Sei sulla pagina 1di 15

CAPITOLO I

L'evoluzione storica della responsabilità precontrattuale

1. Dall'actio doli del periodo romano classico all'actio ex contractu

dell'età giustinianea

La prima opera che, storicamente, ha messo in luce le

problematiche relative alla possibilità di configurare una responsabilità

precontrattuale appartiene a Rudolf von Jhering1, il quale è giustamente

ritenuto il padre della moderna concezione di culpa in contrahendo.

Vi sono alcuni autori2, tuttavia, che ritengono più corretto

ricercare già nell'esperienza del diritto romano classico i primi albori di

un interesse su tale materia. Ciò sarebbe indice di un'origine assai antica

della ricerca volta a trovare un rimedio a favore di chi, nel corso delle

trattative che precedono la formazione di un contratto, sia rimasto

danneggiato dall'altrui comportamento.

1
Culpa in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection
gelangten Verträgen, in 4 Jhering J, 1861 trad. Culpa in contrahendo ovvero del
risarcimento del danno nei contratti nulli o non giunti a perfezione.
2
In particolare, BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, p. 2.

1
In particolare, già un passo di Cicerone3 sottolineava l'importanza

dell'actio doli come strumento utile per difendersi dai raggiri perpetrati

dolosamente nel corso delle trattative. La tutela realizzata attraverso

l'actio doli era, tuttavia, limitata in quanto era accordata solo in caso di

dolus in contrahendo e nelle ipotesi di negozi che davano luogo a iudicia

bonae fidei (il dolus e tali iudicia, infatti, erano palesemente

incompatibili). Si è anche pensato che, nei casi di stipulazione di

particolari negozi, fosse possibile esperire altri strumenti di protezione

sotto forma di actiones ex contractu4. La tutela realizzata in età classica

tramite questa sorta di "responsabilità in contrahendo"5 si estese ancor di

più quando, nell'età giustinianea, si iniziò a concedere l'actio ex

contractu anche in certe ipotesi di conclusione di un contratto nullo, ad

esempio nel caso di vendita di una res extra commercium6. La soluzione

prospettata dai compilatori era sicuramente contraddittoria, ed appare il

frutto di una interpolazione dei testi classici attraverso la sostituzione

automatica dell'actio doli con l'actio ex contractu. Il primo autore che

cercò di dare una spiegazione dell'esistenza di questa contraddizione fu il

3
De officiis, III, 14
4
Ad esempio, con l'actio empti l'emptor era tutelato dai vizi occulti della cosa venduta e
dalle ipotesi di evizione (D. 19, I, 30, I Afric. 8 quaest.).
5
Così la definisce MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 1989, p. 432.
6
D. 18,I,62,I; J.3,24,5 (in tema di vendita di "loca sacra vel religiosa").

2
tedesco Heldrich7. Egli giustificò la scelta di inquadrare la responsabilità

in contrahendo nell'ambito delle actiones ex contractu sulla base del

rispetto, da parte dei compilatori, di un principio cardine del diritto

romano classico, quello della tipicità delle azioni. In base a tale principio

un diritto esiste solo se esiste un'azione che lo tutela, e dunque ogni

diritto è sempre un posterius rispetto all'actio. Pertanto, i giuristi

bizantini in realtà non pensarono affatto all'ammissibilità di una

responsabilità in contrahendo fondata su di un contratto (ancorché

valido), ed anzi probabilmente la ricollegarono ad una sorta di "rapporto

di natura quasi contrattuale"8che legava le parti nel corso delle trattative.

Tuttavia, la volontà di rispettare il suddetto principio li portò ad

estendere alla responsabilità in contrahendo l'azione del contratto

corrispondente.

La tutela che il diritto romano, seppur in modo frammentario,

aveva offerto non fu approfondita dal diritto comune. L'intensificarsi dei

traffici e dei commerci, tuttavia, mise in luce l'esigenza di una maggiore

7
Das verschulden beim Vertragsabschluss im klassichen römischer Recht und in der
späteren Recht sentwicklung, Leipzig, 1924, p. 40.
8
In tal senso MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir.
comm., 1956, II, p. 367. L'autore, inoltre, analizza e giustifica un'altra contraddizione
presente nei testi giustinianei, laddove viene accordata l'actio commodati contraria contro il
comodante che non avverte il comodatario dei vizi della cosa da lui conosciuti. Anche in
questo caso si verifica un' inversione logica tra la responsabilità (che sembra essere un
effetto del contratto) e l'obbligo violato (che, invece, appartiene alla fase precontrattuale).

