisprudenza estende l’ambito dell’art. 1338 cc anche al concetto di “efficacia”.
Differenza di tutele: L’oggetto della tutela dell’art. 1338 cc è diverso da quello difeso dall’art. 1337 cc:
- art. 1337 cc: tutela il ragionevole affidamento intorno alla conclusione del contratto in fieri
- art. 1338 cc: tutela il ragionevole affidamento intorno alla validità ed efficacia del contratto.

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Condizioni: Ai sensi dell’art. 1338, in caso di stipula di un contratto invalido o inefficace, sorge responsabilità
precontrattuale quando:
1) una parte: - o conosce l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto
ma NON la comunica alla controparte (comportamento doloso)
- o NON conosce l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia del contratto che
però avrebbe dovuto conoscere (comportamento colposo)
2) e la controparte ha fatto ragionevolmente affidamento, senza sua colpa, nella validità del
contratto.
Giurisprudenza: La giurisprudenza maggioritaria limita l’applicazione dell’art. 1338 cc perché intreccia l’art. 1338 cc
col principio di ignorantia legis non excusat (ignoranza colpevole).
In che modo? La giurisprudenza, soffermandosi sulla locuzione “per aver confidato, senza sua colpa,
nella validità del contratto”, sottolinea che l’art. 1338 cc:
- si applica SOLO IN ASSENZA DI COLPA del contraente vittima del comportamento doloso o colposo
dell’altra parte
- NON si applica se il contraente ha confidato nella validità/efficacia del contratto ma per colpa
della sua ignoranza di norme di legge: in questo NON sorge responsabilità
precontrattuale a carico della controparte.
Infatti, NON merita tutela chi abbia ignorato per
propria colpa sulla validità/efficacia del
contratto (per ignoranza, negligenza,
sufficienza).
Perché? Perché tale parte avrebbe dovuto conoscere tale
causa in virtù del principio di ignorantia legis non
excusat, quindi non rileva che la controparte sia rimasta
reticente senza comunicarle la causa di invalidità/
inefficacia.
Quindi la parte NON può dire “ma io ho confidato nella
validità/efficacia del contratto”, perché in realtà esisteva
una norma di legge che avrebbe dovuto conoscere
e se non l’ha conosciuta è un problema suo, non può
dolersene perché ignorantia legis non excusat.
Critica di Calvo: Questo indirizzo della giurisprudenza maggioritaria è criticato da Calvo.
Calvo ritiene che interpretare l’art. 1338 cc in questo modo vuol dire porre una limitazione
all’applicabilità dell’art. 1338, limitazione che:
- è estranea alla lettera del codice (perché non è scritto da nessuna parte del codice)
- è estranea alla ratio legis
ATTENZIONE: La tesi di Calvo è comunque molto minoritaria. Oggi la giurisprudenza è
assolutamente pacifica nel ritenere quanto esposto sopra.

Contratto concluso da un soggetto legalmente incapace di contrarre


Una questione che Calvo affronta nell’ambito dell’art. 1338 cc è quella relativa all’ipotesi in cui uno dei contraenti sia
legalmente incapace di contrarre in quanto minore d’età, inabilitato o interdetto.
Se un contraente stipula un contratto confidando, senza sua colpa, nella validità/efficacia del contratto ma poi scopre
di aver stipulato un contratto invalido (in quanto annullabile) perché la controparte era legalmente incapace a
contrattare, è un caso di responsabilità precontrattuale ex art. 1338 cc perché la controparte ha occultato la sua
incapacità a contrarre che rende invalido il contratto?
Calvo: Calvo ritiene che NON si configuri la responsabilità precontrattuale a carico del contraente legalmente
incapace, e ciò perché l’ordinamento tutela quale valore primario l’interesse del legale incapace a contrarre.
Per Calvo NON si configura MAI la responsabilità precontrattuale del legalmente incapace di contrarre perché:
a) se il contratto è invalido (annullabile) per l’incapacità
legale a contrarre di uno dei contraenti: il contratto è invalido e tale invalidità è prevista
proprio per tutelare l’incapace, quindi è ovvio che
NON sorge responsabilità precontrattuale a suo
carico.
b) se il legalmente incapace recede dalle trattative: anche qui NON sorge responsabilità precontrattuale a
carico dell’incapace perché il recesso dell’incapace è
considerato sempre giustificato. Perché? Perché
l’ordinamento tutela il preminente interesse dell’incapace

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Il minore d’età: Del minore d’età se ne occupa specificamente l’art. 1426 cc, distinguendo due situazioni:
a) se il minore d’età ha occultato la sua
minore età con una semplice
dichiarazione di essere maggiorenne: in questo caso il contratto è invalido in quanto annullabile.
Domanda: in questo caso la controparte può invocare l’art. 1338
sul presupposto che la dichiarazione di essere
maggiorenne emessa dal minore d’età è sicuramente
una scorrettezza contrattuale?
Questo è un problema ancora aperto.
b) se il minore d’età ha oculato la sua
minore età con raggiri: in questo caso il contratto è valido.
Quindi è una norma sanzionatoria per il minore d’età che è
stato così malizioso da raggirare la controparte.
Contratto concluso dal falso rappresentante (falsus procurator)
Nell’ambito della responsabilità precontrattuale dell’art. 1338 cc rientra anche l’ipotesi prevista dall’art. 1398 cc.
L’art. 1398 cc si occupa della rappresentanza senza poteri e stabilisce che il falso rappresentante che ha stipulato un
contratto senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli risponde a titolo di responsabilità
precontrattuale del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del
contratto.
Si tratta quindi di un’ipotesi di responsabilità precontrattuale. Infatti, la responsabilità deriva dalla scorrettezza
commessa dal falsus procurator nelle trattative e nell’aver indotto il terzo contraente alla conclusione di un contratto
inefficace.

OBBLIGO DI RISARCIMENTO DEL DANNO in caso di responsabilità precontrattuale


Nel momento in cui si verifica una scorrettezza precontrattuale fonte di responsabilità precontrattuale, qual è la
conseguenza? La parte che ha subito un danno a causa della scorrettezza precontrattuale della controparte ha il
diritto di chiedere il risarcimento del danno subito.
Domanda: Ma quale danno è risarcibile in caso di responsabilità precontrattuale?
Se leggiamo gli artt. 1337 – 1338 NON troviamo una risposta. Il tema è molto spinoso
Giurisprudenza: La giurisprudenza ricorre ad una distinzione in generale tra:
- interesse negativo: l’interesse negativo è quell’interesse del soggetto a non essere leso
nell’esercizio della propria libertà contrattuale, quindi a non essere coinvolto in
trattative inutili ed improduttivi.
L’interesse negativo da risarcire comprende il danno emergente, cioè la perdita
patrimoniale subita consistente nelle spese inutili sostenute durante le
trattative che poi non sono andate a buon fine oppure che hanno portato alla
stipula di un contratto invalido/inefficace. Perché? Perché sono spese che la
parte non avrebbe sostenuto se non fosse stato coinvolto in queste trattative
inutili. Es. le spese per assistenza legale, per un viaggio effettuato per i
sopralluoghi, ecc.
- interesse positivo: l’interesse positivo è collegato al danno subito a causa dell’inadempimento
della prestazione del contratto stipulato: qui la parte deve essere risarcita perché
la controparte non ha adempiuto la prestazione dovuta.
L’interesse positivo da risarcire comprende:
1) il danno emergente: cioè la perdita patrimoniale subita, quindi il danno
patito per non aver ricevuto la prestazione a cui
avevo diritto
2) il lucro cessante: cioè il danno da mancato guadagno, quindi la perdita
del profitto che il contraente avrebbe potuto
conseguire e che invece non ha conseguito a causa
dell’inadempimento della controparte.
Secondo la giurisprudenza, in ipotesi di responsabilità precontrattuale:
- NON è risarcibile l’interesse positivo
- è risarcibile l’interesse negativo: la parte lesa ha diritto al risarcimento del danno nei limiti
dell’interesse negativo, quindi del solo danno emergente, cioè
delle spese inutili sostenute durante le trattative.

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Calvo: Calvo però avverte che la linea di confine tra interesse negativo e interesse positivo è molto sottile,
e tra l’altro NON risulta da nessun testo legislativo, ecco perché è molto difficile da tracciare.
La distinzione tra interesse positivo e negativo è una distinzione di complessa applicazione, perché in realtà
esiste un’area grigia in cui non si riesce a capire se il danno subito in sede precontrattuale rientri nella sfera
dell’interesse positivo oppure nell’interesse negativo.
Dice Calvo: il fatto che nell’ambito della responsabilità precontrattuale sia risarcibile solo l’interesse negativo
NON significa che debba essere risarcito soltanto il danno emergente (le spese inutili sostenute
durante le trattative), perché in realtà si potrebbe pensare che in alcuni casi sia risarcibile anche
il lucro cessante (mancato guadagno). Perché?
Si può pensare che il risarcimento possa estendersi anche al lucro cessante inteso come danno da
perdita delle occasioni d’affari che si sono presentate durante le trattative e che sono andate perse
a causa della mancata conclusione del contratto.
Es. Tizio inizia delle trattative con Caio. Nel frattempo, rifiuta di instaurare altre trattative con terzi e ha
rifiutato anche delle offerte avanzate da questi terzi proprio perché si è impegnato con Caio e vuole
mantenere le trattative con Caio. Dopo un anno di trattative, Caio recede dalle trattative e Tizio non solo
perde le trattative con Caio ma non riesce a recuperare le trattative con gli altri soggetti, i quali non
hanno più interesse a trattare con Tizio.
Secondo Calvo, in questo caso di perdita delle occasioni d’affari, la parte lesa (Tizio) potrebbe chiedere il
risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale, dimostrando che la trattativa poi risultata
inutile gli ha fatto perdere un’occasione vantaggiosa ovvero che ha dovuto concludere l’affare
tardivamente, in un momento in cui il prezzo di mercato si era abbassato rispetto all’epoca della negoziazione
fallita.

La NATURA GIURIDICA della responsabilità precontrattuale


Un punto particolarmente delicato è quello della natura giuridica della responsabilità precontrattuale.
È un tipo di responsabilità extracontrattuale oppure contrattuale? Il codice NON dice nulla.
Sulla natura giuridica della responsabilità precontrattuale c’è stata una lunga disputa in dottrina e in giurisprudenza:
a) Tesi della natura extracontrattuale: dottrina e giurisprudenza prima del 2016 affermavano che la
(giurisprudenza pre 2016) responsabilità precontrattuale rientrasse nella categoria della
responsabilità extracontrattuale (cd. aquiliana) (cd. responsabilità da
atto illecito) ex art. 2043 cc. Perché?
Perché nella fase delle trattative NON è ancora stato stipulato il
contratto, pertanto NON è ancora sorto il vincolo contrattuale, perciò
NON può parlarsi di responsabilità contrattuale.
Si tratta di responsabilità extracontrattuale in quanto ci sarebbe la
violazione del generale principio del neminem laedere posto a
fondamento dell’art. 2043 cc.
b) Tesi della natura contrattuale: oggi invece giurisprudenza e dottrina hanno cambiato orientamento, anche
(oggi) grazie alla sentenza della Cassazione 14188/2016.
Oggi la tesi dominante ritiene che la responsabilità precontrattuale:
- NON nasca da un generico dovere del neminen laedere
- ma abbia vera e propria natura contrattuale da inadempimento.
Come si è arrivati a questa conclusione?
Ci sono state due ricostruzioni che conducono entrambe ad affermare la natura
contrattuale della responsabilità precontrattuale, ma partono da premesse diverse:
- obbligazione senza prestazione: una parte della giurisprudenza, sulla scorta del diritto
tedesco, parla della teoria cd. obbligazione senza
prestazione: secondo il diritto tedesco, esistono
obbligazioni che non avrebbero una determinata
prestazione, per le quali:
- il creditore NON può agire in giudizio per
pretendere l’adempimento della
prestazione (perché non c’è una
prestazione)
- ma se il debitore resta inadempiente, il
creditore ha il diritto al risarcimento
del danno.

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Partendo da questa teoria tedesca, la giurisprudenza
italiana dice: durante la fase precontrattuale c’è una
singolare obbligazione che è “il dovere di comportarsi
correttamente nonostante non ci sia ancora una
obbligazione ad adempiere la prestazione”.
Quindi una parte contrattuale:
- NON può agire in giudizio per chiedere
l’adempimento di una prestazione perché non
c’è ancora un contratto, quindi non c’è ancora
una prestazione da poter adempiere
- MA può agire in giudizio in caso di trasgressione del
dovere di comportarsi secondo correttezza
perché tale violazione farebbe nascere il diritto
di chiedere il risarcimento del danno.
Quindi si dice che quest’obbligo senza prestazione
sarebbe un’ipotesi di responsabilità contrattuale.
- contatto sociale qualificato: altra parte della giurisprudenza invece ricostruisce la
natura contrattuale della responsabilità precontrattuale
dicendo: già nel corso delle trattative tra i due soggetti
in trattativa si crea una forma di responsabilità cd. da
contatto sociale. Perché?
Perché tra i due soggetti in trattativa si crea un contatto,
cioè un rapporto che produce già obbligazioni tra loro, e
cioè il dovere di comportarsi secondo buona fede e
correttezza.
Fondamento normativo: Questa teoria del contatto sociale fa leva
sull’art. 1173 cc che afferma che
le obbligazioni nascono non soltanto da
un contratto e da un fatto illecito, ma
anche da “ogni altro atto/fatto idoneo”
In questo caso abbiamo il contatto
sociale tra le parti che è un fatto, dunque
idoneo a produrre obbligazioni.
Caratteristiche: Oggi dunque la giurisprudenza maggioritaria afferma dunque che la responsabilità
precontrattuale abbia natura giuridica di responsabilità contrattuale da inadempimento ex
art. 1218 cc, perciò le sue caratteristiche sono:
- prescrizione dell’azione di risarcimento: 10 anni
- onere della prova: dato che si tratta di responsabilità contrattuale, allora il regime
dell’onere probatorio in sede di giudizio di risarcimento del danno è più
favorevole al soggetto danneggiato rispetto al regime dell’onere
probatorio che vige in caso di responsabilità extracontrattuale.
Infatti, la differenza è notevole:
- se fosse stata un’ipotesi di
responsabilità extracontrattuale, allora il danneggiato avrebbe dovuto
dimostrare:
1) sia il danno subito
2) sia il dolo o la colpa del danneggiante
- ma dato che è un’ipotesi di
responsabilità contrattuale, allora è un regime probatorio molto
più favorevole al danneggiato perché:
- il danneggiato deve provare solo il danno subito
- è il danneggiante (cioè il presunto autore della
scorrettezza precontrattuale) a dover
provare che durante le trattative ha
agito correttamente o che la sua
scorrettezza è dipesa da causa a lui
non imputabile.

29
CAP.5

L’ACCORDO CONTRATTUALE
Nozione: Ai sensi dell’art. 1325 cc, l’accordo contrattuale è un elemento essenziale (costitutivo) del contratto.
Per accordo contrattuale si intende l’incontro dei consensi delle parti in ordine al programma contrattuale:
con l’accordo le parti esprimono il loro intento in ordine al programma contrattuale
(costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale).
ATTENZIONE: L’accordo:
- NON è accordo tra volontà
- ma è accordo tra manifestazioni di volontà.
L’accordo deve essere esteriormente riconoscibile sia dalle parti che dai terzi.
Ciò che rileva dell’accordo è il significato obiettivo (o socialmente valutabile) dei loro atti.
Indefettibilità dell’accordo: L’accordo è un elemento essenziale del contratto, pertanto è indefettibile,
quindi NON può MAI mancare, dato che il contratto ha SEMPRE una struttura
quantomeno bilaterale.
Obiezione: Ci sono dottrine che ritengono che il codice riconosce molte figure di
contratto nato senza accordo
Queste dottrine infatti ritengono che ci siano situazioni in cui parlare di
accordo sia soltanto fittizio, ad esempio nei casi di:
- contratto con se stesso
- contratto con obbligazioni a carico del solo proponente
In queste ipotesi, secondo parte minoritaria della dottrina, si parlerebbe
sì di contratti, ma mancherebbe l’accordo.
Critica: In realtà la dottrina maggioritaria ritiene che il contratto esiga SEMPRE un
accordo.
Accordo “contrattuale”: Quando parliamo di accordo contrattuale dobbiamo sottolineare anche il termine
“contrattuale”. Perché? Perché non tutti gli accordi sono contrattuali.
Ci sono accordi giuridicamente rilevanti che non sono accordi contrattuali: sono
chiamate “convenzioni”.
Di regola: Accordo = conclusione del contratto: Di regola abbiamo visto che vige il principio
consensualistico, e infatti parliamo di contratti
consensuali: il contratto si perfeziona (conclude) per
effetto del solo consenso delle parti legittimamente
manifestato.
Eccezioni: casi in cui il solo accordo non è sufficiente: Tuttavia, abbiamo visto che ci sono i contratti reali
per i quali l’accordo NON è sufficiente ma è
necessaria anche la consegna del bene.
Modi di manifestazione della volontà: L’accordo può avere diverse forme perché moltissime sono le forme in cui si
può manifestare la volontà. Sono tantissimi i segni con cui manifestare la
volontà (es. schiocco di dita, alzando la mano, col battito di ciglia, ecc).
I modi di manifestazione della volontà sono classificabili in due categorie:
- manifestazioni espresse di volontà: la manifestazione di volontà è espressa quando è esternata
mediante segni di linguaggio. I segni di linguaggio sono quelli
considerati strumenti comunicativi, quindi parole o gesti.
I segni di linguaggio posso anche essere convenzionali (es.
messaggi in codice, occhiolino, alzata di meno), purché siano
stati concordati prima.
Es. le parti possono accordarsi che se Caio vuole accettare la proposta di
Tizio, basta che strizzi l’occhio. Qui la strizzata di occhio è una
manifestazione di volontà espressa e NON tacita, e perché?
Perché noi abbiamo convenuto che la strizzata d’occhio significava sì.
Es. durante l’asta la manifestazione espressa di volontà è l’alzata di mano.
Quindi qualunque sia il veicolo manifestativo, la manifestazione è espressa
quando quel veicolo manifestativo ha il solo scopo di esteriorizzare la
volontà interiore.
- manifestazioni tacite di volontà: quando le parti manifestano la loro volontà mediante
comportamenti concludenti che non costituiscono mezzi di
linguaggio e dai quali tuttavia si desume l’implicito intento
negoziale.

30
Accordo e trattative: Il codice, quando parla di formazione del contratto, parla di accordo, ma NON parla mai di
trattative. Perché?
Perché NON tutti i contratti hanno delle trattative alla loro base. Infatti, NON tutti i contratti
sono “contrattati”, NON tutti scaturiscono da previe trattative. Anzi, possiamo proprio dire che
per le necessità di tutti i giorni, le trattative risultano grandemente superate.
Es. inserire la moneta in un distributore automatico.
Quindi ATTENZIONE: le trattative che precedono l’accordo possono esserci, ma NON sono un
elemento imprescindibile dell’accordo e dunque del contratto.

Schemi di formazione del contratto


Esistono diversi modi di formazione del contratto che il legislatore prevede all’interno del codice.
Possiamo fare una bipartizione tra:
- schema classico “proposta + accettazione”: si parla di schema “classico” di formazione del contratto perché
è quello più utilizzato nella prassi.
- schemi particolari: vi sono anche modalità particolari di conclusione del contratto che semplificano oppure
aggravano lo schema classico.
ATTENZIONE: È corretto parlare di schema classico e schemi particolari.
È sbagliato parlare di schema generale e schemi eccezionali (come spesso si sente dire) perché
NON si tratta di una questione generale-eccezionali, ma si tratta semplicemente di
constatare che gli schemi particolari sono meno utilizzati nella prassi.

A) Schema classico: “proposta + accettazione”


Lo schema classico di formazione del contratto è quello che si articola nella sequenza “proposta + accettazione”.
Schema classico: Lo schema “proposta + accettazione” è uno schema generale di conclusione del contratto
che si applica a tutte le fattispecie contrattuali per le quali non sia previsto uno modello diverso di
conclusione del contratto.
Art. 1326 cc: “Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta viene a conoscenza
dell’accettazione dell’altra parte”.
Accordo: Nello schema classico di formazione del contratto, l’accordo è il frutto dell’unione armonica tra proposta e
accettazione: l’accordo contrattuale si forma nel momento dello scambio di proposta e accettazione
conforme.
Proposta: La proposta è quella dichiarazione di volontà contrattuale fatta dal cd. proponente con cui questi rende
noto ad un altro soggetto (oblato) l’intenzione di stipulare un contratto a determinate condizioni.
Accettazione: L’accettazione è quella dichiarazione di volontà contrattuale fatta dal cd. oblato (il destinatario della
proposta contrattuale) con cui questi accoglie la proposta del proponente.
Il potere di accettare o rifiutare la proposta è un diritto potestativo che ha la sua fonte proprio nella
proposta del proponente.
Conclusione del contratto: Proposta e accettazione sono due tappe fondamentali della fase della fase precontrattuale
delle trattative.
Quando si considera concluso il contratto mediante lo schema proposta-accettazione?
Il contratto si considera concluso (cioè perfezionato) nel momento e nel luogo in cui il
proponente abbia avuto cognizione dell’accettazione dell’altra parte.
Ricordiamo che conclusione del contratto = perfezionamento del contratto.
Natura giuridica: A livello giudico, proposta e accettazione sono:
- atti unilaterali: consistono in dichiarazioni di volontà unilaterali con cui le parti esprimono
il loro consenso costitutivo del contratto
- recettizi: producono i loro effetti dal momento in cui giungono nella sfera di conoscenza
del destinatario.
È vero che sono atti recettizi, ma la domanda è: l’ordinamento si accontenta
della mera conoscibilità dell’atto o richiede una conoscenza effettiva dell’atto?
L’art. 1335, rubricato “presunzione di conoscenza”, a differenza di
quanto si dice nella rubrica, pone in realtà una presunzione relativa di
conoscibilità: proposta e accettazione:
- si presumono conosciute nel momento in cui giungono
all’indirizzo del destinatario
- A MENO CHE il soggetto non fornisca la prova della
impossibilità incolpevole della conoscenza.

31
Quindi si tratta di una presunzione relativa di conoscibilità:
è relativa perché ammette la prova contraria.
Es. nel momento in cui la raccomandata con ricevuta di ritorno giunge al
mio domicilio, per la legge in quel momento si presume che io l’abbia
conosciuta.
• Con questa presunzione di conoscibilità siamo in grado di capire il
momento e il luogo in cui si è concluso il contratto. Perché ciò è
importante? Capire quale è il momento di conclusione del contratto è
importante perché ad es. in caso di controversia relativa a quel
contratto, si dovrà individuare il foro competente.
Requisiti di proposta e accettazione
- Forma: In tema di formalismo negoziale, bisogna distinguere:
- se il contratto è formale, cioè è imposta ex lege una forma particolare, allora sia la proposta che
l’accettazione DEVONO rispettare tale onere di forma per la validità del
contratto.
- se il contratto NON è formale, proposta e accettazione possono essere espresse in forma libera.
Inoltre, in tema di forma, è previsto: se il proponente richiede per l’accettazione una determinata
forma, allora l’accettazione deve essere data in quella forma: se è data in forma diversa, allora tale
accettazione NON ha effetto.
- Requisiti: Il Codice civile richiede particolari requisiti per la proposta e l’accettazione:
- PROPOSTA: la proposta necessita di un solo requisito: deve essere completa.
1) completezza: Una proposta è completa quando contiene tutti gli elementi essenziali del
contratto o ne rimette la determinazione a criteri legali/convenzionali,
in modo tale che l’oblato possa limitarsi a dire “sì, accetto”.
Quando la proposta
è incompleta? Una proposta è incompleta quando la determinazione
degli elementi essenziali del contratto richiede un
ulteriore accordo delle parti.
Una proposta incompleta ha valore di mero invito
ad offrire, e può segnare l’inizio di una trattativa.
Es. se c’è il cartello “vendesi” l’appartamento sito in
via X al miglior prezzo, questa è una proposta
completa? NO, perché manca l’indicazione del
prezzo, perciò ha valore di mero invito ad offrire.
- ACCETTAZIONE: l’accettazione necessita di due requisiti fondamentali: deve essere conforme alla
proposta e deve essere tempestiva.
1) conformità alla proposta: L'accettazione deve essere interamente conforme alla proposta.
Il contratto può dirsi concluso SOLO quando c’è una PERFETTA e
TOTALE SIMMETRIA tra proposta e accettazione.
Controproposta: Se l’accettazione non è conforme alla proposta, allora
vale come controproposta.
Giurisprudenza: Secondo la giurisprudenza, dato che ci deve essere una
perfetta simmetria tra proposta e accettazione,
allora qualunque difformità, ancorché minima e
marginale, tra accettazione e proposta impedisce la
conclusione del contratto.
Calvo: Calvo non è d’accordo con una soluzione così drastica, ritenendo
che in realtà se l’accettazione presenta delle difformità
non essenziali (marginali) rispetto alla proposta, si può comunque
ritenere perfezionato (concluso) il contratto.
E quale potrebbe essere un possibile appiglio normativo, secondo
Calvo?
La Convenzione di Vienna, in tema di vendite internazionali,
ha sancito che se l'accettazione contiene modifiche non essenziali
rispetto alla proposta, il contratto si ritiene comunque concluso,
a meno che il proponente tempestivamente non manifesti la
propria contraria volontà.

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Però, comunque Calvo ammette: questo è un espediente che
sarebbe ben possibile adottare anche qui da noi, ma il nostro
legislatore NON è di questo avviso, per cui Calvo ritiene che in
linea di principio non si possa cercare di interpretare il nostro
diritto interno alla luce della norma della Convenzione di Vienna.
Tra l’altro, lo stesso Calvo dice: pur ammettendo che si possa
ragionare come ragiona la Convenzione di Vienna, sarebbe
complicatissimo capire cosa si intenda per modifiche non essenziali,
ad es. se nell’accettazione l’oblato ha inserito una clausola di tipo
impeditivo, questa difformità tra proposta e accettazione è
marginale oppure essenziale?
Naturalmente sarebbe un problema complesso stabilire se la
clausola originaria della proposta o della accettazione sia
essenziale o no al fine di capire se il contratto si è comunque
concluso.
2) tempestività: L’accettazione, oltre ad essere conforme alla proposta, deve anche essere
tempestiva, cioè deve pervenire al proponente:
- entro il termine fissato nella proposta
- o entro il tempo ordinariamente necessario o secondo la natura dell'affare
o secondo gli usi.
Ratio: Questo perché il proponente, salvo che per propria libera scelta,
non può rimanere vincolato troppo a lungo, anche alla luce del fatto che le
condizioni del mercato possono alterarsi.
La formazione dell’accordo tra persone presenti e assenti
L’accordo normalmente si perfeziona tramite lo scambio di proposta e accettazione tra soggetti presenti o comunque
in contatto diretto (si pensi alla comunicazione telefonica o telematica).
Tuttavia, ci dobbiamo interrogare anche sul tema della conclusione del contratto tra soggetti assenti.
Accordo tra assenti: Si parla di accordo tra assenti quando a scambiarsi proposta ed accettazione sono persone che si
trovano in luoghi distanti. Es. si parla di accordo tra assenti quando due persone in due luoghi
diversi dialogavano per lettera o per telegramma.
In realtà, oggi questa distinzione tra accordo tra presenti - accordo tra assenti è una distinzione in via di superamento,
perché oggi i mezzi di comunicazione diretta (telefono, mail, pc) consentono di dialogare direttamente come se
fossero l'uno di fronte all'altro, pur non essendo nello stesso luogo. E quindi oggi ci possono essere forme di accordo
tra presenti anche tra soggetti che si trovino in luoghi diversi, ad es. il contratto concluso su internet in diretta Skype.

La trattativa frazionata
Si dice che il contatto è concluso quando le parti hanno raggiunto l’accordo. Ma la domanda è: l'accordo deve essere
formato su tutti gli elementi del contratto oppure è sufficiente che ci sia accordo almeno sugli elementi essenziali per
poter dire che il contratto è concluso?
Calvo parla di trattativa frazionata, riproponendo la tradizionale classificazione di origine germanica tra gli elementi
del contratto tra:
a) elementi essenziali del contratto (essentialia negotii): sono quelli espressamente elencati dall’art. 1325 cc:
accordo, causa, oggetto, forma.
b) elementi accidentali (o accessori) del contratto: sono quegli elementi che le parti possono inserire nel
contratto, ma la cui mancanza non fa venir meno la
validità del contratto. Sono: condizione, termine, modus.
c) elementi naturali del contratto
Calvo: La questione della trattativa frazionata, partendo dalla distinzione tra elementi essenziali e accidentali del
contratto, è maledettamente ambigua, ma comunque può essere di massima impostata così:
A) se le parti NON hanno ancora raggiunto l'accordo
su tutti gli elementi essenziali del contratto  allora il contratto NON può ritenersi concluso.
B) se le parti hanno già raggiunto l’accordo
su tutti gli elementi essenziali  allora si potrebbe dire che il contratto possa ritenersi concluso
(perfezionato), ma Calvo ritiene di dover distinguere ancora due
situazioni:
a) se le parti, dopo aver trovato l’accordo sugli elementi essenziali, hanno chiuso le
trattative senza discutere su eventuali elementi non essenziali, allora il
contratto è concluso (perfezionato).

33
Le eventuali lacune nel testo contrattuale sono colmate
ricorrendo alla legge, cioè alla cd. integrazione
contrattuale. Che significa? Il fatto che su un elemento
non essenziale, per es. sul termine per il pagamento del
prezzo, non ci sia stata discussione tra le parti
non impedisce di ritenere concluso il contratto.
Laddove sorga una controversia in sede giudiziale,
il giudice applicherà le norme del codice che disciplinano
il termine e determinerà il momento in cui prezzo deve
essere pagato.
b) se invece le parti su un elemento non essenziale sono ancora in trattiva perché
sono in disaccordo, allora NON è possibile ritenere il contratto concluso.
Es. Tizio e Caio sono d'accordo sul contratto da stipulare ma sono in
disaccordo sulle modalità di pagamento perché il venditore vuole il
pagamento in un’unica soluzione mentre l'acquirente propone un
pagamento dilazionato in varie rate. Questa differenza di posizioni sulle
modalità di pagamento, pur essendo un elemento non essenziale che
può essere determinato dalla legge, impedisce il perfezionamento
dell’accordo perché le parti non sono ancora d’accordo su questo
punto.

L’invito a proporre (o a offrire) [invitatio ad offerendum]


Dalla vera e propria proposta contrattuale (sia essa proposta a un destinatario determinato oppure proposta al
pubblico, come nel caso dell’offerta al pubblico) si DISTINGUE l’istituto dell’invito a proporre (noto come invito ad
offrire). Sono istituti diversi.
Nozione: L’invito a proporre (o a offrire):
- NON è una proposta
- ma è un invito rivolto a una generalità indeterminata di persone a formulare proposte o comunque ad
iniziare trattative.
Es. il tipico esempio di invito ad offrire è il semplice cartello “vendesi” apposto su uno stabile senza
nessun’altra indicazione. Il semplice cartello “vendesi” è un invito a offrire perché il significato del cartello
è “sarei intenzionato a prendere in considerazione l'ipotesi di venderlo, perciò invito a formularmi una
proposta di vendita”.
Perché l’invito a proporre NON è una proposta? Perché l’invito a proporre è incompleto, quindi NON è una proposta in
senso stretto, infatti è una dichiarazione che non contiene tutti gli
elementi essenziali del contratto da concludere. Tanto è vero che NON
è sufficiente che un soggetto interessato intervenga con una semplice
accettazione.
Infatti, ad esempio il semplice cartello “vendesi” non può certo vincolare
l’aspirante venditore: vale solo come invito.

Trasmissione della proposta dal nunzio


È possibile che la trasmissione della proposta contrattuale avvenga per mezzo di un soggetto terzo che assume le vesti
di nunzio, una sorta di messaggero.
In questo caso, in capo al destinatario della proposta sorge un onere di diligenza di accertare la legittimazione del
nunzio perché:
- NON può riporre la propria fiducia incondizionata facendo leva sul semplice fatto che la dichiarazione paia
a prima vista riconducibile al proponente
- ma è tenuto ad accertare che la proposta provenga effettivamente dal proponente.

La documentazione della trattativa. La minuta: completa o incompleta


Calvo poi tratta il fenomeno della formazione progressiva dell’accordo tramite la formazione di documenti nel corso
delle trattative che attestano lo svolgimento delle trattative e l’elaborazione del testo contrattuale.
Che significa? Può accadere che l’accordo si raggiunga gradatamente e che le parti si scambino una serie di bozze,
scritture, proposte, controproposte, raggiungendo gradualmente l’accordo, quindi per tappe.
Nella prassi si parla di minuta o puntuazione, cioè bozze di contratto o stesure provvisorie destinate ad essere
sostituite da un documento finale che racchiudono l’accordo definitivo.

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Nozione: La puntuazione o minuta esprime sempre un accordo provvisorio, quindi NON definitivo, su punti del testo
contrattuale o sull’intero testo contrattuale. Si distingue tra:
- puntuazione incompleta: la minuta incompleta è quella bozza del contratto che:
- NON racchiude l’intero testo contrattuale
- ma racchiude singoli punti su cui si è raggiunto l’accordo.
Quindi può accadere che le parti, man mano che raggiungano l’accordo su singoli
punti, si scambino puntuazioni incomplete
- puntuazione completa: la minuta completa è quella bozza del contratto che racchiude l’intero testo
contrattuale. Questa puntuazione completa comunque è pur sempre una bozza,
quindi è comunque un atto provvisorio perché, pur essendo una bozza completa,
le parti si riservano ancora di rifletterci ed eventualmente modificarlo.
Quindi la puntuazione completa NON è il testo contrattuale definitivo.
Rilevanza giuridica: Che rilevanza giuridica hanno le puntuazioni?
Le puntuazioni (complete o incomplete) potrebbero avere rilevanza giuridica in tema di
responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cc: la parte che propone domanda di risarcimento a
titolo di responsabilità precontrattuale potrebbe portare in giudizio la puntuazione per dimostrare
l’accordo che le parti avevano raggiunto su alcuni punti o su tutto il testo contrattuale.
Parte della giurisprudenza: Parte della giurisprudenza ha ipotizzato che in caso di minuta completa possa operare
una presunzione semplice:
- la puntuazione completa fa presumere l’accordo
- A MENO CHE emerga la prova contraria, cioè risulti evidente che le parti con quella
minuta, seppur completa, abbiano voluto
soltanto fare una ricognizione dello stato delle
intese man mano raggiunte nella elaborazione
progressiva del testo del contratto.
La lettera d’intenti
Un altro possibile fenomeno che può verificarsi nella fase delle trattative è la cd. lettera di intenti.
Nozione: È possibile che un soggetto interessato alla stipula di un contratto manifesti in una lettera il suo serio
proposito di addivenire alla conclusione del contratto. Ciò può avvenire:
- o all’inizio delle trattative: qui la lettera d’intenti costituisce la mossa d’apertura delle trattative
- o durante le trattative: quando le trattative sono già in corso, una parte può redigere una lettera
d’intenti in cui stabilisce delle linee guida, comprendendo:
- i punti su cui c’è già accordo
- i punti su cui c’è ancora da discutere
- l’impegno a proseguire le trattative in vista della stipula del contratto.
- richiesta di lettera d’intenti: la lettera d’intenti può anche essere richiesta da una parte per
saggiare la serietà della controparte del proposito di raggiungere
l’intesa. Es. una prestigiosa Galleria d’arte, che ha in vendita un Renoir,
qualora sia stata richiesta dal potenziale compratore di portare in
visione il dipinto presso la di lui abitazione per sottoporlo all’esame dei
suoi esperti, può chiedere una lettera d’intenti a tale soggetto, cioè
una preliminare dichiarazione attestante l’impegno a continuare il
negoziato una volta constata l’autenticità dell’opera. In tal modo, il
venditore mette immediatamente alla prova l’affidabilità della
controparte evitando odiose perdite di tempo.
Affidamento e responsabilità precontrattuale: L’invio di una lettera d’intenti:
- NON vale MAI come conclusione del contratto
- però può rafforzare il ragionevole affidamento del destinatario della
lettera sulla serietà del proposito di raggiungere l’intesa
da parte dell’autore della lettera.
Ecco perché si potrebbe ritenere che l’autore della lettera d’intenti,
laddove receda ingiustificatamente dalle trattative, potrebbe trovarsi
esposto al rischio di responsabilità precontrattuale.
Tale accertamento comunque va compiuto caso per caso, quindi
NON è possibile dire in generale che l’invio di una lettera d’intenti
faccia scattare la responsabilità precontrattuale a carico del suo autore.

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I comportamenti dell’oblato: l’accettazione, il rifiuto, la controproposta, il silenzio
L’accettazione, il rifiuto della proposta, la controproposta
L’oblato (= il destinatario di una proposta contrattuale), una volta ricevuta la proposta dal proponente, ha 4 opzioni:
a) o l’accettazione della proposta (conforme e tempestiva)
b) o il rifiuto della proposta: a seguito del rifiuto della proposta, la proposta perde efficacia.
NO ripensamento: Dato che la proposta perde efficacia, il soggetto rifiutante
NON può ritornare sui suoi passi perché ormai la proposta
ha perso efficacia.
c) o formula una controproposta: sappiamo che l’accettazione deve essere conforme alla proposta.
Se invece l’accettazione è difforme dalla proposta, allora ha valore di
controproposta, quindi non è né accettazione né rifiuto della proposta.
A seguito della controproposta, l’originario proponente si trova ad assumere la
veste di oblato, e può quindi:
a) o accettarla
b) o formulare un’altra controproposta.
SI ripensamento: Cosa accade se il soggetto ha prima formulato una controproposta e poi,
a causa di un successivo ripensamento, decida di accettare la proposta
originariamente formulata dal proponente?
Calvo dice: in caso di controproposta, la proposta originaria resta valida
(quindi NON perde efficacia), perciò in teoria si potrebbe dire
che è possibile il ripensamento da parte dell’oblato, a
differenza di quanto abbiamo detto invece per il caso del rifiuto
della proposta. Perciò è possibile che l’oblato dapprima formuli
una controproposta ma poi, ripensandoci, decida di accettare la
proposta originariamente formulata dal proponente.
d) o resta in silenzio (vedi in “silenzio circostanziato”)

Il termine per l’accettazione


Quando abbiamo parlare dell’accettazione, abbiamo detto che l’accettazione deve essere conforme e tempestiva.
L’art. 1326 comma 2 specifica quando una accettazione si intende tempestiva: l’accettazione deve giungere al
proponente:
a) entro il termine fissato nella proposta dal proponente (cd. termine finale)
b) se il proponente non ha fissato alcun termine per l’accettazione, allora l’accettazione deve giungere al
proponente entro il termine ordinariamente
necessario secondo la natura dell’affare
o secondo gli usi.
Ratio: Questo perché il proponente, salvo che per propria libera scelta, non può rimanere vincolato troppo a lungo,
anche alla luce di condizioni di mercato modificate.
Termine finale: Abbiamo visto che l’art. 1326 comma 2 consente al proponente di poter inserire nella sua proposta
un termine finale di decadenza per l’accettazione, cioè un termine entro il quale l’oblato deve far
giungere la sua accettazione al proponente.
Es. Ti offro in vendita il mio violino al presso di 6000 euro, ma questa offerta di vendita è vincolante
per 7 giorni dalla ricezione.
Decadenza: Se il destinatario della proposta non fa giungere l’accettazione al proponente entro il
termine finale fissato, allora la proposta perde automaticamente efficacia.
Accettazione tardiva: L'accettazione tardiva (che giunge oltre il termine) è INEFFICACE.
TUTTAVIA, in caso di accettazione tardiva, il proponente ha la facoltà di rendere efficace nei
propri confronti questa accettazione tardiva, sanando così il ritardo, purché ne dia immediato
avviso all’oblato.
Problemi relativi al termine: Calvo poi affronta tre problemi teorici relativi al termine finale per l’accettazione:
- termine eterodosso: è possibile che il proponente nella proposta abbia fissato un
termine finale eterodosso, cioè un termine finale già scaduto nel
momento in cui la proposta giunge nella sfera di conoscibilità del
destinatario.
In questo caso si dovrebbe dire che la proposta è priva di efficacia.
- termine strangolatorio: un altro problema teorico si pone nel caso in cui il proponente
fissi per l’accettazione un termine strangolatorio.

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Il termine strangolatorio è quel termine per l’accettazione che è
così ravvicinato alla proposta da richiedere un’accettazione
pressoché immediata, tale da non consentire al destinatario
della proposta un seppur minimo spatium deliberandi,
cioè una riflessione ponderata sull’opportunità o meno di
accettare la proposta.
Domanda: è ammissibile un termine strangolatorio nella proposta?
Per Calvo, è SEMPRE AMMISSIBILE l’inserimento di un termine
strangolatorio nella proposta perché ciò rientra nel principio di
autonomia privata.
TUTTAVIA, tuttavia bisogna distinguere due casi:
a) se il termine strangolatorio è racchiuso in una proposta che è stata
preceduta da trattative lunghe che si trovano ad uno stadio finale:
allora è ammissibile inserire un termine
strangolatorio nella proposta.
b) se il termine strangolatorio è racchiuso in una proposta formulata
durante la fase delle trattative che si trovano ad uno stadio iniziale:
in questo caso, dice Calvo: consentire di
inserire un termine strangolatorio nella
proposta è come se si stesse dando al
proponente un subdolo strumento di via
d’uscita (un escamotage) per recedere dalle
trattative senza incorrere nella responsabilità
precontrattuale.
E allora Calvo dice: se il termine strangolatorio è stato inserito
in una proposta durante le trattative che si trovano ad uno stadio
ancora inziale, allora se l’oblato non formula la sua accettazione
entro il termine strangolatorio, allora:
- è vero che la proposta perde efficacia
- ma resta ferma la responsabilità precontrattuale del
proponente: perciò l’oblato può agire in giudizio per
chiedere il risarcimento del danno a
titolo di responsabilità precontrattuale.
TUTTAVIA, dice Calvo: in sede giudiziale, il proponente
può anche convincere il giudice
che la sua iniziativa di
introdurre un termine
strangolatorio nella proposta fu
determinata dall’insopportabile
lassismo dell’altra parte
(l’oblato continuava a farmi
perdere tempo durante le
trattative), e quindi il
proponente voleva accelerare la
pratica.
- termine iniziale: Infine Calvo si chiede se il proponente può inserire nella proposta un
termine iniziale di efficacia della proposta, ad es. ti propongo questa
offerta e tale offerta produce effetti a partire dal giorno x?
- dottrina: ritiene che NON è ammissibile il termine iniziale perché esso sarebbe
assimilabile ad una condizione sospensiva meramente potestativa.
Critica: Calvo critica questa visione perché NON può essere assimilato
ad una condizione per una differenza sostanziale:
- il termine iniziale è certo
- la condizione è un evento incerto nel “se” e nel “quando”.
. - Calvo: Calvo ritiene che il termine iniziale è ammissibile risponde al meritevole
interesse del proponente di rendere certo il momento a decorrere dal
quale la proposta produce il suo effetto tipico.

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Accettazione soggetta alla forma volontariamente vincolata
Ai sensi dell’art. 1326 comma 4, il proponente nella proposta PUÒ dichiarare di esigere una forma particolare per
l’accettazione. In tal caso, se l’oblato intende accettare la proposta, allora la sua accettazione avrà effetto SOLO SE
questa rivestirà la forma impostagli dal proponente.
Ratio: L’art. 1326 comma 4 serve a tutelare l’ESCLUSIVO interesse del proponente, il quale è arbitro esclusivo delle
sorti del patto in discorso.
Ma perché il proponente dovrebbe avere interesse ad esigere una forma particolare per l’accettazione?
Perché è mosso dall’interesse di assicurare la massima certezza in merito all’accettazione dell’oblato, ad es. per
evitare le incertezze legate a dichiarazioni orali o a condotte concludenti.
Ambito di applicazione: L’art. 1326 comma 4 si può applicare:
- SOLO se si tratta di contratti a forma libera
- NON si può applicare ai contratti a forma vincolata (cd. contratti formali).
Perché? Perché se si tratta di contratti a forma vincolata (formali)
per i quali la legge richiede una determinata forma a
pena di nullità, è chiaro che sia la proposta sia
l'accettazione devono essere formulate nel rispetto della
forma prevista dalla legge, perciò il proponente NON può
esigere una forma diversa per l’accettazione ex art. 1326
comma 4, dato che la stipulazione del contratto in forma
diversa darebbe luogo ad un contratto invalido.
Ipotesi patologia: Cosa accade se l’accettazione dell’oblato avviene in forma diversa rispetto alla forma richiesta dal
proponente?
Calvo parte da una premessa già esposta: l’art. 1326 comma 4 serve a tutelare esclusivamente
l'interesse del proponente, il quale è arbitro esclusivo
delle sorti del patto in discorso.
- 1° questione: il contratto è valido?
Calvo dice: se è vero che l’art. 1326 comma 4 tutela esclusivamente l’interesse del
proponente, allora, in presenza di una accettazione in forma diversa da quella richiesta
dal proponente, è tutto rimesso alla volontà del proponente:
a) se il proponente NON accetta che l’accettazione sia stata resa con una forma diversa da
quella da lui prescelta  allora l’accettazione fatta in forma diversa
NON ha effetto, quindi il contratto
NON si è perfezionato
b) se il proponente accetta che l’accettazione sia stata resa con una forma diversa da quella
da lui prescelte  allora il contratto si perfeziona (è concluso)
ed è valido ed efficace.
Perché? Perché, se è vero che è stato il proponente a
richiedere una certa forma per l'accettazione, egli può
anche rinunciarvi, ritenendo valida l’accettazione fatta in
forma diversa.
Alcuni ritengono che se il proponente ritenga efficace
l’accettazione resa con forma diversa, allora ne deve dare
immediato avviso all’oblato. Perché? Perché l’accettante non
può permanere all’infinito circa le sorti del rapporto
- 2° questione: limitazioni dell’accettante che abbia accettato in forma diversa
L’oblato accettante, se ha formulato l’accettazione con una forma diversa da quella richiesta
dal proponente:
- NON può eccepire che la sua accettazione sia inefficace
- NON può sottrarsi alla stipula del contratto invocando a proprio tornaconto la
trasgressione della forma richiesta dal proponente.
Dice Calvo: l'accettante NON può nascondersi dietro il fatto
che ha espresso l’accettazione adottando una
forma diversa da quella richiesta del proponente
per sottrarsi all’impegno assunto.

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Il silenzio e il silenzio circostanziato
Abbiamo detto che dinanzi ad una proposta, l’oblato (destinatario della proposta), può accettarla, rifiutarla, formulare
una controproposta oppure restare in silenzio (inerzia).
Ecco, in caso di silenzio dell’oblato, come si interpreta tale condotta inerte?
Il silenzio nel Codice del consumo: Il Codice del consumo, nell’ambito dei contratti tra professionista e consumatore,
risolve espressamente il problema del silenzio all’art. 66 quinquies, affermando che
il silenzio del consumatore rispetto ad una fornitura non richiesta da lui (es. acqua,
gas, ecc), NON vale come accettazione tacita a continuare la fornitura non richiesta
ed infatti il consumatore è esonerato dall'obbligo di fornire il corrispettivo.
Naturalmente questo art. 66 quinquies NON è un principio generale ma è una
norma speciale, che trova applicazione SOLO nei rapporti tra professionista e
consumatore.
Il silenzio nel Codice civile: Il Codice civile, a differenza del Codice del consumo, NON prevede una norma espressa
per disciplinare l’ipotesi del silenzio del destinatario della proposta, perciò è l'interprete a
dover studiare il problema del silenzio.
Calvo: Secondo Calvo, l’impostazione sul silenzio è:
- regola: di regola, il silenzio NON ha alcun significato né rilevanza giuridica, per cui:
- NON equivale a comportamento concludente
- NON vale come accettazione: è vero che spesso il codice tutela
il proponente, ma la tutela del
proponente NON può spingersi
fino al punto da attribuire valore
di accettazione al mero silenzio.
- eccezione: silenzio circostanziato
Tuttavia, ci sono ipotesi eccezionali in cui si parla di silenzio
circostanziato, cioè quando il silenzio vale come accettazione tacita.
Calvo infatti ritiene: se le parti si trovano in una relazione d’affari
consolidata tra loro (es. hanno rapporti da 5 anni continuativi),
se una parte vuole interrompere la prassi consolidata,
allora deve espressamente dichiararlo alla controparte, perché
se invece resta in silenzio, tale silenzio vale come accettazione
tacita.
Es. immaginiamo che tra Tizio e Caio è usuale che Tizio, dopo aver
trasmesso il catalogo mensile dei propri prodotti, invii a Caio una
determinata quantità di prodotti se Caio resta in silenzio.
Ora, se Caio intende da ora in avanti paralizzare l’effetto affidante del
silenzio avvalorato dalla prassi, allora Caio deve dichiararlo
espressamente, perché se resta in silenzio Tizio continuerà ad
inviargli i prodotti in osservanza alla prassi consolidata tra loro.
Rischio di abuso: Calvo avverte anche che il silenzio circostanziato può tramutarsi
in uno strumento di abuso della libertà contrattuale da parte del
contraente economicamente forte.
Es. immaginiamo che un piccolo imprenditore riceva ordini
da un unico imprenditore forte, il quale, trovandosi in una
posizione di dominio, è solito dettare le clausole contrattuali
fuori da ogni trattativa. Immaginiamo che questo
imprenditore forte faccia una proposta di riduzione del
corrispettivo all’imprenditore debole, ponendolo di fronte alla
drastica alternativa del prendere o lasciare. Orbene, motivato
dal proposito di non abbandonare le future commesse, il
piccolo imprenditore dà esecuzione agli ordini senza
rispondere espressamente alla proposta di riduzione del
corrispettivo; ciò significa forse che il silenzio sia concludente?
Calvo a questo non risponde.

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La revocabilità della proposta e dell’accettazione
Proposta e accettazione sono normalmente atti unilaterali liberamente revocabili, salva l’eventuale responsabilità
precontrattuale.
Art. 1328: L’art. 1328 cc, rubricato “Revoca della proposta e dell’accettazione”, è articolato in due commi:
- comma 1: disciplina la revoca della proposta
- comma 2: disciplina la revoca dell’accettazione:
Revoca della proposta: Il comma 1 dell’art. 1328 disciplina la revoca della proposta.
La revoca della proposta da parte del proponente comporta:
- si elimina l’efficacia giuridica della proposta
- se l’oblato aveva già accettato e aveva anche già intrapreso in buona fede l'esecuzione
della sua prestazione prima di avere notizia della revoca della proposta,
allora il proponente revocante è tenuto all’indennizzo all’oblato delle spese e
delle perdite subite per l'iniziata esecuzione della prestazione contrattuale.
È un atto recettizio? Ci si interroga se la revoca della proposta sia un atto recettizio. Perché?
Perché il comma 1 dell’art. 1328 tace sul punto, mentre se leggiamo il
comma 2 dice che la revoca dell’accettazione è recettizia.
E allora la domanda è: la revoca della proposta ha natura recettizia al pari
della revoca dell’accettazione?
- giurisprudenza: per la giurisprudenza, la revoca della proposta NON ha natura
recettizia, quindi:
- produce effetti immediatamente, A PRESCINDERE dalla
conoscibilità dell’oblato
- quindi per produrre effetti NON deve essere portato a
conoscenza dell’oblato,
ma è sufficiente l’emissione della
volontà di revocare la proposta.
Con quali argomenti la giurisprudenza sostiene questa tesi?
La giurisprudenza utilizza due argomenti per sostenere la tesi
della non recettizietà della revoca della proposta:
- argomento letterale: il codice tace sulla recettizietà
della revoca della proposta,
mentre è esplicito in tema di
revoca della accettazione.
- altro argomento è tratto dal fatto che è previsto
l’obbligo per il proponente di
indennizzare l’oblato.
Secondo la giurisprudenza: il legislatore
ha previsto l’indennizzo proprio per
allievare gli effetti pregiudizievoli
che si producono immediatamente nei
confronti del destinatario, proprio
perché la revoca della proposta ha
effetti immediati.
- Calvo: Calvo invece ritiene che i citati argomenti da parte della giurisprudenza
siano deboli e facilmente confutabili, perché il legislatore semplicemente
“minus dixit quam voluit”, cioè ha detto di meno di quanto ha voluto.
Secondo Calvo, non vi sarebbe ragione di differenziare il trattamento della
revoca della proposta da quello della revoca della accettazione,
perché questo inciderebbe sull’esigenza di pari trattamento del proponente
e dell’accettante.
Quindi, per Calvo la revoca della proposta ha NATURA RECETTIZIA,
proprio come la revoca dell’accettazione, perciò la revoca della proposta:
- NON produce effetti immediati
- produce effetti SOLO quando giunge nella sfera di conoscibilità
dell’oblato.
Ovviamente l’effetto è quello di eliminare l’efficacia giuridica della
proposta.

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Revoca dell’accettazione: Il comma 2 dell’art. 1328 afferma che l'accettazione può essere revocata PURCHÉ la revoca
giunga a conoscenza del proponente prima dell'accettazione.
Recettizietà: Qui non ci poniamo il problema che ci siamo posti in caso di revoca della
proposta, perché qui è proprio il codice a dire espressamente che
la revoca dell’accettazione ha NATURA RECETTIZIA, quindi produce effetti
(= eliminare l’efficacia giuridica dell’accettazione) nel momento in cui entra
nella sfera di conoscibilità del proponente.

Forma: Che forma deve avere la revoca della proposta e dell’accettazione per avere efficacia?
- tesi maggioritaria: dottrina e giurisprudenza maggioritaria ritengono che viga il principio di libertà delle
forme della dichiarazione di revoca, nel senso che NON è necessario che vi sia una
simmetria formale tra atto unilaterale (proposta/accettazione) e la dichiarazione su cui
essa va ad incidere (revoca).
- tesi minoritaria: una parte minoritaria invece ritiene che la revoca esiga la stessa forma in cui è stata fatta la
dichiarazione su cui essa va ad incidere (proposta/accettazione).

Proposta irrevocabile. L’opzione


Abbiamo parlato della revoca della proposta. TUTTAVIA, ci sono casi in cui la proposta è irrevocabile.
L’irrevocabilità della proposta può derivare:
- o dalla legge: si fa riferimento all’art. 1333 cc che disciplina i contratti con obbligazioni a carico del
solo proponente: la proposta del proponente è irrevocabile per legge.
- o dalla volontà unilaterale del proponente: l’irrevocabilità della proposta può anche essere una
libera scelta del proponente, il quale si impegna a
tenere ferma la sua proposta per un certo determinato
periodo di tempo. Ciò è previsto dall’art. 1329 cc.
Art. 1329: L’art. 1329, rubricato proprio “Proposta irrevocabile”, afferma:
- comma 1: il proponente può obbligarsi a mantenere ferma la proposta per un certo tempo,
rinunciando preventivamente al suo diritto di revoca della proposta fino allo scadere del
termine previsto.
Qualora lo stesso proponente revochi la sua proposta (irrevocabile) prima del termine,
allora tale dichiarazione di revoca NON produrrà effetto, quindi la proposta resta in piedi.
Termine: Il comma 1 dice “ferma la proposta per un certo tempo”, quindi è necessario
che il proponente precisi il termine di durata dell’irrevocabilità, cioè un
termine finale decorso il quale la proposta sarà liberamente revocabile.
Cosa accade se il proponente non indica il termine di durata dell’irrevocabilità?
- codice: il codice NON dice nulla
- tesi maggioritaria: dato che il termine di durata dell’irrevocabilità è un
elemento costitutivo della fattispecie, allora la sua
mancanza comporta la nullità della clausola di
irrevocabilità, quindi proposta irrevocabile
si convertirà in proposta semplice revocabile.
- tesi minoritaria: il termine di durata dell’irrevocabilità, se manca, potrà
essere fissato dal giudice (in analogia alla disciplina
dell'opzione).
- Calvo: Calvo ritiene che si debba applicare analogicamente l’art. 1326
comma 2 cc: se manca il termine di durata dell’irrevocabilità,
la proposta resta irrevocabile per il tempo
necessario, tenuto conto della natura dell’affare
o degli usi.
Il sopravvenire del termine finale: Qual è la sorte della proposta una volta decorso il
termine di durata della clausola d’irrevocabilità?
Calvo ritiene che la proposta irrevocabile, spirato il
termine, si converta in proposta semplice, quindi
liberamente revocabile.
- comma 2: in caso di proposta irrevocabile, in ipotesi di morte o sopravvenuta incapacità del
proponente: - di regola la proposta conserva la sua efficacia
- A MENO CHE la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale
efficacia.

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Quindi, volendo approfittarne per fare un ragionamento generale sull’impostazione del
codice in caso di morte o sopravvenuta incapacità legale di un dichiarante (proponente o
oblato), possiamo notare che lo schema è:
- IN GENERALE, vige la regola
della caducazione: la morte o la sopravvenuta incapacità legale di un
dichiarante (sia egli proponente o oblato) verificatesi prima
della conclusione del contratto:
- impediscono la conclusione del contratto
- la proposta o l’accettazione perdono subito efficacia.
- IN CASO DI PROPOSTA IRREVOCABILE,
vige la regola della persistenza: se la proposta è irrevocabile, in caso di morte o di
sopravvenuta incapacità legale del proponente,
la proposta conserva la sua efficacia,
A MENO CHE la natura dell’affare o altre
circostanze escludano tale efficacia.
Opzione: Quando parliamo della proposta irrevocabile dobbiamo sottolinearne l’analogia e le differenze rispetto ad un
altro istituto.
Analogia: In entrambi i casi c’è una proposta irrevocabile, quindi se il proponente revoca la proposta,
tale dichiarazione di revoca NON ha produrrà effetto = la proposta resta in piedi.
Differenze: Tuttavia, ci sono delle profonde differenze:
- proposta irrevocabile: caratteristiche della proposta irrevocabile sono:
(art. 1329) a) qui l’irrevocabilità è frutto di una volontà unilaterale del proponente
b) la proposta irrevocabile è sempre a titolo gratuito
c) se il proponente, prima dello scadere del termine di irrevocabilità,
cambia idea e stipula il contratto con un terzo, questa è
un’ipotesi di responsabilità precontrattuale
d) se il termine della clausola di irrevocabilità della proposta non è stato
fissato dal proponente, il codice non dice qual è la conseguenza.
La giurisprudenza ritiene che si converta in proposta semplice.
- opzione (art. 1331): con l’opzione si verifica un meccanismo che si avvicina a quello della proposta
irrevocabile ma ci sono delle differenze rilevanti:
a) qui l’irrevocabilità è frutto di un contratto (accordo) tra le parti.
b) il contratto di opzione può essere: - o a titolo gratuito
- o a titolo oneroso
c) in caso di atto inconciliabile con l’opzione, la parte ne risponde a titolo di
responsabilità contrattuale da inadempimento
d) se il termine della clausola di irrevocabilità della proposta non è stato fissato
dalle parti nel contratto di opzione, allora il codice prevede
espressamente all’art. 1331 comma 2 che tale termine può essere
fissato dal giudice.

B) Conclusione del contratto mediante esecuzione concludente


Uno schema particolare di formazione del contratto – diverso dallo schema classico proposta - accettazione –
è rappresentato dalla conclusione del contratto mediante esecuzione concludente.
Di norma, in virtù dello schema classico di formazione del contratto (proposta – accettazione), un contratto si
conclude quando il proponente ha avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte.
Tuttavia, il codice all’art. 1327 cc prevede uno schema particolare: è possibile concludere il contratto:
- SENZA una previa accettazione
- mediante l’inizio dell’esecuzione della prestazione
da parte dell’oblato.
Es. inserimento della moneta in un distributore automatico.
Ratio: La ratio di questo schema sta nell’esigenza di garantire la speditezza del traffico mercantile. Ciò accade ad es.
quando il proponente ha urgenza nell'ottenere la prestazione e allora chiede l’esecuzione concludente della
controparte perché non vuole attendere l’accettazione.
Art. 1327 cc è rubricato “Esecuzione prima della risposta dell’accettante”.
Dopo la formulazione della proposta, se è richiesto dal proponente o lo richiede la natura dell’affare o gli
usi, l’oblato: - NON deve rispondere con l’accettazione, quindi SENZA una preventiva risposta
- ma deve eseguire la prestazione dovuta (esecuzione concludente).

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Con l’esecuzione della prestazione (esecuzione concludente) si perfeziona il contatto, il quale si ritiene
concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione.
Quindi, lo schema della conclusione del contratto mediante esecuzione concludente è:
1) proposta del proponente
2) l’oblato inizia l’esecuzione concludente della prestazione dovuta = si conclude il contratto.
Conclusione del contratto: In caso di esecuzione concludente, il contratto si ritiene concluso nel tempo e nel luogo in
cui ha avuto inizio l’esecuzione.
SI accordo: Anche in questo schema di formazione contrattuale vi è l’accordo. È SBAGLIATO pensare che, dato
che non c’è accettazione, allora non c’è accordo. L’esecuzione concludente della prestazione rileva come
manifestazione tacita del consenso dell’esecutore (accettante), quindi è dimostrativo della volontà di
accettare la proposta e concludere il contratto.
Ambito di applicazione: Quando è possibile procedere con questo schema?
L’art. 1327 afferma che è possibile procedere a questo schema:
a) o su richiesta del proponente
b) o quando lo richiede la natura dell’affare
c) o secondo gli usi.
Quando NON è possibile procedere con questo schema?
Lo schema dell’esecuzione concludente NON è utilizzabile:
a) in caso di contratti formali, cioè quando il legislatore richieda un requisito di forma.
Es. se il legislatore prevede la forma scritta a pena di nullità
per un contratto, NON è possibile l’esecuzione
concludente.
Eccezione: È prevista una eccezione in tema di subfornitura
b) quando il contratto ha ad oggetto una obbligazione negativa, cioè una prestazione di
non fare / non dare: perché? Perché in queste situazioni il comportamento
inerte è sempre equivoco, non potendo da esso
essere desunta l’inconfutabile volontà dell’oblato di
vincolarsi alla proposta
c) in un’ipotesi relativa ai rapporti di durata (vedi sotto).

Comunicazione dell’esecuzione: Il comma 2 dell’art. 1327 afferma: “L'accettante deve dare prontamente avviso
(art. 1327 comma 2) all'altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento
del danno”.
Che significa? Significa che colui il quale ha iniziato l’esecuzione concludente
ha un onere di pronta comunicazione dell’iniziata esecuzione al
proponente.
“Accettante”: Il comma 2 parla di accettante, ma qui per accettante si intende
“colui il quale ha iniziato l’esecuzione”.
Valore: Che valore ha questa pronta comunicazione dell’oblato al proponente?
- NON serve a perfezionare il contratto: il contratto si intende già
perfezionato e concluso nel
momento della esecuzione
concludente dell’oblato
- serve solo a rendere edotto il proponente che è iniziata l’esecuzione della
prestazione dovuta. Quindi la comunicazione
serve soltanto a superare l’incertezza circa
l’avvenuta conclusione del contratto a seguito
dell’avvenuta esecuzione.
Ratio: Perché deve essere dato l’avviso al proponente?
Perchè altrimenti il preponente, ignorando l'avvenuta esecuzione, potrebbe ritenersi
non vincolato e ad es. potrebbe cercare altrove la prestazione, ripetendo la proposta
ad altri.
In caso di mancata comunicazione? In caso di mancata comunicazione dell’oblato al
proponente:
- la proposta resta in piedi
- ma l’oblato è tenuto al risarcimento del danno al
proponente.

43
Condotte dell’oblato: Calvo si pone il problema di due possibili situazioni “patologiche”:
- se l’oblato esegue una prestazione che è difforme
dalla prestazione dovuta prevista dalla proposta  allora il contratto NON può ritenersi
concluso
- se l’oblato NON esegue la prestazione
(come richiesto dal proponente), ma
risponde dichiarando di accettare l’offerta  in questo caso Calvo dice: essendoci una
difformità tra proposta e condotta
dell’oblato, l’accettazione dell’oblato vale
come controproposta (nuova proposta)
- se l’oblato esegue la prestazione ma dice
“io eseguo contratto, ma la mia condotta
non significa accettazione della proposta”
(cd. protestatio: una dichiarazione contraria
rispetto al comportamento concludente)  per Calvo la protestatio NON priva di
significato contrattuale l’esecuzione
concludente della prestazione effettuata
dall’oblato.
Es. entro in un parcheggio a pagamento con la sbarra,
premo il pulsante e ritiro il biglietto. Al momento
dell’uscita, io oblato posso dire “ma io non intendevo
stipulare il contratto di custodia e pagare”?
NO, perché questa dichiarazione contraria (protestatio)
NON priva di significato contrattuale il precedente
comportamento concludente, cioè che sono entrato e
ho lasciato la mia auto in custodia, quindi NON viene
meno la mia obbligazione corrispettiva di pagare il
parcheggio.
Ius variandi e rapporti di durata: Calvo ritiene che lo schema dell’esecuzione concludente NON si possa applicare
quando, in un rapporto di durata, un contraente formula una proposta di modifica
peggiorativa del rapporto a scapito della controparte.
Perché? Perché se il proponente (della modifica peggiorativa a scapito della
controparte) potesse chiedere l’esecuzione concludente della controparte,
la controparte andrebbe incontro alla seguente alternativa:
a) o eseguire la prestazione, e allora si tratterà di esecuzione concludente della
prestazione, quindi come accettazione tacita della
proposta di modifica peggiorativa del contratto di
durata
b) o non eseguire la prestazione, e allora in questo caso tale contraente diventa
inadempiente perché viola il contratto di durata.
E allora è evidente che in simili ipotesi il contraente che si vede arrivare una
proposta di modifica peggiorativa del contratto di durata dovrebbe rifiutarla
espressamente.
Subfornitura: Abbiamo detto che lo schema contrattuale dell’esecuzione concludente NON può applicarsi ai contratti
Formali che prevedono una determinata forma a pena di nullità del contratto.
Tuttavia, c’è un’eccezione all’art. 2 comma 2 della L. 192/1998 in tema di subfornitura, perché prevede:
anche se il contratto prevede la forma scritta a pena di nullità,
se la proposta è redatta per iscritto, allora l’oblato può
perfezionare il contratto tramite l’esecuzione concludente della
prestazione.

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C) Proposta di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente
(art. 1333 cc)
Un altro schema particolare di formazione del contratto è dato dall’art. 1333 che disciplina la proposta di contratto
con obbligazioni a carico del solo proponente. Questa è una modalità che semplifica la conclusione del contratto.
NON è un contratto sinallagmatico: Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente (detto anche contratto
unilaterale) si caratterizza per il fatto che dal contratto nasce l'obbligo di eseguire
la prestazione a carico di una sola parte.
Ecco perché si può dire che il contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente si CONTRAPPONE alla categoria dei contratti sinallagmatici.
Es. il contratto di deposito gratuito: solo sul depositario incombe l'obbligo di
custodire e consegnare la cosa nello stato in cui fu consegnata.
Es. il contratto di fideiussione.
Art. 1333 cc: - comma 1: La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il
proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
- comma 2: Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli
usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso.
“Contratto unilaterale”: Nella prassi, il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente viene chiamato
contratto unilaterale. Si intende il contratto con due parti ma che ha la particolarità che
soltanto uno assume obbligazioni mentre l’altro non assume alcuna obbligazione.
Formazione del contratto: I contratti con obbligazioni a carico del solo proponente dall’art. 1333 cc prevedono il
seguente schema:
1) proposta irrevocabile: la proposta di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente è una
proposta irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario.
- NO accettazione: per la conclusione del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente
NON è necessaria l’accettazione del destinatario della proposta, perché è
sufficiente che l’oblato resti inerte affinché il contratto si intenda tacitamente
concluso.
Perché? Perché in caso di proposta di contratto con obbligazioni a carico del
solo proponente:
- l’accettazione NON ha il carattere di elemento essenziale per il
perfezionamento dell’intesa
- è sufficiente che l’oblato resti inerte perché è sufficiente il suo mancato
rifiuto.
Rifiuto: L’oblato comunque non è immediatamente vincolato dalla proposta
irrevocabile ex art. 1333 cc, essendo libero di rifiutarla entro un congruo
termine.
Infatti, se l’oblato non vuole che il contratto si perfezioni, allora ha
l’onere di comunicare al proponente la sua volontà di rifiutare la proposta
entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi.
Se decorre questo termine senza che il rifiuto pervenga al
proponente, allora il contratto si perfeziona comunque.
- NON c’è una controprestazione: chiaramente il contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente comporta:
- obblighi esclusivamente a carico del proponente
- la nascita di soli vantaggi e benefici nella sfera dell’oblato.
Dottrina: Una parte della dottrina afferma che in realtà anche nei contratti ex art. 1333 cc ci sarebbe l’accettazione
tacita che sarebbe desumibile dal silenzio (mancato rifiuto).
Tuttavia, Calvo NON accetta tale teoria, dicendo che di regola il silenzio NON ha valore negoziale.
Contratti formali: È controverso se l’art. 1333 cc si possa applicare anche ai contratti formali, cioè quelli per i quali il
legislatore prevede una la forma scritta a pena di nullità. Su questo punto ci sono due tesi:
- 1° tesi: se si parte dalla premessa che il contratto ex art. 1333 si perfeziona in virtù di
un’accettazione tacita derivante dal silenzio dell’oblato (come ragiona parte della
dottrina), allora NON è possibile estendere l’art. 1333 ai contratti formali
- 2° tesi: se invece si parte dalla premessa che non si tratti di accettazione tacita, allora
è possibile estendere l’art. 1333 anche ai contratti formali.

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Proposta di usufrutto: È controverso se l’art. 1333 cc possa applicarsi anche alla proposta di usufrutto.
La questione è discussa:
- 1° tesi: secondo alcuni, l’art. 1333 NON si può applicare alla proposta di usufrutto perché
da tale proposta deriverebbero in capo all’oblato (usufruttuario) obblighi tali da
escludere che egli abbia soltanto una posizione di vantaggio a suo favore
- 2° tesi: secondo altri, bisogna distinguere perché la proposta di usufrutto può essere a
titolo oneroso ma anche a titolo gratuito, e dunque bisogna distinguere tra:
a) proposta di usufrutto
a titolo oneroso: in questo caso NON si può applicare l’art. 1333 perché
deriverebbero anche in capo all’oblato obblighi tali per
cui si richiede una vera e propria accettazione
dell’oblato per perfezionare l’accordo
b) proposta di usufrutto
a titolo gratuito: in questo caso l’art. 1333 si può applicare, e dunque
per la formazione del contratto è sufficiente il
mero mancato rifiuto da parte dell’oblato.
Oggi pare che la giurisprudenza manifesti la propria predilezione a favore di
questa tesi, anche se il problema è tutt’altro che pacifico.

D) L’offerta al pubblico
Ultimo schema di formazione del contratto è quello dell’offerta al pubblico.
Fonte: Art. 1336 cc.
Ratio: L'offerta al pubblico risponde ad esigenze commerciali perché consente di rivolgere la proposta di concludere il
contratto ad una generalità di persone in modo rapido e non dispendioso rispetto a quanto accadrebbe con una
singola proposta a ciascuno di essi.
Nozione: L’offerta al pubblico è una proposta di conclusione del contratto rivolta:
- NON ad un destinatario specifico
- ma ad una generalità di persone: quindi il suo elemento caratterizzante è dato dall’incertezza
del destinatario.
Quindi consiste in una dichiarazione di consenso al contratto che attende di scambiarsi con la dichiarazione
di un destinatario che vi concordi pienamente.
Proposta: La proposta contenuta nell’offerta al pubblico:
- deve essere completa: l’offerta al pubblico vale come proposta SOLO se è completa, cioè deve
contenere tutti gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione
è diretta, a meno che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.
• Cosa accade se la proposta non è completa?
Se l’offerta non è completa, allora vale come mero invito a trattare.
- è revocabile: la proposta contenuta nell’offerta al pubblico è revocabile.
- NON è un atto recettizio: ovviamente la proposta contenuta nell’offerta al pubblico
NON è un atto recettizio, e infatti:
- produce effetti immediatamente
- è sufficiente renderla conoscibile alla generalità di destinatari.
Accettazione: L’offerta al pubblico, essendo una proposta di contratto, richiede l’accettazione per
tradursi in accordo.
Conclusione del contratto: Il contratto si conclude quando il proponente offerente viene a conoscenza della
accettazione di un oblato.

Distinzioni: L’offerta al pubblico, essedo una proposta di contratto, si distingue da altri istituti:
- NON è un invito ad offrire: quando abbiamo parlato dell’invito ad offrire (per sottolineare che non è una
proposta), abbiamo detto che l’invito ad offrire (o a proporre) NON è una
proposta contrattuale, ma è un invito ad una generalità di persone a formulare
proposte contrattuali.
In questo c’è differenza tra i due istituti:
- invito ad offrire: NON è una proposta, ma è un invito a proporre rivolto ad una
generalità di persone
- offerta al pubblico: è una proposta rivolta ad una generalità di persone

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- NON è una promessa
al pubblico: le differenze sono notevoli:
- promessa al pubblico: - è una promessa unilaterale (dunque NON è un contratto)
con cui un soggetto (promittente) assume
un’obbligazione gratuita nei confronti di chiunque del
pubblico si trovi in una data situazione o compia una
determinata azione.
- NON è revocabile
- offerta al pubblico: - è una proposta di contratto
- è revocabile.
Forme di offerta al pubblico:
A) esposizione della merce al pubblico: è l’offerta al pubblico che si concretizza quando il negoziante
espone la merce col relativo prezzo.
Il contratto si conclude quando il cliente rende nota al
negoziante la sua accettazione.
B) la predisposizione di pagine web per gli acquisti
C) bando di concorso: secondo la giurisprudenza consolidata, nell’area dell’offerta al pubblico rientra
anche il bando di concorso per l’assunzione di lavoratori.
Il bando di concorso costituirebbe un'offerta al pubblico che si perfezionerebbe nel
momento in cui un concorrente soddisferà i requisiti fissati nel bando.
Secondo Calvo, bisogna compiere una distinzione relativamente alle modalità di
costituzione del vincolo negoziale:
a) se il bando prevede che il rapporto verrà perfezionato con i concorrenti vincitori
allora il contratto sarà perfezionato automaticamente con i vincitori,
perché la domanda di partecipazione dei candidati integra già tutti gli
estremi dell’accettazione.
Patologia: Laddove il promotore del bando non intenda stipulare il
contratto col vincitore, allora il candidato avente titolo può agire
in giudizio al fine di far accertare il perfezionamento dell’intesa.
b) se il bando prevede l’impegno ad assumere i vincitori,
allora al termine della prova selettiva il promotore del concorso
(offerente) ha l’obbligo di stipulare il contratto con i vincitori.
Patologia: Laddove l’offerente non intenda rispettare la proposta, allora il
candidato vincitore può agire in giudizio ex art. 2932 cc, cioè
con l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il
contratto. Infatti, è come se si trattasse dell’obbligo di stipulare
un contratto definitivo.
Il caso del parcheggio custodito: In tema di offerta al pubblico, Calvo riporta un caso pratico: risponde oppure no come
custode il gestore di un parcheggio a pagamento qualora il furto dell’automezzo del
cliente sia avvenuto nel corso di uno sciopero nazionale cui abbia aderito il personale
addetto alla vigilanza?
PRIMA: inizialmente la giurisprudenza aveva ritenuto che NON sorgeva responsabilità del
custode perché c’erano gli estremi dell’evento non imputabile ex art. 1780 cc,
siccome la proclamata astensione degli ausiliari del debitore avrebbe impedito
all’obbligato il corretto adempimento degli impegni assunti.
OGGI: oggi la giurisprudenza ha cambiato orientamento, e secondo Calvo lo ha fatto
giustamente, affermando:
- il contratto (atipico) di parcheggio, sorretto dalla disciplina sul deposito, si
perfeziona secondo lo schema dell’offerta al pubblico
- in capo al depositario (custode del parcheggio) sorge responsabilità contrattuale,
la quale deriva:
- NON dalla mancata revoca dell’offerta al pubblico
- ma dalla violazione del diligente adempimento dell’obbligazione di
custodia: infatti, l’evento estraneo alla sfera di controllo del
debitore (sciopero dei dipendenti) NON costituisce un
caso fortuito idoneo a svincolare il depositario
(custode del parcheggio) dalla responsabilità
contrattuale per inadempimento.

47
CAP.6
LA FORMA
Nozione: La forma del contratto è la veste esteriore della manifestazione di volontà, cioè è il mezzo mediante il quale
le parti manifestano all’esterno (esteriorizzano) la loro volontà contrattuale e il loro consenso.
È sempre un requisito del contratto: L’art. 1325 cc, quando elenca i requisiti del contratto, prevede che la forma sia un
requisito del contratto SOLO quando risulta prescritta dalla legge sotto pena
di nullità.
In realtà, questa espressione usata dal legislatore è errata, perché la forma è
SEMPRE un requisito per l’esistenza del contratto, perché un contratto che sia
privo di forma (quand’anche fosse orale o tacita) è assolutamente inconcepibile.
È sempre necessario che la manifestazione di volontà sia percepibile all’esterno.
Per tale ragione, sarebbe più corretto dire che la forma del contratto è sempre un
requisito del contratto, e:
- se è richiesta dalla legge la forma scritta a pena di nullità, allora è un requisito
essenziale di validità del contratto
- mentre in tutti gli altri casi le parti sono libere di scegliere la forma che ritengono
preferibile per esternare le loro volontà.
Libertà delle forme: In generale vige il principio di libertà della forma contrattuale, nel senso che di regola le parti
sono libere di stipulare il contratto in qualsiasi forma, quindi nella forma che essi ritengono più
idonea e conforme ai loro interessi, senza rispettare particolari oneri formali.
Forme libere e vincolate: I contratti possono essere:
- a forma libera: in linea di principio, i contratti sono a forma libera, dato che vige il
principio di libertà della forma
- a forma vincolata (contratti formali o solenni): tuttavia, ci sono casi eccezionali in cui la
legge richiede un determinato requisito di
forma per la valida stipula di determinati
contratti. Si parla di forma legale.
Forme convenzionali (o volontarie): Oltre all’onere di forma imposto dalla legge, il codice prevede anche la possibilità
di cd. forme convenzionali, cioè la possibilità che le parti dettino dei requisiti di
forma per il loro accordo.
Quindi, il principio di libertà della forma contrattuale può essere derogato:
- o dalla legge (cd. forme legali)
- o anche dalla volontà delle parti (cd. forme convenzionali).
Libertà delle forme e neoformalismo contrattuale
Questo quadro abbastanza nitido - dove si distingue tra contratti a forma libera e contratti a forma vincolata - si è
andato però offuscando nel corso degli anni ‘90, e si è iniziato a parlare di neoformalismo contrattuale.
Cosa è successo?
Si è avuto un mutamento nel modo di intendere la forma scritta:
- fino agli anni Novanta, la forma scritta era prevista dal legislatore quando questo la riteneva indispensabile
per tutelare la certezza dei rapporti giuridici, quindi come tutela di un
interesse generale.
- dagli anni Novanta in poi, il legislatore ha cambiato visione sulla forma: il legislatore ha cominciato a
prevedere la forma scritta:
- NON sempre per tutelare interessi generali (la certezza dei rapporti giuridici)
- ma per tutelare interessi che possiamo definire “seriali”, cioè solo degli
interessi dei contraenti deboli.
Quindi il legislatore ha elevato la forma scritta a strumento di protezione del
contraente debole contro il pericolo di abuso della parte economicamente
forte.
Tale trend normativo è il risultato dell’opera di adeguamento di molteplici direttive comunitarie in funzione di
protezione della parte debole sotto il profilo economico, informativo o organizzativo.
Esempi: Facciamo esempi che rientrano nel concetto di neoformalismo contrattuale che si sono sviluppati nel tempo:
- art. 117 Testo Unico Bancario: prevede che i contratti devono essere redatti per iscritto e una copia deve
essere consegnata al cliente.
Qui è evidente che la forma è prevista:
- NON per tutelare interessi generali
- NON per un problema di dare certezza ai rapporti contrattuali
- l’esigenza è soltanto quella di tutelare il cliente (soggetto debole).

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- art. 23 Testo Unico della Finanza: stabilisce che i contratti di investimento immobiliare debbono avere
la forma scritta sotto pena di nullità, ma la mancanza della forma
scritta può essere fatta valere solo dal cliente.
Anche qui si intende tutelare interesse privati, cioè di tutte la serie di
clienti delle banche o degli intermediari finanziari.
Quindi, possiamo dire si è venuta a creare una contrapposizione tra formalismo classico – neoformalismo.
Il formalismo della donazione
Rispetto a questa contrapposizione tra formalismo classico – neoformalismo, una considerazione a sé va fatta per il
contratto di donazione.
Il codice all’art. 782 cc prevede: la donazione è un contratto che deve essere redatto a pena di nullità con un forma
scritta “rafforzata”:
1) in forma scritta
2) mediante atto pubblico dinanzi ad un notaio
3) e dinanzi alla presenza di 2 testimoni.
Ratio: Perché per la donazione è previsto tutto questo formalismo?
Il problema è molto discusso e in molti hanno provato a fornire una spiegazione:
- alcuni ritengono che questo formalismo sia un retaggio del formalismo degli antichi negozi di ius civile
- altri invece hanno detto: il legislatore per la donazione richiederebbe questa forma scritta “rafforzata”
perché in questo caso la forma sostituirebbe la causa che mancherebbe, come se la
forma fosse un surrogato della causa mancante.
Cioè alcuni dicono: dato che nel contratto di donazione manca una causa,
all’assenza della causa si pone rimedio imponendo una forma
così solenne.
Critica: Calvo critica fortemente tale tesi, affermando: ma NON è vero che la
donazione non ha una sua causa. La donazione, in quanto contratto, ha una
causa così come ce l’hanno tutti i contratti.
- Calvo: per Calvo, il formalismo della donazione si giustifica in quanto serve a maturare un consenso
ponderato e a rendere a tutti percettibile lo spirito di liberalità del donante pro donatario.
Causa liberale: Dice Calvo: la donazione è un contratto che, come tutti i contratti, ha una causa.
La causa della donazione si definisce causa liberale, cioè è lo spirito di liberalità (cd. animus donandi):
consiste nello spostamento patrimoniale (di ricchezza) da parte del donante che avviene:
- al solo scopo di arricchire l’altra parte (cd. beneficiario o donatario)
- SENZA una corrispondente prestazione a carico di tale beneficiario
Quindi, la donazione è uno spostamento patrimoniale che avviene per animus donandi, quindi:
- il donante appaga dei propri interessi NON patrimoniali (cd. extrapatrimoniali)
- e il donatario riceve un vantaggio patrimoniale
Donazione di modico valore: Il successivo articolo (art. 783) pone una deroga a questa forma scritta rafforzata: c’è un
(art. 783) tipo di donazione che SFUGGE a questo formalismo tipico della donazione in generale.
È la cd. donazione di modico valore: l’art. 783 cc prevede che la donazione di modico
valore che ha per oggetto beni mobili è valida anche
se manca l'atto pubblico, purché vi sia stata la
tradizione (consegna).
Es. se faccio un regalo al mio amico che si sposa.
La donazione di modico valore, detta anche donazione manuale, ha queste caratteristiche:
1) ha ad oggetto beni mobili di modico valore
2) è un atto a forma libera: quindi NON è necessario il requisito formale previsto dalla
legge per la donazione in genere
3) è necessaria la consegna del bene: la donazione di modico valore è valida purché
il donante abbia consegnato al donatario il
bene donato.
Infatti, la mancanza del requisito della forma scritta
rafforzata è sostituita dalla consegna.
L’art. 783 parla di “tradizione”: è la cattiva
traduzione di “traditio”, cioè della
consegna.
La modicità della donazione deve essere valutata anche in rapporto al patrimonio del donante.
Ciò che è di modico valore per un avvocato non è uguale per un operaio.

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LA FORMA SCRITTA
I contratti formali (solenni)
In deroga al principio della libertà di forma, i contratti formali (o solenni) sono quei contratti per i quali la legge
richiede la necessaria adozione della forma scritta.
Quando è la legge a dettare un onere di forma del contratto, tale onere formale può essere richiesto dalla legge per
due scopi diversi:
a) ad substantiam  quando la forma scritta è richiesta a pena di nullità del contratto. In questo caso:
a) la forma è elemento costitutivo del contratto
b) in caso di inosservanza dell’onere formale  NULLITÀ del contratto.
Es. scrittura privata e atto pubblico.
b) ad probationem  quando la forma scritta è richiesta soltanto ai fini della prova del contratto.
In questo caso:
a) la forma NON è elemento costituivo del contratto, ma serve a fini probatori
b) in caso di inosservanza dell’onere formale:
- il contratto è comunque valido
- in sede di giudizio dinanzi al giudice, se il contratto non è stato
stipulato con la forma richiesta, allora:
- NON si potrà fornire la prova del contratto tramite testimoni
o presunzioni
- si può fornire la prova del contratto SOLO mediante:
a) l’esibizione del documento incorporante l’accordo
b) confessione giudiziale
c) giuramento decisorio.
Esempi: i contratti che richiedono la forma scritta ad probationem sono:
- il contratto di cessione d’azienda se si tratta di imprese soggette a
registrazione
- i contratti di assicurazione
- la transazione ma NON sempre: per la transazione bisogna specificare:
- di regola, l’art. 1350 nn. 1 – 12 afferma che la
transazione richiede la forma scritta a pena di
nullità (ad substantiam)
- eccezionalmente, se la transazione ha ad oggetto
rapporti diversi da quelli elencati nei
nn. 1 – 12 dell’art. 1350, allora la
transazione richiede la forma scritta a
soli fini probatori (ad probationem)
Ratio: Per quale motivo in alcuni casi eccezionali il legislatore impone una data forma – ovviamente la forma scritta –
a pena di nullità o almeno a fini probatori?
L’onere della forma previsto dal legislatore serve a garantire una serie di esigenze:
- per tutelare la certezza dei rapporti giuridici: la forma scritta del contratto tendenzialmente riduce il rischio
di controversie tra le parti e verso i terzi
- responsabilizzare le parti perché garantisce una più attenta
ponderazione del valore economico del contratto: di fronte alla forma scritta aumenta l’attenzione
e la scrupolosità dei contraenti, rispetto invece
ad una contrattazione a voce
- per esigenze di pubblicità e opponibilità ai terzi.
La forma scritta: la scrittura privata - la scrittura privata autenticata - l’atto pubblico
Il requisito della forma scritta è soddisfatto mediante tre tipi di documenti ammessi nel nostro ordinamento:
- la scrittura privata: si parla di scrittura privata quando il contratto è formato per iscritto della parti e con
le loro sottoscrizioni autografe, cioè le firme di loro pugno.
Firma autografa: Elemento essenziale della scrittura privata è la sottoscrizione, cioè
l’apposizione della firma autografa con cui ogni parte fa propria la
dichiarazione contrattuale.
Efficacia: La scrittura privata fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni
da chi l’ha sottoscritta, A MENO CHE colui contro cui è prodotta non la
disconosca: in questo caso, la parte che intende avvalersi del documento
ha l’onere di proporre istanza di verificazione.

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- la scrittura privata con firma autenticata: si parla di scrittura privata con firma autenticata quando il
contratto è formato dalle parti ma è sottoscritto davanti ad
un notaio o altro pubblico ufficiale, che ne attesta la paternità
previa identificazione degli stessi soggetti sottoscrittori.
Efficacia: A differenza della scrittura privata semplice, in caso di scrittura
privata con firma autenticata le parti NON hanno la possibilità di
effettuare un disconoscimento della propria firma, proprio
perché questa è stata apposta alla presenza di un pubblico
ufficiale.
Qualora una parte volesse contestarne la genuinità, l’unico
strumento valido sarebbe la querela di falso.
- l’atto pubblico: fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale rogante e di tutti i fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza.
Es. contratti che devono essere stipulati con atto pubblico sono ad esempio:
- la donazione
- l’atto costitutivo di associazioni riconosciute.
Res signata: La sottoscrizione rappresenta l’attività con cui la parte fa proprio il contenuto del documento.

Forma scritta ad substantiam. Quali elementi del contratto?


Una domanda che si è posta la dottrina è stata: se il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità
(ad substantiam), quali elementi del contratto devono essere redatti per iscritto? Soltanto gli elementi essenziali
oppure tutti gli elementi del contratto?
Tesi tradizionale: L’insegnamento tradizionale vuole che quando sia richiesta la forma scritta a pena di nullità (ad
substantiam), la forma scritta:
- è necessaria SOLO per gli elementi essenziali (costitutivi)
- NON è necessaria per gli elementi accessori: questi elementi, essendo NON essenziali,
possono essere pattuiti anche oralmente.
Calvo: Secondo Calvo, la tesi tradizionale NON deve essere presa alla lettera perché altrimenti sorgerebbero grosse
difficoltà applicative. Perché? Perché in realtà nell’ordinamento troviamo elementi accessori per i quali:
- o sembra richiesta la forma scritta ai fini della loro validità
- o comunque è opportuna la forma scritta perché, se redatti in forma scritta, il contraente avrà dei
diritti in sede giudiziale che altrimenti non avrebbe.
A sostegno di tale tesi, Calvo porta degli esempi:
- la condizione risolutiva o sospensiva connessa
alla compravendita di un edificio: si tratta sì di un elemento accessorio della fattispecie,
però, in virtù della sua capacità di influire sulla vicenda
traslativa, sembra che sia richiesta la forma scritta ai fini
della sua validità
- i patti destinati a regolare l’adempimento
delle obbligazioni contrattuali: per questi patti, dato che NON sono elementi essenziali,
NON è richiesta la forma scritta.
Es. il patto inerente alla data di consegna dell’edificio
compravenduto: questa clausola può essere
perfezionata a voce.
TUTTAVIA, se tale patto è stato documentato per iscritto,
l’eventuale modifica successiva di tale patto può essere
dimostrata in giudizio mediante testimoni anche fuori dai
limiti previsti dall’art. 2723 cc.
Possibile obiezione: Questo è quanto dice Calvo. Tuttavia, lo stesso Calvo
ammette che tale tesi non rispetta il tenore letterale
dell’art. 2723 cc perché questo articolo si limita
a dire: se una parte allega che, dopo la formazione
del documento, è stato aggiunto un patto al
contenuto del documento stesso, il giudice può
consentire la prova per testimoni soltanto se gli
appare verosimile che siano state fatte aggiunte o
modificazioni verbali.

51
Quindi, dice Calvo: in realtà, stando a quanto dice l’art.
2723 cc, ai fini dell’ammissibilità della prova testimoniale
rispetto al patto aggiunto o contrario (comunque
modificativo del documento), non è sufficiente il fatto
che esso abbia ad oggetto una clausola accessoria
redatta per iscritto, dato che il giudice è tenuto a
valutare la verosimiglianza dell’assunto.
Difetto di forma scritta prevista ad substantiam. Gli atti ricognitivi
Ora Calvo analizza il problema del difetto di forma scritta.
La domanda da cui parte Calvo è: se un contratto deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità (ad
substantiam) ma non è stato stipulato per iscritto (e allora il contratto è nullo), tale difetto di forma può essere
surrogato da atti equipollenti o atti di riconoscimento ex post? Ad es. una parte può dire: confesso che lo abbiamo
redatto in forma scritta?
NO. La giurisprudenza e Calvo affermano: se il codice prevede che un determinato contratto deve essere redatto in
forma scritta a pena di nullità, quel contratto DEVE NECESSARIAMENTE
essere incorporato in un documento scritto.
Perché? Perché l’onere della forma scritta NON è MAI surrogabile da
atti equipollenti di riconoscimento ex post: NON sono MAI
ammessi sostituti né equipollenti di sorta.
Calvo ritiene che la casistica aiuti ad afferrare meglio i termini della questione:
- NO applicazione del principio di non contestazione: la prima affermazione di Calvo è che la nullità del contratto per
mancanza di forma scritta prevista ad substantiam
NON può essere surrogata applicando il principio di non
contestazione.
Nozione: Per principio di non contestazione si intende quel principio processual-civilistico in
forza del quale la parte ha l’onere di contestare specificamente i fatti allegati dalla
controparte, altrimenti tali fatti si ritengono “come ammessi”.
Calvo: La giurisprudenza dominante e Calvo affermano: in sede giudiziale dinanzi al giudice,
se l’attore ha allegato un contratto che però non è stato stipulato in forma scritta
prevista a pena di nullità, quand’anche la controparte (convenuto) non abbia
contestato l'avvenuta stipulazione per iscritto, comunque NON si applicherà il
principio di non contestazione, con le seguenti conseguenze:
- il giudice NON potrà procedere come se il contratto fosse stato redatto per
iscritto
- il giudice sarà tenuto a rigettare la domanda.
Perché? Perché la mancata adozione della forma scritta quando prevista a pena di
nullità configura una nullità ASSOLUTA e INSANABILE, che NON può essere
“sterilizzata” facendo ricorso al principio di non contestazione.
- NO atti di riconoscimento ex post: Secondo Calvo, l’interpretazione della giurisprudenza merita totale accoglimento,
tanto che può essere anche ampliata fino ad affermare che in mancanza del
requisito della forma scritta prevista a pena di nullità, tale difetto di forma
NON è rimediabile neppure da atti di riconoscimento ex post, cioè con
dichiarazioni posteriori delle parti di aver redatto il contratto per iscritto,
quindi l’onere di forma scritta NON può essere sostituito da nessun atto
equipollente o di riconoscimento ex post di qualsiasi tipo, quindi nemmeno da:
- confessione
- giuramento
- presunzioni semplici
- riconoscimento
- NO negozio di accertamento: NEMMENO i cd. negozi di accertamento possono surrogare il difetto di forma
scritta prevista ad substantiam.
Nozione: Il negozio di accertamento è quel negozio con cui le parti accertano un dato
rapporto giuridico preesistente. Quindi, con tale negozio le parti:
- NON dichiarano una nuova volontà dispositiva diretta a costituire un
rinnovato rapporto obbligatorio
- ma enunciano sic et simpliciter una volontà per accertare il reale assetto
di interessi come risultante dal contratto
inter partes

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Quindi serve soltanto a mettere ordine rispetto all’incertezza relativa ad un
antecedente vicenda tra le stesse parti.
Giurisprudenza: Anche in questo caso, la giurisprudenza dominante afferma che le parti
NON possono sostituire al contratto non redatto per iscritto (quando la
forma scritta era prevista ad substantiam) un negozio di accertamento in
cui le stesse accertano l’avvenuta stipula del contratto per iscritto.
Perché? Perché il negozio di accertamento NON documenta una
nuova volontà dispositiva, quindi presuppone la validità
del contratto inter partes.
- NO fatture né quietanze: Del pari, Calvo avverte che il difetto di forma scritta NON può essere in nessun caso
sostituito da documenti che logicamente sono posti a valle del negozio, quali ad es.:
- fattura: è quel documento fiscale emesso da un soggetto fiscale emessa ai fini del
pagamento dell’IVA per comprovare l’avvenuta cessione di beni/prestazione di
servizi e il diritto di riscuoterne il prezzo.
- quietanza: è una dichiarazione unilaterale scritta con cui il creditore afferma di aver
ricevuto il pagamento in essa indicato. Ha dunque un contenuto confessorio.
- assegno
Si tratta di atti unilaterali che NON possono sostituire la mancanza di forma allorquando il
contratto avrebbe dovuto essere redatto per iscritto perché la forma scritta era prevista ad
substantiam.
Conseguenza: Do conseguenza, in sede giudiziale, la parte NON può dire al giudice:
non trovo il documento scritto incorporante il contratto, ma ho qui la
quietanza oppure ho qui la copia dell’assegno.

LE FORME CONVENZIONALI (o volontarie). IL PATTO SULLA FORMA


Finora abbiamo trattato della forma scritta imposta dalla legge, cioè i cd. contratti formali (o solenni).
Ma già nella parte iniziale abbiamo detto che il generale principio di libertà delle forme contrattuali può essere
derogato: - oltre che dalla legge (forma legale)
- anche dalla volontà delle parti (forma convenzionale).
Quindi il legislatore ammette l’esistenza di cd. forme convenzionali in virtù del principio di autonomia privata.
Quindi l’autonomia privata incide sicuramente sul contenuto del contratto, ma può incidere anche sulla forma del
contratto.
L’ordinamento giuridico consente alle parti contraenti, nell’esercizio dell’autonomia privata, di regolarizzare il
requisito strutturale della fattispecie mediante accordo tra le stesse.
Differenza: Quando parliamo delle forme convenzionali, dobbiamo distinguere due ambiti applicativi:
- art. 1326 comma 4: in tema di formazione del contratto secondo lo schema classico di proposta +
accettazione, abbiamo visto che il proponente nella proposta può stabilire la forma
dell’accettazione, cioè può stabilire che l’accettazione debba avvenire con una
determinata forma.
Questo è un caso di forma convenzionale, ma ATTENZIONE: qui la fonte della forma
convenzionale:
- NON è l’accordo tra le parti
- ma è la determinazione unilaterale del proponente: è il proponente che
impone all’accettante
una forma determinata ai
fini dell'efficacia
dell’accettazione.
- art. 1352: l’art. 1352, rubricato “Forme convenzionali”, prevede che le parti possono convenire di adottare
una determinata forma per la futura conclusione del contratto.
In questo caso la fonte della forma convenzionale è l’accordo tra le due parti contrattuali,
quindi sono entrambe le parti che convengono sull’adottare una determinata forma per la stipula
del futuro contratto.
Quindi, le parti sono libere di accordarsi per scegliere di adottare una determina forma:
- o per la validità del contratto: le parti possono accordarsi di stipulare il contratto in una
determinata forma per la validità di esso.
- o a fini probatori: le parti possono anche accordarsi di stipulare il contratto in una determinata
forma NON per la validità di esso, ma soltanto a fini probatori.
Tutto ciò è possibile grazie all’istituto del patto sulla forma.

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Il patto sulla forma
Nozione: Il patto sulla forma è quel patto con cui le parti convengono di adottare una determinata forma per la futura
conclusione di un contratto: quindi le parti si vincolano a stipulare il contratto rispettando la forma
convenuta.
Il patto può essere: - autonomo
- o costituire una clausola accessoria di un altro contratto.
La presunzione di validità: L’art. 1352 cc introduce una presunzione interpretativa sulla funzione del patto, perché
afferma “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la
futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la
validità di questo”.
Quindi, se il patto sulla forma è stato adottato per iscritto, allora il legislatore interpreta ciò
nel senso che la forma sia stata pattuita per la validità del futuro contratto.
ATTENZIONE: Badate bene: SOLO se il patto sulla forma è fatto PER ISCRITTO vige questa
“presunzione” del legislatore.
Forma del patto: La domanda è: il patto sulla forma deve essere redatto nella stessa forma prescelta per il futuro
contratto oppure no?
- alcuni ritengono di sì, per una questione di simmetria
- altri ritengono di no, perché il patto sulla forma è autonomo rispetto al futuro contratto.
NO forme convenzionali atipiche: Le parti hanno sicuramente il potere di pattuire in un patto di forma una forma
tipica.
Ma la domanda è: le parti possono pattuire l’adozione di una forma atipica, ad es.
la scrittura privata con la presenza di testimoni?
Secondo Calvo NO, perché la massima libertà riconosciuta ai consociati può essere
quella di trasformare un contratto a forma libera in un contratto
volontariamente formale, ma NON si può riconoscere anche la
libertà di adottare forme atipiche sconosciute al codice.
Prassi: Calvo avverte che nella prassi è frequente che il patto sulla forma:
- non riguardi l’intero contratto futuro da stipulare
- ma riguardi soltanto la forma per l’esercizio di diritti derivanti dal contratto stesso.
Es. stipuliamo un contratto di assicurazione e nel contratto di
assicurazione inseriamo un patto sulla forma in cui stabiliamo: se io
cliente voglio recedere dal contratto di assicurazione, allora sono
obbligato a recedere secondo la forma stabilita nel patto di forma, ad
es. predisponendo una dichiarazione scritta e inviandola con
raccomandata con ricevuta di ritorno.
Conseguenze del mancato rispetto del patto sulla forma
Quali sono le conseguenze in caso di mancato rispetto del patto sulla forma, cioè cosa accade se le parti stipulano il
contratto adottando una forma diversa da quella pattuita nel patto sulla forma?
Qui il codice tace, perciò il punto è ancora oggetto di dibattito:
- parte della dottrina: parte della dottrina ragiona in questo modo: se interpretiamo letteralmente l’art. 1352 cc
e la presunzione che esso pone, si dice “si presume che la forma sia stata voluta per la
validità di questo”, quindi conseguenza logica dell’eventuale inosservanza del patto di
forma è che il contratto stipulato è INVALIDO in quanto NULLO.
- giurisprudenza: la giurisprudenza invece, per non adottare la drastica soluzione della nullità del contratto,
parte da due premesse: NON si può trattare di nullità perché:
- le parti NON possono creare ipotesi atipiche di nullità
- la nullità è sempre prevista a tutela di interessi generali, e NON si adatta quindi alla tutela
di un interesse particolare, qual è la necessità
dell’onere formale voluto dalle parti.
Partendo da queste premesse, la giurisprudenza afferma che il contratto stipulato dalle parti in
violazione del patto sulla forma:
- NON è nullo
- NON è invalido
- è VALIDO perché si deve considerare come una sorta di comportamento concludente delle
parti: è come se le parti avessero tacitamente sciolto quel patto sulla forma, e
per questo hanno stipulato un contratto con una forma diversa da quella
pattuita.

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- parte della dottrina: alta parte della dottrina ritiene che si tratti di INEFFICACIA.
Perché? Perché se le parti hanno voluto una determina forma, vuol dire che questa
forma l'hanno voluta come condizione di efficacia del loro contratto futuro.
Ovviamente questa tesi urta contro il chiaro dettato letterale della legge, che parla di
validità, e non di efficacia, ma occorre considerare che la legge non è mai così precisa e
usa spesso i termini "validità" "efficacia", "esistenza" in maniera impropria.
Critiche di Calvo: Calvo ritiene che tutte le tesi esposte siano un po' fragili sul piano del argomentazione
giuridico-formale. Le soluzioni possono anche essere di buon senso, ma risulta
piuttosto carente l'argomentazione giuridica.
Differenza tra patto sulla forma e contratto preliminare
Patto sulla forma e contratto preliminare sono fattispecie autonome e distinte:
- patto sulla forma: gli stipulanti pattuiscono la forma che dovrà essere adottata nel futuro contratto,
- contratto preliminare: gli stipulanti si obbligano a perfezionare il rapporto negoziale oggetto dell’intesa
preparatoria.

CALVO: LE ALTRE QUESTIONI RELATIVE ALLA FORMA DEL CONTRATTO


Calvo poi si sofferma su altre questioni e temi comunque connessi al tema della forma del contratto.
Sottoscrizione al buio
Il tema della sottoscrizione di un documento è un tema ricorrente nell’ambito del tema della forma.
Calvo in particolare si sofferma sull’ipotesi della cd. sottoscrizione al buio.
Nozione: Per sottoscrizione al buio si intende la condotta di colui che firma il testo del documento senza leggerne il
contenuto, quindi senza curarsi di quanto previsto all’interno del testo del documento.
Regola: Se un soggetto ha deciso di sottoscrivere al buio un documento senza leggerlo per leggerezza o ignoranza,
il documento sarà comunque per lui vincolante, pertanto il sottoscrittore al buio sarà comunque vincolato alla
sua dichiarazione contrattuale riportata nel documento, quindi il contratto è valido e resta valido.
Ciò in virtù di due principi:
- in virtù del principio di autoresponsabilità
- in virtù del principio di affidamento della controparte, la quale ovviamente aveva fatto affidamento
sulla sottoscrizione.
Eccezione: Un conto è sottoscrivere al buio un documento senza leggerlo per leggerezza o ignoranza; altra cosa è
sottoscrivere al buio un documento perché convinti che il testo corrisponda ad un contenuto noto in
quanto già letto o in quanto ci si fida dell’altra parte, la quale assicura che le clausole hanno un
determinato contenuto che poi in realtà si palesa diverso.
In queste ipotesi bisogna valutare la fattispecie con riferimento alla disciplina sui vizi della volontà, con
particolare riferimento all’errore e al dolo.
Si pensi ad es. all’inserimento di clausole a sorpresa contenute in un testo sottoposto da una parte
all’altra con l’assicurazione che il contenuto corrisponda agli accordi presi in
precedenza, in realtà completamente diversi.
In queste ipotesi deve ritenersi che il contratto sia annullabile.
La firma in bianco (il cd. biancosegno)
Diverso dalla sottoscrizione al buio è la firma in bianco (cd. biancosegno).
Il biancosegno costituisca una sorta di variante dell’arbitramento.
Nozione: Si parla di firma in bianco quando le parti sottoscrivono un documento che però è vuoto, dando incarico ad
un terzo arbitratore di riempirlo di contenuto mediante un “patto di riempimento”, in cui determinano
preventivamente le condizioni da rispettare e dando eventuali istruzioni al terzo arbitratore.
Anche in questo caso, come nel caso della sottoscrizione al buio, le parti sono vincolati al documento
riempito dal terzo, perché con la firma in bianco stanno autorizzando un terzo arbitratore a riempire il
documento, accettandone preventivamente le condizioni.
Situazioni patologiche: Il problema si pone quando il terzo che riempie il foglio non ha alcuna autorizzazione oppure
eccede i limiti consentiti. E infatti, le due possibili situazioni patologiche in caso di firma in
bianco sono:
- riempimento sine pactis: si verifica quando le parti sottoscrivono in bianco un documento e
NON danno incarico a nessuno di compilarlo ma, nonostante ciò, un terzo
senza alcuna autorizzazione compila il documento.
Si parla di riempimento sine pactis proprio perché il riempimento avviene
SENZA che ci sia stato un “ordine di riempimento” perché nulla è stato
pattuito.

