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SEZIONE 1 – La nozione di contratto

Il legislatore del 1942 è stato impreciso nel definire il concetto di contratto: muovendo dalla premesso
che l’art. 1321 e l’art. 1325 disciplinano la medesima fattispecie indicandone ciascuno i requisiti necessari
e sufficienti, e considerando che i requisiti necessari e sufficienti di un fatto definiscono il fatto
medesimo, si può concludere che le definizioni date rispettivamente dall’art. 1321 e 1325 sono in
sostanza identiche e che, quindi, uno dei due articoli è superfluo.

L’art. 1321 identifica il contratto con un unico elemento: l’accordo; e l’accordo verte sulla costituzione, il
regolamento o la estinzione di un rapporto patrimoniale.

Il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto
giuridico patrimoniale

L’art. 1325 ridefinisce il contratto elencandone 4 elementi costituenti, fra cui l’accordo e la causa.

I requisiti del contratto sono: 1) l'accordo delle parti; 2) la causa; 3) l'oggetto; 4) la forma, quando
risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità

L’art. 1325 è un articolo inesatto, perché, pur affermando l’esistenza di 4 requisiti validi per tutti i
contratti, in realtà non disciplina l’ipotesi del CONTRATTO UNILATERALE (che non presuppone un
accordo).

→ CONCLUSIONE: o il contratto unilaterale non è un contratto o il 1325 elenca dei requisiti validi solo
per il contratto sinallagmatico o bilaterale → il Sacco propende per la seconda ipotesi.

La definizione comune di contratto è poi criticabile anche dal punto di vista di:

a) SINGOLI REQUISITI (ex 1325)

 ACCORDO:
Non sempre il contratto si articola su due dichiarazioni. Se per accordo si intende l’incontro di due
o più dichiarazioni, il testo di legge è impreciso.
Alcune volte, infatti, si parla di contratto in presenza di una sola dichiarazione ex 1333 (proposta);
altre volte si parta di contratto in assenza totale di dichiarazione (contratti di fatto).
→ L’accordo comunemente concepito come incontro di dichiarazioni NON è un requisito generico
di tutti i contratti.
 CAUSA:
Esistono i contratti astratti, cioè validi indipendentemente dall’esistenza della causa
 FORMA:
Non tutti i contratti sono formali
 OGGETTO:
Le prestazioni sorgenti da un contratti (ex 1321) devono essere rivolte alla costituzione,
regolamentazione o estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale.
→ In realtà il vincolo al rispetto di tale ambito (cd patrimonialità del rapporto giuridico) NON esiste.
Infatti si parla di contratti con cui si dispone del proprio corpo (ex art 5) e ciò in chiara contraddizione
con l’art. 1325.

ESEMPIO. Confrontiamo con la definizione del contratto l’accordo, in virtù del quale taluno dichiara e
promette ad altri che accetta di tollerare alcunché. L’atto permissivo non formale con cui si promette la
tolleranza non vincola il permittente, che potrà ritrattare il consenso quando vorrà (mancano dunque
gli effetti caratteristici del contratto). Tuttavia, finché il permesso non sia revocato, la tolleranza inciderà
su determinati rapporti (es. Se il proprietario consente ad altri di attraversare il fondo, l’ingerenza
tollerata non si considera lesiva della proprietà). Si deve dire quindi che la permissione regola,
modificandolo, il rapporto giuridico intercorrente fra il proprietario e la persona facoltizzata. Abbiamo
così un accordo, avente ad oggetto il regolamento di rapporti patrimoniali, produttivo di effetti, MA
tuttavia improduttivo degli effetti caratteristici del contratto (la tolleranza sarà revocabile a piacere).
Quindi l’accordo di tolleranza non è un contratto e si riduce ad uno schema diverso, cioè quello del
consenso dell’avente diritto. Se però le parti si proponevano di raggiungere soltanto gli effetti del
consenso revocabile, allora abbiamo una coincidenza perfetta tra effetti del consenso dell’avente diritto
ed effetti caratteristici del contratto → l’accordo di tolleranza coinciderebbe con la figura del contratto
di quando in quando.

b) FUNZIONE

Dal cc si deduce che deve considerarsi contratto SOLO l’atto giuridico che in presenza dei requisiti ex
1325 persegue lo scopo (ex art 1321) di regolare rapporti giuridici patrimoniali → se stanno così le cose,
tutti gli altri atti giuridici non sono contratti.

MA esistono contratti unilaterali (senza accordo), contratti nulli (con causa illecita), contratti di fatto,
contratti che producono effetti extrapatrimoniali (art. 5) → forme di contratti che non rispettano la
funzione astrattamente imposta dalla legge ai contratti.

c) VALIDITA’

Poiché dal cc si deduce che è nullo il contratto privo dei suoi requisiti essenziali ex art 1325, e poiché si
è dimostrato che molti sono i contratti che rendono superflua, ai fini della loro esistenza, la rigorosa
applicazione del 1325, il legislatore ha ancora una volta peccato di imprecisione.

→ Per definire nullo un contratto va analizzato il caso specifico e l’eventualità che non si possano
produrre gli effetti caratteristici di quel negozio a causa della mancanza dei requisiti tipici di quel
contratto.

CONCLUSIONI
Per mettere ordine in questa imprecisa regolamentazione della materia, il Sacco propone di stabilire
una regola, per poi specificarla ricorrendo ad eccezioni.
La regola definirebbe il contratto sinallagmatico tradizionale, fondato su un accordo-scambio di
dichiarazioni, che persegue lo scopo di costituire rapporti giuridici patrimoniali, con una causa, e
capace di produrre i suoi effetti.
Le eccezioni sarebbero le seguenti:
- Eventuale unilateralità del contratto senza accordo-scambio, fondato su un’esecuzione
eventuale
- Eventuale effetto modificativo o estintivo del rapporto giuridico patrimoniale
- Eventuale non patrimonialità
- Eventuale assenza di causa
- Eventuale nullità o annullabilità

Le fonti del diritto italiano dei contratti sono le normali fonti del diritto in vigore in Italia. Troveremo
quindi norme comunitarie (trattati e regolamenti) e norme nazionali (costituzione, norme ordinarie,
norme sublegali).
Norme di origine comunitaria:

- Regole sulla pubblicità scorretta → legge 223/1990, d.m. 425/1991, d.lgs. 74/1992, d.lgs. 67/2000
- Regole sui contratti conclusi fuori dei locali commerciali del contraente forte → d.l. 50/1992
- Regole sulle clausole abusive → legge 52/1996
- Regole sulla protezione dei consumatori nei contratti a distanza → d.lgs. 185/1999
- Regole sulla garanzia prestata dal venditore di beni di consumo → dir. CE 99/44, d.lgs. 24/2002
- Regole sul commercio elettronico → dir. CE 2000/31

Norme nazionali:

- Costituzione
- Codice civile
- Leggi in tema di concorrenza → legge 287/1990
- Leggi in tema di strumenti informatici e telematici → d.p.r. 513/1997
- Leggi in tema di protezione del consumatore e dell’utente → legge 281/1998

Gli usi potranno avere una rilevanza singolare.

Il rapporto contrattuale ha vocazione a stabilirsi sia fra persone vicine sia fra persone lontane → il
contratto avrà quindi bisogno di una regola applicabile a parti agganciate ad ordinamenti diversi. Si
occuperà di queste ipotesi il diritto internazionale privato.

Dominano anche le norme convenzionali uniformi, come la convenzione di Vienna sulla vendita
internazionale di cose mobili.

SEZIONE II – La conclusione dell’accordo


CAPITOLO 1 – ACCORDO E FORMAZIONE BILATERALE DEL CONTRATTO
Il problema
Il contratto è definito come un negozio a formazione bilaterale o plurilaterale, ossia come la somma
di tante dichiarazioni quante sono le parti → la definizione comune di contratto prevede
necessariamente la bilateralità. Il contratto è il negozio bilaterale per eccellenza, dove per bilateralità
si intende lo scambio di dichiarazioni.
Il Sacco vuole dimostrare che la bilateralità non è mai stata un requisito di tutti i contratti.
Lo è per i contratti sinallagmatici, dove gli effetti del contratto sono bilaterali, dove sorgono
obbligazioni per entrambe le parti.
La bilateralità nella formazione del consenso manca nei contratti unilaterali (ex 1333), che
tendono ad imporre obblighi ad una sola delle parti.
Il Sacco afferma che esistono contratti che si perfezionano senza bisogno dello scambio di
dichiarazioni, ma con la semplice promessa → principio della lesione patrimoniale ingiusta, secondo
cui nessuno può essere impoverito senza il suo consenso
La dottrina tradizionale afferma la necessità dello scambio di dichiarazioni per l’esistenza del
contratto. L’accettazione è necessaria anche nei contratti che si fondano sulla semplice promessa di
creare un vantaggio alla controparte → principio di sovranità formale, secondo cui la sfera giuridica
di un soggetto non può essere alterata né in peggio né in meglio dalla dichiarazione unilaterale altrui.
Il nostro sistema si incardina sulla regola che il legato (il quale consta di soli elementi attivi) si acquista
senza bisogno di accettazione, mentre l’eredità (in quando può constare di elementi attivi e passivi)
non si acquista senza accettazione.
Che ruolo ha il silenzio nella vicenda del consenso contrattuale?
1) Se consideriamo il silenzio come comportamento omissivo da valutare in relazione a tutte le
circostanze di fatto del caso concreto, possiamo giungere ad identificare il silenzio come
comportamento concludente, equivalente ad accettazione tacita.
2) Se non riconosciamo al silenzio altro valore se non quello di mera inerzia, senza esprimere giudizi
di valore in relazione alle circostanze di fatto del caso concreto, se cioè adottiamo il criterio del
silenzio semplice (o semplicemente considerato), non si può parlare né di accettazione tacita né di
rifiuto tacito. Il requisito della bilateralità risulta compromesso poiché il contratto resta costituito da
una semplice promessa sotto forma di dichiarazione unilaterale.

L’art. 1333 e il sistema


Il contratto, visto come fonte di affidamento, si può realizzare in modo indipendente
dall’accettazione.
La concezione del contratto come manifestazione di autonomia del dichiarante è neutra rispetto alla
necessità di un’ulteriore accettazione. È segno di autonomia:

 La validità della promessa unilaterale


 Il potere di impedire l’efficacia della promessa altrui
 Il potere di emettere un’accettazione necessaria per la completezza della fattispecie

Contratto e impegno unilaterale


Con l’art. 1333, comma 2, la fattispecie più elementare destinata ad operare nel campo contrattuale
diviene la dichiarazione d’impegno come atto a formazione unilaterale.
Il Sacco ricostruisce sulla base del cc la disciplina del contratto, distinguendo in quali casi la bilateralità
(scambio di dichiarazioni) è indispensabile per il perfezionamento e in quali casi è sufficiente la sola
promessa (dichiarazione unilaterale).
La bilateralità nella formazione del contratto si riscontra in:

 Contratti sinallagmatici
 Contratti reali (lo scambio di dichiarazioni è lo scambio di atti di esecuzione)
 Contratti con effetti reali (contratti che esigono un ulteriore accordo esecutivo che si fonde e
si sovrappone alla promessa)
 Donazioni formali
La bilateralità non si riscontra in tutti gli altri casi:

 Donazione per causa di nozze


 Assunzione senza corrispettivo di debito altrui
→ Accollo, fideiussione
 Promessa di dare una garanzia per sé o per altri senza corrispettivo
 Promessa reclamistica
 Promessa rivolta causa solvendi
→ promessa di non costruire che rivolgo al mio vicino in ottemperanza di conforme
impegno assunto nei confronti del suo o del mio dante causa
 Promessa rivolta per la realizzazione dei fini statutari del promittente
→ Offerta di pernottamento gratuito in rifugio rivolta da un club alpinistico ai propri
soci
 Promessa condizionata ad un evento, favorevole al promittente
→ Se Tizio e Caio convengono che il primo svolga un’attività a favore di Caio e il
secondo lo remuneri, abbiamo un contratto bilaterale (promessa con repromissione).
Può però avvenire che Caio prometta a Tizio di remunerarlo se questi avrà svolto
quella certa attività e Tizio, pur senza impegnarsi previamente, svolga di fatto l’attività
medesima
NB Se io prometto a condizione che Tizio presti, avrò una dichiarazione unilaterale. Se
io prometto a condizione che Tizio si impegni a prestare, avrò una proposta di
contratto bilaterale, che diverrà operante solo se Tizio effettuerà la repromissione

Ciò che distingue il contratto dal negozio unilaterale è la possibilità o meno di rifiutare gli effetti
positivi che sono la conseguenza di un sacrificio patrimoniale unilaterale.

Unilateralità e contratto non si escludono (fideiussione ed espromissione si perfezionano con il


silenzio del promissario)

Se la dottrina tradizionale considerava come limite dell’ambito contrattuale la necessità di


accettazione, per il Sacco tale limite è spostato, nel senso che siamo ancora nell’ambito contrattuale
quando, in mancanza dell’accettazione, è possibile il rifiuto.

Promessa di cui all’art. 1333 e promesse unilaterali


Le promesse unilaterali sono regolate dal codice dall’art. 1987 all’art 1991 cc. Eliminiamo subito l’art.
1988 perché prevede fenomeni privi di rilievo sostanziale: o la promessa astratta di pagamento,
nonché la ricognizione di debito, si appoggiano su una preesistente fonte di obbligazione (e allora
l’obbligazione deriverà da tale fonte), o tale fonte manca, e allora la promessa astratta (nonché la
ricognizione) non servirà a creare l’obbligazione, producendo semplicemente, sul piano processuale,
un’inversione dell’onere della prova.
Art. 1988 cc - Promessa di pagamento e ricognizione di debito
La promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta
dall'onere di provare il rapporto fondamentale. L'esistenza di questo si presume fino a prova
contraria

Fuori dalla promessi di pagamento e ricognizione di debito, il codice regola esclusivamente la


promessa al pubblico ex art. 1989

Art. 1989 cc - Promessa al pubblico


Colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una
determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena
questa è resa pubblica.
Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della
medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l'anno dalla promessa non gli sia stato
comunicato l'avveramento della situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa.

L’art. 1987 presenta le promesse unilaterali come tipiche: i soli tipi regolati dalla legge sono poi i titoli
di credito e la promessa al pubblico.

Art. 1987 cc – Efficacia delle promesse


La promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi
dalla legge.

Secondo la dottrina, le promesse non accettate non producono effetto; eccezionalmente, le promesse
al pubblico producono effetto senza accettazione.
Secondo il Sacco, il legislatore e la dottrina sono caduti in un errore di classificazione, quando hanno
affermato la tipicità delle promesse unilaterali obbligatorie ↓
L’art. 1333 eleva a contratto la proposta che mira ad imporre obbligazioni al solo proponente. Questa
proposta, dato il suo effetto vincolante, e dato il suo carattere unilaterale, è senz’altro una promessa
individualizzata, ammessa con i consueti limiti dipendenti dal duplice requisito della causa lecita, e
del potere di rifiuto del destinatario. La proposta può essere, per espressa disposizione di legge,
individualizzata, o rivolta al pubblico ex art 1336.

Art. 1336 cc – Offerta al pubblico


L'offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è
diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.
La revoca dell'offerta, se è fatta nella stessa forma dell'offerta o in forma equipollente, è efficace
anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia.

Ipotizziamo ora una proposta del tipo di cui all’art. 1333, rivolta al pubblico. Gli artt. 1333 e 1336 ne
garantiscono l’efficacia e l’autosufficienza. Una tale proposta null’altro è se non la promessa al
pubblico, di cui all’art. 1989 → l’art. 1989 è una ripetizione dei risultati cui si perverrebbe in forza del
combinato disposto degli artt. 1333 e 1336.
Così come l’art. 1333 assegna efficacia alla promessa individualizzata, l’art. 1336 estende questa
efficacia alla promessa al pubblico.
Differenze fra il regolamento della promessa individualizzata e quello della promessa al pubblico:

 La promessa al pubblico sembra essere valida solo se rivolta a favore di “chi si trovi in una
determinata situazione o compia una determinata azione” (→ restrizione dell’autonomia del
promittente)
 La promessa al pubblico sembra essere svincolata dal requisito della causa non liberale, che
deve invece sussistere perché la promessa individualizzata non solenne o non accettata
produca effetto
 La promessa al pubblico non sembra essere paralizzabile dal rifiuto, a differenza della
promessa individualizzata
 La revoca della promessa al pubblico sembra soggiacere a regole peculiari
Secondo Sacco tali differenze sono solo apparenti → il requisito della promessa, per cui essa deve
essere rivolta a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione,
costituisce semplicemente il modo per escludere ogni efficacia della promessa al pubblico fondata su
causa meramente capricciosa.
→ la limitazione apparentemente soggettiva, di cui all’art. 1989, coincide nel caso normale con una
limitazione tendente ad escludere l’efficacia della promessa se manca un interesse serio del
promittente o un’altra causa diversa dalla liberale, che giustifichi la promessa medesima.
A prima vista, la promessa al pubblico differisce dalla proposta dell’art. 1333 perché, a differenza di
questa, non può essere rifiutata dal beneficiario → Secondo Sacco questa differenza è soltanto
apparente → se il quisque de populo, beneficiario di una promessa rivolta al pubblico, non intende
profittare del vantaggio che gli è attribuito, di fatto otterrà il risultato voluto non rivelandosi. Ma, se
per avventura venisse emesso un vero e proprio rifiuto, secondo Sacco non dovrebbe essere ritenuto
inefficace.
Analogamente Sacco esclude che la revoca della promessa al pubblico segua regole diverse dalla
revoca della promessa individuale → secondo l’art. 1333 la promessa individuale è irrevocabile non
appena perfetta in virtù della recezione o conoscenza. Secondo l’art. 1989 l’irrevocabilità dipende
dalla perfezione della promessa, consistente nell’essere quest’ultima rega al pubblico (simmetria
evidente). L’art. 1990 ammette una revoca per giusta causa della promessa unilaterale. Secondo Sacco
la norma contenuta in questo articolo esiste ed è nota anche fuori dal campo delle promesse al
pubblico. L’art. 1990, autorizzando la revoca per giusta causa, e così esprimendo una regola tanto
elastica quanto è elastica l’idea di giusta causa, ha predisposto l’applicabilità delle norme sulla revoca,
sul recesso, sul venir meno dell’interesse, sull’eccessiva onerosità, sul difetto sopravvenuto di causa,
quali sono contenute nelle norme sui singoli contratti tipici nelle norme sui contratti in genere.

Art. 1990 cc – Revoca della promessa


La promessa può essere revocata prima della scadenza del termine indicato dall'articolo
precedente solo per giusta causa, purché la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della
promessa o in forma equivalente.
In nessun caso la revoca può avere effetto se la situazione prevista nella promessa si è già verificata
o se l'azione è già stata compiuta.
L’art. 1333 e il contratto formale
L’art. 1333 disciplina anche i contratti formali? Il silenzio dell’oblato può perfezionare un contratto
formale?
Secondo la dottrina, premesso che il silenzio vale accettazione tacita e premesso che i contratti
formali richiedono l’accettazione espressa, l’art. 1333 NON disciplina i contratti formali.
La Corte di cassazione ha affermato l’applicabilità dell’art. 1333, comma 2 ai contratti formali, e nei
casi concreti ha dichiarato efficace una prelazione immobiliare non accettata e un atto traslativo
solutorio non accettato.
→ Secondo Sacco, premesso che il silenzio non significa accettazione e premesso che i contratti
formali richiedono la forma per la sola proposta, l’art. 1333 disciplina senz’altro i contratti formali.

Proposta di cui all’art. 1333 ed effetti extraobbligatori (reali)


L’art. 1333 parla di contratto a effetti obbligatori. È applicabile anche se il contratto ha effetti reali?
Il problema è questo: l’art. 1333, che restringe il proprio campo ai contratti ad efficacia obbligatoria
(che tendono a costruire diritti di credito), è solo un residuo del linguaggio formatosi allorché tutti i
contratti producevano effetti soltanto obbligatori, oppure deve essere interpretato in modo letterale,
escludendone l’applicabilità a quelle proposte che mirano a produrre effetti reali (che tendono a
costituire, modificare o estinguere diritti reali)?
→ La risposta del Sacco è in senso rigorosamente letterale: i contratti ex art. 1333 possono solo
produrre effetti obbligatori. Il non rifiuto non è sufficiente a perfezionare il contratto che tende a
produrre effetti reali.

Artt. 2821 e 1350 → efficacia extraobbligatoria dell’atto non accettato


Art. 2821 cc – Concessione di ipoteca
L'ipoteca può essere concessa anche mediante dichiarazione unilaterale. La concessione deve farsi
per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità.
Non può essere concessa per testamento
Secondo l’art. 2821, l’ipoteca può essere concessa mediante dichiarazione unilaterale. Anche se
questa dichiarazione non è considerata come un contratto, rimane il fatto che l’ipoteca può essere
acquistata negozialmente senza che intervenga il consenso dell’acquirente.

Art. 1350 cc – Atti che devono farsi per iscritto


Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili [812];
2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili,
[978], il diritto di superficie [952 ss.], il diritto del concedente [960] e dell'enfiteuta [959];
3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti [1100 ss.];
4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali [1027 ss., 1058], il diritto di uso [1021
ss.] su beni immobili e il diritto di abitazione;
5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti;
6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico [971];
7) i contratti di anticresi [1960 ss.];
8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni [1572];
9) i contratti di società [2247 ss., 2251] o di associazione [2549] con i quali si conferisce il godimento
di beni immobili [812] o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un
tempo indeterminato;
10) gli atti che costituiscono rendite perpetue [1861 ss.] o vitalizie [1872 ss.], salve le disposizioni
relative alle rendite dello Stato;
11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari [713 ss., 1111 ss.];
12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei
numeri precedenti
L’art. 1350 non prova nulla: la rinuncia a diritti reali è sottoposta a regole autonome e diverse rispetto
a quelle proprie del contratto. A queste rinunzia non si applica l’art. 1333 e il controinteressato del
rinunciante non ha potere di rifiuto. Perciò l’art. 1350 è estraneo alla questione che abbiamo sotto gli
occhi.
Artt. 649 e 785 → possibilità di un acquisto precontestuale della proprietà: il soggetto non
Art. 649 cc – Acquisto del legato
Il legato si acquista senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare.
Quando oggetto del legato è la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al
testatore, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del
testatore.
Il legatario però deve domandare all'onerato il possesso della cosa legata, anche quando ne è stato
espressamente dispensato dal testatore

Art. 785 cc – Donazione in riguardo di matrimonio


La donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da
altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno
che sia accettata, ma non produce effetto finché non segua il matrimonio.
L'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione. Restano tuttavia salvi i diritti
acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della
sentenza che dichiara la nullità del matrimonio. Il coniuge di buona fede non è tenuto a restituire i
frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio.
La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli
effetti del matrimonio putativo

→ Secondo Sacco l’art. 1333 dispensa dall’accettazione nei casi in cui non vi è presumibilmente
motivo di credere che l’acquisto nuoccia all’oblato.
Se già sussiste il consenso dell’acquirente all’appropriazione, o se sussiste un interesse precostituito
e tipico dell’oblato all’appropriazione, gli argomenti più convincenti sono a favore dell’efficacia
traslativa reale della procedura di cui all’art. 1333.
CAPITOLO 2 – CONSENSO, SILENZIO E DICHIARAZIONE TACITA
Le cosiddette dichiarazioni tacite in genere
Il significato di dichiarazione tacita si identifica di regola con il comportamento concludente, ossia il
compimento di atti di esecuzione che palesano una volontà di accettazione che equivale ad una
dichiarazione espressa.
Altre volte, la dichiarazione tacita si identifica con il silenzio, ma ciò avviene solo:
 Nei casi previsti dalla legge
 Quando si attribuisce al silenzio il valoro di accettazione, sulla base di un accordo precedente
tra le parti
È pacifico che nessuno può unilateralmente attribuire un significato particolare al silenzio altrui.

Il silenzio circostanziato nella dottrina


Il giudice, nel caso in cui la conclusione del contratto sia subordinata ad un consenso, può desumere
tale consenso dal silenzio di un soggetto e dalle circostanze che lo accompagnano (cd silenzio
circonstanziato)?
Il problema è circoscritto all’ipotesi in cui viene richiesto il consenso della controparte, cioè viene
richiesta l’accettazione, ponendo come condizione di partenza che il contratto sia a formazione
bilaterale.
→ Dottrina e giurisprudenza affermano che il silenzio può significare consenso.
La dottrina suole osservare che:

 La manifestazione del consenso è tale in relazione al risultato, cui essa tende, di rendere
conoscibile l’intento del soggetto
 Non si può prestabilire quale comportamento umano abbia intrinsecamente le qualità adatte
a tale scopo
 Tanto una condotta positiva come una condotta negativa può servire, a seconda delle
circostanze, a rendere noto il consenso del soggetto
Il silenzio, secondo la dottrina, produrrebbe l’effetto di una dichiarazione in quanto è dichiarazione
ogni comportamento che di fatto sia idoneo a manifestare, e il silenzio circostanziato sarebbe, per la
sua rilevanza sociale, ideo a tal fine.

Il Sacco fa notare che il contratto si conclude con il silenzio solo nei casi stabiliti dalla legge → il
silenzio è rilevante solo quando la legge obbliga la controparte a parlare e questa non ha parlato →
il valore del silenzio dipende da una scelta convenzionale del legislatore.
QUINDI: il legislatore ha adottato due criteri di conclusione del contratto:
(1) Criterio fondato sullo scambio di dichiarazioni proposta-accettazione
(2) Criterio fondato su una fattispecie più semplice, perfezionata dalla sola proposta che
produce i suoi effetti a meno che la controparte non la rifiuti → SOLO in questo caso il
silenzio ha una certa rilevanza giuridica
La giurisprudenza
Una massa imponente di sentenze ribadisce il principio fondamentale secondo cui il silenzio, da solo,
non vale consenso; salve le singole eccezioni alla regola, ravvisabili allorché chi tace poteva e doveva
parlare.
Secondo la giurisprudenza, l’obbligo di parlare è desumibile da:
 Legge
 Consuetudini, usi, uso comune
 Contratto precedente fra le parti
 Sistema invalso tra le parti, che si desume dai particolari rapporti intercorsi precedentemente
fra di esse
 Speciale correttezza e buona fede dei rapporti tra le parti

La giurisprudenza ha identificato 2 ambiti in cui può operare il silenzio:


1) Aggiunta di nuove clausole (che affermano un diritto o negano il diritto altrui) al contratto
originario già concluso
2) Inadempimento del contratto, ossia comportamento in obbiettivo contrasto con i doveri
derivanti dal rapporto
All’ipotesi 1) la giurisprudenza afferma che il silenzio non può valere accettazione.
All’ipotesi 2) la giurisprudenza afferma che il silenzio può valere accettazione, poiché il creditore
dimostra, rimanendo inerte, lo scarso interesse che ha all’adempimento del debitore. Comunque il
silenzio del caso 2) non conduce ad una modifica vera e propria del contratto, infatti l’avente diritto
può in ogni momento pretendere l’esecuzione.
Si può ipotizzare una risoluzione tacita del contratto sulla base di un mutuo dissenso tacito? Secondo
la giurisprudenza si può solo se dal contratto derivi un obbligo di esecuzione (obbligo di fare); non si
può se dal contratto non derivi un obbligo di fare. Si può logicamente parlare di risoluzione tacita del
contratto quando entrambe le parti, con il silenzio (inattività), non eseguono le rispettive obbligazioni
di fare. Non si può viceversa parlare di risoluzione tacito del contratto quando le parti eseguono le
obbligazioni di “non fare”, cioè concretamente non fanno ciò che non deve essere fatto. Se il
contratto prevede obblighi di non fare e le parti non fanno, esse adempiono perfettamente al
contratto.
Esempio. Svolgimento del rapporto di lavoro. Il lavoratore che abbia continuato a dare esecuzione al
rapporto non può contestare le condizioni di lavoro che il datore di lavoro ha unilateralmente mutate;
e il datore di lavoro non può disconoscere il lavoro straordinario del dipendente, se non vi ha fatto
opposizione. Il lavoratore consente attuando il rapporto. Il datore di lavoro, di fronte ad un’attuazione
cui non ha consentito, ha l’onere di opporsi, senza di che il silenzio produce gli effetti dell’accordo.

Sintesi sul valore del silenzio


Il Sacco propende per un’affermazione di principio che ha la portata di una regola:

Il silenzio come comportamento omissivo non ha, per sua natura, il valoro di dichiarazione / di
consenso.
Però, in molti casi, il contratto si conclude per effetto del silenzio, cioè senza bisogno del consenso
dell’una e dell’altra parte.
 Legge e contratto possono semplificare la fattispecie contrattuale, eliminando il requisito del
consenso dell’una o dell’altra parte.
 Gli usi, estranei al sistema delle nostre fonti se non sono richiamati dalla legge, possono
sancite regole analoghe, che si introducono nell’ordinamento attraverso la valvola dei
richiami alla buona fede.

Il silenzio dell’avente diritto rende scusabile, in qualche caso, l’inadempienza: ma consenso e


tolleranza dell’avente diritto possono presentarsi come elementi impeditivi dell’inadempimento.

L’effetto risolutorio del silenzio non può attribuirsi semplicemente al comportamento corrispondente
all’esecuzione bilaterale del cd consenso contrario.

Fuori dal caso in cui il consenso della parte non è necessario, e fuori dal caso della tolleranza, il
silenzio viene sempre in considerazione come circostanza complementare o costitutiva di un
comportamento positivo concludente

La parte aveva il potere di parlare e impedire la formazione della fattispecie tacita. Se la controparte
le ha impedito con la minaccia di parlare, la controparte ha commesso un illecito, la cui riparazione
in natura implica la rimozione degli effetti del silenzio → in modo generale, bisogna dire che non solo
le dichiarazione, ma anche le mancate dichiarazioni con cui si conclude un contratto, possono essere
viziate.
Il silenzio si presenta come violazione di un obbligo, o di un onere posto nell’interesse della
controparte, gli effetti del medesimo si imporranno senz’altra alternativa al soggetto reticente; ma
la controparte sarà libera di far valere, o meno, la mancata ottemperanza al precetto.

Il cd silenzio circonstanziato è un concetto pericoloso che attribuisce eccessiva discrezionalità al


giudice a scapito della certezza del diritto.

Solo in presenza di una norma giuridica che, in considerazione di peculiari circostanze di fatto,
semplifichi la fattispecie contrattuale riconducendola allo schema della proposta non seguita da
rifiuto (ex 1333), è possibile concepire il silenzio come manifestazione tacita capace di esprimere
un consenso.
CAPITOLO 3 – LA CONCLUSIONE MEDIANTE L’INIZIO DELL’ESECUZIONE
L’art. 1327 e il sistema

Art. 1327 cc – Esecuzione prima della risposta dell'accettante


Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione
debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui
ha avuto inizio l'esecuzione.
L'accettante deve dare prontamente avviso all'altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza,
è tenuto al risarcimento del danno.

L’art. 1327 dà luogo esclusivamente a problemi di ordine sistematico, ossia di come deve essere
inquadrato un atto generale di esecuzione nel quadro del negozio giuridico.
Il principio elaborato dalla dottrina tedesca (Manigk) secondo cui l’accettazione di una proposta può
manifestarsi anche sotto forma di comportamento concludente è ormai un fatto acquisito da dottrina
e giurisprudenza (grazie a Betti). La volontà così manifestata prende il nome di comportamento di
attuazione.
Il problema è il seguente: che rapporto esiste tra l’inizio di esecuzione e il suddetto comportamento
di attuazione? ↓
Dottrina → la fattispecie di cui all’art. 1327 va ricompresa nella categoria più generale del
comportamento di attuazione. La dottrina tradizionalista vuole legge nell’iniziata esecuzione
la manifestazione della volontà di produrre gli effetti del contratto. La dottrina innovatrice
nega l’esistenza di una manifestazione, ma ricorre pur sempre all’idea di
un’autoregolamentazione, di una cosciente presa di posizione munita di un significato
socialmente univoco e riconoscibile.
Giurisprudenza → conferma l’assunto della dottrina

Sacco sostiene che il fatto di equiparare, a priori, ogni inizio di esecuzione ad una forma di
accettazione per fatto concludente sminuisce la portata sistematica dell’art. 1327. La soluzione
dottrinale e giurisprudenziale attribuisce a colui che inizia un’esecuzione, oltre la volontà di
adempiere, anche la volontà di assumersi responsabilità e garanzie; e ciò è inaccettabile poiché un
atto di esecuzione, di per sé considerato, deve significare solo volontà di adempiere.
La conclusione del Sacco è la seguente: l’iniziata esecuzione non è in grado da sola né di impegnare,
né di chiarire in che cosa consista l’esecuzione integrale. Occorre un’altra fonte che individui il
contenuto della prestazione da eseguire ed un ulteriore fonte (legale o negoziale) che trasformi
l’esecuzione spontanea in esecuzione dovuta e quindi collegata a rischi e responsabilità. Se alla base
di un’iniziata esecuzione non esiste un’ulteriore fonte (legge, proposta, ecc), l’atto deve
considerarsi fine a se stesso: non è una promessa, non è un’obbligazione per il futuro.

Esistono norme, anche fuori dal campo del contratto, che attribuiscono all’inizio dell’attività la virtù
di obbligare a completare l’attività medesima con diligenza, e stabiliscono nel contempo quale sia la
misura, colmata la quale l’attività possa dirsi ultimata. Si tratta delle norme sulla gestione dell’affare
altrui: l’ingerenza nella sfera altrui, legalmente lecita allorché l’interessato non possa provvedervi da
se stesso, deve condursi, se iniziata, finché l’interessato non possa provvedere o finché l’affare non
sia esaurito. L’obbligo imposto al gestore trova il suo fondamento nella legge.
Una ratio analoga è intervenuta nel caso dell’art. 1327. Laddove la legge non provvede direttamente,
può provvedere la proposta dell’art. 1327. Se taluno autorizza un’ingerenza con certe salvaguardie e
contropartite, la legge può far sua la lex privata del soggetto dell’autorizzazione, e legare l’uno
all’altro il fatto dell’ingerenza e l’obbligo di prestazione la contropartita. Può cioè sostituire
all’impostazione extracontrattuale l’impostazione contrattuale.

L’art. 1327 viene quindi a prevede una fattispecie complessa, che consta di:
 Una dichiarazione negoziale del proponente, con cui egli impegna se stesso e predispone
un regolamento a carico dell’oblato
 Un ingresso dell’oblato nella sfera del proponente, conformato in modo tale da rientrare
nelle ipotesi contemplate nella proposta.
A questa fattispecie, la legge conferisce la qualifica di contratto.

Ambito di applicazione dell’art. 1327


Il 1327 limita la possibilità di concludere il contratto mediante l’iniziata esecuzione a 3 casi:
(1) Volontà del proponente
Significa solo che la conclusione del contratto impedisce al proponente di modificare la
proposta dal momento dell’iniziata esecuzione.
(2) Natura del contratto
La giurisprudenza ha trovato che la natura del contratto comporta l’esecuzione senza risposta
quando:
→ L’esecuzione sia tanto urgente da poter essere pregiudicata se posticipata
all’accettazione
→ Sussiste uno specifico interesse del proponente all’esecuzione immediata, prevalente
sull’interesse a ricevere la comunicazione dell’accettazione
Secondo il Sacco, queste limitazioni sembrano arbitrarie: secondo il Sacco, la natura del
contratto comporta la conclusione dell’affare senza bisogno di risposta in tutti i casi in cui
sussistano i seguenti requisiti:
 La prestazione indicata nella proposta deve avere un contenuto positivo
 Deve determinare un’ingerenza nella sfera giuridica del proponente
 Deve escludere l’utilità di trattativa → quando il prezzo della prestazione è stato
fissato, o sta per essere fissato, in anticipo da terzi o dall’andamento del mercato o
dall’autorità, o dall’offerente, o dall’oblato; ovvero perché è pacifico che il prezzo
verrà fissato arbitrio boni viri da una delle parti.
(3) Usi
Obbligo di agire in buona fede in relazione ad un precedente rapporto.

In particolare: la volontà del proponente


Esempio. Se il proponente chiede all’oblato un miliardo per lasciargli attraversare il proprio fondo e
l’oblato attraversa il terreno, sarebbe assurdo equiparare l’esecuzione ad accettazione.

Non qualsiasi prezzo imposto dall’offerente dà luogo agli effetti dell’art. 1327
Natura del contratto e volontà del proponente vengono ad assumente funzioni solo parzialmente
coincidenti:

 La natura del contratto genera effetti a carico di entrambi i contraenti


 La volontà del proponente genera effetti a carico del solo offerente
Laddove non arriva la volontà del proponente possono arrivare altre valide fonti di oneri: specie l’uso
e l’obbligo di agire in buona fede in relazione ad un preesistente rapporto.
Problema: un contraente propone di modificare un precedente rapporto
Nel corso di un contratto di durata a tempo indeterminato, imperniato sullo scambio tra una
prestazione di fare e una remunerazione in denaro, il creditore della prestazione di fare propone un
novello contratto in cui la prestazione di dare viene modificate, e l’altra rimane immutata. Qui, il
prestatore di fare deve continuare a svolgere la propria attività tanto se respinge la proposta
modificativa, mantenendo in vigore il vecchio rapporto, quanto se vuole accettarla: il proponente
sarà incline ad invocare l’art. 1327, e bisognerà rispondergli che il comportamento dell’oblato, in
quanto dovuto per altra causa, sfugge all’applicazione dell’art. 1327.
Immaginiamo che il contratto sia a tempo determinato e che, avvicinandosi la scadenza, il creditore
della prestazione di fare proponga un rinnovo del contratto con modificazione del prezzo. In questo
caso è difficile sfuggire alla logica dell’art. 1327. Si consideri che il contratto di intenderebbe concluso,
in base alla regola generica che equipara il fatto concludente alla dichiarazione, anche nel silenzio
dell’art. 1327.
Altra questione pratica: può avvenire che l’oblato tratti l’affare credendo che ad esso si applichi l’art.
1327, mentre si versa in casi estranei all’ambito di operatività di questa norma. Egli eseguirà e invierà
l’avviso previsto dall’art. L’avviso produrrà gli effetti dell’accettazione contrattuale. Varrà come luogo
della conclusione del contratto il luogo ove si è perfezionata la dichiarazione di accettazione, e cioè
la sede del proponente.

