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universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Editore: Wolters Kluwer Italia Srl - Centro Direzionale Milanofiori - Strada 1, Pal. F6
20090 Assago (MI)
N. 3 ANNO XXXIX
MAGGIO-GIUGNO 2016
LE NUOVE
LEGGI CIVILI
COMMENTATE
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LE NUOVE
LEGGI CIVILI
COMMENTATE
ANNO XXXIX 2016
RIVISTA BIMESTRALE
a cura di
Direzione
Giampiero BALENA Ord. dell’Università di Bari
Mario CAMPOBASSO Ord. della Seconda Univ. di Napoli
Marco CIAN Ord. dell’Università di Padova
Giovanni DE CRISTOFARO Ord. dell’Università di Ferrara
Marco DE CRISTOFARO Ord. dell’Università di Padova
Francesco DELFINI Ord. dell’Università di Milano
Gianluca GUERRIERI Ord. dell’Università di Bologna
Marisa MELI Ord. dell’Università di Catania
Sergio MENCHINI Ord. dell’Università di Pisa
Enrico MINERVINI Ord. della Seconda Univ. di Napoli
Stefano PAGLIANTINI Ord. dell’Università di Siena
Davide SARTI Ord. dell’Università di Ferrara
Redazione
Arianna Finessi (Redattore capo)
Sara Bellettato, Marcello Farneti, Cristiana Fioravanti,
Francesco Oliviero, Silvia Schiavo, Omar Vanin
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INDICE-SOMMARIO
LE NUOVE LEGGI
Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della
famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 367
di TOMMASO AULETTA
SAGGI E APPROFONDIMENTI
PROVVEDIMENTI IN FORMAZIONE
NLCC 3/2016
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LE NUOVE LEGGI
NLCC 3/2016
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senza famiglia?» (1) nel quale, egli perviene a conclusioni negative sia
sulla legittimità sia sull’opportunità di un’opzione siffatta nonché sulla
correttezza di una ricostruzione in chiave familiare delle unioni di fat-
to (2). Questa opinione è condivisa da una nutrita (ma per lo più risalente
nel tempo) corrente di pensiero, secondo la quale l’art. 29 Cost. costi-
tuirebbe ostacolo insormontabile al riconoscimento di altri modelli fami-
liari rispetto all’unione coniugale; la soluzione contraria, si aggiunge, non
potrebbe peraltro fondarsi sul dettato dell’art. 2 Cost. perché la forma-
zione sociale familiare, tutelata dall’ordinamento, sarebbe solo quella
delineata specificamente dall’art. 29 Cost. (3). Proprio per questa ragione
sarebbe precluso sia all’interprete sia al legislatore adottare soluzioni o
iniziative tendenti ad assimilare, nella sostanza, alla famiglia legittima
altre forme di unioni affettive. Contraria al dettato costituzionale sarebbe
anche l’introduzione di singole norme che le tutelino allo stesso modo,
quando l’appartenenza alla famiglia costituisce un titolo di preferenza (4),
(si pensi ai diritti successori). Alla luce di questa lettura della Carta
appare dunque opportuno interrogarsi sulla legittimità della riforma in
esame la quale, come si vedrà, assicura alle unioni civili una tutela ana-
loga a quella prevista per l’unione coniugale, pur differente in alcuni
aspetti non fondamentali.
Altro motivo rilevante per esprimere un giudizio critico sull’operato
del legislatore (con riferimento alla disciplina introdotta per le convivenze)
potrebbe essere costituito anche dall’esigenza, da molti interpreti messa in
luce, di salvaguardare l’autonomia dei suoi componenti, riconoscendo loro
la libertà di affidarne gli effetti a scelte compiute in autonomia mediante il
c.d. contratto di convivenza.
Sotto il profilo dell’opportunità, si rileva che una regolamentazione
organica delle unioni non matrimoniali potrebbe aggravare la crisi della
famiglia già in atto, portando alla sua disgregazione fino a sancirne la
morte (5).
(1) Relazione al Convegno svoltosi presso l’Università di Roma Tor Vergata nel dicem-
bre 1987 sul tema Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 9 ss. e in Riv.
dir. civ, 1988, I, p. 19 ss. (scritto al quale si riferiscono le cit. successive).
(2) Alla confutazione della ricostruzione in chiave familiare delle unioni non fondate sul
matrimonio è in larga parte dedicato altro saggio dal titolo, Natura legge famiglia, in Riv. dir.
civ., 1977, I, p. 1 ss.
(3) In tal senso anche, fra gli scritti di A. TRABUCCHI, Pas par cette voie s’il vous plait!, in
Riv. dir. civ., 1981, p. 329 ss. Per l’indicazione di altri autori appartenenti a questa linea di
pensiero v. le cit. alla nt. 100.
(4) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 32.
(5) A. TRABUCCHI, Pas par cette voie s’il vous plait!, cit., p. 358. Ma in senso del tutto
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opposto F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 10 s., ritiene che
una regolamentazione della famiglia di fatto non peggiorerebbe la situazione attuale della
famiglia legittima. Altra è la ragione prospettata da E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile,
Torino, 1998, p. 37 per negare l’opportunità di un intervento normativo, il quale ritiene che
la regolamentazione per lo più da molti auspicata in funzione della tutela del partner più
debole, potrebbe ritorcersi contro di lui “incoraggiando la parte più forte ad imporre la
continuazione del rapporto al di fuori del vincolo matrimoniale, anche quando il matrimo-
nio sarebbe appunto possibile”.
(6) L’esigenza di rispettare la volontà dei conviventi è l’argomento invocato per lo più
per escludere un intervento della legge lasciando all’autonomia privata il compito di disci-
plinare la convivenza: v., ad es., E. QUADRI, op. cit., p. 40 ss.
(7) Tale assunto non è posto in discussione da A. TRABUCCHI, op. ult. cit., pp. 339 e 343
il quale osserva che in caso contrario sarebbe come imporre le conseguenze del matrimonio
a chi non l’ha voluto.
(8) Al significato e alle conseguenze degli impegni assunti dai coniugi con il matrimonio
e alle ripercussioni sulla libertà personale sono dedicate da A. TRABUCCHI numerose pagine
nel saggio Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 28 ss.
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(9) A. TRABUCCHI, Natura legge famiglia, cit., p. 6: almeno se alla stessa si vuole
attribuire valore e significato giuridico; cioè riscontrarvi caratteristiche ed effetti propri della
famiglia legittima. L’osservazione è ribadita in ID., Pas par cette voie s’il vous plait!, cit.,
p. 354.
(10) Del 15 aprile 2010, in Fam. e dir., 2010, p. 653 ss., con nota di M. GATTUSO.
(11) Tale posizione può essere ben riassunta dalle parole di N. LIPARI, Il futuro del
diritto, le relazioni personali e i diritti delle coppie omosessuali, in Foro it., 2015, V, p. 19 ss. il
quale rileva che “anche gli enunciati della Costituzione vanno letti in funzione dell’evolu-
zione del contesto storico”. Per ulteriori indicazioni v. le cit. alla nt. 103.
(12) V. SCALISI, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità dell’Italia a oggi, in Riv.
dir. civ., 2013, I, pp. 1043 ss. e 1287 ss. (in part.) p. 1049.
(13) V. in tal senso, ad es., A.M. SANDULLI, Commento all’art. 29 cost., in Comm. Cian-
Oppo-Trabucchi, Padova, 1992, p. 7 ss.; A. SCALISI, La famiglia nella cultura del nostro
tempo, in Dir. e fam., 2002, p. 700 ss.
(14) «Con il diritto, di conseguenza, non più dominante dall’alto, ma (...) chiamato a
porsi in modalità recettiva e servente, procedente dal basso»: V. SCALISI, op. cit., p. 1050.
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(15) A.M. SANDULLI, op. cit., p. 11 ss.; V. SCALISI, op. cit., p. 1052; BONILINI, Manuale di
diritto di famiglia, Torino, 2014, p. 1 ss. il quale osserva che «il costume vivamente intessuto
di motivazioni religiose, permane nel senso di rintracciare la regolarità della famiglia nel-
l’aggregazione di chi abbia posto, a sua base, il matrimonio». E tuttavia tale modello non è
più considerato esclusivo dalla coscienza sociale (p. 4).
(16) Di diverso parere è G. CATTANEO (Agg. M. DOSSETTI), La famiglia e i rapporti
familiari nella costituzione, nel codice civile e nelle altre leggi ordinarie, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da Bonilini, Torino, 2016, I, p. 21 ss. il quale sottolinea non solo che alla
famiglia legittima viene riconosciuta dalla Cost. una protezione superiore a quella delle altre
formazioni sociali, ma anche che alle altre forme di unioni di fatto non può riconoscersi una
tutela equivalente. Riserve, però, possono esprimersi al riguardo almeno per le unioni
omosessuali.
(17) Quest’ultimo rilievo è di V. SCALISI, op. cit., p. 1317.
(18) Introdotta con la l. 20 maggio 2016, n. 76.
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ridico delle unioni di fatto, ivi comprese quelle composte da persone del
medesimo sesso.
In giurisprudenza è consolidato l’assunto, espresso dalla dottrina più
recente, secondo il quale anche la convivenza more uxorio è da annoverare
fra le formazioni sociali menzionate dall’art. 2 Cost. e la Corte costituzio-
nale, nella ricordata pronunzia del 2010, ha precisato che è tale “anche
l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello
stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una
condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e
doveri” (19). Perentoria sull’an, sul quomodo e sul quando di detto ricono-
scimento è stata la Corte, in una pronunzia del 2014, con riferimento alla
necessità di introdurre una tutela normativa dell’unione fra persone già
sposate, una delle quali abbia ottenuto il riconoscimento del mutamento di
sesso e rispetto alle quali il matrimonio si è sciolto per tale ragione (20). La
Corte aveva precisato infatti che “tal compito il legislatore è chiamato ad
assolvere con la massima sollecitudine”, introducendo “una forma alterna-
tiva (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il
passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione,
su tal piano, di assoluta indeterminatezza”.
La Corte di Strasburgo (21) aveva condannato ancor di recente l’Italia,
per violazione dell’art. 8 CEDU, a risarcire il danno subito da una coppia
di omosessuali per il mancato riconoscimento di una tutela sufficientemen-
te stabile della loro unione, come risulta quella fondata sull’attuale quadro
giurisprudenziale. Con la propria inerzia, affermava la Corte, “il Governo
italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato
all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno spe-
cifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle
loro unioni omosessuali”.
Ferma la configurazione delle unioni non fondate sul matrimonio
come formazioni sociali si pone allora il problema se la qualifica di famiglia
sia pertinenza esclusiva dell’unione matrimoniale o se possano considerarsi
famiglie anche unioni non matrimoniali (infra n. 6).
alle coppie sterili o infertili escludendo quelle che, pur non essendo tali,
sono portatrici di gravi malattie genetiche (24), della limitazione predefinita
degli embrioni da fecondare e del divieto di crioconservazione dei mede-
simi (25), del divieto di diagnosi preimpianto (26). Può dunque constatarsi,
a prescindere da qualsiasi giudizio, che in questo caso le scelte compiute
dalla maggioranza parlamentare conservatrice sono state sconfessate dalla
Corte (quantunque il suo operato sia stato da alcuni autori sottoposto a
critica).
In questo clima di contrasto si è svolta anche la discussione sul rico-
noscimento delle unioni non fondate sul matrimonio. Analoghe iniziative
parlamentari erano state peraltro intraprese in tutte le recenti legislature ivi
compresa quella corrente. Il d.d.l. Cirinnà nasce proprio dal tentativo di
giungere al coordinamento di tutte le proposte presentate al Senato, ca-
ratterizzate da contenuti significativamente difformi: talune, volte a disci-
plinare solo le unioni del medesimo sesso, altre anche le convivenze ete-
rosessuali; fra le prime si registravano iniziative volte ad equiparare il
trattamento riservato all’unione civile a quello derivante dal matrimonio,
altre ne operavano una rilevante diversificazione; alcune affidavano preva-
lentemente alla legge la disciplina, altre ad accordi fra i conviventi. Tenta-
tivo che solo in parte consente di comprendere le ragioni di alcune lacune
ed imprecisioni riscontrabili nel testo entrato in vigore (che si tenterà di
porre in luce).
Passando all’esame delle linee generali della riforma, occorre rilevare
innanzitutto che l’impianto si snoda seguendo due direttrici (27): la prima
contenente la disciplina sulle unioni di persone del medesimo sesso (c.d.
unioni civili) e la seconda relativa alle c.d. convivenze di fatto etero ed
omosessuali. Ampi spazi nella regolamentazione di queste ultime sono
lasciati agli accordi di convivenza, mentre i diritti riconosciuti, a prescin-
dere dall’accordo, sono alquanto contenuti; il quadro della tutela è invece
(24) 5 giugno 2015, n. 96, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 930 con commento di
G. FERRANDO.
(25) 8 maggio 2009, n. 151, in Fam. e dir., 2009, p. 761.
(26) V. Corte cost. 5 giugno 2015, n. 96, cit.; Corte cost. 11 novembre 2015, n. 229. Per
l’illegittimità del divieto si era in precedenza espressa la Corte Edu 28 agosto 2012, n.
54270/2010 Costa e Pavan v. Italia, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 66 con nota di
C. PARDINI.
(27) Nel d.d.l. approdato in aula al Senato questo dato risultava chiaramente anche dal
testo, il quale comprendeva un capo I dedicato alle unioni civili ed un capo II riguardante le
convivenze, partizione poi venuta meno con l’emendamento conclusivo che ha costituito il
testo definitivo oggetto di approvazione da parte del Senato e confermato dalla Camera dei
deputati senza modifiche.
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ben più ampio per le unioni fra persone del medesimo sesso (28), quan-
tunque nella versione definitiva del testo siano stati introdotti ulteriori
(discutibili) elementi di diversificazione rispetto alle unioni fondate sul
matrimonio in aggiunta a quelli già esistenti.
In particolare, occorre sottolineare che la prima formulazione conte-
neva una assimilazione anche dal punto di vista formale, delle unioni civili
alla coppia legittima, mediante ampio rinvio alle norme del codice sul
matrimonio, soluzione però che ha suscitato le critiche anche in una parte
della maggioranza parlamentare (per lo più di area cattolica minoritaria)
per il timore che si ingenerasse confusione fra il matrimonio e l’istituto
dell’unione registrata, intaccando cosı̀ la centralità del primo. Preoccupa-
zione verosimilmente eccessiva ove si fosse tenuto nel debito conto il
significato insito nella collocazione della legge al di fuori del codice civile
e dunque dell’impianto tradizionale della famiglia (29). Pur tuttavia, per
non ritardare il cammino del d.d.l., al testo approvato in seno alla Com-
missione giustizia erano stati apportati alcuni mutamenti di carattere for-
male prima che il testo definitivo fosse presentato per la discussione in aula
(d.d.l. 2081 bis). Tale intervento non è stato da alcuni (pochi in verità ma
decisivi per non garantire l’approvazione in tempi brevi del testo) consi-
derato abbastanza soddisfacente, onde si è preteso di procedere ad ulte-
riori modifiche volte a diversificare maggiormente la disciplina del matri-
monio da quella dell’unione civile. Il tentativo, come si dirà, è stato al-
quanto maldestro e peraltro non è riuscito a intaccare la sostanza della
tutela dell’unione. Ad es., nel determinare i doveri in seno alla coppia il
testo approvato non fa (più) rinvio all’art. 143 c.c. ma riproduce il conte-
nuto di alcuni doveri e non ne menziona altri (fedeltà e collaborazione),
che pur appaiono fondamentali per garantire una solida unione affettiva,
attenuando inoltre gli esiti della violazione di quelli contemplati. Analoga-
mente riguardo all’individuazione delle regole sul governo dell’unione è
stato abolito il rinvio all’art. 144 c.c., pur ripetendone il contenuto. La
disciplina dell’invalidità è stata del tutto riscritta, eliminando il mero rinvio
(28) Precedentemente alla riforma aveva espresso parere opposto D’ANGELI, Il feno-
meno delle convivenze omosessuali: quale tutela giuridica?, Padova, 2003, pp. 15 e 37 la quale
riteneva che le unioni eterosessuali di fatto dovessero comunque ricevere una tutela più
incisiva rispetto alle unioni del medesimo sesso.
(29) Per un commento al d.d.l. unificato nella prima formulazione, v. T. AULETTA,
Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma, in questa Rivista, 2015, p.
615 ss.; F. ROMEO e VENUTI, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del
d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, ivi, p.
971 ss.
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(40) Nello stesso senso, D’ANGELI, op. cit., p. 10 ss.; N. LIPARI, op. cit., p. 23.
(41) È da notare che con riferimento alla versione del testo approdata in aula (e
all’ultimo momento modificata) vi è chi (C. COPPOLA, La famiglia non fondata sul matrimo-
nio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, cit., p. 688) ha ipotizzato la
possibilità di applicare la disciplina della pubblicazione e delle opposizioni sulla base del
dettato dell’art. 3, comma 4˚, il quale stabiliva che “le disposizioni che si riferiscono al
matrimonio e le disposizioni concernenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equiva-
lenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché
negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti
dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” applicando tale riferimento all’ordinamento
dello stato civile. La tesi, a dire il vero già piuttosto ardita in quanto il testo del d.d.l. non
conteneva un rinvio alla sezione II, III e IV, capo III, titolo VI ma esclusivamente alla
sezione VI, appare comunque incompatibile con la versione finale nella quale detto rinvio è
volto “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento
degli obblighi derivanti dall’unione civile”, finalità che non riveste la disciplina della pub-
blicazione e dell’opposizione.
(42) La medesima soluzione si riscontra ad es., nel modello tedesco tendente ad evitare
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che l’unione possa costituirsi in condizioni in cui alla coppia di sesso diverso non sarebbe
consentito di contrarre matrimonio.
(43) Infatti nel testo finale emendato dal Governo non si fa rinvio all’art. 117 il quale
contempla questa causa. Peraltro fra gli impedimenti previsti dal comma 4˚ (al quale fa
rinvio il comma 5˚ nel determinare le cause di invalidità) non è menzionata la minore età alla
quale si fa riferimento nel comma 2˚.
(44) Il comma 6˚ menziona infatti ciascuna delle parti dell’unione civile, gli ascendenti
prossimi, il pubblico ministero e tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale;
fra questi ultimi va dunque ricompreso il tutore dell’interdetto al quale non si fa specifico
riferimento. Riguardo alle cause di invalidità non menzionate nel comma 4˚ la legittimazione
deve desumersi sulla base del rinvio fatto alle norme del codice (ad es., alle sole parti nel
caso di simulazione, al contraente incapace di intendere e di volere per il caso contemplato
dall’art. 120). Dubbi potrebbero sorgere per la legittimazione nel caso di minore età, che a
mio avviso è da determinarsi sulla base dell’art. 117, comma 2˚, c.c. e non va quindi
riconosciuta a qualsiasi interessato come risulta dal dettato del comma 6˚, art. 1, legge in
esame.
(45) Registro a cui faceva espresso richiamo la versione originaria del d.d.l. Cirinnà.
(46) Anche da questo punto di vista si ricalca il modello tedesco il quale non prevede
entrambi i doveri e neppure quello di convivenza, introdotto invece dal nostro legislatore.
Per una commento alla legge v. CARICATO, La legge tedesca sulle convivenze registrate, in
Familia, 2002, p. 501 ss.
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(47) Non si porrebbero infatti in questo caso le medesime problematiche che si pro-
filano per le unioni di fatto (v. par. 5) proprio perché è la legge stessa a legittimare la coppia
a determinare l’assetto globale del rapporto sia con riferimento ai profili patrimoniali sia a
quelli personali.
(48) In senso opposto si è regolato il legislatore tedesco il quale prevede (al § 11 della
Lebenspartnerchaft) che si costituisce il suddetto rapporto di affinità con i parenti dell’altro
membro dell’unione.
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ma dai rinvii fatti alla l. n. 898/70 ed alla l. n. 162/14 viene contemplato sia
il procedimento giudiziale sia quelli stragiudiziali, in presenza dei relativi
presupposti. Gli effetti personali e patrimoniali coincidono con quelli
derivanti dallo scioglimento del matrimonio. La violazione dei doveri pre-
visti dalla legge o concordati nella scelta dell’indirizzo di vita, ove incida su
un diritto fondamentale della persona, può configurare l’esistenza di un
illecito extracontrattuale, come ormai ammesso da una consolidata giuri-
sprudenza con riferimento all’unione coniugale.
L’impianto normativo descritto sembra complessivamente rispondere
a quanto richiesto, rispettivamente, dalla Corte costituzionale e dalla Corte
Edu. Esso infatti, come indicato dalla prima (52), riserva all’unione ricono-
scimento giuridico mediante disciplina di carattere generale con assunzio-
ne di imprecisati diritti e doveri; può supporsi allora che l’irrilevanza dei
doveri di fedeltà e collaborazione non risulti determinante a questo fine,
pur restando ferme tutte le perplessità innanzi manifestate. Obiettivo che
può essere legittimamente realizzato – secondo la Corte Edu – mediante
un istituto diverso dal matrimonio, essendo tale scelta demandata alla
discrezionalità dei singoli Stati, purché simile nei contenuti. Quest’ultimo
profilo è stato messo in luce dalla sentenza Schalk e Kopf contro Austria (53)
la quale ha ritenuto legittima la scelta dello Stato di riconoscere ai membri
di una unione registrata di persone del medesimo sesso la stesso tratta-
mento riservato ai coniugi riguardo alla maggior parte dei diritti (sociali e
previdenziali, successori, inerenti al lavoro, ecc.) ad esclusione della possi-
bilità di adottare (ivi compreso il figlio del partner) e di accedere alla PMA
e con diversità di regole riguardanti l’assunzione del cognome. Soluzione
non dissimile è quella che viene adottata dal nostro legislatore.
5. Le convivenze di fatto.
Come in precedenza accennato, nel testo in esame il legislatore ha
ritenuto opportuno introdurre anche una disciplina delle convivenze di
fatto, ampliandone la tutela rispetto a quella già prevista (a livello norma-
tivo e giurisprudenziale) con riferimento sia ai rapporti rispetto ai terzi sia
a quelli interni alla coppia (60), scelta che assume importanza (61) perché
introduce uno “statuto” delle convivenze, dotato di sufficiente organicità,
anche se prudente nei contenuti ed in parte meramente riassuntivo di
quanto già previsto da disposizioni sparse o da consolidati indirizzi giuri-
sprudenziali, e pertanto un riconoscimento legislativo delle stesse. La tu-
(59) Grande Camera 16 luglio 2014, n. 37359/2009, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I,
p. 1139, con nota di LORENZETTI e A. SCHUSTER.
(60) Per un quadro della situazione antecedente alla riforma, v. per tutti F. ROMEO,
Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non matrimoniali, cit., p.
3 ss.
(61) Alcuni anni or sono F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 7
sottolineava che un’eventuale regolamentazione normativa delle convivenze avrebbe com-
portato “un vero e proprio salto di qualità”.
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(62) E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 36 ss.; F. GAZZONI, op. cit., p.
143 ss.
(63) Si dichiara favorevole alla compenetrazione tra auto ed etero regolamentazione,
SPADAFORA, Contratti di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, p. 23 ss.;
di diverso avviso, F. GAZZONI, op. cit., p. 150 ss.; E. QUADRI, op. ult. cit., p. 41.
(64) Secondo BALESTRA, La famiglia di fatto, in Il nuovo diritto di famiglia, diretto da G.
Ferrando, Bologna, 2008, II, p. 1080 è però possibile costruire una disciplina sulla falsariga
della comunione legale.
(65) Da non trascurare sono anche i rischi di invalidità dell’accordo. V. in proposito M.
FRANZONI, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da Bonilini, cit., II, p. 1854.
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(66) C. COPPOLA, op. cit., p. 693 esclude la validità di una eventuale dichiarazione volta
alla costituzione di uno status di convivente perché in contrasto con l’inviolabilità della
libertà personale.
(67) Per lo più essa fa riferimento genericamente ad una convivenza stabile (ma non
sempre precisa i criteri sui quali si fonda tale giudizio) col sostanziale rispetto dei doveri
coniugali. Ma si è anche parlato di serenità ed inequivocità della convivenza stessa (Cass. 4
aprile 1998, n. 3503, in Fam. e dir., 1998, p. 334 con nota di DE PAOLA), una discrezionalità
che non contribuisce dunque a dare certezze come sarebbe opportuno.
(68) Osserva F. GAZZONI, op. cit., p. 14, che una difficoltà al riconoscimento giuridico
della famiglia di fatto consiste proprio nella mancanza di un atto formale che ne attesti
l’esistenza.
(69) E non, come sarebbe stato preferibile, ad un accertamento in concreto della
capacità.
(70) In precedenza, E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 32 aveva affermato
che l’unione è illecita se posta in essere in violazione di limiti legali.
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(71) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 28, dal
momento che l’unione è non solo extra legem ma contra legem. Esclude la tutelabilità della
convivenza nel caso in cui uno dei suoi membri sia separato anche SPADAFORA, op. cit., p.
65 ss.
(72) F. GAZZONI, op. cit., p. 83 ss.
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(73) La l. n. 91/99, art. 3, comma 2˚, stabilisce che al convivente, al pari del coniuge,
devono comunicarsi le notizie sulla natura e le circostanze del prelievo.
(74) Ai sensi dell’art. 23, comma 2˚, l. n. 917/99, almeno sin quando non maturino tutte
le condizioni necessarie per applicare la disciplina del silenzio-assenso prevista dalla mede-
sima.
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(75) Per un esame della problematica al riguardo si rinvia a BONILINI, Gli effetti del
matrimonio sul diritto di sepoltura, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, cit., I,
p. 797 ss.
(76) Art. 3, lett. b), n. 3, l. n. 130/01.
(77) E non posponendola ad essa, come suggerito da D’ANGELI, op. cit., p. 33 ss.
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(78) 7 aprile 1988, n. 404, in Giur. it., 1988, I, p. 1627 con nota di A. TRABUCCHI.
(79) Infatti Corte cost. 18 maggio 1989, n. 252, in Foro it., 1989, I, p. 2047 aveva
negato la possibilità di desumere, in via interpretativa, la sussistenza del diritto anche in
questa circostanza poiché la soluzione avrebbe comportato l’aggiunta di una ulteriore ipotesi
di successione nel contratto, non contemplata dalla legge.
(80) Non si comprende infatti la ragione per la quale in mancanza di un contratto di
convivenza l’altro partner potrebbe essere immediatamente messo alla porta.
(81) Su questa motivazione l’indirizzo ormai consolidato seguito dalla Cassazione ha
riconosciuto al convivente la tutela possessoria sia verso l’altro convivente sia verso i terzi.
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V., ad esempio, Cass. 15 settembre 2014, n. 19423; Cass. 2 gennaio 2014, n. 4, in Fam. e
dir., 2014, p. 664 con nota di D. RICCIO; Cass. 21 marzo 2013, n. 7214, ivi, 2013, p. 639.
Nella stesso senso è orientata la prevalente giurisprudenza di merito.
(82) È da rilevare che nella redazione finale il legislatore ha rimediato ad una evidente
discrasia tra testo e rubrica nella versione proposta in aula. Si tratta dell’art. 18 la cui rubrica
parlava di “morte di una delle parti del contratto di convivenza” cosı̀ potendo far ritenere
che il riconoscimento del diritto fosse subordinato alla stipula del contratto medesimo, con
soluzione immotivatamente riduttiva rispetto a quella consolidatasi in giurisprudenza.
(83) Il riferimento solo agli alimenti era contenuto nella versione originaria del testo poi
modificata al momento dell’unificazione dei diversi progetti presentati.
(84) Si rinvia anche in questo caso a T. AULETTA, Modelli familiari, disciplina applicabile
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e prospettive di riforma, cit., p. 627 nonché a F. ROMEO e VENUTI, Relazioni affettive non
matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili
e disciplina delle convivenze, cit., pp. 988 e 1002 ss. i quali avevano ipotizzato potersi
individuare per tale ragione l’introduzione del dovere di contribuzione nel contesto della
fisiologia del rapporto.
(85) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 34.
(86) Nel medesimo senso parte della dottrina tra i quali, ZATTI, Familia, familiae –
Declinazione di un’idea. II. Valori e figure della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002,
p. 346 (ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche); BALESTRA, L’evoluzione del diritto di
famiglia e le molteplici realtà affettive, in Tratt. Bessone, I, Torino, 2010, p. 16, ritiene
condivisibile, soprattutto quando ricorre la crisi dell’unione, l’intervento legislativo al fine
di dare attuazione al principio solidaristico. Ma in senso contrario, F. GAZZONI, op. cit., p. 43
ss. il quale rileva, tra l’altro, che “il profilo della responsabilità non può prevalere sul profilo
della libertà”.