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Azione: Il riempimento sine pactis costituisce un’ipotesi di falso materiale,
e quindi il documento NON è imputabile a chi lo aveva sottoscritto
Per questo motivo, i sottoscrittori in bianco possono agire in
giudizio con l’azione di querela di falso, in modo da far valere la
mancanza di volontà a far compilare il documento.
- riempimento contra pacta: si verifica quando le parti sottoscrivono in bianco un documento dando
incarico ad un terzo di riempire quel documento secondo le istruzioni
concordate, ma il terzo arbitratore (autorizzato) compila il documento
in modo diverso da quanto concordato.
Es. in banca, i due clienti firmano un foglio in bianco e dicono al
dipendente bancario “dopo ti chiamiamo e ti diamo le istruzioni su
come compilarlo”, ma il dipendente bancario non aspetta la chiamata
e lo compila come vuole.
In questo caso, la situazione riveste i caratteri tipici dell’antinomia tra
dichiarato e voluto (vizio della volontà), perciò:
- il documento è annullabile
- i sottoscrittori in bianco possono proporre azione di
annullamento per errore.
La relatio: la determinazione per relationem del contenuto del contratto
Altro problema analizzato da Calvo che impatta sul tema della forma del contratto è la cd. relatio.
Nozione: La relatio avviene quando i privati, per la determinazione del contenuto del loro contratto, rinviano ad una
fonte esterna (es. documenti esterni).
Condizioni di ammissibilità: La giurisprudenza ritiene che la relatio è ammissibile SOLO SE sussistono le seguenti
condizioni:
1) nel contratto tra le parti comunque devono essere presenti gli elementi che
costituiscono il nucleo essenziale della fattispecie
2) la fonte esterna di integrazione (oggetto di relatio):
1) deve essere specificamente allegato nel contratto tra le parti
2) deve rispettare i requisiti formali del tipo contrattuale
utilizzato tra le parti.
Planimetria: Il caso di relatio più frequente avviene in caso di compravendita immobiliare quando le parti, per chiarire
esattamente l’oggetto del contratto, le parti alleghino al contratto una planimetria, in modo che siano
ben chiari i confini del terreno compravenduto.
Necessaria sottoscrizione delle parti: In caso di allegazione della planimetria, per rispettare gli oneri di
forma anche con riferimento all’atto esterno oggetto di relatio,
la giurisprudenza afferma che:
- NON è sufficiente individuare la planimetria per relationem
- ma è INDISPENSABILE anche la sottoscrizione dalle parti
contraenti in calce alla planimetria allegata.
In questo modo le parti manifestano la volontà
di appropriazione specifica della planimetria
allegata.
Di conseguenza, se la planimetria viene sì allegata ma non sottoscritta
in calce dalle parti, allora essa NON è ammessa: il contratto non sarebbe
valido perché un elemento essenziale dell’oggetto (e cioè il terreno
oggetto della compravendita) non sarebbe delimitato con certezza.
Calvo: Calvo invece critica questa interpretazione fornita dalla giurisprudenza,
ritenendo che essa vada oltre il confine della ragionevolezza.
Per Calvo, quello che conta:
- NON è tanto stabilire se la planimetria sia stata sottoscritta dalle parti
- quanto accertare se sia pacifico che le parti abbiano voluto rimandare
a essa per specificare l’oggetto dell’accordo.

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LA RIPRODUZIONE (RIPETIZIONE) DEL CONTRATTO
Un fenomeno molto diffuso nella prassi che impatta col problema della forma del contratto è la cd. riproduzione del
contratto.
Nozione: Si ha riproduzione (ripetizione) del contratto quando le parti:
1) PRIMA stipulano un primo contratto in una data forma: tale contratto originario è già di per sé perfetto
E tendenzialmente efficace.
2) e POI si obbligano, mediante un cd. patto di documentazione, a riprodurre lo stesso contenuto del
contratto originario ma in una forma diversa (contratto riproduttivo).
Quindi, con il patto di documentazione (ripetizione), le parti si obbligano a ripetere la stipula del contratto
originario ma in un’altra forma, dando vita al cd. contratto riproduttivo.
Tale patto di documentazione:
- NON è un patto sulla forma
- ma è un patto di impegno a riprodurre in altra forma il contratto originario di per sé già
perfezionato.
Esempio: Tipico esempio è quando le parti hanno stipulato un primo accordo in forma di scrittura privata e
successivamente, mediante un patto di documentazione, si obbligano a stipularlo nuovamente in forma di
atto pubblico.
Es. in caso di compravendita immobiliare, immagiamo che le parti abbiano stipulato il contratto in forma di
scrittura privata. A questo punto, le parti si rendono conto che con una scrittura privata non possono
procedere alla trascrizione perché per la trascrizione la legge richiede l’intervento del notaio (perché
serve l’atto pubblico o quantomeno la scrittura privata autenticata). E perciò, le parti possono accordarsi
con un patto di documentazione per obbligarsi a ripetere il contratto originario stavolta in forma di atto
pubblico (in modo tale che potranno trascriverlo).
Riproduzione: In linea di principio, il contratto riproduttivo riproduce esattamente lo stesso contenuto del contratto
originario. Tuttavia, talvolta può accadere che ciò non avvenga.
Ecco perché bisogna distinguere tra:
- riproduzione pura: si parla di riproduzione pura quando il contratto riproduttivo riproduce
esattamente il contenuto del contratto originario senza apportare nessuna
modifica. Quindi qui i due contratti (originario e riproduttivo) sono identici,
sono a specchio, semplicemente è diversa la forma.
In questo caso, il contratto riproduttivo ha una mera funzione ricognitiva del
rapporto già perfezionatosi inter partes, nel senso che:
- NON è che c’è un nuovo vincolo obbligatorio che si sovrappone a quello
originario
- la riproduzione ha una valenza soltanto testuale, determinando una
Mutazione SOLO estrinseca ma NON sostanziale
della causa venante il vincolo.
- riproduzione con modifiche: può però accadere che il contratto riproduttivo presenti delle
divergenze di contenuto rispetto al contratto originario.
Es. le parti stipulano il contratto con scrittura privata che non contiene
alcune indicazioni che invece il notaio consiglia alle parti da inserire
nel contratto riproduttivo fatto per atto pubblico. E allora, in
questo caso, ci sarà una divergenza tra il contenuto del primo
contratto originario fatto per scrittura privata e il contenuto del
contratto riproduttivo.
In caso di divergenza tra contenuti del primo contratto e del contratto
riproduttivo, si pone il problema legato al significato dell’antinomia, cioè la
domanda è: quale contratto regola i rapporti tra le parti? Quello originario
oppure quello riproduttivo?
In ipotesi di divergenza tra contratto originario e contratto riproduttivo va
verificata la volontà delle parti:
a) se le parti col contratto riproduttivo hanno voluto esprimere una nuova e
diversa volontà, quindi hanno voluto la divergenza tra i due contratti
(si parla di volontà di novazione del vincolo): allora qui è il contratto
riproduttivo ad essere
impegnativo per le parti
perché questo secondo
contratto assorbe il primo e

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lo fa venire meno,
quindi il rapporto contrattuale (che è
unico) sarà disciplinato SOLO dal
contratto riproduttivo
b) se invece le parti col contratto riproduttivo volevano limitarsi a rinnovare il
consenso già espresso (funzione meramente ricognitiva): allora qui il
fatto che il contratto
riproduttivo abbia un
contenuto diverso da
quello originario potrebbe
far pensare ad un vizio
della volontà di uno o
ambedue i dichiaranti per
errore o per dolo.
Chiaramente è in sede processuale che si dovrà accertare la volontà delle parti.
Ove le parti non abbiano espressamente chiarito quale delle due alternative ricorre
in concreto, allora è il giudice a dover risolvere il dilemma sulla base delle prove
raccolte in sede istruttoria. Si ritiene che:
- in assenza altri riscontri, è verosimile che il contratto riproduttivo apportante
modifiche, essendo più prossimo a livello temporale,
implichi la novazione del vincolo, quindi il contratto
riproduttivo assorbe il contratto originario
- è onere della parte che è portatrice dell’interesse opposto persuadere il giudice
che la modifica contenuto nel contratto riproduttivo è frutto di
errore o dolo della controparte, così da poter chiedere
l’annullamento del contratto riproduttivo.
Invalidità: Calvo si sofferma poi sul tema della invalidità del contratto riproduttivo, ponendo il seguente schema:
- regola: se il primo contratto è invalido, allora questa invalidità si trascina sul contratto riproduttivo, quindi
sarà invalido anche il contratto riproduttivo.
- eccezioni: tuttavia, Calvo rileva che ci sono casi in cui tale regola NON si applica, perché dice: l’invalidità
del contratto originario si ripercuote sul contratto riproduttivo, A MENO CHE la causa di
invalidità sia nel frattempo svanita.
Es. se il contratto originario è annullabile perché uno dei dichiaranti era privo della capacità
di agire in quanto minore d’età, però il contratto riproduttivo sarà valido se medio
tempore il soggetto sia diventato maggiorenne.
Quindi qui l’invalidità del primo contratto NON si trascina sul secondo, perché il secondo
l’ho stipulato da maggiorenne.
Differenza col contratto preliminare: Nella prassi, il fenomeno della riproduzione del contratto viene chiamato
in maniera assolutamente scorretta “preliminare improprio”, finendo per
confondere due fenomeni che invece NON hanno niente in comune.
Sono fenomeni DIVERSI perché:
- contratto preliminare (proprio): ci si riferisce al vero e unico preliminare, cioè a quel
contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un
contratto definitivo
- contatto preliminare (improprio): terminologia assolutamente da evitare perché in realtà
qui ci si riferisce al fenomeno della ripetizione del
contratto.
È errato chiamarlo preliminare improprio perché in
realtà il patto di riprodurre il contratto ha ad oggetto un
contratto che è già perfezionato, quindi NON ha nulla di
preliminare.

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CAP.7

I VINCOLI PREPARATORI ALLA FORMAZIONE DEL


CONTRATTO
Calvo, nel capitolo sui vincoli preparatori alla formazione del contratto, elenca:
- la proposta irrevocabile
- l’opzione
- il contratto normativo
- le prelazioni
- il contratto preliminare.
Della proposta irrevocabile abbiamo già parlato, quindi ora ci dedichiamo agli altri.

L’OPZIONE
Con l’opzione si verifica un meccanismo che si avvicina a quello della proposta irrevocabile.
Fonte: Art. 1331
Nozione: L’opzione è un contratto preparatorio di un futuro contratto tra le parti in forza del quale:
1) il contraente promittente fa una proposta irrevocabile, impegnandosi a tenerla ferma per un certo
lasso di tempo.
Termine finale: Nel contratto di opzione si fissa anche un termine di durata
della irrevocabilità. Infatti, l’opzione può essere concessa
solo per un tempo determinato.
Patologia: Se il termine di durata della irrevocabilità non è
stato fissato nel contratto di opzione, allora l’art.
1331 comma 2 prevede che tale termine può
essere stabilito dal giudice.
Irrevocabilità: A differenza della proposta irrevocabile ex art. 1329 cc,
qui l’irrevocabilità:
- NON è frutto di una scelta unilaterale del proponente
- ma è frutto di un contratto (accordo) tra le parti, che è
proprio il contratto di opzione.
Posizione di soggezione: Il contraente promittente, dopo la stipula del
contratto di opzione, si trova in una posizione di
soggezione, perché NON può compiere atti
inconciliabili con l’opzione violando l’impegno
assunto col promissario, ad es. NON può
trasformare, alienare o distruggere il bene
oggetto della proposta.
2) il contraente promissario (opzionario) ha il diritto potestativo di concludere il contratto a valle
accettando la proposta
Quindi, il destinatario della proposta irrevocabile, denominato
promissario, vanta un diritto potestativo di accettare la proposta:
- se rifiuta la proposta, allora il contratto a valle NON si perfeziona
- se accetta la proposta, allora il contratto a valle si perfeziona
- se accetta la proposta ma apportando alcune variazioni, allora ciò vale come
controproposta.
Gratuità o onerosità: Il contratto di opzione può essere:
- o a titolo gratuito
- o a titolo oneroso (nella stragrande maggioranza dei casi l’opzione è a titolo oneroso).
Collegamento genetico: Tra il contratto di opzione a monte e il contratto a valle (perfezionatosi a seguito
dell’accettazione del promissario) c’è un collegamento genetico: le eventuali cause invalidanti
del contratto di opzione a monte ricadono su quello a valle.
Forma: Proprio in virtù di questo collegamento genetico, il contratto di opzione deve rivestire la STESSA FORMA
richiesta per il contratto a valle. Es. se il contratto da perfezionare è un contratto di vendita immobiliare, allora
l’opzione concernente la proposta di vendita immobiliare deve avvenire
per iscritto.
Cessione: La posizione di soggezione del promittente, dato che è prevista dal contratto di opzione, è una posizione
cedibile se vi è il consenso del promissario.
Invece, la posizione del promissario NON è cedibile, dato che non è radicata in un vincolo contrattuale.

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Responsabilità contrattuale: Abbiamo detto che dopo la stipula del contratto di opzione il promittente si trova in una
posizione di soggezione perché NON può compiere atti inconciliabili con l’opzione
altrimenti violerebbe l’impegno assunto col promissario.
Cosa accade laddove il promittente violi l’opzione?
Laddove il promittente compia un atto inconciliabile con l’opzione, ad es. il promittente
stipuli il contratto a valle con un terzo, allora il promittente ne risponde a titolo di
responsabilità contrattuale da inadempimento per i danni arrecati al promissario.
Onerosità sopravvenuta: Se nel tempo intercorrente tra il contratto di opzione e il contratto a valle sopravviene un
evento straordinario ed imprevedibile che rende la prestazione di una parte eccessivamente
onerosa, allora il contraente leso può invocare i rimedi previste nell’art. 1468 (eccessiva
onerosità in caso di contratti con obbligazioni a carico di una sola parte), e cioè può chiedere:
a) una riduzione della sua prestazione
b) o una modificazione nelle modalità di esecuzione sufficiente per ricondurla ad equità.
Esempio di opzione: Immaginiamo che una società sudamericana ha un giocatore molto promettente, se il Napoli
vuole bloccare il giocatore, cosa potrebbe fare per bloccare il suo cartellino?
Il Napoli può stipulare un contratto di opzione con la società sudamericana in cui la società
sudamericana fa una proposta irrevocabile al Napoli e dice: io ti propongo di comprare il mio
giocatore per 10 milioni e mi obbligo a tenere ferma questa proposta irrevocabile per 2 anni, così
tu Napoli puoi valutare se il giocatore mantiene le aspettative o no, però il vantaggio è che
l’opzione può essere a titolo oneroso, e quindi il Napoli contestualmente all’opzione dà 500.000
euro alla società sudamericana.
Vediamo la differenza con la proposta irrevocabile:
- mentre con la proposta irrevocabile il proponente si obbliga a tenere ferma la sua
proposta ma sempre a titolo gratuito
- invece con l’opzione il proponente si obbliga a tenere ferma la sua proposta e lo può fare
sia a titolo gratuito che a titolo oneroso, e nella stragrande
maggioranza dei casi è proprio a titolo oneroso: quindi io mi
impegno a tenere ferma la proposta irrevocabile per un certo
termine ma a titolo oneroso, quindi tu mi paghi per questo mi
impegno: in questo modo riceviamo entrambi un vantaggio.
Quindi, i vantaggi quali sono:
- la società sudamericana: - riceve subito 500.000 euro
- però si limita per la futura vendita di quel giocatore, perché si impegna a
tenere ferma la proposta irrevocabile a favore del Napoli per 2 anni
- la società Napoli: - paga subito 500.000 euro
- poi, se il giocatore esploderà, lo comprerà a 10 milioni (come stabilito nel
contratto di opzione), altrimenti non lo comprerà e avrà perso quei 500.000
euro.

CONTRATTO NORMATIVO
Calvo tra i vincoli preparatori alla formazione del contratto tratta il contratto normativo.
Origine dottrinale: La nozione di contratto normativo NON è presente nel Codice civile, ma è stata elaborata dalla
dottrina.
Nozione: Il contratto normativo è un contratto mediante il quale le parti a monte stabiliscono una sorta di intesa-
quadro, cioè determinano un loro modello contrattuale-tipo avente un determinato contenuto, obbligandosi
a dare questo stesso contenuto (forgiato in questo contratto normativo a monte) agli EVENTUALI contratti
a valle che saranno liberi di decidere se stipulare in futuro oppure no, quindi comunque senza obbligarsi alla
conclusione dei medesimi.
Quindi il contratto normativo ha per oggetto la disciplina-quadro di eventuali futuri contratti tra le stesse
parti: con il contratto normativo le parti predetermina un contenuto-quadro da dare agli eventuali futuri
contratti a valle il contenuto forgiato nel loro modello-tipo a monte.
Quindi abbiamo:
1) un contratto normativo a monte: in questo contratto le parti determinano un tipo di modello
contrattuale, stabilendo il contenuto o comunque alcuni elementi che
ritengono essenziali per gli eventuali futuri contratti a valle.
Con il contratto normativo comunque le parti NON si obbligano a

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- e POSSIAMO avere uno o più contratti a valle: “possiamo” perché abbiamo detto che le parti conservano
una assoluta LIBERTÀ di scegliere SE stipulare futuri contratti
a valle oppure no.
Quindi la stipula di un contratto a valle è MERAMENTE
EVENTUALE.
Laddove però concretamente scelgano di stipulare un contratto a
valle, allora le parti sono OBBLIGATE a dare a questo contratto a
valle lo stesso contenuto stabilito nel contratto normativo a
monte che avevano stipulato.
Natura giuridica: è un contratto: Calvo riporta anche una questione sulla natura giuridica del contratto normativo:
- dottrina minoritaria: ritiene che il contratto normativo NON sia un vero e proprio
contratto perché la stipula dei contratti a valle è meramente
eventuale.
- dottrina maggioritaria: è ormai pacifico che il contratto normativo sia un contratto
perché comunque nasce in capo ai contraenti l’obbligo di dare
agli eventuali futuri contratti un certo determinato assetto.
Tipi: Questo contratto normativo può articolarsi in due diverse fattispecie:
- il contratto normativo bilaterale: con un contratto normativo bilaterale, le parti del contratto normativo
a monte si impegnano reciprocamente (l’una nei confronti dell’altra) a far
sì che i futuri contratti tra loro avranno un certo contenuto.
Si chiama bilaterale perché è un impegno reciproco: entrambe le parti si
obbligano l’una nei confronti dell’altra.
Caratteristica: C’è una perfetta corrispondenza tra i contraenti, cioè tra:
- le parti del contratto normativo a monte
- e le parti degli eventuali futuri contratti a valle.
Scopo: Scopi del contratto normativo bilaterale è predisporre un
contenuto-tipo a monte per:
- semplificare le future stipule tra i due stessi contraenti
- ottenere un notevole risparmio di tempo perché si semplice il
processo di formazione degli eventuali futuri
contratti a valle tra loro.
Esempio: il contratto normativo bilaterale è quello che serve tra soggetti
che hanno una continua rete di contratti tra loro, ad es. due
imprenditori commerciali che sono legati da frequentissimo
rapporti di affari tra loro, es. la Fiat con il suo fornitore di
metallo.
- il contratto normativo unilaterale: con un contratto normativo unilaterale, due contraenti determinano un
tipo contrattuale a monte che serve per regolare eventuali contratti
futuri a valle tra uno dei due contraenti e i terzi.
Quindi, nel momento in cui uno dei contraenti del contratto normativo
unilaterale stipulerà un contratto con un terzo, allora questa parte si obbliga
a dare al contratto col terzo il contenuto predeterminato dal contratto
normativo unilaterale a monte.
Caratteristica: A differenza del contratto normativo bilaterale, nel caso del
contratto normativo unilaterale NON c’è corrispondenza tra le parti
contrattuali, nel senso che:
- il contratto normativo a monte viene stipulato tra Tizio e Caio
- gli eventuali futuri contratti a valle sono quelli tra Caio e terzi.
Scopo: Se il contatto normativo è unilaterale, l’interesse perseguito da UNO solo
dei contraenti è: assicurare il contenuto uniforme dei futuri rapporti
contrattuali tra la sua controparte e i terzi.
Esempio: Immaginiamo i rapporti cd. di franchising, quale ad esempio il rapporto
che lega la casa-madre (es. McDonald’s) con tutti i singoli punti vendita
McDonald.
Tra la società madre e il singolo punto vendita si stipula un contratto
normativo unilaterale mediante il quale la società madre ha interesse ad
assicurarsi il contenuto uniforme dei futuri rapporti negoziali tra i singoli
punti vendita e i clienti (terzi).

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Quindi, col contratto normativo unilaterale, il singolo punto vendita
si impegna, laddove stipuli contratti a valle coi terzi (clienti), a stipulare
contratti a valle aventi il contenuto-tipo predeterminato dal contratto
normativo unilaterale.
Ad es. tutti sappiamo che il modello di panini che compriamo da
McDonald’s è uguale dappertutto perché il punto vendita si obbliga a
preparare il panino nello stesso modo e a venderlo ai clienti (terzi) alle
stesse condizioni valide per tutti gli altri punti vendita perché nel
contratto normativo unilaterale sono predeterminate a monte le
caratteristiche del panino, gli ingredienti del panino, quali panini fare,
il prezzo del panino, ecc.
Ecco perché il singolo punto vendita NON può vendere un panino diverso
o vendere ad un prezzo diverso rispetto a quello fissato nel contratto
normativo unilaterale, perché altrimenti sarebbe inadempiente.
Inadempimento: In caso di violazione dell’obbligo assunto dal contraente che ha
aderito al contratto normativo unilaterale (il punto vendita nel
caso dell’esempio):
- tale violazione NON incide sul contratto a valle perfezionato
col terzo (cliente)
- ma comunque sorge la responsabilità contrattuale da
inadempimento in capo al contraente
infedele.
Problema: Quale problema pongono i contatti normativi unilaterali?
Il vero problema che pongono i contratti normativi unilaterali è un
problema di disciplina antitrust: i contratti normativi unilaterali possono
alterare il gioco della concorrenza.
Perché? Perché quasi tutti i contratti normativi unilaterali nel loro
contenuto prevedono la fissazione di un prezzo uniforme:
ciò va a danno dell’interesse dei terzi (clienti consumatori)
perché si impedisce il gioco della concorrenza tra i singoli punti
vendita.
Es. il cliente NON può scegliere di andare al McDonald di Napoli
perché il panino costa meno rispetto al McDonald di Casoria,
perché in realtà i prezzi sono uguali.
Questo va a danno della clientela perché, obbligando i punti
vendita a non poter fissare un prezzo diverso da quello fissato nel
contratto normativo a monte, si va a danneggiare il cliente perché
non c’è un mercato di libera concorrenza dove il cliente può
scegliere un altro punto vendita perché gli offre condizioni
economiche migliori.
Invalidità: Un problema che tratta Calvo è: l’eventuale nullità del contratto
normativo bilaterale a monte si ripercuote sui contratti a valle?
- 1° tesi: se si ritiene che non ci sia collegamento genetico tra contratto
normativo bilaterale e i contratti a valle, allora la nullità del
contratto normativo a monte NON si trasmette sui contratti a valle.
- Calvo: per Calvo è preferibile la soluzione opposta: c’è un collegamento
genetico necessario tra il contratto normativo a monte e i contratti
a valle, in quanto questi recepiscono il contenuto del contratto a
monte. Proprio in virtù di tale collegamento, la nullità del contratto
normativo a monte è destinata a trasmettersi ai singoli rapporti a
valle.

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LE PRELAZIONI
Il diritto di prelazione è una sorta di diritto di preferenza, cioè la legge (prelazione legale) o le parti (prelazione
volontaria) stabiliscono che uno di essi, ove decidesse di stipulare un contratto futuro, sarà obbligato a preferire,
a parità di condizioni, l’altro contraente rispetto ai terzi.
Nozione: Il diritto di prelazione consiste nel diritto di un soggetto di essere preferito ad altri, A PARITÀ DI CONDIZIONI,
nella conclusione di un EVENTUALE futuro contratto. I soggetti coinvolti sono:
- il promittente (prelazionante o concedente): cioè il soggetto che concede il diritto di prelazione.
Il promittente si trova in uno stato di soggezione,
perché, SE e QUANDO deciderà di stipulare il contratto
a valle, a parità di condizioni dovrà preferire il
prelazionario rispetto ad un terzo.
Comunque, il promittente mantiene la propria libertà in
ordine a:
- in ordine al se stipulare quel contratto
- in ordine al contenuto del contratto: è libero di
scegliere le
condizioni a cui
contrattare
- il prelazionario (o beneficiario): cioè il soggetto titolare del diritto di prelazione, cioè gode del mero
diritto di preferenza a parità di condizioni, cioè del diritto di essere
preferito come controparte a parità di condizioni.
Il prelazionario gode di un diritto potestativo, cioè può incidere
sulla situazione giuridica del promittente perché, a parità di
condizioni, dovrà essere preferito se e quando il promittente
deciderà di stipulare il contratto.
Quindi il prelazionario ha il diritto di concludere quel contratto alle
stesse condizioni proposte a terzi.
ATTENZIONE: Giova ribadire che il diritto di prelazione opera solo SE il promittente deciderà di stipulare il
contratto e se ci sarà parità di condizioni tra il prelazionario e un terzo.
Diversamente, il promittente NON avrà alcun obbligo nei confronti del prelazionario.
Libertà di stipulare: Quindi, in caso di prelazione (volontaria o legale), comunque:
- il promittente resta libero di decidere se, quando e come stipulare il contratto
- il promissario resta libero di decidere se stipulare il contratto.
Quindi, pur essendoci un diritto di prelazione, i due contraenti:
- NON sono obbligati a contrattare
- ma semplicemente il promittente, SE e QUANDO deciderà di contrattare, si obbliga a preferire,
a parità di condizione, il promissario.
Fonte: La prelazione può avere due fonti diverse:
- prelazione volontaria (o convenzionale): qui la prelazione trova la sua fonte nell’ACCORDO DELLE PARTI
- prelazione legale: qui il diritto di prelazione trova la sua fonte nella LEGGE.

La prelazione convenzionale (o volontaria)


Si parla di prelazione convenzionale (o volontaria) quando il diritto di prelazione trova la sua fonte nell’accordo tra le
parti, quindi scaturisce da un contratto.
Ratio: Quali interessi animano le parti che decidono di pattuire tra loro un diritto di prelazione?
- il promittente (prelazionante) può avere un interesse economico (prelazione a titolo oneroso) o un interesse
extraeconomico o addirittura liberale (prelazione a titolo gratuito), magari
legati ai rapporti economici sottostanti che lo legano alla controparte
- il prelazionario (beneficiario) ha interesse ad impedire che altri soggetti concludano quel determinato
contratto e l’interesse di riservarlo per sé, ad es. desidera acquistare quella
moto perché è un collezionista e si tratta di un pezzo raro.
Nozione: La prelazione volontaria è un contratto (o patto) che le parti decidono liberamente di concludere in virtù del
principio di autonomia contrattuale, ma non trova espressa disciplina nel codice civile, perciò è atipico.
Il patto di prelazione può essere: - o un contratto autonomo
- o una clausola che si inserisce in un contratto più ampio.

63
Come si esercita il diritto di
prelazione? La denuntiatio: Come si esercita il diritto di prelazione?
Abbiamo detto che la prelazione vincola il promittente a preferire il prelazionario nel caso
di stipula del contratto rispetto ad un terzo a parità di condizioni: ovviamente per
consentire al prelazionario di esercitare il suo diritto di prelazione, bisogna renderlo
edotto delle condizioni a cui il promittente intende stipulare il contratto e delle
condizioni offerte dal terzo, affinché lo stesso prelazionario possa valutare se adeguarsi
oppure no.
Proprio per tale motivo, il promittente, se ha intenzione di stipulare un contratto, ha un
onere di denuntiatio: deve comunicare al prelazionario:
1) la sua intenzione di contrarre
2) le condizioni contrattuali a cui intende stipulare il contratto
3) e l’eventuale offerta ricevuta
da un terzo extraneus: diciamo “eventuale” perché è possibile che il
promittente abbia intenzione di stipulare il
contratto a prescindere dal se abbia ricevuto
un’offerta da un terzo. Può anche essere che abbia
deciso di vendere senza aver mai ricevuto offerte
da terzi.
Denuntiatio: È una dichiarazione del promittente (concedente) da comunicare al
prelazionario che contiene una proposta contrattuale completa, cioè:
1) tutte le condizioni contrattuali per la conclusione del contratto
2) l’eventuale offerta ricevuta da un terzo extraneus
3) la fissazione di un termine congruo entro cui il prelazionario deve comunicare
alla controparte se intende avvalersi della
prelazione oppure no.
Questo termine è quindi il termine per lo
spatium deliberandi, e solitamente è fissato in
30 o 60 giorni.
Quindi, il prelazionario (beneficiario) che voglia esercitare la prelazione è tenuto a
comunicare al promittente che intende avvalersi della prelazione entro il termine (spatium
deliberandi) fissato nella denuntiatio.
Se il prelazionario non esercita il suo diritto di prelazione entro il termine, allora il diritto di
prelazione convenzionale si estingue, per cui il prelazionante sarà libero di stipulare il
contratto con chiunque desideri.
Esempio: Tizio è proprietario di una motocicletta e intende venderla. Tra Tizio e Caio vi è un patto di prelazione in
forza del quale Caio ha il diritto di prelazione sulla vendita della moto.
Tizio decide di mettere in moto la vendita e da un terzo Sempronio gli arriva un’offerta di 10.000 euro.
Tizio NON può ancora venderla al terzo perché, in osservanza del patto di prelazione, ha l’onere di
denuntiatio nei confronti di Caio: deve comunicare al prelazionario Caio che ha intenzione di vendere e che
gli è stata formulata un’offerta di acquisto da un terzo di 10.000 euro, e fissa un termine congruo entro cui
Caio deve decidere se esercitare il diritto di prelazione oppure no. E allora gli scenari sono:
a) se il prelazionario Caio esercita il suo diritto di prelazione entro il termine fissato nella denuntiatio:
allora Tizio deve concludere con Caio il contratto
a parità di condizioni, quindi a 10.000 euro
b) se il prelazione Caio NON esercita il suo diritto di prelazione entro il termine fissato nella
denuntiatio: allora il diritto di prelazione si
estingue, quindi Tizio può
concludere il contratto col terzo
Sempronio o con chiunque altro
voglia.
Termine finale di efficacia
del patto di prelazione? Una questione molto discussa è se il patto di prelazione debba contenere un termine finale di
efficacia, decorso il quale il concedente riacquista la libertà di contrarre con chi desidera:
- parte della dottrina ritiene che NON è necessario fissare un termine finale di efficacia del
patto di prelazione, quindi sono ammissibili patti di prelazione senza
limiti di tempo: il promittente può obbligarsi col prelazionario senza
limiti di tempo a concedergli il diritto di prelazione.

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- Calvo: Calvo invece ritiene che il patto di prelazione DEVE contenere un termine finale di
efficacia perché NON sono ammissibili patti di prelazione senza limiti di tempo.
Quindi il patto di prelazione deve contenere un tempo di durata del diritto di
prelazione concesso. Decorso il termine finale di efficacia:
- il diritto di prelazione convenzionale si estingue
- il prelazionario riacquista la libertà di contrarre con chi desidera.
Perché? Perché bisogna considerare che un patto di prelazione senza limiti di
tempo:
- incide sulla libera commerciabilità del bene oggetto dello stesso
- può scoraggiare i terzi, ove ne siano a conoscenza, dal promuovere
negoziati con l’obbligato a cagione della spada di
Damocle rappresentata dal diritto di prelazione
del prelazionario.
Conseguenza: Quindi, dice Calvo: laddove il patto di prelazione non preveda un
termine di efficacia, allora la parte interessata può rivolgersi al
giudice affinché determini il termine finale di efficacia decorso il
quale il diritto di prelazione convenzionale si estingue.
A titolo gratuito o oneroso: Il corrispettivo NON è un elemento essenziale del patto di prelazione. Infatti, la
prelazione volontaria può essere tanto a titolo gratuito quando a titolo oneroso:
- a titolo gratuito: in questo caso, il patto di prelazione è perfezionabile mediante la
semplificazione assicurata dall’art. 1333 cc (contratto con obbligazioni
a carico del solo proponente)
- o a titolo oneroso: il patto di prelazione può essere anche stipulato in cambio di un
corrispettivo. Es. Tizio, a fronte del pagamento di 50 da parte di Caio,
si obbliga a preferirlo Caio a parità di condizioni, ove intendesse
vendere il bene Z.
Forma: Che forma deve adottare il patto di prelazione?
- parte della dottrina: afferma che il patto di prelazione è un contratto a forma libera
- altra parte della dottrina: afferma che il patto di prelazione deve adottare la forma del contratto per il quale
è stato volontariamente concordato il diritto di preferenza.

Libertà di disposizione: Ora dobbiamo sottolineare un aspetto fondamentale: in caso di prelazione convenzionale,
concedere un diritto di prelazione (preferenza) ad una parte:
- NON significa che il promittente sta riducendo la propria libertà di disporre
- significa soltanto accordare un trattamento di favore al prelazionario, che si sostanzia nel
diritto di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad un terzo.
Pertanto, in presenza di un patto di prelazione convenzionale:
- il promittente resta libero di disporre del bene di cui è proprietario come meglio crede
- la prelazione convenzionale NON limita MAI il potere di godimento del promittente del
bene oggetto di preferenza, quindi il promittente
NON ha un’obbligazione di conservare integra la cosa,
perciò può liberamente:
- distruggerla
- danneggiarla
- rovinarla
SENZA che il prelazionario (beneficiario) possa
minimamente opporsi.
Efficacia meramente obbligatoria.
Cosa succede in caso di inadempimento? La prelazione convenzionale è una fattispecie avente efficacia
meramente obbligatoria, a differenza invece della prelazione legale che
invece ha una efficacia reale.
La prelazione convenzionale ha efficacia obbligatoria, quindi:
1) produce effetti SOLO tra prelazionante e prelazionario
- NON produce effetti per i terzi, di conseguenza:
- la prelazione convenzionale NON è opponibile ai terzi
- il prelazionario NON ha diritto di riscatto del bene dal
terzo.

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Questi effetti meramente obbligatori li comprendiamo bene in caso di inadempimento
contrattuale, cioè in caso di violazione del patto di prelazione convenzionale.
Dato che la prelazione convenzionale ha effetti meramente obbligatori SOLO tra
prelazionante e prelazionario, allora in caso di violazione del patto di prelazione, ad es. il
promittente senza aver proceduto alla denuntiatio ha stipulato il contratto con un terzo,
allora le conseguenze sono:
A) il contratto tra promittente e terzo è VALIDO ed EFFICACE
B) il patto di prelazione convenzionale NON è opponibile al terzo, di conseguenza
il prelazionario convenzionale pretermesso
- NON ha diritto di riscatto del bene dal terzo, quindi NON può
agire in giudizio
contro il terzo per
recuperare il bene
- può agire contro il prelazionante scorretto soltanto per
chiedere il risarcimento del danno a titolo di
responsabilità contrattuale per
inadempimento.
Eccezione: Alcuni autori, ma il punto è dibattuto, dicono: se il terzo è complice del
promittente, allora è vero che il contratto tra promittente e terzo resta
valido, però il prelazionario convenzionale pretermesso può agire anche
contro il terzo a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc
qualora il terzo fosse consapevole della violazione del patto di
prelazione perpetrata dal prelazionante.
In questo caso, secondo tali autori, avremmo una di quelle ipotesi di cd.
cooperazione del terzo all’inadempimento del debitore, cioè:
- il prelazionante inadempiente risponde a titolo di responsabilità
contrattuale
- il terzo, che coopera col prelazionante scorretto, risponde a titolo di
responsabilità extracontrattuale.
NO trascrivibilità: Il patto di prelazione convenzionale, quand’anche inerisca ad un contratto avente ad oggetto diritti
immobiliari (es. compravendita immobiliare), comunque NON è soggetto a trascrizione.
Rinunciabilità: La prelazione convenzionale è un diritto rinunciabile dal prelazionario.
La rinuncia può essere:
- esplicita: si ha quando il prelazionario espressamente comunica al prelazionante di non volersene
avvalere
- tacita: si ha quando il prelazionario fa spirare il termine di spatium deliberandi fissato dalla
denuntiatio entro cui avrebbe dovuto esercitare il diritto di prelazione.
Domanda: è consentita la rinuncia prima della denuntiatio del prelazionante?
La dottrina maggioritaria ritiene che è AMMISSIBILE la rinuncia antecedente alla denuntiatio.

La prelazione convenzionale impropria


Finora abbiamo parlato della cd. prelazione convenzionale propria: quando viene accordata la preferenza al
prelazionario a parità di condizioni.
Quindi, la parità di condizioni è elemento
caratterizzante l’istituto.
TUTTAVIA, la giurisprudenza ritiene ammissibili anche le prelazioni convenzionali cd. improprie, le quali
NON hanno come elemento caratterizzante la parità di condizioni.
Nozione: La prelazione volontaria impropria è quella prelazione convenzionale che NON ha come elemento
caratterizzante la parità di condizioni, nel senso che qui il prelazionario (beneficiario) potrà decidere di
perfezionare l’intesa disinteressandosi dell’offerta del terzo.
Ratio: Il senso della prelazione volontaria impropria è che le parti garantiscono una tutela del prelazionario
a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di un terzo.
Esempio: Nel patto di prelazione le parti possono inserire una clausola di prelazione impropria dove si dice: i soci
prelazionari hanno un diritto di prelazione impropria, cioè laddove un terzo offra un prezzo eccessivamente
oneroso, allora i soci prelazionari possono contestare l’eccessiva onerosità del prezzo offerto dal terzo,
chiedendo che il prezzo venga rideterminato al ribasso d’accordo tra le parti oppure, in mancanza di
accordo, da un collegio arbitrale. In questo caso, il prelazionante sarà obbligato a vendere al prezzo stabilito
(d’accordo oppure dal collegio arbitrarle) e perderà l’offerta più vantaggiosa del terzo.

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Ipotesi: Quand’è che si ricorre al meccanismo della prelazione convenzionale impropria?
a) quando c’è il rischio che il prelazionante
possa stringere intese fraudolente con un terzo: perché? Perché magari tra il prelazionante e un
terzo potrebbero esserci un’intesa fraudolenta
dove il prelazionante si accorda col terzo
dicendo: simuliamo che mi offri un prezzo alto,
così io non devo preferire il prelazionario.
b) quando c’è il rischio che il prelazionante possa
donare o fingere di donare il bene a un terzo: se Tizio stringe un patto di prelazione con Caio
per un bene ma poi lo dona al proprio
figlio Sempronio, ovviamente Caio NON può
esercitare la prelazione per far sì che il bene
venga donato a lui.
Per evitare ciò, si può prevedere un patto di
prelazione impropria dove si stabilisce: se il
prelazionante intende trasmettere a titolo
gratuito il bene, allora il valore del bene verrà
stabilito da un collegio arbitrale.

Le prelazioni legali
Oltre alle prelazioni convenzionali, il codice prevede una serie di ipotesi di prelazione cd. legale: qui la fonte del diritto
di prelazione NON è l’accordo tra due soggetti, ma è la legge. In casi tassativi, è la legge a riconoscere il diritto di
prelazione a favore di un determina soggetto, senza che le parti stipulino un patto di prelazione ad hoc.
Ovviamente anche qui la disciplina della denuntiatio è identica.
Efficacia reale: Il meccanismo della prelazione legale è molto DIVERSO da quello della prelazione convenzionale:
- la prelazione convenzionale ha: - ha fonte nell’accordo tra le parti (patto di prelazione)
- ha efficacia meramente obbligatoria
- NON è opponibile ai terzi
- la prelazione legale: il discorso è assolutamente rovesciato rispetto alla prelazione convenzionale,
perché la prelazione legale ha efficacia reale.
La prelazione legale ha efficacia reale, quindi:
1) produce effetti tra prelazionante e prelazionario
2) produce effetti anche erga omnes, quindi nei confronti dei terzi, di conseguenza:
- è opponibile ai terzi
- il prelazionario ha diritto di riscatto del bene dal terzo.
Questa efficacia reale la comprendiamo bene in caso di inadempimento, cioè in caso di violazione della
prelazione legale. Se il promittente viola la prelazione legale, ad es. stipulando un contratto con un
terzo senza aver proceduto alla denuntiatio, quindi pretermettendo il prelazionario legale, allora
le conseguenze sono:
A) il contratto tra promittente e terzo è VALIDO ed EFFICACE, MA RISCHIA DI DIVENTARE INEFFICACE
B) la prelazione legale è opponibile al terzo, quindi il prelazionario legale pretermesso ha diritto al
riscatto del bene dal terzo.
Diritto di riscatto: Il terzo che compra in violazione di una prelazione legale stipula con il promittente un contratto
VALIDO ed EFFICACE, ma rischia che questo contratto diventi inefficace perché il prelazionario legale
pretermesso ha il diritto di riscatto.
Nozione: Il diritto di riscatto è un diritto potestativo esercitabile dal prelazionario (Caio) nel caso di
inadempimento dell’obbligo gravante sul prelazionante.
Modalità: Il prelazionario legale pretermesso può esercitare il suo diritto di riscatto:
a) o in via stragiudiziale mediante una richiesta di riscatto rivolgendosi
direttamente al terzo acquirente, quindi NON si rivolge
al prelazionante inadempiente.
b) o in via giudiziale mediante apposito atto di citazione.
Effetti: Col riscatto il prelazionario legale pretermesso:
1) ottiene il trasferimento del bene nella nel suo patrimonio
2) deve rimborsare il terzo acquirente del prezzo che questi aveva pagato al prelazionante.
Effetti retroattivi: Il riscatto ha effetti retroattivi, quindi il prelazionario riscattante è considerato
diretto acquirente rispetto all’alienante (promittente che era stato scorretto).

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Risarcimento del danno: Ovviamente il prelazionario legale pretermesso ha anche la possibilità di agire in giudizio per
chiedere il risarcimento del danno dal prelazionante che non ha violato la prelazione legale.
Rinunciabilità: Anche il diritto di prelazione legale è rinunciabile da parte del prelazionario.
TUTTAVIA, qui è discusso se il prelazionario legale possa rinunciare al diritto di prelazione anche prima
della denuntiatio del prelazionante:
- parte della dottrina ritiene che sia ammissibile
- altra parte della dottrina ritiene che non sia ammissibile.
Quali sono le prelazioni legali?
La legge disciplina diverse ipotesi di prelazione legale. Calvo ne enumera alcune:
A) la prelazione ereditaria (art. 732 cc)
Una prima ipotesi di prelazione legale è contenuta nell’art. 732 cc, che si occupa di prevedere un diritto di prelazione
legale in tema di successioni ereditarie.
L’art. 732 disciplina quello che viene chiamato retratto successorio, cioè il diritto di riscatto in ambito ereditario,
nell’ipotesi in cui vi siano più coeredi del de cuius.
Es. il padre che lascia alla sua morte la sua eredità ai suoi 4 figli, ciascuno dei quali partecipa a questa
comunione ereditaria con una quota del 25%.
Ora, l’art. 732 prevede una disciplina per salvaguardare l’esigenza dei coeredi contro il pericolo che terzi estranei
entrino a far parte della comunione ereditaria, prevedendo
- se un coerede vuole alienare la sua quota ereditaria o parte di essa ad un terzo estraneo,
allora ha un onere di denuntiatio: deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il
prezzo, agli altri coeredi, perché questi hanno diritto di
prelazione.
- i coeredi interessati devono esercitare il loro diritto di prelazione nel termine di 2 mesi dall’ultima delle
notificazioni (spatium deliberandi)
Retratto successorio: in caso di mancata denuntiatio da parte del coerede, i coeredi non hanno avuto la possibilità di
(diritto di riscatto) esercitare il diritto di prelazione ereditaria.
E allora l’art. 732, per tutelare tali soggetti, prevede: in caso di mancata notificazione
(denuntiatio) ai coeredi, se il coerede ha alienato la quota ad un terzo, allora i coeredi
hanno diritto di riscattare la quota dal terzo acquirente e da ogni successivo avente causa,
finchè dura lo stato di comunione ereditaria.
Si parla del cd. retratto successorio perché è un vero e proprio diritto di riscatto.
- Risarcimento del danno: Inoltre, i coeredi prelazionari pretermessi possono agire per chiedere il
risarcimento del danno nei confronti del coerede che non ha rispettato il
loro diritto di prelazione.
Ambito di applicazione: L’art. 732 cc parla di “il coerede che vuole alienare ad un terzo”, quindi fa espressamente
riferimento all’alienazione, quindi ad un atto a titolo oneroso.
Per questo, si ritiene che l’art. 732 cc NON trovi applicazione nel caso di:
- donazione (in quanto atto a titolo gratuito)
- vendita fallimentare (in quanto trattasi di atto non riconducibile alla libera determinazione
del coerede)

B) la prelazione urbana (o locatizia)


Un altro caso di prelazione legale è la prelazione urbana (o locatizia).
La prelazione urbana è quel diritto di prelazione a favore del conduttore (inquilino, affittuario) in caso di
compravendita dell’immobile che questo ha in locazione.
Dobbiamo distinguere due prelazioni urbane, a seconda dell’uso dell’immobile oggetto del contratto di locazione:
- prelazione urbana a favore del conduttore in caso di locazione di immobile ad uso commerciale/artigianale
- prelazione urbana a favore del conduttore in caso di locazione di immobile ad uso abitativo.
In entrambi i casi il diritto di prelazione a favore del conduttore presuppone:
1) l’esistenza di un contratto di locazione che abbia ad oggetto un immobile
2) l’intenzione del locatore (proprietario dell’immobile) di stipulare un contratto di trasferimento a titolo
oneroso dell’immobile (es. compravendita).
Ambito di applicazione: ATTENZIONE, ci sono alcuni immobili ai quali, pur essendovi una locazione, NON si possono
applicare le disposizioni in materia di diritti di prelazione e riscatto:
- immobili destinati all'esercizio di attività professionali (es. studio medico o di avvocato)
- immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio
stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

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- Prelazione urbana in caso di locazione di immobile ad uso commerciale/artigianale
In caso di locazione commerciale, cioè di un immobile ad uso commerciale/artigianale, il conduttore dell’immobile
(inquilino) ha un diritto di prelazione laddove il locatore (proprietario dell’immobile) intenda vendere l’immobile a
titolo oneroso, cioè venderlo. Quindi il conduttore ha il diritto di essere preferito ad un terzo, a parità di condizioni,
nella conclusione del contratto che ha ad oggetto la vendita dell’immobile che ha in locazione.
Es. Tizio e Caio hanno stipulato un contratto di locazione di un bene immobile in cui il ristoratore Caio (conduttore)
svolge la sua attività commerciale di ristorazione.
Se il proprietario dell’immobile Tizio (locatore) intende vendere quell’immobile, allora ha un onere di denuntiatio
nei confronti del conduttore Caio per consentirgli di poter esercitare il diritto di prelazione urbana ed essere
preferito rispetto a terzi a parità di condizioni.
Ratio: La prelazione urbana intende favorire l’interesse del conduttore ad acquistare la proprietà dell’immobile che sta
già utilizzando con il contratto di locazione per svolgere la sua attività commerciale.
Denuntiatio: Per consentire al conduttore di esercitare il suo diritto di prelazione, come abbiamo sempre visto, il
locatore ha un onere di denuntiatio, cioè deve notificare al conduttore un atto contenente la sua
proposta contrattuale in cui sono indicati:
a) l’indicazione del corrispettivo richiesto per la vendita
b) le condizioni contrattuali della compravendita
c) la fissazione del termine di 60 giorni per esercitare il diritto di prelazione (spatium deliberandi)
Esercizio del diritto di prelazione: Se il conduttore decide di esercitare il suo diritto di prelazione urbana entro i 60
giorni, allora:
- DEVE stipulare il contratto
- DEVE versare il prezzo di acquisto entro 30 giorni decorrenti dal 60esimo giorno
successivo alla notificazione
della denuntiatio.
Diritto di riscatto: Se il proprietario dell’immobile non ha provveduto alla denuntiatio al conduttore, allora al
(retratto urbano) conduttore non è stato consentito l’esercizio del diritto di prelazione.
Per tale motivo, il conduttore può esercitare il diritto di riscatto dell’immobile direttamente dal
terzo acquirente e da ogni altro successivo avente causa entro 6 mesi dalla trascrizione del
contratto di compravendita.
Una volta esercitato il diritto di riscatto, il conduttore deve pagare il prezzo risultante dal
contratto di compravendita tra il proprietario dell’immobile e il terzo.
- Prelazione urbana in caso di locazione di immobile ad uso abitativo
La prelazione urbana vista sinora è applicabile ALLO STESSO MODO in caso di locazione di immobile a uso abitativo.
In caso di locazione abitativa, cioè locazione di un immobile ad uso abitativo, il conduttore dell’immobile (inquilino) ha
un diritto di prelazione laddove il locatore (proprietario dell’immobile) intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile,
cioè venderlo. Quindi il conduttore ha il diritto di essere preferito ad un terzo, a parità di condizioni, nella conclusione
del contratto, potendo acquistare l’immobile in cui egli già sta vivendo con la sua famiglia.

C) la prelazione agraria
Un altro caso di prelazione legale è la prelazione agraria.
In caso di fondo dato in affitto ad un coltivatore diretto (affittuario), tale coltivatore diretto ha diritto di prelazione
laddove il proprietario del fondo intenda trasferirlo a titolo oneroso, cioè venderlo. Quindi l’affittuario diretto ha il
diritto di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ai terzi nella vendita del fondo che ha in affitto.
Ratio: La finalità di tale prelazione agraria è tutelare l’affittuario (coltivatore diretto) che sul fondo già ci lavora.
Denuntiatio: Anche qui c’è la denuntiatio: il proprietario del fondo deve notificare all’affittuario un atto contenente
la sua proposta contrattuale in cui sono indicati:
a) l’indicazione del corrispettivo richiesto per la vendita
b) le condizioni contrattuali della compravendita
c) la fissazione del termine di 30 giorni per esercitare il diritto di prelazione (spatium deliberandi)
Esercizio del diritto di prelazione: Se l’affittuario decide di esercitare il suo diritto di prelazione urbana entro i 30
giorni, allora:
- DEVE stipulare il contratto
- DEVE versare il prezzo di acquisto entro 3 mesi decorrenti dal 30esimo giorno
successivo alla notificazione
della denuntiatio da parte del
locatore proprietario.

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Diritto di riscatto: Se il proprietario del fondo non ha provveduto alla notificazione della denuntiatio al conduttore,
(retratto agrario) allora all’affittuario non è stato consentito l’esercizio del diritto di prelazione.
Per tale motivo, l’affittuario può esercitare il diritto di riscatto del fondo direttamente dal
terzo acquirente e da ogni altro successivo avente causa entro 1 anno dalla trascrizione del
contratto di compravendita.
Una volta esercitato il diritto di riscatto, l’affittuario deve pagare il prezzo risultante dal contratto
di compravendita tra il proprietario dell’immobile e il terzo.

La prelazione artistica
Calvo in ultimo analizza la prelazione artistica.
Fonte: La prelazione artistica è disciplinata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004).
Ratio: La prelazione artistica costituisce un privilegio a favore della Pubblica Amministrazione giustificato dall’interesse
pubblico a conservare il patrimonio storico-artistico del Paese.
Procedura: La procedura è abbastanza complessa:
1) se il proprietario (o detentore) di un bene culturale di interesse storico ed artistico intende
alienarlo ad un terzo a qualsiasi titolo (oneroso oppure a titolo di permuta o di dazione in
pagamento), può procedere validamente alla stipula del contratto di alienazione tra privati
2) TUTTAVIA, DOPO il contratto di alienazione del bene culturale al terzo, l’alienante è tenuto ad una
denuntiatio, cioè a comunicare al Ministero dei beni culturali o ad altro ente pubblico
interessato di aver stipulato un contratto di alienazione del bene culturale con un
terzo acquirente
3) a questo punto la Pubblica Amministrazione PUÒ intervenire nella vicenda traslativa tra privati
con un provvedimento amministrativo con cui esercita il diritto di prelazione
per acquistare il bene culturale, CADUCANDO il contratto di alienazione
validamente concluso tra i privati.
Quindi, perché la prelazione artistica è diversa dalle altre prelazioni viste sinora?
Perché qui il Ministero (o altro ente pubblico) ha il potere di intervenire in prelazione su una vicenda
traslativa tra privati già perfezionatasi, quindi ha il potere di acquistare un bene culturale che è già
stato trasferito ad un terzo, col potere quindi di caducare il contratto di alienazione valido.
Denuntiatio: L’alienante, dopo aver concluso il contratto di trasferimento della proprietà del bene culturale con il
terzo acquirente, deve procedere alla denuntiatio: ha l’onere di comunicare alla Pubblica
Amministrazione (Ministero dei beni culturali o comunque all’ente pubblico interessato) che ha stipulato
un contratto di alienazione avente ad oggetto un bene culturale.
Esercizio del diritto di prelazione: La Pubblica Amministrazione interessata può esercitare il diritto di prelazione
artistica mediante l’emanazione di un provvedimento amministrativo entro 60 giorni
dalla data di ricezione della denuntiatio da parte dell’alienante.
Ipotesi particolari: La prelazione artistica può essere esercitata anche in caso di:
- omessa denuntiatio del contratto di alienazione
- denuntiatio tardiva
- denuntiatio incompleta
in questi casi, la Pubblica amministrazione può esercitare il diritto di
prelazione entro 180 giorni dal momento in cui la PA ha ricevuto la
denuntiatio tardiva o ha acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa.
Procedura: La procedura per l’esercizio della prelazione artistica è:
1) la PA emana un provvedimento amministrativo con cui esercita la prelazione
2) entro i due termini (ordinariamente 60 giorni o eccezionalmente 180 giorni),
la PA deve notificare il provvedimento amministrativo:
- sia all’alienante
- che all’acquirente.
A partire dalla data di questa notifica:
- la proprietà del bene passa alla Pubblica Amministrazione
- il contratto di alienazione tra i privati viene caducato.
3) infine, la PA deve provvedere al pagamento dello stesso prezzo stabilito nell’atto
di alienazione. Il prezzo va pagato all’originario alienante.
Ratio: Come possiamo vedere, la prelazione artistica si differenzia dalla prelazione legale in quanto è espressione di
potestà autoritativa a carattere ablatorio, poiché la Pubblica Amministrazione acquista la proprietà del bene
culturale: - NON attraverso un contratto

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- ma attraverso un provvedimento amministrativo: è per effetto di un provvedimento amministrativo
che il bene passa dalla proprietà privata alla
proprietà pubblica.
La Pubblica Amministrazione con l’esercizio del diritto di prelazione sta esercitando un potere di supremazia
per il conseguimento di un interesse pubblico alla conservazione e alla fruizione dei beni culturali.
Quindi, il potere di prelazione artistica va ricondotto nella categoria dei poteri dello Stato di effettuare
trasferimenti coattivi e di emettere provvedimenti ablativi, rispetto ai quali è irrilevante la volontà del privato e
la validità oppure no dell’atto di alienazione sottostante.
In virtù di ciò infatti, il privato alienante:
- NON può evitare l’acquisto in via di prelazione del bene culturale da parte dello Stato
- l’unico diritto che ha è quello di essere ristorato col prezzo stabilito nell’atto di alienazione, quindi
con lo stesso prezzo che avrebbe percepito trasferendo il bene a terzi.
Determinazione del valore: Abbiamo detto che la PA, se esercita il diritto di prelazione, deve corrispondere al privato
lo stesso prezzo stabilito nel contratto di alienazione concluso col privato acquirente.
TUTTAVIA, può succedere che nel contratto di alienazione:
- o manchi il prezzo del bene
- o che il bene era stato alienato assieme ad altri per un unico corrispettivo
- o che il bene era stato dato in permuta o come dazione in pagamento.
In questo caso sorge il problema, perché NON c’è stata la determinazione di un prezzo tale
per cui sappiamo che la PA deve ristorare il privato con quel prezzo stabilito.
E allora sorge il problema di determinare il valore del bene culturale per poter quantificare
corrispettivo della prelazione da dare al privato.
Il Codice dei beni culturali per queste situazioni pone la seguente disciplina:
- in tali casi il valore economico del bene è determinato d’ufficio dalla stessa PA che esercita la
prelazione. Quindi, il provvedimento amministrativo con
cui si esercita la prelazione conterrà:
- la determinazione del prezzo
- l’indicazione dei criteri valutativi seguiti
- però può capitare che il privato alienante non accetti la determinazione fatta dall’amministrazione.
In questo caso, il privato alienante può chiedere che il valore economico del bene
venga stabilito da un terzo arbitratore, nominato su accordo di privato e PA.
Qualora non vi sia accordo tra privato e PA per la nomina del terzo arbitratore,
allora la nomina è effettuata, su richiesta di una delle parti, dal Presidente del
Tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto.
La determinazione del terzo è impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità.

IL CONTRATTO PRELIMINARE
L’ultimo vincolo preliminare alla stipula del contratto analizzato da Calvo è il contratto preliminare.
Nozione: Il contratto preliminare è un contratto mediante il quale una o entrambe le parti si obbligano a stipulare
un successivo contratto cd. definitivo entro un determinato lasso di tempo.
Quindi dal preliminare deriva l’obbligo di concludere un contratto definitivo.
Effetti meramente obbligatori: Il contratto preliminare è un contratto ad effetti meramente obbligatori: le parti si
obbligano ad una prestazione di fare infungibile, e cioè si obbligano a stipulare il con il
contratto definitivo.
Effetti secondari: Con il preliminare si “blocca” l’affare, evitando il rischio che, rinviando la stipula, il contratto venga
stipulato con altri.
Dall’altro lato, le parti dalla stipula del contratto preliminare dispongono di tempo utile per poter
compiere attività accessorie preparatorie alla stipula del contratto definitivo, ad es. la ricerca di
documenti necessari per la stipula del definitivo; avviare la pratica per la concessione di un mutuo
dalla banca; avviare pratiche per sanare difformità catastali (ad es. l’immobile non risulta
accatastato).
Eventuale anticipazione della prestazione: Il preliminare può anche prevedere una parziale
anticipata esecuzione delle prestazioni finali.
Es. il promittente può anticipare la consegna del bene.
Funzione: Perché si stipula un contratto preliminare?
Il preliminare consente di creare un impegno provvisorio, riservando ad un futuro contratto (cd. definitivo)
la completa e definitiva regolamentazione dell’affare.

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Le funzioni del contratto preliminare sono:
- i contraenti potrebbero aver raggiunto un’intesa su tutti gli elementi essenziali del contratto
(oggetto, prezzo, ecc.) ma magari rimane da definire alcuni aspetti secondari del rapporto,
che preferiscono rimandare ad un momento successivo, differendo quindi la stipula di tutto
il contratto. Il definitivo avrebbe quindi una funzione integratrice, di arricchimento del
preliminare.
- più spesso la sua funzione principale è quella che
viene definita di “controllo delle sopravvenienze”: può capitare che il contratto definitivo non sia
già stipulabile per qualche motivo (ad es. per la
mancanza di una licenza edilizia).
Col preliminare le parti si impegnano
provvisoriamente e decidono di stipulare il
definitivo quando sussisteranno i presupposti
richiesti dalla legge.
Schema: Il contratto preliminare viene stipulato tra due parti:
1) promittente (es. venditore/alienante)
2) promissario (es. acquirente)
Tipi: Il contratto preliminare:
- a livello di struttura è SEMPRE quantomeno bilaterale, dato che è un contratto
- a livello di direzione degli effetti, il contratto preliminare può essere:
- bilaterale: quando entrambe le parti si vincolano l’uno nei confronti
dell’altro a stipulare il contratto definitivo
- unilaterale: quando una sola parte si obbliga nei confronti dell’altra alla
stipula del contratto definitivo.
Causa del preliminare: Il preliminare, essendo un negozio preparatoria in quanto ha una funzione preparatoria del
definitivo, ha la STESSA causa del contratto definitivo.
Es. se faccio un preliminare di compravendita, la causa del preliminare sarà l’interesse ad
acquistare.
Il preliminare unilaterale: Il contratto preliminare unilaterale è un preliminare che fa sorgere il vincolo di concludere
il definitivo SOLO per una parte, mentre l’altra parte resta libera di scegliere se stipulare o
meno il definitivo.
Differenza con l’opzione: Si tratta di un’operazione contrattuale molto simile ad un'opzione.
Hanno in comune l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo
contraente, ma è diverso il successivo iter della vicenda
- il preliminare unilaterale: è un contratto perfetto ed autonomo
rispetto al contratto definitivo
- opzione: l’opzione è un elemento di una fattispecie a formazione
successiva. Per l'opzione non è necessario un nuovo
contratto, bastando la dichiarazione di accettazione
dell'oblato per perfezionare la fattispecie contrattuale.
Contratto preliminare improprio (cd. compromesso): Dal contratto preliminare (proprio) va tenuto distinto il cd.
contratto preliminare improprio o compromesso, che in realtà
NON è un preliminare.
Il preliminare improprio (o compromesso) è un vero e proprio contratto
definitivo valido e immediatamente efficace, ma che contiene l’impegno di
riprodurre il consenso in una forma determinata.
Quindi, il compromesso è un contratto con il quale le parti, avendo già
stabilito tutte le clausole contrattuali, si impegnano a riprodurre il
consenso già raggiunto in un'altra forma.
Es. si pensi al caso in cui le parti di un contratto di compravendita di un bene
immobile redatto nella forma della scrittura privata — contratto di per sé
già valido ed efficace — si impegnano a redigere nuovamente l’atto in forma
pubblica.
Validità ed efficacia: Il compromesso è già un contratto definitivo che realizza
l’intento delle parti, dunque è un contratto già valido ed
efficace.
Il nuovo contratto servirà solo a rendere più agevoli nella
nuova forma gli obblighi stabiliti nel compromesso.

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FORMA del contratto preliminare. La disciplina urbanistica
L’art. 1351 cc introduce il principio di simmetria delle forme: il contratto preliminare DEVE ESSERE SITPULATO NELLA
STESSA FORMA DEL CONTRATTO DEFINITIVO.
Es. dato che per i contratti di vendita immobiliare è necessaria la forma scritta sotto pena di nullità, allora anche il
preliminare di vendita immobiliare deve essere redatto in forma scritta.
Conseguenza: Se il contratto preliminare viene stipulato in una forma diversa da quella prevista per il contratto
definitivo, allora il contratto preliminare è NULLO.
ECCEZIONE: Se per il contratto definitivo è stata scelta una forma convenzionale ex art. 1352 cc, allora il contratto
preliminare è un ATTO A FORMA LIBERA.
Perché? Perché l’art. 1351 cc circoscrive la propria applicabilità:
- SOLO al formalismo legale
- NON anche al formalismo convenzionale.
Testo Unico Edile
Un problema relativo alla forma che si è trascinato per decenni è stato quello del rispetto della disciplina urbanistica.
Nel Testo Unico edile, sia in tema di trasferimento di edifici che di terreni, si prevedono una serie di norme formali in
materia di trasferimento di immobili e terreni:
- se il bene da trasferire è un immobile, allora il definitivo deve contenere anche il permesso a costruire.
Questo perché il legislatore vuole evitare il commercio di immobili
abusivi (senza o in difformità del permesso a costruire), che per legge
costituirebbe un contratto nullo.
- se il bene da trasferire è un terreno, allora il definitivo deve contenere anche il cd. certificato di
destinazione del terreno: colui che compra, deve essere certo che sia un
terreno edificabile e non destinato al verde.
Ora, in tema di forma del preliminare in questi casi si riscontra una differenza di vedute, perché:
- parte della dottrina: parte della dottrina dice: è vero che le norme del Testo Unico Edile si riferiscono al
Definitivo, però, in forza del principio di simmetria delle forme ex art. 1351 cc, devono
essere applicate anche al preliminare, perciò anche il preliminare deve indicare il
permesso a costruire o il certificato di
destinazione del terreno.
- giurisprudenza maggioritaria: la giurisprudenza maggioritaria invece è per la posizione opposta. Dice:
dato che gli oneri previsti dal Testo Unico Edile riguardano SOLO il
contratto definitivo in quanto solo il definitivo è l’atto traslativo destinato a
produrre immediati effetti reali, allora le norme del Testo Unico edile
NON si applicano al contratto preliminare.
Immobile abusivo: Se il preliminare ha ad oggetto un immobile abusivo, la giurisprudenza ritiene che la promessa di
vendere un edificio abusivo (insuscettibile di sanatoria) è NULLA, al pari della compravendita
avente ad oggetto il medesimo bene.
Art. 15 L. 19/1977: Parte della giurisprudenza ha ritenuto applicare l’art. 15 comma 7 della L. 10/1977 che
decreta la nullità degli atti giuridici concernenti unità edilizie costruite in totale difformità
o assenza dalla concessione “ove da essi non risulti che l’acquirente era a conoscenza della
mancata concessione”: siffatta nullità non sarebbe quindi invocabile se il promissario
compratore fosse a conoscenza dell’abuso e se tale conoscenza
emergesse dall’atto della cui nullità si dibatte.

La TRASCRIZIONE del contratto preliminare (art. 2645 bis)


Il legislatore ha poi previsto delle norme in materia di trascrizione del contratto preliminare.
Come si è arrivati alla trascrivibilità del preliminare?
- IN PASSATO: fino a prima dell’introduzione di questo art. 2645 bis, si diceva che il preliminare NON poteva
essere trascritto perché si ragionava così: dato che il contratto preliminare è un contratto ad
effetti meramente obbligatori, allora NON può essere trascritto proprio perché col preliminare
non vi è un trasferimento di diritti reali.
- L. 30/1997: la L. 30/1997 ha previsto per la prima volta la trascrivibilità del preliminare, offrendo una forte
tutela al promissario acquirente.
Ratio: Qual è stata l’esigenza che ha spinto il legislatore nel 1997 a prevedere la trascrivibilità del preliminare?
Cosa accadeva nella prassi commerciale che ha richiesto che si affermasse la trascrivibilità del preliminare?
È stato necessario introdurre la normativa della trascrivibilità del preliminare perché nella prassi erano
frequenti inconvenienti enormi.

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Nella prassi del commercio edilizio avveniva spesso:
- o che il promittente venditore per lo stesso bene immobile stipulasse più contratti preliminari con diversi
promissari, intascando le caparre richieste ma senza
firmare poi il definitivo con nessuno
- o che il promittente venditore stipulasse un preliminare con un promissario acquirente ma poi vendesse lo
stesso bene immobile ad un terzo.
In questi casi, l’inconveniente era enorme: dato che non avevano potuto trascrivere il preliminare (perché non
era prevista la trascrivibilità), allora i promissari acquirenti non avevano alcuna tutela per poter recuperare il
bene, perché NON potevano opporre il contratto preliminare agli eventuali terzi che avevano acquistato il
bene. Ecco perché si iniziò ad avvertire l’esigenza di offrire un'adeguata tutela ai promissari acquirenti,
ed ecco perché si è arrivati ad affermare la trascrivibilità del preliminare.
Art. 2645 bis: Oggi la trascrivibilità del preliminare è assicurata dall’art. 2645 bis cc.
Quali sono i contratti preliminari trascrivibili? NON tutti i contratti preliminari devono essere trascritti.
Secondo il comma 1 dell’art. 2645 bis cc, DEVONO essere trascritti SOLO
i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di uno dei
contratti di cui ai nn. 1-2-3-4 dell’art. 2643 cc:
- i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili
- i contratti che costituiscono/trasferiscono/modificano:
- il diritto di usufrutto su beni immobili
- il diritto di superficie
- il diritto di abitazione.
SOLO SE risultano da: - da atto pubblico
- o da scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o accertata giudizialmente.
EFFETTI: La trascrizione del preliminare ha una efficacia “prenotativa”, nel senso che:
- la trascrizione del preliminare PRENOTA gli effetti che deriveranno dalla trascrizione del definitivo
o della sentenza di esecuzione giudiziale ex 2932. Ciò significa che gli effetti della trascrizione del
futuro contratto definitivo o della futura sentenza di esecuzione giudiziale ex art. 2932
RETROAGISCONO al momento della data della trascrizione del preliminare.
Che significa? Significa che se il preliminare è stato trascritto, allora quando si stipulerà il
definitivo o si otterrà la sentenza di esecuzione giudiziale ex art. 2932
gli effetti del definitivo/sentenza ex art. 2932 cc retroagiranno alla data della
trascrizione del preliminare, quindi gli effetti si produrranno:
- NON dalla data del definitivo/sentenza giudiziale ex art. 2932
- ma dalla data di trascrizione del preliminare (che è quindi antecedente).
Quindi, il trasferimento della proprietà o la costituzione/trasferimento/
modifica di altro diritto immobiliare retroagisce al momento della data di
trascrizione del preliminare.
Es. Tizio e Caio trascrivono il preliminare di vendita dell’immobile di Tizio nel 2020.
Nel 2021 stipulano il definitivo di vendita. Gli effetti della vendita, quindi il
trasferimento della proprietà del bene da Tizio a Caio, decorrono:
- NON dalla stipula del definitivo nel 2021
- ma dalla data di trascrizione del preliminare, quindi gli effetti della
vendita retroagiscono al 2020.
- conseguenza di ciò è, una volta trascritto il preliminare, poi l’acquisto definitivo del bene immobile
oggetto del preliminare PREVALE rispetto a eventuali terzi che abbiano
eseguito trascrizioni sul medesimo bene immobile dopo la trascrizione del
preliminare.
Infatti, tutte le eventuali trascrizioni effettuate medio tempore dalla data di
trascrizione del preliminare in poi vengono travolte.
Efficacia temporale limitata: TUTTAVIA, la trascrizione del preliminare ha una efficacia LIMITATA NEL TEMPO:
(art. 2645 bis comma 3) SE: - entro 1 anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo
- e in ogni caso entro 3 anni dalla data di trascrizione del suddetto preliminare
non viene trascritto il contratto definitivo o la domanda di esecuzione giudiziale ex
2932 cc,
ALLORA la trascrizione NON produce effetti, quindi gli effetti si considerano come mai
prodotti.

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Ratio: Imporre un limite temporale alla trascrizione risponde all’esigenza generale di evitare
che sul bene promesso col preliminare venga a crearsi un reale vincolo di destinazione
nell’interesse dei beneficiari della prestazione di dare, il quale, ove si estendesse per
un periodo eccessivo, finirebbe con lo snaturare la posizione di dominio del dante causa
(dato che promettere un bene NON significa perderne la proprietà).
Trascrivibilità del preliminare unilaterale? Si registrano diverse opinioni sul tema.
Parte della dottrina: ritiene che la trascrizione del preliminare unilaterale
è ammissibile SOLO nell’ipotesi in cui la promessa sia
stata assunta dal futuro alienante.
Calvo: Calvo invece ritiene che la trascrizione del preliminare unilaterale
è SEMPRE AMMESSA, senza alcuna limitazione.

IL PRIVILEGIO (art. 2775 bis)


Quello della trascrizione non è l’unico modo con cui il legislatore tutela il promissario acquirente.
Partiamo da questo quadro: se il promissario acquirente di un bene immobile resta insoddisfatto perché non si fa
luogo alla stipula del contratto definitivo, allora le sue possibili azioni sono:
- o, se è possibile, agire in giudizio per chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932
- o agire in giudizio per chiedere la risoluzione per inadempimento (se ha perso interesse all’adempimento
del preliminare)
- o agire in giudizio con una azione di risarcimento del danno subito
- ma a rafforzare la tutela in favore del promissario acquirente che non riceva soddisfazione in altro
modo nel 1997 è stato introdotto l’art. 2775 bis, che disciplina il privilegio speciale a favore
del promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare.
Art. 2775 bis, rubricato “Credito per mancata esecuzione di contratti preliminari”
SE è stato stipulato un contratto preliminare che è stato trascritto ex art. 2645 bis, ma poi non si è addivenuti alla
stipula del contratto definitivo (quindi si verifica una mancata esecuzione del contratto preliminare),
ALLORA i crediti del promissario acquirente che sorgono per effetto di questa mancata esecuzione del contratto
preliminare (es. la caparra versata alla firma del preliminare) sono muniti di un privilegio speciale sul bene
immobile oggetto del preliminare,
A CONDIZONE CHE gli effetti della trascrizione non siano già cessati (leggasi l’art. 2645 bis comma 3, cioè a patto che
non sia trascorso più di 1 anno dalla data convenuta per la stipula del definitivo e più di 3 anni dalla
trascrizione del preliminare) al momento della:
- della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa
- o della domanda giudiziale: - di risoluzione del contratto
- o di condanna al pagamento
- o della trascrizione del pignoramento.
Quindi, se gli effetti della trascrizione non sono ancora cessati, allora al promissario acquirente rimasto insoddisfatto è
attribuito un privilegio speciale, cioè una garanzia sul bene immobile che era stato promesso in vendita.
In virtù di questo privilegio speciale ex art. 2775 bis, il promissario acquirente insoddisfatto può promuovere un’azione
esecutiva o intervenire in un processo esecutivo già promosso da altri facendo valere il suo privilegio speciale sul bene
immobile oggetto del preliminare.
Ciò significa che, ove nel processo esecutivo bene immobile oggetto del preliminare venga venduto (vendita forzata in
sede di processo esecutivo) e si proceda al riparto delle somme tra i vari creditori, l’originario promissario acquirente,
avendo un privilegio speciale:
- NON sarà un creditore chirografario (non privilegiato)
- ma sarà un creditore privilegiato: in sede di riparto delle somme è titolare del diritto di ottenere il
soddisfacimento del proprio credito con preferenza rispetto ai creditori
non privilegiati (chirografari)
Rapporto tra privilegio speciale e ipoteca
Ai sensi dell’art. 2775 bis comma 2, il privilegio speciale del promissario acquirente NON è opponibile a:
- ai creditori ipotecari garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l'acquisto
del bene immobile
- ai creditori ipotecari garantiti da ipoteca ex art. 2825 bis: si tratta dell’ipoteca iscritta su edificio o complesso
condominiale, anche da costruire o in corso di
costruzione, a garanzia della quota di debito
derivante da finanziamento fondiario
È molto discusso questo tema del rapporto tra privilegio speciale ex art. 2775 bis e ipoteca.

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Il rapporto tra creditore munito di privilegio speciale (il promissario acquirente) e altri creditori muniti di ipoteca sul
medesimo bene è controverso, tanto che abbiamo numerose pronunce della giurisprudenza, tra cui:
- sentenza 21045/2009 a Sez. Unite: le Sezioni Unite con sentenza 21045/2009 hanno affermato la seguente
impostazione:
- in linea di principio, il privilegio prevale sempre sull’ipoteca.
Questo è quanto affermato dalla regole generale
prevista dall’art. 2748 cc.
- eccezione: tuttavia, l’art. 2775 bis comma 2 deroga alla regola generale,
perché dice che l’ipoteca prevale sul privilegio speciale.
Perché? Secondo le Sezioni Unite, la deroga si spiega perché il
privilegio speciale ex art. 2775 bis è subordinato ad una
particolare forma di pubblicità costitutiva.
- Calvo: Calvo critica la sentenza a Sezioni Unite per due motivi:
- innanzitutto, dice Calvo: se la regola generale prevede che il privilegio prevale sull’ipoteca, non si
comprende perché in caso di privilegio speciale ex art. 2775 bis ci si debba
porre il problema della pubblicità costitutiva o meno
- inoltre, Calvo critica anche un altro passaggio delle Sezioni Unite perché:
- le Sezioni Unite dicono: l’ipoteca prevale sul privilegio speciale ex art. 2775 bis
anche perché il privilegio speciale è accordato a tutela
di interessi meramente individuali del promissario
acquirente
- Calvo invece dice: le Sezioni Unite non considerano che il credito del promissario
acquirente ha una sua rilevanza sotto il profilo dei diritti
fondamentali della persona (art. 42 comma 2 Cost.). Prova ne
è il fatto che attraverso il contratto preliminare il promissario
acquirente mette a profitto i propri risparmi allo scopo di
ottenere la proprietà del bene promesso, per garantire a sé
e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa, consentendo
all’individuo di radicarsi all’interno di un determinato ambiente
sociale e di sviluppare ogni essere.

Il TERMINE DI ADEMPIMENTO
Il termine di adempimento è un elemento necessario del contratto preliminare: le parti all’interno del preliminare
DEVONO fissare un termine di adempimento entro il quale stipulare il contratto definitivo.
Perché? Perché NON è ammissibile che le parti si obblighino a stipulare il definitivo senza limiti di tempo,
quindi NON è ammissibile un’obbligazione perpetua delle parti di stipulare il definitivo.
Decorso del termine di adempimento: Cosa accade se spira il termine di adempimento?
Si ritiene che il termine fissato nel preliminare per la stipula del definitivo:
- NON è un termine “essenziale” ex art. 1457 cc
- perciò il decorso di tale termine NON produce automaticamente
l‘effetto della risoluzione ex art. 1457 cc (risoluzione per
inadempimento per decorso del termine essenziale)
Mancata fissazione: Che succede nell’ipotesi in cui le parti NON abbiano fissato il termine di adempimento nel
preliminare?
- NON è fonte di nullità del contratto
- si attribuisce al giudice il potere integrativo di determinate il termine ex art. 1183 cc entro
il quale deve essere stipulato il contratto definitivo
NO applicazione della regola
“quod sine die debetur statim debetur”: Al preliminare, in caso di mancata fissazione del
termine di applicazione, NON può applicarsi la massima
“quod sine die debetur statim debetur”, cioè “ciò che è
dovuto senza predeterminazione di un termine va
prestato immediatamente”.
Ecco perché possiamo affermare che NON si applica la prima
parte dell’art. 1183 cc, perché la prima parte dell’art. 1183 cc dice
che se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve
essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente.
Invece, in caso di preliminare, NON è possibile ciò.

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Potere di una parte, quando? È possibile che le parti nel contratto preliminare si siano accordate acchè il potere di
stabilire il termine di adempimento sia conferito soltanto a una delle parti.
Se questa parte ne ritardi ingiustificatamente l’esercizio, la controparte ha la facoltà:
a) o di rivolgersi al giudice per la determinazione del termine stesso
b) o di proporre la domanda di adempimento in forma specifica (comprendente la
richiesta di fissazione del termine mancante).
L’omesso esercizio di tali facoltà alternative entro il termine ordinario di prescrizione,
decorrente dal momento in cui il diritto alla stipulazione del definitivo poteva essere
fatto valere, importa l’estinzione del vincolo giuridico qualora sia nel frattempo
maturato un congruo termine.
Esecuzione anticipata: È comunque possibile chiedere l’esecuzione anticipata del preliminare qualora la controparte
con la propria condotta abbia dimostrato la propria inaffidabilità, come es. capita laddove il
promittente venditore, dopo essersi obbligato con Caio a vendere il fondo X, intraprenda con
terzo Sempronio una trattativa inerente alla vendita della stessa cosa.

CONTENUTO del preliminare. Rapporto tra preliminare e definitivo. L’ipotesi della


difformità di contenuto
Contenuto del preliminare: Il preliminare deve contenere tutti gli elementi essenziali del definitivo; quindi ad es. in
caso di vendita deve contenere sicuramente l'oggetto e il prezzo, ferma restando la
possibilità per le parti di cambiare qualche elemento del contratto al momento della
stipula del definitivo purché siano d'accordo tra loro.
Secondo la Cassazione NON c’è bisogno invece della puntuale previsione anche degli
elementi secondari e accessori.
La Cassazione ha affermato: è sufficiente che il preliminare contenga tutte le clausole
sufficienti per poter emettere eventualmente la sentenza
di esecuzione giudiziale ex art. 2932.
Rapporto tra preliminare e definitivo
Il rapporto tra preliminare e definitivo richiama alla memoria il già discusso tema della relazione tra contratto
originario e contratto riproduttivo.
Il punto è che non è detto che il definitivo riproduca meccanicamente il contenuto del preliminare, perché è possibile
che esso contenga delle variazioni rispetto al preliminare. Perché? Perché se è vero che il preliminare tra le sue finalità
ha il “controllo delle sopravvenienze”, allora dobbiamo ritenere ammissibile che il definitivo possa presentare delle
difformità di contenuto rispetto al preliminare.
Come si ragiona in caso di difformità di contenuto tra preliminare e definitivo?
- teoria dell’assorbimento: La tesi tradizionale per molto tempo partiva da questi due assunti:
- il contratto definitivo ha la prevalenza rispetto al preliminare
- per ciò, in caso di difformità di contenuto tra preliminare e definitivo,
vale il cd. assorbimento da parte del definitivo.
Perché si ragionava così?
Prima si ragionava in questo modo: il preliminare è un semplice mezzo per
addivenire al definitivo, perciò il definitivo è l’unico contratto che regola i rapporti
inter partes. Nel momento in cui viene stipulato il definitivo, tale contratto
definitivo è l’unica fonte del rapporto finale tra le parti, perché è solo da questo
momento che avviene il trasferimento del diritto o l'assunzione dell'obbligazione.
La conseguenza di questa visione è la teoria dell’assorbimento: dopo la stipula del
definitivo:
- il definitivo assorbe il preliminare
- il preliminare NON ha più alcuna rilevanza giuridica
- in caso di difformità di contenuto tra il contenuto del preliminare e
il contenuto del definitivo, prevale SEMPRE il contenuto del definitivo.
- Calvo: In realtà Calvo non la pensa così. Vediamo prima perché Calvo critica la teoria dell’assorbimento e
poi vediamo cosa si auspica.
Critica: Calvo dice:
- la teoria dell’assorbimento pone una presunzione che è sicuramente molto semplice da
applicare da parte del giudice perché la teoria dice: in ipotesi di
difformità contenutistiche tra preliminare e definitivo, il definitivo assorbe
sempre il preliminare. Quindi il giudice non deve fare alcuna valutazione
discrezionale sulla volontà delle parti.

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- però la teoria dell’assorbimento nasconde anche possibili insidie.
Infatti dice Calvo: la teoria dell’assorbimento è una teoria che dà per scontato
che solo il definitivo racchiuda la volontà delle parti.
In ipotesi di divergenza tra le due intese, il giudice - grazie a detta presunzione -
NON è tenuto ad appurare se essa sia frutto di una volontà deliberata delle parti
o di un errore ostativo o di un’esecuzione parziale del preliminare.
Le parti potrebbero aver non incluso nel definitivo alcune clausole che avevano
inserito nel preliminare per diverse ragioni: magari per dimenticanza, per
trascuratezza o anche perché tra loro è intercorsa una intesa verbale non scritta.
Ecco, con la teoria dell’assorbimento si finisce per escludere qualsiasi rilevanza
sia alle trattative negoziali sia alla condotta delle parti susseguente al definitivo,
dalle quali potrebbero o essere desunti utili indizi capaci di rovesciare l’additata
presunzione.
Cosa si auspica Calvo? Calvo ritiene che l’impostazione migliore è quella secondo cui il rapporto tra
preliminare e definitivo va ricostruito caso per caso, per verificare se la
difformità di contenuto tra preliminare e definitivo sia il frutto di:
- di una scelta consapevole delle parti
- o di un errore (es. le parti si sono dimenticate di portare nel definitivo
una certa clausola del preliminare)
- o del fatto c’è già stata una parziale esecuzione del preliminare.
In conclusione, dice Calvo: è vero che la teoria dell’assorbimento semplifica il
lavoro dei giudici, ma rischia di trascurare le peculiarità del caso concreto.
Perciò, NON bisogna applicare rigidamente il meccanismo dell’assorbimento.

LA TUTELA IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL PRELIMINARE


Sappiamo che il contratto preliminare ha effetti meramente obbligatori: obbliga le parti alla stipula del contratto
definitivo. E allora cosa accade laddove una delle parti sia inadempiente, cioè si rifiuti di stipulare il definitivo?
Qualora vi sia un ripensamento di parte del contratto preliminare, la quale si rifiuta di stipulare il contratto definitivo
senza giustificato motivo, allora l’ordinamento riconosce alla parte “non inadempiente” specifici strumenti di
“reazione” per la tutela dei propri diritti:
a) domanda di risoluzione + risarcimento: se la parte ”non inadempiente”, a seguito dell’inadempimento della
controparte, ha perduto l’interesse all’adempimento del
preliminare (quindi ha perso interesse a “concludere” comunque e
in ogni caso quello specifico affare), allora può rivolgersi al giudice
per chiedere:
1) la risoluzione del preliminare per inadempimento della
controparte ex art. 1453 cc
1) + il risarcimento del danno subito.
La parte non inadempiente sceglierà questa strada quando ha perso
interesse a “concludere” comunque il definitivo, e quindi preferisce
liberarsi dai vincoli quando derivanti da preliminare stipulato, per
poter “ritornare sul mercato”.
b) domanda di esecuzione in forma aspecifica
dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932: la parte non inadempiente sceglierà questa strada
quando ha comunque interesse all’adempimento
del preliminare.
Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 2932 cc)
Abbiamo appena visto che, in caso di inadempimento di una parte dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo
(es. è decorso il termine di adempimento), la parte non inadempiente, se ha interesse all’adempimento del
preliminare, allora, se è possibile e non è escluso dal titolo, può agire in giudizio per chiedere una sentenza di
esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 cc, cioè per chiedere una sentenza
costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso.
Peculiarità: Il rimedio ex art. 2932 cc ha una peculiarità rispetto alle altre ipotesi di inadempimento, perché?
Perchè noi sappiamo che il preliminare è un contratto ad effetti meramente obbligatori che obbliga le parti
a stipulare il contratto definitivo, che è una prestazione di fare infungibile. Questo cosa significa?
Che il giudice NON è che può costringere il soggetto inadempiente a stipulare il definitivo, cioè il giudice
non è che può prendere la mano dell’inadempiente Caio per fargli firmare il definitivo, perché si tratta di
una prestazione di fare infungibile.

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Ecco allora che vediamo la peculiarità della sentenza ex art. 2932 cc:
- NON è una condanna del soggetto inadempiente
a stipulare il definitivo: perché? Perché se si trattasse di una mera
condanna a stipulare il definitivo, allora il soggetto
inadempiente potrebbe continuare a paralizzare
la situazione semplicemente rifiutandosi di
stipulare il definitivo. E allora saremmo di nuovo al
punto di partenza.
- ma emana una sentenza di
esecuzione in forma specifica cioè è una sentenza costitutiva che produce gli STESSI che
dell’obbligo di concludere sarebbero discesi dalla conclusione del contratto definitivo,
un contratto che invece non è stato concluso.
Quindi, la sentenza ex art. 2932 cc sostituisce il consenso della
parte inadempiente: è come se il consenso venisse manifestato
non dalla parte inadempiente, ma dalla volontà del giudice.
Quindi è una sentenza che tiene luogo del consenso non
manifestato del contraente inadempiente
Natura costitutiva: La sentenza ex art. 2932 cc ha natura costitutiva perché produce gli effetti del contratto non
concluso. Possiamo dire che il rapporto finale:
- ha il suo titolo immediato nella sentenza ex art. 2932 cc
- e il suo titolo mediato nel contratto preliminare.
Condizioni: Il comma 1 pone delle condizioni di ammissibilità della domanda ex art. 2932 cc.
Infatti, l’esecuzione in forma specifica è ammissibile SOLO SE è ancora possibile produrre gli effetti del
preliminare, infatti l’art. 2932 cc dice “qualora sia possibile e le parti non lo hanno escluso dal titolo…”.
1) “qualora sia possibile”: Presupposto imprescindibile per l'accoglimento della domanda di esecuzione
specifica ex art. 2932 cc è che il promittente alienante abbia conservato le
proprietà e l’integrità del bene oggetto del contratto preliminare.
Ecco perché la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc
NON può essere accolta in caso di:
a) in caso di impossibilità di fatto: ciò avviene ad esempio in caso di
distruzione del bene promesso nel
contratto preliminare
b) in caso di impossibilità di diritto: l’eventuale alienazione ad un terzo (con
contratto valido ed efficace) crea una
situazione che impedisce l’accoglimento
della domanda ex art. 2932: infatti, sarà
concettualmente e giuridicamente
impossibile far uscire coattivamente dalla
sfera patrimoniale di un soggetto, un
bene di cui questi, in forza di un libero
atto di disposizione, si sia già spogliato.
2) “qualora non sia escluso dal titolo”: nel contratto preliminare le parti possono concordemente escludere la
possibilità di domandare l’esecuzione in forma specifica del definitivo.
Se lo hanno concordemente escluso, allora nessuna delle due può
agire giudizialmente ex art. 2932 cc, ma potrà optare unicamente per il
risarcimento del danno.
Contenuto della sentenza: Ma qual è il contenuto della sentenza costitutiva ex art. 2932?
In linea generale si afferma che il contenuto della sentenza ex art. 2932 cc è lo specchio del
contenuto del preliminare, quindi gli elementi del preliminare definiscono il contenuto della
sentenza. Questa affermazione non va intesa rigidamente, e infatti la giurisprudenza ha
avuto una evoluzione sul tema:
- PRIMA: per molto tempo la giurisprudenza è rimasta ferma nel suo dogma:
il contenuto della sentenza ex art. 2932 cc doveva essere IDENTICO al
contenuto del preliminare, perciò:
- il giudice NON poteva discostarsi in sentenza da quello che era stato
pattuito nel preliminare
- il giudice doveva limitarsi a “fotocopiare” il contenuto del preliminare,
senza poter modificare il testo del preliminare.

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- OGGI: la giurisprudenza di recente ha mutato orientamento, consentendo al
giudice di modificare il contenuto del preliminare in funzione di un
riequilibrio dello scambio.
Es. col preliminare le parti hanno stabilito che il prezzo da pagare per
l’immobile è di 100. Immaginiamo che nel lasso di tempo tra preliminare e
definitivo è stata iscritta ipoteca su quell’immobile per un valore di 20.
Immaginiamo che non si stipuli il definitivo, allora il promissario acquirente
chiede al giudice la sentenza ex art. 2932 cc. Nella determinazione del
contenuto della sentenza, il giudice può modificare il prezzo proprio
tenendo conto del fatto che nel frattempo è stata iscritta ipoteca su quel
bene, quindi dirò al promissario acquirente di pagare 80 e non 100.
Trascrizione della domanda giudiziale: L’art. 2652 n. 2 prevede: si devono trascrivere le domande dirette a ottenere
l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre ex art. 2932 cc.
Effetto prenotativo: La trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 ha una efficacia
simile a quella vista per la trascrizione del preliminare:
la trascrizione della domanda giudiziale ha effetto prenotativo, nel
senso che se al termine del giudizio il giudice accoglierà la domanda
giudiziale emanando una sentenza di esecuzione in forma specifica
dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932, allora gli effetti di
tale sentenza retroagiscono al momento della domanda giudiziale, cioè
se la domanda giudiziale è stata trascritta, allora la sentenza giudiziale
che accoglie la domanda giudiziale produce effetti:
- NON dalla data in cui è stata pronunciata la sentenza ex 2932
- ma dalla data in cui è stata trascritta la domanda giudiziale.
Conseguenza: Conseguenza di ciò è che la sentenza costitutiva ex art. 2932 cc PREVALE su
tutti gli atti trascritti medio tempore dopo la trascrizione della domanda
giudiziale. Quindi il terzo avente causa dal convenuto, il quale abbia trascritto
il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda giudiziale, rimane
pregiudicato dall'accoglimento della domanda
Ratio: Quindi la trascrizione della domanda giudiziale serve a preservare l'attore
vittorioso dal pregiudizio cui altrimenti sarebbe esposto durante il tempo
necessario per il processo. Quindi, per evitare che la durata del processo
vada a danno di chi ha ragione, attraverso la trascrizione della domanda
giudiziale si ha uno strumento per anticipare nel tempo gli effetti
dell'eventuale sentenza di accoglimento.
L’offerta della prestazione: Il comma 2 dell’art. 2932 cc afferma: se il contratto preliminare aveva ad oggetto:
- il trasferimento della proprietà di una cosa determinata
- o la costituzione/trasferimento di un altro diritto
allora la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 NON può essere accolta
SE la parte che l'ha proposta è a sua volta inadempiente perché:
a) o non esegue la sua prestazione
b) o non fa offerta di prestazione nei modi di legge,
A MENO CHE la prestazione non sia ancora esigibile: le ipotesi di non esigibilità della
prestazione derivano:
- o dalla volontà delle parti: quando esse abbiano
stabilito convenzionalmente
che il pagamento del prezzo
debba essere eseguito
soltanto al momento della
stipula del definitivo
- o dalla natura intrinseca della prestazione.
• Le situazioni che possiamo immaginare sono:
a) se nel preliminare le parti avevano concordato che il pagamento del prezzo sarebbe stato esigibile
soltanto AL MOMENTO della stipula del definitivo, allora l’accoglimento della domanda di
esecuzione è subordinato all’offerta della
prestazione, che comunque può ritenersi
sottintesa alla domanda di esecuzione in
forma specifica ex art. 2932 cc.

80
Il giudice, se accoglierà la domanda,
condizionerà l’effetto traslativo al pagamento
del prezzo.
b) se nel preliminare le parti avevano concordato che il pagamento del prezzo sarebbe stato esigibile
PRIMA della stipula del definitivo: allora l’accoglimento della domanda di esecuzione
NON è subordinato all’offerta della controprestazione,
dato che è sufficiente la manifestazione di volontà del
promissario acquirente di voler pagare il prezzo
enunciata nell’atto di citazione.
c) se nel preliminare le parti avevano concordato che il pagamento del prezzo sarebbe stato esigibile
IN UN MOMENTO SUCCESSIVO alla stipula del definitivo: allora la sentenza ex art. 2932 cc
dovrà adeguarsi alla suddetta
pattuizione tra le parti.
Res iudicata e
rinnovazione della domanda: In caso di rigetto della domanda esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc a causa del
mancato adempimento o della mancata offerta della prestazione da parte del
promissario attore, l’attore può comunque rinnovare la medesima domanda qualora nel
frattempo abbia sanato l’inadempimento.
Ciò significa che il giudicato copre il dedotto e il deducibile MA SOLO con esclusivo
riguardo alla situazione esistente all’epoca della decisione, senza precludere la
deduzione di nuove circostanze che sanano le antecedenti preclusioni di diritto
sostanziale.
Cosa futura: La domanda di esecuzione in forma specifica NON è proponibile in caso di preliminare di cosa da
costruire, qualora sia stata trasgredita la correlata obbligazione di fare, A MENO CHE non venga richiesta
una sentenza soggetta alla condizione sospensiva dell’evento futuro e incerto.

TIPI DI PRELIMINARE
Il preliminare di vendita di cosa in comune
Cosa indivisa in regime di comunione ordinaria
Ci sono una serie di ipotesi molto dibattute in giurisprudenza. Un’ipotesi controversa è quando il bene promesso in
vendita col preliminare sia in regime di comunione ordinaria (comproprietà) tra più soggetti.
Esempio: C’è un immobile in comproprietà e uno dei comproprietari stipula un contratto preliminare in cui si obbliga
alla stipula di un definitivo avente ad oggetto non soltanto la sua sola quota (in questo caso nulla quaestio),
ma avente ad oggetto l’INTERO immobile nomine proprio.
La domanda è: cosa accade se il promittente venditore non riesce a persuadere gli altri comproprietari a vendere le
loro rispettive quote per poter vendere al promissario acquirente l’intero immobile?
Il promissario acquirente può pretendere il trasferimento di tutto l’immobile? Può pretendere il
trasferimento almeno della quota del promittente venditore con cui ha stipulato il preliminare?
Può agire in giudizio con azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc?
Giurisprudenza: La giurisprudenza ha una visione RESTRITTIVA sul punto perché parte dalla cd. presunzione di
inscindibilità, cioè entra in gioco la presunzione semplice secondo cui le parti intesero considerare la
res come un unicum inscindibile, stante l’indivisibilità dell’obbligazione traslativo.
A causa di tale presunzione:
- NON può essere trasferito l’intero bene immobile promesso al promissario acquirente
- NON può essere trasferita neppure la singola quota del promittente venditore al
promissario acquirente: quindi NON si può “convertire” il contratto preliminare
avente ad oggetto l’intero immobile in un contratto
definitivo avente ad oggetto la singola quota indivisa di
proprietà del promittente venditore. Perché? Per due motivi:
- perché verrebbe meno la simmetria tra preliminare e definitivo
- e perché ciò implicherebbe una trasformazione giudiziale
dell’oggetto dell’obbligazione non consentita.
Dice Minervini: questo sarebbe un problema di inadempimento contrattuale: il promittente
venditore è inadempiente, quindi il contratto preliminare è VALIDO, ma dovrà
risarcire il danno.

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Cosa indivisa in regime di comunione legale
Diversa è la disciplina quando il bene promesso in vendita col preliminare sia in regime di comunione legale tra
coniugi. Qui l’impostazione della giurisprudenza è totalmente OPPOSTA. Perché?
Giurisprudenza: La giurisprudenza qui dice: se un contratto preliminare ha ad oggetto la vendita di un bene oggetto di
comunione legale che però è stato promesso in vendita da uno solo dei coniugi nomine proprio,
allora il promissario acquirente può agire in giudizio con l’azione di esecuzione in forma specifica ex
art. 2932 cc per ottenere il trasferimento dell’INTERO bene promesso col preliminare (quindi NON
solo per la quota del coniuge promittente) ove l’altro coniuge non abbia impugnato il negozio
obbligatorio mediante azione di annullamento ex art. 184 cc.
Se il promissario acquirente effettivamente agisce in giudizio ex art. 2932 cc contro il coniuge
promittente, allora occorrerà integrare il contraddittorio verso l’altro coniuge pretermesso che non ha
partecipato al contratto preliminare, dato che l’eventuale accoglimento della domanda si rifletterebbe
anche sulla posizione giuridica di quest’ultimo.
Domanda: Ma la giurisprudenza come riesce a giustificare la diversità di disciplina del preliminare di cosa indivisa in
regime di comunione legale rispetto a quella di cosa indivisa in regime di comunione ordinaria (vista
prima)?
La giurisprudenza dice: la differente disciplina deriva dal fatto che la comunione legale va considerata senza
quote, dato che i coniugi sono titolari in solido di un diritto avente a oggetto i beni
che la compongono. Ne discende che, riguardo ai rapporti coi terzi, ciascun coniuge
è legittimato a disporre del ben per INTERO.

Il preliminare di vendita di cosa altrui


Un altro tema molto dibattuto è quello della possibilità che il contratto preliminare abbia ad oggetto:
- NON un bene di proprietà del promittente venditore
- ma un bene di proprietà di un terzo.
La domanda è: se il promittente venditore col preliminare si obbliga a vendere un bene NON suo ma di un terzo,
si può applicare analogicamente la disciplina codicistica prevista in tema di vendita di cosa altrui ex art.
1478 e ss. cc?
Innanzitutto, vediamo cosa dicono gli artt. 1478 e ss.
Art. 1478 e ss: se al momento del contratto la cosa venduta NON è di proprietà del venditore ma di un
terzo, allora il venditore è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore.
Comunque, l’acquirente in buona fede può chiedere la risoluzione del contratto se,
quando ha concluso il contratto di vendita, ignorava che la cosa non fosse di proprietà del
venditore e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà (art. 1479).
Giurisprudenza e Calvo: La giurisprudenza, e anche Calvo, ritengono che le norme della vendita di cosa altrui ex artt.
1478 e ss. NON si possano applicare al contratto preliminare di cosa altrui.
Perché? La giurisprudenza e Calvo argomentano in questo modo:
- nel contratto di vendita di cosa altrui è fondamentale il riconoscimento al compratore in
buona fede del diritto di domandare l’immediata risoluzione del contratto
nel momento in cui viene perfezionato il contratto di vendita
- invece, in caso di contratto preliminare di vendita di cosa altrui, la disciplina radicalmente
diversa perché dal preliminare scaturiscono soltanto meri effetti
obbligatori.
Ne consegue che, secondo la giurisprudenza e Calvo, allora il promissario
acquirente NON può chiedere la risoluzione del contratto (né preliminare
né definitivo).
Il promittente venditore: Abbiamo detto che in caso di preliminare di vendita di cosa altrui il promittente venditore
debba procurare al promissario acquirente l’acquisto della proprietà del bene.
Siffatta obbligazione di dare può essere adempiuta:
- o mediante acquisto del bene del terzo da parte del promittente venditore, cui seguirà il trasferimento del
bene al promissario acquirente
- o mediante passaggio di proprietà
dal terzo al promissario acquirente: in questo caso, il terzo e il promittente venditore pattuiscono
che il terzo, una volta divenuto proprietario del bene, dovrà
poi alienare il bene al promissario acquirente.
Questa ipotesi è legittima perché comunque viene senz’altro completato
il risultato programmato dal preliminare (perché alla fine comunque il
promissario acquirente ottiene il bene).

82
In questo caso, il promissario acquirente:
- NON può rifiutare l’acquisto dal terzo alienante, siccome il
trasferimento di proprietà soddisfa pleno iure il suo
diritto di credito
- NON può intimare al terzo alienante la diffida ad adempiere,
dato che manca qualsiasi vincolo obbligatorio tra questi
soggetti.
Domanda: cosa accade se il terzo, una volta divenuto proprietario del
bene, non onori la parola data e si rifiuti di trasferire il bene al
promissario acquirente?
In questo caso:
- SOLO il promittente venditore ha facoltà di agire contro il terzo
- il promissario acquirente NON può agire contro il terzo perché
tra il terzo e il promissario
acquirente NON c’è alcun
rapporto contrattuale.
Altra ipotesi: Nulla esclude che, durante il termine intercorrente tra preliminare e definitivo, il proprietario-
promittente venditore nel frattempo alieni il bene promesso oggetto del contratto preliminare.
Es. Tizio si obbliga a comprare il bene da Caio e alienarlo a Sempronio, quindi stipula un preliminare con
Sempronio di vendita di cosa altrui con cui si impegna a vendergli il bene entro 2 anni.
Cosa fa Tizio? Tizio compra il bene da Caio ma poi, invece di venderlo a Sempronio (come si era
impegnato a fare col preliminare), lo aliena a Mevio dopo 1 anno (quindi non è ancora scaduto il
termine del preliminare con Sempronio perché è passato soltanto 1 anno).
Domanda: il rapporto tra Tizio e Sempronio si convertirà ipso iure in una promessa di vendita di res
aliena?
Dice Calvo: a ben guardare, ci troviamo di fronte ad un inadempimento anticipato: la condotta
tenuta dal promittente venditore manifesta inequivocabilmente la sua scarsa
affidabilità (ATTENZIONE: NON si può parlare ancora di inadempimento perché
non è ancora scaduto il termine fissato nel preliminare,
quindi lo stesso Tizio potrebbe ricomprare il bene da
Mevio (a cui lo aveva alienato) e adempiere alla sua
obbligazione di stipulare il definitivo con Sempronio
vendendogli il bene.
Ad ogni modo, questa azione “contraddittoria” del promittente legittimerà la
domanda di risoluzione anticipata da parte del promissario acquirente Sempronio.
Tutela del promissario acquirente: All’inizio abbiamo detto che al preliminare di cosa altrui NON si può applicare la
disciplina prevista per la vendita di cosa altrui.
E allora la domanda è: qual è la tutela del promissario acquirente?
È vero che il promittente venditore deve procurare l’acquisto del bene al
compratore, ma se non è riuscito a recuperare la proprietà del bene, la domanda è:
il promissario acquirente rimane vincolato al contratto
preliminare o può chiedere immediatamente la risoluzione del
preliminare? Deve aspettare la scadenza del termine del
preliminare e soltanto in quel momento agire in giudizio oppure
potrebbe subito sciogliersi dal contratto chiedendone la
risoluzione?
Calvo: Se è vero che a seguito del preliminare il promittente venditore si è obbligato a trasferire la
proprietà del bene al promissario acquirente, è anche vero che fintanto che non sia decorso
inutilmente il termine stabilito nel preliminare per la stipula del contratto definitivo,
NON è ravvisabile alcun inadempimento contrattuale da parte del promittente venditore.
Pertanto, il promissario acquirente NON può chiedere immediatamente la risoluzione del
preliminare, dovendo quantomeno attendere almeno il decorso del termine fissato nel
contratto preliminare.
SOLO DOPO che sia decorso il termine fissato nel preliminare per la stipula del definitivo, il
promissario acquirente può chiedere: 1) la risoluzione del preliminare
2) + il risarcimento del danno
in quanto il promittente venditore non gli ha procurato la titolarità della cosa, ancorché il
promissario stesso fosse sin dall’inizio ben consapevole della sua appartenenza al terzo.

83
Responsabilità per vizi e difetti: Riguardo alla responsabilità per vizi e difetti materiali/giuridici, il rapporto negoziale
intercorre SOLO tra promittente venditore e promissario acquirente, di modo che
ricadono sul primo tutte le obbligazioni tipiche del venditore.
In questo scenario, l’eventuale terzo proprietario NON assume alcun impegno diretto nei
riguardi del promissario acquirente: difatti il dominus è estraneo al preliminare di vendita, di
conseguenza il promissario acquirente NON è legittimato ad esperire i rimedi legali nei
confronti del primo.

Il preliminare a oggetto particolare


L’esperienza insegna che nella stragrande maggioranza dei casi il contratto preliminare è utilizzato nella prassi in tema
di compravendita. Ma in quali altri casi può essere utilizzato?
Il preliminare di preliminare: Un altro problema analizzato dalla Cassazione è: è possibile il preliminare del
preliminare? Ci si riferisce ad una contrattazione che sarebbe di questo tipo:
1) preliminare del preliminare (cd. preliminare di secondo grado)
2) contratto preliminare
3) contratto definitivo.
È ammissibile? La Cassazione ha posto il seguente schema:
- regola: di regola NON è consentito il preliminare di preliminare
Perché? Perché tale preliminare sarebbe privo di causa, essendo privo di
un’apprezzabile ragione giustificativa intesa che obbliga a
concludere un mero simulacro, nel senso che impegna a
impegnarsi alla stregua di un bis in idem.
- eccezione: è ammissibile invece laddove tra il preliminare di secondo grado e il
preliminare di primo grado siano presenti differenze di contenuto tali
da giustificare la duplicazione dei preliminari in quanto atti preordinati
al definitivo.
Es. Tizio, proprietario dell’edificio x, si obbliga a prometterlo in vendita a
Caio una volta consentita la sanatoria concernente le opere abusive.
SI preliminare di un contratto unilaterale: La dottrina maggioritaria ritiene che sia ammissibile un contatto preliminare
che abbia ad oggetto l’obbligo di stipulare un contratto unilaterale.
Es. Tizio stipula un preliminare con Caio con cui si obbliga a prestare una
fideiussione gratuita a favore di Caio, tanto nel suo interesse quanto a garanzia
del credito di Sempronio.
Se anche il preliminare è gratuito e se l’obbligazione preparatoria vincola solo il
promittente, ci troveremo dinanzi ad un preliminare unilaterale di un contratto
unilaterale: in tal caso il rapporto sarà perfezionato a seguito della semplice
dichiarazione del promittente.
SI preliminare di società: È ammissibile il preliminare di società. Conviene segnalare che:
- tesi prevalente: qui il preliminare deve enunciare, a pena di nullità, il tipo sociale voluto
dalle parti
- tesi minoritaria: tale indicazione non è a pena di nullità. Quindi, laddove le parti non
abbiano detto nulla, spetta all’interprete integrarne la volontà facendo
leva sull’oggetto sociale.
NO preliminare di un contratto simulatorio: È NULLO il preliminare di un contratto simulatorio.
NO preliminare di una donazione: È NULLO il preliminare di una donazione. Perché? Perché, se fosse possibile,
verrebbe stravolto il tratto distintivo della donazione che è rappresentato dalla
liberalità dell’atto, la quale ovviamente non tollera costrizioni giuridiche di sorta:
il donante, infatti, stipulerebbe il contratto non per spirito di liberalità, ma perché
costretto dal preliminare.

Il preliminare ad effetti anticipati (il cd. preliminare complesso)


Altro argomento problematico è il cd. preliminare complesso, chiamato “preliminare ad effetti anticipati”.
Abbiamo detto che di regola l preliminare solitamente ha effetti meramente obbligatori.
Tuttavia, è possibile che col preliminare i contraenti anticipino l’esecuzione di una parte delle prestazioni dedotte nel
preliminare stesso, anticipando alcuni effetti del definitivo sin dal momento della stipula del preliminare.
Quindi, il preliminare complesso ha una natura ibrida:
- da un lato ha effetti obbligatori (essendo comunque finalizzato alla stipula del definitivo)
- dall’altro lato ha effetti reali perché anticipa l’esecuzione di parte delle prestazioni.