3
tutela delle parti nella fase elle trattative: fu merito di Jhering aver colto

la mutata esigenza dei tempi ed avere individuato la moderna concezione

di responsabilità precontrattuale.

4
2. La culpa in contrahendo nella teoria di Jhering

. Il saggio di Rudolf von Jhering viene considerato un elemento

fondamentale per la nascita di una concezione moderna della

responsabilità precontrattuale. Prima della sua pubblicazione (che risale

al 1861) vi erano stati degli studi su questa materia9 nei quali, tuttavia,

mancava uno svolgimento approfondito del tema e, soprattutto, una

visione unitaria dello stesso, poiché essi erano concentrati solo su ipotesi

particolari di errore e dolo.

Il punto di partenza dell'analisi jheringhiana è dato dallo studio del

diritto romano10, ed in particolare di alcuni passi del Digesto

giustinianeo11 che disciplinano l'ipotesi di alienazione di una res extra

commercium12. Una simile compravendita era, ovviamente, nulla.

Nonostante ciò i testi richiamati tutelavano l'acquirente in buona fede

attraverso il ricorso ad un'actio ex contractu (l'actio empti),

9
Ad esempio, il POTHIER nel Traité des obligations, I, Paris, 1805, p. 17, fa riferimento
all'equità per giustificare l'obbligo di risarcimento in caso di contratto viziato da errore,
affermando l'esistenza in tale situazione di una responsabilità di tipo aquiliano.
10
Per TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, p. 39 ed ivi
nota 87, Jhering si sarebbe rifatto, oltre che al diritto romano, al §284 (titolo V, parte I) del
codice prussiano, che ipotizzava l'esistenza della culpa in contrahendo attraverso
un'equiparazione tra la posizione del debitore che esegue il contratto e quella della parte nel
corso delle trattative.
11
D. 1, 62 §1 de contr. emt. (18.1) (Modestinus); § 5 J. de emt et vend.(3.23);
D. 1. 8 § 1 de relig. 11.7 (Ulpianus); 1. 8 (Javolenus).
12
In quanto "locus sacer vel religiosus vel publicus".

5
paradossalmente accordata per un contatto nullo. L'actio avrebbe fatto

conseguire all'emptor "quod interfuit ne deciperetur" locuzione che per

molti racchiude al suo interno il moderno significato di interesse

negativo. Dall'analisi di questi testi Jhering ha creduto di poter trarre una

regola generale utile per colmare un vuoto giuridico esistente ai suoi

tempi, e cioè l'assenza di un sistema normativo in grado di tutelare chi

ha, in buona fede, confidato nella validità di un contratto a causa del

comportamento colpevole altrui. Infatti, non potevano essere usati a tal

fine né l'actio legis aquiliae (che presupponeva una lesione alle persone

o alle cose) né l'actio doli (che non può prescindere dal comportamento

doloso altrui).

Pertanto, Jhering pensò di poter astrarre dai testi giustinianei l'idea

secondo la quale se taluno ha dato vita ad un contratto nullo per sua

colpa avrà l'obbligo di risarcire alla controparte il danno sopportato per

avere in buona fede confidato nella validità del contratto stesso. Questo

contratto, infatti, non produce soltanto un obbligo all'adempimento del

suo contenuto ma anche, se per qualsiasi motivo tale effetto non si potrà

produrre, l'obbligo al risarcimento del danno13. Il fondamento di tale

obbligo è racchiuso nel termine "Verchuldung" cioè colpa, e poiché

13
Dunque, secondo Jhering il termine "nullità" indica l'assenza dell'effetto "adempimento",
non di qualsiasi altro effetto.

6
questa colpa è presente prima della conclusione del contratto viene

definita "culpa in contrahendo".

La teoria di Jhering, per la sua portata assolutamente innovativa,

venne giustamente considerata una "scoperta giuridica"14. Tuttavia, di

recente numerosi autori ne hanno sottolineato i punti deboli. La prima

critica concerne l'impostazione stessa dell'opera del giurista tedesco, che

è limitata all'osservazione delle ipotesi di conclusione di un contratto

invalido e non sembra guardare all'ipotesi (altrettanto importante) di

rottura delle trattative15. Ma in realtà, dall'analisi del saggio di Jhering si

evince che la conclusione di un contratto nullo non è l'unico caso di

applicazione della culpa in contrahendo, in quanto essa è prospettata, tra

l'altro, anche nel caso di revoca della promessa al pubblico dopo che è

già iniziata l'attività necessaria per ottenere la ricompensa. Ciò

rappresenterebbe, a detta di alcuni autori16, la prima (forse inconscia)