(87) Cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, 1, La famiglia, Milano, 2014, p. 505 ed
ivi ulteriori indicazioni bibliografiche.
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(88) Ex multis, v., F. GAZZONI, op. cit., p. 164; SPADAFORA, op. cit., p. 88 ss.; M.
FRANZONI, op. cit., p. 1852; BALESTRA, La famiglia di fatto, cit., p. 1079; OBERTO, Convivenza
(contratti di), in Contr. e impr., 1991, p. 373 ss.; C. COPPOLA, op. cit., p. 691.
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ritto fondamentale della persona (89). Gli effetti conseguenti alla viola-
zione appaiono pertanto assai circoscritti (90).
Con riferimento al contenuto di tali contratti, la legge indica, in via
esemplificativa, la regolamentazione della contribuzione (ambito (91), enti-
tà e modalità (92)) e l’adozione delle comunione legale; ma in realtà l’ac-
cordo può riguardare anche altri profili, nel rispetto dei diritti indisponi-
bili (93) e dei principi inderogabili dell’ordinamento (94), come ad esempio,
l’attribuzione della casa familiare o di altri beni anche in funzione premiale
nonché il riconoscimento di diritti conseguenti allo scioglimento dell’unio-
ne (assegno di mantenimento, attribuzione della casa familiare, trasferi-
mento di beni per compensare il particolare contributo, fornito da un
convivente a vantaggio dell’altro) (95). La disciplina vigente relativa al pa-
trimonio di destinazione avrebbe giustificato di includere tra i possibili
contenuti del contratto la costituzione di un fondo patrimoniale a benefi-
cio della famiglia di fatto, a patto di determinarne la composizione ed i
bisogni da soddisfare (96), facoltà che sembra però da escludere in man-
canza di una specifica previsione.
(89) DELLE MONACHE, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alla soglia
della regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, p. 948 ss.
(90) Peraltro di ciò è consapevole lo stesso Autore.
(91) In questo contesto, ad esempio, un convivente potrebbe assumere l’obbligazione
di concorrere al mantenimento dei figli dell’altro.
(92) Stabilendo al riguardo i mezzi su cui l’unione potrà contare per il soddisfacimento
delle sue esigenze. Viene quindi rimosso ogni eventuale dubbio di validità di un contratto
volto a costituire un’obbligazione civile. Ma già prima dell’introduzione della legge l’opi-
nione prevalente ne aveva sostenuto l’ammissibilità, sul presupposto che l’obbligazione trova
fondamento in un contratto atipico con causa propria. V. per tutti M. FRANZONI, op. cit.,
1855 ss.; SPADAFORA, op. cit., p. 111 ss.
(93) Indisponibilità che costituisce connotazione indiscussa, ad esempio, del diritto agli
alimenti.
(94) Il divieto di patti successori costituisce ad esempio, impedimento alla rinuncia del
diritto all’abitazione innanzi considerato.
(95) Riguardo ai contenuti ed alla diversa finalità alla quale tali patti possono tendere, v.
DELLE MONACHE, op. cit., p. 944 ss.; SPADAFORA, op. cit., p. 199 ss. È da rilevare che,
differenziandosi dalla dottrina dominante, questo A. esclude la validità dei patti volti a
regolare lo scioglimento dell’unione perché comporterebbero una sorta di ultrattività del
dovere di assistenza non compatibile con la cessazione del rapporto. Tale opinione solleva
non pochi dubbi anche in considerazione del fatto che prevedere meccanismi di tutela
nell’eventualità dello scioglimento dell’unione serve proprio a rendere possibili e rafforzare
le scelte riguardanti la vita di coppia. È normale, ad esempio, che l’accettazione di un
convivente di accollarsi in misura maggiore o esclusiva i compiti domestici passi attraverso
garanzie adeguate riguardo al futuro.
(96) Sulle problematiche che deriverebbero da una costituzione siffatta v. T. AULETTA,
Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., II, p.
1686 ss.
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6. Convivenze e famiglia.
È possibile a questo punto affrontare il problema, posto all’inizio di
queste pagine, se le unioni non fondate sul matrimonio possano conside-
rarsi nuove forme familiari. L’interrogativo non è di secondaria importanza
sia nella prospettiva di una individuazione dei valori su cui si fonda l’or-
dinamento e della ricostruzione sistematica dell’istituzione familiare sia in
vista dell’applicazione a queste unioni delle norme relative alla stessa. Si
pensi, ad esempio al riferimento contenuto nell’art. 31 Cost. circa l’ado-
zione di misure economiche ed altre provvidenze volte ad agevolarne la
formazione, all’art. 36 Cost. il quale richiede che la retribuzione sia suffi-
ciente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa,
all’art. 37 Cost. che impone di assicurare alla donna condizioni di lavoro
tali da consentire l’adempimento della funzione familiare che le è propria.
Secondo l’interpretazione tradizionale i limiti posti dall’art. 29 Cost.
sarebbero tali da doversi escludere la possibilità di considerare famiglie le
unioni non matrimoniali (100) le quali andrebbero tutt’al più considerate
(100) Cfr. per tutti A. RUGGERI, «Strane» idee sulla famiglia, loro ascendenze teoriche e
implicazioni di ordine istituzionale, in La famiglia davanti ai suoi giudici, Atti del Convegno
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unioni parafamiliari (101), non assimilabili alla prima, alle quali eventual-
mente estenderne la tutela in ipotesi particolari. L’espressione “società
naturale” non legittimerebbe infatti la ricostruzione dell’istituto in chiave
evolutiva ma starebbe ad indicare che la famiglia preesiste allo Stato, il
quale deve limitarsi a riconoscerla e rispettarne l’autonomia (102) per ga-
rantire adeguato sviluppo alla persona. Di qui la conclusione che per
introdurre nuove forme di unioni familiari occorrerebbe procedere alla
revisione dell’art. 29.
Alla conclusione opposta perviene invece la dottrina più recente (103)
in virtù delle argomentazioni già ricordate. In questo senso sembrerebbe
invero orientata anche la Corte costituzionale la quale, nella sent. n. 138/
2010 afferma che il concetto di famiglia deve interpretarsi tenendo conto
“non solo delle trasformazioni dell’ordinamento ma anche dell’evoluzione
della società e dei costumi”.
Ancor più significativa è la posizione assunta dalla Corte Edu la quale,
ormai da molti anni, ha sottolineato che il diritto alla vita familiare, enun-
ciato dall’art. 8 CEDU, è riconosciuto non solo alle famiglie fondate sul
matrimonio ma anche alle coppie di fatto (104), ivi comprese le unioni
omosessuali (105).
La Corte di cassazione e la giurisprudenza di merito, inoltre, utilizzano
ormai comunemente l’espressione “famiglia di fatto” con riferimento alle
convivenze dotate di stabilità; emblematico al riguardo è, ad esempio, un
passo di una recente sentenza della Corte (106) nella quale si afferma che
dell’Associazione Gruppo di Pisa, Catania 7-8 giugno 2013, Napoli, 2014, p. 331 ss.;
BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 520 ss.; G. GIA-
COBBE, Famiglia, molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., p. 1219 ss.
(101) BUSNELLI, Ibidem ed anche F. GAZZONI, op. cit., passim.
(102) Con riferimento a questo aspetto v. A.M. SANDULLI, op. cit., p. 7 ss.
(103) Cfr. Per tutti, F. GAZZONI, op. cit., p. 148 il quale osserva che “l’assunzione dello
schema da socialmente a giuridicamente tipico non incontrerebbe quindi alcun ostacolo in
chiave di costituzionalità (...) (ma) in chiave di opportunità”; V. SCALISI, La «famiglia» e «le
famiglie», in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Atti del Convegno di Verona
14-15 giugno 1985, Padova, 1986, p. 270 ss.; ZATTI, Familia familiae – Declinazione di
un’idea, I. La privatizzazione della famiglia, in Familia, 2002, p. 9 ss.; BALESTRA, L’evoluzione
del diritto di famiglia e le molteplicità affettive, cit., p. 1 ss.; G. FERRANDO, Il matrimonio, cit.,
p. 1 ss.; F. ROMEO, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non
matrimoniali, cit., p. 3 ss.; M. SEGNI, Unioni civili: non tiriamo in ballo la costituzione, cit., p.
707 ss.
(104) Corte Edu 22 aprile 1997, X e altri v. Regno Unito.
(105) Corte Edu 24 giugno 2010, cit.; Corte Edu 19 febbraio 2013, n. 19010/2007 X e
atri v. Austria, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 519.
(106) Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 681 con nota di
AL MUREDEN.
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(107) V. nello stesso senso BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 38 ss.
(108) Non si tratta quindi di dimenticare – come afferma F. GAZZONI, Manuale di diritto
privato, Napoli, 2015, p. 317 – il ruolo di esclusività riservato dalla Costituzione alla famiglia
legittima, ma di privilegiare altra possibile lettura della norma.
(109) Cfr. in proposito anche SPADAFORA, op. cit., p. 1 ss.
(110) È largamente condivisa l’idea secondo la quale la famiglia legittima rappresenta
l’«istituzione» ed il riferimento per gli altri modelli familiari: v. in proposito V. SCALISI, Le
stagioni della famiglia nel diritto dall’unità dell’Italia a oggi, cit., p. 2043 ss.; BONILINI, op. ult.
cit., p. 1 ss.
(111) Osserva al riguardo CAREDDA, Spunti evolutivi sull’art. 258 c.c.: il riconoscimento,
la parentela, la famiglia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, p. 383 ss., che quantunque non si
costituisca un legame anche tra i membri delle due stirpi (paterna e materna) e dunque
rimanga una differenza rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, tale diversità non
costituisce ostacolo a ricondurre al modello familiare la relazione tra figlio riconosciuto e
parenti.
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(112) Considera invece questo requisito essenziale, A. SCALISI, La famiglia nella cultura
del nostro tempo, cit., p. 711 ss. In senso contrario anche SCIARRINO, Minore, adozione e
famiglia di fatto: le ragioni di una difficile convivenza, in Le relazioni affettive non matrimo-
niali, cit., p. 418, ma con riferimento all’adozione da parte di coppia omosessuale.
(113) Prima della riforma in esame la dottrina risultava divisa. Opinione negativa
esprimevano ad esempio C.M. BIANCA, op. cit., p. 20, nt. 48; D’ANGELI, op. cit., p. 12 ss.,
sul presupposto che l’impianto costituzionale considererebbe famiglia solo l’unione etero-
sessuale. Per ulteriori indicazioni bibliografiche v. BALESTRA, L’evoluzione del diritto di
famiglia e le molteplicità affettive, cit., p. 18, nt. 66.
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(114) Osserva più in generale CAGGIA, Il linguaggio del «nuovo» diritto di filiazione, in
Riv. crit. dir. priv., 2015, p. 235 ss. che «le soluzioni linguistiche contenute nei testi legislativi
possono ricevere una deviazione sul terreno applicativo se filtrate dagli schemi concettuali
dell’interprete».
(115) V. in proposito F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 25.
(116) Diversi sono gli autori che prima della riforma ritenevano possibile individuare
nelle unioni di fatto un nucleo familiare. V. per tutti C.M. BIANCA, op. cit., p. 20, il quale
afferma che «la famiglia di fatto risponde pur sempre al modello della famiglia ‘nucleare’
quale comunità di un uomo e di una donna che si uniscono stabilmente».
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nersi dal coniuge che la chiede (anche nel caso in cui la crisi è a lui
ascrivibile) ed in tempi molto brevi (al massimo dopo un anno dalla
domanda). Ed allora occorre chiedersi se si possa ancora parlare di mag-
giore stabilità della famiglia legittima rispetto all’unione di fatto o se piut-
tosto la stabilità non dipenda solo dalle caratteristiche del rapporto (durata
e intensità della comunione di vita).
Significativa è anche la sopravvivenza ormai riconosciuta dalla legge di
effetti, pur limitati, allo scioglimento dell’unione (diritto agli alimenti,
diritti sulla casa familiare) (117).
Esisterebbero anzi probabilmente tutti i presupposti per un’apertura
dell’adozione alle coppie eterosessuali (118).
(117) Risulta cosı̀ superato il rilievo critico formulato da F. GAZZONI, op. ult. cit., p. 36 s.
secondo il quale la famiglia di fatto si diversifica dall’unione matrimoniale perché non è in
grado di proiettare i propri effetti oltre il tempo della convivenza.
(118) Pur non potendosi negare che i tempi non sono ancora maturi, come può
evincersi dal contrastato dibattito parlamentare sull’adozione del figlio del convivente nelle
unioni civili. Altro ostacolo è costituito dal fatto che secondo la Corte Edu sarebbe illegit-
timo negare l’adozione alla coppia omosessuale se riconosciuta a quella di sesso diverso.
(119) Sono in uso però anche espressioni diverse come ad esempio, famiglia ricostituita,
seconda famiglia, famiglia composita, stepfamily.
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(120) V., ad esempio, Cass. 3 febbraio 1975, n. 389, in Foro it., 1975, I, p. 2301; Cass.
26 gennaio 1980, n. 651; Trib. Bologna 20 dicembre 2006, in Il merito, 2007, p. 37; Trib.
Napoli 27 gennaio. 2005, in Dir e giust., 2005, p. 111.
(121) Pur con argomentazioni diverse v. in tal senso PROSPERI, La famiglia non fondata
nel matrimonio, Napoli, 1980, p. 352 ss.; F. GAZZONI, op. ult. cit., p. 114; G. CECCHERINI, I
rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 380; D’AN-
GELI, La tutela della convivenza senza matrimonio, Torino, 1995, p. 81 s.; A. TRABUCCHI, Pas
par cette voie s’il vous plait!, cit., p. 352.
(122) Sulla possibilità di giungere alla diminuzione dell’assegno post-matrimoniale per
garantire il soddisfacimento dei bisogni dell’unione di fatto si è espressa Cass. 11 maggio
1983, n. 2353, in Giur. it., 1983, I, p. 1225.
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(123) Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, cit.; Cass. 9 settembre 2015, n. 17856.
(124) Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, nella determinazione delle
condizioni dell’avente diritto occorre tenere conto del soddisfacimento dei bisogni avvenuto
nel contesto della convivenza.
(125) Infatti la Cassazione precisa che in questo caso l’estinzione del diritto all’assegno
non consegue automaticamente ma in seguito ad un accertamento giudiziale sull’esistenza
della contribuzione.
(126) Condividono invece la soluzione CICERO e M. RINALDI, Formazione di una nuova
famiglia non fondata sul matrimonio e perdita dell’assegno divorzile, in Dir. e fam., 2016, p.
314 ss.
(127) Cass. 17 ottobre 1989, n. 4158, in Giur. it., 1990, I, p. 587; Cass. 17 gennaio
2002, n. 432, in Giust. civ., 2002, I, p. 1001.
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(128) A favore dell’adozione si sono pronunziati Trib. min. Roma 30 luglio 2014, in Dir.
e fam., 2014, p. 1533; confermata da App. Roma 23 dicembre 2015; Trib. min. Roma 22
ottobre 2015 e App. Milano 10 dicembre 2015, in Foro it., 2016, I, p. 338 ss. Ma in senso
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contrario Trib. min. Piemonte e Valle d’Aosta 11 settembre 2015 n. 258 e n. 259, in Nuova
giur. civ. comm., 2016, p. 205, con nota di A. NOCCO. In tutti i casi si trattava di coppia
convivente o coniugata all’estero formata da due donne, con richiesta di procedere all’ado-
zione di figli della madre genetica. La tesi favorevole si colloca all’interno di un filone
giurisprudenziale secondo il quale la lett. d), dell’art. 44, l. adoz., che consente di ricorrere
all’adozione particolare quando non è possibile procedere all’affidamento preadottivo, do-
vrebbe interpretarsi nel senso di riconoscere detta possibilità anche quando sussiste un
ostacolo giuridico (e non solo di fatto) come nel caso di coppia non coniugata: v. al riguardo
Trib. min. Milano 28 marzo 2007, in Fam. e minori, 2007, p. 83 e App. Firenze 26 settembre
2012.
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8. Conclusioni.
Volendo dare una risposta all’interrogativo formulato all’inizio di que-
ste pagine, non ritengo che il riconoscimento e la tutela garantita alle
unioni non matrimoniali dalla riforma in esame possa accentuare il rischio
della crisi della famiglia fondata sul matrimonio o addirittura segnarne la
morte. È vero, la sua fragilità è un dato inequivocabile col quale occorre
confrontarsi e non solo prendere atto, tuttavia il problema non si risolve, a
mio avviso, negando tutela alle giuste istanze di coloro che intendono
condurre la loro esperienza di vita in maniera diversa da quella coniugale
ma assicurando serio sostegno, anche economico, a tutte le forme familiari.
Riguardo alle unioni del medesimo sesso occorre rammaricarsi che il
legislatore, per differenziarle da quelle fondate sul matrimonio, abbia im-
provvidamente puntato sul ridimensionamento dei doveri, quasi a volerne
favorire la fragilità (o forse solo a limitare le pretese risarcitorie del part-
ner, nei confronti dell’altro che si allontani dallo schema di vita matrimo-
niale).
616 con riferimento ad un’ipotesi di crisi della coppia formata da due donne e di ricono-
scimento del diritto di frequentare la figlia dell’altra nonostante il venir meno dell’unione.
(133) In tal senso D. BUZZELLI, op. cit., p. 253 ss.
(134) Più precisamente nell’art. 4 l. adoz. è stato inserito il comma 5˚ ter il quale
stabilisce che «Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno
nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra
famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle
positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento».
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SOMMARIO: 1. Funzione della normativa. – 2. Una specie di azione penale nel processo civile.
– 3. Poteri delle parti e poteri del giudice. – 4. Definizione del giudizio. – 5. Problemi
in fase di impugnazione.
NLCC 3/2016
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tedicassazione.it) dell’ufficio del Massimario (settore penale) della Corte di cassazione parla
solo di «illeciti sottoposti a (inedite) sanzioni pecuniarie civili» (p. 18).
(3) Si legga integralmente la detta norma: «Le disposizioni relative alle sanzioni pecu-
niarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data
di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con
sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal
presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di
condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto,
dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti
conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni dell’ar-
ticolo 667, comma 4, del codice di procedura penale». Si precisa che anche qui vale il
principio giurisprudenziale per cui una abolitio criminis non esime il giudice dall’obbligo di
applicare una formula di assoluzione o di proscioglimento più favorevole nel merito, se ne
risultano gli elementi agli atti: sul punto V. BOVE e CIRILLO, op. cit., p. 28. Dubbio può
esservi in ordine alla sorte delle eventuali condanne del responsabile civile assunte dal
giudice penale. La sezione seconda penale della Corte di cassazione ha, con ordinanza dell’8
marzo 2016, affermato che il giudice dell’impugnazione, dopo aver dichiarato l’estinzione
del reato a causa dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 7/16, deve pronunciarsi sulle statuizioni
civili. Tuttavia la quinta sezione, sempre della Suprema Corte, con ordinanza del 23 febbraio
2016, n. 7125 (in Guida al dir., 2016, n. 13, p. 36), aveva rimesso alle Sezioni Unite la
questione in ordine al se «a seguito dell’abrogazione dell’articolo 594 c.p. ad opera dell’ar-
ticolo 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventual-
mente adottate con sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata
prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto». Poi il primo Presidente ha restituito il
fascicolo al Collegio della quinta sezione penale, affermando che non è sufficiente, per un
esame delle Sezioni Unite, la mera eventualità di futuri ipotetici contrasti (vedi BUFFONE,
Depenalizzazione: “sfuma” la soluzione ma resta il problema, in Guida al dir., 2016, fasc. 14,
26). Ma io mi domando: se la statuizione assunta dal giudice penale sul risarcimento del
danno resta in piedi, come si potrà mai irrogare la conseguente sanzione civile, posto che
questa, come vedremo, può essere irrogata solo dal giudice civile all’interno del processo
avente ad oggetto la pretesa risarcitoria della persona offesa? Secondo me ha quindi ragione
Trib. Cosenza 24 febbraio 2016, in Guida al dir., 2016, fasc. 15, 75 (sembrerebbe seguito da
Cass. 14 aprile 2016, n. 15634, in Guida al dir., 2016, fasc. 19, 33). L’alternativa è dire che
nel regime transitorio sia il giudice penale, il quale decide sul risarcimento dei danni, ad
applicare la sanzione punitiva: BUFFONE, Quell’assenza di norme transitorie che apre alla
Consulta, in Guida al dir., 2016, n. 13, p. 44 ss.
(4) BUFFONE, L’autorità che procede è il giudice competente sull’azione risarcitoria, in
Guida al dir., 2016, n. 8, p. 84 ss., spec. p. 85, rileva giustamente che il citato art. 9 riguarda
solo l’aspetto esecutivo, ben potendo i giudici civili irrogare la sanzione civile dal 6 febbraio
2016 in poi.
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(5) Cosı̀ già a fronte dello schema di d.lgs. discusso dal Governo il 13 novembre 2015
vedi MORAMARCO, Depenalizzazione, la ricerca affannosa del catalogo dei reati, in Guida al
dir., 2016, n. 2, p. 15. Vedi oggi V. BOVE e CIRILLO, op. cit., p. 2, in cui si rileva come
l’attuazione della delega, che aveva uno spettro più ampio di quello che rileva in questo
scritto, sia avvenuta in due provvedimenti: quello che qui si commenta, per il quale vale
quanto detto nel testo, e il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, G.U. n. 17 del 22 gennaio 2016, in
cui invece si ha la trasformazione in illeciti amministrativi di precedenti illeciti penali pro-
cedibili d’ufficio.
(6) PADOVANI, op. cit., p. 76, in modo condivisibile chiarisce che le sanzioni civili qui
disciplinate si accostano alle sanzioni pecuniarie amministrative, pur, però, differenziando-
sene sia per la procedibilità, che nei casi ora in oggetto dipende dall’iniziativa della persona
offesa, sia per l’applicazione, che, come vedremo, si ha nell’ambito del processo civile nel
quale l’offeso esercita la sua azione civile, sia, se cosı̀ si può dire, comunque per la natura
dell’illecito sanzionato, collegandosi la sanzione amministrativa alla violazione di norme che
presiedono alla funzione amministrativa. Ma allora è evidente, tornando alla precisazione di
cui alla precedente nt. 2, che parlare di sanzioni pecuniarie civili non significa affatto parlare
anche di illecito civile. Se questo sta nella violazione delle norme che presiedono alla
ripartizione dei beni tra i consociati, insomma nella violazione di una norma che protegge
un interesse individuale secondo lo schema del diritto soggettivo, ne consegue che qui
dobbiamo pur sempre tenere distinto il profilo dell’illecito civile in senso proprio da quello
che attiene ad una pretesa punitiva dello Stato. Da questo secondo punto di vista l’unico
elemento che porta a qualificare la sanzione come “civile” è dato solo dall’autorità che la
applica.
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(7) Peraltro non è esclusa la competenza del giudice di pace, nei limiti previsti dalla
legge. Né, almeno in astratto, sembra preclusa la possibilità di seguire il percorso tracciato
dagli articoli 702 bis ss. c.p.c.
(8) Si potrebbe porre la questione: legittimato all’azione civile di cui si tratta può essere
ogni danneggiato o solo colui che, quale persona offesa dal reato, avrebbe in precedenza
potuto presentare querela? Se spesso, soprattutto nelle fattispecie sostanziali qui rilevanti, le
due figure coincidono, non è detto che ciò accada sempre. PADOVANI, op. cit., p. 78,
rilevando come in astratto alla domanda si potrebbe dare risposta positiva, rileva che, però,
in concreto l’art. 8, comma 2˚, dell’articolato ipotizzi l’irrogazione della sanzione civile
pecuniaria solo qualora venga accolta la domanda di risarcimento proposta dalla persona
offesa. Ed, allora, la domanda va riformulata: posto che non si può certo impedire ad un
danneggiato la facoltà di agire per il risarcimento del danno, anche se in ipotesi egli non
s’identifichi nella persona offesa, si può dire che comunque il giudice abbia in questa
occasione sempre il potere-dovere di esercitare l’azione punitiva dello Stato? Oppure si
deve ritenere che ciò sia ipotizzabile solo nell’ambito del processo instaurato dalla persona
offesa? Francamente io non darei cosı̀ tanta importanza alla lettera del comma 2˚ dell’art. 8
citato, perché mi pare evidente che qui ciò che conta è che sia esercitata un’azione risarci-
toria derivante dall’illecito, insomma che un interesse privato coinvolto sia fatto valere:
questo dovrebbe sempre far scattare anche il secondo e dipendente profilo sanzionatorio.
Comunque, come già accennato poco sopra, il problema in questione mi pare, almeno in
questo ambito, più teorico che reale.
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(9) Come giustamente rileva PADOVANI, op. cit., p. 78 questo è un aspetto che deriva
dalla originaria matrice penale, che esige la tipicità degli illeciti.
(10) Sulla filosofia e le conseguenze pratiche della riforma è degna di citazione la
riflessione di PADOVANI, op. cit., p. 77, il quale rileva che, avendo il legislatore spostato il
carico della tutela dal pubblico ministero alla persona offesa, si è perseguito «un plausibile e
lodevole intento deflattivo (dei carichi penali) con mezzi surrettizi poco commendevoli. Il
giudizio civile costa, e molto: saranno dunque i beati possidentes a potersi permettere la
persecuzione giudiziaria di chi abbia offeso i propri interessi; ma lo faranno invano se i
trasgressori sono poveri in canna, e insensibili dunque alla prospettiva di una condanna
civile. Questi, d’altro canto, se potranno permettersi l’offesa, non saranno in grado di
reagirvi per mancanza di mezzi. Un ben strano modo di distribuire la giustizia, in perfetto
spregio dell’articolo 3 della Costituzione». Ma la riflessione è tanto degna di nota quanto
non condivisibile, perché, se la difficoltà nel “colpevole” di difendersi poteva essere sua
buona consigliera prima dell’offesa, le possibilità economiche del danneggiato erano rile-
vanti prima e continuano ad essere rilevanti ora in riferimento al solo profilo che lo interessa:
quello dell’azione giudiziaria rivolta al ristoro del suo danno.
(11) Situazione, questa, che non impedisce all’attore di rinunciare agli atti del giudizio.
Egli, insomma, può anche ripensarci, non essendo vincolato al giudizio per il fatto che in
questo emerga anche il conseguente profilo sanzionatorio d’interesse pubblico. Né un simile
profilo sottrae alla pretesa civilistica la qualifica della disponibilità, con tutto ciò che conse-
gue in riferimento all’utilizzabilità delle c.d. ADR. Né ancora è escluso che le parti chiudano
la vicenda processuale già avviata con una transazione, esito che impedisce a questo punto
l’applicazione della sanzione civile, la quale, ai sensi dell’art. 8, comma 2˚, dell’articolato in
commento, presuppone necessariamente l’accoglimento della domanda risarcitoria.
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(12) Vedi BUFFONE, Una combinazione genetica innovativa che ha due funzioni, in Guida
al dir., 2016, n. 8, p. 55 ss., spec. p. 56.
(13) A questo proposito a me non sembra che sia ipotizzabile il caso di una prescrizione
della pretesa punitiva con contemporanea permanenza della possibilità del danneggiato di
esercitare l’azione civile. Il caso è stato prospettato nell’eventualità di un fatto interruttivo
quale la costituzione in mora, che, è stato detto, vale appunto solo per questa e non anche
per quella (BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p. 86). Qui non si tratta tanto di escludere
l’operatività dell’art. 1310 c.c., quanto di rilevare che, in generale, il termine di prescrizione
non può decorrere quando il titolare del diritto non può esercitarlo (art. 2935 c.c.). E cosa
può fare lo Stato prima che il danneggiato eserciti l’azione civile risarcitoria?
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(14) Di una doverosa pronuncia d’ufficio, senza domanda della parte privata, parla
pure BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p. 85, il quale naturalmente non esclude che
l’attore possa sollecitare l’esercizio di tale potere-dovere del giudice.
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(15) Altro è che nel caso concreto lo stato emotivo della persona offesa lo renda
interessato alla punizione del “colpevole”. Ma ciò non ha alcuna rilevanza giuridica.