84
Es. spesso, col contratto preliminare immobiliare, il promissario acquirente paga – in genere a titolo di caparra – una
parte del corrispettivo. Quindi il prezzo non verrà pagato tutto alla stipula del definitivo, ma viene anticipato parte
del prezzo all’atto del preliminare.
Giurisprudenza: In tema di preliminare complesso, due sono stati i punti più discussi:
- è applicabile o no l’art. 1499? In primo luogo, si è discusso sull’applicabilità dell’art. 1499 cc.
Se il promittente venditore si è obbligato a consegnare il bene promesso
prima della stipula del definitivo, allora sorge il problema: si applica o no
l’art. 1499 cc a mente del quale chi compra è tenuto a versare gli interessi
compensativi sul prezzo ove la cosa produca redditi o frutti?
Si dice: se è vero che l’art. 1499 cc ha una ratio equitativa perché mira a
rispristinare l’equilibrio economico del contratto a fronte del vantaggio
di cui si giova il compratore grazie al godimento della res produttiva
di utilità, allora si dice: sembra che le stesse ragioni equitative possano
venire in rilievo anche in caso di preliminare, quindi sembra applicabile
l’art. 1499 cc.
Una parte minoritaria invece dice: no, nel preliminare, a differenza di quanto
succede in tema di vendita, l’eventuale anticipazione
della consegna del bene promesso non esigerebbe
riequilibri di sorta.
- il rapporto tra promissario e res: altra questione discussa è stata: qual è la qualifica che assume il
promissario acquirente nel momento in cui si vede consegnare la res
promessa?
Es. se al momento del preliminare il promittente venditore consegna le
chiavi dell’immobile al promissario acquirente, a che titolo il
promissario acquirente possiede il bene?
Domanda: il promissario acquirente che riceve anticipatamente il bene promesso, fino
a che non si stipula il definitivo, è un mero detentore del bene oppure un
possessore del bene?
La questione è rilevante risposta perché ha un notevole impatto pratico,
incidendo ad esempio sull’istituto dell’usucapione, nel senso che:
- se si opta per la detenzione, il detentore NON può mai acquistare per
usucapione la proprietà del bene promesso
- se si opta per il possesso, il possessore può acquistare per usucapione la
proprietà del bene promesso.
Sentenza Sez. Unite 2008: Dopo lunghissimi travagli giurisprudenziali, nel 2008 è arrivata
una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno
stabilito: la relazione tra promissario compratore e bene
consegnato anticipatamente, deve essere qualificata come
DETENZIONE.
Quindi il promissario acquirente che riceve il bene
anticipatamente, da quel momento è un MERO DETENTORE
del bene in quanto sarebbe come un comodatario.
E perché? La Cassazione dice: se in sede di preliminare viene
consegnato anticipatamente il bene, è come se le parti
avessero stipulato un contratto di comodato (quello
che gergalmente si chiama prestito): è come se il
promittente venditore “desse in prestito” al
promissario acquirente il bene promesso.
Perché? Dice la Cassazione: non può che essere vista come detenzione
perché il promissario acquirente è consapevole dell’altruità del
bene, cioè è consapevole che la proprietà e il possesso del bene
promesso consegnatogli è ancora nella sfera del promittente
venditore.
Calvo: Calvo sostiene che la soluzione della sentenza delle Sezioni Unite sia corretta,
affermando:
- è giusto che si qualifichi come detentore
- però i passaggi argomentativi sono deboli, infatti la sentenza è molto confusa
Calvo aggiunge: forse sarebbe necessaria un’indagine fattuale caso per caso.

85
IL BENE PROMESSO NEL PRELIMINARE
Eventuali vincoli reali sul bene promesso
Altra questione è: il promittente venditore potrebbe impegnarsi a vendere un suo bene che però NON è “libero”,
ma risulta gravato da un vincolo reale (es. ipoteca – pegno). In questo caso, quali sono strumenti di tutela potrebbe
invocare il promissario acquirente a fronte del pericolo di evizione?
Giurisprudenza e Calvo: Giurisprudenza e Calvo ritengono che si possono applicare analogicamente le norme sulla
compravendita ex art. 1482 cc qualora il promissario acquirente fosse all’oscuro del fatto che
sul bene promesso gravasse un vincolo reale (es. ipoteca).
È corretto applicare tali norme perché va considerato che il preliminare di vendita è
strumentale a conseguire l’effetto traslativo.
Pertanto, i possibili rimedi esperibili dal promissario acquirente - che fosse all’oscuro che sul bene
promesso gravasse un vincolo reale - sono:
a) o può sospendere il pagamento del prezzo
b) o può chiedere al giudice di fissare un termine alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata,
il contratto è risolto con l’obbligo per il promittente venditore di risarcire i danni
c) o può domandare l’immediata risoluzione del preliminare allorché il promittente venditore abbia
ingannevolmente dichiarato che il
bene era libero da vincoli reali, fatta
salva l’impugnazione del contratto per
dolo determinante.
Azione ex art. 2932 cc e
delegazione iussu iudicis: Una altra ipotesi è: Tizio e Caio stipulano un preliminare che ha ad oggetto un bene gravato
da un vincolo reale (es. ipoteca) e il promissario acquirente Caio è a conoscenza di tale
vincolo reale ma confida nel fatto che il promittente venditore Tizio riuscirà a cancellare
l’ipoteca (pagando quanto dovuto ai suoi creditori ipotecari) e dunque confida che riuscirà a
comprare il bene libero da pesi.
Tuttavia, immaginiamo che ciò non accada, cioè immaginiamo che nel momento in cui si deve
stipulare il definitivo, il promittente venditore non è riuscito a cancellare quel vincolo reale sul
bene. In questo caso cosa può fare il promissario acquirente?
La giurisprudenza ha creato uno strumento molto singolare per tutelare il promissario acquirente:
si parla della cd. delegazione iussu iudicis: il promissario acquirente può esercitare l’azione ex art.
2932 cc con cui chiede al giudice una sentenza costitutiva
del contratto definitivo, e il giudice nel provvedimento
finale del giudizio stabilisce le modalità di corresponsione
del prezzo dovuto per soddisfare le pretese vantate dai
creditori ipotecari/pignoranti, in modo da assicurare la
liberazione del bene, il quale pertanto verrà trasferito
libero da qualsiasi peso e vincolo.
Es. il promissario acquirente Caio dovrebbe pagare 100.000, però sul bene
c’è un’ipoteca di 30.000. Allora cosa succede? Se Caio esercita l’azione
esecutiva ex art. 2932 cc, il giudice può stabilire che Caio comprerà il
bene gravato da ipoteca pagando 70.000 a Tizio (venditore) e 30.000 al
terzo creditore ipotecario.
Quindi, come vediamo, questo è un caso in cui si deroga il principio dell’assoluta
corrispondenza tra contratto preliminare e sentenza ex art. 2932 cc.
Limiti al godimento della cosa promessa: Se il bene oggetto di preliminare è gravato da oneri/diritti che ne limitano il
godimento ma il promissario acquirente non è a conoscenza di tale
circostanza, allora può:
a) o domandare l’immediata risoluzione de preliminare
b) o esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cc con
la riduzione del prezzo secondo quanto
disposto dall’art. 1480 cc.
c) se tali oneri incidono sulle qualità materiali o giuridiche della cosa, allora
il promissario acquirente può chiedere l’annullamento
del preliminare per errore essenziale ove sia conosciuto
o conoscibile da parte del promittente.

86
Eventuali vizi materiali del bene promesso
Un altro problema si pone laddove il bene promesso col preliminare risulti affetto da vizi materiali occulti. Il problema
è sempre lo stesso: come si assicura tutela al promissario acquirente?
Se il promissario acquirente, dopo la stipula del preliminare ma prima della stipula del definitivo, si accorge che il bene
promesso presenta dei vizi materiali, cosa può fare?
Giurisprudenza: Sul punto le Corti hanno avuto un percorso evolutivo:
- PRIMA si diceva: NON si può proporre domanda di riduzione del prezzo.
Perché? Perché la giurisprudenza diceva: al preliminare di vendita si deve
applicare analogicamente la disciplina sull’inadempimento di
diritto comune, perché la tutela legale al compratore va anticipata
già nella fase preparatoria alla vendita.
- OGGI: oggi invece la giurisprudenza ha creato uno strumento abbastanza simile alla delegazione
iussu iudicis vista prima. Perché? Perché la giurisprudenza ha affermato: se il bene promesso
nel preliminare presenta vizi materiali che erano conosciuti dal venditore promittente che ha
omesso di comunicarli al promissario acquirente, allora la diversità tra dovuto e dato è
imputabile al promittente venditore. Di conseguenza, il promissario acquirente può
esercitare azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 chiedendo contestualmente al
giudice anche la riduzione del prezzo, quindi il giudice che stabilisce che il promissario
acquirente dovrà pagare NON l’intero corrispettivo dovuto (e previsto dal preliminare),
ma un corrispettivo ridotto tenendo conto dei vizi materiali del bene.
Es. se il bene promesso era oggetto di un preliminare avente come corrispettivo 500 ma
sono presenti dei vizi che per essere eliminati richiedono 50, allora la giurisprudenza
immagina che ci possa essere una sentenza ex art. 2932 cc che affermi che il promissario
acquirente debba pagare 450.
Come vediamo, anche qui assistiamo ad un caso in cui si deroga il principio dell’assoluta
corrispondenza tra contratto preliminare e sentenza ex art. 2932 cc.
Qui Calvo dice: con questo strumento (sentenza + riduzione del prezzo) si parla di simmetria
sostanziale anziché formale. Dice Calvo: quando il giudice accoglie la
domanda ex art. 2932 cc riducendo il prezzo, NON si altera la simmetria tra
preliminare e sentenza, ma si assicura la sua tenuta evitando che il
regolamento di interessi fuoriuscente dal provvedimento giurisdizionale sia
gravemente difforme dallo schema previsto e voluto dalle parti.
Aliud pro alio: In tema di compravendita, sappiamo che se viene consegnato un bene completamente diverso da
quello pattuito (quindi in caso di TOTALE difformità materiale o giuridica del bene consegnato), allora
si applica la disciplina dell’aliud pro alio.
Ecco, la disciplina dell’aliud pro alio si ritiene applicabile anche in caso di preliminare di compravendita.
Pertanto, se il promissario acquirente scopre che il bene promesso nel preliminare in realtà presenta
una TOTALE difformità materiale o giuridica, allora, il promissario acquirente:
a) può eccepire la difformità
b) se è caduto in errore sulle qualità della res negoziata, può chiedere l’annullamento del contratto
o ve riesca a dimostrare l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore.
Impossibilità giuridica sopravvenuta: Finora abbiamo parlato di vizi materiali del bene che erano conosciuti dal
promittente venditore e abbiamo detto che il promissario acquirente può
proporre domanda giudiziale ex art. 2932 cc.
Ora invece ci poniamo in un’altra ipotesi: dopo la stipula del preliminare sopraggiunge una
nuova normativa che rende giuridicamente impossibile l’oggetto promesso: l’impossibilità
dipende dal fatto che rebus sic stantibus non è possibile trasferire il bene dotato delle
qualità previste.
Es. le parti si sono obbligate al trasferimento di un immobile, ma poi dopo la stipula del
preliminare è sopravvenuta una nuova disciplina urbanistica che ha modificato
radicalmente la destinazione del bene promesso.
In questo caso, la diversità tra dovuto e dato NON è imputabile al promittente venditore
perché è determinata dalla legge sopravvenuta.
Perciò, in caso di impossibilità sopravvenuta giuridica dell’oggetto promesso a causa di
sopravvenienza normativa, il promissario acquirente NON può esercitare azione ex art. 2932
cc: se la esercita, il giudice dovrà rigettarla.
Se poi le parti hanno volontariamente stipulato il definitivo, questo potrà essere impugnato
ex art. 1429 n. 2 dal contraente per errore essenziale sulle qualità dell’oggetto.

87
RISOLUZIONE per eccesiva onerosità sopravvenuta - RESCISSIONE
L’ultimo argomento trattato da Calvo riguarda due ipotesi particolari.
Risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: Dopo la stipula del contratto preliminare è possibile che
sopravvengano eventi straordinari e imprevedibili tali da alterare
in modo significativo l’equilibrio sinallagmatico in rapporto alla
situazione che si determinerebbe a seguito del definitivo.
In questo caso, la parte svantaggiata dal sopravvenuto evento (sia
essa il promittente venditore o il promissario acquirente), se la sua
prestazione è divenuta eccessivamente onerosa, può proporre
domanda di risoluzione ex art. 1467 cc del preliminare per eccessiva
onerosità sopravvenuta.
ATTENZIONE: La domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
NON può essere proposta laddove la parte svantaggiata, nonostante
tutto, abbia comunque stipulato il contratto definitivo, lasciando
quindi ragionevolmente intendere di aver valutato conveniente
l’affare.
Rescissione per lesione ultra dimidium: È possibile che una parte, a causa delle sue difficoltà economica (stato di
bisogno), abbia stipulato un preliminare accettando che vi sia una forte
sproporzione tra la sua prestazione e quella della controparte, la quale,
consapevole dello stato di bisogno in cui versava l’altra, ne ha approfittato per
trarne beneficio.
Domanda: dato che la rescissione del contratto concluso in stato di bisogno può
essere fatta valere in un termine assai breve – 1 anno dalla stipula del
contratto stesso – ci si chiede: bisogna agire contro il preliminare o
contro il definitivo o è indifferente?
In giurisprudenza sono state proposte tutte e tre le tesi:
- 1° tesi: la rescissione deve essere proposta entro 1 anno dalla stipula
del preliminare
- 2° tesi: la rescissione deve essere proposta entro 1 anno dalla stipula del
definitivo
- 3° tesi: è indifferente perché la rescissione può essere proposta sia
contro il preliminare che contro il definitivo.

88
CAP.8
L’OGGETTO
Elemento essenziale: L’art. 1325 cc, nell’elencare i requisiti essenziali del contratto, accanto all’accordo, la forma e la
causa, prevede anche l’oggetto. Quindi l’oggetto del contratto è un elemento costitutivo
essenziale del contratto.
Art. 1346 cc: Il nostro codice NON dà una definizione di oggetto, ma nell’art. 1346 si limita a prevedere taluni requisiti
dell’oggetto: “L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”.
Significato di oggetto: Proprio perché nel codice NON c’è una definizione di “oggetto del contratto”, la dottrina ha
molto discusso sul significato da attribuire al concetto di “oggetto del contratto”.
La dottrina ritiene che il termine “oggetto” venga utilizzato nel codice per indicare diversi
concetti: - in alcuni casi si intende il “bene” del contratto
- in altri casi si intendono le “prestazioni contrattuali”.
Calvo e critica di Minervini: Per Calvo, oggetto e causa sono strettamente legati tra loro, tanto che Calvo dice:
tra oggetto e causa c’è un rapporto da mezzo a fine, nel senso che l’oggetto
indica le prestazioni per soddisfare l’interesse che ha dato impulso al consenso
delle parti, dicendo: l’oggetto è il mezzo per il raggiungimento del fine (che è la
causa) che le parti si propongono. L’oggetto sarebbe i mezzi attraverso cui
raggiungere la causa.
Minervini invece critica questa impostazione, ritenendo che quella di Calvo è
un’affermazione non molto felice perché suscettibile di fraintendimenti.
Distinzione tra oggetto e contenuto
Parte della dottrina ha affermato che la nozione di oggetto coincidesse con la nozione di contenuto.
In realtà NO, oggetto del contratto e contenuto del contratto NON sono sinonimi.
Se leggiamo il codice, notiamo che in alcune norme parla di oggetto del contratto, mentre in altre parla di contenuto
(ad es. l’art. 1322 cc dice “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto…”).
Allora, la questione è: ma che cos’è il contenuto?
Sul contenuto si possono individuare due definizioni fornite dalla dottrina:
- 1° nozione ampia: una parte della dottrina fornisce una nozione ampia di “contenuto” del contratto,
ritenendo che per contenuto si intenda l’intero testo contrattuale, quindi comprendente:
1) sia la parte enunciativa: si tratta di quelle mere dichiarazioni enunciative tra le parti
che servono ad inquadrare il contratto all’interno delle
vicende che lo hanno generato.
Es. in un contratto di compravendita, la parte enunciativa è:
Tizio, proprietario del bene x, individuato con particella
n° 373 dal comune di Milano, ecc.
Quindi la parte enunciativa è sostanzialmente quella delle
premesse: è la prima parte del contratto.
2) sia la parte dispositiva.
- 2° nozione ristretta: altra parte della dottrina (tra cui Minervini) fornisce una nozione più ristretta di
“contenuto” del contratto”, ritenendo che nella nozione di contenuto:
- NON rientra la parte enunciativa: perché? Secondo Minervini, la parte enunciativa
del contratto:
- NON contiene una serie di disposizioni
- ma contiene una serie di enunciazioni che
servono soltanto per chiarire le
circostanze che hanno portato alla
stipula del contratto.
Questa prima parte NON rientra nella nozione di
contenuto del contratto.
- ma vi rientra SOLO la parte dispositiva: è quella parte del contratto che racchiude
l’insieme delle pattuizioni delle parti,
cioè delle determinazioni che le parti si
danno per autoregolamentare il loro
reciproco assetto di interessi.
Partendo da questa nozione ristretta, si ritiene che il contenuto del contratto è quella
sorta di contenitore che al proprio interno contiene:
1) sia la causa (quindi il profilo dinamico-funzionale)
2) sia l’oggetto (quindi il profilo statico).

89
Perché sbaglia chi identifica l’oggetto del contratto col contenuto del contratto?
Chi ritiene che “oggetto” e “contenuto” del contratto siano sinonimi commette un errore, perché se davvero fossero
la stessa cosa, NON riusciremmo a spiegarci due cose:
- perché il legislatore in alcuni casi parla di oggetto e in altri parla di contenuto
- perché la mancanza di oggetto comporti la nullità del contratto mentre la mancanza di contenuto
NON comporti la nullità.
Le caratteristiche dell’oggetto del contratto
Come detto, l’art. 1346 cc, è vero che non fornisce una definizione di oggetto del contratto, ma prevede i requisiti
dell’oggetto del contratto: l'oggetto del contratto deve essere: possibile – lecito – determinato (o determinabile).
Conseguenza  Nullità del contratto: Un contratto che abbia un oggetto impossibile/illecito/indeterminato è un
contratto NULLO.

La possibilità
Nozione: Il primo requisito dell’oggetto del contratto è la possibilità: l’oggetto del contratto deve essere possibile.
La possibilità si riferisce alla possibilità originaria delle prestazioni contrattuali dedotte in contratto sia in
senso giuridico che materiale.
Tipi: Le prestazioni contrattuali oggetto del contratto devono essere possibile sia in senso materiale che
giuridico, ecco perché si parla di possibilità materiale e di possibilità giuridica.
Valutazione: Per valutare la possibilità materiale e giuridica delle prestazioni contrattuali, la valutazione:
- riguarda l’astratta realizzabilità
delle prestazioni: la possibilità si riferisce all’astratta realizzabilità originaria delle
prestazioni:
- se le prestazioni contrattuali sono in astratto possibili ab origine,
allora: - l’oggetto del contratto è POSSIBILE
- il contratto è VALIDO.
- se le prestazioni contrattuali sono in astratto impossibili ab
origine, allora: - l’oggetto del contratto NON è possibile
- il contratto è NULLO
Es. non si può portare una persona sul sole:
è impossibile già in astratto eseguire tale prestazione
perché allo stato attuale l’uomo non dispone di
cognizioni scientifiche e strumenti scientifici che
consentano di rendere possibile in astratto tale
prestazione.
- NON riguarda la concreta possibilità
delle parti di adempiere le
prestazioni assunte col contratto: se è vero che la possibilità riguarda l’astratta realizzabilità
delle prestazioni, allora si deduce che la valutazione della
possibilità dell’oggetto contrattuale NON si riferisce alla
concreta possibilità delle parti di poter adempiere le
prestazioni con i propri mezzi.
Perciò, se le prestazioni dedotte nel contratto erano
originariamente possibili al momento della stipula del
contratto, basta questo per dire che l’oggetto contrattuale è
possibile.
Es. se l’imprenditore assume un impegno di produzione
ma non ha l’idonea attrezzatura industriale, questo
NON rileva per la possibilità o meno: il contratto è e
resta valido; semplicemente sarà inadempiente.
Se assumo un impegno che non sono in grado di eseguire, è un problema
di danni e di risarcimento, ma NON è un problema di possibilità.
Se poi, per vicende sopravvenute, le prestazioni sono divenute impossibile
in un momento successivo:
- questo NON è un problema di possibilità: ciò NON significa che le
prestazioni sono impossibili,
infatti il contratto resta
valido

90
- al massimo è un problema di tutele perché:
- se l‘impossibilità sopravvenuta è dovuta ad una
condotta del debitore: il creditore può agire
per chiedere la
risoluzione per
inadempimento
- se l’impossibilità sopravvenuta è dovuta ad un
evento sopravvenuto (caso fortuito o forza
maggiore): allora si può agire per chiedere
la risoluzione del contratto per
sopravvenuta impossibilità della
prestazione.
- NON esige che il bene oggetto
del contratto sia attuale: per valutare la possibilità NON è necessario che il bene oggetto del
contratto sia attuale, perché è ammissibile che il contratto abbia ad
oggetto un bene futuro.
Distinguiamo due situazioni:
- bene inesistente: se il contratto ha ad oggetto un bene che sin dall’origine è
insuscettibile di esistenza o di identificazione, ciò comporta
l’impossibilità originaria del contratto per impossibilità
materiale, di conseguenza il contratto è NULLO.
- bene futuro: il bene oggetto del contratto può ammissibilmente essere un bene
futuro. Il contratto è VALIDO.
Un bene futuro è un bene che:
- attualmente è inesistente in natura
- ma è suscettibile di venire ad esistenza in futuro
Es. Tizio vende a Caio tutta l’uva che il mio fondo produrrà nella
prossima vendemmia. È evidente che non posso consegnare
l’uva a Caio prima che l’uva sia cresciuta.
Domanda: Cosa accade se il bene futuro non può venire ad esistenza?
Se il bene non può venire ad esistenza, allora si può
domandare la risoluzione del contratto per sopravvenuta
impossibilità della prestazione.
In tal caso, va accertato se la sopravvenuta impossibilità sia o
no imputabile alla parte (1218 cc), cioè se questa avrebbe
potuto evitarlo con l’uso della dovuta diligenza.
Se effettivamente la parte è responsabile, allora la responsabilità
della parte comporta l’obbligo del risarcimento del danno per
inadempimento.
La possibilità giuridica
Quando si dice che l’oggetto deve essere possibile, la possibilità va analizzata sia sotto il punto di vista giuridico che
materiale. La prima valutazione in tema di possibilità è la possibilità giuridica.
Il concetto di possibilità giuridica viene analizzato a contrario, cioè si vede quando l’oggetto è giuridicamente
impossibile.
L’oggetto del contratto è giuridicamente impossibile quando:
a) quando l’oggetto del contratto NON può essere dedotto in contratto perché vietato da una norma di legge
b) quando la situazione soggettiva dedotta nel contratto è insuscettibile di scambio, come accade riguardo al
possesso.
Il possesso è un potere di fatto
NON trasferibile per atto tra vivi, salva
l’eccezione rappresentata dalla
continuazione nell’erede.
Conseguenza  Nullità del contratto: Il contratto, laddove abbia ad oggetto una prestazione giuridicamente
impossibile ab origine, è un contratto NULLO.
Differenza con la liceità: Il concetto di “possibilità giuridica” è difficile da inquadrare perché confina con un altro
requisito dell’oggetto: la liceità. Il che è ovvio, perché è illecito tutto ciò che l'ordinamento
vieta di inserire nel regolamento contrattuale.
Segnare i confini tra “possibilità giuridica” e “liceità” dell’oggetto è un’operazione complicata.

91
Calvo prova a spiegare la differenza, sostenendo:
- impossibilità giuridica: esprime la inidoneità dell'atto a realizzare l'effetto
- illiceità: esprime un giudizio di riprovevolezza da parte dell'ordinamento giuridico
Ad ogni modo, in entrambi i casi, il contratto è NULLO.
La possibilità materiale
L’altra valutazione in tema di possibilità è la possibilità materiale: la prestazione, oltre ad essere giuridicamente
possibile, deve essere possibile anche da un punto di vista materiale.
Come abbiamo detto inizialmente, la valutazione della possibilità va compiuta in astratto sulla prestazione originaria,
perciò NON è una valutazione sulla concreta possibilità o difficoltà per la parte di eseguire la prestazione.
Ciò significa che, in virtù del principio di autoresponsabilità, se una parte si obbliga a eseguire una prestazione
materialmente possibile che richiede un impegno straordinario, la circostanza che non sia in grado di realizzarla
concretamente (perché magari è un impegno troppo più grande di lui) non toglie che l’oggetto sia materialmente
possibile. Quindi ci sarà un problema di inadempimento e NON di impossibilità materiale.
L’oggetto del contratto è materialmente impossibile quando:
a) quando la prestazione contrattuale NON è compatibile con le leggi di natura.
Es. il contratto che ha ad oggetto un bene
inesistente; il contratto che ha ad oggetto
il trasporto di un bene sul sole.
b) quando una parte si è obbligata a una prestazione
estranea alle sue competenze o cognizioni: Es. il contratto con cui Tizio si obbliga a impartire a
Caio lezioni di violino allorché egli non abbia alcuna
erudizione in materia; il contratto di prestazione
d’opera intellettuale da parte del professionista
abusivo.
Conseguenza  Nullità del contratto: Il contratto che abbia ad oggetto una prestazione materialmente impossibile è
un contratto NULLO.
Il contratto atipico di protezione astrale
È stata riconosciuta la nullità del contratto per impossibilità originaria dell’oggetto (e NON per illiceità della
prestazione) del contratto atipico di “protezione astrale”, con cui il maliardo (colui che pratica la magia), dietro il
pagamento di una cospicua somma versata dalla controparte sentimentalmente affranta, si obbligava – grazie al
millantato dominio delle forze esoteriche - a riaccendere la fiamma dell’amore perduto.
Perché è un’ipotesi di impossibilità originaria dell’oggetto?
Perché il maliardo non avrebbe potuto ottenere i risultati promessi né con le sue forze né mobilitando quelle
dell’occulto. L’eventuale raggiungimento degli esiti promessi al massimo sarebbe stato frutto di una mera causalità.
Termine o condizione sospensiva
Allo scopo di mitigare il rischio della nullità del contratto per impossibilità originaria dell’oggetto (materiale o
giuridica), le parti hanno la facoltà di pattuire: - un termine iniziale di efficacia del contratto medesimo
- o di apporvi una condizione sospensiva
di modo che la prestazione, inizialmente impossibile, se diviene (materialmente o giuridicamente)
possibile prima della scadenza del termine o dell’avveramento della condizione,
allora il contratto è valido.
Ratio: Tale regola è ispirata al favor contractus: permette al contratto di produrre i propri effetti vincolanti qualora
l’evento sopravvenuto consenta di sopravanzare l’iniziale situazione di impossibilità della prestazione.

La liceità
Un altro requisito dell’oggetto è la liceità.
Nozione di illiceità: Il codice NON definisce quando l’oggetto è illecito, ma parla della illiceità soltanto con riferimento
alla causa (art. 1343 cc).
Comunque si ritiene che la liceità va riferita alle prestazioni del contratto.
L’oggetto del contratto è illecito quando la prestazione o il bene oggetto del contratto è
contrario a:
- a norme imperative: ciò si verifica ad esempio quando il bene oggetto del contratto non
può essere commercializzato, ad es. il contratto avente ad oggetto il
trasporto in Italia di zanne di elefanti
- o all’ordine pubblico
- o al buon costume.
Conseguenza  Nullità del contratto: Il contratto che abbia ad oggetto una prestazione illecita è un contratto NULLO.

92
Ratio: L’illiceità emerge quando vi è un contrasto tra l’oggetto contrattuale e la norma presidiante un interesse
collettivo o indisponibile.
In alcuni casi la prestazione, pur essendo di per sé lecita, reca i connotati di illiceità ove risulti funzionale alla
lesione dell’interesse protetto dalla norma cogente.
Es. è valida la vendita con patto di riscatto, ma essa è nulla se tende ad eludere il
divieto di patto commissorio.
Immobile abusivo su fondo altrui: L’orientamento maggioritario ritiene che sia nullo per illiceità (e NON per
impossibilità giuridica della prestazione) il contratto con cui l’appaltatore si
impegni a edificare un immobile su suolo altrui in assenza del permesso edilizio,
quindi di realizzare un immobile abusivo.

La determinatezza (o determinabilità)
Ultimo requisito dell’oggetto del contratto è quello della determinatezza o quantomeno della determinabilità della
prestazione dedotta in obbligazione.
La determinazione dell'oggetto va ricostruita:
1) sia con riferimento al contenuto: il contratto deve contenere pattuizioni chiare e precise, e NON vaghe
nè generiche
2) sia con riferimento al bene: il contratto deve contenere l’identificazione o identificabilità del bene
specifico dedotto in contratto. Elementi di identificazione sono tutti
quegli elementi che valgono a distinguere il bene nella sua identità
(nomi, confini, contrassegni), potendosi calcolare la quantità e la qualità di
esso.
Determinabilità: L'oggetto è determinabile quando per l’individuazione dell’oggetto:
- NON occorre una nuova determinazione negoziale
- ma quando le parti determinano il contenuto del contratto rimandando ad una fonte esterna, ad
es. un terzo arbitro, un listino prezzi, un successivo accordo tra di loro.
Nell’ambito della determinabilità tornano all’attenzione i cd. contratti per relationem (che abbiamo
studiato quando abbiamo parlato della forma del contratto): il contratto per relationem è quello il
cui contenuto non è autosufficiente, nel senso che per essere compreso ha bisogno di un
riferimento esterno cui le parti espressamente rimandano.
Arbitraggio
In tema di determinabilità dell’oggetto contrattuale assume importanza l’istituto dell’arbitraggio. Perché?
Di regola, sono le parti contraenti a determinare l’oggetto del loro contratto.
Tuttavia, nella prassi non è infrequente che le parti, non riuscendo a trovare un’intesa su alcuni punti, conferiscano ad
un terzo arbitratore l’incarico di provvedere alla determinazione di uno o più elemento dell’oggetto contrattuale.
Si tratta dell’atto giuridico chiamato arbitraggio.
ATTENZIONE: L’istituto dell’arbitraggio NON va confuso con l’arbitrato, quindi l’arbitratore NON è l’arbitro.
Esempio: Tizio e Caio stipulano un contratto avente ad oggetto la compravendita di un immobile ma non riescono a
trovare l’intesa sul corrispettivo da pagare. Per superare tale impasse, allora stipulano un contratto di
compravendita cui inseriscono anche un patto di arbitraggio con cui stabiliscono che il prezzo da pagare sarà
determinato dal geometra Nevio.
Fonte: Art. 1349 cc
Patto di arbitraggio: L’arbitraggio è possibile quando le parti nel loro contratto abbiano inserito il cd. patto di
arbitraggio: è un patto accessorio al contratto già validamente concluso tra le parti con cui le
parti si obbligano ad affidare ad un terzo arbitratore il compito di integrare il
contratto mediante la determinazione dell’oggetto contrattuale.
Col patto di arbitraggio, le parti:
1) provvedono alla nomina dell’arbitratore
2) gli conferiscono i necessari poteri
- eventualmente specificano istruzioni e direttive che l’arbitratore deve seguire.
ATTENZIONE: Il patto di arbitraggio si inserisce in un contratto è che già di per sé concluso e
perfetto. Quindi:
- la determinazione del terzo va ad integrare un contratto già perfetto e valido
- è un ERRORE dire che il contratto sarà perfezionato quando ci sarà la
determinazione dell’arbitratore
- semplicemente, fino a quando non interverrà la determinazione del terzo, il
contratto(già valido perfetto) NON è eseguibile.

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ATTENZIONE: Con l’arbitraggio NON si infrange MAI il postulato dell’autodeterminazione,
cioè della volontà sovrana dei paciscenti. Perché? Perché comunque l’arbitratore
deve dare compiuta attuazione alla volontà delle parti, secondando l’interesse dei
privati a realizzare l’etero-integrazione della fattispecie esercitando un potere che
altrimenti spetterebbe loro.
L’incarico si traduce in un mandato collettivo attribuito dalle parti all’arbitratore.
Il terzo arbitratore: Per il terzo arbitratore valgono le seguenti regole:
- designazione delle parti: l’arbitratore è nominato dalle parti nel cd. patto di arbitraggio.
Calvo, in proposito, dice che si tratta di una sorta di designazione
intuitu personae, nel senso che giocano un ruolo rilevante le
caratteristiche soggettive del terzo e le sue doti di equilibrio e
ragionevolezza.
Es. diamo incarico al signor Tizio perché egli è un professore
stimatissimo e particolarmente competente nella materia oggetto
del nostro contratto.
- deve rispettare la volontà delle parti: l’arbitratore deve secondare l’interesse delle parti che lo
hanno incaricato
- opera in nome proprio, ma la pronuncia che emette vale tra le parti così come se il suo
contenuto fosse stato stabilito dalle parti stesse
La determinazione dell’arbitratore
Con l’arbitraggio, il terzo arbitratore:
- NON risolve controversie
- ma integra il rapporto contrattuale: quello dell’arbitratore è un intervento integrativo destinato a
integrare l’oggetto contrattuale che è incompleto.
La determinazione NON è totale: La determinazione del terzo è comunque una determinazione parziale.
Infatti, le parti NON possono rimettere all’arbitratore l’intera determinazione di
tutto l’oggetto contrattuale, perché è necessario che le parti abbia determinato
quantomeno la causa del contratto e la natura delle prestazioni principali.
Secondo quali criteri il terzo effettua la
determinazione dell’oggetto contrattuale? L’art. 1349 prevede 2 diverse modalità con cui il terzo può procedere
alla determinazione dell’oggetto contrattuale, e dipende da cosa
gli hanno chiesto le parti (quindi dal tipo di incarico affidatogli).
L’arbitratore procede alla determinazione:
a) o con equo apprezzamento: di regola, le parti si rimettono all’arbitratore e al suo equo
(equità) apprezzamento, tenuto conto delle sue cognizioni tecniche.
In questo caso, su incarico delle parti, l’arbitratore procede alla
determinazione usando la sua equità in base alle sue cognizioni
tecniche.
Es. le parti affidano ad un geometra stimato il compito di fissare il
prezzo di vendita del bene. L’arbitratore qui procederà in maniera
equa, quindi attingerà al suo bagaglio di cognizioni tecniche e alla
sua discrezionalità tecnica per stabilire quale sia il prezzo più equo
b) o con mero arbitrio: eccezionalmente, è un’ipotesi residuale, le parti possono dichiarare
espressamente di incaricare l’arbitratore di determinare l’oggetto
contrattuale secondo il suo mero arbitrio. Es. dicono “metti qui la cifra che
vuoi tu”.
In questo caso, l’arbitratore procede alla determinazione usando la sua
discrezionalità soggettiva, quindi gode di un potere più ampio perché è come
se le parti gli avessero dato un mandato in bianco.
• Perché è un’ipotesi residuale? Perché il legislatore ha previsto che se le parti
intendono rimettersi al mero arbitrio del terzo,
devono dichiararlo ESPRESSAMENTE.
Se non risulta espressamente, allora la determinazione
dovrà avvenire con equo apprezzamento.
• Che significa “mero arbitrio”? Che la discrezionalità è soggettiva, però attenzione:
non significa arbitrio incontrollato perché
l’arbitratore deve tenere conto delle circostanze
del contratto, del contenuto, ecc.

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Ipotesi patologiche: Perché è rilevante questa distinzione che fa l’art. 1349 cc sulle due modalità con cui il terzo
arbitratore può determinare l’oggetto del contratto?
Tale distinzione è molto rilevante in caso di ipotesi patologiche dell’arbitraggio.
Le ipotesi patologiche possono essere: cosa accade se il terzo non accetta l’incarico? E se lo
accetta ma non procede alla determinazione? Si può
impugnare la determinazione del terzo?
La risposta a queste domande varia a seconda del potere che le parti avevano conferito
all’arbitratore, quindi a seconda del se le parti si erano rimesse all’equo apprezzamento
dell’arbitratore oppure al suo mero arbitrio:
- in caso di equo apprezzamento: se le parti si sono affidate ad un arbitratore affinché proceda alla
determinazione dell’oggetto contrattuale secondo il suo equo
apprezzamento, le possibili situazioni patologiche che possono presentarsi
sono:
A) se il terzo non accetta l’incarico
B) se il terzo accetta l’incarico ma non effettua la determinazione entro i termini
• In questi due casi, le parti hanno una scelta:
a) o si accordano per sostituire l’arbitratore con un’altra persona scelta
mediante un accordo
b) o possono rivolgersi al giudice: in questo sarà il giudice a procedere alla
determinazione secondo equo
apprezzamento (cd. determinazione
giudiziale) in sostituzione dell’arbitratore.
C) se il terzo ha effettuato la determinazione ma una parte la ritiene erronea,
manifestamente iniqua oppure viziata da violenza?
In questo caso, la parte può liberamente impugnare la determinazione,
però bisogna distinguere alcune situazioni:
a) se l’arbitratore ha violato le direttive impartitegli dalle parti, eccedendo
nel potere a lui conferito, allora:
- la determinazione dell’arbitratore è INEFFICACE
- A MENO CHE le parti non la ratifichino
b) se l’arbitratore NON ha violato le direttive impartitegli dalle parti
ma semplicemente ha effettuato una determinazione erronea,
iniqua o viziata da violenza, allora delle due l’una:
a) o si ritiene che la determinazione del terzo sia annullabile per
un vizio di volontà (errore, dolo, violenza).
Es. il terzo ha determinato il prezzo in una certa misura
perché è stato ingannato da uno dei contraenti su
una certa circostanza fattuale
b) o si ritiene che la determinazione sia inefficace.
In questi casi, se le parti non si accordano per la ratifica (nel primo caso),
allora le parti possono impugnare la determinazione iniqua, erronea o viziata da
violenza: spetterà al giudice decidere sul denunciato vizio.
Se il giudice riconosce il vizio (cioè riconosce che la determinazione è viziata
perché iniqua, erronea o viziata da violenza), allora, su richiesta delle parti, è lui
stesso ad effettuare la determinazione (cd. determinazione giudiziale).
- in caso di mero arbitrio: se le parti si sono affidate ad un arbitratore affinché proceda alla determinazione
secondo il suo mero arbitrio, allora in caso di situazioni patologiche il regime è
molto diverso da quello dell’equo apprezzamento, perché:
A) se il terzo non accetta l’incarico
B) se il terzo accetta l’incarico ma non esegue la determinazione entro i termini stabiliti
• In questi due casi:
a) o si accordano per sostituire l’arbitratore con un’altra persona
b) oppure il contratto è NULLO
In questi casi le parti NON possono rivolgersi al giudice per la determinazione
giudiziale. Perché? Perché se le parti si erano affidate al terzo per il suo mero
arbitrio, NON si può chiedere al giudice di procedere in
sostituzione del mero arbitrio del terzo.

95
C) se il terzo ha effettuato la determinazione ma una parte la ritiene erronea,
manifestamente iniqua oppure viziata da violenza?
Anche qui assistiamo ad un regime di impugnazione diverso da quello visto
prima (in caso di equo apprezzamento).
L’art. 1349 comma 2 afferma che la determinazione scaturita dal mero arbitrio
dell’arbitratore:
- NON si può impugnare liberamente
- ma si può impugnare SOLO SE si dimostra la mala fede
dell’arbitratore.
Perché? Se le parti si sono rimesse al mero arbitrio del terzo, NON si può
parlare di determinazione iniqua o erronea perché NON possono
lamentarsi che il frutto di questo arbitrio sia ingiusto o iniquo.
Ecco perché l’UNICA ipotesi in cui è consentita l’impugnazione della
determinazione di mero arbitrio è quando si provi la mala fede
dell’arbitratore (dolo, inganno).
Es. quando l’arbitratore, in accordo con uno dei contraenti, determini una
cifra alta in modo da favorire il venditore
Natura giuridica dell’arbitraggio
Calvo infine tratta il tema della natura giuridica dell’arbitraggio, che comunque non ha una grossa rilevanza pratica:
- arbitraggio come atto negoziale: a questa tesi si può obiettare che in realtà l’arbitratore NON esprime una
volontà negoziale diretta produrre effetti giuridici patrimoniali, ma si limita
a fissare un elemento della fattispecie.
- arbitraggio come mero fatto: nemmeno questa tesi convince perché in realtà si ritiene che l'atto
dell’arbitratore è impugnabile se egli non osserva gli obblighi inerenti al suo
incarico.
- Calvo: arbitraggio come autonomo atto giuridico
integrativo del contratto altrui: è preferibile questa tesi perché giustamente inquadra una
determinazione come un atto giuridico senza la quale l’altrui accordo
sarebbe ineseguibile
La perizia contrattuale
L’istituto dell’arbitraggio, oltre a non dover essere confuso con l’arbitrato, NON va confuso nemmeno con un altro
istituto che non è disciplinato dal codice: la perizia contrattuale.
Nozione: La perizia contrattuale si ha quando le parti del contratto devolvono ad un perito o un collegio di periti
il compito di effettuare una valutazione tecnica per determinare un elemento della prestazione contrattuale.
Es. nei contratti di assicurazione contro gli infortuni si può inserire una clausola in cui si stabilisce che per
quantificare il quantum del danno subito ci si affiderà ad un terzo o ad un collegio di terzi (medico
nominato dall’assicurato, medico nominato dalla compagnia, e un terzo nominato dai primi due di
accordo). Pertanto, si compie NON una valutazione giuridica, ma una valutazione tecnica.
Impugnabilità: La perizia contrattuale:
- NON è impugnabile per iniquità o erroneità della determinazione: perché? Perché questi casi
presuppongono una valutazione
equitativa o discrezionale, che
non è conciliabile con l’attività
strettamente tecnica del perito.
Quindi, le parti, se non sono convinte della valutazione
del perito, possono andare da un altro perito.
- è impugnabile con: - l’azione di risoluzione
- l’azione di annullamento ove si dimostri l’errore essenziale degli arbitri.
Autoarbitraggio: la determinazione unilaterale di una parte
Finora abbiamo sempre considerato l’arbitraggio come il patto con le parti affidano ad un terzo la determinazione
dell’oggetto contrattuale in funzione integrativa.
Ora invece vediamo il cd. autoarbitraggio: si ha quando le parti assegnano questo potere di determinare il contenuto
del contratto: - NON ad un terzo estraneo al contratto
- ma unilateralmente a una delle due parti del contratto.
Calvo: Calvo indica una serie di norme da cui ritiene che si possa ritenere ammissibile l’autoarbitraggio, e tra queste vi
è l’art. 1378 cc: in tema di vendita di cosa determinata solo nel genere, afferma: nei contratti che hanno per
oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con
l'individuazione fatta d'accordo tra le parti o nei modi da essi stabiliti.

96
Es. Tizio vende a Caio 100 quintali dell’uva che produce. Ora, fino a quando non ci sarà la concreta
individuazione dell’uva del compratore (cioè, tra tutta l’uva nel mio fondo sarò chiamato ad
individuare quale vendere e quale tenere per me), la proprietà non passa dal venditore al
compratore. E tale individuazione chiaramente sarà unilaterale, perché sarà il venditore ad
individuare l’uva da vendere.
Rischio di abuso: Ovviamente l’autoarbitraggio è un meccanismo pericoloso, nel senso che si possono facilmente
immaginare i rischi di abuso della parte a cui è stato deferito il compito di determinare
unilateralmente l’oggetto del contratto.
Proprio per evitare rischi di abuso, Calvo propone una soluzione compromissoria abbastanza
ragionevole, dicendo: - è ammissibile l’autoarbitraggio secondo equo apprezzamento.
- NON è ammissibile l’autoarbitraggio secondo il mero arbitrio.
Quando viene utilizzato questo autoarbitraggio?
Nela prassi il ricorso all’autoarbitraggio è frequente in due macro aree:
a) quando occorre specificare il bene del contratto già determinato
Es. nei contratti di somministrazione ad es. di energia elettrica, le parti
possono determinare il quantum da somministrare.
b) nei contratti di durata
L’altra area in cui si fa sempre più ricorso all’autoarbitraggio è nell’ambito dei contratti di
durata. Nei contratti di durata è frequente che a una delle parti sia deferito il potere:
- NON di specificare l’oggetto del contratto
- ma di modificare unilateralmente
il contenuto del contratto: è il cd. ius variandi, cioè il diritto di una parte di
variare il contenuto del contratto, dato che si
tratta di un contratto di durata e dunque può
avere anche una lunga durata.
Es. art. 118 Testo Unico delle leggi in materia bancaria: nei contratti a tempo indeterminato
può essere pattuita - con una
clausola approvata dal cliente - la
facoltà della Banca di modificare
unilateralmente tassi, prezzi e altre
condizioni previste dal contratto
qualora sussista un giustificato
motivo.
Il rinvio alla fonte normativa esterna al contratto
Nella prassi può avvenire che le parti, per individuare un elemento dell’oggetto contrattuale, si rimettano ad una
fonte normativa esterna al contratto la quale, in assenza del richiamo, non integrerebbe la fattispecie contrattuale.
Es. le parti stipulano un contratto di compravendita e per fissare il prezzo rinviano al prezzo del bene quello stabilito
nella legge X o nel provvedimento normativo Y.
Rinvio fisso o mobile: Il problema che sorge quando si fa rinvio ad una fonte normativa esterna al contratto consiste
nel verificare se le parti abbiano inteso effettuare un rinvio fisso oppure mobile, cioè bisogna
appurare se le parti vollero riferirsi alla disciplina statica fissata al momento della loro intesa a
prescindere dalle mutazioni future, oppure se le parti intendono adattarsi al dinamismo delle
eventuali modifiche sopravvenute.
Se nello svolgimento del rapporto cambia la normativa, bisogna valutare la volontà delle parti:
- se il rinvio è fisso (statico)  allora si rinvia alla norma come è scritta ora, quindi non si
recepiranno eventuali modifiche che il testo normativo potrà
avere.
- se il rinvio è mobile (dinamico)  allora si rinvia alla norma come è scritta ora ma anche a
tutte le sue successive modifiche che dovessero
sopravvenire.
Presunzione semplice di staticità: Dinanzi all’inestricabile dubbio circa la natura fissa o mobile del rinvio, pare viga una
presunzione semplice di staticità. Pare infatti più realistico che gli stipulanti
intendano far riferimento alla fissità assicurata dall’incorporazione statica, che mette
al riparo il contenuto del contratto da eventuali sopravvenute vicende.
Calvo: Calvo dice: si tratta di un’indagine di tipo interpretativo da fare caso per caso. Occorrerà che il giudice cerchi
di ricostruire quale sia la comune intenzione delle parti per poter stabilire se si tratti di un rinvio fisso o mobile.
Però, anche Calvo ammette: nel dubbio, laddove non si riesca a stabilire se le parti intendevano un rinvio fisso o
un rinvio mobile, bisogna preferire la tesi del rinvio fisso.

97
CAP. 9
CAUSA e MOTIVI
Requisito essenziale: Il nostro ordinamento adotta il principio causale, in virtù del quale la causa è un requisito
costitutivo essenziale del contratto che deve essere SEMPRE presente nel contatto.
Inquadramento storico-comparativo
La causa è un elemento che si colora diversamente nei singoli ordinamenti, assumendo definizioni totalmente diverse.
A conferma di ciò vi è il fatto che tutti i tentativi di unificazione del diritto europeo, e cioè di creare una sorta di Codice
civile Europeo del contratto, si sono subito arenati perché i vari sistemi solo tra loro molto diversi, soprattutto in tema
di causa del contratto.
Analizziamo i vari ordinamenti e il loro modo di intendere la causa:
- diritto francese: in Francia, il Code Napoléon del 1804 parte dalla premessa che le obbligazioni derivano
NON dal contratto, ma dalle reciproche promesse. Quindi il codice francese parla di
causa dell’obbligazione, NON di causa del contratto.
- diritto inglese: il sistema inglese di Common Law:
- NON conosce il concetto di “causa”
- ma parla di “consideration”: le reciproche promesse devono essere sorrette da
una consideration, cioè dalla controprestazione dell’altro
che giustifica la mia forza impegnativa.
- diritto tedesco: il sistema tedesco è diverso dal sistema italiano perché nel sistema tedesco
NON vige il principio consensualistico, ma hanno un’impostazione basata sulla bipartizione
tra: - contratto: - ha effetti meramente obbligatori
- crea soltanto il vincolo giuridico ma NON trasferisce la proprietà
- è causale
- esecuzione della prestazione: è soltanto con l’esecuzione della prestazione dovuta
che si trasferisce la proprietà, ad es. è solo con la
consegna del bene che si trasferisce la proprietà. Se non
c’è consegna del bene, NON c’è trasferimento di
proprietà del bene.
Con questa scomposizione il sistema tedesco fa sì che l’eventuale
nullità del contratto NON si ripercuote sulla validità
dell’esecuzione della prestazione a valle: quindi l’atto esecutivo
della prestazione NON deve presupporre per forza la validità del
sottostante vincolo obbligatorio.
Diritto italiano: il principio causale
Il sistema italiano sul tema della “causa” del contratto ha un’impostazione diversa da quella degli altri ordinamenti
europei. Perché? Perché NEL NOSTRO ORDINAMENTO VIGE IL PRINCIPIO CAUSALE, in virtù del quale:
- la causa è un SEMPRE un requisito essenziale di QUALSIASI contratto, sia esso tipico che atipico
- OGNI spostamento patrimoniale tra soggetti deve essere sorretto da una ragione giustificativa.
Donazione: Il tema della causa del contratto trova il suo punto dolente nella causa della donazione.
Se è vero che nel nostro ordinamento vige il principio causale, e dunque che ogni contratto deve essere
sorretto da una causa giustificativa, allora per la donazione si pone un problema. Perché?
Perché nella donazione lo spostamento patrimoniale è sorretto solo dal cd. spirto di liberalità, e quindi si
spiega perché in dottrina spesso sono sorte questioni sul se la donazione sia un contratto causale o no.
Dottrina maggioritaria e Calvo: Ad opinione della dottrina maggioritaria e anche di Calvo:
- la donazione è un contratto causale
- si tratta di causa liberale, cioè è lo spirito di liberalità a sorreggere lo
spostamento patrimoniale del donante
(cd. animus donandi)
È chiaro che la causa va costruita in una maniera un po' diversa rispetto
alla normale dialettica dei contratti di scambio.

L’astrazione della causa. Il contratto astratto


Dato che dal principio causale discende che ogni contratto deve avere la sua causa quale elemento essenziale dello
stesso, allora in linea di principio NON è possibile creare contratti astratti, cioè contratti senza causa.
TUTTAVIA, Calvo avverte che nel nostro ordinamento esistono fenomeni di contratti astratti, cioè casi in cui SEMBRA
che il principio causale venga attenuato.

98
Si tratta di casi di:
- astrazione sostanziale (materiale) della causa: si tratta di quei casi in cui l’ordinamento riconosce che una
un contratto possa essere valido ed efficace A PRESCINDERE
dall’espressione di una causa.
Quindi il contratto astratto si perfeziona a prescindere dalla causa,
e dunque si contrappone al contratto causale che ha la causa come
suo elemento essenziale.
Nei contratti astratti:
- la causa C’È
- ma è NASCOSTA, in quanto NON emerge espressamente
(expressio causae).
Es. cambiale: è un titolo di credito emesso senza che si faccia alcun
riferimento al rapporto sottostante che ha spinto
il soggetto a formare il titolo. Se Tizio firma una
cambiale, non risulta perché l’ha firmata. Doveva dei
soldi a Caio? Per atto di liberalità?
Non è dato saperlo, la causa c’è, ma non si vede.
- astrazione processuale della causa: ci sono casi in cui la causa c’è ma “degrada”, nel senso che vi è una sorta di
inversione dell'onere della prova della causa del negozio.
Quali sono? Calvo analizza due esempi di astrazione processuale della causa:
- le ipotesi di
riconoscimento del debito: ai sensi dell'art. 1988 cc, la promessa di pagamento o il
riconoscimento del debito:
- NON costituiscono autonome fonti di obbligazioni
- producono un mero effetto confermativo del preesistente
vincolo giuridico
- esonerano il destinatario (della promessa) o il beneficiario (del
riconoscimento del debito) dall'onere di dimostrare
la sussistenza del rapporto causale, perché tale
rapporto si presume fino a prova contraria.
Es. Tizio scrive una lettera a Caio in cui riconosce di dovergli 100 e
promette di pagarglieli. Se Tizio però non paga, allora Caio
(destinatario della promessa di pagamento di Tizio) può agire
in giudizio senza dover fornire la prova della causa del
rapporto con Tizio, cioè senza fornire la giustificazione di
questo spostamento patrimoniale perché, a seguito della
promessa di pagamento, tale giustificazione si presume fino a
prova contraria.
Perciò, al più, sarà Tizio (autore della promessa unilaterale
di pagamento) a dover fornire la prova che in realtà quello
spostamento patrimoniale non aveva alcuna nessuna
giustificazione patrimoniale.
- contratto autonomo di garanzia: anche il contratto autonomo di garanzia è sorretto da un
analogo meccanismo di astrazione processuale della
causa.
Per spiegare il contratto autonomo di garanzia dobbiamo partire
dal contratto di fideiussione.
Col contratto di fideiussione:
- il garante Tizio garantisce che il debitore Caio (il garantito) adempirà
la sua obbligazione nei confronti del terzo Sempronio (creditore):
se Caio non adempirà, allora il garante Tizio sarà chiamato ad
adempiere al posto del garantito Caio.
- in sede di giudizio, il garante Tizio può opporre al creditore
Sempronio le stesse eccezioni che potrebbe
opporre il debitore originario Caio (il garantito).
Es. se il debitore originario Caio può opporre la nullità del
contratto da cui deriva la sua obbligazione, allora tale
eccezione la può opporre anche il garante.

99
Problema: Questo però porta ad un rallentamento dei tempi
processuali e soprattutto è un problema per il
creditore, perché dice il creditore: se tu debitore
non mi paghi e mi rivolgo al tuo garante, questo mi
potrebbe eccepire tutte le eccezioni che potresti
eccepirmi tu, e finchè tali eccezioni non saranno decise
dal giudice, io creditore dovrò aspettare per ottenere
la soddisfazione del mio credito.
Ecco allora per quale ragione è stato creato il contratto autonomo di
garanzia, molto utilizzato nella prassi perché sempre più spesso
capita che il creditore non si accontenti di una fideiussione
semplice.
Contratto autonomo di garanzia: Il contratto autonomo di garanzia è quel
contratto con cui un soggetto garante
(abitualmente una banca o una compagnia
assicurativa) si obbliga direttamente nei
confronti di un soggetto beneficiario (creditore),
al pagamento di una somma predeterminata in
caso di inadempimento del debitore principale.
Tale contratto presenta delle differenze con quello di
fideiussione, perché col contratto autonomo di garanzia:
- il vincolo obbligatorio si crea direttamente tra garante e
beneficiario (creditore)
- il garante è tenuto ad adempiere la prestazione del
debitore (garantito) nel momento in cui il
creditore ne fa richiesta: quindi l’adempimento
si ha nel momento della
semplice richiesta di
pagamento del
creditore.
Ecco perché si parla di
“garanzia a prima richiesta”
- in sede di giudizio, il garante NON può opporre alcuna
eccezione (che potrebbe opporre il
debitore garantito).
Es. l’appaltatore Tizio incarica il committente Caio di costruire un
palazzo e, per ottenere l’adempimento di Caio, si fa lasciare
una garanzia con un contratto autonomo di garanzia.
Ora, in caso di inadempimento di Caio, il creditore Tizio può
fare richiesta al garante di adempimento e il garante dovrà
adempiere SENZA poter opporre alcuna eccezione/
contestazione/riserva.
Causa: Si è discusso se il contratto autonomo di garanzia sia ammissibile
nell’ordinamento. La dottrina maggioritaria ritiene che sia
ammissibile perché la causa c’è, nonostante si assista ad
un’astrazione della causa, perché:
- NON c’è alcun legame con il rapporto principale
sottostante
- e dunque si assiste ad uno spostamento di ricchezza tra
garante e creditore senza alcuna causa.
Qui però si vuole valorizzare la natura, o meglio funzione,
“indennitaria” della garanzia autonoma.
Oggi, anche grazie alle sentenze della giurisprudenza, si riconosce
l’ammissibilità del contratto autonomo di garanzia quale contratto atipico.

100
Definizione di causa: dalla causa economico-sociale alla causa economico-
individuale
Ora dobbiamo affrontare il tema della definizione di causa: che cos’è la causa del contratto?
Il codice NON fornisce una definizione di causa, e quindi questo compito piuttosto complesso è spettato alla dottrina.
Nel corso della storia, il concetto di causa è stato oggetto di una tormentata evoluzione concettuale perché ha
risentito del quadro storico e dei suoi mutamenti.
a) PRIMA DEL CODICE CIVILE DEL 1942
Prima del Codice civile del 1942, il concetto di causa si inquadrava con riferimento NON al contratto,
ma alle obbligazioni. Pertanto, la causa NON era un elemento del contratto, ma rilevava soltanto in
quanto ragione giustificativa della prestazione dovuta dalla parte (obbligazione).
b) COL CODICE CIVILE DEL 1942: causa intesa come funzione economico-sociale del contratto
Passano gli anni e si arriva al Codice civile del 1942.
Col Codice civile muta radicalmente impostazione perché:
- la causa diventa elemento essenziale del contratto (NON più dell’obbligazione)
- e la causa viene definitiva come funzione economico-sociale del contratto.
Una conferma di tale teoria la si ha nella Relazione del Guardasigilli (il Ministro della giustizia) che
accompagna il Codice civile: nella relazione al codice del 1942 si legge che la causa va definita come
funzione economico-sociale del contratto.
Ratio: Quello che interessava al legislatore del 1942 era che il contratto fosse uno strumento per far
circolare la ricchezza della nazione. Quindi era importante che gli interessi dei singoli fossero
computabili e funzionali col benessere della nazione(collettività), e dunque il contratto era
meritevole di protezione solo se aveva una funzione socialmente apprezzabile.
Uso politico della causa: Per capire perché dal 1942 la causa viene intesa come funzione economico-sociale
del contratto bisogna analizzare il quadro storico in cui nasce tale definizione.
L’idea che la causa del contratto consista nella funzione economico-sociale del
contratto nasce durante il regime fascista in cui viene concepito il codice del 1942.
Non sorprende che la causa venga intesa come funzione economico- sociale,
perché tale idea rientra appieno in una logica autoritaria propria di un regime
autoritario quale era il regime fascista.
Infatti, l’idea di fondo che ispirava tale teoria era che lo Stato accentratore doveva
avere il potere di controllare l'autonomia negoziale dei privati, in quanto potenziale
fonte di pericoli.
Ecco allora che si delinea un uso “politico” della causa: la causa viene svilita a
categoria intesa come strumento in mano allo Stato accentratore per controllare la
libertà contrattuale dei privati. Il timore era quello di evitare che attraverso
contratti non previsti dal legislatore, le parti, non essendo vincolate alla causa
tipica e di per sè conforme agli interessi collettivi, creassero rapporti destinati a
raggiungere scopi antisociali.
Corollario: Causa tipica e tipi contrattuali: Proprio per il timore che le parti utilizzassero il contratto per
perseguire scopi antisociali, cosa fa il legislatore del 1942?
Predispone un articolato elenco di tipi contrattuali legali, cioè
crea dei modelli tipici di contratto entro cui si poteva muovere la
libertà contrattuale dei privati, come se si dicesse “se tu privato
vuoi stipulare un contratto, lo puoi fare soltanto utilizzando uno
dei tipi legali che io legislatore ti ho predisposto ex ante”.
Ecco allora che dalla teoria della causa intesa come funzione economico-sociale
della causa ne deriva che:
- la causa del contratto può essere SOLO tipica
- ogni tipo legale di contratto ha la sua causa tipica
- il privato può utilizzare SOLO un contratto tipico, munito di causa tipica
- è impossibile creare contratti atipici o contratti astratti (privi di causa).
Quindi, per il legislatore del 1942:
- causa (intesa come funzione economico-sociale)
- e tipo legale di contratto
sono due nozioni legate, speculari, sono due facce della stessa moneta:
rappresentano due temi giuridicamente connessi: la causa dei contratti tipici è la
funzione astratta del contratto, quindi coincide col tipo.

101
c) DAL 1990 AD OGGI: causa intesa come funzione economico-individuale del contratto (cd. causa concreta)
Il concetto di causa intesa come funzione economico-sociale del contratto si è mantenuto
fino al 1990.
Poi però la teoria perfettamente razionale della causa come funzione economico-sociale ha
cominciato ad essere messa lentamente in discussione. Perché? Perché si iniziò a riscontrare che la
costruzione della causa come funzione economico-sociale del contratto soffriva di almeno due punti
di crisi:
- la rilevanza dei motivi: il primo punto di crisi era dato dal fatto che lo stesso legislatore ammetteva
che in alcune ipotesi i motivi interni degli stipulanti assumevano rilevanza
giuridica.
Infatti, l'art. 1345 cc: “Il contratto è illecito quando le parti si sono
determinate a concluderlo esclusivamente per un
motivo illecito comune ad entrambe”.
Quindi, si è cominciato a dire: se la causa è la funzione economico-sociale
del contratto e dunque è sempre una causa tipica (definita dal legislatore),
come è possibile che in alcuni casi i motivi interni delle parti siano
giuridicamente rilevanti?
- la causa illecita: il secondo punto di crisi era dato dalla causa illecita: se la causa è la funzione
astratta del contratto e coincide col tipo contrattuale, allora sarebbe impossibile
configurare una causa illecita: la causa dovrebbe essere sempre lecita perché è
predeterminata ex ante dal legislatore per quel singolo tipo contrattuale.
È impossibile pensare ad un tipo illecito o ad una funzione astratta illecita.
Eppure, la giurisprudenza in alcuni casi iniziava a parlare di causa illecita.
Effettivamente, nel tempo i giudici avevano cominciato a riscontrare sempre
più ipotesi in cui le parti, pur stipulando un contratto tipico, avevano inserito
una o più clausole che comportavano che quell’assetto di interessi, pur in
astratto lecito, in realtà concretava una causa illecita.
Quindi la giurisprudenza ha cominciato a dire: un contratto, soltanto perché
appartiene a un certo tipo contrattuale legale, non è detto che presenti
sicuramente una causa lecita, perché magari le parti potrebbero averlo usato per
eludere l'applicazione di norme imperative, e quindi si aveva una frode alla legge
per la causa illecita.
Alla luce di questi punti di crisi, ecco che giurisprudenza e dottrina iniziano a mettere in discussione
la teoria della causa intesa come funzione economico-sociale del contratto.
A poco a poco la giurisprudenza ha iniziato ad affermare la necessità di sottoporre al sindacato di
meritevolezza anche i contratti tipici, perché il germe dell'illegalità può essere celato dietro una causa
tipica di un tipo legale.
Ecco allora che lentamente muta la definizione di causa: si comincia a parlare di causa del contratto:
- NON più come funzione economico-sociale del tipo legale del contratto stipulato dalle parti
- ma si afferma la teoria della funzione economico-individuale o causa concreta del contratto.

Che significa funzione economico-individuale del contratto (o causa concreta)?


Con queste definizioni si intende specificare che:
- il riferimento NON è più alla causa tipica: NON si tiene conto della funzione astratta (tipica) del contratto.
Infatti, il semplice fatto che le parti abbiano utilizzato un tipo
contrattuale disciplinato in astratto ex ante dal legislatore
NON è sufficiente ad affermare con certezza la liceità e la
meritevolezza dell’interesse perseguito.
Perché? Perché può ben capitare che il contratto utilizzato sia
tipico (quindi rispondente ad un modello legale), ma le
parti nel caso concreto abbiano realizzato interessi illeciti,
quindi causa illecita.
- per causa del contratto deve intendersi il CONCRETO ASSETTO DI INTERESSI perseguiti IN CONCRETO dai
contraenti, quindi lo scopo pratico perseguito di volta in volta dai contraenti,
al di là del tipo contrattuale astratto utilizzato.
Quindi per causa deve intendersi la funzione economico-individuale del singolo
specifico contratto posto in essere.

102
Ecco allora che ci possiamo spiegare perché un contratto tipico può essere assoggettato ad un controllo di liceità e
della causa perché anche un contratto tipico nel caso concreto può avere una causa illecita.
Quindi, la valutazione della causa NON va fatta sul tipo contrattuale scelto dai contraenti.

Ecco allora perché il controllo di liceità della causa va fatta:


- sia sui contratti ATIPICI
- sia sui contratti TIPICI
- pertanto, la causa deve esser verificata in concreto caso per caso, e NON in astratto.

Cassazione 10490/2005: Una pronuncia fondamentale - che ha sottolineato questo passaggio alla nozione di causa
concreta intesa come funzione economico-individuale - è stata la sentenza della
Cassazione 10490/2005.
Nel 2005 la Cassazione ha affermato: la definizione di causa fornita dal Codice civile è
quella di funzione economico-sociale, ma è noto che da parte della più attenta dottrina e
di una giurisprudenza discorre da tempo di una nozione di causa concreta: la causa intesa
come funzione economico-individuale del singolo specifico contratto posto in essere,
A PRESCINDERE dal tipo contrattuale astratto utilizzato.
Corollario: la causa si sgancia dal tipo contrattuale: Sulla base di questa nuova definizione della causa, cambia anche
l’impostazione del rapporto tra causa e tipi contrattuali.
Rispetto alla vecchia teorica della causa (causa come funzione economico-
sociale, la quale faceva coincidere la causa col tipo contrattuale, parlando
sempre di causa tipica), con la nuova teoria della causa la conseguenza è
che il concetto di causa si sgancia dal concetto di tipo contrattuale:
- una cosa è il tipo contrattuale utilizzato dalle parti
- un’altra cosa è la causa concreta del singolo contratto stipulato
Quindi, con questa nuova teoria va operata una netta distinzione tra causa e tipo
contrattuale, quindi NON bisogna confondere il problema della causa col problema dei tipi
contrattuali
- il problema della causa va affrontato:
- NON con riferimento alla causa tipica
- ma con riferimento alla singola vicenda contrattuale.
Ogni contratto ha la sua causa concreta, la sua funzione
economico-individuale.
Il criterio della causa concreta è l'unico criterio che consente di
distinguere i tipi contrattuali tra loro. Perciò NON esistono due
contratti assolutamente identici perché ogni contratto ha una sua
causa particolare, un suo particolare assetto di interessi
particolari.
Dato che vige la nozione di causa concreta, possiamo affermare
che all’interno dello stesso tipo contrattuale possiamo trovare
diverse cause.
- il problema del tipo contrattuale è un problema DIVERSO logicamente e giuridicamente da
quello della causa.
Il problema dei tipi contrattuali è un problema del
legislatore: il legislatore prende atto che nel mondo degli
affari esistono una serie di operazioni socialmente diffuse
che si ripetono, e allora, se lo ritiene opportuno, ne crea
un modello, predeterminandolo ex ante nella legge.
Quindi il legislatore prende un tipo sociale e lo fa
diventare un tipo legale.
Es. il legislatore si accorge che un'operazione socialmente diffusa
è lo scambio tra un bene ed un prezzo, e allora il legislatore lo
disciplina nel codice e lo fa diventare il tipo legale della
compravendita.
In tema di tipi contrattuali, la scelta del nostro legislatore è stata
dividere il codice in:
- parte sul contratto in generale
- parte sulla disciplina dei singoli contratti.

103
Il contratto atipico (o innominato)
Adottando la teoria della causa intesa come funzione economico-individuale, il concetto di causa si sgancia dal
concetto di tipo contrattuale: conseguenza di ciò è che si riconosce alle parti la possibilità di stipulare contratti che
non appartengono ad alcun tipo legale predeterminato dal legislatore.
Nozione: Il contratto atipico o innominato è quel contratto che NON rientra in alcun tipo legale.
Ratio: Autonomia negoziale: La possibilità di stipulare contratti innominati è espressamente prevista in sede di
riconoscimento normativo dell’autonomia contrattuale dei privati.
Nell’esercizio di tale autonomia, le parti possono infatti stipulare contratti che
non rientrano nei tipi legali.
Art. 1322 comma 2: La norma che ammette tale possibilità è il comma 2 dell’art. 1322 cc che afferma:
“Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento
giuridico”.
Disciplina: Se il contratto utilizzato in concreto non corrisponde ad alcun tipo legale, e dunque è un contratto atipico
(o innominato), quale disciplina gli si applica? La disciplina dei contratti atipici è data:
- dalle norme generali sul contratto
- e dalla disciplina di quelle fattispecie tipiche applicabili in via analogica.

Illiceità della causa (art. 1343 – 1344 cc)


Gli artt. 1343 - 1344 cc affermano che la causa del contratto è illecita quando è CONTRARIA A:
- a norme imperative: le norme imperative sono quelle norme NON derogabili dalle parti, neppure con
l’accordo tra loro. Quindi, le norme imperative sono norme cogenti la cui osservanza è
inderogabile, e ciò deriva dal fatto che prescrivono ai soggetti un dover fare o un poter
fare incondizionato.
- all'ordine pubblico: l’ordine pubblico è una sorta di clausola generale, quindi è un concetto elastico e
storicamente variabile a seconda dell’esperienza giuridico-organizzativa a cui partecipa;
idem per il “buon costume”.
In linea generale l’ordine pubblico è considerato l’espressione riassuntiva dei principi
che si pongono a fondamento dell’ordinamento giuridico.
- o al buon costume: non è semplice tracciare una linea di demarcazione tra i due concetti di ordine pubblico
e buon costume. Buon costume è tutto ciò che attiene alla morale. Il contratto contrario
al buon costume dunque è quello giudicato scandaloso e immorale in una data società.
- quando il contratto è in frode alla legge, cioè quando costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una
norma imperativa.

I motivi
La teoria della causa concreta come funzione economico-sociale impatta fortemente anche sul tema dei “motivi”
perché il confine tra causa e motivi diventa molto sottile da tracciare.
Se adottiamo la teoria della causa concreta è più difficile individuare il confine tra causa concreta e motivi perché:
- se il motivo è diverso tra i contraenti, cioè ogni contraente agisce per un motivo, allora la distinzione tra
causa e motivi può essere più agevole
- ma se il motivo è comune ai contraenti, allora la distinzione tra motivi e causa concreta è molto complessa.
Nozione: Il motivo indica la ragione individuale dell’atto: è il movente psicologico (della volontà) che ha spinto lo
stipulante a stipulare il contratto. Quindi, i motivi hanno a che fare con la sfera psicologica interna del singolo
contraente, ed esprimono le aspettative, le previsioni, lo scopo personale che lo hanno spinto a contrarre.
Es. un soggetto che acquista un immobile può farlo per diversi motivi: per abitarlo, per installarvi uno studio
personale, per rivenderlo: ci sono infiniti motivi per cui un soggetto può scegliere di comprare un
immobile.
Rilevanza giuridica? Spesso si sente dire “i motivi sono irrilevanti”. In realtà, dice Calvo, bisogna distinguere
due situazioni:
- il motivo NON ha rilevanza giuridica SE resta segregato nella sfera individuale del
contraente, partecipando come mero propositum in
mente retentum, cioè è una mera intenzione del
contraente riposta nella sua mente e NON oggettivata
all’esterno.

104
Perché in questo caso NON hanno rilevanza?
Perché chiaramente non è pensabile immaginare un
giudice come una sorta di psicologo che vada ad indagare
sulla psiche di ciascun contraente per scoprire quali sono i
motivi che lo hanno indotto a stipulare il contratto.
Il contratto NON è concordanza di meri motivi, bensì
coincidenza di dichiarazioni che esprimono il voluto,
a nulla rilevando che le riserve mentali o altri profili
intimistici.
- il motivo ha rilevanza giuridica
SE è stato oggettivato nel regolamento
contrattuale, quand’anche implicitamente.
In questo caso si parla di motivi esternati.
Quindi, se il motivo rappresenta aspettative e previsioni
apprezzate nella loro oggettività in quanto dedotte
- espressamente oppure anche implicitamente -
nell’autoregolamento di privati interessi, allora esso
assume rilevanza giuridica perché concorre a definire
la causa concreta della fattispecie.
In questo caso, il movente si disancora dalla irrilevante sfera
psicologica del dichiarante finendo per compenetrare il
regolamento privato di interessi.
Es. un esempio lo si può ricavare dall’art. 129 comma 2 lett. d Codice del
consumo, concernente il difetto di conformità del bene di consumo:
il consumatore Tizio sta trattando col professionista Caio e gli
manifesta la propria intenzione di acquistare un oggetto idoneo a
impieghi specifici che fuoriescono dalla normalità. Il professionista
Caio, attraverso una condotta affidante, crea nel suo interlocutore Tizio
la ragionevole aspettativa che il bene prescelto sia funzionale al
predetto scopo.
Una delle ipotesi in cui possiamo dire che il motivo è rilevante è quello dell’art. 1345 cc:
“Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per
un motivo illecito comune ad entrambe”.
L’art. 1345 parla del cd. motivo comune illecito, che è certamente rilevante per
l’ordinamento perché comporta l’illiceità del contratto.
Il motivo comune illecito ex art. 1345 cc si configura quando i motivi:
1) sono illeciti, cioè contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume
2) sono comuni ad entrambe le parti nel senso che siano stati oggettivati nel
regolamento contrattuale (quindi NON siano
rimasti nella sfera personale di un solo contraente)
3) sono determinanti: cioè le parti si sono determinate a concludere il contratto SOLO
per il motivo illecito comune ad entrambe.
Se sussistono questi 3 presupposti, allora il motivo comune alle parti è illecito, e comporta
che il contratto è NULLO in quanto illecito.

I contratti collegati (il collegamento contrattuale)


Calvo afferma che una prima ipotesi di applicazione del concetto di causa concreta si rinviene nel fenomeno dei
contratti collegati, originati dal fenomeno del collegamento contrattuale.
NO codice: È un fenomeno che non ha una sua specifica disciplina normativa e che è approfondito e studiato solo di
recente.
Nozione: Il collegamento contrattuale è un fenomeno che ricorre quando le parti stipulano due o più contratti che,
pur essendo formalmente distinti e conservando la loro autonomia, sono collegati tra loro da
un nesso di interdipendenza perché diretti a raggiungere un risultato economico unico ed unitario,
quindi i contratti sono parti di un rapporto contrattuale unitario, di un’operazione unitaria.
Es. per la costruzione di un complesso edilizio si può fare ricorso ad un unico generale contratto di appalto
oppure possono stipularsi distinti contratti collegati relativi a singole parti dell’opera da realizzare.
Ratio: È in virtù del principio di autonomia contrattuale che le parti sono arbitre di realizzare un determinato risultato
attraverso un unico contratto oppure mediante più contratti collegati.

105
Requisiti: Quanto ai requisiti perché sussista il collegamento, la giurisprudenza ha ritenuto che debbano sussistere
entrambi i requisiti:
1) il requisito oggettivo consiste nel nesso teleologico tra i contatti: occorre cioè che i contratti collegati
siano diretti a raggiungere un
risultato economico unitario
2) il requisito soggettivo consiste nella volontà delle parti di stabilire il collegamento.
Autonomia e causa concreta: La dottrina maggioritaria e Calvo sottolineano un aspetto fondamentale del
collegamento negoziale:
- i contratti collegati restano singolarmente distinti e autonomi: ogni contratto che
compone il collegamento
conserva la sua specificità.
Quindi tecnicamente,
l'operazione può scindersi
in più fasi, tante quante
sono i contratti collegati
- causa concreta unitaria: TUTTAVIA, in caso di collegamento negoziale, la causa concreta
è unitaria perché non si può prescindere dal fatto che i contratti
siano collegati, e dunque la causa deve essere deve essere
individuata considerando l’interdipendenza che li unisce.
Quindi, la causa concreta in caso di collegamento negoziale:
- NON va misurata sui singoli contratti
- ma va misurata alla luce del nesso di interdipendenza tra i contratti,
quindi tenendo conto dell’esistenza
di tutto il collegamento.
Soltanto la valutazione complessiva alla luce della loro finalità unitaria
permetterà di appurare se l'interesse perseguito dagli stipulanti meriti
protezione.
Ad es. potrebbe accadere che le singole cause dei singoli contratti
siano lecite, ma la causa concreta complessiva sia illecita.
Rischio di frode alla legge: Il collegamento negoziale deve essere valutato con particolare attenzione dall'autorità
giudiziaria in quanto può essere uno strumento per eludere l'applicazione di norme
imperative. Infatti, è possibile che le part utilizzino più contratti collegati per raggiungere
un certo risultato vietato dalla legge, con lo scopo di aggirare le norme che impongono quel
particolare divieto.
Vendita e opzione: Il fenomeno del collegamento negoziale si può avere anche quando tra le parti siano stati stipulati
più contratti aventi a oggetto beni distinti ma in vista dell’unità dell’operazione economica.
Es. Tizio vende a Caio un dipinto di Afro al prezzo di 50.000 € da pagarsi mediante 12 rate mensili.
Immaginiamo che nello stesso contratto Tizio conceda gratuitamente a Caio l'opzione per
l'acquisto di un altro dipinto di Mario Merz al prezzo di 60.000 € da esercitarsi il mese successivo
alla scadenza dell'ultima delle suddette rate. Orbene, qualora la vendita venisse risolta per
inadempimento del compratore, Calvo dice: l'effetto estintivo si riverberi necessariamente
sull’opzione, tenuto conto che da un lato l'affidamento sulla lealtà dell'avente causa è venuto
irrimediabilmente meno, e che dall'altro che il vincolo preparatorio presupponeva tacitamente
che Caio avesse dato buona prova di sé onorando gli impegni presi con l'intesa ha effetti reali.
Tipi di collegamento: La dottrina e la giurisprudenza distinguono vari tipi di collegamento:
- collegamento necessario - volontario (o eventuale)
- collegamento unilaterale - bilaterale
- collegamento implicito - esplicito.

Collegamento necessario: Il collegamento è necessario quando è obbligatoriamente imposto dalla legge, nel senso che
uno dei due contratti non può esistere senza l’altro.
Le ipotesi di collegamento necessario sono:
- la fideiussione rispetto al debito principale garantito
- il subcontratto rispetto al contratto (es. la sublocazione rispetto alla locazione)
- la procura rispetto al mandato.
Disciplina: Il collegamento necessario è un collegamento SEMPRE un collegamento unilaterale, detto
anche gerarchico, perché le sorti del contratto a monte influenzano la sorte del contratto
subordinato, ma non viceversa.

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Ciò significa che:
- l'invalidità del contratto a monte si riverbera sul contratto subordinato.
Es. se è invalida la locazione, verrà meno la
sublocazione.
- l'invalidità del contratto subordinato NON si riverbera sul contratto a monte.
Es. può capitare che sia valido il
contratto di locazione ma sia
invalida la sublocazione.

Collegamento volontario (o eventuale): Il collegamento è volontario (o eventuale) quando:


- NON è imposto dalla legge
- è frutto dell’accordo volontario tra le parti, quindi è frutto di una
valutazione di convenienza che fanno le parti
rispetto all’interesse che intendono perseguire:
sono le parti che collegano più contratti perché
lo ritengono conveniente per realizzare l’affare.
Si tratta di contratti che potrebbero sussistere l’uno uno indipendentemente
dall'altro, ma le parti volontariamente li collegano per raggiungere un determinato
risultato economico.
Es. Tizio che, dopo aver acquistato una fotocopiatrice, stipula nello stesso tempo
con la stessa parte un contratto di manutenzione.
Quindi sono due contratti che potrebbero sussistere l'uno indipendentemente
dall'altro, perché potrei stipulare soltanto la vendita oppure la vendita con una
azienda e la manutenzione con un’altra vendita, e invece io decido di collegare
questi due contratti.
Disciplina: Quando si parla di collegamento volontario, il problema è: che tipo di disciplina si applica?
È un collegamento unilaterale (cioè le vicende di un contratto si riverberano sull’altro ma
non viceversa) oppure bilaterale (cioè le vicende di un contratto si riverberano sull’altro e
anche viceversa)?
Calvo dice: NON è possibile dare una risposta in termini assoluti, perché in realtà occorre
vedere caso per caso che tipo di collegamento le parti abbiano voluto realizzare.

Collegamento esplicito: Normalmente il collegamento è implicito, cioè si desume dalla logica dell'affare o dalla
volontà delle parti. Finora abbiamo presupposto un collegamento implicito.
Tuttavia, nulla esclude che le parti possano rendere esplicito il collegamento, apponendo una
clausola contrattuale ad hoc in cui si dà reciprocamente atto tra le parti dell'interdipendenza
dei due contratti.

Il contratto indiretto
Un altro tema che si collega al tema della causa è il contratto indiretto.
NO codice: La contratto di negozio indiretto è stata elaborata dalla dottrina e poi accolta in giurisprudenza, perché
non è espressamente riconosciuta dal codice.
Nozione: Il fenomeno del contratto indiretto ricorre quando un contratto tipico viene utilizzato per raggiungere uno
scopo ULTERIORE rispetto a quello tipico di quel contratto. Quindi il contratto indiretto è quel contratto
tipico utilizzato come strumento per conseguire un fine ulteriore: le parti utilizzano uno schema contrattuale
tipico che ha una sua causa tipica, ma lo piegano al loro interesse per raggiungere una causa concreta
ulteriore da quella tipica.
Quindi, il contratto indiretto si caratterizza per l’eccedenza dello scopo perseguito rispetto al mezzo
utilizzato: si utilizza il contratto per uno scopo “maggiore”
rispetto a quello tipico del contratto utilizzato.
Es. donazione indiretta
Es. la vendita sotto prezzo: stipulo il contratto di compravendita con cui vengo il mio immobile a 1 euro.
Qui io ho stipulato il contratto di compravendita che ha una funzione tipica di
scambio, ma nel caso concreto io ho realizzato una finalità di arricchimento
dell’altra parte, quindi ho piegato la funzione tipica della compravendita (cioè la
funzione di scambio) per realizzare una causa concreta diversa: uso lo schema
della vendita ma in realtà voglio un fine diverso da quello tipizzato dello scambio,
perché in realtà voglio realizzare un arricchimento.

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ATTENZIONE: Secondo alcuni, la vendita sotto prezzo in realtà sarebbe un contratto
misto e non un contratto indiretto, ma Minervini dice: queste
distinzioni sono ricostruzioni dottrinali che vanno prese per quello
che sono. Sapere quali sono i confini è difficile, quindi l’importante è
capire il succo.
Disciplina: Al contratto indiretto si applica la disciplina del contratto tipico utilizzato.
Distinzione tra negozio indiretto e simulazione: Prima facie potrebbe sembrare che il negozio indiretto rientri nel
fenomeno della simulazione. Ma in realtà vi è differenza:
- negozio simulato: qui le parti non vogliono gli effetti del contratto stipulato
- negozio indiretto: qui le parti vogliono realmente gli effetti del contratto tipico
utilizzato, seppur strumentale a perseguire un fine ulteriore.
Donazione indiretta
Nell’ambito dei contratti indiretti vi rientra la donazione indiretta.
Nozione: La donazione è un contratto indiretto in quanto l’arricchimento del patrimonio altrui avviene
NON in maniera diretta, ma in maniera velata. Quindi i contraenti, per il compimento di un atto di liberalità,
cosa fanno?
- NON utilizzano lo schema della donazione diretta (per atto pubblico notarile dinanzi a testimoni)
- ma piegano un contratto tipico per raggiungere la finalità di una donazione, cioè utilizzano un contratto
tipico (magari a titolo oneroso) per raggiungere
comunque lo scopo della donazione, e cioè
l’arricchimento del destinatario.
Atto a forma libera: Quale sarebbe il vantaggio per le parti di utilizzare una donazione indiretta rispetto alla donazione
diretta? Il vantaggio sta nell’assenza dell’onere formale, infatti:
- la donazione diretta è un contratto formale perché deve avvenire per atto pubblico
notarile dinanzi a testimoni
- invece la donazione indiretta è un atto a forma libera: si utilizza un contratto tipico
qualsiasi a forma libera
Calvo: Esempio: Per comprendere bene cosa debba intendersi per donazione indiretta e come essa si differenzia dalla
donazione diretta, è utile fare riferimento a casi pratici.
Immaginiamo che Tizio intende donare alla figlia Caia un immobile di proprietà di Mevio,
preoccupandosi però di nascondere all’altro suo figlio Sempronio di voler effettuare questa
donazione soltanto a Caia, e non anche a lui:
- se stipulassero una donazione diretta: allora Tizio e Caia dovrebbe stipulare un contratto di
donazione che deve avvenire per atto pubblico dinanzi ad un
notaio e ad almeno 2 testimoni. Comprendiamo facilmente
che una tale stipula renderebbe tutto pubblico, facendo
venire meno lo scopo di Tizio di arricchire sua figlia Caia
all’oscuro dell’altro suo figlio Sempronio.
- e allora cosa possono fare? Tizio, per assicurarsi che tutto avvenga all’oscuro di suo figlio
Sempronio, dà il denaro necessario a Caia ed è Caia a stipulare la
compravendita con Mevio, quindi all’esterno appare che:
- il contratto di compravendita viene stipulato tra Mevio e Caia
- Caia risulta acquirente di Mevio e NON donataria di Tizio
- ma in realtà noi sappiamo che Caia ha comprato quell’immobile
pagandolo con i soldi che ha ricevuto da suo padre
donante Tizio allo specifico scopo di acquistarlo.
Comunque, oggetto di tale donazione indiretta:
- è l'immobile
- e NON il denaro
posto che Caia all'esito di tutta l’operazione economica si arricchisce
dell’immobile e NON della somma pagata da suo padre donante Tizio.
Il contratto misto
Nozione: Si parla di contratto misto quando le parti stipulano un UNICO contratto ma nel quale convergono profili
causali appartenenti a più contratti tipici diversi: c’è la compresenza di profili causali appartenenti a tipi
contrattuali diversi.
Es. Vendita con permuta: Un tradizionale esempio di contratto misto è la vendita con permuta.
Es. Tizio va dal concessionario e acquista un’auto nuova ma non paga 100, ma la paga 80
perché dà in permuta la sua vecchia auto che viene valutata 20.

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Es. Vendita mista a donazione: Un altro tradizionale esempio di contratto misto è la vendita mista a donazione, che si
chiama donazione mista.
Nozione: La vendita mista a donazione è un’alienazione in cui l’alienante cede il bene per
un corrispettivo inferiore al suo valore di mercato con l’intento di realizzare una
parziale attribuzione gratuita o l’alienatario corrisponde un prezzo superiore al
valore del bene per arricchire l’alienante della differenza.
Ricordiamo che alcuni ritengono che la vendita mista a donazioni rientri invece nella
categoria dei contratti indiretti, parlando di donazione indiretta. Però, come dicemmo,
Minervini dice che sono ricostruzioni dottrinali che hanno poco senso.
Esempio: Tizio ha un fondo che vale 1000 e lo vende all’associazione benefica a 10, perché
magari quell’associazione lo ha aiutato per le cure del figlio malato quando era
giovane.
Perché è un contratto misto? Perché riunisce due cause appartenenti a due tipi
contrattuali diversi, sovrapponendosi:
- la vendita (perché a fronte di un bene che vale 10.000 io
comunque 10 li prendo)
- l’atto di liberalità (quindi arricchire senza corrispettivo).
Es. il contratto di parcheggio: Qui vi sono elementi tipici sia della locazione che del deposito

Disciplina: In caso di contratto misto, quale disciplina si applica?


Il codice NON dice nulla, quindi è difficile per l’interprete individuare la disciplina da applicare al contratto
misto concretamente stipulato, perché qui abbiamo la abbiamo la compresenza di due o più schemi tipici
diversi, che ovviamente hanno causa diversa e disciplina diversa.
In dottrina sono state proposte due diverse teorie:
a) la teoria dell'assorbimento: al contratto misto si deve applicare la disciplina propria del tipo
contrattuale economicamente più rilevante.
Es. in caso di contratto misto di vendita + permuta, si applica la
disciplina della vendita e non quella della permuta, perché
chiaramente la vendita ha una rilevanza economica maggiore
rispetto alla permuta.
b) la teoria della combinazione: invece, altra parte della dottrina ritiene che al contratto misto si
debba applicare una disciplina che risulti dalla combinazione delle
discipline dei contratti che compongono il contratto misto, anche
perché non sempre è possibile stabilire quale sia il contratto
economicamente prevalente.
Il contratto fiduciario
NO codice: Il contratto fiduciario è una figura di contratto è elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che
NON ha riscontri nel codice.
L'unica norma del codice in cui è contemplata la fiducia è l'art. 627 cc, che disciplina la fiducia
testamentaria (cioè il negozio fiduciario nel campo dei rapporti a causa di morte).
Nozione: Il contratto fiduciario è un contratto atipico in cui la causa del trasferimento di proprietà è diversa da quella
tipicamente prevista dalla legge. La causa di tale contratto infatti risiede in un patto di fiducia (cd. pactum
fiduciae).
La fattispecie del contratto fiduciario prevede il seguente schema
1) un soggetto cd. fiduciante stipula un contratto con un soggetto cd. fiduciario con cui gli trasferisce la
proprietà: - di un bene
- o un diritto personale/reale
2) + e, mediante un pactum fiduciae (= patto fiduciario), il fiduciario si obbliga a:
- amministrare il bene trasferitogli
- o esercitare il diritto personale/reale trasferitogli
secondo le modalità e i tempi stabiliti dal fiduciante, con la
promessa poi:
- o di restituirlo al fiduciante
- o di traferirlo ad un terzo.
In questo modo si persegue una finalità pratica eccedente (ulteriore) rispetto a
quella tipica del contratto tipico utilizzato (l’alienazione).

109
Quindi, ciò che caratterizza il contratto fiduciario è l’eccedenza del mezzo sullo scopo: la volontà delle parti
è quella di utilizzare un contratto traslativo di proprietà che produce determinati effetti non tutti utili al
perseguimento dello scopo ma appunto in eccedenza rispetto allo stesso.
Esempio: Tizio, dovendosi assentare per lungo tempo, vorrebbe che qualcuno amministrasse un suo bene immobile a
cui tiene particolarmente, e allora trasferisce al suo amico Caio la proprietà di quel bene immobile.
Ratio: A cosa serve un contratto fiduciario? Essenzialmente serve ad ottenere gli stessi risultati che si avrebbero con
un altro contratto, ma in modo più spedito e veloce.
Ad es. nell’esempio appena fatto, dato che lo scopo del fiduciante era semplicemente che qualcuno gli
amministrasse il suo bene, era sufficiente un mero mandato (con cui Tizio dà incarico a Caio di
amministrare il suo bene), invece il fiduciante ha addirittura trasferito la proprietà del suo bene al
fiduciario, quindi con un contratto di compravendita che chiaramente dà al fiduciario poteri più estesi
(perché diventa proprietario) rispetto a quelli di un semplice mandatario.
Si capisce allora perché l'istituto si chiama "contratto fiduciario": perché i poteri del fiduciario risultano molto
ampi, e quindi il fiduciante si espone al rischio di abuso di potere da parte del fiduciario (es. che il fiduciario
rivenda il bene o lo distrugga).
Requisiti del negozio fiduciario: I caratteri del negozio fiduciario sono questi:
1) il trasferimento di proprietà fiduciaria, cioè il fiduciante stipula col fiduciario un
contratto tipico di alienazione con cui
trasferisce la proprietà:
- di un proprio bene
- di un proprio diritto personale/reale.
Tale contratto traslativo di proprietà, all’esterno
appare posto in essere per la sua finalità tipica,
cioè trasferire la proprietà ad un soggetto
2) l'eccedenza del mezzo usato
rispetto allo scopo dei contraenti: il contratto fiduciario è caratterizzato
dall’eccedenza del mezzo rispetto allo scopo,
nel senso che col contratto fiduciario le parti
stipulano un contratto traslativo di proprietà
che attribuisce al fiduciario una proprietà
fiduciaria, ma è un potere in eccedenza
rispetto a quelli che sarebbero stati sufficienti
per perseguire lo scopo cui tende il fiduciante.
3) il patto fiduciario tra i contraenti (fiduciante e fiduciario)
4) la possibilità di abuso del potere da parte del fiduciario.
Differenza: Alcuni riconducono il contratto fiduciario alla figura del contratto indiretto, ma in realtà non stanno
tenendo conto di una differenza sostanziale che ne allontana le discipline:
- contratto indiretto: si caratterizza per l’eccedenza dello SCOPO perseguito rispetto al mezzo
utilizzato. Quindi si utilizza il contratto per uno scopo “maggiore” rispetto a
quello tipico del contratto utilizzato.
- contratto fiduciario: qui si ha proprio l’esatto opposto perché il contratto fiduciario si caratterizza
per l’eccedenza del MEZZO utilizzato rispetto allo scopo perseguito dalle parti.
Qui le parti utilizzano un contratto traslativo di proprietà ma NON vogliono
tutti gli effetti di esso, quindi lo utilizzano in eccedenza rispetto allo scopo che
in realtà intendono perseguire. Quindi si utilizza il contratto di compravendita
traslativo della proprietà per uno scopo “minore” rispetto a quello tipico
del contratto utilizzato.
Tipi di fiducia
Il contratto fiduciario si basa sul patto fiduciario tra fiduciante e fiduciario, quindi sul rapporto di fiducia tra i due
contraenti. Nell’esperienza pratica si riscontrano due tipi di rapporto fiduciario:
- fiducia cum amico: è il contratto fiduciario in forza del quale il fiduciante Tizio trasferisce un suo bene o
diritto personale/reale al fiduciario Caio, il quale si impegna a mantenerlo e gestirlo per
un dato tempo secondo le istruzioni impartitegli dal fiduciante, col patto che poi dovrà:
a) o restituire il bene/diritto al fiduciante stesso
b) o alienare il bene/diritto ad un terzo: es. questo può accadere quando il fiduciante
dica al fiduciario “occupati tu del bene e
poi occupati tu di venderlo a terzi, e poi mi
consegni il ricavato della vendita”.

110
Es. Tizio è pieno di debiti e ha soltanto un unico bene immobile di valore. Per evitare
la possibile aggressione al suo unico bene immobile da parte dei creditori,
stipula un contratto di compravendita con l’amico Caio, trasferendogli la proprietà
di quel bene immobile dandogli l’incarico di:
- o vendere l’immobile a terzi e consegnargli il ricavato della vendita
- o di amministrarlo nel frattempo che lo stesso Tizio provvederà ad
estinguere i debiti o comunque che i creditori,
ritenendolo nullatenente, non lo aggrediranno, e
allora poi Caio gli ritrasferirà l’immobile.
- fiducia cum creditore: nella fiducia cum creditore invece, il contratto fiduciario intercorre tra debitore e
creditore. In questo caso si favorisce l’interesse del fiduciario perché qui il debitore
(fiduciante) trasferisce la proprietà di un suo bene al suo creditore (fiduciario) a
garanzia del suo diritto di credito, per il tempo necessario a garantirgli il pagamento
del debito. Una volta estinto il debito, il creditore fiduciario restituisce il bene al
fiduciante.
Natura giuridica: Calvo e la tesi del collegamento negoziale
Secondo Calvo, il contratto fiduciario realizzerebbe una sorta di collegamento negoziale tra due contratti collegati,
perché dal contratto fiduciario discendono effetti di natura reale ed effetti di natura obbligatoria.
Dice Calvo: Il contratto fiduciario consiste in un collegamento tra due contratti:
- un primo contratto che trasferisce la proprietà dal fiduciante al fiduciario: si tratta di un contratto:
- ad effetti reali: perché è un contratto traslativo della proprietà che comporta il
trasferimento della proprietà bene o del diritto personale/reale
al fiduciario da parte del fiduciante.
- e avente rilevanza esterna per i terzi: questo contratto ha rilevanza esterna verso
i terzi (erga omnes).
Per il mondo giuridico e dunque per i terzi,
il fiduciario è realmente colui che assume la
proprietà del bene/diritti (anche se sappiamo
che in realtà nei rapporti c’è un rapporto di
fiducia tra i contraenti).
- un secondo contratto che consiste nel cd. pactum fiduciae che consiste nel patto fiduciario tra fiduciante
e fiduciario:
- ad effetti obbligatori: gli effetti obbligatori sono le obbligazioni assunte dal
fiduciario seguendo le istruzioni impartite dal fiduciante:
- di amministrare e conservare quanto ricevuto
- restituire il bene o alienarlo a terzi
- e avente rilevanza meramente interna: il patto fiduciario è un accordo rilevante
soltanto nei rapporti interni, cioè soltanto
tra fiduciante e fiduciario.
Il patto di fiducia ha natura meramente obbligatoria e piega gli effetti del contratto di
alienazione nell’esclusivo interesse del fiduciante.
ATTENZIONE: Il patto fiduciario (pactum fiduciae), dato che ha mera rilevanza
interna, NON può MAI può essere opposto ai terzi.
Inadempimento del fiduciario: il rischio di abuso del fiduciario
Ciò che caratterizza il contratto fiduciario è l’eccedenza dello scopo rispetto al mezzo utilizzato, quindi il fiduciario si
ritrova titolare di una posizione giuridica più ampia rispetto ai limiti obbligatori che lo vincolano alla realizzazione di un
determinato scopo.
Ciò è molto rischioso perché si potrebbero avere ipotesi di abuso da parte dl fiduciario: il fiduciario, una volta divenuto
proprietario del bene o del diritto trasferitogli dal fiduciante, potrebbe disporne in violazione del pactum fiduciae,
quindi violando gli obblighi assunti e le istruzioni impartitegli. Es. il fiduciario potrebbe distruggere il bene; potrebbe
alienarlo a terzi nonostante l’obbligo fosse quello di restituirlo, e non di alienarlo a terzi.
Ipotesi: Cosa accade in ipotesi di inadempimento del fiduciario, e dunque di abuso?
Le conseguenze dell'inadempimento del fiduciario vanno distinte a seconda del tipo di abuso perpetrato dal
fiduciario :
a) se il fiduciario ha venduto il bene ad un terzo  se l’obbligo era di restituire il bene al fiduciante e invece
il fiduciario ha alienato il bene ad un terzo, allora il
fiduciario ha solo la possibilità chiedere il risarcimento
del danno.

111
Perché? Perché se il bene è stato alienate ad un terzo:
- l’acquisto del terzo è valido
- il terzo acquirente diventa proprietario del bene
- il fiduciante NON può opporre al terzo
l’esistenza del patto fiduciario
tra lui e il fiduciario.
b) se il fiduciario non vuole restituire il bene  se l’obbligo era di restituire il bene al fiduciante ma il
fiduciario si rifiuta di restituirlo, allora, secondo la dottrina
prevalente, il fiduciante può agire in giudizio per chiedere
l'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre ex art. 2932 cc.
Forma del negozio fiduciario
Dottrina e giurisprudenza hanno affrontato la questione sulla forma del contratto fiduciario:
- regola: vige il principio della libertà della forma
- eccezione: se il contratto fiduciario ha ad oggetto beni immobili, allora deve essere redatto in forma scritta
ad substantiam.

Il contratto in frode alla legge – Il contratto in frode ai terzi


Abbiamo visto finora i fenomeni dei contratti collegati, del contratto indiretto e del contratto fiduciario: tutti questi
fenomeni potrebbero essere utilizzati per frodare la legge. Infatti, nella prassi talvolta accade che le parti ricorrano a
contratti collegati, indiretti o fiduciari che, pur apparentemente rispettosi della legge, in realtà siano stati conclusi per
eludere l’applicazione di una norma imperativa: in questo caso si realizza l’ipotesi del contratto in frode alla legge.
Nozione: Il contratto in frode alla legge è quel contratto che, apparentemente lecito e rispettoso della lettera della
legge, in realtà costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.
La frode alla legge può attuarsi: - o attraverso un solo contratto
- o attraverso più contratti collegati.
ATTENZIONE: Il contratto in frode alla legge è classificabile come contratto:
- NON come contratto contra legem: il contratto in frode alla legge NON è un contratto contrario alla
legge perché anzi il contratto in frode alla legge è pienamente
lecito e rispettoso delle norme.
- in fraudem legis: il contratto in frode alla legge, pur essendo pienamente rispetto delle norme
legali, è un mezzo per eludere (aggirare) l’applicazione di una norma imperativa,
Quindi il contratto in frode alla legge viola una norma imperativa:
- ma NON in modo diretto: ecco perché è SBAGLIATO dire che il contratto in
frode alla legge è un contratto contra legem
- ma in modo indiretto, velato: pur ponendo un contratto di per sé lecito e
rispettoso della legge, esso costituisce un mezzo
finalizzato ad aggirare l’applicazione di una norma
imperativa.
Conseguenza  Nullità: L’art. 1344 cc è la norma che si occupa del contratto in frode alla legge, affermando che se il
contratto è stato concluso per eludere l‘applicazione di una norma imperativa, allora:
il contratto è NULLO per illiceità della causa.
Il contratto in frode ai terzi: Dobbiamo prestare attenzione perché prima facie si potrebbe fare confusione tra due
concetti che sono DIVERSI:
- il contratto in frode alla legge: - è il contratto stipulato per eludere l’applicazione di una
norma imperativa
- è sempre NULLO per illiceità della causa
- il contratto in frode ai terzi: - è il contratto stipulato in danno di terzi
- è valido.
Nel nostro ordinamento NON è vietato il contratto in frode ai terzi, infatti esso:
- è VALIDO (quindi NON è illecito, NON è nullo)
- ma comunque l’ordinamento tutela i terzi lesi, garantendogli dei rimedi specifici.
Ad es. se le parti utilizzano il contratto di donazione indiretta (es. vendo un mio bene costoso al
prezzo di 1 euro) per frodare i legittimari oppure il fisco:
- per frodare i legittimari: la donazione indiretta conclusa per frodare i legittimari è valida,
ma i legittimari possono proporre azione di riduzione delle donazioni
- per frodare il fisco: la donazione indiretta conclusa per frodare il fisco per evitare di pagare
l’imposta sulle donazioni è valida, ma si applicano le sanzioni di diritto
tributario in tema di evasione del fisco.

112
CAP.10

GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL CONTRATTO


Nell’ambito degli elementi del contratto, secondo una tripartizione di tradizione germanica (diritto tedesco) che parte
della dottrina italiana riprende, gli elementi del contratto sarebbero classificabili in tre macro-aree:
1) essenziali - costitutivi: sono richiesti per la validità del contratto. Se mancano, il contratto NON è valido
2) accidentali: sono quelle clausole che le parti, se vogliono, possono apporre nel contratto che incidono sulla
disciplina del contratto, e quindi limitano il contenuto normale del contratto stesso.
In mancanza, il contratto è normalmente valido.
Le parti, nella loro autonomia, possono, se vogliono, inserire elementi accidentali:
- la condizione: è l’unico degli elementi accidentali disciplinato dal codice nella parte del
contratto in generale
- il termine contrattuale
- onere (o modo): questo è disciplinato SOLO nella parte relativa alla donazione.
3) naturali: sono quegli elementi previsti da una norma giuridica come effetti giuridici naturali che
scaturiscono dal contratto. Poiché dalla natura del contratto deriva un certo effetto, qualora le
parti nulla abbiano detto in proposito, quelli vi saranno effetti che naturalmente scaturiscono.
Es. se Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita e tacciono sul problema della disciplina
in caso di presenza di un vizio della cosa venduta, le norme che prevedono la garanzia del
venditore in presenza di vizi o della evizione si applicano al rapporto contrattuale perché dalla
natura del contratto discendono effetti naturali a seconda del tipo di contratto stipulato,
a meno che le parti non stabiliscano diversamente.
ATTENZIONE: Questa tripartizione NON è presente nel codice. È comunque opportuna tenerla a mente perché nel
manuale di Calvo qua e là la viene richiamata.

LA CONDIZIONE
Primo tra gli elementi accidentali del contratto è la condizione.
Fonte: Artt. 1353 – 1361 cc.
La condizione è l’UNICO elemento accidentale disciplinato dal codice nella parte “Sul contratto in generale”.
Elemento accidentale del contratto: La condizione è un elemento accidentale del contratto perché:
- NON è un elemento costitutivo del contratto
- ma le parti possono scegliere liberamente SE arricchire la fattispecie
contrattuale apponendo la clausola condizionale
Nozione: La definizione di condizione la si ricava dall’art. 1353, rubricato “Contratto condizionale”.
La condizione è un evento futuro e incerto dal cui verificarsi dipende l’efficacia o la risoluzione del contratto
di per sé già perfetto, in quanto già completo nei suoi elementi costitutivi.
Quindi il contratto di per sé è un contratto assolutamente perfetto e valido, ma l'efficacia di
questo contratto dipende dal verificarsi di un evento futuro ed incerto.
Incide sulla efficacia: La condizione è un elemento accidentale che:
- NON incide sulla validità del contratto
- incide sull’efficacia del contratto: la condizione incide unicamente sugli effetti contrattuali
Quindi, NON bisogna confondere questi due piani, considerato che nel nostro ordinamento è
possibile avere contratti validi ma inefficace, o viceversa (es. il contratto annullabile).
Ratio: gestione del rischio negoziale: Perché le parti potrebbero avere interesse ad apporre una condizione al
contratto?
La condizione è uno strumento per gestire i possibili rischi connessi a avvenimenti
futuri e incerti - che fuoriescono dalla sfera di controllo delle parti - che potrebbero
finire per alterare il sinallagma genetico connessi all’operazione contrattuale.
Es. di Calvo è: Tizio vende a Caio un certo appezzamento di terreno ma sono ancora in corso
le pratiche per ottenere il rilascio del permesso di costruire, in modo da far
diventare quel terreno da verde a edificabile.
Ora, è evidente che un terreno edificabile ha un valore maggiore rispetto ad un
terreno inedificabile (destinato al verde), e allora c'è un problema di rischio di
entrambe le parti della eventuale inedificabilità:
- il venditore oggi rischia di vendere un terreno che in futuro potrà essere edificabile
se verrà rilasciato il permesso a costruire, quindi oggi lo venderebbe ad
un prezzo più basso rispetto a quello a cui potrebbe venderlo se
diventerà edificabile

113
- l'acquirente oggi rischia di comprare un terreno nella speranza che sia edificabile,
ma domani potrebbe non essere rilasciato il permesso a costruire e
quindi il terreno non sarà edificabile.
Ecco allora che, per gestire questo rischio connesso alla possibilità della edificabilità
ma anche alla non edificabilità - dato che tutto dipende da un provvedimento di un
autorità amministrativa (il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune) -,
allora le parti possono usare lo strumento della condizione.
Evento dedotto in condizione: I requisiti dell'evento dedotto in condizione (cd. evento condizionante) sono:
1) incertezza e futuribilità: in condizione può essere dedotto:
- qualsiasi evento
- qualsiasi fatto volontario (condizione potestativa)
PURCHÈ l’evento sia futuro e incerto.
Quindi, caratteri fondamentali dell’evento condizionante sono:
1) futuribilità: l’evento condizionante deve essere un avvenimento futuro
2) incertezza nell’an e nel quando: l’evento condizionante deve essere futuro e
incerto sul SE e QUANDO si verificherà.
L'incertezza sussiste quando, in base ad un normale
giudizio conoscitivo, NON è possibile sapere con
certezza se un evento accadrà o non accadrà.
2) l'estraneità alla perfezione del contratto: l'evento dedotto in condizione NON deve riguardare:
- né uno degli elementi costitutivi del contratto
- né l’esecuzione del contratto
perché la condizione deve incidere sull’efficacia di un
contratto che è già di per sé perfetto.
3) la possibilità e liceità: l'evento dedotto in condizione, è vero che deve essere futuro e incerto,
ma deve essere possibile e lecito.
Differenza tra condizione e termine
Condizione e termine sono entrambi elementi accidentali del contratto. Ciò che li differenzia sta sulla diversa
configurazione dell’incertezza, perché:
- condizione  incertezza su AN e QUANDO. La condizione si riferisce ad un evento INCERTO nel suo
accadimento sia nel SE che nel QUANDO.
- termine  incertezza solo sul QUANDO. Il termine si riferisce ad un evento CERTO nel suo accadimento,
ma incerto nel quando si verificherà.
Quindi qui l’incertezza è solo sul quando, ma NON anche sull’an.
Casistica: In realtà, nella prassi questa bipartizione (condizione – termine) è meno nitida, cioè distinguere tra
condizione e termine non è un’operazione sempre così semplice. Perché? Perché sono molto diffuse nella
prassi le clausole cd. if and when, cioè "se e quando".
Es. immaginiamo che l'ingegnere Tizio concluda con la società X un contratto avente ad oggetto la stesura di
un progetto edilizio cui viene apposta la seguente clausola “gli onorari saranno pagati SE e QUANDO ci
sarà l'approvazione del progetto".
Ora, la domanda è: questa clausola dell’if and when rientra nell’ambito della condizione o del termine?
La giurisprudenza si è molto dibattuta. L'orientamento prevalente ritiene che si tratti di una condizione
sospensiva mista.