Art. 1327 e contratti formali


Se consideriamo che il legislatore qui ha voluto sostituire alla dichiarazione l’esecuzione di una
prestazione, ci vien poi fatto aggiungere che le regole sulla forma sono applicabili solo alle
dichiarazioni (e non invece all’esecuzione delle prestazioni).
Però, l’art. 1327 potrebbe avere come ragion d’essere il fatto che l’esecuzione è l’indice di una
volontà di obbligarsi; ma la norma che esige la forma sconfessa ogni indice della volontà che non
risulti dalla dichiarazioni scritta.

E allora l’art. 1327 non potrebbe applicarsi al contratto formale


L’inizio dell’esecuzione
Il contratto si conclude con l’inizio dell’esecuzione. La norma rappresenta un pericolo per l’oblato che
voglia accettare solo parzialmente la proposta.
In via generale, si può ricordare che talora la proposta è divisibile. L’inizio dell’esecuzione potrà allora
avere la valenza di una esecuzione parziale, che condurrà alla conclusione di un contratto uguale ad
un singolo quoziente del contratto corrispondente alla proposta. La regola dovrà comunque
completarsi con la previsione di un carico, imposto all’oblato, perché chiarisca tempestivamente le
proprie scelte.
In via speciale, si può ritenere che, se l’oblato evita al proponente di fare affidamento sull’esecuzione
integrale, e opera un’esecuzione parziale, il dovere di completare la prestazione iniziata non sorge.
Reciprocamente, il proponente non è obbligato a subire una prestazione incompleta. Ne seguirà che
l’accettazione parziale vale proposta nuova.

CAPITOLO 4 – IL CONTRATTO SENZA DICHIARAZIONE


Il contratto di fatto
Abbiamo finora analizzato le due forme contrattuali elaborate dal Sacco, una delle quali prevede una
bilateralità necessaria, e l’altra no.
Nell’ambito poi della bilateralità necessaria, si è analizzato come può concludersi l’accordo, ossia:
 Mediante scambio di dichiarazioni espresse
 Mediante proposta e accettazione
 Mediante proposta e comportamento concludente
Si è analizzato all’interno del comportamento concludente, l’inizio dell’esecuzione.
Si è studiato il ruolo del silenzio.
Problema: attuazione non preceduta da alcuna proposta
Attuazione significa esecuzione di una prestazione a vantaggio di una seconda persona.
I fatti che esaminiamo sono dello stesso tipo di quelli conosciuti attraverso l’art. 1327: esecuzione di
una prestazione, o comportamento corrispondente all’attuazione di un diritto. La differenza rispetto
al 1327 sta nel difetto di una precedente proposta.

Quando manchi la proposta di cui all’art. 1327, la tutela legale di chi esegue una prestazione non
dovuta è limitata, in via di principio, ai rimedi quasi contrattuali:
 Ripetizione dell’indebito
 Restituzione dell’arricchimento senza causa
La sanzione legale a carico di chi si appropri di beni altrui è limitata, sempre in via di principio, ai
rimedi extracontrattuali:
 Risarcimento del danno
 Restituzione di frutti

Ragioni:
 Una prestazione attuata senza previo accordo non vale ad individuare in che debbano
consistere gli obblighi di chi presta, nonché della controparte
 Una volta ricevuta la prestazione, il destinatario di essa rischia di eseguire una
controprestazione più onerosa di quanto non sia stato il suo arricchimento
La tutela legale di chi esegue una prestazione non preceduta da alcuna proposta è, di regola,
limitata ai rimedi extra-contrattuali (ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa).

→ La regola comunque non esclude alcune eccezioni, cd CONTRATTI DI FATTO. Essi sono:
1) MEDIAZIONE
Nel caso della mediazione, un soggetto (mediatore) svolge un’attività cui altri profitta, e gli usi
tipizzano il compenso in una percentuale sull’oggetto di quell’attività. Il legislatore riconnette alla
prestazione dell’attività il diritto al compenso, e considera contrattuale la fattispecie.
Che il contratto di mediazione non risponda allo schema consensualistico e bilateralistico degli altri
contratti è evidente.
La fonte che attribuisce alla fattispecie in esame effetti contrattuali sono gli usi, che rendono
superflue la trattativa. Gli usi definiscono i seguenti principi:
 Gli effetti dell’esecuzione possono essere paralizzati dal dissenso manifestato dall’uno o
dall’altra parte prima del verificarsi del risultato (se il cliente ha fatto sapere che non
riconoscerà l’opera dei mediatori; o se il mediatore ha dichiarato di voler operare per amicizia)
 L’esecuzione vincola tanto il mediatore (che assume la responsabilità dell’art. 1759) quanto il
cliente
 L’esecuzione equipara il silenzio delle parti a consenso

Art. 1759 cc – Responsabilità del mediatore


Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla
sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
Il mediatore risponde dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli
trasmessi per il suo tramite.

2) CONTRATTO DI LAVORO NULLO O ANNULLATO


Il contratto di lavoro nullo o annullato obbliga il datore di lavoro a retribuire il dipendente per l’attività
lavorativa svolta fino alla pronuncia di nullità o annullabilità (art. 2126) anche se questa prestazione
non sia stata conseguenza di una proposta valida. La prestazione del lavoratore è tutelata per il
semplice fatto che è stata eseguita.
La fonte che attribuisce alla fattispecie in esame effetti contrattuali è la legge.

Art. 2126 cc – Prestazioni di fatto con violazione di legge


La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il
rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa.
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi
ha in ogni caso diritto alla retribuzione.
Gli effetti propri del contratto di lavoro scattano se una prestazione è stata eseguita. Dell’esistenza
del contratto si può parlare soltanto a esecuzione avvenuta; e non è possibile riconnetterla alla
volontà delle parti, poiché la volontà delle parti può mancare.
3) SOCIETA’ DI FATTO
Il nuovo legislatore ha inteso rifiutare riconoscimento alla figura della società di fatto. Dottrina e
giurisprudenza, invece, sono ora di opinione contraria, motivando nel senso che si presenterebbero
enormi difficoltà a regolamentare tale fenomeno su basi quasi-contrattuali, risultando
oggettivamente più semplice individuare la prestazione societaria (e definire quali siano i diritti o
obblighi delle parti) adottando uno schema contrattuale.
I principi sono i seguenti → l’attuazione del rapporto societario di fatto vincola solo la parte che ha
effettuato la prestazione e la parte che vi abbia consentito (o che non l’abbia impedita).
4) COLLATIO AGRORUM RUSTICORUM
I proprietari di fondi creano una comproprietà di strada agricola conferendo in compossesso i tratti
di terreno occorrenti per costruirla, o prestando altri beni. Qui l’esecuzione sopperisce ai difetti di
forma, e abbiamo un contratto senza dichiarazioni, efficace in materia di effetti reali.

A queste 4 fattispecie la legge ricollega effetti contrattuali e forme di tutela di natura contrattuale.

Il contratto di fatto è quindi un contratto, per l’esistenza del quale occorre un consenso di tipo
speciale. Il consenso, la volontà della parte, deve esistere, certo. Ma qui si tratta del consenso alla
(propria o altrui) prestazione, e non del consenso negoziale alla nascita di una propria obbligazione.

I fatti concludenti
Laddove sono di scena l’art. 1327 e il contratto di fatto, l’attuazione della prestazione e l’esercizio del
diritto bastano per concludere il contratto medesimo.
Questa attuazione del rapporto giuridico non è l’unica fattispecie costitutiva del contratto, diversa da
una dichiarazione. La dottrina e la tradizione sanno ciò, e lo dicono apertamente quando parlano di
contratto concluso mediante una manifestazione di volontà, o mediante fatti concludenti.
Questi fatti non dichiarativi (manifestazioni, comportamenti concludenti) possono certamente
bastare alla conclusione del contratto, finché la norma non imponga un’altra soluzione (ad esempio
prescrivendo per la conclusione del contratto una forma particolare).
La riduzione del contratto alla volontà lascia subito capire che la volontà contrattuale, comunque
risulti, è giuridicamente idonea a produrre effetto.

Fatto concludente
Esso abbraccia qualsiasi condotta umana, da cui sia dato inferire, al lume delle massime di
esperienza, che l’operatore intende costituire il vincolo contrattuale, o intende attuare il vincolo
concepito come contrattuale, così assoggettandosi ai relativi sacrifici.

Il fatto concludente per eccellenza è l’attuazione stessa della prestazione o l’esercizio del diritto
nascente dal contratto.
Quando questa attuazione e questo esercizio non integrano la fattispecie dell’art. 1327, e non
danno vita ad un vero contratto di fatto, essi sono comunque fatti concludenti nei quali è insita la
manifestazione della volontà contrattuale.

Accanto a questi fatti di attuazione, troviamo poi tutta la serie di fatti concludenti non attuativi.
Esempio. Tizio e Caio hanno messo per iscritto la vendita di una bicicletta. Tizio propone a Caio, a
mezzo di Sempronio suo nuncio, la risoluzione. Caio, per accettare, gli rimette la propria copia del
contratto fatta a pezzi. L’accanimento contro il mezzo di prova o di memorizzazione è un fatto
concludente.
Esempio. Può essere un fatto concludente la predisposizione della dichiarazione. Tizio, invitato a farlo,
invia a Caio la dichiarazione che Caio sottoscriverà e poi rinvierà a Tizio affinché quest’ultimo firmi.
Esempio. Può essere un fatto concludente la preparazione dell’attuazione. Così, se il cliente
dell’albergo, alle 9 di mattina, si ordina il pranzo in camera, egli rinnova indirettamente il contratto
relativo alla camera.
Esempio. Può essere fatto concludente una manifestazione di sentimento. Di fronte alla proposta di
Tizio, Caio risponde con grida di gioia e ringraziamento.

Il comportamento concludente non deve confondersi con la comunicazione non linguistica.


Esempio. Chi interrogato, annuisce con un cenno del capo non tiene già un comportamento
concludente, ma effettua una comunicazione semanticamente qualificata.

Quando l’accettante dichiara, la dichiarazione (rivolta al proponente) non è completa se non giunge
al suo destinatario. Se l’accettante attua il rapporto, o se tiene comportamenti concludenti,
l’attuazione o il fatto concludente non implicano l’indirizzamento di un messaggio alla controparte.

I contratti conclusi mediante apparecchi automatici


Da tempo la tecnica per la conclusione dei contratti si giova di apparecchi automatici.
Uno schema per la conclusione è il seguente → un contraente predispone
un’apparecchiatura. Quest’ultima consente al cliente di inserire nella macchina mezzi di
pagamento (o di provvedere, con l’ausilio della macchina, ad un pagamento). Questa prima
operazione renderà possibile l’appropriazione di una merce o di un titolo di legittimazione, o
il godimento di una prestazione di fare.

L’offerente predispone l’apparecchio. Il suo comportamento è concludente. Egli prepara
l’esecuzione della propria prestazione, l’esecuzione della prestazione del cliente, l’attuazione
del diritto che acquisterà, l’attuazione del diritto che il cliente acquisterà. Il cliente opera
eseguendo la propria prestazione e attuando il proprio diritto.

⇒Non intervengono dichiarazioni. Intervengono fatti concludenti: in parte si tratta di attuazioni, in


parte si tratta di preparativi delle attuazioni prossime.
La dichiarazione può scostarsi dalla volontà (es errore ostativo non riconoscibile). L’immediatezza del
rapporto che intercorre fra l’attuazione (o il più generico fatto concludente) e il soddisfacimento
dell’interesse della parte rende meno probabile, ma non esclude completamente, lo scarto fra il
voluto e il manifestato.
Chi recita la dichiarazione contrattuale vuole la prestazione (o la cosa, o la merce) con la stessa
intensità con cui vuole la prestazione (o la cosa, o la merce) chi ricorre all’automatico.
Nel contratto dichiarato Tizio e Caio vogliono, perciò dichiarano, perciò Caio esegue, e infine
Tizio gode della cosa. Il contratto di svolge in modo più diretto quando Caio vuole e
predispone, Tizio vuole, e perciò gode la cosa.
L’appropriazione muta è normale nell’area della proprietà, cd occupazione.

Il contratto a mezzo automatico esclude la trattativa. L’esclusione della trattativa e della


negoziazione individuale non contraddicono per nulla i caratteri essenziali del contratto e
dell’accordo.

Le regole sul consenso contrattuale si applicano senza difficoltà al contratto concluso mediante
automatico.

Riflessioni sulla rilevanza del consenso


In via di massima, si chiede il consenso della sola parte che si impegna. Quanto alla parte che acquista,
è sufficiente che essa non rifiuti. L’elemento in più è richiesto per l’acquisto del diritto reale (art.
1333).
Il rapporto precedente, istituito fra le parti, può produrre analoghi rovesciamenti di oneri.
La proposta di una parte può far soggiacere la controparte alla conclusione di contratti mediante
inizio di attuazione, purché:

 Si tratti di schemi di prestazioni sociologicamente ben individuate


 Il collegamento tra le prestazioni trovi una specifica tipizzazione nella prassi
 L’attuazione dell’oblato abbia carattere positivo e sfoci nella sera dell’offerente (art. 1327)
In taluni casi l’inizio dell’attuazione unilaterale produrrà effetto anche se non preceduta da una
proposta, a condizione, però, che non sia scompagnata da una prohibitio (mediazione, lavoro).
Un’attuazione bilaterale può portare alla conclusone del contratto con maggior larghezza (società,
destinazione a strada), ma comunque soltanto in casi tipici.
CAPITOLO 5 – LA DICHIARAZIONE CONTRATTUALE
Dichiarazione emessa e dichiarazione ricevuta. L’art. 1433
La dichiarazione è presentata come una sottocategoria della manifestazione. La manifestazione può
essere:

 Diretta: l’intento si desume da una comportamento che secondo la comune esperienza è


destinato a renderlo socialmente riconoscibile
 Indiretta: l’intento si desume per illazione necessaria e univoca da un comportamento
concludente, che non ha la destinazione ora descritta
La manifestazione può svolgersi mediante:

 Un linguaggio: mezzi simbolici di significazione, ossia segni fonetici, grafici ecc


 Un comportamento pratico avente finalità univoca

La manifestazione che si svolge mediante un linguaggio è una dichiarazione.


La dichiarazione è la forma attraverso la quale si manifesta la volontà contrattuale.
La volontà contrattuale può essere manifestata anche tramite un comportamento concludente o
tramite il silenzio, ma queste forme di manifestazione non sono qualificabili come dichiarazioni.
Nell’ambito della dichiarazione si distinguono:
 Le dichiarazioni recettizie: esse pervengono nella sfera del destinatario, attraverso la
notificazione da parte del dichiarante, ovvero, per essere efficaci, debbono essere conosciute
dal destinatario.
→ La dichiarazione contrattuale è un esempio di dichiarazione recettizia
 Le dichiarazioni non recettizie
Il Sacco denuncia l’impossibilità di pervenire ad un concetto adeguato di dichiarazione, con successivi
problemi riguardo al momento in cui la dichiarazione produce i suoi effetti.
Infatti, premesso che sia l’accettazione che la proposta si esprimono, di solito, attraverso
dichiarazioni, e premesso che l’operare di queste due forme di dichiarazioni influenza decisamente
le sorti del contratto, ci si domanda come sia possibile stabilire precisamente il momento della
conclusione di esso quando non si riesca a risalire al momento specifico in cui la dichiarazione ha
incominciato a produrre i suoi effetti. Si possono identificare 3 momenti distinti in ogni dichiarazione:
1) Emissione
2) Trasmissione
3) Percezione
Quando le trattative sono simultanee le tre fasi coincidono, ma possono anche non coincidere (es
ricorso del proponente ad un nuncio).
La dichiarazione contrattuale, tipica dichiarazione recettizia, sembra avere in comune con la
dichiarazione non contrattuale e non recettizia l’elemento dell’espressione (o emissione).
Quest’ultimo elemento, comune ad ogni dichiarazione, consentirebbe dunque di costruire il conetto
generale di dichiarazione.
La realtà però pare più complessa. Dovunque una dichiarazione sia recettizia, sussiste la possibilità di
una divergenza tra:
o Contenuto della dichiarazione emessa
o Contenuto della dichiarazione notificata
o Contenuto della dichiarazione percepita
L’art. 1433 apre un varco alla possibilità di dichiarazioni il cui effetto giuridico non è simmetrico
rispetto al contenuto della dichiarazione emessa.

Art. 1433 cc – Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione


Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla
dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio
che ne era stato incaricato.
→ Salva la possibilità, per il dichiarante, di ottenere l’annullamento del contratto quando la
divergenza sia essenziale e riconoscibile.
L’art. 1433 non si rivolge a qualunque divergenza tra la dichiarazione emessa e la dichiarazione
ricevuta, e non indica in modo esauriente a quali casi di divergenza intende rivolgersi.
L’art. 1433 disciplina solo il caso in cui una dichiarazione contrattuale emessa regolarmente non sia
stata percepita altrettanto regolarmente a causa di un errore nella sua trasmissione.
L’inesattezza nella trasmissione può riguardare precisamente il nominativo del dichiarante → il
dichiarante può aver emesso una dichiarazione non negoziale.

L’art. 1433 e i problemi applicativi


L’individuazione dell’esatto ambito di applicazione dell’art. 1433 pone una serie di problemi:

 L’art. 1433 disciplina un’unica ipotesi → il caso in cui la dichiarazione è stata inesattamente
trasmessa dalla persona o dall’ufficio che ne era stato incaricato. Restano quindi escluse le
ipotesi in cui:
 La dichiarazione non sia stata emessa (dichiarante apparente) e non sia stato affidato
nessuno incarico di trasmissione
 La dichiarazione si stata regolarmente emessa, il dichiarante abbia consegnato la proposta
ad un fiduciario affinché quest’ultimo ordinasse ad un terzo di trasmetterla al destinatario,
ed il terzo abbia riferito che la proposta proveniva dal fiduciario
 Il dichiarante abbia agito in stato di incoscienza, o involontariamente, o senza sapere che il
suo comportamento sarebbe stato interpretato come dichiarazione
⇒ L’ambito di applicazione dell’art. 1433 appare limitato all’errore del trasmittente. In realtà il cc
non parla di errore, ma di inesattezza nella trasmissione → il legislatore avrà voluto far rientrare
nel concetto di inesattezza anche l’ipotesi del dolo del trasmittente, oppure ha usato il termine
inesattezza come sinonimo di errore?
La giurisprudenza ha di regola negato l’interpretazione estensiva del termine inesattezza,
motivando nel senso che appare più congruo, nei casi di dolo, ricorrere al rimedio della querela
di falso. Il Sacco non approva tale conclusione per due motivi: (1) la querela di falso è un rimedio
consentito esclusivamente per i documenti falsi (che fare nel caso di dichiarazione orale falsa?);
(2) la querela di falso non è mai stata un rimedio tipico delle ipotesi di dolo.

o Se l’emissione della dichiarazione è l’azione, e se la percezione (recezione) è l’evento, la


trasmissione è il nesso causale. Premesso che l’art. 41 cp dichiara che il nesso causale si recide
quando il fatto del terzo sia di per sé capace di produrre l’evento e premesso che il fatto del
terzo nel nostro caso è l’opera del trasmittente, ci si domanda fino a che punto influisca sul
nesso causale (quindi sull’efficacia della dichiarazione) l’errore o il dolo del trasmittente.
Esclusa l’ipotesi secondo cui il nesso si recide solo in caso di dolo, concludiamo che:
→ Non si interrompe il nesso causale se il terzo trasmette una proposta ad un soggetto
diverso, se abusa del foglio in bianco: in questi casi la dichiarazione è efficace, non può
essere invocato l’art. 1433 e il contratto è valido e vincola il dichiarante
→ Si interrompe il nesso causale se il terzo scolora una dichiarazione scritta modificandone
radicalmente il contenuto: in questi casi la dichiarazione può essere inefficace. Il contratto
è annullabile ai sensi dell’art. 1433.
Il requisito del nesso causale non vale ad introdurre differenze di trattamento fra alterazione
intenzionale e alterazione colposa. Esso servirà piuttosto ad impedire la formazione di
dichiarazioni giuridicamente efficaci laddove sussista una divergenza troppo vistosa fra
dichiarazione emessa e dichiarazione ricevuta.

o Il dichiarante è legato in virtù di un qualsiasi incarico di trasmettere, conferito al terzo, o solo


in virtù dell’incarico di trasmettere una dichiarazione negoziale?
Se l’inesattezza della trasmissione produce gli effetti di trasformare la dichiarazione di trattativa
in dichiarazione contrattuale vincolante, siamo ancora nell’ambito del 1433 o ne siamo fuori?
Il dichiarante potrà eccepire l’inefficacia della sua dichiarazione ricorrendo al 1433?
La risposta è NO, poiché inesattezza non significa totale sovvertimento della dichiarazione → il
contratto è validamente concluso

o Se alla base dell’inesattezza della trasmissione sta un incarico diverso da quello per cui è stato
commesso l’errore, se cioè l’incaricato ha trasmesso una dichiarazione che in realtà doveva
solo custodire, il dichiarante potrà ricorrere al 1433 per dichiarare inefficace la sua
dichiarazione?
La risposta è NO, anche se non si nega l’eccessivo rigore che incombe sul dichiarante. Tale
soluzione apre però una lacuna, perché non appare giusto che il dichiarante corra tutti i rischi
delle alterazioni operate dall’incaricato, e sia invece esonerato da ogni rischio conseguente alla
spedizione (effettuata da un terzo non incaricato) di una dichiarazione, da lui redatta, sottoscritta,
e imprudentemente abbandonata sulla propria scrivania. La lacuna potrebbe colmarsi
ammettendo che l’incarico conferito al terzo costituisca soltanto una delle fonti di imputazione
della dichiarazione; e che, accanto ad esso, anche qualsiasi altro fatto colposo dell’uomo, il quale
si trovi in un rapporto di causa ed effetto con la recezione di una dichiarazione, sia sufficiente per
creare la dichiarazione efficace.
o Il dichiarante che ha conferito l’incarico di trasmettere una dichiarazione in cui contenuto è
viziato non per sua colpa (es errore della segretaria che riceve la dettatura) è vincolato dalla
dichiarazione medesima?
In altre parole, può egli eccepire l’inefficacia della dichiarazione erroneamente formatasi non per
sua colpa e validamente trasmessa?
La risposta è NO: anche in questo caso prevale la tutela dell’affidamento del destinatario. Il fatto
dell’incarico conferito a terze persone perché trasmettano la dichiarazione contrattuale giustifica
politicamente, e determina giuridicamente, l’imputazione della dichiarazione al soggetto che ha
conferito l’incarico.

L’art. 1433 nella teoria generale della dichiarazione contrattuale


Dai rilievi precedenti si desume che la dichiarazione (la sua capacità di produrre effetti) deve essere
valutata dal punti di vista della:

 Fase di emissione e di recezione


 Fase della trasmissione → questa fase è così importante che un eventuale errore può
influenzare decisamente le sorti della dichiarazione che ne sta alla base
Il Sacco arriva a concludere addirittura che la validità di una dichiarazione dipende quasi sempre dalla
validità della sua trasmissione, e quindi della sua recezione. La fase dell’emissione si riduce ad essere
un momento irrilevante.

Premesso che la fase della trasmissione è necessaria (è un requisito intrinseco e naturale della
dichiarazione), si conclude che il dichiarante è vincolato alla sua dichiarazione (emessa esattamente
ma trasmessa erroneamente) non sulla base della regola convenzionale della tutela
dell’affidamento, bensì sulla base della regola secondo cui la dichiarazione non si intende
perfezionata nel momento della sua emissione, MA nel momento della sua recezione (che
presuppone una trasmissione).

Dichiarazione incompleta, dichiarazione a persona incerta, incarico di completare la


dichiarazione

Incompletezza della dichiarazione è un termine che può significare incertezza:


a. Nella persona del proponente (DICHIARANTE)
b. Nella persona del ricevente (DESTINATARIO)
c. Nel contenuto della dichiarazione

Colui che è chiamato a svolgere un ruolo decisivo nel rendere certa, e quindi capace di produrre
effetti, una dichiarazione è il terzo o intermediario.

Dichiarazione incompleta per incertezza del proponente


È possibile che esista una proposta sottoscritta dal compratore, con nome del venditore in bianco e
consegnata all’intermediario, il quale rilascia l’ordinazione a quell’impresa che, tra quelle operanti
nello stesso settore oggetto della proposta, sia disposta ad assegnargli una provvigione più elevata.
In casi di questo genere la giurisprudenza ha emanato sentenze contraddittorie.

Taluni giudici hanno riconosciuto l’efficacia della dichiarazione completata dal terzo, senza che
questi divenga parte, a condizione che all’atto della conclusione del contratto l’intermediario palesi
la sua posizione di semplice terzo.

Dichiarazione incompleta per incertezza del destinatario


È il caso in cui un proponente certo incarichi un intermediario di trasmettere la proposta a persona
non determinata, rimettendo la scelta all’intermediario.
La giurisprudenza ha emanato una serie di sentenza contraddittorie. Alcuni giudici erano favorevoli
all’idea dell’efficacia della dichiarazione emessa dal proponente con il nome del destinatario in
bianco, affidata poi all’intermediario e che da questi rimessa ad altri, cosicché il fatto stesso del
recapito equivalesse all’indicazione del destinatario.
Varie esigenze e preoccupazioni pratiche hanno influenzato le soluzioni giurisprudenziali contrarie
all’efficacia della dichiarazione.
→ Si teme che, riconoscendo l’efficacia dell’integrazione apportata dal terzo, il dichiarante si
trovi nell’impossibilità di conoscere in anticipo il contenuto del contratto.
→ Si teme che la proposta così integrata venga presentata a più persone, e che il proponente si
trovi legato dalle accettazioni provenienti da più parti, e non possa accertare quale delle
accettazioni è efficace.
Tali preoccupazioni non sembrano decisive a favore della tesi dell’inefficacia.
L’impossibilità di conoscere in anticipo il contenuto del contratto sussiste non solo per chi conferisce
l’incarico di completare una proposta, ma anche per chi rilascia un mandato o una procura a
concludere.

La Corte di cassazione ha adottato, nel 1964, un criterio di decisione secondo cui laddove l’offerente
rilasci un’ordinazione scritta, con nome dell’oblato in bianco, nel mani di un terzo intermediario
autonomo, e questi lo trasmetta a persona di sua scelta, che accetta, il CONTRATTO E’ CONCLUSO
FRA OFFERENTE E ACCETTANTE.

Dichiarazione incompleta per incertezza del contenuto


È il caso in cui le parti sono certe ma è rimessa all’intermediario la specificazione del contenuto al
momento della stipulazione.
Ci si domanda se il contraente possa appropriarsi preventivamente la dichiarazione altrui,
facoltizzando altri a riempire, a completare, ad alterare, una proposta contrattuale.
Si fanno rientrare nella categoria della dichiarazione per relationem tutte le dichiarazioni contenenti
rinvio a dichiarazioni altrui. Delle ipotesi comprese in questa casistica a noi interessa in questa sede
il rinvio ad una dichiarazione successiva a quella della parte, e destinata ad essere attribuita
direttamente alla parte, cosicché l’autore materiale della dichiarazione non se ne imputi la paternità.
Tale rinvio è stato studiato con riferimento al solo biancosegno → l’efficacia del biancosegno è
pacifica: è solo l’applicazione in un caso speciale di una regola generale, che rigetta il requisito della
personalità della dichiarazione altrui (anche quando si riferisca ad un comportamento dichiarativo
del terzo da perfezionarsi verbalmente o per fatti concludenti).
L’art. 1433 ha ammesso espressamente che un terzo possa, in certi casi, contra voluntatem domini,
alterare la dichiarazione emessa. A fortiori si dovrà dire che un terzo può alterarla o completarla
secundum voluntatem domini.

Oggi si deve affermare che persone diverse dalle parti possono contribuire a creare una
dichiarazione senza rivelare la propria identità, senza effettuare la spendita del nome
dell’interessato, operando direttamente sulla dichiarazione.

Questo concreatore della dichiarazione non è:


- Un procuratore, perché imputa ad altri la dichiarazione, e non i soli effetti di questa. Il
procuratore allontana da sé, con la spendita del nome dell’interessato, gli effetti dell’atto, ma
si attribuisce pur sempre la paternità della dichiarazione
- Un nuncio, perché la sua opera di creazione esorbita dai tradizionali compiti del messaggero.
Il nuncio attribuisce la dichiarazione all’interessato, il quale ne è l’effettivo autore.
Colui che completa la dichiarazione, invece, attribuisce la paternità della propria dichiarazione a chi gli
ha conferito l’incarico di dichiarare.

La dichiarazione apparente

La dichiarazione apparente è una “non dichiarazione”, è un’apparenza di dichiarazione che ha


indotto un soggetto a fidarsi.

In teoria, siccome la dichiarazione non esiste, il “non atto” non può produrre effetto. In pratica, però,
è necessario bilanciare gli interessi derivanti da una dichiarazione apparente e soprattutto tutelare
gli interessi del soggetto che ha confidato in buona fede nell’esistenza dell’atto apparente.
La tutela del soggetto in buona fede può essere ricostruita:
1) Secondo la lettera della legge, art. 1433
→ una tutela condotta sul 1433 risulterebbe poco proficua: infatti solo il conferimento
dell’incarico di cui all’art. 1433 potrebbe sanare la divergenza tra apparenza e realtà,
consentendo ad una dichiarazione apparente di produrre gli stessi effetti di una
dichiarazione reale. In mancanza di un incarico il 1433 non può essere invocato e il
soggetto che ha confidato nell’apparenza rimane privo di tutela
2) Secondo analogia
→ la soluzione più adeguata rimane il ricorso all’analogia con il principio
giurisprudenziale della tutela dell’affidamento.
Oggi la materia dell’apparenza e dell’affidamento risulta regolata da norme giurisprudenziali.
La legge prevede una serie di numerosissime ipotesi tipiche, di ambito relativamente ristretto, in cui
l’affidamento è tutelato (es acquisto dal non titolare, ricevimento dell’indebito, pagamento al non
creditore).
Qualora, fuori dalle ipotesi ora accennate, si verifichi un ulteriore bisogno di sicurezza dinamica del
diritto, la giurisprudenza ricorre direttamente al cd PRINCIPIO GENERALE DI APPARENZA, secondo cui

Un soggetto, che crea per fatto proprio (per propria colpa) un’apparenza giuridica a sé favorevole,
non può poi opporre il vero stato di fatto e di diritto, difforme dall’apparenza, al terzo che abbia
confidato senza colpa nell’apparenza ingannevole.

Nell’accingersi alla redazione del nuovo codice, il nostro legislatore ampliò la protezione dei terzi,
introducendo nuovi apparati di pubblicità (es registro delle imprese)
La massima giurisprudenziale si trova applicata in materia di:
- Società apparente
- Poteri rappresentativi apparenti
- Titolarità apparente di una gestione aziendale
- Provvedimenti della pubblica autorità, apparentemente validi
NB Quanto detto non dimostra che la dichiarazione apparente produca l’identico effetto della
dichiarazione vera, o che, in genere, essa sia sottoposta al trattamento dell’art. 1433. Nel campo delle
situazioni apparenti valgono infatti regole peculiari:

 La dichiarazione apparente può sempre essere misconosciuta dal destinatario.


 L’apparenza dà vita a situazioni la cui esistenza è relativa, nel senso che solo una parte può
invocarla (la parte che trae vantaggio dall’apparenza ingannevole). In altre parole: in giudizio,
l’apparenza è eccepibile ad istanza di parte
 La dichiarazione apparente non esclude la dichiarazione vera. Se A dichiara attribuendo la
dichiarazione a B, il destinatario potrà comunque rivolgersi ad A.
 L’apparenza vale realtà solo se è riconoscibile dal destinatario. Non si può parlare di
dichiarazione apparente se il vizio della dichiarazione è riconoscibile dal destinatario, poiché
in tal caso viene a mancare l’incolpevolezza del soggetto che invoca l’affidamento (il contratto
è valido)

La dichiarazione resa sotto falso nome


Più che un problema di “falso nome”, qui si deve risolvere il problema della dichiarazione
apparentemente resa da un soggetto diverso da quello che in realtà l’ha emessa.
Una tale dichiarazione vincolerà il dichiarante reale o il dichiarante apparente?
I problemi di efficacia saranno duplici:
(a) Uno riguarderà l’efficacia nei confronti del dichiarante vero rimasto anonimo
(b) L’altro riguarderà l’efficacia nei confronti del dichiarante apparente
Il contratto produce effetti ↓

Se colui che ha operato sotto falsa identità è in grado di influire sulla vicenda di rapporto giuridico
che costituisce lo scopo e l’oggetto dell’atto, la falsa paternità della dichiarazione, in via di
principio, non impedisce alla controparte di far valere gli effetti del negozio.

Se il vero dichiarante è legittimato all’atto di disposizione, il contratto, secondo il Sacco, può essere
fatto valere dalla controparte, e produce i suoi effetti a prescindere dal fatto che il dichiarante
apparente difetti di legittimazione (es Tizio trasferisce fittiziamente il bene a Caio, e poi aliena a
Sempronio sotto falso nome di Caio).

In via di massima, il dichiarante apparente rimane estraneo alle negoziazioni fatte a suo nome.

NB Quando l’uso di generalità false costituisce la fattispecie di cui all’art. 494 cp, il delitto rende nullo
l’atto civilistico.

Art. 494 cp – Sostituzione di persona


Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce
taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad
altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è
punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad
un anno

Diverse ipotesi in cui il dichiarante apparente può o non può influenzare o subire personalmente gli
effetti del contratto concluso:
- Lo influenza quando l’effetto del contratto è obbligatorio. Il terzo contraente può considerare
il falsificatore come parte reale del contratto, utilizzando il dichiarante apparente
semplicemente come demonstratio dell’esistenza del negozio.
Esempio. Tizio, sotto false generalità di Caio, promette di dare una somma. È chiaro
che la prestazione promessa è una prestazione di Caio. La promessa di Tizio è
inefficace.
- Il contratto sarà valido nei confronti del dichiarante apparente solo quando il terzo contraente
è in buona fede e il falsificatore è in colpa al momento della stipulazione
- Quando la paternità apparente non soddisfa i requisiti imposti dalla legge il contratto è
invalido.
Telex, telefax, fax a mezzo computer, posta elettronica, e il problema della provenienza
La tecnologia recente ha fatto nasce:
- Il telegramma e il telex → scritture prodotte a distanza mediante l’uso di una tastiera
- Il telefax → riproduzione a distanza di un facsimile, ottenuto utilizzando la rete telefonica e i
terminali facsimili
- Il fax a mezzo computer
- La posta elettronica
Queste modalità della comunicazione fanno nascere una serie di problemi, tra cui: se un messaggio
così formato e trasmesso sia una dichiarazione
Il codice, in ragione della sua data, si è potuto occupare del solo telegramma.
Singoli atti normativi di origine convenzionale uniforme si sono occupati di questo o quel modo di
documentazione → Convenzione di New York 1958, resa esecutiva in Italia con la legge 62/1968
(equipara parzialmente telegramma e lettera)
Nel diritto interno si notano:

 Il d.P.R. 735/1963
 Gli artt. 251 e 260 d.P.R. 156/1973 (codice postale)
 La legge 183/1993 sulla trasmissione di atti relativi a procedure giudiziarie

Il d.l. 185/1999, cd contratti a distanza, derivato dalla direttiva 97/7 CE, prevede una speciale tutela
del consumatore allorché il contratto (avente ad oggetto beni o servizi) impiega, come tecnica di
comunicazione:
- Stampanti (con o senza indirizzo)
- Lettere circolari
- Pubblicità stampa con buono d’ordine
- Cataloghi
- Telefono con o senza operatore
- Radio
- Videotelefono
- Teletext
- Posta elettronica
- Fax
- Televisore
Il caso del telex e dei telefax presenta due differenze rispetto al telegramma:
a. Manca l’intermediazione obbligata di un terzo non interessato, incaricato della trasmissione
del messaggio
b. Non è facile pensare ad un’alterazione del messaggio fra l’emissione e l’arrivo

Il problema posto da queste tecniche sta tutto nella difficoltà di individuarne il mittente.
Telex e telefax recano l’indicazione dell’apparecchio mittente; e questo apparecchio ha un
proprietario, un possessore, un detentore, e dunque ha un custode, che ne sarà responsabile.
Senonché chi ricorre a questi procedimenti può facilmente cancellare o anche alterare l’indicazione
dell’apparecchio mittente.
Fuori dal caso in cui la dichiarazione sia autenticata, la chiave accerta la provenienza dal tale
apparecchio. Il discorso da fare sul telex o sul fax riguarda il messaggio trasmesso da un apparecchio
che sia identificato.
La dichiarazione per telex o per telefax si contrappone dunque:
- Alla dichiarazione verbale resa (alla controparte o al notaio) in modo che il destinatario della
parola individui la persona fisica che emette la voce
- Allo scritto, in cui la parola di chiusa indica la persona scrivente, con una credibilità che
dipende dalla gravità delle sanzioni penali previste a carico del falsificatore.
La dichiarazione per telex individua, invece, il soggetto di un potere giuridico cui si accompagna di
norma un potere di fatto.
Adottato il principio per cui la responsabilità del contraente colpisce il soggetto che dichiara, il telex
o telefax non proverà che taluno abbia dichiarato, e non proverà la responsabilità contrattuale.
MA adottato il principio per cui la responsabilità contrattuale colpisce colui che è giuridicamente
responsabile per una dichiarazione creatrice d’affidamento, il telex e il telefax proveranno a sufficienza
la responsabilità contrattuale dell’UTENTE DELL’APPARECCHIO MITTENTE.