(16) Siamo in presenza di una classica connessione per pregiudizialità-dipendenza, per
cui la condanna al risarcimento del danno (più che la sussistenza di questo diritto) è fatto
costitutivo della pretesa punitiva dello Stato. La precisazione sull’elemento pregiudiziale non
è irrilevante. Se esso sta, non nell’esistenza della situazione pregiudiziale, quanto piuttosto
nella pronuncia di accoglimento della domanda su di essa, evidentemente anche il rigetto
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della domanda risarcitoria per compensazione impedisce l’applicazione della sanzione pu-
nitiva.
(17) Sulla quale vedi, fra gli altri, LUISO, Diritto processuale civile, III, Il processo
esecutivo, Milano, 2015, p. 239 ss. e, se vuoi, M. BOVE, La misura coercitiva di cui all’art.
614-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, p. 781 ss. ed ivi ulteriori citazioni. Sulla
recente riforma di questa norma vedi per prime riflessioni M. BOVE, Riforme sparse in
materia di esecuzione forzata tra il d.l. n. 83 del 2015 e la legge di conversione n. 132 del
2015, in La Nuova Procedura Civile, 2015, § 7.
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(18) Sui quali vedi, per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di cogni-
zione, cit., p. 230.
(19) Per fare degli esempi già proposti da altri (BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p.
86), si pensi all’allegazione e prova di aver operato per l’eliminazione o l’attenuazione delle
conseguenze dell’illecito (art. 5, lett. d), all’allegazione e prova, nel caso della fattispecie
corrispondente alla vecchia ingiuria, della reciprocità delle ingiurie (art. 4, comma 2˚),
all’allegazione e prova, sempre nel caso dell’ingiuria, del fatto di aver agito nello stato d’ira
determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso (art. 4, comma 3˚).
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(20) Sulla distinzione vedi ancora classicamente CALAMANDREI, Linee fondamentali del
processo civile inquisitorio, in Opere giuridiche, I, Napoli 1965, p. 145 ss. Si fa anche presente
come non si possa affermare, in generale ed in assoluto, che in ordine all’applicazione della
sanzione pecuniaria non sia necessaria un’ulteriore attività istruttoria (cosı̀ V. BOVE e CIRIL-
LO, L’esercizio della delega, cit., p. 7 e la relazione dell’ufficio del massimario della Corte di
cassazione a p. 25), perché, come già detto, la fattispecie rilevante a questo fine non coincide
con la fattispecie rilevante ai fini dell’accertamento della pretesa risarcitoria: ciò sia in
relazione all’an sia in relazione al quantum.
(21) Insomma, qui siamo ben oltre il modello che, ad esempio, si può riscontrare nel
processo del lavoro, in cui pure i poteri d’ufficio del giudice sono rafforzati. Invero, il
giudice del lavoro non può certo utilizzare fatti che non risultano dagli atti né disporre
l’assunzione di mezzi di prova la cui cognizione egli non abbia tratto dagli atti di causa.
Peraltro, è anche vero, però, che a mio parere il giudice civile avrà ben scarsa possibilità
concreta di spingersi cosı̀ oltre, di farsi, se cosı̀ si può dire, investigatore.
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verso, sia stato provocato da un fatto ingiusto altrui e che, per altro verso,
il comportamento per cosı̀ dire reattivo sia stato immediato, tutti gli ele-
menti fattuali rilevanti devono essere allegati dal convenuto o comunque
risultare dagli atti. Poi, si può anche ritenere che la questione impeditiva,
su quei fatti fondata, sia rilevabile dal giudice, per il semplice fatto che,
stante l’art. 112 c.p.c., il giudice può rilevare d’ufficio ogni questione che
la legge non riservi esplicitamente alle parti.
Ma resta il fatto che, ovviamente, l’onere della prova qui è a carico del
convenuto, con la conseguenza che egli subirà la sanzione pecuniaria civile
se, risultando provati i relativi fatti costitutivi della pretesa punitiva dello
Stato, non risultano provate alcune o tutte le circostanze rilevanti in rela-
zione alla questione “scriminante”.
Residua, infine, un dubbio in ordine alla regola di giudizio da utiliz-
zare, che vale per ogni elemento rilevante, tra i quali pure, nella misura in
cui concretamente conta, il nesso causale tra il comportamento dell’agente
e l’evento dannoso (22). A tal proposito si suole dire che, se il giudice
penale deve attenersi al canone dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”,
e ciò in applicazione del principio per cui in dubio pro reo, il giudice civile
deve più blandamente attenersi al principio c.d. del “più probabile che
non”. Insomma, è possibile che la stessa vicenda conduca un soggetto alla
condanna al risarcimento del danno in sede civile, nella quale emerge con
più rilevanza la figura del danneggiato, e non anche alla condanna penale.
Ciò perché, se nel primo contesto è sufficiente il canone della probabilità,
nel secondo, invece, si deve fare applicazione di un più rigido canone di
certezza, sintetizzabile nella già ricordata formula del “al di là di ogni
ragionevole dubbio”.
Ebbene, a me pare che questa distinzione debba restare ferma anche
nel caso che ci occupa, non potendosi affermare che per il giudice civile,
nel momento in cui va ad irrogare d’ufficio la sanzione pecuniaria, sia
sufficiente «il raggiungimento del livello probatorio normalmente occor-
rente in un processo civile e, in particolare, ai fini della decisione sulla
domanda di risarcimento del danno» (23).
(22) Peraltro, quanto stiamo per dire va al di là del problema del nesso causale.
(23) Sono parole che si leggono nella relazione dell’ufficio del massimario della Corte di
cassazione già citata (p. 25), parole che si rifanno alla scelta, esplicitata nella relazione di
accompagnamento al d.lgs., di uniformare lo standard probatorio, allineandolo a quello
contemplato nell’ordinamento civile, che vorrebbe giustificarsi in virtù di esigenze di coe-
renza e di funzionalità pratico-applicativa.
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ancora perché, provati gli elementi costitutivi della pretesa punitiva dello
Stato, è tuttavia provata una scriminante, come quella sopra ipotizzata
attinente allo stato d’ira nel caso dell’ingiuria.
Oppure è possibile che, al contrario, la detta sanzione sia irrogata. E
qui per il giudice non si tratta solo di disporre della prova degli elementi
costitutivi della pretesa punitiva, ma anche di avere a disposizione gli
elementi di fatto attinenti a quelle circostanze che l’art. 5 del d.lgs. in
commento impone al giudice di valutare per commisurare la sanzione
pecuniaria.
Insomma, se la legge fornisce una cornice edittale nei cui confini il
giudice deve muoversi, l’utilizzo dei criteri di valutazione forniti dalla legge
al giudice sono fondamentali per fermare l’asticella della sanzione dal
minimo al massimo. Criteri il cui utilizzo a me sembra che sarà rivedibile,
in ipotesi, di fronte al giudice d’appello, mentre nel giudizio di cassazione
esso sarà rivedibile solo nell’eventualità che emerga la necessità di fissare
un principio di diritto valido anche per casi futuri (24).
Infine, sempre per quel che riguarda la decisione, l’art. 7 dell’articolato
in commento specifica che quando più persone concorrono nell’illecito,
ciascuna di esse soggiace alla sanzione pecuniaria civile per esso stabilita.
Questa norma, ricalcata sulla falsariga dell’art. 5 della legge 24 novembre
1981, n. 689, poco ha a che fare con l’art. 110 c.p. e ancor meno con il
modello della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c. (25).
Non con quello, perché qui ciò che conta non è il concorso in termini
penalistici, bensı̀ la compartecipazione nel fatto dannoso secondo i criteri
civilistici. Insomma, posto che la condanna al risarcimento del danno è
pregiudiziale alla condanna a pagare la sanzione civile, evidentemente,
nella misura in cui si possa ipotizzare che un soggetto potrebbe rientrare
nella fattispecie di concorso penalistico, ma non anche nella fattispecie di
coobbligato civilistico, non è neanche ipotizzabile che egli possa appunto
subire la condanna alla “pena” qui prevista.
Tantomeno la norma ha a che fare con il modello della responsabilità
solidale di cui all’art. 2055 c.c., perché il senso di essa non sta nel richie-
dere al giudice una sola determinazione sanzionatoria, da pretendere se-
condo lo schema della solidarietà e poi, dal lato passivo, da ripartire
(24) Sui limiti del giudizio civile di cassazione vedi, se vuoi, M. BOVE, Il sindacato della
Corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano, 1993, p. 65 ss.
(25) La duplice affermazione contraria si trova invece in PADOVANI, Procedibilità e
applicazioni, cit., p. 78.
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internamente per quote, bensı̀ essa sta nell’irrogazione più volte della
sanzione, una per ogni “colpevole” (26).
Si deve, inoltre, aggiungere il rilievo per cui, se non vi sia stato un
simultaneo processo nei confronti dei più soggetti concorrenti nell’illecito,
evidentemente la sentenza sfavorevole ad uno di essi non sarà opponibile
all’altro o agli altri che sia o siano citati in altri processi successivi.
(26) Mi sembra in questo senso V. BOVE e CIRILLO, L’esercizio della delega, cit., p. 26.
Cosı̀ anche la relazione dell’ufficio del Massimario della Corte di cassazione, cit., a p. 24.
(27) In generale sulle dinamiche impugnatorie in relazione alle obbligazioni solidali
vedi, per tutti, BACCAGLINI, Il processo sulle obbligazioni solidali «paritarie» e l’azione di
regresso, Milano, 2015, p. 231 ss.
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(28) Sull’applicazione dell’art. 336, comma 1˚, c.p.c. alle situazioni connesse per pre-
giudizialità-dipendenza vedi, per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di
cognizione, cit., p. 370 ss. e, se vuoi, M. BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile,
Torino, 2012, p. 397 s.
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parti private propone appello, non essendo pensabile una sua instaurazio-
ne d’ufficio, la domanda è: cosa può accadere in questo contesto?
Si faccia il caso di un convenuto che, subita la condanna al risarci-
mento del danno, non abbia subito anche la condanna al pagamento della
sanzione pecuniaria civile, perché il giudice di primo grado non ha proprio
posto la questione oppure perché, dopo averla posta, abbia ritenuto l’in-
sussistenza di un elemento costitutivo della pretesa punitiva (ad esempio il
dolo) ovvero abbia ritenuto sussistente una “scriminante” (ad esempio lo
stato d’ira in termini giuridicamente rilevanti nel caso dell’ingiuria). Se il
convenuto soccombente a fronte dell’attore propone appello in riferimen-
to alla pretesa risarcitoria, può il giudice di secondo grado porre per la
prima volta la questione d’ufficio attinente alla pretesa punitiva dello Stato
ovvero rivedere, sempre d’ufficio, la decisione negativa che su di essa
abbia assunto il giudice di primo grado?
Si faccia ancora il caso in cui il giudice di primo grado abbia condan-
nato il convenuto sia al risarcimento del danno a favore dell’attore sia al
pagamento della sanzione pecuniaria civile a favore dello Stato. Qui il
condannato potrà proporre appello avverso il solo capo relativo alla pre-
tesa risarcitoria, fiducioso nel fatto che, se ribalterà la sua soccombenza in
ordine a questa, in automatico cadrà pure il capo dipendete relativo alla
sanzione pecuniaria civile. Oppure egli potrà proporre appello su entram-
bi i capi della sentenza di primo grado. Ci si domanda: può il giudice nel
primo caso occuparsi di nuovo della pretesa punitiva dello Stato, perché a
suo giudizio la sanzione irrogata è stata mal commisurata? E cosı̀ nel
secondo caso, nel quale il convenuto cercava una eliminazione della san-
zione pecuniaria civile o anche solo una sua diversa ed inferiore commi-
surazione, può il giudice d’appello invece riformare in termini peggiorativi
questo capo della sentenza di primo grado?
Rispondere a queste domande è veramente arduo, perché nessun aiuto
ci viene dal legislatore. Se, come a me sembra, legittimato all’esercizio della
pretesa punitiva dello Stato è il giudice che procede d’ufficio, si dovrebbe
dire che questa legittimazione resti pure in capo al giudice di secondo
grado. Né credo che qui sia applicabile il divieto della reformatio in pejus,
quale principio tipico del diritto sanzionatorio, perché non c’è una parte
che possa spendere poteri impugnatori contrari ai poteri impugnatori del
“presunto colpevole”.
Cosı̀ il giudice dovrebbe poter esercitare detta pretesa d’ufficio anche
per la prima volta in appello, non essendo essa stata esercitata in primo
grado, non trovando egli un limite nel divieto di domande nuove di cui al
primo comma dell’art. 345 c.p.c. Ed, ancora, aperto il giudizio d’appello
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ad opera della parte privata, egli dovrebbe poter tornare sulla decisione
assunta dal giudice di primo grado in ordine alla sanzione pecuniaria
civile. Sia per irrogarla ove questa non sia stata prima irrogata. Sia per
quantificarla nuovamente ove egli ritenga che la commisurazione effettuata
in primo grado non sia corretta. Sempre, ovviamente, che resti accertata la
sussistenza dell’obbligo risarcitorio in capo al danneggiante.
Si dirà che questa costruzione non riesce a spiegare il caso in cui il
convenuto, condannato in primo grado sia per il risarcimento del danno a
favore dell’attore sia per il pagamento della sanzione pecuniaria civile a
favore dello Stato, scelga di proporre appello per il solo capo relativo alla
pretesa punitiva. Invero, si potrebbe dire: se tale pretesa è esercitabile
d’ufficio dallo Stato in persona del giudice civile, nel caso ora ipotizzato
si può immaginare un giudizio d’appello senza una controparte?
Mi rendo conto che l’obiezione è seria. Ma non mi sento di arrivare ad
affermare che, allora, questo problema pratico può condurre alla diversa
idea secondo la quale saremmo qui in presenza di una pretesa punitiva
imputabile in realtà alla parte privata, perché di ciò non vi è alcuna traccia
nella legge.
È vero che la legge si disinteressa della punizione di questi illeciti se
non nell’eventualità che la parte privata offesa si attivi. Ma è anche vero
che, dalla lettura delle norme in oggetto, sembra proprio che la parte
privata sia legittimata alla sola azione civile, ossia a far valere il suo diritto
al risarcimento del danno, innestandosi, poi, nel processo cosı̀ instaurato,
un secondo tema di decisione, quello appunto attinente alla pretesa puni-
tiva dello Stato che, a me sembra, è tutta nelle mani del giudice.
Del resto nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. in oggetto si
legge: «Per quel che concerne il regime di procedibilità (su cui la legge
delega tace) sono prospettabili due diverse soluzioni. Secondo un primo
indirizzo, ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria civile si ritiene
necessaria un’apposita richiesta della persona offesa. In base ad altro
orientamento, invece, si reputa che, tenuto conto della funzione marcata-
mente general-preventiva sottesa alla comminatoria della sanzione pecu-
niaria civile e delle connotazioni pubblicistiche del profilo ‘punitivo’, non
sia coerente far dipendere l’applicazione della sanzione pecuniaria dalla
volontà della persona offesa. Oltre che più conforme ad esigenze di “pru-
denza processuale” (imposte anche dal carattere particolarmente innova-
tivo dell’istituto delle sanzioni civili punitive), l’opzione a favore dell’infli-
zione ex officio della sanzione punitiva è stata ritenuta sostanzialmente
imposta dalla previsione della destinazione pubblicistica del provento della
stessa».
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NLCC 3/2016
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(5) V. CONSOLO, Oscillazioni “operazionali”, cit., p. 2285, che ragiona di una sorta di
«equipollente del c.d. diritto di seguito». Si spiega cosı̀ perché il creditore pignorante il bene
asseritamente del proprio debitore, a fronte di un’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., è
carente di interesse alla proposizione di un’azione revocatoria con riferimento all’esecuzione
in corso: in caso di accoglimento dell’opposizione ex art. 619 c.p.c. (per essere il terzo
opponente riconosciuto proprietario o titolare di altro diritto reale riferibile ai beni pignorati
in base ad un valido atto traslativo), pur se venisse accolta la domanda di revoca, egli non
sarà infatti legittimato a proseguire la procedura esecutiva originariamente iniziata contro il
debitore, ma soltanto ad iniziare una nuova esecuzione contro la parte acquirente (Cass. 30
luglio 2004, n. 14625).
(6) Che dunque – diversamente da quanto sosteneva COSTANTINO, Contributo allo
studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 440 s.; critico anche CONSOLO, Oscil-
lazioni “operazionali”, cit., p. 2285 – non costituisce una “realtà sostanziale” pre-processuale
suscettibile di essere oggetto di un accertamento incidentale del giudice che precede la
pronuncia costitutiva, ma è semmai il prodotto di tale pronuncia. Resta ferma, ciò non di
meno, la ritenuta necessità del litisconsorzio tra creditore revocante, debitore revocato e
terzo acquirente, in ragione del fatto che «l’accoglimento della domanda comporta, per
effetto dell’assoggettamento del terzo alle azioni esecutive sul bene oggetto dell’atto di
disposizione impugnato, l’acquisto da parte di costui di ragioni di credito verso l’alienante
(art. 2902, co. 2, c.c.), nonché, oltre ad altri effetti immediati e diretti (quali l’obbligo di
restituzione del prezzo a seguito dell’evizione della cosa), postula nei confronti del debitore
l’accertamento della sua frode e dell’esistenza del credito» (cosı̀, ex multis, Cass. 5 luglio
2000, n. 8952; già Cass. 13 gennaio 1983, n. 246; nonché CONSOLO, Oscillazioni “operazio-
nali”, cit., p. 2284): onde il difetto d’interesse del creditore – a fronte di una sentenza
favorevole di primo grado – a dolersi del fatto che la pronuncia d’appello (di riforma) sia
stata resa a contraddittorio non integro, posto che semmai solo il terzo acquirente avrebbe
potuto subire un pregiudizio dalla mancata presenza in causa del debitore revocato, contro
il quale (in caso di conferma della pronuncia di primo grado) avrebbe dovuto esercitare le
conseguenti azioni restitutorie e risarcitorie (cfr. Cass. 20 gennaio 2016, n. 895, che sembra
cosı̀ aprire alla possibilità di configurare la necessaria presenza in giudizio del debitore
alienante in termini di litisconsorzio necessario propter opportunitatem, su cui v. appunto
CONSOLO, op. cit., p. 2284, ancorché – per vero – in una fattispecie del tutto peculiare, in cui
la declaratoria di nullità della sentenza impugnata si raffigurava come del tutto inutile, a
fronte del medio tempore maturato, in altra sede, giudicato negativo sull’esistenza del credito
a tutela del quale era stata esercitata la revocatoria, e del fatto che il debitore revocato si era
comunque cancellato da oltre tre lustri dal registro delle imprese).
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(7) Vanno fatte salve, in linea di principio, le ipotesi in cui la revocatoria abbia come
finalità il recupero di un pagamento, in deroga al principio della non revocabilità, in via
ordinaria, del pagamento di un debito scaduto in quanto atto dovuto (v. l’art. 2901, comma
3˚, c.c.), nel presupposto di un’insussistenza del debito che fa appunto venir meno la
doverosità dell’atto rispetto al creditore revocante: anche in tal caso di peculiare “curvatura
recuperatoria” dell’azione, l’effetto utile della revocatoria si compendia tuttavia nell’esclu-
sione dal concorso del revocato sulla somma una volta recuperata, e cosı̀ mantiene una
propria proiezione in vista della fase esecutivo-satisfattiva.
(8) Entro il quale l’avvenuta revoca potrà essere fatta valere dal solo creditore che abbia
vittoriosamente esperito la pauliana, ex art. 512 c.p.c. ovvero ex art. 98, comma 3˚, l. fall. (in
quest’ultimo caso, peraltro, solo ove il rapporto processuale si sia concluso ante declaratoria
di fallimento; nel caso contrario, ove la pauliana sia stata proposta o proseguita dal Curatore,
ex art. 66 l. fall., essa beneficerà l’intera massa, e la relatività soggettiva dei suoi effetti verrà
meno: cfr. al riguardo Cass. 7 maggio 2015, n. 9170: «l’unica differenza fra la revocatoria ex
art. 66 l. fall. e la revocatoria ex art. 2901 c.c. è l’ambito di efficacia: la prima, esercitata dal
curatore, giova a tutti i creditori, la seconda giova soltanto al creditore che ha esercitato
l’azione»).
(9) Il principio dell’efficacia utile per il solo creditore revocante (sul cui fondamento v.
anche infra) comporterà la necessità di elaborare il piano di riparto sulla base di “scenari
alternativi”: nel senso che, nei rapporti con il creditore Tizio vittoriosamente revocante, Caio
non potrà vantare alcun privilegio (o alcun credito), mentre nei rapporti con gli altri
creditori non revocanti (ossia: una volta soddisfatto il revocante Tizio per la parte che gli
spetterebbe in ipotesi di concorso paritario o in ipotesi di concorso cui resti estraneo il
revocato Caio) Caio riacquisterà appieno, a seconda dei casi, il proprio diritto poziore di
soddisfarsi sul bene oggetto del suo diritto di privilegio o il suo “egual diritto” di soddisfarsi
sul ricavato dalla vendita dei beni del debitore.
(10) V. Cass. 20 aprile 2012, n. 6270: «nel caso in cui sia dichiarato inefficace, in
accoglimento di un’azione revocatoria, un atto di concessione volontaria di ipoteca, ma la
relativa sentenza sia stata pronunciata dopo che il creditore ipotecario – convenuto nel
giudizio revocatorio – si sia già soddisfatto sul bene oggetto della garanzia, il creditore
vittorioso in revocatoria ha diritto di ottenere dal creditore ipotecario, il cui titolo sia stato
dichiarato inefficace, la reintegrazione dell’importo che avrebbe potuto ottenere dalla ven-
dita forzata, se non ci fosse stato il concorso dell’altro creditore».
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(11) Cfr. Cass. 6 ottobre 2005, n. 19492; Cass. 10 marzo 2006, n. 5246, nonché Cass.
14 settembre 2007, n. 19289. La giurisprudenza ne ha fatto seguire il sicuro corollario della
inammissibilità della sospensione del giudizio sulla pauliana, ex art. 295 c.p.c., in caso di
parallela pendenza del giudizio sull’accertamento del credito. Non costituendo l’accerta-
mento del credito oggetto del processo revocatorio, non può riscontrarsi quella relazione di
pregiudizialità/dipendenza che, sola, potrebbe legittimare la sospensione: ex multis, Cass. 12
luglio 2013, n. 17257, e già Cass. 17 novembre 2005, n. 23250, e Cass., sez. un., 18 maggio
2004, n. 9440.
(12) Cfr. per tutte, da ultimo, Cass. 22 marzo 2016, n. 5619.
(13) La diversa affermazione che si ritrova in Cass. 7 maggio 2014, n. 9855, per cui
sarebbe necessario attendere il giudicato anche sul credito litigioso prima che sia possibile
procedere con l’aggressione esecutiva del bene oggetto dell’atto revocato, pare esprimere in
modo “sovrabbondante” le peculiarità della fattispecie, che aveva visto il creditore soccom-
bere sia in primo che in secondo grado, ed essere in attesa di un responso positivo della
Cassazione per ottenere un titolo esecutivo solo nella successiva ed eventuale fase di rinvio.
Si noti comunque che, secondo la più recente giurisprudenza, la proposizione dell’az.
revoc. finalizzata a garantire la soddisfazione di un credito risarcitorio è idonea ad inter-
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rompere il decorso della prescrizione di tale credito, per tale tramite da ritenersi fatto valere
in via indiretta: a nulla rilevando che esso sia poi azionato in via diretta in un autonomo
giudizio (Cass. 18 gennaio 2011, n. 1084).
(14) Cfr. per tutti MONTELEONE, sub art. 2900 c.c., in Comm. UTET, Artt. 2784-2906,
Torino, 2015, p. 760 s., per il quale è dubbia la compatibilità dell’orientamento che ammette
la surrogatoria c.d. “satisfattiva” «non tanto con l’asserita funzione conservativa e non
esecutiva dell’azione surrogatoria, quanto con altre norme sostanziali e processuali che
regolano la responsabilità-garanzia patrimoniale, l’esecuzione forzata ed il concorso dei
creditori. È, invero, evidente che nei casi sopra indicati il creditore, agendo in surrogatoria,
ottiene il soddisfacimento immediato del suo diritto di credito senza che abbia un titolo
esecutivo, al di fuori del processo di esecuzione, e violando il concorso dei creditori nonché
la par condicio». V. altresı̀ in giurisprudenza Cass. 23 gennaio 1995, n. 723; Cass. 18 maggio
2012, n. 7906.
(15) Già l’art. 1235, comma 1˚, c.c. del 1865, prevedeva che i creditori potessero
«impugnare in proprio nome gli atti che il debitore [avesse fatto] in frode alle loro ragioni».
Tale norma, che traduceva quasi alla lettera l’art. 1167 del codice francese, fece sorgere
anzitutto il dubbio, almeno in un primo tempo, se si trattasse di un’azione “esecutiva”
oppure “conservativa” (lo stesso dubbio, si ricorderà, si era posto per l’azione surrogatoria),
inducendo inizialmente a ritenere che il creditore dovesse avere agito in sede esecutiva, ivi
facendo constatare l’insolvenza del debitore medesimo, prima di essere legittimato ad im-
pugnare l’atto del debitore; solo successivamente si ammise che l’azione de qua potesse
essere esercitata dal creditore pur non munito di titolo esecutivo, ed anche per il credito
sottoposto a termine, essendo sufficiente provare il semplice pericolo di insolvenza. L’azione
assumeva quasi la natura di “strumento preventivo” o “cautelare”, preordinato all’eventuale
esecuzione.
Se ne è dedotto che, se alla sentenza sulla revocatoria sia seguita una condanna alle
spese, in caso di successivo disconoscimento dell’esistenza del credito ben potrebbero sia il
debitore sia i terzi, che si sono visti dichiarare “virtualmente” inefficace ed inopponibile
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bilità del rimedio quando il preteso creditore abbia già agito per conse-
guire la condanna della controparte al pagamento del credito ma abbia
visto rigettata la domanda con pronuncia passata in giudicato (16).
l’atto, ripetere quanto corrisposto a titolo di spese di lite e, ove la condanna alle spese fosse
in corso di esecuzione, dedurre il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza del credito
come fatto risolutivo dell’efficacia della sentenza sulla revocatoria e, quindi, della relativa
condanna nelle spese (Cass. 14 settembre 2007, n. 19289, ove anche l’enunciazione della
premessa per cui «L’accertamento che scaturisce dalla decisione di accoglimento della
revocatoria, in presenza di una situazione in cui il credito a favore del quale si vuole
conservare la garanzia patrimoniale è litigioso, è nella sostanza un accertamento di inoppo-
nibilità dell’atto dispositivo al creditore che, per lo stesso carattere strumentale della revo-
catoria rispetto alla conservazione della garanzia patrimoniale, ha natura condizionale, nel
senso che, qualora successivamente il creditore veda negata la sua qualità, i suoi effetti
sostanzialmente si risolvono, in quanto viene meno la possibilità di realizzazione degli effetti
di detto accertamento, cioè la possibilità per il creditore di esercitare la garanzia patrimo-
niale sui beni oggetto del negozio oggetto della revocatoria»).
(16) In tal caso, l’accertamento dell’inesistenza di un diritto fa sı̀ che non vi sia più
neppure un’aspettativa di credito da tutelare attraverso l’azione revocatoria, volta che nes-
suna pretesa creditoria sarà più in futuro utilmente esercitabile da parte del preteso attore
(v., in motivazione, Cass., sez. un., 17 dicembre 2008, n. 29421).
(17) Riconoscimento universale: cfr. da ult., ex professo, Cass. 15 febbraio 2011, n.
3676; QUATRARO, GIORGETTI e FUMAGALLI, Revocatoria ordinaria e fallimentare, cit., p. 369.
Questo è uno dei punti su cui, ovviamente, vengono a differenziarsi revocatoria ordinaria e
revocatoria esercitata nel fallimento, sia fallimentare ex art. 67 l. fall. sia ordinaria ex art. 66
l. fall.: anche nell’ambito dell’esecuzione concorsuale tuttavia, come si accennava supra, la
revocatoria esercitata e vittoriosamente condotta a termine da un creditore anteriormente
alla dichiarazione di fallimento del terzo revocato gioverà solamente al creditore che si sia
vittoriosamente attivato. Questi allora non sarà ammesso al concorso (non rientrando nel
ceto dei creditori del fallito), ma dovrà esperire le ordinarie azioni esecutive sul bene oggetto
dell’atto revocato (non diversamente da quanto accade in ipotesi di fallimento del terzo
datore di ipoteca: v. da ult. Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540).