Tipi di condizioni
Nell’ambito della condizione, sia dal codice che dalla costruzione dottrinale, possiamo tracciare una serie di tipologie e
distinzioni:
- 1° distinzione: la distinzione fondamentale prevista esplicitamente dal codice è quella tra:
- condizione sospensiva: la condizione è sospensiva quando l’efficacia del contratto (pur perfetto)
dipende dal concreto verificarsi dell’evento condizionante (futuro e incerto).
Quindi, il contratto:
- è valido
- ma ab initio NON produce effetti: la sua efficacia è sospesa fino a quando
non si verificherà l’evento dedotto in
condizione.
Soltanto SE e QUANDO si verificherà
l’evento dedotto in condizione, allora
il contratto diventerà efficace.

114
- condizione risolutiva: all’opposto, la condizione è risolutiva quando il contratto:
- è valido
- e ab initio produce effetti: quindi il contratto è già efficace. Gli effetti
verranno meno SE e QUANDO si verificherà
l’evento dedotto in condizione.
Quindi dalla condizione risolutiva dipende l’inefficacia del contratto già valido
ed efficace.
Tesi: - dottrina: parte della dottrina ritiene che l’avveramento della condizione
risolutiva sia una eccezione in senso stretto, quindi:
- rilevabile SOLO dalla parte interessata
- NON rilevabile d’ufficio dal giudice
- Calvo: Calvo ritiene che questa tesi sia errata, infatti dice: se l'inefficacia del
rapporto emerge dagli atti processuali, non si vede perché il giudice
debba considerarlo fittiziamente produttivo di effetti, chiudendo gli
occhi di fronte a una situazione evidente che ne determina la
paralisi.
- 2° distinzione: un’altra distinzione è quella tra:
- condizione casuale: si ha quando il verificarsi o meno dell'evento condizionante dipenda da
circostanze estranee fuoriuscenti dalla sfera di controllo delle parti, quindi
quando l’evento condizionante è:
- un fatto naturale
- o un fatto derivante dalla volontà di un soggetto terzo, ad es. una
Pubblica Amministrazione o un corpo legislativo
sul cui verificarsi le parti non possono in alcun modo incidere.
Es. Tizio acquista il fondo di Caio a patto che il Comune rilasci il permesso di
costruire su quel fondo.
- condizione potestativa: si ha quando il verificarsi o meno dell’evento condizionante dipenda
dalla volontà di una delle parti contraenti.
Es. prendo in locazione una casa a Roma a condizione che io mi iscriva
all'università di Roma.
- condizione a natura mista: tra la condizione casuale e la condizione potestativa c'è un'area grigia
rappresentata dalla cd. condizione mista (o a natura mista).
In questo caso il verificarsi o meno dell’evento condizionante dipende:
1) sia da circostanze esterne estranee alla sfera di controllo delle parti
2) sia dalla volontà di una delle parti contraenti.
Es. prenderò in locazione la casa di Caio a Roma a condizione che supererò
i test per entrare a medicina e riuscirò a rientrare nella graduatoria per
iscrivermi all’università di Roma.
Qui abbiamo che il verificarsi dell'evento dipende:
- in parte dalla volontà del contraente perché il superamento dei test
dipende da quanto studio ho
fatto: più studio, più è
probabile che superi il test
- in parte dall’elemento casuale perché: se supero il test, entro in una
graduatoria e, se sarò tra le ultime
posizioni, potrei non avere la
possibilità di andare a Roma, perché
magari saranno rimasti posti liberi
soltanto ad altre università.
Condizione meramente potestativa: La condizione meramente potestativa ha una sorta di parentela con la
condizione potestativa, ma la giurisprudenza ha tracciato una linea di
confine sia per quanto concerne la definizione che per quanto concerne
la ammissibilità.
La giurisprudenza ritiene che il criterio distintivo sta nell’interesse della parte:
- condizione potestativa: - qui l’evento condizionante dipende dalla volontà di una delle
parti, e questa parte ha un apprezzabile interesse a
realizzare il fatto condizionante
- è consentita dall’ordinamento

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- condizione meramente
potestativa: - qui l’evento condizionante dipende dalla volontà di una delle
parte, ma NON c’è alcun interesse realizzare il fatto
condizionante, perché in realtà il verificarsi o meno
dell’evento condizionante dipende:
- da un capriccio
- o dal mero arbitrio
della parte. Es. acquisterò se vorrò; prenderò in
locazione questo immobile se vorrò.
Dire "vorrò se vorrò" sostanzialmente vuol dire
non assumere alcun impegno.
- NON è consentita dall’ordinamento: la condizione meramente
potestativa rende NULLO il
contratto in cui è apposta.
- 3° distinzione: Altra distinzione è tra:
- condizione positiva: quando ha per oggetto il verificarsi di un evento
- condizione negativa: quando ha per oggetto il non verificarsi di un evento.
- 4° distinzione: Ultima distinzione è quella tra:
- condizione volontaria: la condizione è volontaria quando è posta dalle parti, frutto dell’accordo tra
le parti di inserire la condizione nel loro contratto.
Quindi, in questo caso la condizione:
- è frutto di un libero accordo tra le parti (autonomia privata)
- è un elemento accidentale del contratto
- condizione legale: si parla di condizione legale (o conditio iuris) quando è la legge a subordinare la
produzione degli effetti del contratto ad un evento futuro e incerto.
Quindi, in questo caso la condizione:
- NON è un elemento accidentale del contratto
- NON è frutto di accordo tra le parti
- ma è un elemento essenziale costitutivo del contratto perché è stabilita
dalla legge come requisito di
efficacia del contratto.
Es. ci sono casi in cui i contratti della pubblica amministrazione sono condizionati
per legge all'approvazione dell'autorità di controllo.
Natura giuridica: La condizione legale (o conditio iuris), oltre al nomen
“condizione”, NON ha nulla in comune con la condizione di cui
stiamo parlando. Quindi alla condizione legale si applica con
molta difficoltà la disciplina della condizione del codice civile ed è
chiaro che non ha senso mettere sotto lo stesso istituto due
realtà diverse.
La condizione pretèrita
Abbiamo definito la condizione come quell’evento futuro e incerto, dicendo che incertezza e futuribilità sono due
requisiti determinanti. Ora, quello che fa dubitare dell'esattezza di questo insegnamento è la cd. condizione pretèrita.
Nozione: Si parla di condizione pretèrita quando le parti condizionano l’efficacia del contratto ad un evento incerto in
senso soggettivo, cioè ad un evento incerto:
- NON nel senso che non si sa se si verificherà o meno in futuro
- ma nel senso che le parti non sono a conoscenza del se in passato si è già verificato oppure no.
Es. Tizio vende a Caio un certo appezzamento di terreno a condizione che venga rilasciato un permesso a
costruire. In realtà le parti non sanno che il permesso a costruire è già rilasciato dalla pubblica
amministrazione due giorni prima.
Aveva più senso nel passato: Ovviamente oggi, con le tecniche di comunicazione a distanza, questa fattispecie è
assolutamente marginale. Invece, tempo fa, quando non esistevano gli attuali mezzi di
comunicazione, le parti potevano non sapere di alcuni eventi che si erano già verificati,
ad es. potevano non sapere se fosse partita una nave dal porto di New York.
Ammissibile o no? Calvo suggerisce una soluzione di buon senso, dicendo: la condizione pretèrita
- NON è una condizione in senso tecnico
- ma è una sorta di riserva di verifica inserita nel contratto, cioè le parti si riservano di
verificare in un secondo momento se l’evento
condizionante si è già verificato oppure no.

116
La condizione illecita e impossibile
Quando abbiamo parlato dell’evento dedotto in condizione, abbiamo detto che si tratta di un evento incerto e futuro,
ma abbiamo aggiunto: si deve trattare di un evento lecito e possibile.
Cosa accade laddove l’evento condizionante sia illecito oppure impossibile?
Illiceità: Dall’art. 1354 comma 1 ricaviamo che la condizione è illecita quando la condizione abbia ad oggetto un
evento illecito per contrarietà a norme imperative o all'ordine pubblico o al buon costume.
Conseguenza: Se la condizione è illecita, allora è NULLO il contratto in cui è apposta la condizione illecita,
A PRESCINDERE dal se la condizione sia risolutiva oppure sospensiva.
Impossibilità: L’evento dedotto in condizione deve essere possibile materialmente e giuridicamente.
L’evento dedotto in condizione è possibile giuridicamente e materialmente quando, secondo un giudizio
di ragionevolezza, non sussistono impedimenti - di fatto o di diritto - che rendano certa l’impossibilità di
avveramento della dell’evento secondo un giudizio di ragionevolezza.
Conseguenza: Se l’evento dedotto in condizione è giuridicamente/materialmente impossibile, cosa
accade?
Qui l’art. 1354 comma 2 è meno netto rispetto alla illiceità, perché distingue a seconda del
tipo di condizione posta nel contratto: a seconda del tipo di condizione, la conseguenza
dell’impossibilità sarà:
- se è impossibile una condizione sospensiva  il contratto è NULLO
- se è impossibile una condizione risolutiva  il contratto è VALIDO, ma la condizione
si considera come non apposta.
Tutto ciò si giustifica per il cd. favor
contractus.
Art. 1354 comma 3 cc
Il comma 3 dell’art. 1354 si occupa poi di un’ultima questione: la clausola condizionata illecita o impossibile.
La differenza è:
- i commi 1 - 2 dell’art. 1354 si occupano del contratto condizionato, cioè dell’ipotesi in cui l’intero contratto
sia sottoposto a condizione illecita o
impossibile
- il comma 3 dell’art. 1354 si occupa di dell’ipotesi in cui sia sottoposto a condizione illecita o impossibile:
- NON l’intero contratto
- ma una singola clausola del contratto.
Il comma 3 dice che se la condizione illecita o impossibile è apposta su una singola
clausola del contratto, allora entra in gioco l’art. 1419 (nullità parziale).
Il legislatore, unendo la disciplina della condizione e della nullità parziale, afferma
questa impostazione: se su una singola clausola del contratto è stata apposta una
condizione rivelatasi impossibile o illecita, allora deve applicarsi l’art. 1419,
perciò bisogna analizzare la volontà delle parti per capire se le parti, se avessero
saputo che quella clausola condizionata era impossibile o illecita (quindi nulla),
avrebbero stipulato comunque il contratto:
a) se si ritiene che le parti avrebbero
comunque stipulato il contratto  allora:
- il contratto resta VALIDO
- ma la clausola condizionata è
NULLA
b) se si ritiene che le parti NON avrebbero
stipulato il contratto senza quella clausola
perché per le parti quella singola clausola è
essenziale per il loro rapporto  allora l’intero contratto
è NULLO.
È possibile dedurre in condizione l’adempimento di una delle prestazioni
contrattuali?
Un problema teorico, che ha grosse implicazioni pratiche è: finora abbiamo costruito la condizione come un evento
futuro e incerto ma sempre come un qualcosa di esterno al contratto. Anche nel caso di condizione potestative, è vero
che l’evento dipende dalla volontà di una delle parti, ma l’evento in sé è qualcosa di esterno al contratto.
E allora ci si chiede: si può dedurre in condizione un elemento intrinseco al contratto quale è l’adempimento di una
delle prestazioni (obbligazioni delle parti)?
Es. Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita di un fondo: possono pattuire che l’obbligazione del
compratore di pagare il prezzo sia stata subordinata al rilascio del permesso di costruire?

117
E, se fosse possibile, ci si interrogherebbe: se non viene rilasciato il permesso di costruire, il compratore può
rifiutare l’adempimento (cioè può rifiutarsi di pagare il prezzo)
adducendo il mancato avveramento dell'evento condizionante la propria
prestazione (il rilascio del permesso di costruire)?
- VECCHIA tesi tradizionale: la vecchia tesi tradizionale riteneva che NON era possibile dedurre in condizione
l’adempimento di una prestazione. Perché?
Perché secondo la vecchia tesi tradizionale:
- potevano essere dedotti in condizione SOLO elementi esterni al contratto
- NON potevano essere dedotti in condizione elementi essenziali, i quali sono
intrinseco al contratto e sono “causa”
dell’efficacia del contratto.
L’adempimento di una prestazione contrattuale, essendo
certamente un elemento intrinseco al contratto,
NON poteva essere dedotto come evento condizionante.
Pertanto, la vecchia tesi concludeva nel senso della nullità del contratto che
contenesse una condizione avente ad oggetto l’adempimento di una delle
prestazioni contrattuali.
- Calvo e giurisprudenza dominante: oggi invece l'opinione dominante in giurisprudenza va nel senso opposto.
La giurisprudenza e Calvo affermano: bisogna superare questa
distinzione tra elementi accidentali ed essenziali del contratto, per cui si
può concludere che è consentito dedurre in condizione anche
l'adempimento della prestazione dovuta.

Il termine finale di avveramento dell'evento condizionante


Apporre una condizione al contratto può essere particolarmente penalizzante per le parti perché il periodo di
incertezza dell’evento condizionante potrebbe estendersi per un lasso di tempo molto lungo.
Es. se Tizio vende a Caio un appezzamento di terreno sotto condizione sospensiva del rilascio del permesso a
costruire, questa situazione di incertezza potrebbe durare per un tempo tendenzialmente illimitato e questo
creerebbe una situazione di incertezza che andrebbe a nuocere le esigenze del commercio.
Quindi, il rischio di inserire la condizione nel contratto è che la situazione di incertezza derivante dalla condizione si
trascini sine die.
Allora, nella prassi cosa fanno le parti? Le parti, consapevoli di ciò, quando inseriscono una condizione al contratto,
contestualmente inseriscono anche un dies ad quem, cioè un termine finale massimo entro cui l‘evento futuro e
incerto potrebbe realizzarsi, onde evitare che la situazione di incertezza si protragga troppo a lungo.
Conseguenza: Se le parti hanno apposto un termine finale di avveramento dell’evento condizionante, cosa accade
se tale termine scade inutilmente, cioè senza che si sia verificato l’evento condizionante?
Decorso inutilmente il dies ad quem fissato dalle parti senza che si sia verificato l’evento condizionante,
allora:
a) se la condizione era sospensiva, allora il contratto sarà definitivamente privo di effetti = si risolve.
Es. Tizio vende a Caio il suo fondo sotto condizione sospensiva del rilascio
del permesso a costruire, ma a patto che il permesso a costruire venga
rilasciato entro il 31 dicembre 2021. Se entro questo termine non viene
rilasciato il permesso a costruire, allora il contratto sarà
definitivamente privo di effetti.
b) se la condizione era risolutiva, allora il contratto sarà definitivamente efficace.

Durante la pendenza della condizione: aspettative, comportamenti e atti dispositivi


delle parti
Se il contratto contiene una condizione, è chiaro che le parti versino in una situazione di incertezza che può protrarsi
anche per un tempo molto esteso (a meno che le parti non abbiano inserito anche un termine come dies ad quem).
Perché? Perché, in pendenza della condizione:
- o il contratto non produce ancora effetti (condizione sospensiva)
- o il contratto produce effetti ma in modo precario (condizione risolutiva).
Il nostro codice, proprio considerando questo tempo di incertezza, dedica ben quattro articoli per disciplinare i
comportamenti e le tutele delle parti durante la pendenza della condizione: artt. 1356 - 1357 - 1358 - 1359.

118
Art. 1356: L’art. 1356, rubricato “Pendenza della condizione”, è strutturato in 2 commi che differenziano la
disciplina a seconda del tipo di condizione inserita nel contratto:
- comma 1: condizione sospensiva: il comma 1 disciplina il rapporto contrattuale durante la pendenza di una
condizione sospensiva (= il contratto NON produce effetti ab initio).
Durante la pendenza di una condizione sospensiva, l’acquirente di un
diritto può compiere atti conservativi.
Es. Tizio vende a Caio un appezzamento di terreno sotto condizione
sospensiva del rilascio del permesso a costruire: il contratto
NON produce effetti ab initio e li produrrà soltanto quando verrà
concretamente rilasciato il permesso a costruire dal Comune.
Ora, in questo esempio, il punto è: dato che il contratto di compravendita
non produce effetti ab initio, allora vuol dire che il bene resta ancora di
proprietà del venditore Tizio.
L’acquirente Caio, pur non essendo ancora proprietario del bene,
può essere preoccupato che, fino a quando non sarà rilasciato il
permesso a costruire, il venditore Tizio possa compiere atti pregiudizievoli
sul bene. E allora cosa può fare l’acquirente Caio? L’acquirente Caio può
già compiere atti conservativi, ad es. può chiedere il sequestro
conservativo del terreno.
Atti conservativi: La parte legittimata (cioè colui il quale ha l’aspettativa di diritto
nascente dalla condizione) può compiere atti utili alla
conservazione materiale e giuridica dell'oggetto della
prestazione: si tratta di provvedimenti cautelari o possessori
adatti a proteggere lo stato di aspettativa di diritto in cui si
trova.
Es. può chiedere l’imposizione di una cauzione o la concessione
di un sequestro conservativo
Ratio: Con questo comma 1 dell’art. 1356, il legislatore ha voluto tutelare
l’aspettativa di diritto nascente dalla condizione, cioè la parte:
- NON è già titolare del diritto
- ma si trova in una situazione di aspettativa di diritto tutelata.
L’aspettativa di diritto è una situazione giuridicamente rilevante, ecco
perché il legislatore consente di esperire tutte le misure conservative
opportune.
- comma 2: condizione risolutiva: il comma 2 disciplina il rapporto contrattuale durante la pendenza di una
condizione risolutiva (= il contratto produce effetti ab initio ma in modo
precario).
In pendenza di una condizione risolutiva:
1) l’acquirente del diritto può già esercitare il suo diritto
2) l’altro contraente può compiere atti conservativi.
In caso di pendenza di una condizione risolutiva, il quadro è più complesso.
Es. Tizio vende a Caio un appezzamento di terreno sotto condizione risolutiva, cioè
il contratto è produttivo di effetti ab initio ma, se si verificherà un determinato
evento (condizionante), il contratto non produrrà più effetti (= sarà risolto).
Ora, in questo esempio, il punto è: dato che il contratto di compravendita
produce effetti ab initio, vuol dire che il bene diventa di proprietà del
compratore Caio. Il venditore Tizio però è in una situazione di aspettativa di
diritto, perché, qualora si verificasse l’evento risolutivo, il contratto sarebbe
automaticamente risolto e dunque il bene tornerebbe nella sua proprietà.
Perciò qui la situazione è:
- l’acquirente Caio, divenuto proprietario del bene (anche se precariamente)
può liberamente esercitare il suo diritto di proprietà sul bene
- il venditore Tizio è in una situazione di aspettativa di diritto, perciò può compiere
atti conservativi per tutelare la sua posizione di aspettativa.
Quindi, da questo punto di vista, la situazione è simmetrica
rispetto al comma 1.

119
Art. 1357: Il successivo art. 1357 regola la disciplina degli atti dispositivi durante la pendenza della condizione.
Chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva:
- può compiere atti di disposizione in pendenza di questa
- ma ogni atto di disposizione è poi subordinata alla condizione stessa.
Es. Tizio vende a Caio il suo fondo sotto condizione sospensiva (il contratto produrrà effetti se e quando
sarà rilasciato il permesso a costruire) il 15 dicembre 2020 e, dopo la vendita, il 1° aprile 2021 costituisce
un diritto di usufrutto sul fondo stesso. Ovviamente lo può fare perché il fondo è ancora di sua proprietà
(perché la condizione è sospensiva: fino a quando non sarà rilasciato il permesso a costruire, il contratto
di vendita non produrrà effetti, quindi lui è assolutamente legittimato a disporre del bene come vuole,
perché è il proprietario).
Comunque, questo diritto di usufrutto nasce condizionato, cioè: se e quando si verificherà l’evento dedotto
nella condizione sospensiva del contratto di compravendita (il rilascio del permesso a costruire), allora:
- il contratto di compravendita produrrà effetti, quindi Caio diventerà proprietario del fondo
- e allora il diritto di usufrutto verrà meno: perché? Proprio perché l’art. 1357 ci dice che gli effetti di
ogni atto di disposizione sono subordinati alla condizione.
Ratio: Ma perché è così? Questo art. 1357 ce lo spieghiamo perché l’art. 1360 afferma la retroattività
della condizione ex art. 1360: se si realizza l’evento della condizione sospensiva, gli effetti del
contratto si intendono prodotti:
- NON dal momento in cui si verifica la condizione
- ma dal momento in cui è stato stipulato l’atto.
Perciò, vuol dire che se il venditore Tizio ha venduto il fondo e soltanto dopo ha costituito il diritto
di usufrutto sul fondo ma poi si realizza l’evento della condizione sospensiva, allora la vendita
produce effetti dal giorno della stipula della compravendita, quindi Tizio non sarà più formalmente
proprietario dal 15 dicembre 2020, per cui l’atto di disposizione che ha compiuto dopo (costituire
l’usufrutto) verrà automaticamente meno.

Artt. 1358: Durante la pendenza della condizione, entrambe le parti hanno una serie di obblighi da rispettare:
- 1359 a) dovere di buona fede: durante la pendenza della condizione, entrambe le parti sono obbligate a
(art. 1358) comportarsi secondo buona fede = correttezza, per conservare integre
le ragioni dell’altra parte.
Natura: Si tratta della buona fede oggettiva, quindi come sinonimo di correttezza.
Sanzione: In caso di violazione dell’obbligo di buona fede, la parte interessata può:
- chiedere il risarcimento del danno
- la giurisprudenza ritiene che possa chiedere anche la risoluzione
del contratto.
b) obbligo di non impedire
l’avverarsi della condizione: sulla scia della buona fede, le parti sono anche obbligate a comportarsi
(art. 1359) in modo da NON impedire l’avverarsi della condizione.
Si parla di obbligo di neutralità o comunque di non interferenza.
In caso contrario, si verifica il fenomeno chiamato finzione
dell’avveramento [vedi sotto].

Avveramento della condizione


Se concretamente si realizza l’evento condizionante, allora si parla di avveramento della condizione.
Dall’avveramento della condizione dipende:
- o l’efficacia definitiva del contratto in caso di condizione sospensiva
- o la risoluzione del contratto in caso di condizione risolutiva.
Avveramento = retroattività della condizione
L’art. 1360 detta il principio della retroattività della condizione: se si avvera la condizione, allora gli effetti
dell’avveramento della condizione:
- regola: retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, quindi l’avverarsi della condizione
comporta l’efficacia/inefficacia del contratto con decorrenza ex tunc, cioè:
- NON dal momento in cui si è verificato l’evento condizionante
- ma dal momento in cui è stato stipulato il contratto condizionato
- eccezioni: ci sono casi in cui NON si applica la regola della retroattività della condizione, infatti lo stesso
art. 1360 dice “A MENO CHE, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del
contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso”.

120
Retroattività reale: La retroattività dell’avveramento della condizione è una retroattività di tipo reale, perché:
- NON ha una mera efficacia obbligatoria (se fosse così, la retroattività opererebbe soltanto
tra le parti)
- ma ha una efficacia reale perché gli effetti retroattivi sono opponibili erga omnes, quindi
tale retroattività è opponibile:
- sia nei confronti dell’altra parte
- sia nei confronti dei terzi.
È proprio in virtù di questa retroattività reale opponibile erga omnes che ci spieghiamo quanto
abbiamo visto all’art. 1357 cc, in virtù il quale eventuali atti di disposizione compiuti in pendenza
della condizione sono subordinati alla stessa condizione. Perché? Perché se dopo la stipula del
contratto e prima del verificarsi della condizione vengono compiuti atti di disposizione, se poi si
verifica la condizione, dato che tale avveramento produce effetti retroattivamente (quindi al
momento della stipula del contratto), allora gli atti di disposizione compiuti dopo la stipula del
contratto sono per forza travolti dall’avveramento della condizione.
Attenuazioni della retroattività: Questa regola della retroattività della condizione non è sempre piena, perché:
- beni mobili: per la circolazione dei beni mobili il legislatore privilegia la regola “possesso
vale titolo” ex art. 1153 cc.
Es. Tizio vende a Caio un bene mobile sotto condizione sospensiva, quindi il
contratto non è ancora produttivo di effetti.
L’acquirente Caio, che NON è ancora proprietario del bene, vende lo stesso
bene mobile al terzo Sempronio, il quale lo acquista in buona fede
(perché ignora completamente che Caio non fosse il proprietario del bene).
In questo caso, si applica l’art. 1153 cc: il terzo Sempronio al quale sono
Stati alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la
proprietà mediante il possesso purché fosse in buona fede al momento della
consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
Di conseguenza: se e quando si realizzerà l’evento condizionante, la retroattività
della condizione NON sarà opponibile al terzo che medio
tempore avvia acquistato in buona fede il possesso del bene
mobile ex art. 1153, perché il legislatore fa salvo il suo
acquisto.
- beni immobili: per la circolazione dei beni immobili invece il legislatore privilegia il criterio
dell’anteriorità della trascrizione nei registri immobiliari: l’acquisto del terzo
prevale SE questi ha trascritto il suo acquisto PRIMA della trascrizione del
contratto condizionato.
Quindi, la regola della retroattività della condizione deve contemperarsi alla
regola dell’anteriorità della trascrizione.
Se una parte contrattuale ha trascritto il contratto condizionato, allora
i suoi diritti immobiliari sono opponibili ai terzi che eventualmente abbiano
trascritto diritti reali immobiliari o altri diritti sull’immobile dopo la stipula del
contratto e prima del verificarsi della condizione.
Eccezioni alla retroattività della condizione
La regola della retroattività della condizione conosce alcune eccezioni, cioè casi in cui gli effetti dell’avveramento della
condizione NON retroagiscono al momento della stipula del contratto.
Le eccezioni alla retroattività della condizione sono:
A) se le parti hanno espressamente pattuito
di NON applicare la regola della retroattività della condizione, quindi hanno espressamente statuito di
riportare gli effetti del contratto o della
risoluzione ad un momento diverso
B) se si tratta di condizione risolutiva
apposta in un contratto di durata: l’art. 1360 comma 2 afferma che le parti hanno stipulato un contratto
di durata (cioè ad esecuzione continuata o periodica) e vi hanno
inserito una condizione risolutiva, l'avveramento della condizione
NON ha effetto retroattivo, A MENO CHE le parti pattuiscano
diversamente.
Es. immaginiamo che è stato stipulato un contratto di somministrazione di
energia elettrica sottoposto a condizione risolutiva.

121
Se si verifica la condizione risolutiva:
- se si applicasse la regola della retroattività della condizione e
dunque si dovesse riportare tutto al momento della
stipula, vorrebbe dire che l’utente dovrebbe restituire
l'energia elettrica che ha ricevuto e il fornitore di energia
elettrica dovrebbe restituire i corrispettivi percepiti
- invece la regola è che NON ci sono effetti retroattivi, quindi
l’avveramento di una condizione risolutiva
apposta in un contratto di durata produce effetti
DAL MOMENTO IN CUI SI È VERIFICATO
L’EVENTO CONDIZIONANTE, perciò senza
costringere le parti a procedere a restituzioni
reciproche.
C) restano fermi gli atti di amministrazione ordinari sulla cosa
compiuti, in pendenza della condizione, dalla parte a cui
spettava l’esercizio del diritto (art. 1361 comma 1): l’avveramento della condizione comunque lascia
fermi gli atti di amministrazione ordinaria sulla
cosa compiuti, in pendenza della condizione,
dalla parte a cui spettava l’esercizio del diritto.
Nella stessa direzione va il comma 2 dell’art. 1361: i frutti percepiti sono dovuti dal
giorno in cui la condizione si è
avverata.

La condizione unilaterale
Se si analizza la prassi, si vede che molto spesso la condizione è apposta nel contratto sì su accordo delle parti, ma
nell’interesse di una sola parte. Quindi distinguiamo tra:
- condizione bilaterale: quando la condizione è inserita nel contratto nell’interesse di entrambe le parti.
- condizione unilaterale: quando la condizione è inserita nel contratto nell’interesse esclusivo di una sola
parte. Es. in caso di vendita di un fondo condizionato al rilascio del permesso di
costruire: qui è chiaro che l’interesse alla condizione è solo del compratore,
perché è lui a sperare che quel fondo sia edificabile.
NO codice: Il codice NON disciplina la condizione unilaterale. Ecco perché sono intervenute giurisprudenza e dottrina.
Rinuncia: La giurisprudenza afferma: se la condizione è unilaterale, allora è rinunciabile: la parte nel cui interesse è
stata inserita la condizione può rinunciare alla facoltà di avvalersi della condizione (trasformando il contratto
da condizionato a semplice), dandone comunicazione all’altra parte.
NO forma: La parte nel cui interesse è posta la condizione unilaterale può rinunciare alla condizione:
- espressamente
- o per fatti concludenti
SENZA alcun onere formale.
Tempistiche: La giurisprudenza ritiene che la rinuncia ad avvalersi della condizione unilaterale possa
avvenire:
- PRIMA dell’avveramento della condizione: in questo caso si parla di rinuncia preventiva
all’avveramento
- DOPO il mancato avveramento della condizione: la giurisprudenza, a rincarare la dose,
ritiene che la rinuncia della condizione
unilaterale possa essere anche successiva,
cioè può avvenire anche dopo il mancato
avveramento della condizione.
Es. il Comune non ha rilasciato il permesso a costruire
(a cui avevamo condizionato sospensivamente il
contratto di compravendita), ma io acquirente
rinuncio ad avvalermi del mancato avveramento della
condizione, quindi dichiaro di volere che il contratto
produca definitivamente effetti.
Calvo: Calvo critica tale tesi, ritenendola una finzione giuridica, perché è
come se si dovesse fingere che si sia avverata la condizione mentre
in realtà non si è avverata.

122
La finzione di avveramento della condizione
Quando abbiamo parlato degli obblighi delle parti durante la pendenza della condizione, abbiamo detto che devono
comportarsi secondo buona fede e hanno un obbligo di neutralità (o non interferenza) rispetto all’avveramento
o non avveramento della condizione (art. 1358), nel senso che non devono attuare condotte finalizzate ad impedire il
verificarsi dell’evento condizionante.
Ricollegandoci a quest’ultima previsione, l’art. 1359 cc, rubricato “Avveramento della condizione”, disciplina la cd.
finzione di avveramento della condizione.
La finzione di avveramento della condizione è una fictio iuris che rappresenta una sorta di sanzione contro la parte
che ha violato la regola di condotta secondo buona fede (correttezza)
durante la pendenza della condizione ex art. 1358 cc.
Infatti, se la condizione non si è avverata ma per causa imputabile alla
parte che aveva interesse acchè non si avverasse, allora la condizione si
considera come avverata.
È chiaramente una fictio iuris a tutela della parte “onesta”.
Quando opera la fictio iuris? La finzione di avveramento ex art. 1359 cc, che opera quando la condizione non si sia
avverata per causa imputabile ad una parte:
- opera se la causa è imputabile:
- a titolo di dolo
- o a titolo di colpa (es. negligenza).
- NON opera se la condizione è potestativa: perché? Perché qui ci sono evidenti ragioni
di incompatibilità logica, tenuto conto della
libertà che gode la parte stessa nelle scelte
relative al proprio agire.
Discrezionalità della controinteressato: La parte favorita dalla finzione può discrezionalmente scegliere se:
- avvalersi della finzione di avveramento, invocando l’art. 1359
- o NON avvalersi di tale finzione, ma di ricorrere ai rimedi comuni della
risoluzione e del risarcimento del danno.
Casistica: Calvo parte da un esempio per rispondere ad un quesito.
Immaginiamo che Tizio e Caio abbiano stipulato un contratto preliminare di permuta di terreno contro una
porzione di edificio da costruire. Lo scambio è stato sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio del
permesso a edificare. La condizione è nell'interesse di ambedue gli stipulanti.
Immaginiamo che il permesso a edificare venga negato:
- non perché sussistono impedimenti giuridici
- ma perché il promittente venditore - in quanto proprietario - non ha presentato alla pubblica
amministrazione competente la documentazione
necessaria per ottenere il provvedimento.
Qui nasce l’interrogativo: è applicabile la finzione di avveramento ex art. 1359 laddove l'evento condizionante
consista nel rilascio di un provvedimento amministrativo?
Se è stato negato un provvedimento amministrativo da una PA, bisogna analizzare
il perché non è stato emanato:
- se la PA ha riconosciuto un impedimento giuridico, allora NON si può applicare la
finzione di avveramento ex art.
1359, perché altrimenti si
andrebbe a considerare come
emesso un provvedimento
amministrativo che invece è
stato negato
- se non è stato emanato a causa dell’insufficiente allegazione documentale
imputabile alla parte che abbia agito scorrettamente, allora sì, si applica la
fictio iuris ex art. 1359.

La finzione di non avveramento della condizione


È dibattuto se, accanto alla finzione di avveramento della condizione, vi possa essere una finzione di non avveramento
della condizione per l'ipotesi opposta, cioè quando l'evento si sia verificato per fatto imputabile all'interferenza
anomala della parte interessata al suo avveramento?
Secondo Calvo, è possibile parlare di finzione di non avveramento in questi casi, stante la sostanziale identità di ratio
intercorrente tra la situazione tipica (art. 1359) e quella opposta non espressamente contemplata dal codice.

123
IL TERMINE CONTRATTUALE
Secondo elemento accidentale del contratto è il termine.
NO codice: Il termine contrattuale NON ha una specifica disciplina nel codice.
Elemento accidentale: Il termine contrattuale è un elemento accidentale del contratto liberamente inseribile dalle
parti nel contratto.
Tuttavia, ci sono delle ipotesi in cui:
- per alcuni negozi è VIETATA l’apposizione del termine: matrimonio, negozi di diritto
familiare, accettazione e rinuncia
all’eredità
- per alcuni negozi è OBBLIGATORIA l’apposizione del termine: locazione, negozio costitutivo
di usufrutto, la proposta
irrevocabile, ecc.
Nozione: Il termine contrattuale è quell’evento futuro e certo che incide sul piano della efficacia del contratto, quindi
incide sugli effetti del contratto, e può consistere:
- o in un termine iniziale: evento futuro e certo da cui cominceranno a prodursi gli effetti del
contratto
- o in termine finale: evento futuro e certo da cui cesseranno di prodursi gli effetti del contratto.
Tipi di termine: Il termine contrattuale consiste in un evento futuro e certo. Si distingue tradizionalmente tra:
- evento certo nel se e nel quando. Es. il 1° gennaio
- evento certo nel se ma incerto nel quando. Es. ti pagherò il giorno in cui morirà Tizio.
Distinzione: Come detto, il termine contrattuale di cui parliamo è un termine di efficacia dal termine di efficacia che
perciò si distingue dal termine di adempimento:
- il termine contrattuale è un termine di efficacia
- il termine di adempimento ex art. 1183 cc: questo NON è un termine che incide sul piano
dell’efficacia, ma incide sull’esecuzione della prestazione
dovuta. È il termine a partire dal quale si deve
adempiere la prestazione contrattuale.
Le due diverse tipologie di termine possono comunque coesistere all’interno dello stesso contratto.
Es. in un contratto di locazione in cui sia limitata la durata della locazione ad un certo periodo di tempo
compreso tra due date (che corrisponderanno al termine iniziale e finale) e in cui siano fissati dei
termini di pagamento a determinate date prestabilite (termini di adempimento).
NO retroattività: Gli effetti della scadenza del termine NON sono retroattivi. Il termine ha sempre una efficacia ex
nunc, quindi MAI retroattiva.
Differenza tra termine e condizione: Il termine e la condizione incidono entrambi NON sulla validità, ma sul piano
dell’efficacia del contratto. Solitamente la distinzione tra condizione e termine si
liquida facilmente dicendo:
- l’evento dedotto in condizione è un evento futuro e incerto
- l’evento dedotto nel termine contrattuale è un evento futuro ma certo.
In realtà un certo grado di incertezza è insito in tutti i termini.
Es. se dico: “Ti pagherò quando compirai 30 anni” è un termine iniziale di efficacia, e
tuttavia un certo margine di incertezza è insito anche in esso, perché ben può essere che il
creditore muoia prima dei trenta anni.
Ecco perché, in realtà, è più corretto dire che ciò che rileva ai fini della distinzione tra
termine e condizione: - NON è l’assoluta e oggettiva certezza
- ma è il sufficiente grado di probabilità che l’evento si verifichi.
E perciò:
- è una condizione quando l’evento è incerto
- è un termine l’evento è “quasi” certo, secondo un calcolo di probabilità effettuato dalle
parti.
Sempre per rimanere all’esempio fatto, in periodo di alta mortalità a causa di malattie
infantili, o per una guerra particolarmente cruenta, il termine dei 30 anni potrebbe essere
visto come condizione, e non come termine.
I contratti indeterminati: In tema di termine, dibattuto fu il tema dei contratti indeterminati: è ammissibile un
contratto a tempo indeterminato, cioè un contratto che fissi soltanto un termine iniziale
senza fissare un termine finale?
È frequente che le parti le parti stipulino il contratto SENZA fissare il termine finale in cui il
contratto cesserà di produrre i suoi effetti, e allora si parlerà di contratto a tempo
indeterminato.

124
Es. è frequente quando si stipula un contratto di somministrazione ad es. di
acqua o di gas, normalmente sono contratti a tempo indeterminato
perché producono effetti dal momento della stipula, ma non è precisato
fino a quando.
Sono ammissibili?
- 1° orientamento giurisprudenziale: i contratti indeterminati NON sono ammissibili perché
sono contratti perpetui, i quali sono vietati perché
sono contrari all’ordine pubblico
- 2° orientamento giurisprudenziale: i contratti indeterminati sono ammissibili perché c’è
comunque uno strumento di salvataggio che è
il diritto di recesso unilaterale (è la cd. disdetta): infatti,
anche nel silenzio del contratto, alle parti è riconosciuta
il diritto di recesso. In questo modo si fa salva la validità
dei contratti a tempo indeterminato.

IL MODUS (o onere) CONTRATTUALE


Terzo ed ultimo elemento accidentale è il modus contrattuale, o onere.
Nozione: Il modus (o onere) è un elemento accidentale che può essere inserito SOLO in contratti a titolo gratuito,
e può essere definito come un peso (obbligo) imposto a carico del beneficiario da parte dell’autore dell’atto
di liberalità (beneficiante).
Es. ti dono la mia casa con l’obbligo di ospitarvi una determinata persona ogni mese di agosto oppure con
l’obbligo di accudire il mio cane.
Es. Ti do in comodato la mia casa di Roccaraso per l’estate (il comodato è una locazione a titolo gratuito,
quindi senza corrispettivo) ma ti impongo l’onere di pagare le bollette del condominio.
Ambito di applicazione: Quando si può inserire un modus (onere) nel contratto?
Il modus (onere) contrattuale è molto particolare perché è un elemento accidentale che:
- NON si può inserire in qualsiasi contratto
- ma può essere inserito SOLO nei contratti a titolo gratuito
ATTENZIONE: in realtà, se leggiamo il codice, prevede espressamente la possibilità per le parti di
inserire il modus SOLO nel contratto di donazione e nel testamento.
Tuttavia, la dottrina prevalente ritiene che il modus sia apponibile a TUTTI i contratti a
titolo gratuito. Es. mutuo, comodato, deposito: sono contratti che possono essere sia a
titolo oneroso che gratuito: se
vengono stipulati a titolo gratuito,
allora può essere inserito un modus.
Casi problematici: Ci sono casi in cui l’apposizione di un modus nel contratto a titolo gratuito fa sorgere il dubbio sul se
si tratti di un contratto gratuito modale o si finisca in un contratto a titolo oneroso.
Cioè, può capitare che il modus sia così gravoso da far sorgere il sospetto che il contratto stipulato
non sia più a titolo gratuito.
Es. ti dono un bene ma appongo un modus di un ammontare tale da elidere il beneficio economico
di cui ti ho beneficiato. Es. ti dono 5 euro ma ti impongo di portare a spasso il cane ogni giorno
per tre anni. È davvero è una donazione? No.
Contenuto del modus: Il modus può avere come contenuto qualsiasi prestazione (fare, non fare, dare) e deve essere
lecito, possibile, determinato o determinabile.
In caso di onere impossibile o illecito, la disciplina è la stessa della condizione.
Distinzione tra modus e condizione: Come si distingue un modus (onere) da una condizione?
È possibile che uno stesso evento possa essere dedotto sia in una condizione che
in un modus, perciò qual è il criterio discretivo tra condizione o modo?
Per rispondere bisogna condurre un’indagine caso per caso, però sul piano teorico
è stata adottata una formula che in teoria può aiutare:
- la condizione sospende e NON obbliga
- il modus obbliga ma NON sospende
Che significa?
- in caso di condizione sospensiva, la condizione sospende gli effetti del contratto
e i contraenti NON sono obbligati ad eseguire la
prestazione
- in caso di modus, il modus obbliga immediatamente ad eseguire la prestazione
dedotta nel modus e NON sospende gli effetti del contratto.

125
CAP.11

L’INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO


Art. 1374 cc: L’articolo di riferimento dell’integrazione è l’art. 1374 cc che afferma:
“II contratto obbliga le parti non solo a quanto è espresso nello stesso, ma anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità".
Una volta concluso il contratto, questo può dispiegare i propri effetti.
Gli effetti contrattuali generalmente corrispondono al contenuto degli accordi tra le parti, frutto dell’autonomia
negoziale attraverso cui si estrinseca la volontà delle parti.
Tuttavia, in alcuni casi le sole determinazioni delle parti nel contratto non sono sufficienti a regolare compiutamente il
rapporto negoziale ad esse sotteso. E allora si può verificare il fenomeno dell’integrazione del contratto.
Nozione: L'integrazione del contratto ha luogo ogni volta che il contenuto di un contratto è determinato non solo dalla
volontà delle parti, ma anche da fonti esterne al contratto, che chiamiamo fonti eteronome del contratto,
cioè fonti che si affiancano in funzione integrativa alla fonte principale degli effetti del contratto (l’autonomia
contrattuale).
L’alienità della disciplina integrativa comunque NON comporta il venir meno della contrattualità del vincolo
che lega le parti che, pertanto, continuano ad essere unite da un vincolo espressione del potere di
autonomia negoziale, anche se, per taluni aspetti, “limitato” proprio dalle disposizioni integrate.
Differenza con l’interpretazione: L’integrazione si differenzia radicalmente dall’interpretazione in quanto:
- l’interpretazione: è diretta a chiarire il significato delle disposizioni negoziali
usate dalle parti
- l’integrazione: è diretta ad applicare al contratto una disciplina di provenienza
aliena, ossia non voluta dalle parti, né espressamente né
tacitamente.
Quali sono le fonti di integrazione del contratto?
A) Le determinazioni legali (norme legislative)
Sappiamo che le parti, in virtù del principio di autonomia contrattuale, sono libere di determinare il contenuto del
contratto e di scegliere il tipo contrattuale che ritengono più congruo al conseguimento del risultato programmato.
Serve però avvertire che non sempre il regolamento è così esaustivo da esprimere la totalità delle regole concordate
tra le parti, anzi, il più delle volte le lacune sono quasi inevitabili. Ciò perché è nella natura delle cose che le parti,
con riguardo ai profili di disciplina non esplicitati nell’accordo, intendano implicitamente rimettersi alle regole sancite
dalle norme dispositive di legge completanti l'atto di autonomia privata.
Ecco perché una prima fonte di integrazione del contratto sono le norme di legge, quindi le determinazioni legali.
Tipi: L’integrazione per mezzo di norme di legge può essere:
a) o suppletiva: l’integrazione suppletiva è quel tipo di integrazione che PRESUPPONE la presenza di una
lacuna nel regolamento contrattuale non suscettibile di essere colmata mediante il ricorso
alle regole di interpretazione.
Le parti del contratto, se per distrazione, strafottenza o ignoranza, hanno lasciato una lacuna
nel regolamento contrattuale e questa non è colmabile mediate attività interpretativa, allora
si ricorre alle norme dispositive del codice.
Norme dispositive: Le norme dispositive sono quelle norme DEROGABILI dalla volontà dei
privati, es. il loro incipit è “Salvo diversa volontà delle parti…”.
Quindi, se una norma è dispositiva, è perché il legislatore ha lasciato
libere le parti di statuire una diversa pattuizione, quindi di derogarle.
Pertanto, l’impostazione relativa alle norme dispositive è:
- le parti hanno la libertà di derogare una norma dispositiva, dettando
una disciplina diversa
- però, se le parti non pattuiscono alcunché, lasciando quindi una
lacuna nel testo contrattuale, allora la norma dispositiva
entra nel contenuto contrattuale per colmare tale
lacuna. Infatti, si afferma: se le parti lasciano una lacuna,
si stanno rimettendo tacitamente alle norme dispositive.
Quindi, dinanzi ad una lacuna contrattale, il contratto avrà:
- sia gli effetti contrattuali voluti dalle parti
- sia gli ulteriori effetti voluti dalle norme dispositive.
Es. l’art. 1815 cc prevede che "Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve
corrispondere gli interessi al mutuante. ...”. Quindi, le parti possono stabilire
diversamente e, quindi, il mutuo può essere concesso in maniera gratuita, cioè senza che
sia prevista la corresponsione di interessi.

126
b) o cogente (cd. imperativa): l’integrazione cogente è quel tipo di integrazione che:
- NON presuppone una lacuna contrattuale
- si parla di integrazione cogente quando viene applicata una norma
imperativa in sostituzione di una clausola
pattuita dalle parti contraria alla norma
imperativa stessa.
Quindi, se le parti hanno pattuito una clausola
che è contraria ad una norma imperativa, allora
la norma imperativa si sostituisce coattivamente
alla pattuizione delle parti.
Norme imperative: Le norme imperative:
- sono quelle norme poste a presidio di interessi generali
o dell’ordine pubblico
- perciò: - NON sono derogabili dalle parti (a differenza
delle norme dispositive)
- si applicano coattivamente al rapporto
contrattuale
Conseguenza: Conseguenza del fatto che una norma imperativa NON è derogabile
dalle parti è che se una clausola contrattuale (disciplina pattizia)
contrasta con una norma imperativa (disciplina legale),
allora:
1) la clausola contrattuale è NULLA per contrarietà a norma
imperativa
2) + si applica coattivamente la norma imperativa (violata).
Quindi la nullità di una clausola contraria a una norma imperativa:
- NON comporta la nullità del contratto per intero
- ma la singola clausola nulla è sostituita di diritto dalla norma imperativa:
il posto lasciato vuoto dalla clausola dichiarata
nulla viene riempito dalla norma imperativa.
Quindi si tratta di nullità parziale.
Esempio: Tipico esempio di norma imperativa è l’art. 1339 cc, rubricato
“inserzione automatica di clausole”, dice: le clausole di prezzi di
beni/servizi imposti dalla legge sono inserite di diritto nel contratto,
anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.
Quindi, se le parti hanno stabilito il prezzo di un certo bene ma tale
pattuizione viola una norma imperativa, allora il prezzo imposto dalla
legge si sostituisce automaticamente alla diversa volizione delle parti.
Ovviamente essa opera sia nell’ipotesi in cui le parti non indicano il prezzo
sia nelle ipotesi in cui le parti stabiliscono un prezzo difforme da quello
previsto dalla legge.

B) Gli usi normativi (o consuetudine)


Tra le fonti di integrazione del contratto l’art. 1374 cc menziona anche gli usi.
Con questa espressione il legislatore fa riferimento ai cd. usi normativi, cioè a quelle consuetudini che sono governate
dall’art. 8 delle Preleggi.
Nozione: Gli usi normativi equivalgono al concetto di consuetudine, quindi si tratta di norme giuridiche NON scritte,
risultanti dalla ripetizione uniforme costante di un comportamento da parte della collettività in quanto
ritenuto giuridicamente vincolante (opinio iuris ac necessitatis).
Se sono richiamati da una determinata norma di legge, allora gli usi sono fonte di integrazione.
Caratteristiche: Gli elementi costitutivi dell’uso normativo sono due:
1) un requisito oggettivo consistente nella ripetizione uniforme e costante di un determinato
comportamento da parte dei consociati
2) un requisito soggettivo consistente nella convinzione della collettività che si tratti di un
obbligo giuridico vincolante, e che quindi ripetere il comportamento
sia doveroso.
Efficacia: Nel nostro codice, il ruolo degli usi è piuttosto limitato perché l'art. 8 delle Preleggi ci dice che gli usi sono
efficaci SOLO SE sono espressamente richiamati dalla legge.

127
Usi negoziali (convenzionali): Gli usi normativi NON vanno confusi con un’altra categoria particolare di usi, e cioè i
cd. usi negoziali.
Fonte: Art. 1340: “Le clausole d'uso si intendono inserite nel contratto, se non risulta che
non sono state volute dalle parti”.
Nozione: Gli usi negoziali, chiamati dal codice “clausole d’uso”, consistono in pratiche
abitualmente seguite:
- o da una determinata cerchia di contraenti
- o in un determinato settore merceologico
SENZA che per essi siano richiesti i presupposti tipici degli usi normativi.
Quindi, gli usi negoziali sono DIVERSI dagli usi normativi perché:
- NON c’è il requisito soggettivo della convinzione che si tratti di un obbligo
giuridico
- le parti inseriscono nel contratto gli usi negoziali SOLO perché è prassi
inserirle nella contrattazione in un certo luogo, in un certo
mercato, in un certo settore merceologico.
Es. tutti coloro che contrattano nel mercato della frutta hanno normalmente
cura di inserire nei contratti delle clausole frutto della prassi.
Efficacia: Per gli usi negoziali il legislatore sostanzialmente ragiona così: se è vero che in
quel certo mercato, in quel certo luogo, in quel certo settore merceologico è
prassi inserire queste clausole di usi negoziali nel contratto, allora le parti:
- se vogliono escluderle, devono farlo ESPLICITAMENTE
- se invece tacciono, allora le clausole di usi negoziali entrano implicitamente
a far parte del contratto e produrranno effetti.
Calvo: Considerato questo regime di efficacia, allora dice Calvo: il vero problema si presenta
laddove le parti tacciano sulle clausole d'uso perché in realtà non le conoscono.
Cioè, la domanda è: in caso di ignoranza dell’uso negoziale (cioè le parti non
sapevano dell’esistenza della clausola d’uso), che succede?
- giurisprudenza: gli usi negoziali integrano il contratto anche laddove siano ignorati
dalle parti
- Calvo: Calvo invece ritiene più corretto affermare che se il contraente riesce a
dimostrare l'ignoranza dell’uso convenzionale, allora prova senz'altro di
non averlo voluto, posto che non si può volere ciò di cui si ignora
l'esistenza.
Usi aziendali: Un altro tema è quello degli usi aziendali.
Nozione: L’uso aziendale consiste nella ripetizione costante e spontanea di un comportamento del
datore di lavoro, tenuto nei confronti di tutti i dipendenti, che si concretizza in un trattamento
economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dalla legge, dal contratto
individuale e dal contratto collettivo.
Come stabilire se un trattamento
favorevole è un uso aziendale? Non è facile comprendere, nel concreto, in quali casi un trattamento di
miglior favore, non previsto da leggi e contratti, costituisca un uso
aziendale.
Se il datore di lavoro paga ai suoi dipendenti un determinato
emolumento, al fine di capire se si tratti di un uso aziendale sarebbe
indispensabile valutare se tale prestazione venga corrisposta in modo
continuativo.
Ciò che è certo è che se il comportamento in questione è circoscritto
a specifici lavoratori, allora NON si tratta di uso aziendale.
Gli usi aziendali possono essere
sfavorevoli ai dipendenti? NO. NON si può parlare di uso aziendale in caso di reiterata violazione
dei diritti derivanti dalla normativa o dai contratti collettivi o individuali:
ad es. il datore di lavoro non può, avvalendosi degli usi aziendali,
derogare in senso peggiorativo alla disciplina legale dell’orario di
lavoro.

128
C) L’equità
La terza ed ultima fonte di integrazione menzionata dall’art. 1374 cc è l’equità.
Nozione: Nella scala gerarchica l’equità è l’ultima delle fonti di integrazione del rapporto.
In alcuni casi, la legge assegna al giudice poteri equitativi: si tratta di ipotesi in cui, non essendo possibile
dettare una regola generale astratta del caso concreto, si riconoscono al giudice ampi poteri discrezionali,
legittimandolo a decretare la norma piè equa alle vicende soggetto al suo scrutinio.
Discrezionalità vincolata: In ogni caso, il potere integrativo-equitativo del giudice deve essere mantenuto nell’ambito
dei principi informanti il sistema, nel senso che il giudice:
- da un lato NON può fare esclusivo affidamento sulla sua personale sensibilità
equitativa, dato che è tenuto a esercitare i poteri discrezionali
lasciandosi guidare da:
- dal ragionamento analogico
- dalla interpretazione logica e teleologica
- e dai valori costituzionali
- dall’altro lato DEVE rispettare il principio di parità di trattamento di fronte a situazioni
simili in maniera da non calpestare l'esigenza di prevedibilità delle
decisioni.
Esempio: In tema di mediazione è previsto l’art. 1755 cc: il mediatore è colui che mette in relazione due parti per la
conclusione di un certo affare e ci dice che il mediatore ha diritto alla provvigione e la misura della
provvigione è stabilita convenzionalmente. Tuttavia, in mancanza di un accordo tra le parti sulla misura della
provvigione, questa viene determinata ricorrendo agli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.

D) La buona fede oggettiva (correttezza)


Se leggiamo l’art. 1374, vediamo che esso menziona quali fonti di integrazione soltanto la legge, gli usi e l’equità.
E allora la domanda è: le fonti di integrazione del contratto sono soltanto quelle previste dall’art. 1374 cc?
- opinione minoritaria: l’elenco delle fonti integrative previsto dall’art. 1374 è tassativo
- opinione prevalente: in realtà, l'opinione prevalente è che tra le fonti di integrazione del contratto debba
essere menzionata anche la buona fede oggettiva prevista dal successivo art. 1375.
Ormai si ritiene pacifico che la buona fede oggettiva (correttezza) possa avere un ruolo nell'integrazione del contratto.
Funzione: La buona fede come criterio di integrazione del contratto va intesa come strumento di integrazione del
contratto da parte del giudice contro i tentativi maliziosi di una parte diretta a stravolgere l’assetto di
interessi.
Quindi: la buona fede permette al giudice, tenuto conto dell'assetto di interessi originariamente forgiato
dalle parti, di individuare obblighi che, pur non espressamente stabiliti, sono comunque immanenti e
strumentali al raggiungimento del programma.
Paternalismo: Ad ogni modo, la buona fede è un concetto difficile da illustrare.
Calvo dice: la buona fede oggettiva come criterio di integrazione del contratto ha un rischio: si rischia
di attribuire un rilevante potere al giudice che potrebbe avere la tentazione di riscrivere il contenuto del
contratto in un'ottica diciamo paternalistica, cioè di tutela della parte più debole: il giudice è come
se fosse tentato di prestare paternalistico soccorso alla parte debole per avvantaggiarla.
Quindi, dice Calvo: la buona fede come criterio integrativo NON deve consistere in un meccanismo
affidato al giudice per proteggere paternalisticamente il contraente ritenuto meritevole di una tutela
particolare.
L'integrazione del contratto secondo buona fede si deve armonizzare con la libertà contrattuale:
se è così è, il giudice è tenuto a intervenire SOLO laddove ravvisi la mortificazione della individualità,
quindi l’intervento del giudice va inteso SOLO come extrema ratio.
Ecco perché Calvo dice: l’attitudine integrativa della buona fede in senso oggettivo presuppone un
regolamento di interessi già definitivo, di modo che il giudice in virtù della
buona fede possa stabilire obblighi ulteriori MA SENZA alterarne il
contenuto precostituito.
Il caso Fiuggi: Una sentenza importante in cui la Cassazione ha “corretto” il contenuto del contratto mediante
un’integrazione secondo buona fede oggettiva (correttezza) delle pattuizioni è quella del 1994 nel cd.
caso Fiuggi.
Il caso prevedeva: il Comune di Fiuggi aveva stipulato un contratto con un imprenditore privato con cui
gli concedeva le sorgenti di Fiuggi in locazione. Come venne determinato il canone di
locazione dell’imprenditore affittuario? Non venne fissato un corrispettivo secco, ma
il canone di locazione venne parametrato sul prezzo a cui la fabbrica
dell'imprenditore affittuario vendeva le bottiglie.

129
Quindi si diceva: il canone di locazione (= l’affitto) che tu mi devi NON è un corrispettivo fisso,
ma è pari al X per 100 del prezzo complessivamente percepito dall'affittuario per la
vendita delle bottiglie a terzi.
Chiaramente in questo modo il Comune pensava: più aumentano i prezzi, più l’affittuario rincara il
prezzo della bottiglia all'uscita della fabbrica, più io Comune percepisco maggiore canone d’affitto.
Ad un certo punto, l'affittuario elabora uno stratagemma per cercare di sterilizzare gli effetti dell'aumento
dei prezzi, e cosa fa?
L'affittuario crea delle società distributrici controllate dalla stessa società affittuaria e utilizza questo schema:
- l’affittuario vende le bottiglie solo alle società distributrici controllate sempre allo stesso prezzo,
quindi a prezzo bloccato
- le società distributrici controllate dalla società affittuaria venderanno le bottiglie operando loro
in seconda battuta il ricarico nei contratti di fornitura al dettaglio,
cioè coi terzi.
Così facendo, le bottiglie uscivano dalla fabbrica ad esempio al prezzo fisso di 200, ma poi uscivano
dalle società distributrici controllate a 250, ma il prezzo del corrispettivo canone dell’affitto veniva
parametrato sempre a 200.
Il Comune di Fiuggi naturalmente agisce in giudizio contro l’affittuario e la controversia si trascina
fino alla Cassazione. Ora, il punto era:
- se si vuole ragionare da formalisti, allora tale escamotage dell’affittuario è assolutamente lecito.
Perché? Perché il tenore letterale del contratto era chiaro ed
inequivoco, perché diceva che “il corrispettivo dell'affitto
è parametrato al prezzo operato dalla imbottigliatrice
estrattrice nel momento in cui vende il bene al
distributore”, quindi quello è il prezzo.
Dunque, formalmente il discorso era ineccepibile.
- dall’altro lato però bisogna riconoscere che vi era una chiara condotta maliziosa dell’affittuario.
La Cassazione per la prima volta, per dare tutela al Comune di Fiuggi, lavora sul concetto di buona fede
oggettiva o correttezza.
La Cassazione ritiene che tutta questa vicenda sia caratterizzata da una condotta scorretta dell'affittuario che
cerca di eludere impegni assunti e alla violazione dell'obbligo di correttezza.
In questo caso, ai sensi dell'integrazione del contratto secondo buona fede, è dovuto da parte dell'affittuario
un canone di locazione che va parametrato non al prezzo di uscita dalla fabbrica, perché quello è rimasto
invariato, ma al prezzo di uscita dalle società distributrici controllate dalla società affittuaria.
Quindi la Cassazione ha usato la buona fede come strumento di integrazione per correggere l’assetto di
interessi che appariva inequivoco.

E) Le clausole di stile
Tra le fonti integrative alcuni annoverano anche le clausole di stile.
Nozione: Per clausole di stile si intendono quelle clausole che vengono inserite abitualmente nei contratti ma:
- NON corrispondono alla reale volontà delle parti
- nascono come clausole che i notai inseriscono abitualmente nei loro atti.
Es. clausola con cui si stabilisce “qualsiasi inadempimento a qualsiasi pattuizione contrattuale porterà alla
risoluzione del contratto”.
NO efficacia: Le clausole di stile NON producono effetti perché sono sfornite di significato giuridico a causa della loro
genericità e indeterminatezza.

130
CAP.12

L’INTERPRETAZIONE
Nozione: L’interpretazione è l'operazione attraverso cui l’interprete (normalmente il giudice) accerta il significato
di un accordo contrattuale, cioè fondamentalmente accerta la comune intenzione delle parti così
come si è oggettivata nell’accordo contrattuale.
Fonte: Artt. 1362 e cc.
Scopo: Le norme sull’interpretazione del contratto sono finalizzate:
- NON ad accertare la volontà del singolo contraente: il giudice NON deve indagare l’interna volizione delle
parti, quindi NON deve ricercare qual è stato l'intimo
intento di ogni contraente.
Se il proposito interno di un contraente non è stato
oggettivato nell'autoregolamento, allora appartiene
alla sfera dei motivi.
Ecco perché l’interpretazione NON è diretta ad accertare
la volontà dell’uno e dell’altro contraente: al giudice
NON spetta un’indagine psicologica volta a ricostruire
l’interno volere di Tizio e di Caio
- ma ad accertare la comune intenzione delle parti così come si è stata oggettivata nell’accordo contrattuale
e che dunque abbia acquisito un'espressione socialmente
rilevante.
Quindi al giudice spetta un’indagine su ciò che
oggettivamente risulta voluto nell’accordo contrattuale.
Giuridicità della disciplina: Le norme sull’interpretazione del contratto, inserite nel Codice civile, oggi sono considerate
pienamente dotate di giuridicità, ma prima era diverso:
- PRIMA: un tempo era diffusa l’opinione secondo cui le norme sull’interpretazione del
contratto erano delle semplici massime di esperienza, una sorta di suggerimenti
che il legislatore aveva dato all’interprete
- OGGI: oggi invece la Cassazione è pacificamente orientata in quest’altro senso: le norme
sull’interpretazione sono vere e proprie norme giuridiche, dunque sono dotate di
giuridicità in senso pieno. In virtù di ciò, è ad esempio consentito il ricorso per
cassazione per eccepire la violazione di una norma che regola l’interpretazione del
contratto.
Derogabilità? Si discute se le norme di interpretazione siano derogabili dalle parti. Cioè potrebbero le parti stabilire
nel contratto che una certa norma di interpretazione non sia applicabile al contratto stesso, cioè
potrebbero dire “l’art. X sull’interpretazione non si può applicare all’attività di interpretazione del
presente contratto”?
Il punto non è pacifico.
Minervini ritiene che sì, sono derogabili.
Naturalmente un punto ancora più controverso è: se ammettiamo che sono derogabili, le parti
potrebbero derogare anche all’obbligo di interpretare il contratto secondo buona fede?
In genere si dice di no, perché ovviamente non si può ammettere un’interpretazione in mala fede
del contratto.
Interpretazione e integrazione
Interpretazione e integrazione sono due nozioni collegate ma DISTINTE sia sul piano logico che sul piano cronologico:
- sul piano logico: perché interpretazione e integrazione attengono a due sfere di competenza diverse:
- interpretazione: l’interpretazione è un giudizio di fatto che mira a ricostruire la comune
intenzione delle parti così come si è oggettivata nell’accordo contrattuale.
Quindi è un giudizio che riguarda il volere dei contraenti.
- integrazione: l’integrazione è un giudizio di diritto che:
- NON riguarda il volere dei contraenti
- ma riguarda il profilo degli effetti che la legge riconnette alla stipulazione
del contratto.
- sul piano cronologico: sono attività anche cronologicamente diverse perché il giudice:
- prima interpreta
- e dopo integra (se serve).

131
Interpretazione e qualificazione giuridica
Interpretare un contratto e qualificare un contratto sono operazioni nettamente DISTINTE sia sul piano logico che sul
piano giuridico.
Secondo un insegnamento abbastanza pacifico della Cassazione:
- interpretazione: l’interpretazione del contratto è un giudizio di fatto (fattuale) che è riservato:
- SOLO al giudice del merito
- quindi NON è consentito al giudice di legittimità, cioè alla Cassazione.
Eccezione: La stessa Cassazione però dice: l’interpretazione del contratto è un giudizio
consentito alla Cassazione eccezionalmente in due casi:
a) se una parte propone ricorso per cassazione denunciando la violazione
di una norma interpretativa da parte del giudice di merito
b) o se il giudice di merito non ha motivato in sentenza sul punto
“interpretazione”.
Se non si rientra in uno di questi due casi eccezionali, allora la regola è che
l’interpretazione è un giudizio di fatto PRECLUSO alla Cassazione in quanto
giudice di legittimità.
- qualificazione giuridica: la qualificazione giuridica del contratto è un giudizio di diritto di competenza:
- sia del giudice di merito
- sia del giudice di legittimità, cioè la Cassazione.
È un giudizio che mira a classificare il contratto concretamente stipulato tra le parti,
cioè ad inserire il contratto stipulato in una delle tante categorie contrattuali
previste dal legislatore (vendita, permuta, mutuo, comodato, ecc).
Si tratta di attività distinte anche sul piano cronologico. Infatti, il giudice prima interpreta e dopo qualifica.
Dinanzi ad un testo contrattuale, il giudice prima ricostruisce la comune intenzione delle parti e soltanto dopo aver
positivamente compreso la comune intenzione delle parti può qualificare il contratto (cioè classificarlo come vendita,
permuta, locazione, comodato, ecc).

NO vincolo per il giudice dalla


qualificazione del contratto operata delle parti: È importante affermare che il giudice NON è vincolato dalla
qualificazione contratto che le parti abbiano dato al contratto.
Quindi, in tema di qualificazione giuridica del contratto, la fattispecie
contrattuale va qualificata A PRESCINDERE dal nomen iuris utilizzato dai
contraenti.
Ad es. se le parti hanno concluso un contratto definendolo contratto di
locazione ma in realtà il giudice, interpretato il contratto, ritiene
che nel contratto non è previsto alcun canone, allora il giudice
qualifica il contratto NON come contratto di locazione, ma come
contratto di comodato.
E allora a tale contratto si applicherà la disciplina in tema di
comodato, e NON quella in tema di locazione.

Codice e Calvo: il (falso) problema della sequenza gerarchica


Struttura del codice: Il codice è così strutturato:
- norme generali di interpretazione: sono quelle norme contenute negli artt. 1362 e ss. nella parte sul
contratto in generale, quindi si applicano a TUTTI i contratti
- norme speciali di interpretazione: sono quelle norme che si trovano nella parte dei singoli contratti, quindi:
- NON si applicano a tutti i contratti
- si applicano SOLO a taluni tipi contrattuali.
Dottrina e sequenza gerarchica. La critica di Calvo
Tradizionalmente la dottrina adotta anche un’altra distinzione nell’ambito delle norme sull’interpretazione del
contratto, parlando di gerarchia delle norme interpretative (o di gradualismo):
1) norme di interpretazione soggettiva: dapprima si utilizzano le norme di interpretazione soggettiva, cioè quelle
norme che hanno lo scopo di accertare la comune intenzione delle parti.
Sono le norme degli artt. 1362 – 1363 – 1364 – 1365.
2) norme di interpretazione oggettiva: dopo aver adottato le norme di interpretazione soggettiva, se resta dubbia la
comune intenzione delle parti, allora in via sussidiaria è possibile adottare le
norme di interpretazione oggettiva.
Sono le norme degli artt. 1367 – 1368 – 1369 – 1370 – 1371.

132
Critica di Calvo: Nonostante la teoria tradizionale parli da sempre di questa gerarchia delle norme sull’interpretazione,
Calvo NON critica la distinzione tra norme interpretative soggettive e oggettive, ma CRITICA la dottrina
che vuole che tra queste vi sia un rapporto gerarchico, infatti Calvo dice: questo della sequenza
gerarchia è un FALSO problema. non ci deve essere gerarchia
Per Calvo, questa idea secondo cui i canoni soggettivi sono gerarchicamente anteposti a quelli
oggettivi è un preconcetto che continuiamo a trascinarci per inerzia.
Calvo sostiene che andrebbe riconosciuta all’interprete una piena libertà: occorre riconoscere che
spetta all’interprete far tesoro delle norme interpretative (soggettive e oggettive) sì da
elaborare la lettura più incline al soddisfacimento del programma negoziale animante l’interesse
delle parti.
Quindi, dice Calvo: NON si possono fissare a priori rigide graduazioni o formule da usare senza alcun
criterio. Occorre prendere le mosse da una semplice constatazione: tutte le
norme sull’interpretazione del contratto, siano esse di matrice soggettiva o
oggettiva, servono allo scopo pratico di interpretare il contratto.

NORME DI INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA


Le prime norme sull’interpretazione (artt. 1362 – 1365) sono considerate norme di interpretazione soggettiva:
- art. 1362 comma 1: interpretazione letterale
La prima norma introduttiva del Capo dedicato all’interpretazione, rubricata “Intenzione dei contraenti”, è l’art. 1362
comma 1, che afferma: “Nell’interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti
e non limitarsi al senso letterale delle parole”.
Quindi interpretare vuol dire ricostruire la comune intenzione delle parti così come si è oggettivata nell’accordo
contrattuale.
Comune intenzione delle parti: Innanzitutto, l’interprete deve indagare quale sia la comune intenzione delle parti,
intesa come:
- NON il proposito (intenzione) segregato nella mente di ciascun stipulante
- ma la comune intenzione delle parti così come si è stata oggettivata nell’accordo
contrattuale
Tale canone presuppone l'esistenza di un testo da interpretare oppure, ove esso
manchi, di dichiarazioni espresse a voce o tramite l’efficacia dimostrativa concludente
dei gesti o dei comportamenti.
Criterio letterale esteso: Per indagare la comune intenzione delle parti, se c’è un testo contrattuale scritto,
allora il primo criterio interpretativo soggettivo è la ricostruzione del senso letterale del testo:
le parole del testo sono l’oggetto da valutare e soppesare.
TUTTAVIA, il legislatore adotta un criterio letterale esteso, infatti subito avverte di
“non limitarsi al senso letterale delle parole”.
Perché? Evidentemente il legislatore è consapevole che il linguaggio giuridico non sempre
coincide con il linguaggio comune, perciò capita spesso che le parti scrivano il testo
del contratto senza avere una perfetta padronanza del lessico giuridico.
In questi casi, limitarsi all’interpretazione meramente letterale potrebbe impedire l’esatta
individuazione della comune intenzione.
Es. in tema di assicurazione il linguaggio giuridico utilizza il termine “premio” per indicare la
somma di denaro che il cliente paga all’assicuratore, mentre nel linguaggio comune il
termine “premio” vuol dire tutt’altro.
Calvo: Dice Calvo: il fatto che si debba adottare un criterio letterale esteso è giusto anche per un altro fattore: dire
“non ci si deve limitare al senso letterale delle parole” è giusto anche perché bisogna tenere conto che il
significato delle parole varia anche in base a elementi contingenti specifici del singolo contratto che si sta
interpretando, perché vanno considerate le qualità delle parti, il particolare contenuto del rapporto, i bisogni
che esso tende a soddisfare, la prassi tra le parti che eventualmente si era consolidata, ecc.
Di conseguenza, se gli stipulanti hanno instaurato una procedura abituale ovvero raggiunto un'intesa
sul significato extra-tipico da assegnare a certi termini o segni, allora allo standardizzato codice
sociale si sostituirà inter partes quello atipico o personalissimo. Stando così le cose, anche il silenzio
può valere come volizione quando tra le parti sia stata raggiunta un'intesa sul suo valore giuridico.
Corollario: Corollario del criterio letterale esteso è quanto abbiamo già detto in tema di qualificazione giuridica del
contratto: il giudice NON è vincolato al nomen iuris utilizzato dalle parti, essendo libero di qualificare il
contratto in modo diverso.

133
NO “in claris non fit interpretatio”: Vi è un insegnamento della Cassazione molto risalente, che però la dottrina rifiuta
rigidamente, che si racchiude nel brocardo latino che recita “in claris non fit
interpretatio, cioè se il tenore letterale del contratto è chiaro, allora non vi sarebbe
spazio per procedere a un’operazione di tipo interpretativo.
La dottrina è contraria a ciò: tale brocardo è palesemente contraddittorio perché per
stabilire se le parole del contratto sono chiare, bisogna interpretarlo quel contratto. È una
contraddizione in termini dire che, se le parole sono chiare, non occorre procedere
all’interpretazione.
Minervini: Minervini dice: credo che le Corti che talvolta impiegano questo brocardo lo
utilizzino come massima di buon senso più che altro per dire ai giudici: guardate
che se il tenore del contratto è chiaro, non lanciatevi in interpretazioni che si
discostino troppo dal suo chiaro tenore letterale.
- art. 1362 comma 2: interpretazione globale
Per ricostruire la comune intenzione delle parti, oltre al criterio letterale, è necessaria una interpretazione globale del
comportamento delle parti. Infatti, è necessario considerare anche le finalità concretamente perseguite dalle parti,
le quali possono desumersi tenendo conto, oltre che del senso letterale del testo contrattuale, anche da elementi
extratestuali, e cioè considerando il comportamento complessivo dei contraenti:
- i comportamenti PRECEDENTI alla
conclusione del contratto: il comportamento precedente è costituito dalle trattative attraverso
le quali le parti sono giunte alla conclusione dell'accordo.
Si ritiene giustamente che le condotte premonitrici dell’accordo
(trattative, invio di lettere di intenti, bozze o minute et similia) possano
concorrere ab externo a svelare la comune intenzione dei contraenti.
- i comportamenti SUCCESSIVI alla
conclusione del contratto: anche il comportamento successivo vale ad accertare il senso che le parti
hanno concretamente riconosciuto al loro accordo.
Il comportamento successivo può consistere in ulteriori dichiarazioni
delle parti e soprattutto nell'attività esecutiva.
Es. se si tratta di un contratto di durata, è rilevante il modo in cui le parti
lo hanno eseguito sino al momento in cui è sorta la controversia.
- art. 1363: interpretazione sistematica
L’art. 1363 disciplina il criterio di interpretazione sistematica (unitaria), affermando: “Le clausole del contratto si
interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.”
Calvo in proposito parla di divieto di interpretazione frammentaria del testo contrattuale: le clausole contrattuali
vanno interpretate:
- NON in modo frammentario o isolato
- ma in modo coordinato tra loro, quindi le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso
avvalorato dal complesso dell’atto.
Quindi l’interpretazione deve essere UNITARIA, cioè deve abbracciare la complessità delle clausole concordate
(ancorché nulle o annullabili), acclarato che la fattispecie negoziale è destinata a produrre gli effetti programmati
tramite la connessione logica delle proposizioni che la compongono.
Si vuole evitare l’elaborazione di interpretazioni distorcenti la ratio essendi del contratto mediante la lettura isolata
di singoli frammenti dalla cornice negoziale.
Estensione della giurisprudenza: La giurisprudenza, ampliando questo criterio di interpretazione sistematica, dice che
devono essere lette in modo coordinato tra loro anche i documenti tecnici
eventualmente allegati al contratto stesso.
Es. al contratto di vendita di un fondo sono allegate delle planimetrie: potrebbe
accadere che nell’interpretazione di una certa clausola, ad es. la clausola che
costituisce una servitù di passaggio sul fondo alienato, clausola che mi sembra
oscura, elementi di chiarezza mi vengono forniti dalle planimetrie allegate al
contratto stesso.
- artt. 1364 - 1365
Gli ultimi due criteri di interpretazione soggettiva sono:
- art. 1364: L’art. 1364 afferma: “Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non
comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare”.
Spesso le parti, per fini pratici e di semplicità, usano espressioni ampie ed omnicomprensive,
ma il giudice deve valutare se l’espressione ampia utilizzata sia in realtà stata utilizzata per un
oggetto molto più limitato.

134
Es. se prendiamo ad esempio il contratto di transazione, questo è un contratto con cui le parti,
facendosi reciproche concessioni, compongono una lite già portata in giudizio o non ancora.
In questo tipo di contratto è molto frequente che vi sia una clausola di chiusura in cui si dice
“per effetto della presente transazione, le parti dichiarano reciprocamente di non aver più
nulla a pretendere a qualsiasi tipo, causa o ragione”.
Ecco, in base all’art. 1364, questa espressione “dichiarano di non avere più nulla a
pretendere…” deve essere interpretata in senso restrittivo, cioè la reciproca circostanza che
non ci sia più nulla a pretendere è rapportata al solo rapporto pur controverso oggetto della
transazione, ma non anche in relazione ad altri possibili rapporti intercorrenti tra gli stessi
soggetti.
- art. 1365: L’art. 1365, rubricato “indicazioni esemplificative”, afferma: quando in un contratto si è espresso
un caso al fine di spiegare un patto (cioè si è fatto un esempio), si presumono inclusi i casi
non espressi, ai quali può estendersi lo stesso patto secondo ragione.
Che significa? Capita di frequente che le parti ricorrano ad una semplificazione formulando un
esempio. Es. nel contratto di compravendita può capitare che le parti scrivano:
“la parte venditrice garantisce che il bene è libero da qualsiasi diritto reale di
godimento di terzi, come ad esempio le servitù”.
Ora, il legislatore con l’art. 1365 ha voluto dire che se le parti formulano un esempio che fa
riferimento ad un caso, si presumono inclusi anche altri casi a cui il patto può estendersi secondo
ragione.
Nel nostro esempio, le parti hanno voluto indicare che il bene è esente non solo da qualsiasi
servitù, ma in generale da qualsiasi peso che astrattamente possa gravare su un bene.
La servitù era soltanto un esempio: le parti non hanno detto che il bene è esente soltanto da
servitù, ma dicono in generale che è esente da qualsiasi diritto di terzo, come una servitù,
quindi vi rientrano anche l’ipoteca, il pegno, ecc, che sono casi non espressi, ma a cui si può
ragionevolmente estendere lo stesso patto.
Minervini: Talvolta si sente parlare riguardo all’art. 1365 di interpretazione presuntiva, ma in realtà
è un’espressione che non ritengo corretta.

ART. 1366: INTERPRETAZIONE SECONDO BUONA FEDE


Tra il gruppo di norme interpretazione soggettiva e il gruppo di norme di interpretazione oggettiva c’è una sorta di
norma-ponte rappresentato dall’art. 1366, che occupa un posto a sé stante nel settore dell’interpretazione,
disciplinando il criterio interpretativo della buona fede.
L’art. 1366 dice: “Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede”.
La norma è molto enigmatica nella sua brevità. Perché? Perché in qualsiasi modo si voglia intendere l’interpretazione
secondo buona fede, non si riesce a fare un passo in avanti e a risolvere il problema della interpretazione, perché:
- se si vuole far riferimento alla buona fede oggettiva, cioè la correttezza, è ovvio che il giudice debba
interpretare il contratto correttamente
- se si vuole far riferimento alla buona fede soggettiva, e cioè l’ignoranza di ledere l’altrui diritto, è ovvio che
il giudice deve interpretare il contratto in modo da non
ledere gli altrui diritti.
Quindi, così interpretato, l’art. 1366 sembrerebbe una norma inutile.
Ecco perché la dottrina ha riflettuto a lungo su come interpretare l’art. 1366.
Calvo: Calvo ritiene che per dare un senso all’art. 1366, si può sostenere che nell’interpretare il contratto secondo
buona fede il giudice dovrebbe essere guidato da due scopi:
- evitare interpretazioni cavillose che il contraente smaliziato ha interesse a proporre nei confronti
dell’altro per evitare conseguenze a lui pregiudizievoli
- cercare di individuare il significato su cui le parti
avevano riposto il loro affidamento: cioè se il giudice si trova di fronte a tante interpretazioni
possibili, allora dovrebbe prediligere quella che a suo
avviso ha potuto creare affidamento delle parti al
momento della stipula del contratto.

135
NORME DI INTERPRETAZIONE OGGETTIVA
Secondo la teoria dottrinale della sequenza gerarchica, se con i criteri di interpretazione soggettiva il giudice
non è stato in grado di sciogliere il nodo rispetto alla comune intenzione delle parti, allora occorre applicare
sussidiariamente le norme di interpretazione oggettiva.
Scopo: Le norme di interpretazione oggettiva:
- NON hanno il fine di ricostruire la comune intenzione delle parti
- ma hanno il fine di dare un senso oggettivo all’autoregolamento, cioè un significato appagante al contratto
o alla clausola rimasti oscuri o ambigui.
Natura sussidiaria: Secondo la dottrina tradizionale, le norme sull’interpretazione oggettiva hanno natura sussidiaria,
cioè si applicano solo se le norme di interpretazione soggettiva non hanno portato risultati.
Ricordiamo che Calvo NON è affatto di questo parere, anzi rinnega che esista una gerarchia tra le
norme di interpretazione.
- art. 1367: interpretazione utile
Il primo criterio di interpretazione oggettiva è definita dalla dottrina criterio di interpretazione utile.
Nozione: Secondo l’art. 1367 cc, nel dubbio, se le clausole del contratto se sono oscure e ambigue, allora devono
essere interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto e NON nel senso secondo cui non
avrebbero effetto.
Quindi, se per superare l’ambiguità del testo, possono ammettersi due soluzioni, delle quali:
- l’una assicura un effetto utile alla clausola (cioè che abbia effetto)
- mentre l’altra è devitalizzante (cioè senza effetto utile, ad es. porta alla nullità o annullabilità)
allora si dovrà prediligere la prima interpretazione.
Ratio: Il criterio dell’interpretazione utile costituisce applicazione del principio di conservazione del contratto.
Esempio: L’art. 1350 n. 8 prevede che i contratti di locazione devono essere stipulati in forma scritta a pena di nullità
se la loro durata è superiore a 9 anni (durata ultranovennale). Ora, immaginiamo che Tizio e Caio hanno
stipulato un contratto di locazione a voce, quindi senza forma scritta.
Immaginiamo che dal contratto di locazione verbale non si riesca a comprendere se il contratto sia di durata
superiore o inferiore ai nove anni, allora il legislatore ragiona cosi: se c’è il dubbio e il giudice non sia in
grado di stabilire quale sia l’esatta durata del contratto di locazione, allora deve preferire l’interpretazione
che dà un effetto al contratto, quindi il giudice interpreterà quel contratto nel senso che ha una durata
inferiore ai 9 anni (perché se invece dicessi che quel contratto è ultranovennale, allora il contratto sarebbe
nullo per difetto di forma scritta).
Clausole di stile: Un problema si è posto con riferimento alle clausole di stile, cioè quelle clausole inserite nel
contratto non perché realmente volute delle parti ma inserite per prassi, ad es. il notaio che inserisce
alcune clausole di stile semplicemente per prassi notarile).
Dice la Cassazione: anche con riferimento alle clausole di stile è APPLICABILE il criterio
dell’interpretazione utile: se il giudice ha il dubbio sul se una certa clausola di
stile fosse o non fosse realmente voluta dalle parti, allora deve scegliere la prima
alternativa, e cioè applicare il principio di conservazione anche alle clausole di
stile.
- art. 1368: usi interpretativi (pratiche generali interpretative)
Sulla scia della norma precedente, l’art. 1368 afferma che nel dubbio, se le clausole del contratto sono oscure o
ambigue, esse vanno interpretate secondo la prassi consolidatasi nel luogo ove il contratto è stato concluso o nel
luogo in cui è la sede dell’impresa.
Es. immaginate un mercato ortofrutticolo di Napoli: i privati che frequentano quel mercato intendono in un certo
modo una certa espressione, ad es. “mele di seconda scelta” viene intesa in un certo modo. Se le parti non hanno
specificato diversamente, allora la clausola andrà interpretata come viene usualmente interpretata secondo la
prassi consolidatasi nel luogo ove il contratto è stato concluso.
Comma 2: Al comma 2 viene aggiunto un piccolo dettaglio: nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore le
clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui ha sede
l’impresa.
- art. 1369: espressioni con più sensi
Le espressioni, per quanto il parlare o lo scrivere possa essere raffinato, spesso hanno più significati diversi.
E allora il legislatore all’art. 1369 afferma: se le espressioni del contratto possono avere più sensi (significati), allora nel
dubbio devono essere intese nel senso più conveniente alla natura e
all’oggetto del contratto.
Alcuni parlano di interpretazione funzionale.

136
- art. 1370: interpretazione nel senso più favorevole all’aderente (o anche detta “contro il
predisponente”)
Dell’art. 1370 cc abbiamo già parlato nelle condizioni generali di contratto: esso ci consegna la regola
dell’interpretazione contro l’autore della clausola. Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in
moduli/formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'aderente (in quanto
contraente debole).
La regola dell'interpretazione nel senso più favorevole all’aderente (o contro il predisponente) pone in capo al
predisponente due oneri: 1) onere di evitare ambiguità nel testo del contratto
2) onere di rendere conoscibili le condizioni
La regola dell’interpretazione contro il predisponente prevale sulla regola che impone di interpretare le clausole
ambigue secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo di conclusione del contratto e nella sede dell’impresa (art.
1368).
Questione dibattuta: Molti ritengono che, in caso di condizioni generali del contratto, l’art. 1370 sia l’unica norma
applicabile. Perché? Perché dice la dottrina:
- se un contratto è frutto di trattative tra le parti, allora ha senso ricercare la comune
intenzione delle parti utilizzando tutte le
norme del codice sull’interpretazione,
quindi le norme di interpretazione
soggettiva e oggettiva
- ma se il contratto NON è frutto di trattativa,
ma è predisposto unilateralmente tramite
condizioni generali del contratto: allora in questo caso NON avrebbe senso ricercare la
comune intenzione delle parti, considerando che le
condizioni sono state unilateralmente predisposte dal
predisponente. Di conseguenza, NON avrebbe senso
applicare le norme di interpretazione soggettiva e
oggettiva.
Avrebbe più senso applicare unicamente e seccamente
soltanto l’art. 1370.
- art. 1371: interpretazione equitativa
L’ultima norma di interpretazione del contratto è l’art. 1371 cc è, rubricato “Regole finali”.
È una regola di chiusura: il legislatore si pone il problema di ciò che deve avvenire se, nonostante l’impiego di tutte le
norme di interpretazione del contratto, resti un vuoto interpretativo.
Se il giudice, nonostante l’utilizzo di tutte le norme di interpretazione, NON è riuscito a ricostruire:
- né la comune intenzione dei contraenti (in base alle norme di interpretazione soggettiva)
- né a dare un significato oggettivo appagante al contratto o alla clausola oscura (in base alle norme di
interpretazione oggettiva),
e dunque il contratto o la clausola sono rimasti oscuri o ambigui, allora il giudice deve applicare un’ultima norma
di interpretazione: il contratto deve essere interpretato:
- nel senso meno gravoso per l'obbligato, se il contratto è a titolo gratuito
- e nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se il contratto
è a titolo oneroso.

Interpretazione autentica
Infine, Calvo approfondisce il tema della interpretazione autentica: le parti, contestualmente o dopo la stipula del
contratto, possono stringere un’intesa volta ad attribuire il giusto e univoco significato alle sottostanti clausole
contrattuali oggetto di questioni interpretativi, quindi togliendo ogni possibile dubbio nascente dalle ambiguità del
testo in merito alla comune intenzione.
Natura: Accordi di questo genere sono tendenzialmente da ricondurre nell’area dei negozi di accertamento, in quanto
destinati a risolvere un contrasto circa il significato precettivo da attribuire alla preesistente lex contractus.
Tuttavia, dice Calvo: non si può escludere che l’interpretazione autentica generi un effetto novativo, nella
misura in cui, tramite l’enunciazione del significato da attribuire alla volontà privata,
ne derivino conseguenze che il giudice non avrebbe potuto trarre dalla lettura del testo.
Vincolo per il giudice: L’interpretazione autentica VINCOLA il giudice, il quale NON può andare contro l’interpretazione
autentica.
Vincolo per le parti: Lo stesso valore vincolante si riverbera sulle parti: se una delle due, ritornando sui suoi passi,
contestasse la giustezza dell’accordo interpretativo autentico proponendo una lettura alternativa,
infrangerebbe il divieto di agire in modo contraddittorio.

137
CAP.13
LE PARTI
NON è un elemento essenziale: Se leggiamo l’art. 1321 cc, afferra: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere un rapporto patrimoniale”, quindi parla di “parti”.
L’art. 1321 fa un esplicito riferimento alle “parti”, però poi quando l’art. 1325
ricostruisce gli elementi essenziali del contratto (accordo, causa, forma, oggetto)
NON prevede le parti. Quindi restano sullo sfondo.
Parte come centro di interessi: Quando parliamo di “parte” NON si fa riferimento al concetto di soggetto.
Infatti bisogna distinguere le due nozioni:
- soggetto: è il soggetto di diritto inteso come centro di imputazione giuridica
- parte: la parte contrattuale è il “centro di interesse”, cioè il titolare del rapporto
contrattuale nei cui confronti si produrranno gli effetti del contratto.
La nozione di parte prescinde dai soggetti.
Parte unisoggettiva o plurisoggettiva: Proprio in virtù di questa differenza tra soggetto e parte, una parte contrattuale,
intesa come centro di interesse, può essere composta da un solo soggetto o da
più soggetti, ma resta sempre UNA SOLA parte.
Quindi nell’ambito dei contratti bilaterali si possono distinguere:
- parte unisoggettiva: quando una parte contrattuale è composta da un solo
soggetto
- parte plurisoggetiva: quando una parte contrattuale è composta da due o più
soggetti. La parte contrattuale, pur essendo composta
da più soggetti, resta UNITARIA perché comunque
c’è UN SOLO centro di interesse.
Es. in un contratto di compravendita ci sono sempre e
soltanto 2 centri di interesse:
- UNA parte venditrice
- e UNA parte acquirente,
anche laddove i soggetti per ogni parte siano più di uno.
Se nel caso concreto il venditore è 1 ma gli acquirenti
sono 7, la parte acquirente è SEMPRE UNA SOLTANTO,
nonostante sia composta da 7 soggetti.
Il contratto plurilaterale: Dall’art. 1321 si legge “è l’accordo di due o più parti…”. Quindi, il contratto può essere:
- contratto bilaterale: quando vi sono due centri di interesse
- contratto plurilaterale: quando vi sono più di due centri di interessi.
All’interno dei contratti plurilaterali si distingue tra:
- contratti plurilaterali
CON comunione di scopo: sono contratti plurilaterali in cui la comunione di scopo è lo
scopo unico e comune, per cui tutte le parti sono spinte da un
interesse in comune con quello degli altri contraenti.
Tra i contratti con comunione di scopo vi sono:
a) contratti di società
b) contratti di associazione
c) contratti di consorzio
- contratti plurilaterali
SENZA comunione di scopo: sono contratti plurilaterali in cui ciascun contraente è
spinto alla conclusione per un interesse proprio, distinto da
quello degli altri contraenti.
Tra i contratti senza comunione di scopo abbiamo:
a) transazione plurilaterale
b) contratto di divisione
patrimoniale: è quell’accordo tra i titolari di un bene in
comune che ha per oggetto lo scioglimento
della comunione, a seguito del quale ogni
parte diventa proprietario della propria
porzione del bene attribuitagli.
Es. se c’è un fondo che deve essere diviso tra 5 fratelli,
lo scopo è unico (dividere), ma ogni fratello ha un
interesse diverso: avere la propria quota.

138
Il contratto unilaterale: Per contratto unilaterale:
- NON si intende il contratto con una sola parte: NON esiste giuridicamente un contratto
che possa essere stipulato da una sola
parte, perché le parti devono essere
quantomeno due (struttura quantomeno
bilaterale) per parlarsi di “accordo” tra due
o più parti
- per “unilaterale” si intende la direzione della prestazioni, e infatti contratto unilaterale è
un modo di chiamare il contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente ex art. 1333 (quindi a carico di una sola parte).
Parte in senso formale e in senso sostanziale
Quando si parla di “parte” contrattuale, bisogna distinguere tra:
- parte del contratto in senso formale: è l’autore materiale del contratto, cioè colui che emette la
dichiarazione contrattuale
- parte del contratto in senso sostanziale: è il titolare del rapporto contrattuale, quindi è il centro di interesse
nei cui confronti si produrranno gli effetti del contratto.
Di solito queste due nozioni coincidono in capo allo stesso soggetto, cioè normalmente la parte in senso sostanziale è
lo stesso soggetto che è parte formale.
Vi sono però una serie di eccezioni in cui queste due nozioni non coincidono, es. nella rappresentanza diretta
Determinatezza delle parti: Relativamente alla parte, è necessario che le parte sia determinata o quantomeno
determinabile. In particolare:
- la parte in senso formale deve essere SEMPRE determinata
- la parte in senso sostanziale deve essere determinata o determinabile.
Determinabilità: È ammesso che il vincolo contrattuale
possa costituirsi in capo ad una parte in
senso sostanziale non ancora determinata
ma determinabile, tutte le volte in cui
questa incertezza non esclude il sorgere
di diritti/obblighi contrattuali.
Es. - contratto per conto di chi spetta
- contratto per persona da nominare
Identificazione delle parti: Nella maggior parte dei contratti stipulati quotidianamente (contratti di massa), il
problema della identificazione non si pone perché sono contratti che avvengono
istantaneamente. Es. se compriamo il biglietto della metropolitana, noi ci identifichiamo
solo attraverso le nostre sembianze fisiche.
TUTTAVIA, ci sono alcuni contratti dove si pone il problema della identificazione.
Es. i contratti che vanno compilati inserendo le generalità.
Diversi tipi di contratti in base alla identificazione: Proprio in base al diverso configurarsi dell’identificazione
delle parti distinguiamo tra:
a) contratti personali (cd. intuitu personae): sono contratti in cui l’identificazione delle parti è
necessaria in quanto l’identità del contraente è
determinante del consenso perché rilevano le specifiche
qualità personali di questo.
Quali sono i contratti intuitu personae?
- il mandato
- il contratto di lavoro
b) contratti a soggetto indifferente: sono quei contratti in cui l’identificazione personale è
irrilevante. Es. i contratti di massa.

LA RAPPRESENTANZA
Nozione: La rappresentanza è il potere di un soggetto (rappresentante) di compiere atti giuridici per conto di un altro
soggetto (rappresentato). Quindi la rappresentanza è la legittimazione ad agire nell’interesse altrui.
OGGETTO della rappresentanza: Di regola, oggetto della rappresentanza possono essere:
- tutti i negozi, TRANNE i negozi personalissimi (es. testamento, revoca del
testamento, i negozi familiari)
- SOLO il matrimonio per procura
- qualsiasi atto giuridico lecito (quindi anche atti al di fuori dei negozi)

139
TIPI: Tradizionalmente di distinguono tre ipotesi di rappresentanza:
- rappresentanza volontaria: quando la rappresentanza viene conferita per volontà della parte interessata
- rappresentanza legale: quando la fonte della rappresentanza NON è l'autonomia privata, ma è la legge.
La rappresentanza legale si ha in tre casi:
- in caso di interdizione  l’interdetto è legalmente rappresentato dal tutore
- in caso di inabilitazione  l’inabilità è legalmente rappresentato dal curatore
- in caso di soggetto minore d’età  il minore è legalmente rappresentato dal
genitore.
- rappresentanza organica: quando si tratta di persone giuridiche (es. società), sappiamo che si tratta di
creazioni di diritto che manifestano la loro volontà contrattuale per il tramite di
una o più persone fisiche, ad es. gli amministratori della società.
Quindi, per ogni persona giuridica, vi è un organo monosoggettivo (es.
amministratore unico) o plurisoggettivo (es. consiglio di amministrazione) che ha il
potere di rappresentare l’ente all’esterno.
Rappresentanza diretta e indiretta. Potere rappresentativo e Rapporto gestorio
Per poter introdurre la distinzione tra rappresentanza diretta e rappresentanza indiretta, dobbiamo prima distinguere
due concetti che possono intrecciarsi tra loro:
- rapporto gestorio (potere gestorio): il rapporto gestorio è quel rapporto avente mera RILEVANZA INTERNA
tra rappresentante e rappresentato.
Nozione: Il potere di gestione (o potere gestorio) è quel potere che il
rappresentato conferisce al rappresentante di compiere un’attività
giuridica nell’interesse del rappresentato.
Quindi, l’essenza del potere gestorio è l’agire per conto del
rappresentato, quindi nel suo interesse.
Il rappresentante, una volta ricevuto tale potere, si obbliga a
compiere uno o più atti giuridici per conto del rappresentato.
Come si conferisce? Il potere gestorio si conferisce al rappresentante
- solitamente mediante il contratto di mandato
- ma può essere conferito anche con altre figure
contrattuali (es. società, lavoro
subordinato, ecc).
- rappresentanza (potere rappresentativo): la rappresentanza è quel rapporto tra rappresentante e
rappresentato avente RILEVANZA ESTERNA, nei confronti dei terzi.
Qui rileva SE c’è stata o meno la spendita del nome del
rappresentato nel rapporto coi i terzi (cd. contemplatio domini).
• A seconda di come le parti modulano il loro rapporto rappresentativo, si distingue tra:
- rappresentanza DIRETTA
= gestione CON rappresentanza: la rappresentanza diretta è il potere del rappresentante di agire in nome
e per conto del rappresentato.
Si parla di legittimazione ad agire in nome altrui.
La rappresentanza diretta ha una rilevanza sia interna che esterna, quindi implica
l’esistenza dei due rapporti tra rappresentante e rappresentato:
1) il rapporto gestorio avente rilevanza interna, in virtù del quale il rappresentante
si obbliga a compiere un’attività giuridica
per conto del rappresentato.
2) un potere rappresentativo
avente rilevanza esterna, che deriva dalla spendita del nome del rappresentato
da parte del rappresentante nel rapporto coi terzi.
Quindi, ciò che caratterizza la rappresentanza diretta è la spendita del nome del
rappresentato, chiamata contemplatio domini.
Nella rappresentanza diretta:
- il rappresentato è parte sostanziale del contratto: infatti gli effetti del contratto
stipulato tra rappresentante e
terzo si riversano direttamente in
capo al rappresentato
- il rappresentante è parte formale del contratto: è l’autore formale del contratto,
perché è lui che stipula il contratto
col terzo.

140
- rappresentanza INDIRETTA
= gestione SENZA rappresentanza: la rappresentanza indiretta il potere del rappresentante di agire:
- in nome proprio
- ma per conto del rappresentato.
Si parla di legittimazione ad agire in nome proprio.
La rappresentanza indiretta ha una rilevanza SOLO interna, infatti si parla di
gestione senza rappresentanza, perché implica l’esistenza di un SOLO rapporto
tra rappresentante e rappresentato:
1) il rapporto gestorio avente rilevanza interna, in virtù del quale il rappresentante
si obbliga a compiere un’attività
giuridica per conto del
rappresentato.
Nella rappresentanza indiretta:
- NON c’è anche un potere rappresentativo del rappresentante
- NON ha rilevanza esterna nel rapporto coi terzi
- NON c’è spendita del nome del rappresentato.
Nella rappresentanza indiretta:
- il rappresentato NON è parte del contratto né formale né sostanziale
- il rappresentante è parte: - formale: è lui l’autore formale del contratto, perché
è lui che stipula il contratto col terzo
- e sostanziale: gli effetti del contratto si riversano
in capo al rappresentante stesso, il
quale dovrà poi trasmetterli al
rappresentato.
La cura dell'interesse del rappresentato
Sia in caso di rappresentanza diretta che in quella indiretta, l’essenza della rappresentanza sta nel fatto che il
rappresentante agisce per conto del rappresentato, quindi nell’interesse di questo.
Domanda: Ma il rappresentante può agire ANCHE nel suo interesse?
La legge NON vieta che il rappresentante possa agire ANCHE nell’interesse proprio. Infatti, la legge si
limita a dire che il rappresentante deve agire nell’interesse del rappresentato, ma non è scritto che
non possa agire anche nel proprio interesse.
Quindi:
- il rappresentante DEVE agire SEMPRE nell’interesse del rappresentato
- il rappresentante PUÒ perseguire ANCHE un interesse proprio
- limite: il rappresentante NON può perseguire un interesse proprio che vada CONTRO gli interessi del
rappresentato: ecco perché nel codice è prevista la disciplina del conflitto di interessi tra
rappresentante e rappresentato.

LA RAPPRESENTANZA DIRETTA
La rappresentanza diretta è il potere del rappresentante di agire in nome e per conto del rappresentato.
Struttura: La rappresentanza diretta ha una rilevanza sia interna che esterna, quindi implica l’esistenza dei due
rapporti tra rappresentante e rappresentato:
1) il rapporto gestorio avente rilevanza interna, in virtù del quale il rappresentante si obbliga a compiere
un’attività giuridica per conto del rappresentato.
2) il potere rappresentativo avente rilevanza esterna, derivante dalla spendita del nome del
rappresentato da parte del rappresentante nel
rapporto coi terzi.
Soggetti: La struttura soggettiva della rappresentanza diretta è:
- rappresentante: è parte in senso formale: è parte formale perché il rappresentante è l’autore del contratto
perché è colui che emette le dichiarazioni negoziali e che
perfeziona il contratto con la sua volontà.
Tuttavia, NON è anche parte sostanziale, quindi:
- NON assume la titolarità del rapporto contrattuale
- NON è destinatario degli effetti del contratto.
- rappresentato: è parte in senso sostanziale: pur non essendo l’autore del contratto, è il rappresentato che:
- assume la titolarità del rapporto
- è destinatario degli effetti del contratto.

141
La spendita del nome
(cd. contemplatio domini): Ciò che caratterizza la rappresentanza diretta, e che consente di distinguerla dalla
rappresentanza indiretta, è la spendita del nome del rappresentato da parte del
rappresentante nel rapporto coi terzi.
Infatti, “spendere il nome del rappresentato” vuol dire esternare il potere rappresentativo:
il rappresentante ha il dovere di rendere edotto il terzo contraente di star agendo in nome
e per conto del dominus (rappresentato).
Fonti: La rappresentanza diretta può avere due fonti diverse:
a) rappresentanza legale
b) rappresentanza volontaria (o negoziale): quando il potere rappresentativo viene conferito dall’interessato
mediante procura ad un soggetto.
Capacità: In caso di rappresentanza volontaria, per la validità del contratto stipulato dal rappresentante la legge
richiede:
- per il rappresentato: - è NECESSARIA la capacità di agire (perché è lui la parte sostanziale).
- sono RILEVANTI le sue eventuali incapacità giuridiche speciali e i suoi impedimenti
soggettivi
- per il rappresentante: - NON è richiesta la capacità di agire
- è NECESSARIA la capacità di intendere e volere
- è RILEVANTE la sua volontà perché è lui l’autore formale del contratto, quindi
rilevano i suoi stati soggettivi (buona fede, mala fede,
ignoranza), A MENO CHE si tratti di elementi
predeterminati dal rappresentato.
Annullabilità del contratto e vizi del consenso: Il contratto stipulato dal rappresentante con il terzo è annullabile nei
seguenti casi:
a) se il rappresentante ha stipulato il contratto in stato di incapacità di
intendere e volere
b) se la volontà del rappresentante era viziata da un vizio del consenso
c) se il vizio del consenso riguarda elementi predeterminati dal
rappresentato, il contratto è annullabile
SOLO SE era viziata la volontà di questo.
Es. il rappresentato viene raggirato da un terzo
in accordo con la controparte che ne trae
profitto.
Giustificazione dei poteri
dal rappresentante (art. 1393): Il terzo, per non rischiare di perfezionare un contratto inefficace, può sempre chiedere
al rappresentante di giustificare i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da atto
scritto, che gliene dia una copia da lui firmata.
Tale art. 1393 pare conferire una semplice facoltà e NON già un onere, di modo che il
suo mancato esercizio non dovrebbe pregiudicarlo.
In caso di dichiarazione mendace del rappresentante, il terzo può:
a) chiedere il risarcimento del danno a titolo di responsabilità extracontrattuale
ex art. 2043 cc contro il rappresentante
b) impugnare il contratto per dolo [dato che abbiamo detto che sono rilevanti gli
stati soggettivi del rappresentante: in questo
caso si tratta di raggiro (dichiarazione
mendace)].
Differenza col nuncio: La rappresentanza diretta si differenzia dal nuncio.
- rappresentante diretto: - è parte formale del contratto
- emette la dichiarazione negoziale
- nunzio: - NON è parte del contratto
- NON emette alcuna dichiarazione negoziale
Il nunzio è un mero portavoce, perché è un soggetto di cui un altro soggetto si
avvale per trasmettere la sua volontà. Quindi il nunzio NON è parte del contratto,
ma è soltanto il tramite per comunicare una volontà altrui.
Procura
Abbiamo detto che la rappresentanza diretta può essere volontaria oppure legale.
Se ci concentriamo sulla rappresentanza diretta volontaria, vediamo il potere di rappresentanza diretta volontaria
è conferito ad un soggetto mediante la cd. procura.

142
Nozione: La procura è l’atto unilaterale autorizzativo con cui un soggetto (rappresentato) conferisce volontariamente
ad un altro soggetto (rappresentante o procuratore) il potere di rappresentarla all’esterno per il compimento
di un atto giuridico verso l’esterno, quindi lo autorizza alla spendita del nome (del rappresentato) nel
rapporto coi terzi, quindi ad agire in nome del rappresentato.
Cosa si conferisce con la procura? Con la procura si conferisce il potere rappresentativo, cioè si conferisce un potere di
compiere uno o più atti giuridici in nome e per conto del rappresentato,
quindi una legittimazione di secondo grado a disporre dei propri diritti per compiere
uno o più atti giuridici.
ATTENZIONE: Con la procura NON si cede il proprio potere di disposizione, il quale
resta in capo al rappresentato.
Effetti: Con la procura si conferisce il potere rappresentativo, quindi si realizza la rappresentanza diretta, di
conseguenza l’effetto della procura è che SE e QUANDO il procuratore (rappresentante) stipulerà il contratto
con un terzo in nome e per conto del rappresentato, allora il contratto stipulato tra rappresentante e terzo
produrrà i suoi effetti direttamente nella sfera giuridica patrimoniale del rappresentato.
Casi di divieto: Ci sono casi in cui NON è ammesso rilasciare procura e quindi NON è ammessa la rappresentanza
volontaria.
La rappresentanza volontaria NON è ammessa per quei negozi cd. personalissimi, cioè quei negozi
che, per legge, possono essere compiuti SOLO dal titolo del diritto.
Es. la donazione; il testamento.
Procura generale e speciale: Si distingue tra:
- procura generale: la procura è generale quando il rappresentato conferisce al
rappresentante il potere rappresentativo di compiere qualsiasi atto
giuridico non eccedente l’ordinaria amministrazione (atti che non
comportano la disposizione di beni né rischi per il patrimonio, ma si
limitano alla gestione ordinaria).
Es. Tizio rilascia una procura al fratello di compiere in suo nome qualsiasi
atto giuridico che ritiene necessario.
Limite: La procura, quand’anche sia generale, NON comprende atti di
straordinaria amministrazione che non siano in essa
specificamente indicati.
Durata: La procura generale ha una durata potenzialmente illimitata.
Le cause di estinzione della procura generale sono:
- la morte del rappresentante/rappresentato
- la revoca della procura da parte del rappresentato
- procura speciale: la procura è speciale quando il rappresentato conferisce al
rappresentante il potere rappresentativo di compiere uno o più atti
giuridici specificamente determinati dal rappresentato.
Es. Tizio rilascia una procura al fratello di comprare un garage: in questo
caso i poteri del rappresentante sono limitati all’acquisto del garage.
Natura giuridica: La procura:
- è un negozio unilaterale: ciò è coerente coi principi generali dell’ordinamento, i quali
tra vivi avente affermano che un atto unilaterale può incidere nella sfera giuridica
contenuto di un soggetto solo se produce effetti giuridici favorevoli.
patrimoniale E certamente l'attribuzione del potere rappresentativo è un effetto
giuridico favorevole perché amplia la sfera di disponibilità del
rappresentante
ATTENZIONE: Essendo un negozio unilaterale, capiamo che la procura
NON è un contratto
- è di tipo astratto: è un atto unilaterale che produce i suoi effetti a prescindere dal rapporto
sottostante interno tra rappresentante e rappresentato
- è di tipo autorizzativo: con la procura si autorizza il rappresentante a compiere uno o più atti
giuridici in nome e per conto del rappresentato.
Quindi sostanzialmente la procura è un’autorizzazione privata che
consente di rimuovere un limite di legittimazione contrattuale, nel
senso che se non ci fosse la procura il rappresentante non potrebbe
compiere tali atti.
- è recettizio: la procura produce effetti nei confronti del rappresentante nel momento in cui
entra nella sua sfera di conoscibilità.