formulazione del principio del divieto di rottura ingiustificata delle

trattative contrattuali. In particolare, si potrebbe parlare di rottura "in

14
DÖLLE, Juristiche Entdeckungen, Tübingen, 1958, p. 7.
15
Critici, in tal senso, BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 6 e ss., e PIOTET,
Culpa in contrahendo, Berne, 1963, p. 13 e ss. In particolare, Benatti sottolinea l'assurdità
del rimedio prospettato (l'actio empti), non essendovi alcun contratto valido cui far
riferimento, e l'incongruenza dell'applicazione del concetto di "culpa" anche ai casi in cui di
colpa non è possibile parlare (Jhering, infatti, affermò la colpa del venditore anche se
inconsapevole della non alienabilità del bene).
16
LOI - TESSITORE, Buona fede e responsabilità precontrattuale, Milano, 1975, p. 3.

7
senso lato" delle trattative17, che ricorrerebbe solo in caso di trattativa

che ha raggiunto uno stadio particolarmente avanzato, in quanto si è già

formalizzata in una proposta.

Appare, del resto, più importante non tanto sottolineare le

incongruenze dell'opera di Jhering, quanto valutarne i limiti, derivanti

per lo più dal particolare quadro di riferimento socio- economico e

normativo in cui essa si inserisce18: solo "storicizzando" il saggio ed

inserendolo nel contesto sociale della coscienza giuridica dell'Europa

dell'Ottocento si può comprendere il perché dell'ottica individualistica

che lo permea e che mira a ridurre il più possibile l'intervento delle

norme giuridiche per limitare e regolare la libertà contrattuale delle parti.

Tuttavia, al di là dei limiti intrinseci l'opera jheringhiana presenta un

merito indiscutibile, specificatamente legato alla sua grande diffusione

ed all'influenza che esercitò presso i giuristi del tempo. Proprio lo studio

e l'analisi delle problematiche che essa affrontava spinsero la dottrina e

la giurisprudenza, negli anni seguenti, a cercare di introdurre la nozione

di culpa in contrahendo negli ordinamenti positivi. E lungo la stessa

linea nasceranno le prime codificazioni che tuteleranno i contraenti

anche nella fase antecedente alla conclusione del contratto.

17
TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cit., p. 56.
18
TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cit., p. 40 ed ivi nota 93.

8
3. Il codice civile del 1865 e la tutela ex art. 1151

Il primo codice civile italiano risale all'anno 1865, ed è quindi di

pochi decenni posteriore al saggio di Jhering.

Forse fu proprio la brevità di anni che separavano tale opera dalla

codificazione italiana a causare, nel codice stesso, la mancata recezione

di un principio generale di culpa in contrahendo19. In particolare il

legislatore del codice civile italiano appare influenzato, più che dal

modello tedesco proposto da Jhering, da quello francese espresso nella

codificazione del Code Napoleon. In esso, infatti, come nel codice

italiano del 1865, non esiste alcun articolo specificatamente riferito alla

culpa in contrahendo. Il giurista francese considera le possibilità di

lesioni causate nella fase delle trattative (période extracontractuelle)

come singole fattispecie di illecito extracontrattuale, e quindi tutelabili

con riferimento alla responsabilità aquiliana (art. 1382 Code Napoleon).

Il codice civile del 1865, dunque, al pari del francese, non

definisce con una norma generale la culpa in contrahendo.

19
Per alcuni autori quali RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano,
1939, p. 442 e ss., si può in realtà parlare di singole ipotesi di culpa in contrahendo con
riferimento, ad esempio, all'art. 1459 c.c. abr. (in tema di vendita di cose altrui).
Per Cass., 5 maggio 1955, n. 1259, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 366., un altro esempio di
applicazione implicita della culpa in contrahendo era dato dall'art. 1407 c.c. abr., in
relazione al comportamento del marito che avesse taciuto il carattere dotale dei beni che
alienava.

9
La dottrina del tempo apparve, del resto, poco interessata alla

materia e proseguì lungo una duplice direttrice: da un lato affermava

come principio generale a tutta la materia contrattualistica quello della

non vincolatività delle trattative20, dall'altro solo per singole ipotesi di

rottura delle trattative, considerava applicabile il precetto del neminem

laedere che stava a fondamento dell'art. 115121.