(18) Per una peculiare declinazione del quale cfr. Cass. 7 gennaio 2016, n. 54, onde
risulta che la natura “a porte chiuse” del vincolo conseguente al sequestro conservativo, ove
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(23) Si ritiene conseguenza logica che l’azione revocatoria «produce i suoi effetti esclu-
sivamente in relazione ai crediti ovvero alle ragioni di credito sulla base dei quali l’azione
stessa viene esercitata. È infatti appunto in relazione a tali crediti o aspettative che si deve
accertare se l’atto impugnato abbia la capacità di determinare pregiudizio per le ragioni del
creditore, per cui il giudice deve tenere presenti appunto le specifiche ragioni di credito o gli
specifici crediti il cui soddisfacimento sarebbe pregiudicato dall’atto impugnato» (cosı̀,
testualmente, Cass. 26 febbraio 1986, n. 1220, citata da QUATRARO, GIORGETTI e FUMAGALLI,
Revocatoria ordinaria e fallimentare, cit., p. 394, ove la conclusione: «È assolutamente fuori
luogo la tesi del ricorrente principale che gli effetti dell’azione revocatoria si estenderebbero
a tutte le ragioni di credito che potrebbero essere pregiudicate dall’atto impugnato purché
sussistenti alla data di tale atto ed anche se non dedotte a base dell’azione revocatoria»).
(24) Sull’equivalenza funzionale della posizione del terzo revocato rispetto a quella del
terzo datore di ipoteca od acquirente dell’immobile ipotecato, v. anche CARNELUTTI, Diritto
e processo nella teoria dell’obbligazione, in Studi in onore di Chiovenda, Padova, 1927,
p. 299.
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(25) Che appunto si coordina alle esigenze di certezza del traffico giuridico in tanto in
quanto consente al terzo acquirente di “liberare il bene” dall’incombere dell’aggressione
esecutiva del creditore pagando il necessario alla soddisfazione del credito.
(26) Sembra spingersi anche oltre Cass. 14 maggio 2014, n. 10399, che esclude qua-
lunque vincolo – ancorché attenuato – al giudicato formatosi tra le parti del rapporto
obbligatorio: «il convenuto in revocatoria ha interesse a richiedere un accertamento sull’en-
tità del credito che sia efficace anche nei suoi confronti, allo scopo di ottenere che, nel caso
di accoglimento della domanda, l’atto di disposizione patrimoniale effettuato dal debitore in
suo favore sia dichiarato inefficace solo entro i limiti dell’effettivo importo del credito».
(27) La natura gratuita di tale atto, agli effetti dell’azione revocatoria, è ormai pacifica,
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art. 2645 ter c.c.: non rientrano invece nello spettro applicativo della
norma gli atti di costituzione di garanzia, con riguardo ai quali – come
supra si precisava – la tutela del creditore non si concreta nella possibilità
di un’aggressione esecutiva ultra partes del rapporto obbligatorio, quale è
prevista dall’art. 2929 bis c.c., bensı̀ nel diniego della prelazione del be-
neficiario nella fase distributiva che segue l’espropriazione, o al più nel-
l’azione recuperatoria del pagamento (28)).
La condizione è che si tratti di atti compiuti successivamente al sor-
gere del credito (29) e che il creditore, ovviamente già munito di titolo
esecutivo in relazione ad un credito specifico (30), proceda alla trascri-
zione del pignoramento entro l’anno dalla trascrizione dell’atto in the-
si pregiudizievole: dando vita omisso medio (per questo ci pare che
l’etichetta per saltum sia la più confacente all’istituto), ove venga in
questione un atto traslativo, ad un’espropriazione contro il terzo proprie-
come confermano già Cass. 18 marzo 1994, n. 2604; Cass. 8 agosto 2013, n. 19029; e da
ultimo Cass. 3 febbraio 2015, n. 3568 in tema di revocatoria fallimentare: a nulla rilevando i
tentativi di “nobilitarlo” in ossequio alle ragioni del sostentamento della famiglia.
(28) Onde non avrebbe senso la costruzione legislativa rispetto ad un bene che, co-
munque rimasto nel patrimonio del debitore, potrà essere ordinariamente pignorato “in via
diretta”, salva la controversia distributiva sulla spettanza della prelazione. In questo conte-
sto, l’esecuzione del pignoramento non verrebbe di per sé ad esprimere l’esercizio dell’in-
intentio revocatoria, e dovrebbe venire esplicitamente caricata di tale valenza dal creditore,
che – nell’atto di pignoramento, da accelerarsi innaturalmente entro un termine annuale –
verrebbe a dichiarare il proprio intento di negare titoli di prelazione di creditori in quel
momento non ancora intervenuti, ed altrettanto dovrebbe fare in sede di intervento nel
processo esecutivo in thesi promosso dal creditore prelatizio (in virtù di atto a titolo gra-
tuito): snaturando con ciò la natura di entrambi gli atti, che verrebbero caricati della
necessità di svolgere l’editio di una contestazione che dovrà comunque essere svolta in sede
distributiva (e pertanto non certo in sede di un’improbabile opposizione all’esecuzione,
quale contemplata dall’art. 2929 bis c.c.), ove si troverebbero calate incidenter le questioni
di revoca della garanzia. Non persuade pertanto la contraria opinione di Oberto, La revo-
catoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929 bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, Torino,
2015, p. 79 s.
(29) Dovendosi a tal riguardo aver presente che, per quanto attiene al fondo patrimo-
niale, la questione dell’anteriorità dovrà definirsi in funzione del momento in cui il fondo
viene annotato a margine dell’atto di matrimonio, non essendo sufficiente la trascrizione nei
registri immobiliari, essendo solo da tal momento che altresı̀ decorre il termine di prescri-
zione quinquennale per la proposizione della pauliana, ex art. 2903 c.c.: da ultimo Cass. 24
marzo 2016, n. 5889 (contra OBERTO, op. cit., p. 53; reputa che dovrebbe trarsi ragione,
dall’art. 2929 bis c.c., per un ripensamento della tematica anche TEDOLDI, Le novità in
materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83/2015 … in attesa della prossima puntata …, in
Corr. giur. 2016, p. 158).
(30) Onde appunto la conferma di quanto si diceva sul fatto che la legittimazione
pauliana è necessariamente connotata da “specialità” in relazione allo specifico creditovo-
cato a beneficiare dell’aggressione esecutiva condotta sui beni di un terzo extraneus rispetto
al rapporto obbligatorio.
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forzata, Torino 2011, passim; STORTO, La riforma del processo espropriativo e l’accertamento
anticipato dei crediti: nuove coordinate per un vecchio problema, in Rivista dell’esecuzione
forzata, 2007, p. 221 ss.; CAPPONI, La verificazione anticipata dei crediti nell’espropriazione
forzata: vecchie soluzioni, nuovi problemi, ivi, 2010, 329 ss. V. anche infra, nt. 48.
(34) Dalla natura gratuita degli atti dispositivi si può agevolmente desumere come
presunti ex lege i presupposti dell’eventus damni (che più che presunto ben può dirsi in
re ipsa: TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 155) e della scientia
damni, essendo difficilmente confutabile che il disponente fosse in grado di comprendere il
pregiudizio che andava ad arrecare al suo creditore allorché trasferiva a titolo gratuito o
“segregava” il bene. E cosı̀, in sede di conversione del d.l. n. 83/15, si è (peraltro apoditti-
camente: v. infra, nt. 38) riconosciuto che, «coerentemente con la presunzione di frode, è
prevista l’inversione dell’onere della prova», spettando al debitore, o a qualsiasi altro inte-
ressato, contestare l’assenza del requisito soggettivo della scientia damni.
(35) Consentendo al giudice della parentesi cognitiva di disporre la sospensione sulla
base di valutazioni riservate al giudice di merito in sede di impugnazione del titolo esecutivo,
si giungerebbe ad un contrasto con i principi cardine dell’opposizione esecutiva: in tale sede
(oppositiva) il debitore non può far valere le medesime doglianze che può (e deve) invece
sollevare dinanzi al giudice della causa di merito, ma solo quelle attinenti all’esistenza del
titolo esecutivo o, ad esempio, alla sua caducazione per fatti sopravvenuti al giudicato (ex
multis cfr. Cass. 30 novembre 2005, n. 26089; Cass. 18 aprile 2006, n. 8928: «con l’oppo-
sizione avverso l’esecuzione fondata su titolo giudiziale, il debitore non può sollevare ecce-
zioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili
esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo»).
(36) Questo porta alla conseguenza della possibile nascita di un conflitto per il caso –
invero improbabile, per quanto si è detto, ma ovviamente possibile – in cui l’opposizione
esecutiva venga accolta e nel frattempo la procedura esecutiva sia appunto proseguita
“ininterrotta”: il conflitto tra il beneficiario pignorato ed il soggetto risultato aggiudicatario
del bene andrà risolto a vantaggio di quest’ultimo, mentre il terzo acquirente, uscito “vitto-
rioso” dalla parentesi cognitiva dell’opposizione esecutiva (o che abbia visto il successo
dell’opposizione promossa dal debitore o da altro interessato), avrà unicamente diritto al
prezzo, venendo il bene acquistato “irrevocabilmente” dall’assegnatario mediante la vendita
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forzata (v. anche FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929 bis c.c., tra accelerazione delle
tutele creditorie e riflessioni sistematiche. Primo commento, in www.dobank.com/attach/Con-
tent/Menu_principale/5433/o/art.2929bis.pdf, p. 9 s.; contra PETRELLI, Pignoramento di beni
oggetto di vincoli di indisponibilità e di alienazioni gratuite, in www.gaetanopetrelli.it, p. 4;
TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 160; CAPPONI, La tecnica del by-
bypass applicata all’esecuzione forzata, cit., p. 63). Questa conclusione è veicolata in modo
univoco dal precedente delle Sez. Un. ove si è chiarito che perfino il sopravvenuto accerta-
mento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva
(circostanza resa oggetto di opposizione ex art. 615 c.p.c., entro la quale non sia stata
concessa l’inibitoria ex art. 624 c.p.c.) «non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pigno-
rato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità
alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo sia dimostrata la collu-
sione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell’ese-
cutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale
danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al proce-
dimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo» (Cass., sez. un., 28 novembre 2012, n.
21110; nella giurisprudenza successiva cfr., ex multis, Cass. 27 agosto 2014, n. 18312; e
Cass. 13 marzo 2014, n. 5796).
Anche a voler cercare una qualche tutela per il terzo proprietario, questa non è certo
rinvenibile negli artt. 619 c.p.c. (che disciplina l’opposizione di terzo) e 2921 c.c. (che
prevede la “rivendica” del bene, ossia l’evizione dell’assegnatario), trattandosi di norme a
cui può far ricorso unicamente il soggetto terzo estraneo al processo esecutivo: qualifica,
questa, non attribuibile all’avente causa a titolo gratuito pignorato, il quale, all’evidenza,
partecipa in qualità di parte alla procedura introdotta ex art. 2929 bis c.c.
(37) Riteniamo infatti inevitabile che tale presupposto debba continuare ad essere
accertato in un giudizio ordinario di cognizione promosso dal creditore, e non in un giudizio
mosso dall’iniziativa “repressiva” del terzo inopinatamente pignorato, pur avendo acquistato
formalmente a titolo oneroso, entro le maglie di un’opposizione esecutiva. Il legislatore
d’altronde, abbiamo visto, consente la revocatoria per saltum solo ove i presupposti della
legittimazione risultino, a termini di diritto sostanziale, pressoché scontati, se non in re ipsa:
la declaratoria di simulazione relativa di un negozio (potenzialmente idonea a sfociare in
nullità del negozio ove la donazione dissimulata difetti della forma pubblica assistita dai due
testimoni), richiede invece un accertamento che non può essere “aggirato” per tramite di
una mera asserzione del creditore pignorante.
Tale accertamento di simulazione relativa, nel caso dell’actio pauliana – ove non è data
questa “scorciatoia” al creditore –, potrà anche concorrere con il petitum revocatorio: si
tratta bensı̀ di domande diverse, per contenuto, ma funzionalmente coordinate al medesimo
obiettivo di tutela del creditore (non cosı̀ invece la domanda di simulazione assoluta, che,
postulando che il bene sia rimasto nel patrimonio del debitore, è concettualmente incom-
patibile con la revocatoria, “assorbendone” l’utilità: onde si può desumere che il pignora-
mento diretto ex art. 2929 bis c.c. sia a propria volta del tutto incompatibile rispetto
all’iniziativa di un creditore che prospetti l’ipotesi della simulazione assoluta dell’atto di
disposizione).
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In tal senso sono orientati tutti i commentatori della novella: cfr. PETRELLI, op. cit., p. 6;
RIZZI, L’art. 2929 bis c.c.: una nuova tutela per il ceto creditorio, in www.federnotizie.it/lart-
2929-bis-c-c-una-nuova-tutela-per-il-ceto-creditorio/, par. 2; FRANCO, La novella codicistica del-
l’art. 2929 bis c.c., cit., p. 1 s., nt. 4; TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit.,
p. 156; CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), cit., p. 69; OBERTO,
Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 62 s., per il quale l’atto di precetto non sarebbe
strumento compatibile con l’allegazione della simulazione o della nullità del trasferimento,
anche alla luce degli oneri probatori che una tale allegazione richiede. Conseguentemente il
terzo acquirente, “aggredito” con pignoramento diretto, potrà ricorrere all’opposizione di
terzo di cui all’art. 619 ss. c.p.c. (invocando quel titolo dominicale che, in questo caso, non
risulterebbe affatto depotenziato né dagli effetti della sentenza costitutiva né dall’inefficacia
temporanea ex lege disposta dall’art. 2929 bis c.c.), producendo in giudizio l’atto di vendita
od altro titolo idoneo ad escludere (quanto meno formalmente) la gratuità dell’acquisto.
Ancora, proprio alla luce della peculiarità del rimedio per saltum garantito al creditore,
si è ritenuto di dover ulteriormente escludere, tra le fattispecie riconducibili all’ambito di
applicazione della norma, le c.d. “liberalità indirette”, e più in generale tutti gli atti privi di
quella “gratuità” che giustifica il ricorso alla tutela esecutiva omissa sententia pauliana (v.
OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 86 ss.). Peraltro, la recente prassi – indotta
da ragioni fiscali e di tracciabilità dei pagamenti – di far risultare formalmente la prove-
nienza da terzi dei mezzi di pagamento del corrispettivo di un trasferimento immobiliare,
potrebbe indurre a ravvisare nelle donazioni indirette delle liberalità “palesi” suscettibili in
astratto, come tali, di consentire ai creditori di chi abbia messo a disposizione la provvista di
aggredire in executivis il bene presso il beneficiario con il pignoramento diretto ex art. 2929
bis c.c. Un’apertura sull’ammissibilità della revocatoria di donazioni indirette la si ritrova in
Cass., 23 maggio 2014, n. 11491, nella prospettiva della proposizione di un’azione risarci-
toria o di recupero del prezzo (trattandosi, nel caso di specie, di azioni di una cooperativa
non suscettibili di aggressione esecutiva).
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(38) Il che in realtà depotenzia la problematica circa il riparto dell’onere probatorio (v.
anche TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 155): fermo restando che,
entro la struttura concepita dal legislatore con l’inversione dell’onere di iniziativa, è ragio-
nevole ammettere che – di fronte all’opposizione di uno dei soggetti legittimati – sia sempre
il creditore procedente ad essere gravato dal “rischio della mancata prova” dei requisiti
sostanziali della pauliana: al pari di quanto oramai prevalentemente si ritiene, anche in
giurisprudenza, per le azioni di accertamento negativo in genere (cfr. di recente Cass. 31
ottobre 2013, n. 24568; Cass. 4 ottobre 2012, n. 16917; Cass. 10 novembre 2010, n. 22862;
nonché da ult., nel senso che – nel giudizio di opposizione di merito all’esecuzione – ove il
quantum del credito non risulti dal titolo esecutivo, essendo questo costituito da un’ipoteca
iscritta a garanzia di uno scoperto di conto corrente, l’onere della prova dell’esistenza e
dell’ammontare della pretesa gravi sul creditore opposto, Cass., 25 marzo 2016, n. 10752). In
senso contrario a siffatta “suggestione” v. tuttavia CAPPONI, La tecnica del bypass applicata
all’esecuzione forzata), cit., p. 66.
(39) A tal riguardo meritano attenzione particolare le alienazioni dipendenti da accordi
patrimoniali raggiunti tra i coniugi in sede di separazione personale o di divorzio. Nello
specifico, negli atti conclusi dai coniugi in sede di separazione o divorzio non è ravvisabile
né la causa liberale tipica delle donazioni, e nemmeno una causa meramente gratuita (cosı̀
ampiamente OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 100 ss.; RIZZI, L’art. 2929 bis
c.c., cit., par. 2; VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929 bis c.c., in
Riv. esecuz. forzata 2016, p. 595): si tratta di situazioni in cui la volontà dei coniugi è quella
di regolare e definire i rapporti patrimoniali matrimoniali, a seguito del venir meno del-
l’affectio maritalis, quando al regolamento di tali rapporti si intende condizionare la defini-
zione consensuale della crisi coniugale o di una fase di questa. Del resto anche in dottrina ed
in giurisprudenza, ove erano sorti dubbi circa la causa propria di tali atti, è prevalsa la tesi
dell’esclusione della loro gratuità, ferma peraltro la loro revocabilità. Anche poi volendo
ravvisare una causa gratuita, questa, non essendo evidente e certa – come invece per le
alienazioni soggette al nuovo art. 2929 bis c.c. –, dovrebbe essere accertata in un giudizio di
merito a cognizione piena, e non entro le strette maglie dell’opposizione esecutiva di cui
all’art. 615 c.p.c. (si veda ad esempio Cass. 10 aprile 2013, n. 8678, in motivazione, per cui
«le attribuzioni di beni mobili o immobili disposte, nell’ambito di accordi di separazione
personale, da un coniuge in favore dell’altro rispondono, di norma, ad un intento di siste-
mazione dei rapporti economici della coppia che sfugge, da un lato, alle connotazioni di una
vera e propria donazione (di per sé estranea ad un contesto caratterizzato dalla dissoluzione
delle ragioni di affettività), e dall’altro a quelle di un atto di vendita (non fosse altro che per
l’assenza di un prezzo corrisposto), e svela, dunque, una sua tipicità, che può colorarsi dei
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tratti propri dell’onerosità o della gratuità a seconda che l’attribuzione trovi o meno giu-
stificazione nel dovere di compensare e/o ripagare l’altro coniuge del compimento di una
serie di atti a contenuto patrimoniale, anche solo riflesso, da questi posti in essere nel corso
della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale»).
(40) Giurisprudenza costante: Cass. 12 aprile 2013, n. 8936, per cui «il terzo che, in
pendenza di esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, abbia
acquistato a titolo particolare il bene pignorato, soggiace alla disposizione di cui all’art. 2913
c.c., che, sancendo l’inefficacia verso il creditore procedente ed i creditori intervenuti delle
alienazioni del bene, impedisce che egli (il terzo) succeda nella posizione di soggetto passivo
dell’espropriazione in corso, e quindi, che sia legittimato all’opposizione all’esecuzione di cui
all’art. 615, co. 2, c.p.c.» (v. anche Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703; Cass. 12 aprile 2010, n.
15400). Il terzo dunque, eventualmente, ove ne ricorrano i requisiti, potrà al massimo
proporre un’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. per far valere la inesistenza o nullità
della trascrizione del pignoramento (Cass. 26 luglio 2004, n. 14003; Cass. 18 luglio 2006, n.
16440).
(41) Contra, nel senso che dalla norma novellata non possa farsi discendere un’ipotesi
di inefficacia legale, FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929 bis c.c., cit., p. 5: l’affer-
mazione è a nostro avviso condivisibile nella sua assolutezza, ma per converso non può
negarsi che vi sia un’attenuazione degli effetti traslativi non riducibile ad un fenomeno
puramente processuale (che l’A. descrive in termini di antergazione degli effetti del pigno-
ramento: ipotesi che costituirebbe un vero monstrum nella sistematica degli artt. 2911 ss.
c.c.). Nel senso del testo, ossia dell’introduzione di un’ipotesi di inefficacia “temporanea e
relativa” ex lege degli atti di disposizione a titolo gratuito o di segregazione, v. anche RIZZI,
L’art. 2929 bis c.c.: una nuova tutela per il ceto creditorio, cit., Introduzione.
(42) Con ciò si comprova altresı̀ come non sia possibile immaginare, nella revocatoria
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Ciò induce conclusivamente a condividere le tesi per cui la nuova tutela del ceto creditorio
introdotta dall’art. 2929 bis c.c. si applichi esclusivamente con riguardo agli atti costitutivi di
vincoli o di alienazione a titolo gratuito posti in essere a partire dal 27 giugno 2015, ossia
dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 83/15.
(44) Anche qui dunque ritroviamo la prova della generale natura ancillare della norma
processuale rispetto alla realtà sostanziale, e di come i rimedi processuali si configurino in
funzione di questa.
(45) In tal senso v. anche OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 56.
Nulla peraltro dirà al riguardo la sentenza, nelle ipotesi in cui la vittoriosa contestazione
del debitore avrà avuto ad oggetto l’anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo ovvero
l’infra-annualità dell’esercizio dell’azione esecutiva, o ancora la non esperibilità della revo-
catoria per saltum per ragioni di diritto transitorio.
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Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 16). Tra queste rileveranno in particolare i creditori
titolari di credito nei confronti del disponente risultante dalle scritture contabili obbligato-
rie, nonché i creditori che abbiano ottenuto un sequestro conservativo nei confronti del
dante causa trascritto sul bene alienato o segregato ed i creditori muniti di ipoteca sul bene
alienato o segregato: questi ultimi potrebbero certo vantare l’inefficacia nei loro confronti
dell’atto dispositivo, tuttavia – se ed in quanto ancora privi di titolo esecutivo – rischiereb-
bero di veder comunque procedere ed ipoteticamente concludersi l’espropriazione forzata
promossa da altro creditore autore di “pignoramento diretto”, senza poter far valere il titolo
deputato a rendere comunque inefficace l’atto dispositivo nei loro confronti.
(48) A differenza di quanto accade d’ordinario, l’intervento ex art. 2929 bis, comma 1˚,
ult. parte, c.c. non costituisce pertanto un mero atto di esercizio della azione satisfattiva, ma
intrinsecamente squaderna la pretesa revocatoria. Pertanto la previsione normativa non
porta con sé alcuna deroga al principio per cui la revocatoria crea un vincolo “a porte
chiuse”: qui, in realtà, si realizza un litisconsorzio attivo tra creditori che tutti esercitano, per
saltum, il potere revocatorio tramite promuovimento od accessione al processo esecutivo
(contra, con tesi strutturalmente e funzionalmente ingiustificata, TEDOLDI, Le novità in
materia di esecuzione forzata, cit., p. 158; VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria,
cit., p. 589 s.).
(49) Approdo sicuro: per tutti v. OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 49.
(50) Non dovrebbe invece porre particolari problemi il caso del concorso tra creditore
pignorante diretto e creditore che abbia titolo per soddisfarsi esecutivamente sui beni
costituiti in patrimonio separato: si tratta infatti pur sempre di creditori del medesimo
soggetto (per quest’ipotesi non si contempla infatti, nel comma 2˚ dell’art. 2929 bis c.c.,
un’espropriazione contro il terzo proprietario), che concorreranno secondo par condicio,
salve eventuali legittime cause di prelazione.
Al riguardo dei creditori aventi titolo per soddisfarsi sui beni costituiti in patrimonio
separato, deve darsi conto di una tendenza sempre più diffusa, in giurisprudenza, ad
attenuare gli effetti della costituzione del fondo patrimoniale, qualificandosi come crediti
contratti per i bisogni familiari anche quelli connessi all’attività imprenditoriale o professio-
nale del coniuge, nella misura in cui questa attività sia funzionale al soddisfacimento dei
bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed
all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavo-
rativa o per il soddisfacimento del tenore di vita familiare, salve le sole esigenze di natura
voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (v. Cass. 23 novembre 2015,
n. 23876; Cass. 24 febbraio 2015, n. 3738; Cass. 11 luglio 2014, n. 15886). L’onere di
allegare e provare che il debito sia stato contratto per uno scopo estraneo ai bisogni della
famiglia, e che il creditore fosse a conoscenza di tale circostanza, grava comunque sul
coniuge che si opponga all’esecuzione o agli atti prodromici dell’esecuzione, quale può
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essere l’iscrizione di ipoteca giudiziale ovvero dell’ipoteca fiscale ex art. 77 d.p.r. n. 602/73
(v. da ult. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1652).
(51) Per il cui rispetto si dovrà necessariamente guardare alla data del deposito dell’atto
d’intervento.
(52) Senza necessariamente ricorrere alla brutale livella del vigilantibus, non dormienti-
bus iura succurrunt. Reputa peraltro che il creditore che azioni la pauliana nelle forme
ordinarie, pur potendo procedere a pignoramento diretto, si renda responsabile di abuso
del processo e lite temeraria, non persuasivamente (anche il creditore che abbia lasciato
decorrere il termine annuale?), TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit.,
2016, p. 156).
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(53) Come si diceva, l’intervento ex art. 2929 bis, comma 1˚, ult. parte, c.c. intrinseca-
mente squaderna la pretesa revocatoria: come tale è sin da subito suscettibile di opposizione
da parte del debitore, del terzo acquirente o di ogni altro interessato, in base al comma 3˚, in
deroga al principio del tendenziale rinvio al momento della fase distributiva delle opposi-
zioni ex art. 615 c.p.c. nei confronti dei creditori intervenuti che (si siano limitati all’inter-
vento senza esercitare l’azione espropriativa, e cosı̀) non abbiano compiuto atti del proce-
dimento (v. per tutte Cass. 8 maggio 1991, n. 5146), ovvero fin tanto che non venga meno il
titolo del procedente (che, ex se, non caduca la procedura ove siano intervenuti altri
creditori titolati, ma “trasla” in capo a questi il potere d’impulso: cfr. Cass., sez. un., 7
gennaio 2014, n. 61, commentata ex ceteris da CAPPONI, Le Sez. Un. e l’«oggettivizzazione»
degli atti dell’espropriazione forzata, in Riv. dir. proc., 2014, p. 496 ss., e da PILLONI, L’ese-
cuzione forzata: tra oggettivizzazione degli atti esecutivi ed esigenze di efficienza della giuri-
sdizione esecutiva, in Rivista dell’esecuzione forzata, 2014, p. 301 ss.).
L’intervento per saltum apre in ogni caso con la stessa intensità del pignoramento
diretto – e tanto più se operato entro una procedura esecutiva avviata dai creditori del
terzo acquirente (v. infra) – la questione circa la sussistenza dei presupposti della legittima-
zione revocatoria (oltre che degli specifici requisiti di infrannualità ed anteriorità del credi-
to), determinando con ciò una pendenza “latente” del relativo petitum e radicando sin dalla
sua effettuazione l’interesse del debitore esecutato all’opposizione per contestare la revoca-
toria, e la conseguente legittimazione passiva del creditore intervenuto.
(54) Lungi dal determinare la cessazione della materia del contendere sulla pauliana,
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come pretende OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 54 ss. Esito che non consi-
dera come il “venir meno dell’interesse”, suscettibile di portare alla pronuncia di cessazione,
deve essere oggettivo e concernere entrambe le parti del rapporto processuale: invece, nel
caso di pauliana seguita da pignoramento diretto, non vi è alcun venir meno oggettivo delle
ragioni del contendere (poiché le stesse potranno essere dispiegate nuovamente in sede di
opposizione esecutiva) e l’unico interesse che risulterebbe parimenti (se non più intensa-
mente) soddisfatto è quello del creditore, mentre resta del tutto priva di considerazione la
prospettiva del debitore.
(55) Da questa conclusione si trae ulteriore argomento per corroborare la tesi sostenuta
supra, nt. 43, in tema di diritto intertemporale. L’inammissibilità di optare per il pignora-
mento diretto, una volta promossa la pauliana, ha senso infatti ove il creditore abbia com-
piuto detta scelta avendo a disposizione tutte e due le alternative. Se invece il creditore
avesse promosso l’azione revocatoria ordinaria nei confronti di un atto di disposizione a
titolo gratuito del proprio debitore, compiuto nell’anno precedente, prima del 27 giugno
2015, si vedrebbe preclusa la via dell’intervento (a termini dell’art. 2929 bis, comma 1˚, ult.
frase, c.c.) e rimarrebbe involontariamente destinato a postergazione rispetto a chi abbia
invece promosso detto pignoramento diretto, successivamente al 27 giugno 2015, nei con-
fronti di un atto compiuto anteriormente. Questa evenienza si eviterebbe ove – appunto –
congruamente si ritenga la norma applicabile solamente agli atti di disposizione a titolo
gratuito o di segregazione trascritti successivamente al 27 giugno 2015. Solo in tal caso il
creditore che abbia optato per l’esercizio della pauliana rimarrebbe postergato per il fatto di
non aver – consapevolmente o comunque colpevolmente – voluto approfittare della tutela
offerta ex novo dal legislatore, nel paralizzare l’efficacia dispositiva degli atti di disposizione
a titolo gratuito appunto esclusivamente pro futuro.