La dichiarazione operata mediante fax è una SCRITTURA PRIVATA.

Il contratto telematico
Nell’area del contratto telematico operano fonti nazionali:

 d. Min. Tesoro 15-12-1995


 art. 15, comma 2 legge 59/1997, cui è seguito un regolamento contenuto nel d.P.R.
513/1997, rifuso nel successivo TU contenuto nel d.P.R. 45/2000
 d.p.c.m. 645/1999

Gli organi europei hanno promulgano la direttiva 1999/93 CE (sulla firma elettronica) e 2000/31.
Se taluno invia attraverso una linea telefonica un messaggio digitato al computer, il messaggio viene
convertito da digitale in elettromagnetico e poi viceversa. Fin qui abbiamo un messaggio trasmesso
per e-mail. Possiamo essere nell’area dei contratti conclusi mediante tecniche di comunicazione a
distanza, ma non abbiamo un contratto telematico.

Il contratto si chiama telematico quando il meccanismo di comunicazione passa attraverso


l’accesso ad un sito.

Il contratto telematico può implicare che il messaggio venga elaborato direttamente dallo strumento,
ovviamente in conformità di istruzioni predisposte dall’uomo.
Il messaggio trasmesso in via elettronica porta con sé l’essenziale dei dati che individuano
l’apparecchio mittente. Difficoltà pratiche possono ostacolare l’ulteriore ricerca volta a stabilire chi
abbia, giuridicamente, il diritto d’accesso all’apparecchio. Non esiste una specie di registro o di albo
di tutti gli apparecchi emittenti, con indicazione di un soggetto possessore/responsabile.
In presenza di circostanze favorevoli (es previo scambio di comunicazioni fra gli interessati) il
destinatario può sapere chi aveva il controllo dell’apparecchio nel momento dell’operazione.
NB La dichiarazione è espressione normale della volontà negoziale. Essa è evidentemente idonea alla
funzione anche quando sia prodotta in via telematica.

Se il messaggio contiene l’indicazione del mittente, se il destinatario crede a questa indicazione, e


poi il rapporto tra le parti si svolge in modo conseguente, la dichiarazione telematica adempie in
modo normale alla propria funzione.

Documento informatico
Il documento informatico è un documento munito di efficacia probatoria (art. 5, comma 2 d.P.R.
513/1997), è un documento formato, trasmesso, inviato, pervenuto.
NB Il documento informatico non deve essere confuso con la sua versione stampata, che rientra nella
nozione di riproduzione meccanica: esso è piuttosto il dato in forma digitale, memorizzato sul
supporto a ciò destinato.
Per quanto riguarda il contratto informatico, l’art. 1433 considera sufficiente l’incarico affidato
all’ufficio del telegrafo per imputare la dichiarazione al mittente.

Anche i messaggi inoltrati da terzi estranei che hanno accesso al computer per difetto di
sorveglianza del legittimo detentore sono imputabili al detentore.

CAPITOLO 6 – LA RECEZIONE DELLA DICHIARAZIONE CONTRATTUALE


Generalità
La dichiarazione contrattuale è recettizia.

Art. 1326, comma 1 cc – Conclusione del contratto


Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione
dell'altra parte.

Art. 1335 cc – Presunzione di conoscenza


La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata
persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi
non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia.

La lettera delle regole codicistiche ora riprodotte si riferisce a tutti i contratti, e non solo a quelli
conclusi fra persone lontane.
Sebbene la lettera della legge voglia regolare soltanto il momento della conclusione del contratto,
almeno l’art. 1326, comma 1 viene riferito anche al luogo della conclusione del contratto. Se
l’accettazione è fatta per telefono, il luogo della conclusione è quello in cui si trova il proponente.

La spedizione
La fase preparatoria della recezione è la spedizione, o indirizzamento (anche emissione).
L’indirizzamento è necessario alla perfezione della dichiarazione contrattuale: una dichiarazione
solitaria, o rivolta ad un estraneo, non vale come dichiarazione contrattuale, quand’anche la
controparte ne avesse causalmente conoscenza.
Accanto all’ipotesi della spedizione involontaria, e di quella oggettivamente idonea, si trova anche
l’ipotesi della spedizione effettuata invito domino.
Nel caso in cui la spedizione avvenne ad opera del dichiarante, ma fu involontaria (es distrazione),
l’involontarietà del gesto con cui si spedisce può dar luogo ad un normale vizio del consenso.
Questioni diverse sorgono quando taluno riceve una dichiarazione che non gli era stata indirizzata
dal dichiarante, e non sappia che la spedizione avvenne invito domino (es un imprenditore detta e
sottoscrive una proposta, poi ordina alla segretaria di distruggerla; quest’ultimo ordine non viene
eseguito, e la lettera viene spedita per errore dal fattorino). Qui si presenta il normale conflitto fra il
dichiarante e colui che riceve, fra la sicurezza del diritto e l’affidamento. In virtù del principio di
apparenza, colui che riceve sarà protetto quando il suo affidamento sia incolpevole e il dichiarante
sia in colpa.
Le regole generali sono integrate da norme speciali. Taluni contratti, contraddistinti dallo speciale
oggetto e dalla forma solenne, esigono una spedizione condotta attraverso uno speciale
procedimento (es donazione). La lettera raccomandata è caratterizzata da una speciale modalità di
spedizione.
L’arrivo della dichiarazione contrattuale
La dizione degli artt. 1326, 1334, 1335 mette in prima linea la conoscenza che il destinatario ne
acquista. Ma questa formulazione è corretta da una limitazione contenuta nell’art. 1335, per cui ↓

Il semplice arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario è equiparato a conoscenza se il


destinatario non prova di essere stato senza colpa nell’impossibilità di avere notizia della
dichiarazione.

Se la dichiarazione deve essere scritta, si deve ritenere che la conoscenza del messaggio senza
arrivo non perfezione il fatto, e ciò per due ragioni:
a. Perché la circostanza “arrivo” è menzionata nell’art. 1335 come elemento della fattispecie
b. Perché la qualità dello scritto sussiste solo in quanto il destinatario acquisisca il possesso del
documento
La prova della spedizione di per sé non fa presumere l’arrivo, MA si può fare un’eccezione per le
RACCOMANDATE, sulla base dell’id quod plerumque accidit.
La rilevanza dell’arriva ha fatto nascere la DICHIARAZIONE DI RICEVIMENTO DEL MESSAGGIO.
L’oblato che sottoscrive una proposta contrattuale “per ricevuta” non accetta per questo solo fatto
la proposta.
La dichiarazione fatta per telefono si considera compiuta nel luogo in cui si trova la parte in ascolto:
concluso un contratto per telefono, mediante proposta e accettazione, il luogo della conclusione è il
luogo in cui si trova il proponente.

L’indirizzo del destinatario


L’art. 1335 assegna rilevanza all’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario.
La dottrina si domanda se l’espressione “indirizzo” indichi la residenza del proponente o il suo
domicilio effettivo o eletto.
Secondo il Sacco, il termine “indirizzo” si riferisce al luogo ove inviare l’accettazione.
La pratica ha chiarito che l’individuazione dell’indirizzo, mancando una regola legale cogente, è
affidata alla volontà delle parti (o meglio del destinatario, nella sua veste di proponente). Se il
proponente non ah fornito un’indicazione cogente, bisognerà preferire un criterio liberale:
l’indirizzo rilevante è tanto la residenza quanto la sede dell’attività del soggetto. Quando un indirizzo
è scelto dall’interessato in modo arbitrario, bisognerà accertare di volta in volta se la sua situazione
si deve ritenere come esclusiva, o come alternativa.

Gli equipollenti dell’arrivo


Ipotesi della recezione resa impossibile dalla malizia del destinatario (mediante la propria assenza, o
cancellandosi dall’anagrafe, o altrimenti).
La questione ha un rilievo evidente nell’area di quelle dichiarazioni con cui un contraente esercita un
proprio diritto o potere di scelta: recede, disdice, licenzia, diffida ecc.
Esempio. Ipotesi del conduttore il quale voglia recedere dal contratto, e si trovi in difficoltà
dall’assenza (legittima) del locatore, che rende impossibile ed incolpevole la ignoranza della disdetta
da parte del destinatario.
In tali casi è ovvio che se sussiste l’ignoranza colpevole, essa si equipara puntualmente alla
conoscenza. Ma anche la stessa ignoranza incolpevole, o lo stesso mancato arrivo della dichiarazione
nella sfera destinatario dovuto a fatto di quest’ultimo, possono meritare un trattamento analogo.
Esempio. Caso del contraente il quale, dopo aver rifiutato di ricevere la raccomandata contenente la
diffida ad adempiere, pretende poi di sottrarsi alle conseguenze della diffida, allegando di non averne
avuto conoscenza.
Il contraente non può esonerarsi in alcun modo dalle conseguenza che la legge riconnette alla diffida
ad adempiere.
→ REGOLA

Quando l’invio della dichiarazione è il modo di esercizio di un diritto potestativo, l’emittente


assolve all’onere che la legge gli impone quando fa tutto quanto è in suo potere per comunicare
la dichiarazione alla controparte.

Fra due soggetti, di cui l’uno è munito di un diritto potestativo che gli attribuisce un potere sulla sfera
della controparte, l’atto di esercizio del diritto può equipararsi, per analogia iuris, ad una condizione,
che si ha per avverata se è stata resa impossibile dalla controparte (art. 1359). La dichiarazione in
esame produce il suo effetto anche se l’emittente si rende contro che essa non conosciuta dal
destinatario.

Art. 1359 cc – Avveramento della condizione


La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva
interesse contrario all'avveramento di essa.

Se la raccomandata non viene consegnata per assenza del destinatario, conta, come momento
dell’attivo, il momento del rilascio dell’avviso di giacenza.

Arrivo e contratto telematico


L’art. 12 d.P.R. 513/1997 dà il messaggio elettronico per inviato e pervenuto al destinatario se
trasmesso all’indirizzo elettronico da questi dichiarato.
L’art. 2 D. Min. Tesoro 1995 all. A intende concluso il contratto nel momento in cui il Sistema visualizza
sullo schermo l’avvenuto incontro di proposta e accettazione.
La direttiva 2000/31 CE capo II sez 3 (Contratti conclusi per via elettronica, art. 11 (inoltro dell’ordine),
statuisce che l’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti con cui sono indirizzati
hanno la possibilità di accedervi.
Il problema del luogo di conclusione del contratto si lega all’identificazione dell’ultima operazione
necessaria per la perfezione della fattispecie. Si potrebbe pensare alternativamente al luogo dove:
- Si trova il computer che riceve la comunicazione
- Il destinatario scarica la comunicazione dal provider
- È collocato il server del provider

La conoscenza della dichiarazione


La dichiarazione produce i suoi effetti tanto se sia concretamente nota al destinatario, quando nel
caso che gli sia giunta e gli sia conoscibile.
Premesso che il momento finale della dichiarazione è la recezione (cioè il momento in cui il
destinatario ha conoscenza della proposta), il problema è il seguente: quando si ha effettiva
conoscenza?
L’art. 1334 ha adottato il principio di cognizione secondo cui ↓

Si presume la conoscenza nel momento in cui viene provata la recezione, cioè l’arrivo all’indirizzo
del destinatario, se il destinatario non prova di essere stato senza colpa nell’impossibilità di avere
notizia della dichiarazione.

MA la legge non risolve un ulteriore quesito: le cause di giustificazione del destinatario che si ritiene
senza colpa devono essere valutate oggettivamente o soggettivamente? Vi sono due concezioni:

 Concezione oggettiva della conoscibilità (sostenuta in virtù dell’analogia tratta dalle norme
sulle notificazioni processuali e dell’analogia con la conoscibilità dell’art. 1341), che è stata
sostenuta con 3 argomentazioni:
1. Il criterio soggettivo è troppo aleatorio nella protezione del dichiarante e troppo rigido
nella protezione del destinatario
2. Il destinatario potrebbe avvalersi a suo piacimento della presunzione a seconda della
maggior convenienza, essendo solo lui il parametro di riferimento dell’esistenza o
meno della colpa
3. È indispensabile ricorrere ad un criterio di obbiettiva conoscibilità perché solo
l’obbiettività è sinonimo di certezza (finché non risulti che nella situazione concreta,
un fatto obbiettivo ed estraneo, la FORZA MAGGIORE, abbia impedito la recezione

Art. 1341 cc – Condizioni generali di contratto


Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti
dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto
conoscerle usando l'ordinaria diligenza.
In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere
dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei
rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe
alla competenza dell'autorità giudiziaria

 Concezione soggettiva della conoscibilità (Sacco), che è stata sostenuta con altre 3
argomentazioni:
1. Le norma sulla notificazione non conoscono il fenomeno della conoscibilità oggettiva
2. L’art. 1341 (condizioni generali di contratto) non conosce il fenomeno della
recettizietà
3. L’art. 1335 non dice che il destinatario possa valutare soggettivamente le ipotesi da
addurre come causa di giustificazione; dice solo che egli ha la facoltà di provare un
fatto, certo e obbiettivo, che dimostri la sua impossibilità di avere avuto conoscenza
della dichiarazione
L’art. 1335 è impreciso sotto un altro aspetto: non spiega se entrambe le parti siano legittimate a far
valere il vizio della recezione (l’impossibilità di conoscere) o se una sola di esse (il destinatario) abbia
il potere di scegliere fra l’efficacia o l’inefficacia della dichiarazione non conosciuta.
Il Sacco ritiene che, di regola, SOLO il destinatario possa far valere il vizio della recezione. Infatti se il
dichiarante già al momento dell’emissione sospetta che la dichiarazione possa non giungere alla
conoscenza del destinatario, non ha una ragione seria per contare sugli effetti della dichiarazione
medesima.

La norma dell’art. 1335 è una deroga al più generale principio, contenuto negli artt. 1326 e 1334.
Questa deroga vuole tutelare, entro certi limiti, l’aspettativa del dichiarante. Ma l’aspettativa viene
tutelata solo se il dichiarante, al momento dell’emissione, ignora che la dichiarazione non fu
conosciuta dal destinatario.
Il Sacco formula un’ulteriore regola, posta per tutelare l’interesse del dichiarazione alla conclusione
del contratto: il destinatario non può, per far valere l’inefficacia del contratto, allegare la propria
omissione colposa. Non si può assegnare al destinatario il modo di profittare di una propria
scorrettezza.
Fuori dal caso in cui l’ignoranza sia allegata dal destinatario della dichiarazione, la colpa è irrilevante:
poiché la conoscenza che crea l’affidamento del destinatario è l’unico fatto che giustifichi l’impegno
del dichiarante, viene formulata un’ulteriore regola che impone che il dichiarante può far valere la
mancata conoscenza della dichiarazione da parte del destinatario, quand’anche questa mancata
conoscenza fosse colpevole, se in questo modo può concludere che la dichiarazione non creò
affidamento. In ogni diverso caso, non può far valere l’impossibilità incolpevole di aver notizia, in cui
si trovò il destinatario.
Il Sacco prevede in via di eccezione che il proponente possa rinunciare agli effetti della sua
dichiarazione in presenza di 2 condizioni:
a. Non sappia e neanche sospetti (al momento dell’emissione) dell’impossibilità della
conoscenza
b. Dimostri che il vizio della recezione è dipeso da colpa del destinatario
Se il proponente non rinuncia, il contratto è validamente concluso.

Recezione e fatti concludenti

Art. 1335 cc – Presunzione di conoscenza


La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata
persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi
non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia
Cosa significa indirizza del destinatario?

 Generalmente l’indirizzo del destinatario è il luogo dove viene inviata la dichiarazione, la cui
individuazione è lasciata ad un’altra norma che regola il caso concreto
 Quando manca una norma specifica, la determinazione è affidata alla volontà delle parti
 In mancanza anche di espressa volontà delle parti, si ricorrerà al criterio della residenza o della
sede dell’attività del destinatario
NB Se la trattativa è simultanea ed è svolta per telefono, il luogo della conclusione è il luogo in cui si
trova il proponente.
Muovendo dalla premessa che l’art. 1335 disciplina SOLO l’ipotesi della manifestazione della volontà
mediante dichiarazione, fuori dai casi previsti espressamente dall’art. 1327 (comportamento
concludente efficace ex lege), in che momento può considerarsi perfezionata la manifestazione di
volontà resa sotto forma di comportamento concludente? Nel momento in cui la persone indicata
dalla legge come destinatario ha conosciuto l’evento, o quando le tracce del comportamento di
attuazione gli sono pervenute.
Esempio. Se la merce ordinata viene spedita senza previa accettazione, e siano fuori dai casi del 1327,
il contratto è concluso nel luogo e nel momento in cui la merce è consegnata al proponente.

Terze persone ausiliarie


Terze persone possono riceve il messaggio, o possono prenderne conoscenza, così collaborando alla
conclusione del contratto.
Bisogna domandarsi se il terzo interviene come ausiliario del dichiarante (e allora la recezione da parte
sua non varrà come recezione del destinatario) o come ausiliario del destinatario.
Se la dichiarazione viene rilasciata ad un familiare, ad un dipendente del destinatario, ovvero ad una
persona giuridicamente obbligata alla custodia ed alla consegna, e il rilasciatario smarrisce o non
consegna la dichiarazione, non sarà sempre facile decidere in merito alla colpa o all’incolpevolezza
dell’ignoranza del destinatario.
Trattandosi del dipendente sarà possibile l’applicazione per analogia dell’art. 2049, ma solo quando
rientri nelle mansioni reali o apparenti del dipendente il ritiro della corrispondenza.
Quando si tratti di familiari, opereranno le procure ed i mandati taciti che si innestano sui rapporti di
famiglia, ed i relativi limiti.

Se sorge discussione sulla persona che in concreto ha ricevuto il messaggio, chi invoca l’efficacia
della dichiarazione deve provare l’avvenuto recapito, ma non è obbligato a provare che la persona
che ha ritirato il messaggio sia quella autorizzata ex art. 37 del regolamento di esecuzione del codice
postale.

Il momento finale della proposta al pubblico


Offerta al pubblico (art. 1336) → è una proposta contrattuale che invece di rivolgersi a una o più parti
determinate, si rivolge alla generalità dei soggetti che possono essere interessati all'offerta (es Sono
proposti tramite offerte al pubblico i prodotti in un supermercato perché hanno esposto il prezzo di
vendita).

Art. 1336, comma 2 cc – Offerta al pubblico


L'offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è
diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi
La revoca dell'offerta, se è fatta nella stessa forma dell'offerta o in forma equipollente, è efficace
anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia
Promessa al pubblico (art. 1989) → la promessa (che è negozio unilaterale) è vincolante appena è
resa pubblica; non è volta alla conclusione di un contratto, ma si promette una prestazione a favore
di chi si trovi in una certa situazione o compia una determinata azione (es offerta di una somma di
denaro a chi ritrovi un cane smarrito).

Art. 1989 cc – Promessa al pubblico


Colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una
determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena
questa è resa pubblica.
Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della
medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l'anno dalla promessa non gli sia stato
comunicato l'avveramento della situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa
L’art. 1989 indica che gli effetti della promessa (condizionati alla conoscenza) retroagiscono al
momento della divulgazione, e che con la divulgazione la promessa è perfetta.
Il problema è il seguente: è necessaria la effettiva conoscenza affinché la proposta (offerta) al
pubblico possa operare o è sufficiente la semplice conoscibilità? In altre parole: la proposta al
pubblico è una dichiarazione recettizia?
La risposta è la seguente: essa opera senza bisogno di una “conoscenza”, e non è recettizia.
Il sacco dimostra il fatto che non ci sia bisogno di una conoscenza ricorrendo al paragone con la
REVOCA ex art. 1336, comma 2.

Art. 1336, comma 2 cc – Offerta al pubblico


La revoca dell'offerta, se è fatta nella stessa forma dell'offerta o in forma equipollente, è efficace
anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia

Si parte dalla premessa comune che la non necessità della conoscenza è espressamente prevista dalla
legge solo per la revoca della proposta. Le conclusioni diametralmente opposte sono le seguenti:
proprio dalla premessa si desume la differenza di trattamento:
- La revoca non necessità di conoscenza, quindi non è una dichiarazione recettizia
- La proposta necessità di conoscenza, quindi è recettizia
Se il legislatore avesse voluto un eguale trattamento lo avrebbe espressamente detto.
Il Sacco sostiene che, poiché il destinatario della proposta non avrà mai interesse ad eccepire la
mancata conoscenza di una proposta al pubblico, la legge esclude l’eccezione solo nel settore ove
tale difesa avrebbe un’importanza pratica. Laddove l’eccezione risulta impossibile (settore proposta),
il legislatore ha ritenuto la norma sulla non necessità così implicitamente pacifica che ha evitato di
menzionarla.
CONCLUDENDO

La pubblicazione è qualcosa in più della semplice espressione ma qualcosa in meno della recezione,
eppure è un requisito che da solo perfezione la dichiarazione, anche senza bisogno di conoscenza.
CAPITOLO 7 – CADUCAZIONE DELLA PROPOSTA E DELL’ACCETTAZIONE
La caducazione della proposta. Il discorso condotto nei secoli XIX e XX
Si domanda:
- Quanto tempo sia concesso all’oblato per accettare la proposta
- Se la proposta e l’accettazione siano revocabili
Il codice del 1942 sancisce espressamente la caducazione della proposta per decorso del termine (art.
1326, comma 2), nonché la revocabilità della proposta (art, 1328, comma 1). Ammette poi la figura
della proposta irrevocabile per volontà del proponente (art. 1329), per convenzione (art. 1331), o per
l’oggetto della proposta (art. 1333).
Il codice del 1865 non conteneva norme espresse né sulla revoca, né sulla caducazione della proposta
per effetto del decorso del termine.
Il codice di commercio del 1882 disponeva la caducazione automatica della proposta ove mancasse
la tempestiva accettazione e riconfermava la regola della revocabilità della proposta ad nutum, fino
al momento della conclusione del contratto.
La tradizione era a favore della revocabilità della proposta fino al momento dell’accettazione.
Verso la fine del secolo scorso, una corrente dottrinale prendeva ad affermare la regola generale
dell’irrevocabilità, senonché il principio trovava un ostacolo nell’art. 36 c. comm.

Art. 36 c. comm. 1882


Il contratto bilaterale tra persone lontane non è perfetto, se l’accettazione non giunga a notizia del
proponente nel termine da lui stabilito, o nel termine ordinariamente necessario allo scambio della
proposta e dell’accettazione, secondo la qualità del contratto e gli usi generali del commercio. Il
proponente può ritenere efficace anche un’accettazione giunta, in ritardo, purché ne dia
immediatamente avviso all’accettante.
(…)
Sino a che il contratto non è perfetto, la proposta e l’accettazione sono rivocabili; ma sebbene la
rivocazione impedisca la perfezione del contratto, tuttavia, se essa giunga a notizia dell’altra parte
dopoché questa ne ha impresa l’esecuzione, il rivocante è tenuto al risarcimento dei danni.
(…)

Con il nuovo secolo, si riconobbe l’efficacia della clausola di non revocazione.


Con il nuovo codice, la legge ha riconfermato le regole sul termine per l’accettazione tra assenti: il
termine è oggettivo, cioè (a prescindere dall’imputabilità del ritardo dell’oblato) rende inoperante
ipso iure la proposta. E ha infine previsto la irrevocabilità negoziale della proposta. L’irrevocabilità è
automatica in alcuni settori dove è più sensibile l’esigenza di assicurare all’oblato un tempo per la
riflessione (es art. 1887 - proposta scritta diretta all’assicuratore).

Art. 1887 cc – Efficacia della proposta


La proposta scritta diretta all'assicuratore rimane ferma per il termine di quindici giorni, o di trenta
giorni quando occorre una visita medica. Il termine decorre dalla data della consegna o della
spedizione della proposta.
Il codice del 1942 ha riaffermato il principio generale della revocabilità. La clausola d’irrevocabilità
non si considera necessariamente implicita nemmeno nella fissazione di un termine per
l’accettazione.
Per la convenzione di Vienna, la proposta è inefficace se il ritiro giunge all’oblato prima dell’offerta o
nello stesso tempo di questa. Ulteriormente, la proposta è in via di massima revocabile, ma il principio
soffre varie deroghe → la revoca non è ammessa se:
- L’offerta indica, mediante la fissazione di un termine per l’accettazione o altrimenti, che è
irrevocabile
- L’oblato poteva ragionevolmente fare affidamento sul carattere irrevocabile dell’offerta, e
l’oblato si è comportato fidandosi dell’offerta

La regola adottata dal diritto uniforme (internazionale) è quella della revocabilità della proposta,
ma il principio soffre varie deroghe:
 La revoca è ammessa solo se fatta in buona fede
 Sempreché la proposta non sia sottoposta a termine
 Non indichi espressamente l’irrevocabilità

Una serie di norme sono poi state introdotte in Italia per intermediazione delle fonti europee. Queste
regole offrono al contraente debole garanzie che operano anche attraverso la caducazione della
dichiarazione contrattuale. Esse consentono cioè al contraente che non ha potuto ponderare bene
la propria decisione, e al consumatore che ha accettato frettolosamente, una clausola pregiudizievole
di rimuovere il consenso già dato.

Caducazione della proposta per decorso del tempo


Abbiamo visto che l’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello
ordinariamente necessario seconda la natura dell’affare o secondo gli usi (art. 1326, comma 2).

Art. 1326, comma 2 cc – Conclusione del contratto


L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente
necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.

Salva la repressione ex art. 1337 di eventuali e poco pensabili episodi di mala fede, il proponente
opera su un terreno su cui non giacciono pretese delle parti, nascenti dal diritto dei contratti. Se il
termine è troppo breve, l’oblato cestinerà la proposta. Se è anteatto (proposta pervenuta a mezzo
posta con normale ritardo di mezzo mese) l’accettazione non è possibile.

Art. 1337 cc – Trattative e responsabilità precontrattuale


Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede
L’art. 1326, comma 3 attenua il principio legale di tempestività ↓

Art. 1326, comma 3 cc – Conclusione del contratto


Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso
all'altra parte

Accettazione tardiva è un termine che copre l’accettazione emessa tempestivamente e giunta tardi, e
allora bisogna accertare se l’accettante abbia interesse alla conclusione. Poi bisognerà accertare se
davvero l’avviso del proponente sia da trattare sempre a tutti i fini come mero avviso, e non come
accettazione (riqualificando l’accettazione tardiva come proposta).
Per diritto uniforme (internazionale) l’accettazione è inefficace se tardiva.
- L’offerta orale deve essere accettata immediatamente, salvo il caso in cui una soluzione
diversa emerga dalle circostanze (regole di Vienna)
- Tra assenti, l’accettazione deve giungere nel tempo fissato dal proponente, o, se manca il
termine espresso, in un termine ragionevole, tenendo il dovuto conto delle circostanze, specie
della rapidità del mezzo di comunicazione utilizzato dall’offerente
Anche per diritto uniforme, l’accettazione tardiva è efficace se il proponente si affretta a farlo sapere
all’accettante (regole di Vienna). E il diritto uniforme contiene un’ulteriore precisazione (che manca
al nostro diritto interno): se il ritardo dell’accettazione è dovuto ad un’accidentalità nella trasmissione,
non prevista dal mittente, l’accettazione si considera tempestiva, se il proponente non fa constare
senza indugio la sua contraria volontà.
QUINDI, secondo il diritto uniforme ↓

Le regole internazionali hanno adottato il principio della inefficacia dell’accettazione se tardiva:


l’accettazione deve giungere nel tempo fissato dal proponente o, in mancanza di termine espresso,
in un termine ragionevole.

Struttura ed effetti della revoca


L’art. 1328 sancisce la revocabilità della proposta e dell’accettazione.

Art. 1328 cc – Revoca della proposta e dell’accettazione


La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l'accettante ne ha
intrapreso in buona fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a
indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l'iniziata esecuzione del contratto.
L'accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima
dell'accettazione

La cd revoca dell’ACCETTAZIONE è in realtà un ritiro: essa opera in quanto nota all’offerente prima
dell’accettazione, o contemporaneamente ad essa. La revoca dell’accettazione è dunque una mera
dichiarazione unilaterale, non essendoci nessuna dichiarazione precedente che abbia creato un
affidamento da parte del proponente. Essa pertanto previene ogni possibilità di affidamento per il
proponente, perché priva l’accettazione di ogni attitudine a rappresentare al destinatario la volontà
del dichiarante.
Il diritto uniforme conosce la differenza fra il ritiro e la revoca successiva alla dichiarazione. Il ritiro è
ammesso anche nei confronti dell’accettazione (regole di Vienna).
Nel codice sono contenute due disposizioni secondo cui la PROPOSTA può essere revocata finché il
contratto non sia concluso, e cioè finché non sia pervenuta l’accettazione (art. 1328), e la revoca
produce effetto solo dal momento in cui perviene al destinatario (art. 1334). Quindi la revoca può
operare sia:
1) Se portata a conoscenza del destinatario prima della recezione della proposta (es Proposta
emessa ed inviata per posta, revoca effettuata per telefono prima che la proposta sia
recapitata)
2) Se portata a conoscenza del destinatario dopo la recezione della proposta, ma prima della
conoscenza dell’accettazione da parte del proponente
In entrambi i casi la revoca è perfezionata poiché è pervenuta prima della conclusione del contratto;
però nel caso 1) il destinatario non è ancora divenuto accettante, e nel caso 2) il destinatario è già
divenuto accettante. È evidente che nel caso 2) manca una tutela efficace della posizione
dell’accettante, mitigata dall’art. 1328, comma 1 (indennizzo).

Art. 1334 cc – Efficacia degli atti unilaterali


Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona
alla quale sono destinati

Con le norme in esame (1328 e 1334) il legislatore rifiuta nettamente l’idea che la semplice emissione
della dichiarazione di accettazione renda irrevocabile l’accordo.
L’art. 1328, con le parole “può essere revocato”, può lasciare intendere all’interpreta che, perché la
revoca operi, dev’essere anteriore alla conclusione del contratto il solo atto autorizzato in senso
stretto (emissione e spedizione), e non, invece, quell’ulteriore evento (arrivo) che, secondo l’art.
1334, potrebbe apparire come una specie di condizione d’efficacia.

Oggi si afferma la soluzione secondo cui la revoca della proposta è tempestiva purché pervenga
prima del momento perfezionativo del contratto.

Secondo l’art. 1328, comma 1, l’accettante, il quale abbia intrapreso in buona fede l’esecuzione del
contratto prima di avere notizia della revoca, ha diritto a ricevere dal proponente l’indennizzo delle
spese e perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
La forma della revoca, secondo la giurisprudenza, è libera. In realtà una norma precisa ed esplicita
sulla forma della revoca manca: ma non è neppure preclusa un’interpretazione estensiva e analogica
delle norme sulla forma contrattuale.
Morte e incapacità sopravvenuta del dichiarante
Il legislatore italiano rimane fermo, in via di principio, all’idea che equipara alla revoca la morte e
l’incapacità sopravvenuta: questi fatti ostano così alla conclusione del contratto, se la proposta è
revocabile; non ostano nei casi speciali di all’artt. 1329 e 1331.

Art. 1329 cc – Proposta irrevocabile


Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza
effetto.
Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente
non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale
efficacia

Art. 1331 cc – Opzione


Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra
abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta
irrevocabile per gli effetti previsti dall'articolo 1329.
Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.

Fanno eccezione alla regola la proposta, nonché l’accettazione, emesse dall’imprenditore


nell’esercizio dell’impresa, salvo che si tratti di piccoli imprenditori, o che diversamente risulti dalla
natura dell’affare o da altre circostanze (art. 1330).

Art. 1330 cc – Morte o incapacità dell’imprenditore


La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non
perde efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto,
salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre
circostanze

Morto il dichiarante (proponente o accettante), il contratto non si perfeziona.


Nulla è previsto per quanto riguarda gli eredi. Si ritiene comunemente che, non essendo le norme in
questione di ordine pubblico, siano efficaci l’accettazione e la proposta degli eredi quando la loro
possibilità di intervento sia stata, in origine, previsa da una clausola.
Alla morte, è equiparata la sopravvenuta incapacità. Il termine incapacità si riferisce sicuramente
all’ipotesi di incapacità legale; ma la lettera non chiarisce se si adatti anche all’incapacità naturale, e
alla cosiddetta capacità del fallito → in tema di incapacità naturale, la dottrina è divisa; la cd incapacità
del fallito NON rientra nell’incapacità che dà luogo alla caducazione.

Il rifiuto
Ulteriore causa di caducazione della proposta è il rifiuto della medesima da parte dell’oblato.
Il rifiuto produce effetto nei confronti di qualsiasi proposta contrattuale, anche se viene menzionato
dalla legge solo a proposito di due ipotesi speciali:
a. Quando, dopo il rifiuto viziato, intervenga (nei limiti di tempo utili) l’accettazione
b. Quando si tratti di rifiuto frapposto ad una promessa non bisognosa di accettazione, tale per
volontà delle parti, o ai sensi degli art. 1333, comma 2, nonché 1236

Art. 1333, comma 2 cc – Contratto con obbligazioni del solo proponente


Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi. In
mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso

Art. 1236 cc – Dichiarazione di remissione del debito


La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l'obbligazione quando è comunicata al
debitore salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare

Il Sacco ritiene essere l’art. 1337 l’unica norma che possa disciplinare in modo elastico il rifiuto.

Art. 1337 cc – Trattative e responsabilità precontrattuale


Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede

La proposta irrevocabile
Il codice riconosce espressamente la figura della proposta irrevocabile, tale per volontà privata (artt.
1329, 1331, 1333), o, in casi speciali, in virtù di legge (art. 1887).
Taluni tipi di proposta sono necessariamente irrevocabili → sono inderogabilmente sottratte alla
revoca, secondo il Sacco, la PROPOSTE DOVUTE.
Esempio. È inefficace la revoca della proposta emessa da colui che mediante preliminare si era
impegnato a concluderlo.
Sono, invece, inderogabilmente revocabili le proposte che tendono alla conclusione di un contratto,
da cui il proponente potrà recedere ad nutum in qualsiasi momento.

Se il contratto prevede il recesso, e nei limiti in cui il recesso è consentito, deve anche essere
consentita la revoca della proposta.

Nel regolare le varie ipotesi in cui la revoca è inefficace, il legislatore fa una distinzione tra il caso in
cui:

 Il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta (art. 1329)


 Le parti convengono che di una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione (art. 1331)
Art. 1329 cc – Proposta irrevocabile
Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza
effetto.
Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente
non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale
efficacia

Art. 1331 cc – Opzione


Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra
abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta
irrevocabile per gli effetti previsti dall'articolo 1329.
Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.

L’art. 1331 statuisce che se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere
stabilito dal giudice; l’art. 1329 sembra limitare l’efficacia della clausola di irrevocabilità all’ipotesi in
cui il proponente si obblighi a tener ferma l’offerta per un certo tempo.
Quindi, l’art. 1329 esclude il termine oggettivo e legale dell’art. 1326 per imporre in ogni caso il
termine negoziale; l’art. 1331, a sua volta, verrebbe a sostituire il termine legale con un termine
giudiziale.

La giurisprudenza afferma che il termine è elemento essenziale della proposta irrevocabile.