143
NO accettazione: La procura, in quanto atto unilaterale recettizi:
- NON richiede l’accettazione del destinatario rappresentante
- produce effetti automaticamente nel momento in cui entra nella sfera di conoscibilità
del rappresentante.
Quindi la procura sostanzialmente si perfeziona con la sola dichiarazione di volontà del rappresentato.
NON è un obbligo per il rappresentante: Proprio perché la procura è un atto unilaterale recettizio che non richiede la
accettazione del destinatario, è ovvio che, a seguito della procura, al
rappresentante:
- viene attribuito il potere di agire in nome e per conto del rappresentato
per compiere uno o più atti giuridici
- ma NON ha l’obbligo di utilizzare tale potere.
Infatti, con la procura, NON sorge un dovere in capo al procuratore di compiere
l’atto per il quale ha ricevuto il potere.
La procura:
- è fonte di un potere rappresentativo per il rappresentante
- ma NON è fonte di obbligo per il rappresentante
Es. Tizio rilascia una procura a Caio. A Caio dunque viene attribuita una posizione
solo attiva, quindi un potere, ma NON gli si impone un obbligo: il
rappresentante Caio:
- se vorrà, ha il potere di compiere atti in nome e per conto del rappresentato
- ma se non vorrà, non subirà alcuna conseguenza: semplicemente il
rappresentante non se ne
servirà mai.
Recettizietà: La procura:
- è un negozio recettizio nei confronti del rappresentante: la procura produce effetti nei confronti del
rappresentante SOLO quando entra nella
sfera di conoscibilità del rappresentante.
- NON è un negozio recettizio nei confronti del terzo: l’art 1393 cc dice che il terzo che contratta
con il rappresentante può sempre esigere che
questo giustifichi i suoi poteri.
Dunque, essendo una facoltà del terzo quella di
esigere che il rappresentante giustifichi i suoi
poteri, NON c’è la necessità che la procura sia
conosciuta dal terzo, quindi nei confronti del
terzo la procura NON sarebbe recettizio.
Disciplina: Alla procura si applica la disciplina dei contratti perché l’art. 1324 cc afferma: “Le norme sui contratti
si applicano, in quanto compatibili, ai negozi unilaterali tra vivi avente contenuto patrimoniale”,
quale è la procura.
Forma: La forma della procura è per relationem, cioè richiede la STESSA FORMA richiesta per il contratto che il
rappresentante è stato autorizzato a concludere.
Se il rappresentante è stato autorizzato a compiere atti che non richiedono una forma scritta, allora
la procura è un atto a forma libera: può essere conferita oralmente o per comportamenti concludenti.
Prova della procura: A seconda delle situazioni, la prova spetta a:
A) se il terzo che contratta con chi si dichiara rappresentante chiede a quest’ultimo di
giustificare i suoi poteri, allora è il rappresentante a dover fornire la prova
dell’esistenza e il contenuto della procura
B) se sorge una contestazione sull’esistenza e sui limiti del potere di rappresentanza, allora
è il terzo contraente a dover fornire la prova dell’effettiva sussistenza di tale potere
Nullità della procura: La procura deve ritenersi nulla quando la causa è illecita oppure non esiste.
La nullità della procura NON può essere opposta a terzi che abbiano fatto ragionevole
affidamento su di essa. Infatti, sul principio di invalidità prevale il
principio dell’apparenza imputabile al rappresentato.
Revoca: In generale, la procura è un atto revocabile (in teoria ci sono casi di procura irrevocabile).
La revoca della procura è un negozio unilaterale con cui il rappresentato:
a) o estingue il potere del rappresentante privando di efficacia la procura
b) o modifica il potere del rappresentante (cd. revoca parziale)
Conseguenze: Dal momento in cui il rappresentante viene a conoscenza della revoca, questi deve astenersi
dallo svolgere qualunque attività rappresentativa.

144
Forma: La revoca può essere:
a) espressa
b) tacita: si ha quando il rappresentato tiene un comportamento incompatibile con la volontà di
mantenere il potere di rappresentanza al rappresentante. Es. Tizio, che aveva rilasciato la
procura a Caio, nomina il rappresentante Sempronio per il compimento dello stesso affare
per cui aveva rilasciato la procura a Caio il mese prima.

Il contratto di mandato
Abbiamo già sottolineato un aspetto della procura: la procura comporta la semplice attribuzione di un potere
rappresentativo, ma non obbliga il rappresentante ad utilizzare tale potere.
Per ovviare a ciò, se il rappresentato intende obbligare il rappresentante ad utilizzare il potere rappresentativo datogli,
non è sufficiente la procura, ma sarà necessario affiancarvi il contratto di mandato.
Il contratto di mandato, a differenza della procura (che è un atto unilaterale), è un CONTRATTO.
Abbiamo anticipato già il mandato quando abbiamo parlato del rapporto gestorio avente rilevanza interna tra
rappresentante e rappresentato: il potere gestorio si conferisce al rappresentante generalmente col contratto di
mandato.
Fonte: Art. 1703 cc.
Nozione: Il contratto di mandato è un contratto con cui una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici a favore
dell'altra, quindi:
- con la procura, Tizio (rappresentato) conferisce a Caio (rappresentante) il potere rappresentativo di
compiere un determinato atto giuridico in nome e per conto del rappresentato
- con il mandato, il mandatario Caio (rappresentante) si OBBLIGA a compiere quel determinato atto
giuridico per conto dell’altra parte (il mandante)

LE PATOLOGIE DELLA RAPPRESENTANZA


Nell’ambito delle rappresentanza diretta sono possibili anche ipotesi patologiche, tra le quali
- il conflitto di interessi
- il difetto di potere rappresentativo (falsus procurator)
- la rappresentanza apparente
Vediamoli singolarmente.
A) Il conflitto di interessi
Il rappresentante diretto, quando si determina a contrarre in nome e per conto del rappresentato, è tenuto ad agire in
modo da perseguire l’interesse del rappresentato.
Tuttavia, è evidente che la rappresentanza diretta espone al rischio del conflitto di interessi: il rappresentante
potrebbe agire sacrificando l’interesse del rappresentato al fine di appagare un interesse proprio o di un terzo,
stipulando un contratto pur essendo portatore di interessi che si pongono in contrasto con quelli del rappresentato.
Es. il rappresentante che, su procura di vendere un bene, decide di vendere il bene alla propria moglie.
Perchè? In questa ipotesi i due interessi sono INCOMPATIBILI: vi è un conflitto di interessi perché vi è contrasto
tra: - l’interesse del rappresentato a conseguire il prezzo più alto possibile
- e l’interesse del rappresentante, il quale, dato che l’acquirente è sua moglie, ha venduto il bene alla
moglie NON al prezzo più alto possibile, ma al prezzo più basso.
Fonte: Art. 1394 cc
Annullabilità del contratto: Il contratto stipulato in conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato è
ANNULLABILE su domanda del rappresentato (infatti è a tutela del suo interesse).
A quali condizioni?
L’art. 1394 cc stabilisce quali sono le condizioni: il contratto stipulato dal rappresentante in
conflitto di interessi col rappresentato è annullabile SOLO SE sussistono queste condizioni:
1) il conflitto di interessi
deve essere reale: l’esistenza di un conflitto di interessi:
- NON deve essere valutato in astratto: NON è sufficiente la valutazione
dell’astratta possibilità di un
conflitto di interessi tra le parti
- ma deve essere valutato in concreto se si è verificato e se ha avuto
una concreta potenzialità
offensiva.

145
Perché? Perché può accadere che in astratto è configurabile un
conflitto di interessi, ma nel caso concreto esso non sia
verificato.
Casi in cui il conflitto di interessi è sì astratto ma NON concreto, per
cui NON è possibile chiedere l’annullamento dell’atto, sono quei
casi in cui è escluso a priori il rischio del verificarsi del conflitto,
ad esempio:
- se il rappresentato ha autorizzato espressamente il rappresentante
a compiere l’atto, escludendo quindi a priori il rischio
del verificarsi del conflitto.
Es. Tizio rilascia una procura a Caio in cui scrive “vendi
la partita di legna che ho in azienda alla società Z di
cui tu sei socio”.
- se il contenuto del contratto è stato predeterminato dal rappresentato
in modo da escludere la possibilità del conflitto di interessi.
Es. Tizio rilascia una procura a Caio in cui scrive “occupati
di vendere il mio immobile per almeno 10.000 euro:
ora, il fatto che l’immobile venga venduto per 11.000
alla moglie del rappresentante non comporta alcun
danno per il rappresentato, perché ha addirittura
ottenuto 1.000 euro in più rispetto alla cifra fissata
nella procura.
ATTENZIONE: Calvo avverte di un aspetto importante: ove il rappresentato intenda
proporre domanda di annullamento del contratto stipulato dal
rappresentante in conflitto di interessi:
- ha l’onere di dimostrare che il conflitto di interessi è stato reale
- ma NON ha l'onere di dimostrare che ha ricevuto un concreto
danno patrimoniale: infatti, il pregiudizio patrimoniale
NON è elemento costitutivo
dell’azione di annullamento.
2) occorre che il conflitto di interessi:
- sia stato conosciuto
- o comunque fosse riconoscibile
dal terzo contraente utilizzando l’ordinaria diligenza: il giudizio di conoscenza o conoscibilità da
parte del terzo contraente va agganciato ad
un parametro di normale diligenza.
Quindi, dato che l'annullabilità è posta nell'interesse del
rappresentato, il contratto stipulato tra terzo e
rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato
è annullabile su domanda del rappresentato quando:
a) se il terzo contraente era consapevole del conflitto di
interessi
b) se il terzo contraente non era consapevole del
conflitto di interessi ma per
una sua colpa grave (quindi per
mancato utilizzo dell’ordinaria
diligenza).
Al contrario, se il terzo contraente, nonostante l’ordinaria
diligenza, non si è reso conto che il rappresentante stesse
perseguendo un interesse in conflitto con l’interesse del
rappresentato, allora NON può essere pregiudicato e infatti
il contratto è valido, quindi NON è annullabile.
Risarcimento del danno: Il contratto stipulato tra terzo e rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato
comporta è annullabile, quindi il rappresentato può agire in giudizio con:
- con domanda di annullamento del contratto
+ può proporre domanda di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale,
dimostrando di aver ricevuto un danno patrimoniale
a causa del contratto stipulato in conflitto di interessi.

146
• Contratto con se stesso
Un’ipotesi di conflitto di interessi può essere rappresentato dal contratto con se stesso.
ATTENZIONE: Il contratto con se stesso PUÒ rappresentare un’ipotesi di conflitto di interessi, ma NON è una regola.
Fonte: Art. 1395 cc.
Nozione: Il contratto con se stesso è il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, quindi è quel contratto
che il rappresentante conclude nella duplice veste di:
- contraente in quanto rappresentante di un altro soggetto (dominus)
- contraente in quanto “terzo”.
Quindi, le dichiarazioni di volontà promanano dalla stessa persona.
È evidente che il contratto con se stesso segna il punto più elevato del conflitto di interessi perché il
rappresentante sarà combattuto tra l’interesse del dominus che rappresenta e il proprio interesse personale.
Esempi: Facciamo degli esempi, anche per capire quando il contratto con se stesso è un’ipotesi di conflitto di interessi
e quando invece NON lo è:
- contratto con se stesso come ipotesi
di conflitto di interessi: Tizio rilascia una procura a Caio di vendere un certo immobile e Caio,
rappresentante, al prezzo più alto possibile.
Il rappresentante Caio decide di vendere l’immobile a se stesso, quindi
stipula un contratto di vendita a se stesso agendo
contemporaneamente:
- sia come venditore in quanto rappresentante di Tizio
- sia come acquirente.
Questa è un’ipotesi di conflitto di interessi: l’interesse del rappresentante
Caio è quello di acquistare al prezzo più basso, il che ovviamente contrasta
con l’interesse del rappresentato Tizio a vendere al prezzo più alto
possibile. Per tale ragione, essendo i due interessi incompatibili tra loro,
il contratto con se stesso è un’ipotesi di conflitto di interessi, quindi è
annullabile su domanda del rappresentato.
- contratto con se stesso quando
NON è un’ipotesi di conflitto di interessi: abbiamo detto che il contratto con se stesso NON è sempre
un’ipotesi di conflitto di interessi.
Es. il commesso di un negozio che compra allo stesso prezzo di
vendita una maglietta che si vende nel suo stesso negozio:
quindi mette i soldi nella cassa, si fa lo scontrino e
compra la maglia.
In questo caso il commesso agisce contemporaneamente:
- sia come venditore in quanto rappresenta il titolare del negozio
- sia come acquirente
In questo esempio siamo dinanzi sì ad un contratto con se stesso,
ma NON è un’ipotesi di conflitto di interessi perché l’interesse del
rappresentante (commesso) NON è in conflitto con l’interesse del
rappresentato (titolare del negozio).
Annullabilità ed eccezioni: Abbiamo detto che il contratto con se stesso PUÒ configurare un’ipotesi di conflitto di
interessi, e dunque è annullabile, ma NON è una regola. Lo schema è previsto dall’art. 1395:
- regola: presunzione di conflitto di interessi: l’art. 1395 cc introduce una presunzione
semplice di conflitto di interessi. Il contratto
con se stesso si presume concluso in conflitto
di interessi, e quindi è un contratto
ANNULLABILE su domanda del rappresentato
- eccezioni: TUTTAVIA, tale presunzione è vincibile, e allora il contratto con se stesso è
VALIDO, in due ipotesi:
a) se il rappresentante ha ricevuto una
autorizzazione ad hoc dal rappresentato
a stipulare il contratto con se stesso: in questo modo si esclude a priori il rischio
del verificarsi del conflitto.
Es. Tizio rilascia una procura a Caio dicendo
“vendi questo bene ad almeno 1.000.
Se non trovi nessun acquirente, lo puoi
comprare tu se vuoi”.

147
b) se il contenuto del contratto è stato predeterminato
dal rappresentato in modo da escludere
la possibilità del conflitto di interessi. Es. il commesso che acquista un abito nel
negozio dove lavora al prezzo a cui è
venduto normalmente.
Struttura bilaterale: Il contratto con se stesso:
- è un contratto
- NON è un atto unilaterale.
Alcuni hanno tentato di affermare che il contratto con se stesso sia un atto unilaterale, ma è un
errore. Perché?
Il contratto con se stesso è un CONTRATTO perché, pur essendo concluso da una sola persona,
è formato da due parti, ricordando che per parte si intende “il centro di interesse”. Nel contratto
con se stesso abbiamo comunque due diversi centri di interesse, nonostante essi siano
rappresentati da una stessa persona.

B) Il falsus procurator (rappresentanza senza potere o difetto di potere)


La seconda ipotesi patologica della rappresentanza diretta è rappresentata dall’ipotesi del falsus procurator, cioè dalla
rappresentanza senza potere.
Fonte: Art. 1398 - 1399 cc.
Nozione: Si ha difetto di potere di rappresentanza (o falsus procurator o rappresentanza senza potere) quando il
rappresentante agisce:
- o IN DIFETTO di potere rappresentativo, cioè quando il rappresentante abbia agito SENZA essere titolare di
alcun potere rappresentativo.
Ciò si verifica quando il potere rappresentativo:
- o NON è stato conferito (NON è stata rilasciata alcuna procura)
- o è stato sì conferito ma successivamente revocato
e, nonostante ciò, il falso rappresentante (falsus procurator)
abbia stipulato il contratto con un terzo in nome e per conto del
falsamente rappresentato.
- o PER ECCESSO di potere rappresentativo, cioè quando il rappresentante, munito di uno specifico potere
rappresentativo conferitogli dal rappresentato, abbia agito
eccedendo i poteri conferiti.
Es. rilascio una procura a Caio di vendere un mio immobile su un
mio fondo, ma Caio vende tutto il fondo.
Validità ma inefficacia: In caso di difetto o eccesso di potere rappresentativo, il contratto stipulato dal falsus
procurator e terzo contraente è:
- VALIDO: perché ha tutti i requisiti del contratto (accordo, causa, oggetto, forma).
- ma INEFFICACE: il contratto è sì valido, ma ha una INEFFICACIA SOSPESA, cioè
NON produce effetti nei confronti né del terzo contraente né del
falsamente rappresentato fino a che non intervenga una eventuale
ratifica del falsamente rappresentato.
Rilevabilità d’ufficio? L’inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator, oltre che eccepibile dal
falsamente rappresentato, è anche rilevabile d’ufficio?
- giurisprudenza prevalente ritiene di NO.
- Calvo invece dice: il giudice, di fronte a un contratto inefficace per difetto o eccesso
del potere rappresentativo, non può fingere di considerarlo come produttivo
di effetti. Perciò, secondo Calvo, il giudice ne deve tener conto a prescindere
dall’eccezione di parte.
Responsabilità precontrattuale
del falsus procurator: Il falsus procurator è tenuto a risarcire il danno procurato al terzo contraente il quale ha
confidato, senza sua colpa, nell'efficacia del contratto.
Tipo: La responsabilità del falso rappresentante nei confronti del terzo contraente:
- NON è di tipo contrattuale: perché? Perché il falso rappresentante ha stipulato il
contratto in nome e per conto del rappresentato, quindi
NON ha stipulato in nome proprio.
Ecco perché NON può trattarsi di responsabilità
contrattuale.

148
- ma è una responsabilità precontrattuale,
quindi di tipo extracontrattuale: la responsabilità del falsus procurator
consiste nell’aver leso la libertà contrattuale
del terzo perché il falsus procurator,
consapevole dell’inefficacia del contratto a
causa, ha taciuto la circostanza al terzo che in
buona fede ha fatto affidamento sulla
situazione apparente.
Mutuo dissenso (art. 1399): Il comma 3 dell’art. 1399 cc afferma che il terzo e il falso rappresentante possono
d'accordo tra loro sciogliere il contratto prima della eventuale ratifica del falsamente
rappresentato.
Questa possibilità conferma quanto dicevamo prima: il contratto tra terzo e falsus
procurator è comunque valido, quindi comunque con la stipula del contratto si è creato
un rapporto giuridicamente rilevante tra terzo e falsus procurator, il quale giustifica
la possibilità che entrambi, d’accordo tra loro, vogliano porre nel nulla l’accordo.

Ratifica del rappresentato: Abbiamo detto che il contratto stipulato tra falsus procurator e terzo è valido ma ha una
inefficacia sospesa, cioè è inefficace e dunque non produce effetti né nei confronti del
terzo né del falsamente rappresentato fino a quando non intervenga una eventuale
ratifica del falsamente rappresentato.
Ratio: Il falsamente rappresentato, pur non avendo conferito il potere rappresentativo
oppure avendo conferito un potere rappresentativo più ridotto rispetto a quello
utilizzato dal falsus procurator, potrebbe avere comunque interesse al contratto
stipulato dal falsus procurator col terzo, perché magari lo ritiene conveniente.
E allora cosa può fare? Il falsamente rappresentato può fare proprio il contratto
concluso dal falsus procurator mediante l’istituto della ratifica.
Fonte: Art. 1399 cc
Termine? Il Codice civile NON prevede alcun termine per l'esercizio del potere di ratifica
da parte del falsamente rappresentato. Però è anche vero che questa situazione
precaria di inefficacia del contratto NON può protrarsi a tempo indefinito
in pregiudizio del terzo contraente.
E allora il comma 4 dell’art. 1399 accorda un potere al terzo contraente che
consiste in una sorta di diritto di interpellatio, una sorta di actio interrogatoria:
il terzo contraente può assegnare un termine di decadenza al falsamente
rappresentato per l’esercizio del potere di ratifica.
Scaduto tale termine, la ratifica si intende negata, quindi il falsamente
rappresentato NON potrà più ratificare il contratto.
Natura giuridica: Quanto alla natura giuridica, la ratifica da parte del falsamente
rappresentato è un atto equiparabile alla procura, infatti è come se
fosse una procura successiva.
Infatti, anche la ratifica è:
- un negozio unilaterale avente contenuto patrimoniale
- è di tipo autorizzativo perché integra l’iniziale difetto di legittimazione
del rappresentante
- è recettizio nei confronti del terzo contraente.
Effetto: Mediante la ratifica, il falsamente rappresentato ratificante:
- diviene parte sostanziale del contratto concluso dal falsus procurator col terzo
- quindi rende efficace nei propri confronti il contratto, recuperandolo nella propria
nella propria sfera giuridica.
ATTENZIONE: Con la ratifica il falsamente rappresentato:
- NON conclude un nuovo contratto con il terzo
- NON stipula il contratto già stipulato dal falsus procurator
Retroattività: La ratifica ha effetto retroattivo, nel senso che il contratto concluso dal
falso rappresentante, se ratificato dal falsamente rappresentato, produce
effetti nei confronti del rappresentato ratificante DAL MOMENTO DELLA
STIPULA DEL CONTRATTO tra falsus procurator e terzo, come se il contratto
fosse stato stipulato dal rappresentante munito di potere rappresentativo
ab initio.

149
Limite: Per la retroattività della ratifica però è previsto il seguente schema:
- nei rapporti tra falsus procurator
e falsamente rappresentato  la ratifica ha SEMPRE
efficacia retroattiva
- nei rapporti tra falsamente rappresentato
e terzi  se i terzi, dopo la stipula del contratto ma
prima della ratifica hanno acquistato diritti
incompatibili con l'atto dispositivo del
rappresentante, allora i loro acquisti sono fatti
salvi.
Quindi la ratifica NON avrà efficacia retroattiva
nei loro confronti.
Beni immobili: Per i beni immobili bisogna
contemperare questa regola con
la regola della trascrizione: il
diritto del terzo acquirente è
salvo se egli ha trascritto il suo
acquisto prima della trascrizione
della ratifica.
NO ratifica parziale: La ratifica deve corrispondere esattamente alla procura mancante,
quindi NON è consentita la ratifica parziale. Ad es. NON è consentito
dire “ratifico soltanto l’acquisto dei primi tre piani dell'immobile, ma
non ratifico l’acquisto degli altri due piani”.
Forma: La ratifica DEVE essere redatta nella stessa forma richiesta per la validità della
procura.
Es. se la procura avrebbe dovuto essere una procura a comprare un immobile,
allora la ratifica del contratto immobiliare deve essere redatta per iscritto.

C) La rappresentanza apparente
Terza ed ultima ipotesi patologia della rappresentanza diretta è la rappresentanza apparente.
NO codice. Creazione giurisprudenziale: La rappresentanza apparente è un istituto di creazione giurisprudenziale.
Nozione: Il rappresentante apparente è colui che, in base a circostanze univoche, pare essere rappresentante
ma in realtà è PRIVO di poteri rappresentativi.
La rappresentanza apparente si configura quando si verifica la seguente fattispecie:
1) c’è un rappresentante apparente che NON ha ricevuto alcun potere rappresentativo
2) ma c’è anche un rappresentato che, col proprio atteggiamento inerte e tollerante nei confronti
del falso rappresentante, ha concorso a creare la situazione di
apparenza, inducendo in errore il terzo circa la reale esistenza di
un potere rappresentativo in capo al falso rappresentante.
3) c’è un terzo contraente che, senza sua colpa, fa ragionevole affidamento sul fatto che il falso
rappresentante fosse munito di un potere rappresentativo, avendo
valutato anche l’atteggiamento del falsamente rappresentato che
nulla ha fatto per contrastare l’attività del falso rappresentante.
Differenza col falsus procurator: La differenza con l’ipotesi del falsus procurator è:
- in caso di falsus procurator, il falsamente rappresentano NON è a conoscenza
del fatto che il falso rappresentato sta agendo in suo
nome e per suo conto
- in caso di rappresentanza apparente, il falsamente rappresentato è a conoscenza
che il falso rappresentante sta agendo
in nome suo, ma ha un atteggiamento di
tolleranza, infatti resta inerte senza
intervenire per far cessare tale situazione.
Se l’apparenza rileva = contratto efficace: Se il (falsamente) rappresentato, col suo atteggiamento inerte e
tollerante, ha concorso a creare la situazione di apparenza, ALLORA il
contratto concluso dal rappresentante apparente col terzo contraente è:
- VALIDO
- e EFFICACE
nei confronti del falsamente rappresentato e del terzo contraente.

150
Ratio: Apparenza imputabile: Il fondamento dell’efficacia della rappresentanza apparente si
giustifica in base ai principi dell’autoresponsabilità e
dell’apparenza imputabile: chi crea o concorre a creare
l’apparenza di una situazione è assoggettato alle conseguenze di
ciò nei confronti di chi vi abbia fatto ragionevolmente
affidamento.
Quando NON rileva l’apparenza? Il terzo NON può invocare l’apparenza del diritto quando:
a) quando il terzo conosceva o avrebbe dovuto conoscere la situazione reale
utilizzando l’ordinaria diligenza
b) o quando la situazione reale sia stata resa conoscibile tramite l’osservanza
degli oneri di pubblicità-notizia.
Quindi, in questi casi, il terzo NON può chiedere che il contratto stipulato sia
efficace e produca effetti.

151
CAP.14
FATTISPECIE CONTRATTUALI SOGGETTIVAMENTE
VARIABILI
Calvo tratta poi il tema di quelle che chiama “fattispecie contrattuali soggettivamente variabili”.
Calvo in questa parte riunisce tre figure molto diverse: - il contratto per persona da nominare
- la cessione del contratto
- il contratto a favore del terzo.
A) CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE
Prima fattispecie che Calvo analizza nell’ambito delle fattispecie contrattuali soggettivamente variabili è il contratto
per persona da nominare.
Determinatezza delle parti: Quando abbiamo parlato della “parte” contrattuale, abbiamo detto che è necessario che
la parte sia determinata o quantomeno determinabile. In particolare:
- la parte in senso formale deve essere SEMPRE determinata
- la parte in senso sostanziale deve essere determinata o quantomeno determinabile.
Es. contratto per persona da nominare.
NO rappresentanza: Il contratto per persona da nominare NON rientra nel fenomeno della rappresentanza.
Fonte: Artt. 1401 – 1405 cc.
Nozione: Il contratto per persona da nominare è uno schema contrattuale che contiene una cd. riserva di nomina
mediante la quale una parte, nel momento della conclusione del contratto, si riserva la facoltà di nominare,
entro il termine legale o convenzionale, un’altra persona quale parte sostanziale del contratto, che assumerà
diritti e obblighi nascenti da contratto.
Quindi, il contratto per persona da nominare dà luogo ad una parziale indeterminatezza soggettiva perché
rende parzialmente incerta la titolarità finale del rapporto.
Prassi: Nella prassi il contratto per persona da nominare è molto impiegato in due settori:
- nell’area dei contratti preliminari aventi ad oggetto beni immobili
- nell’area delle aste pubbliche: l’istituto del contratto per persona da nominare infatti è nato per la ritrosia di
persone abbienti (nobili) di partecipare ad aste pubbliche, perché era
disdicevole per persone di rango elevato partecipare ad aste pubbliche.
Schema contrattuale: Il contratto per persona da nominare è uno schema contrattuale, NON un contratto tipico,
cioè è una modalità di conclusione di contratto che può valere per una serie di contratti
(compravendita, locazione, ecc).
Contratto valido ed efficace: Il contratto contenente la riserva di nomina, una volta stipulato tra i due contraenti
originari, è VALIDO ed EFFICACE sin da subito, vincolando i due contraenti originari sin dal
momento in cui è concluso.
SE e QUANDO la parte riservante farà la dichiarazione di nomina, allora il contratto
continuerà ad essere valido ed efficace tra terzo nominato e l’altro contraente originario.
Schema: Nel contratto per persona da nominare abbiamo:
1) la parte che si è riservata il potere di nominare un terzo: è parte formale e sostanziale del contratto.
Questo contraente resta parte fino alla
eventuale dichiarazione di nomina di un terzo
entro il termine.
Se invece la parte non effettua alcuna nomina,
allora il contatto si consolida definitivamente in
capo a tale stipulante, quindi questo resterà
parte formale e sostanziale.
2) la controparte originaria: è l’altra parte formale e sostanziale del contratto
- EVENTUALMENTE il terzo nominato: SE il contraente che si era riservato il potere di nomina procede
concretamente alla dichiarazione di nomina di un terzo,
ALLORA questo terzo nominato subentrerà in qualità di parte
sostanziale del contratto con effetto retroattivo.
Riserva di nomina
Nozione: La riserva di nomina è una clausola aggiunta al contratto con cui una parte (contraente originario)
si riserva la facoltà di nominare un terzo successivamente alla stipula del contratto ed entro un termine
(legale o convenzionale), il quale gli subentrerà nella qualità di parte sostanziale del contratto con effetto
retroattivo.
Contratto valido ed efficace: Il contratto contente la riserva di nomina, una volta stipulato tra i due contraenti
originari, è già valido ed efficace.

152
In sostituzione o in aggiunta: La riserva di nomina può prevedere che la nomina del terzo sarà:
- o in sostituzione: se si prevede che con la dichiarazione di nomina il terzo
si sostituirà allo stipulante, diventando lui parte sostanziale del
contratto.
- o in aggiunta: se si prevede che con la dichiarazione di nomina il terzo si aggiungerà
allo stipulante, e quindi entrambi saranno parti sostanziali del
contratto (quindi la parte diventerà plurisoggettiva, essendo formata
sia dal contraente originario nominante che dal terzo
nominato).
Forma: Il codice NON dice nulla in merito. Alcuni autori ritengono che la riserva di nomina non esiga una forma
specifica; altri invece ritengono che debba avere la stessa forma prevista del contratto in cui è inserita.
Differenza tra riserva di nomina e cessione del contratto: La riserva di nomina è DIVERSA dalla clausola che autorizza
la cessione del contratto perché gli effetti sono diversi:
- nomina di un terzo ha effetto retroattivo
- cessione del contratto  NO effetto retroattivo
Dichiarazione di nomina
Se nel contratto è presente la riserva di nomina, allora la parte che si era riservata questo potere di nomina (cd. potere
elettivo) ha la FACOLTÀ di nominare un terzo che gli subentrerà con effetto retroattivo nella qualità di parte
sostanziale del contratto.
Natura negoziale: La nomina è un atto negoziale unilaterale successivo.
È un diritto potestativo: La dichiarazione di nomina è un diritto potestativo, quindi:
- è una facoltà
- NON è un obbligo
pertanto può accadere che la parte legittimata decida di non effettuare mai la dichiarazione
di nomina di un terzo.
Termine: Se il contratto contiene una riserva di nomina, è previsto un termine entro cui effettuare l’eventuale
dichiarazione di nomina?
L’art. 1402 prevede una norma dispositiva (= derogabile), prevedendo:
- termine legale: se le parti nulla stabiliscono, allora il termine per la dichiarazione di nomina deve essere
comunicata alla controparte del contratto “entro 3 giorni dalla stipula del contratto”
- termine convenzionale: comunque le parti hanno la facoltà di pattuire un termine diverso.
Scadenza: Se la dichiarazione di nomina non viene effettuata entro il termine legale o convenzionale, allora
il contratto si consolida tra i due contraenti originari.
Ratio: Il termine per la dichiarazione di nomina serve a garantire che l’incertezza non si protragga troppo
a lungo.
Accettazione o procura anteriore al contratto: Dato che con la dichiarazione di nomina il terzo subentra nel contratto
in qualità di parte sostanziale del contratto, l’ordinamento ha previsto
una tutela per il terzo nominato.
La dichiarazione di nomina effettuata dal contraente originario ha effetto
SOLO SE:
a) è accompagnata dalla accettazione del terzo nominato
b) o esiste una procura anteriore al contratto rilasciata dal nominante
al terzo nominato
Comunicazione alla controparte: La nomina e l’accettazione hanno effetto nei confronti della controparte originaria
SOLO SE comunicate ad essa, entrando nella sua sfera di conoscibilità.
Effetti e retroattività: Se la dichiarazione di nomina è valida, allora il terzo nominato subentra quale parte sostanziale
del contratto in sostituzione o in aggiunta allo stipulante con effetto retroattivo, acquistando
diritti ed obblighi derivanti dal contratto sin dalla data della stipula del contratto.
Quindi, rispetto al terzo nominato, gli effetti del contratto retroagiscono al momento della
stipula.
Forma: In ossequio al principio di simmetria delle forme, la dichiarazione di nomina e l’accettazione/la procura
anteriore al contratto DEVONO avere la stessa forma del contratto stipulato.
Pubblicità della dichiarazione di nomina: La legge si occupa anche della pubblicità della dichiarazione di nomina.
Se per il contratto è richiesta una determinata forma di pubblicità (es. la
trascrizione immobiliare), allora la dichiarazione di nomina e l’accettazione/la
procura anteriore al contratto sono soggetti agli stessi requisiti di pubblicità.
Perché? Perché potrebbero sorgere problemi di affidamento dei terzi creditori:
perciò il codice prevede la disciplina della pubblicità della dichiarazione di nomina.

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Es. in caso di contratto di compravendita di beni immobili, la forma di pubblicità
prevista dalla legge è la trascrizione. E allora anche la dichiarazione di nomina
deve essere trascritta. Perché? Per poterla rendere opponibile a terzi.
Immaginiamo che, una volta concluso il contratto tra Tizio e Caio contenente la
riserva di nomina, Tizio effettui la dichiarazione di nomina del terzo Sempronio
ma nel frattempo, nel tempo trascorso tra la stipula del contratto e la nomina
del terzo, i creditori di Tizio abbiano cominciato un processo esecutivo per agire
sui beni del loro debitore Tizio, magari il bene è stato oggetto di un sequestro
o di un pignoramento.
Se la nomina del terzo non producesse effetti retroattivi, allora il terzo
potrebbe essere danneggiato.
Invece, dato che la nomina del terzo produce effetti retroattivi, se è stata
trascritta, allora la dichiarazione di nomina è opponibile ai creditori del
contraente originario, quindi la trascrizione della dichiarazione di nomina
prevarrà sulla trascrizione del pignoramento.

B) LA CESSIONE DEL CONTRATTO


Seconda fattispecie che Calvo analizza nell’ambito delle fattispecie contrattuali soggettivamente variabili è la cessione
del contratto.
Fonte: Art. 1406 cc.
Nozione: La cessione del contratto è un fenomeno per il quale: nei contratti a prestazioni corrispettive non ancora
eseguite, una parte contrattuale (cedente) può sostituire a sè un terzo (cessionario) col consenso dell’altra
parte contrattuale (ceduto).
Con la cessione del contratto si verifica una modifica del contratto SOLO dal punto di vista soggettivo:
- la titolarità contrattuale viene trasferita ad un altro soggetto: il cessionario subentra nella posizione
contrattuale del cedente, subentrando nel
complesso di diritti e obblighi scaturenti dal
contratto.
- la cessione del contratto NON comporta l’estinzione del contratto né la costituzione di un nuovo
contratto: ecco perché la cessione del contratto è DIVERSA dalla
novazione.
Ambito di applicazione: Un punto delicato sul quale Calvo propone una soluzione molto larga è questa: quali rapporti
contrattuali sono liberamente cedibili?
- l’art. 1406 restringe l’ambito di applicazione della cessione del contratto, perché afferma:
la cessione del contratto è consentita SOLO in caso di contratti a prestazioni
corrispettive se le prestazioni non sono state ancora eseguite.
- Calvo: Calvo invece forza il dato letterale del codice, affermando che la cessione del
contratto è consentita anche in caso di contratti con obbligazioni a carico di una
parte ex art. 1333 cc.
A titolo gratuito o oneroso: La cessione del contratto può essere:
- o a titolo gratuito
- o a titolo oneroso: in questo caso il cedente cede la sua posizione contrattuale al
cessionario contro un corrispettivo in denaro.
Tipi: La cessione può avere titolo: - o in un contratto: si parla di cessione contrattuale
- o nella legge: si parla di cessione legale.
Causa: Dato che la cessione designa in generale i contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un rapporto
contrattuale, essa NON ha una causa propria, ma ha la funzione che di volta in volta giustifica l’operazione (es.
vendita, donazione, traslazione, ecc).
Forma: La cessione del contratto DEVE rivestire la stessa forma richiesta per il contratto che si va a cedere.
Perché? Perché si ritiene che la cessione, essendo un contratto di secondo grado (perché incide e modifica un
rapporto contrattuale sottostante), debba rivestire la stessa forma del contratto di primo grado.
Cessione parziale: È ammessa la possibilità di una cessione parziale del contratto: il cedente:
- NON trasferisce la titolarità di tutta la sua posizione contrattuale
- ma cede soltanto una quota della sua posizione contrattuale, restandone titolare per la quota
non trasferita.

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Struttura trilaterale della cessione
Sul tema della cessione del contratto, ci sono due teorie:
- tesi minoritaria: afferma che la cessione del contratto ha una struttura bilaterale le cui parti sono cedente e
cessionario, in quanto il consenso del contraente ceduto non sarebbe necessario per il
perfezionamento della cessione del contratto
- tesi maggioritaria: la tesi prevalente invece sostiene che la cessione del contratto ha struttura trilaterale.
La cessione del contratto ha struttura trilaterale costituita da 3 figure:
- cedente: è colui che cede la sua posizione contrattuale al cessionario
- cessionario: è la nuova parte contrattuale che sostituisce il cedente
- ceduto: è il contraente originario che non muta la sua posizione.
Perché questa è la tesi prevalente? Perchè per il perfezionamento della cessione del
contratto occorre il CONSENSO di tutti e tre i soggetti.
Ragionamento di Calvo: Anche Calvo ritiene che la cessione del contratto abbia natura trilaterale, dato che per
il perfezionamento della cessione del contratto è necessario il consenso di tutte e tre i
soggetti (cedente, cessionario e ceduto).
Però Calvo compie un ragionamento sul “consenso” alla cessione da parte del ceduto.
Il consenso alla cessione da parte del ceduto può essere:
- contestuale o successivo alla cessione
- ma può essere anche preventivo alla cessione: l’art. 1407 cc consente espressamente il consenso
preventivo, cioè una parte del contratto (il futuro
ceduto), stesso nel contratto stipulato con l’altra
parte (il futuro cedente), può rilasciare il suo
consenso alla futura cessione del contratto,
quindi può autorizzare in anticipo la controparte
(futuro cedente) a cedere in futuro la sua
posizione contrattuale ad un terzo (futuro
cessionario).
Perciò si parla di consenso preventivo.
L’art. 1407 stabilisce: in caso di consenso preventivo, quando
avverrà la cessione del contratto, la sostituzione sarà efficace nei
confronti del ceduto che aveva prestato consenso preventivo:
- o dal momento in cui gli è stata notificata (notificazione)
- o dal momento in cui il ceduto l’ha accettata (accettazione).
Perché è richiesta questa notificazione al ceduto o la sua accettazione?
La notificazione e l’accettazione servono a rendere edotto il ceduto che è
avvenuta la cessione che lui aveva preventivamente autorizzato, e dunque
che la nuova parte contrattuale è il cessionario, e non più il cedente.
In questo modo si evita che il ceduto, rimasto all’insaputa della cessione,
adempia nei confronti del cedente, che invece non è più titolare della
posizione contrattuale.
Calvo svolge una serie di riflessioni su questo “consenso” del ceduto:
- il fatto che il consenso del ceduto possa essere sia preventivo che successivo alla cessione dimostra
che il consenso del cedente:
- NON è un elemento costituivo della “fattispecie” cessione
- ma è comunque un elemento necessario, nel senso che fino a quando non ci sarà il
consenso del ceduto, NON può maturare alcun
legittimo affidamento sull’efficacia della
cessione tra cedente e cessionario.
- anche laddove il consenso della parte
(futuro ceduto) sia stato preventivo, la struttura della cessione RESTA TRILATERALE, perché
è comunque sempre richiesto il consenso di tutti e tre i
contraenti: semplicemente il contraente futuro ceduto ha
manifestato il suo consenso in anticipo rispetto alla cessione.
- l’art. 1407 dice che in caso di consenso preventivo, quando avverrà la cessione, questa sarà efficace
nei confronti del ceduto:
a) o dal momento in cui gli è stata notificata (notificazione)
b) o dal momento in cui il ceduto l’ha accettata (accettazione)

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Domanda: ma che senso ha questa accettazione se il consenso è già stato
prestato preventivamente?
In caso di consenso preventivo, l’accettazione del contraente
ceduto allorquando si verificherà la cessione:
- NON ha valore autorizzativo: la cessione lui l’aveva già
autorizzata preventivamente,
quindi la cessione è già avvenuta,
lui non la sta autorizzando
- ha mero valore ricognitivo: l’accettazione vale come mero
riconoscimento, nel senso che
con l’accettazione il ceduto riconosce
nel cessionario il nuovo titolare del
rapporto contrattuale.
I rapporti tra i soggetti
Ci sono infine tre norme - artt. 1408 - 1409 - 1410 cc - che regolano i tre rapporti tra i tre protagonisti della cessione:
A) Rapporto tra cedente e cessionario (art. 1410)
Con la cessione, il cessionario subentra a pieno titolo nel rapporto contrattuale, quindi il cedente
trasferisce TUTTA la propria posizione contrattuale al cessionario = sia i diritti che gli obblighi
derivanti dal contratto.
Necessario consenso: La posizione del cedente si trasferisce al cessionario per effetto del consenso
del terzo subentrante (cessionario).
Garanzia della validità
del contratto ceduto (nomen verum): Nel momento della cessione, il cedente DEVE garantire al
cessionario la validità del contratto ceduto, cioè deve
garantirgli che il contratto che gli sta cedendo è valido.
Infatti, il cedente risponde se il contratto ceduto è:
- invalido (nullo, annullabile o rescindibile)
- inesistente.
Nomen bonum (comma 2): Il cedente NON deve garantire anche che il contraente ceduto adempirà
la sua prestazione.
Tuttavia, il comma 2 prevede la facoltà per il cedente di assumere
espressamente la garanzia dell’adempimento del rapporto da parte
del ceduto (cd. nomen bonum): in questo caso risponderà come
fideiussore per le obbligazioni del ceduto laddove questo non adempia.
B) Rapporto tra cedente e ceduto (art. 1408)
Dal momento della cessione del contratto, il rapporto tra cedente e ceduto (l’altro contraente
originario) si caratterizza per il fatto che:
- il cedente esce dal rapporto contrattuale, di conseguenza è liberato dalle sue obbligazioni verso il
contraente ceduto.
Si dice che il cedente viene estromesso dal rapporto,
NON dal contratto.
- liberazione del cedente: - regola: il ceduto NON può più pretendere l’adempimento della
prestazione dal cedente
- eccezione: il ceduto può dichiarare di non liberare il cedente dai suoi
obblighi contrattuali. Tale dichiarazione produce effetti
SOLO se il cedente accetta tale condizione.
In caso di inadempimento del cessionario, il ceduto deve
dare avviso al cedente dell’inadempimento del cessionario
entro 15 giorni: il ceduto potrà chiedere l’adempimento
al cedente.
C) Rapporto tra ceduto e cessionario (art. 1409)
Dal momento della cessione del contratto, il rapporto contrattuale prosegue tra cessionario e
ceduto:
- il cessionario: - subentra nella posizione del cedente, assumendo diritti e obblighi contrattuali
- può opporre al ceduto le eccezioni derivanti dal contratto
- il ceduto: - conserva la sua posizione contrattuale originaria
- può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto
- NON può opporre quelle eccezioni fondate su rapporti personali col cedente.

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Differenze tra la cessione del contratto e gli altri istituti codicistici
Differenze con la cessione del credito: La cessione del contratto NON va confusa con la cessione del credito, perché: le
differenze tra i due istituti stanno:
- nell’oggetto: - con la cessione del credito si cede SOLO il lato attivo del rapporto
- con la cessione del contratto si cede tutta la posizione contrattuale,
compresi oneri accessori, prestazioni
secondarie, ecc
- nelle azioni/eccezioni esercitabili dal cessionario:
- con la cessione del credito si cedono SOLO le azioni
volte a recuperare il credito
(azione di adempimento e
garanzie)
- con la cessione del contratto si cedono TUTTE le azioni
relative al contratto
(risoluzione, rescissione,
ecc).
Distinzione con la novazione: La cessione del contratto NON va confusa con la novazione:
- cessione: il rapporto contrattuale NON si estingue, ma permane tra cessionario e ceduto
- novazione: comporta l'estinzione del rapporto contrattuale e la costituzione di un nuovo
rapporto con un diverso soggetto o con un diverso contenuto.
La cessione legale del contratto (cessione ex lege)
Abbiamo detto che la cessione può essere: - convenzionale: quando è frutto di un accordo trilaterale
- legale: quando ha la sua fonte nella legge.
In caso di cessione legale, è il legislatore a disciplinare il fenomeno della cessione in una serie di ipotesi.
Nozione: La cessione legale del contratto è quella cessione che ha la sua fonte nella legge: è il legislatore che ha
valutato quando il rapporto contrattuale si trasferisce da un cedente ad un cessionario.
NO consenso delle parti: La cessione legale NON richiede il consenso delle parti. La cessione del contratto, e dunque il
trasferimento del rapporto, si verifica quando si perfeziona la fattispecie traslativa legale.
Efficacia: La cessione legale acquista efficacia nei confronti del ceduto quando gli è stata notificata dal cedente o dal
cessionario. NON è richiesto né il consenso del ceduto né la sua accettazione.
NO possibilità di opporsi per il ceduto: Se si tratta di cessione ex lege, il ceduto (colui che non muta la sua posizione
originaria) NON ha strumenti per opporsi alla cessione ex lege, proprio perché
questa è imposta dalla legge. Ecco perché NON è richiesto il consenso del
ceduto.
Esempi: Facciamo qualche esempio di cessione del contratto previsti dalla legge:
- Locazione a scopo commerciale: un caso noto di cessione legale è previsto dalla L. 392/1978, la cd.
Legge sull'equo canone.
Si tratta dell'ipotesi in cui vi sia un contratto di locazione di un immobile
a scopo commerciale.
La legge prevede: il conduttore (colui che ha in locazione l'immobile)
può cedere il contratto di locazione a terzi senza il consenso del
contraente ceduto (proprietario del locale commerciale) purché questo
avvenga contestualmente alla vendita dell'azienda.
Es. Tizio e Caio stipulano un contratto di locazione di un locale
commerciale di Tizio (locatore). Caio è il locatario (inquilino) ed esercita
la sua attività commerciale all’interno di questo locale.
Se Caio (locatario) intende cedere l'azienda, cioè cedere tutto il
complesso di beni organizzati per l'attività commerciale svolta, insieme
all'azienda si trasferisce anche il contratto di locazione.
Questa cessione avviene ex lege, PRESCINDENDO dal consenso o meno
del contraente ceduto Tizio (proprietario e locatore).
Quindi Tizio, proprietario del locale commerciale e locatore, si ritrova
che aveva locato il suo locale commerciale a Caio e poi, dopo 1 anno,
si ritrova Sempronio come locatario in virtù di questa cessione ex lege.
NO consenso: Essendo una cessione ex lege, la cessione dal cedente (Caio)
del ceduto a cessionario (Sempronio) avviene per legge, quindi si
prescinde dal consenso del ceduto Tizio, quindi il ceduto
NON ha strumenti per opporsi alla cessione ex lege.

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Tutela: L'unica tutela per il ceduto (proprietario del locale commerciale e
locatore) è che può di agire nei confronti del cedente (Caio) qualora
il cessionario (Sempronio) non adempia le sue obbligazioni, ad es.
se non paga il canone di locazione.
- Azienda: anche nel Codice civile ci sono due norme che prevedono ipotesi di cessione legale del
contratto:
- art. 2112 cc: in caso di cessione d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il
cessionario (nuova azienda) ed il lavoratore (ceduto) conserva tutti i diritti che
ne derivano.
Quindi, in caso di cessione d’azienda, semplicemente il lavoratore (ceduto)
non sarà più alle dipendenze del cedente (vecchia azienda) ma sarà alle
dipendenze del cessionario (nuova azienda).
NO consenso del ceduto: Anche in questo caso, la cessione avviene a
prescindere dal consenso del lavoratore
(ceduto).
Tutela: L'unica tutela per il lavoratore (ceduto) è rappresentata dal fatto
che il cedente e il cessionario sono obbligati in solido a pagare tutti
i crediti che il lavoratore vantava al momento della cessione.
- art. 2558 cc: prevede la successione di contratti, affermando: se non è pattuito
diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per
l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.
- Contratto turistico: Infine c’è un’ipotesi di cessione ex lege prevista per i cd. pacchetti turistici.
L’art. 38 cod. del turismo afferma: il viaggiatore, previo preavviso dato
all'organizzatore, può cedere il contratto di
pacchetto turistico a una persona che soddisfa tutte
le condizioni per la fruizione del servizio.
Il cedente e il cessionario del contratto di pacchetto turistico sono
responsabili in solido per il pagamento del saldo del prezzo e degli
eventuali diritti, imposte e altri costi aggiuntivi, ivi comprese le eventuali
spese amministrative e di gestione delle pratiche risultanti da tale
cessione.

C) IL CONTRATTO A FAVORE DI TERZO


Terza ed ultima fattispecie che Calvo considera tra le fattispecie contrattuali soggettivamente variabili è il contratto a
favore di terzo. Prima di entrare nella disciplina, partiamo da un principio generale dell’ordinamento valido per i
contratti in generale, e cioè il principio di relatività del contratto, che sarà utile per spiegare il contratto a favore di un
terzo.
Il principio di relatività del contratto
Per comprendere la figura del contratto a favore di terzo, partiamo dal principio di relatività del contratto previsto
dall’art. 1372 cc, rubricato “Efficacia del contratto”:
- comma 1: “Il contratto ha forza di legge tra le parti…”
Ciò significa che, se è vero che per il principio di autonomia contrattuale le parti sono libere di stipulare
o meno un contratto, tuttavia, una volta che lo hanno concluso, sono tenute ad osservarlo e restano
vincolate al suo contenuto che ne regola i rapporti reciproci al pari di una norma di legge.
- comma 2: “Il contratto NON produce effetto rispetto ai terzi, tranne che nei casi previsti della legge”.
Questo comma 2 pone una regola e una eccezione:
- regola: il contratto NON produce effetti rispetto ai terzi: perché? Il contratto è un autoregolamento
di interessi privati con cui i contraenti
dispongono della propria sfera personale
e patrimoniale.
Ciò rappresenta:
- il corollario del principio di relatività del contratto
- i contraenti possono incidere solo sulle loro sfere
patrimoniali, e non possono incidere sulle
posizioni giuridiche soggettive di terzi.

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- eccezione: tuttavia, lo stesso comma 2 dice “tranne che nei casi previsti dalla legge”.
Ciò significa che ci sono casi in cui un contratto produce effetti nei confronti di un terzo.
Quando?
Se il contratto stipulato tra due soggetti è finalizzato a realizzare un effetto favorevole
ad un terzo esterno al contratto, allora il legislatore riteneva eccessivo impedire la
produzione di tale effetto favorevole nella sfera patrimoniale del terzo.
Ecco perché, in questo caso, l’ordinamento ritiene ammissibile che si possano produrre
effetti contrattuali favorevoli nei confronti di un terzo.
L’ordinamento in questo modo ha trovato la soluzione normativa per contemperare il
principio di relatività del contratto e il normale interesse di un terzo ad essere
destinatario di effetti a sé favorevoli derivanti da un contratto stipulato tra altri.
Il contratto a favore di un terzo (cd. pro terzo)
Ecco, il contratto a favore di un terzo rientra proprio nell’eccezione alla regola del principio di relatività del contratto:
si tratta di un contratto che produce effetti favorevoli nei confronti di un terzo esterno al contratto stipulato tra due
contraenti.
Fonte: Art. 1411
Nozione: Il contratto a favore di un terzo è quel contratto con cui una parte (stipulante) designa un terzo quale avente
diritto alla prestazione dovuta dalla controparte del contratto (promittente), quindi è un contratto che
produce effetti favorevoli nei confronti di un terzo, a meno che il terzo non intenda rifiutare tale beneficio.
Struttura: Nella fattispecie del contratto a favore di un terzo abbiamo
1) lo stipulante: è la parte del contratto che stipula a favore di un terzo
2) il promittente: è l’altra parte del contratto che è tenuto ad eseguire la propria prestazione:
- NON nei confronti dello stipulante
- ma nei confronti di un terzo beneficiario
3) il terzo beneficiario: NON è parte del contratto ma si trova in una posizione soggettiva di vantaggio in
quanto è l’avente diritto a ricevere la prestazione dovuta dal promittente come
effetto a sé favorevole
Interesse dello stipulante: La stipula di un contratto a favore di un terzo è valida QUALORA lo stipulante vi abbia
interesse.
Quindi lo stipulante deve avere un interesse tale da giustificare questo suo atto dispositivo
a favore del terzo.
Calvo: Calvo sostiene che questo requisito dell'interesse dello stipulante va agganciato ad un'altra
norma che prevede lo stesso requisito, che è l'art. 1174 cc in materia di obbligazioni, che dice:
la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione
economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
Quindi, secondo Calvo, l’interesse dello stipulante che giustifica la sua stipula a favore di terzo
può essere:
- patrimoniale: es. il datore di lavoro che, al fine di garantire un trasporto gratuito ai suoi
dipendenti dalle loro abitazioni alla sede di lavora, stipula col vettore un
contratto di trasporto a loro favore che consenta tale spostamento.
- o extrapatrimoniale: l’interesse dello stipulante può anche essere soltanto morale, come
nel caso in cui lo stipulante intenda compiere un atto a favore
del terzo per cortesia.
Es. Tizio ha suo figlio Caio che è un tossicodipendente. Spinto
dall’intento di aiutarlo a disintossicarsi, Tizio stipula con la casa di
cura Alfa un contratto di prestazione d’opera professionale per la
disintossicazione del figlio Caio.
Mancanza di interesse  Nullità: La mancanza originaria di interesse rende nullo il contratto
qualora non possa essere applicato il meccanismo di recupero
sotteso dall’art. 1411 ult. comma.
Il terzo beneficiario: Il terzo beneficiario potrà essere chiunque, addirittura un soggetto futuro, come un nascituro o
una società che debba ancora essere costituita (opinione maggioritaria in giurisprudenza).
Posizione del terzo: Il terzo a favore del quale lo stipulante ha stipulato il contratto:
- NON è parte del contratto e NON ne diventerà mai parte: il contratto a favore del
terzo è e resta un
contratto intercorrente
tra stipulante e
promittente.

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- si trova in una posizione di puro vantaggio: il contratto fa sì che tale terzo diventi
titolare del diritto di ricevere una
prestazione dal promittente da cui
discenda il suo arricchimento.
Quindi il terzo diventa beneficiario di
una liberalità libera da oneri e pesi.
Acquisto del diritto: Da quale momento il terzo acquista tale diritto a ricevere la prestazione del promittente?
Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto a ricevere la prestazione del promittente
SIN DAL MOMENTO della stipula del contratto tra stipulante e promittente.
Accettazione = dichiarazione di
volerne profittare della prestazione: Se leggiamo l’art. 1411 comma 2 dice:
“Il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della
stipulazione. Questa però può essere revocata o modificata dallo
stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del
promittente di volerne profittare”.
Che significa? Significa che:
- è vero che il terzo è titolare del diritto di ricevere la prestazione
dal promittente sin dal momento della stipula
del contratto tra stipulante e promittente
- ma il suo acquisto è instabile, in quanto egli NON è obbligato ad
accettare di ricevere la prestazione
dal promittente, potendo
liberamente scegliere anche di
rifiutare l’attribuzione del diritto
in suo favore.
Perciò, dopo la stipula del contratto pro terzo:
a) il terzo deve dichiarare se intende:
- accettare (cioè di profittare della prestazione)
- o rifiutare
l’attribuzione del diritto in suo favore
b) nel frattempo, prima che intervenga l’accettazione del terzo, lo
stipulante può:
- revocare
- o modificare
il beneficio pro terzo.
Se il terzo vuole accettare il beneficio (quindi l’attribuzione del diritto in
suo favore), allora deve comunicare la sua accettazione alle parti del
contratto (stipulante e promittente): tale comunicazione rende definitivi il
contenuto e gli effetti del contratto a favore del terzo.
Dopo l’accettazione del terzo, lo stipulante NON può più revocare o
modificare la stipula (il beneficio) pro terzo.
ATTENZIONE: Anche a seguito di tale dichiarazione il terzo comunque
NON diviene parte del contratto.
Lo stipulante: Dopo la stipula del contratto a favore di terzo, a prescindere dal se il terzo abbia dichiarato di voler
profittare della prestazione oppure abbia rifiutato, lo stipulante è e resta parte formale e sostanziale del
contratto. Da ciò deriva che:
- lo stipulante ha diritto ad ottenere che il promittente adempia la prestazione a favore del terzo
- in caso di inadempimento del promittente, lo stipulante può chiedere:
- o la risoluzione del contratto
- o la condanna all’adempimento
+ il risarcimento del danno
Il promittente: Dopo l’accettazione da parte del terzo, l promittente resta parte formale e sostanziale del contratto.
Da tale contratto a favore del terzo deriva che:
- il promittente è obbligato ad adempiere la propria prestazione in direzione del terzo beneficiario
- in caso di inadempimento dello stipulante, il promittente può avvalersi dei rimedi contrattuali
- il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto (ma NON quelle fondate
su altri rapporti).

160
Art. 1411 ult. comma: la sorte del contratto a seguito della revoca dello stipulante o del rifiuto del terzo
L’ult. comma dell’art. 1411 cc disciplina la sorte del contratto a favore del terzo in due casi “patologici”:
- rifiuto del terzo: abbiamo visto che, in caso di stipula di un contratto pro terzo, il terzo beneficiario
NON è obbligato ad accettare l’attribuzione del diritto in suo favore, infatti può anche
liberamente rifiutare di ricevere la prestazione dal promittente
- revoca/modifica dello stipulante: prima della dichiarazione di accettazione del terzo beneficiario,
lo stipulante può:
- revocare la stipula pro terzo
- o modificare la stipula pro terzo.
Comunicazione al terzo: La revoca o la modifica della stipula pro terzo devono
essere comunicate al terzo in quanto dirette a sottrargli o
a modificare la posizione attribuite al terzo.
Conseguenze: Sia in caso di rifiuto del terzo che in caso di revoca da parte dello stipulante, le conseguenze sono:
1) il terzo perde efficacia retroattiva la sua posizione soggettiva di vantaggio già (provvisoriamente)
entrata nel suo patrimonio del terzo
2) il contratto comunque continuerà a produrre i suoi effetti
tra le parti originarie (stipulante e promittente): di conseguenza, il diritto alla prestazione viene
acquisito dallo stipulante, perciò il promittente
dovrà adempiere la sua prestazione in direzione
dello stipulante,
A MENO CHE risulti diversamente dalla volontà delle
parti o dalla natura del contratto.
Che significa questa eccezione?
Ci sono casi in cui, per volontà delle parti o per la natura del
contratto, NON è ragionevole che la prestazione debba essere
adempiuta a favore dello stipulante.
Es. se il contratto era stato stipulato dal padre per far
disintossicare il figlio, se il figlio (terzo) rifiuta, è ovvio che
non ha senso che il contratto produca effetti tra lo
stipulante e il promittente, perché il padre (stipulante) non ha
bisogno di disintossicarsi, quindi il contratto non ha più
ragion d’essere.
Art. 1412: prestazione al terzo dopo la morte dello stipulante
L’ultimo articolo del contratto pro terzo è una disposizione eccezionale:
- di regola, abbiamo detto che prima che intervenga l’accettazione del terzo, lo stipulante ha il potere di
revocare/modificare la stipula pro terzo.
Se invece è già intervenuta l’accettazione del terzo, lo stipulante NON ha più il potere di revoca/
modifica.
- eccezione: il comma 1 dell’art. 1412 prevede una eccezione a tale regola: se la prestazione deve essere
eseguita a favore del terzo dopo la morte dello stipulante (es. in caso di assicurazione sulla vita),
lo stipulante stesso ha il potere di revocare il beneficio:
- anche dopo l'accettazione del terzo già intervenuta
- ed anche con una disposizione testamentaria
- A MENO CHE lo stipulante stesso abbia rinunciato per iscritto al suo potere di revoca.
Comma 2: Il comma 2 dell’art. 1412 prevede: se la prestazione deve essere eseguita a favore del terzo ma il terzo
muore prima dello stipulante (si dice “premuore”), allora:
- la prestazione deve essere eseguita a favore degli EREDI del terzo
- eccezione: A MENO CHE il beneficio venga revocato o modificato dallo stipulante
Problema del contratto immobiliare a favore di terzo
Abbiamo detto che il contratto a favore di terzo è ammissibile SOLO SE comporta solo effetti favorevoli (benefici) in
capo a terzo.
Ecco perché la dottrina ha avuto dubbi sulla ammissibilità o meno del contratto a favore di terzo che abbia ad oggetto
diritti reali immobiliari. Perché? Perché, connesso alla proprietà di un diritto reale immobiliare, vi sono carichi fiscali o
comunque oneri giuridici che possono essere anche particolarmente onerosi. In questo caso è chiaro che se stipulo un
contratto a favore di terzi avente ad oggetto un immobile, si può discutere se si tratta di un contratto a favore di terzo.
Cosa dice Calvo? Calvo dice: il problema è ancora aperto, ma comunque va considerato un aspetto: il problema deve
essere ridimensionato se si considera la facoltà per il terzo di rifiutare l'attribuzione del
diritto in suo favore.

161
CAP.15

LA SIMULAZIONE
Nozione: La simulazione è il fenomeno dell’apparenza contrattuale creata intenzionalmente dalle parti.
Si ha simulazione quando le parti stipulano un contratto realizzando un regolamento di interesse difforme
da quello realmente voluto: le parti:
- creano una situazione di apparenza per l’esterno
- ma in realtà tra loro vi è un’intesa diversa che volutamente occultano (celano) ai terzi.
Quindi la simulazione si svolge su due piano strettamente connessi:
- un piano dell’apparenza che è quella che emerge all’esterno ai terzi
- un piano della reale intenzione delle parti che viene tenuto nascosto, occultato ai terzi.
Struttura: Gli elementi essenziali che caratterizzano la simulazione sono tre:
1) contratto simulato (apparente): il contratto simulato è quello apparente, cioè quello in cui le parti fanno
apparire una realtà diversa da quella internamente voluta.
Tale contratto è destinato ad avere effetti all’esterno, nei confronti dei
terzi.
Dice Calvo: il contratto simulato è una sorta di messinscena prefigurata
dalle parti.
2) contratto dissimulato (occulto): il contratto dissimulato è l’assetto realmente voluto dalle parti.
È la realtà realmente voluta dalle parti ma è tenuta nascosta, occultata
ai terzi.
3) accordo simulatorio (intesa simulatoria): è l’elemento centrale della simulazione.
È l’accordo “preventivo” tra le parti sul far divergere il
contenuto del contratto simulato da quello del contratto
dissimulato.
L’accordo simulatorio deve essere:
- anteriore
- o al più contestuale
alla stipula del contratto simulato (apparente).
NON può MAI essere successivo.
ATTENZIONE: l’accordo simulatorio NON va confuso con il contratto
dissimulato. L’accordo simulatorio dà origine al contratto
dissimulato e si esternerà in quest’ultimo, ma NON coincide
con esso. Quindi chiaramente l’accordo simulatorio sarà
anteriore o al più contestuale al contratto dissimulato:
le parti prima si accordano sulla simulazione e poi dopo
stipulano il contratto dissimulato.
Controdichiarazione (o controscrittura): Nella prassi capita che le parti provvedano a documentare il loro accordo
simulatorio in un’apposita scrittura chiamata controdichiarazione, chiamata
anche controscrittura.
La controdichiarazione (o controscrittura):
- NON è un elemento essenziale – indefettibile della simulazione
- ma è soltanto un elemento eventuale: la simulazione c’è anche laddove
non ci sia la controdichiarazione
- NON va confusa: - col contratto dissimulato
- né con l’accordo simulatorio
perché la controdichiarazione è SOLO un mezzo di prova
dell’accordo simulatorio.
La controdichiarazione è mezzo di prova dell’accordo simulatorio che consiste in
una dichiarazione scritta utilizzabile in giudizio come prova dell’accordo
simulatorio in caso di controversia tra le due parti contraenti.
Quindi, è la prova con cui uno dei contraenti dimostra che esisteva un accordo
simulatorio tra lui e l’altra parte.
L’eventuale controdichiarazione può essere preventiva, contestuale o successiva al
fenomeno simulatorio.
Profilo temporale: Nella stragrande maggioranza dei casi avviene che contratto simulato e contratto dissimulato
vengano stipulati contestualmente. Tuttavia, non si può escludere che possano essere stipulati in
momenti diversi, ad es. prima ci diamo atto di qual è il reale assetto di interessi (contratto
dissimulato) e dopo creiamo la situazione di apparenza (contratto simulato).

162
Differenza con la riserva mentale: NON bisogna confondere MAI l’istituto della simulazione con l’istituto della riserva
mentale.
Perché? Perché:
- si parla di simulazione quando la divergenza tra realmente voluto e ciò che appare è
frutto di un accordo (simulatorio) tra le due parti: ENTRAMBE LE
PARTI internamente vogliono un assetto di interessi diverso da
quello esternamente posto in essere
- si parla di riserva mentale quando la divergenza tra realmente voluto e ciò che appare è
isolata nel foro interno (sfera psicologica) di UNO SOLTANTO
dei contraenti.
Quindi la riserva mentale come attività psicologica del
singolo.
Es. Tizio stipula un contratto con Caio e SOLO Tizio
internamente non vuole ciò che va a stipulare, NON anche
Caio.
NO rilevanza: La riserva mentale è giuridicamente irrilevante per il nostro ordinamento, quindi NON
dispiega alcun effetto sulla validità o efficacia del negozio. Al più potrà assumere
rilevanza laddove la parte, impugnando il contratto, riesca a ricostruire la riserva
mentale come mero errore ostativo.
Tipi di simulazione
La simulazione per tradizione si distingue in assoluta e relativa:
- simulazione assoluta: la simulazione è assoluta quando le parti stipulano un contratto simulato innovando
la realtà preesistente sul piano giuridico, ma in realtà le parti NON vogliono la
produzione di alcun effetto, quindi tra loro si accordano per NON modificare la realtà
giuridica preesistente né lo stato delle cose né la consistenza delle rispettive sfere
giuridico patrimoniali.
Es. stipuliamo un simulato contratto di compravendita, ma in realtà non vogliamo
alcuna compravendita, quindi il bene resta nella disponibilità del simulato
alienante.
- simulazione relativa: la simulazione è relativa quando le parti stipulano un contratto simulato innovando
la realtà preesistente sul piano giuridico, ma in realtà vogliono la produzione di effetti
DIVERSI. Quindi le parti vogliono la produzione di effetti, ma di effetti diversi da quelli
simulatamente voluti nel contratto simulato.
• Nell’ambito della simulazione relativa si può distinguere tra:
a) simulazione relativa oggettiva: la simulazione è oggettiva quando riguarda l'oggetto
del contratto, quindi può concernere:
- o un elemento del contratto simulato: ad es. il prezzo: nel
contratto simulato si dice che il
prezzo è 100, ma in realtà il
prezzo veramente pagato è
200.
- o il tipo di contratto simulato: ad es. stipuliamo una
compravendita, ma in realtà
vogliamo una donazione.
b) simulazione relativa soggettiva: la simulazione è soggettiva quando riguarda i
soggetti, creando il fenomeno cd. interposizione
fittizia di persona.

Interposizione fittizia di persona (simulazione relativa soggettiva)


Ora ci soffermiamo proprio sulla simulazione relativa di tipo soggettivo, che viene chiamata interposizione fittizia di
persona.
L’interposizione fittizia di persona è un fenomeno complesso perché:
- mentre la simulazione relativa di tipo oggettivo richiede la partecipazione di 2 soggetti
- invece la simulazione relativa di tipo soggettivo (interposizione fittizia di persona) richiede necessariamente
la partecipazione di
3 soggetti.

163
Struttura: L’interposizione fittizia come fenomeno di simulazione relativa soggettiva consiste in un meccanismo
complesso in cui il fulcro della simulazione è l'accordo simulatorio che intercorre tra 3 soggetti:
1) contraente alienante: è il vero titolare del diritto che lo traferisce:
- apparentemente all’interposto
- ma realmente all’interponente.
2) interposto (prestanome, uomo
di paglia, capa di legno): è il soggetto che APPARE acquirente del diritto trasferitogli dal
contraente alienante. Quindi l’interposto è quel soggetto che:
stipula il contratto simulato col contraente alienante e che:
- APPARENTEMENTE è lui che risulta acquirente del diritto
- quindi apparentemente è lui che risulta essere il destinatario
degli effetti del contratto
- ma, IN REALTÀ, in base all’accordo simulatorio tra i tre soggetti,
l’interposto già sa che gli effetti del contratto si
produrranno nella sfera giuridica dell'interponente.
Quindi, in realtà, nella sfera giuridica dell’interposto
NON si verifica alcun effetto.
3) interponente: è il soggetto che REALMENTE diventerà titolare del diritto trasferito dal contraente
alienante (1° soggetto) all’interposto (2° soggetto).
Quindi l’interponente è quel soggetto che NON stipula il contratto simulato col
contraente alienante e che:
- esternamente NON risulta lui l’acquirente del diritto
- ma IN REALTÀ, in base all’accordo simulatorio, è proprio lui il VERO ACQUIRENTE,
nel senso che gli effetti del contratto si produrranno proprio nella
sua sfera giuridica.
Esempio: Tizio, Caio e Sempronio si accordano (accordo simulatorio) per realizzare una alienazione di bene mediante il
fenomeno della interposizione fittizia di persona:
- Tizio (vero titolare del bene da trasferire) stipula un contratto simulato di compravendita con Caio
con cui, in qualità di alienante, trasferisce apparentemente
il bene a Caio
- Caio (interposto) è colui che APPARE acquirente perché è lui a stipulare il contratto simulato
di compravendita con Tizio
- Sempronio (interponente) è il REALE acquirente, cioè è colui che, pur non stipulando il contratto, è
lui che REALMENTE acquista il bene in virtù
dell’accordo simulatorio che aveva concluso con
Tizio e Caio.
Presupposto: Affinché si abbia interposizione fittizia di persona, è NECESSARIO che l’accordo simulatorio intercorra tra
tutti e tre i soggetti partecipanti al fenomeno simulatorio: quindi è necessaria la consapevole adesione di
tutti e tre al fenomeno simulatorio.
In assenza di accordo trilaterale: - NON si ha simulazione
- ma semplicemente l’interposto è un rappresentante indiretto.
Differenza tra interposizione fittizia di persona dalla interposizione reale di persona
Il fenomeno della interposizione fittizia di persona NON deve essere confuso con l’interposizione reale di persona per
diverse ragioni:
- interposizione fittizia di persona: - SI simulazione: l’interposizione fittizia di persona è legata al fenomeno
della simulazione perché c’è un accordo simulatorio tra i
tre soggetti.
- nell’interposizione fittizia di persona, il ruolo dell’interposto è:
- l’interposto è un acquirente APPARENTE
- l’interposto NON acquista realmente il diritto trasferito dal
contraente alienante
- gli effetti del contratto NON si producono in capo
all’interposto, ma si producono
direttamente in capo all’interponente.
- interposizione reale di persona: - NO simulazione: questo fenomeno NON rientra nel fenomeno simulatorio
perché qui NON c’è accordo simulatorio tra i tre soggetti:
il contratto tra alienante e interposto (mandatario) è
realmente voluto, NON è affatto simulato.

164
L’alienante che vende all’interposto non sa che
l’interposto sta comprando in nome proprio ma per
conto di un terzo (cioè per conto del mandante), e
comunque, quand’anche lo sapesse, comunque questa
vicenda è per lui irrilevante, ne è completamente
estraneo, perciò NON siamo nel fenomeno simulatorio.
- mandato senza rappresentanza: il fenomeno dell’interposizione reale di persona
ha alla sua base un contratto di mandato
senza rappresentanza, quindi l’interposizione reale
di persona è un fenomeno:
- NON di simulazione
- ma di rappresentanza indiretta.
Con il mandato senza rappresentanza, un soggetto (mandante)
dà incarico ad altro soggetto (mandatario) di comprare un
bene ma SENZA conferirgli potere rappresentativo: ecco
parliamo di rappresentante indiretto.
Dato che il mandatario non ha potere rappresentativo (quindi non
può spendere il nome del mandante), allora il mandatario
stipulerà il contratto in nome proprio ma per conto del mandante.
Dopo la stipula del contratto, il mandatario dovrà poi trasferire gli
effetti del contratto nella sfera giuridica del mandante.
In questo fenomeno, il mandatario agisce come un rappresentante
indiretto, e allora qui:
- il mandatario (interposto) è un acquirente REALE perché acquista
realmente il bene dal contraente alienante: è davvero
l’acquirente, quindi NON è
un uomo di paglia
- gli effetti del contratto si producono REALMENTE in capo al mandatario
- il mandatario (interposto), è vero che ha comprato in nome suo, ma ha
comprato per conto del mandante: ecco
perché ha poi l’onere di trasferire gli effetti
del contratto al mandante.
La CAUSA del contratto simulato
Contratto simulato e contratto dissimulato costituiscono un unicum (un tutt’uno) sotto il profilo funzionale, perché
rappresentano nel complesso le due facce del fenomeno simulatorio:
- il lato preordinato a esternare la volontà apparente (contratto simulato)
- il lato preordinato a stabilire l’assetto di interessi interno (contratto dissimulato).
Ecco perché la causa concreta del rapporto contrattuale è decifrabile SOLO grazie alla lettura unitaria di questa
vicenda negoziale: l’interprete, per stabilire quale sia la causa concreta del contratto, dovrà considerare sia il
contenuto del contratto simulato che del contratto dissimulato.
Se invece prendesse in considerazione soltanto uno dei due profili, non riuscirebbe a percepire esattamente quale sia
la funzione economico-individuale (causa concreta) del contratto.
La FORMA del contratto dissimulato
Abbiamo visto che nel fenomeno della simulazione abbiamo un contratto simulato e un contratto dissimulato.
Ora, la domanda è: quale forma deve rivestire il contratto dissimulato (cioè quello occultato tra le parti)?
Per rispondere, dobbiamo considerare l’art. 1414 cc e gli orientamenti della giurisprudenza.
Calvo riporta la seguente impostazione:
- in caso di simulazione assoluta: la giurisprudenza ritiene che, in caso di simulazione assoluta, viga il principio
di libertà della forma per il contratto dissimulato: il contratto dissimulato
può essere redatto in qualsiasi forma, anche oralmente.
Perché? La giurisprudenza motiva tale tesi con ciò: nella simulazione assoluta, dato
che le parti non vogliono che si produca alcun effetto, il contratto
dissimulato non ha natura contrattuale perché in fondo mira soltanto ad
annientare gli effetti del contratto simulato e a lasciare inalterato lo stato
originario delle cose, perciò può essere perfezionato anche verbalmente.

165
Critica di Calvo: Calvo ritiene che sia una forzatura sostenere che il contratto
dissimulato non abbia natura contrattuale.
- in caso di simulazione relativa: qui l’art. 1414 comma 2 dice “Il contratto dissimulato ha effetto tra le
parti PURCHÈ ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”.
Tale formulazione ha creato dei grossi problemi sia teorici che pratici in alcune
ipotesi:
- in alcune ipotesi l’art. 1414 comma 2 non crea grossi problemi: ad es. quando il
contratto dissimulato è un contratto di compravendita di un
bene immobile.
Immaginiamo che due parti stipulino un contratto simulato di
compravendita ma in realtà vogliono occultare una
compravendita (contratto dissimulato) avente elementi diversi.
In questo caso è agevole applicare l’art. 1414 comma 2 dicendo
che il contratto dissimulato deve essere stipulato in forma
scritta perché la forma scritta è quella prevista per i contratti di
compravendita immobiliare.
- l’ipotesi che però ha catturato l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza
è stata l’ipotesi in cui il contratto dissimulato era una donazione.
Immaginiamo che due parti stipulino un contratto simulato di
compravendita ma in realtà vogliono occultare tra loro una donazione
(contratto dissimulato).
Es. Tizio vuole donare un bene alla sua amante. Chiaramente, per
nascondere tale donazione alla moglie, cosa fa? Stipula un contratto
simulato di compravendita con l’amante, mentre si accordano che il
contratto dissimulato è una donazione, e che quindi non riceverà
alcun corrispettivo dall’amante.
Ora, qual è il problema? Il problema è la forma del contratto dissimulato.
Perché se è vero che il contratto dissimulato deve avere i requisiti di
sostanza e forma, allora vorrebbe dire che la donazione, pur laddove sia
dissimulata, dovrebbe essere stipulata con la sua classica forma ex art. 782
cc: atto pubblico dinanzi ad un notaio e alla presenza di due testimoni.
Ma allora il problema è: come è possibile dissimulare una donazione
lasciandola nascosta ed occulta all’esterno se poi essa deve avvenire per
atto pubblico davanti al notaio con due testimoni?
È chiaro che, se queste sono le regole, allora dissimulare una donazione
sarebbe sempre impossibile ab initio perché verrebbe sempre meno la
segretezza della donazione, essendo l’atto pubblico accessibile a chiunque.
Allora la giurisprudenza si è inventata una soluzione che però sul terreno
teorico lascia quale perplessità.
Ha detto la giurisprudenza:
- testualmente l’art. 1414 comma 2 dice “Il contratto dissimulato, per essere
efficace tra le parti, deve avere i
requisiti di sostanza e forma previsti
dalla legge”
- MA IN REALTÀ la giurisprudenza la interpreta come se dicesse che il
contratto dissimulato ha efficacia tra le parti
se il contratto simulato ha i requisiti di sostanza
e forma previsti dalla legge per il contratto
dissimulato.
Si parla di “prestito di forma”, come se la forma del contratto dissimulato
venisse prestata al contratto simulato.
Il contratto dissimulato produce effetti SE i requisiti di sostanza e forma del
contratto dissimulato siano stati rispettati dal contratto
simulato.
Quindi, secondo tale giurisprudenza:
- il contratto dissimulato ex sé può essere stipulato in qualsiasi forma
- il contratto dissimulato produrrà effetti se il contratto simulato rispetta il
requisito di forma del contratto simulato.

166
Se applichiamo ciò all’esempio fatto (contratto simulato di compravendita –
contratto dissimulato di donazione), affinché la donazione produca effetti tra le
parti, il contratto simulato di compravendita deve essere stato stipulato per atto
pubblico dinanzi ad un notaio alla presenza di due testimoni.
Invece, il contratto dissimulato di donazione ex sé può essere stato stipulato in
qualsiasi forma: l’importante è che la forma del contratto dissimulato (donazione)
sia stata rispettata dal contratto simulato (compravendita).

La simulazione degli atti unilaterali


Quali atti possono essere oggetto di simulazione? Dall’art. 1414 ricaviamo che oggetto di simulazione possono essere:
- i contratti
- gli atti unilaterali SOLO SE sussistono due condizioni:
1) sono destinati ad una persona determinata: ciò significa che ad es. la promessa al
pubblico NON è suscettibile di
simulazione perché non è diretta ad un
soggetto determinato, ma alla totalità
indifferenziata di consociati
2) c’è accordo simulatorio tra
dichiarante e destinatario: quindi solo se c’è la consapevolezza del destinatario che
il dichiarante intende dare vita ad una situazione
giuridica apparente. Quindi, è vero che è l’atto simulato
è un atto unilaterale (e NON un contratto), ma
comunque è necessario il sottostante accordo bilaterale
dissimulato.
La quietanza apparente di pagamento: Spesso le simulazioni di atti unilaterali riguardano la quietanza di pagamento.
In generale, che cos’è? La quietanza di pagamento è una dichiarazione con cui un creditore
dichiara di aver ricevuto la somma di denaro dal debitore e di non
aver altro a pretendere da lui.
Quando si verifica
la simulazione? Nella prassi si sono riscontrati casi che la dottrina chiama quietanza di
comodo (o di favore), detta anche quietanza apparente, proprio perché si
verifica il fenomeno simulatorio.
La quietanza apparente si ha quando tra creditore e debitore vi è un
accordo simulatorio in virtù del quale il creditore rilascia la quietanza
dichiarando di aver ricevuto la somma di denaro dal debitore, ma in realtà
il debitore non ha pagato.
Scopo fraudolento: La simulazione attuata con la quietanza di comodo ha uno scopo
fraudolento rispetto ai terzi, nel senso che con la quietanza di comodo
il creditore consente al debitore di conseguire un finanziamento
agevolato oppure di vantare solvibilità presso terzi.
Es. sono un rappresentante in viaggio e voglio che la mia azienda mi
rimborsi delle spese che però in realtà non ho sostenuto, ad es. voglio
che mi rimborsi le spese del pranzo, ma in realtà io ho pranzato al
ristorante di un mio carissimo amico che mi ha offerto il pranzo non
facendomi pagare. E allora io mi faccio rilasciare dal ristoratore (mio
amico) una fattura con cui questi dichiara che io ho pagato 50 euro, ma
in realtà io non ho pagato nulla.
Prova: La quietanza di comodo è assoggettabile alla disciplina della simulazione, quindi in
giudizio: - NON è ammissibile la prova per testimoni
- è ammissibile portare in giudizio la controdichiarazione scritta.

La ratio fraudolenta della simulazione: un contratto in frode ai terzi


Ma perché si verifica la simulazione? Perché le parti hanno interesse a creare una situazione apparente che diverge
dalla situazione realmente voluta, occultando ciò che realmente vogliono?
Normalmente la simulazione è un fenomeno a scopo fraudolento, cioè le parti creano una situazione di apparenza allo
scopo di: - o per frodare i terzi (ad es. creditori, eredi, congiunti)
- o per raggiungere fini illeciti (ad es. per frodare il fisco)

167
Però comunque la simulazione può essere anche attuata per altri motivi, ad es. per motivi di riservatezza.
Come abbiamo detto quando abbiamo parlato del contratto in frode alla legge, abbiamo detto che il nostro
ordinamento NON sanziona qualsiasi frode, ma sanziona con nullità SOLO il contratto in frode alla legge, ritenendo
invece che la frode ai terzi sia meno grave, perciò NON sia fonte di nullità del contratto.
Ecco allora che bisogna distinguere tra:
- contratto in frode alla legge: la simulazione NON rientra nell’ambito dei contratti in frode alla legge.
Il contratto in frode alla legge è sanzionato con la NULLITÀ del contratto.
- contratto in frode ai terzi: la simulazione rientra nell’ambito dei contratti in frode ai terzi perché è possibile
che la situazione di apparenza simulatoria:
- sia stata creata dai contraenti con lo scopo di frodare i terzi o il fisco
- e che abbia arrecato un danno ingiusto ai terzi in violazione del divieto di
neminem laedere.
Nel nostro ordinamento NON c’è alcuna norma che stabilisca in via generale
che il contratto in frode ai terzi sia nullo: infatti NON c’è nessuna norma che vieti
di porre essere contratti pregiudizievoli per i terzi.
Quindi, il contratto concluso con l’intento di frodare i terzi:
- è VALIDO (quindi NON è illecito, NON è nullo)
- l’ordinamento comunque tutela i terzi lesi: in caso di simulazione, le azioni
esperibili dai terzi lesi sono:
a) l’azione di simulazione
b) l’azione di risarcimento del danno
extracontrattuale ex art. 2043 cc
se il terzo dimostra che i contraenti, con la
loro condotta, hanno creato una
situazione di apparenza tale da frustrare i
suoi diritti e da cagionargli un danno
ingiusto.

Gli EFFETTI della simulazione rispetto alle parti, ai terzi e ai creditori


La legge disciplina analiticamente la sorte del contratto simulato e gli effetti della simulazione sulle parti e verso i terzi.
IL CONTRATTO SIMULATO e DISSIMULATO: EFFETTI TRA LE PARTI
Dall’art. 1414 cc ricaviamo il seguente schema:
- il contratto SIMULATO: - è VALIDO
- produce effetti SOLO nei confronti dei terzi
- NON produce MAI effetti tra le parti: perché? Perché le parti in caso di
simulazione NON vogliono MAI gli effetti del
contratto simulato, infatti:
- in caso di simulazione assoluta NON vogliono alcun
effetto contrattuale
- in caso di simulazione relativa vogliono gli effetti del
contratto dissimulato.
- il contratto DISSIMULATO: - è VALIDO
- NON produce effetto nei confronti dei terzi
- produce effetti tra le parti: il contratto dissimulato è l’unico contratto del
fenomeno simulatorio che realmente produce
effetti tra le parti, PURCHÉ ne sussistano i requisiti
di sostanza e di forma (e qui abbiamo visto quale
meccanismo ha creato la giurisprudenza
in “Forma del contratto dissimulato”).
Leggendo i commi 1 - 2 dell’art. 1414 cc, dicono che il contratto simulato “non produce effetti tra le parti”, quindi il
legislatore ha compiuto una scelta netta, impostando il discorso in termini di efficacia/inefficacia del contratto
simulato, quindi mettendola sul piano dell’efficacia del contratto e NON della validità/invalidità del contratto.
Nonostante la scelta netta del legislatore, c’è una parte che ha provato a mettere in discussione tale ricostruzione, e
infatti la giurisprudenza si è divisa su questa terminologia “non produce effetti”:
- tesi prevalente: la tesi prevalente nella giurisprudenza va nella stessa direzione del legislatore, quindi ritiene che il
contratto simulato vada ricostruito in termini di inefficacia: il contratto simulato è valido ma
NON produce effetti tra le parti perché è INEFFICACE.
Calvo appoggia questa tesi: il legislatore ha parlato correttamente in termini di inefficacia.

168
- parte della giurisprudenza: invece, una parte della giurisprudenza afferma: il contratto simulato è valido
ma NON produce effetti tra le parti perché è NULLO.
Perché? Questa giurisprudenza dice: il contratto simulato è nullo perché manca
l’elemento della volontà dell’accordo delle parti: il contratto simulato
non è voluto, perciò è nullo.
Critica di Calvo: Calvo ritiene che la ricostruzione di questa parte di giurisprudenza sia
erronea. Per Calvo NON è corretto sostenere che il contratto simulato
è nullo, perché:
- innanzitutto si tratterebbe di una nullità anomala perché non potrebbe
pensarsi che un contratto sia nullo tra le parti ma valido
verso i terzi
- in secundis, NON è vero che nel contratto simulato manca l’elemento
della volontà delle parti: la volontà delle parti c’è, solo che è
diretta a produrre effetti diversi o a non produrre effetti.
Le parti hanno la volontà di creare un contratto simulato con
l’intenzione di frodare i terzi o il fisco.
IL CONTRATTO SIMULATO: EFFETTI RISPETTO AI TERZI
Finora abbiamo visto cosa accade tra le parti in caso di simulazione. Ora però dobbiamo vedere cosa accade ai terzi.
Abbiamo detto che il contratto simulato è valido e:
- NON produce effetti tra le parti
- ma produce effetti nei confronti dei terzi.
Ora, il punto è: la simulazione crea una situazione di apparenza su cui i terzi fanno affidamento, ignorando che si tratti
di una situazione apparente e non realmente voluta dalle parti. I terzi ignorano l’accordo simulatorio occulto tra i
contraenti, pertanto confidano sulla serietà del contratto simulato e sulla situazione creata da esso, potendo anche
essere danneggiati dal fenomeno simulatorio. Ecco perché il codice si pone il problema di tutelare i terzi.
Leggendo l’art. 1415 cc possiamo distinguere due tipologie di terzi:
- gli aventi causa del simulato acquirente (comma 1)
- gli aventi causa del simulato alienante (comma 2)
Partiamo da un esempio: immaginiamo una simulazione assoluta in virtù della quale Tizio (simulato alienante) stipula
un contratto simulato di compravendita con Caio (simulato acquirente), ma in realtà, in base all’accordo simulatorio,
le parti non vogliono la produzione di alcun effetto contrattuale, pertanto in realtà il bene resta di proprietà del
simulato alienante Tizio e il simulante acquirente in realtà non acquista nulla.
Dopo la stipula di questo contratto simulato, cosa può accadere? Può accedere che:
- Caio (simulato acquirente = titolare apparente), maliziosamente, pur sapendo che lui NON è il titolare del
bene perché è soltanto un acquirente simulato, venda il
bene al terzo Sempronio (avente causa del simulato
acquirente).
- Tizio (simulato alienante), essendo ancora il vero titolare del bene (anche se apparentemente non è più il
titolare del bene perché lo ha simulatamente alienato a Caio),
venda il bene al terzo Mevio (avente causa del simulato alienante)
Ora, abbiamo questi terzi:
- Sempronio è il terzo avente causa del simulato acquirente
- Mevio è il terzo avente causa del simulato alienante.
Il legislatore come disciplina le loro posizioni?
Bisogna distinguere i due casi:
A) gli aventi causa del simulato acquirente (= titolare apparente) [art. 1415 comma 1]
Nozione: Per avente causa del simulato acquirente si intende quel terzo che ha acquistato in buona fede un
bene dal simulato acquirente, cioè dal titolare apparente, quindi dal soggetto che appariva essere il
vero proprietario del bene acquistato ma in realtà non era il vero titolare, ma lo era solo
apparentemente.
Tutela: La posizione dell’avente causa del simulato acquirente è totalmente protetta dal legislatore, infatti
l’art. 1415 comma 1 cc fornisce una tutela forte al terzo avente causa del simulato acquirente,
sancendo l’inattaccabilità del diritto acquistato dal terzo in buona fede.
Se l’avente causa dal simulato acquirente ha acquistato in buona fede, allora la sua posizione
PREVALE SEMPRE, perché il legislatore ha scelto di: - far prevalere sempre la situazione di apparenza
- e NON la situazione reale occultata (dissimulata)
perciò la simulazione NON potrà essergli opposta da nessuno.

169
L’acquisto dell’avente causa del simulato acquirente PREVALE:
- sia sulle parti dell’accordo simulatorio (simulato alienante – simulato acquirente): la regola
risponde al principio dell’apparenza imputabile: chi crea
una situazione negoziale apparente NON può opporre la
simulazione a danno del terzo per far valere la situazione
reale. Quindi le parti NON hanno azione contro l’avente
causa del simulato acquirente in buona fede
- sia sugli aventi causa dal simulato alienante: nel conflitto tra terzi che hanno acquistato diritti dal
simulato acquirente e terzi che hanno acquistato dal
simulato alienante, prevalgono gli aventi causa dal
simulato acquirente.
Perché? Perché il legislatore fa prevalere la situazione di
apparenza, per evitare che la simulazione possa
pregiudicare la certezza nella circolazione dei diritti.
Ad es. nell’esempio da cui siamo partiti, Sempronio (avente causa
del simulato acquirente) prevale su Mevio (avente causa
del simulato alienante).
- sia sui creditori del simulato alienante: anche se i creditori vedono fuoriuscire un bene dal
patrimonio del loro debitore (simulato alienante) e quindi si
vedono ridurre la garanzia generica sul patrimonio del
debitore, ciononostante il legislatore ritiene che vada
tutelata coloro i quali hanno fatto affidamento sulla
situazione di apparenza.
Ratio: Con la forte regola sancita dall’art. 1415 comma 1 cc, il legislatore ha voluto far prevalere la situazione
di apparenza allo scopo di tutelare sempre il terzo avente causa del simulato acquirente: in questo
modo si riesce a tutelare:
- sia l’affidamento del terzo che aveva confidato nella serietà della situazione apparente
- sia la certezza nella circolazione dei diritti (quindi del traffico giuridico).
Limite: TUTTAVIA, lo stesso art. 1415 comma 1 cc pone anche un limite perché dice “salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di simulazione”.
Che significa? Significa che la tutela dell’avente causa del simulato acquirente deve essere
coordinata con le regole della trascrizione della domanda di simulazione quando la
simulazione ha ad oggetto diritti reali immobiliari.
Se la domanda di simulazione ha ad oggetto l’accertamento della simulazione avente ad
oggetto diritti reali immobiliari, allora questa deve essere trascritta.
Ora, il punto è: se la domanda di simulazione proposta da uno dei due contraenti (simulato
alienante, simulato acquirente) o da un creditore per far valere la
simulazione è stata trascritta PRIMA che il terzo avente causa del simulato
acquirente trascrivesse il suo acquisto del diritto immobiliare,
allora:
- PREVALE la simulazione e quindi essa È OPPONIBILE al terzo
- quindi il terzo perde il diritto immobiliare acquistato.
Perché? In questo caso prevale la simulazione perché il terzo NON ha agito in buona fede
perché, dato che ha trascritto il suo acquisto DOPO che era stata già trascritta la
domanda di simulazione, è evidente che:
- o era a conoscenza che era stata proposta domanda di simulazione
- o, pur non essendo a conoscenza della simulazione, aveva comunque gli
strumenti per accertare la simulazione consultando
i registri immobiliari.
Buona fede: Abbiamo sottolineato più volte che la posizione tutelata dal legislatore è quella del terzo
che IN BUONA FEDE abbia acquistato il diritto dal simulato acquirente.
La giurisprudenza, a proposito di questa buona fede, ha sottolineato un aspetto: per attaccare
l’acquisto del terzo accusandolo di non aver agito in buona fede:
- NON è sufficiente dimostrare che il terzo ha agito in mala fede
- ma è necessario fornire la prova che il terzo era partecipe dell'originario accordo
simulatorio, cioè dimostrare in concreto che il terzo si era
accordato col simulato acquirente per approfittare della
simulazione stessa in pregiudizio del simulato alienante

170
B) gli aventi causa del simulato alienante [art. 1415 comma 2]
Nozione: Per avente causa del simulato alienante si intende quel terzo che ha acquistato in buona fede
dal simulato alienante, cioè da un soggetto che NON appare più il vero proprietario (perché
apparentemente ha alienato), ma in realtà è ancora il vero proprietario.
Sostanzialmente l’avente causa del simulato alienante è colui che vanta ancora un diritto che però
APPARE escluso o ridotto a causa del contratto simulato.
Nell’esempio che abbiamo fatto, l’avente causa del simulato alienante è Mevio, che acquista
da Tizio, il quale è il simulato alienante perché:
- apparentemente NON è più il titolare del diritto perché apparentemente lo ha
alienato a Caio (titolare apparente)
- ma in realtà è ancora il vero titolare del diritto perché l’alienazione era simulata.
Tutela: Degli aventi causa del simulato alienante si occupa l’art. 1415 comma 2 cc, che afferma:
“I terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando pregiudica i loro diritti”.
L’avente causa del simulato alienante piò avere interesse a proporre domanda di simulazione per
far valere la situazione reale, quindi per far dichiarare che c’è stata simulazione tra Tizio e Caio.
Contro chi può agire? Il terzo avente causa del simulato alienante:
- può agire contro le parti dell’accordo simulatorio (alienante simulato –
acquirente simulato)
- NON può agire contro l’avente
causa del simulato acquirente: lo abbiamo visto prima. In caso di
conflitto tra aventi causa del simulato
acquirente e aventi causa del simulato
alienante, prevalgono gli aventi causa
dal simulato acquirente.
Ad es. nell’esempio da cui siamo partiti,
Sempronio (avente causa del simulato
acquirente) prevale su Mevio (avente causa del
simulato alienante).
IL CONTRATTO SIMULATO: LA TUTELA DEI CREDITORI
Il successivo art. 1416 invece si occupa dei creditori, distinguendo tra:
- creditori del simulato acquirente: i creditori del simulato acquirente (o titolare apparente) vedono entrare un bene
(1416 comma 1) nel patrimonio del loro debitore, quindi vedono accrescere il patrimonio del loro
debitore posto a garanzia generica dei loro crediti.
È chiaro che i creditori del simulato acquirente hanno interesse a far valere la
situazione di apparenza creatasi con la simulazione, per far sì che l’acquisto del
bene resti nel patrimonio del simulato acquirente, loro debitore.
Tutela: Il comma 1 dell’art. 1416 prevede: i creditori del simulato acquirente sono
tutelati SE in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che
furono oggetto del contratto simulato.
Ad es. il creditore che ha sottoposto il bene a pignoramento.
- creditori del simulato alienante: i creditori del contratto simulato alienante vedono uscire un bene dal patrimonio
(1416 comma 2) del loro debitore, quindi vedono ridotta la garanzia generica del loro credito.
Perciò è chiaro che i creditori del simulato alienante hanno un interesse opposto a
quello dei creditori del simulato acquirente, infatti i creditori del simulato alienante
hanno interesse a far valere la situazione reale occultata, quindi hanno interesse a
far dichiarare che c’è stata simulazione.
Tutela: I creditori del simulato alienante possono agire in giudizio con domanda di
simulazione per far accertare al giudice che c’è stata simulazione, la quale
pregiudica i loro diritti.
Conflitto tra creditori: Può verificarsi un conflitto tra i creditori del simulato alienante e i creditori del simulato
acquirente, dato che questi hanno interessi opposti:
- i creditori del simulato acquirente hanno interesse a far valere la situazione di apparenza,
cioè a dire che i beni sono di proprietà dell’acquirente
Caio (titolare apparente)
- i creditori del simulato alienante hanno interesse a far valere la situazione reale, cioè a dire
che c’è stata simulazione e quindi a dire che i beni sono
ancora di proprietà del simulato alienante Tizio.

171
E allora come si risolve il conflitto in caso di conflitto tra creditori?
- regola: i creditori del simulato alienante sono preferiti sui creditori chirografari del simulato
acquirente SE il loro credito è sorto anteriormente alla simulazione (quindi prima della
stipula del contratto simulato)
- eccezione: tuttavia, se i creditori del simulato acquirente hanno dato avvio alla procedura
esecutiva (ad es. hanno già pignorato il bene e lo stanno vendendo all'incanto)
prima della trascrizione della domanda di simulazione proposta dal creditore del
simulato alienante, allora sono preferiti i creditori del simulato acquirente perché
il compimento di atti di esecuzione sul bene oggetto della simulazione paralizza
la pretesa dei creditori del simulato alienante.

L’AZIONE DI SIMULAZIONE
Nozione: L’azione di simulazione è un’azione giudiziale diretta a fare accertare la simulazione, e dunque a far
accertare: - l'inefficacia del contratto simulato
- e il reale rapporto intercorrente tra le parti.
È un’azione di mero accertamento: L’azione di simulazione è un'azione di mero accertamento, quindi ha una natura
dichiarativa.
Legittimati: Legittimati sono: - le parti contraenti
- i terzi: gli aventi causa e i creditori.
Rilevabilità d’ufficio: Se la simulazione risulta dagli atti, essa può essere rilevata anche d'ufficio.
Eccezione di simulazione: La simulazione può essere fatta valere anche in via di eccezione dal convenuto per
contestare il titolo addotto a fondamento della domanda principale. Si distinguono due casi:
- eccezione riconvenzionale: se il convenuto solleva una semplice eccezione
riconvenzionale, allora mira semplicemente al rigetto della
domanda principale dell’avversario, quindi NON è necessaria
una integrazione del contraddittorio con le altre parti
dell’accordo simulatorio
- domanda riconvenzionale: se il convenuto invece deduce una vera e propria domanda
riconvenzionale, allora qui non si limita a chiedere
l’accertamento del rapporto reale dissimulato, ma esercita
anche i diritti a esso connessi; da qui l'esigenza di estendere
il contraddittorio a tutti coloro che hanno partecipato
all’accordo simulatorio.
Imprescrittibilità: L’azione di simulazione, in quanto azione di mero accertamento, è imprescrittibile.
Qui però dobbiamo essere più precisi:
- l’azione di simulazione è SEMPRE IMPRESCRITTIBILE, sia in caso di simulazione assoluta
che relativa.
- in caso di simulazione relativa, una parte contraente (simulato alienante o simulato acquirente),
oltre alla domanda di simulazione (imprescrittibile), può proporre
anche domanda di condanna all’adempimento di quelle
prestazioni scaturenti dal contratto dissimulato: in questo caso,
per l’azione di condanna all’adempimento della prestazione vale il
termine di prescrizione ordinario di 10 anni.
Es. Tizio vende a Caio un bene al corrispettivo di 50 (contratto simulato),
ma in realtà sono d’accordo che il prezzo della vendita sia 80 (contratto
dissimulato). Stipulano il contratto, Caio paga 50 e non paga i 30
rimanenti (fingendo che non ci sia stato accordo tra loro).
Ora, cosa accade:
- Tizio può proporre domanda di simulazione senza limiti di tempo
- ma il punto è: Tizio è anche interessato ad avere il pagamento di quei 30
di differenza che Caio non gli ha dato.
Come può fare? Può proporre domanda di condanna al
pagamento di quei 30, ma dobbiamo tenere presente che questa
è una normale azione di condanna dall’adempimento, quindi:
- NON è imprescrittibile
- ma è soggetta al termine di prescrizione ordinario di
10 anni.

172
La PROVA della simulazione
Una volta promossa la domanda di simulazione, gioca un ruolo particolarmente decisivo il problema della prova della
simulazione: in giudizio come si prova la simulazione? Sul piano probatorio come si dimostra la simulazione?
Bisogna distinguere a seconda di chi intenda provare la simulazione, ponendo su piani diversi le parti e i terzi:
- le parti: per la prova della simulazione le parti dell’accordo simulatorio (simulato alienante - simulato acquirente)
incontrano stringenti limiti probatori:
- possono produrre in giudizio
la controdichiarazione (o controscrittura): le parti sono le uniche che hanno partecipato all’accordo
simulatorio, quindi sono le uniche che hanno avuto la
possibilità di documentare il loro accordo simulatorio nella
controdichiarazione. La controdichiarazione serve proprio
ad probationem della simulazione.
- interrogatorio formale - giuramento e confessione sono ammissibili per provare la simulazione tra le
parti SOLO SE NON sono relativi a contratti solenni
per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam
- NO prova per testimoni: la prova della simulazione:
- regola: le parti NON possono provare la simulazione per mezzo di
testimoni
- eccezione: le parti possono eccezionalmente provare per testimoni la
simulazione SOLO SE intendono far valere l’illiceità del
contratto dissimulato.
Es. tipico esempio è che il contratto dissimulato è un
contratto di compravendita che nasconde un
mutuo con un patto commissorio.
- i terzi: I terzi, siano essi aventi causa o creditori, non hanno partecipato all'intesa, quindi è difficile che possano
provare l’avvenuta simulazione mostrando la controdichiarazione. Ecco perché l’art. 1417, rubricato “Prova
della simulazione”, afferma: i terzi e i creditori possono provare la simulazione con QUALSIASI mezzo di
prova senza limiti.
Casistica: Calvo sottolinea un punto: l'azione di simulazione postula l’esistenza di un diritto soggettivo
di cui il terzo attore chiede tutela attraverso la domanda giudiziale, quindi deve escludersi
l'interesse ad agire del terzo quando non risulti titolare di un diritto soggettivo.
Per chiarire con un esempio: è stata a ragione negata la legittimazione del figlio a far valere la
simulazione della compravendita stipulata tra genitore (tuttora in vita)
e terzo, in funzione della tutela della quota legittima che ritiene
essere stata lesa dalla dissimulata donazione, in virtù del rilievo che
non è ravvisabile il diritto soggettivo astrattamente pregiudicato dalla
simulazione dato che, prima della morte dell' ascendente, vi è soltanto
un'aspettativa successoria del discendente la quale non dà titolo
all'esercizio della citata pretesa giudiziale.

173
CAP.16

LE INVALIDITÀ CONTRATTUALI
In tema di contratto dobbiamo distingue tre concetti:
- validità: attiene al profilo strutturale, relativo al profilo degli elementi costitutivi del contratto
- efficacia: attiene al profilo funzionale, relativo al profilo degli effetti del contratto
- rilevanza giuridica: sono rilevanti giuridicamente quei fatti che l’ordinamento ritiene adeguati ad una
previsione normativa.
Es. se un fulmine colpisce un contadino, esso NON è un fatto giuridico. Ma se un
fulmine colpisce un contadino coperto da assicurazione, esso è un fatto giuridico.
Termine di creazione dottrinale: Il termine “invalidità” è un termine di matrice dottrinale.
Il codice NON conosce la nozione di “invalidità”, infatti costruisce direttamente
le categorie di invalidità (nullità, annullabilità e rescindibilità),
ma NON parla di “invalidità”.
È la dottrina allora che ha cercato di ricostruire una definizione generale di invalidità,
ritenendo che col termine “invalidità” si intende un’irregolarità giuridica del contratto
che comporta che il contratto:
- o NON produce effetti ab initio (nullità)
- o produce effetti sin dall’inizio ma in modo precario (annullabilità / rescindibilità)
Tipi di invalidità: Le ipotesi di invalidità contrattuale si distinguono in ragione dei diversi interessi protetti:
- la nullità: tutela interessi generali della collettività
- l’annullabilità / la rescindibilità: tutelano l’interesse individuale della singola parte contrattuale
lesa.
Distinzione con l’efficacia: L'invalidità del contratto dev'essere distinta rispetto alla nozione di inefficacia. Infatti:
- invalidità: è una qualifica di irregolarità del contratto
- inefficacia: l’inefficacia NON si identifica con l'invalidità perché l’inefficacia riguarda gli
effetti del contratto. L’inefficacia può essere:
- definitiva: l’inefficacia è definitiva quando il contratto definitivamente
NON produce effetti.
- provvisoria: l’inefficacia provvisoria comporta che gli effetti del contratto
si trovano in una situazione di incertezza che potrà risolversi:
a) o con la definitiva efficacia del contratto
b) o con la definitiva inefficacia del contratto.
Disciplina: La disciplina dell’invalidità del contratto col tempo si è allargata. Infatti, attualmente non ci si può riferire
soltanto alla disciplina presente nel Codice civile, ma si deve affiancare a quella prevista da altri testi:
Codice del consumo, Testo Unico Bancario, ecc.