(56) Cosı̀ anche CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), cit., p.
68; PICCOLO, Modifiche del processo esecutivo, cit., punto VII.2.
(57) Cui tende ad affidarsi OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 49 s., che
muove dall’esclusiva considerazione dell’art. 2915, comma 2˚, c.c., salvo a concludere in
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dato sistematico ricavabile con quanto disposto dall’art. 1416, comma 2˚,
c.c., suscettibile di estensione analogica non da ultimo per l’identità di
disciplina ricavabile dagli artt. 1415, comma 2˚, e 2901, comma 4˚, c.c.,
per un verso, e dai nn. 4 e 5 dell’art. 2652 c.c., per altro verso. Come per
l’ipotesi di esercizio della pauliana, nemmeno nel caso in cui la trascrizione
della intentio revocatoria (sia tramite domanda, sia tramite pignoramento
diretto) sia stata preceduta dalla trascrizione del pignoramento (atto che,
in quanto tale, non dà alcun diritto di prelazione) vi sarà paritario con-
corso tra il creditore revocante ed i creditori dell’acquirente, ove il credito
sia sorto in data anteriore all’atto fraudolento (58) (ciò che accadrà per
definizione nel caso avuto presente dall’art. 2929 bis c.c.). Nel caso in
cui invece i creditori dell’avente causa abbiano iscritto ipoteca prima della
trascrizione del pignoramento diretto, il conflitto si risolverà secondo i
criteri di cui all’art. 2901, comma 4˚, c.c., corrisposto dalle previsioni
dell’art. 2652, n. 5, c.c., che danno prevalenza ai soli terzi aventi causa a
titolo oneroso ed in buona fede (59).
senso opposto in ossequio ad una presunta ratio legis in base alla quale «non sembra avere
molto senso, da un lato, attribuire al creditore del dante causa le facoltà concesse dalla
riforma del 2015, per poi farlo soccombere, dall’altro, nel conflitto con i creditori dell’avente
causa a titolo gratuito». Sulla ratio della prevalenza assegnata dall’art. 1416, comma 2˚, ai
creditori anteriori del simulato alienante, v. ORESTANO, in Commentario del c.c. diretto da
Gabrielli, Dei contratti in generale, Artt. 1387-1424, Torino 2012, 480 s.; NICOLÒ, La
trascrizione, III, Milano 1973, 106 s., che ammette una deroga all’art. 2915, comma 2˚,
c.c.; sul senso di tale prevalenza, da apprezzarsi nell’ottica di una collocazione preferenziale
in sede di riparto, v. ANDRIOLI, Profili processuali della nuova disciplina della simulazione, in
Studi in onore di Redenti, II, Milano 1951, 451 ss. Raccomanda invece cautela sulla “espor-
tazione” di soluzioni accolte con riferimento alla pauliana rispetto alla “azione esecutiva
speciale” di cui all’art. 2929 bis c.c., CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione
forzata), cit., p. 68 s.
(58) V. PETRELLI, Pignoramento di beni oggetto di vincoli di indisponibilità e di aliena-
zioni gratuite, cit., p. 7.
(59) V. in tal senso PETRELLI, op. cit., p. 5, ad avviso del quale questa conclusione si
impone a fortiori rispetto all’ipotesi di simulazione, poiché i creditori dell’avente causa
hanno invero visto sin da subito che l’atto era a titolo gratuito e ben potevano attendersi,
pertanto, una reazione ed un pignoramento diretto da parte di un creditore del dante causa.
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SOMMARIO: 1. Nuove disposizioni in materia di bonifica, come contributo alla crescita del
Paese ed alla green economy: in particolare, l’introduzione dello strumento della
transazione nel codice dell’ambiente. – 2. Il ricorso alle transazioni ambientali nella
prassi applicativa. – 3. Il primo intervento normativo in materia di transazioni (art. 2
d.l. n. 208/08). – 4. Le ragioni dell’intervento d’urgenza: i Siti di Interesse Nazionale
e il criterio di imputazione dei costi. – 5. L’impasse delle bonifiche e la prima
proposta di “transazione globale”. – 6. Dalla logica dell’emergenza alla logica di
sistema. – 7. Il nuovo art. 306 bis: l’ambito di applicazione e il potere di iniziativa.
– 8. Il procedimento di formazione del contratto. – 9. Il contenuto della proposta
transattiva. – 10. Un nuovo modello di transazione ambientale orientata al ripristino.
– 11. Segue: la transazione, nel quadro degli strumenti di partecipazione nei Siti
inquinati di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale. – 12.
Gli effetti del contratto. – 13. Disposizioni in materia di interventi di bonifica di
amianto (rinvio).
NLCC 3/2016
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Per tutte queste ragioni, la norma è stata salutata con favore nei
primi articoli di commento (2). Una riflessione più approfondita tuttavia
si impone, per comprendere il senso (ed i limiti) delle innovazioni intro-
dotte.
(2) Cfr. LATOUR, Bonifiche – Con il collegato ambientale transazioni lampo per chiudere i
contenziosi, in Il sole24ore, 12 novembre 2015.
(3) C. POLIDORI, La transazione in materia di appalti pubblici, in Corr. merito, 2009,
p. 941.
(4) È d’obbligo ricordare il saggio di GUICCIARDI, Le transazioni degli enti pubblici, in
Arch. dir. pubbl., 1936, pp. 64 e 205, che propendeva già per una ampia utilizzazione
dell’istituto. Il tema è ripreso da G. GRECO, Contratti e accordi della pubblica amministra-
zione con funzione transattivi (appunti per un nuovo studio), in Dir. amm., 2005, p. 223.
(5) CHIRULLI e P. STELLA RICHTER, voce Transazione (dir. amm.), Enc. dir., XLIV,
Milano, 1992, p. 867. Vedremo più avanti quanto questo sia vero nello specifico campo
delle bonifiche.
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(6) La transazione, firmata nel marzo del 1999, attribuiva allo Stato italiano un risarci-
mento complessivo pari a 117 miliardi e 600 milioni di lire, con rinuncia di ogni ulteriore
richiesta formulata in giudizio. Cfr. ALBERTON, La quantificazione e la riparazione del danno
ambientale nel diritto internazionale e dell’Unione Europea, Milano, 2011, p. 119 ss.
(7) Sul contenuto delle transazioni che hanno fatto seguito all’incidente di Seveso cfr.
POZZO (a cura di), Seveso trent’anni dopo: percorsi giurisprudenziali, sociologici e di ricerca,
Milano, 2008, p. 28 ss. Sul tema anche COMPORTI, Il danno ambientale e l’operazione
rimediale, in D’ADDA, NICONTRA e U. SALANITRO (a cura di), Principi europei e illecito
ambientale, Torino, 2013, p. 88, che mette in evidenza come la transazione ha successo
proprio nelle grandi catastrofi, in cui la gestione processuale di una pluralità di domande si
rivela costosa, anche in relazione agli esiti incerti e lontani nel tempo.
(8) Parere 18 maggio 2001, n. 426/01, in Foro it., 2003, III, p. 633 con nota di
GIRACCA, Brevi note in tema di contratto di transazione e azione di danno ambientale.
(9) Parere 15 gennaio 2003, n. 1/03/P, ibidem.
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(10) Ne dà conto P.A. DE SANTIS, La transazione in materia ambientale alla luce della l.
n. 13 del 2009 tra diritto privato e diritto pubblico, in Giur. merito, 2012, p. 2491 ss.
(11) La disposizione è commentata da: OGGIANU, ADR in materia ambientale: le tran-
sazioni globali (art.2 d.l.n.208/2008), in Ianus, 2010, p. 2; F. FONDERICO, Alla ricerca della
“pietra filosofale”: bonifica, danno ambientale e transazioni globali, in Giorn. dir. amm., 2009,
p. 917; SCARDINA, Sulla cd. transazione ambientale, in Riv. giur. amb., 2011, p. 203; MASTRO-
DONATO, Gli strumenti privatistici nella tutela amministrativa dell’ambiente, in Riv. giur.
amb., 2010, p. 707; LUCATI, “Transazioni globali” per il risarcimento del danno ambientale,
in Resp. civ., 2009, p. 285.
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(14) Secondo il disposto dell’art. 2 bis sono in ogni caso individuati come SIN i siti
interessati da attività produttive ed estrattive di amianto.
(15) Per quanto mi consta, le somme originariamente stanziate per gli interventi previsti
furono poi destinate alle spese per il terremoto dell’Aquila.
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(16) A differenza di quanto accadeva nel decreto Ronchi, la normativa è oggi chiara
nello stabilire che gli interventi effettuati dalla p.a. costituiscono onere reale sui siti conta-
minati. L’onere deve essere pubblicizzato ed indicato nel certificato di destinazione urbani-
stica. Le spese sostenute per gli interventi sono assistite da privilegio speciale immobiliare
sulle aree medesime e detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti
acquistati dai terzi (art. 253 c.c.).
La medesima disposizione inoltre prevede che il privilegio e la ripetizione delle spese
possono essere esercitate nei confronti del proprietario incolpevole solo in seguito a prov-
vedimento motivato dell’autorità competente che precisi l’impossibilità di accertare l’iden-
tità del soggetto responsabile o l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di
quest’ultimo. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere
tenuto a rimborsare le spese solo nei limiti del valore di mercato del sito, determinato a
seguito dell’esecuzione degli interventi di bonifica. Laddove infine il proprietario abbia
volontariamente attivato la procedura e sostenuto il relativo costo potrà rivalersi sul respon-
sabile. Il tema è trattato da U. SALANITRO, La bonifica dei siti contaminati nel sistema della
responsabilità ambientale, Colloqui in ricordo di M. Giorgianni, Napoli, 2007, p. 967.
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(17) A livello europeo esiste soltanto, da tempo, una proposta di direttiva quadro per la
protezione del suolo, doc. COM(2006)232 def. In tale proposta si mette in evidenza (21˚
considerando) come “i trascorsi processi di industrializzazione abbiano lasciato in eredità
migliaia di siti contaminati, per i quali sarebbe necessario adottare una strategia comune per
la decontaminazione, che ne prevenga e mitighi gli effetti dannosi per la salute umana e
l’ambiente”. Quanto ai costi, la proposta di direttiva richiama il principio “chi inquina
paga”, precisando tuttavia che “per i siti contaminati per i quali non è possibile risalire al
responsabile dell’inquinamento oppure questi non può essere ritenuto responsabile a norma
del diritto nazionale o comunitario o ancora non è possibile imputargli i costi della bonifica
(cosiddetti siti orfani) la responsabilità di ridurre il rischio per la salute umana e per
l’ambiente incombe sugli Stati membri interessati, che devono a tal fine istituire un mecca-
nismo di finanziamento specifico” (28˚ considerando).
(18) Corte giust., grande sez., 9 marzo 2010 (causa 378/08). In sintesi, la Corte ha
chiarito che: 1) quando un danno sia stato causato da operatori attivi nei settori dell’energia
e della chimica si tratta di attività comprese nell’allegato della direttiva, dunque per essi vale
un criterio di responsabilità oggettiva; 2) la responsabilità oggettiva implica sempre l’accer-
tamento del nesso di causalità; 3) il nesso causale può essere ritenuto esistente anche per
presunzioni, in presenza di indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore
all’inquinamento e la corrispondenza tra attività svolte e sostanze inquinanti ritrovate; 4) gli
operatori non sono tenuti a sostenere i costi delle misure di riparazione quando sono in
grado di dimostrare che i danni sono opera di un terzo. Il principio chi inquina paga, infatti,
non implica che gli operatori debbano farsi carico di danni ai quali non hanno contribuito,
confermando il ruolo strategico ma non esaustivo della responsabilità civile, che non co-
stituisce strumento inidoneo quando il nesso causale non può essere accertato ed allorché si
tratti di amministrare danni diffusi. Sul tema sia consentito rinviare al mio Il principio chi
inquina paga e il costo delle bonifiche, in Impresa e Mercato. Studi dedicati a Mario Libertini,
Milano, 2015, III, p. 1887.
(19) La prassi di rivolgersi ai proprietari delle aree aveva trovato riscontro in un
discutibile orientamento della giurisprudenza amministrativa che, a fronte di un testo legi-
slativo ormai sufficientemente chiaro, ha continuato a ritenere il proprietario responsabile,
richiamando gli obblighi di custodia ex art. 2051 c.c. o, più spesso, evidenziando come tale
soggetto non sia immune dal coinvolgimento nelle procedure in materia di bonifica, dal
momento che deve adottare misure di prevenzione (artt. 242 e 254 c.a.) e può attivare
volontariamente la procedura (art. 245 c.a.). Tar Lazio 14 marzo 2011, n. 2263, in www.giu-
stizia-amministrativa.it. Tar Lazio 10 luglio 2012, n. 6251, in www.giustizia.amministrati-
va.it. Contra Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971, in Riv. giur. amb., 2003, p. 806
(nota di DE CESARIS); Cons. Stato 16 giugno 2009, n. 3885, in Urb. e app., 2009, p. 1328.
Tale lettura è stata oggi disattesa da una pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato che, al fine di fugare ogni ulteriore dubbio, ha invocato anche un intervento chiari-
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ficatore della Corte di giustizia. Il Consiglio di Stato (sez. VI, 26 giugno 2013, n. 3515 e sez.
VI, 21 maggio 2013, n. 2740, in www.reteambiente.it) ha rimesso all’Adunanza plenaria la
questione se, in base al principio chi inquina paga, la p.a. possa imporre al proprietario di
un’area inquinata che non sia anche l’autore dell’inquinamento l’obbligo di realizzare gli
interventi di bonifica. L’ad. plen. (ord. n. 21 del 25 settembre 2013, in www.ambientedi-
ritto.it) ha optato per l’interpretazione negativa, procedendo a una corretta lettura del dato
normativo, rinviando però la questione interpretativa alla Corte di giustizia. La risposta della
Corte, del 4 marzo 2015 (causa 534/13) mette la parola fine a tale questione, affermando che
il diritto europeo non osta ad una normativa nazionale in base ala quale, nell’ipotesi in cui
sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione, non consente all’autorità
competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprie-
tario non responsabile della contaminazione.
(20) Valga per tutti l’esempio del SIN di Priolo: dopo un primo accordo di programma
stipulato nel 2004 che prevedeva un certa tipologia di interventi, l’attenzione della p.a. si è
spostata sul risanamento dell’intera rada di Augusta per la realizzazione di un hub portuale,
con conseguente modifica delle tecniche di intervento. Il Tar, nel 2012, ha ritenuto che la
p.a. abbia agito unilateralmente, modificando in modo radicale alcuni progetti in preceden-
za approvati dalla stessa p.a., non abbia fatto ricorso ad una previa valutazione di impatto
ambientale, ed abbia inoltre ingiustamente subordinato la possibilità per le ricorrenti di
disporre dei loro siti industriali alla condizione di realizzare detti lavori. Profili di illegitti-
mità evidenziati anche nel contributo interpretativo della Corte di giustizia, grande sez., 9
marzo 2010 (causa 379/08), in www.ambientediritto.it. Forse anche in considerazione di
questi problemi il Collegato ambientale reca, all’art. 78, alcune modifiche alla normativa
preesistente in materia di dragaggio.
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(21) Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli
interventi e i profili di illegalità (doc. XXIII, n. 14), 12 dicembre 2012.
(22) Ma numerosi sono gli esempi anche in altre aree. Un quadro completo nella
Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi
e i profili di illegalità, cit., p. 92 ss.
(23) Trib. Torino 8 luglio 2008, n. 4991, inedita.
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(24) Cosı̀ ancora nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi
nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità, cit.
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Europeo e del Consiglio sulla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno,
in Riv. giur. amb., 2006, p. 1; ID., La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, in
Riv. giur. amb., 2010, p. 1 e Il recepimento della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità
ambientale in Germania, Spagna, Francia e Regno Unito, in Riv. giur. amb., 2010, p. 207.
GIAMPIETRO (a cura di), La responsabilità per danno all’ambiente: l’attuazione della direttiva
2004/35/CE, Milano, 2006; M. FRANZONI, Il nuovo danno all’ambiente, in Resp. civ., 2009,
p. 785; U. SALANITRO, Il danno ambientale, Roma, 2009; E. GALLO, L’evoluzione sociale e
giuridica del danno ambientale, in Amministrare, 2010, p. 261. Con particolare riferimento ai
criteri di riparazione del danno PATTI, La quantificazione del danno ambientale, in Resp. civ.,
2010, p. 485; GIAMPIETRO, Danno ambientale: breve disamina degli eterogenei criteri di
risarcimento, in Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 811. Tiene conto delle novità apportate dalla
novella del 2009 (oggi abrogata) U. SALANITRO, La quantificazione del danno ambientale, in
Danno e resp., 2010, p. 57.
(32) La direttiva fornisce anche alcuni parametri per identificare e scegliere la misura di
riparazione più appropriata (primaria, complementare o compensativa). Le diverse opzioni
dovrebbero essere valutate secondo le migliori tecnologie disponibili e sulla base di una serie
di criteri espressamente indicati, che vanno dall’effetto di ciascuna opzione sulla salute e
sulla sicurezza pubblica, ai relativi costi di attuazione, alle probabilità di successo, ecc.
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(33) Si rinvia per un esame più dettagliato della fattispecie a DEL PRATO, voce Transa-
zione (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 813 ss.; M. FRANZONI, La transazione,
Padova, 2001.
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(34) Cosı̀, ad esempio, il progetto REMEDE (Resources Equivalency Methods for As-
sessing Environmental Damage in the EU) finanziato nell’ambito del sesto programma qua-
dro e finalizzato alla ricerca e allo sviluppo di precise metodologie di quantificazione del
danno ambientale. Lo scopo è quello di fornire uno strumentario, che le autorità nazionali
competenti dovrebbero adoperare nella determinazione delle misure di riparazione com-
plementari e compensative. Sul progetto www.envliability.eu. In particolare per condurre
un’analisi di equivalenza vengono descritte le seguenti fasi: a) valutazione preliminare:
comprende la raccolta dei dati disponibili, l’individuazione delle opzioni di riparazione, la
determinazione del livello adeguato di analisi e dell’impegno di valutazione; b) determina-
zione e quantificazione del danno (debito): comprende la determinazione delle cause del
danno, la scelta di una o più metriche per la valutazione del danno, ivi comprese le perdite
transitorie, la determinazione e quantificazione delle condizioni originarie, la valutazione
dell’esposizione al danno, le caratteristiche delle risorse e dei servizi danneggiati, la deter-
minazione dei benefici della riparazione primaria; c) determinazione e quantificazione dei
benefici tratti dalla riparazione (credito): comprende l’individuazione delle opzioni di ripa-
razione, la scelta delle opzioni più appropriate e praticabili, in base ai criteri stabiliti nel-
l’allegato 2 della direttiva, la stima dei benefici derivanti dalla compensazione applicando le
stesse metriche impiegate nella fase 2; d) valutazione delle azioni di riparazione: comprende
la determinazione dell’importo totale della riparazione, la stima dei costi della riparazione; e)
monitoraggio e rendicontazione: comprende la stesura di un piano di riparazione (obiettivi
generali, impostazioni, obiettivi specifici) e il monitoraggio dell’attuazione del piano stesso.
Per una comparazione tra il modello di riparazione statunitense e quello europeo
ALBERTON, La quantificazione e la riparazione del danno ambientale nel diritto internazionale
e dell’Unione europea, Milano, 2011.
(35) D’ADDA, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in
Principi europei e illecito ambientale, cit., p. 50.
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riflesso di quella europea, finisce col partecipare, oltre che dei pregi, dei
suoi stessi limiti.
In definitiva, solo l’applicazione concreta, accompagnata da una sem-
pre maggiore esperienza nel settore, potrà dirci se la riforma ha avuto un
senso e se davvero la composizione stragiudiziale delle controversie si
muoverà nel senso del ripristino o se continuerà, come nel passato, a
fungere da strumento per “fare cassa”.
(37) Siti individuati entro il 30 aprile 2007. Con esclusione delle aree interessate dal d.l.
4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e
del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale (il c.d. secondo decreto
salva-Ilva, su cui si rinvia al mio Ambiente, salute, lavoro: il caso Ilva, in questa Rivista, 2013,
p. 1017) in cui si dispone il “commissariamento straordinario dell’impresa che gestisca
almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale e la cui attività produttiva abbia
comportato e comporti pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a
causa dell’inosservanza dell’AIA”. L’esclusione cessa di avere effetto nel caso in cui l’im-
presa è ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria.
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1. Premessa.
Tra gli interventi in materia ambientale per promuovere misure di
green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali,
di cui alla recente l. 28 dicembre 2015, n. 221, si segnalano le «disposizioni
in materia di interventi da bonifica da amianto» (1), contenute nell’art. 56.
Si tratta di due tipologie di interventi, consistenti: nelle agevolazioni
fiscali, nella forma del credito di imposta, agli imprenditori che effettuano
nell’anno 2016 interventi di bonifica dall’amianto su beni e strutture pro-
duttive; nella promozione di interventi di bonifica di edifici pubblici con-
taminati da amianto mediante la costituzione di apposito fondo (2). Essi
sono delineati, rispettivamente dai commi 1˚- 6˚ e 7˚, cui seguono le pre-
visioni di copertura finanziaria, contenute nel comma 8˚.
Entrambi gli interventi richiedono a breve l’emanazione di una disci-
plina applicativa, rappresentata da decreti ministeriali, nell’ordine: del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze (3); e del Ministro dell’am-
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biente e della tutela del territorio e del mare (4). Sicché entrambi gli in-
terventi attendono di acquisire una fisionomia (più) compiuta, come anche
di diventare operativi in conseguenza degli emanandi decreti ministeriali.
Tuttavia, del primo intervento può dirsi tracciata una disciplina abba-
stanza completa, che consente di mettere a fuoco i tratti salienti della
nuova agevolazione fiscale e di svolgere pure qualche considerazione cri-
tica sugli stessi, dovendo il decreto ministeriale attuare soltanto alcuni
aspetti della disciplina, per quanto ad esso sia comunque condizionata la
fruizione del beneficio (5). Mentre, per il secondo intervento la disciplina
primaria è minimale e assumerà un ruolo decisivo l’emananda disciplina
secondaria.
(4) Che, ai sensi del comma 7˚, deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge e che individua anche i criteri di priorità per la selezione dei
progetti ammessi al finanziamento da parte del Fondo per la progettazione preliminare e
definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto.
(5) Il credito d’imposta in esame si aggiunge alla detrazione d’imposta per interventi da
bonifica da amianto, ricompresa tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di
riqualificazione energetica degli edifici dall’art. 16 bis, comma 1˚, lett. l), t.u.i.r., la quale
compete alle persone fisiche per «un importo pari al 36 per cento delle spese documentate,
fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità
immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono
o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli inter-
venti». Cfr. anche l’art. 16 d.l. 4 giugno 2013, n. 63, come da ultimo modificato dalla l. 28
dicembre 2015, n. 208, che prevede un innalzamento provvisorio della detrazione.
(6) Il comma 6˚ qualifica ex lege l’aiuto come «de minimis» («Le agevolazioni (…) sono
concesse nei limiti e alle condizioni del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione,
del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis»).
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In particolare l’art. 3, par. 2, reg. UE n. 1407/2013, cit., fissa dei tetti massimi, perché
gli aiuti siano considerati «de minimis» e, pertanto, non diventino aiuti concessi dagli Stati,
incompatibili con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 1, Tratt. FUE («L’importo
complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un’impresa unica non
può superare 200.000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari. L’importo complessivo degli
aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un’impresa unica che opera nel settore
del trasporto di merci su strada per conto terzi non può superare 100.000 EUR nell’arco di
tre esercizi finanziari. Gli aiuti «de minimis» non possono essere utilizzati per l’acquisto di
veicoli destinati al trasporto di merci su strada»).
Dalla riconduzione del credito d’imposta in esame agli aiuti «de minimis» discende che
lo Stato può darvi corso senza alcuna notifica alla Commissione e conseguente autorizza-
zione di essa (in deroga, cioè, alla disciplina contenuta nell’art. 108 Tratt. FUE).
Sugli aiuti «de minimis» cfr. ad esempio: PEPE e TOZZA, Le deroghe al divieto di aiuti di
Stato, in Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, a cura di Ingrosso e Tesauro, Napoli, 2009, p.
265 ss.; FONTANA, Gli aiuti di stato di natura fiscale, Torino, 2012, p. 196 ss.; SACRESTANO,
Aggiornate le norme UE sugli aiuti “de minimis”, in Corr. trib., 2014, p. 1652 ss. Cfr. anche
infra par. 4.
(7) Per quanto le agevolazioni fiscali si traducano in deroghe, favorevoli per il contri-
buente, alle regole di determinazione e applicazione dei tributi, ciò è poco significativo ai
fini della loro identificazione. Piuttosto, appare preferibile dare rilievo ai fini che le varie
agevolazioni fiscali perseguono, da individuare in quelli propri della spesa pubblica e del-
l’intervento diretto dello Stato nell’economia e nella società. Naturalmente, nel dovere di
contribuzione dei consociati vengono in rilievo vari interessi economici e sociali di rilievo
costituzionale, i quali, però, se realizzano la ragionevole discriminazione dei contribuenti,
che sta alla base della capacità contributiva individuale, o consentono un migliore esercizio
delle funzioni amministrative in cui si articola il prelievo, attengono pur sempre al riparto
delle spese pubbliche, ossia alla sfera delle entrate pubbliche, e quindi non danno vita ad
agevolazioni fiscali, le quali invece sono spese, più esattamente “spese fiscali”.
Sulle agevolazioni fiscali si ricordano i contributi di LA ROSA (tra i quali, Le agevolazioni
fiscali, in Trattato di diritto tributario, a cura di A. Amatucci, I, Padova, 1994, p. 401 ss.) e di
FICHERA (tra i quali, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992); e, più di recente: BASILAVECCHIA,
voce Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni fiscali (diritto tributario), in Enc. dir., Agg. V,
Milano, 2002, p. 48 ss.; BATISTONI FERRARA, voce Agevolazioni ed esenzioni fiscali, in Diz.
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dir. pubbl., a cura di Cassese, I, Milano, 2006, p. 175 ss.; PACE, Agevolazioni fiscali. Forme di
tutela e schemi processuali, Torino, 2012; GUIDARA, Agevolazioni fiscali, in Diritto on line,
Enc. giur. Treccani, in www.treccani.it, 2013.
(8) Cosı̀ si intitola la menzionata risoluzione del Parlamento europeo. Si ricorda che
essa è destinata principalmente alle istituzioni europee e, in particolare, alla Commissione.
(9) Cosı̀ recita testualmente il comma 1˚.
(10) In particolare, l’art. 7, comma 1˚, dispone che: «I benefı̀ci determinati dagli
interventi sono attribuiti in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale,
(…) concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi,
finanziamento agevolato».
(11) Cfr. ad es. PACE, op. cit., p. 5.
Si aggiunge che l’esigenza di trasparenza è imposta anche dall’art. 4 reg. UE n. 1407/
2013.
(12) L’esclusione ex lege che si tratti di un aiuto di stato ai sensi dell’art. 107 Tratt. FUE
impedisce che subentri la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui al comma
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1˚, lett. z)-sexies dell’art. 133 c.p.a. (aggiunto dall’art. 49, comma 2˚, l. 24 dicembre 2012,
n. 234).
(13) Contenuta nell’art. 4 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.
(14) La nozione di imprenditore ai fini delle imposte sui redditi si ricava essenzialmente
dagli artt. 6, comma 3˚, 55, 81 t.u.i.r. Ai fini della tassazione dei redditi d’impresa (prodotti
nel territorio dello Stato) dei soggetti non residenti si vedano essenzialmente gli artt. 23,
comma 1˚, lett. d), e 162 t.u.i.r.
(15) L’art. 1 del reg. cit. prevede che: «1. Il presente regolamento si applica agli aiuti
concessi alle imprese di qualsiasi settore, ad eccezione dei seguenti aiuti: a) aiuti concessi a
imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura di cui al regolamento (CE) n.