Le due fattispecie, secondo il Sacco, sono diverse:


In un caso il proponente si obbliga (1329) = ATTO LIBERO UNILATERALE
Il proponente è vincolato all’irrevocabilità della proposta “per un certo tempo” = il
destinatario ha “un certo tempo” per accettare la proposta → questo “certo tempo” deriva
da un accordo tra le parti.
→ noi sappiamo dall’art. 1333 che la dichiarazione del proponente, se egli promette senza
nulla chiedere in cambio, è sufficiente a generare obblighi a suo carico, cosicché
un’accettazione è superflua e quindi irrilevante; e, se superfluamente prestata, non entra
nella fattispecie legale → quando il proponente si assoggetta ad una clausola d’irrevocabilità,
e non chiede nulla in cambio, la sua parola lo vincola alla clausola ex art. 1333, comma 2. Ma se
il proponente vuole assoggettarsi all’irrevocabilità contro uno specifico corrispettivo, occorre
allora la parola dell’oblato (che, tacendo, non sarebbe impegnato al pagamento del
corrispettivo). L’impegno senza contropartita dell’offerente comporta un mero sacrificio. È
dunque giusto che sia contenuto nei limiti consentiti dall’offerente. Ciò che importa è solo
che il termine non ecceda quanto voluto dall’offerente. Il termine sarà quindi più breve di
quello previsto ex art. 1326 → l’art. 1329 deroga all’art. 1326 per ciò che riguarda il termine
per l’accettazione: nel 1329 esso deriva da un accordo, nel 1326 deriva da un atto unilaterale.
Il Sacco ritiene che in mancanza di accordo si ritorni al principio generale ex art. 1326.
L’art. 1329, in caso di mancato accordo, non prevede nulla.
Nell’altro caso le parti “convengono” (1331) = ACCORDO
→ l’esistenza della convenzione deve farsi dipendere dal fatto che entrambe le dichiarazioni
siano rilevanti, ed essenziali per la produzione degli effetti. Se la dichiarazione dell’oblato non
è necessaria per l’efficacia della clausola dell’irrevocabilità, l’irrevocabilità non dipenderà
dall’incrocio delle volontà, ma dalla sola volontà del proponente; e pertanto sarà applicabile
l’art. 1329.
L’art. 1331 trova la sua normale applicazione in tema di clausole di irrevocabilità con
contropartita. Si tratta di ipotesi in cui taluno si assoggetta ad un primo sacrificio patrimoniale
per ottenere dalla controparte l’irrevocabilità della proposta.
Esempio. Tizio propone a Caio la vendita di un terreno per il prezzo di 100.000;
aggiunge la clausola d’irrevocabilità, in considerazione della quale Caio si impegna a
versare 10.000. I 10.000 si intendono perduti se Caio non eserciterà l’opzione.
In casi come questi sorge il problema di adeguare il termine alla cd volontà comune delle parti.
Per opzioni pagate a caro prezzo, il termine sarà più lungo. L’esigenza di una valutazione
casistica mette in maggior evidenza l’apporto personale del giudice nell’integrazione del
negozio. Ciò non vuol dire che la sentenza abbia funzione propriamente costitutiva: la
sentenza potrà rilevare che il termine (se pure non espresso) è scaduto anche prima della
domanda giudiziale.
Quindi, se per l’accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal
giudice. In questo caso il 1331 deroga al 1326 nel senso che, in mancanza di accordo, la scelta
del termine spessa al giudice e non al proponente.
L’art. 1331, in caso di mancato accorto, prevede la sentenza del giudice.
La funzione della concessione unilaterale di un termine deve identificarsi in un interesse dello stesso
offerente a rendere più probabile l’accettazione, assicurando alla proposta quel margine di serietà e
definitività che, in via di principio, difetta all’offerta revocabile. Solo la proporzione tra la durata del
termine e l’esigenza della serietà della proposta giustifica il vincolo cui l’offerente si assoggetta senza
ulteriore contropartita.
La giustificazione della clausola d’irrevocabilità sta nell’interesse dell’offerente. Poiché l’esistenza di
questo interesse esige una valutazione soggettiva, rimessa al proponente, bisogna assicurare la
libertà di quest’ultimo.
Scaduto il termine legale o convenzionale inerente alla proposta ferma e all’opzionale, certamente
non si potrà più parlare di irrevocabilità. Ma non è del tutto chiaro se, caduta l’irrevocabilità:
- Cada anche la proposta
- La proposta rimanga in vita (nei limiti di tempo ex art. 1326) come semplice offerta revocabile
Secondo il Sacco, l’irrevocabilità, quando sussista, deve essere trattata, normalmente, come una
qualità intrinseca della proposta: quest’ultima nasce irrevocabile e permane tale fin quando si caduca.
Secondo un’altra lettura, la proposta irrevocabile si scinde in un’offerta (potenzialmente soggetta a
revoca) accompagnata dalla rinuncia al potere di revoca, perciò le dichiarazioni sono soggette a
termine distinti e, in via di principio, non coincidenti.
QUINDI ↓

Se manca l’accordo sul termine (ex 1329) sarà il proponente a stabilirlo secondo la regola comune
del 1326, comma 2.

Se manca l’accordo fra le parti (ex 1331), siccome siamo in una situazione di equilibrio degli
interessi in gioco, è necessario l’intervento del giudice.

Regole speciali per i contratti sollecitati da porta a porta o conclusi dal consumatore
La protezione dell’integrità del consenso (che è menomata quando il contraente è condizionato dalla
disinformazione, dalla paura o dalla mancata ponderazione) è affidata agli ampi rimedi giuridici
predisposti per il caso di vizi di volontà. Ma una protezione concorrente, e più efficace, è talora
prevista da singole norme → art. 1341, comma 2, artt. 1469 bis e ter e regole sulla contrattazione
sollecitata da porta a porta.

Art. 1341, comma 2 cc – Condizioni generali di contratto


In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere
dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei
rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe
alla competenza dell'autorità giudiziaria

Art. 1469 bis cc – Contratti del consumatore


Le disposizioni del presente titolo si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal
codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore.

Art. 1469 ter cc – Accertamento della vessatorietà delle clausole


ABROGATO

La contrattazione sollecitata da porta a porta ingloba l’ipotesi di:


- Un consumatore che ha accettato
- Un consumatore che, invitato, ha emesso un’offerta
Le norme che definiscono la contrattazione sollecitata da porta a porta sono:

 Art. 18 ter, comma 2 legge 216/1974, modificata dalla legge 478/1990, art. 42 n. 1 lett. a)
 D.lgs. 50/1992 – Attuazione della direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati
fuori dei locali commerciali
I legislatore avevano il compito di formulare l’idea per cui la vittima della sorpresa non è vincolata
dalla propria dichiarazione se non dopo una riflessione durata un certo numero di giorni, e sempreché
essa non si sia pentita nel frattempo.
Il legislatore parla di contratto. Ma il contraente sorpreso potrebbe essere stato invitato ad offrire, e
aver dichiarato la sua volontà in veste di proponente. Perciò il legislatore europeo equipara al
contratto la semplice proposta.
Il tempo per il pentimento decorre dall’emissione della proposta.
Quanto al recesso, o impugnativa, la protezione del contraente avrebbe molto da perdere se la
dichiarazione dovesse pervenire al venditore o fornitore entro il termine di 5 o 7 giorni: il rischio di un
ritardo del servizio postale azzererebbe quasi la protezione. Bisogna che l’interprete ricordi che la
dichiarazione di pentimento non è il recesso dell’art. 1373, né la revoca del 1328; né la rescissione di
un contratto già formato. MA è il fatto commissivo che osta al formarsi di un silenzio, il quale, solo,
avrebbe la virtù di far apparire ponderata (e quindi nettamente attendibile) la dichiarazione.
Perciò, la dichiarazione di pentimento è efficace purché spedita nel termine.
Fra la proposta e il recesso, fra l’accettazione e il recesso, abbiamo una situazione di incertezza. Il
legislatore italiano parla di effetto sospeso, di atto non ancora efficace.
Il recesso non è una condizione, ma opera retroattivamente, come una condizione retroattiva, o come
un annullamento.
La dichiarazione del contraente sorpreso, anche se non ancora ponderata, è efficace ad alcuni fini:
non appena essa pervenga alla controparte, questa non potrà più revocare la propria offerta (ove il
fornitore sia il proponente); dallo stesso istante, decorre il tempo per l’accettazione del fornitore.

CAPITOLO 8 – CORRISPONDENZA FRA PROPOSTA E ACCETTAZIONE


Congruenza oggettiva e formale dell’accettazione alla proposta
L’accettazione e la proposta devono avere un identico contenuto.
Un’accettazione contenente variazioni vale come NUOVA proposta (art. 1326, comma 5); se essa non
è accettata a sua volta, il contratto non si conclude.

Art. 1326, comma 5 cc – Conclusione del contratto


Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.

L’accettazione non conforme alla proposta non deve essere confusa con l’accettazione pura
accompagnata da una proposta di modifica: quest’ultima figura darà luogo alla conclusione del
contratto, salva la facoltà, per il proponente, di accettare a sua volta la proposta di modifica, o di
rifiutarla.
Nel diritto internazionale uniforme le regole sono parzialmente diverse:
- Una risposta all’offerta recante addizioni è una reiezione dell’offerta e vale come
controproposta SE contiene modificazioni in punto di:
 Prezzo, pagamento, qualità, quantità delle merci
 Luogo e tempo della consegna
 Ambito delle responsabilità
 Foro competente
- Una risposta all’offerta recante addizioni vale come accettazione SE prevede variazioni che
non alterino sostanzialmente i termini della proposta, tranne il diritto del proponente di
rifiutare senza indugio l’accettazione della controparte.
Perché l’accettazione sia efficace bisogna che:
a) Giunga tempestivamente
b) Il suo oggetto coincida con quello della proposta
c) Sia munita di tutti i requisiti formali, o di altra natura, prescritti dal proponente.
Per quanto riguarda il punto c), il proponente può bloccare il luogo della recezione, imporre una
forma, una data lingua ecc. Per quanto riguarda la forma, la legge sancisce la regola in modo espresso,
ex art. 1326, comma 4.

Art. 1326, comma 4 cc – Conclusione del contratto


Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha
effetto se è data in forma diversa.

L’accettazione formulata nella lingua della proposta sarà sempre valida. Non sempre sarà valida
l’accettazione redatta nella lingua ufficiale.
La congruenza sussiste quando:
- Coincidono i testi
- Coincida il valore giuridico dei testi → se l’oblato accetta dopo aver cancellato una clausola
della proposta manifestamente nulla, il contratto è concluso
Se manca la corrispondenza oggettiva, l’accettazione vale come proposta.
Se manca la congruenza cronologica, il proponente può sanare il ritardo dandone avviso
immediatamente (art. 1326, comma 3)

Art. 1326, comma 3 cc – Conclusione del contratto


Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso
all'altra parte.

Accettazione che manca della forma richiesta dal proponente → si potrebbe dire che chi accetta senza
la forma prescritta dal proponente sa di non vincolarsi; e che la controparte non può considerare
impegnativa una dichiarazione siffatta. MA, se il contenuto della dichiarazione ne lascia intendere in
modo univoco il valore impegnativo, è giusto che il proponente possa utilizzare l’accettazione.
L’accettante si è accollato il rischio di tale evenienza quando ha emesso la sua dichiarazione; secondo
buona fede, deve intendersi legato ad essa. Al proponente che voglia approfittare deve accollarsi solo
l’onere di dirimere prontamente l’obbiettiva incertezza della situazione, mediante avviso analogo a
quello di cui all’art. 1326, comma 3.

Le dichiarazioni comuni, indistinte, incrociate


Finora abbiamo sempre parlato del contratto consensuale a formazione bilaterale come di una
fattispecie che consta di una proposta e di un’accettazione.
NB Il contratto si conclude ugualmente anche se non è possibile qualificare una dichiarazione come
proposta e l’altra come accettazione.
Molte volte la dichiarazione delle parti è comune.
Esempio. Le parti dichiarano la volontà comune al notaio
Esempio. Le parti, in una seduta congiunta, sottoscrivono un documento da valere come testo
contrattuale
Altre volte le dichiarazioni delle parti sono indistinte.
Esempio. Un accordo viene concluso dopo che le clausole sono state limate gradualmente
durante una lunga telefonata, al termine della quale non si può più distinguere un proponente
e un accettante. Spesso queste dichiarazioni indistinte saranno seguite da uno scambio di
lettere in cui un contraente apparirà proponente e l’altro apparirà accettante.
Altre volte ancora le dichiarazioni sono incrociate. Qui il contratto si conclude quando entrambe le
dichiarazioni siano giunte a destinazione.

Unità e divisibilità delle dichiarazioni contrattuali


Talora una proposta e un’accettazione apparentemente discordi sono EFFICACI, in quanto un’offerta
apparentemente unica si può svolgere in numerose proposte frazionate.
Se il contratto è uno, l’annullamento e la risoluzione dovrebbero colpirlo nell’insieme, o risparmiarlo.
Se i contratti sono tanti, le sorti di ognuno di essi saranno indipendenti.
La separazione dei vari effetti ha un senso solo per distinguere un nucleo principale dell’accordo,
capace di vivere anche senza l’accessorio, e un nucleo accessorio che da solo non può funzionare.
All’interno di un unico contratto si distinguono singole frazioni di esso (es clausola, suscettibile di
trattamenti differenziati, ex art. 1367).
Avviene di frequente che il problema della separabilità dei contenuti multipli di una dichiarazione
dipenda dalla struttura soggettiva di una delle parti.
Esempio. Tizio propone la vendita o l’acquisto di un fondo ai 4 figli eredi di Caio, con il quale
era in trattativa. Dei quattro, 2 accettano. L’accettazione è efficace?
Il problema si manifesta con particolare frequenza nell’area dei contratti preliminari. Nelle more fra
il preliminare e il definitivo la situazione si altera, e non è possibile concludere un definitivo
pienamente rispondente al preliminare.
Il problema si deve ricondurre alla volontà delle parti (si tratta dunque di un problema di fatto).

CAPITOLO 9 – LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO A FORMAZIONE


PLURILATERALE
La spedizione e la recezione della dichiarazione
Il discorso fin qui condotto vale quando le parti siano due. Ma è possibile che vi sia un contratto con
più parti.
Il problema è il seguente: le accettazioni devono pervenire al proponente o ogni accettazione deve
pervenire altresì ad ogni altro oblato?
La legge non contiene una disciplina espressa.

Dalla regola generale ex art. 1326, e dalla regola ex art. 1332, qualcuno ha ricavato che OGNI
ACCETTAZIONE DEVE PERVENIRE AL PROPONENTE E A TUTTI GLI OBLATI. Più propriamente si potrà
affermare che:
- Ogni parte potrà far valere il proprio affidamento solo in relazione alle dichiarazioni ricevute
- Ogni parte potrà ridiffondere intorno a sé le dichiarazioni ricevute (al fine di escludere
l’eventualità che un contraente di un contratto con più parti possa tenere in scacco tutti gli
altri omettendo di comunicare l’accettazione ad una sola parte)

La caducazione delle dichiarazioni


In tema di caducazione delle dichiarazioni, allorché si tratti di contratto a formazione plurilaterale,
una dottrina ha affermato che la proposta, come la singola accettazione, possono essere revocate
legittimamente, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente e degli altri oblati prima della
conclusione del contratto (cioè prima di quell’accettazione che sia ultima in ordine di tempo); e che
inoltre, in questo campo, non sono configurabili i patti d’opzione.
Secondo il Sacco, le regole sulla revoca, applicate al contratto plurilaterale, conducano ai seguenti
risultati:
- Intervenuta la proposta ed un’accettazione, il proponente ha diritto di confidare
definitivamente nell’accettazione ricevuta, come l’accettante ha diritto di confidare nella
proposta
- Le regole applicabili ad una proposta non seguita da accettazione alcuna non sono applicabili
ad una proposta accettata da uno degli oblati. Quando sia intervenuta quest’accettazione,
l’irrevocabilità della proposta nei confronti dell’oblato accettante trova la sua giustificazione
nel corrispondente vincolo assunto dall’oblato. E pertanto l’accettazione è irrevocabile di
fronte al proponente e la proposta è irrevocabile di fronte all’accettante.
- L’irrevocabilità non opera a beneficio degli oblati che non hanno accettato. In attesa delle
decisioni di costoro, il proponente e l’accettante possono, d’accordo tra loro, procedere alla
revoca nei rapporti interni, e insieme provvedere alla revoca della proposta nei confronti degli
oblati che non si sono ancora pronunciati
Anche la proposta che mira a creare il contratto plurilaterale può essere munita di CLAUSOLA DI
IRREVOCABILITA’, così come può formare oggetto di un PATTO D’OPZIONE.
Anche in tema di contratto plurilaterale operano le consuete eccezioni alla caducazione per MORTE
e per INCAPACITA’. L’art. 1330 sarà applicabile.

Art. 1330 cc – Morte o incapacità dell’imprenditore


La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non
perde efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto,
salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre
circostanze

Il contratto aperto
L’art. 1332 parla del contratto cui possono aderire più parti. La dottrina chiama questa figura
CONTRATTO APERTO. Di norma si tratterà di contratti che prevedono prestazioni omogenee, e diritti
omogenei, per i vari aderenti. L’aderente, cioè, assumerà su sé un carico standardizzato di
obbligazioni, e reciprocamente avrà il diritto che gli altri contraenti effettuino la prestazione.
Secondo il Sacco, può rientrare nella previsione dell’articolo tanto una proposta quanto
un’accettazione.
L’art. 1332 contiene una regola dispositiva:

L’adesione deve essere diretta all’organo costituito per l’attuazione del contratto, o, in mancanza
di esso, a tutti i contraenti originari. È fatta salva ogni determinazione che fissi modalità diverse.

Il requisito della comunicazione dell’adesione a tutti i contraenti originari è posto nell’interesse di


questi ultimi: se esso difetta, i contraenti originari possono dedurne l’inesistenza dell’adesione; ma
l’aderente, il quale abbia già comunicato l’adesione ad una parte dei contraenti originari, non può
avvalersi dell’incompletezza delle notifiche per sottrarsi agli effetti dell’adesione prestata.
Il cc ci presenta una figura specifica di adesione a contratto aperto → conclusa una CESSIONE DI BENI
ad alcuni creditori, i creditori estranei all’accordo possono inserirvi con una successiva adesione. Non
è chiaro, però, se il creditore abbia il potere di entrare nel contratto con una adesione-accettazione,
o se la sua adesione valga semplice proposta, volta ad ottenere l’accettazione del debitore cedente,
o l’accettazione di quest’ultimo e degli altri creditori.
SEZIONE 3 – Le condizioni generali di contratto
Nozione e ambito
Il problema delle condizioni generali di contratto ex artt. 1341 e 1342 si pone solitamente per i
CONTRATTI DI ADESIONE, quelli in cui una delle parti aderisce ad un testo già predisposto (cd contratto
standardizzato)

Art. 1341 cc – Condizioni generali di contratto


Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti
dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto
conoscerle usando l'ordinaria diligenza.
In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere
dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei
rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe
alla competenza dell'autorità giudiziaria

Art. 1342 cc - Contratto concluso mediante moduli o formulari


Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare
in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o al
formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse
anche se queste ultime non sono state cancellate.
Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente.

I contratti standard svolgono un ruolo primario nell’organizzazione d’impresa, presentando indubbi


vantaggi e svantaggi.
Vantaggi:
 Rapidità
 Uniformità
 Possibilità di controllo
 Prevenzione delle liti
 Prevedibilità dell’esito delle liti
Svantaggi:
 Rischio che la parte proponente faccia ricorso a mezzi al limite del lecito per nascondere
determinate clausole, affinché l’aderente (rimasto estraneo alla loro elaborazione) concluda
il contratto senza aver potuto conoscerle o aver adeguatamente rifiutato.
Il legislatore, proprio per evitare conseguenze di questo genere, ha stabilità le regole del 1341 e 1342.
All’art. 1341, comma 1 il legislatore ha disciplinato le CLAUSOLE GENERALI, che sono efficaci nei
confronti dell’aderente se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o
avrebbe dovuto conoscerle.
All’art. 1341, comma 2 il legislatore ha disciplinato le CLAUSOLE VESSATORIE, ossia le clausole che a
giudizio del legislatore, a causa della loro pericolosità e gravità devono essere approvate per iscritto.
Devono essere approvate per iscritto anche le CLAUSOLE DEI MODULI E DEI FORMULARI (ex art. 1342,
comma 2)
La giurisprudenza ha dovuto risolvere la questione concreta di quale sia il limite che distingue una
clausola generale da una clausola vessatoria ↓

CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO → presupposti:


 Deve trattarsi di condizioni di CONTRATTO. Non sono quindi tali le clausole che contengano
un’opzione e le clausole che hanno la loro fonte nella legge, o comunque in disposizioni
normative. Hanno invece natura contrattuale, e sono perciò soggette a tale onere di forma
le prescrizioni contrattuali previste dagli statuti di credito di diritto pubblico
 Deve trattarsi di condizioni GENERALI. Le clausole devono essere predisposte per una serie
indefinita di contratti, ovvero devono essere incluse in moduli o formulari. Tali presupposti
non ricorrono se le condizioni sono state sì predisposte unilateralmente, ma per la
conclusione di un solo contratto
 Deve trattarsi di condizioni PREDISPOSTE DA UNO DEI CONTRAENTI. Non sono quindi tali le
clausole che derivano da trattative. Perché l’espressa sottoscrizione non sia necessaria, le
trattative devono avere investito la specifica clausola vessatoria di cui è questione.
 Deve sussistere la RATIO ISPIRATRICE DEL 1341, cioè deve sussistere l’esigenza di tutela che
giustifica la loro esistenza. È necessario quindi che sussista un pericolo oggettivo per
l’aderente. Tale pericolo non sussiste quando:
1. L’accordo è stato prodotto in atto pubblico alla presenza di un notaio
2. Non può configurarsi, ad una valutazione astratta, un conflitto di interessi

In presenza dei 4 requisiti, si può senz’altro concludere per l’esistenza delle clausole generali di
contratto ex 1341.

L’art. 1341, comma 2 fornisce un elenco di clausole che, per avere effetto, devono essere
specificatamente approvate per iscritto dall’aderente. L’elenco è considerato, dalla giurisprudenza,
tassativo, cosicché non ne è consentita l’applicazione analogica, ma soltanto l’interpretazione
estensiva.

CLAUSOLE VESSATORIE → Le clausole che hanno per oggetto:


1. Limitazioni di responsabilità: clausole che riducono l’ambito oggettivo della
responsabilità del predisponente quale è determinato dalla legge o dal contratto
2. Facoltà di recedere dal contratto, a condizione che tale facoltà non sia già prevista dalla
legge come indispensabile per la validità del contratto (es contratto d’opera
intellettuale)
3. Facoltà di sospendere l’esecuzione, come 2.
4. Decadenza: clausole che nel contratto di compravendita riducono il termine per
proporre azione in caso di vizi della consa venduta
5. Limitazione alla facoltà di opporre eccezioni: clausole che limitano la:
 Possibilità di eccepire l’estinzione dell’obbligazione di restituzione per
impossibilità derivante da caso fortuito
 Possibilità di far valere il regolamento convenzionale della prova stragiudiziale
dei vizi della cosa venduta
 Possibilità di promuovere azioni intese ad ottenere l’adempimento della
controparte prima di eseguire la propria prestazione
6. Limitazioni alla libertà contrattuale: clausole che vincolano il titolare di un esercizio
commerciale a vendere solo i prodotti del predisponente e clausole inserite in una
vendita di beni mobili che impongono un prezzo minimo di rivendita
7. Tacita proroga o rinnovazione del contratto, anche se la loro natura è bilaterale
8. Clausola compromissoria. Non rientrano in questa ipotesi la clausola compromissoria in
arbitrato irrituale e la convenzione con la quale le parti conferiscono ad un terzo il
compito di effettuale una perizia contrattuale.
9. Deroghe alla competenza, nel senso di indicare un foro non contemplato dalla legge o
rendere esclusivo un foro previsto dal cpc come alternativo

Non sono invece vessatorie, perché non rientrano nell’elenco previsto dall’art. 1341, comma 2:
- La clausola penale
- Il divieto di sublocazione
- La clausola di variazione del prezzo in
una vendita a consegne ripartite
- La clausola “salvo approvazione della
casa”
- La clausola di adeguamento del canone
- La clausola che prevede rinunce
- La clausola che autorizza l’esecuzione
prima della risposta dell’accettante
- La clausola che determina
l’applicazione del diritto straniero
- La clausola con cui si prevedono
interessi superiori a quelli legali
- La clausola di esclusione della revisione
del prezzo nell’appalto
- La clausola che prevede il diritto del
mediatore anche in caso di revoca
anticipata dell’incarico
- La clausola che contempla il prevenivo
consenso alla cessione del contratto
Vi sono casi in cui clausole, che pure rientrano nell’elenco, non sono considerate vessatorie perché
sono riproduttive di norme di legge (es La clausola risolutiva espressa non è vessatoria, perché rafforza
la facoltà prevista dall’art. 1453)

Art. 1453 cc - Risolubilità del contratto per inadempimento


Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue
obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo,
in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria
obbligazione.

Per converso, sono state qualificate vessatorie clausole che, pur non essendo riconducibili, almeno
de plano, all’elenco, tuttavia derogavano alla disciplina legale del tipo a cui il contratto standard
andava ricondotto.

Non è necessaria la specifica sottoscrizione di clausole vessatorie riproduttive di usi normativi,


ma lo è se riproduttive di usi contrattuali.

La conoscibilità
Perché le condizioni generali di contratto siano efficaci, è necessario che l’aderente le abbia
conosciute, o quanto meno che sia stato posto in condizioni di conoscerle usando l’ordinaria diligenza
(art. 1341, comma 1).
Nei confronti dell’aderente che non le abbia conosciute per propria negligenza, le condizioni generali
sono efficaci.
Quindi le condizioni generali di contratto devono essere conoscibili, dove per CONOSCIBILITA’ si
intende l’obbligo della loro conoscenza, e dove la CONOSCENZA si intende riferita al contenuto di
essere e non solo alla loro esistenza.
Non può dirsi conoscibile una clausola incomprensibile.
Ma può dirsi conoscibile una clausola ambigua: questa è perciò efficacie, ma dovrà essere
interpretata a favore dell’aderente, in applicazione dell’art. 1370.

Art. 1370 cc - Interpretazione contro l'autore della clausola


Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno
dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro

L’art. 1342 cc, in tema di contratti conclusi sulla base di moduli e formulari, richiama l’art. 1341,
comma 2, ma non il comma 1 → di fronte a un modulo o a un formulario l’ignoranza dell’aderente
non può essere considerata scusabile.
In settori particolari l’esigenza della conoscibilità viene perseguita imponendo che un copia del testo
contrattuale venga consegnata all’aderente:
- Contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari e finanziari
- Contratti di concessione di credito al consumo

La specifica approvazione per iscritto


Requisiti formali della clausola vessatoria: la sottoscrizione (autonoma dichiarazione di accettazione)
deve riferirsi alla clausola individuata mediante il riferimento al numero e al contenuto (non è
sufficiente la sottoscrizione globale del contratto.
Le clausole vessatorie prive di sottoscrizione non hanno effetto → secondo il De Nova sono clausole
nulle oppure inefficaci:
- Si può affermare che le condizioni generali di contratto vessatorie fanno parte del
regolamento contrattuale, ma, in difetto della specifica approvazione per iscritto, sono nulle
- Si può ritenere che le condizioni generali di contratto vessatorie non sottoscritte non entrino
neppure a far parte del regolamento contrattuale, siano cioè inefficaci
Il difetto di sottoscrizione può essere fatto valere dal predisponente e anche d’ufficio
Il difetto di sottoscrizione inficia il contratto solo per la parte relativa alle clausole vessatorie: la parte
standard rimane efficace.

I moduli e i formulari
L’art. 1342, comma 1 stabilisce la prevalenza delle clausole aggiunte rispetto a quelle del modulo o del
formulario, anche se queste non sono state cancellate, a condizione che vi sia incompatibilità fra le
prime e le seconde.
L’incompatibilità (accertata dal giudice di merito) è stata esclusa quando le clausole aggiunte si
limitavano a integrare, chiarire, precisare le clausole a stampa.

L’interpretazione
Secondo l’art. 1370, in caso di dubbio sul contenuto delle condizioni generali di contratto, viene
imposta l’interpretazione a favore dell’altro contraente, ossia dell’accettante.
La lettera della legge esclude che la norma si applichi ai contratti stipulati individualmente e la logica
porta ad escludere che essa possa applicarsi a clausola inserite così in un contratto standard, ma
frutto di trattative, perché in tal caso non si ha una condizione generale di contratto.
L’esigenza di tutela dell’aderente sussiste sia che:
- La clausola faccia parte di condizioni generali di contratto predisposte dall’altro contrente
- La clausola compaia in un modulo o in formulario alieno, che una delle parti imponga all’altra
Il 1370 fa parte delle cd norme oggettive e sussidiarie, cui si deve ricorrere soltanto in funzione
sussidiaria, e cioè quando l’applicazione delle norme interpretative cd soggettive non abbia fugato
l’ambiguità della clausola.
Il controllo da parte della pubblica amministrazione
Per alcuni settori di attività è previsto un controllo sulle condizioni generali di contratto da parte della
PA. L’intensità del controllo è variabile:
 Talora le imprese sono solo obbligate a presentare le condizioni di contratto in sede di
autorizzazione all’esercizio dell’attività, nonché a comunicare le modificazioni
 Talora le imprese sono obbligate a sottoporre le proprie condizioni generali all’approvazione
della PA. In questo caso la PA può chiedere all’impresa i modificarle e, in caso di
inottemperanza, è ipotizzabile anche una inserzione di diritto di condizioni generali da parte
della stessa PA

Profili processuali
L’onere di provare che si è in presenza di un contratto di adesione spetta, ex art. 2697, alla parte che
da ciò trae conseguenze favorevoli.

Art. 2697 cc – Onere della prova


Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve
provare i fatti su cui l'eccezione si fonda

L’accertamento sul carattere vessatorio di una clausola, sulla esistenza della specifica approvazione
per iscritto, sulla compatibilità della clausola aggiunta rispetto alle clausole dei formulari comporta
una VALUTAZIONE DI FATTO, demandata al giudice di merito, e come tale incensurabile in sede di
legittimità.
Il potere di rilevare la nullità di una clausola per violazione degli artt. 1341 e 1342 può essere
esercitato in sede di legittimità soltanto in quanto i presupposti di fatto siano già acquisiti agli atti del
processo.

Profili internazionalprivatistici
La norma che impone l’approvazione per iscritto delle clausole vessatorie non è considerata di ordine
pubblico internazionale. Ne consegue la validità di una clausola vessatoria che rispetti i requisiti
prescritti dalla legge straniera applicabile, ancorché fra questi non ricorra la specifica approvazione
per iscritto. È consentito ad un giudice italiano, qualora debba pronunciarsi su una causa con elementi
di estraneità, applicare il diritto straniero, anche se la materia in questione è regolata in modo diverso
dal diritto italiano.

Il problema del controllo


Il problema del controllo delle condizioni generali di contratto si pone solo nel momento in cui si
afferma che la disciplina del cc non tutela adeguatamente la posizione dell’aderente.
La tutela dell’aderente non è adeguata per alcuni motivi:
» Il cc ha stabilità delle regole (1341 e 1342) che consentono all’aderente di avere piene
conoscenza dell’esistenza in un contratto delle clausole in questione, ma nulla ha detto
riguardo alla conoscenza del contenuto di esse. Il legislatore si è interessato più degli aspetti
formali (requisito della conoscibilità o sottoscrizione) che degli aspetti sostanziali (effettiva
comprensione della gravità ed importanza di dette clausole)

» Il cc ha sottovalutato la posizione contrattuale del proponente che si trova, di solito, in una


condizione di superiorità rispetto al contraente-aderente più debole, il quale è spesso
ignorante in materia giuridico-contrattualistica e quindi incapace di valutare a fondo le
conseguenze della propria adesione

» Anche qualora se ne rendesse conto, il cc non ha predisposto nulla riguardo alla possibilità di
modificare il contenuto delle clausole predisposte dall’altro contraente. L’unica alternativa è
quella di non concludere il contratto
È necessario trovare un’altra fonte, se esiste, nel cc che possa adeguatamente tutelare la posizione
dell’aderente. Oppure, trovare un rimedio extra-codicistico che consenta di esperire un efficace
controllo preventivo sulla redazione dei controlli di adesione.
Il De Nova conclude così:
(1) Il ricorso a principi generali contenuti nel codice (ordine pubblico, buona fede) non risolve il
problema, poiché non consente di sapere quando una clausola è contraria a tali principi
(2) Il rimedio extra-codicistico può essere di natura giurisdizionale o amministrativa. Il primo si
risolverebbe in un rimedio successivo, subordinato alla promozione di un’azione; il secondo
dovrebbe essere il rimedio auspicabile

Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori


Una disciplina legislativa delle clausole vessatorie è efficace se induce le imprese a modificare i propri
contratti standard prima che sorga una controversia.

Art. 25 legge 52/1996, di ricezione della Direttiva 93/13 → aggiunto il Capo XIV bis, a chiusura del
Titolo II del libro quarto del cc.

Art. 1469 ter, comma 2 cc – Accertamento della vessatorietà delle clausole


La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto
del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano
individuati in modo chiaro e comprensibile.
La prima verifica cui l’imprenditore deve sottoporre i propri contratti è se essi siano redatti in modo
chiaro e comprensibile.
Se il professionista individua in modo chiaro e comprendibile l’oggetto del contratto, il giudice non
può valutare come vessatoria la clausola che individua l’oggetto.
Se, invece, la clausola che individua l’oggetto del contratto non è chiara e comprendibile, il giudice
può considerare tale clausola come vessatoria.
Il professionista, quindi, deve eliminare dai propri contratti ambiguità ed oscurità, se vuole ridurre il
margine di discrezionalità del giudice nel valutare la vessatorietà di una clausola.

Art. 1469 quinquies, comma 5 cc – Inefficacia


E’ inefficace ogni clausola contrattuale che, prevedendo l'applicabilità al contratto di una
legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l'effetto di privare il consumatore della protezione
assicurata dal presente articolo, laddove il contratto presenti un collegamento più stretto con il
territorio di uno Stato membro dell'Unione europea.
La norma vuole evitare l’elusione della disciplina di attuazione della Direttiva 93/13 CE: e dunque una
clausola siffatta è sempre inefficace.
Dichiarata inefficace la clausola in questione, si applicheranno le disposizioni di attuazione della
Direttiva dello Stato membro con cui il contratto presenta il collegamento più stretto (e, per l’ipotesi
che tale Stato membro non abbia dato attuazione alla Direttiva, si applicheranno gli artt. 1469 bis e
ss., cui è attribuita implicitamente la natura di norme di applicazione necessaria), nonché, più in
generale, le norme di quel diritto.

Art. 1469 ter, comma 3 cc – Inefficacia


Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive
di disposizioni o attuative di princìpi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti
contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea.
Il comma 3 riproduce l’art. 1, comma 2 Direttiva 93/13, ma con due significative modificazioni, perché:
- Non aggiunge la qualificazione imperative alle disposizioni di legge
→ nel considerando n.13 della Direttiva si precisa che l’espressione “disposizioni
legislative o regolamentari imperative” che figura all’art. 1, paragrafo 2 comprende
anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato
convenuto nessun altro accordo, e così anche le disposizioni suppletive
- Elimina il riferimento ai regolamenti
→ l’espressione disposizioni regolamentari è molto più ampia, e potrebbe coprire
anche le condizioni generali di contratto di molti servizi pubblici. L’eliminazione del
riferimento ai regolamenti comporta l’esclusione della applicazione della disciplina in
esame alle sole clausole che riproducono disposizioni di legge, e così la sottoposizione
a controllo della clausole che riproducono meri regolamenti.
L’esclusione dei regolamenti chiude del tutto la porta all’ipotesi di considerare
rilevante la riproduzione degli usi, ipotesi che già in base alla Direttiva era parso al De
Nova di dover respingere.

Art. 1, comma 2 Direttiva 93/13


Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e
disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle
quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente
direttiva.
Considerando n. 13 Direttiva 93/13
(…) si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che
disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non
contengono clausole abusive; (…) l'espressione «disposizioni legislative o regolamentari
imperative» che figura all'articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si
applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo
Vi è la necessità di determinare con precisione quando si possa dire che una clausola non è vessatoria
perché riproduce una disposizione di legge.
Secondo il De Nova, non è vessatoria una clausola che:
 Riproduce una disposizione di legge imperativa
 Riproduce una disposizione di legge derogabile, che si applicherebbe in difetto di una
clausola
Può, invece, essere vessatoria una clausola che:
 Regola un profilo che nessuna disposizione di legge regola
 Regola un profilo in modo diverso da quanto prevederebbe, in assenza di clausola, una
disposizione di legge, anche se in un modo consentito
Dunque, la norma che esclude siano vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge va
interpretata identificando tali disposizioni in quelle che contro il contratto (norme imperative) e nel
silenzio del contratto (norme suppletive) dettano una disciplina che il legislatore considera
espressione di equo contemperamento degli interessi, non in quelle disposizioni che consentono una
deroga alla soluzione considerata equa, o comunque normale, dal legislatore.
È dunque preliminare, per l’imprenditore, verificare se le clausole dei propri contratti standard siano,
per avventura, riproduttive di disposizioni di legge, o di convenzioni internazionali comunitarie.

Art. 1469 ter, commi 4 e 5 cc – Accertamento della vessatorietà delle clausole


Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa
individuale.
Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in
maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare
che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente
predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Per un contratto individuale non sarà difficile provare che si via stata trattative: la stessa successione
di più bozze del contratto ne potrà dare documentazione.
Per i contratti di serie, invece, l’esigenza di uniformità che presiede alla loro utilizzazione sembra
confliggere con la trattativa individuale, che dovrebbe portare a contratti essi pure individuali, diversi
l’uno dall’altro.
La difficoltà non può essere superata introducendo nel contratto standard una clausola, sottoscritta
dal consumatore, in cui questi dia atto che su determinate clausole vi è stata trattativa (una clausola
siffatta sarebbe a sua volta vessatoria).
La difficoltà non può neppure essere superata procedendo ad una trattativa collettiva sulla condizioni
generali di contratto.
Una via d’uscita, che contemperi l’esigenza dell’uniformità dei contratti standard con l’esigenza che
il singolo consumatore tratti sulla singola clausola, può forse essere rinvenuta nella predisposizione
di testi contrattuali alternativi, che prevedano o non prevedano la clausola della cui vessatorietà si
tratta → se il consumatore può scegliere tra due testi, l’uno che prevede una clausola di esclusione
dell’eccezione di inadempimento (testo che prevedrà un corrispettivo minore) e l’altro che non
prevede la clausola di esclusione dell’eccezione di inadempimento (testo che prevedrà un
corrispettivo maggiore), e gli è comunque garantita la possibilità di accedere al bene o al servizio, De
Nova crede che si possa ritenere che, in caso di scelta del primo testo, la previsione della clausola di
esclusione dell’eccezione di inadempimento possa dirsi frutto di trattativa specifica e individuale, con
esclusione quindi della sua vessatorietà.