A) LA NULLITÀ 15.1
La nullità è la forma più grave di invalidità contrattuale, posta a tutela di interessi generali della collettività, quindi
esprime la valutazione più negativa dell’ordinamento.
La nullità comporta l’inefficacia definitiva del contratto ab initio, cioè il contratto nullo NON produce effetti sin dal
momento della sua stipula per nessun consociato, quindi né per le parti contraenti né per i terzi.
Ecco perché la nullità è un rimedio che opera di diritto, cioè automaticamente sin dal momento della stipula.
Prova di ciò ne è che la sentenza che dichiara la nullità del contratto è una sentenza di mero accertamento, quindi ha
natura meramente dichiarativa proprio perché la nullità opera di diritto.
Tutela di interessi generali: La nullità è posta dal codice a tutela di interessi generali collettivi, quindi l’ordinamento
ha interesse ad intervenire con nullità nei casi in cui ci sia la violazione di interessi
generali della collettività.
Le cause di nullità: nullità testuali e nullità virtuali
Partiamo da una premessa: NON qualsiasi violazione delle norme del codice civile giustifica la reazione
dell’ordinamento mediante la nullità.
Come è ordinata la disciplina della nullità nel codice?
L’art. 1418, rubricato “Cause di nullità del contratto”, delinea 2 classi di nullità:
- le nullità testuali: partendo dall’ult. comma dell’art. 1418 (il comma 3), si dice: “Il contratto è nullo negli altri
casi stabiliti dalla legge”.
Le ipotesi di nullità testuali sono quelle stabilite ex ante dal legislatore: il legislatore
ex ante ha stabilito la violazione di una determinata norma comporta la nullità del
contratto.

174
Di fronte ad una nullità testuale, il compito dell’interprete è piuttosto semplificato, in
quanto egli non avrà bisogno di svolgere un’attività interpretativa complessa, ma gli
basterà sussumere la fattispecie concreta nella fattispecie astratta prevista dalla legge e
dichiarare la nullità de contratto.
Es. l’art. 458 cc sanziona con nullità i cd. patti successori: se il giudice rileva la presenza di
un patto successorio nel contratto, allora dichiara la nullità del contratto.
- le nullità virtuali: quando parliamo delle nullità virtuali, il discorso si complica perché qui il legislatore
NON prevede ex ante che la violazione di una determinata norma comporta la nullità del
contratto. Perciò, in caso di nullità virtuale, è necessaria una attività interpretativa più
complessa da parte dell’interprete.
Le nullità virtuali
L’art. 1418 commi 1 - 2 prevede quali sono i casi di nullità virtuali: sono quelle nullità che si verificano in caso di:
a) contrarietà a norme imperative, salvo che la legge disponga altrimenti: il primo tipo di nullità virtuale è
quello che si verifica quando il
contratto è contrario a norme
imperative (comma 1).
Analizziamo questo comma 1 suddividendolo in due step:
- “contrarietà a norme imperative”: innanzitutto l’interprete, prima ancora di indagare sul
se il contratto ha violato una norma imperativa,
ha il compito di accertare quando una norma è
effettivamente una norma imperativa.
Nozione: Una norma è imperativa quando NON è derogabile dai
privati nemmeno su accordo tra loro, dato che è posta a
tutela di interessi superiori a quelli relativi alla sfera
giuridica dei contraenti.
Quindi, la norma imperativa si contrappone alla norma
dispositiva, che invece è derogabile dalle parti.
NO elenco: Il nostro codice:
- NON prevede un elenco di norme imperative
- e NON sempre specifica se la norma abbia natura
imperativa oppure dispositiva.
A volte lo fa, ad es. quando utilizza espressioni del tipo
“non è ammesso patto contrario”, però nella
maggioranza dei casi non dice nulla.
Ecco perché l’indagine dell’interprete è spesso
complicata, perché l’interprete deve ricostruire se la
norma violata risulta essere una norma imperativa
oppure no.
- “salvo che la legge disponga diversamente”: a complicare ulteriormente il quadro vi è
anche la parte finale del comma 1, che
afferma “salvo che la legge disponga
diversamente”.
Questo significa che NON sempre la contrarietà ad
una norma imperativa comporta di diritto la nullità
del contratto, perché è possibile che il legislatore
abbia comminato una sanzione diversa dalla nullità.
b) assenza di un elemento essenziale
(cd. nullità strutturale): il secondo tipo di nullità virtuale è quello che si verifica quando nel
contratto è assente un requisito essenziale (accordo, causa, oggetto,
forma). Si parla in questo caso di nullità strutturali.
Il contratto nullo per una nullità strutturale (e anche per contrarietà ad
una norma imperativa) viene definitivo contratto ILLEGALE.
c) in caso di nullità funzionale: il terzo tipo di nullità virtuale è quello che si verifica quando il contratto
presenti una nullità funzionale, cioè in caso di:
a) illiceità della causa
ex artt. 1343 – 1344: la causa è illecita quando è contraria a norme imperative,
all’ordine pubblico o al buon costume, e in caso di
contratto in frode alla legge

175
b) illiceità dei motivi ex art. 1345: questo è SOLO il caso del motivo illecito comune.
Al di fuori di questo caso, il contratto è valido.
c) mancanza nell’oggetto dei requisiti ex art. 1346 (possibilità, liceità,
determinatezza o
determinabilità).
In tutti questi casi, il contratto nullo per una nullità funzionale viene definitivo
contratto ILLECITO (e non illegale, come invece nei casi di nullità strutturale e
violazione di norma imperativa).
Perché è importante distinguere tra contratto nullo perché illegale e contratto nullo perché illecito?
Anche all’interno di una categoria unitaria come la nullità, si distinguono due ipotesi:
- contratto illegale quando è nullo per contrarietà a norma imperativa o in caso di nullità strutturale
- contratto illecito quando è nullo per una nullità funzionale. Il contratto è illecito è un’ipotesi di nullità PIÙ
GRAVE rispetto al contratto illegale.
La distinzione è importante perché può capitare che il codice assoggetti ad un trattamento diverso il contratto nullo
perché illegale dal contratto nullo perché illecito.
Un esempio da cui può emergere ciò è l’art. 1972 cc che disciplina la transazione in caso di contratto nullo.
Es. la transazione è un contratto con cui due litiganti compongono la loro lite facendosi reciproche concessioni.
Immaginiamo che Tizio e Caio abbiano stipulato un contratto di compravendita e, dopo un po’ di tempo, una delle
parti ritenga che il contratto sia nullo e proponga domanda di nullità + la restituzione di quanto già eseguito.
In questo caso, i due litiganti possono comporre la lite con una transazione, dicendo ad es. ti restituisco parte della
cifra che mi hai pagato ma teniamo ferma la vendita.
Ora, il punto è che l’art. 1972 cc dice che la transazione relativa a un contratto nullo:
- è ammissibile la transazione se il contratto è nullo in quanto illegale
- NON è ammissibile la transazione se il contratto è nullo in quanto illecito: quindi se il contratto è nullo per
illiceità, allora è NULLA la stessa
transazione.
Perché? Perchè il legislatore non vuole che
possano essere sanati contratti nulli per illiceità,
nemmeno con una transazione.
Ecco perché, se il contratto è nullo in quanto
illecito, sarà nulla anche la transazione.
La riserva di legge in materia di nullità
Calvo afferma che la materia delle cause di nullità del contratto è coperta da riserva di legge.
Perché? Il legislatore ha il monopolio sulla materia delle cause di nullità perché la nullità è agganciata alla tutela di
interessi pubblici generali della collettività, quindi:
- la materia della nullità NON è nella disponibilità delle parti
- le parti NON possono creare nuove ipotesi di nullità (atipiche)
- la nullità si verifica SOLO quando è la legge che la stabilisce.
• Quando ci si è posti concretamente questo problema?
Il problema è stato dibattuto con riferimento alle forme volontarie ex art. 1352: se le parti hanno convenuto
di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata
voluta per la validità di questo.
Parte della dottrina ha affermato: se le parti hanno pattuito per iscritto (patto scritto sulla forma) una
determinata forma volontaria, si presume che la forma sia stata voluta per
la validità di questo. Perciò, in caso di trasgressione del requisito formale
volontario, il contratto è nullo (perché è l’art. 1352 a dire che si presume
voluta per la “validità” del contratto).
Critica: Ma in realtà, quando abbiamo parlato dell’art 1352 nell’ambito delle forme convenzionali, abbiamo
già visto che la giurisprudenza ha un parere opposto rispetto a parte della dottrina. La giurisprudenza
infatti dice che in caso di trasgressione dell’art. 1352:
- NON si pone un problema di invalidità
- ma al più un problema di inefficacia.
Ciò confermerebbe quanto detto inizialmente: le parti NON possono creare ipotesi atipiche di nullità.
Il problema della nullità successiva sopravvenuta
Calvo poi si occupa del tema della nullità successiva sopravvenuta.
Il codice NON si pone il problema, ma la dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto affrontarlo: questo problema
dell’invalidità successiva sopravvenuta: - NON si pone per i contratti istantanei
- ma si pone per i contratti di durata.

176
Si parla di nullità successiva sopravvenuta quando:
- la nullità NON è originaria
- ma la nullità è sopravvenuta, nel senso che può capitare che il contratto di durata sia inizialmente valido e
lecito al momento della stipula ma poi, durante lo svolgimento del rapporto
contrattuale di durata, ad es. cambiano le norme giuridiche e il contratto,
da che era valido diventa contrario a una (nuova) norma imperativa e dunque
è diventato invalido in itinere, cioè in un tempo successivo alla sua stipula.
Calvo: Secondo Calvo e la dottrina maggioritaria, in caso di invalidità successiva sopravvenuta di un contratto di
durata:
1) il contratto è nullo: perché? Perché il ius superveniens ha efficacia retroattiva: quindi, ci troviamo di fronte
ad un fatto eliminativo sopraggiunto, che incide sulla validità del contratto stipulato
2) però la nullità opera solo pro futuro, quindi le prestazioni già eseguite sono fatte salve.

Nullità e inesistenza giuridica


Un problema molto dibattuto a livello teorico su cui si sofferma Calvo è: oltre alla nullità, un altro tipo di vizio del
contratto è l’inesistenza giuridica. Allora la domanda è: quando un contratto è nullo e quando invece è inesistente?
Il nostro codice NON conosce questa distinzione, ma se ne occupa solo la dottrina.
Calvo: Calvo sostiene che la differenza tra nullità e inesistenza giuridica sta in ciò:
- nullità: il contratto nullo presuppone comunque l’esistenza del contratto stesso, cioè presuppone che
sussista un’operazione qualificabile come contratto e alla quale sia riferibile la qualifica della nullità.
Quindi la nullità invalida un contratto che di per sé è esistente, sebbene nullo.
- inesistenza giuridica: l’inesistenza giuridica invece sussiste quando NON esiste proprio un contratto,
cioè MANCA un’operazione qualificabile come contratto.
L’inesistenza giuridica si verifica in due casi
a) in caso di mancanza di volontà: in mancanza di volontà, il contratto è giuridicamente
inesistente perché manca l’elemento più indispensabile
per poter parlare di contratto: la volontà del soggetto.
Quindi, in caso di mancanza di volontà:
- NON si tratta di nullità per mancanza di accordo
- ma si tratta di vera e propria inesistenza giuridica.
Es. si pensi al contratto concluso sotto violenza fisica.
b) in caso di volontà non affidante: in questo caso il contratto è giuridicamente inesistente
perché la volontà c’è, ma è stata espressa in funzione di
un’evidente finzione, perché è stata espressa:
- o docendi causa, cioè è una dichiarazione fatta per scopo
di insegnamento, ad es. il professore
che formula una dichiarazione a mo’ di
esempio a lezione
- o iocandi causa, cioè è una dichiarazione fatta per
scherzo.
Rilevanza della distinzione? È importante la distinzione tra nullità e inesistenza giuridica?
- IN GENERALE, distinguere tra nullità e inesistenza giuridica del contratto NON ha rilevanza
perché:
- le conseguenze sono identiche
- entrambe le azioni per farle valere sono imprescrittibili.
- TUTTAVIA, vi sono delle ipotesi in cui potrebbe avere senso distinguere tra nullità e inesistenza
giuridica: ad es. per l’impugnazione delle delibere assembleari di una società
assembleari (ATTENZIONE: NON sono contratti questi):
- se diciamo che sono nulle: qui eccezionalmente l’azione di nullità
è soggetta ad un certo limite temporale
- se diciamo che sono giuridicamente inesistenti: l’azione per far valere
l’inesistenza giuridica
resta imprescrittibile
Ecco perché in questo caso bisognerebbe capire se la delibera è nulla
oppure giuridicamente inesistente.

177
Le norme: regole di validità e regole di condotta
Un’altra questione su cui Calvo si sofferma è la distinzione tra regole di validità e regole di condotta.
Dottrina italiana: La distinzione tra regole di validità e regole di condotta è una costruzione tutta italiana, che il
legislatore europeo NON conosce.
Secondo la dottrina italiana, bisogna distinguere le norme a seconda del loro oggetto:
- regole di validità: si parla di regola di validità quando la norma giuridica ha ad oggetto il contenuto
e la struttura del contratto.
Le regole di validità sono norme imperative, quindi la violazione di una regola di
validità comporta sempre la nullità
del contratto.
- regole di condotta (o di comportamento): si parla di regola di condotta quando la norma giuridica
ha ad oggetto il comportamento dei contraenti, quindi
disciplinano una determinata condotta che le parti
devono tenere, ad es. la condotta corretta durante
la fase delle trattative; gli obblighi di informazione; ecc.
Le regole di condotta NON sono norme imperative, perciò la violazione di
una regola di condotta:
- NON comporta la nullità del contratto
- ma comporta sanzioni diverse:
- in alcuni casi l’annullabilità
- in altri casi si risolve in una scorrettezza
precontrattuale.
Problema attuale: Come detto, questa distinzione tra regole di validità e regole di condotta è una costruzione tutta
italiana, NON conosciuta dal legislatore europeo.
Perché nell’ultimo periodo è ritornata all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza?
Per due motivi fondamentali:
A) considerato che si è intensificata l’attività di recepimento delle direttive comunitarie da parte
del legislatore italiano, si sono moltiplicati i problemi dei giuristi italiani e soprattutto dei
giudici. Perché?
Perché, dato che le direttive comunitarie NON conoscono questa distinzione tra
regole di validità e regole di condotta, allora sempre più di frequente è capitato che
il legislatore italiano, in questa attività di mero recepimento delle direttive
comunitarie, ha inglobato norme comunitarie che sanzionano con nullità la
violazione di regole di condotta, il che è invece negato dalla dottrina italiana.
E allora tutto questo problema è stato sempre più ribaltato sul povero interprete
italiano, il quale si trova dinanzi a due diverse impostazioni:
- la dottrina italiana che NON sanziona con nullità la violazione di regole di condotta
- le norme europee recepite nell’ordinamento italiano che invece sanzionano con
nullità la violazione di regole di condotta.
B) nel tempo si sono moltiplicate regole di condotta che impongono al contraente forte
determinati obblighi comportamentali al fine di tutelare la parte debole.
Es. nei rapporti tra l’intermediario finanziario e investitore, l'art. 21 del Testo Unico della
Finanza prevede una serie di informazioni che prima della stipula debbono essere fornite
dall'intermediario finanziario all'investitore.
Allora il problema è: che succede se queste informazioni non vengono fornite?
Quindi che succede se la regola di condotta imposta dall’art. 21 TUF
viene violata?
- dottrina italiana: l’opinione dominante, partendo dal presupposto che esista questa
distinzione tra regole di condotta e regole di validità, dice che in questo
caso, trattandosi della violazione di una regola di condotta:
- il contratto NON è nullo
- ma c’è una scorrettezza precontrattuale dell’intermediario, la quale
è sanzionabile col risarcimento del danno a
Cassazione a Sezioni Unite: La Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite proprio per fare chiarezza sul se esista nel
nostro ordinamento questa distinzione tra regole di condotta e regole di validità.

178
La Cassazione ha stabilito:
- IN LINEA DI PRINCIPIO nel nostro ordinamento ESISTE questa distinzione tra:
- regole di validità, la cui violazione comporta la nullità del contratto
- regole di condotta, la cui violazione NON comporta la nullità del
contatto
quindi in linea di principio la Cassazione conferma l’esistenza di
questa distinzione operata dalla dottrina italiana
- SALVO CHE IL LEGISLATORE DISPONGA DIVERSAMENTE: la Cassazione però aggiunge “salvo
che il legislatore disponga diversa”,
quindi il legislatore è libero di
sanzionare diversamente la violazione
di una regola di condotta, ad es. con
nullità.
Se però il legislatore non lo fa, allora bisogna
restare fedeli alla distinzione e alle sue
conseguenze.
Nullità e illecito penale
Un altro tema su cui si sofferma Calvo è: sappiamo che se il contratto viola una norma imperativa, allora è nullo.
Può capitare che la norma violata non sia una norma civilistica, ma una norma penale (che per antonomasia è una
norma imperativa). Cosa accade se la norma imperativa violata dal contratto è una norma penale?
NON basta dire “c’è un reato” per portare alla nullità del contratto: NON è vero che ogni volta che c’è un reato, il
contatto è nullo.
Calvo: Secondo Calvo, per studiare i rapporti tra contratto e norma penale è possibile richiamare la distinzione
tra regole di validità e regole di condotta. In particolare, secondo Calvo, bisogna distinguere due ipotesi:
- casi in cui la norma penale sanziona
la condotta di ENTRAMBE le parti: ad es. l’art. 353 cp prevede il reato di turbativa d’asta.
Immaginiamo che Tizio e Caio stipulino un contratto finalizzato
a turbare la libertà dell’incanto, ad esempio pattuiscono che
non rilanceranno all’asta, così da non far salire il prezzo del bene.
Tale contratto è nullo?
Se la norma penale sanziona la condotta di entrambe le parti, allora
tale violazione è equiparabile alla violazione di una regola di validità,
quindi il contratto è NULLO perché viola una norma penale che
sanziona la condotta di entrambe le parti.
- casi in cui la norma penale sanziona
la condotta di UNA SOLA parte nella fase
antecedente alla stipula del contratto: ad es. il reato di truffa ex art. 640 cp: la condotta sanzionata è
solo quella del truffatore, non anche quella del soggetto
truffato.
Immaginiamo che Tizio e Caio stipulino un contratto per effetto di
una truffa da parte di Tizio nei confronti di Caio.
Tale contratto è nullo?
Se la norma penale sanziona la condotta di una sola parte, allora tale
violazione è equiparabile alla violazione di una regola di condotta,
perché si tratta di una condotta scorretta tenuta da una parte a danno
dell’altra, allora il contratto:
- NON è nullo
- al più è: - annullabile per dolo (raggiro).
- e comunque è risarcibile.
Distinzione: Talvolta tale distinzione viene presentata in altri termini, distinguendo tra:
- reati contratto: quando la legge vieta proprio la stipula del contratto, cioè il reato consiste proprio
nella stipula di un dato contratto in sè. In questo caso, dato che è proprio il contratto
ad essere vietato dalla legge penale, allora vengono sanzionato tutte le parti che hanno
partecipato al contratto, e infatti il contratto sarà nullo.
- reati in contratto: quando il reato:
- NON consiste nella stipula di un dato contratto in sè
- ma consiste nella stipula di quel contratto perché è stato frutto di una condotta
illecita di una sola parte a danno dell’altra.

179
Nullità parziale
Dopo aver individuato le ipotesi di nullità (art. 1418), il codice al successivo art. 1419 si occupa dell’estensione della
nullità: - esistono ipotesi di nullità totale del contratto
- ma esistono anche ipotesi di nullità parziale del contratto.
Art. 1419 comma 1
Stando all’art. 1419 cc, la nullità del contratto può essere anche parziale, cioè riguardare singole clausole senza
inficiare tutto il contratto nella sua interezza.
Recita il comma 1: “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero
contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo
contenuto che è colpita dalla nullità”.
Essenzialità e giudizio ipotetico: L’art. 1419 comma 1 pone una regola: per configurarsi la nullità parziale del contratto
occorre compiere un giudizio ipotetico diretto a verificare la volontà dei contraenti,
cioè il giudice è chiamato a valutare l’essenzialità o meno che la clausola nulla aveva
per le parti contraenti al momento della stipula del contratto.
Quindi il discrimine tra nullità totale e nullità parziale del contratto è dato dalla
“essenzialità” della clausola nulla.
Una clausola è da ritenersi essenziale se è stata determinante per l’accordo tra le parti,
nel senso che nella logica dell'affare quella porzione del contratto è decisiva per mantenere
quel determinato equilibrio contrattuale, e quindi le parti senza quella clausola non
avrebbero stipulato il contratto.
E allora l’impostazione è:
a) se la clausola nulla è essenziale per i contraenti  la nullità è totale, quindi è nullo tutto
il contratto per intero
b) se la clausola nulla NON è essenziale per i contraenti  la nullità è parziale, perché le parti
avrebbe concluso comunque il
contratto anche senza questa
clausola nulla.
Giudizio ipotetico: Come si valuta l’essenzialità della clausola nulla?
Per valutare l’essenzialità o meno di una clausola il giudice deve compiere un giudizio
ipotetico sulla volontà delle parti tenendo conto di 2 parametri:
a) un parametro soggettivo, e cioè la volontà dei contraenti al momento della
stipula del contratto
b) un parametro oggettivo, e cioè l’oggettivo assetto di interessi consacrato nel
contratto.
Nullità parziale: Se viene dichiarata la nullità parziale, allora:
- il contratto resta valido
- ma viene espunta (eliminata) la clausola nulla.
Onere probatorio: A carico di quale parte è la prova di dimostrare l’essenzialità della clausola nulla?
Se una parte vuole far valere la nullità totale e NON la sola nullità parziale del contratto, è questa
parte a dover provare l’essenzialità di quella clausola, e cioè a dover dimostrare che la clausola nulla
è stata determinante per l’accordo e che non avrebbero
concluso il contratto senza quella clausola.
Ratio: Qual è la ratio della nullità parziale? Il comma 1 dell’art. 1419 è chiaramente espressione di due principi:
- il principio di conservazione del contratto (il cd. favor contractus)
- e il brocardo latino utile per inutile non vitiatur: la nullità di una porzione del contratto NON inficia l’intero
rapporto obbligatorio, a meno che il frammento invalido
sia stato determinante dell’accordo.
Art. 1419 comma 2: sostituzione ipso iure (sostituzione legale parziale)
Ratio: Anche il comma 2 è espressione del principio di conservazione del contratto (favor contractus), ma in un’ottica
diversa dal comma 1, perché la conservazione del contratto opera:
- per il comma 1 opera sulla base della volontà delle parti
- invece per il comma 2 opera per legge.
Infatti, il comma 2 dell’art. 1419 disciplina il fenomeno della sostituzione legale parziale, cioè casi in cui la nullità è
SEMPRE parziale: se il contratto presenta una clausola nulla in quanto contraria ad una norma imperativa, tale
clausola nulla è sostituita di diritto dalla norma imperativa (quindi è una sostituzione automatica).
Ecco perché si parla di sostituzione legale parziale che, in virtù del principio di conservazione del contratto, fa sì che la
nullità colpisca solo la clausola, e NON l’intero contratto.

180
NO giudizio ipotetico del giudice: In questo caso, il giudice:
- NON deve verificare l’essenzialità della clausola
- NON deve compiere quel giudizio ipotetico sulla volontà ipotetica delle parti
perché in questo caso la sostituzione avviene ipso iure, quindi opera
automaticamente, pertanto il giudice deve semplicemente limitarsi ad applicare
meccanicamente la norma imperativa prevista dalla legge.
Esempio: L’esempio tipico di sostituzione automatica della clausola è quello dell’art. 1339 cc, rubricato “Inserzione
automatica delle clausole”, che afferma: “Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge o da
norme corporative sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte
dalle parti”.
È una norma già vista in sede di integrazione: Il comma 2 dell’art. 1419 detta una norma che abbiamo già affrontato in
sede di integrazione cogente del contratto, in virtù della quale le
determinazione legali inderogabili si sostituiscono ipso iure alle difformi
determinazioni dei contraenti.
Nullità del contratto plurilaterale (art. 1420)
Un’altra norma ispirata al principio di conservazione del contratto è il successivo art. 1420 cc (non a caso posto dopo
l’art. 1419 che è ispirato allo stesso principio) che si occupa della nullità del contratto plurilaterale.
Il codice ha ragionato in questo modo:
- all’art. 1419 disciplina la nullità parziale in senso OGGETTIVO, perché riguarda le clausole del contratto o
porzioni di esso
- all’art. 1420 disciplina la nullità parziale in senso SOGGETTIVO, perché riguarda le parti di un contratto
plurilaterale.
Quindi l’art. 1420 è un’ipotesi di nullità soggettivamente parziale.
L’art. 1420 afferma che nei contratti plurilaterale con comunione di scopo (sono quei contratti con più di due parti in
cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, es. il contratto di associazione),
la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti:
- regola: - NON importa la nullità totale del contratto
- ma importa la nullità parziale del singolo vincolo che colpisce quella singola parte contraente.
Es. il contratto resterà valido non più ad es. per 10 parti, ma per 9.
- eccezione: però l’art. 1420 dice “salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze,
considerarsi essenziale”.
Quindi, il giudice, in base ad un giudizio ipotetico, deve ricostruire la volontà
ipotetica delle parti. Il contratto sarà nullo interamente (e non soltanto
parzialmente nullo) SE la partecipazione della parte il cui vincolo è nullo è da
considerarsi essenziale, cioè quando si ritiene che le parti non avrebbe stipulato
il contratto se avessero saputo che quel contraente X non avrebbe partecipato
al contratto plurilaterale.

L’AZIONE DI NULLITÀ
Nozione: L'azione di nullità è l'azione finalizzata all'accertamento della nullità del contratto.
Azione di mero accertamento: L’azione di nullità è un’azione di mero accertamento finalizzata alla pronuncia di una
sentenza di nullità, che ha una natura meramente dichiarativa perché si limita a
dichiarare che quel contratto è invalido ed inefficace ab initio, quindi sin dal momento
della stipula, quindi come se non fosse mai entrato nel mondo giuridico.
Questo perché la nullità opera di diritto.
Eventuale domanda di risarcimento del danno: L’azione di nullità può essere accompagnata dalla domanda al
risarcimento del danno nei limiti dell'interesse negativo se ricorrono
gli estremi della responsabilità precontrattuale.
I legittimati all’azione di nullità
Nullità assoluta : L’art. 1421 cc afferma: “Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da
chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice”.
Chi può agire in giudizio per far valere la nullità del contratto?
Coerente con il fatto che la nullità è posta a presidio di interessi generali collettivi, comprendiamo
perché la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, quindi il codice presuppone
una legittimazione allargata: ecco perché si parla di nullità assoluta.

181
Nella locuzione “chiunque vi abbia interesse” rientrano:
- le parti: ovviamente le parti contrattuali hanno un interesse ad agire in giudizio in re ipsa, nel senso
che non c’è bisogno di verificare se hanno interesse ad agire in giudizio, dato che tale
interesse è immanente nel fatto che sono parti del contratto.
- i terzi: anche i terzi, cioè soggetti diversi dalle parti contraenti, possono avere un interesse ad agire
in giudizio con l’azione di nullità contro un contratto di cui non sono parti, purché vi abbiano
interesse.
Interesse: Per i terzi si pone il problema di verificare il loro interesse ad agire, perché,
non essendo parti del contratto, il loro interesse ad agire in giudizio NON è in re
ipsa, quindi va verificato in concreto.
Si ritiene che il terzo abbia interesse ad agire per far dichiarare la nullità di un
contratto stipulato tra altri quando:
- NON è sufficiente che abbia un dubbio sulla validità o meno del contratto
- ma deve dimostrare che tale dubbio sulla validità o meno del contratto gli
cagiona un danno giuridicamente rilevante alla sua
sfera giuridica. Es. il fideiussore può far valere la nullità
del contratto da cui deriva il debito.
Rilevabilità d’ufficio: Coerente con questa legittimazione allargata a chiunque vi abbia interesse
è la previsione secondo cui il giudice può SEMPRE rilevare d’ufficio la nullità,
anche ina assenza di domanda delle parti, quindi a prescindere dalla domanda
dell’attore.
Quindi il giudice, se nel corso del giudizio rileva che il contratto è nullo, ha il
potere-dovere di dichiarare la nullità del contratto stesso, A PRESCINDERE dalla
domanda dell’attore, quindi a prescindere dal se le parti dessero per scontata la
pacifica validità del contratto.
Nullità relativa: L’art. 1421 cc ha un importante incipit “Salvo diverse disposizioni di legge”.
Questo significa che la regola della nullità assoluta (“chiunque vi abbia interesse”) conosce delle
eccezioni, che sono le ipotesi di nullità relativa.
Nelle ipotesi di nullità relativa, la nullità del contratto:
- NON può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse
- ma può essere fatta valere SOLO da una parte contrattuale.
Ratio: Sappiamo che in generale la nullità (assoluta) è posta a tutela di interessi generali collettivi.
Invece, la nullità relativa:
- NON è posta a tutela di interessi generali collettivi (come la nullità assoluta)
- NON è posta a tutela di interessi privati del singolo (come l’annullabilità e la rescindibilità)
- ma è una via di mezzo: la nullità relativa è posta a tutela di interessi privati seriali,
cioè di interessi:
- NON di tutti i consociati
- NON del singolo contraente
- ma a tutela di una categoria (classe) di soggetti.
Es. in caso di contratti tra professionista e consumatore, l’art. 36 cod. dice
che la nullità delle clausole vessatorie può essere fatta valere solo dal
consumatore (contraente debole)
Es. nel Testo Unico Bancario troviamo ipotesi di nullità relative perché
possono essere fatte valere solo dal cliente.
Rilevabilità d’ufficio: Quando la nullità è relativa, può essere rilevata d’ufficio dal giudice?
L’opinione maggioritaria ritiene di sì, perché nullità relativa e rilevabilità d’ufficio
sono compatibili.
Imprescrittibilità
Regola: L’azione di nullità è imprescrittibile, quindi può SEMPRE essere fatta valere senza limiti di tempo.
Limitazioni: La regola dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità si scontra con due limitazioni, infatti l’art. 1422 cc
dice: “salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione”:
Queste limitazioni NON sono eccezioni alla imprescrittibilità, nel senso che l’azione di nullità è SEMPRE
imprescrittibile e NON esistono eccezioni a tale regole, ma esistono delle limitazioni che comportano che
è vero che la nullità del contratto possa essere domandata e dichiarata SEMPRE senza limiti di tempo,
però ci sono due casi in cui la sentenza di nullità non riesce a ripristinare in toto la situazione esistente
prima della stipula del contratto nullo.

182
- 1° limite: il primo limite alla imprescrittibilità dell’azione di nullità è dato dall’usucapione.
Chi ha conseguito il possesso di un bene in base ad un contratto nullo può, nonostante la nullità
del contratto, agire per far dichiarare l'avvenuta usucapione se ne sussistono i presupposti.
Quindi, se decorsi 20 anni dalla stipula del contratto, la parte:
- può sì proporre domanda di nullità per far dichiarare la nullità del contratto (perché
tale azione è imprescrittibile)
- ma, essendo trascorso il termine di usucapione ventennale, la nullità NON fa venire meno
gli effetti dell’usucapione dell’acquirente, quindi il bene acquistato in forza del
contratto (nullo) resta di proprietà dell’acquirente: quindi, nonostante il contratto
sia stato dichiarato nullo,
comunque il bene resta di
proprietà dell’acquirente
NON per averlo acquistato,
ma per averlo usucapito
(cioè per averlo posseduto
per un periodo maggiore di 20
anni).
- 2° limite: il secondo limite alla imprescrittibilità dell’azione di nullità è dato dalla prescrizione dell’azione di
ripetizione: quando una parte propone domanda di nullità, può anche proporre domanda di
ripetizione dell’indebito con cui chiede la restituzione delle prestazioni eseguite.
Il problema è che l’azione di ripetizione dell’indebito ha un termine di prescrizione di 10
anni. Quindi, se sono decorsi 10 anni dalla stipula del contratto, la parte:
- può sì proporre domanda di nullità per far dichiarare la nullità del contratto (perché
tale azione è imprescrittibile)
- ma NON può proporre domanda per ottenere la restituzione di quanto adempiuto in
favore dalla controparte in forza del contratto
dichiarato nullo, perché tale azione di ripetizione
dell’indebito si è prescritta.
Se propone tale domanda, la domanda sarà rigettata.
Quindi, in entrambi i casi è come se fosse una vittoria di Pirro: il contraente che ha proposto domanda di
nullità riesce sì a far dichiarare nullo il contratto, ma:
- o non può rivendicare utilmente la proprietà del bene che ha alienato perché l’acquirente gli potrà opporre
validamente la usucapione
- o non può ottenere la restituzione di quanto ha adempiuto in forza del contratto dichiarato nullo perché
l’azione di ripetizione dell’indebito si è prescritta.

Gli EFFETTI della nullità del contratto: l’efficacia retroattiva reale


Quali sono gli effetti della sentenza di nullità del contratto?
La sentenza di nullità è una sentenza con cui il giudice si limita a prendere atto e dichiarare che il contratto è invalido e
inefficace ab initio, cioè NON ha prodotto effetti sin dal momento della stipula, come se non fosse mai entrato nel
mondo giuridico.
Ecco perché la sentenza di nullità ha fisiologicamente una efficacia retroattiva reale: determina il venir meno di tutti
gli effetti contrattuali sin dal momento della stipula (ex tunc), riportando la situazione giuridica al momento
antecedente alla stipula.
A seguito della sentenza di nullità, distinguiamo tra:
- effetti tra le PARTI: a seguito della sentenza che dichiara la nullità:
- il contratto nullo viene eliminato dal mondo giuridico sin dal momento della sua
stipula (efficacia retroattiva)
- le parti sono legittimate a proporre domanda di
ripetizione dell’indebito (conditio indebiti): dato che la nullità è retroattiva, allora è
evidente che le eventuali prestazioni già
eseguite dalle parti NON hanno più un
titolo giustificativo, cioè una loro ragione,
pertanto è possibile chiederne la
restituzione.
Quindi, dopo la sentenza che dichiara la nullità del
contratto, le parti hanno il diritto di chiedere e ottenere
la ripetizione dell’indebito oggettivo, cioè la restituzione

183
di quanto adempiuto alla controparte per effetto del
contratto nullo.
Es. Tizio vende un bene a Caio. Tizio gli trasferisce il bene,
Caio paga il corrispettivo. Successivamente il
contratto viene dichiarato nullo e tale nullità ha
efficacia retroattiva, quindi è come se la
compravendita non fosse mai stata stipulata.
Di conseguenza, l’alienante Tizio può chiedere la
restituzione del bene e Caio la restituzione del
corrispettivo pagato.
- effetti per i TERZI: abbiamo detto che la sentenza di nullità ha una efficacia retroattiva reale, quindi
NON meramente obbligatoria. Questo è importante specie per analizzare gli effetti della
nullità rispetto ai terzi.
La retroattività della nullità è REALE perché travolge anche i diritti acquistati dai terzi
subacquirenti.
Es. Tizio vende a Caio un bene e Caio a sua volta lo vende a Sempronio.
Immaginiamo che venga dichiarata la nullità del contratto di compravendita tra
Tizio e Caio: questa nullità, avendo una efficacia retroattiva reale, dispiega
effetti anche nei confronti di terzi subacquirenti (Sempronio), perché, se viene
dichiarata la nullità del contratto tra Tizio e Caio, e quindi viene eliminato dal
mondo giuridico come se non fosse mai esistito, allora è ovvio che travolge
tutto ciò che è avvenuto dopo quel contratto.
Ne consegue che il terzo subacquirente Sempronio è come se non avesse
acquisto nulla perché Caio non era il proprietario, in quanto aveva acquistato in
forza di un contratto nullo.
Eccezioni: TUTTAVIA, l’ordinamento si è comunque preoccupato di fornire una tutela ai terzi
in alcune ipotesi. E infatti il codice prevede eccezioni che attenuano o svuotano il
principio di efficacia retroattiva reale della sentenza di nullità del contratto.
Cioè ci sono casi in cui la sentenza di nullità del contratto NON ha efficacia
retroattiva reale rispetto ai terzi subacquirenti che hanno acquistato diritti da una
delle parti del contratto poi dichiarato nullo, e quindi tale nullità NON sarà
opponibile a tali terzi subacquirenti, i quali faranno salvi i loro acquisti.
Le eccezioni alla regola della efficacia retroattiva reale della nullità sono:
- per i BENI MOBILI: la regola ex art. 1153 cc segna un limite alla regola della retroattività
reale della nullità, infatti la tutela del terzo viene assicurata dall’art.
1153 cc secondo il principio “possesso vale titolo”.
Le condizioni dell’art. 1153 cc cc sono: SE il terzo subacquirente:
1) il terzo ha acquistato un bene mobile da un soggetto che non ne era
il proprietario
2) l’acquisto è avvenuto in forza di un titolo astrattamente idoneo al
trasferimento della proprietà: NON ha alcuna
importanza se sia
avvenuto a titolo
gratuito o
oneroso.
3) il terzo era in buona fede al momento della consegna
4) il terzo ha conseguito il possesso del bene
ALLORA tale acquisto del terzo è fatto salvo.
Perciò a tale terzo subacquirente NON sarà possibile opporre la nullità
del contratto tra il suo alienante e l’altro stipulante. Di conseguenza,
in presenza di questi presupposti, il terzo subacquirente è legittimato
a trattenere il bene mobile acquistato.
- per i BENI IMMOBILI e per
i DIRITTI IMMOBILIARI : per la circolazione dei beni immobili e dei diritti immobiliari
vigono le regole della pubblicità e della trascrizione nei
registri immobiliari.
Il sistema prevede che la trascrizione è obbligatoria:
- per i contratti aventi ad oggetto beni immobili e diritti immobiliari

184
- l’art. 2652 n. 6 prevede che la trascrizione è obbligatoria anche per le
domande dirette a far dichiarare la nullità dei contratti
immobiliari.
Quindi, la parte contrattuale che agisce in giudizio con la
domanda di nullità di un contratto immobiliare
(precedentemente trascritto) deve trascrivere la sua
domanda di nullità.
La trascrizione della domanda di nullità di un contratto immobiliare
precedentemente trascritto è importante perché il codice prevede
delle importanti conseguenze in caso di omessa o tardiva trascrizione della
domanda di nullità contro il contratto avente ad oggetti diritti immobiliari.
In particolare il codice ipotizza questa situazione:
- Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita immobiliare (avente
ad oggetto beni/diritti immobiliari) con cui il proprietario Tizio
trasferisce la proprietà del suo bene immobile X all’acquirente Caio
- dopo qualche anno, il nuovo proprietario Caio in qualità di venditore
decide di vendere lo stesso bene immobile X a Sempronio (che
qualifichiamo come “terzo subacquirente”), il quale acquista in buona
fede a qualunque titolo (a titolo oneroso o gratuito non ha
importanza) e provvede alla trascrizione del suo atto di acquisto.
- ora, immaginiamo che il contraente del contratto “a monte” Tizio ritenga
che il suo contratto di compravendita immobiliare stipulato con Caio
sia nullo, e allora propone e trascrive domanda di nullità contro quel
contratto di compravendita immobiliare; e immaginiamo che il giudice
accolga tale domanda di nullità, quindi emani sentenza di nullità
dichiarando nullo il contratto di compravendita immobiliare
“a monte” tra Tizio e Caio.
A questo punto, la domanda è: alla luce del fatto che il contratto di
compravendita immobiliare “a monte” tra Tizio e Caio è stato dichiarato
nullo, quindi non ha mai prodotto effetti e quindi è come se la proprietà
del bene immobile fosse rimasta sempre di Tizio, cosa accade all’acquisto
del terzo subacquirente Sempronio che aveva acquistato proprio quel
bene immobile X dall’acquirente Caio?
Qui il codice prevede un meccanismo che possiamo schematizzare in questo modo:
- se la domanda di nullità del contratto immobiliare “a monte” è stata proposta e
trascritta ENTRO 5 anni dalla data di trascrizione del contratto immobiliare
impugnato (quello “a monte”),
allora la sentenza che dichiara nullo il contratto immobiliare “a monte”
è opponibile a eventuali terzi subacquirenti che medio tempore abbiano
acquistato dal contraente acquirente del contratto immobiliare dichiarato
nullo, quindi vengono travolti i loro diritti immobiliari.
- se la domanda di nullità del contratto immobiliare “a monte” è stata proposta e
trascritta tardivamente, e cioè DOPO 5 anni dalla data di trascrizione del
contratto immobiliare impugnato (quello “a monte”),
allora la sentenza che dichiara nullo il contratto immobiliare “a monte”
NON è opponibile a eventuali terzi subacquirenti che medio tempore
abbiano acquistato diritti immobiliari a qualsiasi titolo (oneroso o gratuito,
non importa) in buona fede in base ad un atto trascritto anteriormente
alla trascrizione della domanda di nullità.
Quindi, in questo caso, il terzo subacquirente conserverà il bene immobile/
diritto immobiliare acquistato.
Questo è il secondo caso in cui viene meno la regola della efficacia retroattiva
della sentenza di nullità.
Questo meccanismo trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di limitare gli
effetti negativi che una declaratoria di nullità potrebbe avere sugli acquisti
effettuati dai terzi in buona fede.

185
Calvo sulla pubblicità “sanante”: Questo meccanismo per i beni immobili tutela il terzo
subacquirente che in buona fede abbia acquistato un diritto
immobiliare a qualsiasi titolo e che abbia trascritto il suo acquisto
anteriormente alla domanda di nullità proposta e trascritta
tardivamente (cioè dopo 5 anni dalla trascrizione del contratto
immobiliare impugnato).
Questo meccanismo di tutela del terzo subacquirente la dottrina lo chiama
“pubblicità sanante”, perché?
La dottrina parla di pubblicità “sanante” perché è un principio che
consente di salvare l’acquisto trascritto del terzo subacquirente in
buona fede NONOSTANTE la nullità del titolo (contratto immobiliare
“a monte”) del suo venditore (acquirente nel primo contratto).
Calvo: Calvo ritiene che più “sanante” sarebbe preferibile parlare di pubblicità
“consolidante”. Perché?
Calvo ritiene che la locuzione pubblicità “sanante” sia inappropriata perché la
trascrizione dell’atto di acquisto da parte del terzo subacquirente in buona fede:
- NON è che sana il vizio del contratto immobiliare “a monte”
- il contratto immobiliare “a monte” è stato dichiarato nullo e resta nullo
- semplicemente la fattispecie complessa “trascrizione tardiva della domanda di
nullità + trascrizione dell’atto di acquisto del terzo subacquirente
anteriormente alla trascrizione della domanda di nullità” fa sì che la
sentenza di nullità sia inopponibile al terzo subacquirente.
Quindi, la sentenza di nullità del contratto immobiliare NON potrà essere opposta
all’eventuale terzo subacquirente che abbia trascritto il suo acquisto,
ma NON perché si è sanata la nullità del contratto: ecco perché Calvo dice che parlare
di “sanante” è sbagliato: il contratto immobiliare dichiarato nullo è nullo e resta
nullo
Ecco perché Calvo dice: è più corretto parlare di pubblicità “consolidante”, nel senso
di “stabilizzante”, perché con tale meccanismo si punisce l’inerzia della parte
contraente che avrebbe dovuto proporre e trascrivere la domanda di nullità
tempestivamente, cioè entro 5 anni dalla trascrizione del contratto immobiliare
affinché potesse opporre la nullità di tale contratto ad un eventuale terzo
subacquirente.
Se non lo ha fatto, allora l’ordinamento preferisce tutelare il terzo subacquirente con
questo meccanismo della pubblicità consolidante.
Ratio: Perché l’ordinamento prevede questo meccanismo di pubblicità “consolidante” per i beni immobili e i
diritti immobiliari? L’ordinamento, con questo meccanismo, ha voluto garantire:
- l’interesse alla sicurezza dei trasferimenti immobiliari
- l’interesse a consolidare e stabilizzare gli acquisti immobiliari laddove siano trascorsi 5 anni dalla
trascrizione del contratto immobiliare
- proteggere l’affidamento dei terzi in buona fede.

La soluti retentio per i contratti nulli per contrarietà al buon costume


Abbiamo detto che, a seguito della sentenza di nullità del contratto, le parti sono legittimate a chiedere la ripetizione
dell’indebito (cd. conditio indebiti), cioè a chiedere e ottenere la restituzione delle prestazioni già eseguite in forza del
contratto (poi dichiarato nullo).
TUTTAVIA, il codice prevede un’eccezione all’art. 2035 cc.
Art. 2035 cc: L’art. 2035 cc disciplina la cd. soluti retentio, cioè: se il contratto è stato dichiarato nullo per contrarietà al
buon costume, allora le parti hanno il diritto di trattenere la prestazione eventualmente già ricevuta
dall’altra parte senza che quest’ultima possa ottenerne la restituzione.
Ratio: Il legislatore ha ritenuto che in caso di contratto contrario al buon costume (ob turpem causam),
le parti NON sono meritevoli di tutela, perciò è immeritevole di tutela anche l’interesse alla
ripetizione dell’indebito.
Esempio: L’esempio classico è la vendita di prestazioni sessuali contro un corrispettivo, es. tra cliente e
prostituta. Questo è un contratto contrario al buon costume, perciò, se viene dichiarato nullo, il
cliente NON può pretendere dalla prostituta la restituzione del prezzo che ha pagato.

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Corruzione e concussione: In dottrina è dibattuto se nell'art. 2035 cc rientrino anche i contratti conclusi nelle ipotesi di
corruzione e di concussione.
Secondo una parte della giurisprudenza, sia l’ipotesi di corruzione che di concussione
possono rientrare nella categoria dei contratti contrari al buon costume e dunque si ritiene
applicabile l’art. 2035, quindi il corruttore non avrebbe diritto a chiedere al corrotto la
restituzione del prezzo pagato.
Minervini non è di questa idea, ma comunque è tutto molto dibattuto in giurisprudenza.

DIVIETO DI CONVALIDA del contratto nullo. Casi eccezionali


Una caratteristica fondamentale della nullità è la sua insanabilità.
L’art. 1423 cc pone una regola e una eccezione:
- regola: di regola la nullità è insanabile, quindi il contratto nullo NON può essere convalidato (sanato) da una
parte.
Perché? Perché nullità e convalida hanno due ratio diverse:
- la nullità è posta a tutela di interessi generali
- la convalida è posta a tutela del singolo interesse della sola parte lesa
quindi sono due concetti legati ad interessi diversi.
- eccezione: lo stesso art. 1423 cc però dice “salvo che la legge disponga diversamente”.
Quindi lo stesso art. 1423 cc pone una riserva, in virtù della quale legge eccezionalmente
consente la convalida (sanatoria) di un contratto nullo.
Con la convalida si sana la nullità, quindi si elimina il vizio di nullità e dunque il contratto diventa
valido.
Le ipotesi eccezionali di convalida del contratto nullo sono rinvenibili in due articoli:
- art. 590: è dettato in tema di disposizione testamentaria. La nullità della disposizione
testamentaria non può essere fatta valere da chi, pur conoscendo la causa della
nullità, dopo la morte del testatore ha confermato la disposizione testamentaria
o ha dato volontaria esecuzione ad essa.
Es. Tizio prima di morire fa un testamento olografo e però, per distrazione,
dimentica di sottoscriverlo. Tale testamento è nullo. Tale nullità però è
sanabile: se l'erede, pur conoscendo la causa di nullità, esegue
spontaneamente la disposizione testamentaria (es. se c’era un legato nel
testamento, dà esecuzione a tale legato), allora si può parlare di
convalida del testamento nullo: tale convalida sana la nullità del testamento
stesso.
- art. 799: è dettato in tema di donazione. La nullità della donazione non può essere fatta
valere dagli eredi o aventi causa del donante che, pur conoscendo la causa della
nullità, dopo la morte del donante hanno confermato la donazione o hanno
dato volontaria esecuzione ad essa.

La CONVERSIONE del contratto nullo


Fonte: Art. 1424 cc
Nozione: La conversione è uno strumento per “recuperare” un contratto nullo, nel rispetto dello scopo delle parti,
ispirato al principio di conservazione del contratto (cd. favor contractus).
Il contratto nullo può produrre gli effetti di un diverso contratto del quale contenga i requisiti di sostanza e di
forma se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, deve ritenersi che esse lo avrebbero voluto se ne
avessero conosciuto la nullità.
Condizioni di applicabilità: Quali sono i requisiti affinché possa operare la conversione del contratto nullo?
1) il contratto (maggiore) è nullo
2) tra il contratto nullo e un contratto idealmente contenuto all’interno del contratto nullo
sussistono due presupposti:
1) un rapporto di continenza: cioè idealmente dobbiamo immaginare che il
contratto maggiore nullo contiene al suo interno
i requisiti di sostanza e forma di un diverso
contratto (minore) che sarebbe valido e
produttivo di effetti.

187
2) una compatibilità funzionale: cioè bisogna verificare che tra questi due
contratti (quello maggiore nullo e quello
minore valido) esista una compatibilità
funzionale, cioè entrambi mirano a realizzare
gli stessi interessi.
Ovviamente il contratto maggiore nullo lo
avrebbe fatto in maniera più intensa rispetto
a quello minore, che mirerebbe a realizzare
gli stessi interessi ma in modo meno intenso.
3) ricostruzione della volontà ipotetica delle parti: ultimo requisito è “se avuto riguardo allo
scopo perseguito dalle parti, deve
ritenersi che esse lo avrebbero voluto
se ne avessero conosciuto la nullità”.
Quindi, in questo caso (così come avviene in
caso di nullità parziale), il giudice è chiamato ad
un giudizio ipotetico per ricostruire la volontà
ipotetica dei contraenti, e cioè capire se le parti,
se avessero conosciuto che il contratto era nullo,
avrebbero concluso questo contratto minore pur
di realizzare lo scopo.
Se si ritiene di sì, allora la conversione può
operare; se invece si ritiene di no, allora la
conversione non può operare.
Effetto: La conversione ha le seguenti conseguenze:
- NON si producono gli effetti del contratto nullo
- si producono gli effetti del contratto minore idealmente contenuto nel primo.
Esempio: Tizio e Caio stipulano un contratto avente ad oggetto la costituzione di un diritto reale su un bene immobile,
quale ad es. una servitù di passaggio. Lo dovrebbero fare per iscritto, e invece lo concludono oralmente.
Ovviamente questo contratto è nullo per mancanza di forma scritta.
Quindi: - NON si costituisce un diritto reale di servitù di passaggio perché il contratto è nullo
- però idealmente si può pensare di costituire un diritto di passare meramente obbligatorio con cui
si costituisce:
- NON una servitù di passaggio (un diritto reale)
- ma un semplice diritto personale a passare, cioè una parte si obbliga a
consentire all’altra di
passare sul suo fondo.
Quindi diciamo: non si eliminano tutti gli effetti del contratto nullo, ma facciamo
salvi gli effetti di questo contratto" minore" che idealmente è contenuto in quello
maggiore. Quindi non si costituisce il diritto reale di servitù di passaggio, ma
semplicemente Tizio si obbliga a consentire a Caio proprietario di passare sul suo
fondo.
Quando NON può operare la conversione? La conversione NON è applicabile:
- al contratto giuridicamente inesistente
- al contratto nullo in quanto illecito: perché la conversione non opera?
Perché comunque lo scopo delle
parti sarebbe comunque
irrealizzabile.
Conversione formale
Accanto a queste ipotesi cd. di conversione sostanziale, ci sono delle ipotesi di conversione cd. formale.
La conversione formale consiste nella conversione del contratto nullo in un altro tipo formale avente i requisiti
sufficienti per produrre i MEDESIMI effetti giuridici.
Quindi il contratto nullo formalmente convertito produce gli stessi effetti del contratto, ma ha una forma diversa.
Es. l’atto pubblico nullo per difetto di forma o per incapacità del pubblico ufficiale vale a produrre effetti
come una semplice scrittura privata
Differenza: La conversione formale ha poco in comune con la conversione sostanziale perché con la conversione
formale: - NON si riducono gli effetti del contratto nullo
- il contratto convertito produce gli stessi effetti, ma semplicemente avrà una forma diversa.

188
Conversione legale
Calvo analizza anche una terza ipotesi di conversione: la conversione legale.
Nozione: La conversione legale opera quando è la legge a disporre in meccanismo di conversione, quindi
NON è il giudice che ricostruisce la volontà ipotetica delle parti.
Esempio di Calvo: L’art. 1059 cc in tema di servitù riguarda l'ipotesi in cui il soggetto che costituisce la servitù non sia il
proprietario esclusivo del bene ma sia semplicemente un comproprietario. Dice l’art. 1059:
- comma 1: la servitù concessa da uno dei comproprietari di un fondo indiviso non è costituita
se non quando gli altri proprietari l'hanno anch’essi concessa.
- comma 2: è al comma 2 che, secondo Calvo, troviamo l’ipotesi di conversione legale, dove si
dice: in caso di servitù concessa da uno soltanto dei comproprietari:
- il contratto è nullo, quindi NON si costituisce alcun diritto reale di servitù: perché?
Perché il diritto reale di servitù NON si può costituire senza il
consenso di tutti i comproprietari
- però, per effetto di una conversione legale, è come se si costituisse un diritto
minore, e cioè una sorta di servitù
meramente obbligatoria, in virtù della
quale io comproprietario (che ho
inutilmente costitutivo la servitù) devo
consentire al vicino il passaggio sul mio
fondo.
La RINNOVAZIONE del contratto
Di fronte ad un contratto dichiarato nullo, le parti sono libere di stipulare un NUOVO contratto avente lo stesso
contenuto del precedente contratto nullo ma chiaramente escludendo dal nuovo contratto l’elemento che lo rendeva
nullo. Ecco perché si parla di rinnovazione del contratto.
Esempio: Tizio vende a Caio un immobile con un contratto di compravendita concluso oralmente. Ovviamente tale
contratto è nullo per difetto di forma. Ora, cosa possono fare le parti? Le parti:
- NON possono convalidare il contratto nullo (perché, tranne quelle due ipotesi eccezionali,
è previsto il divieto di convalida)
- ma possono rinnovare il contratto, cioè possono stipulare un NUOVO contratto avente ad oggetto
lo stesso immobile allo stesso prezzo, ma stipulando stavolta il
contratto in forma scritta
Patto di efficacia retroattiva: SOLO SE NON sono coinvolti interessi di terzi, allora le parti POSSONO pattuire tra loro
che la rinnovazione del contratto operi con efficacia retroattiva.
Se le parti pattuiscono ciò, allora il contratto rinnovato produrrà effetti:
- NON dal momento della rinnovazione
- ma dal momento della stipula del precedente contratto nullo.
In questo modo si salvaguarda l’attività esecutiva nel frattempo svolta, anche al fine di
evitare l’inutile ripetizione di prestazioni.
ATTENZIONE: Ribadiamo che le parti possono pattuire questa efficacia retroattiva
SOLO SE NON sono coinvolti interessi di terzi.

Nullità e legislazione urbanistica ed edilizia


Nel 1985, la L. 47/1985 è intervenuta in materia urbanistica ed edilizia, introducendo sanzioni amministrative e penali.
Molte delle norme di tale legge sono poi state recepite nel DPR 380/2001, noto come Testo Unico dell’edilizia.
Il Testo Unico dell’edilizia contiene i principi generali della materia edilizi. Esso è stato concepito per due scopi:
- combattere l’abusivismo edilizio e l’edificazione di immobili abusivi
- combattere la circolazione di immobili abusivi
- e fornire una tutela al compratore di terreni ed edifici abusivi.
L. 47/1985
La L. 47/1985 è intervenuta allo scopo di porre soluzione a due problemi molto frequenti nella prassi dell’epoca:
- 1° problema era prevenire l’effetto sorpresa dell’acquirente, cioè evitare che un acquirente si ritrovasse
ad acquistare un terreno inedificabile o un
immobile abusivo, senza che ne fosse a
conoscenza
- 2° problema era contrastare l’abusivismo edilizio, quindi scoraggiare l’edificazione di immobili abusivi
costruiti in assenza del permesso a costruire e la loro
conseguente circolazione.

189
Partendo da queste due esigenze, il legislatore del 1985 ha posto la seguente disciplina:
- per gli atti aventi ad oggetto la costituzione/trasferimento di diritti relativi a terreni o a beni immobili
(edifici) è NECESSARIA l’allegazione di:
- se si tratta di terreni  deve essere allegato il certificato di destinazione
urbanistica
- se si tratta di beni immobili  deve essere allegato il permesso a
costruire.
- tale allegazione è prevista a pena di nullità, quindi se non sono allegati questi documenti, allora l’atto di
costituzione o trasferimento del diritto è NULLO.
Es. la vendita del bene immobile è nulla.
Con questa disciplina il legislatore del 1985 aveva ritenuto che si potesse combattere sia l’effetto sorpresa
dell’acquirente sia l’edificazione di immobili abusivi perché:
- si evita l’effetto sorpresa in quanto, se nell’atto dispositivo del terreno o del bene immobile bisogna
allegare il certificato di destinazione urbanistica (per i terreni) o il permesso a
costruire (per gli immobili), allora è chiaro che l’acquirente sarà in grado di
verificare preventivamente se il terreno è edificabile e se l’immobile non è abusivo.
Con tale escamotage quindi il legislatore ha ritenuto di assicurare dall’inizio la
cognizione da parte degli stipulanti, con particolare riguardo alla posizione del
compratore, dello statuto giuridico impresso al bene.
Questo evita che l’acquirente corra il rischio di essere preso alla sprovvista,
trovandosi suo malgrado di fronte a un terreno o edifici la cui disciplina fosse
incompatibile con la destinazione – nota all’alienante – che intendeva a esso
imprimere.
- si contrasta l’edificazione di immobili abusivi perché il costruttore dell’immobile abusivo non può
validamente venderlo perché il contratto sarà nullo per
mancata allegazione del permesso a costruire.
La conferma in caso di beni immobili: Un altro punto importante della L. 47/1985 è che, con riguardo SOLO ai
trasferimenti di beni immobili ed edifici (quindi NON anche ai terreni),
ha riflettuto sulla mancata allegazione del permesso di costruire all’atto di
disposizione (costituzione/trasferimento) di diritto reale su bene immobile o
edificio, distinguendo tra due tipi di nullità:
- nullità sostanziale insanabile: se la mancata allegazione del permesso a costruire è dipesa
dal fatto che non sussiste proprio il permesso a costruire,
allora:
1) l’immobile è abusivo
2) l’atto dispositivo avente ad oggetto tale immobile
abusivo è insanabilmente nullo.
- nullità formale sanabile: se invece la mancata allegazione del permesso a costruire è
dipesa da mera dimenticanza o comunque NON è imputabile
all’insussistenza del permesso a costruire,
allora la nullità dell’atto dispositivo del bene immobile è
sanabile a iniziativa di una delle parti tramite la cd. “conferma”,
contenente il permesso a costruire.
Conferma: La conferma è un atto unilaterale negoziale che consiste nella
allegazione ex post del permesso a costruire all’atto dispositivo del
bene immobile, e dunque fa venire meno l’iniziale nullità del
contratto di compravendita che era stato stipulato senza
L’allegazione del permesso a costruire.
L’istituto della conferma dal punto di vista degli effetti si può accostare
alla convalida del contratto annullabile (o anche del contratto nullo, ma
soltanto in quei due casi eccezionali ex artt. 590 –799): infatti, sia la
conferma che la convalida operano sulla fattispecie invalida
eliminandone i vizi di invalidità, sanandola.
La differenza però sta in questo:
- la convalida: è un istituto che presuppone l’esistenza di un diritto
all’annullamento cui si rinuncia.
- la conferma: ha una portata più ristretta, richiedendo la mera
allegazione ex post del documento omesso.

190
La conferma in caso di terreni: Sul versante delle compravendite di terreni, la L. 47(1985 NON riconosceva il rimedio
della “conferma”, la quale era ammessa SOLO per le compravendite di edifici, e
NON anche di terreni. Perché? Perché si riteneva che la mancata allegazione del
certificato di destinazione urbanistica per i terreni rendeva sempre nullo il contratto,
quindi non era mai sanabile.
TUTTAVIA la svolta avviene nel 2005 con la L. 246/2005.
La L. 246/2005 ha inserito nel Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/2001) ha esteso
l’applicabilità dell’istituto della conferma ANCHE nelle compravendite avente ad oggetto
terreni e fondi.
Quindi, anche per i terreni si prevede: se la mancata allegazione del certificato di
destinazione urbanistica del terreno è dipesa da mera dimenticanza o comunque
NON è imputabile all’insussistenza di tale certificato, allora la nullità dell’atto dispositivo del
terreno è sanabile a iniziativa anche di una sola delle parti tramite la “conferma”,
contenente l’estremo mancante, cioè il certificato di destinazione urbanistica del terreno.

Immobile difforme dal permesso a costruire e domanda di sanatoria


L’ultimo tema da affrontare è il seguente: il fatto che sussista un permesso a costruire non esclude che l’immobile sia
stato costruito comunque in modo difforme dal permesso a costruire stesso, e che quindi risulti comunque irregolare.
In caso di difformità tra permesso a costruire e l’immobile così come realizzato, cosa accade?
Il legislatore non ha voluto ostacolare oltremisura il traffico giuridico dei beni immobili ed edifici, e per questo la
stessa L. 47/1985 ha introdotto una regola: il bene immobile costruito in difformità rispetto al permesso a costruire è
comunque commerciabile a condizione che il venditore alleghi all’atto di disposizione di tale bene immobile (ad es. al
contratto di compravendita immobiliare) la copia della domanda di sanatoria richiesta alla pubblica amministrazione.
Quindi, in caso di immobile costruito in modo difforme dal permesso a costruire, è sufficiente per il proprietario (che
intende vendere) proporre una domanda di sanatoria alla pubblica amministrazione: in questo modo il proprietario di
tale immobile potrà validamente concludere un atto di disposizione di tale bene immobile.
Quindi la domanda di sanatoria antecedente alla vendita è sufficiente per rendere valida la vendita.

Domanda: che cosa accade se la domanda di sanatoria proposta alla PA anteriormente all’atto di disposizione del bene
immobile viene poi rigettata dalla PA? Si deve ritenere che tale provvedimento negativo determini la nullità
sopravvenuta dell’atto di disposizione del bene immobile (contratto)?
La giurisdizione di legittimità ha detto: è IRRILEVANTE il risultato del procedimento amministrativo
iniziato con la domanda di sanatoria, quindi l’atto di disposizione del bene immobile (es. il contratto
di compravendita) resta valido quand’anche il procedimento amministrativo sia terminato col rigetto
della domanda di sanatoria.
Perché? La giurisdizione di legittimità ha ragionato così: se è vero che lo scopo delle norme
viste prima è quello di consentire all’interessato acquirente di accertare se
al momento dell’acquisto il bene è abusivo, laddove sia in corso l’iter
amministrativo cominciato con la domanda di sanatoria allegata all’atto di
disposizione del bene immobile, tu acquirente eri in grado di comprendere lo stato
del bene (cioè sapevi che il bene immobile aveva sì il permesso a costruire, ma era
stato costruito in difformità da esso).
Critica: C’è stata un’ampia parte della dottrina che ha criticato questa impostazione della giurisdizione di
legittimità, affermando: attraverso questo modo di ragionare si rischia che la disciplina sia
eccessivamente pro venditore. Infatti, grazie all’escamotage della mera allegazione della domanda di
sanatoria alla PA, venditori smaliziati potrebbero rendere agevolmente inattaccabile l’atto di
disposizione del bene immobile (es. contratto di vendita) nonostante il rigetto
della domanda di sanatoria dell’abuso edilizio.
Cosa si auspica Calvo? Calvo allora dice: si potrebbe suggerire un impianto facendo perno sulle ragioni del
rigetto della domanda di sanatoria da parte della PA:
- se dipende da semplici irregolarità procedurali, rimovibili dalla parte più diligente,
allora il bene è commerciale e perciò il
contratto di compravendita resta valido
- se dipende dalla oggettiva insanabilità dell’edificio realizzato in assenza della
concessione, allora il bene non era commerciabile
e allora il contratto di compravendita è nullo.

191
15.2
B) ANNULLABILITÀ
Nozione: L'annullabilità è una forma di invalidità del contratto meno grave della nullità: infatti, a differenza del
contratto nullo, il contratto annullabile è PROVVISORIAMENTE EFFICACE, dunque provvisoriamente
produttivo di effetti dal momento della stipula del contratto.
Il contratto annullabile vive in una situazione di efficacia precaria e provvisoria, perché la parte lesa dal
contratto ha il diritto potestativo di esercitare l’azione di annullamento entro 5 anni
dalla stipula del contratto.
Tale situazione di precarietà degli effetti del contratto annullabile è suscettibile di essere superata, in quanto
il contratto diventa:
a) o definitivamente efficace: - a seguito della prescrizione dell'azione di annullamento
- o a seguito del rigetto della domanda di annullamento
b) o definitivamente inefficace a seguito della sentenza di annullamento.
Tutela: L’annullabilità tutela:
- NON interessi collettivi generali (come la nullità)
- ma tutela l'interesse privato della singola parte contrattuale lesa, cioè della parte che ha stipulato il
contratto in condizioni di menomazione
della propria libertà di autodeterminazione
contrattuale a causa delle sue condizioni o
del comportamento della controparte.
L’interesse si tutela garantendo a tale parte la discrezionalità
di scegliere se mantenere il contratto oppure esercitare
l’azione di annullamento.
Le cause di annullabilità: Quando abbiamo parlato della nullità, abbiamo detto che la nullità può essere testuale o
virtuale.
Invece, in caso di annullabilità, il problema è più semplificato perché:
- NON esistono ipotesi di annullabilità virtuali
- esistono SOLO ipotesi di annullabilità testuali, quindi il contratto è annullabile SOLO nelle
ipotesi espressamente predeterminate
ex ante dal legislatore
LE CAUSE DI ANNULLABILITÀ
Le cause di annullabilità sono un numero CHIUSO di ipotesi, e sono:
a) l'incapacità legale o naturale di una parte
b) i vizi del consenso (errore, violenza o dolo)
c) le ipotesi patologiche relative alla rappresentanza: - il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato
- il contratto con se stesso.
A) INCAPACITÀ LEGALE O NATURALE DI UNA PARTE
Fonte: Artt. 1425 - 1426
Art. 1425: L’art. 1425 si occupa della capacità legale e della capacità naturale a contrarre.
- comma 1: L’incapacità legale
Il contratto è annullabile se una delle parti contrattuali era legalmente incapace di contrarre.
Le ipotesi di incapacità legale sono: - la minore età
- l’interdizione
- l’inabilitazione
- l’amministrazione di sostegno.
Es. se il contratto è stato stipulato da un soggetto interdetto, e NON dal suo tutore, allora il
contratto è annullabile. Qui chiaramente è il tutore il legittimato a proporre azione di
annullamento, NON l’interdetto.
- comma 2: L’incapacità naturale
Il contratto è annullabile se una delle parti contrattuali era naturalmente incapace di
contrarre, cioè era incapace di intendere o di volere laddove ricorrano le condizioni stabilite
dall'art. 428 cc.
Nozione: L’incapacità naturale è l’incapacità di intendere e volere, la quale consiste in quel
disordine psichico che può incidere:
- o sulle capacità intellettive
- o sulle capacità di determinazione volitiva (es. contratto stipulato da un ubriaco o
sotto effetto di stupefacenti).

192
Condizioni di annullabilità: Il comma 2 dell’art. 1425 afferma “quando ricorrono le condizioni
stabilite dall’art. 428 cc”, quindi l’incapacità naturale:
- NON è sempre causa di annullabilità
- è causa di annullabilità SOLO SE ricorrono le condizioni
stabilite dall’art. 428.
L’art. 428 cc pone una disciplina differenziandola a seconda che si tratti di atti
unilaterali o di contratti:
- atto unilaterale: se un atto unilaterale è stato compiuto da una persona incapace
di intendere o volere al momento del suo compimento,
allora tale atto unilaterale:
- di regola NON è annullabile
- eccezione: è annullabile dall’incapace SOLO SE vi è un grave
pregiudizio per l’incapace stesso.
Es. sono sotto effetto di alcolici e dichiaro di
rinunciare al credito che vanto nei confronti di
Tizio.
- contratti: se un contratto è stato stipulato da una persona incapace di intendere
o volere al momento della sua stipula, allora tale contratto:
- di regola NON è annullabile
- eccezione: è annullabile dall’incapace SOLO SE sussistono due
condizioni:
1) vi è un grave pregiudizio per l’incapace stesso
2) + e l’altro contraente ha stipulato in mala fede,
cioè era a conoscenza dello stato
di incapacità naturale in cui
versava l’altro contraente al
momento della stipula
e ne ha approfittato.
Prescrizione dell’azione di annullamento: Sia in caso di incapacità legale che di incapacità naturale, l’azione di
annullamento si prescrive entro 5 anni decorrenti dal giorno in cui
l’atto unilaterale/contratto è stato compiuto/stipulato.
Quindi, il dies a quo è FISSO.

Art. 1426: Incapacità legale derivante dalla minore età


L’art. 1426 cc si sofferma sull’ipotesi del contratto stipulato da un soggetto legalmente incapace in quanto
minore d’età. L’art. 1426 cc pone una serie di regole:
- quando il contratto NON è annullabile? In capo ai contraenti incombe un generico dovere di accertare
la capacità legale della controparte a stipulare il contratto.
Pertanto, se una parte ha un dubbio sull’età della controparte
ma si accontenta della sua semplice dichiarazione sul fatto di
essere maggiorenne (che poi in realtà si scopre essere
minorenne), allora il contratto NON è annullabile.
Perché? È una norma di favore per il minore d’età: l’altro contraente
non si sarebbe dovuto limitare a chiedergli se è maggiorenne e
a fidarsi della sua dichiarazione, ma avrebbe dovuto richiedere
un documento di riconoscimento o un certificato del Comune.
- quando il contratto è annullabile? La situazione è diversa laddove il minore d’età abbia occultato
con raggiri la sua minore età.
In questo caso infatti il contratto è annullabile.
Es. Tizio, dubitando della maggiore età di Caio, gli chiede un documento
di identità e il minore Caio gli mostra un contratto contraffatto in cui
sembra che abbia più di 18 anni.
In questo caso, il contratto è annullabile: ciò è una sorta di sanzione per il
minore d’età che ha agito con
raggiro.

193
B) I VIZI DEL CONSENSO
La seconda categoria di ipotesi che danno luogo all’annullabilità del contratto è quella dei vizi del consenso.
L’art. 1427 cc, rubricato “Dei vizi del consenso”, afferma: “Il contraente il cui consenso fu dato per errore, estorto con
violenza o carpito con dolo può chiedere l'annullamento del contratto secondo le disposizioni che seguono”.
Qui la tutela della parte lesa si giustifica in quanto ha manifestato una volontà contrattuale che si è formata
NON correttamente, ma in modo viziato a causa delle sue condizioni o del comportamento della controparte.
Quando parliamo di vizi della volontà (o del consenso):
- c’è la volontà: quindi NON si può parlare di mancanza di volontà
- ma c’è divergenza tra la volontà concretamente manifestata e la volontà ipotetica (quella che la parte
avrebbe manifestato
se non ci fosse stato
il vizio del suo consenso).
Ratio: Protezione della libertà del volere: La ratio di tutti i vizi del consenso (errore, dolo, violenza) è: l’ordinamento
intende proteggere la libertà del volere, cioè la libertà di
autodeterminazione contrattuale che però, in caso di vizio del consenso,
ha subito una lesione.
La disciplina dei vizi del consenso ha la finalità di conferire una protezione
efficace all’errante/raggirato/minacciato che abbia subito un attentato:
- NON al suo patrimonio
- ma alla sua libertà del volere.
L’ERRORE
Nozione: L'errore è una falsa rappresentazione della realtà fenomenica in cui la parte è incorsa spontaneamente,
riconoscibile ed essenziale in quanto determinante del suo consenso, cioè la parte errante non avrebbe
concluso il contratto se non fosse
incorsa in quell’errore.
L’errore che il codice tratta è l’errore spontaneo, cioè la falsa rappresentazione della realtà fenomenica
deriva da un errore spontaneo, autodeterminato
dell’errante, SENZA alcuna responsabilità della controparte.
Ciò vale a distinguere:
- l’errore: è un errore spontaneo, quindi NON provocato dalla
controparte
- dolo: è un errore provocato dalla controparte.
Ratio: Protezione della libertà del volere: La ratio dell’errore, come quello degli altri vizi del consenso, è:
l’ordinamento intende proteggere la libertà del volere, cioè la libertà di
autodeterminazione contrattuale che, in caso di errore, ha subito una
lesione.
Tipi: A seconda del punto in cui cade l’errore possiamo distinguere tra:
a) errore vizio: è quell’errore che cade sulla formazione della volontà.
In caso di errore vizio, la volontà si forma in base ad una falsa rappresentazione della realtà
fenomenica, quindi la volontà si forma in modo errato.
Qui NON c’è divergenza tra formazione della volontà e manifestazione della volontà:
- la volontà si forma in modo viziato, errato
- ma la volontà viene manifestata in modo corretto, cioè in modo
conforme a come si era formata.
Es. l’oggetto è meramente placcato d’oro, ma io erroneamente credo che sia d’oro e allora
offro 3.000 euro per comprarlo.
Qui la volontà:
- si è formata in maniera viziata a causa dell’errore spontaneo cui sono incorso
- ma la manifesto in modo corretto: proprio perché ritengo che sia d’oro (realtà
falsata), quindi ritengo che abbia un grosso
valore, e perciò offro 3.000 euro.
b) errore ostativo: è quell’errore che cade sulla manifestazione all’esterno della volontà.
In caso di errore ostativo, la volontà si forma correttamente (senza errore),
ma l’errore sta nella manifestazione all’esterno di tale volontà.
Qui c’è divergenza tra formazione della volontà e manifestazione della volontà:
- la volontà si forma in modo corretto
- ma la volontà viene manifestata in modo errata, perché è stata
erroneamente dichiarata o trasmessa.

194
Ci troviamo di fronte ad una divergenza spontanea tra voluto e dichiarato.
Es. la parte, volendo ordinare una certa quantità di merce, scrive per errore 10.000 ma
in realtà voleva scrivere 100.
Es. io aveva formulato una proposta ma la tenevo chiusa nel mio cassetto perché
non ero ancora sicuro; la mia segretaria apre il cassetto e, magari per eccesso di
zelo, ritenendo che io mi sono dimenticato di inviarla, la invia al destinatario.
Disciplina: Cosa accade in caso di errore ostativo?
L’art. 1433 cc EQUIPARA L’ERRORE OSTATIVO ALL’ERRORE VIZIO, quindi l’errore
ostativo ha lo stesso trattamento giuridico dell’errore vizio, per cui anche l’errore
ostativo è causa di annullabilità del contratto solo se essenziale e riconoscibile.
Distinzione: L’errore può essere:
a) errore di fatto: è quell’errore che cade su: - elementi contrattuali
- circostanze esterne determinanti ai fini del consenso.
b) errore di diritto: è quell’errore che cade su norme giuridiche.
L’errore di diritto è quello che consiste nell’ignoranza o falsa conoscenza circa
l’esistenza, il significato o l’applicabilità di una norma giuridica
ed è causa di annullabilità quando abbia costituito la ragione unica
o principale del consenso (art. 1429 cc).
L’errore sui motivi
Il rapporto tra errore e motivi e la disciplina sull’errore sui motivi segue la disciplina che abbiamo analizzato sui motivi:
- di regola, dato che il motivo NON ha rilevanza giuridica (perché resta segregato nella sfera interna di
ogni contraente), allora l’errore sui motivi NON ha rilevanza giuridica.
Es. compro una macchina di colore blu perché credo che il colore blu sia quello preferito
da mia moglie, ma sono caduto in un errore perché a mia moglie piace il rosso, non il
blu. Questo è un errore sui motivi che NON è rilevante per l’ordinamento, infatti
NON posso chiedere l'annullamento del contratto.
- eccezione: tuttavia, sappiamo che il motivo acquista rilevanza giuridica SE è stato oggettivato nel
regolamento contrattuale, quand’anche implicitamente giuridicamente.
E allora, se il motivo è stato esternato, allora sarà rilevante anche l’errore sui motivi.
Es. Tizio è gravemente malato ai polmoni e il medico gli consiglia di acquistare una casa al mare
per favorire la sua salute. Tizio stipula un contratto con cui acquista un immobile da Caio,
facendogli presente della sua malattia e che il motivo per cui compra quella casa è proprio per
la posizione favorevole della casa.
Tuttavia Tizio, dopo la stipula del contratto, scopre che si tratta di una casa in montagna.
In questo caso il motivo (acquistare casa a mare per migliorare la mia salute) è rilevante:
il contratto sarà annullabile, purché tale errore sia essenziale e riconoscibile dall’altro
contraente.
Requisiti di rilevanza dell’errore
L’art. 1428 cc, rubricato “Rilevanza dell’errore”, afferma che l'errore, per essere rilevante ai fini dell’annullabilità del
contratto, deve avere due requisiti: 1) deve essere essenziale
2) deve essere riconoscibile.
1) l’essenzialità dell’errore
Primo requisito necessario dell’errore è la sua essenzialità.
Nozione: L’errore è essenziale quando sussistono due presupposti:
1) si rientra in uno dei casi tipizzati dall’art. 1429 cc
2) + è stato determinante del consenso del contraente, nel senso che l’errore ha assunto un’importanza
tale che il contraente senza quell’errore
non avrebbe concluso il contratto.
NO rilevanza dell’errore incidentale: Dire che l’errore deve essere stato essenziale in quanto determinante del
consenso del contraente errante vuol dire che nel nostro ordinamento
NON ha alcuna rilevanza giuridica il cd. errore incidentale (o incidente), cioè
quell’errore che:
- NON è stato determinante del consenso
- ma quando il contraente, senza quell’errore, avrebbe comunque concluso
il contratto, ma a condizioni diverse.
Casi tipizzati dall’art. 1429 cc: L’errore è essenziale quando, oltre ad essere determinante, si rientra in uno dei casi
tipizzati dall’art. 1429 cc. L’art. 1429 cc elenca i casi in cui l’errore può essere
considerato essenziale.

195
Tassatività: L’elenco di casi previsti dall’art. 1429 cc è tassativo?
La dottrina maggioritaria ritiene che si tratti di un elenco tassativo: quindi le uniche
ipotesi di errore essenziale:
- sono SOLO quelle previste dall’art. 1429 cc
- NON possono essere create nuove ipotesi di errore essenziale.
Il codice NON dà una definizione di essenzialità, ma si limita a prevedere nell’art. 1429 cc un elenco tassativi di casi
in cui l’errore è da ritenersi essenziale:
N. 1) errore sulla natura o
sull’oggetto del contratto: l’errore è essenziale quando, essendo determinante del consenso, cade su:
- error in negotio: quando l’errore cade sulla natura del contratto.
Es. credo di stipulare un comodato (che è una locazione
gratuita) ma in realtà si tratta di un contratto di
locazione.
- o quando cade sull’oggetto del contratto. Es. stipulo un contratto con cui
acquisto un certo numero
di azioni societarie
pensando che si tratti di
obbligazioni, ma in realtà
si tratta di azioni.
N. 2) errore sulla identità dell’oggetto della prestazione o su una qualità dell’oggetto
L’errore è essenziale quando, essendo determinante del consenso, cade su:
- o sull'identità dell'oggetto
della prestazione: l’errore sull’identità dell’oggetto della prestazione:
- si verifica quando l’errore ha impedito l’esatta individuazione del
bene oggetto del contratto.
Es. credevo di acquistare un televisore
ma invece ho acquistato un
videoregistratore.
- NON si verifica quando il bene è stato correttamente individuato dalle
parti ma l’errore verte sulla sua descrizione,
suscettibile di semplice rettifica tra le parti.
Es. Tizio e Caio vogliono compravendere il fondo
“Capenate”, ma per un errore lo denominato fondo
“Belvedere”.
Qui NON si è in presenza di un errore sull’identità
dell’oggetto perché tale errore NON vizia l‘accordo,
dato che le parti possono rimediarvi tramite mera
rettifica laddove, malgrado l’inesatta descrizione, sia
indubbio che l’accordo avesse ad oggetto il
trasferimento del fondo “Capenate”.
Talvolta è difficile distinguere tra:
- errore sull’oggetto del contratto (n. 1)
- errore sull’identità dell’oggetto della prestazione (n. 2).
Alcuni ritengono che la differenza stia in ciò:
- errore sull’oggetto del contratto: è quello sul contenuto in se stesso
- errore sull’identità dell’oggetto della prestazione: è quello che cade
sulla fisicità del bene.
- o su una qualità dell’oggetto
(error in qualitate): es. si acquista un cane da compagnia in luogo di un cane da caccia.
es. si crede di acquistare un bene d’oro e invece è soltanto meramente
placcato d’oro.
Nell’ambito dell’analisi dedicata all’error in qualitate, cioè all’errore su un qualità
dell’oggetto, dottrina e giurisprudenza hanno affrontate una serie di problemi molto
frequenti nella prassi:
a) l'errore su una qualità dell’oggetto integra un errore essenziale SOLO se la parte è caduta
in error in qualitate al momento della stipula del
contratto, ma NON anche in un momento successivo.

196
Se la parte cade in errore su una qualità dell’oggetto in un
momento successivo alla stipula del contratto, allora si parla di
errore di previsione, il quale:
- NON è un vizio del consenso rilevante
- NON è causa di annullabilità del contratto
perché è un errore che cade sul risultato dell’accordo.
Es. compro un oggetto d'oro che effettivamente è d’oro, ma lo
compro nella erronea convinzione che l’oro in futuro avrebbe
accresciuto il suo valore, il che però non è accaduto.
Si tratta quindi di uno sbagliato affidamento dell’errante,
il quale però NON può dolersene chiedendo l’annullamento del
contratto.
b) errore sulle qualità corporali: Calvo riprende una distinzione dottrinale: l’error in
qualitate può cadere su due profili dell’oggetto:
- errore sulle qualità corporali (o materiali)
- errore sulle qualità giuridiche.
Le qualità corporali dell’oggetto del contratto si possono distinguere in:
a) qualità corporali essenziali
in senso oggettivo: sono quelle qualità del bene oggettivamente
essenziali in quanto relative ad elementi
strutturali della cosa. Quindi sono qualità che
rilevano oggettivamente, slegate da gusti
meramente personali.
Es. l’acquirente che ha creduto di comprare un
rolex vero e invece è una semplice imitazione.
b) qualità corporali essenziali
in senso soggettivo: sono quelle qualità dell’oggetto che:
- in astratto NON sono qualità oggettivamente essenziali
del bene oggetto del contratto
- ma possono essere essenziali nel caso concreto, in base
ai gusti personali dei contraenti.
Infatti, nulla esclude che le parti conferiscano
espressamente o implicitamente particolare
rilevanza a determinate caratteristiche della
cosa diverse da quelle standard.
Es. Tizio mette in vendita un bene meramente placcato d’oro,
che è appartenuto a Napoleone, ma lo spaccia per oggetto
d’oro. Caio compra il bene mosso dall’esclusivo interesse di
arricchire la propria collezione di oggetti appartenuti a
Napoleone: in questo caso, la qualità determinante del
consenso per Caio NON è la qualità del bene (a lui non
interessa se il bene sia d’oro o meramente placcato d’oro),
ma a lui interessa solo che il bene sia appartenuto a
Napoleone.
c) errore sulle qualità giuridiche: come detto, l’error in qualitate può cadere anche sulle
qualità giuridiche del bene.
Calvo fa l’esempio che concerne l’edificabilità del fondo
rustico. Es. Tizio compra un certo terreno convinto che sia
edificabile e invece dopo l’acquisto scopre che il terreno
non è edificabile.
Natura: Sulla natura giuridica di tale errore c’è dibattito:
- parte della dottrina ritiene che rientri nell’errore di diritto
- la giurisprudenza ritiene che rientri nell’errore di fatto.
Perché? Perché la falsa rappresentazione della
qualità giuridica del bene si risolve
nell’inesatta conoscenza de suoi
caratteri reali (nell’esempio fatto è per
edificabilità o inedificabilità).

197
Errore sulla
stima del fondo: Calvo ritiene che nella categoria dell’errore sulle qualità
giuridiche vi rientri anche l’errore sulla stima del fondo
quando dipenda dall’ignoranza circa la sua destinazione
urbanistica. Perché? Perché la destinazione urbanistica
è una qualità che accresce il valore del fondo.
d) errore sul valore: l’errore sul valore è quell’error in qualitate che cade sul valore
pecuniario del bene oggetto del contratto. Esso:
- di regola è IRRILEVANTE perché il valore è un apprezzamento
soggettivo
- eccezione: è rilevante quando esso consegua all’errore sulle qualità
corporali o giuridiche del bene.
e) errore sulla paternità/autenticità
dell’opera d’arte compravenduta: infine Calvo, nell’ambito dell’error in qualitate,
si sofferma sulla controversa questione dell’errore sulla
paternità o autenticità dell’opera d’arte
compravenduta.
Es. Tizio compra un quadro che proviene da un certo
autore. Il problema è: è autentico? È una copia?
Proviene veramente da quell’autore?
Dice Calvo: questo problema merita uno spazio autonomo, il cui punto di partenza
è: ci troviamo di fronte a un errore che si riverbera sulla relazione
genetica tra la cosa e il suo autore.
Secondo Calvo, il fulcro del problema è: spesso non esiste alcuna certezza intorno
alla paternità/autenticità un’opera antica (ad es. un quadro), e il problema è che
la paternità o l’autenticità di un’opera antica non sempre possono essere accertati
in modo oggettivo e definitivo perché paternità/autenticità sono qualità che
non sempre si prestano ad un giudizio in termini di certezza.
Infatti, accertare la paternità o l’autenticità di un’opera antica non è come dire
“l’oggetto è d’oro o non è d’oro” perché in questo caso bastano pochi strumenti
per sapere con certezza perché non c’è nessuna
difficoltà tecnica.
E allora come si risolve il problema?
Dice Calvo: occorre verificare caso per caso qual è il contraente che ha accettato
il rischio della “sorpresa”, cioè del possibile mutamento di opinione
sulla autenticità/paternità dell’opera antica ancorché esse apparissero
consolidate all’epoca dell’accordo:
a) se la parte ha acquistato un bene che le è stato venduto dal venditore come
bene autentico  allora, se dopo la stipula del contratto l’autenticità sarà
smentita da indagini di esperti, allora il compratore
può chiedere l’annullamento del contratto per errore
b) se invece la parte ha assunto il rischio
della mancanza di autenticità  il compratore ha acquistato consapevole
del rischio di comprare una cosa diversa
da quella che sperava.
Perché tutto questo? Perché l’autenticità, così come la paternità, di un’opera
antica NON è una qualità promessa, ma è un elemento aleatorio.
E allora l’operazione commerciale in questo caso diventa un azzardo. L’accettazione
del rischio, avvertibile se il compratore conosce l’alea dell’affare, esclude che questi
possa dolersene impugnando il contratto per errore laddove scoprisse che in realtà
l’opera antica comprata non è il capolavoro che sperava.
Di qui l’importanza di appurare, caso per caso, qual è stato l’oggetto della
compravendita: se Tizio mette in vendita un dipinto:
- un conto è che dice “metto in vendita un dipinto raffigurante un ponte sul
fiume di non so quale autore”
- un conto è che dice “metto in vendita un dipinto di Giorgione”.
In questo caso, se il compratore Caio che ha acquistato il
quadro perché attratto in modo determinante dalla

198
summenzionata appartenenza (cioè lui ha acquistato il
quadro perché è di Giorgione), se dopo la stipula del
contratto si scopre che il quadro non appartiene a
Giorgione, potrà invocare l’errore ex art. 1429 n. 2
ove dimostri la sua riconoscibilità
- un conto è che dice “metto in vendita un dipinto che il professore Tizio
dell’Università Federico II attribuisce a Giorgione”.
In questo caso, il margine di errore introno alla datazione o
provenienza dell’opera legittima il trasferimento del relativo
rischio nella sfera patrimoniale del compratore, il quale decide
di affrontare il rischio (l’azzardo).
In questo caso, NON potrà dolersi di tale scelta invocando
l’errore, perché il fatto incerto era noto sin dall’inizio della
trattativa.
Dice Calvo: chi compra NON ciò che è ma ciò che può essere o cui
vorrebbe andare incontro, è fatalmente attratto dalla
chance d’azzeccare l’attribuzione; egli, essendo bene
consapevole che certezza e verosimiglianza sono concetti
dissimili, si imbatte nel rischio.
N. 3) errore sulle qualità essenziali
della controparte (cd. error in persona): l’errore è essenziale quando, essendo determinante del
consenso, cade sull'identità o sulle qualità essenziali della
persona dell'altro contraente.
Quindi, l’errore, oltre che sulla cosa, può cadere sull’identità della
persona dell’altro contraente o sulle sue qualità personali.
Es. Io sono alla ricerca di un cardiologo e mi parlano di un cardiologo
chiamato Rossi. Lo cerco sull’albo dei medici, lo contatto e stipulo con
lui un contratto in quanto credo che si tratti di un esperto cardiologo.
Tuttavia, dopo la stipula del contratto, mi accorgo che non è l’esperto
cardiologo che cercavo, ma è un neolaureato.
Qui il mio consenso è viziato perché sono caduto in un errore
essenziale sulle qualità essenziali della controparte.
N. 4) errore di diritto (error iuris): l’errore di diritto è quell’errore che consiste nell’ignoranza o errata
interpretazione della norma giuridica ed è essenziale se tale errore ha
costituito la ragione unica o principale del consenso.
Quando l’errore di diritto è rilevante? L’errore di diritto:
- NON è rilevante quando cade
sugli effetti giuridici del contratto: se l’errore cade sugli effetti giuridici del
contratto, allora tale errore NON è MAI
rilevante.
Perché? Perché qui vale il principio ignorantia legis
non excusat in forza del quale nessuno può
invocare l’ignoranza della legge per eludere
l’applicazione della norma.
Es. Tizio vende un bene ma non è a conoscenza del
fatto che è tenuto alla garanzia per vizi: anche se
non ne è a conoscenza, comunque NON può
sottrarsi alla responsabilità per vizi di essa
affermando di essere caduto in errore.
- è rilevante quando cade
sulla valutazione di una situazione giuridica: ad es. l’errore che cade su un
impedimento normativo.
Riconoscibilità: L’errore di diritto oltre ad essere essenziale deve essere anche riconoscibile.
Qui bisogna sottolineare che NON si può far valere l’errore di diritto se è
dimostrato che la controparte abbia tempestivamente avvertito l’errante
della possibile presenza di un impedimento normativo o da una verosimile
inesattezza ermeneutica in cui stava cadendo la parte che poi ha errato.

199
2) la riconoscibilità dell’errore
Il secondo requisito dell’errore, oltre alla essenzialità, è la riconoscibilità.
Valutazione della riconoscibilità: L’art. 1431 stabilisce che per la valutazione di riconoscibilità dell’errore è necessario
valutare 3 elementi:
a) il contenuto del contratto
b) le circostanze del contratto
c) la qualità dei contraenti
Se, valutando questi elementi, una persona media di normale diligenza - secondo
uno standard riferibile ad una persona media - avrebbe potuto o dovuto rilevare
l'errore in cui è caduto la controparte errante, allora l’errore è riconoscibile.
Valutazione in concreto: La valutazione della riconoscibilità da parte del destinatario della dichiarazione dell’errante:
- NON va compiuta in base a criteri astratti, standard, uniformi di valutazione
- è un’indagine che va fatta caso per caso, alla luce di tutte le circostanze del caso
concreto.
Perché? È vero che il parametro di riferimento è quello della persona media di normale
diligenza secondo uno standard riferibile ad una persona media,
però la complessiva valutazione di riconoscibilità va poi compiuta in concreto dal
giudice, anche perché i tre elementi per la valutazione della riconoscibilità
(contenuto del contratto, circostanze del contratto, qualità dei contraenti) sono da
valutare con riferimento al singolo caso concreto.
Es. se io sono un gioielliere da 40 anni e la mia controparte è una persona giovane che non
ha alcuna conoscenza nell’ambito dei gioielli, è chiaro che per me sarà semplice
accorgermi che l’altro contraente è incorso in errore, ad es. se lui mi offre 1.000 euro per
un orologio placcato che ne vale 50, io capisco bene che è caduto in errore, perché
nessuno offrirebbe 1. 000 euro per un orologio placcato.
Ratio: Perché il legislatore richiede questo elemento della riconoscibilità dell'errore?
Il concetto di “riconoscibilità” è applicazione del principio di affidamento dell’altro contraente (quello
non caduto in errore) sulla bontà della dichiarazione ricevuta dalla parte errante. Il legislatore ritiene che la
parte che è caduta in errore debba sopportare il peso di certi rischi e quindi nel caso concreto:
- se il suo errore è riconoscibile dall'altro contraente, cioè l’altro contraente avrebbe potuto o dovuto rilevare
l’errore in cui era incorso l’errante  allora l’errante
può invocare
tutela
- se invece l'errore NON è riconoscibile dall’altro contraente  allora l’errante NON può invocare tutela.
Il “comunque conosciuto”: Cosa accade nell’ipotesi in cui l’errore essenziale, pur NON essendo in astratto
riconoscibile dal contraente medio di normale diligenza, è stato comunque conosciuto
dall’altro contraente nel caso concreto?
La giurisprudenza dice: l’errore “comunque riconosciuto” ha lo stesso errore dell’errore
riconoscibile.
Perché? Perché il ragionamento è: se l’errore, per il solo fatto di essere
riconoscibile in astratto dall’altro contraente, rende annullabile il
contratto, a maggior ragione ciò varrà se l’errore è stato conosciuto in
Errore comune: Un caso dibattuto è il caso dell’errore comune, cd. bilaterale, cioè quando entrambe le parti
contrattuali cadono nel medesimo errore.
Es. Tizio vende a Caio un orologio che entrambi ritengono d’oro, mentre invece è meramente
placcato d’oro.
Giurisprudenza: In questo caso, la giurisprudenza maggioritaria dice: se l’errore è comune (bilaterale),
allora entrambi i contraenti possono impugnare il contratto con l’azione di
annullamento e: - NON sarà necessario dimostrare la riconoscibilità dell’errore
- sarà sufficiente dimostrare soltanto l’essenzialità dell’errore.
Intreccio tra errore riconoscibile
e responsabilità precontrattuale: Il fatto che l’errore debba essere riconoscibile ha la sua rilevanza anche sotto il
profilo della responsabilità precontrattuale.
Infatti, se ricordiamo l’art. 1338 cc in tema di responsabilità precontrattuale,
afferma che la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa
di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte, è tenuta a risarcire il
danno da questa risentito per aver confidato, senza colpa, nella validità del
contratto.

200
Quindi, durante le trattative contrattuali, le parti hanno il dovere di comportarsi secondo
buona fede e correttezza: tra questi obblighi è previsto che se una parte si accorge
dell’errore della controparte, allora ha l’obbligo di avvisare la controparte dell’errore in cui
versa. Perchè? Perché altrimenti le conseguenze saranno:
1) il contratto stipulato è annullabile
2) la parte maliziosa (silenziosa) è tenuta al risarcimento del danno
precontrattuale nei confronti dell’errante.
NO scusabilità dell’errore: Ultimo punto sulla riconoscibilità dell'errore:
- il codice del 1865 NON prevedeva la riconoscibilità, ma prevedeva la scusabilità dell’errore
- il codice del 1942 invece NON conosce il requisito della scusabilità dell’errore, ma conosce
solo la riconoscibilità (e l’essenzialità).
Qual è la differenza? Perché c’è stato questo cambiamento dal codice previgente al codice attuale?
Riconoscibilità e scusabilità sono due concetti diversi perché prendono in considerazione due
soggetti diversi:
- scusabilità: il vecchio concetto della scusabilità dell’errore:
1) guardava al comportamento della parte errante e alla sua “colpa”
2) rappresentava applicazione del dogma dell'autoresponsabilità.
In questo caso, l’indagine del giudice era concentrata sulla persona dell’errante: il
giudice doveva chiedersi se l’errore compiuto dall’errante era scusabile, cioè se una
persona di normale diligenza avrebbe mai potuto incorrere in un errore simile.
Critica: Qual era il problema nell’utilizzare il concetto di “scusabilità”?
Il problema era che, subordinando l’annullabilità del contratto alla scusabilità
dell'errore, si andava a danno dell’errante perché l’errore era scusabile solo se
non c’era la colpa dell’errante, ma in qualsiasi altro caso non era scusabile e
dunque non c’era tutela per l’errante.
- riconoscibilità: il codice del 1942 ha ribaltato la prospettiva parlando di riconoscibilità.
Il nuovo concetto di riconoscibilità dell’errore:
1) guarda al comportamento della controparte dell’errante
2) è applicazione del principio di affidamento della controparte dell’errante.
Errore di calcolo (art. 1430)
Fonte: Art. 1430 cc.
Nozione: L'errore di calcolo si ha quando una parte o entrambe le parti commettono un errore nel compiere
un’operazione matematica.
Quando comporta l’annullabilità? L’errore di calcolo NON comporta sempre l’annullabilità del contratto. E infatti
bisogna distinguere due ipotesi:
a) il mero errore di calcolo: il mero errore di calcolo si verifica quando:
- i fattori di calcolo da computare sono esatti
- ma l’operazione aritmetica (il risultato) è errata.
Es. viene scritto che 6 x 5 = 1.000.
NO annullabilità: In caso di mero errore di calcolo:
- NON si verifica l’annullabilità del contratto
- è ammessa la rettifica.
Es. viene scritto che 6 x 5 = 1.000, allora
rettifichiamo l’errore e scriviamo 6 x 5= 30.
b) errore nei fattori di calcolo: l’errore nei fattori di calcolo si ha quando:
- i fattori di calcolo da computare sono errati
- ma l’operazione aritmetica (il risultato) è corretto.
Es. immaginiamo che per misurare il peso dell’oro da comprare
il compro-oro abbia utilizzata una bilancia guasta, ad es. invece
di pesare 10 grammi ne pesa 2. Chiaramente il compro-oro
farà il calcolo finale basandosi sul fattore 2 e non sul 10,
pertanto il risultato sarà 2 gr x 100 = 200 €, il che è
corretto a livello di operazione matematica, ma il problema è
che avrebbe dovuto fare 10 gr x 100.
SI annullabilità: L’errore nei fattori di calcolo, laddove sia
essenziale e riconoscibile, allora comporta
l’annullabilità del contratto.

201
Il dissenso occulto e ignoranza linguistica
Vi è una sorta di appendice alla disciplina dell’errore che è quella che si occupa del dissenso occulto.
La domanda da cui partiamo è: il dissenso occulto costituisce un’ipotesi di errore oppure no?
Nozione: Si ha dissenso occulto quando l’oblato dia alla volontà dell’offerente un significato diverso rispetto a quello
autentico e, per effetto di tale malinteso, accetti la proposta dell’offerente.
Quindi, per dissenso occulto intendiamo il comportamento di chi accetta ma accetta sul presupposto che la
volontà del proponente abbia un certo significato, ma in realtà il significato che l’accettante dava alla
proposta è diverso da quello che gli ha dato l’oblato.
Quindi, nel dissenso occulto abbiamo:
- a livello formale (apparente) l’accettazione dell’oblato è conforme alla proposta del proponente
- ma a livello sostanziale NON coincidono: - il significato autentico della proposta
- e il significato attribuitole dall’oblato.
Perciò, la concordanza tra proposta e accettazione è apparente, perché in realtà vi è una sorta di
dissenso occulto tra la proposta così come intesa nel suo autentico significato dal proponente
e l’accettazione dell’oblato che, pur formalmente conforme alla proposta, NON è conforme alla
proposta così come nel suo reale significato inteso dal proponente.
Esempio: Caio ha accettato la proposta di Tizio a causa della sua errata lettura tale da indurlo a ritenere che il prezzo
di vendita fosse di 100 dollari statunitensi, invece era di 100 sterline inglesi.
Che rilevanza ha? Che rilevanza ha il dissenso occulto:
- dottrina prevalente: il dissenso occulto è un’ipotesi di errore ostativo, che dà luogo ad annullabilità
del contratto laddove esso sia essenziale e riconoscibile.
- tesi minoritaria: il dissenso occulto comporta la nullità del contratto.
Il problema dell’ignoranza linguistica
Il tema del dissenso occulto, che sembrava una fattispecie inconsueta, è tornato all’attenzione della giurisprudenza
perché sempre più spesso il dissenso occulto si verifica a causa dell’ignoranza delle lingue straniere.
Es. Tizio mi rivolge la proposta in inglese; dato che io conosco male l’inglese, ricorro a google traduttore e faccio una
traduzione piuttosto maccheronica, e accetto il testo della proposta così come io l’ho compresa. E quindi può
capitare che io oblato abbia attribuito un significato alla proposta che in realtà non collima col significato
autentico di essa.
Art. 9 cod. consumo: Questo problema è diventato così tanto rilevante che il legislatore italiano, convinto della
necessità di intervenire, ha dettato una apposita norma all’art. 9 cod. consumo per tutelare
i consumatori.
L’art. 9 cod. consumo afferma che tutte le informazioni destinate ai consumatori devono essere
rese almeno in lingua italiana, e con caratteri di visibilità e leggibilità non
inferiori a quelli usati con le altre lingue.
L’ult. comma aggiunge: sono consentite espressioni non in lingua italiana SOLO SE
sono divenute di uso comune.

IL DOLO CONTRATTUALE
Se seguissimo l’ordine del Codice civile, allora dopo l’errore dovremmo trattare della violenza.
Tuttavia, come fa Calvo, è più ragionevole trattare del dolo perché dolo ed errore sono legati, nella misura in cui
l’errore è un errore spontaneo, mentre il dolo è un errore provocato dalla controparte.
Nozione: L’art. 1439 cc fornisce una sorta di definizione di dolo, affermando: “Il dolo è causa di annullamento del
contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non
avrebbe contrattato”.
Quindi il dolo è quell’errore del contraente:
- NON spontaneo, NON autodeterminato
- ma è quell’errore provocato (indotto) dalla controparte a causa di raggiri, artifizi, inganni, frodi.
Es. Tizio deve vendere a Caio il suo orologio meramente placcato d’oro, ora:
- se Caio è caduto spontaneamente nell’errore sulle qualità dell’oggetto, allora rientriamo nella
disciplina dell’errore
- se invece Caio è caduto in errore perché il venditore Tizio lo ha raggirato facendogli crede che fosse
d’oro, allora rientriamo nella disciplina del dolo.
Raggiro: Quindi il dolo consiste in una qualsiasi forma di raggiro, dunque di una condotta ingannevole tenuta da un
contraente con cui si crea una falsa rappresentazione della realtà che ha alterato la volontà dell’altro
contraente suscitando falsi affidamenti o aspettative illusorie, facendolo cadere in errore e inducendolo a
stipulare un contratto che non avrebbe stipulato se non ci fosse stato quel raggiro (dolo vizio determinante
del consenso).

202
Terminologia: Il codice parla specificamente soltanto di “raggiri”, però dice Minervini: è consentito parlare
anche di artifizi, inganni, frodi, insomma può andar bene qualsiasi terminologia, purché sia
chiaro il significato dell’istituto del dolo: questi artifizi, inganni, raggiri hanno l’effetto di
alterare la corretta formazione della volontà dell’ingannato da indurlo a stipulare il contratto.
Differenza tra errore e dolo: Quindi, sia l’errore che il dolo rientrano tra i vizi del consenso, ma la differenza è
sostanziale:
- errore: l’errante incorre in un errore spontaneo, quindi non indotto dalla controparte.
Quindi l’errore può essere visto come fatto unilaterale.
- dolo: l’errante incorre in un errore provocato dall’atteggiamento commissivo o
omissivo della controparte.
Quindi il dolo omissivo può essere visto come un fatto bilaterale.
Ratio: Protezione della libertà del volere: La ratio del dolo contrattuale, come quello degli altri vizi del consenso, è:
l’ordinamento intende proteggere la libertà del volere, cioè la libertà di
autodeterminazione contrattuale che, in caso di dolo, ha subito una
alterazione provocata dalla controparte raggirante.
La disciplina del dolo-vizio ha la finalità di proteggere il raggirato che ha
subito una lesione:
- alla sua libertà del volere, dato che ha creato una falsa rappresentazione
della realtà, suscitando falsi affidamenti o
aspettative illusorie
- NON al suo patrimonio: infatti, tra i requisiti del dolo contrattuale,
NON è richiesto che il raggiro abbia causato un
danno patrimoniale al raggirato. Il contratto è
annullabile per dolo a prescindere dal se
l’ingannato abbia subito un danno patrimoniale.
Intreccio tra dolo e responsabilità precontrattuale
Come abbiamo anche in caso di errore (dove anche lì abbiamo parlato dell’intreccio tra errore e responsabilità
precontrattuale), anche per il dolo Calvo si sofferma su questo intreccio tra dolo e responsabilità precontrattuale.
Dice Calvo: il fulcro della disciplina del dolo è la norma di condotta prevista dall’art. 1337 cc, che impone l’onere di
diligenza durante le trattative nell’intento di salvaguardare l’interesse della parte a maturare una volontà
consapevole e non deformata. Chi si immette nel traffico giuridico:
- deve agire secondo buona fede
- e in più deve evitare di suscitare falsi affidamenti o aspettative illusorie.
Il dolo del terzo
Autore del dolo contrattuale può essere:
a) o una parte contrattuale
b) o anche un terzo: cioè un soggetto che non è parte formale né sostanziale del contratto.
Quando è rilevante? Il dolo del terzo non è sempre rilevante. Infatti, se il raggiro
è stato posto in essere da un terzo, allora bisogna distinguere:
- se il contraente che ne ha tratto vantaggio
era a conoscenza dei raggiri del terzo  il contratto è ANNULLABILE.
- se il contraente che ne ha tratto vantaggio
NON era a conoscenza dei raggiri del terzo  il contratto è VALIDO.
Perché? Perché si vuole
tutelare la buona fede del
contraente.
In questo caso, il contraente ingannato
potrà al massimo chiedere il
risarcimento del danno al terzo.
Il dolo incidente (o incidentale) [art. 1440 cc]
Quando abbiamo parlato dell’errore, abbiamo detto che per il nostro Codice rileva soltanto l’errore essenziale (cioè
determinante del consenso), mentre NON ha alcuna rilevanza giuridica l’errore cd. incidentale, cioè quello
non determinante del consenso.
Invece per il dolo contrattuale la situazione è diversa perché il dolo è sanzionato più pesantemente dal legislatore
(trattandosi di un errore provocato dai raggiri di una parte), e infatti rileva anche il dolo cd. incidentale, anche se le
conseguenze sono diverse dal dolo-vizio.
Quindi, nell’ambito del dolo contrattuale, rileva:
- il dolo-vizio: è quel raggiro essenziale in quanto determinante del consenso della parte ingannata

203
- il dolo incidentale: è quel raggiro NON essenziale, cioè NON determinante del consenso della parte
ingannata, nel senso che se non ci fosse stato il dolo la parte ingannata avrebbe
comunque concluso il contratto ma a condizioni diverse.
Fonte: Art. 1440
Nozione: Il dolo incidentale, specificamente disciplinato dall’art. 1440, è quel raggiro NON determinante del consenso
della controparte, cioè la parte ingannata avrebbe comunque concluso il contratto, ma a condizioni diverse
da quelle a cui l’ha concluso per effetto del raggiro. Perciò si dice “non determinante del consenso”.
Es. io voglio comprato un orologio. Tu mi inganni dicendomi che è d’oro, ma in realtà l’orologio è dorato.
Io ti pago 3.000 euro, ma, se avessi saputo che non era d’oro, io lo avrei comunque comprato perché mi
piace tantissimo, ma ovviamente te lo avrei pagato 100 euro, non 3.000 euro.
Conseguenze: ATTENZIONE, è sulle conseguenze che c’è differenza tra dolo-vizio e dolo incidentale, perché il codice
prevede che:
- il dolo incidentale NON è causa di annullabilità del contratto
- il contratto viziato dal dolo incidentale di una parte è VALIDO
- SI risarcimento del danno a titolo di responsabilità
precontrattuale della controparte: è vero che il contratto è valido, ma il contraente raggirato può
agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno.
Infatti, il dolo incidentale configura un’ipotesi di
responsabilità precontrattuale a causa della scorrettezza del
raggirante durante delle trattative.
Quindi, il contraente ingannato avrà diritto alla differenza tra il
prezzo pagato (es. 1.000 €) e quello che avrebbe invece pagato
qualora non fosse stato ingannato (300€). Quindi avrebbe diritto
a 700 € di risarcimento.
ATTENZIONE: In sede d’esame si sente spesso dire che in caso di dolo incidentale il contratto è annullato e si
dà luogo ad una parziale ripetizione dell’indebito. NON è per niente così, perché NON è vero
che il contratto è annullabile e NON è vero che si dà luogo alla ripetizione dell’indebito
(infatti NON è vero ad es. che bisogna restituire l’orologio al venditore).