104/2000 del Consiglio; b) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della produzione
primaria dei prodotti agricoli; c) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della trasfor-
mazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti: i) qualora l’importo
dell’aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da pro-
duttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate, ii) qualora l’aiuto sia
subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;
d) aiuti per attività connesse all’esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti
direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di
distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione; e) aiuti subor-
dinati all’impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d’importazione.
2. Se un’impresa operante nei settori di cui alle lettere a), b) o c) del paragrafo 1 opera
anche in uno o più dei settori o svolge anche altre attività che rientrano nel campo di
applicazione del presente regolamento, il regolamento si applica agli aiuti concessi in rela-
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zione a questi ultimi settori o attività a condizione che lo Stato membro interessato garanti-
sca, con mezzi adeguati quali la separazione delle attività o la distinzione dei costi, che le
attività esercitate nei settori esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento non
beneficiano degli aiuti «de minimis» concessi a norma di detto regolamento».
(16) Di cui si è detto supra nel par. 1.
(17) Per una più recente analisi della riserva di legge ex art. 23 Cost. in ordine ai vari
profili delle prestazioni tributarie, avendo riguardo soprattutto alla riscossione, si veda
GUIDARA, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, p. 130 ss.
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(18) Si ricorda, infatti, che il d.lgs. n. 123/98 «individua i principi che regolano i
procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo
delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni
e i benefici di qualsiasi genere» (qualificati «principi generali dell’ordinamento dello Stato»,
specificandi con regolamenti ministeriali e fonti degli enti locali e, comunque pienamente,
efficaci decorso inutilmente il termine ultimo annuale per l’adozione di queste fonti com-
plementari: cfr. artt. 1 e 12).
(19) Di cui all’art. 4 d.lgs. n. 123/98.
(20) Cfr., ad esempio, Autori e opere cit. infra nella successiva nt. 22.
(21) Peraltro, nel comma 3˚ dell’art. 56 si usa la formula «riconoscimento del credito»,
che è di significato opposto alla formula «concessione del credito» usata nel comma suc-
cessivo, di cui si è detto nel testo.
(22) Sulla qualificazione delle situazioni giuridiche, dei procedimenti e degli atti in
materia di agevolazioni fiscali si veda già LA ROSA, voce Esenzioni ed agevolazioni tributarie,
in Enc. giur. Treccani, 1989, p. 4 ss.; e più di recente: PACE, op. cit., p. 65 ss.; GUIDARA,
Agevolazioni fiscali, cit., par. 3.
(23) Del resto, è già diversa la nozione di revoca di cui all’art. 9 d.lgs. n. 123/98.
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A tal fine il comma 1˚ dà rilievo alle «spese sostenute per i predetti
interventi nel periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di
entrata in vigore della presente legge», periodo che è da individuare nel
2017, essendo la l. n. 221/15 stata pubblicata il 18 gennaio 2016 (24). Dal
che, però, visto che l’intervento di bonifica deve avvenire nel 2016, sembra
discendere una contraddizione, la quale forse può risolversi intendendo la
littera legis come “spese sostenute entro il periodo di imposta successivo a
quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Inoltre, sull’entità del credito incidono altri elementi. Infatti: a) poiché
per il comma 2˚ «il credito d’imposta non spetta per gli investimenti di
importo unitario inferiore a 20.000 euro», l’entità minima del credito non
dovrebbe essere inferiore alla metà di tale importo; b) poiché per il comma
6˚ l’agevolazione fiscale de qua è ricondotta agli aiuti «de minimis», ai sensi
del reg. UE n. 1407/2013 della Commissione, vi è anche un importo
massimo finanziabile, che dall’art. 3 del regolamento è fissato in 200.000
euro nell’arco di tre esercizi finanziari (la cifra è dimezzata per le imprese
di trasporto di merci su strada per conto terzi) (25).
Il credito d’imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo e
indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di
riconoscimento del credito.
Ancorché debba essere indicato nella dichiarazione dei redditi, esso
non concorre expressis verbis alla formazione né del reddito né della base
imponibile dell’IRAP. Il legislatore risolve cosı̀, mediante una norma di
esclusione, un problema di possibile rilevanza impositiva, e conseguente
tassabilità, del credito d’imposta, quale appunto contributo (all’impresa),
alla stregua di quanto disposto spesso e di recente per altri crediti d’impo-
sta (26).
noto (già LA ROSA, Le agevolazioni alle imprese: aspetti giuridici, in Riv. dir. fin., 1993, I, p.
572 ss.; e, più di recente, NAPOLITANO, Contributi e crediti d’imposta: aspetti civilistici, penali
e tributari: inquadramento sistematico, illeciti tributari e illeciti comuni finanziari, momenti e
modalità di rilevazione civilistica, trattamento contabile e fiscale, Milano, 2005, pp. 51 ss. e 60
ss.) ed è foriero di non pochi contrasti, al punto che in molte occasioni si sono preferite e si
preferiscono previsioni espresse di esclusione/irrilevanza impositiva dei crediti d’imposta
(come quella di cui si tratta – riferita nel testo – o quelle menzionate in precedenza in questa
stessa nota).
(27) Cfr. nt. precedente.
(28) Cfr. art. 61 t.u.i.r.
(29) Cfr. art. 109, comma 5˚, t.u.i.r.
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(30) Il comma 2˚ dell’art. 17 del d.lgs. n. 241/97 contiene un elenco puntuale di crediti
e debiti, per i quali sono possibili versamento unitario e compensazione, ma viene esteso da
varie previsioni normative ad altre voci (e corrispondenti soggetti).
(31) Cfr. ad esempio: RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007,
p. 153 ss.; LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 250 ss. Amplius sulla
compensazione nel diritto tributario: RUSSO, La compensazione in materia tributaria, in Rass.
trib., 2002, p. 1855 ss.; GIRELLI, La compensazione, in Statuto dei diritti del contribuente, a
cura di Fantozzi e Fedele, Milano, 2005, p. 388 ss.; ID., La compensazione tributaria, Milano,
2010; MESSINA, La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006.
(32) Supra par. 4.
(33) L’art. 1 l. n. 244/07 prevede che «a partire dal 1˚ gennaio 2008, anche in deroga
alle disposizioni previste dalle singole leggi istitutive, i crediti d’imposta da indicare nel
quadro RU della dichiarazione dei redditi possono essere utilizzati nel limite annuale di
250.000 euro. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale
eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’in-
tero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’ecce-
denza (…)».
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della tutela del territorio e del mare e all’Agenzia delle entrate); come
anche del recupero del credito d’imposta in tutto o in parte non spet-
tante.
Sennonché, l’individuazione delle modalità dei controlli e del recupero
è demandata dall’art. 56 all’emanando decreto interministeriale.
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(3) L. 7 ottobre 2014, n. 154, recante “Delega al Governo per il recepimento delle
direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione
europea 2013 – secondo semestre”, in G.U. n. 251 del 28 ottobre 2014.
(4) Sul riordino delle Camere di commercio, con particolare riferimento alla tutela del
consumatore, ex multis ALPA, Riti alternativi e tecniche di risoluzione stragiudiziale delle
controversie nel diritto civile, in Temi romana, 1997, p. 264 ss.; CASTELLANA, CONTE, MARI-
NELLI e TRIPODI, Camere di commercio e Upica, Milano, 1996, p. 474 ss.; CENA Riforma delle
Camere di commercio e tutela del consumatore, in Contr. e impr./Europa, 1996, p. 946;
MINERVINI, Le Camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 2001, p. 939 ss.; ID., La conciliazione stragiudiziale delle controversie. Il ruolo
delle camere di commercio, Napoli, 2003, p. 9 ss.; MORANA Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002, p. 216 ss.; PERRINI, Il ruolo
delle Camere di Commercio, in BERNARDINI (a cura di), La conciliazione. Modelli ed esperienze
di composizioni non conflittuale delle controversie, Milano, 2001, p. 48 ss.; QUINTO, Camere
di commercio e conciliazione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori, Roma,
1997; TEATINI, Il nuovo ordinamento delle Camere di commercio, Padova, 1996.
(5) CADEDDU, Strumenti alternativi di soluzione delle controversie fra erogatori e utenti
dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2001, p. 679 ss.; CHIRULLI, Sub art. 2,
comma 24, lett b), in BARDUSCO, CAIA, e DI GASPARE (a cura di), Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di
pubblica utilità, in questa Rivista, 1998, p. 391 ss.; CICI, L’autorità per l’energia ed il gas, in
Rass. giur. en. el., 1998, p. 739 s.; CLARICH, L’attività delle autorità indipendenti in forme
semicontenziose, in CASSESE e FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole. Le autorità
indipendenti, Bologna, 1996, p. 157; COCCHI, I riti alternativi nel diritto amministrativo,
in ALPA (a cura di), L’arbitrato. Profili sostanziali, II, Torino, 1999, p. 1211; ID., Tecniche
alternative di risoluzione delle controversie: il ruolo delle Autorità amministrative indipen-
denti, in Pol. dir., 1997, p. 437 ss.; MONTESANO, Tutela giurisdizionale dei diritti dei consu-
matori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e
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quelle Autorità di regolazione, in Riv. dir. proc., 1997, p. 1 ss.; PATRONI GRIFFI, Tipi di
autorità indipendenti, in CASSESE e FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole. Le autorità
indipendenti, cit., p. 25 ss.; QUINTO, Intervento, in AA.VV. Attività regolatoria e autorità
indipendenti, Milano, 1996, p. 77 ss.; MINERVINI, op. ult. cit., p. 21; SCHLESINGER La pluralità
delle fonti nella somministrazione di energia elettrica, in Rass. giur. en. el., 1997, p. 318 ss.;
VACCÀ, La disciplina dei contratti dei consumatori, in Diritto privato 1996, II, Condizioni
generali e clausole vessatorie, Padova, 1997, p. 501, ID. La composizione extragiudiziale delle
controversie dei consumatori, in ID. (a cura di) Consumatori, contratti, conflittualità, Milano,
2000, p. 283 ss.
(6) ATELLI, La riforma della legislazione sul turismo, in Corr. giur., 2001, p. 1377 ss.;
FRAGOLA, Primo approccio sulla legge 29 marzo 2001, n. 135. Riforma della legislazione
nazionale sul turismo, in Nuova rass., 2001, p. 1354 ss.; MINERVINI, op. ult. cit., p. 57 ss.
(7) CORRADO, La tutela dei diritti del turista: metodi di risoluzione alternativa delle
controversie, in FRANCESCHELLI e MORANTI (a cura di), Manuale di diritto del turismo, Torino,
2013, p. 356 ss.; SANTAGATA, Diritto del turismo, Torino, 2014, p. 413 ss., SOLDATI, La
composizione delle controversie in materia turistica, in COGLIANI, GOLA, SANDULLI e SANTA-
GATA (a cura di), L’ordinamento del mercato turistico, Torino, 2012, p. 313 ss.
(8) BARTOLOMUCCI, Arbitrato e conciliazione nelle controversie del consumo, pulitintorie
e tuirismo, in BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI (a cura di), Codice degli arbitrati, delle
conciliazioni e di altre ADR, Torino, 2006, p. 301 ss.
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Camera di conciliazione e di arbitrato della Consob: «prima lettura» del d. lgs. 8 ottobre 2007,
n. 179, in Riv. società, 2007, p. 1445 ss.; COLOMBO, La Consob e la soluzione extragiudiziale
delle controversie in materia di servizi di investimento, in Società, 2007, p. 8 ss.; CUOMO
ULLOA, La camera di conciliazione e di arbitrato istituita presso la Consob, in Contratti, 2008,
p. 1181 ss.; G. FINOCCHIARO, La specialità della conciliazione presso la Consob non esclude
l’uso di alcune regole sulla mediazione, in Guida al dir., 2010, p. 102 ss.; GIOIA, Tutela
giurisdizionale dei contratti del mercato finanziario, in GABRIELLI e LENER (a cura di), I
contratti del mercato finanziario, cit., I, p. 53 ss.; MANCINI, I nuovi strumenti processuali di
tutela degli investitori: l’arbitrato amministrato dalla Consob, in Riv. arbitrato, 2007, p. 665
ss.; EAD, L’arbitrato amministrato presso la Consob, in RUBINO SAMMARTANO (a cura di), Il
diritto dell’arbitrato. Disciplina comune e regimi speciali, Padova 2010, II, p. 1667 ss.; EAD,
L’autonomia della Camera di conciliazione e arbitrato istituita dal d. lgs. 170/07 per la
risoluzione delle controversie insorte tra investitori e intermediari dinnanzi alla Consob alla
luce della posizione del Consiglio di Stato, in Banca, borsa e tit. cred., 2012, II, p. 233 ss.;
NASCOSI, La nuova Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, in questa Rivista,
2009, p. 963 ss.; SANGIOVANNI, La conciliazione stragiudiziale presso la Consob, in Riv.
arbitrato, 2010, p. 213 ss.; SOLDATI, Le procedure di conciliazione e di arbitrato nella legge
sul risparmio, in GALGANO e ROVERSI MONACO (a cura di), Le nuove regole del mercato
finanziario, Padova, 2009, p. 521 ss.; ID., La Camera arbitrale presso la Consob per le
controversie tra investitori ed intermediari, in Contratti, 2009, p. 423 ss.
(11) BASTIANON, Brevi osservazioni sulla legge n. 281/1998 in materia di tutela dei
consumatori, in Resp. civ. e prev., 1999, p. 526 ss.; CENA, Verso una legge-quadro sui diritti
dei consumatori, in Contr. e impr./Europa, 1997, p. 889 ss.; COLAGRANDE, Disciplina dei
diritti dei consumatori e degli utenti, in questa Rivista, 1998, p. 700 ss.; MINERVINI, I contratti
dei consumatori e la legge 30 luglio1998 n. 281, in Contratti, 1999, p. 954; VACCÀ, Diritti dei
consumatori: la conciliazione nella disciplina «in itinere», in Contratti, 1998, p. 212 ss.
(12) BARTOLOMUCCI, sub art. 141, in ALPA e ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del
consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 846 ss.; ID., sub art. 141, in MINERVINI e ROSSI
CARLEO (a cura di), Le modifiche al codice del consumo, Torino, 2009, p. 502 ss.; BENUCCI,
sub art. 141, in VETTORI (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova, 2007, p.
1076 ss.; MICONI, sub art. 141, in FRANZONI (a cura di), Codice ipertestuale di consumo, 2008,
p. 676 ss.; NASCOSI, sub art. 141, in G. DE CRISTOFARO e ZACCARIA (a cura di), Commentario
breve al diritto dei consumatori, Padova, 2010, p. 991 ss.; PEDUTO, sub art. 141, in STANZIONE
e SCIANCALEPORE (a cura di), Commentario al codice del consumo. Inquadramento sistematico
e prassi applicativa, Milano, 2006, p. 1064 ss.; PORRECA, sub art. 141, in CUFFARO (a cura di),
Codice del consumo, Milano, 2006, p. 539 ss.
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(13) Tra i numerosi commenti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 28/10 (anteriormente alla
novella legislativa): AMERIO, APPIANO, BOGGIO, COMBA e SAFFIRIO (a cura di), La mediazione
nelle controversie civili e commerciali. Metodo e regole, Milano, 2010; BANDINI e SOLDATI (a
cura di), La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali. Com-
mentario al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, Milano, 2010; BESSO (a cura di), La mediazione civile e
commerciale, Torino, 2010; BOVE (a cura di), La mediazione per la composizione delle con-
troversie civili e commerciali, Padova, 2010; CASTAGNOLA e DELFINI (a cura di), La media-
zione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010; CENNI, FABIANI e LEO (a cura di),
Manuale della mediazione civile e commerciale. Il contributo del notariato alla luce del d.lgs. n.
28/2010, Napoli, 2012; MARTINO (a cura di), Materiali e commenti sulla mediazione civile e
commerciale, Bari, 2011; SASSANI e SANTAGADA (a cura di), Mediazione e conciliazione nel
nuovo processo civile. Commento organico al d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in materia di media-
zione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, Roma, 2010; R.
TISCINI, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo nel d.lgs. n.
28/2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino, 2012; VACCÀ e MARTELLO, La
mediazione delle controversie, Milano, 2010.
(14) APPIANO, I sistemi di Adr nell’ottica del legislatore comunitario, in Contr. e impr./
Europa, 2009, p. 59 ss.; BARTOLOMUCCI, Conciliazione extragiudiziale, in Digesto IV ed., Disc.
priv., Sez. civ., Agg., 3, I, Torino, 2007, p. 211 ss.; CAPPONI, Libro verde e accesso dei
consumatori alla giustizia, in Doc. giust., 1991, p. 361 ss.; ID., Giustizia civile: nuovi modelli
verso l’Europa, in Foro it., 1993, V, c. 216 ss.; CARPANETO, La tutela comunitaria del consu-
matore: il problema dell’accesso alla giustizia, con particolare riferimento all’Italia e all’Inghil-
terra, in Contr. e impr./Europa, 2000, p. 761 ss.; DANOVI, Le ADR e le iniziative dell’Unione
europea, in Giur. it., 1997, IV, p. 326 ss.; MARTINELLO, Accesso dei consumatori alla giustizia.
Un progetto pilota, in Doc. giust., 1992, p. 1619 ss.; ID., Libro verde sull’accesso dei consu-
matori alla giustizia: appunti per un’analisi critica, ivi, 1994, p. 340 ss.; ROSSOLINO, I mezzi
alternativi di risoluzione delle controversie (Adr) tra diritto comunitario e diritto internazio-
nale, in Dir. UE, 2008, p. 349 ss.; STICCHI DAMIANI, Sistemi alternativi alla giurisdizione
(ADR) nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2004; VIGORITI, Europa e mediazione. Pro-
blemi e soluzione, in Contr. e impr./Europa, 2011, p. 81 ss.
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(15) Sui principi delle due citate raccomandazioni e sulle distinzioni tra procedure
facilitative e valutative BARTOLOMUCCI, op. ult. cit., p. 211 ss. e riferimenti bibliografici ivi
citati.
(16) CANNALIRE, Giunge al traguardo la direttiva europea sulla mediazione, in Contratti,
2008, p. 853 ss.; DE BONIS, La proposta di direttiva sulla mediazione nell’ambito delle
politiche comunitarie in tema di cooperazione, in Contr. e impr./Europa, 2005, p. 439 ss.;
GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (Ri-
flessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE), in
Riv. dir. proc., 2009, p. 357 ss.; GIUDICE, Dalla Commissione europea una scelta «flessibile»
per il futuro della mediation, in Contratti, 2005, p. 102 ss.; MICELI, La mediazione in materia
civile e commerciale nella Direttiva 2008/52/CE, in Eur. e dir. priv., 2009, p. 855 ss.;
MINERVINI, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contr.
e impr./Europa, 2009, p. 41 ss.; ROSSOLINO, I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie
(Adr) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in Dir. UE, 2008, p. 349 ss.; VACCÀ, La
direttiva sulla conciliazione: un’occasione mancata?, in Contratti, 2008, p. 857 ss.
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Pur non potendosi annoverare tra gli obiettivi che il legislatore euro-
peo (al contrario di quello domestico, specie negli interventi normativi
degli ultimi anni) intende perseguire, la direttiva sottolinea che lo sviluppo
delle ADR possa contribuire anche ad un più generale recupero di effi-
cienza dell’intero sistema di amministrazione della giustizia statale, specie
in quegli ordinamenti “dove esiste una congestione importante di cause
pendenti dinanzi agli organi giurisdizionali, che non consente ai cittadini
dell’Unione di esercitare il loro diritto a un processo equo in tempi ragio-
nevoli” (15˚ considerando) (19).
Contrariamente alla scelta operata negli ultimi anni in materia di diritti
dei consumatori, la direttiva de qua introduce un livello di armonizzazione
minima, che consente ampi margini di operatività ai legislatori dei singoli
Stati membri; e ciò non soltanto con riguardo alla scelta dei modelli da
disciplinare negli ordinamenti interni, ovvero alla necessità di prevedere la
costituzione ex novo di organismi nazionali rispetto a quelli già esistenti,
ma – come dispone l’art. 2, comma 3˚ – con riguardo anche alla possibilità
di “conservare o introdurre norme che prevedano misure ulteriori rispetto
a quanto stabilito dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello
superiore di tutela dei consumatori”.
Sintomatico è il riconoscimento della facoltà degli Stati membri di
regolamentare (lasciando ovvero introducendo ex novo) disposizioni che
impongano il ricorso alle ADR, fatto naturalmente salvo il diritto alla
(20) 21˚ considerando “Inoltre, le procedure ADR sono molto diverse nell’Unione e
all’interno degli Stati membri. Esse possono prendere la forma di procedure in cui l’organi-
smo ADR riunisce le parti allo scopo di facilitare una soluzione amichevole, di procedure in
cui tale organismo ADR propone una soluzione o di procedure in cui lo stesso organismo
ADR impone una soluzione. Le procedure ADR possono anche consistere in una combi-
nazione di due o più procedure di questo tipo. È opportuno che la presente direttiva non
pregiudichi la forma che le procedure ADR assumono negli Stati membri”.
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(23) Lo stesso 22˚ considerando della direttiva disponeva che “Le procedure dinanzi a
organismi di risoluzione delle controversie in cui le persone fisiche incaricate della risolu-
zione delle controversie sono alle dipendenze del professionista o ricevono da quest’ultimo,
sotto qualunque forma, la loro unica remunerazione rischiano di essere esposte a un con-
flitto di interessi. Pertanto, tali procedure dovrebbero, di norma, essere escluse dall’ambito
di applicazione della presente direttiva, a meno che uno Stato membro decida che tali
procedure si possono considerare procedure ADR ai sensi della direttiva stessa e a condi-
zione che detti organismi siano pienamente conformi ai requisiti specifici di indipendenza e
di imparzialità stabiliti dalla presente direttiva. Gli organismi ADR che offrono la risoluzione
delle controversie attraverso tali procedure dovrebbero essere soggetti alla valutazione pe-
riodica della loro conformità ai requisiti di qualità stabiliti dalla presente direttiva, inclusi i
requisiti specifici aggiuntivi che garantiscono la loro indipendenza”.
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conto del fatto che gli organismi non possono avvalersi di risorse pubbli-
che (nonostante contribuiscano alla complessiva amministrazione della
giustizia).
In occasione dell’attuazione, il legislatore si è avvalso dell’ulteriore
facoltà relativa alla disciplina della obbligatorietà, pur concessa dalla di-
rettiva (art. 1). In particolare, il d.lgs. n. 130/15 non ha inteso prevedere
nuove forme di ricorso obbligatorio alle ADR, ma ha lasciato ferme le
disposizioni previgenti in tema di condizione di procedibilità della doman-
da giudiziale, quali quelle di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28/10 in materia di
mediazione delle controversie civili e commerciali, all’art. 1, comma 11˚, l.
n. 249/97 in materia di comunicazioni elettroniche, all’art. 2, comma 24˚,
lett. b), l. n. 481/95 in materia di energia elettrica, gas e sistema idrico [art.
141, comma 6˚, lett. a-c), c.cons.].
Parimenti, sono stati fatti salvi i tentativi obbligatori dinanzi all’Arbitro
bancario finanziario presso la Banca d’Italia, nonché dinanzi alla Camera
di conciliazione e arbitrato presso la Consob, previsti dall’art. 5, comma 1˚
bis, d.lgs. n. 28/10 come procedure atte ad assolvere condizione di pro-
cedibilità della domanda giudiziale in relazione a controversie inerenti i
contratti bancari e dell’intermediazione finanziaria, in alternativa alla me-
diazione (art. 141, comma 7˚, c. cons.).
Conformemente a quanto stabilito dal 27˚ considerando (24), il legisla-
tore domestico non ha inteso modificare la norma di cui all’art. 140,
comma 2˚, c.cons., con riferimento alla facoltà concessa alle associazioni
rappresentative dei diritti dei consumatori a livello nazionale (e iscritte
all’elenco di cui all’art. 139 dello stesso codice), di esperire un tentativo
di conciliazione presso la Camera di commercio territorialmente compe-
tente, nell’ambito del giudizio inibitorio collettivo.
Cosı̀ pure resta impregiudicata la disposizione di cui all’art. 15 d.lgs. n.
28/10 relativa alla conciliazione nell’ambito dell’azione di classe ex art. 140
bis c.cons.
(24) “La presente direttiva non dovrebbe impedire agli Stati membri di mantenere o
introdurre procedure ADR che trattano congiuntamente controversie identiche o simili tra
un professionista e vari consumatori. È opportuno effettuare una valutazione d’impatto
globale sulle composizioni extragiudiziali collettive prima di proporre tali composizioni a
livello di Unione. L’esistenza di un sistema efficace per i reclami collettivi e un facile ricorso
alle procedure ADR dovrebbero essere complementari e le procedure non dovrebbero
escludersi reciprocamente”.
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(25) Invero, dalla lettura della citata disposizione, pare che lo specifico assenso sia
richiesto al solo consumatore nel caso in cui – in applicazione di specifiche disposizioni
di legge – i professionisti siano comunque vincolati a dette decisioni.
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missori che, per loro natura, comportano proprio tale deroga; questa
soluzione non sembrava superabile neppure alla luce della previgente
formulazione dell’art. 141, comma 4˚, c.cons. a mente del quale “Non
sono vessatorie le clausole inserite nei contratti dei consumatori aventi
ad oggetto il ricorso ad organi che si conformano alle disposizioni di cui
al presente articolo”. Le soluzioni alle quali era pervenuta la dottrina erano
le più varie: a fronte di coloro che ritenevano il mancato inserimento della
clausola compromissoria in una delle liste di cui all’art. 33 come il segnale
di un favor del legislatore (26), v’era chi aveva sostenuto che dovesse di-
stinguersi a seconda della tipologia di arbitrato individuato dalla clausola:
l’addendum alla direttiva del 1993, infatti, nel riportare l’elenco indicativo
delle clausole abusive, stabilisce la presunzione di vessatorietà per quelle
che hanno per oggetto o per effetto di “sopprimere o limitare l’esercizio di
azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il
consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato
non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mez-
zi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della
prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra
parte del contratto” (lett. q). Ne sarebbe dovuta conseguire la vessatorietà
delle sole clausole compromissorie per arbitrato irrituale (27). Nel mezzo si
ponevano coloro che ritenevano che avrebbe dovuto valutarsi caso per
caso il contenuto vessatorio di una clausola compromissoria, alla luce
dei riferimenti comunitari (che costituiscono strumento interpretativo
per il giudice), con particolare riguardo alla esistenza di norme giuridiche
alle quali l’arbitrato sarebbe sottoposto (28).
In linea con la disposizione contenuta nella racc. 1998/257/CE, dun-
que, la direttiva sembra aver sciolto – seppure alle condizioni ivi previste –
il nodo problematico, ammettendo un arbitrato di consumo, di tipo vo-
lontario e non obbligatorio, rimesso alla scelta espressa delle parti (in
particolare, del consumatore), una volta insorta la controversia (29), in
(26) STANZIONE, Clausole compromissorie, arbitrato e tutela dei consumatori, in Vita not.,
1996, p. 1163 ss.
(27) GABRIELLI, Clausola compromissoria e contratti per adesione, in Riv. dir. civ., 1993,
I, p. 555 ss.
(28) ALPA, Le ADR dalla tutela dei consumatori alla amministrazione efficiente della
giustizia civile, in ALPA e DANOVI (a cura di), La risoluzione stragiudiziale delle controversie e
il ruolo dell’avvocatura, Milano, 2004, p. 44 ss.
(29) GALLETTO, op. cit., ipotizzava, in fase di recepimento, una disposizione che rico-
noscesse la validità di clausole vincolanti per il solo professionista e che concedessero al
consumatore la facoltà di deferimento in arbitri solo al momento dell’insorgenza della lite,
p. 12.
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(30) 43˚ considerando “Un accordo tra un consumatore e un professionista riguardo alla
presentazione di reclami presso un organismo ADR non dovrebbe essere vincolante per il
consumatore se è stato concluso prima del sorgere della controversia e se ha l’effetto di
privare il consumatore del suo diritto di adire un organo giurisdizionale per la risoluzione
della controversia stessa. Inoltre, nelle procedure ADR volte a comporre la controversia
mediante l’imposizione di una soluzione, la soluzione imposta dovrebbe essere vincolante
per le parti soltanto a condizione che queste siano state preventivamente informate del suo
carattere vincolante e abbiano specificatamente dato il loro assenso. La specifica accetta-
zione del professionista non dovrebbe essere richiesta se le norme nazionali dispongono che
soluzioni di questo tipo vincolano i professionisti”.