Art. 1469 quinquies, comma 2 cc – Inefficacia


Sono inefficaci le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto
di:
1) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del
consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
2) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte
in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
3) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la
possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
Secondo De Nova, residua pur sempre, in astratto, per il professionista, la possibilità di provare che
tali clausole non sono vessatorie, ma in concreto non vede come tale prova possa essere fornita,
almeno per quanto riguarda i n. 1 e 3.
In definitiva, se un professionista dovesse rinvenire nei propri contratti clausole siffatte, sarebbe cosa
prudente che le eliminasse.

Se una clausola:
- Non è in ogni caso inefficace
- Non è riproduttiva di disposizione di legge o di convenzione internazionale comunitaria
- Non è stata oggetto di trattativa individuale
→ si pone il problema della sua vessatorietà. Perché, se fosse vessatoria, sarebbe inefficace (mentre
il contratto rimane efficace per il resto.
Il legislatore detta criteri di valutazione.
Art. 1469 ter, commi 1 e 2 cc – Accertamento della vessatorietà delle clausole
La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto
del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed
alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto
del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano
individuati in modo chiaro e comprensibile.
Importante è il riferimento alle altre clausole del contratto, perché il professionista potrà
argomentare che la singola clausola di per sé potrebbe essere vessatoria, ma non lo è perché è
compensata da altre clausole che ripristinano l’equilibrio.
Il comma 2 esclude che la valutazione possa attenere alla determinazione dell’oggetto del contratto
e alla adeguatezza del corrispettivo, a condizione che il contratto sia chiaro e comprensibile su tali
elementi.
I criteri così indicati per lo più attengono ad una valutazione di clausole in astratto, ma postulano una
valutazione di quello specifico individuale contratto, laddove si fa riferimento alle circostanze
esistenti al momento della conclusione del contratto.

Art. 1469 bis, comma 1 cc – Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore
Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, che ha per oggetto la cessione di beni
o la prestazione di servizi, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede,
determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti
dal contratto.
Norma di infelice formulazione, che pone una clausola generale, e dunque si deve attendere venga
concretizzata da pronunce giurisprudenziali.

All’art. 1469 bis, comma 3 troviamo un elenco di 20 clausole che si presumono vessatorie, salvo prova
contraria. Le clausole dell’elenco, secondo il De Nova, conviene distinguerle in gruppi:
(a) Le deroghe al principio secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti
 Immodificabilità
 Irretrattabilità
 Cogenza all’adempimento
Il principio secondo cui il contratto ha forza di legge comporta innanzitutto che le parti sono
vincolate all’accordo tra di esse raggiunto. Costituisce quindi una deroga a tale principio
prevedere che una parte possa risultare vincolata a:
» Clausole che non ha potuto conoscere
» Una lex contractus che viene determinata dall’altra parte o che viene
modificata dall’altra parte rispetto all’accordo originario
Per diritto comune dei contratti deroghe siffatte possono essere (seppur entro certi limiti)
consentite. Per i contratti dei consumatori è logico che vengano considerate con sospetto
(b) I limiti all’autotutela del professionista e la garanzia del diritto di difesa del consumatore


ADESIONE A CLAUSOLE IGNOTE
10) prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità
di conoscere prima della conclusione del contratto;
Questa è una previsione di ordine generale che faceva parte, in precedenti stesure della Direttiva, di
una norma autonoma, volta ad evitare che il consumatore fosse soggetto a clausole “sorprendenti”.
La disposizione pare volta ad impedire integrazioni per relationem ad altre clausole ignote.
La eventuale declaratoria di inefficacia di una clausola vessatoria comporta che il contratto rimane
efficace per il resto (art. 1469 quinquies, comma 1). Nel caso in esame si tratta di vedere in concreto
se il contratto può rimanere efficace, ove non sia integrato per relationem.
Per l’imprenditore, la norma in esame impone la necessità di assicurarsi che il consumatore abbia la
possibilità di conoscere le clausole cui si fa rinvio per relationem al momento della conclusione del
contratto.
IUS VARIANDI
11) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le
caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel
contratto stesso;
Si presume, quindi, vessatoria una clausola che attribuisca lo ius variandi al professionista, senza che
ricorra un giustificato motivo indicato nel contratto. In definitiva, lo ius variandi del professionista è
in linea di principio riconosciuto, e senza che al consumatore sia attribuito, in caso di esercizio di tale
diritto alla modificazione del contratto, un diritto di recesso.
Esempio. Art. 1711, comma 2 → Il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora
circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano
ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.
Esempio. Art. 1770, comma 2 → Se circostanze urgenti lo richiedono, il depositario può esercitare la
custodia in modo diverso da quello convenuto, dandone avviso al depositante appena è possibile.
In entrambi i casi le clausole si sottraggono alla vessatorietà.
L’eventuale declaratoria di inefficacia della clausola priverà il professionista dello ius variandi, mentre
il contratto per il resto rimarrà efficace.

DETERMINAZIONE SUCCESSIVA DEL PREZZO


12) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della
prestazione;
L’art. 1469 bis, comma 7 esclude l’applicazione di questa norma alle clausole di indicizzazione dei
prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente
descritte.
Se la determinazione del prezzo è stata rinviata ad un momento futuro, e tale futura determinazione
non è consentita, qual è il prezzo? La regola, secondo cui l’inefficacia della clausola vessatoria non si
estende all’intero contratto non sembra reggere.

AUMENTI
13) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore
possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente
convenuto;
Anche in questo caso la norma non si applica alle clausole di indicizzazione (art. 1469, comma 7).
Non si presume vessatoria la clausola che da un lato consente al professionista di aumentare il prezzo
e dall’altro al consumatore di recedere se il prezzo diventa eccessivo.
L’inefficacia della clausola comporta che il professionista non può aumentare il prezzo, ferma
rimanendo l’efficacia del contratto.

ACCERTAMENTO DI CONFORMITA’ E INTEGRAZIONE


14) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio
prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d'interpretare una clausola
qualsiasi del contratto;
La sua inefficacia esclude tali poteri in capo al professionista, sicché riprendono vigore i principi,
secondo cui tali poteri spettano ad entrambe le parti congiuntamente o al giudice.
Il principio, secondo cui il contratto ha forza di legge, comporta altresì che una parte non può
sciogliersi unilateralmente dal vincolo, per il fatto che l’interesse originario che l’ha spinta a
concluderlo non è più attuale.

RECESSO
7) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto,
nonché' consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal
consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il
professionista a recedere dal contratto;
La disposizione in esame è divisa in due parti:

(1) La prima prevede la facoltà di recesso, e la clausola relativa si presume vessatoria se pari facoltà
non è concessa anche al consumatore
Qui gioca il principio di bilateralità.
Anche qui occorre verificare se la clausola non riproduce una disposizione di legge.

Esempio. Art. 1893, comma 1 → Se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le
dichiarazioni inesatte e le reticenze non sono causa di annullamento del contratto, ma
l'assicuratore può recedere dal contratto stesso, mediante dichiarazione da farsi
all'assicurato nei tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della
dichiarazione o la reticenza.
In questi casi il professionista può recedere, mentre il consumatore no: ma una
clausola che prevede questa soluzione non è vessatoria, appunto perché riproduce
una disposizione di legge.

(2) La seconda riguarda una clausola che appare vessatoria perché volta a consentire al professionista
di recedere, e al tempo stesso di trattenere corrispettivi ottenuti in anticipo per prestazioni ancora
da lui non eseguite.
È stato osservato che prima anche che inefficace, la clausola sarebbe nulla per
mancanza di causa.
Anche in questo caso l’inefficacia della clausola esclude i poteri previsti per il
professionista, e il contratto rimane efficace per il resto.
RECESSO DA CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO
8) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole
preavviso, tranne nel caso di giusta causa;
Si presume quindi vessatoria la clausola che consente al professionista di non dare preavviso, a meno
che ricorra una giusta causa: qui non basta a salvare la clausola la previsione che lo stesso possa fare
il consumatore.
La necessità del preavviso è già prevista da numerose disposizioni di diritto comune relative a contratti
a tempo indeterminato. Il preavviso, anche se non è espressamente previsto, può dirsi richiesto dal
principio di buona fede.
L’inefficacia della clausola non comporta l’assenza del potere di recesso per il professionista, bensì la
necessità che egli dia preavviso.

TACITA PROROGA O RINNOVAZIONE


9) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare
la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione;
La clausola che prevede una tacita proroga o rinnovazione non si presume dunque, di per sé,
vessatoria. Ciò si ha solo se il termine per la disdetta è troppo anticipato rispetto alla scadenza: si vuole
evitare che il consumatore decada dal potere di disdetta quando ancora non è ragionevole che egli
si sia posto il problema della proroga o della rinnovazione del contratto.
Il principio, secondo cui il contratto ha forza di legge, comporta, infine, che le parti devono
adempierlo. Limitazioni a questo principio sono consentite dal diritto comune dei contratti, ma nei
contratti dei consumatori vengono necessariamente viste con sospetto previsioni che creano una
posizione privilegiata per il professionista.

ESCLUSIONE O LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ DEL PROFESSIONISTA PER MORTE O


DANNO ALLA PERSONA DEL CONSUMATORE
1) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del
consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
La clausola in esame è considerata nulla già alla luce dell’art. 1322, comma 2 → Le parti possono anche
concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano
diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico
Se il professionista è anche produttore a termini dell’art. 3, d.P.R. 224/1988, è nullo qualsiasi patto
che escluda o limiti preventivamente nei confronti del danneggiato, la responsabilità, in particolare
per il danno cagionato dalla morte o da lezioni personali. Non sembra, dunque, che il n.1 dell’elenco
aggiunga nulla.
In relazione ai contratti di prestazione d’opera professionale, occorre considerare l’art. 2236, secondo
cui se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera
non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. Una clausola che riproduca l’art. 2236
e, ad esempio, preveda che “il professionista non è responsabile in caso di colpa semplice se la
prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” non è vessatoria. Lo sarebbe
soltanto se escludesse la responsabilità anche per colpa grave o per dolo.
Per il contratto di trasporto di persone, l’art. 1681, comma 2 prevede che sono nulle le clausole che
limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore. Anche qui la previsione
della clausola n.1 come vessatoria non aggiunge nulla.
La vessatorietà della clausola comporta che il professionista risponde secondo il regime di diritto
comune.

ESCLUSIONE O LIMITAZIONE DEI DIRITTI DEL CONSUMATORE IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL


PROFESSIONISTA
2) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra
parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del
professionista;
L’art. 1229, comma 1 prevede che è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la
responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave, e quindi riconosce la validità dei patti di esonero
o limitazione per colpa semplice. Quindi la previsione della clausola n.2 non aggiunge nulla.
Di fronte ad una clausola che esoneri o limiti la responsabilità del professionista per colpa semplice,
ci si deve chiedere se tale clausola riproduca una disposizione di legge, nella specie l’art. 1229.
Secondo il De Nova, non pare debba essere così: la norma, che esclude siano vessatorie le clausole
che riproducono disposizioni di legge, va interpretata identificando tali disposizioni in quelle che
contro il contratto (norme imperative) e nel silenzio del contratto (norme suppletive) dettano una
disciplina che il legislatore considera espressione di equo temperamento degli interessi, non in quelle
disposizione che consentono una deroga alla soluzione considerata equa, o comunque normale, dal
legislatore.
L’art. 1229 laddove consente una clausola di esonero per colpa semplice, appartiene a quest’ultima
categoria, perché la soluzione normale è che chi è inadempiente risponda. E dunque, nei contratti
con i consumatori, una clausola che esoneri il professionista da responsabilità per colpa semplice si
presume vessatoria.
La vessatorietà della clausola comporta che il professionista risponde, secondo il regime di diritto
comune per ciascun tipo di contratto.

CONDIZIONE MERAMENTE POTESTATIVA ED ESECUZIONE


4) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del
professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua
volontà;
La clausola riguarda la sottoposizione a condizione dell’esecuzione della prestazione (non
dell’assunzione di un obbligo da parte del professionista).
Al professionista sarebbe consentita la sospensione arbitraria dell’esecuzione della prestazione.
L’inefficacia colpisce la clausola condizionale, sicché il professionista potrà sospendere la prestazione
solo se sussistono i presupposti di legge.
CONDIZIONE MERAMENTE POTESTATIVA e ART. 1355
20) prevedere l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo come subordinati ad una
condizione sospensiva dipendente della mera volontà del professionista a fronte di un'obbligazione
immediatamente efficace del consumatore. E' fatto salvo il disposto dell'articolo 1355.
La clausola n.20 non trova riscontro nell’allegato alla Direttiva.
L’art. 1355, di cui è fatto salvo il disposto, già sancisce la nullità dell’alienazione di un diritto e
dell’assunzione di un obbligo subordinata ad una condizione meramente potestativa,
indipendentemente dall’efficacia o meno della controprestazione.

RESPONSABILITA’ PER I CONTRATTI STIPULATI DAI MANDATARI


15) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti
stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l'adempimento delle suddette obbligazioni al
rispetto di particolari formalità;
L’inefficacia della clausola comporta la responsabilità del professionista secondo i principi di diritto
comune.

SOSTITUZIONE CON UN TERZO


17) consentire al professionista di sostituire a se' un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche
nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di
quest'ultimo;
La clausola n.17 corrisponde alla clausola p) dell’allegato alla Direttiva, ma con importante differenza:
- La clausola p) consente prevedere la possibilità per il professionista di cedere a terzi il contratto
senza l'accordo del consumatore, qualora ne possano risultare inficiate le garanzie per il
consumatore stesso
- La clausola n.17 si presume vessatoria quando, pur essendovi stato il preventivo consenso del
consumatore, la tutela dei diritti di quest’ultimo risulti diminuita
Rimane da chiedersi se la vessatorietà e quindi l’inefficacia della clausola sia opponibile al cessionario
del contratto, che ha confidato sul preventivo consenso del consumatore.

OPPONIBILITA’ DELLA COMPENSAZIONE


3) escludere o limitare l’opponibilità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei
confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest'ultimo;
Per diritto comune è ammessa la rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore (art.
1246, n.4). Si propende per ritenere che la rinuncia possa essere effettuata anche prima del sorgere
della situazione obiettiva di coesistenza dei crediti reciproci. Nei contratti dei consumatori una
clausola che impedisca al consumatore di opporre la compensazione si presume vessatoria.
L’inefficacia comporterà l’opponibilità della compensazione da parte del consumatore.

CAPARRA
5) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se
quest'ultimo non conclude il contratto o ne recede, senza prevedere il diritto del consumatore di
esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il
contratto oppure a recedere;
La clausola n.4 corrisponde alla clausola d) dell’allegato alla Direttiva, ma con una differenza
significativa, perché la clausola d) parla di rinuncia del consumatore a concludere o a eseguire il
contratto.
Così com’è la disposizione in esame la figura della caparra penitenziale (art. 1386), con una estensione
alla responsabilità precontrattuale.
È palese l’applicazione del criterio della bilateralità: la clausola non è vessatoria se si prevede che, così
come il consumatore perde quanto ha versato, il professionista versa altrettanto.
Ci si deve chiedere se la vessatorietà e quindi l’inefficacia comporti che il professionista non ha diritto
di trattenere la somma, o invece che tale diritto permane, ma si aggiunge un diritto del consumatore
di esigere il doppio.

CLAUSOLA PENALE
6) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di
una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo
manifestante eccessivo;
La disposizione deve essere confrontata con l’art. 1384, che consente la riduzione, da parte del
giudice, della penale eccessiva → la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se
l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è
manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva
all'adempimento.
Mentre per diritto comune il contraente inadempiente, ridotta la penale dal giudice, sarà tenuto alla
penale così ridotta, nei contratti dei consumatori l’inefficacia della clausola che prevede la penale
eccessiva porterà all’applicazione delle norme ordinarie in tema di risarcimento del danno per
inadempimento.
Il rischio che il professionista corre nel lasciare nel proprio contratto standard una penale
particolarmente elevata è di trovarsi poi in difficoltà nel provare il danno effettivamente subito.
La formulazione ampia del n.6 fa sì che siano ricomprese anche ipotesi ulteriori rispetto alla clausola
penale (la clausola che in una vendita reale preveda che le rate pagate restino acquisita al venditore
a titolo d’indennità). Mentre per diritto comune il giudice, secondo le circostanze, può ridurre
l’indennità, nei contratti con i consumatori, ove l’acquisizione delle rate pagate riguardi un importo
manifestamente eccessivo, la clausola relativa sarà inefficace.
Il n.6 appare applicabile anche al leasing al consumo, per le clausole di acquisizione dei canoni
percetti.

LIMITI ALL’ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO


16) limitare o escludere l’opponibilità dell'eccezione d'inadempimento da parte del consumatore;
La clausola che esclude o limita l’exceptio inadimpleti contractus è valida (art. 1462), e peraltro è
clausola che pone limitazioni alla facoltà di opporre eccezione (art. 1341, comma 2).
La presunzione di vessatorietà della clausola che esclude o limiti l’exceptio inadimpleti contractus
rappresenta un importante intervento a tutela del consumatore, ed una evidente applicazione del
criterio dello squilibrio.
L’inefficacia della clausola ripristina l’esperibilità dell’eccezione.

DECADENZE, LIMITAZIONI, DEROGHE


18) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni,
deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all'allegazione di prove, inversioni o
modificazioni dell'onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi;
La clausola n.18 corrisponde, con qualche modificazione, alla clausola q) dell’allegato alla Direttiva.
Significativa pare la modificazione apportata in tema di arbitrato. La clausola q) dell’allegato indica
come vessatoria la clausola che obbliga il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione
di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche.
La formulazione del n.18 (deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria) rende vessatoria
qualunque clausola compromissoria.
Data la frequenza, nei contratti standard, di clausole compromissorie, bisogna chiedersi:
- Quale sia l’ambito di applicazione della disposizione limitativa in esame
- Quali possano essere le vie per mantenere, nei contratti, il ricorso all’arbitrato
Non pare dubbio che la clausola compromissoria per arbitrato rituale comporta deroga alla
competenza dell’autorità giudiziaria, e così rientra nel novero di quelle che si presumono vessatorie.
Per quanto la clausola compromissoria per arbitrato irrituale comporti non deroga alla competenza
dell’autorità giudiziaria, ma rinuncia alla giurisdizione, la vessatorietà della clausola non pare dubbia:
perché comunque riconducibile al n.18 o perché crea significativo squilibrio (art. 1469 bis, comma 1).
Il problema della vessatorietà si pone anche per alcune clausole peritali previste in contratti standard
di assicurazione, in cui si demanda la decisione del quantum ad un terzo indipendente, con efficacia
vincolante per le parti.
Anche nei contratti con i consumatori occorre far sì che ricorra una trattativa specifica e individuale.
Secondo il De Nova, si può considerare stipulato a seguito di trattativa un patto compromissorio
distinto dal contratto de quo (in atto separato ex art. 808, comma 1 cpc), la cui sottoscrizione è del
tutto libera per il consumatore. Se il consumatore intende stipulare il solo contratto, lo può fare; se
vuole stipulare il patto compromissorio a latere, la sua è una libera scelta che testimonia l’intervenuta
trattativa, trattativa che porterà a determinare la natura dell’arbitrato (rituale, irrituale, di diritto, di
equità), la sede, la lingua, il diritto applicabile, l’autorità cui è demandata la nomina del secondo o del
terzo arbitro.
L’inefficacia delle clausole ripristina la disciplina legale.

FORO COMPETENTE
19) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza
o domicilio elettivo del consumatore;
La clausola n.19 non trova riscontro nell’allegato della Direttiva.
La disposizione in esame non fa riferimento a clausole di deroga alla competenza che risulterebbe
dagli artt. 18 ss. cpc, ma di indicazione di un foro diverso da quello del luogo di residenza o domicilio
elettivo del consumatore.
La clausola che prevede un foro convenzionale diverso da quello della residenza o del domicilio eletto
dal consumatore si presume vessatoria.
Dichiarata inefficace la clausola, si applicano i criteri comuni di determinazione della competenza per
territorio.

Le clausole che si presumono vessatorie ammettono la prova contraria.

Non pare agevole che il professionista possa dimostrare che una clausola non sia vessatoria in
considerazione della natura del bene o del servizio, delle circostanze esistenti al momento della
conclusione del contratto, delle altre clausole del medesimo o di altro collegato o da cui dipende.
La lista di clausole prevista dall’art. 1469 bis, comma 3 può dirsi una lista grigia, perché comporta
valutazioni spesso discrezionali da parte del giudice. Ma tende ad essere una lista nera, sotto il profilo
della prova contraria.
Di qui l’opportunità, per l’imprenditore che rinvenga, nei propri contratti standard, clausole
riconducibili a quelle dell’elenco di eliminarle o quanto meno modificarle.
In molti casi, si tratterò di inserire nelle clausole esistenti quei contrappesi a favore del consumatore
alla cui assenza l’art. 1469 bis, comma 3 collega la vessatorietà. Così potranno essere salvate:
- La clausola penitenziale prevedendo il diritto del consumatore di esigere dal professionista il
doppio della somma (n.5)
- Le clausole di recesso prevedendo la facoltà di recedere anche per il consumatore (n.7)
- Le clausole di recesso dal contratto a tempo indeterminato prevedendo la necessità di un
ragionevole preavviso (n.8)
- Le clausole di proroga prevedendo un termine congruo per la disdetta (n.9)
- Le clausole che consentono lo ius variandi integrandole con l’indicazione dei giustificati motivi
che lo consentono (n.11)
- Le clausole di variabilità in aumento integrandole con la facoltà di recesso per il consumatore
(n.13)
La modificazione delle clausole sopra indicate fa venir meno la presunzione di vessatorietà.
NB La previsione di tali contrappesi fa soltanto venire meno la presunzione. L’elenco delle clausole
che si presumono vessatorie integra, ma non sostituisce, il criterio generale della buona fede e del
significativo squilibrio. Sicché può essere vessatoria anche una clausola che le disposizioni dell’art.
1469 bis, comma 3 escludono dal novero di quelle che si presumono vessatorie.

L’imprenditore che modifichi le proprie clausole per evitare che rientrino nell’elenco di quelle che
si presumono vessatorie non può escludere in toto un giudizio di vessatorietà sulla base del criterio
generale del significativo squilibrio contrario a buona fede.

Se una condizione generale di contratto è riconducibile all’elenco previsto dall’art. 1341, comma 2
deve essere specificatamente sottoscritta per essere efficace.
La revisione dei contratti porterà ad eliminare molte clausole che necessitano della specifica
sottoscrizione ex art. 1341, comma 2.
Si frequente una clausola dell’elenco ex art. 1469 bis, comma 3 corrisponde ad una clausola
dell’elenco ex art. 1341, comma 2. Così per:
- Le clausole di esonero o limitazione della responsabilità del professionista (n.1, 2, 15)
- Le clausole che limitano per il consumatore la facoltà di sollevare eccezioni (n. 3, 16)
- Le clausole che sottraggono il professionista al vincolo contrattuale (n.7, 8)
- Le clausole di proroga automatica (n.9)
- Le clausole di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria (n. 18)
- Le clausole di elezione del foro (n.19)
Tra i due elenchi, però, non vi è coincidenza completa. Come una clausola che è vessatoria ex art.
1469 bis, comma 3 può non esserlo ex art. 1341, comma 2 (es clausola penale), così una clausola che
non è vessatoria ex art. 1469 bis, comma 3 può esserlo ex art. 1341, comma 2 (es clausola di recesso
bilaterale / clausola di proroga tacita non accompagnata da una termine incongrue per la disdetta).

L’imprenditore dovrà assicurarsi non solo che le clausole dei propri contratti standard siano non
vessatorie in base alla novella, bensì anche che siano specificatamente sottoscritte ex art. 1341,
comma 2 quelle che tuttavia rientrano nell’elenco previsto da quest’ultima disposizione.

Le conseguenze dell’accertata vessatorietà di una clausola è l’inefficacia, ferma restando l’efficacia


del contratto per il resto (almeno in linea di principio).
Il problema di una revisione delle clausole contrattuali dei contratti standard non si pone se esse
riproducono disposizioni di legge o se esse sono state oggetto di trattativa con il singolo consumatore.
Il problema della revisione si pone per le clausole che appaiono riconducibili ai 20 casi di clausole che
si presumono vessatorie: perché la prova contraria, pur consentita, non pare affatto agevole.

Condizioni generali di contratto predisposte da entrambi i contraenti


Il problema si pone quando entrambi i contraenti hanno proprie condizioni generali di contratto, e
ciascuno invia all’altro le proprie, senza sottoscrivere quelle che riceve: si ha così uno scambio tra
formulari, e quindi si ha un conflitto tra formulari.
Gli artt. 1341 e 1342 non affrontano il problema.
Non si può trovare una risposta soddisfacente nella disciplina del contratto in generale.
L’art. 1326, ult comma dispone che un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova
proposta: non si ha alcuna conclusione del contratto. Opera il principio della necessaria
corrispondenza tra proposta e accettazione.
Sia pure per un settore particolare, troviamo una disposizione che affronta il problema → si tratta
dell’art. 19 della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili, ratificata
con la legge 765/1985

Art. 19, comma 1 Conv. Vienna ribadisce la regola che troviamo nell’ult comma dell’art. 1326:

Art. 19, comma 1 Conv. Vienna


Una risposta ad una proposta volta ad essere un’accettazione ma che contiene aggiunte, limitazioni
o altre modificazioni è un rifiuto della proposta e vale come controproposta.

Ma ai nostri fini rilevano i commi 2 e 3:

Art. 19, commi 2 e 3 Conv. Vienna


Tuttavia, una risposta ad una proposta volta ad essere un’accettazione ma che contiene clausole
aggiunte o difformi che non alterano sostanzialmente i termini della proposta, costituisce
accettazione, a meno che l’autore della proposta, senza ritardo ingiustificato, non si opponga
verbalmente a queste differenze o non invii un avviso a questo scopo. In caso contrario, il contenuto
del contratto è il contenuto della proposta con le modificazioni aggiunte nell’accettazione.
Le clausole aggiunte o difformi che si riferiscono segnatamente al prezzo, al pagamento, alla qualità
e quantità dei beni, al luogo e al termine di consegna, all’ambito della responsabilità di una parte
nei confronti dell’altra e alla composizione delle controversie si considera che alterino in maniera
sostanziale i termini della proposta.

L’art. 19 della Conv. Vienna non fa espresso riferimento al conflitto tra condizioni generali.
L’art. 19 risolve il problema del conflitto tra formulari per quanto attiene alla avvenuta conclusione
del contratto: il contratto è concluso se le condizioni generali dell’accettante non modificano in modo
sostanziale quelle del proponente, salvo che il proponente sollevi obbiezioni. Non risolve, invece, il
problema del contenuto del contratto così concluso.
Se le parti concordano sugli aspetti essenziali del contratto, le condizioni generali confliggenti si
neutralizzano e quei profili vengono disciplinati dal diritto dispositivo

Il contratto è in linea di principio concluso, e il suo contenuto è dato dalle clausole su cui vi è stato
l’accordo espresso e, in più, dalle clausole standard che sono comuni, per tali intendendo quelle
che lo sono da un punto di vista sostanziale. La presenza di clausole confliggenti non esclude che
il contratto sia concluso, ma esclude le clausole stesse dal contenuto contrattuale. È però fatta
salva la espressa volontà di una parte, tempestivamente dichiarata, di non voler essere vincolata
da un siffatto contratto.
SEZIONE IV – Il consenso
CAPITOLO 1 – IL PROBLEMA DELLA VOLONTA’
Generalità
Se il contratto è inteso come l’espressione dell’autonomia e se l’autonomia è il potere della volontà,
il contratto sarà l’incontro di due volontà.
Se è il contratto è inteso come la promessa vincolante e impegnativa, che opera sulla base dei rispettivi
affidamenti, la volontà contrattuale cessa di essere un fatto psicologico e interno. Il soggetto è tenuto
perché ha indotto altri a fidarsi della sua parola.
L’indica dell’apparenza della volontà sarà la dichiarazione.

Volontà, dichiarazione, interessi sottostanti


Il principio di responsabilità e affidamento, il principio del valore della dichiarazione hanno la funzione
(strumentale) di rendere più agibile il traffico.
La regola della dichiarazione potrebbe trattenere l’operatore dal contratto, per il timore di sbagliarsi
ed essere poi legato ad una dichiarazione emessa per errore; ma la regola della volontà può rendere
malagevole la conclusione dell’accordo, perché la controparte sa di non potersi fidare ciecamente
della parola dell’operatore.

Assenza della volontà e volontà viziata


Sistematica della DOTTRINA TRADIZIONALE → siccome il negozio è un atto di volontà, le anomalie del
consenso possono essere classificate come:
- Vizi del volere, quando la volontà c’è stato ma si è formata sotto l’influsso di una causa
perturbante (errore, violenza, dolo)
- Difetto (assenza) della volontà, quando esiste un conflitto tra volontà e dichiarazione. Questa
categoria, a sua volta, si distingue in due sottocategorie:
 Mancanza della volontà di dichiarare
 Mancanza della volontà di accettare gli effetti dichiarati
Secondo la dottrina tradizionale, quindi, la tipicità dei vizi del volere convive con l’atipicità delle figure
di divergenza tra volontà e dichiarazione.
Teoria del SACCO → la distinzione tra vizio del volere (vizio semplice) e assenza del volere (vizio
ostativo) (conflitto tra volontà e dichiarazione) è insoddisfacente, poiché non esaurisce tutte le ipotesi
di consenso anomalo.
Per esempio, le dichiarazioni simulate o rese per scherzo, rese sotto coazione fisica, per errore ostativo
ecc non possono essere ricondotte né alla categoria del vizio del volere né a quella dell’assenza di
volere.
Sul piano dei fatti, allorché il consenso è anomalo, può darsi che si debba escludere in blocco
l’esistenza di ogni e qualsiasi volontà, o ritenere esistente ma viziata la volontà in ogni sua forma, o
ritenere che la volontà di dichiarare sia semplicemente viziata e la volontà degli effetti sia invece
inesistente. MA sul piano dell’accertamento, è praticamente impossibile distinguere se un’anomalia
del consenso escluda la volizione degli effetti o la vizi soltanto.

Il Sacco, quindi, sposta il discorso dal piano della volontà al piando della dichiarazione e conclude
che la volontà validamente manifestata è uno degli elementi da considerare, non l’unico. Pertanto,
se la dichiarazione esiste ed è di per sé idonea a produrre effetti, il consenso che ne deriva non può
considerarsi anomalo. Solo la prova dell’esistenza di circostanze impeditive (tra le quali la mancanza
di volontà o il vizio di essa) può togliere a quelle parole o a quello scritto il carattere di
dichiarazione. Le circostanza impeditive possono dipendere da:
- Comportamenti del soggetto (simulazione, riserva unilaterale espressa, semplice trattativa)
- Circostanze obbiettive (dichiarazione emessa sulla scena, per burla, per insegnare)
- Fatti umani (violenza fisica, minaccia, ipnotismo)

Bisogna ricordarsi che la dichiarazione inesistente può ugualmente produrre degli effetti contrattuali
quando esistono gli estremi per tutelare l’affidamento del terzo.

Vizio del volere e vizio della dichiarazione


Emessa una dichiarazione di contenuto A, se poi questa dichiarazione, per effetto dell’alterazione
compiuta dal terzo incaricato di trasmetterla, perviene al destinatario con il contenuto B, si considera
esistente la dichiarazione B, salvo il rimedio dell’annullamento quando ne sussistano tutti i
presupposti ex art. 1433.

Art. 1433 cc – Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione


Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla
dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio
che ne era stato incaricato

Il problema pratico diventa importante quando un soggetto percepisce parole o segni astrattamente
idonei a esteriorizzare una volontà, e non percepisce le circostanze o le dichiarazioni che impediscono
in concreto tale idoneità. In casi simili, quelle parole o quei segni diventano concretamente idonei a
dichiarare, nei confronti del destinatario che li ha percepiti avulsi dalle circostanze impeditive.
Nei limiti in cui tali circostanze siano opponibili, si può dire che esse distruggono la dichiarazione, e si
può ugualmente dire che esse provano l’assenza di una volontà conforme alla dichiarazione. Quando
si sia in presenza di 2 pezzi di dichiarazione contrastanti (simulazione) si parlerà di inesistenza del
primo pezzo di dichiarazione (dichiarazione ostensibile) se si considera la dichiarazione nel suo
complesso; di semplice assenza di volontà, se si prende come punto di riferimento la sola
dichiarazione ostensibile.

I fatti che accompagnano il vizio


Al vizio della volontà del contraente (fatto psicologico) fa riscontro la mala fede della controparte, e
questa mala fede può identificarsi con:
- La scienza del vizio
- Un comportamento più complesso, da valutarsi secondo la regola obbiettiva di buona fede e
correttezza, per cui è in mala fede chi causa l’incapacità del dichiarante o lo stato di pericolo,
o che ne abusa
Il sistema di protezione del contraente è un sistema combinato, che considera:
- Le scorrettezze precontrattuali (minaccia, raggiro)
- Gli abusi di situazione (es di uno stato di pericolo)
- I vizi del volere
- L’ingiustizia del contenuto del contratto
Scorrettezza e abusi sono contrari alla regola di buona fede.
L’art. 1337 è destinato ad essere il vero punto di partenza di tutta la protezione di cui il soggetto
abbisogna allorché negozia, poiché questa protezione viene somministrata secondo una valutazione
comparativa della condotta dei contraenti, e poiché la prevenzione stessa dell’ingiustizia contrattuale
è affidata largamente alla repressione della mala fede.

Art. 1337 cc – Trattative e responsabilità precontrattuale


Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede

ABUSO → molte volte la legge considera rilevante, ai fini dell’efficacia del contratto, la proporzione
fra le prestazioni. Tutte le volte che, per cause diverse, oggettive o soggettive, questa proporzione
viene a mancare, si parla di abuso del contratto da parte di quel contraente che trae benefici dalla
sproporzione.
Il nostro legislatore ha adottato il criterio della protezione contro l’abuso in numerosi casi → se il
contratto è concluso:
- Dall’incapace naturale
- In stato di necessità o di pericolo
- Sotto la minaccia dell’esercizio di un diritto
Le norme sulla repressione dell’abuso danno luogo a problemi di classificazione, risolti dal Sacco nel
modo seguente:
» Alcune norme operano quando interviene uno stato d’animo del contraente che vizia la
volontà (errore)
» Altre operano in caso di atteggiamento psicologico biasimevole della controparte (dolo,
violenza, ecc)
» Altre operano in caso di sproporzione fra le prestazioni o di pregiudizio o vantaggio ingiusto
per uno dei contraenti

Consenso ed elementi essenziali del contratto


Quando si parla di fattispecie contrattuale ci si riferisce alternativamente a:
(a) Insieme di fatti necessario per produrre l’effetto negoziale caratteristico, irreversibile, e
comunque ineliminabile
(b) Insieme di fatti necessario per produrre un effetto minimo, ossia un effetto eliminabile, o una
soluti retentio in caso di esecuzione
(c) Insieme di fatti necessario per produrre una qualsiasi rilevanza dell’atto, anche divergente o
difforme da ciò che le parti si erano proposte
Più precisamente, il contratto è un accordo che produce gli effetti voluti dalle parti.
Nella misura in cui la volontà libera e cosciente degli effetti tende a divenire un requisito
dell’inattaccabilità, ma non dell’esistenza, del negozio, si nota un arretramento delle posizioni della
dottrina volontaristica: essa eviterà di ricomprendere la volontà fra gli elementi essenziali del
negozio, e la inscriverà fra le circostanze rilevanti.

CAPITOLO 2 – LE REGOLE
Il legislatore

Art. 428 cc – Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere


Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa,
anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti,
possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne
risulta un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia
derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto,
o altrimenti, risulta la mala fede dell’altro contraente.
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.
Resta salva ogni diversa disposizione di legge.

Art. 1427 cc – Errore, violenza e dolo


Il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può
chiedere l’annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti.

Art. 1428 cc – Rilevanza dell’errore


L’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro
contraente.

Art. 1429 cc – Errore essenziale


L’errore è essenziale:
1) Quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto
2) Quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello
stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi
determinante del consenso
3) Quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che
l’una o le altre siano state determinanti del consenso
4) Quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto

Art. 1431 cc – Errore riconoscibile


L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto
ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo

Art. 1433 cc – Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione


Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l’errore cade sulla
dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente tramessa dalla persona o dall’ufficio
che ne era stato incaricato.

Art. 1434 cc – Violenza


La violenza è causa di annullamento del contratto, anche se esercitata da un terzo.

Art. 1438 cc – Minaccia di far valere un diritto


La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è
diretta a conseguire vantaggi ingiusti

Art. 1439 cc – Dolo


Il dolo è causa di annullamento del contrato quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati
tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contratto.
Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al
contraente che ne ha tratto vantaggio.

Art. 1440 cc – Dolo incidente


Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi
sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni.