NO casi tipizzati di dolo


Una caratteristica fondamentale del dolo contrattuale che vale a distinguerlo dall’errore è:
- errore: quando abbiamo parlato dell’errore, abbiamo detto che l’errore è causa di annullabilità del contratto
solo se è riconoscibile ed essenziale, e, quando abbiamo parlato dell’essenzialità, abbiamo detto che
deve rientrare in uno dei casi tipizzati dall’art. 1429 cc.
- dolo contrattuale: il dolo è causa di annullabilità del contratto A PRESCINDERE da quale sia l’elemento su cui
il raggiro cade. Quindi per il dolo NON esistono casi tipizzati dal legislatore.
Al legislatore NON interessa sapere su quale punto, qualità o oggetto del contratto c’è
stato il raggiro. Es. il raggiro è causa di annullabilità anche laddove abbia avuto ad
oggetto elementi marginali e accessori del regolamento contrattuale.
Quindi, il campo di applicazione del dolo è certamente più esteso rispetto a quello dell’errore.
Perché? Perché il legislatore tratta più severamente il dolo (errore provocato) rispetto all’errore (errore spontaneo
commesso dal contraente stesso).

Dolo civile e truffa penale


In tema di dolo, si pone il problema del rapporto tra dolo civilistico e truffa penale. Perché? Perché c’è una sottile linea
di confine tra il dolo rilevante sul piano civilistico e quello che invece rileva sul livello penalistico, dal momento che
anche in ambito penalistico si parla di raggiri:
- dolo contrattuale civilistico: l’art. 1439 cc si riferisce a chi con “raggiri” … quindi parla soltanto di raggiri
- truffa penale: a livello penale, anche qui si parla di raggiri. La truffa è un reato penale previsto dal Codice
penale all’art. 640 cp: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a
sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la
reclusione…”.
Quindi si pone il problema perché sia la norma penale che la norma civile parlano di raggiri.
Minervini dice: dolo e truffa NON sono perfettamente coincidenti, anzi ci sono due differenze rilevanti:
- truffa penale: - nella truffa è richiesto un quid pluris: il truffatore si procura un ingiusto profitto e
reca un danno ingiusto alla controparte
- è un reato doloso, cioè che si configura SOLO in presenza dell’elemento
soggettivo del dolo del truffatore.

204
- dolo civilistico: - NON c’è il quid pluris richiesto nella truffa penale. Quindi si potrebbe ammettere
che il contratto sia annullabile per dolo quand’anche
il soggetto truffato non abbia subito alcun danno
economico dal contratto.
Quindi, a parere di Minervini, non tutti i casi di dolo
finiscono nella truffa perché la truffa è più grave, dato
che richiede il danno per il truffato, cosa invece non
richiesta per il dolo.
- il dolo contrattuale può essere sia doloso che colposo.

Dolo contrattuale e animus decipiendi?


Domanda: affinché si configuri il dolo contrattuale è necessario che il raggiro sia stato compiuto con l’intenzione di
indurre in errore la controparte (animus decipiendi) oppure si può configurare anche a titolo di colpa?
Il punto non è pacifico. Su questo punto abbiamo due tesi opposte:
- dottrina minoritaria: la dottrina minoritaria ritiene che sussista dolo contrattuale SOLO SE sussiste
l’elemento soggettivo costituito dall’animus decipiendi, cioè l’intenzione di raggirare
la controparte per indurla a stipulare il contratto e dunque trarre vantaggio dal
contratto.
Quindi, secondo tale dottrina, rileva è SOLO il raggiro doloso e NON quello colposo.
Conseguenza: Se si accoglie tale tesi, allora sotto il profilo soggettivo si avvicinano il
dolo contrattuale e la truffa penale, perché entrambe sarebbero
fattispecie dolose.
- tesi prevalente e Calvo: la tesi prevalente, sostenuta anche da Calvo, ritiene che il raggiro possa configurarsi
sia doloso che colposo. Quindi, secondo la tesi prevalente, si può configurare:
- sia il raggiro doloso: quando il raggiro è stato compiuto con la coscienza e la
volontà di ingannare la controparte per indurla in errore
- sia il raggiro colposo: quando il raggiro è avvenuto SENZA volontà di raggirare
la controparte, ma l’inganno consegua a mera distrazione,
negligenza, strafottenza.
Da qui discende l’annullabilità del contratto in qualsiasi caso di dolo contrattuale,
sia a titolo di dolo che a titolo di colpa.
Conseguenza: Se si accoglie tale tesi, allora tra dolo civilistico e truffa penale si
traccia una linea profonda perché si allontanano sotto il profilo
soggettivo in quanto:
- la truffa è un reato SEMPRE doloso
- il raggiro può essere doloso o colposo.
Se il dolo è colposo, il contratto viziato potrà essere annullabile per
dolo contrattuale, ma NON sarà valutabile come condotta
penalmente perseguibile a titolo di truffa (perché la truffa è sempre
a titolo di dolo, e mai di colpa).

La menzogna rientra nella nozione di dolo contrattuale?


Finora abbiamo parlato di dolo commissivo, cioè sempre inteso come raggiro a seguito di una condotta attiva del
raggirante. Ora ci poniamo a metà strada tra il dolo commissivo e il dolo omissivo (reticenza), chiedendoci:
la mera menzogna, non accompagnata da altre condotte attive ingannevoli, è sufficiente a configurare il dolo
contrattuale?
Per menzogna intendiamo il semplice affermare il falso, SENZA porre in essere una condotta attiva ingannevole.
La mera menzogna è sufficiente a configurare il dolo contrattuale?
- opinione tradizionale: secondo l’opinione tradizionale, la mera menzogna NON è sufficiente per concretare
il dolo contrattuale
- giurisprudenza: parte della giurisprudenza ritiene che non si possa dare una risposta in termini assoluti,
ma si dovrebbe distinguere tra:
a) menzogne non rilevanti: quando il semplice affermare il falso incide sulla sfera propria o
di terzi
b) menzogne rilevanti: quando il semplice affermare il falso incide sulla sfera della
controparte in quanto è determinante del consenso della
controparte.

205
Il dolo omissivo (cd. reticenza o silenzio)
Finora abbiamo parlato del dolo commissivo e della mera menzogna, che si pone a metà strada tra il dolo commissivo
e il dolo omissivo. Ora parliamo del dolo omissivo.
Nozione: Si parla di dolo omissivo quando l’inganno deriva da una mera condotta omissiva, cioè il soggetto
semplicemente resta inerte, reticente, resta in silenzio. Si parla infatti di reticenza ingannevole,
cioè l’atteggiamento di colui che non dice, non comunica certe circostanze.
Si differenzia dalla mera menzogna perché: - mera menzogna: il raggirante si limita ad affermare il falso
- dolo omissivo: il raggirante si limita a restare in silenzio.
Rilevanza? Si discute in dottrina e giurisprudenza se il dolo omissivo rientri nella nozione di dolo vizio disciplinata dal
Codice civile. La soluzione non è univoca:
- parte della dottrina: parte della dottrina afferma che il dolo omissivo:
- NON rientra nella nozione di dolo contrattuale
- e dunque NON è causa di annullabilità del contratto.
Perché? Perché il Codice farebbe riferimento soltanto a raggiri come risultato di una
condotta attiva, commissiva. Il dolo omissivo non sarebbe sufficiente a
configurare il dolo perché non ha la capacità di falsare la rappresentazione
della realtà, perché il raggirante si è limitato a restare in silenzio, quindi
non ha posto in essere una macchinazione tale da alterare il vero.
- Calvo: Calvo invece sostiene la tesi opposta, e cioè che il dolo omissivo rileva come causa di annullabilità
del contratto al pari del dolo commissivo.
Argomenti: Ma quali sono gli argomenti di Calvo a sostengo della rilevanza giuridica del dolo
omissivo?
Calvo prende le mosse dalla responsabilità precontrattuale ex art. 1337. L’art. 1337 cc,
tra gli obblighi di buona fede durante le trattative precontrattuali, impone l’obbligo di
informare: chi dispone di agevolazioni esclusive nell’acquisizione delle informazioni
utili alla corretta maturazione del consenso dell’altra parte, derivante
dalla propria esperienza professionale, organizzativa o altri fattori
riguardanti l’accesso alle fonti di informazione, È OBBLIGATO a fornire tale
bagaglio cognitivo alla controparte.
Perciò, la trasgressione dell’obbligo di informare la controparte:
- è motivo di responsabilità precontrattuale
- è motivo di annullabilità del contratto per dolo omissivo reticente.
Di qui, Calvo riesce a spiegare perché la giurisprudenza ritiene che sia possibile proporre
la domanda di annullamento cumulativamente a quella di risarcimento del danno.
Ma comunque sono autonome: è possibile che il raggirato possa limitarsi a chiedere il
risarcimento senza chiedere l’annullamento del
contratto.
Problema di contenuto: Però Calvo si chiede: qual è il contenuto dell’obbligo di informazione?
Il problema è che l’art. 1337 cc NON specifica qual è il contenuto
dell’obbligo di informazione, cioè NON dice cosa deve essere
obbligatoriamente comunicato alla controparte in misura tale che, laddove
non venga comunicato, sorga il dolo omissivo.
Anche perché l’obbligo di informare convive col dovere di informarsi,
pertanto le parti devono avere un comportamento anche collaborativo,
avendo comunque il dovere di informarsi laddove l’accesso alle fonti
cognitiva sia autonomamente possibile e alla sua portata.
Ecco allora che Calvo dice: c’è il problema di fissare il confine del dolo omissivo
reticente perché non è possibile predeterminare quale sia il contenuto
dell’obbligo di informare.
In linea generale, si può affermare che l’obbligo di informare consiste
nell’obbligo di comunicare l’insieme delle circostanze relative alla convenienza e
sicurezza dell’affare capaci di influenzare la decisione della controparte.
Le ipotesi legali di dolo omissivo: Come abbiamo visto, con riferimento al dolo omissivo (reticenza) ci sono enormi
problemi interpretativi, sia perché il legislatore non parla di dolo omissivo,
sia perché, pur volendone ammettere la configurabilità come violazione dell’obbligo
di informare, è difficile capire quando si configuri.
Proprio perché la materia del dolo omissivo presenta queste grosse incertezze
interpretative, il legislatore italiano in alcuni settori è intervenuto predeterminando

206
ex ante alcuni particolari obblighi di informazione, proprio per evitare problemi
interpretativi.
Facciamo l’esempio degli artt. 1892 – 1893 cc in tema di contratto di assicurazione,
ad es. una polizza sulla vita: è fondamentale per l’assicurazione conoscere le condizioni di
salute per poter calcolare la convenienza dell’affare. Ora, il soggetto che intende stipulare
tale polizza sulla vita ha obblighi informativi, cioè deve rendere edotta l’assicurazione delle
sue condizioni di salute e di altre informazioni. Immaginiamo che il soggetto ometta di dire
all’assicuratore che è un malato con una gravissima malattia cardiologia, che quindi alla
domanda “ha malattie cardiache?”, il soggetto non risponda alla domanda, ad es. non ha
sbarrato nessuna casella del questionario.
In questo caso si tratta di dolo omissivo perché il legislatore aveva imposto un obbligo di
informazione in capo al dichiarante e questo non lo ha trasgredito restando reticente.
Ecco, gli artt. 1892 – 1893 cc equiparano le dichiarazioni false alle condotte reticenti: se hai
dichiarato il falso o sei stato reticente (silenzio), per il
legislatore è lo stesso perché il risultato è uguale: hai ingannato
la controparte, quindi si tratta sempre di dolo:
- nel primo caso (dichiarazioni inesatte) è dolo commissivo
- nel secondo caso (reticenza) è dolo omissivo
quindi il contratto sarà annullabile per dolo in entrambi i casi.
Facciamo un altro esempio:
il medico e il consenso informato: un altro settore in cui è intervenuto il legislatore è stato
quello dei rapporti correnti tra medico e paziente.
Il medico ha una serie di obblighi di informazioni al
paziente prima di far firmare al paziente il consenso
informato. Perciò il medico non può restare reticente,
non può rimanere inerte, ma ha l’obbligo di informare il
paziente della diagnosi, delle caratteristiche
dell’intervento, ecc.

Il dolo tollerato (cd. dolo buono o dolus bonus)


Abbiamo detto che secondo l’opinione prevalente il raggiro possa essere doloso o colposo.
Ora, questo tema del dolo colposo incrocia il tema del dolo cd. tollerato, o dolo buono (dolus bonus).
Nozione: Il dolo tollerato o buono è quello ravvisabile quando il raggiro crea una falsa rappresentazione della realtà
talmente lampante e grossolana da essere concretamente sfornita di una reale capacità di ingannare
persone di media prudenza normalmente avvedute.
Si tratta di quelle vanterie generiche o superesaltazioni della propria prestazione o del proprio prodotto che
in concreto NON hanno alcuna capacità di raggirare nessun soggetto di normale prudenza perché è
facilmente percepibile che si tratta di messaggi ingannevoli della controparte.
Esempio: Immaginiamo le pubblicità televisive oppure i venditori al mercato che utilizzano espressioni iperboliche
ed esagerate che sono talmente evidenti che una personale di normale prudenza non può essere tratta in
inganno, ad es. il venditore che dice “questo è il prodotto migliore del mondo”, oppure “questo è il prezzo
migliore del mondo”.
Rilevanza? Ora, in caso di dolo tollerato, l’ordinamento lo considera non rilevante oppure ritiene che rientri nel
concetto di dolo?
- parte di dottrina e giurisprudenza ritengono che il dolo tollerato è SEMPRE tollerato dall’ordinamento,
quindi NON è MAI causa di annullabilità del contratto.
Perché? Perché le vanterie generiche o la superesaltazione delle
prestazioni non sono in grado di procurare un allarme
sociale tale da giustificare la reazione dell’ordinamento,
perché la persona di media prudenza non corre il pericolo
di inciampare nei tranelli in virtù del fatto che questi sono
evidenti.
- Calvo: Calvo invece ritiene che il dolo tollerato in alcuni casi può essere rilevante giuridicamente come
causa di annullabilità del contratto perché la valutazione della tolleranza del dolo buono e della
media prudenza del contraente:
- NON va compiuta in astratto riferendosi ad un contraente standard di media prudenza
- ma va compiuta caso per caso in concreto, considerando il contraente che in concreto ha
concluso il contratto a causa del dolo tollerato.

207
Quindi, la tolleranza o meno del dolo buono va ancorata a parametri soggettivi, tenendo conto
delle particolari caratteristiche della persona che rimane vittima dell’inganno stesso.
Ecco perché, in alcuni casi, il dolo tollerato può essere causa di annullabilità del contratto.
Ragionamenti: Calvo giunge a questa conclusione partendo dalle critiche da muovere alla
tesi sostenuta dalla precedente dottrina e giurisprudenza:
- ragionare soltanto in astratto, pensando di essere sempre di fronte ad un
soggetto di normale prudenza, è una grave finzione giuridica
- dire che il dolo tollerato non è mai causa di annullabilità del contratto è un
affermazione grave che si riversa a danno del soggetto ingannato. Perché?
Perché se si afferma che il dolo buono è sempre tollerato dall’ordinamento
e che dunque non è mai causa di annullabilità del contratto, allora si
lasciano scoperti di tutela i soggetti più bisognosi, cioè quelli meno
provveduti, meno attenti.
Il dolo buono, è vero che non attecchisce sui confronti di un contraente
dotato di media prudenza, ma comunque può colpire il contraente che nel
caso concreto è stato più sprovveduto, più credulone, che non è stato in
grado in grado di accorgersi dell’inganno manifesto.
Es. ricordiamo il caso Vanna Marchi: la pubblicità di quei prodotti
certamente non poteva attecchire nei confronti di un contraente di
normale prudenza e avvedutezza, però in concreto riusciva ad attecchire
nei confronti di quelle persone di medio-bassa cultura.
- inoltre, ragionando soltanto in astratto, si finirebbe per tollerare sempre il
malcostume imperante nella prassi delle pubblicità o comunque in
generale dei venditori.
Attenuazione: Calvo però alla fine aggiunge: è vero che per verificare la tolleranza o meno del
dolo buono bisogna guardare al singolo caso concreto, PERÒ ATTENZIONE:
lo stesso Calvo ammette che bisogna evitare eccessive generalizzazioni,
cioè NON è vero che bisogna sempre guardare al singolo caso concreto e dunque
al singolo contraente che ha stipulato il contratto.
E allora, per comprendere quando bisogna guardare al contraente in concreto e
quando invece al contraente in astratto (di normale prudenza), il criterio distintivo
secondo Calvo è quello tra contratto negoziato isolato e contratti di massa:
- contratto negoziato individuale: se la vanteria o l’esagerazione rientrano in un
contratto negoziato individuale, cioè frutto di
una contrattazione individuale tra il singolo
negoziante venditore e il singolo consumatore,
allora qui:
- l’eventuale dolo tollerato:
- NON è un fatto accertabile in modo
oggettivo
- ma attiene ad una valutazione di tipo
squisitamente soggettivo.
- ecco perché la valutazione dell’eventuale dolo
tollerato va compiuta in concreto,
guardando alle caratteristiche del singolo
consumatore.
Es. La signora Caia va a comprare un vestito e il
negoziante, dopo che Caia ha indossato il vestito,
dice “è perfetto su di lei, la fa sembrare stupenda,
soltanto lei può indossare questo vestito perché è
splendida”, e la cliente Caia, un po’ sprovveduta,
viene indotta all’acquisto di questo vestito a seguito
di queste esagerazioni del venditore.
Qui siamo in presenza di una esagerazione del
negoziante che incide su una valutazione di tipo
squisitamente soggettivo (stai bene con quel vestito, non
stai bene con quel vestito) e NON ad una circostanza
oggettivamente accertabile.

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È chiaro che qua Caia NON potrà agire in giudizio per
chiedere l’annullamento del contratto per dolo del
negoziante.
- contratti di massa: se la vanteria o l’esagerazione rientrano in un contratto di
massa (contratti standard) per una massa indistinta di
clienti, allora qui:
- l’eventuale dolo buono è un fatto accertabile in modo
oggettivo
- ecco perché la valutazione dell’eventuale dolo buono
va compiuta in astratto tenendo conto del
consumatore medio di normale prudenza e
avvedutezza.
Perché? Perché se si tratta di un contratto di massa, esso è
rivolto alla massa di consumatori comuni,
quindi NON si può tenere conto del singolo
consumatore che di volta in volta stipula il contratto.
Es. Vanna Marchi vende erbe “miracolose” da spalmarsi sulla
pancia e dice che al giorno fa diminuire il girovita di 1 cm.
Qui il dolo buono è un fatto oggettivamente accertabile: io
metto la crema, vedo che il mio girovita non funziona.
Le pratiche commerciali scorrette
Quando abbiamo parlato dell’irrilevanza dell’animus decipiendi, abbiamo detto che ormai l’opinione maggioritaria in
giurisprudenza ritiene che il dolo contrattuale possa essere anche a titolo colposo, cioè quando l’inganno consegua a
mera imperizia, negligenza, distrazione.
Secondo Calvo, a sostegno di tale tesi, vi è che se osserviamo la direttiva comunitaria sulle pratiche commerciali sleali
(29/2005 CE), essa ha ABBANDONATO la categoria del dolo, sostituendola con la “condotta ingannevole”.
Secondo Calvo, questa scelta di politica legislativa rafforza proprio la tesi che ritiene che nella nozione di dolo
contrattuale possano rientravi anche i raggiri colposi. Ecco perché sarebbe più corretto parlare di condotta
ingannevole, per non creare dubbi sul fatto che il dolo contrattuale possa avere anche natura colposa.
Partendo da ciò, Calvo si sofferma sulle pratiche commerciali sleali, dicendo: se è vero che nel dolo contrattuale
rientrano anche i raggiri colposi, allora l’esempio tipico di questa fattispecie sono le cd. pratiche commerciali sleali.
Fonte: Il Codice del consumo.
Nozione: L’art. 18 cod. consumo afferma che per pratica commerciale scorretta si intende qualsiasi azione o omissione
o dichiarazione ingannevole compiuta da un professionista in relazione alla
promozione, vendita o fornitura di un suo prodotto ai consumatori.
Dentro la categoria delle “pratiche commerciali scorrette” rientrano le pratiche commerciali ingannevoli e
il divieto di cd. pubblicità ingannevole.
Pubblicità ingannevole: Nel mercato concorrenziale, la pubblicità e l’informazione orientano le scelte di ogni
consociato. Sfruttando la pubblicità, il professionista incide sull’andamento del mercato,
riuscendo a influenzare un numero indistinto di potenziali clienti.
Ecco perché il Codice del consumo si preoccupa di regolare la pubblicità ingannevole.
Nozione: La pubblicità commerciale (radiofonica, televisiva, ecc) è ingannevole quando, con un
messaggio falsato e distorto, esalta qualità che il prodotto non possiede, ingannando
il consumatore e inducendolo in errore sull’esattezza dei dati divulgati.
La pubblicità ingannevole è scorretta perché:
- da un lato altera la concorrenza, danneggiando i competitori più onesti
- dall’altro lato indebolisce la libertà contrattuale dei consumatori, inducendoli a prendere
decisioni facendo affidamento su elementi falsati.
Codice del consumo: Il Codice del consumo, per tutelare i consumatori, riconosce ai
consumatori il diritto ad avere un’informazione adeguata e una corretta
pubblicità.
La “correttezza dell’informazione” assurge a bene essenziale della totalità
dei consociati.
Tutele contro la pratica
commerciale scorretta: Qual è la tutela al consumatore apprestata dal Codice del consumo per contrastare una pratica
commerciale scorretta?

209
Il Codice del consumo si occupa di:
A) si occupa SOLO della figura astratta del consumatore “medio” ideale
Il codice del consumo NON si interessa del singolo consumatore.
Conseguenza di ciò è che la pratica commerciale scorretta è lecita laddove,
pur essendo riuscita a ingannare il singolo consumatore stipulante,
comunque si riveli inidonea a pregiudicare il consumatore medio
mediamente avveduto.
B) si occupa SOLO della tutela collettiva
Il vero obiettivo del Codice del consumo si preoccupa di tutelare:
- NON il singolo consumatore
- ma si preoccupa della tutela collettiva, cioè di tutelare la massa
indistinta di consumatori.
Perché? Perché in realtà:
- oggetto mediato della tutela è il mercato concorrenziale
- oggetto immediato è la massa di consumatori
Il singolo consumatore isolato ha un rilievo meramente secondario.
Domanda: ma allora a livello di tutela individuale, il singolo consumatore contraente come può
tutelarsi da laddove abbia stipulato un contratto a valle di una pratica commerciale
scorretta?
Sul versante dei rapporti individuali, non c’è una uniformità di vedute: il contratto
stipulato a valle di una pratica commerciale scorretta:
- secondo alcuni è nullo. La conseguenza sarebbe la nullità di protezione ex art. 1419
comma 1 cc. Perché? Perché la norma che vieta le pratiche
commerciali scorrette è una norma imperativa
- secondo altri è annullabile per dolo.

LA VIOLENZA
Terzo ed ultimo vizio del consenso che comporta l’annullabilità del contratto è la violenza.
Fonte: Artt. 1434 – 1438.
Nozione: La violenza consiste nella minaccia di un male serio e ingiusto alla persona o ai beni del contraente (o di terzi)
che costringe la persona minacciata a stipulare un contratto non voluto.
Ratio: Protezione della libertà del volere: La violenza, come gli altri due vizi del consenso, incide sulla volontà del
soggetto (minacciato), la quale si forma sotto l’influsso della violenza,
dunque non è autodeterminata. Il soggetto, a seguito della violenza della
controparte, si trova di fronte all’alternativa tra:
a) sottoporsi al male minacciato
b) o stipulare il contratto al fine di evitare il male minacciato.
È ovvio che laddove scelta di stipulare il contratto, la sua volontà
NON è si è liberamente determinata in quanto coartata.
Violenza esercitata da un terzo
L’art. 1434 equipara la violenza esercitata dal terzo alla violenza esercitata dalla parte.
Infatti, la violenza è SEMPRE causa di annullabilità del contratto:
- A PRESCINDERE dal se la minaccia provenga dalla controparte o da un terzo
- qualora la minaccia provenga da un terzo, il contratto è annullabile SEMPRE, quindi A PRESCINDERE dal se la
parte contrattuale che ne ha tratto vantaggio fosse a conoscenza
o meno della violenza esercitata dal terzo.
Differenza col dolo: In questo vediamo un’enorme differenza tra dolo contrattuale e violenza, perché:
- dolo proveniente da un terzo: se il raggiro è compiuto dal terzo, il contratto è annullabile
SOLO SE la parte che ne ha tratto vantaggio era a conoscenza dei
raggiri compiuti dal terzo alla controparte.
Se invece non ne aveva conoscenza, il contratto è valido.
- violenza proveniente da un terzo: se la violenza proviene da un terzo, il contratto è annullabile
SEMPRE, A PRESCINDERE dal se la parte contrattuale che
ne ha tratto vantaggio fosse a conoscenza o meno di tale
circostanza.

210
Tipi di violenza
Nell’ambito della violenza distinguiamo tra:
- violenza morale (o compulsiva): consiste nella minaccia verbale di un male ingiusto che viene fatta ad una
persona per coartarne la volontà. La vittima può scegliere se stipulare il
contratto per il timore della minaccia o andare incontro al male minacciato
e, per il timore di subire il male minacciato, sceglie di stipulare al contratto.
In caso di violenza morale:
- c’è la volontà del minacciato di stipulare il contratto
- ma è una volontà si è formata in modo viziato a causa del timore
determinato dalla minaccia.
La violenza morale è causa di annullabilità del contratto.
- violenza fisica (vis absoluta): NON consiste in una mera minaccia verbale, ma in un materiale
costringimento fisico sulla controparte.
Tesi: Il problema è che l’ipotesi della violenza fisica NON è presa in considerazione
dal codice, e allora si registrano due tesi diverse:
- tesi tradizionale: secondo la tesi tradizionale, la volontà manifestata sotto
violenza fisica NON ha rilevanza giuridica perché c’è una
totale mancanza di volontà di contrarre.
La violenza fisica è una condotta così invasiva che la vittima
NON ha la libertà di scelta sul se stipulare il contratto o no.
Di conseguenza, un contratto stipulato sotto violenza fisica è:
- secondo alcuni è NULLO
- secondo altri è GIURIDICAMENTE INESISTENTE.
Infatti, quando abbiamo parlato della
inesistenza giuridica, abbiamo detto
che alcuni dicono che la violenza fisica
comporta la mancanza di volontà di
contrarre, quindi comporta l’inesistenza
giuridica del contratto.
Ad ogni modo, qualsiasi sia la risposta, comunque il contratto
non è meramente annullabile, quindi questa tesi tradizionale
contrappone nettamente la violenza fisica alla violenza
morale.
- nuova tesi: c’è però una nuova tesi che si sta sviluppando, secondo la quale
la violenza fisica NON comporta sempre la privazione totale della
libertà della vittima di scegliere se contrarre o meno.
Secondo questi tesi è possibile distingue due tipi di violenza:
a) violenza fisica relativa: si ha ad esempio quando un soggetto
punti un’arma alla tempia del
minacciato. In questo caso, l’uso della
forza fisica NON paralizza
completamente la libertà di scelta della
vittima sottraendogli le facoltà
intellettive e volitive.
In questo caso il contratto è annullabile.
b) violenza fisica assoluta: si ha quando l’uso della forza fisica è
così invasivo da palizzare del tutto
l’autodeterminazione della vittima.
Es. Tizio prende la mano di Caio e gli fa
firmare il contratto.
In questo caso il contratto sarebbe nullo o
giuridicamente inesistente.
NO rilevanza dell’animus nocendi
In tema di violenza, NON ha alcuna rilevanza la presenza o meno dell’animus nocendi nel minacciante,
pertanto la violenza si configura A PRESCINDERE dal se il minacciante avesse l’intenzione di minacciare e fosse
consapevole dell’ingiustizia della sua minaccia.
Es. Se Tizio minaccia Caio ed è convinto di comportarsi in modo corretto pensando che il male che minaccia sia
conforme a diritto, ciò NON ha alcuna rilevanza: la violenza resta causa di annullabilità del contratto.

211
Caratteri della violenza
NON qualsiasi violenza è un vizio del consenso che comporta la causa di annullabilità del contratto.
Dall’art. 1435 cc afferma che la violenza è idonea a concretare un vizio del consenso quando presenta due caratteri:
1) la serietà della minaccia: la violenza deve consistere in una minaccia reale tale da fare impressione sopra
una persona sensata e farle temere di esporre ad un male ingiusto sé o i suoi
beni oppure ad e notevole.
Valutazione della serietà
e persona “sensata”: L’art. 1345 parla espressamente di persona “sensata”, intesa
come persona dotata di buon senso. Quindi:
- NON ogni minaccia è rilevante
- ma solo quella minaccia che altera la formazione della volontà
di una persona dotata di buon senso, facendola
temere di esporre ad un male ingiusto sé o i suoi
beni.
È evidentemente una valutazione IN ASTRATTO di tipo
OGGETTIVO.
Es. se un soggetto dicesse ad un altro “vendimi la tua casa
perché altrimenti ti getto addosso il malocchio”,
potremmo concludere tranquillamente che questa
minaccia non rientra nell’ipotesi della violenza perché
la minaccia di gettare il malocchio non fa impressione su
nessuna persona sensata dotata di normale buon senso.
Ambito soggettivo: Il successivo art. 1436, rubricato “Violenza diretta contro i
terzi”, estende l’ambito di applicazione soggettiva della
violenza.
Perché? Perché è possibile che il soggetto che subisce la
minaccia non coincida con il destinatario diretto del male
minacciato. Infatti, per il legislatore la violenza è causa di
annullabilità del contratto quando la minaccia è rivolta:
- alla persona del contraente o i suoi beni
- o al suo coniuge o un discendente/ascendente del contraente
di lui. Es. si tratta delle ipotesi in cui ad es. Tizio dice a
Caio: “se non stipuli il contratto sparo tua
moglie o tua madre”.
- se invece il male minacciato riguarda altre persone, allora il
giudice valuta liberamente se, in base alle circostanze del
caso concreto, la minaccia rivolta contro terzi possa
portare all’annullamento del contratto.
2) l’ingiustizia della minaccia: il male minacciato deve essere “ingiusto e notevole”.
Il male minacciato è ingiusto quando la minaccia ha ad oggetto un danno che
l’ordinamento non tollera in quanto consistente
in una lesione antigiuridica della persona o del
suo patrimonio.
Valutazione: In base a quali parametri si valuta se il male minacciato è ingiusto e
notevole? Per la valutazione dell’ingiustizia della minaccia si deve
compiere una valutazione IN CONCRETO di tipo SOGGETTIVO,
tenendo conto: - dell’età
- del sesso
- e della condizione
della persona.
Perchè la valutazione deve essere anche in concreto?
Perché ad es. una persona giovane in astratto è meno impressionabile di
una anziana, però magari nel caso concreto la minaccia che è stata fatta al
ragazzo giovane ha inciso moltissimo perché lui ha timore per la sua
carriera, essendo giovane ha tutta una carriera davanti.

212
Quindi, per la valutazione della violenza come vizio del consenso, il giudice deve compiere un’indagine secondo una
DOPPIA VALUTAZIONE:
- è una minaccia seria?  per questa valutazione il giudice compirà una valutazione di tipo OGGETTIVO -
ASTRATTO della “persona sensata” media, cioè della normale persona dotata di
buon senso
- è un male ingiusto e notevole?  per questa valutazione il giudice compirà una valutazione di tipo
SOGGETTIVO - IN CONCRETO parametrata su età, sesso e condizione
della persona minacciata in concreto.

La minaccia di far valere un diritto


Altra ipotesi di violenza è la minaccia di far valere un diritto ex art. 1438.
Fonte: Art. 1438
Nozione: Oltre che nella minaccia di una lesione alla persona o ai beni, la violenza può consistere nella minaccia di far
valere un diritto.
Quando è annullabile il contratto? Il contratto è annullabile SOLO SE la minaccia di far valere un diritto è
diretta a conseguire vantaggi ingiusti.
Quindi, lo schema è:
- se la minaccia di far valere un diritto
è diretta a conseguire vantaggi GIUSTI, cioè si minaccia di esercitare legittimamente un diritto, allora
il contratto NON sarà annullabile.
Quindi se io minaccio di far valere un mio diritto, questo mio
atteggiamento è legittimo.
Es. due imprenditori stipulano un contratto. Di fronte all’inerzia della
controparte, l’imprenditore Tizio può dire: se non paghi, vado dal
giudice per chiedere il decreto ingiuntivo. In questo caso è del tutto
legittimo, NON siamo nell’ambito della violenza quale vizio del
consenso, perché l’imprenditore insoddisfatto ha tutto il diritto di
ricorrere alla tutela esecutiva per essere pagato.
- se invece la minaccia di far valere un diritto
è diretta a conseguire vantaggi INGIUSTI, allora il contratto sarà annullabile.
Quando il vantaggio è ingiusto?
La minaccia assume i tratti dell’abuso o dell’illegalità, e dunque si
parla di vantaggio ingiusto quando si minaccia di far valere un diritto
per conseguire vantaggi incoerenti ed abnormi rispetti a quelli che
fisiologicamente potrei conseguire attraverso l’esercizio del diritto
medesimo in giudizio.
Es. io so che tu non sei insolvente e non sei in fallimento,
ma ciononostante ti minaccio che se non stipuli il contratto,
ti faccio ricorso di fallimenti.

Violenza incidentale (o incidente)


NO codice: Il codice NON distingue tra violenza essenziale e violenza incidentale.
Dottrina: È la dottrina ad interrogarsi sul se la violenza incidentale costituisca una causa di annullabilità.
Nozione: Per violenza incidentale intendiamo quella minaccia NON determinante del consenso del minacciato, nel
senso che il minacciato, senza la violenza, avrebbe comunque stipulato il contratto ma a condizioni diverse.
Es. Tizio mette in vendita un suo appartamento; si presenta un malavitoso che lo minaccia chiedendo di
vendere l’appartamento a 100.00 ero altrimenti si spara. La volontà di Tizio era comunque quella di
vendere, a prescindere dalla minaccia, ma in questo caso lo fa a condizioni diverso, basandosi cioè sul
prezzo imposto tramite minaccia.
Tesi: Sulla configurabilità della violenza incidentale non c’è uniformità di vedute:
- parte della dottrina: ritiene che NON sia configurabile la violenza incidentale perché il legislatore, se avesse
voluto, avrebbe dovuto espressamente prevederla in modo analogo a come ha fatto
all’art. 1440 (che riconosce rilevanza al dolo incidentale)

213
- Calvo: invece all’opposto Calvo ritiene che la violenza incidentale abbia una sua rilevanza giuridica.
Perché? Per due motivi:
- innanzitutto perché la violenza è una condotta ancora più grave del dolo, quindi sarebbe
irragionevole se la violenza, quand’anche incidentale,
non avesse rilevanza giuridica
- in secondo luogo, il fatto che la minaccia non sia stata determinante ma abbia intaccato soltanto
le condizioni del contratto NON può comportare ad un attenuamento della
tutela del minacciato: attenuare la tutela per conservare il contratto o,
peggio, escludere la tutela significherebbe avallare
la violenza del minacciante.
Calvo, partendo dalla premessa che la violenza incidentale è giuridicamente rilevante, le strade sono
due:
a) o si afferma che la violenza incidentale è causa di annullabilità del contratto
b) o si afferma che la violenza incidentale, pur non essendo causa di annullabilità, quantomeno
consente al minacciato di chiedere il risarcimento del
danno quantificato come differenza tra il prezzo pieno
che avrebbe disposto il venditore e il prezzo minore che
ottiene per effetto della minaccia.
Es. volevo vendere a 200 ma a causa della minaccia
ho venduto a 100, mi devi risarcire 100 di differenza.
Autominaccia
Chiediamoci ora come ci si deve orientare in caso di “autominaccia”, ad es. Tizio minaccia di togliersi la vita se Caio
non gli vende un certo bene.
Qui si discute in dottrina ed in giurisprudenza:
- 1° tesi: alcuni ritengono che l’autominaccia NON presenti il requisito della ingiustizia del male minacciato,
perché il soggetto minacciato non subirebbe danno o lesione dalla minaccia dell’altro.
Quindi, secondo questa tesi, l’autominaccia NON è causa di annullabilità del contratto.
- 2° tesi: altri invece ritengono che anche in caso di autominaccia ci sia una alterazione del processo di
autodeterminazione del soggetto destinatario.
Ad ogni modo, non c’è una unanimità di vedute, ma si ritiene che il linea di principio sia importante il prudente
apprezzamento del giudice, anche se in linea di principio si ritiene che l’azione di annullamento dovrebbe essere
negata.

La violenza circoscritta a una clausola del contratto: l’annullamento parziale


Cosa accade se la violenza è circoscritta a una specifica clausola del contratto?
- parte della dottrina: ritiene che si può invocare l’annullamento parziale.
Dice la dottrina: è vero che l’annullamento parziale NON è previsto dal nostro
ordinamento, però lo si può sostenere argomentandolo a partire
dalla nullità parziale ex art. 1419 comma 1.
- altri autori e Minervini: altri autori invece ritengono che NON è ammissibile l’annullamento parziale perché
NON c’è alcun riferimento normativo a tale rimedio.

La minaccia “mediata”
In caso di minaccia, cosa accade se il minacciato, per sfuggire alla minaccia, stipula un contratto con un terzo?
Si parla della minaccia cd. “mediata”, cioè del caso in cui l’autore della minaccia NON coincida con le parti del
contratto.
Es. Tizio minaccia Caio che se non gli darà 100.000 euro incendierà la sua abitazione. Il minacciato Caio, per il timore di
tale minaccia, vende la propria casa ad un terzo Sempronio al fine di procurarsi questi 100.000.
Tesi: La domanda è: in caso di minaccia mediata, è annullabile il contratto che il minacciato ha stipulato col terzo
soltanto per sfuggire alla condotta violenta?
Anche qui le teorie sono diverse:
- Minervini: il contratto stipulato tra il minacciato e un terzo è VALIDO
- Calvo: Calvo invece dice che il contratto stipulato tra il minacciato e un terzo è ANNULLABILE.
Perché? Dice Calvo: il contratto è stato stipulato dal minacciato col terzo è per sfuggire alla minaccia,
infatti senza la minaccia il minacciato non avrebbe avvertito come una necessità impellente
quella di stipulare il contratto col terzo. Perciò, la minaccia del minacciante ha giocato un
ruolo decisivo nella determinazione del minacciato.

214
Il timore: il metus ab intrinseco e il timore reverenziale
Il tema della violenza incrocia il tema del timore. Il timore si DISTINGUE dalla violenza perché in entrambi i casi c’è una
alterazione emotiva e psicologica, però è diversa la causa:
- metus ab extrinseco (= violenza) è il timore che deriva dalla minaccia seria e ingiusta della controparte
- metus ab intrinseco è il timore che nasce nella sfera interiore del soggetto stesso, derivante da fattori
interni, cause naturali o paura ambientale.
Metus ab intrinseco: Il metus ab intrinseco è il timore consistente in quell’alterazione emotiva e psicologica del
contraente analoga a quella derivante dalla violenza, ma con la differenza che qui il timore:
- NON è scaturito da alcuna minaccia di un soggetto esterno
- ma nasce nel foro interno del soggetto stesso, derivando: - o da cause naturali
- o da paura ambientale.
Es. Tizio stipula un contratto di compravendita con cui vende il proprio fondo a Caio, che è un
famoso mafioso della zona, ad una somma sensibilmente inferiore rispetto a quella del valore
del terreno. Tizio ha stipulato il contratto spinto dal timore interno di subire ripercussioni
laddove non avesse venduto il terreno a Caio. Ma ATTENZIONE: Caio NON ha compiuto alcuna
violenza (minaccia), NON ha mai detto una parola né compiuto alcun gesto “pericoloso”,
semplicemente Tizio si è determinato a vendere a Caio per paura diciamo ambientale.
Contratto VALIDO: Il metus ab intrinseco NON è causa di annullabilità del contratto, infatti il
contratto è valido.
Timore reverenziale: Nell’ambito del metus ab intrinseco vi rientra il timore reverenziale, specificamente disciplinato
dall’art.1437.
Il timore reverenziale consiste in quell’alterazione psicologica ed emotiva derivante dalla
soggezione che ha il contraente rispetto all’altro contraente in quanto questo è persona
particolarmente autorevole da un punto di vista gerarchico, carismatico, economico o sociale.
Es. quando un soggetto stipula con un altro soltanto perché mosso dalla preoccupazione di non
urtare la sensibilità della controparte, dato che tale controparte si trova in una condizione di
superiorità gerarchica, economica o sociale.
Contratto VALIDO: Il timore reverenziale NON è causa di annullabilità del contratto, infatti il
contratto è valido.
Calvo: In realtà Calvo ritiene che ci sono casi in cui il timore reverenziale possa dar luogo ad
annullabilità del contratto: quando il soggetto che si trova in una condizione di superiorità
gerarchica, senza ricorrere ad alcuna minaccia esplicita, lasci intendere che potranno nascere
gravi ritorsioni a scapito della controparte ove questa non si determini ad accettare la
proposta negoziale.
Es. il dipendente che stipula un contratto con un dirigente perché il dirigente gli aveva
lasciato comprendere che se non avesse firmato, avrebbe subito una notevole
diminuzione dello stipendio.

215
AZIONE DI ANNULLAMENTO
Il contratto annullabile ha una efficacia provvisoria.
Azione costitutiva: L’azione di annullamento è un’azione costitutiva e NON dichiarativa (come invece azione di nullità).
Infatti, fino a che non interviene la sentenza di annullamento, il contratto è efficace e produttivo di
effetti. Soltanto al momento della sentenza di annullamento viene annullato il contratto.
Natura del diritto di annullamento: Il diritto di annullamento della parte lesa (incapace, errante, raggirato, minacciato)
è costruito come una sorta di diritto potestativo attribuito al contraente il cui
consenso è stato viziato.
Ciò può essere considerato come un prolungamento del potere di autonomia
della parte. Perché? Perché in linea di principio, dopo la conclusione del contratto,
le parti contrattuali esauriscono la loro autonomia contrattuale.
Invece, la possibilità di chiedere l’annullamento è sostanzialmente un
prolungamento della sua autonomia.
Eventuale domanda di risarcimento del danno: Così come per l'azione di nullità, anche in caso di azione di
annullamento la parte può avanzare anche domanda di risarcimento
del danno nella misura dell'interesse negativo se ricorrono gli estremi
della responsabilità precontrattuale.
La legittimazione all’azione di annullamento (art. 1441)
Regola: Legittimazione relativa: La legittimazione all’annullamento del contratto è di regola relativa, nel senso che
l’azione di annullamento può essere domandata SOLO dalla parte nel cui interesse è
stabilito dalla legge, quindi soltanto dalla parte che ha stipulato il contratto in stato
di incapacità o il cui consenso è stato viziato da errore, dolo o
violenza.
Diritto potestativo: Il diritto di annullamento della parte lesa (incapace, errante,
raggirato, minacciato) è costruito come una sorta di diritto
potestativo attribuito al contraente leso.
Discrezionalità: Proprio perché si tratta di un diritto potestativo, la parte legittimata
ha la totale discrezionalità di scegliere se avvalersi del rimedio
giudiziale dell’azione di annullamento oppure no.
Ovviamente tale parte farà una valutazione di convenienza dell’affare.
È chiaro che farà una valutazione di convenienza dell’affare:
a) se ritiene che il contratto sia per lei conveniente, allora lo tiene in
piedi e non chiederà l’annullamento
b) se invece ritiene che il contratto non le sia conveniente, allora
chiederà l’annullamento dello stesso.
Eccezioni: Legittimazione assoluta: Il comma 2 dell’art. 1441 prevede un’eccezione alla regola, prevedendo un caso di
legittimazione assoluta: in caso di contratto stipulato da un incapace condannato
in stato di interdizione legale, l’annullabilità di tale contratto può essere fatta
valere da chiunque vi ha interesse.
Condannato in stato
di interdizione legale: Quando parliamo di condannato in stato di interdizione “legale”
NON stiamo parlando di interdizione giudiziale, perché:
- interdizione giudiziale: è una misura a favore dell’incapace di
intendere e di volere perché gli si nomina
un tutore nel suo interesse.
- interdizione legale: dal diritto penale sappiamo che
l’interdizione legale è una pena accessoria
che si applica per reati particolarmente gravi
e comporta la perdita della capacità legale
di contrarre.
E allora il nostro ordinamento prevede: se uno soggetto è stato
condannato con sentenza penale che ha applicato anche la pena
accessoria dell'interdizione legale, allora, laddove tale soggetto stipuli un
contratto, tale contratto è annullabile e tale annullabilità può essere fatta
valere da chiunque vi abbia interesse.

216
NO rilevabilità d’ufficio: Proprio perché la legittimazione è relativa, il giudice NON può d’ufficio dichiarare
l’annullamento del contratto in mancanza di una apposita domanda di parte.
Quindi, il giudice, quand’anche si accorga che il contratto è annullabile perché stipulato in
presenza di un vizio del consenso di una parte, comunque NON può pronunciare
l'annullamento di questo contratto se manca l’apposita domanda della parte.
Eccezione di annullabilità: L’annullabilità, oltre che con domanda di annullamento, può essere fatta valere anche in
via di eccezione. Se un contraente ha intrapreso un giudizio per chiedere l’adempimento
della prestazione dell’altro contraente, questo contraente può opporre l’eccezione di
annullabilità.
Fonte: Art. 1442 comma 4: “L'annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta
per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione
per farla valere”.
Ambito: L’art. 1442 comma 4 quindi specifica l’ambito di esperibilità dell’eccezione di
annullabilità: il convenuto può avanzare eccezione di annullabilità SOLO SE l’attore
in giudizio ha chiesto l’esecuzione del contratto, cioè l’adempimento della
prestazione non ancora eseguita dal contraente leso.
Infatti, l'eccezione di annullabilità NON avrebbe utilità se la prestazione fosse già
stata eseguita.
Anche se decorso il termine di prescrizione: L’eccezione di annullabilità può essere proposta
ANCHE LADDOVE sia già decorso il termine di
prescrizione per la domanda di annullamento
in via principale.
Ecco perché possiamo dire che l’eccezione di
annullamento, a differenza dell’azione di
annullamento, è imprescrittibile.
Effetto: A cosa serve l’eccezione di annullabilità proposta in un giudizio in cui l’attore ha
proposto domanda per l’esecuzione del contratto?
Qui dobbiamo prestare attenzione, perché l’accezione di annullabilità:
- NON serve per far annullare il contratto
- ma serve soltanto per far rigettare la domanda di adempimento della prestazione
proposta dall’attore.
Quindi, se il giudice accoglie l’eccezione di annullamento rigettando la domanda di
adempimento della prestazione dell’attore, allora:
- la parte il cui consenso era viziato può legittimamente non eseguire la sua
prestazione
- ma il contratto NON viene annullato.

Prescrittibilità
A differenza dell’azione di nullità che è imprescrittibile, l’azione di annullamento è un’azione che ha un termine di
prescrizione breve di 5 anni.
Dies a quo: L’art. 1442 fissa un dies a quo MOBILE della prescrittibilità dell’azione di annullamento, nel senso che il
termine di prescrizione dell’azione di annullamento NON decorre da un momento fisso, ma:
A) se l’annullabilità dipende da incapacità: il termine di prescrizione dell’azione di annullamento decorre:
- dal giorno in cui è cessato lo stato d'interdizione
o d'inabilitazione
- dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età
B) se l’annullabilità dipende da un vizio del consenso: il termine di prescrizione dell’azione di
annullamento decorre:
- dal giorno in cui è stato scoperto l’errore o il dolo
- dal giorno in cui è cessata la violenza

Gli EFFETTI della sentenza di annullamento


Abbiamo detto che la sentenza di annullamento ha natura costitutiva. Quali sono gli effetti della sentenza di
annullamento? La sentenza di annullamento, analogamente alla sentenza di nullità, ha una efficacia retroattiva reale:
determina il venir meno di tutti gli effetti da esso provvisoriamente già prodottisi sin dal momento della stipula del
contratto(ex tunc), come se il contratto non fosse mai venuto ad esistenza.

217
A seguito della sentenza di annullamento, per una facilità di comprensione, distinguiamo tra:
- effetti tra le PARTI: gli effetti della sentenza di annullamento del contratto sono GLI STESSI EFFETTI della
sentenza di nullità, infatti non c’è alcuna differenza:
- il contratto annullato viene eliminato dal mondo giuridico sin dal momento della sua
stipula (efficacia retroattiva)
- le parti sono legittimate a proporre domanda di
ripetizione dell’indebito (conditio indebiti)
Ipotesi particolare: Se il contratto viene annullato per incapacità
(art. 1433) di uno dei contraenti, il soggetto incapace è
tenuto a restituire all’altro la prestazione
ricevuta SOLO nei limiti in cui è stata rivolta a
suo vantaggio.
- effetti per i TERZI: qui si pone lo stesso identico problema che abbiamo trattato in caso di nullità:
l’annullamento, così come la nullità, ha una efficacia retroattiva reale e NON meramente
obbligatoria, pertanto l’annullamento del contratto di regola travolge anche i diritti
acquistati dai terzi subacquirenti (ugualmente alla nullità).
Eccezioni: TUTTAVIA, l’ordinamento si è comunque preoccupato di fornire una tutela ai terzi in
alcune ipotesi. E infatti il codice prevede eccezioni che attenuano o svuotano il principio di
efficacia retroattiva reale della sentenza di annullamento del contratto.
Cioè ci sono casi in cui la sentenza di annullamento del contratto NON ha efficacia
retroattiva reale rispetto ai terzi subacquirenti che hanno acquistato diritti da una
delle parti del contratto poi annullato, e quindi tale annullamento NON sarà opponibile
a tali terzi subacquirenti, i quali faranno salvi i loro acquisti.
Per comprendere quali sono queste ipotesi eccezionali dobbiamo leggere l’art. 1445 cc:
- regola: l’annullamento del contratto NON pregiudica i diritti acquistati dal terzo subacquirente
SE sussistono tutte le seguenti condizioni:
1) l’annullamento del contratto NON dipende da incapacità legale
2) il terzo subacquirente ha
acquistato in buona fede: similmente a quanto abbiamo detto per la nullità,
è necessario che il terzo subacquirente abbia
acquistato in buona fede, cioè è necessario che
non fosse a conoscenza che il contratto “a monte”
era annullabile.
3) l’acquisto del terzo è avvenuto
con atto a titolo oneroso: questa è una differenza rispetto alla nullità
perché in caso di sentenza di nullità dicevamo
“acquisto del terzo a qualunque titolo”, quindi
non aveva rilevanza se l’acquisto del terzo fosse
a titolo oneroso o gratuito.
Se sussistono tutte queste 3 condizioni, allora l’acquisto del terzo in buona fede è fatto
salvo, quindi è opponibile al contraente che ha ottenuto l’annullamento del contratto.
Beni immobili: SE l’acquisto del terzo subacquirente ha avuto ad oggetto un bene
immobile o un diritto immobiliare, allora c’è un ulteriore requisito che
si aggiunge a quelli visti sinora. Il discorso è quasi analogo a quello già
visto in caso di nullità del contratto.
Per la circolazione dei beni per la circolazione dei beni immobili e dei
diritti immobiliari vigono le regole della pubblicità e della trascrizione nei
registri immobiliari.
Il sistema prevede che la trascrizione è obbligatoria:
- per i contratti aventi ad oggetto beni immobili e diritti immobiliari
- l’art. 2652 n. 6 prevede che la trascrizione è obbligatoria anche per le
domande dirette a far dichiarare l’annullamento dei
contratti immobiliari.
Quindi, la parte contrattuale che agisce in giudizio con la
domanda di annullamento di un contratto immobiliare
precedentemente trascritto deve trascrivere anche la
sua domanda di annullamento.

218
Se l’atto di acquisto a titolo oneroso del terzo subacquirente in buona fede
è stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di
annullamento, allora la sentenza di annullamento del contratto
immobiliare - ove non dipenda da incapacità legale - NON sarà opponibile
al terzo subacquirente.
Quindi, lo schema è:
- se il terzo ha acquistato in buona fede a titolo oneroso e ha trascritto il
suo acquisto PRIMA della trascrizione della domanda di
annullamento contro il contratto immobiliare “a monte” di
una delle parti, allora il suo acquisto è fatto salvo perché sarà
opponibile alla parte che ha ottenuto l’annullamento
- se invece il terzo ha trascritto DOPO la trascrizione della domanda di
annullamento contro il contratto immobiliare “a
monte” di una delle parti, allora l’acquisto del terzo
NON prevale, perciò l’annullamento pregiudicherà i
diritti del terzo.
- eccezione: TUTTAVIA, ci sono tre casi in cui la sentenza di annullamento è SEMPRE opponibile
al terzo subacquirente (quindi si ritorna alla regola principale, secondo cui
l’annullamento, avendo efficacia retroattiva reale, è opponibile ai terzi:
a) se l’annullamento del contratto è dipeso da incapacità legale
b) se il terzo ha acquistato a titolo gratuito
c) se il terzo era in mala fede al momento dell’acquisto.
In questi tre casi, l’annullamento del contratto “a monte” è sempre opponibile al
terzo, quindi PREGIUDICA SEMPRE i diritti acquistati dai terzi.
in questo caso l’ordinamento vuole tutelare il contraente che ha agito per far
dichiarare l’annullamento del contratto.

Annullabilità parziale nel contratto plurilaterale (art. 1446)


Quando abbiamo analizzato la disciplina della nullità, abbiamo distinto tra nullità totale e nullità parziale, e abbiamo
visto che la nullità parziale di tipo oggettivo (art. 1419) che di tipo soggettivo (art. 1420 per i contratti plurilaterali).
In tema di annullabilità invece dobbiamo comprendere che il legislatore:
- NON prevede l’annullabilità parziale di tipo oggettivo: il nostro ordinamento in tema di annullabilità
NON prevede una norma equivalente all’art.
1419 che parli di annullabilità parziale.
- prevede espressamente l’annullabilità parziale di tipo soggettivo (art. 1446).
NO annullabilità parziale oggettiva: Come detto, il codice NON prevede l’annullabilità parziale di tipo oggettivo, quindi
il contratto NON può essere annullato soltanto per una parte di esso.
Comunque, parte della dottrina ritiene che in realtà si tratti di una dimenticanza
del legislatore, e dunque che si possa applicare analogicamente l’art. 1419 cc.
Ad ogni modo NON c’è una uniformità di vedute.
Annullabilità parziale soggettiva: L’art. 1446 prevede espressamente l’annullabilità parziale soggettiva, riproducendo
in maniera IDENTICA l’art. 1420 (nullità del contratto plurilaterale), infatti la disciplina
è IDENTICA, quindi: in applicazione del principio di conservazione del contratto,
l’art. 1446 afferma che se l’annullabilità colpisce il vincolo di una sola parte del
contratto plurilaterale:
- ciò NON comporta l’annullabilità dell’intero contratto plurilaterale
- ma comporta l’annullabilità parziale del singolo vincolo che colpisce quella singola
parte contraente
- eccezione: A MENO CHE la partecipazione di tale parte, secondo le circostanze,
debba considerarsi essenziale: quindi, se ricostruendo la volontà
ipotetica delle parti, si ritiene che le
parti non avrebbe stipulato il contratto
se avessero saputo che quel contraente
X non avrebbe partecipato al contratto
plurilaterale, allora viene annullato
l’intero contratto.

219
La CONVALIDA del contratto annullabile
Quando abbiamo parlato della nullità, abbiamo detto che la nullità è insanabile, e infatti abbiamo vige il divieto di
convalida del contratto nullo.
Per l’annullabilità invece il discorso è diverso: l’annullabilità è un vizio meno grave della nullità, pertanto il legislatore
consente la convalida del contratto annullabile.
Quindi, sostanzialmente la parte la cui volontà è stata viziata ha una discrezionalità di scelta di fronte al contratto
annullabile: a) può restare inerte
b) può proporre in giudizio domanda di annullamento del contratto
c) può chiedere la convalida del contratto.
Fonte: Art. 1444 cc
Nozione: Il contratto annullabile può essere sanato mediante il rimedio della convalida da parte del contraente
che sarebbe legittimato a proporre l’azione di annullamento.
La convalida del contratto annullabile consiste nella rinuncia all’azione di annullamento: è un atto con cui la
parte legittimata a proporre domanda di annullamento RINUNCIA all’azione di annullamento perché ritiene
che il contratto, pur annullabile, sia comunque per sé conveniente o vantaggioso.
Presupposti: I presupposti della convalida sono:
1) deve provenire da chi è legittimato ad esperire l’azione di annullamento
2) la parte che intende convalidare il contratto:
1) deve essere CONSAPEVOLE del
vizio di annullabilità del contratto: infatti, è necessario che la parte che chiede la
convalida indichi il motivo di annullabilità.
Ecco perché Calvo dice che NON è ammissibile
una convalida preventiva, in quanto verrebbe a
collidere con la ratio dell’istituto, finalizzato al
recupero dell’atto a seguito della cognizione
delle specifiche cause invalidanti.
Quindi NON è ammessa una forma di convalida
preventiva che dica “contemporaneamente alla
stipula del contratto rinuncio all'azione di
annullamento se si scoprirà che il contratto
sarà viziato”.
2) + e si deve trovare nella condizione
di concludere validamente il contratto: che significa? Significa che la volontà di
convalidare deve essere integra, quindi
non più inficiata dal vizio del consenso
o dall’incapacità che aveva determinato
l’annullabilità dello stesso.
Es. se la violenza persiste, la parte minacciata
NON può convalidare, perché la sua volontà
di convalida non è ancora integra, ma è
ancora inficiata dalla violenza.
Natura giuridica: La convalida è un atto unilaterale di natura abdicativa del diritto potestativo di annullamento,
cioè la convalida va vista come un ATTO DI RINUNCIA all’azione di annullamento del
contratto annullabile.
Si tratta comunque di un atto unilaterale perché è sufficiente la sola volontà del legittimato, invece
l’altro stipulante NON ha alcuna voce in capitolo, dovendo egli accollarsi le conseguenze giuridiche
innervate dalla convalida e dai suoi effetti sananti.
Effetti: Le conseguenze della convalida sono:
- il contratto convalidato diviene definitivamente efficace, quindi si stabilizzano gli effetti che già produceva
a perde la propria precarietà
- il contratto convalidato NON è più suscettibile di annullamento: la parte che ha convalidato NON può più
chiedere l’annullamento né con l’azione né
con l’eccezione.
ATTENZIONE: La convalida è una rinuncia all’azione di annullamento che incide SOLO sul piano dell’efficacia
del contratto, dunque sugli effetti del contratto. Pertanto:
- la convalida NON incide sulla struttura del contratto
- la convalida NON ha una funzione integrativa del contratto annullabile
- il contratto convalidato NON è che acquista validità

220
- con la convalida NON si elimina il vizio
di annullabilità dalla fattispecie contrattuale: il contratto convalidato resta “contagiato” dal
vizio originario. Perché? Perché un vizio è un
fatto storico. Es. se io ho stipulato il contratto
perché sono stato ingannato, l’inganno è un
fatto storico che non può essere eliminato
nemmeno con la convalida. Il contratto può
essere convalidato, ma il vizio resta.
Semplicemente con la convalida il vizio
NON potrà più essere fatto valere dalla parte
che ha convalidato.
Tipi: La convalida può essere:
- espressa: quando la parte, mediante apposita dichiarazione, manifesta la volontà di convalidare il contratto
Annullabile, dichiarando di rinunciare all’azione di annullamento
- tacita (o presunta): la convalida può essere anche tacita, cioè può risultare da un comportamento
concludente, ad es. la parte adempie la prestazione dovuta pur nella consapevolezza
della sussistenza del vizio di annullabilità.
Quindi, il contratto si ritiene convalidato se il contraente a cui spettava l’azione di
annullamento e che conosceva il motivo di annullabilità ha dato volontariamente
esecuzione al contratto.

La RETTIFICA del contratto in caso di errore


Fonte: Art. 1432 cc “Mantenimento del contratto rettificato”
Ambito applicativo: La rettifica è un rimedio limitato SOLO all’errore:
- quindi NON anche gli altri vizi del consenso (dolo, violenza) sono suscettibili di rettifica
- in tutti i casi di errore: quindi la rettifica è uno strumento applicabile sia in caso di errore vizio
che in caso di errore ostativo.
NON dobbiamo farci trarre in inganno perché il codice parla della
rettifica in due momenti:
- art. 1430: parla della rettifica dell’errore di calcolo, intesa come mera
correzione. Questa “rettifica” NON ha nulla a che vedere
con la rettifica ex art. 1432 di cui parleremo adesso
- art. 1432: parla della rettifica come istituto più vasto, NON limitato al
solo errore di calcolo, ma con riferimento all’errore in
generale.
Nozione: Qualora una parte sia caduta in errore essenziale e riconoscibile e dunque sia legittimata a proporre
domanda di annullamento del contratto, l’ALTRA PARTE (cioè la parte non in errore) può offrire di eseguire
il contratto in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che la parte errante intendeva
concludere senza quell’errore.
Legittimazione: L’iniziativa della rettifica spetta: - NON alla parte errante
- ma spetta alla controparte dell’errante.
Effetti della rettifica: Con la rettifica:
1) si modifica il contenuto del contratto in modo conforme al contenuto e alle modalità del
contratto che la controparte (incorsa in errore) intendeva concludere
se non fosse incorsa in errore
2) l’errante NON potrà più esercitare l’azione di annullamento.
Ratio: La rettifica ex art. 1432 è un rimedio con cui si cerca di salvare il contratto in ossequio al principio di
conservazione del contratto, al favor contractus e ai principi di equità sostanziale.
Natura giuridica: La rettifica è un atto negoziale:
- unilaterale
- recettizio: la rettifica è efficace nel momento in cui giunge nella sfera di conoscibilità dell’altra
parte (cioè dell’errante).
NO accettazione: L’art. 1432 parla di “offerta di rettifica”, ma sta utilizzando il termine “offerta” in senso
improprio, infatti NON è richiesta l’accettazione della rettifica da parte del contraente
errante. Infatti, la rettifica è un negozio unilaterale e recettizio per cui il contratto risulta
rettificato non appena l’offerta di rettifica giunge nella sfera di conoscibilità dell’errante,
che già da questo momento non potrà più proporre domanda di annullamento del
contratto.

221
Contestazione della congruità della rettifica: Abbiamo detto che la rettifica è efficace nel momento in cui giunge a
conoscibilità dell’errante, NON essendo previsto che questo debba
accettarla.
Ora, è vero che la controparte non ha il potere di accettare o
rifiutare la rettifica, però cosa può fare se intende contestarne la
congruità?
L’errante, in caso di offerta di rettifica della controparte, se intende
contestarne la congruità può adire il giudice.
In caso di contestazione, il giudizio sulla congruità della rettifica è un “giudizio di
accertamento” in cui il giudice deve limitarsi a verificare se
l’offerta di rettifica formulata dalla controparte dell’errante è
stata esercitata nel rispetto dei requisiti e dei limiti di legge,
cioè se era congrua oppure no.
Se il giudice la ritiene congrua, allora rigetta la domanda dell’errante e
dichiara che il contratto resta in piedi così come rettificato.
Quando NON è possibile la rettifica? Chiaramente ci sono delle ipotesi di errore in cui NON è possibile immaginare una
rettifica. Ciò accade ad esempio in caso di errore sull’identità o sulle qualità della
controparte.
Es. mi rivolgo al dottor Tizio pensando sia un cardiologo molto esperto e invece è
un medico neolaureato. In questa ipotesi è evidente che se l’errore cade
sull’identità della persona o sulle sue qualità è evidente che in questa ipotesi
non c’è modo di salvare il contratto attraverso lo strumento della rettifica.

222
15.3
C) LA RESCINDIBILITÀ
La rescindibilità è l’ultima forma autonoma di invalidità del contratto, accanto la nullità e l’annullabilità.
Fonte: Artt. 1447 – 1452 cc
Nozione: La rescindibilità è una forma d'invalidità del contratto posta a tutela di quella parte contrattuale che ha
contratto a condizioni inique a causa del suo stato di pericolo o di bisogno.
Con la rescindibilità l’ordinamento intende colpire lo squilibrio genetico tra le prestazioni del rapporto
contrattuale nel momento in cui le stesse nasco: è nella genesi del rapporto contrattuale che è presente uno
squilibrio tra prestazioni dovuto allo stato di bisogno o di pericolo in cui si trovava una parte contrattuale,
tale che, se sussistono tutti i presupposti, il contratto è rescindibile.
Grazie all’azione di rescissione, la parte che ha stipulato il contratto in condizioni di pericolo o di bisogno
si può sciogliere dal contratto quando queste condizioni (pericolo o bisogno)
hanno provocato delle notevoli sproporzioni tra prestazioni contrattuali.
Provvisoriamente efficace: Dal punto di vista degli effetti del contratto, la rescindibilità è analoga alla annullabilità,
nel senso che il contratto rescindibile:
- è provvisoriamente efficace (produttivo di effetti)
- se viene proposta ed accolta la domanda di rescissione, allora la sentenza di
rescissione ha natura costitutiva, eliminando
retroattivamente gli effetti del contratto.
Oggetto: La disciplina della rescissione ha ad oggetto SOLO i contratti a prestazioni corrispettive (sinallagmatici).
Ratio: Il legislatore con la disciplina della rescindibilità intende assicurare una tutela alla parte che concluse il contratto
in uno stato di menomazione della propria libertà di autodeterminazione sotto la pressione di circostanze
eccezionali (pericolo o bisogno), per consentirle di reagire contro chi abbia approfittato dell’evocata minorità.
Tutela: La rescindibilità, così come l’annullabilità, è a presidio di interessi privati della singola parte contrattuale lesa.

La rescissione del contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447)


Un primo caso di rescindibilità del contratto si ha nell’ipotesi di contratto concluso in stato di pericolo.
Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità, nota alla controparte, di
salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso a seguito di domanda di
rescissione della parte che si è obbligata in tale stato.
Condizioni: Per l’azione di rescissione del contratto stipulato in stato di pericolo ci vuole la compresenza di
3 condizioni fondamentali:
1) lo stato di pericolo: la rescindibilità si configura quando la parte ha concluso il contratto per la necessità di
salvare sé o altri dal pericolo effettivo ed attuale di un danno grave alla persona.
Quindi, primo elemento è lo stato di pericolo in cui la parte ha concluso il contratto.
Pericolo: Il pericolo è la probabilità (NON la certezza) di un male futuro, probabilità da
valutarsi sulla base del giudizio dell'uomo medio.
Caratteristiche del pericolo ai fini della rescindibilità sono:
1) attualità: occorre che si tratti di un pericolo attuale.
Ai fini della valutazione dell'attualità del pericolo, non ha importanza
che il danno abbia a trovar luogo in un tempo più o meno prossimo.
Quel che interessa è che, per evitarlo, si imponga un comportamento
attuale
2) effettività: occorre che si tratti di un pericolo effettivo, quindi NON
meramente putativo. Il pericolo, pregiudizievole per la parte stessa
o per altri individui, può derivare: - o dall’azione umana esterna
- o da fatti naturali.
3) pericolo di un danno
grave alla persona: infine, il punto più importante è che:
- NON qualsiasi pericolo attuale ed effettivo dà luogo
a rescindibilità del contratto
- ma SOLO quel pericolo attuale ed effettivo di un
danno grave alla persona.
Danno grave: occorre che si tratti di un “danno grave”, cioè che il
danno temuto fosse di una portata tale che la
necessità di evitarlo, stipulando il contratto,
assurgesse ad unico motivo determinante del
consenso

223
alla persona: occorre che il pericolo del danno grave da evitare
riguardasse:
- o la persona del contraente
- o altri
e che consistesse in un pregiudizio ai diritti
fondamentali della persona, quindi diritti della
personalità:
- la vita
- l’integrità fisica.
- l’onere: la giurisprudenza ritiene che tra i diritti
della persona tutelati mediante lo
strumento della rescindibilità rientri
anche il diritto all’onore.
È su questo punto che è possibile scorgere una prima differenza
tra stato di pericolo e stato di bisogno, perché nello stato di
pericolo:
- NON si guarda al profilo economico, al “portafoglio” del
soggetto leso
- si guarda al pericolo di un danno alla persona, alla sua vita, alla
sua integrità fisica.
Quindi, per rispondere alla domanda “ma questo è uno stato di
pericolo o di bisogno?” bisogna chiedersi: che cosa si voleva
tutelare? Il profilo economico o il profilo dei diritti fondamentali
della persona?
Se si comprende cosa si voleva tutelare, allora si può inquadrare
facilmente il problema.
Es. il figlio sta per affogare e il padre compra per 20.000 € un
semplice salvagente per andarlo a salvare.
Es. il padre compra una boccetta di insulina a 10.000 € che
gli serve per la dose giornaliera di insulina per il figlio
diabetico.
In entrambi i casi si vuole tutelare la vita/integrità fisica del figlio
in pericolo o malato, quindi si rientra nello stato di pericolo.
In entrambi i casi, il contratto di compravendita è stato frutto del
pericolo in cui si trovava il figlio che stava per morire (annegare
nel primo esempio), e quindi il padre ha comprato ad un prezzo
spropositato ciò che invece ha un basso prezzo.
2) la controparte era a conoscenza
dello stato di pericolo in cui si trovava l’altra parte: infatti, l’art. 1477 dice lo stato di pericolo “noto alla
controparte”.
ATTENZIONE: per il legislatore, affinché si configuri la
rescindibilità per stato di pericolo:
- NON è necessario l’approfittamento
- è sufficiente la mera conoscenza: è sufficiente che la
controparte fosse a
conoscenza che la
sproporzione tra le prestazioni
contrattuali era figlia dello
stato di pericolo in cui versava
l’altra parte.
3) la generica iniquità tra le prestazioni
contrattuali dipesa dallo stato di pericolo: la parte che versava in uno stato di pericolo ha stipulato il
contratto proprio per evitare la situazione di pericolo, ma tale
contratto è caratterizzato da prestazioni inique, sproporzionate.
Iniquità: L’art. 1447 NON individua i criteri utilizzabili per accertare l’iniquità.
Il legislatore si limita a dire “inique”, quindi rimette tutto all’equo
apprezzamento del giudice e alla sua capacità di soppesare gli elementi di
fatto indicativi dello squilibrio.

224
Ratio: Una domanda da porsi è: ma perché in caso di contratto concluso in stato di pericolo con prestazioni inique
il legislatore prevede la rescindibilità al fine di tutelare l’equivalenza di valore tra le prestazioni contrattuali?
- NON perché il legislatore riconosca in generale una doverosa equivalenza tra le prestazioni di per sè
- ma perché qui la diseguaglianza di valore tra le prestazioni è dipesa dallo stato di pericolo.
Intendo dire: nel nostro ordinamento NON esiste un principio di equivalenza tra le prestazioni, cioè NON esiste
un principio in forza del quale le prestazioni devono essere eque, di eguale valore.
Infatti, nel nostro ordinamento è consentito che tra le prestazioni contrattuali vi sia anche una
grossa sproporzione perché tutto ciò dipende dall’autonomia contrattuale delle parti.
TUTTAVIA, in presenza di ipotesi patologiche, il legislatore avverte l’esigenza di intervenire per
garantire l’eguaglianza tra le prestazioni contrattuali, e questa dello stato di pericolo è una di
quelle ipotesi patologiche.
A quali contratti si applica
la rescindibilità per stato di pericolo? Se leggiamo l’art. 1447 comma 1 dice “Il contratto con cui una parte ha
assunto obbligazioni a condizioni inique…”, quindi sembrerebbe che si applichi
soltanto ai contratti ad effetti meramente obbligatori.
TUTTAVIA, sembra assurdo che non possano rientrare nella rescindibilità per
stato di pericolo anche i contratti ad effetti reali.
Facciamo un esempio di stato di pericolo e dei due tipi di contratti:
- contratto a effetti obbligatori: mio figlio sta per affogare e dico al bagnino “vai a salvare
mio figlio, ti do 4.000 euro”
- contratto a effetti reali: mio figlio sta per affogare e dico al bagnino “compro quel
salvagente per 4.000 euro”, così lo acquisto e lo utilizzo per
salvare mio figlio.
In entrambe queste ipotesi sussiste lo stato di pericolo e la parte conclude un contratto
caratterizzato da prestazioni inique.
Ora, sembrerebbe irragionevole garantire tutela soltanto a chi in stato di pericolo ha
concluso un contratto a effetti obbligatori e NON anche a chi ha concluso un contratto
a effetti reali.
Quindi, l’art. 1447 deve ritenersi applicabile a QUALUNQUE contratto, sia esso ad effetti
obbligatori che ad effetti reali.
Equo compenso (comma 2): Se il contratto concluso in stato di pericolo viene rescisso, allora il giudice, nel
pronunciare la rescissione, PUÒ assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera
prestata.
Perché? Il comma 2 dell’art. 1447 è una norma particolare che parte da questo ragionamento:
dato che lo stato di pericolo NON dipendeva dalla controparte ma dipendeva da fatti
naturali o da un’azione umana esterna, è vero che il contratto è rescindibile, però
è pur vero che la controparte, se ha svolto l’attività di fare o di dare, ha diritto ad un equo
compenso per l’opera prestata.
Es. immaginiamo che una nave sta affondando. Immaginiamo che il comandante della nave in
pericolo e il comandante di un rimorchiatore nei pressi di quella nave sia stato stipulato un
contratto verbale con cui il comandante della nave diceva “se mi porti al sicuro, ti do 1 miliardo
di euro”.
In questa ipotesi, questo contratto obbligatorio di fare può essere rescisso per stato pericolo,
però comunque il rimorchiatore che ha salvato la nave ha compiuto un fare, ha comunque
portato al sicuro la nave, quindi ha comunque diritto ad un equo compenso per l'opera
prestata (per il fare che ha svolto).
Alternatività: Questa è un’alternativa al rimedio della modificazione del contratto per ricondurlo ad
equità ex art. 1450 cc.

225
La rescissione del contratto concluso in stato di bisogno (art. 1448)
[rescissione per lesione]
Il successivo art. 1448 è rubricato “Rescissione del contratto per lesione” fa riferimento alla rescissione del contratto
concluso in stato di bisogno.
Condizioni: Per l’azione di rescissione del contratto stipulato in stato di bisogno ci vuole la compresenza di
3 condizioni fondamentali:
1) lo stato di bisogno: nell’ipotesi più comune si fa riferimento al bisogno economico del contraente,
quindi al “portafoglio”, al profilo economico.
In questo caso per stato di bisogno si intende:
- NON necessariamente l’assoluta indigenza (povertà)
- ma è sufficiente la difficoltà economica, che ad es. deriva da situazione di
illiquidità tale da indurre la parte a
perfezionare un contratto assai iniquo a
suo svantaggio pur di superare tale
contingenza.
La parte che ha stipulato in stato di bisogno NON ha potuto liberamente determinarsi,
trovandosi in una situazione di difficoltà economica che l’ha indotta ad accettare
un’intesa iniqua che magari non avrebbe accettato se non si fosse trovata in stato di
bisogno.
Es. Tizio rischia di fallire, perciò ha bisogno di denaro liquido subito per pagare i suoi
debiti e mette in vendita la sua villa lussuosa ad un prezzo bassissimo e Sempronio,
approfittando del suo stato di bisogno, la compra.
Calvo: Calvo in realtà propone una nozione di “bisogno” più estesa, affrancata
dall’elemento della patrimonialità. Cioè, per Calvo si può parlare di stato di
bisogno non soltanto in caso di difficoltà economica, ma possa riguardare anche
profili extrapatrimoniali.
Perché? Perché, secondo Calvo, lo stato di minorità può anche sostanziarsi in
urgenze di matrice morale, ad es. gli antecedenti causali che motivano
il soggetto a concludere un’intesa iniqua perché si trova nello stato di
bisogno di sanare l’avvertita minaccia della perdita della reputazione o
della stima in lui riposta dai consociati.
2) l’approfittamento della controparte: secondo requisito è l’approfittamento dello stato di bisogno della
controparte.
Quindi, per il contratto concluso in stato di bisogno:
- NON è sufficiente la “mera conoscenza” dello stato di pericolo in cui
versa la controparte
(come per lo stato di pericolo)
- ma è necessario un quid pluris: la controparte deve aver approfittato
dello stato di bisogno in cui versava
l’altra parte.
In realtà, la giurisprudenza prevalente dice: è vero che qui la legge parla di
“approfittamento” mentre nel caso dello stato di pericolo parla di
“mera conoscenza”, ma in realtà non ci sarebbe una grande differenza tra
approfittamento e mera conoscenza. Perché? Perché dice la
giurisprudenza: in realtà per soddisfare il requisito dell’approfittamento:
- NON si richiede necessariamente una condotta attiva della controparte
- ma è sufficiente che sia a conoscenza dello stato di bisogno in cui versa
la controparte e sia consapevole della sproporzione tra
le prestazioni contrattuali.
Es. se Tizio dice che sta per fallire e mi propone di acquistare la sua
lussuosa villa per soli 12.000 € e io accetto, non ho tenuto alcun
comportamento attivo, eppure sto approfittando del suo stato di
bisogno per stipulare un contratto per me molto vantaggioso perché
so che lui è in stato di bisogno.

226
3) la lesione ultra dimidium: il terzo requisito è che il contratto stipulato presenti una sproporzione tra le
prestazioni contrattuali tale per cui una prestazione vale più del doppio del
valore dell’altra, e quindi la lesione eccede la metà del valore che la prestazione
eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
Il legislatore parla di lesione "ultra dimidium".
Es. Tizio ha la proprietà di una villa il cui valore di mercato al momento della stipula
è di 100.000 euro, ma si trova in grosse difficoltà economiche perché è oberato
di debiti, e allora la vende a Caio a 49.000 euro.
Come si fa a valutare se c’è questa sproporzione ultra dimidium?
Il giudice chiaramente nominerà un consulente tecnico che stimerà il valore, il
prezzo di mercato al momento della stipula del contratto. Se la proporzione è
superiore al rapporto 1:2, allora il contratto è rescindibile.
Comma 3: Il comma 3 dell’art. 1448 stabilisce che la lesione deve perdurare fino al tempo in cui la
domanda di rescissione è proposta. Introduce quello che Calvo dice “attualità dello
squilibrio”.
Ciò significa che il giudice (in realtà è prassi che il giudice si affidi ad un consulente tecnico
d’ufficio) è chiamato a compiere una DOPPIA VALUTAZIONE:
1) accertare se al momento della stipula ci fosse una sproporzione ultra dimidium
2) accertare se al momento della proposizione della domanda di rescissione sussista
ancora questa sproporzione
ultra dimidium oppure se sia
scesa sotto la soglia (del
rapporto 1:2).
Quindi la sproporzione ultra dimidium deve perdurare per due momenti:
- al momento della stipula del contratto
- e al momento della proposizione della domanda di rescissione.
Se la sproporzione ultra dimidium sussisteva sì al momento della stipula del contratto
ma al momento della proposizione della domanda di rescissione è scesa al di sotto della
soglia 1:2, allora il giudice deve rigettare la domanda di rescissione.
Ratio: Anche qua vale lo stesso identico discorso fatto per lo stato di pericolo: il legislatore NON sta tutelando
l’eguaglianza genetica di valore tra le prestazioni contrattuali di per sé, ma si tratta di un’ipotesi patologica: il
legislatore ha avvertito l’esigenza di intervenire perché la sproporzione di valore tra le prestazioni è dipesa dallo
stato di bisogno di cui la controparte ha anche approfittato.
A quali contratti si applica
la rescindibilità per stato di bisogno? La rescissione per lesione (stato di bisogno) è applicabile a:
- contratti a prestazioni corrispettive
- contratti a titolo oneroso, secondo la giurisprudenza anche
laddove non siano a prestazioni
corrispettive
- contratti di divisione: vedi sotto
Invece, NON sono impugnabili con azione di rescissione per lesione:
- i contratti a titolo gratuito
- i contratti misti: tipico esempio è la vendita mista a donazione.
- i contratti aleatori: NON sono rescindibili per lesione perché nei contratti aleatori
la sproporzione tra le prestazioni non ha il significato di
“lesione” perché essa rientra nel fisiologico rischio connesso al
contratto stipulato, quindi la sproporzione è imputabile
all’alea.
Eccezione: A MENO CHE la sproporzione tra le prestazioni
affiorasse già all’epoca della stipula del contratto,
non essendo quindi imputabile all’alea.
- le vendite forzate: l’art. 2922 cc per la vendita all’asta in sede esecutiva di un bene
afferma che la vendita forzata NON può essere impugnata per
causa di lesione. Perché? Perchè si vuole offrire una particolare
tutela a chi acquista un bene in sede di esecuzione forzata
mettendolo al riparo dal rischio di subire un domani l’azione di
rescissione per lesione.
- le ipotesi di mutuo usurario, cioè il mutuo ad interessi usurari.

227
La rescissione per lesione del negozio divisorio
Nell’ambito della rescissione per lesione (in stato di bisogno) vi rientra l’ipotesi disciplinata dall’art. 763: la rescissione
per lesione del contratto di divisione.
L’art. 763 cc afferma: il contratto di divisione può essere rescisso se taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre
il quarto (cd. lesione ultra quartum).
Qui abbiamo quindi una rescindibilità che ha un solo requisito perché in questo caso per la
rescissione della divisione:
- NON si richiede lo stato di bisogno/lo stato di pericolo
- NON si richiede l’approfittamento
- ma è SUFFICIENTE il solo elemento oggettivo della sproporzione oltre il quarto (lesione
ultra quartum). Quindi è sufficiente una soglia
più bassa di quella vista per la rescissione per
stato di bisogno perché qui si parla di lesione
NON ultra dimidium, ma di lesione ultra
quartum.
Rescissione per lesione e usura
Un argomento delicato è il rapporto tra rescissione per lesione e usura, perché i due istituti possono incrociarsi:
l’argomento della rescissione per lesione può sovrapporsi al tema dell’usura.
La stipulazione di un contratto rescindibile concluso in stato di bisogno (rescissone per lesione) può integrare gli
estremi del reato di usura.
Secondo l’art. 644 cp: “Usura”: sono usurari gli interessi e gli altri vantaggi o compensi che risultano comunque
sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altre utilità quando chi li ha dati
o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Qui la somiglianza con la rescissione per lesione è evidente, perché dice: intanto vi è usura in quanto vi sia la difficoltà
economica finanziaria, che tutto sommato può essere equiparata allo stato di bisogno.
Minervini: Minervini sottolinea un punto: la parte che ha concluso il contratto in stato di bisogno:
- NON ha mai interesse a ricorrere alla rescissione
- ha più interesse a chiedere la nullità del contratto, perché ricordiamo che una certa opinione
giurisprudenziale dice che se la condotta è
penalmente sanzionata (l’usura penale),
il contratto è nullo perché contrario a una
norma penale che è per antonomasia una norma
imperativa.

L’AZIONE DI RESCISSIONE
Il contratto rescindibile ha una efficacia provvisoria, infatti è efficace FINO A CHE non sia stata pronunciata sentenza di
rescissione che comporta l’inefficacia del contratto.
Azione costitutiva: L’azione di rescissione, al pari dell’azione di annullamento, è un’azione costitutiva e
NON meramente dichiarativa (come invece l’azione di nullità).
Infatti, fino a che non interviene la sentenza, il contratto è efficace e produttivo di effetti. Soltanto
al momento della sentenza di rescissione viene compromesso il contratto.
Risarcimento del danno: Così come l'azione di nullità e di annullamento, anche l’azione di rescissione può
accompagnarsi alla pretesa di risarcimento del danno nella misura dell'interesse negativo
e se ricorrono gli estremi della responsabilità precontrattuale.
Legittimazione relativa: La rescissione del contratto è un rimedio riservato SOLO alla parte che ha stipulato il contratto
in stato di pericolo o di pericolo.
NO rilevabilità d’ufficio: La rescindibilità NON è mai rilevabile d’ufficio dal giudice in assenza di apposita domanda.
Eccezione di rescindibilità: Anche la rescindibilità può essere opposta in via d’eccezione.
TUTTAVIA, a differenza dell’eccezione di annullabilità, l’eccezione di rescindibilità
NON può essere proposta se l’azione di rescissione si è prescritta.
Prescrizione
Regola: L’azione di rescissione si prescrive entro 1 anno dalla data di stipula del contratto.
Eccezione: TUTTAVIA, se il fatto costituisce reato, si applica l’ordinario termine ordinario di prescrizione di 5 anni.
Perché? Il legislatore ha introdotto questa eccezione perché è consapevole della linea di confine sottile tra
la rescissione e il reato di usura. Ecco perché prevede: se il fatto è considerato dalla legge come
reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile.

228
Problemi in tema di preliminare-definitivo: Dato che il termine di prescrizione è di 1 anno, quindi un termine molto
breve, sono sorti problemi nelle ipotesi in cui vi sia la sequenza contratto
preliminare - contratto definitivo. Infatti, la domanda è: il termine di
prescrizione di 1 anno per la domanda di rescissione decorre dalla data di
stipula del preliminare oppure del definitivo?
- giurisprudenza: ha detto che c’è un doppio termine:
- la rescissione del preliminare posso farla valere entro 1 anno dalla stipula
del preliminare
- la rescissione del definitivo entro 1 anno dalla stipula del definitivo.
- dottrina: la dottrina invece ritiene che la soluzione proposta dalla giurisprudenza
non abbia senso perché il definitivo si limita a recepire il contenuto del
preliminare. Quindi, se la parte non proponesse domanda di rescissione
entro 1 anno dalla stipula del preliminare, avrebbe una via di fuga data
dalla possibilità di agire entro 1 anno dalla stipula del contratto definitivo.
EFFETTI della rescissione
La rescissione priva di efficacia il contatto in modo definitivo. Ora, anche in questo caso vediamo:
- effetti per le PARTI: la sentenza di rescissione produce gli STESSI IDENTICI effetti della sentenza di
annullamento e della nullità, dato che anche la rescissione ha efficacia retroattiva
reale: determina il venir meno di tutti gli effetti da esso prodotti sin dal momento della
stipula (ex tunc), come se il contratto non fosse mai venuto ad esistenza.
Quindi la rescissione produce i seguenti effetti tra le parti:
- il contratto rescisso viene eliminato dal mondo giuridico sin dal momento della sua
stipula (efficacia retroattiva)
- le parti sono legittimate a proporre domanda di
ripetizione dell’indebito (conditio indebiti)
- effetti per i TERZI: è vero che la rescissione ha efficacia retroattiva, ma la sentenza di rescissione
NON pregiudica MAI i diritti acquistati da eventuali terzi subacquirenti,
A PRESCINDERE dal se abbiano acquistato: - a titolo gratuito oppure oneroso
- o dal se abbiano acquistato in buona fede
o in mala fede.
Quindi, in caso di rescissione, sono SEMPRE tutelati i terzi, a prescindere da qualsiasi altro
fattore.
Eccezione: L’unica eccezione è quella che abbiamo visto anche in caso di annullamento
per i beni immobili, perché in questo caso “sono salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di rescissione”, quindi è valido quanto abbiamo già
visto per l’annullabilità.
La domanda di rescissione deve essere trascritta e:
- se la domanda di rescissione è stata trascritta PRIMA della trascrizione
dell’acquisto del diritto immobiliare da parte del terzo
subacquirente, allora la rescissione è opponibile al terzo
- se la domanda di rescissione è stata trascritta DOPO la già avvenuta
trascrizione dell’acquisto del diritto immobiliare da parte
del terzo subacquirente, allora la rescissione NON è
opponibile al terzo, quindi questo fa salvo il proprio
acquisto.

DIVIETO DI CONVALIDA del contratto rescindibile


Il contratto rescindibile NON può MAI essere convalidato, infatti l’ordinamento pone un divieto di convalida del
contratto rescindibile.
Alla luce di tale divieto, possiamo dire che di fronte ad un contratto rescindibile il legislatore prevede soltanto tre
strade: a) o l’inerzia della parte lesa
b) o l’azione di rescissione
c) o l’offerta di modificazione del contratto (riduzione ad equità).
Dal divieto di convalida discende che è INAMMISSIBILE la rinuncia pura e semplice all’azione di rescissione, pertanto la
parte lesa NON può dichiarare di rinunciare all’azione di rescissione (al massimo resta inerte e lascia scadere l’anno di
prescrizione della domanda).

229
Ratio: Perché il codice pone un divieto di convalida del contratto rescindibile?
Dato che la rescissione è posta a tutela dell’equilibrio tra le prestazioni contrattuale, la convalida del contratto
rescindibile NON farebbe venire meno lo squilibrio tra le prestazioni. Ecco perché sarebbe insensata una
convalida perché il contratto resterebbe squilibrato.
Escamotage della giurisprudenza: Tuttavia, è accaduto che di fatto la giurisprudenza ha finito di fatto per aggirare il
divieto di convalida del contratto rescindibile. E in che modo?
La giurisprudenza ammette che le parti sono libere di porre fine alla (pendente o in
fieri) controversia sulla rescissione stipulando un contratto di transazione: col
contratto di transazione:
- NON c’è una rinuncia pura e semplice all’azione di rescissione (cosa che NON sarebbe
possibile)
- ma c’è una rinuncia all’azione di rescissione contro un corrispettivo
Il contratto di transazione è un accordo con cui le parti compongono la lite attraverso
reciproche concessioni. Nel caso che ci interessa – e cioè nell’ipotesi in cui il contratto
sia rescindibile – attraverso il contratto di transazione la parte (che avrebbe diritto
all’azione di rescissione) di fatto rinuncia ad esercitare l’azione di rescissione contro
un corrispettivo.
Secondo la giurisprudenza ciò è ammissibile perché:
- il divieto di convalida del contratto rescindibile prevede che è inammissibile la rinuncia
pura e semplice all’azione di rescissione
- invece col contratto di transazione:
- NON c’è una rinuncia pura e semplice all’azione di rescissione
- ma è una rinuncia all’azione di rescissione contro un corrispettivo.
Quindi nei fatti cosa è successo? Che la giurisprudenza ha aggirato il divieto di convalida
del contratto rescindibile perché ritiene ammissibile il contratto di transazione come
strumento che indirettamente comporta comunque una sorta di convalida del contratto
rescindibile.

OFFERTA DI MODIFICAZIONE del contratto rescindibile (la riduzione ad


equità)
Fonte: Art. 1450 cc
Analogia: L’offerta di modificazione del contratto rescindibile (riduzione ad equità) è un potere di rettifica analogo alla
rettifica in caso di contratto annullabile per errore.
Si tratta di una tecnica per salvare (= conservare) il contratto rescindibile.
Ratio: La ratio è la stessa della rettifica: il principio di conservazione del contratto, il favor contractus, e quindi
permettere alla parte avvantaggiata dalla sproporzione tra le prestazioni di salvare il contratto dalle
conseguenze estintive generate dall’eventuale sentenza di accoglimento della domanda di rescissione.
Nozione: Se la parte che ha concluso il contratto in stato di bisogno o di pericolo ha proposto domanda di rescissione,
la controparte può evitare l’accoglimento della domanda di rescissione offrendo una modificazione del
contratto tale da ricondurlo ad equità, cioè da mettere in equilibrio l’assetto contrattuale.
L’esercizio di questo potere estingue il diritto del contraente leso alla rescissione del contratto.
Es. io sono in difficoltà economica (stato di bisogno), vendo per 499 un bene che vale 1000: qui c’è una
lesione ultra dimidium, perciò il contratto è rescindibile. La controparte, a cui era noto il mio stato di
bisogno, è consapevole che il contratto è rescindibile e allora può “paralizzare” una mia eventuale
domanda di rescissione (cioè evitare che io chieda la rescissione) offrendomi una modificazione del
contratto rescindibile al fine di ricondurlo ad equità, e quindi ad es. offre di pagare una somma di denaro
sufficiente per ricondurlo ad equità, quindi per rimettere in equilibrio l’assetto contrattuale.
Legittimazione: L’iniziativa dell’offerta di modificazione del contratto rescindibile spetta:
- NON alla parte lesa che ha stipulato in stato di pericolo o bisogno
- ma alla controparte.
Effetti della rettifica: Con l’offerta di modificazione:
1) si modifica il contenuto del contratto in modo da ricondurre ad equità
2) la parte lesa NON potrà più esercitare l’azione di rescissione: infatti, con l’offerta di
modificazione del contratto
rescindibile si estingue il diritto della
parte lesa alla rescissione del
contratto.

230
Problema: Il problema è che la formulazione del legislatore all’art. 1450 cc non è molto chiara. Che significa infatti
“offrire una modificazione sufficiente per ricondurlo ad equità”?
- opinione maggioritaria: secondo l’opinione maggioritaria, per ricondurre ad equità il contratto
è sufficiente che il contraente offra di modificare il contratto basandosi sul
contenuto del contratto che la controparte avrebbe concluso se non si
fosse trovato in stato di bisogno/pericolo.
Es. se il bene aveva un valore di 1.000 € ma tu me lo hai venduto a 300 €
perché eri in stato di bisogno, allora io mi offro di pagarti gli altri 700 €,
così arriviamo a 1000 € che era il prezzo al quale tu avresti venduto il
bene se non ti fossi trovato in stato di bisogno.
- altra tesi: secondo altri, per ricondurre ad equità il contratto è sufficiente che lo squilibrio tra le
prestazioni vada al di sotto dell’ultra dimidium.
Es. se il bene aveva un valore di 1.000 € ma tu me lo hai venduto a 300 € perché eri in
stato di bisogno allora io mi offro di pagarti altri 201 €, in modo che arriviamo a 501 €
e quindi non c’è più la lesione ultra dimidium (rapporto 1:2).
Modalità: L’offerta di modificazione del contratto può essere:
- giudiziale: durante il giudizio, la parte può manifestare al giudice la volontà di modificare il contratto in
modo da ricondurlo ad equità, chiedendo al giudice di determinare il rapporto tra le due
prestazioni di modo che sia equo il contratto.
- stragiudiziale: quando questa volontà di modificare il contratto viene manifestata fuori dal giudizio.
Natura giuridica: La riduzione ad equità consiste in una proposta di modificazione. A livello giuridico si tratta di un
negozio:
- unilaterale
- recettizio
analogamente a quanto avviene in caso di rettifica in caso di annullabilità.
NO accettazione: Analogamente alla rettifica del contratto annullabile per errore, anche per l’offerta
di modificazione del contratto rescindibile NON è richiesta l’accettazione della riduzione
ad equità da parte del contraente leso. Infatti, così come la rettifica, la riduzione ad equità
è un negozio recettizio, per cui è efficace non appena giunge nella sfera di conoscibilità del
contraente leso.
Contestazione del contenuto modificato: Analogamente alla rettifica del contratto annullabile per errore, anche per
l’offerta di modificazione del contratto rescindibile è possibile che la
parte lesa (che si vede arrivare l’offerta di modificazione) contesti la
congruità della modifica offerta.
Sarà allora il giudice a dover decidere sulla fondatezza della contestazione:
il giudice deve limitarsi ad accertare la sufficienza della modifica a riportare
il contratto ad equità.

231
CAP .17

SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO


(MUTUO DISSENSO – RECESSO – RISOLUZIONE)
L’art. 1372, rubricato “Efficacia del contratto”, afferma: “Il contratto ha forza di legge tra le parti.
Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge”.
Il contratto vincola le parti al rispetto delle regole consacrate nel regolamento negoziale: il principio è espresso
dall’art. 1372 secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti che lo hanno concluso.
TUTTAVIA, eccezionalmente il vincolo può essere sciolto.
Le ipotesi di scioglimento del contratto può derivare: - dal mutuo dissenso
- dall’esercizio del recesso
- dalla risoluzione.
Le ipotesi di scioglimento del contratto:
- NON incidono sulla validità del contratto: il contratto è valido ed efficace
- ma incidono sul rapporto contrattuale: il contratto è valido ed efficace, ma per volontà delle parti o per il
sopraggiungere di un evento, si scioglie il rapporto contrattuale.

A) IL MUTUO DISSENSO (l’accordo risolutorio)


La prima ipotesi di scioglimento del contratto è rappresentata dal mutuo dissenso, conosciuto come accordo
risolutorio.
Nozione: Il mutuo dissenso è un atto di risoluzione consensuale, cioè un accordo con cui le parti decidono di risolvere
un contratto precedentemente stipulato tra loro, sciogliendosi (estinguendo) dal rapporto contrattuale
che era sorto da tale contratto.
Con l’accordo risolutorio, le parti eliminano gli effetti contrattuale con efficacia retroattiva, quindi
comporta il ripristino della situazione giuridica anteriore alla stipula del contratto inter partes.
Ratio: Il mutuo dissenso rientra nella libertà contrattuale delle parti: i consociati, così come sono liberi di decidere se
stipulare un contratto, sono anche liberi di sciogliersi dal rapporto contrattuale.
Efficacia estintiva retroattiva: L’accordo risolutorio ha chiaramente una efficacia estintiva retroattiva, ripristinando la
situazione anteriore al contratto risolto. Infatti, tale efficacia retroattiva comporta la
restituzione anche degli effetti reali già eseguiti.
Forma: Particolarmente dibattuto è sempre stato il tema della forma dell’accordo risolutorio, sia in dottrina che in
giurisprudenza. Il codice NON dice nulla su quale debba essere la forma dell’accordo risolutorio: deve avere
necessariamente la stessa forma del contratto inter partes su cui incide oppure è un atto a forma libera?
Qui ci sono diverse tesi:
- il codice tace sulla questione della forma
- dottrina: per chi ritiene che il mutuo dissenso sia un actus contrarius, argomentando dal principio di
simmetria delle forme, allora l’accordo risolutorio deve necessariamente avere una forma identica
a quella dell’atto presupposto, cioè il contratto da risolvere.
- dottrina: per chi invece ritiene che il mutuo dissenso sia un contratto autonomo, avente una sua causa
propria (risolvere il precedente contratto) e che quindi non partecipa di quella del contratto
principale da risolvere, allora deve ritenersi che viga la libertà delle forme, quindi l’accordo
risolutorio non debba rispettare alcun formalismo.
- Calvo: Calvo prende atto che in giurisprudenza e in dottrina la questione della forma continua ad essere
molto dibattuta. Però, secondo Calvo, ci sono delle ipotesi in cui è più probabile ritenere che
l’accordo risolutorio debba rivestire la stessa forma rivestita dal contratto inter partes da risolvere,
quali:
- in caso di un contratto avente ad oggetto
diritti immobiliari redatto per iscritto, allora l’accordo risolutorio deve essere redatto per
iscritto anch’esso, perché non può sfuggire alla forma
richiesta per la fattispecie che si intende risolvere.
- in caso di contratto preliminare
di vendita immobiliare, è possibile dire: considerando che l’art. 1351 cc pone la regola della
simmetria formale tra contratto preliminare e contratto
definitivo, allora Calvo dice: ci deve essere simmetria
anche tra contratto preliminare e l’eventuale accordo
risolutorio di esso.

232
L’accordo modificativo
DIVERSO dall’accordo risolutorio è invece l’accordo modificativo. Perché?
- accordo risolutorio (mutuo dissenso): mira a risolvere il contratto inter partes
- accordo modificativo: le parti che hanno stipulato un contratto, se successivamente alla stipula intendono
modificare una o più pattuizioni contrattuali, possono siglare un accordo modificativo.
Es. in un contratto di compravendita era inizialmente pattuito che il prezzo doveva
essere pagato in 5 rate semestrali mentre ora ci accordiamo in senso modificativo
stabilendo che verrà pagato in 5 rate annuali.
Forma: Anche per l’accordo modificativo si pone il problema della forma.
Calvo ritiene si debba fare un distinguo a seconda di quali elementi vengono incisi dall’accordo modificativo:
- se l’accordo modificativo incide
su elementi essenziali: allora ci DEVE essere simmetria formale tra il contratto e l’accordo
modificativo.
Quindi ad es. se il contratto inter partes è stato redatto per iscritto,
le clausole modificative degli elementi strutturali di
un contratto redatto per iscritto, ove non siano state
redatte per iscritto, sono senz’altro nulle.
- se l’accordo modificativo incide
su elementi non essenziali: se l’accordo modificativo incide su elementi non essenziali (cd.
accessori o accidentali), ad es. le modalità di pagamento del
prezzo, allora dice Calvo:
- di massima NON sussiste alcun onere formale
- però, è anche vero che se l’accordo modificativo avviene
oralmente, si potrebbe porre un delicato problema
probatorio perché sappiamo che l’art. 2723 cc pone dei
limiti alla prova per testimoni di patti posteriori alla
formazione del documento scritto.
Per questo, in sede giudiziale dinanzi al giudice, colui il
quale voglia fornire la prova che, dopo la stipula del
contratto, c’è stato un accordo modificativo orale delle
pattuizioni contrattuale, si troverebbe in grossa difficoltà
probatoria a fornire la prova che ci sono state delle
modifiche orali al contenuto del contratto.
La rinuncia abdicativa ad un diritto disponibile
Nozione: Per rinuncia abdicativa si intende un atto unilaterale (e NON un contratto) con cui una parte
unilateralmente rinuncia ad un diritto disponibile che gli era stato trasferito per effetto di un contratto.
In quanto atto unilaterale, la rinuncia è una facoltà insita nella titolarità di ciascun diritto e che
possono essere oggetto di rinuncia tutti i diritti “disponibili”.
NO codice: La rinuncia abdicativa NON è prevista dal codice.

B) IL RECESSO
La seconda ipotesi di scioglimento del contratto è rappresentata dall’esercizio del diritto di recesso.
IN LINEA GENERALE, un contratto NON può essere sciolto unilateralmente da una parte: infatti, dopo la conclusione
di un contratto, è consentito esclusivamente il mutuo dissenso (e cioè lo scioglimento su accordo di
entrambe le parti), mentre la revoca unilaterale del consenso non è consentita dal principio di
vincolatività del contratto, in virtù del quale il contratto ha forza di legge tra le parti.
TUTTAVIA, in casi eccezionali, il codice consente alle parti di recedere unilateralmente dal contratto.
Fonte: Art. 1373 cc
Nozione: Il recesso è l’atto unilaterale con cui una parte esercita il diritto protestativo di sciogliere il rapporto
contrattuale accordatogli o da una clausola contrattuale o dalla legge.
Il diritto di recesso è una facoltà che DEVE essere specificamente prevista o dalle parti o dalle legge, infatti
NON può essere esercitata sempre, ma può essere esercitata SOLO SE:
- potere di recesso volontario (convenzionale): quando le parti inseriscono nel contratto una clausola
con cui prevedono il diritto di recesso a favore di una
delle parti
- potere di recesso legale: quando è la legge a garantire il diritto potestativo di recesso ad una
delle parti.

233
Efficacia NON retroattiva: Il recesso NON ha una efficacia retroattiva ma ha una efficacia ex nunc, infatti scioglie il
rapporto contrattuale:
- NON dal momento della stipula del contratto
- ma dal momento in cui viene esercitato il recesso, quindi restano ferme le prestazioni
già eseguite.
Natura giuridica: Il recesso è un diritto potestativo che ha le seguenti caratteristiche:
- atto negoziale
- unilaterale: in quanto esige la volontà di una parte sola
- recettizio: il recesso produce i suoi effetti nel momento in cui entra nella sfera di conoscibilità della
controparte
- estintivo: il recesso è un negozio estintivo perché fa cessare gli effetti del rapporto.
Forma: Il recesso DEVE rivestire la stessa forma utilizzata per il contratto da cui si recede.
Regole per il recesso: L’art. 1373 cc detta tre regole diverse per il recesso, a seconda delle situazioni:
- comma 1: per i contratti istantanei ad esecuzione immediata, la facoltà di recesso può essere
esercitata FINO A CHE il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
Perché? Perché se il contratto ha già ricevuto una seppur minima esecuzione,
non sarebbe conforme a buona fede sacrificare l'interesse della parte non
recedente.
- comma 2: per i contratti di durata a esecuzione continuata o periodica, la facoltà di recesso:
- può essere esercitata anche dopo l’esecuzione del contratto
- però il recesso NON ha effetto per: - per le prestazioni già eseguite
- per le prestazioni in corso di esecuzione.
Perché? Questo comma 2 risponde all'idea secondo cui nei contratti di durata
deve essere consentito ad una parte di interrompere il vincolo, in quanto
nessun vincolo obbligatorio può durare in eterno. Però, in tal caso le
prestazioni eseguite sono salve in quanto ciascuna di esse è autonoma.
- comma 3: il comma 3 disciplina la cd. multa penitenziale: il recesso può essere subordinato al
pagamento di un corrispettivo di denaro.
Se il recesso è stato pattuito contro un corrispettivo, il recesso produce il suo effetto
SOLO quando il corrispettivo promesso sarà concretamente versato.
- comma 4: “È salvo in ogni caso il patto contrario”. Che significa?
Quest’ultimo comma dell'art. 1373 permette alle parti di derogare alle disposizioni sopra
espresse. Per es. le parti possono pattuire che il recesso contro corrispettivo sia
efficace anche prima che tale prestazione sia eseguita.
Termine? Per il recesso, ove ammissibile, è previsto un termine entro il quale può essere esercitato o a partire dal
quale può essere esercitato, oppure no?
- se le parti o la legge hanno stabilito un termine per l’esercizio del diritto di recesso, allora si rispettano
queste indicazioni
- in assenza di indicazioni delle parti o della legge, il codice NON stabilisce ex ante nessun dies ad quem
- Calvo: è vero che il codice non predetermina alcuna limitazione temporale, tuttavia il diritto di recesso
deve essere compatibile con la buona fede e la correttezza. E infatti, Calvo ritiene che si possa
immaginare che venga dichiarata la nullità dell’atto di recesso ove sia ormai trascorso un periodo
di tempo tale da far ritenere definitivamente raggiunta ex fide bona la consolidazione degli
effetti contrattuali prodotti con l’esecuzione del vincolo.
Preavviso: Per evitare che il recesso possa cogliere alla sprovvista l’altro stipulante, la legge o le parti possono
condizionare l’efficacia del recesso all’intimazione del preavviso, cioè POSSONO fissare un termine
minimo di preavviso del recesso.
Ciò sarebbe applicazione del principio di buona fede o correttezza.
Dopo aver dato il preavviso, il rapporto contrattuale continua a dispiegare i propri effetti. Tuttavia,
la sussistenza di una giusta causa (cioè di un evento di tale rilevanza
da non permettere la prosecuzione del rapporto) legittima in ogni
caso il recesso in tronco.
Il recesso di fonte legale: Abbiamo detto che il diritto di recesso può essere:
- volontario: quando ha la sua fonte nell’accordo delle parti
- legale: quando ha la sua fonte nella legge.
Il legislatore prevede il diritto di recesso in una serie di ipotesi aventi ad oggetto rapporti
giuridici che sono caratterizzati da uno squilibrio tra le forze contraenti.