(31) Come ricorda opportunamente LUISO, op. cit., il quale richiama pure le procedure
dinanzi all’Autorità per la protezione dei dati personali. L’Autore, peraltro, sottolinea che la
vera novità introdotta dalla direttiva è da individuare nel riconoscimento dell’affidamento di
dette procedure non solo a soggetti pubblici ma anche a soggetti privati.
(32) G. DE CRISTOFARO, Il “cantiere aperto” del codice del consumo: modificazioni e
innovazioni apportate dal d. legisl. 23 ottobre 2007, n. 221, in Studium iuris, 2008, p. 265 ss.
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(34) Il professionista si considera stabilito, a mente dell’art. 141, comma 2˚, “a) se si
tratta di una persona fisica, presso la sua sede di attività; b) se si tratta di una società o di
un’altra persona giuridica o di un’associazione di persone fisiche o giuridiche, presso la sua
sede legale, la sua amministrazione centrale o la sua sede di attività, comprese le filiali, le
agenzie o qualsiasi altra sede”.
(35) In relazione alle controversie transfrontaliere trova dunque applicazione l’art. 6
reg. CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio 17 giugno 2008 sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, anche noto come regolamento Roma 1.
(36) PERUGINI, Il recepimento della Direttiva 2008/11/Ue: prime riflessioni, in www.giu-
stiziacivile.com, 2014, p. 6.
(37) Con specifico riferimento ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai
contratti a distanza, il d.lgs. n. 130/15 (art. 141 decies) ha introdotto una sostituzione all’art.
66 quater, comma 3˚, c.cons., con una norma del seguente tenore “Per la risoluzione delle
controversie sorte dall’esatta applicazione dei contratti disciplinati dalle disposizioni delle
sezioni da I a IV del presente capo è possibile ricorrere alle procedure di risoluzione
extragiudiziale delle controversie, di cui alla parte V, titolo II-bis, del presente codice”.
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(38) RICCI, Particolari modalità della contrattazione, in ROSSI CARLEO (a cura di), Diritto
dei consumi, Torino, 2012, p. 107 s.; SIRAGUSA, sub art. 45, in GAMBINO e NAVA (a cura di), I
nuovi diritti dei consumatori, Torino, 2014, p. 11 ss.
(39) LUISO, op. cit., sottolinea la disomogeneità delle esclusioni previste dalla direttiva,
che ritiene rilevanti ora il contenuto della controversia, ora il soggetto che prende l’iniziativa,
ora il tipo di attività svolta per la gestione della procedura, ora, infine, il soggetto che compie
l’attività.
(40) Il 13˚ considerando rileva che tale esclusione appare giustificata proprio dall’assen-
za del corrispettivo a fronte della fornitura di servizi (di pubblica utilità) prestati diretta-
mente dallo Stato o per conto dello stesso.
(41) Esclusione che appare singolare, seppure prevista nella direttiva (art. 2, comma 2˚,
lett. h) atteso che l’art. 5, comma 1˚ bis, d.lgs. n. 28/10 dispone il tentativo obbligatorio di
mediazione per le controversie inerenti il risarcimento del danno derivante da responsabilità
medica o sanitaria; cfr. pure 14˚ considerando dir.
(42) 50˚ considerando “Al fine di evitare inutili oneri per gli organismi ADR, è oppor-
tuno che gli Stati membri incoraggino i consumatori a contattare il professionista per tentare
di risolvere la problematica in modo bilaterale prima di presentare un reclamo a un organi-
smo ADR. In molti casi, ciò consentirebbe ai consumatori di risolvere le loro controversie in
modo rapido e tempestivo”.
(43) Con riferimento alle fattispecie escluse, nonché a quelle delle ADR gestite dalle
Autorità, il comma 9˚, art. 141 dispone “Le disposizioni di cui al presente titolo non
precludono il funzionamento di eventuali organismi ADR istituiti nell’ambito delle norme
e provvedimenti, di cui ai commi 7˚ e 8˚, ed in cui i funzionari pubblici sono incaricati delle
controversie e considerati rappresentanti sia degli interessi dei consumatori e sia degli
interessi dei professionisti”.
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(44) 24˚ considerando “Gli Stati membri dovrebbero garantire che le controversie
oggetto della presente direttiva possano essere presentate a un organismo ADR conforme
ai requisiti da essa stabiliti e inserito in elenco ai sensi della stessa. Gli Stati membri
dovrebbero avere la possibilità di ottemperare a tale obbligo basandosi sugli organismi
ADR correttamente funzionanti esistenti e adeguandone l’ambito d’applicazione, se neces-
sario, oppure creando nuovi organismi ADR. La presente direttiva non dovrebbe precludere
il funzionamento di organismi di risoluzione delle controversie esistenti nell’ambito di auto-
rità nazionali di protezione dei consumatori negli Stati membri dove i funzionari pubblici
sono incaricati della risoluzione delle controversie. I funzionari pubblici dovrebbero essere
considerati rappresentanti sia degli interessi dei consumatori sia di quelli dei professionisti.
La presente direttiva non dovrebbe obbligare gli Stati membri a creare organismi ADR
specifici per ogni settore del commercio al dettaglio. Ove necessario, per assicurare una
copertura settoriale e geografica totale e l’accesso all’ADR, gli Stati membri dovrebbero
avere la possibilità di provvedere alla creazione di un organismo ADR residuo, che tratti le
controversie per la risoluzione delle quali nessun organismo ADR specifico è competente.
Gli organismi ADR residui costituiscono una garanzia per consumatori e professionisti che
non sussistano lacune nell’accesso a un organismo ADR”.
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9. Le negoziazioni paritetiche.
Una significativa scelta effettuata dal legislatore domestico è stata
quella di annoverare tra le procedure ADR anche le negoziazioni pariteti-
che. Dette procedure (come precisato anche nella legge di delega), erano
state fatte oggetto di una previsione normativa, l’art. 2, comma 2˚, d.lgs. n.
28/10, al solo fine di escludere le stesse dall’ambito di applicazione della
disciplina della mediazione civile e commerciale.
(46) L’8 gennaio 2016 la Consob ha avviato una consultazione finalizzata alla modifica
delle norme regolamentari della Camera di conciliazione e arbitrato che tengano conto
proprio del nuovo assetto normativo introdotto dal d.lgs. n. 130/15.
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(47) Come modificato dal d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 recante “Disposizioni corret-
tive ed integrative del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del
consumo, a norma dell’articolo 7, della legge 29 luglio 2003, n. 229”.
(48) Metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale e
familiare – Commissione giuridica PE467.017 Risoluzione del Parlamento europeo 25 otto-
bre 2011 sui metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale
e familiare (2011/2117(INI))P.
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(49) Contra BONSIGNORE, La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2009: i
risultati di una ricerca, in ISDACI (a cura di), Quarto rapporto sulla diffusione della giustizia
alternativa in Italia, Milano, 2011, p. 82, la quale ritiene che le procedure paritetiche
costituiscano una “forma evoluta” della attività di gestione dei reclami.
(50) VACCÀ, sub art. 2, in BANDINI e SOLDATI (a cura di), La nuova disciplina della
mediazione delle controversie civili e commerciali, cit., p. 37 s., specifica che si tratta di un
mandato con rappresentanza a transigere.
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line [art. 141 bis, lett. c); art. 141 quater, lett. a), c.cons.]: tale previsione, in
linea con la stessa definizione di procedura ADR, appare evidentemente
finalizzata a rendere accessibile il ricorso anche in relazione a controversie
transfrontaliere [mediante accesso alle reti di organismi ADR, art. 141
bis, lett. e), c.cons.], in espansione con l’implementazione del commercio
elettronico, in maniera connessa con lo sviluppo della piattaforma europea
per la gestione delle ODR (51), senza tuttavia mortificare il ricorso a pro-
cedure secondo modalità tradizionali. Parimenti, la stessa norma prevede
obbligatoriamente che i regolamenti di procedura dispongano lo scambio
delle informazioni tra le parti sia in modalità telematica, sia in modalità
tradizionale, anche attraverso i servizi postali [art. 141 bis, lett. d), c.cons.].
È inoltre imposto che le procedure siano accessibili personalmente dal
consumatore, senza che i regolamenti prevedano la necessità dell’assistenza
legale; la difesa tecnica, in quanto tale, non è ritenuta necessaria, data la
natura negoziale delle procedure [art. 141 quater, comma 3˚, lett. b),
c.cons.]. Deve essere riconosciuta la facoltà del consumatore di avvalersi
di un ausilio tecnico, non necessariamente da parte di un avvocato, ogni
qualvolta per la natura della controversia, o per la rilevanza delle questioni
ad essa sottese, ovvero per semplice volontà, questi intenda farvi ricorso.
Una procedura ADR è davvero efficiente, efficace e accessibile nella
misura in cui è poco onerosa ovvero del tutto gratuita; per tale ragione si
impone che i regolamenti dispongano la gratuità della stessa ovvero la
previsione di costi minimi [art. 141 quater, comma 3˚, lett. c), c.cons.].
Tale previsione sconta la convinzione che le controversie di consumo siano
relative a questioni dal ridotto valore economico, in relazione alle quali
sarebbe eccessivamente dispendioso fare ricorso all’autorità giudiziaria.
Seppure tale considerazione possa apparire condivisibile per molte delle
controversie di consumo, è altrettanto vero che un numero non insignifi-
cante di queste ha ad oggetto questioni di rilevante entità sotto il profilo
economico, per le quali tale previsione potrebbe apparire ingiustificata; ad
ogni modo, la previsione della gratuità anche con riferimento a queste
ultime rappresenta una forma di agevolazione del ricorso a forme di riso-
luzione alternativa delle controversie.
Oltre che economica una procedura ADR deve necessariamente essere
rapida; per tale ragione viene imposto il rispetto di termini ristretti entro i
quali questa deve concludersi, non superiori a novanta giorni decorrenti
dal momento dell’avvio del procedimento che corrisponde alla ricezione
(52) La stessa disposizione prevede pure che “in caso di controversie particolarmente
complesse, l’organismo ADR può, a sua discrezione, prorogare il termine fino a un massimo
di novanta giorni; le parti devono essere informate di tale proroga e del nuovo termine di
conclusione della procedura”.
(53) Si pensi, ad esempio, alla composizione dei Collegi dell’Arbitro bancario finanzia-
rio le cui norme regolamentari dispongono, per l’appunto, che i membri siano espressione
tanto degli intermediari quanto della clientela (Banca d’Italia, Disposizioni sui sistemi di
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finan-
ziari, sez. III, par. 2).
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invece, l’esito della procedura si sostanzia nel verbale con cui si dichiara
che le parti hanno raggiunto l’accordo, contenuto nel separato contratto
tra queste stipulato (e del quale l’organismo ADR ovviamente non è parte).
Con riferimento alle procedure valutative, invece, a mente dell’art. 141
quater, comma 5˚, c.cons., deve essere garantito dai regolamenti di proce-
dura il diritto delle parti di potersi ritirare in qualsiasi momento (cfr. pure
art. 141 bis, comma 6˚, c.cons.), nonché quello di poter rifiutare la propo-
sta ricevuta, all’esito di un periodo congruo di riflessione, durante il quale
esse possono anche far ricorso ad una fonte indipendente per valutare le
conseguenze dell’eventuale adesione. Tale disposizione appare opportuna,
specie se si tiene conto che il consumatore ha il diritto di partecipare a
dette procedure senza l’assistenza o la rappresentanza di alcuno: seppure il
ruolo assunto dal terzo, chiamato ad esprimere una proposta di soluzione,
deve garantire equidistanza e imparzialità, assicurando nello svolgimento
della procedura il riequilibrio della posizione di svantaggio ontologicamen-
te connessa alla figura di consumatore, la sua funzione di terzietà potrebbe
comportare l’adozione di una soluzione (elaborata non necessariamente
secondo diritto, ma anche secondo equità ovvero secondo ulteriori ele-
menti: si pensi, ad esempio, ai codici di autoregolamentazione di determi-
nati settori) (54) non soddisfacente per il consumatore. Per questa ragione,
a quest’ultimo è garantita una precisa informazione, sin dal momento
dell’avvio della procedura, relativamente al proprio diritto di accettare o
rifiutare la proposta, di poter ottenere un periodo di tempo sufficiente per
decidere in merito, alla natura della decisione e alle conseguenze giuridi-
che connesse all’accettazione o al rifiuto della proposta, al diritto di poter
comunque adire l’autorità giudiziaria in relazione al risarcimento del dan-
no, alle eventuali diversità tra soluzione stragiudiziale e sentenza eventual-
mente emessa dal giudice (lett. a-d).
Accanto alle norme procedurali che gli organismi che intendono essere
abilitati devono inserire nei rispettivi regolamenti, la disciplina del codice
del consumo prevede alcune ulteriori disposizioni che essi possono intro-
durre, anche nel rispetto di eventuali prescrizioni dettate dalle autorità
chiamate a vigilare su specifici settori (art. 141 bis, comma 2˚, c.cons.).
In particolare, si è inteso riconoscere agli organismi la facoltà di svolgere la
propria attività in settori di specifica competenza, da individuare nei re-
golamenti. Tale principio appare conforme con la ratio dell’intera disci-
(54) Cfr. pure l’art. 141 quater, lett. i) il quale impone che venga data precisa informa-
zione sulla natura delle regole in base alle quali l’organismo risolve le controversie (dispo-
sizioni giuridiche, equità, codici di condotta o altri tipi di regole).
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mala fede o colpa grave), pare lecito ritenere che essa vada riconosciuta
con riguardo a richieste palesemente infondate dal punto di vista giuridico
ovvero, ove sia possibile siffatto accertamento prognostico, a domande
finalizzate esclusivamente a far pressione sul professionista (55).
Il ricorso ad un organismo può altresı̀ essere ritenuto irricevibile dalle
norme del regolamento in caso di litispendenza, determinata dalla circo-
stanza che la medesima controversia sia già in corso di esame da parte di
un altro organismo ADR ovvero dell’autorità giudiziaria. Pur dovendosi
ritenere condivisibile la scelta operata dal legislatore, la norma di cui
all’art. 141 bis, comma 2˚, lett. c), c.cons. – che rimette all’autonomia
regolamentare la relativa scelta – non è in grado di risolvere il conflitto
in caso di presentazione (contestuale o successiva) di più ricorsi relativi alla
medesima controversia, non introducendo alcuna disposizione in tema di
prevenzione. La questione, che potrebbe essere risolta in ragione della
priorità dell’avvio della procedura, lascia irrisolta l’individuazione di detto
termine; in altre parole il legislatore nulla dispone riguardo al momento in
cui può dirsi avviata la procedura, che potrebbe essere individuato nel dies
del deposito della domanda o in quello di comunicazione dell’avvio del
procedimento da parte dell’organismo [come pure parrebbe preferibile,
opinando dal disposto dell’art. 141 quater, comma 3˚, lett. d)].
Ulteriore previsione volta a restringere la competenza dell’organismo è
quella relativa al valore della controversia, laddove questo sia inferiore o
superiore ad una certa soglia monetaria espressamente indicata; la norma
soggiunge che l’identificazione di detta soglia non può avere quale effetto
quello di nuocere in modo significativo all’accesso dei consumatori alle
ADR (56). La genericità di tale richiamo impone una valutazione rimessa
alle autorità chiamate all’accreditamento di tali organismi, in sede di veri-
fica delle norme regolamentari.
Di significato oscuro è l’ulteriore richiamo, anch’esso mutuato dalla
direttiva [art. 5, comma 4˚, lett. f)], che consente di rifiutare la gestione
(55) Tale disposizione potrebbe comportare la previsione di una sorta di esame preli-
minare di ammissibilità del ricorso, affidato non tanto alle persone fisiche responsabili della
procedura, bensı̀ agli uffici amministrativi dell’organismo, con conseguenze di non poco
momento sia sul piano del governo delle spese, ove previste, sia sul piano delle conseguenti
responsabilità in caso di valutazioni errate.
(56) Cfr. art. 5, comma 4˚, lett. d), nonché comma 5˚, dir.; il 25˚ considerando, a tale
riguardo, precisa “allorché prevedono una soglia monetaria, gli Stati membri dovrebbero
sempre tenere conto del fatto che il valore effettivo della controversia può variare tra Stati
membri e, pertanto, che una soglia sproporzionatamente elevata in uno Stato membro
potrebbe ostacolare l’accesso dei consumatori di altri Stati membri alle procedure ADR”.
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(57) Nel caso dei rappresentanti dei professionisti, tale divieto sussiste sempre che il
rapporto lavorativo non sia già esistente al momento del conferimento dell’incarico.
(58) Conformemente a quanto espressamente richiesto dal 35˚ considerando.
(59) A proposito del conflitto d’interessi il 34˚ considerando specifica che “Potrebbe
trattarsi di qualsiasi interesse finanziario, diretto o indiretto, nell’esito della procedura ADR
o di eventuali rapporti personali o commerciali con una o più parti nei tre anni precedenti
all’assunzione del posto, anche a qualunque titolo, estranei ai fini dell’ADR in cui la persona
interessata abbia agito a vantaggio di una o più parti, di un’organizzazione professionale o di
un’associazione di imprese di cui una delle parti sia membro o a vantaggio di qualsiasi altro
suo membro”.
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tra le parti al fine della ricerca autonoma della soluzione della stessa
controversia.
Com’è stato opportunamente osservato, l’attenzione rivolta dal legisla-
tore sia alle norme procedimentali, sia a quelle relative alla posizione delle
persone fisiche responsabili delle procedure, delineando “un procedimen-
to improntato al principio del contraddittorio, di struttura tendenzialmen-
te contenzioso-decisoria, che porta ad un atto finale motivato, in perfetta
simmetria con quanto accade nel processo giurisdizionale dichiarativo e
nell’arbitrato”, deve garantire il rispetto sia delle norme procedimentali
applicate per l’adozione di tale atto, sia di quelle che ne individuano il
contenuto. Tali regole devono essere conoscibili ed effettivamente cono-
sciute ex ante, solo cosı̀ potendosi garantire che – in assenza di contesta-
zione sul mancato rispetto delle stesse – l’atto finale sia del tutto equiva-
lente a quello giurisdizionale, e sia assicurata una vera alternativa rispetto
alla giustizia ordinaria (61).
(62) A prescindere dalla sussistenza dei richiamati obblighi informativi, dovrebbe altresı̀
valutarsi se possa essere ritenuto vincolante anche l’impegno che il professionista abbia
assunto non in sede negoziale, bensı̀ nella fase della comunicazione commerciale o pubbli-
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citaria; il mancato rispetto di tale impegno, pur assunto nella fase extracontrattuale, po-
trebbe essere valutato come pratica commerciale scorretta (attesa la sua chiara finalità di
indurre il consumatore a confidare nella possibilità di risolvere stragiudizialmente una
controversia relativa al contratto da concludere), sanzionabile con l’obbligo per il professio-
nista di aderire ad una eventuale procedura avviata dal consumatore.
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(63) Detta opzione è peraltro contemplata espressamente all’art. 12 dir., che il 45˚
considerando giustifica nel seguente modo “Il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale sono diritti fondamentali previsti dall’articolo 47 della Carta dei diritti fonda-
mentali dell’Unione europea. Pertanto, l’obiettivo delle procedure ADR non dovrebbe
essere né quello di sostituire le procedure giudiziali né quello di privare i consumatori o i
professionisti del diritto di rivolgersi agli organi giurisdizionali. È opportuno che la presente
direttiva non contenga alcun elemento che possa impedire alle parti di esercitare il diritto di
accesso al sistema giudiziario. Nei casi in cui una controversia non possa essere risolta
secondo una determinata procedura ADR il cui esito non sia vincolante, è auspicabile
che alle parti non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario in
relazione a tale controversia. Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di scegliere i
mezzi appropriati per conseguire tale obiettivo. Essi dovrebbero poter prevedere, tra l’altro,
che i termini di prescrizione o decadenza non vengano a scadenza durante una procedura
ADR”.
(64) Avvalendosi di tale riconoscimento il Ministero dello sviluppo economico, con
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d.m. 21 dicembre 2015 e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera 1˚
dicembre 2015, n. 661/15/Cons hanno istituito i rispettivi elenchi degli organismi ADR.
(65) Oltre alla Consob, alla Banca d’Italia, all’Autorità per le garanzie nelle comunica-
zioni, all’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per i settori di rispettiva
competenza, l’art. 141 octies individua le altre autorità amministrative indipendenti (si pensi,
ad esempio, all’Autorità per la regolazione dei trasporti), quali autorità competenti nei
settori vigilati.
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(66) Contra, seppure con riferimento allo schema di decreto legislativo GALLETTO, op.
cit., p. 15 s., il quale sottolinea la diversa opzione tra “elenco” e “registro” di cui al d.lgs. n.
28/10.
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(68) Va sottolineato che l’ipotesi di conflitto tra normativa sulle ADR e normativa sulla
mediazione è risolta, dal 19˚ considerando, in favore della prima. Si prevede infatti “Alcuni
atti giuridici dell’Unione in vigore già contengono disposizioni relative all’ADR. Per garan-
tire la certezza giuridica è opportuno prevedere che, in caso di conflitto, prevalga la presente
direttiva, salvo qualora sia espressamente previsto altrimenti. In particolare, la presente
direttiva non dovrebbe pregiudicare la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia
civile e commerciale, che definisce già un quadro di riferimento per i sistemi di mediazione a
livello di Unione per quanto concerne le controversie transfrontaliere, senza impedire l’ap-
plicazione di tale direttiva ai sistemi di mediazione interna. La presente direttiva è destinata
a essere applicata orizzontalmente a tutti i tipi di procedure ADR, comprese le procedure
ADR contemplate dalla direttiva 2008/52/CE”.
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(69) In tal senso concludono, in via generale, G. DE CRISTOFARO, sub art. 143, in DE
CRISTOFARO e ZACCARIA (a cura di), Commentario breve al diritto dei consumatori, cit., p. 997;
MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità
dei patti, in Contratti, 2007, p. 697 ss.; contra ALBANESE, sub art. 143, in FRANZONI (a cura
di), Codice ipertestuale del consumo, cit., p. 691; BARBA, sub art. 143, in CUFFARO, BARENGHI
e BARBA (a cura di), Codice del Consumo e norme collegate, 2012, Milano, p. 838.
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(70) Nel senso della necessità che il consumatore sia preventivamente informato dei
diritti attribuiti dal codice del consumo e, di conseguenza, della consapevolezza che deve
essere garantita in occasione del sacrificio che eventualmente una soluzione transattiva
potrebbe comportare, ai fini della sua validità, GIROLAMI, Le invalidità di protezione nel
sistema delle invalidità negoziali, Padova, 2008, p. 380 ss.; PAGLIANTINI, Autonomia privata e
divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, p. 163 s.
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SAGGI E APPROFONDIMENTI
NLCC 3/2016
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2. La clausola claims made come deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c.
Come ormai oggi noto, le clausole claims made nei contratti di assicu-
razione della responsabilità civile configurano il contratto in modo che –
per usare le parole della recente sentenza della Cassazione – “la copertura
è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo
di vigenza della polizza (…) laddove, secondo lo schema denominato loss
occurence o “insorgenza del danno”, la copertura opera in relazione a tutte
le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di
durata del contratto” (3). Si tratta di modello concepito negli anni ‘80 negli
USA per gestire responsabilità civili – quali quella ambientale o più in
generale industriale – ove spesso era difficile identificare la condotta,
commissiva o omissiva, generatrice del danno e conseguentemente la sua
collocazione cronologica: un problema solitamente non presente nella re-
sponsabilità civile derivante dall’esercizio delle professioni liberali, ove la
(4) Ovvero, come oggi il mercato assicurativo impone, che il contratto avesse una
durata annua, come tale palesemente inadeguata rispetto al termine di prescrizione dell’a-
zione del terzo danneggiato.
(5) Cass. 15 marzo 2005, n. 5624, in Pluris.
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(6) In questo senso Cass. 15 marzo 2005, n. 5624 secondo cui: “In conclusione va
enunciato il seguente principio di diritto: il contratto di assicurazione della responsabilità
civile con la clausola claims mode non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall’art.
1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico (da ritenersi in linea generale lecito ex art.
1322 c.c.)”.
(7) Facoltà superflua, come anticipato sopra, se il contratto viene proposto solo con
durata annuale, dopo la quale l’assicuratore può decidere se rinnovare o non: e verosimil-
mente non lo farà (o lo farà con un incremento cospicuo di premio) allorché vi sia stata la
denuncia di un claim.
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1236 ss., 2236 e 2946 c.c. – per tutto il tempo destinato al compiersi della
prescrizione dei diritti, di fonte contrattuale, del cliente nei propri con-
fronti, ma con il modello claims made l’assicuratore non si fa carico della
medesima posizione debitoria dell’assicurato (seppur nei limiti di massi-
male convenuti), perché può sempre liberarsi, con il recesso, dal contratto
sgradito, determinando per tale via l’esclusione dalla copertura per tutti
quei fatti generatori di responsabilità pur posti in essere durante la vigenza
contrattuale ma per i quali tuttavia i danneggiati avanzino richieste succes-
sivamente alla cessazione del contratto. Ciò è quanto avviene di regola per
professioni, quali quella dell’avvocato (o del notaio), ove il danno conse-
guente all’inadempimento del professionista non si evidenzia in modo
subitaneo ed ove, per il rapporto di continuativa fiducia che si instaura
con il professionista, il cliente è restio a formalizzare sin da subito una
richiesta di risarcimento danni, perché da un lato conta sullo spatium
deliberandi costituito dal lungo termine di prescrizione contrattuale e,
dall’altro, perché tende a rinviare nel tempo il momento della definitiva
rottura del mandato professionale, magari nella speranza che all’errore
possa essere posto rimedio dallo stesso professionista che lo ha causato.
Per completare il quadro offerto dalla prassi va aggiunto:
1) che di regola la definizione contrattuale di claim è latissima, e tale
da indurre il contraente – per evitare future eccezioni di inoperatività della
polizza – a denunciare cautelativamente all’assicuratore anche le più blan-
de lamentele del cliente, che evochino una responsabilità per eventuali
danni, non ancora neppure ipotizzati, rispetto all’errore professionale oc-
corso;
2) che anche una “denuncia cautelativa” consente il recesso dell’assi-
curatore o occasiona il mancato rinnovo del contratto alla scadenza (an-
nuale o comunque più breve rispetto alla prescrizione dell’azione del
cliente, come si è detto);
3) che, in ogni caso, anche la “denuncia cautelativa” fa incrementare in
maniera cospicua e talvolta insostenibile il premio che sarà richiesto l’anno
successivo per il rinnovo dallo stesso assicuratore, ovvero da quello diverso
cui ci si dovesse rivolgere, in caso di rifiuto del primo;
4) che la “sinistrosità” dell’assicurato viene cosı̀ parametrata non già al
dato oggettivo degli indennizzi che l’assicuratore sia tenuto a pagare (loss
occurence), ma al dato estemporaneo ed accidentale – e per giunta di
brevissimo periodo – della litigiosità dei clienti del professionista, latori
di richieste di risarcimento che poi magari non troveranno accoglimento in
giudizio;
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(8) Peraltro, come osservano le Sezioni Unite (Cass. n. 9140/16): “è evidente che della
copertura del rischio pregresso nulla potrà farsene l’esordiente, il quale non ha alcun
interesse ad assicurare inesistenti sue condotte precedenti alla stipula, di talché anche tale
circostanza entrerà, se del caso, nella griglia valutativa della meritevolezza”.
(9) La prassi del mercato assicurativo è nel senso che la stipulazione di sunset clauses è
di regola facoltà dell’assicuratore; che esse raramente vengono concesse per tutto il periodo
necessario alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno contrattuale (10 anni) e che
esse vengono concesse quasi esclusivamente solo nell’ipotesi in cui l’attività professionale
dell’assicurato cessi.
(10) In precedenza, con più analiticità, consapevolezza di ciò si leggeva in Cass. n.
5624/2005: “Non sembra inutile aggiungere quanto segue circa la tesi della parte ricorrente
secondo la quale si sarebbe di fronte ad “...una esplicita estensione di garanzia in favor del-
dell’assicurato (...)” (v. a p. 15 del ricorso): si ipotizzi che un soggetto, con riferimento alla
sua responsabilità professionale, preveda di correre ingenti rischi nei successivi cinque anni;
se si assicura con la clausola loss occurrence per tale quinquennio ottiene facilmente e
chiaramente una assicurazione esattamente rispondente alle sue esigenze; se invece si assi-
cura con la clausola claims made tale corrispondenza (specialmente temporale) diviene più
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(11) In primo luogo per inammissibilità, “dato che l’applicabilità dell’art. 1341 c.c. con
le relative conseguenze costituisce solo la seconda ratio decidendi [della sentenza di appello];
e che perciò la sentenza resterebbe comunque ferma sulla base dell’autonoma e prima ratio
decidendi sopra considerata, oggetto del primo motivo di ricorso”; in secondo luogo perché
comunque il motivo è stato ritenuto “privo di pregio”.