Art. 1447 cc – Contratto concluso in caso di pericolo


Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla
controparte, di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere
rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.
Il giudice, nel pronunciare la rescissione, può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso
all’altra parte per l’opera prestata.

Art. 1448 cc – Azione generale di rescissione per lesione


Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa
dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte
danneggiata può domandare la rescissione del contratto.
L’azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita
o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta.
Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori.
Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione.

Il codice ignora tanto la figura generale del difetto di volontà quanto la distinzione tra anomalia della
dichiarazione, difetto del volere e vizio semplice, e configura varie ipotesi tipiche di vizio del consenso.
Questi vizi tipici sono:

 L’INCAPACITA’ DI INTENDERE O DI VOLERE


 L’ERRORE
 Il DOLO
 La MINACCIA
 Lo STATO DI PERICOLO
 Lo STATO DI BISOGNO
Sono stati poi aggiunti: la PROPAGANDA SUBLIMINALE, la SORPRESA, l’ABUSO DI POSIZIONE.
Il legislatore si occupa in due sedi distinte dell’induzione a contrarre mediante suggerimenti occulti

Nel 1989 la CEE adottava la direttiva 89/552, poi recepita dalla legge 223/1990, sul tema
dell’ATTIVITA’ RADIOTELEVISIVA.
L’art. 10 direttiva 89/552:
(a) Impone che la pubblicità televisiva sia chiaramente riconoscibile come tale
(b) Vieta le tecniche subliminali
(c) Interdice la pubblicità clandestina
L’art. 16, lett a) direttiva 89/552 vieta ulteriormente di rivolgersi ai minori di età sfruttandone
l’inesperienza o la credulità.
La legge 223/1990 dà parziale applicazione alla direttiva 89/552, imponendo alla pubblicità televisiva
e radiotelefonica di rendersi riconoscibile con mezzi ottici o acustici di evidente percezione.
Il decreto 425/1991 del Ministro delle poste e telecomunicazioni vieta lo sfruttamento
dell’inesperienza e credulità dei minori.
Nel 1984 il Consiglio della CEE ha adottato la direttiva 84/450 in materia di PUBBLICITÀ
INGANNEVOLE. Per darle attuazione in Italia la legge 428/1990, art. 41, ha delegato il Governo ad
emanare un decreto legislativo: d.lgs. 74/1992. Questo d.lgs. provvede come segue:
» Prevede un’Autorità garante per la sospensione e il divieto della pubblicità ingannevole
» Legittima i concorrenti, i consumatori e le loro associazioni, e alcuni soggetti pubblici, ad adire
l’Autorità per ottenere l’inibitoria della pubblicità ingannevole
» Le decisioni definitive adottate dall’Autorità si possono impugnare davanti al giudice
amministrativo, salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale
Il diritto nuovo considera sospetta la TRATTAZIONE D’AFFARI SVOLTA DA PORTA A PORTA. Sul
piano del diritto interno, bisogna considerare la legge 216/1974, modificata dalla legge 77/1983 e
dalla legge 281/1985, e poi dal d.lgs. 50/1992 per delega recata dall’art. 42 della legge 428/1990, il
quale dava esecuzione alla direttiva comunitaria 85/577.
La legge 77/1983, con un suo art. 12, confezionava un art. 18 ter e quater, destinato a inserirsi al
posto dell’art. 18 legge 216/1974. Tale art. 18 ter si riferisce all’offerta al pubblico di valori immobiliari

Art. 18 ter, commi 2 e 4 legge 216/1974
(…)
L’efficacia dei contratti stipulati mediante vendite a domicilio è sospesa per la durata di 5 giorni
decorrenti dalla data di sottoscrizione. Entro detto termine l’acquirente ha facoltà di comunicare
al venditore (…), a mezzo telegramma, il proprio recesso senza corrispettivo. Quanto disposto nel
presente comma deve essere riprodotto nei contratti stessi.
(…)
Sono nulli i contratti stipulati in violazione di quanto prescritto nei precedenti commi (i precedenti
commi sottopongono l’offerta al pubblico in questione ad autorizzazione amministrativa)

La legge 281/1985 con l’art. 15 incomincia a mostrare diffidenza nei confronti di sollecitazioni del
pubblico risparmio effettuate mediante attività svolte in luogo diverso da quello adibito a sede
dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto che procede al collocamento. La cautela
imposta dal legislatore è la previa autorizzazione.
Null’ATTIVITA’ DI GESTIONE DI PATRIMONI, che si svolga mediante operazioni aventi ad
oggetto valori mobiliari, il contratto di affidamento da concludersi tra società di intermediazione
mobiliare e il cliente non acquista efficacia prima del quinto giorno lavorativo successivo a quello della
sua sottoscrizione; entro il medesimo termine il cliente ha la facoltà di recedere, senza spese né
corrispettivo, facendo pervenire apposita comunicazione scritta alla società. Così dispone l’art. 8 legge
1/1991
In una direzione parallela si è attivata la Comunità europea, con la sua direttiva 85/577. L’art.
1 dispone che la direttiva si applichi ai contratti stipulati fra un commerciante che fornisce beni o
servizi e un consumatore durante una escursione organizzata dal commerciante al di fuori dei propri
locali commerciali, o durante una visita del commerciante al domicilio del consumatore, o a quello di
un altro consumatore, o sul posto di lavoro del consumatore, qualora la visita non abbia luogo su
richiesta del consumatore.
Gli artt. 4 e 5 indicano il meccanismo della protezione del consumatore. Il commerciante deve
informare per iscritto il consumatore del suo diritto di rescindere il contratto entro i termini di 7 giorni,
e comunicargli nome e indirizzo della persona nei cui riguardi può essere esercitato questo diritto. In
virtù dell’art. 6 il diritto del consumatore è irrinunciabile.
Il d.lgs. 50/1992, per delega recata dall’art. 42 legge 428/1990, dava esecuzione alla direttiva 85/577.
Le basi del d.lgs. sono le seguenti:
- Gli atti considerati
a) I contratti conclusi:
» Nel domicilio o sul posto di lavoro o nel luogo di cura del consumatore
» Durante un’escursione organizzata dall’operatore commerciale
» In luogo pubblico o aperto al pubblico, mediante sottoscrizione di una nota d’ordine
» Per corrispondenza o in base a catalogo consultato senza la presenza dell’operatore
commerciale
» Sulla base di offerte al pubblico diffuse con un mezzo televisivo o analogo, o
informatico o telematico
b) Le proposte inoltrate la consumatore in condizioni analoghe.
- L’obbligazione posta a carico dell’operatore è quella di avvisare il consumatore del suo diritto
al recesso, sotto pena di sanzione amministrativa
- Il trattamento giuridico dell’operazione è imperniato sul diritto irrinunciabile del consumatore
al recesso

Il diritto nuovo si occupa del DIRITTO del contraente all’INFORMAZIONE


Esempio. Legge 1/1991.
Art. 8, lett a) → l’affidamento [delle operazioni mobiliari, dal cliente alla società intermediaria]
deve avvenire con apposito contratto scritto, nel quale devono essere specificati la natura dei servizi
forniti, i poteri conferiti alla società, il tipo di valori mobiliari acquistabili, la durata dell’incarico,
l’ammontare del compenso, oltre al quale nulla è dovuto, o i criteri completi per la sua determinazione;
è nullo ogni richiamo alle condizioni d’uso.
E più in generale l’art. 6, lett e) impone all’operatore nel ramo dell’intermediazione mobiliare
di operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato sulla natura e i rischi
dell’operazione, sulle loro implicazioni e su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per prendere
consapevoli scelte di investimento.
La legge 216/1974, nonché il d.lgs. 74/1992, dispongono che chi si accinge ad acquistare o vendere
valori mobiliari mediante offerta al pubblico deve previamente pubblicare il prospetto informativo
riflettente i connotati di chi propone l’operazione, e deve poi diffondere gli annunci pubblicitari sotto
il controllo della Consob.
Nel 1980 il Consiglio CEE ha adottato una direttiva 80/310 sul PROSPETTO da pubblicare per
l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori.
Il d.lgs. 74/1992 sulla pubblicità ingannevole destinato a dare attuazione alla direttiva 84/450
della CEE con l’art. 3 impone l’obbligo di informare il compratore di prodotti pericolosi per la salute o
per la sicurezza del consumatore.
Norme di importanza centrale vietano, in Italia, le intese, le concentrazioni di impresa e gli
abusi di posizione dominante, vietano cioè le pratiche che possono ostare alla concorrenza.
Le norme relative si trovano:
- Negli artt. 65 e 66 del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio,
- Negli artt. 85 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea
- In altre disposizioni della CEE
- Nella legge 287/1990.
La legge 287/1990 prevede l’istituzione di un’autorità garante della concorrenza, dotata sia di poteri
istruttori, sia di poteri di intermediazione e sanzione. L’autorità opera sotto il controllo giurisdizionale
del giudice amministrativo. L’art. 33, n.2 prevede poi la competenza della Corte d’appello per le azioni
di nullità e di risarcimento del danno, nonché per i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti d’urgenza.
La regola d’insieme su volontà, vizio del volere, affidamento
Il legislatore non conosce la categoria del conflitto fra dichiarazione e volontà, né quella dell’anomalia
della formazione del volere. MA conosce invece i vizi del consenso, ossia figure di consenso apparente
inficiato da un qualche fatto conturbante, che ha determinato un’anomalia nella dichiarazione
(errore nella trasmissione), o un conflitto fra volontà e dichiarazione, o un’anomalia nella formazione
del volere.
Fuori dai casi legali, come sono regolate le altre ipotesi di vizio del consenso? Si pensi alla violenza
fisica, al caso dell’ipnotizzato, alla riserva mentale spontanea (non determinata cioè dalla necessità di
sfuggire ad una minaccia, ad un pericolo, o ad uno stato di bisogno), alla dichiarazione emessa per
ragione di gioco o di insegnamento. MANCA UNA NORMA PUNTUALE CHE REGOLI IL CASO.
In primo luogo, sono sterili le regole troppo rigide se non vengono armonizzate con l’ulteriore
principio relativo all’apparenza, il quale rende equivalenti volontà reale e volontà apparente,
dichiarazione vera e dichiarazione apparente.
Detto questo, non è dichiarazione, e non produce effetto, l’emissione di segni grafici o parole quando,
in relazione alle circostanze manifeste che l’accompagnano, tale emissione sia inidonea a
esteriorizzare una volontà. Di qui, l’irrilevanza della:
- Dichiarazione scenica
- Dichiarazione resa a titolo di insegnamento
- Dichiarazione dell’infante, del soggetto fisicamente coatto, in stato di delirio, o in un contesto
non serio
NB La dichiarazione vale nel significato che le attribuisce il dichiarante, allorché il destinatario
riconosca concretamente tale significato.
Il problema diventa più delicato quando la dichiarazione non interessi soltanto i contraenti (es
contratto cedibile, contratto sociale con facoltà di adesione per i terzi, contratto destinato alla
pubblicazione). Molti interpreti chiedono che, perché il contratto esista, sussistano per lo meno due
dichiarazioni qualificate dalla volontà di dichiarare. Non è scritto in nessun luogo che il dichiarante
debba volere, oltre il suo proprio comportamento dichiarativo, il contenuto o gli effetti del testo
contrattuale. Chi accetta una proposta senza averla letta compie un’operazione giuridica, e si vincola.
La volontà degli effetti non è un elemento necessario del contratto. Se la parte ha veramente voluto i
singoli contenuti del contratto, allor la volontà può diventare rilevante, perché entro certi limiti la
legge protegge la libertà del volere, e la sua spontaneità, contro le insidie del dolo e della violenza.
Ma dicendo che la volontà, quando c’è, può essere rilevante, non si dice affatto che la volontà sia un
elemento indefettibile del contratto.
Perché possa deliberare nel modo desiderabile bisogna che il contraente:
- Non venga coartato (cioè sia libero)
- Abbia attitudine, capacità, tempo per ponderare
- Conosca e sappia (cioè sia informato)
Il legislatore:
→ Prevede singole figure, discontinue, casistiche, disarmonizzate
→ Protegge la ponderazione con le norme sulla incapacità, sulla propaganda subliminale o
mascherata, sulla negoziazione porta a porta
→ Protegge l’informazione con regole generali sull’errore essenziale, rilevante se riconoscibile.
Ha dettato regole protettive per il caso della disinformazione indotta da altri, e infine ha
redatto singole norma sull’obbligo di informare. In tema di dolo, ha dato regola tanto al raggiro
determinante, quanto al raggiro incidentale
→ Protegge la liberà con le norme sulla violenza
→ Protegge l’accesso al mercato vietando l’abuso dello stato di pericolo e di bisogno, e
soprattutto con la legislazione antimonopolistica e con l’interdizione dei cartelli
→ Ha ricordato la distinzione fra vizio determinante e vizio incidentale quando ha trattato del dolo
→ Ha ricordato la distinzione fra l’abuso del vizio e il semplice condizionamento della volontà
quando ha trattato dello stato di pericolo e di bisogno
→ Rimedia al vizio con l’annullamento, con la rescissione, con la sospensione dell’efficacia della
dichiarazione, con il recesso
→ Tiene sospeso l’effetto del contratto affetto dal vizio 5 giorni, oppure 7, oppure 1 anno, oppure
5 anni, oppure senza limiti di tempo
L’interprete deve ordinare, confrontare, individuare i principi, formularli, imporre il rispetto con
ampio ricorso all’analogia, strutturare un corpo semplice e organico di norme. In quali direzioni
procederà questa integrazione? In qualche caso, dalla protezione della libertà di contrarre in genere
si ricaverà la responsabilità civile a carico di chi ha ottenuto condizioni contrattuali inique. In modo
generale, il vizio procurato ad arte dà luogo a protezione più intensa e più estesa del vizio spontaneo;
e questa protezione si può estendere alla creazione artificiale dello stato di bisogno e di pericolo, a
carico di chi crea incapacità in genere.
Nella sua formulazione elastica, l’art. 1337 consente di reprimere qualsiasi abuso o approfittamento,
e di penalizzare la creazione della distorsione e l’induzione a contrarre sotto lo stimolo della
distorsione.

Art. 1337 cc – Trattative e responsabilità precontrattuale


Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi
secondo buona fede.

La repressione del contratto slealmente concluso può operare con maggiore o minore severità.

CAPITOLO 3 – LA MANCATA PONDERAZIONE


L’incapacità di intendere e di volere nel sistema
Ai sensi dell’art. 428, comma 1 gli atti dell’incapace naturale sono annullabili SE GRAVEMENTE
PREGIUDIZIEVOLI. Trattandosi di contratti, l’annullamento può essere pronunziato SOLO SE, per il
pregiudizio, o per la qualità del contratto, o altrimenti, risulta la MALA FEDE della controparte (comma
2); trattandosi di donazione, si ritorna alla regola del comma 1.
Il negozio concluso dall’incapace naturale è semplicemente un negozio inficiato da un vizio del
consenso.

Art. 428 cc – Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere


Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa,
anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti,
possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne
risulta un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia
derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto,
o altrimenti, risulta la mala fede dell’altro contraente.
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.
Resta salva ogni diversa disposizione di legge.

Analisi dell’incapacità
L’incapacità naturale può determinare:
- Un’alterazione del processo formativo della volontà
- Una completa assenza della volontà medesima
- Anomalie della dichiarazione
Nel caso dell’ipnosi e del sonnambulismo l’anomalia si sposta infatti dalla volontà alla dichiarazione.
Se il soggetto, durante l’esperimento ipnotico, recitasse proposte o accettazioni contrattuali, né
l’ipnotizzatore, né un’altra persona che assiste consapevolmente all’esperimento potrebbe
considerare quelle recitazioni come dichiarazioni.
Ma il vero problema sorgerà per le dichiarazioni scritte e spedite dall’ipnotizzato, che poi pervenissero
ad una persona estranea all’esperimento.
L’idea di incapacità deve diventare indipendente dalla nozione di ciò che è patologico dal punto di
vita biologico, clinico e sanitario. La persona sana, in certi momenti, non è in condizione di valutare
ciò che fa.
Il Sacco propone di valutare l’incapacità naturale anche come uno stato momentaneo di incapacità
dovuto a suggestione, sorpresa, inesperienza.

Il pregiudizio e la malafede
L’art. 428, comma 1 invalida gli atti gravemente pregiudizievoli compiuti dall’incapace;
L’art. 428, comma 2 sottopone l’annullamento del contratto concluso dall’incapace alla
condizione che, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare all’incapace, o per la qualità del
contratto o altrimenti, risulti la mala fede della controparte.

DOTTRINA → si presenta suddivisa in 3 correnti:


(a) Il comma 2 è parte del 428, non può essere considerato autonomamente → elemento
fondamentale per l’annullamento del contratto resta ancora il grave pregiudizio
(b) Il comma 2 deve essere valutato autonomamente, con la conseguenza che l’elemento
fondamentale qui diventa la mala fede
(c) L’annullamento del contratto richiede un pregiudizio che però potrebbe essere solamente
lieve

GIURISPRUDENZA → non c’è uniformità di opinioni. Le sentenza della Cassazione hanno di volta
in volta accolto le seguenti conclusioni:

 Il contratto dell’incapace può essere annullato anche quando il pregiudizio non è grave
 Il pregiudizio non è richiesto per l’annullamento del contratto → la tendenza è in senso
esasperatamente protettivo dell’incapace, poiché è considerato rilevante solo l’esistenza della
mala fede

SACCO → entrambi gli elementi (pregiudizio e mala fede) sono indispensabili per
l’annullamento del contratto. Tra di loro non c’è necessariamente un legame, nel senso che
l’esistenza del pregiudizio dell’incapace non presume assolutamente la malafede della controparte.
Grave pregiudizio non è necessariamente sinonimo di sproporzione fra le prestazioni, come malafede
non significa sempre conoscenza dell’incapacità. Quando esiste l’incapacità, è malafede la generica
coscienza di arrecare una lesione alla controparte. Si può configurare un altro tipo di malafede:
l’induzione nello stato di incapacità: in questo caso la malafede prescinderà totalmente dalla scienza
della sproporzione. Reciprocamente, non ogni scienza dello stato di incapacità è malafede.

L’incapacità indotta (ipnosi, persuasione occulta, propaganda subliminale)


È malafede l’INDUZIONE NELLO STATO DI INCAPACITA’.
Chi, per ottenere che la controparte concluda, provochi in essa un’alterazione psichica, è in malafede.
Concreta un’induzione di incapacità l’uso di suggerimenti occulti, in specie la propaganda
commerciale subliminale. Si tratta di una incapacità prodotta ad arte.
Il legislatore se ne occupa con il decreto 425/1991 e con il d.lgs. 74/1992
In ogni caso, l’induzione indebita urta con l’art. 1337 e quindi obbliga al risarcimento del danno, da
prestarsi ex art. 2058, mediante la restitutio in integrum, la quale, se l’illecito proviene da contraente,
sfocia nell’annullamento di contratto.

La sorpresa (la negoziazione da porta a porta)


Il consenso può dirsi libero solo quando è filtrato attraverso il vaglio critico cui provvedono certe
difese psicologiche, pronte ad entrare in funzione se il soggetto sa di dover prendere decisioni
impegnative e delicate. Le difese sono in funzione quando il consenso è condizionato da una
sollecitazione improvvisa e pressante, e le sollecitazioni di questa fatta vengono poste in essere
proprio per sfruttare un momento di menomata difesa del possibile contraente.
Sulla base di un criterio di normalità, può dirsi che l’accettante non è stato sorpreso se:

 Si è recato, per concludere il contratto, alla sede dell’altro contraente


 All’atto della conclusione ha adempiuto integralmente alla prestazione
 Concluso il contratto offertogli di sorpresa, non ha poi mutato avviso per un ragionevole
termine
La capacità di intendere e di volere non è una qualità sempre uguale a se stessa e sempre presente
nell’uomo adulto.
Il meccanismo utilizzato per la protezione del contraente sorpreso si basa su:
→ Informazione del contraente (riproduzione della norma nel testo contrattuale / avvertimento
scritto)
→ Sospensione dell’efficacia del negozio, o, alternativamente, potere di recedere dal contratto, o
di rescinderlo
Il contraente privato della possibilità di riflettere manifesta un consenso il cui processo di formazione
è sospetto. L’art. 1337 non tollera l’abuso della fragilità della controparte.

CAPITOLO 4 – L’ERRORE E LA MANCATA INFORMAZIONE


PARTE PRIMA – L’ERRORE
L’errore essenziale
L’errore qualificato dà luogo all’annullamento del contratto quando sia:

 ESSENZIALE
 RICONOSCIBILE
Errore = ogni falsa rappresentazione. L’art. 1428 elenca le 4 ipotesi in cui l’errore è essenziale,
parametrandole all’oggetto su cui l’errore cade.

Art. 1429 cc – Errore essenziale


L'errore è essenziale:
1) quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto;
2) quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello
stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi
determinante del consenso;
3) quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che
l'una o le altre siano state determinanti del consenso;
4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto

L’oggetto su cui cade l’errore essenziale è in ogni caso un elemento del contratto (sua natura, suo
oggetto o soggetto, suo effetto giuridico). Ciò ha fatto domandare se, mediante un procedimento di
astrazione, sia possibile riassumere le 4 ipotesi di errore essenziale, descritte dall’art. 1429, in una
categoria unitaria, o se invece le 4 ipotesi siano irriducibili ad unità, in quanto strutturate in modo
eterogeneo ↓
DOTTRINA A FAVORE DEL CONCETTO UNITARIO
Viene posto alla base di tutto il consenso determinante, cioè la volontà.
Si afferma che affinché un errore sia essenziale esso deve essere determinante del consenso.
Concretamente: il consenso è stato manifestato a causa dell’errore, senza di esso il contratto non si
sarebbe mai concluso.
Ogni errore, per essere essenziale, deve essere determinante del consenso, ma non ogni errore
determinante del consenso può considerarsi essenziale.
Sono essenziali gli errore determinanti del consenso che cadono su un elemento del contratto →
l’elencazione tipica del 1429 NON è TASSATIVA ma solo esemplificativa.
CONCLUDENDO: un errore è essenziale (concetto unitario) se è determinante del consenso e se ricade
su un elemento del contratto.
Un’altra corrente in seno alla stessa dottrina, accettando le medesime premesse, conclude
però in questo modo: un errore è essenziale se è determinante del consenso e se è previsto
dall’elenco tassativo del 1429.
DOTTRINA CONTRARIA AL CONCETTO UNITARIO (Sacco)
Si parte dalla lettera del codice e si rileva che il problema della funzione determinante del consenso
non può essere la base del concetto unitario di essenzialità poiché la legge risolve vari casi in modo
diverso.
Nel n. 1 non viene menzionato il consenso determinante → il legislatore ha ritenuto sufficiente, ai
fini dell’essenzialità dell’errore, il fatto obbiettivo dell’esistenza dell’errore medesimo.
Nel n. 2 è invece menzionata la funzione determinante del consenso, valutandola però in astratto
(secondo il comune apprezzamento)
Nel n. 3 la funzione determinante del consenso è stata adottata pienamente.
Analogamente nel n. 4.
CONCLUSIONE: il concetto unitario di essenzialità è impossibile e l’elenco del 1429 è tipico e tassativo.
Il requisito della scusabilità non è menzionato nel codice, eppure qualche autore ha affermato la
necessarietà di questo terzo requisito.
Scusabilità = incolpevolezza → un errore è scusabile quando non è stato determinato da colpa
DOTTRINA
Si afferma che l’essenzialità dell’errore è valutata in astratto, e si afferma che essenzialità è sinonimo
di idoneità della falsa rappresentazione a determinare il volere e che deve essere valutata alla stregua
dell’uomo medio, e non dell’effettivo contraente. Essenzialità è un requisito troppo generico, è
necessaria una valutazione personale, psicologica del caso concreto → è necessario introdurre il
requisito della scusabilità.
Si propone l’analogia con l’art. 2706, comma 2

Art. 2706, comma 2 cc – Conformità tra originale e riproduzione del telegramma


(…)
Il mittente, se ha fatto collazionare il telegramma secondo le disposizioni dei regolamenti, si
presume esente da colpa per le divergenze verificatesi tra originale e riproduzione

SACCO
Secondo il Sacco non è necessaria la scusabilità dell’errore poiché, a prescindere dal carattere astratto
dell’essenzialità, il cc impone un secondo requisito: la RICONOSCIBILITA’. Infatti, pur ipotizzando la
colpevolezza dell’errante, va considerata la negligenza dell’altra parte per non aver rilevato l’errore,
o peggio, per aver taciuto pur avendolo rilevato. Non è giusto negare l’annullabilità del contratto,
ponendo ogni danno a carico dell’errante, visto che c’è stata negligenza anche dell’altra parte; è
giusto che il danno venga subito da entrambe le parti, ciascuna delle quali si limita a perdere il profitto
sperato.
Secondo il Sacco, inoltre, non è pertinente il richiamo all’art. 2706, comma 2 poiché:
- Nell’art. 2706 si assegna rilevanza alla colpa del mittente nei confronti di un soggetto diverso
dal destinatario
- Nell’art. 1429 il soggetto è la controparte (il destinatario)

Le singole figure di errore. L’errore di diritto. L’errore sul valore.


Art. 1429:
n. 1: quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto
→ tipico errore ostativo = errore in negotio
n. 2: quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione
→ tipico errore ostativo = errore in corpore
ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in
relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso
→ errore in substantia (sostanza = qualità del bene la cui contemplazione fu
determinante del consenso)
n. 3: quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che
l'una o le altre siano state determinanti del consenso
→ l’essenzialità è correlata alla funzione determinante dell’errore valutata in
concreto
n. 4: quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del
contratto
→ l’errore deve essere la ragione unica o principale del contratto. L’errore non
è solo condizione necessaria ma anche sufficiente della dichiarazione.
L’errore di diritto è l’errore sulla norma: può cadere indifferentemente sulla norma cogente o sulla
norma dispositiva. La cd presunzione di conoscenza della norma non impedisce l’applicazione dei
rimedi istituiti a bella posta a soccorso di chi in concreto si sbaglia sulla norma.
Un particolare errore di diritto è quello che cade sulla norma imperativa che dispone l’integrazione
del negozio ai sensi dell’art. 1339.
La pronuncia d’incostituzionalità di una norma rende annullabile per errore di diritto il contratto
stipulato sotto l’impero della norma incostituzionale.
L’errore di diritto può trascinare con sé un errore sulla natura del contratto, sull’identità della
persona, o sulle qualità dell’oggetto, e allora beneficerà della più lata protezione prevista per queste
ipotesi.
Art. 1430

Art. 1430 cc – Errore di calcolo


L'errore di calcolo non dà luogo ad annullamento del contratto, ma solo a rettifica, tranne che,
concretandosi in errore sulla quantità, sia stato determinante del consenso.
L’errore di calcolo non è essenziale (si ha rettifica del contratto), a meno che non conduca ad
un errore sulla quantità (il contratto è annullabile)
Art. 1433

Art. 1433 cc – Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione


Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla
dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio
che ne era stato incaricato
Due ipotesi: a) errore nella dichiarazione; b) errore nella trasmissione
In entrambi i casi, l’essenzialità non potrà dipendere dal fatto che la falsa rappresentazione abbia per
oggetto la natura del negozio, o l’identità dell’oggetto, o così via, poiché l’errore ha direttamente per
oggetto il significato linguistico di una frase; l’essenzialità dipenderà dalla circostanza che la
divergenza fra significato voluto e significato dichiarato abbia ad oggetto la natura del negozio,
l’identità della cosa, la persona ecc.
Nonostante parte della dottrina, giurisprudenza e Sacco siano concordi nel ritenere tassativo l’elenco
ex art. 1429, qualche autore ritiene essenziale anche l’errore sul valore. La giurisprudenza ha negato
l’essenzialità di questa fattispecie in quanto non concreterebbe altro che una valutazione errata sulla
convenienza del contratto. Il Sacco, pur riaffermando la tassatività del 1429, ritiene possibile
ricondurre l’errore sul valore alle ipotesi tassative ↓

Errore sul valore = errore sulla convenienza = errore sulla qualità rilevante del bene

L’errore di calcolo
Secondo il cc l’errore di calcolo porta alla semplice rettifica, tranne nel caso in cui influisca sulla
quantità e sia stato determinante del consenso → annullamento.
La giurisprudenza dà, dell’errore di calcolo, la seguente definizione: errore materiale, rilevabile prima
facie, che si presenta in modo manifesto, che presuppone come posti, chiari, sicuri e fermi i termini da
computare. Se l’errore non si presenta in questo modo, si tratta di un ERRORE SULLA QUANTITA’, che
è un errore vero.
Il Sacco non è d’accordo e argomento come segue: l’errore di calcolo è indistinguibile dall’errore sulla
quantità, poiché l’errore sulla quantità dipende sempre da un errore di calcolo. Ora, premesso che
esiste una divergenza tra i fattori (poste) delle operazioni da eseguire e il risultato di queste
operazioni, tale divergenza può essere di 3 tipi:
(a) Le parti hanno voluto le poste e si sono accordate su di esse e poi, ad accordo concluso, hanno
commesso un errore nell’eseguire i conteggi. Siccome il contratto è concluso, l’errore è
irrilevante → rettifica
(b) Le parti hanno voluto le poste, poi hanno eseguito i conteggi commettendo un errore, poi
hanno voluto il risultato del conteggio. L’errore determina una volontà contraddittoria: le
parti vogliono contemporaneamente due cose incompatibili. Qui la logica porterebbe alla
nullità, poiché si è determinata una volontà contraddittoria, ma il 1430 impone ugualmente
la rettifica.
(c) Le parti hanno voluto solo il risultato, ma tale risultato deriva da un’operazione scorretta. Qui
non ci sono dubbi nell’affermare che il consenso è viziato → annullamento
Ogni caso di errore di calcolo potrà dar luogo a un problema di ricostruzione della volontà comune,
ossia ad un problema di interpretazione. Chiarita la volontà comune (il contenuto del contratto), si
potrà accertare quale sia stata la posizione della volontà individuale di fronte a questo precetto e
dedurne se sia intervenuto o meno un errore determinante.

L’errore sulla destinazione dell’immobile, dipendente dalle prescrizioni urbanistiche


Il traffico immobiliare subisce l’impatto delle prescrizioni urbanistiche. Queste ultime non si limitano
a recepire una zonizzazione dettata a monte dal mercato e dalle scelte del consumatore, e perciò
sono per loro natura imprevedibili. Le prescrizioni urbanistiche pertanto creano, distruggono e
trasferiscono ricchezza.
Il legislatore non è capace di regolare i fenomeni di impoverimento e arricchimento, creati dalle
prescrizioni urbanistiche.
La destinazione agricola e la destinazione edificatoria costituiscono qualità essenziali del fondo.
L’errore in merito è errore su qualità essenziale e rientra nella previsione dell’art. 1429 n. 2
L’annullamento viene concesso su richiesta dell’errante, sia egli acquirente o alienante.
Il carattere agricolo o edificatorio può intendersi:
- In senso giuridico → il piano regolatore vieta o consente l’edificazione
- In senso fattuale → il carattere edificatorio indica solo la convenienza di costruire. Un errore
simile è un errore di speculazione, un errore sull’attuale o futuro andamento del mercato che
si risolve in un errore sul valore del bene. Dovrebbe perciò considerarsi irrilevante.
L’errore rilevante cade sulla posizione del terreno di fronti ai poteri della pubblica amministrazione,
e ricade nella figura dell’errore su una qualità sostanziale della cosa.
L’errore sulla destinazione appare evidente se il contraente si è ingannato su un piano regolatore in
vigore. Il venditore può chiedere l’annullamento se una variante del piano regolatore, in corso di
approvazione da parte della giunta regionale, o adottata dal consiglio comunale e non ancora entrata
in vigore, rende costruibile il terreno venduto. Prima dell’approvazione il progetto non crea diritti:
ma si deve obbiettare che qui la situazione del diritto rileva in quanto incide sulla qualità sostanziale
del bene, e, se hanno qualità sostanziali diverse il terreno con piano regolatore approvato e quello
con piano regolatore non ancora approvato, hanno qualità diverse il terreno con piano regolatore
favorevole (non ancora approvato) e il terreno con piano regolatore contrario (non ancora
approvato).

Errore e fatto inaccertabile


Non ogni errore che cade sugli elementi del 1429 conduce all’annullamento.
Ci sono fatti giudizialmente non accertabili sui quali non può operare l’errore, cioè: il diritto non ritiene
degne di regolamentazione le ipotesi di errore che ricade su un fatto giudizialmente non accertabile.
Non è necessario che alla base del fatto, sui cui ricade l’errore, ci sia un contratto aleatorio, è
sufficiente che il fatto sia di per sé inaccertabile.
Si deve considerare inaccertabile ad es la bellezza dell’opera d’arte, come fenomeno puramente
estetico; si deve considerare accertabile il giudizio corrente della critica specializzata sulla bellezza
del quadro → l’errore rilevante è quello che cade sullo stato della critica.
Si può concludere che un errore sulla paternità del quadro è errore sulla qualità; come tale può
portare all’annullamento del contratto, sempre che sia determinante del consenso.
Il fatto futuro è un fatto inaccertabile. Sarà rilevante se l’errore su di esso si basa su un indice attuale
capace di rilevare le probabilità del fatto futuro.

La riconoscibilità dell’errore. L’errore riconosciuto.


L’errore essenziale conduce all’annullamento solo quando è riconoscibile. La riconoscibilità dipenderà
dalle circostanze più diverse, ma soprattutto dal reciproco rapporto instaurato fra le parti, che offrirà
loro tanti indizi utilizzabili:
- Incoerenza fra trattativa e dichiarazione
- Divergenza fra proposta e abitudine
La riconoscibilità si misura in astratto (l’unica coppia di fatti misurabile in concreto è l’effettivo
riconoscimento o il mancato riconoscimento dell’errore), ma ciò non implica che non si tenga conto
delle circostanze di fatto che in quel caso rendevano possibile al destinatario il riconoscimento
dell’errore.
La riconoscibilità non si presume e deve essere provata dal contraente che impugna il contratto.
I criteri fin qui enunciati debbono trovare applicazione quando l’errore cada sul significato della
dichiarazione per cattiva conoscenza della lingua. Se liberamente uso una lingua che non conosco,
liberamente accetto, per relationem, gli effetti giuridici corrispondenti. Ma se non c’è questa libera
accettazione, a dichiarazione può essere viziata da errore, e la riconoscibilità della poca conoscenza
della lingua genera la riconoscibilità dell’errore.
L’errore riconosciuto, sebbene astrattamente irriconoscibile, produce gli effetti dell’errore
riconoscibile, conduce all’annullamento del contratto.
Talvolta il contratto è addirittura nullo: quando all’offerente perviene un’accettazione alterata, e
l’alterazione è riconosciuta.
Non sempre il riconoscimento dell’errore conduce all’inefficacia della dichiarazione. Colui che,
avendo emesso una proposta contrattuale, si trovi di fronte ad un’accettazione viziata da errore, e
non abbia il tempo di chiarire l’equivoco prima del momento fissato per l’esecuzione, sarà
effettivamente libero di negare esecuzione al contratto soltanto se ha la prova liquida dell’errore
della controparte.

L’errore comune
Per errore comune si intende l’errore bilaterale.
Esempio. Caio vende a Tizio il Tramontana (che è una villa) credendo che si tratti di uno yacht e Tizio
a sua volta crede di comprare uno yacht.
Il Sacco parla di rappresentazione falsa conosciuta, accompagnata dalla ignoranza della falsità della
rappresentazione.
Rappresentazione falsa conosciuta: si riferisce allo stato psicologico di Caio al momento della
stipulazione. Egli vende il Tramontana credendo che sia uno yacht, ma è consapevole che la sua
convinzione si fonda su una rappresentazione soggettiva e non sulla realtà. In altre parole, Caio
immagina che il Tramontana sia uno yacht, e se ne convince, anche se in realtà non ne ha mai avuto
conferma.
Ignoranza della falsità della rappresentazione: si riferisce allo stato psicologico di Tizio al
momento della stipulazione. Tizio non sa che Caio ha immaginato in modo sbagliato.
Ci si domanda se nel caso di errore comune sia necessario, ai fini dell’annullamento, il requisito della
riconoscibilità ↓
DOTTRINA TRADIZIONALE: la riconoscibilità non è essenziale poiché, trattandosi di un errore
comune, manca la ragione di tutelare l’affidamento del destinatario.
SACCO: siccome per riconoscibilità dell’errore bisogna intendere la riconoscibilità dell’errore
di Caio (rappresentazione falsa), esiste una ragione valida per tutelare l’affidamento di Tizio.
Quindi la riconoscibilità è rilevante.
L’essenzialità è sempre un requisito, anche se non sempre provoca l’annullamento:

 Se lo yacht esiste, il contratto non si annulla, cioè è valido. Lo conferma l’art. 1362 che valida
la volontà comune anche se espressa in modo da non essere conoscibile dai terzi

Art. 1362 cc – Intenzione dei contraenti


Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non
limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento
complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.