Non mancò, tuttavia, chi sottolineò l'insufficienza di questo

sistema di tutela, soprattutto allorquando fosse impossibile approntare

una tutela ex art. 1151 a causa dell'assenza della violazione di un dovere

assoluto22.

20
Così CARRARA, La formazione del contratto, Milano, 1915, p. 12. Del resto, questo
principio rispecchiava il quadro socio-economico dell'epoca votato all'individualismo e
giuridicamente legato al principio della "mistica della volontà". In tale ottica, era giusto
considerare il recesso come "il prezzo che una parte paga per la probabilità, che dalle
trattative stesse si è procacciata, di arrivare eventualmente a concludere un contratto
vantaggioso": così PACCHIONI, Dei contratti in generale, II, Padova, 1939, p. 116.
21
Tale articolo rappresenta il precedente storico dell'attuale art. 2043 del cod. '42, stabilendo
che "ogni fatto dell'uomo che reca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è
avvenuto, a risarcire il danno".
Alcuni autori, tuttavia, proposero un sistema di tutela alternativo. Particolare era, ad
esempio, lo schema di responsabilità previsto da un autore quale POLACCO, Le obbligazioni
del diritto civile italiano, Padova, 1898, p. 303 e ss., che proporrà una tutela di natura
contrattuale in caso di rottura delle trattative e di conclusione di un contratto invalido perché
annullabile, e di natura extracontrattuale in caso di conclusione di un contratto nullo.
Altrettanto originale fu la posizione del DUSI, Istituzioni di diritto civile, I, Torino, 1930, p.
138 e ss., che considerò tale responsabilità di natura intermedia tra la contrattuale e la
extracontrattuale.
22
In tal senso PACIFICI-MAZZONI, Istituzioni di diritto civile italiano, IV, Firenze, 1908, p.
457 e ss., che inoltre considerarono possibile fondare l'esistenza di una responsabilità per

10
Non mancò anche chi, discostandosi nettamente dalla dottrina

allora dominante, affermò l'esistenza di una vera e propria responsabilità

da recesso. A tal proposito ricordiamo il pensiero di Chironi23 che

affermò l'esistenza di un obbligo per le parti di procedere alle trattative

seriamente e "in buona fede". Il fondamento di tale obbligo era ravvisato

nell'art. 1124 c.c. abr. riguardante la responsabilità nella fase di

esecuzione del contratto: attraverso un'interpretazione estensiva di tale

norma l'autore considerava presente tale forma di responsabilità anche

nel caso delle trattative e della formazione del contratto.

L'ambivalenza delle concezioni riguardanti in questo periodo le

trattative è ben rappresentata, del resto, dal Barassi24 il quale da un lato

riafferma il noto principio dell'assoluta libertà delle trattative, ma

dall'altro nota come sia la stessa necessità di garantire la convivenza

sociale a giustificare l'esigenza di configurare dei doveri di correttezza

cui le parti devono conformarsi nel momento in cui si accingono a

stringere delle relazioni di affari.

rottura delle trattative su di una norma, l'art. 36, III comma del codice di commercio (che
disciplinava l'obbligo al risarcimento del danno nell'ipotesi di revoca della proposta o
dell'accettazione che seguiva l'inizio dell'esecuzione del contratto da parte dell'altro
contraente) applicando tale norma anche in materia civile.
Vedi anche COVIELLO, Della cosiddetta culpa in contrahendo, in Il Filangeri, 1900, p. 721 e
ss., che, inoltre, ribadisce l'assoluta libertà nello svolgimento delle trattative.
23
La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, Torino, 1897, p. 13 e ss.
24
Istituzioni di diritto civile, Milano, 1921, p. 142.

11
Particolarmente significativa appare, poi, la tesi del Faggella25 il

quale non pose a fondamento di tale responsabilità da recesso né la culpa

in contrahendo né un qualsiasi vincolo contrattuale, bensì la necessità di

affrontare delle spese nel corso dei lavori preparatori e la conseguente

distruzione, a seguito della revoca, del valore patrimoniale rappresentato

da tali spese e dalle opere sostenute.