234
I settori principali dove la legge prevede il diritto di recesso sono:
- il Codice del consumo: in una serie di ipotesi prevede il diritto di recesso del consumatore come
ius penitendi (pentimento). In particolare ci sono in due categorie di
contratti tra professionisti e consumatori:
- i contratti stipulati al di fuori dai locali commerciali
- i contratti a distanza
qui si attribuisce al consumatore il cd. diritto di recesso per ripensamento
o ius poenitendi.
Essendo previsto dalla legge, l’esercizio del diritto di recesso in questi casi
NON integra MAI gli estremi dell’illecito precontrattuale a carico del
consumatore perché non c’è nessuna scorrettezza compiuta.
Ratio: Perché in questi due casi la legge prevede il diritto di recesso per il
consumatore?
Perché si ritiene che in questi casi il consumatore possa aver stipulato il
contratto senza avere valutato bene la convenienza del contratto
stesso o sotto pressione psicologica/emotiva esercitata dal proponente.
Si parla del cd. effetto sorpresa per il contraente debole.
Es. normalmente io vado a comprare un bene recandomi nel negozio e
quindi avendo deliberatamente deciso di procedere in tal senso.
Invece, nel caso delle vendite fuori dai locali commerciali (es. mi
bussano alla porta e mi vogliono vendere una batteria di pentole),
io vengo preso a sorpresa in un momento in cui io non pensavo di
stipulare un contratto.
- D. Lgs. 21/2014: il D. Lgs. 21/2014 ha introdotto il cd. recesso ad nutum per il consumatore.
In alcuni casi è previsto che il diritto di recesso (ad nutum) può essere esercitato
dal consumatore SENZA dover fornire alcuna motivazione e SENZA oneri
economici entro un termine prestabilito nel contratto (di regola 14 giorni).
- i contratti a tempo indeterminato: un altro settore del recesso di fonte legale sono i contratti a
tempo indeterminato. Il nostro legislatore ritiene che il
vincolo contrattuale non possa avere un carattere
indeterminato, quindi ove il contratto fosse a tempo
indeterminato, sembra giusto al nostro legislatore consentire
il recesso.
In alcuni casi il legislatore lo dice esplicitamente, come ad es.
per i contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Ma anche laddove la disciplina non lo preveda
espressamente, la giurisprudenza riconosce che il recesso
sia sempre consentito per i contratti a tempo
indeterminato. Es. i contratti di somministrazione (luce,
gas) laddove siano a tempo indeterminato.
Multa penitenziale, caparra penitenziale, clausola penale
L’art. 1373 comma 3 stabilisce che le parti sono libere di prevedere un corrispettivo per l’esercizio del diritto di
recesso. A fronte dell'esercizio del diritto di recesso, il corrispettivo può consistere in una somma di denaro o cose
fungibili che va versato dal titolare del diritto di recesso all’altro contraente:
- o nel momento in cui viene concretamente esercitato il diritto di recesso (cd. multa penitenziale)
- o in via anticipata al momento della stipula del contratto (cd. caparra penitenziale).
Multa penitenziale
Fonte: Art. 1373 comma 3
Nozione: La multa penitenziale è una clausola accessoria che le parti possono inserire nel contratto e con cui
pattuiscono che la parte titolare del diritto di recesso si obbliga a versare un determinato corrispettivo
SE e QUANDO eserciterà il diritto di recesso.
Il recesso produrrà i suoi effetti SOLO nel momento in cui il recedente verserà tale somma alla controparte.
Caparra penitenziale
Fonte: Art. 1386
Nozione: La caparra penitenziale è quel patto (alcuni dicono sia un contratto, altri dicono sia una clausola accessoria)
con cui le parti stabiliscono che la parte titolare del diritto di recesso già al momento della stipula del
contratto versa una somma di denaro o una certa quantità di beni fungibili alla controparte come
corrispettivo del recesso (caparra).

235
Poi, dopo la stipula del contratto, durante lo svolgimento del rapporto contrattuale, i possibili scenari sono:
a) se la parte concretamente eserciterà il diritto di recesso, allora perderà la caparra che aveva versato
b) se invece la parte non eserciterà il diritto di recesso, allora la caparra versata:
- o gli sarà restituita
- o gli sarà imputata alla prestazione dovuta
c) se invece a recedere sarà la controparte (cioè quella che non aveva versato la caparra),
allora tale controparte recedente avrà l’obbligo di restituire
il doppio della caparra che aveva ricevuto dall’altro
stipulante al momento della stipula del contratto.
ATTENZIONE: Qui abbiamo fatto l’esempio della caparra penitenziale che dà il diritto di recesso soltanto
ad una delle due parti, ma comunque teniamo presente che le parti con la caparra penitenziale
possono anche pattuire il diritto di recesso bilaterale.
Natura giuridica: Sulla natura giuridica della caparra penitenziale c’è discussione:
- alcuni ritengono sia una clausola accessoria del contratto
- altri dicono sia un contratto reale: perché? Perché nella caparra penitenziale abbiamo una
vicenda tipica dei contratti reali, cioè l'accordo di caparra si
perfeziona con la dazione della somma di denaro o di beni
fungibili.
Caparra confirmatoria: Dalla caparra penitenziale si distingue la caparra confirmatoria perché la caparra
confirmatoria: - NON riguarda l’ambito del diritto di recesso
- ma riguarda l’area dell’inadempimento.
Fonte: Art. 1385
Nozione: La caparra confirmatoria è espressione di una prassi antica, consistente nel consegnare un
bene a dimostrazione della serietà dell'impegno assunto.
Anche la caparra confirmatoria consiste nella dazione di una somma di denaro o di cose
fungibili al momento della stipula del contratto, però qui la caparra ha lo scopo di
rafforzare la serietà del vincolo contrattuale.
Durante il rapporto contrattuale:
a) in caso di adempimento  se la parte che ha dato la caparra è adempiente, allora la
caparra versata: - o gli sarà restituita
- o gli sarà imputata alla prestazione
dovuta
b) in caso di inadempimento  la disciplina è diversa a seconda di quale parte sia
inadempiente:
A) se inadempiente è la parte che ha dato la caparra,
allora la controparte:
1) può recedere dal contratto
2) + può trattenere la caparra
B) se inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra,
la controparte (quella che aveva dato caparra) può:
a) può recedere dal contratto + esigere il doppio
della caparra
versata
b) o, se preferisce, può agire in giudizio per
chiedere:
- o l’adempimento della prestazione della
controparte
- o la risoluzione giudiziale del contratto.
ATTENZIONE: NON bisogna confondere la caparra col mero acconto: l’acconto è
semplicemente la parte iniziale del prezzo da pagare.
Esempio: Tizio prenota una camera di albergo e l’albergatore gli chiede 100 euro di caparra perché
non vuole rischiare di avere la camera vuota. Tizio versa questi 100 euro a titolo di caparra.
Ora, vediamo le diverse situazioni:
a) se Tizio nel giorno stabilito si presenta in albergo e trova la camera libera, allora
l’albergatore: - o restituisce la caparra a Tizio
- o gliela scomputa dalla prezzo della camera
b) se Tizio nel giorno stabilito non si presenta in albergo, allora l’albergatore recede dal
contratto e trattiene la caparra.

236
c) se Tizio nel giorno stabilito si presenta in albergo ma non trova nessuna camera libera
perché l’albergatore ha tutte le camere occupate, allora è l’albergatore ad
essere inadempiente, quindi Tizio può:
- o recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra versata
- o agire in giudizio e chiedere:
- o l’adempimento della prestazione
- o la risoluzione del contratto.
Chiaramente in questo caso, recedere ed esigere il doppio della caparra è
un meccanismo più praticabile piuttosto che aprire un processo per
chiedere l’esecuzione del contratto o la risoluzione giudiziale dello stesso.
Non sarebbe molto ragionevole mettersi ad instaurare un processo, perciò
vediamo che qui la caparra confirmatoria ha sì una funzione di
rafforzamento del vincolo contrattuale, ma ha anche una funzione punitiva
(sanzionatoria) che può soddisfare immediatamente il contraente
adempiente.
Funzioni: Le funzioni della caparra confirmatoria sono molteplici:
- scopo confirmatorio: ha la funzione di confermare la serietà delle parti
- funzione di liquidazione: svolge anche una funzione di liquidazione preventiva in caso di
inadempimento. Difatti, se la parte che ha versato la caparra
risulta poi inadempiente, la controparte può recedere
trattenendo la caparra.
Però attenzione: proprio perché ha una funzione di liquidazione,
la parte recedente si DEVE ACCONTENTARE di trattenere la
somma predeterminata della caparra, quindi NON può chiedere
la rifusione di ulteriori perdite patrimoniali, neppure sottoforma
di rivalutazione monetaria della caparra.
- funzione sanzionatoria (punitiva): Calvo poi parla anche della funzione punitiva, perché
con la caparra confirmatori è come se le parti
congegnassero una sanzione da addossare all’eventuale
parte inadempiente. In questo modo, lo stipulante
virtuoso dispone di un’arma a doppio taglio, che gli
consente:
- sia di sciogliersi dal vincolo contrattuale senza
dover attendere il provvedimento
giudiziale
- sia di ottenere una liquidazione dei danni a forfait
(la caparra o il doppio della caparra).
Le azioni giudiziali: Abbiamo detto che se ad essere inadempiente è la parte che non aveva versato la
caparra, allora la parte che aveva versato la caparra al momento della stipula
del contratto ha diverse alternative:
a) o recede dal vincolo contrattuale + esige il doppio della caparra versata
b) o agisce in giudizio per chiedere l’adempimento della prestazione della
controparte
c) o agisce in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.
La domanda che si pone Calvo è: se tale parte ha agito in giudizio, nelle more del
processo può mutare domanda?
Calvo si interroga sui rapporti tra le domande, affermando:
- risoluzione e recesso: se la parte ha proposto azione di risoluzione,
NON può poi esercitare il diritto di recesso perché sono
due azioni che si pongono in un rapporto di
incompatibilità.
- adempimento e recesso: se invece la parte ha proposto azione di condanna
all’adempimento della prestazione della controparte,
PUÒ mutare la domanda esercitando il diritto
potestativo implicante l’estinzione ipso iure del
contratto.

237
Clausola penale
Fonte: Art. 1382 cc
Nozione: La clausola penale è una clausola accessoria che le parti possono inserire nel contratto con cui stabiliscono
in via preventiva che in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento di una parte, tale parte
inadempiente (debitore) dovrà effettuare una prestazione o versare una somma di denaro forfettaria (cioè
prestabilita in misura fissa dalle parti) a favore della controparte virtuosa (creditore).
ATTENZIONE: parleremo di creditore e debitore, ma ovviamente NON nel senso che uno è creditore
di una somma rispetto al debitore, ma nel senso che:
- creditore: è la parte virtuosa del contratto
- debitore: è la parte inadempiente o che ritarda l’adempimento
Es. in un contratto di appalto per la costruzione di un’opera, i contraenti possono pattuire una clausola
penale con cui prevedono che la ditta appaltatrice Alfa dovrà versare 100 euro per ogni giorno di ritardo
nella consegna dell’opera finita.
Oggetto: L’art. 1382 dice “uno dei contraenti è tenuto ad una determinata prestazione”, quindi parla di “prestazione”
dovuta a titolo di penale.
È vero che l’ipotesi più frequente è quella in cui l’oggetto della clausola penale sia il pagamento di una
somma di denaro, si ritiene che oggetto della clausola penale possa essere qualsiasi prestazione di fare e di
non fare.
Funzione: La clausola penale è una clausola che ha diverse funzioni La clausola penale ha la funzione:
- funzione di liquidazione: svolge una funzione di indennizzo preventivo per l’eventuale
inadempimento o ritardo di adempimento, esonerando la parte virtuosa
(creditore) dal provare il danno e il suo ammontare.
- rafforza le possibilità di adempimento: la clausola penale incentiva l'adempimento della parte
perché conosce sin dall'inizio l'entità della prestazione cui
sono tenute in caso di inadempimento o di ritardo
nell’adempimento. Laddove la parte sia inadempiente o
ritardi nell’adempimento, è chiaro che la clausola penale ha
la funzione di vera e propria sanzione afflittiva di pena
privata.
Calvo: Calvo afferma che la clausola penale è considerata il
prototipo delle cd. pene private perché l'ammontare della
penale è tale da indurre la parte ad eseguire esattamente
e tempestivamente la prestazione principale dovuta
perché sa che, in mancanza, incorre nella prestazione
(secondaria) della penale.
- limita le pretese della parte virtuosa: la clausola penale ha anche un’altra funzione: limita il
risarcimento alla prestazione oggetto della clausola,
A MENO CHE le parti non abbiano espressamente pattuito
diversamente.
Quindi, la parte virtuosa (creditore) NON può pretendere il
risarcimento in misura superiore rispetto a quanto pattuito nella
clausola penale, A MENO CHE non abbiano esplicitamente
pattuito che possa farlo: le parti possono pattuire la risarcibilità
del danno ulteriore, per assicurare che il risarcimento conseguito
sia effettivamente corrispondente al danno subito.
Esonero dalla prova del danno: Il vantaggio della clausola penale, come detto, è che la prestazione oggetto della
penale è dovuta A PRESCINDERE dalla prova del danno. Quindi, dinanzi
all’inadempimento o al ritardo nell’adempimento della parte, la controparte virtuosa
(creditore):
- è vero che NON può pretendere più di quanto previsto nella clausola, a meno
che le parti non abbiano pattuito un’apposita clausola di
risarcibilità del danno ulteriore
- ma è pur vero che il creditore è esonerato dalla prova del danno, cioè avrà diritto
alla prestazione oggetto della clausola penale
INDIPENDENTEMENTE dall’aver subito una lesione
effettiva o meno, perché è esonerato dalla prova di aver
subito il danno e il suo ammontare.

238
Quindi, in definitiva, possiamo dire che la clausola penale è una valutazione forfettaria
effettuata dalle parti che:
- NON consente una liquidazione superiore (a meno che le parti non lo abbiano
espressamente pattuito)
- NON consente nemmeno una liquidazione inferiore.
NO costituzione in mora: Una questione che è sorta, in dottrina e giurisprudenza, è se per chiedere la penale occorra
la costituzione in mora del debitore. La dottrina maggioritaria afferma: proprio perché la
parte virtuosa (creditore) ha diritto ad ottenere la prestazione della penale a prescindere
dalla lesione effettiva subita, a maggior ragione NON è necessaria nemmeno la costituzione
in mora, in quanto la prestazione della penale è dovuta per effetto dell’inadempimento o del
ritardo nell’adempimento.
Rapporto tra azione di adempimento e penale: Ai sensi dell’art. 1383, il creditore NON può domandare insieme la
prestazione principale e la prestazione della clausola penale, se questa
non è stata convenuta per il semplice ritardo.
Quindi, dobbiamo distinguere due ipotesi:
a) se la clausola penale è stata prevista
per l'inadempimento del debitore  allora, in caso di inadempimento del debitore,
il creditore NON può chiedere la prestazione
principale e la penale, ma deve optare per l’una
o per l’altra via.
Qui è previsto infatti il DIVIETO DI CUMULO.
b) se la clausola penale è stata prevista
per il ritardo nell’adempimento  allora, in caso di ritardo nell’adempimento del
debitore, il creditore può chiedere sia la
prestazione principale sia la penale.
In ogni caso, la richiesta della penale, poi, non esclude che il creditore possa chiedere la
risoluzione del contratto.
Clausola penale eccessivamente onerosa: C'è il rischio che la penale si possa trasformare in uno strumento iniquo
a danno del debitore. Infatti c’è il rischio che l’oggetto della penale risulti
“manifestamente eccessivo”. In questo caso, può intervenire il giudice e
ridurla a equità.
Infatti, l’art. 1384 afferma che la penale può essere diminuita equamente dal giudice
in due casi:
- se l'ammontare della penale risulta ab initio manifestamente eccessivo
- o se l'obbligazione principale è già stata eseguita parzialmente.
Es. il committente doveva consegnare un palazzo di 4 piano entro
il 30 gennaio ma al 30 gennaio mi consegna un palazzo di
3 piani mentre il 4° piano è ancora in lavorazione. Questo è un
adempimento parziale, ma sicuramente l’adempimento di
buona parte della prestazione può indurre il giudice a ridurre
equitativamente l'ammontare della penale. Perché? Perchè
sembrerebbe iniquo al giudice che, consegnati regolarmente
3 piani del palazzo, la mancanza dell'ultimo piano che non è
stato ancora ultimato comporti per l'appaltatore il pagamento
di una penale dello stesso ammontare dell'ipotesi in cui
l'appaltatore, nella data convenuta, non avesse consegnato
niente.
Intervento equitativo: Quali sono gli elementi che il giudice deve prendere in considerazione per
ridurre equitativamente la penale eccessivamente onerosa?
Il giudice dovrà considerare:
- la posizione economica delle parti
- la situazione maturata al momento della stipula del contratto,
considerando l’interesse che spinse il creditore a
prevedere la clausola penale
- il grado della colpa del debitore
- l’affidamento riposto dal creditore sull’altra parte.

239
La riducibilità d’ufficio: Calvo sulla “clausola penale sovrabbondante” riporta il complesso dibattito
sul punto: il giudice ha il potere di ridurre d’ufficio la penale senza che ci sia
stata un’apposita domanda di parte?
La questione non trova risposta unanime:
- dottrina e giurisprudenza: inizialmente affermavano: dal silenzio serbato dal
codice non si può desumere che il giudice potesse
pronunciarsi d’ufficio sulla riduzione a equità.
Tale tesi aveva come sottofondo il dogma della volontà,
nel senso che essendo la clausola penale stabilita per
accordo dalle parti, la conseguenza era che il giudice
non poteva intervenire su di essa.
- Cassazione: oggi l’opinione è mutata. Oggi in Cassazione tende a prevalere la
convinzione secondo cui la riduzione della clausola penale possa
avvenire ex officio senza un’apposita domanda di parte.
L’intervento del giudice contribuisce a realizzare un interesse oggettivo
dell’ordinamento, cioè quello di proteggere il contraente debole, in
conformità con il dovere di solidarietà imposto dalla Costituzione
all’art. 2.
Clausola penale simbolica: La clausola penale simbolica è un problema opposto alla clausola penale eccessivamente
onerosa. Qui il problema è che la clausola penale è manifestamente esigua, irrisoria,
perciò si parla di clausola penale simbolica.
Es. nel contratto di appalto Tizio e Caio stabiliscono che per ogni giorno di ritardo nella
consegna dell'opera appaltata, l’appaltatore Caio sarà tenuto a pagare 0,10 € al giorno.
Che cosa succede in caso di clausola penale simbolica? Perché le parti dovrebbero
prevedere una clausola penale del genere?
Le parti potrebbero prevedere una clausola penale simbolica per perseguire una finalità
elusiva e maliziosa, nel senso che la clausola penale simbolica si traduce in un esonero della
responsabilità per i casi di dolo e colpa grave del debitore inadempiente.
E come è possibile una cosa del genere?
Perché abbiamo visto che con la clausola penale si limita il quantum dovuto, nel senso
che la parte virtuosa NON può pretendere più di quanto previsto nella clausola, a meno che
le parti non abbiano pattuito un’apposita clausola di del danno ulteriore.
Quindi, nell’esempio, se abbiamo pattuito 0,10 € di penale per ogni giorno di
ritardo, io poi non posso chiedere 0,11 €, ma soprattutto si elude la responsabilità
per i casi di dolo o colpa grave del debitore.
• Come si evita tale fenomeno?
Una prima risposta a tale problema la fornisce già l’art. 1229 cc che afferma:
è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore
per dolo o per colpa grave.
Quindi, già da qua possiamo derivare che la clausola penale simbolica è INEFFICACE
ogniqualvolta l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento del debitore siano
imputabili a questo a titolo di dolo o di colpa grave, e quindi in tal caso il creditore ha
diritto al risarcimento pieno.
Conseguenza: Se è vero che attraverso l’art. 1229 cc si riesce a rendere inefficace
la clausola penale simbolica laddove la condotta del debitore sia stata a
titolo di dolo o colpa grave, allora comunque dobbiamo concludere che
la clausola penale simbolica è consentita per le ipotesi di colpa lieve:
se viene pattuita una clausola penale simbolica e l’inadempimento o il
ritardo nell’adempimento da parte del debitore si è verificato per colpa
lieve di questo, allora la clausola penale simbolica resta efficace.
Colpa del debitore: Un ultimo problema che si pone per l’istituto della clausola penale è quello della colpa del
debitore, nel senso che si discute se la clausola penale scatti soltanto in caso di inadempimento
imputabile a titolo di colpa oppure se è indifferente l’elemento soggettivo.
Secondo l’opinione prevalente, il debitore può non pagare la penale qualora riesca a dimostrare
che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento:
- o sia stato causato da eventi a lui non imputabili
- o risulti comunque giustificato dall’inadempimento della controparte.

240
C) LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
Terza ipotesi di scioglimento dal contratto si verifica in caso di risoluzione del contratto.
Quindi la risoluzione del contratto, assieme al mutuo dissenso e al recesso, rappresenta un’ipotesi di scioglimento del
contratto.
Nozione: La risoluzione è un modo di estinzione del rapporto contrattuale causato dal verificarsi di un evento
impeditivo del rapporto contrattuale.
La risoluzione è la disciplina dello scioglimento del contratto per vizi della fase funzionale: la risoluzione è
quel rimedio che comporta l’estinzione del contrato in conseguenza di una situazione patologica che ha
alterato il sinallagma funzionale che legava le due prestazioni contrattuali. Il contratto nasce perfetto, quindi
formalmente valido ed efficace, ma subisce delle vicende sopravvenute (inadempimento, impossibilità
sopravvenuta, eccessiva onerosità sopravvenuta) che incidono sul piano del cd. sinallagma funzionale.
Ambito di applicazione: La disciplina della risoluzione ha ad oggetto SOLO i contratti a prestazioni corrispettive
(cd. sinallagmatici).
Quindi di risoluzione se ne può parlare SOLO nei contratti a prestazioni corrispettive.
Perché? Se il contratto è a prestazioni corrispettive, ciascuna prestazione trova giustificazione
nell'altra prestazione, per cui il venir meno di una legittima la controparte a chiedere
la risoluzione, a meno che non preferisca insistere per l'adempimento.
NON interessa invece se il contratto sia a titolo oneroso o gratuito: infatti, ad es. anche nel
caso di donazione si può chiedere la risoluzione.
Differenza tra rescissione e risoluzione: La differenza è che:
- rescindibilità: quando abbiamo parlato della rescindibilità quale causa di invalidità
del contratto, abbiamo visto che questa mette sotto investigazione
il sinallagma genetico, cioè il rapporto tra le prestazioni contrattuali
nel momento in cui esse nascono.
Qui l’ordinamento colpisce lo squilibrio genetico tra prestazioni
contrattuali dovuto a stato di pericolo o di bisogno.
- risolubilità: questa mette sotto investigazione il sinallagma funzionale, cioè il
rapporto tra le prestazioni contrattuali nel momento della loro
esecuzione, quindi in un momento successivo alla sua nascita.
Qui l’ordinamento si focalizza su eventi che possono verificarsi
durante la vita del rapporto contrattuale e che comportano uno
squilibrio sopravvenuto (non genetico) delle prestazioni contrattuali.
Tipi: Il nostro legislatore ha previsto tre tipi diversi di risoluzione del contratto rispettivamente:
- per inadempimento.
- per impossibilità sopravvenuta
- per eccessiva onerosità sopravvenuta.
a) risoluzione per inadempimento
Fonte: Artt. 1453 – 1462 cc.
Nozione: La risoluzione per inadempimento è il rimedio previsto dall'ordinamento per i contratti con prestazioni
corrispettive che consente al creditore (inteso come parte contrattuale non inadempiente, chiamato anche
parte virtuosa o contraente fedele) di reagire all’inadempimento della controparte (definito come debitore):
con tale rimedio, il creditore ha il diritto di sciogliersi dal rapporto contrattuale.
NO invalidità: Dunque, la risoluzione del contratto per inadempimento guarda al momento patologico del contratto,
ma attenzione:
- NON patologico nel senso della invalidità del contratto, anzi il contratto è valido ed efficace
- ma patologico nel senso della mancata esecuzione di un’obbligazione assunta col contratto.
Ratio: Come si spiega la risolubilità per inadempimento?
Quando abbiamo parlato dei contratti a prestazioni corrispettive, cd. sinallagmatici, abbiamo visto che
tradizionalmente si ricostruiscono due sinallagmi (nessi di interdipendenza):
- sinallagma genetico: il sinallagma genetico è quel nesso di interdipendenza originario iniziale tra le
prestazioni, quindi con riferimento al momento della conclusione del contratto, quindi
della nascita del rapporto contrattuale (perciò genetico)
- sinallagma funzionale (dinamico): il sinallagma funzionale è la proiezione del sinallagma genetico nel corso
dell’esecuzione del contratto. Infatti, il sinallagma funzionale è quel nesso
di interdipendenza tra le prestazioni che:
- NON attiene al momento della nascita del rapporto
- ma attiene al tempo di svolgimento del rapporto contrattuale.

241
In virtù di tale nesso funzionale, laddove si presenti un evento patologico
che altera questo sinallagma funzionale, ad es. una parte resta
inadempiente, l’altra parte può:
a) o rifiutarsi di eseguire la propria prestazione (eccezione di
inadempimento)
b) o agire in giudizio per chiedere l’adempimento della prestazione
c) o agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto per
inadempimento.
Ambito di applicazione: Come detto, la risoluzione, anche quella per inadempimento, opera SOLO per i contratti a
prestazioni corrispettive (sinallagmatici).
Ciò è previsto specificamente dal codice, e infatti anche la dottrina ritiene che la risoluzione
per inadempimento NON può essere invocata con riguardo:
- ai contratti gratuiti
- o ai contratti con obbligazioni in capo al solo
proponente.
perché in questi contratti manca il rapporto di
corrispettività, siccome la prestazione dovuta
non è controbilanciata dallo scambio.
Calvo: Calvo invece è più per una lettura estensiva, dicendo che si potrebbe pensare di estendere
l’ambito di applicabilità della risoluzione per inadempimento anche a contratti che non siano
giustificati dalla corrispettività delle prestazioni.
Contratti plurilaterali: Sicuramente un’eccezione alla regola la si trova nell’art. 1459.
L’art. 1459 consente la risoluzione per inadempimento anche in caso di
contratti plurilaterali con comunione di scopo: l’inadempimento di
una delle parti non importa la rescindibilità dell’intero contratto,
ma la risoluzione è limitata al soggetto inadempiente, a meno che
la prestazione dell’inadempiente non sia essenziale.
Es. contratti di tipo associativo: immaginiamo che uno degli associati contraenti
rimanga inadempiente, ad es. non paga la quota mensile per poter frequentare i
locali del circolo. Allora, in questa ipotesi, vi può essere risoluzione per
inadempimento limitato alla sfera personale del debitore inadempiente,
con quella che viene chiamata esclusione dell’associato inadempiente.
Gli ELEMENTI COSTITUTIVI della risolubilità per inadempimento
Quali sono gli elementi che devono sussistere affinché la parte non inadempiente (creditore o contraente fedele/
virtuoso) possa legittimamente agire in giudizio con l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento?
Elementi costitutivi della risolubilità per inadempimento sono:
1) il contratto è a prestazioni corrispettive (cd. sinallagmatico)
2) l’inadempimento è imputabile all’inadempiente: qui analizziamo singolarmente le due nozioni:
- inadempimento: l’inadempimento si verifica quando una parte ha tradito
l’impegno ad adempiere la propria prestazione contrattuale.
Ora, il termine “inadempimento” è un termine che ha varie
sfaccettature:
- inadempimento totale: quando il debitore ha violato l’impegno ad
adempiere totalmente. Es. la parte doveva
1000 e non ha pagato nulla.
- inadempimento parziale: quando il debitore ha adempiuto soltanto
parte della prestazione. Es. la parte doveva
consegnare due beni ma ne ha consegnato
uno soltanto.
- adempimento tardivo: qui c’è adempimento, ma non è avvenuto
tempestivamente Es. dovevo consegnare il
bene entro il 1° gennaio, ma lo consegno il 20
gennaio
In tuti e tre i casi c’è inadempimento. Quindi la stessa nozione di
inadempimento è una nozione alquanto frastagliata.

242
- imputabilità al debitore: per esservi risolubilità per inadempimento:
- NON è sufficiente il mero inadempimento
- ma occorre anche che tale inadempimento sia
imputabile al debitore stesso a titolo di dolo
o di colpa.
Se così non fosse, allora NON si tratterebbe di risolubilità
per inadempimento, ma al massimo entrerebbe in gioco
la risolubilità per impossibilità sopravvenuta (per caso
fortuito o forza maggiore).
3) l’inadempimento del debitore
NON è di scarsa importanza: l’inadempimento, oltre ad essere imputabile al debitore, deve avere
un’altra caratteristiche: non deve essere di scarsa importanza, quindi deve
essere rilevante, avuto riguardo all’interesse del creditore (parte virtuosa).
Si parla del criterio della gravità dell’inadempimento, ma attenzione:
il codice NON utilizza il termine “gravità”
o “grave”, ma parla di “scarsa rilevanza”.
Quindi, il creditore che agisce in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto
ha l’onere di provare:
1) che l’inadempimento è imputabile al debitore
2) che l’inadempimento ha comportato un rilevante pregiudizio del suo interesse.
Es. Caio deve pagare 1000 a Tizio ma ha pagato 950.
Ora, certamente Caio è inadempiente per inadempimento parziale, però ha
adempiuto a grossa parte della prestazione, e allora la giurisprudenza dice:
se la prestazione è stata eseguita pressoché totalmente, allora difetta il
requisito della “rilevanza” richiesto dall’art. 1455, quindi non ogni
inadempimento legittima la risoluzione ma solo quell’inadempimento
“di non scarsa importanza”.
Valutazione: Come si valuta la rilevanza o meno dell’inadempimento?
Il codice NON prevede criteri, ma si limita a dire “avuto riguardo all’interesse
dell’altra parte” (cioè del contraente virtuoso).
Calvo ritiene che si debbano richiamare due parametri che dovrebbero guidare il
giudice in questo accertamento:
- la buona fede oggettiva (correttezza)
- la proporzionalità tra inadempimento e rimedio.
Ad ogni modo, questa valutazione è un punto particolarmente delicato, in
cui è difficile fornire dei criteri valutativi aprioristici rigidi.
Momento: Per la valutazione della rilevanza o scarsa importanza
dell’inadempimento vi è un altro tema spinoso: considerato che i
processi civili in Italia hanno una durata notevole, in che momento va
valutata l’importanza o la scarsa rilevanza dell’inadempimento?
Al momento della domanda giudiziale o al momento della sentenza?
Qui vi sono due scuole di pensiero:
- teoria della domanda: secondo alcuni, la rilevanza dell’inadempimento va
valutata nel momento in cui è stata proposta la
domanda di risoluzione
- teoria della decisione: altri invece ritengono che il requisito della rilevanza
dell’inadempimento va valutato nel momento della
decisione (sentenza). Quindi la gravità
dell’inadempimento deve sussistere al momento della
decisione. Perché? Dato che i tempi della giustizia
italiana sono molto dilatati, potrebbe accadere che tra
il momento della domanda e il momento della
decisione possano passare anche molti anni.
E allora è necessario che il requisito della gravità
dell’inadempimento sussista al momento della
decisione sulla risoluzione.

243
Risoluzione giudiziale e risoluzione di diritto
La risoluzione per inadempimento può essere:
A) giudiziale: la risoluzione è giudiziale quando il contraente non inadempiente (creditore) agisce in giudizio
con l’azione di risoluzione per inadempimento.
B) di diritto (ipso iure) (stragiudiziale): tuttavia, il codice prevede tre ipotesi in cui la risoluzione per
inadempimento avviene di diritto (ipso iure), SENZA necessità di adire
un giudice che pronunci sentenza di risoluzione.
Infatti, le parti possono semplificare la vicenda estintiva tramite
l’inserimento nel contratto di clausole contrattuali (termine essenziale,
clausola risolutiva espressa) o la diffida ad adempiere che sono
meccanismi che comportano la risoluzione del contratto
automaticamente, quindi ipso iure, PRESCINDENDO dall’intervento del
giudice.
Calvo e le ipotesi atipiche: Calvo ritiene che, accanto alle 3 ipotesi tipiche di
risoluzione di diritto testualmente previste dal codice,
si possano costruire altre ipotesi atipiche di risoluzione di
diritto (atipiche perché non previste dal codice).
Un’ipotesi di risoluzione di diritto potrebbe aversi
richiamando l’esercizio del diritto di recesso, come
ad es. nell’ipotesi della caparra confirmatoria.
La risoluzione GIUDIZIALE per inadempimento (azione di risoluzione)
In caso di inadempimento rilevante e imputabile al debitore, il contraente fedele è una sorta di dominus del contratto
perché può liberamente scegliere la strada da percorrere dinanzi ad un giudice:
a) o può proporre domanda di condanna
all’adempimento della prestazione: se il contraente fedele ha interesse ad ottenere la prestazione,
allora può proporre domanda di condanna all’adempimento della
prestazione da parte del debitore (contraente inadempiente).
b) o può proporre domanda di risoluzione: se invece il contraente fedele ha perduto interesse alla
prestazione ma ha interesse a sciogliersi dal vincolo contrattuale,
allora potrà chiedere la risoluzione del contratto per
inadempimento.
Azione di risoluzione
La risoluzione giudiziale per inadempimento è quella domanda di risoluzione che il creditore propone al giudice per
ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della parte debitrice.
Onere della prova: Il creditore che agisce in giudizio con la domanda di risoluzione ha l’onere di provare i requisiti
della risolubilità per inadempimento, quindi deve dimostrare:
1) che l’inadempimento è imputabile al debitore inadempiente
2) che l’inadempimento non è di scarsa rilevanza
Natura costitutiva: La sentenza di risoluzione del contratto:
- NON è di mero accertamento
- ma è una sentenza costitutiva, in quanto modifica la realtà giuridica preesistente
pronunciando lo scioglimento del rapporto contrattuale.
Effetti: Come al solito, distinguiamo tra:
- effetti tra le PARTI: la risoluzione del contratto per inadempimento ha efficacia retroattiva reale tra le parti,
SALVO il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto
della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
Perciò, l’impostazione è:
- regola: la risoluzione ha efficacia retroattiva, quindi:
- il contratto viene dichiarato risolto sin dal momento della stipula del
contratto, eliminando dal mondo del diritto.
- le parti hanno il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, cioè la
restituzione delle prestazioni già eseguite (conditio indebiti).
- eccezione: la regola della retroattività conosce una eccezione: se si tratta di contratti
di durata ad esecuzione continuata o periodica, le prestazioni già eseguite
NON dovranno essere reciprocamente restituite (es. contratto di
somministrazione di energia elettrica).
Quindi, in questo caso, le prestazioni già ricevute restano nella sfera
patrimoniale del ricevente, non estendendosi a esse l’effetto estintivo.

244
- effetti per i TERZI: la risoluzione del contratto per inadempimento NON ha MAI efficacia retroattiva nei
confronti dei terzi. Essa opera in modo IDENTICO alla rescissione, e infatti:
- la risoluzione NON può MAI essere opposta ai terzi, a prescindere dallo stato di buona
fede o dalla natura dell’acquisto
- SALVI gli effetti della trascrizione relativa alla domanda di risoluzione.
Il mutamento della domanda: Il codice prevede questa impostazione:
- se è stata proposta domanda di adempimento,
si PUÒ convertire in domanda di risoluzione: ciò è consentito in deroga alle norme
processuali che pongono divieti alla mutatio
libelli.
Perché? Il legislatore con tale potere ha voluto
tutelare l’affidamento del contraente virtuoso,
consentendogli di liberarsi dal vincolo quando
sopravvenga, nel corso del giudizio, il
disinteresse alla prestazione.
- se è stata proposta domanda di risoluzione,
NON si può convertirla in domanda di adempimento: quindi NON è consentito chiedere
prima la risoluzione e poi dopo
chiedere la domanda di
adempimento.
Perché? Il legislatore ha voluto tutelare
l’affidamento del debitore sul fatto che il
creditore avesse perso interesse al suo
adempimento.
NO rilevabilità d’ufficio: La preclusione NON può essere rilevata
d’ufficio, perché magari il debitore
soccombente potrebbe preferire adempiere
anziché restituire quanto già ricevuto
Cumulo di domande: Cosa accade nella prassi?
Calvo sottolinea che nella prassi è stato creato un escamotage
per aggirare la preclusione che non consente di chiedere prima
la risoluzione e poi l’adempimento.
L’escamotage è quello del cumulo delle domande: nella prassi
il contraente fedele chiede la risoluzione del contratto in via
principale e l’adempimento in via subordinata: in questo modo,
ove il giudice ritenesse infondata la domanda di risoluzione per
assenza della gravità, il contraente fedele potrebbe invocare in
via subordinata la domanda di adempimento.
Azione di risoluzione parziale: In caso di inadempimento parziale, cioè quando il contraente ha adempiuto soltanto
parte della prestazione, il contraente virtuoso può chiedere la risoluzione giudiziale
relativamente alla parte del contratto non eseguito, mentre il restante frammento
oggetto di regolare esecuzione sopravvive.
Si parla di domanda risoluzione pro parte, cioè la domanda di risoluzione giudiziale
è circoscritta al SOLO frammento del
contratto non eseguito.
Ambito applicativo: La risoluzione parziale del contratto è:
- espressamente ammessa per i contratti di durata
- ma è estensibile anche ai contratti istantanei ad esecuzione immediata
quando oggetto del rapporto siano una pluralità
di beni suscettibili di frazionamento, quindi
ciascuno dotato di una propria individualità
giuridico-funzionale.
Valutazione: Se l’inadempimento è parziale, l’indagine è delicata perché bisogna accertare
se nella logica dello scambio quel parziale adempimento pregiudichi o no
irrimediabilmente la causa concreta dell’affare.
Solo nell’ipotesi in cui lo pregiudichi, l’inadempimento può essere considerato
di rilevante importanza e quindi si consente la domanda di risoluzione parziale.

245
Obblighi accessori: Nel tema della risoluzione pro parte vi rientrano quelli che
la giurisprudenza chiama obblighi accessori, cioè quegli
obblighi che non sono l’oggetto principale della prestazione,
ma le stanno attorno.
Qua sorge un problema perché la distinzione tra obbligazione
principale e obbligazione accessoria va fatta con cautela.
Es. pensiamo compravendita di un’automobile, certamente
l’obbligazione principale del venditore è di consegnare l’auto
poi vi è un obbligo accessorio che è di consegnare i documenti
dell’auto stessa. È vero che la consegna dei documenti
dell’auto è un’obbligazione accessoria, ma comunque io non
posso girare senza i documenti dell’auto, rischiando un
controllo e il sequestro dell’auto.
Clausole dissociative: Il problema può anche essere risolto a monte tramite
clausole nel contratto che stabiliscano che ciascun atto
esecutivo abbia una propria autonomia, cosicché
l’inadempimento di una frazione non si riverbererà su
quella già regolarmente eseguita.
In tal modo il contratto è suddiviso in una “somma di
risultati divisibili”.
Adempimento tardivo DOPO la
proposizione della domanda di risoluzione?: L’art. 1453 comma 3 afferma “Dalla data della domanda di risoluzione
l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.
ATTENZIONE: Dobbiamo prestare molta attenzione perché non è come sembra:
- prima facie diremmo che il codice afferma che dal momento in cui il contraente
fedele ha proposto domanda di risoluzione, l’altro contraente (finora
inadempiente) non può più adempiere l’obbligazione.
- giurisprudenza maggioritaria: in realtà la giurisprudenza maggioria ritiene che
l’art. 1453 comma 3 vada interpretato in un altro
modo.
Per la giurisprudenza maggioritaria, NON sussiste un divieto di adempimento: dal momento della
proposizione della domanda di risoluzione:
- l’inadempiente PUÒ offrire l’adempimento tardivo della propria prestazione
- ma il contraente virtuoso (che ha proposto domanda di risoluzione) PUÒ rifiutare
l’adempimento tardivo.
Quindi, secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’art. 1453 comma 3 starebbe sottolineando
soltanto che l’offerta di adempimento tardivo da parte dell’inadempiente è legittimamente
rifiutabile dal contraente fedele che ha già proposto in giudizio domanda di risoluzione.
Calvo: Calvo si sofferma poi su una domanda: questa possibilità di rifiutare l’offerta di adempimento
tardivo è garantita al contraente virtuoso soltanto se ha già proposto domanda di risoluzione
nel processo oppure anche prima di averla proposta?
- dottrina maggioritaria ritiene che il contraente virtuoso abbia il diritto di rifiutare l’offerta
di adempimento tardivo SOLO DOPO aver proposto la domanda di
risoluzione nel processo.
- Calvo: Calvo invece ha l’idea opposta: il contraente virtuoso ha il diritto di rifiutare
l’offerta di adempimento tardivo anche laddove non abbia ancora proposto
domanda di risoluzione.
Inadempimenti reciproci
Un problema piuttosto rognoso sul piano teorico è il problema dei cd. inadempimenti reciproci, cioè quando entrambi
i litiganti invochino reciprocamente la risoluzione del rapporto contrattuale per inadempimento della controparte
perché entrambi vicendevolmente inadempienti.
In questi casi, NON ci sono una parte virtuosa e una parte inadempiente, ma ci sono due contraenti parimenti
inadempienti: nessuno esegue la propria prestazione.
Es. Tizio e Caio stipulano un contratto di compravendita, ma il venditore Tizio non consegna il bene e l’acquirente Caio
non paga il prezzo, Sono quindi entrambi inadempienti.

246
Che succede in questa ipotesi? La dottrina si è sforzata di individuare una serie di possibili risposte. La risposta implica
un’indagine attorno al nesso tra i vari inadempimenti:
A) se gli inadempimenti sono LEGATI tra loro, allora l’inadempimento più recente può
essere la conseguenza di quello precedente:
in questo caso, la parte che per seconda deve
effettuare la prestazione può legittimamente
opporre l’eccezione di inadempimento.
B) se gli inadempimenti sono SLEGATI tra loro, allora bisogna distinguere:
a) se il peso specifico dei singoli inadempimenti appare impari,
nel senso che un inadempimento è di scarsa
rilevanza mentre l’altro inadempimento è grave,
allora laddove vengano proposte domande di
risoluzione da parte di entrambi i contraenti
inadempiente:
- verrà accolta la domanda di risoluzione avanzata dalla
parte che ha patito l’inadempimento più grave
- e verrà rigettata la domanda di chi ha patito
l’inadempimento meno grave
b) se gli inadempimenti sono di pari importanza, Calvo afferma:
- se gli inadempimenti sono entrambi gravi,
allora entrambe le domande di
risoluzione devono essere accolte.
- se gli inadempimenti sono entrambi di scarsa
importanza, allora dice Calvo: devono essere
rigettate entrambe le
domande di
risoluzione.
Gli accordi privati per derogare alla risolubilità per inadempimento
Abbiamo visto che il contraente fedele, dinanzi all’inadempimento della controparte, ha la libera scelta tra:
- o domanda di risoluzione
- o domanda di condanna all’adempimento della prestazione dovutagli.
Ora, la domanda che si pone Calvo è: ma queste norme che prevedono la scelta tra risoluzione e adempimento della
prestazione sono derogabili dai privati? Cioè i contraenti potrebbero pattuire nel contratto una disciplina che deroghi
la risolubilità per inadempimento?
SI, l’autonomia privata può intervenire sul tema della risolubilità tramite patti volti a derogare alla disciplina legale.
Ma sono validi questi patti in tema di risolubilità per inadempimento?
Calvo dice: sì, questi patti sono validi, ma con un limite: PURCHÈ al contraente fedele venga lasciata la possibilità di
coltivare almeno una delle due strade possibili in caso di inadempimento della controparte (quindi di
coltivare o la risoluzione o l’adempimento della prestazione).
Quindi, dice Calvo: l’importante è NON eliminare la possibilità dell’adempiente di percorrere almeno una
strada.
Di conseguenza, secondo Calvo:
- NON sono validi quei patti che escludono contemporaneamente tutti i rimedi alternativi concessi ex lege al
contraente virtuoso per reagire contro l’inadempimento della controparte, quindi quei patti
che escludono contemporaneamente sia la possibilità di chiedere in giudizio la risoluzione
che di chiedere l’esatto adempimento: perché?
Questi patti sono NULLI perché, se fossero validi, è come se le parti fossero del
tutto affrancate dal rischio dell’inadempimento perché è come se si stesse dicendo:
tu puoi scegliere “se” e “come” della tua prestazione, tanto il tuo inadempimento
non rileva in quanto la controparte (creditore) non potrà né chiedere la risoluzione
né chiedere l’adempimento della prestazione.
- sono VALIDI quei patti che escludono soltanto uno dei rimedi alternativi concessi ex lege al contraente
virtuoso, quindi sono validi i patti che limitano la scelta al creditore fedele, lasciandogli soltanto
una strada di fronte all’inadempimento della controparte: o la risoluzione o l’adempimento
della prestazione.

247
La risoluzione IPSO IURE (STRAGIUDIZIALE) per inadempimento
Inizialmente abbiamo distinto nell’ambito della risoluzione per inadempimento tra:
- risoluzione giudiziale
- e risoluzione di diritto (ipso iure, detta anche stragiudiziale).
Abbiamo analizzato la risoluzione giudiziale, ora passiamo ad analizzare la risoluzione di diritto.
Nozione: Si parla di risoluzione di diritto quando la risoluzione opera automaticamente in via stragiudiziale, quindi si
prescinde dall’intervento del giudice. Quindi le ipotesi di risoluzione di diritto consentono al contraente
virtuoso di sciogliersi dal rapporto contrattuale SENZA adire necessariamente un giudice, quindi SENZA
passare per i tempi, le lungaggini e i costi del processo civile.
La risoluzione ipso iure:
- NON deriva da una sentenza
- avviene al di fuori di un processo in via automatica
- laddove le parti, dopo l’avvenuta la risoluzione di diritto, discutano sulla legittimità dell’avvenuta
risoluzione, allora possono rimettersi al giudice, ma in questo caso la sentenza di
risoluzione del giudice:
- NON avrà natura costitutiva
- ma avrà natura di mero accertamento perché la risoluzione del
contratto è già avvenuta
prima e fuori dal giudizio,
perciò il giudice si limita ad
accertare la intervenuta
risoluzione stragiudiziale del
contratto.
Ipotesi: Le tre ipotesi tipiche di risoluzione di diritto elencate dal codice sono:
- risoluzione per inadempimento tramite diffida ad adempiere
- risoluzione per inadempimento tramite clausola risolutiva espressa
- risoluzione per inadempimento per scadenza del termine essenziale.
A) La risoluzione per diffida ad adempiere
La prima ipotesi di risoluzione di diritto (stragiudiziale) è quella che avviene in caso di diffida ad adempiere.
Fonte: Art. 1454 cc
Nozione: In caso di inadempimento (imputabile e rilevante), il contraente virtuoso può intimare per iscritto alla
parte inadempiente di adempiere la prestazione entro un congruo termine, avvertendola che, decorso
inutilmente detto termine, il contratto si intenderà risolto di diritto.
Quindi sostanzialmente il ragionamento è: di fronte all’inadempimento imputabile e rilevante della
controparte, se il contraente virtuoso ha ancora interesse per l’adempimento, allora ha due strade:
a) o agisce in giudizio con la domanda di condanna all’adempimento della prestazione
b) o intima alla parte inadempiente di adempiere entro un congruo termine, avvertendola però che
se non adempirà, si verificherà la risoluzione di diritto.
Requisiti: Affinché la risoluzione tramite diffida ad adempiere sia valida, sono necessari questi presupposti:
1) l’inadempimento deve rispettare i classici requisiti di: - imputabilità al debitore
- e di non scarsa rilevanza
2) onere di forma scritta: la diffida ad adempiere DEVE avere forma SCRITTA
3) indicazione del termine: la diffida ad adempiere DEVE contenere l’indicazione del termine entro il quale
la parte inadempiente deve adempiere:
- in linea generale: il termine NON può essere inferiore a 15 giorni
- eccezioni: l’art. 1454 cc consente l’indicazione di un termine inferiore a
15 giorni quando:
a) o se è stabilito pattiziamente dalle parti
b) o se per la natura del contratto secondo gli usi risulti
congruo un termine inferiore
4) l’avvertimento: la diffida ad adempiere DEVE inoltre contenere l’avvertimento alla parte
inadempiente che, qualora non adempia la sua prestazione entro il termine indicato,
il contratto si intenderà risoluto di diritto.
Questo è un elemento NECESSARIO: se la diffida non contiene questo elemento,
allora non si tratterà di diffida ad adempiere,
ma di semplice messa in mora.
Effetto: Laddove decorra il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, allora il contratto si intenderà risolto di
diritto, quindi automaticamente senza alcun intervento del giudice.

248
Eventuale controversia: Dopo la risoluzione di diritto, è possibile che tra le parti sorgano contestazioni sulla
legittimità della risoluzione di diritto per scadenza del termine contento nella diffida.
Ad es. la parte inadempiente potrebbe agire in giudizio affermando che non sussistevano
i presupposti della risoluzione, ad es. che nella diffida non era contenuto il termine.
In caso di controversia, il giudice deve verificare se la risoluzione di diritto si è verificata
correttamente, verificando:
- che l’inadempimento aveva i requisiti di imputabilità e non scarsa rilevanza
- che sussistevano i requisiti della diffida ad adempiere.
Laddove il giudice emanasse una sentenza di risoluzione, questa avrà natura di mero
accertamento e NON costitutiva. Perché? Perché la risoluzione si è già verificata di diritto
prima e fuori dal processo, quando è scaduto il
termine indicato nella diffida ad adempiere senza
che vi sia stato l’adempimento.
Rinuncia: Se il contraente virtuoso ha intimato ad adempiere per iscritto la controparte e questa non ha adempiuto
entro il termine, il contratto è risoluto di diritto, ma la domanda è: il contraente virtuoso può rinunciare ad
avvalersi degli effetti della risoluzione di diritto già verificatasi?
Qui la giurisprudenza ha subito una evoluzione:
- vecchia giurisprudenza: la vecchia giurisprudenza sosteneva che gli effetti della risoluzione per scadenza
del termine contenuto nella diffida ad adempiere sono nella disponibilità del
contraente diffidante (colui che ha fatto la diffida). Quindi, il diffidante
potrebbe rinunciare agli effetti della risoluzione di diritto e quindi chiedere
l’adempimento della prestazione.
- nuova giurisprudenza: la nuova giurisprudenza invece afferma l’opposto: se si è verificata la risoluzione
di diritto, il contratto è automaticamente risolto, quindi il contratto NON può
rivivere, pertanto il contraente virtuoso NON può rinunciare agli effetti della
risoluzione.
La questione non è pacifica perché la giurisprudenza anche di recente si è interrogata sul punto.

B) La risoluzione tramite la clausola risolutiva espressa


Fonte: Art. 1456 cc
Nozione: Nel contratto i contraenti possono inserire una clausola risolutiva espressa con cui pattuiscono
espressamente che se una determinata obbligazione non sarà adempiuta secondo le modalità stabilite,
allora il contratto si intenderà risoluto di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende
valersi della clausola risolutiva.
Requisito: Indicazione precisa della obbligazione: La clausola risolutiva espressa ha un solo requisito necessario:
DEVE indicare IN MODO SPECIFICO l’obbligazione protetta dalla
clausola risolutiva, cioè l’obbligazione che deve essere adempiuta
secondo le modalità stabilite perché altrimenti
scatta la risoluzione di diritto.
Dichiarazione di volersene avvalere: Se nel contratto è prevista una clausola risolutiva e l’obbligazione in essa
contenuta non viene adempiuta, allora la risoluzione di diritto quando si verifica?
La risoluzione di diritto opera sì aromaticamente, ma da quando:
- NON dal momento dell’inadempimento dell’obbligazione
- ma SOLO a seguito della dichiarazione del creditore di volersene avvalere.
Quindi, è vero che la risoluzione opera automaticamente, ma occorre la
manifestazione di volontà del contraente fedele.
Ecco perché Calvo parla di diritto potestativo del creditore, il quale tra l’altro NON ha alcun
termine di decadenza per esercitarlo.
Aggiunge Calvo: la volontà del creditore di avvalersi della risoluzione ipso iure:
- è suscettibile di essere dedotta anche implicitamente
- è suscettibile di essere contenuta in uno scritto stragiudiziale
- è suscettibile di essere enunciata per la prima volta con l’atto di citazione
se il creditore ha voluto comunque esercitare l’azione di
risoluzione.
Eventuale controversia: Dopo la risoluzione di diritto, è possibile che tra le parti sorgano contestazioni sulla legittimità
della risoluzione di diritto per scadenza del termine contento nella diffida.
Il giudice dovrà verificare se la risoluzione di diritto si è verificata correttamente.

249
Quando abbiamo parlato della risoluzione di diritto a seguito della diffida ad adempiere,
abbiamo detto che in caso di controversia il giudice deve valutare i due
classici requisiti dell’inadempimento: - l’imputabilità
- la non scarsa rilevanza.
Invece, in caso di risoluzione di diritto per inadempimento dell’obbligazione prevista in una clausola
risolutiva espressa, in caso di controversia il giudice deve valutare:
- SOLO l’imputabilità dell’inadempimento
- ma NON valuta anche la non scarsa rilevanza dell’inadempimento.
Quindi in un eventuale futuro giudizio in cui si controverta la legittimità della risoluzione avvenuta
di diritto in forza di clausola risolutiva espressa, il giudice:
- SI valutazione della imputabilità: il giudice DEVE sicuramente valutare che l’inadempimento
della prestazione contenuta nella clausola risolutiva espressa
fosse imputabile al debitore.
Laddove ritenga non sussistente il requisito della imputabilità,
dichiarerà come non avvenuta la risoluzione.
- NO valutazione della non scarsa rilevanza: invece il giudice NON ha il potere di sindacare la non
scarsa rilevanza dell’inadempimento.
Perché? Perché quell’inadempimento è stato valutato di
“non scarsa rilevanza” già a monte dalle parti, tanto che
l’hanno previsto in una clausola risolutiva espressa. Le
parti, se inseriscono una clausola risolutiva espressa nel
contratto, hanno valutato a monte quali inadempimenti
sono per loro rilevanti e danno luogo a risoluzione di
diritto. Ecco perché il giudice NON può sindacare tale
valutazione.
Rinuncia: Anche qui, come nella vicenda della diffida ad adempiere, dobbiamo esaminare il problema della rinuncia.
Se si verifica l’inadempimento della obbligazione prevista nella clausola risolutiva e il creditore dichiara di
volersene avvalere, comunicando tale dichiarazione alla controparte, può poi rinunciare ad avvalersi della
risoluzione di diritto verificatasi?
- la giurisprudenza maggioritaria dice di SI
- la dottrina maggioritaria dice di NO perché, una volta sopraggiunta la risoluzione del contratto, il
creditore NON ha il potere di far rivivere il contratto.

C) La risoluzione per scadenza del termine essenziale


Fonte: Art. 1457
Nozione: Se nel contratto le parti hanno fissato un termine per la prestazione di una delle parti e questo deve
considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, allora in caso di scadenza di tale termine senza che sia stata
adempiuta la prestazione:
- DI REGOLA, il contratto si risolve di diritto
- TUTTAVIA, se il creditore, nonostante la scadenza del termine essenziale, ha comunque interesse
all’adempimento della controparte, allora può esigere l’adempimento
della prestazione (seppur tardivo) dandone notizia all’altra parte
entro 3 giorni dalla scadenza del termine.
- SALVO patto o uso contrario.
Esempio: Tizio deve sposare Caia il 3 dicembre. Caia compra il vestito da sposa e avrà chiaramente interesse a che il
vestito le venga consegnato a casa almeno il giorno prima del matrimonio. Quindi il 2 dicembre è termine
essenziale, perché è ovvio che se il vestito le venisse consegnato il 5 dicembre, Caia avrebbe perso tutto
l’interesse. E infatti, laddove il vestito le venisse consegnato il 5 dicembre, essendo scaduto il termine
essenziale per l’esecuzione della prestazione, allora la sposa non avrebbe normalmente interesse a ricevere
l’abito perché ormai la cerimonia è stata celebrata, e allora il contratto di compravendita si risolve di diritto.
Eccezione: A MENO CHE la sposa abbia comunque interesse a tenersi il vestito e allora entro 3 giorni deve
dare notizia al venditore che esige comunque l’adempimento della prestazione, seppur tardivo.
Scelta del creditore: Con la risoluzione di diritto per scadenza del termine essenziale il legislatore intende proteggere:
- l’interesse del creditore a ottenere un adempimento tempestivo della prestazione
- ma contemporaneamente si intende proteggere l’interesse dello stesso creditore a
ottenere un adempimento financo tardivo della prestazione,
purché egli esprima alla controparte tale proposito entro 3 giorni
dalla scadenza del termine stesso.

250
Quindi, il termine essenziale costituisce un facile strumento per consentire alla parte di
sciogliersi da un vincolo contrattuale diventato inutile, salvo che la parte stessa, per sua scelta,
decida di mantenerlo in vita.
L’essenzialità del termine: L'art. 1457 parla di «termine essenziale nell'interesse di una delle parti».
Ovviamente qua si tratta di:
- un termine di adempimento, perché è inerente alla prestazione
- NON è un termine inerente alla vicenda del rapporto giuridico.
Abbiamo parlato di termine essenziale, ma attenzione: NON ogni termine è essenziale.
Un termine è essenziale quando la prestazione deve essere tempestiva affinché si realizzi
l’interesse del creditore contraente: la prestazione, se adempiuta
tardivamente (quindi oltre il termine), perderebbe qualsiasi utilità
per la controparte.
La giurisprudenza fa una distinzione tra due indici (parametri) di essenzialità:
- essenzialità oggettiva: quando l’essenzialità dipende dalla natura della prestazione.
Qui NON sono le parti a qualificare il termine come essenziale,
ma l’essenzialità del termine si ricaverebbe dalla natura dell’affare.
Es. proprio il caso della sposa e del suo vestito.
- essenzialità soggettiva: quando l’essenzialità dipende dalla volontà dei contraenti. Sono le
parti, in base alla loro discrezionalità, a qualificare come essenziale il
termine per l’adempimento di una determinata prestazione, la quale
altrimenti sarebbe priva di questo carattere della essenzialità.
Eventuale controversia: Per la risoluzione di diritto per scadenza del termine essenziale vale lo STESSO IDENTICO
discorso che abbiamo svolto per la clausola risolutiva espressa.
In caso di controversia il giudice deve valutare:
- SOLO l’imputabilità dell’inadempimento
- ma NON valuta anche la non scarsa rilevanza dell’inadempimento.
Rinuncia: Anche qui, come nella vicenda della diffida ad adempiere e della clausola risolutiva espressa, dobbiamo
esaminare il problema della rinuncia degli effetti della risoluzione di diritto.
La domanda è: il creditore può rinunciare ad avvalersi della risoluzione di diritto verificatasi per scadenza del
termine essenziale?
- la giurisprudenza maggioritaria dice di SI
- la dottrina maggioritaria e Calvo dicono di NO perché, una volta sopraggiunta la risoluzione
del contratto, il creditore NON ha il potere
di far rivivere il contratto.

ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO
Finora abbiamo parlato della risoluzione per inadempimento, ora invece parliamo dell’eccezione di inadempimento
ex art. 1460 cc, la quale ATTENZIONE: NON è analoga alla risoluzione.
Dinanzi all’inadempimento della controparte, il contraente virtuoso convenuto in giudizio potrebbe avere interesse:
- NON a chiedere la risoluzione del contratto
- ma ad avanzare eccezione di inadempimento per parare talune pretese della controparte che ha agito in
giudizio come attore.
Quindi attenzione: la risoluzione per inadempimento e l’eccezione di inadempimento hanno in comune soltanto
l’evento “inadempimento”, ma è completamente diverso lo scopo a cui mirano perché:
- la risoluzione per inadempimento: mira alla risoluzione del contratto
- l’eccezione di inadempimento: - NON mira affatto alla risoluzione del contratto
- NON mira allo scioglimento del vincolo, anzi ne
presuppone la permanenza
- mira soltanto a paralizzare l’azione avversaria per
ottenerne il rigetto
Fonte: Art. 1460 cc
Nozione: Nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti ha la FACOLTÀ di avvalersi dell’eccezione
di inadempimento e quindi di rifiutarsi di adempiere la propria prestazione SE la controparte:
- o non adempie la prestazione
- o non offre di adempiere contemporaneamente la propria prestazione
A MENO CHE le parti o la natura del contratto stabiliscano termini diversi per l'adempimento delle
prestazioni.

251
Esempio: Tizio e l’ENEL stipulano un contratto di fornitura di energia elettrica. Se Tizio non paga le bollette bimestrali,
allora l’ENEL sospende le forniture. Se Tizio instaura un processo per chiedere l’adempimento della
prestazione da parte di ENEL, l’ENEL potrà avanzare eccezione di inadempimento.
Ratio: L’eccezione di inadempimento è una forma di autotelai privata, in presenza dell’inadempimento dell’altra parte.
Proprio in quanto forma di autotutela, è lasciata alla scelta discrezionale della parte adempiente.
Eccezione e buona fede: È vero che l'esercizio dell'eccezione di inadempimento è lasciato alla discrezionalità della
parte adempiente, però ovviamente l'attribuzione di questo potere presuppone che possa
essere valuto se l'esercizio è stato corretto oppure è stato un abuso.
E infatti il principio di buona fede oggettiva (= correttezza) serve a valutare la legittimità
della sospensione della propria prestazione.
Il comma 2 dell’art. 1460 dice che, di fronte all’inadempimento della parte, la controparte
NON può rifiutare di adempiere la propria prestazione
se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario
alla buona fede.
Es. dice la giurisprudenza: se l’acquirente Caio paga 99 euro a fronte di 100 euro,
il venditore Tizio NON può opporre l’eccezione di inadempimento laddove Caio agisca
per chiedere la consegna del bene da Tizio. Perché? Perché l’inadempimento
dell’acquirente Caio è scarsamente rilevante (manca 1 euro), quindi il rifiuto del
venditore di Tizio di adempiere la sua prestazione (consegnare il bene a Tizio) contrasta
con la clausola di buona fede.
Giurisprudenza: Il discorso sulla non scarsa rilevanza dell’inadempimento e la buona fede è un discorso molto
complicato, infatti è stato molto dibattuto in giurisprudenza.
Il caso molto studiato dalla giurisprudenza è stato quello del distacco in caso di contratto di
fornitura di acqua potabile. Il problema che si è posto è: il distacco di acqua potabile va ad
impattare sul principio di buona fede. E infatti, secondo parte della giurisprudenza,
vi sarebbero delle ipotesi in cui l'eccezione di inadempimento da parte del fornitore sarebbe
contraria a buona fede in quanto va ad incidere sugli interessi superiori a quelli meramente
economici.
Es. ci fu una controversia tra un fornitore di servizi per gli ospedali e un ente ospedaliero,
dove, a fronte dell’inadempimento dell’ente ospedaliero, il fornitore aveva avanzato
l’eccezione di inadempimento, asserendo che l’ente ospedaliero non pagava le bollette.
Tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che l’eccezione di inadempimento non fosse
opponibile ad un ente ospedaliero perché qui evidentemente c’era in gioco un interesse
superiore a quello meramente economico, e cioè quello della salute pubblica.

MUTAMENTO NELLE CONDIZIONI PATRIMONIALI


Accanto all’eccezione di inadempimento il codice individua altri due rimedi che incidono sulla esecuzione della
prestazione dovuta, che vediamo agli artt. 1461 – 1462.
L’art. 1461 disciplina un rimedio che riguarda il mutamento delle condizioni patrimoniali di uno dei contraenti.
Fonte: Art. 1461
Nozione: Ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della propria prestazione se le condizioni patrimoniali
dell’altro stipulante, per ragioni sopravvenute o già esistenti all’epoca della stipula del contratto ma
sconosciute, sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione,
A MENO CHE venga data idonea garanzia a scansare il prospettato rischio.
Quindi ATTENZIONE: lo strumento ex art. 1461 NON va confuso con l‘eccezione di inadempimento perché:
- eccezione di inadempimento: c’è l’inadempimento della controparte
- rimedio ex art. 1461: NON c’è l’inadempimento della controparte
Ratio: L'art. 1461 appresta uno strumento di autotutela anticipata per la parte di fronte al pericolo di inadempimento
dell'altro contraente: la sospensione della prestazione per il peggioramento delle condizioni patrimoniali della
controparte.
Calvo parla di rimedio cautelare, di protezione cautelare.
Esempio: Immaginiamo un contratto di durata di fornitura di merci dove il fornitore Tizio si obbliga alla
somministrazione di una certa quantità di beni all’azienda di Caio per 3 anni.
Durante il rapporto contrattuale, il fornitore Tizio viene a sapere che l’azienda di Caio è vicina al fallimento e
che ha numerosi debiti accumulati che fanno capire che le condizioni patrimoniali sono gravemente
peggiorate. E allora il fornitore Tizio si rappresenta l’evidente pericolo che Caio possa non pagare il
corrispettivo bimestrale.

252
Ora, il punto è che qui il fornitore Tizio NON può utilizzare l’eccezione di inadempimento rifiutando di
adempiere la propria prestazione interrompendo il servizio di fornitura.
Perché? Perché NON si è già verificato l’inadempimento del cliente Caio, infatti parliamo di evidente
pericolo (rischio) del futuro inadempimento della controparte, ma NON è già attuale
l’inadempimento, perciò Tizio NON può utilizzare l’eccezione di inadempimento per
giustificare il suo rifiuto di adempiere.
Ecco allora che il codice pensa a questo strumento dell’art. 1461: il fornitore:
- è vero che NON può rifiutarsi di adempiere con l’eccezione di adempimento
- ma, considerando l’evidente pericolo di non conseguire l’adempimento della controparte a causa del
mutamento delle sue condizioni patrimoniali, allora l’art. 1461 consente alla parte di sospendere
l’adempimento della propria prestazione.
Ambito di applicazione: L’art. 1461 non definisce l’ambito di applicazione di tale rimedio, quindi si ritiene che abbia un
ambito di applicazione esteso. L’art. 1461 sarebbe applicabile:
- sia ai contratti in cui le prestazioni non devono essere eseguite contemporaneamente,
quindi quei rapporti obbligatori scanditi da diversi termini di adempimento tra le
coppie di prestazioni. Es. nei contratti di durata abbiamo un meccanismo per il
quale le prestazioni non debbono essere eseguite
contestualmente.
- Calvo dice: si può applicare anche a rapporti in cui le prestazioni devono essere eseguite
contemporaneamente.

LA CLAUSOLA LIMITATIVA DELLA PROPONIBILITÀ DI ECCEZIONI (cd. clausola solve et repete)


L’ultimo rimedio che incide sulla esecuzione della prestazione dovuta è quella prevista dall’art. 1462.
Fonte: Art. 1462
Nozione: Nel contratto le parti possono inserire una clausola solve et repete con cui stabiliscono che una parte
contrattuale NON potrà opporre eccezioni finalizzate a evitare o ritardare l’adempimento della prestazione
da essa dovuta.
Quindi con tale clausola si dice che una delle due parti:
- solve: cioè PRIMA devi adempiere la prestazione
- e repete: SOLO DOPO che ha adempiuto la prestazione potrai presentare eccezione e, se fondata,
avrai diritto alla restituzione di quanto adempiuto.
ATTENZIONE: La clausola solve et repete:
- NON impedisce per sempre alla parte di opporre le eccezioni
- ma semplicemente implica la loro postergazione, cioè dopo l’adempimento.
LIMITE: Ovviamente la clausola solve et repete è una pattuizione estremamente gravosa per una delle parti.
Il legislatore, consapevole di ciò, stabilisce un forte limite: la clausola solve et repete NON ha effetto se
stabilisce che una delle parti non può opporre
eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione
del contratto.
Quindi, con la clausola solve et repete:
- si PUÒ limitare la proponibilità di eccezioni che abbiano il fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta
- ma NON si può ASSOLUTAMENTE limitare la proponibilità di eccezioni di invalidità del contratto.
Esempio: Tipico esempio è: in un contratto che ha ad oggetto la fornitura di un servizio telefonico si pattuisce una
clausola solve et repete dove si prevede che l'utente non può ritardare il pagamento del corrispettivo mensile
laddove il servizio telefonico non abbia funzionato per 2 giorni. L’utente NON può ritardare il suo
adempimento (pagare la bolletta): tu utente, prima paghi la bolletta, soltanto dopo puoi agire in giudizio per
chiedere la restituzione di quanto pagato in quei 2 giorni in cui il servizio
non ha funzionato.
PRECISAZIONE: Occorre fare una precisazione importantissima: con la clausola solve et repete:
- si vuole semplicemente rinviare ogni discussione sull'esattezza o meno dell’adempimento del
creditore a dopo l’adempimento della prestazione del debitore
- ma NON si vuole costringere il debitore ad adempiere anche in assenza di adempimento del
creditore. Infatti, pur con questa clausola nel contratto, il debitore può
non adempiere la propria prestazione ed opporre l’eccezione di inadempimento
della controparte.
Es. nell’esempio che abbiamo fatto prima del contratto di fornitura di un servizio telefonico c’è una
clausola di solve et repete, però se il fornitore non ha mai fornito il servizio perché ad es.
non ha mai installato la linea telefonica a casa di Tizio, allora il debitore Tizio PUÒ validamente

253
opporre l’eccezione di inadempimento. Infatti, in questo caso, Tizio non è che sta discutendo che
non vuole pagare il servizio che per due giorni non ha funzionato, ma vuole affermare che lui non
ha mai ricevuto il servizio.
Ratio: La funzione della clausola solve et repete è quella di tutelare l’interesse del creditore al celere adempimento da
parte del debitore, per evitare che il debitore, a fini meramente dilatori e pretestuosi, sollevi eccezioni dilatorie
per rallentare l’esecuzione dell’intesa.
Clausola solve et repete è una clausola vessatoria: La clausola solve et repete rientra nella categoria delle clausole
vessatorie. Infatti, l’art. 1341 comma 2 dice “Non hanno effetto se
non sono specificamente approvate per iscritto le condizioni che…
stabiliscano limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni”.
Quindi la clausola solve et repete è soggetta alla disciplina delle clausole
vessatorie del codice, quindi deve essere specificamente approvata per
iscritto dal contraente debole.
Potere del giudice (comma 2): Il legislatore, allo scopo di scansare storture eccessive, ha previsto al comma 2
dell’art. 146 che il giudice, qualora ricorrano gravi motivi, ha il potere di sospendere la
condanna all’adempimento imponendo, se del caso, una cauzione.

b) risoluzione per impossibilità sopravvenuta


Dopo la risoluzione per inadempimento, la seconda tipologia di risoluzione è quella per impossibilità sopravvenuta.
Fonte: Artt. 1463 – 1466 cc
Nozione: Nei contratti a prestazioni corrispettive (sinallagmatici), laddove l'impossibilità sopravvenuta di una
prestazione NON sia imputabile alla parte ma sia dovuta a causa di forza maggiore o caso fortuito,
allora tale impossibilità sopravvenuta comporta la risoluzione di diritto del contratto.
La risoluzione opera di diritto, quindi una volta verificatasi l'impossibilità sopravvenuta di una prestazione,
la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della propria prestazione:
- NON può pretendere la controprestazione alla controparte
- deve restituire quanto abbia già ricevuto secondo le norme relative alla
ripetizione dell’indebito (conditio indebiti).
La controparte NON è obbligata alla propria prestazione, nemmeno laddove la propria prestazione sia ancora
possibile (cosa diversa vedremo in caso di contratti ad effetti reali).
È una risoluzione di diritto: La risoluzione per impossibilità sopravvenuta opera di diritto, quindi non è necessario
l’esperimento di un’azione di risoluzione.
Esempio: Tizio e Caio stipulano un contratto di locazione. Tizio, locatore, deve consegnare a Caio, conduttore,
l’immobile in locazione, ma a causa di un terremo l’immobile viene distrutto da un crollo prima della
consegna delle chiavi dell’immobile. In questo caso, dato che è divenuta impossibile la prestazione di
consegnare l’immobile, allora il contratto di locazione si intende risolto di diritto, e dunque Tizio
NON può pretendere da Caio il versamento dei canoni di locazione.
Ambito di applicazione: ATTENZIONE: Il codice prevede il seguente schema:
- artt. 1463 – 1464: si riferisce a contratti a prestazioni corrispettive a
efficacia meramente obbligatoria
- art. 1465: si riferisce a contratti a prestazioni corrispettive a efficacia
reale (traslativi o costitutivi).
Ratio: La norma si spiega considerando che nei contratti a prestazioni corrispettive (cd. sinallagmatici), ciascuna
prestazione trova giustificazione nella prestazione della controparte: pertanto, se una di esse viene meno,
viene meno anche la causa che giustifica la controprestazione.
Impossibilità: In tema di impossibilità sopravvenuta che comporta la risoluzione di diritto del contratto, dobbiamo
precisare alcuni aspetti:
- non imputabilità: per impossibilità sopravvenuta si intende l’impossibilità sopravvenuta di adempiere
la prestazione, cioè la prestazione era ab initio possibile, ma poi è divenuta
impossibile a causa di una situazione impeditiva che:
- NON è imputabile alla parte
- ma è dovuta a forza maggiore o caso fortuito
- e tale impossibilità NON può essere superata con lo sforzo diligente.

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Differenza con l’inadempimento: La risoluzione per impossibilità sopravvenuta è diversa
dalla risoluzione per inadempimento perché:
a) se l’inadempimento è imputabile alla parte  si può avere la
risoluzione per
inadempimento
b) se l’impossibilità di adempiere la prestazione NON è imputabile
alla parte, ma è causato dall’impossibilità sopravvenuta
 allora NON si parla di inadempimento,
ma si tratta di risolubilità per impossibilità
sopravvenuta.
- sopravvenienza: per la risoluzione per impossibilità sopravvenuta è necessario che l’impossibilità sia
sopravvenuta. Infatti, la prestazione era possibile ab initio (al momento della stipula
del contratto) ma poi è divenuta impossibile in un momento cronologico successivo.
Se l’impossibilità della prestazione fosse originaria (ab initio), allora NON si
tratterebbe di risolubilità, ma il contratto sarebbe nullo per impossibilità
dell’oggetto (sappiamo che uno dei requisiti dell’oggetto
è la possibilità).
Impossibilità parziale: L’art. 1464 si occupa della impossibilità parziale.
Finora abbiamo parlato dell’impossibilità totale, cioè di quando la prestazione, per cause
sopravvenute, è divenuta impossibile totalmente.
Ma cosa accade se la prestazione, per cause sopravvenute di forza maggiore o caso fortuito,
è divenuta impossibile ma soltanto parzialmente?
Se la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, la controparte ha la
facoltà di scegliere tra:
- se NON ha interesse all’adempimento parziale  allora chiede la risoluzione del contratto
- se ha un interesse all’adempimento parziale  allora ha il diritto ad una riduzione della
propria prestazione dovuta.
Chiaramente l’adempimento parziale è possibile solo quando la prestazione è divisibile.
Es. se si deve consegnare un cavallo, è chiaro che questa prestazione non è divisibile (non è che
il cavallo si può dividere a metà), quindi non è eseguibile parzialmente.
Invece, se ad es. devo consegnare 10 cavalli da corsa, è possibile consegnarne solo 5, e
l’altra parte, se ha interesse all’adempimento parziale (consegna di 5 cavalli), avrà
diritto ad una riduzione della propria prestazione, quindi ad es. alla riduzione del prezzo.
Impossibilità temporanea: Un problema di difficile soluzione è quello dell’impossibilità sopravvenuta totale ma
temporanea. SI verifica quando, per forza maggiore o caso fortuito, è sopravvenuta
l’impossibilità totale di eseguire la prestazione ma soltanto temporaneamente, quindi,
passato un certo lasso di tempo, la prestazione sarebbe totalmente eseguibile.
Es. pensiamo ai contratti che hanno come oggetto il fare, ad es. a causa di un infortunio
alla gamba, sono costretto a stare a letto e non posso eseguire la prestazione dovuta.
Il legislatore NON ha dato una disciplina particolare alla impossibilità sopravvenuta temporanea.
La giurisprudenza ha soluzioni varie:
- alcuni invocano l’applicazione della disciplina dell’impossibilità parziale
- altri invocano l’applicazione della disciplina della parte generale sull’impossibilità temporanea
ex art. 1256 cc: se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa
perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino
a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura
dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a
eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse
a conseguirla.
La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta per i contratti ad effetti reali (art. 1465)
Per i contratti a prestazioni corrispettive ad effetti reali c’è una disciplina ad hoc prevista dall’art. 1465 cc.
Sappiamo che i contratti ad effetti reali sono quei contratti che hanno per oggetto:
- il trasferimento della proprietà di una cosa determinata
- la costituzione/trasferimento di un diritto reale
- o il trasferimento di un altro diritto.
Ora, il problema è: cosa accade se, in caso di contratto sinallagmatico ad effetti reali, una prestazione è divenuta
impossibile per caso fortuito o forza maggiore?

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L’art. 1465 afferma: “Nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero costituiscono o
trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile all'alienante
non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli
sia stata consegnata”.
Perché? Sappiamo che per i contratti ad effetti reali opera il cd. principio consensualistico, quindi la proprietà o altro
diritto reale si trasferiscono (quindi si acquistano e trasmettono) per effetto del SOLO consenso
legittimamente manifestato dalle parti, quindi si perfezionano nel momento in cui le parti raggiungono
l’accordo.
Perciò, una volta raggiunto il consenso, A PRESCINDERE dalla consegna della cosa, il contratto si intende
concluso, pertanto: - il rischio del perimento del bene grava sull'acquirente nonostante il bene non gli sia
stato ancora consegnato
- a meno che il perimento sia imputabile all'alienante.
E allora l’impossibilità sopravvenuta della prestazione in caso di contratto ad efficacia reale:
- NON comporta la risoluzione di diritto del contratto
- la controparte è comunque obbligata ad eseguire la propria prestazione.
E allora possiamo notare la differenza, nell’ambito dell’impossibilità sopravvenuta tra:
- contratti sinallagmatici ad effetti obbligatori: qui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di un parte
(non imputabile a tale parte) derivante da caso fortuito o caso
maggiore comporta SEMPRE la risoluzione di diritto del contratto,
anche laddove l'altra prestazione sia ancora possibile.
- contratti sinallagmatici ad effetti reali: qui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una parte
(non imputabile a tale parte) derivante da caso fortuito o caso maggiore
NON porta alla risoluzione di dritto del contratto perché la controparte
è comunque obbligata ad eseguire la propria prestazione.
Esempio: Caio acquista dal gioielliere Tizio un orologio d’epoca. Immaginiamo che non ci sia contestualità,
nel senso che non vi è stipula del contratto + immediato pagamento + consegna del bene, ma immaginiamo
ad esempio che l’orologio d’oro deve essere ripulito, allora l’antiquario dice a Caio “passa domani, io lo
ripulisco e domani te lo consegno e tu mi paghi il prezzo”. Qui il contratto di compravendita è già concluso
perché sappiamo che si conclude per effetto del consenso legittimamente manifestato.
Ora, immaginiamo che durante la notte dei ladri si introducano nel negozio di antiquariato e rubino
l’orologio, oppure immaginiamo che il negozio di antiquario durante la notte viene incendiato. Cosa accade?
- se ragionassimo come si ragiona per i contratti ad effetti obbligatori, dovremmo dire che l’impossibilità
sopravvenuta della prestazione di
consegnare l’orologio comporta
la risoluzione di diritto del
contratto
- invece per i contratti ad effetti reali, il ragionamento è diverso: è vero che la prestazione di consegna
dell’orologio non è più possibile per
impossibilità sopravvenuta (incendio o
furto), ma comunque il contratto è
perfezionato, quindi l’acquirente è
comunque obbligato a versare il prezzo
dell’orologio, pur non ricevendo
l’orologio.
Art. 1463 comma 3: “Se oggetto del trasferimento è una cosa determinata solo nel genere, l'acquirente non è liberato
dall'obbligo di eseguire la controprestazione, se l'alienante ha fatto la consegna o se la cosa è
stata individuata”.
La regola del principio consensualistico e della non risolubilità del contratto è portata
all’estreme conseguenze anche in caso di cosa determinata solo nel genere. Infatti, ad es. se io
compro 10 kg di grano che non è stato ancora consegnato ma è stato già individuato, ad es. il
grano è stato messo in sacchi di plastica e messo in un angolo del magazzino in attesa di
spedirlo il giorno dopo con un camion all’acquirente, ma, a causa di un fatto sopravvenuto di
caso fortuito o forza maggiore (non imputabile alla parte), non è possibile consegnare il
grano (ad es. il grano ha preso fuoco), la controparte è comunque tenuta a pagare il prezzo.
La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta per i contratti plurilaterali (art. 1466)
Nei contratti plurilaterali, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti:
- NON importa la risoluzione dell’intero contratto
- A MENO CHE la prestazione mancata debba considerarsi essenziale, secondo le circostanze.

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c) risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
L’ultima ipotesi di risoluzione disciplinata dal codice è la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Fonte: Artt. 1467 – 1469
Premessa: Partiamo da un’affermazione fondamentale: ogni contratto è per sua natura uno strumento di gestione dei
rischi. In ogni contratto, dal più elementare al più complesso, vi è SEMPRE un fattore di rischio che le parti
assumono.
Nei contratti a prestazioni corrispettive la cui esecuzione si estende nel tempo può succedere che il nesso
sinallagmatico originario subisca alterazioni rilevanti causate da eventi estranei alla sfera di controllo e
dominio delle parti.
Ora, la difficoltà sta proprio nell’individuare la soglia del rischio, cioè quando in un contratto il sopravvenire
di un certo evento imprevedibile estraneo alla sfera di controllo delle parti abbia una entità tale da:
- da squilibrare l'equilibro economico inziale tra le prestazioni, e quindi da modificare
profondamente il sinallagma
funzionale e debba comportare una
reazione da parte dell’ordinamento
(risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta)
- o da rientrare nell’alea normale del contratto, e dunque il legislatore ritenga di non dover
intervenire.
Naturalmente i rischi sono più alti quando il contratto è un contratto di durata: è chiaro che stipulare un
contratto di durata espone inevitabilmente le parti a un rischio: i prezzi cambiano, e il prezzo che potrebbe
essere molto conveniente per una parte, può diventare meno conveniente e viceversa.
Si tratta cioè di individuare quando questa alterazione, che in un contratto di durata è in qualche modo
fisiologica, diventa così incisiva da andare oltre quel rischio che è fisiologico in tutti i rapporti di durata.
Ratio: La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 è uno strumento di razionalizzazione del
traffico giuridico, che fa applicazione della nozione di diritto come “arte del buono e dell’equo”: se eventi
sopravenuti distorcano pesantemente l’equilibrio originario dello scambio, allora costringere la parte
svantaggiata a eseguire comunque la prestazione significherebbe alterare il programma negoziale, falsando
il ruolo del contratto come atto di autodeterminazione, essendo tale parte costretta a eseguire un contratto
sostanzialmente diverso da quello voluto al momento della stipula.
Ambito di applicazione: La disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è applicabile ai
contratti a prestazioni corrispettive, istantanei o di durata, la cui esecuzione si estenda nel
tempo (quindi non si esaurisca con lo scambio dei consensi), quindi si applica a:
a) ai contratti di durata
b) ai contratti a esecuzione differita rispetto al momento della stipula, ancorché siano
istantanei.
Es. di regola i contratti istantanei sono a esecuzione istantanea,
ma è possibile immaginare anche un contratto istantaneo ad
esecuzione differita, ad es. una compravendita in cui le parti
pattuiscano il differimento dell'esecuzione del contratto nel
tempo: oggi stipuliamo il contratto, ma il venditore
consegnerà il bene tra 6 mesi e l’acquirente pagherà tra
1 anno.
Requisiti: Quando il contratto è risolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta?
Leggendo il comma 1 dell’art. 1467, dice “Se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente
onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, allora…”.
Si parla quindi di un avvenimento straordinario ed imprevedibile che ha comportato l’eccessiva onerosità
di una prestazione.
Quindi, per essere rilevante ai fini della risolubilità, la sopravvenienza deve consistere in un avvenimento
sopravvenuto:
1) straordinario: l’avvenimento deve essere straordinario, cioè deve essere stato determinato da una
causa accidentale, nel senso che si tratta di una causa che non si verifica in via normale
2) imprevedibile: l'avvenimento deve essere imprevedibile, cioè, oltre che straordinario, deve essere
tale che, al momento della conclusione del contratto, un uomo medio non poteva
aspettarselo.
Se l’evento era prevedibile, allora NON sarebbe rilevante ai fini della risolubilità.
Perchè? La prevedibilità importa la deliberata assunzione del rischio correlato.

257
Es. l’inflazione oppure la norma fluttuazione dei prezzi sono eventi
di per sé prevedibili perché rientrano nei normali eventi di tutti i giorni,
quindi non darebbero luogo a risolubilità del contratto.
Tuttavia, la loro imprevedibilità può discendere dall’anomala entità del
fenomeno. L’inflazione è un evento prevedibile se non si discosta in modo
rilevante dall’antecedente trend, ma laddove si discosti in modo rilevante
potrebbe assumere i contorni dell’imprevedibilità.
Eccessiva onerosità: Lo squilibrio ha da dirsi eccessivo (vale a dire, si ha rottura del rapporto di
corrispettività economica tra i due arricchimenti) quando lo scarto tra le utilità di
una prestazione e le utilità della controprestazione sia tale che (nei riguardi di un
contraente) debba ritenersi frustrato lo scopo perseguito con il contratto stesso;
venga cioè a mancare per detto contraente l'interesse all'esistenza di quel contratto.
NON opera di diritto.
Azione di risoluzione: La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta NON opera MAI di diritto, ma opera solo in
seguito alla proposizione dell’azione di risoluzione da parte del contraente interessato.
Infatti, se si è verificato un avvenimento sopravvenuto straordinario ed imprevedibile che ha
reso eccessivamente onerosa la prestazione di una parte, allora la parte la cui prestazione è
divenuta eccessivamente onerosa PUÒ agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.
Sentenza costitutiva: La sentenza che accoglie la domanda di risoluzione ha efficacia costitutiva:
la risoluzione cioè dipende dalla pronunzia giudiziale la quale pertanto ne
forma il fatto costitutivo.
L’offerta di riduzione a equità: L’art. 1467 comma 3 prevede: la parte contro cui è stata proposta domanda di
risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ha la facoltà di paralizzare la domanda
offrendo di rivedere equamente le condizioni del contratto al fine di riequilibrare il
nesso sinallagmatico, quindi restaurando l’iniziale assetto economico dell’affare
secondo criteri equitativi.
Si parla di offerta di riduzione a equità del contratto.
Funzione: L’offerta di riduzione a equità ha la funzione di impedire l’accoglimento della
domanda di risoluzione del contratto. Essa è ovviamente condizionata dalla
possibilità di accogliere la domanda di risoluzione: infatti, qualora il giudice
ritenesse che la domanda di risoluzione sia infondata, di conseguenza sarà tenuto
a rigettare anche l’offerta di riduzione a equità.
Discrezionalità del giudice: Lo stipulante interessato che offre la riduzione a equità:
- NON è obbligato a indicare nel dettaglio il contenuto
dell’adeguamento
- infatti può rimettersi totalmente alla discrezionalità del
giudice per l’esatta individuazione delle
modifiche.
Scenari: L’offerta di modifica assume la struttura di una proposta contrattuale fatta dal
convenuto all'attore, anche se essa è contenuta nell’atto di comparsa in giudizio.
Qui possono verificarsi due ipotesi:
a) se l'attore dichiara di accettare l'offerta di modifica fatta dal convenuto, o
comunque, si giunge a costituire un accordo tra le due parti circa detta
modifica dei rapporti contrattuali, si avrà un vero e proprio contratto
b) se l'attore rifiuta l'offerta del convenuto, o, comunque, non si giunge
all'accordo tra le parti, allora il giudice:
- se accoglie la domanda di risoluzione, pronuncia sentenza di risoluzione
- se non accoglie la domanda di risoluzione, è tenuto a rigettare anche
l’offerta di riduzione a equità.
Analogia: L’offerta di riduzione a equità del contratto è un rimedio che abbiamo già visto in
caso di rescissione del contratto concluso in stato di bisogno, e infatti ha una
analoga funzione di salvataggio del contratto (favor contractus), in maniera da
neutralizzare l’insopportabile alterazione dell’equilibrio inizialmente fissato nella
lex contractus.
Meccanismi per riequilibrare automaticamente lo squilibrio contrattuale sopravvenuto
Per evitare il rischio che le prestazioni divengano squilibrate a causa di un evento sopravvenuto straordinario ed
imprevedibile, i privati o la legge stessa possono intervenire per dettare ex ante le condizioni per riequilibrare
automaticamente il contratto laddove si verificheranno tali eventi.

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E infatti è previsto che:
- le parti possono prevedere dei meccanismi giuridici utili a riequilibrare l’equilibro contrattuale che si era
alterato a seguito di eventi sopravvenuti. Es. per contrastare il fenomeno dell’inflazione
possono pattuire clausole di protezione
monetaria o di adeguamento automatico.
- la legge: in alcuni casi è proprio la legge a prevedere dei meccanismi specifici, come ad es. in materia di
appalto l’art. 1664 afferma che se per effetto di circostanze imprevedibili si verificano aumenti o
diminuzioni del costo dei materiali o della manodopera tali da determinare un
aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivamente
convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del
prezzo, la revisione può essere accordata solo per la differenza che eccede il
decimo.
Rischio in re ipsa e contratti aleatori
L’art. 1467 comma 2 afferma: “La risoluzione NON può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra
nell'alea normale del contratto”.
Per comprendere questo comma 2 dobbiamo ripartire dalla premessa iniziale: ogni contratto è per sua natura uno
strumento per gestirei rischi. In ogni contratto, dal più elementare al più complesso, vi è SEMPRE un fattore di rischio
che le parti assumono.
L'alea normale è il rischio fisiologico insito in QUALSIASI contratto, e soprattutto di ogni contratto di durata.
QUALSIASI contratto presenta una sua alea, un suo rischio; le parti contraenti sopportano il rischio per es. che il bene
che Tizio vende assume il rischio che un domani il bene possa aumentare di prezzo e quindi se ne gioverà Caio che ne
è diventato proprietario.
Ora, il punto è:
- fino a che si resta nell'alea normale, cioè nei rischi fisiologicamente connessi al contratto,
allora NON c'è nessuna forma di reazione da parte dell'ordinamento.
È questo che afferma l’art. 1467 comma 2: “La risoluzione NON può
essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea
normale del contratto”.
- ma se invece, a causa dell’evento straordinario e imprevedibile, si superano i limiti dell’alea normale,
allora la prestazione diviene eccessivamente
onerosa, prospettando il rimedio della
risoluzione del contratto per eccessiva
onerosità.
Contratti aleatori: Quando parliamo di alea, NON dobbiamo confondere l’alea con i contratti aleatori.
Infatti, sono due concetti diversi. Perché? Perché ad es. se ci fanno la domanda: ma la
compravendita è un contratto aleatorio? NO, la compravendita NON è un contratto aleatorio,
ma comunque ha un suo alea nomale (rischio fisiologico).
Il contratto è aleatorio quando è ab initio incerto:
- è incerto il se alla prestazione certa di una parte corrisponderà la controprestazione della
controparte
- oppure è incerto il quantum della prestazione
perché il se o il quantum di una o entrambe le prestazioni dipende da un evento futuro e incerto,
quindi sono contratti a elevata rischiosità.
Esempio: Esempio tipico è il contratto di assicurazione, nel quale mentre la prestazione dell’aderente
(pagamento del premio) è certa, mentre quella dell’assicuratore (pagamento
dell’indennizzo)è invece incerta.
NO risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta: L’art. 1469 ESCLUDE che ai contratti aleatori si
possa applicare la disciplina della risoluzione
per eccessiva onerosità sopravvenuta.
I contratti aleatori sono fuori dall’ambito di
tutela della risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta.
D’altra parte, se le parti assumono
coscientemente un rischio, poi non possono
lamentarsi che la sorte lo abbia reso o meno
oneroso per loro stesse.

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La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta per i contratti con obbligazioni a carico del
solo proponente (art. 1468 cc)
ECCEZIONALMENTEE il legislatore considera ammissibile la risoluzione per eccessiva onerosità:
- non soltanto ai contratti a prestazioni corrispettive
- ma anche per i contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (cd. contratti unilaterali).
L’art. 1468 si occupa della risoluzione per eccessiva onerosità in caso di contratto con obbligazione a carico del solo
proponente ex art. 1333 (cd. contratti unilaterali).
In questa ipotesi, la parte che ha assunto le obbligazioni divenute eccessivamente onerose per eventi sopravvenuti e
imprevedibili PUÒ: a) può chiedere una riduzione della sua prestazione
b) o può chiedere una modificazione nelle modalità di esecuzione della sua prestazione
sufficienti per ricondurla ad equità.

NO generico obbligo di rinegoziazione delle clausole contrattuali


Un ulteriore problema in tema di sopravvenienze è quello della rinegoziazione delle clausole contrattuali.
Se le parti hanno stipulato un contratto di durata ma durante l'esecuzione di esso si verifica un accadimento
straordinario ed imprevedibile tale da alterare l’equilibrio contrattuale tra le prestazioni, le parti hanno l’obbligo di
rinegoziare il contratto di durata per ricondurlo a equità?
Abbiamo già detto che è possibile per le parti inserire nel contratto una apposita clausola per riequilibrare
automaticamente lo squilibrio contrattuale alteratosi a causa di un evento straordinario ed imprevedibile
sopravvenuto nel corso dell'esecuzione del rapporto contrattuale.
Ma la domanda è: se le parti non hanno previsto alcuna clausola, come si ragiona?
Finora abbiamo visto che: di fronte ad una sopravvenienza straordinaria ed imprevedibile tale da alterare il sinallagma
funzionale tra le prestazioni corrispettive tra le parti, il sistema normativo si regge sul gioco tra:
a) il potere della parte svantaggiata di chiedere in giudizio la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
b) e il potere della parte contro cui è stata proposta la domanda di risoluzione di paralizzare la domanda
con l’offerta di riduzione a equità ex art. 1467 comma 3.
Ora, quello che ci chiediamo è: laddove non venga proposta domanda di risoluzione, si può ritenere che comunque in
generale sussista un obbligo per il contraente favorito dalla sopravvenienza di rinegoziare il contratto? Nel nostro
sistema esiste un vero e proprio obbligo generalizzato di rinegoziare le clausole contrattuali in assenza di una clausola
espressa delle parti?
- parte della dottrina ha provato ad immaginare che l’obbligo di rinegoziazione possa costruirsi partendo dai
principi di buona fede e di correttezza
- Minervini invece ritiene che NON esista un generalizzato obbligo di rinegoziare, perché il legislatore avrebbe
dovuto prevederlo espressamente.
Inoltre, a voler ragionare che sussista un generico obbligo di rinegoziare nel nostro ordinamento, si porrebbe un
ulteriore problema: e se l’obbligo di rinegoziare viene violato, che tutela ha l’altra parte? Che strumenti avrebbe per
reagire alla mancata rinegoziazione?
Quindi il problema dei rimedi:
- alcuni dicono che ci sarebbe spazio per il risarcimento del danno
- altri dicono che ci sarebbe spazio per il rimedio ex art. 2932 cc, cioè l’esecuzione in forma specifica
dell’obbligo a contrarre.
Qui Calvo immagina che se le parti sono obbligate l’una
nei confronti dell'altra a rinegoziare il contratto in ipotesi
di sopravvenienza straordinarie ed imprevedibili,
all'inadempimento dell'una possa far seguito il potere
dell'altra parte di chiedere al giudice una sentenza che
tenga luogo del contratto che si sarebbe dovuto
rinegoziare.

Presupposizione
Un ultimo problema in tema di sopravvenienze è quello della presupposizione.
La presupposizione è un istituto molto complesso che ha dato molti problemi in dottrina e non è mai stato risolto in
modo definitivo. Perché? Perché la presupposizione è una nozione che intreccia diversi temi civilistici:
- la risoluzione per eccessiva onerosità
- la condizione
- la rilevanza dei motivi

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Partiamo da una vicenda tratta dal diritto inglese da cui quest’istituto della presupposizione trae origine:
Tizio prende in locazione un balcone in un determinato giorno perché quel giorno, sotto quel balcone, deve passare la
parata per l'incoronazione del re. Tuttavia, la parata viene annullata e quindi Tizio si trovava ad aver preso un balcone
in locazione senza poter vedere la parata.
Qui si apre il problema: colui che ha preso in locazione il balcone è tenuto a pagare il corrispettivo oppure no,
considerando che naturalmente quella locazione è stata per lui improduttiva in quanto nulla si è svolto sotto quel
balcone?
Questo problema si è ripresentato qualche anno fa dinanzi al giudice italiano quando fu spostato il palio di Siena.
Anche in quest’occasione c’erano privati e imprese che a carissimo prezzo avevano preso in locazione i balconi che
affacciano su Piazza del Campo in modo da poter assistere alla corsa. Il Palio fu spostato, il problema è lo stesso.
NO codice: La presupposizione NON è presente nel codice ma è un istituto studiato dalla dottrina italiana a partire
dagli anni ‘30, sulle orme di quella tedesca.
Nozione: La presupposizione può definirsi come quella circostanza esterna incerta taciuta dalle parti ma data come
presupposto. La si definisce condizione non sviluppata o come presupposto non dichiarato perché indica
quel fatto o quella circostanza taciuta ma che ha un’importanza determinante ai fini della conservazione
del vincolo contrattuale.
Affinché una data circostanza acquisti rilevanza come presupposizione occorre che essa sia comune alle parti
o che una parte abbia riconosciuto l'importanza determinante che la circostanza assume per l'altra.
Come è stato affrontato il tema della presupposizione?
Per rispondere a questa domanda, Calvo parte dalla dottrina tedesca perché, secondo Calvo, la dottrina tedesca è
quella che ha raggiunto il più alto livello di elaborazione teorica sulla presupposizione.
L’elaborazione tedesca in tema di presupposizione
L’elaborazione tedesca sulla presupposizione ha subito una lunga evoluzione fortemente influenzate dalle vicende
storiche che si sono susseguite:
- 1° tappa: la presupposizione in chiave soggettivistica
La dottrina tedesca di fine Ottocento si basava sulla teoria della presupposizione in chiave
soggettivistica: si riteneva che la presupposizione fosse una sorta di “condizione risolutiva tacita
non sviluppata”.
Perché? La dottrina diceva:
- se nel contratto le parti prevedono espressamente una condizione risolutiva espressa del
tipo “prendo in locazione il balcone di Caio pagandogli 100 euro a condizione che
quel giorno sotto quel balcone passi la parata del re”, allora nulla quaestio, si
tratterebbe di una condizione risolutiva espressa inserita nel contratto: l’evento
condizionante è lo svolgimento della parata, per cui, se la parata non dovesse
svolgersi, il contratto sarà inefficace.
- se invece le parti non lo hanno espressamente previsto, comunque per la dottrina tedesca
si trattava di una condizione risolutiva ma tacita, che comunque avrebbe prodotto
gli stessi effetti di una condizione espressa.
Questa era la presupposizione.
• Perché si parla di presupposizione in chiave soggettivistica? Dove sta questa “soggettivismo”?
Perché secondo la dottrina tedesca, è vero che la presupposizione andava ricostruita come
una condizione risolutiva tacita, ma c’era una differenza con la condizione vera e propria:
- condizione: è un evento futuro e incerto
- presupposizione: è un evento futuro e soggettivamente certo, poi contraddetto dalla realtà
fattuale.
Critica: Tale elaborazione tedesca è stata però molto criticata. E perché? Perché è stato detto: se la
presupposizione va considerata come una condizione tacita non sviluppata, il problema è che la
teoria soggettivistica della presupposizione, utilizzando questo stratagemma della condizione
tacita, finisce con l’assegnare rilevanza giuridica al motivo, cioè alla sfera interna dei contraenti.
È una finzione: si finge che ciò che le parti non hanno voluto in realtà sia tacitamente voluto.
Quindi è una finzione dire che la presupposizione sia una condizione tacita.
- 2° tappa: la presupposizione in chiave oggettiva. La teoria del fondamento negoziale
Il tema della presupposizione ritorna di attualità nel primo dopoguerra. Perché? Perché, per effetto
degli sconvolgimenti economici generati dalla Prima guerra mondiale, le Corti tedesche furono
costrette a risolvere il problema legato all’incidenza della inflazione economica sull’equilibrio
sinallagmatico dei contratti di durata che inevitabilmente favoriva consistentemente una parte a
scapito dell’altra.

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Le Corti tedesche cambiano approccio, iniziano a ricostruire la presupposizione:
- NON più con in chiave soggettivistica
- ma in chiave oggettiva-pratica adottando la teoria del fondamento negoziale.
Secondo la teoria del fondamento negoziale, la presupposizione:
- NON è una condizione risolutiva tacita
- NON è un evento futuro e soggettivamente certo
- NON è un motivo
- ma è il fondamento negoziale del contratto: la presupposizione è quella situazione di fatto
che funge da fondamento negoziale oggettivo
presupposto per le parti: durante la formazione del
contratto le parti hanno considerato e presupposto
quella situazione di fatto, pur non facendone alcun
riferimento esplicito nel contratto stesso.
Conseguenza: La dottrina tedesca, partendo dalla teoria del fondamento negoziale, arriva ad
agganciare la presupposizione alla risoluzione per eccessiva onerosità . Perché?
La dottrina tedesca afferma: alla presupposizione è possibile applicare la disciplina
della risoluzione per eccessiva onerosità del contratto perché, se è vero che la
presupposizione costituisce il fondamento negoziale del contratto, se poi il
fondamento negoziale viene alterato, allora tale alterazione giustifica la risoluzione del
rapporto a causa del sopravvenuto evento imprevisto che ha alterato la situazione.

L’elaborazione italiana in tema di presupposizione


In Italia, nonostante le critiche e le perplessità, l’opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza ammette
l’operatività della presupposizione anche nel nostro ordinamento, nonostante il codice taccia.
Anche la nostra dottrina propende per la teoria del fondamento negoziale oggettivo: la presupposizione è quella
situazione di fatto comune alle parti che funge presupposto del regolamento di interessi stabilito dalle parti.
La conseguenza è che in caso di sopravvenienze che alterano la situazione presupposta, allora il contratto può essere
risolto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Esempio: L’esempio ricorrente è l’ipotesi della locazione di un balcone per il giorno del Palio in Piazza del Campo a
Siena. È evidente che se le parti hanno concluso un accordo in base al quale, a fronte della corresponsione di
una determinata somma di denaro, viene consentito l’accesso alle finestre ed ai balconi di una casa che
affaccia su Piazza del Campo, pur senza menzionare che ciò avviene allo scopo di poter assistere alla storica
competizione, questo elemento è comunque tale da investire l’intera pattuizione.
Le parti, nella conclusione del contratto, non possono non aver tenuto in considerazione alcuni aspetti,
nonostante non vi abbiano fatto esplicita menzione.
Giurisprudenza: Secondo quale teoria la giurisprudenza italiano è riuscita a dare rilevanza alla presupposizione?
La giurisprudenza italiana, con una serie di sentenze, ha dato rilevanza all’istituto della
presupposizione con teorie diverse, non sempre convincenti.
Le teorie della dottrina e della giurisprudenza sono state molteplici:
- teoria della clausola
rebus sic stantibus: parte della dottrina e della giurisprudenza individuano il fondamento della
presupposizione nella regola secondo cui ogni rapporto contrattuale sarebbe
legato alla clausola rebus sic stantibus, cioè alla permanenza del rapporto
tra prestazioni secondo l’assetto originario voluto dalle parti.
Pertanto, il venir meno della situazione di fatto originaria presupposta dalle
parti comporta il diritto di domandare in giudizio la risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta.
Critica: Tale tesi è criticata da chi ritiene che:
- tale teoria confonde la presupposizione e la sopravvenienza
- sulla base di tale teoria, la presupposizione finirebbe per avere
un’applicazione limitata in quanto si riferirebbe solo ai contratti di
cui all’art. 1467 cc (cioè contratti di durata o di esecuzione
differita), e produrrebbe effetti sul vincolo contrattuale solo ove
la sopravvenienza presentasse i caratteri dell’imprevedibilità e
della straordinarietà.
La critica dice: questa teoria cerca di adattare le norme sull'eccessiva
onerosità sopravvenuta alla presupposizione, ma è una evidente forzatura
perché, se è vero che c’è stato un evento sopravvenuto imprevedibile,

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non è sempre vero che le prestazioni hanno subito un mutamento di
valore economico.
Es. nel caso del rinvio del palio di Siena, tu che avevi locato il balcone puoi
comunque andare sul balcone e goderti la giornata, quindi non ci
sarebbe alcuna caratteristica propria dell'eccessiva onerosità.
Ma questo in realtà è contestabile, perché si può dire: Tizio non avrebbe
mai pagato 100.000 per prendere in locazione il balcone in un giorno
normale senza il palio di Siena, perché il balcone in un giorno normale
costerebbe 500, mentre invece Tizio lo ha pagato 100.000 per vedere il
palio di Siena.
- teoria dell’errore vizio: altra teoria giurisprudenziale ha proposto di agire lavorando sulla disciplina
dell’errore. Secondo tale tesi, se viene meno l’originaria situazione di fatto
presupposta dalle parti, la presupposizione determinerebbe lo scioglimento
del vincolo come se fosse un errore sul motivo.
Sempre in questa tesi, altri ritengono che la sopravvenienza di circostanze
impreviste integra un errore di previsione.
Critica: Anche questa tesi è molto discutibile perché:
- tale tesi avvicina la presupposizione all’errore sul motivo, che di per sé è
irrilevante
- l'errore di previsione non è un errore essenziale, quindi è irrilevante.
Quindi la via dell'errore, e cioè la possibilità di
chiedere l'annullamento del contratto per errore
di previsione, perché io avevo previsto che quel
giorni si faceva il palio ma in realtà non si è fatto,
è estremamente difficile da sostenere.

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