 Se lo yacht non esiste, il contratto è nullo (oggetto impossibile)


 Se la dichiarazione è viziata solo da un errore sulla qualità, si dovrà ritenere che la
rappresentazione delle qualità essenziali fa parte dell’oggetto voluto, e che, quando questo
oggetto è noto, si considera come dichiarato (annullamento)

L’errore (improprio) sulla dichiarazione memoriale


Esempio. Due operatori negoziano un’automobile e, concludendone la vendita verbalmente, la
indicano con un gesto della mano e con l’espressione “questa macchina”. La vendita sarà valida e
efficace. Normalmente i due operatori faranno seguire la redazione di un documento scritto, e qui la
vettura sarà indicata con la targa. E se il numero di targa è male indicato? Qui non si ha un errore
comune: la dichiarazione contrattuale fu correttamente formulata, e riflette in modo perfetto la
volontà delle parti.
Il discorso potrebbe essere diverso quando si tratti di alienazione immobiliare. La dichiarazione
giuridicamente valida è solo quella scritta. Se le parti si sono intese, senza errori, a voce, e poi hanno
messo per iscritto l’accordo, per il diritto la dichiarazione di volontà è quella formalizzata.
Nel caso della vettura, la dichiarazione contrattuale era comunque esente da errori.
Nel caso dell’immobile la dichiarazione contrattuale, identificata con lo scritto, è oggettivamente
incompatibile con la volontà delle parti.
Il giudice trova più efficiente e sbrigativo trattare la scrittura puramente memoriale come se fosse il
documento in cui si incorpora il contratto, e indicare il vizio dell’atto come errore di copiatura,
dettatura, grafia.

Errore, garanzia di qualità, vizio, inadempimento.


Premesso che un contratto di vendita NON può produrre gli effetti per cui è stato stipulato SE il
venditore ha promesso un bene dotato di una qualità che poi risulta mancante, il problema è il
seguente: il contratto sarà ANNULLATO per errore o RISOLTO per inadempimento? Che ruolo ha la
cd garanzia del venditore?
L’art. 1429 prevede un errore che cade su una qualità dell’oggetto determinante del consenso. L’art.
1490 prevede un vizio che rende la cosa inidonea all’uso cui è destinata, e che è rimasto sconosciuto,
né era facilmente riconoscibile, dal compratore. L’art. 1497 prevede che la cosa venduta non abbia
le qualità promesse, ovvero quelle essenziali per l’uso cui è destinata. Le norme generali
sull’obbligazione e sull’inadempimento prevedono infine la fornitura di cose, o l’adempimento di
altre prestazioni compiute in modo inesatto.
Art. 1429 cc – Errore essenziale
L'errore è essenziale:
1) quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto;
2) quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso
che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante
del consenso;
3) quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che l'una o
le altre siano state determinanti del consenso;
4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto

Art. 1490 cc – Garanzia per i vizi della cosa venduta


Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea
all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto
al compratore i vizi della cosa

Art. 1497 cc – Mancanza di qualità


Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è
destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni
generali sulla risoluzione per l'inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di
tolleranza stabiliti dagli usi.
Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite
dall'articolo 1495

DOTTRINA: vi sono diverse visioni:


(a) Una parte tenta di individuare linee di confine fra il campo di applicazione dei due
rimedi: saranno annullabili i contratti che hanno come oggetto cose di genere;
saranno risolvibili i contratti che hanno come oggetto cose di specie
(b) Un’altra parte tende a privilegiare le norme sull’errore tutte le volte che sorge il
dubbio
(c) Un’altra parte privilegia le norme sulla risoluzione
(d) Un’altra parte ammette la possibilità di cumuli di azioni

GIURISPRUDENZA: la sua prassi non è sufficientemente uniforme per poter trarre conclusioni
DIRITTO INTERNAZIONALE UNIFORME: tende a far ricadere il rischio dell’errore sul compratore
con la conseguenza che il contratto è valido

SACCO: non considera il caso

PARTE SECONDA – LA PRESUPPOSIZIONE


La nozione
L’errore sui motivi è di norma IRRILEVANTE. Quando il motivo del contraente si eleva a
presupposizione, e cioè a condizione del volere, e questa condizione inerisce al negozio, il suo venir
meno assoggetta il negozio ad un’eccezione che lo paralizza.
La presupposizione ha acquistato un carattere oggettivo quando si è concepita come la situazione di
fatto presupposta dal negozio, ossia come il complesso delle circostanze, la cui esistenza e
conservazione è necessaria alla realizzazione dello scopo, ossia della funzione, del contratto.
Secondo il Sacco, la contrapposizione fra concezione soggettiva e quella oggettiva della
presupposizione è frutto di un’illusione ottica. Il fatto oggettivo imprevisto, come ad esempio il venir
meno della situazione di fatto originaria, diventa fato presupposto attraverso elementi soggettivi,
ossia l’errore della parte, la mancata previsione della parte, il motivo che induce la parte a contrarre,
lo scopo in vista del quale la parte ha contratto.
Esempio. Stipulata una locazione del balcone per il giorno della sfilata per l’incoronazione,
l’incoronazione è presupposto del contratto solo in quanto le parti abbiano saputo della data
originariamente fissata, e ignorato la data del successivo spostamento, e sempreché il conduttore
abbia preso in affitto il balcone proprio per vedere la sfilata dell’incoronazione, e non per effettuare
una miglioria a pro del balcone sovrastante.
Per sapere cosa le parti abbiano saputo e previsto, il punto di partenza sarà la presunzione che
promittente e stipulante abbiano saputo ciò che tutti sanno, abbiano previsto ciò che tutti
prevedono, abbiano avuto di mira ciò che tutti hanno di mira concludendo quel dato contratto.
La presupposizione cederà il passo di fronte alla prova di specifiche clausole o specifici stati soggettivi
divergenti.
Il tema della rilevanza della presupposizione è stato presentato come un problema di accollo di rischi
contrattuali.
Esempio. La locazione del balcone si intende conclusa in vista della sfilata, perché nessuno
condurrebbe quel balcone a quel prezzo se non fosse prevista la sfilata.
Se il venditore è in buona fede, l’unico rimedio è dato in ragione della presupposizione.

La regola
Il nostro legislatore ha adottato la via del riconoscimento della rilevanza dell’imprevisione con l’art.
1467, e con altre regole ispirate alla stessa ragione. Fuori di quest’area, la legge tace, e il silenzio non
significa, in prima approssimazione, rilevanza della falsa supposizione.
Tuttavia non mancano possibilità per dichiarare l’inefficacia di un contratto per falsa presupposizione.
La buona fede può obbligare a illuminare la controparte in errore sui motivi.
La presupposizione consiste in una situazione di fatto, che non riguarda la sfera di una sola delle parti,
che le parti hanno ritenuta certa al punto da non regolarla neppure, pur facendola risultare dal
contratto, il cui verificarsi non dipende dalle parti.
Quando il presupposto non deve esplicare la sua rilevanza, si dirà che il motivo non esteriorizzato in
una condizione è irrilevante.

PARTE TERZA – IL DOLO E LA MANCATA INFORMAZIONE


Generalità
Secondo gli artt. 1439 e 1440 vi sono due ipotesi di solo che influenzano in modo diverso il contratto:
(a) DOLO DETERMINANTE: raggiro proveniente dalla controparte (o noto ad essa) che sia stato
determinante del consenso → annullamento del contratto
(b) DOLO INCIDENTE: raggino non determinante del consenso → contratto valido + risarcimento
danni del contraente in malafede

Art. 1439 cc – Dolo


Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati
tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato.
Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al
contraente che ne ha tratto vantaggio.

Art. 1440 cc – Dolo incidente


Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi
sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni

Raggiro e intenzione
Il problema è questo: quale elemento soggettivo (colpa o intenzione) integra la fattispecie del
raggiro? La risposta sembrerebbe ovvia: l’intenzione.
Da sempre, infatti, dottrina e giurisprudenza hanno concordatamente affermato che il dolo
contrattuale è sinonimo di intenzionalità.
Tuttavia, il Sacco contraddice l’opinione comune affermando che il dolo contrattuale è senz’altro un
illecito ex art. 2043, cioè un fatto ingiusto. Il fatto ingiusto ex art. 2043 presuppone entrambe le
partecipazioni psicologiche, sia quella dolosa che quella colposa → per mantenere il sistema coerente
è necessario ipotizzare anche un dolo contrattuale colposo, un raggiro colposo.

Raggiro ed elemento oggettivo della condotta


Il problema è il seguente: qual è il significato oggettivo di raggiro? È un fatto illecito tipico,
identificabile in una fattispecie precisa con caratteristiche proprie, oppure è un inganno generico che
avrà di volta in volta un oggetto diverso?
La giurisprudenza sostiene che l’illiceità deve essere valutata astrattamente sulla base della
corrispondenza tra fattispecie reale e astratta.
Il Sacco sostiene che l’illiceità deve essere valutata nel caso concreto sulla base dell’esistenza di un
danno.

Raggiro e pubblicità
Il mendacio può essere contenuto in una dichiarazione pubblicitaria. Si parla infatti di una pubblicità
menzognera.
La pubblicità spesso parlerà delle qualità comparative dei prodotti concorrenti. La menzogna sarà più
pericolosa per il concorrente che non per il consumatore.
La pubblicità menzognera non può dirsi conforme alla buona fede nemmeno nei confronti del
consumatore.
La legge 281/1998 assicura al consumatore e all’utente l’adeguata informazione e la corretta
pubblicità, e riconosce il diritto soggettivo e il potere d’azione del consumatore.
L’art. 41 della legge 428/1990, che ha delegato il Governo all’adozione del d.lgs. 74/992, è inserito in
un Capo VI che ha come rubrica Tutela dei consumatori.
La pubblicità mendace è illecita nei confronti del consumatore. L’illecito porterà con sé il carattere
ingiusto del danno arrecatore, e quindi ex art. 2043, l’obbligazione risarcitoria, che diventa ex art.
2058 obbligo di rimessione in pristino. Quando l’evento dannoso si concreta nella conclusione del
contratto la rimessione in pristino si attua con la rimozione del negozio.
La norma:
- Riduce la pubblicità lesiva ad una condotta
- Non menziona l’intenzionalità dell’inganno
- Non menziona l’errore della vittima
Senza l’errore della vittima non può esserci lesione, MA la mancata menzione dell’errore tra i
costituenti della fattispecie fa pensare che la vittima sia dispensata dalla prova sul punto.

Raggiro e condotta omissiva


Il problema è il seguente: il dolo è necessariamente un comportamento commissivo o può anche
consistere in un raggiro omissivo?
Giurisprudenza e dottrina hanno in linea di massima accettato la seconda ipotesi (anche raggiro
omissivo).
Con questo dolo omissivo non si deve confondere il comportamento commissivo con cui taluno
impedisca ad altri (il quale versa in errore) di scoprire la falsità della rappresentazione. In tal caso il
raggiro sussiste certamente.
Il Sacco preferisce precisarla nel modo seguente:

 È da escludere la possibilità di un dolo omissivo del terzo, poiché su di lui non incombe un
obbligo giuridico di denunciare un’irregolarità
 L’analisi si limita quindi alle parti del contratto e si scinde in due ulteriori ipotesi:
(a) Se si nega il valore colposo del raggiro l’unica ipotesi da valutare è il dolo omissivo
intenzionale del contraente → è assolutamente ipotizzabile e porta all’annullamento del
contratto
(b) Se si afferma il valore colposo del raggiro le ipotesi da valutare sono due, di cui una già
risolta (omissione intenzionale) e l’altra, l’omissione colposa, si risolve facendo
dipendere la rilevanza della omissione dall’esistenza di un obbligo di informare la parte
in errore, e gli obblighi di informazione sono differenti a seconda della natura del
contratto da concludere.

La violazione dell’obbligo di informazione


Ci interessano gli obblighi di informazione quale emergono nella fase prenegoziale.
Art. 6 legge 1/1991 (intermediazione mobiliare) → impone all’operatore di operare in modo
che il cliente sia sempre adeguatamente informato sulla natura e i rischi delle operazioni, sulle loro
implicazioni e su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per prendere consapevoli scelte di
investimento.
Legge 216/1974 e d.lgs. 85/1992 (negoziazioni porta a porta) → chi si accinge ad acquistare o
vendere valori immobiliari mediante offerta al pubblico deve previamente pubblicare il prospetto
informativo riflettente i connotati di chi propone l’operazione, e deve poi diffondere gli annuncia
pubblicitari redatti sotto il controllo della Consob.
d.lgs. 74/1992 (pubblicità ingannevole) → vieta la commercializzazione di prodotti che,
avendo un aspetto che non aiuta a identificarli, compromettono la sicurezza e la salute dei
consumatori.
Art. 7 d.lgs. 111/1995 (contratto di vendita di pacchetto turistico) → elenca gli elementi
informativi che il contratto deve contenere
d.lgs. 185/1999 (contrattazione on line) → prevede una protezione informativa a favore del
consumatore che contrae on line

⇒ La sanzione del risarcimento è scontata.

Le disposizioni sin qui reperite non ci dicono che esista un obbligo generalizzato di informare la
controparte.
L’art. 1337 impone ai contraenti, nella fase prenegoziale, una lealtà genericamente configurata. La
violazione della lealtà scatena la reazione di cui all’art. 1439 (dolo).
Gli articoli esaminati ci dicono che l’ordinamento distingue molte ipotesi.
Al contraente professionale, proprio per la sua professionalità, impone obblighi nei confronti della
controparte non professionale e perciò sprovveduta. Il contraente professionale deve illuminare la
controparte; e, se ha con essa un rapporto personalizzato, deve sapere fiutare l’errore di cui essa è
vittima, e chiarire.

L’idoneità della condotta a trarre in inganno


La dottrina ha elaborato da sempre una distinzione tra dolus bonus e dolus malus, ricollegando gli
effetti del 1439 (annullamento) al solo dolus malus.
È considerato DOLUS MALUS il comportamento idoneo ad indurre in errore una persona sensata.
Tale idoneità va valutata tenendo conto delle condizioni psicologiche, culturali e sociali
dell’ingannato.
È considerato DOLUS BONUS la vanteria generica, l’esagerazione che il contraente è solito fare circa
le qualità della merce.
Il Sacco dice basta a questa superflue distinzione e propone una soluzione unitaria: ribadito
l’obbligo di lealtà nelle trattative, è DOLO, ed è causa di annullamento del contratto, ogni raggiro
idoneo astrattamente ad indurre in errore la controparte (il giudizio di idoneità sarà valutato sulla
base del comune apprezzamento).
Una volta ammessa in via di principio la rilevanza di qualsiasi inganno, e negata così la distinzione
fra dolo buono e dolo malo, di fatto avverrà che molte volte il fatto comunemente chiamato dolo
buono non costituirà raggiro per la buona ragione che in concreto il soggetto passivo non si è
lasciato ingannare.

L’errore e il pregiudizio della vittima


Affinché il dolo porti all’annullamento del contratto è necessario che il contraente sia stato indotto
in errore. Non è invece ovviamente necessario che l’errore sia essenziale e riconoscibile, è
sufficiente che ci sia e sia determinante del consenso.
Questo errore può:
» Viziare la volontà di conseguire gli effetti dell’atto
» Determinare il contraente a dichiarare di volere effetti che egli in realtà non vuole (dolo
ostativo) (es taluno, per farmi circoscrivere un’ordinazione, mi fa credere che sul documento
sta scritta una frase diversa da quella vera, o mi fa credere che il significato della frase scritta
sia diverso da quello reale)
Secondo la giurisprudenza il dolo è il raggiro, l’inganno qualificato o dalla condotta molto elaborata
o da specifici obblighi di informazione gravanti sull’autore dell’inganno.
Secondo il Sacco il dolo è ogni comportamento che induca altri in errore, purché l’errore casa su
elementi che il soggetto passiva ha il diritto di conoscere.
Il dolo incidentale
L’art. 1440 dispone che se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è
valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala
fede risponde dei danni.
Si sta prendendo coscienza del fatto che l’art. 1440 è solo un’applicazione specifica dell’art. 1337
(buona fede), e che l’art. 1337 è un’applicazione specifica dell’art. 2043 (risarcimento). Il problema
di vizio incidentale è un problema di responsabilità.
Si prende coscienza del fatto che l’art. 2058 (risarcimento in forma specifica) suggerisce di riparare il
danno costruendo la situazione che si sarebbe creata se non fosse intervenuto il fatto illecito
nocivo. Per cui il vizio incidentale dà luogo, a richiesta della vittima, alla RETTIFICA DEL CONTRATTO.

CAPITOLO 5 – LA MANCANZA DI LIBERTA’


PARTE PRIMA – LA VIOLENZA
Generalità
La violenza intesa come vizio del consenso non consiste nella violenza fisica (che esclude del tutto il
consenso), bensì nella minaccia (o violenza morale).
Il 1433 e ss si riferiscono al contratto concluso da un soggetto per effetto di una minaccia da lui subita.
Di tale soggetto minacciato si suole dire che egli vuole effettivamente gli effetti dell’atto, in quanto
esercita una scelta fra tali effetti e il rischio di subire il male minacciato; che pertanto la minaccia
determina un’anomalia nella formazione della volontà, e non un difetto di volontà. Solo la vera
violenza fisica esclude l’esistenza della volontà (c’è solo la dichiarazione) → nullità
Questa ricostruzione dottrinale della violenza è stata criticata dopo il 1942:

Si fa notare che il soggetto minacciato non è detto che voglia gli effetti del contratto. Può volere
solo la dichiarazione. La minaccia può portare sia al vizio della volontà che alla mancanza totale di
essa. Le conseguenze giuridiche della violenza fisica sono talvolta uguali a quelle della minaccia: il
contratto può essere sia NULLO che ANNULLABILE (per minaccia)

Il Sacco specifica che ci sono ipotesi in cui la minaccia è anche causa di nullità del contratto. Questa
sanzione sarà caratteristica dei casi in cui la minaccia è più grave, vuoi per il suo oggetto vuoi per
le più pressanti limitazioni della libertà del soggetto minacciato.
La dichiarazione viziata da minaccia è efficace (salva l’annullabilità) quando, da un punto di vista
sociale, abbia una certa idoneità a creare un affidamento serio. Se anche questa idoneità manca,
allora la dichiarazione è del tutto inefficace, cioè il comportamento del minacciato non è una
dichiarazione → il contratto è NULLO.
Provenienza della minaccia
La minaccia può provenire dal contraente o da un terzo.
Nel caso in cui provenisse da un terzo, il legislatore, affermando l’annullabilità del contratto viziato,
sacrifica la protezione del destinatario della dichiarazione. Tale deroga al principio dell’affidamento
dimostra che:

La minaccia del terzo è considerata dal cc un vizio PIU’ GRAVE degli altri

Una parte della dottrina ha voluto mettere in evidenza una contraddizione tra l’art. 1435 e l’art. 1445:
- Nell’art. 1435 l’affidamento non è tutelato

Art. 1435 cc – Caratteri della violenza


La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle
temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia,
all'età, al sesso e alla condizione delle persone.

- Nell’art. 1445 assurge addirittura a regola generale

Art. 1445 cc – Effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi


L'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo
oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento

Poiché il 1435 prevede un’ipotesi di annullamento e il 1445 disciplina l’annullamento in generale →


la coerenza del sistema imporrebbe di introdurre la tutela dell’affidamento anche nella materia della
violenza.
Il Sacco è contrario a dare pesa a questa forzata simmetria e coerenza poiché appare estranea alle
nostre leggi.

La minaccia
Affinché la minaccia e il male che ne forma oggetto siano rilevanti devono sussistere 3 requisiti:

 La minaccia deve essere ATTENDIBILE → deve avere l’attitudine ad impressionare una persona
sensata.
L’attitudine ad impressionare dipende dall’attendibilità della minaccia, dalla messa in
scena, dalle possibilità che residuano alla vittima di sottrarsi al male, e così via.
L’attendibilità deve essere valutata in astratto, anche se il principio è mitigato
dall’ultima frase del 1435, secondo cui si ha riguardo all’età, al sesso e alla condizione
delle persone

 Il male deve essere NOTEVOLE e INGIUSTO → la gravità del male minacciato deve essere
notevole, cioè le conseguenze minacciate devono essere di non piccolo conto / il male deve
consistere nella violazione di un diritto altrui
L’ingiustizia minacciata deve incidere su una sfera alquanto vicina al soggetto intimorito (sua persona,
suoi beni, ente a cui appartiene).
All’ingiustizia del soggetto minacciato è legalmente equiparata quella di cui siano vittime il suo
coniuge, i suoi discendenti e i suoi ascendenti (art. 1436, comma 1)
Il campo dei soggetti “vicini” al minacciato è allargato dal 1436, comma 2 ad altre persone, la cui
vicinanza al minacciato è valutata dal giudice.

Art. 1436 cc – Violenza diretta contro terzi


La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la
persona o i beni del coniuge del contraente o di un discendente o ascendente di lui (1).
Se il male minacciato riguarda altre persone, l'annullamento del contratto è rimesso alla prudente
valutazione delle circostanze da parte del giudice.

Naturalmente, la minaccia del male alieno non deve essere un puro pretesto per chiedere
l’annullamento, quando, in realtà, colui che ha concluso il contratto è rimasto indifferente alla
prospettiva del male minacciato: ma ciò è già insito nel principio per cui la minaccia è rilevante solo
quando sia stata, in concreto, la cagione del timore che ha determinato, a sua volta, il consenso.
Fa fede di quanto diciamo l’art. 1437 che sottrae all’annullamento il contratto concluso per timore
riverenziale, o ab intrinseco, cioè spontaneo (il timore deve essere l’effetto di un’azione altrui!).

Art. 1437 cc – Timore riverenziale


Il solo timore riverenziale non è causa di annullamento del contratto.

⇒ Problema del trattamento di un contratto che taluno concluda a condizioni gravose per timore
spontaneo, riverenziale, immotivato della controparte, la quale sfrutta la situazione in mala fede. La
regola che vale per il caso dell’incapacità deve valere anche per il caso del timore.

L’oggettiva ingiustizia del male minacciato


L’oggetto della minaccia deve essere un male ingiusto e notevole.
Quando un male è ingiusto?
- Quando viola un diritto
O
- Quando arreca un danno generico
La risposta del Sacco è lacunosa e poco chiara. Il concetto può essere espresso così:
In via generale è ingiusto il male che sarebbe giudicato tale ai sensi del 2043 (viola un diritto),
però, laddove il male non dovesse essere ingiusto, il soggetto passivo potrebbe essere
ugualmente tutelato dal 1438, che reprime l’acquisizione di un lucro ingiusto attraverso la
minaccia di un male non ingiusto.
Il 1438 risulterebbe, in definitiva, un rimedio eccezionale che deroga alla regola del 2043
(secondo cui è ingiusto il danno che si concretizza nella violazione di un diritto altrui, essendo
il diritto altrui il limite di libertà di azione di un soggetto.

Art. 1438 cc – Minaccia di far valere un diritto


La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è
diretta a conseguire vantaggi ingiusti.

L’elemento soggettivo e l’ingiustizia del male


Il problema è il seguente: ci si domanda se ai fini dell’annullamento l’autore della minaccia debba
essere consapevole dell’ingiustizia del male.
Le soluzione sono in due direzioni:
- Se il male minacciato è punito dalla legge sia come illecito doloso che colposo, e l’autore della
minaccia non è consapevole dell’ingiustizia del male, il male minacciato PUO’ essere
qualificato ingiusto e il comportamento del soggetto può essere qualificato minaccia
sanzionabile.

- Se il male minacciato è punito dalla legge solo come illecito doloso, al fine di qualificare il
comportamento del soggetto come minaccia sanzionabile, è necessario valutare se il soggetto
era in mala fede.
Il caso più importante di male, la cui ingiustizia dipende dalla buona o mala fede di chi lo attua, è
l’ipotesi della via legale:
» Il denunziare scientemente un innocente (sanzione penale)
» L’agire scientemente senza ragioni valide (sanzione civile)
La denunzia e l’azione civile, se proposte in buona fede, sono lecite. Si domanda ora se la minaccia,
fatta in buona fede, di una denunzia o di un’azione civile obbiettivamente infondata sia ingiusta
perché obbiettivamente tale, o se difetti del requisito dell’ingiustizia perché il fatto minacciato
sarebbe, a sua volta, sprovvisto del momento psicologico che lo rende ingiusto.
Nesso causale tra violenza e consenso
La violenza è un comportamento attivo: infatti il solo timore reverenziale non è causa di annullamento
del contratto (ex 1437)
La violenza vizia il consenso solo se è intervenuta come condizione necessaria nella formazione della
volontà di dichiarare.
Il fatto che la violenza sia una condizione necessaria non consente ancora di stabilire se il legislatore
l’abbia ritenuta:
- Causa di un consenso che in mancanza di essa non sarebbe stato manifestato
- Causa di un consenso che sarebbe stato manifestato ugualmente, ma a condizioni diverse
L’occasione per discutere il problema è stata offerta dalla legislazione, in tema di dolo, che distingue
il dolo determinante e il dolo incidentale. Da tali disposizioni, una parte della dottrina ha tratto lo
spunto per un’applicazione analogica → la violenza porta all’annullamento solo se è determinante del
consenso.
Il Sacco, invece, fa prevalere la lettera della legge → la violenza porta sempre all’annullamento del
contratto.
Il vizio della volontà, sia esso determinante o incidentale, è sempre legato da un nesso causale alla
conclusione di quel contratto. La vittima della minaccia può sempre chiedere l’eliminazione della
perdita subita. Quando non può o non vuole chiedere l’annullamento del contratto, chiederà il
risarcimento dei danni.

Il vantaggio ingiusto ottenuto mediante minaccia


Il 1438 dispone che la minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto
solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti.
Spesso infatti viene fatta valere una minaccia giusta volta a conseguire una vantaggio ingiusto.
Esempio.
- Minaccia di presentare una denuncia penale o un’istanza di fallimento.
In questi casi, il diritto di cui di minaccia l’esercizio è indisponibile → oggetto illecito →
contratto nullo
- Minaccia di protesto (di una cambiale), formulata per ottenere un aumento degli interessi o
minaccia di divulgazione di notizie o riproduzioni nocive.
In questo caso il diritto è disponibile → oggetto lecito → contratto annullabile
Si nota quindi che i casi in cui è presente un vantaggio ingiusto tendono a colorarsi di una certa illiceità
dell’oggetto, o di un qualche sfruttamento dello stato di bisogno o di necessità altrui.

PARTE SECONDA – LA NECESSITA’ E IL BISOGNO


I vizi di cui agli artt. 1447 e 1448 e il sistema
Gli artt. 1447 e 1448 presentano 3 caratteristiche comuni:
(a) La sproporzione tra le prestazioni
(b) L’atteggiamento del contraente che se ne avvantaggia
(c) Lo stato di bisogno o di necessità in cui si trova il contraente danneggiato

Art. 1447 cc – Contratto concluso in istato di pericolo


Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla
controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere
rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.
Il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso
all'altra parte per l'opera prestata.

Art. 1448 cc – Azione generale di rescissione per lesione


Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa
dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte
danneggiata può domandare la rescissione del contratto.
L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita
o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta.
Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori.
Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione

Il pericolo
La disciplina del 1447 appare chiara se la si paragona a quella della violenza:

 Lo stato di coazione non determinato minaccia del 1447 è simmetrico allo stato di coazione
determinato da minaccia del 1435
 La rescissione del 1447 è il rimedio simmetrico all’annullamento del 1434
 La necessità del 1447 è simmetrica rispetto alla coazione, entrambi gli stati psicologici si
traducono nel timore in senso lato
Il male temuto deve essere un danno alla persona (il danno al patrimonio non costituisce stato di
pericolo). Il danno alla persona potrà anche configurarsi latamente come lesione di qualsiasi bene
protetto da un diritto della personalità.
Non è necessario il danno ingiusto: è necessario che si tratti di danno grave
Lo scopo di salvare terze persone vizia il contratto tanto quanto lo scopo di salvare se stesso.

La mala fede dello stipulante e le condizioni inique


Nel 1447 prevale la tutela dell’affidamento; nel 1435 prevale sempre l’interesse del danneggiato.

Per cui, il contratto non è viziato se allo stipulante non era noto lo stato di necessità.
Questo dimostra che la legge richiede la scienza concreta (malafede in senso stretto) come requisito
psicologico indispensabile.
L’iniquità delle condizioni non è un vizio del contratto, preso in sé per sé → lo diventa quando deriva
da uno stato psicologico di timore, dovuto allo stato di necessità.
In altre parole, il contratto sarà rescindibile solo in presenza di entrambe le circostanze (oltre alla
notorietà delle circostanze alla controparte in malafede):
- Stato di necessità
- Condizioni inique

Il bisogno
Il 1448 opera quando il 1447 è inapplicabile (il bisogno è un concetto più lato di necessità).
Bisogno:
» È la difficoltà economia duratura (indigenza), ma anche quella contingente e momentanea
» È il bisogno di denaro, ma anche di qualsiasi altro bene o servizio economico
Il bisogno non suppone che il bene si assolutamente indispensabile al contraente. Il caso della
indispensabilità sconfina nella necessità dell’art. 1447, mentre l’art. 1448 assolve ad una funzione
proprio quando l’art. 1447 è inapplicabile.
Lo stato di bisogno è rilevante anche quando sia stato provocato dal contraente.
Il soggetto dello stato di bisogno è il contraente, anche se il termine “stato di bisogno” si presta a
comprendere bisogni economici non solo immediatamente propri, ma anche dipendenti dalle
necessità altrui.

L’approfittamento e la lesione
Anche il 1448, come il 1447, prevede come elemento psicologico necessario la malafede della
controparte. La rescissione è possibile solo se il contraente ha approfittato dello stato di bisogno per
trarne vantaggio.
L’approfittamento non deve necessariamente consistere in un comportamento attivo, ma può
limitarsi ad un atteggiamento psicologico che rimane allo stato passivo:
- Scienza dello stato di bisogno
- Scienza della sproporzione
- Scienza del proprio vantaggio
- Intenzione di ricavare vantaggio
La lesione è rilevante solo se la prestazione del contraente in stato di bisogno ha valore almeno doppio
rispetto alla prestazione della controparte. Il valore deve essere definito in modo astratto e
obbiettivo. La rescissione può aver luogo solo se la lesione perdura fino al tempo in cui la domanda è
proposta.
La rescissione non è più possibile quando lo stato di sproporzione si riduce in stato di equità, non
essendo sufficiente che la lesione sia ridotta sotto la metà.

I limiti all’applicazione dell’art. 1448


Sono fuori dell’ambito di applicazione del 1448:

 CONTRATTI ALEATORI (che non patiscono rescissione per lesione)


 DIVISIONE (che può essere rescissa in base ad elementi puramente oggettivi)
 CONTRATTI PIU’ GRAVEMENTE USURARI (che sono nulli)
Contratti aleatori (art. 1448, comma 4) → secondo il Sacco, la limitazione prevista dal cc è del tutto
irrazionale poiché anche attraverso un contratto
aleatorio si può perfezionare una lesione, quando il
valore della prestazione dedotta in modo aleatorio,
moltiplicata per il coefficiente del rischio, sia superiore o
inferiore al valore della controprestazione.
Per rendere razionale la norma bisogna intenderla così:
non può essere rescisso per lesione un contratto
aleatorio, se esso contratto aleatorio, equo al momento
della conclusione, risulta ex post nocivo al contraente in
stato di bisogno, per solo effetto dell’alea.

PARTE TERZA – L’ABUSO DI POSIZIONE ECONOMICA


Una norma di importanza centrale vieta, in Italia:
- Le intese
- Le concentrazioni di impresa
- Gli abusi di posizione dominante

⇒ Vieta cioè le pratiche che possono ostare alla concorrenza.

Le norme relative si trovano:


» Negli artt. 65 e 66 del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio
» Negli artt. 85 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea
» In altre disposizioni della CEE
» Nella legge 287/1990
L’art. 41 Cost, promettendo all’iniziativa economica la libertà, sembra volerla emancipare dalla
soggezione ai monopoli privati e pubblici.
MA in Italia permane un orientamento generale, anticostituzionale, favorevole alla prevenzione della
concorrenza.
Il monopolista può spuntare controprestazioni più elevate di quelle che gli consentirebbe un mercato
concorrenziale. Quale rimedio vien dato al contraente? La legge 287/1990 prevede l’istituzione di
un’autorità garante della concorrenza, dotata sia di poteri istruttori, sia di poteri di interdizione e
sanzione. L’autorità opera sotto il controllo giurisdizionale del giudice amministrativo. L’art. 33, n. 2
prevede poi la competenza della Corte d’appello per le azioni di nullità e di risarcimento del danno,
nonché per i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti urgenti
Il negozio concluso in condizioni che solo l’abuso ha reso possibili è un negozio la cui formazione è
condizionata da elementi patologici e fuorvianti. Questa anomalia concreta un vizio del volere.
La volontà che subisce il monopolio si forma attraverso un processo patologico e aberrante.
Il contraente che ha abusato dovrà rettificare il contratto, sulla falsariga di ciò che sarebbe avvenuto
se il mercato avesse funzionato.

SEZIONE V – Le controdichiarazioni
CAPITOLO 1 – LA SIMULAZIONE E I SUOI EFFETTI SOSTANZIALI
La simulazione in genere
In virtù dell’art. 1414, comma 1, il contratto simulato non produce effetto tra le parti. La stessa regola
si applica agli atti unilaterali recettizi che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario
(comma 3)

Art. 1414 cc – Effetti della simulazione tra le parti


Il contratto simulato non produce effetto tra le parti.
Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il
contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Le precedenti disposizioni si applicano anche agli atti unilaterali destinati a una persona
determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario

La simulazione sussiste quando

Due o più soggetti pongono in essere un negozio destinato a creare una situazione di apparenza
rispetto ai terzi

Al negozio simulato si contrappone sempre la controdichiarazione → atto generalmente conosciuto


solo dalle parti, con cui esse dichiarano di non volere il negozio simulato (simulazione assoluta) o di
volerne uno diverso (simulazione relativa).
La simulazione tra le parti
La simulazione tra le parti non è vista semplicemente come una divergenza fra volontà e
dichiarazione.
Qualora il convenuto tentasse di far valere genericamente l’assenza di volontà, sarebbe lo stesso
attore a invocare che l’eccezione sia qualificata come eccezione di simulazione, per far valere le
limitazioni di prova che concernono la simulazione.
La dichiarazione ostensibile e la controdichiarazione, quando scritte, sono redatte su fogli diversi. Ma
sono un testo unico.
La dichiarazione dissimulata, o controdichiarazione, o patto di rispetto, è la dichiarazione invocata in
giudizio contro un’altra dichiarazione, di cui si assume che sia insincera.
L’intesa simulatoria non è un contratto, né un vero pezzo di contratto. È un FRAMMENTO DI
DICHIARAZIONE, su cui le parti concordano, tanto che rientra nella previsione legale dell’art. 2722;
ma non è un contratto.

Art. 2722 cc – Patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento


La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di
un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea

Il frammento di negozio ostensibile è inscindibile da essa: cosicché ne viene oggettivamente alterato


e frustrato, indipendentemente dalle specifiche proprietà del patto di rispetto.
Non ha senso discutere se, tra le parti, si intenda simulato l’atto, ancorché la finzione non sia
caratterizzata da un fine pravo o malizioso. Tra le parti l’eccezione di simulazione è basata sull’accordo
in quanto tale: motivi, fini, malafede restano fuori della cerchia dei fatti rilevanti.
Anche tra le parti, ha rilievo il problema del requisito della volontà dei paciscenti (= parti che
contraggono una pattuizione o vengono comunque a un accordo). Se i paciscenti sono soltanto 2, il
loro animo nei confronti del negozio e dalla controdichiarazione non potrà volgersi se non verso la
produzione o verso l’esclusione degli effetti. Ma, quando i paciscenti sono 3, l’animo del terzo
contraente potrà essere vario. La sua indifferenza alla produzione dell’uno o dell’altro effetto spiega
bene la scarsa importanza che le altre parti, al momento della conclusione del contratto, saranno al
suo stato d’animo. Può averla accettata a priori, ora per allora, al momento delle prime trattative, e
non aver poi saputo, al momento del contratto, che è stata perfezionata. Quando sorgerà il giudizio
di simulazione, l’animo del terzo contraente diventerà rilevante.
La giurisprudenza considera requisito della simulazione la partecipazione (o adesione) del terzo
contraente alla controdichiarazione (la sua scienza non è sufficiente, non è sufficiente la sua previa
accettazione)
Può avvenire che la controdichiarazione sia resa informalmente (al limite, mediante fatti concludenti).
E allora potrà darsi che la parte che appare avvantaggiata dalla dichiarazione ostensibile rilasci alla
controparte una dichiarazione scritta. Questo atto a carattere confessorio potrà venir confuso con
un patto di rispetto. Ma è un’altra cosa. È una dichiarazione unilaterale di scienza, e può certamente
essere posteriore alla simulazione.
Quand’anche questa venisse pubblicata, mediante registrazione, trascrizione, pronunzia giudiziale
che ne dichiara il contenuto, la novella evidenza della nullità dell’accordo apparente nulla
aggiungerebbe alla nullità, da cui l’accordo apparente era colpito in precedenza.
La fattispecie della simulazione rispetto ai terzi
Il terzo farà valere in giudizio l’atto ostensibile → il convenuto, parte dell’intesa simulatoria, eccepirà
il patto di rispetto → il terzo ne disconoscerà gli effetti assumendo la simulazione → il convenuto
tenterà di contestare la qualificazione dell’atto come simulato e del patto come dissimulato.
La dichiarazione fittizia è sempre idonea a ingannare il terzo: chi pone in essere la dichiarazione fittizia
crea un pericolo, e deve sottostare al rischio corrispondente.
Vi sono 3 ordini di problemi:
1. Se è possibile la simulazione involontaria, meramente colposa
La risposta è negativa: non è possibile qualificarla come simulazione (l’accordo simulatorio deve
essere intenzionale), può però essere considerata come apparenza rispetto ai terzi.
2. Se la semplice dissimulazione di un atto (ipotesi che si verifica quando si nasconde un atto
che è stato compiuto e del quale se ne vogliono gli effetti) equivale a simulazione
La risposta è negativa: la legge reprime la simulazione in quanto comportamento commissivo e non
come comportamento omissivo. Inoltre, c’è l’onere di non emettere dichiarazioni finte, MA non
l’onere di rendere note al pubblico le dichiarazioni veritiere.
3. Se nella simulazione soggettiva (interposizione fittizia di persone) il terzo deve partecipare
alla controdichiarazione con un comportamento attivo oppure se è sufficiente la scienza della
simulazione.
È necessario che il terzo manifesti la propria volontà mediante accettazione.