Nonostante tale tesi innovativa avesse avuto un certo seguito

presso la giurisprudenza più attenta26 e perfino presso alcuni autori

stranieri27, la dottrina italiana28 quasi nella sua totalità la rifiutò,

ribadendo il principio della non vincolatività delle trattative

precontrattuali. Fu quindi merito essenzialmente della giurisprudenza

25
Tale tesi è contenuta nelle opere Dei periodi contrattuali e della loro vera ed esatta
costruzione scientifica, in Studi giuridici in onore di C. Fadda nel XXV anno del suo
insegnamento, III, 1906, p. 269 e Il fondamento giuridico della responsabilità in tema di
trattative contrattuali, in Arch. Giur., 1909, p. 128.
26
Tra gli altri, a favore delle tesi del Faggella si espressero il Trib. di Napoli, 31 marzo 1909
in Dir. comm., 1910, I, p. 48 e ss., e Cass., in Riv. dir. comm. 6 febbraio 1925. In particolare
in Cass., 10 luglio 1936, n. 2441 in Foro it., 1936, I, p. 1260 si afferma il principio che "(...)
nelle fasi preparatorie le parti debbono comportarsi con l'ordinaria diligenza", e in Cass., 23
giugno 1941 che "(...) i principi di buona fede debbono presiedere alla stipulazione degli
accordi."
27
In particolare, gli autori francesi: ad esempio SALEILLES, De la responsabilité
précontractuelle. A propos d'une étude nouvelle sur la matiére, in Rev. Trim. Droit Civil,
1907, p. 697.
28
CARRARA, La formazione del contratto, cit., p. 12 e ss.; COVIELLO, La formazione del
contratto, cit., p. 727; NATTINI, Cenni critici sulla così detta responsabilità
precontrattuale, in Dir. comm., 1910, II, p. 235 e ss.

12
aver considerato ammissibile, negli anni che precedettero l'avvento del

codice del '42, una responsabilità da rottura delle trattative, anticipando

così quella tutela che troverà pieno riscontro normativo nell'art. 1337 del

nuovo codice.

13
4. Il codice civile del 1942 e gli articoli 1337 - 1338

L'indirizzo giurisprudenziale e (solo in piccola parte) dottrinario

favorevole alla configurabilità di una responsabilità legata alla rottura

ingiustificata delle trattative trovò puntuale conferma nel nuovo codice

civile italiano del 1942, il cui articolo 1337 recita così:

"Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del

contratto, devono comportarsi secondo buona fede".

Il legislatore italiano ha, dunque, risolto con un'unica disposizione

due ordini di problematiche:

- ha introdotto una figura generale (la cui esistenza era messa

in dubbio) di culpa in contrahendo29;

- ha reso certa l'esistenza (spesso negata, nella vigenza del

codice del 1865) di una responsabilità da recesso, estendendone

l'applicazione aldilà dell'ipotesi di conclusione di un contratto

invalido.

La dottrina dominante, infatti, in ossequio alla tesi di Jhering30,

affermava la stretta correlazione tra l'esistenza di una culpa in

29
Tale figura è stata introdotta con l'uso di uno strumento moderno qual è la buona fede
intesa come clausola generale.
30
Che, ricordiamo, aveva incentrato il suo studio sull'ipotesi di conclusione di un contratto di
vendita di una cosa inalienabile e quindi nullo.

14
contrahendo e la formazione di un contratto invalido, negandola nel caso

in cui non si pervenisse ad alcun accordo.

Tuttavia, l'introduzione di un simile principio e, soprattutto,

l'astrattezza della sua formulazione, hanno comportato fin dalla sua

codificazione una serie di critiche al suo contenuto.

Non è mancato chi, ancorato alla tesi ormai superata della "mistica

della volontà"31, rifiutava ancora qualsiasi limitazione alla libertà di

recedere dalle trattative, considerando addirittura la norma in esame

incompatibile con le esigenze della vita commerciale32 e paventando un

eccessivo ampliamento dell'ambito di applicazione della responsabilità

precontrattuale.

V'è chi33, invece, ha considerato superflua e ripetitiva la norma: la

tutela approntata dall'art. 2043 ed il rispetto del principio ivi sancito del

neminem laedere sarebbero stati più che sufficienti.

Altra critica era determinata dal non avere il legislatore definito

espressamente la natura (contrattuale o extracontrattuale) della

responsabilità precontrattuale, dando così origine ad una problematica

tuttora esistente sia in dottrina che in giurisprudenza34.

31
Che, come ha detto BESSONE, Rapporto precontrattuale e doveri di correttezza, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1972, II, p. 971, rappresenta una vera e propria "opzione ideologica".
32
Così VERGA, Errore e responsabilità nei contratti, Padova, 1941, p. 97 ed ivi nota 2.
33
PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, p. 204.
34
Vedi, sull'argomento, quanto successivamente esposto nel cap. 5.

15

Potrebbero piacerti anche