Ambito di applicazione dei principi sulla simulazione


Secondo l’art. 1414, comma 2, le disposizione sulla improduttività del contratto simulato e sul vigore
del contratto dissimulato sono applicabili anche agli atti unilaterali destinati a una persona
determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario.
Esempio. Tizio, che deve a Caio 10 milioni, ottiene, contro rilascio di una scrittura di rispetto, una
quietanza da presentare alla propria banca.
→ schema composto da dichiarazione (divergente dall’intento delle parti) e
controdichiarazione (conforme all’intento delle parti)
Esempio. Tizio, che vuole beneficare Caio al di là di quanto gli consenta la misura della parte
disponibile del suo patrimonio, gli impresta tutto il proprio capitale, e poi gli dà quietanza della
somma.
Esempio. Tizio, alienando a Caio, retrodata l’atto per l’ingenua speranza di sottrarre il negozio ad una
possibile revocatoria.
→ due soggetti che vorrebbero gli effetti giuridici espressi nell’atto ricognitivo menzognero:
non abbiamo un atto simulato, ma un atto velleitario, caratterizzato dalla sua falsità ideologica
Secondo il Sacco, la simulazione è possibile non solo rispetto alle dichiarazioni di volontà, ma anche
rispetto alle dichiarazioni di scienza: queste possono non essere conformi al vero in base ad un
accordo delle parti, al fine di favorire una di loro.
Spesso la struttura della simulazione è caratterizzata dal contrasto tra una dichiarazione ostensibile
(che è conforme alla volontà delle parti) e un fatto reale (talora accompagnato, e talora non, da una
dichiarazione parallela in cui si confessa la verità).
Nell’ambito di gestioni patrimoniali svolte da organi della pubblica amministrazione si ammette la
possibilità di simulazioni.
Può essere simulato l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe
dell’intesa simulatoria)

La simulazione relativa
Se le parti, simulando o dissimulando, intendono produrre effetti giuridici (diversi, ovviamente, da
quelli enunziati nell’atto simulato), il loro accordo non è privo di effetti per il solo fatto che la
dichiarazione che lo contiene è dissimulata (art. 1414, comma 2).
La dottrina tradizionalmente distingue, sulla base degli scopi ultimi che hanno indotto le parti a porre
in essere il negozio simulato:

 La SIMULAZIONE ASSOLUTA
Quando le pari hanno simulato un negozio ma in realtà non ne vogliono nessuno
 La SIMULAZIONE RELATIVA
Quando le parti hanno simulato un negozio ma in realtà ne vogliono uno diverso
Il Sacco ritiene difficile operare questa distinzione poiché, in concreto, la simulazione che noi
consideriamo assoluta nasconde spesso per lo meno un mandato ad amministrare (es La vendita
simulata non vale come vendita, sicuramente però vale a conferire i poteri di gestione ed
amministrazione del bene). Inoltre, le difficoltà non diminuiscono quando si pensa che la simulazione
assoluta comporta l’attribuzione all’acquirente (o promissario dissimulato) del potere di far valere la
dichiarazione occulta, risolvendo gli effetti di quella palese.
La conclusione del Sacco è la seguente:
È necessario trovare un punto in comune tra le due ipotesi (assoluta e relativa) ed evitare
classificazioni aprioristiche → nel dubbio la simulazione va considerata assoluta. Pertanto solo
la prova certa di una volontà negoziale dissimulata può portare a concludere per l’esistenza di
una simulazione relativa.
Ogni simulazione contiene in sé l’intento che alcuni effetti dell’atto simulato possano operare.
Nella simulazione relativa, il contratto dissimulato ha effetti tra le parti, purché ne sussistano tutti i
requisiti di sostanza e di forma. Non si richiede che la controdichiarazione sia formale, ma solo che la
forma richiesta dalla legge per il contratto dissimulato sussista o nel contratto dissimulato o in quello
simulato.
Se il contratto dissimulato è una donazione, e il contratto simulato è una vendita, cosicché la
controdichiarazione è redatta per scrittura privata, e la vendita è fatta per atto notarile, ma senza
testimoni, la donazione è nulla per difetto di forma.

L’invalidità del contratto simulato


Il contratto simulato è nullo.
Alla nullità si accompagna l’impossibilità della convalida.
Dalla nullità discende l’imprescrittibilità del potere di agire per far valere la simulazione. Però la
giurisprudenza ritiene che l’azione di simulazione è prescrittibile quando la simulazione è relativa, in
quanto l’azione comporta anche l’accertamento positivo di una situazione giuridica prescrittibile (il
negozio dissimulato).
Si preferisce oggi l’enunciato secondo cui l’azione di simulazione come azione di accertamento è in
ogni caso imprescrittibile, mentre sono prescrittibili le azioni volte a far valere i diritti nascenti dal
negozio dissimulato.
La prescrizione incomincia a decorrere dal momento fissato per l’adempimento, e non dal momento
della simulazione.

Gli effetti del contratto simulato e i terzi


La simulazione non può essere opposta ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare
apparente (salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione) da parte di:
» Parti contraenti
» Aventi causa
» Creditori del simulato alienante
La simulazione non può essere opposta ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno
compiuto atti di esecuzione sui bene che furono oggetto del contratto simulato da parte dei
contraenti

È indispensabile distingue 2 ipotesi alle quali si collegano due categorie di soggetti:

 Ipotesi in cui prevale l’interesse a far valere la realtà sull’apparenza a cui si ricollega la categoria
di soggetti legittimati a dimostrare che il contratto è SIMULATO
Questi soggetti sono:
a. I terzi acquirenti del simulato alienante (art. 1415, comma 2)
b. I creditori del simulato alienante (art. 1416, comma 1)
Questi soggetti, secondo la legge, hanno interesse a far valere la simulazione, cioè: nei
loro confronti il negozio simulato non produce alcun effetto poiché le loro aspettative
si fondano sulla realtà.
Sinteticamente, la simulazione può essere opposta dall’avente causa del simulato
alienante al simulato acquirente

 Ipotesi in cui prevale l’interesse a far valere l’apparenza sulla realtà, a cui si ricollega la categoria
dei soggetti legittimati a dimostrare che il contratto è VALIDO
Questi soggetti sono:
a. I terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare apparente (art.
1415, comma 1)
b. I creditori del titolare apparente, che, in buona fede, hanno compito atti di
esecuzione sui beni che furono oggetto del contratto (art. 1415, comma 1)
La legge in questi casi tutela l’affidamento del soggetto in buona fede, tanto che
l’apparenza prevale sulla realtà.
Sinteticamente, la simulazione non può essere opposta all’avente causa del simulato
acquirente.
Quando sorge un conflitto tra categorie tutelate, la legge stabilisce che i creditori chirografari del
simulato acquirente (che fondano le proprie aspettative sull’apparenza) soccombano nei confronti
dei creditori del simulato alienante (che fondano le proprie aspettative sulla realtà) se il credito di
questi ultimi è anteriore all’atto simulato.
La giurisprudenza anteriore al 1975 ha affermato la regola secondo cui la simulazione non può essere
opposta ai terzi, che non siano specificatamente in malafede; regola che non prevede limiti di alcun
genere: ogni terzo è tutelato. È terzo anche il mediatore, il curatore del fallimento.
Il Sacco ha proposto un’interpretazione più vicina al senso letterale della legge che ha portato
all’imposizione di alcuni limiti:
→ La buona fede del terzo si PRESUME
→ Il terzo è protetto solo quando abbia acquistato un DIRITTO
Dopo il 1975 anche la giurisprudenza ha adottato le soluzioni interpretative che il Sacco dice essere
sue.

CAPITOLO 2 – LA PROVA DELLA SIMULAZIONE


La prova dell’intesa simulatoria invocata dalla parte
Se la prova è portata da una delle parti, a meno che questa non voglia dimostrare l’illiceità del
contratto simulato, la prova possibile in linea di principio è il DOCUMENTO DELLA
CONTRODICHIARAZIONE, mentre la prova per testimoni e la prova per presunzioni saranno ammesse
solo entro i limiti degli artt. 2721 – 2722 e con le eccezioni dell’art. 2724 (interrogatorio formale e
giuramento decisorio sono ammissibili).
L’art. 1417 contiene un’eccezione alla regola ex art. 2722, disponendo che la prova per testimoni della
simulazione è ammissibile qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato. Qui,
l’illiceità significa una qualificazione del contenuto del negozio, che conduce alla sanzione della
nullità. Quindi non è illecita la violazione di regole sulla forma degli atti, né l’interposizione
predisposta per ledere la quota di riserva del legittimario. È lecito, ad esempio, il patto commissorio.
L’illiceità deve essere propria del patto occulto: non trova rilevanza l’illiceità dell’occultamento, quale
si riscontra nel fatto di tener nascosto un atto per evadere un obbligo fiscale. Laddove è operante la
prova per testimoni, è ugualmente ammessa la presunzione.
È parte chi interviene nel negozio ostensibile e chi assuma di essere uno dei soggetti del
rapporto che in realtà si volle costruire.
Se la controdichiarazione è assoggettata ad un requisito di forma necessario ad substantiam,
la parte dovrà produrre la scrittura che esprime il negozio, in conformità alle regole generali.
In tutti gli altri casi, l’interessato potrà produrre una dichiarazione di tipo confessorio o
ricognitivo, preveniente dalla controparte.

Art. 2721 cc – Ammissibilità: limiti di valore


La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell'oggetto eccede euro 2,58.
Tuttavia l'autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della
qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.

Art. 2722 cc – Patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento


La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di
un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea

Art. 2724 cc – Eccezioni al divieto della prova testimoniale


La prova per testimoni è ammessa in ogni caso:
1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente
dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire
verosimile il fatto allegato;
2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta
3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova

Art. 1417 cc – Prova della simulazione


La prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da
creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è
proposta dalle parti.

Se è il terzo a provare, può provare la simulazione con OGNI MEZZO (prova per testimoni e prova per
presunzioni senza limiti)
⇒ sul terzo non incombe l’obbligo della controdichiarazione
La regola si applica al curatore del fallimento dell’alienante e all’acquirente dell’alienante. La
giurisprudenza la applica anche ai successori per causa di morte a titolo particolare, cioè ai
legatari, compreso il coniuge superstite, in quanto legatario ex lege.
Il successore a titolo universale non è considerato terzo; il legatario, invece, è considerato
terzo. Un principio giurisprudenziale stabilisce che chi è vittima della simulazione, ai fini della
prova, deve considerarsi terzo. Il Sacco critica questa impostazione affermando che non esiste
motivo per cui il legatario debba avere condizioni più favorevoli per smascherare la
simulazione rispetto al suo dante causa.
Anche il legittimario è considerato terzo, perché è generalmente la vittima designata di
alienazioni che sostanzialmente sono donazioni e che vengono fatte passare per vendite al
fine di sfuggire all’azione di riduzione.
Il mandante. Esempio. Tizio, procuratore di Caio, sottoscrive nel nome un atto, che poi Tizio
impugna chiedendo la declaratoria di simulazione. Vi è un massima secondo cui il mandante,
terzo rispetto alla simulazione, può ricorrere a qualsiasi mezzo di prova. Ma i casi in cui si fa
ricorso alla massima sono quelli in cui il mandatario lungi dall’emettere dichiarazione e
controdichiarazione, falsifica la prova di un negozio (es retrodata). Il patto può essere provato
da chi non ne è parte, e servirà a provare il vero vizio dell’atto, che consiste
nell’appropriazione di un bene operata dal mandatario, o nell’esercizio di poteri
rappresentativi inesistenti. Il contratto propriamente simulato dal mandatario è solo quello in
cui il mandatario, concludendo nel nome il negozio apparente, stipula nel nome anche il patto
di rispetto. Alla massima si potrebbe sostituire una regola che equipari al terzo il mandante,
quando la simulazione sia stata il modo per agire fraudolentemente a suo danno.

CAPITOLO 3 – IL GIUDIZIO DI SIMULAZIONE


Generalità
La domanda diretta all’accertamento della simulazione è una sottospecie di nullità.
L’accertamento della simulazione può però essere promosso anche incidentalmente in un processo,
per dimostrare che un determinato atto, su cui si fonda un diritto controverso, è simulato. Poiché
generalmente, l’accertamento incidentale è richiesto dal convenuto citato in giudizio per
l’adempimento del contratto simulato, in giurisprudenza si parla di eccezione di simulazione.
Si trova ben radicata nelle massime giurisprudenziale la distinzione per cui l’azione di simulazione
non potrebbe essere proposta per la prima volta in grado di appello, mentre la simulazione potrebbe
essere fatta valere anche in seconde cure in via di eccezione.
La sentenza che rigetta la domanda di simulazione assoluta non preclude la domanda basata sulla
simulazione relativa.

Legittimazione attiva all’azione


Sono legittimati ad agire in giudizio per far valere la simulazione:

 Parte nel negozio → può agire quando vi abbia un interesse


 Terzo acquirente del simulato alienante → chi abbia un diritto incompatibile con l’efficacia
dell’atto simulato
 Creditore del simulato alienante → l’esistenza del credito verrà rilevata incidenter tantum.
Non occorre che il credito si anteriore all’atto simulato. Il creditore, per agire, deve avere uno
specifico interesse: cioè solo se l’atto simulato rende più difficile od incerto il soddisfacimento
del credito

Il contraddittorio
Esigenza di evitare giudicati contraddittori → la legge stabilisce il LITISCONSORZIO NECESSARIO, per
cui la sentenza è nulla se non è emessa verso tutti i partecipanti all’atto in questione.

L’efficacia del giudicato


Una volta passata in giudicato, la sentenza fa stato erga omnes, salva la possibilità dell’opposizione
del terzo.
Incertezze sorgono quando si debba chiarire se la sentenza ottenuta dal creditore operi tra le parti.
In dottrina si riscontra un richiamo a teorie elaborate in tema di azione di annullamento, secondo cui
l’annullamento gioverebbe o nuocerebbe a tutti, mentre la reiezione dell’impugnativa farebbe stato
solo fra le parti.
Su basi diverse, un altro insegnamento sostiene che la pronunzia faccia stato nei confronti di tutte le
persone presenti in giudizio.
Un filone di dottrina processualistica rifiuta l’estensione soggettiva degli effetti del giudicato dal
creditore alla parte, che è estranea all’interesse fatto valere dal creditore. E la giurisprudenza si ispira
a questa stessa idea della non estensione del giudicato e perciò per effetto delle diverse conclusioni
delle parti, o per effetto del diverso regime probatorio, un negozio può, in un solo giudizio, essere
dichiarato simulato nei confronti del terzo, e non esserlo nei confronti delle parti.

CAPITOLO 4 – IL CONTRATTO INDIRETTO


Il contratto indiretto
Il contratto indiretto è un contratto concluso con una finalità economica che corrisponde al contenuto
giuridico di un contratto diverso. Di questa categoria sembrano far parte 3 figure salienti e ricorrenti:
a. Società di puro comodo, volte a coprire una gestione che non svolge attività alcuna
b. Alienazioni fatte a scopo di garanzia
c. Donazioni indirette
Esempio. Vendita accompagnata da una remissione del debito = donazione
» Il contratto è un contratto effettivamente voluto (non simulato)
» Le parti perseguono per mezzo suo una finalità propria di un altro contratto, o comunque
contrastante con quella caratteristica del tipo contrattuale prescelto
» Se non si prova che ci si trova in un’ipotesi di froda alla legge, il contratto è lecito
Il nostro cc, quindi, riconosce la validità del contratto indiretto, purché sia lecita la sua finalità.
Ciò che contraddistingue il negozio indiretto non è la contraddittorietà fra la finalità propria del tipo
negoziale e la finalità aggiuntavi dalle parti, ma la discontinuità tra due effetti voluti entrambi dalle
parti.
Anche un contratto atipico può essere indiretto.
Il legislatore ha voluto affermare che non costituisce necessariamente simulazione relativa la
conclusione di un contratto con finalità diverse. In assenza di una controdichiarazione, non si può
parlare di una dissimulazione, e perciò non si può nemmeno parlare di una simulazione.

SEZIONE VI – La forma
CAPITOLO 1 – LE FORME IN GENERE
La forma legale
Per forma si intende il modo in cui avviene la manifestazione di volontà (ossia lo speciale mezzo
semantico, o lo speciale frasario) o il modo in cui la manifestazione è resa certa (presenza di testi,
redazione di verbale).
Nel nostro ordinamento vige, salvo eccezioni, il PRINCIPIO DELLA LIBERTÀ DI FORMA.
Talora l’adozione della forma è requisito per la prova, altre volte per la validità dell’atto; altre volte
per l’efficacia dell’atto come titolo esecutivo dell’atto, o per l’opponibilità dell’atto a terzi.
Il principio della libertà delle forme vale solo nel senso che, sul piano degli effetti sostanziali, un
contratto o un altro atto equiparato al contratto, fino a diversa disposizione, non è nullo né altrimenti
invalido per il fatto che non è stata adottata una forma solenne o tipica.
Occorre precisare che:
» Il principio della libertà delle forme vale solo sul piano della validità degli atti, mentre sul piano
di determinati effetti dell’atto vale il principio contrario
Esempio. L’efficacia di titolo esecutivo di un atto è sempre legato alla formalità propria
di una formalità propria di una cambiale, di un assegno o di un atto pubblico
Analogamente l’efficacia di prove è pure sottoposta a forme vincolate

» Il principio della libertà delle forme, secondo il Sacco, è disciplinato da norme che non sono di
carattere eccezionale, non sono soggette al divieto di applicazione analogica e non sono
soggette ad interpretazione restrittiva

DISTINZIONE FRA FORMA AD SUBSTANTIAM E FORMA AD PROBATIONEM:


Tradizionalmente si diche la forma è richiesta ad substantiam quando è necessaria per la
validità dell’atto; mentre è richiesta ad probationem quando è necessaria per la prova dell’atto (nel
senso che si esclude che quell’atto possa essere provato per testimoni o per presunzioni).
Il Sacco sostiene che questa impostazione sia il frutto di una confusione. Quando si parla di
forma ad probationem si parla di forma della prova, non di forma dell’atto. In altre parole, si dice che
deve essere provata per iscritto l’esistenza di un determinato atto, dove “per iscritto” può significare
anche “attraverso la confessione scritta” di uno dei due contraenti (es quietanza). Per la prova
dell’esistenza di un atto non deve essere prodotto in giudizio necessariamente il documento in cui è
stato iscritto l’atto. Quando, invece, si parla di forma ad substantiam si parla di una forma necessaria
della dichiarazione negoziale, cioè di forma dell’atto. In tal caso lo scritto necessario per la validità del
negozio è necessario anche per la prova (salva l’ipotesi di perdita incolpevole del documento ex art.
2724 e salva l’ipotesi che il dichiarante debba provare il contenuto di una dichiarazione che essendo
recettizia si trova nelle mani del destinatario). Le regole della forma ad substantiam portano alle
seguenti conclusioni → le parti non possono provare per testimoni o per confessione che il negozio
fu concluso per iscritto: la forma ad substantiam è una forma doppiamente necessaria (per la validità
e per la prova).
Esiste una possibilità intermedia tra le due ipotesi di forma: è quella in cui la legge richiede che la
dichiarazione debba risultare da atto scritto. Questa terza ipotesi si distingue dalla:
 Forma ad probationem perché il documento è necessario anche se è pacifico che la
dichiarazione ebbe esistenza
 Forma ad substantiam perché la parte può produrre alternativamente la dichiarazione
negoziale formale o il mezzo di prova formale
La risultanza della dichiarazione da atto scritto viene richiesta dalla legge per la produzione di certi
effetti.
L’interesse pubblicistico alla forma può avere un’intensità varia:
 Forma il cui difetto non ammette sanatorie (forma necessaria al trasferimento di un immobile
tra vivi)
 Requisito formale che tollera sanatorie (donazione, in rapporto alla donazione manuale)
 Forma il cui difetto non è rilevabile d’ufficio (forma richiesta ai soli fini della prova)
Il difetto della forma richiesta ad substantiam può dar luogo a forme di invalidità o inefficacia
diversissime:
o Talora è comminata la nullità fra le stesse parti
o Talaltra è comminata l’impossibilità di dare pubblicità all’atto, con tutte le ulteriori
conseguenze sostanziali dipendenti dal regime della pubblicità costitutiva, dal regime della
protezione dei terzi in buona fede, e della relativa presunzione legale di buona fede dei terzi
o Talvolta è prevista solo l’inopponibilità ai terzi
Talora è assoggettato alla forma tutto il negozio; talaltra, solo una clausola.
Quando la forma è richiesta per la validità dell’atto, l’informalità conduce alla nullità.
La giurisprudenza, se si tratta di forma imposta dalla legge, considera il vizio come deducibile in ogni
grado del giudizio e rilevabile d’ufficio.

Le forme volontarie
1.

Art. 1352 cc – Forme convenzionali


Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura
conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo

L’art. 1352 si limita a sancire una presunzione (la presunzione che la forma sia voluta per la validità);
e ricollega questa presunzione ad una sola ipotesi (l’ipotesi del patto scritto). E così lascia fuori:
- La validità e l’effetto di una clausola non scritta → un’opinione ha ritenuto la nullità della
clausola non scritta; ma tale opinione non è d’accordo con lo spirito della legge, che parla
della clausola scritta come di una semplice ipotesi nel quadro più ampio della clausola intorno
alla forma.
Ci si domanda se, fuori del campo della lettera dell’art. 1352, il patto imponga la forma per la
validità dell’atto, o per la prova di esso, o se più semplicemente crei un’obbligazione di
somministrare alla controparte la prova formale del contratto.
- Il valore preciso della presunzione, di cui la lettera non dice se sia:
 Iuris tantum (Presunzione relativa = ammessa prova contraria)
 Iuris et de iure (Presunzione assoluta = no prova contraria)
La presunzione di cui all’art. 1352 non è iuris et de iure. Ma non è una semplice presunzione
interpretativa; altrimenti, sarebbe ammessa la prova testimoniale per correggere
l’interpretazione. Il documento crea la presunzione, e la prova destinata a superare la
presunzione deve considerarsi contraria al documento ai sensi dell’art. 2722.
Stipulato il contratto di merito senza la forma richiesta volontariamente per la validità, il contratto
amorfo è NULLO. Il giudice può pronunciarsi d’ufficio.
Bisogna accertare di volta in volta se le parti stipulando il patto di merito senza la forma prescritta
abbiano implicitamente abrogato il precedente accordo. Ma, per fare questo accertamento, si
verrebbe a sottoporre nuovamente ognuna delle parte all’alea delle prove meno qualificate, che esse
avevano voluto allontanare da sé con la clausola. Pare giusto, quindi, ritenere che:

Le parti, nello statuire che un futuro (eventuale) contratto avrò bisogno di una certa forma, vogliano
altresì che abbia bisogno della stessa forma il patto abrogativo di questa statuizione

2.

Art. 1326, comma 4 cc – Conclusione del contratto


Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha
effetto se è data in forma diversa.

Il legislatore prevede l’inefficacia totale dell’accettazione data in forma diversa da quella voluta dal
proponente. La giurisprudenza ha però trasformato questa inefficacia in una specie di nullità relativa.
Secondo la Corte di cassazione, la norma è posta nell’esclusivo interesse del proponente, quindi ne
deriva che è decisiva, per l’applicazione del comma citata, la volontà del proponente, che potrebbe
anche rinunciare alla forma.
Secondo il Sacco, la norma è certamente posta nell’interesse del proponente. Tale interesse è bene
protetto mediante l’inefficacia dell’accettazione informale. Ma a questo punto la regola posta
nell’interesse del proponente deve produrre il suo pieno effetto. L’accettazione deve dunque dirsi
inefficace ipso iure. Questa accettazione indica pur sempre la presenza di una volontà negoziale
dell’accettante, e perciò potrà valere come una nuova proposta. Il cd proponente, rinunciando al
requisito formale, diverrà accettante.

L’evasione dal formalismo (il rinvio, la crittografia, la mutilazione)


Per garantire certezza alla materia regolata dal contratto, ci si domanda fino a che punto siano
indispensabili i requisiti di certezza.
3 ipotesi si evasione dal formalismo:
CRITTOGRAFIA
Quando il dettato formale, per essere inteso, ha bisogno di chiavi, codici o integrazioni non contenute
nel testo. In questo caso si ritiene che, per adempiere il requisito formale, tali espedienti debbano
essere facilmente e sicuramente riconoscibili da un esperto.
RINVIO
Quando è lo stesso dettato formale che dichiara di recepire dati che gli sono estranei. Per valutare la
validità delle dichiarazioni di questo tipo (cd per relationem) occorre vedere qual è l’oggetto del
rinvio: le parti possono sicuramente rinviare se l’oggetto è un mero fatto (es indici di prezzo), purché
il rinvio non diventi un sotterfugio volto a trasformare la dichiarazione in un rompicapo enigmistico;
se invece l’oggetto del rinvio è un’altra dichiarazione, occorre che quest’altra dichiarazione sia dotata
di un livello di forma non inferiore a quello necessario per il negozio di cui si tratta.
MUTILAZIONE
Ci si domanda se le parti possano formalizzare solo una parte della dichiarazione contrattuale. La
risposta della giurisprudenza è negativa, infatti la convenzioni sulla cessione di un immobile dalla
quale non risulta formalmente la causa è dichiarata nulla (allo stesso modo è stato dichiarato nullo
un contratto preliminare di vendita in cui la scrittura non individuava il compratore).

CAPITOLO 2 – LA SCRITTURA PRIVATA


Gli elementi della scrittura privata
La scrittura privata è la dichiarazione redatta per iscritto e sottoscritta dal dichiarante. In caso di
riempimento abusivo si reagisce con la querela di falso.
La sottoscrizione è indispensabile, anche se il documento è interamente scritto di pugno della parte.
Un’eccezione viene fatta se la parte è cieca e l’atto è firmato dalla persona che egli ha richiesto
di assistenza o di partecipazione alla redazione dell’atto.
La sottoscrizione non può essere supplica dal crocesegno, né dall’impronta digitale.
Per sottoscrizione si intende l’insieme dei segni grafici che compongono l’appellativo del dichiarante.
I segni grafici devono essere decifrabili. Inoltre, vi è un’altra regola: purché sia possibile stabilire
l’identità del sottoscrittore, la leggibilità della firma non incide sull’esistenza della stessa. Se la firma
è illeggibile, il convenuto non ha l’onere di disconoscerla: attende che l’attore ne provi la provenienza.
E non c’è sottoscrizione se la corrispondenza fra il segno grafico e il valore semantico non risulta dalla
normale corrispondenza alfabetica (firma leggibile) o dall’uso praticato dal sottoscrittore.
La giurisprudenza ha ammesso la sufficienza di nome e cognome diverso da quello dello stato civile,
se, anche in relazione al testo, identificano il sottoscrittore. La sottoscrizione con nome altrui può
vincolare il sottoscrittore secondo i particolari principi che regolano la dichiarazione resa sotto falso
nome.
Il testo si esprimerà in segni semantici appropriati. La raffigurazione grafica degli oggetti sarà in
numerosi casi (es piante planimetriche) più efficace di una descrizione fatta per vocaboli, e sarà
elemento della dichiarazione alla pari con i vocaboli.

Gli equipollenti della sottoscrizione


Il requisito della scrittura privata non può essere supplico da fatti concludenti sostitutivi, per quanto
logicamente idonei a provare la volontà della parte. Il criterio si applica al comportamento delle parti
successivo alla conclusione dell’accordo.
Secondo la concezione dottrinale, quando la forma è prevista ad substantiam, devono essere formali
tanto la proposta quando l’accettazione: di fronte al vizio di forma, i soggetti vengono posti tutti nella
medesima posizione.
Ma la giurisprudenza ha creato un sistema composito diverso, ed ammette che far valere in giudizio
un documento equivale alla sua sottoscrizione.
Dottrina → Se davvero la produzione valesse come atto di consenso, come spiegare che esso
si perfezioni, spesso, anni o decenni dopo il giorno in cui il convenuto ha sottoscritto il testo
dell’accordo? La proposta contrattuale non dura anni. L’efficacia riconnessa all’invocazione del
documento in giudizio avrebbe un senso solo se sottintendesse la produzione che la proposta sia
stata sin dall’inizio (e cioè, tempestivamente) accettata.
Ma la giurisprudenza non riconosce all’invocazione un simile effetto ex tunc. Essa equipara
semplicemente la invocazione in giudizio alla sottoscrizione e alla recezione.

Ambito in cui opera il requisito della forma scritta, secondo l’art. 1350
L’imposizione della scrittura privata (o dell’atto pubblico) per la validità del contratto opera in virtù:

 Regole generali sul contratto


 Regole codicistiche speciali
 Leggi speciali
Si può dire che le norme suindicate assoggettano alla forma scritta ai fini della validità:
1) Una serie di atti, perché dispongono di diritti su cose mobili (artt. 1350 e 1503)

2) Una serie di atti, perché dispongono di diritti sulla nave (artt. 149 e 328 c.nav.) o
sull’aeromobile (art. 864 c.nav.)

3) Una serie di atti, perché dispongono intorno ad un diritto di ipoteca (artt. 2821 e 2882,
artt. 565 e 1027 c.nav)

4) Una serie di atti, perché involgono un patrimonio intero o una frazione di esso (artt.
1543 e 1978)

5) Altri atti, perché mirano alla costituzione di vincoli sociali (art. 2296 quanto alla
costituzione di società di persone, art. 2439 quanto alla sottoscrizione di nuove azioni)

6) Altri atti, perché provengono da pubbliche amministrazioni

7) Altri atti, per ragioni varie (art. 1350 n 10 in materia di vendite vitalizie o perpetue,
art. 2603 in materia di consorzi tra imprenditori)
Si nota che la scrittura è richiesta prevalentemente per l’oggetto (in un caso per le qualità oggettive
del contraente). Si nota anche che essa è prevalentemente richiesta in relazione al tipo di bene o di
diritto di cui si dispone.
Accanto alla forma scritta per dati contratti, abbiamo la forma scritta richiesta per determinati
impegni e per determinate clausole:

 Per la pattuizione di interessi in misura extralegale (art. 1284)


 Per il patto di prova (art. 2096 se si ritiene che la forma sia richiesta per la validità) o di termine,
nel contratto di lavoro c
 Per le clausole vessatorie (art. 1341)

Con l’art. 1350 il legislatore assoggetto alla forma scritta:

(nn. 1, 2, 3, 4)
- I contratti traslativi della proprietà immobiliare
- I contratti costitutivi, modificativi, traslativi del diritto di superficie, di enfiteusi, di usufrutto,
nonché del diritto del concedente
- I contratti costitutivi e modificativi dell’uso, dell’abitazione, della servitù prediale, i contratti
costitutivi di comunione di proprietà, enfiteusi, superficie, usufrutto
(n. 11)
- Le divisioni di proprietà o di altri diritti immobiliari
(nn. 5, 6)
- I contratti di affrancazione del fondo enfiteutico, nonché gli atti di rinunzia ai diritti menzionati
nei n precedenti
Ulteriormente, il legislatore assoggetta alla forma scritta le anticresi (contratto con il quale il debitore
o un terzo per lui si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il
creditore ne percepisca i frutti imputandoli agli interessi e poi al capitale dovuto), le locazioni
immobiliari ultranovennali, nonché i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il
godimento di beni immobili o di altri diritti reali per un tempo eccedente i 9 anni o per un tempo
indeterminato (nn. 7, 8, 9)
Lo stesso trattamento è riservato agli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie (n. 10)
Infine, una norma cerniera impone la forma a tutte le transazioni che hanno per oggetto controversie
relative ai rapporti giuridici fin qui menzionati (n. 12)

Art. 1350 cc – Atti che devono farsi per iscritto


Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;
2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni
immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell'enfiteuta;
3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti;
4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni
immobili e il diritto di abitazione;
5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti;
6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico;
7) i contratti di anticresi;
8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni;
9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni
immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo
indeterminato;
10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie, salve le disposizioni relative alle
rendite dello Stato;
11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari;
12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici
menzionati nei numeri precedenti;
13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge

Con l’art. 1351 si dispone che il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la
legge prescrive per il contratto definitivo

Art. 1351 cc – Contratto preliminare


Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il
contratto definitivo

Con il primo gruppo si regole (nn da 1 a 6, e n 11) il legislatore voleva riferirsi a tutti i contratti che
producono una vicenda di rapporto reale immobiliare.
Gli è sfuggita qualche omissione: es Le alienazioni di quote
Il codice precedente sanciva con chiarezza la natura mobiliare delle partecipazioni sociali industriali
o commerciali, e con ciò veniva ad escludere la necessità della forma scritta della cessione di quota
di società, nel cui patrimonio si trovassero beni immobili.
Il problema è semplice allorché si tratti di quote di società personificata: l’immobile appartiene alla
società; il diritto del socio non è diritto reale sull’immobile, e pertanto il suo trasferimento è sottratto
ad ogni applicazione della norma di cui all’art. 1350.
Il problema è invece difficile allorché si tratti di quota di società di persone: società di persone, società
in nome collettivo, società in accomandita semplice.
La lacuna è stata colmata mantenendo in piedi la soluzione propria del codice abrogato.

Forma scritta e negozi strumentali


L’art. 1351 impone al contratto preliminare la forma voluta dlala legge per il contratto definitivo. Gli
artt. 1392 e 1399 impongono alla procura la forma voluta dalla legge per il contratto che il gestore
deve concludere, o ha concluso.
Il mandato ad acquistare e alienare immobili, o a concludere altri atti per cui la forma scritta è imposta
ad substantiam, deve essere scritto sotto pena di nullità. Lo stesso vale per la fiducia.
Così come il mandato, anche la ratifica e la dichiarazione di nomina del terzo di cui all’art. 1403
vengono assoggettati alla forma scritta.
Concluso il preliminare con la debita forma, non è testualmente regolato a quale forma si debba
ricorrere per cedere il diritto di credito che esso ha generato → la giurisprudenza chiede l’atto
formale: ma, poiché in pratica la cessione del diritto avviene nel quadro di una cessione del contratto,
essa enunzia la regola secondo cui la cessione di un contratto, per il quale sia richiesta dalla legge una
certa forma a pena di nullità, deve essere compiuta nella medesima forma.
Secondo il Sacco, la giurisprudenza tende ad assoggettare alla forma tutti i contratti da cui deriva
l’obbligo di operare o il diritto di pretendere, una circolazione di diritti immobiliari, nonché tutti i
contratti da cui deriva a taluno il potere di operare una circolazione di diritti immobiliari.

La tendenza antiformalista, la risoluzione, l’atto ostativo


Quando due parti concludono un contratto scritto di vendita immobiliare, e, in relazione
all’inadempimento del compratore, seguito da inerzia del venditore, si dica che quest’ultimo ha
rinunziato per fatti concludenti alla risoluzione, la rinunzia diventa vera abdicazione ad diritto
potestativo al riacquisto (o alla retrocessione) della proprietà.
La soluzione è la stessa, quando la parte rinuncia all’avvenuta risoluzione di diritto di una contratto
traslativo d’immobile. In questo campo la giurisprudenza deformalizza la rinuncia in quanto distingue
l’ipotesi nelle quali i diritti reali immobiliari sono oggetto immediato di rinuncia dal caso generico in
cui la rinuncia ha per oggetto immediato il diritto essenzialmente personale di agire per la risoluzione
di una compravendita.
Sul terreno della forma dei negozi risolutori si sono fronteggiate due tendenze:

 L’una vede nell’atto risolutorio il fenomeno analogo e simmetrico rispetto all’atto della cui
risoluzione si tratta e perciò richiede per entrambi la medesima forma
 L’altra vede nell’atto risolutorio una figura nettamente caratterizzata rispetto al negozio
soggetto a risoluzione e perciò richiede la forma solo se e quando essa sia richiesta in relazione
all’effetto prodotto dall’atto.
Esempio. Se Tizio vende a Caio per scrittura privata un immobile, e poi Caio lo prega per telefono di
rifare la scrittura alienando a Sempronio, e Tizio accede all’invito, sarebbe difficile ammettere che
Caio, a distanza di tempo, possa agire contro Tizio per l’adempimento del contratto originario.
Bisogna assegnare a Tizio un’eccezione fondata sul consenso di Caio all’inadempimento.
È fondata la richiesta di una forma scritta per lo scioglimento di un’alienazione immobiliare. Eccezioni
potrebbero essere concesse al venditore allorché il compratore abbia accettato la sostituzione del
negozio in cui era parte con una vendita fatta a terzi, o quando le parti abbiano d’accordo distrutto i
documenti.
Pare si possa accogliere l’idea che la risoluzione del contratto di locazione ultranovennale, e del
contratto di società (con apporto di solo godimento) non abbisogna della forma, perché non crea
nessun diritto personale ultranovennale.

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