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(12) Pubblicata per esteso sul sito istituzionale della Corte (www.cortedicassazione.it).
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l’esame della fattispecie decisa fa emergere con chiarezza che in quel caso
la nullità della clausola avrebbe giovato alla compagnia assicuratrice pre-
disponente: un caso emblematico, potremmo dire, di venire contra factum
proprium, probabilmente considerato come tale dalla Corte.
Il caso deciso era infatti proprio uno di quelli – rari – in cui la struttura
claims made avrebbe operato a vantaggio dall’assicurato per errori com-
messi in un periodo per il quale non aveva garanzie: come si legge nella
sentenza, “l’illecito addebitato all’assicurato risale agli anni 1990 – 1991,
cioè a data anteriore a quella del 30 dicembre 1994, da cui decorre l’effi-
cacia della polizza di assicurazione (p. 4) e come osserva la Corte, “le
clausole claims made sono predisposte dallo stesso assicuratore, nelle con-
dizioni generali di contratto; è pertanto da ritenere che, nella parte in cui
prevedono effetti vantaggiosi per l’assicurato, siano frutto di scelte medi-
tate e consapevoli, nonché di un’attenta valutazione dei rischi e della
rimuneratività del corrispettivo convenuto come premio, pur in relazione
ai sinistri verificatisi in data anteriore” (p. 8-9).
Il professionista assicurato – in quel caso un dottore commercialista –
ricevuta dal cliente, successivamente all’entrata in vigore del contratto di
assicurazione, una richiesta di risarcimento riferita ad errore professionale
(errata compilazione delle dichiarazioni Iva) occorso in precedenza ma non
ancora azionato alla data di stipulazione della polizza, si era visto in primo e
secondo grado rigettare la domanda di manleva verso l’assicuratore per la
ritenuta nullità della clausola claims made sotto il profilo della inassicura-
bilità del rischio pregresso: tecnicamente una nullità del contratto assicu-
razione, dunque, per mancanza di alea ex art. 1895 c.c.
Verosimilmente considerando che la tutela dell’assicuratore, in caso di
negoziazione di una clausola claims made, risiede nei rimedi previsti agli
artt. 1892 e 1893 c.c. piuttosto che nella nullità ex art. 1895 (e 1904) c.c.,
la Cassazione ha ritenuto che l’assicuratore fosse obbligato all’indennizzo
proprio in forza della clausola claims made, rilevando che “la sentenza
impugnata ha ingiustificatamente equiparato il caso in esame a quello di
inesistenza del rischio, mentre in realtà nel caso in esame un’alea esiste,
pur se di natura e consistenza diverse da quella avente ad oggetto i com-
portamenti corposi del professionista. (…) L’alea non concerne compor-
tamenti passati nella loro materialità, ma la consapevolezza da parte del-
l’assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare
danno a terzi” (p. 7) concludendo che “ sotto alcun aspetto pertanto
appare giustificato, nel caso in esame, il diniego di efficacia alla clausola
claims made, poiché la domanda risarcitoria è stata proposta contro l’assi-
curato in corso di validità della polizza; non risulta che questi fosse con-
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to e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia
in concreto idonea ad avvelenarne la causa. Non a caso, al riguardo, la tesi
della nullità viene declinata nella ben più scivolosa chiave della immerite-
volezza di tutela dell’assicurazione con clausola claims made, segnatamente
di quella mista, in ragione della significativa delimitazione dei rischi risar-
cibili, del pericolo di mancanza di copertura in caso di mutamento del-
l’assicuratore e delle conseguenti, possibili ripercussioni negative sulla
concorrenza tra le imprese e sulla libertà contrattuale”.
Il preoccupato impegno della Corte nel discettare, pur obiter, di tale
tema generale è già percepibile per la terminologia figurata ed evocativa
che viene usata: le Sezioni Unite considerano che una “manipolazione” del-
lo schema tipico del contratto – potremmo dire: una restrizione unilaterale
dell’oggetto del contratto delineato dalle norme, pur dispositive, di parte
speciale – possa portare addirittura ad un “avvelenamento” della causa, qui
intesa nella accezione bettiana di funzione economico-sociale del con-
tratto.
La Corte valutando “i possibili esiti di uno scrutinio di validità con-
dotto sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime
legale contrattualmente stabilita” (p.16), prende a riferimento, da un lato,
la disciplina consumeristica e, dall’altro, la recente legislazione speciale che
impone l’obbligo di assicurazione r.c. ai professionisti.
Sotto il primo profilo, si osserva “che, laddove risulti applicabile la
disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, l’indagine
dovrà necessariamente confrontarsi con la possibilità di intercettare, a
carico del consumatore, quel “significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto” presidiato dalla nullità di protezione, di
cui all’art. 36 d.lgs. n. 206 del 2005”.
L’osservazione è di poco momento pratico perché è assai difficile
ipotizzare che chi contrare un’assicurazione RC professionale possa quali-
ficarsi come consumatore. Ciò di cui è consapevole la stessa Cassazione,
che tuttavia sembra richiamare tale ipotesi residuale per evidenziare “la
maggiore incisività del relativo scrutinio. Questo, in quanto volto ad assi-
curare protezione al contraente debole, non potrà invero che attestarsi su
una soglia di incisione dell’elemento causale più bassa rispetto a quella
necessaria per il positivo riscontro dell’immeritevolezza, affidato ai principi
generali dell’ordinamento”, segnalando analoga esigenza di un penetrante
sindacato nel più frequente “contesto caratterizzato dalla spiccata asimme-
tria delle parti e nel quale il contraente non predisponente, ancorché in
tesi qualificabile come “professionista”, è, in realtà, il più delle volte
sguarnito di esaustive informazioni in ordine ai complessi meccanismi
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(15) Su tali diverse accezioni del concetto di causa, rinvio a DELFINI, Causa ed auto-
nomia privata nella giurisprudenza di legittimità e di merito: dai contratti di viaggio ai derivati
sul rischio di credito, in Studi in onore di Giorgio De Nova, Milano, 2015, pp. 987 ss. e, con
prospettiva comparatistica, a DELFINI, Cause and Consideration
th
in Canadian Contract Law: a
Civil Lawyer’s Perspective, (Lecture delivered on 6 January 2016 at Peter A. Allard School
of Law, University of British Columbia, Vancouver, BC Canada), in Riv. dir. priv., 2016, n.
2, pp. 111- 117.
(16) Relazione del Ministro Guardasigilli, par. 613, Roma, 1943, p. 392.
(17) Tra i principi generali cui è ancora informato l’ordinamento privatistico non vi è né
quello di proporzione oggettiva dei sacrifici patrimoniali dei contraenti, né quello di equi-
valenza soggettiva tra le prestazioni (cfr. CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano,
1966, p. 303 ss. e p. 312 ss.) cosı̀ che icasticamente si è potuto affermare che “La giustizia
del prezzo è nella legalità della sua formazione: in ciò, che venditori e compratori abbiano
osservato le regole della gara” (IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, p. 70); più di
recente, sempre con grande efficacia descrittiva, si è sintetizzato: “nessuna delle regole
concernenti il controllo di funzionalità del contratto è diretta a controllare istituzionalmente
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l’adeguatezza del rapporto tra le prestazioni, a valutare se ciò che una parte ha dato o
promesso è adeguatamente remunerato da ciò che dall’altra parte a lei si è dato o promesso:
a garantire insomma l’equità dello scambio, il rispetto dei principi di giustizia commutativa”
(ROPPO, voce Contratto, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 135 ss.;
in passato, sulla medesima posizione, GATTI, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con
prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 443). La posizione è condivisa in
giurisprudenza (da ultimo, Cass. n. 22567/2015, in Contratti, 2016, 559, ove si legge, in
motivazione: «(…) nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che
opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Si ritiene
dunque che, salvo particolari esigenze di tutela, le parti sono i migliori giudici dei loro inte-
ressi»).
(18) Sui molteplici profili della trasparenza e dell’informazione nel contratto, in passato,
DE NOVA, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1993, p. 705 ss.
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(19) Cass. 12 novembre 2009, n. 23941, in Rep. Foro it., 2010, voce Assicurazione
(contratto), n. 114 e in Giur. it., 2010, p. 1560, cosı̀ massimata: “Causa del contratto è lo
scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente
diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica
negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (nella specie, la suprema corte ha cassato
la sentenza di merito che – in relazione ad un contratto di assicurazione sulla vita stipulato
da un privato per il rischio connesso allo svolgimento dell’attività di volo sportivo o da
diporto – aveva interpretato la clausola contrattuale che escludeva dall’assicurazione l’ipotesi
di volo a bordo di aeromobile non autorizzato senza tener presente in modo adeguato la
finalità concreta che l’assicurato intendeva perseguire con la stipula del contratto, tanto più
che l’incidente si era verificato mentre questi viaggiava a bordo del proprio veicolo da
diporto, peraltro privo delle caratteristiche di un «aeromobile»)”.
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(20) Questi i passaggi centrali della motivazione della sentenza: “(…) la ricorrente, in
sostanza, evidenzia l’erroneità dello stesso, ché esso non tiene conto che più che una
motivazione personale, come configurata dal giudice dell’appello, l’aver sottoscritto quella
polizza era dovuto al fatto esclusivo e imprescindibile che l’assicurato intendeva tutelarsi dai
rischi del volo che avrebbe potuto correre, essendo egli in possesso di brevetto e amante del
volo da diporto. Peraltro, rileva la ricorrente, “lo S. ha versato in premi la somma non
trascurabile, considerando la sua posizione modesta, di L. 40.000.000 circa ed ha praticato
la propria attività sportiva nella tranquillità relativa di aver pensato ai bisogni della propria
famiglia nel caso malaugurato d incidente” (p. 17 ricorso). In altri termini, si censura la
sentenza impugnata per non aver interpretato la clausola proposta in favore del soggetto
assicurato-consumatore, tenendo conto dell’intenzione della parte – S. – e del comporta-
mento complessivo, anche posteriore alla stipulazione del contratto e, quindi, in sostanza
aver considerato la causa astratta del contratto e non già la causa concreta. 3.-Al riguardo,
ritiene la Corte che la censura nella sua sostanza coglie nel segno. Infatti, l’art. 4, cosı̀ come
riportato nella sentenza impugnata – p. 10 – “esclude la garanzia nel caso in cui il decesso
dell’assicurato è causato da incidente di volo, quando questi viaggi a bordo di aeromobile
non autorizzato al volo o con pilota non titolare di idoneo brevetto o, in ogni caso, quale
membro dell’equipaggio”. Questa clausola, allorché esclude la garanzia nei termini predetti,
sta a significare che nella prospettiva motivazionale dello S. essa clausola operava solo se lo
S. avesse viaggiato a bordo di aeromobile (e tale non era il veicolo da diporto), ma qualora lo
S., come accadde, si fosse messo, perché munito di brevetto e delle prescritte autorizzazioni,
a viaggiare e guidare sul suo veicolo, che, ripetesi, per espresso dettato legislativo non è
aeromobile, detta clausola di esclusione della garanzia assicurativa non poteva trovare ap-
plicazione. La fedele trascrizione della motivazione del giudice di appello, di cui sopra,
evidenzia come quel giudice abbia considerato in astratto la causa del contratto assicurativo
stipulato tra le parti. Questa individuazione non risulta conforme ai criteri elaborati da
questa Corte, che con sentenza n. 10490/06 ha, in modo approfondito e convincente, avuto
modo di statuire che la causa “ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale del-
l’atto” non può non essere che “funzione individuale del singolo, specifico contratto posto
in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del
concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione
normativa dei vari tipi contrattuali, si volga al fine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi
hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo
unica) convenzione negoziale” (Cass. n. 10490/06, in motivazione, peraltro, autorevolmente
e recentemente confermata, sia pur a livello di obiter dictum, da Cass. S.U. n. 26793/08, in
tema di risarcimento danno non patrimoniale da contratto). Intesa in tal senso la nozione di
causa del negozio, appare allora evidente, nel caso in esame, che il giudice dell’appello nel
valutare il contratto concluso avrebbe dovuto interrogarsi sul perché lo S. avesse concluso
quel contratto, quali esigenze lo avessero indotto ad assicurarsi in quel modo, ovvero quale
fosse la funzione concreta che quel contratto, peraltro, contenente espressioni ambigue,
veniva a svolgere nel contemperamento degli interessi in gioco anche con la sua aleatorietà.
Di ciò non vi è traccia perché la motivazione valorizza la causa astratta del contratto,
liquidando come irrilevanti, a tal fine, le “motivazioni personali” evidenziate in quella sede
ed ancor prima avanti al tribunale, dalla attuale ricorrente. Il motivo va, quindi, accolto e la
sentenza impugnata va cassata sul punto, dovendo il giudice dell’appello verificare alla luce
del comportamento complessivo tenuto delle parti ed in specie dello S. se quel contratto
aveva in sé una causa concreta individuale, che non poteva e non può essere elusa nell’in-
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dividuazione degli elementi costitutivi anche del contratto di assicurazione, cosı̀ come sotto-
scritto dalle parti in causa”.
(21) Ancorché lo strumento usato – la causa appunto – costituisca, per la propria
ampiezza e voluta indeterminatezza, una clausola generale.
(22) La Corte cost. con ordinanza n. 248/13 ha dichiarato manifestamente la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1385, secondo comma, del codice civile affermando che
“…in punto poi di rilevanza, il Tribunale rimettente (…) non tiene conto dei possibili
margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta
(come, nella specie, egli prospetta) un regolamento degli opposti interessi non equo e
gravemente sbilanciato in danno di una parte. E ciò in ragione della rilevabilità, ex officio,
della nullità (totale o parziale) ex articolo 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto
con il precetto dell’articolo 2 Cost., (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà) che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della
buona fede, cui attribuisce vis normativa, «funzionalizzando cosı̀ il rapporto obbligatorio
alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con
l’interesse proprio dell’obbligato”; ha poi ribadito i medesimi rilievi nella successiva ordi-
nanza n. 77/14, il cui testo riproduce sostanzialmente la prima.
(23) Di “vanificazione concreta delle finalità perseguite dall’utente” parlava, in relazio-
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(26) Ed è significativo che ivi si sia fatto riferimento non solo ai contratti individuati
con specifici nomina, ma anche individuati sulla base di specifici criteri qualificativi, con ciò
consentendo che la rigidità del tipo operi non solo a fronte di una specifica evocazione o
enunciazione di un nomen, ma anche a fronte dell’evocazione sostanziale del tipo, conse-
guente ad altre circostanze (per il rilievo che la norma vieta “di ingannare il cliente giocando
con i nomi”, DE NOVA, Contratti bancari doc, in Contratti, 1993, p. 525). La tutela dell’a-
derente è tuttavia ottenuta nell’art. 117.8 cit. con un mezzo incongruo: la nullità totale del
contratto e la responsabilità del predisponente ex art. 1338 cod. civ., diversamente da
quanto era stato previsto nello schema di Testo Unico al 2 luglio 1993, ove si prevedeva
l’inefficacia delle clausole contrattuali difformi (DE NOVA, Contratti bancari doc, cit., p. 525).
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disciplina del tipo, pur dispositiva: BRECCIA op. ult. cit., p. 122: “La libera determinazione
del contenuto di un contratto, quando il contratto concluso ha una disciplina legale, può
farsi per tramite di una clausola difforme da una disposizione di natura non cogente. In tal
caso i contraenti si limitano a conformare lo schema nominato e tipico nel modo che gli
stessi hanno considerato più adeguato ai loro interessi. (…)” La libera determinazione del
contenuto non è, tuttavia, sconfinata: come si è visto, coesiste, in base al primo comma della
disposizione in esame, con l’imposizione di limiti legali”.
(29) Altra norma che fa riferimento alla determinazione del contenuto del contratto è,
come noto, l’art. 1349 c.c., ma essa disciplina un fenomeno diverso, da quello qui in esame,
sotto due profili: ivi 1) la determinazione dell’oggetto è successiva alla conclusione del
contratto; 2) è affidata ad un terzo e non ad una parte. Si discute se sia possibile, ed in
che limiti, la determinazione unilaterale (e successiva) dell’oggetto del contratto ad opera di
una delle parti: è il tema dell’arbitraggio della parte, appunto. Esso ha trovato risalenti
aperture (cfr. CARRESI, Il contratto, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1987, 1, p. 235, che
lo consentiva, purché compiuto secondo equo apprezzamento) e, più di recente, la tesi
dell’ammissibilità ha potuto trovare spazi argomentativi nella legislazione, seppur di settore,
che ha consentito uno jus variandi unilaterale alla banca o la previsione, nei contratti dei
consumatori, di una clausola che consenta tale potere di modifica unilaterale purché su-
bordinato ad un giustificato motivo. L’attenzione anche monografica al tema resta alta: cfr.
BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale del contratto, Napoli, 2005 e FICI, Il
contratto “incompleto”, Torino, 2005. La dottrina più recente ne attesta ormai la possibilità –
anche ricordando il dato comparatistico e le c.d. fonti persuasive, quali i PECL – appro-
vando il richiamo del canone di buona fede per il controllo a posteriori dell’arbitraggio della
parte (E. GABRIELLI, Dell’oggetto del contratto, sub art. 1349, in Comm. Gabrielli, Torino,
2011, p. 822).
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tipici cui fa riferimento all’art. 1322, comma 1˚, c.c. E ciò a maggior
ragione nel nostro caso, ove la rilevanza meta- individuale della disciplina
del tipo – segnatamente il modello loss occurence delineato dall’art. 1917,
comma 1˚, c.c. – è enfatizzata oggi dall’obiter delle Sezioni Unite, che
ricordano la funzionalizzazione, all’interesse dei clienti del professionista,
dell’obbligo di assicurazione previsto dalla recente legislazione speciale.
Il monito contenuto nell’obiter delle Sezioni Unite – a tenere in conto,
“al momento della stipula delle “convenzioni collettive negoziate dai con-
sigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti” i potenziali
pregiudizi derivanti dal modello claims made per i terzi danneggiabili
dal professionista – può dunque valere a dare concretezza a quella cate-
goria del contratto in danno del terzo in passato indicata a fini eminente-
mente descrittivi (30). E può consentire di intravedere oggi nell’art. 1917,
comma 1˚, c.c., con maggiore fondamento ed urgenza, uno dei “limiti”
all’autonomia privata richiamati dall’art. 1322, comma 1˚, c.c. cit. (31).
La deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c. nella misura che si rivolga al
futuro – e cioè escluda dalla copertura (cfr. supra, lett. B) sinistri verifica-
tisi vigente la polizza ma posti a base di richieste di risarcimento successive
alla cessazione della stessa (come consentito dal lungo termine prescrizio-
nale) – costituirà dunque violazione dell’art. 1322, comma 1˚, con conse-
guente nullità ex art. 1418, comma 1˚, c.c. (32).
Si tratterà di nullità parziale, delle clausole di restrizione abusiva del-
l’oggetto della prestazione caratterizzante il tipo: a ciò non conseguirà la
nullità dell’intero contratto, perché le clausole nulle verranno sostitute, ex
art. 1419, comma 2˚, c.c. da un materiale di sostituzione (la disciplina del
tipo) che ben può essere di natura dispositiva (33).
Il tipo contrattuale può cosı̀ mostrare ancora attuale utilità: non servirà
qui a disciplinare un contratto atipico del quale manchi una disciplina ma,
delineato il tipo evocato dal predisponente, assolverà in un primo momen-
to alla funzione di integrare i limiti, di cui all’art. 1322 c.c., per fondare il
controllo sull’unilaterale determinazione dell’oggetto del contratto e per
giungere alla nullità (parziale) della disciplina abusiva; fornirà, in un se-
condo momento, il materiale di sostituzione delle clausole abusive espun-
te (34). Per tale via il controllo dell’abuso del tipo risulterà praticabile con
maggiore oggettività e meglio controllabile a posteriori.
(33) DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente
approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1976, II, pp. 487-489.
(34) Con raffinatezza giungeva ad un risultato analogo, per altra via, GENTILI, (Merito e
metodo nella giurisprudenza sulle cassette di sicurezza: a proposito della meritevolezza di tutela
del contratto “atipico”, in Riv. dir. comm., I, 1989, 238 ss., p. 244), che prospettava una
valutazione della “interna congruenza” e della eventuale “contraddizione causale” del patto
atipico, rapportandolo alle “norme inderogabili su pezzi di contratto”.
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LA RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
NELL’IMPRESA IN CRISI (1)
1. Premessa.
Trattare di responsabilità degli amministratori di imprese in crisi ri-
chiede di affrontare due ordini di problemi che possono e devono essere
mantenuti distinti: da un lato, l’individuazione dei doveri che incombono
sugli organi gestori di società in crisi (2), doveri il cui inadempimento può
determinare l’insorgere di profili di responsabilità a carico dei loro com-
ponenti; d’altro lato, l’individuazione delle modalità attraverso cui, negli
enti societari in stato di crisi, la responsabilità di detti soggetti può essere
fatta valere.
Si tratta di questioni che, nell’ordinamento italiano (3), sono discipli-
nate in parte da norme di diritto societario, in parte da norme di diritto
NLCC 3/2016
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diritto concorsuale che, dal 2005 ad oggi, hanno arricchito il catalogo degli
strumenti di soluzione concordata della crisi d’impresa e, a differenza che
nel passato, ne hanno consentito l’utilizzo anche agli imprenditori che
siano in semplice stato di crisi, non ancora sfociato in insolvenza, senza
tuttavia imporre espressamente nuovi, specifici comportamenti a carico
degli organi di società che si trovino in tale condizione: scelta di politica
legislativa confermata anche dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83 (7), convertito in
legge con l. 6 agosto 2015, n. 132 (in G.U. n. 192 del 20 agosto 2015), e
dal recentissimo d.l. 3 maggio 2016, n. 59 (8) (in G.U. n. 102 del 3 maggio
2016), che si sono astenuti dal legiferare in materia (secondo quanto
previsto, per contro, dal disegno di legge recante “Delega al Governo
per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insol-
venza”, elaborato dalla commissione governativa presieduta dal Consiglie-
re Renato Rordorf e approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio
2016 (9)).
future payment of creditors) or to put it into liquidation. Otherwise, the directors will be
liable fully or in part to creditors for their unpaid claims. The details of the national rules
vary considerably. In some Member States there are no specific provisions, but a similar
effect is achieved through general rules on directors’ liability, sometimes by tort law, though
the general duty to file a petition for bankruptcy in the case of actual insolvency comes too
late. The concept of wrongful trading applies both to independent companies and to
companies within groups. The directors of a subsidiary company are subject to the rules,
as well as the parent company and its directors if they operate as de facto or “shadow”
directors of the subsidiary. The beauty of the rule is that it does not interfere with the on-
going business decisions of directors, as long as an insolvency situation is not yet foreseea-
ble. A general obligation to file for bankruptcy in case of actual insolvency usually comes too
late”.
(7) Decreto legge (su cui infra, in nota) recante misure urgenti in materia fallimentare,
civile e procedura civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudi-
ziaria.
(8) Decreto recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concor-
suali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione, e che, in materia concor-
suale, ha inciso su profili estranei ai temi oggetto della presente trattazione (fra i quali la
creazione di un registro elettronico relativo alle procedure espropriative e concorsuali e la
possibilità di utilizzare strumenti telematici nell’ambito delle procedure di crisi; senza con-
siderare le norme di diritto concorsuale dettate in tema di pegno mobiliare non possessorio
e di finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensiva-
mente condizionato).
(9) Su tale disegno di legge (comunemente denominato d.d.l. Rordorf) si veda di
seguito, passim, nel testo e in nota.
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(ii) per l’ipotesi di discesa del patrimonio netto, oltre che al di sotto dei
due terzi del capitale sociale, al di sotto del minimo legale (12), impongono
ugualmente la convocazione dell’assemblea, che sarà chiamata ad optare
immediatamente – salvo il già citato disposto dell’art. 182 sexies, l. fall. –
fra ricapitalizzazione, trasformazione in un tipo sociale che non preveda un
capitale minimo incompatibile col valore del patrimonio netto della società
o liquidazione dell’ente (disposta dalla legge – come anticipato – ogni qual
volta i soci non prescelgano una delle ulteriori alternative delineate dalla
legge) (13).
omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti prima che ricorrano i presupposti di cui
agli artt. 2447 e 2482 ter c.c., nel momento in cui tali presupposti, eventualmente, si
verificheranno l’assemblea sarà verosimilmente libera di optare per una delle tre alternative
previste dai predetti articoli solo ove compatibili – in astratto e in concreto – con la
domanda presentata (potendo allora essere concretamente impedita, ad esempio, la trasfor-
mazione della società). Qualora, per contro, nel momento in cui l’assemblea sia convocata
per deliberare ai sensi degli artt. 2447 e 2482 ter c.c., non sia stata avviata alcuna procedura
di soluzione concordata della crisi, occorre chiedersi se la stessa assemblea – in alternativa a
ricapitalizzazione, trasformazione o liquidazione della società – possa deliberare, con effetto
vincolante per gli amministratori, la presentazione di una domanda di concordato preventi-
vo o di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti: quesito a cui, per le s.r.l., pare
possibile dare una risposta affermativa (e v. l’art. 2479 c.c.), al contrario di quanto sembra
doversi sostenere per le s.p.a. (e v. l’art. 2380 bis c.c.). Su questi e su altri problemi,
scaturenti dal coordinamento fra l’art. 182 sexies l. fall. e le disposizioni del codice civile
sulla gestione delle società di capitali, v. in particolare A. ROSSI, La governance dell’impresa
in fase di ristrutturazione, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, p. 1 ss.
(12) Oggi stabilito, per le s.p.a., nella misura di 50.000,00 euro (e v. l’art. 2327 c.c.); per
le s.r.l., nella misura di 10.000,00 euro (e v. l’art. 2463, n. 4), c.c.); ferma la possibilità, per
tutte le s.r.l. ordinarie, di determinare il capitale “in misura inferiore a euro diecimila, pari
almeno a un euro” (e v. lo stesso art. 2463, comma 4˚, c.c.), e salva la disposizione dettata
dall’art. 2463 bis, comma 2˚, n. 3), c.c., per cui il capitale delle s.r.l. semplificate deve essere
“pari almeno a 1 euro e inferiore all’importo di 10.000 euro previsto dall’art. 2463, secondo
comma, n. 4)” c.c.
(13) La disciplina ora descritta rappresenta l’architrave su cui si impernia la normativa
in tema di capitale sociale: normativa oggetto di un vibrante dibattito, animato da giuristi di
formazione anglosassone (e v. per tutti ENRIQUES e MACEY, Raccolta di capitale di rischio e
tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. società,
2002, p. 78 ss.; contra, tuttavia, ex multis, DENOZZA, A che serve il capitale? (Piccole glosse a
L. Enriques-J.R. Macey, Creditors Versus Capital Formation: The Case Against the European
Legal Capital Rules), in Giur. comm., 2002, p. 585 ss.), convinti dell’opportunità di appre-
stare forme di tutela dei creditori basate su coefficienti di natura finanziaria piuttosto che su
parametri di carattere patrimoniale.
È noto, peraltro, come recentemente la “riscrittura” della seconda direttiva CEE in
materia societaria (dir. 2012/30/UE) abbia consacrato la scelta del legislatore comunitario di
riconfermare, ad onta di detti orientamenti dottrinali, la disciplina del capitale, nella con-
vinzione che imporre il mantenimento di un valore positivo del patrimonio netto possa
rappresentare uno dei baluardi posti a protezione del ceto creditorio.
E, in effetti, la scelta pare condivisibile, dovendosi considerare che, per rimanere al
sistema italiano, la disciplina dettata dagli artt. 2447, 2482 ter e 2484, n. 4), c.c., ove
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rispettata, assicurerebbe la soddisfazione integrale dei creditori anche nelle ipotesi di insol-
venza e di conseguente apertura di una procedura concorsuale a carico della società; non
potendosi, teoricamente, verificare – se non per avvenimenti imponderabili – casi in cui
l’ente divenga incapace di soddisfare regolarmente i propri creditori e, al contempo, essen-
dosi conformato alla regola “ricapitalizza o liquida”, abbia un attivo patrimoniale inferiore
alle passività.
D’altra parte, se è vero che, in moltissimi casi, la regola “ricapitalizza o liquida” non
viene rispettata – tanto che la sua violazione rappresenta l’addebito più ricorrente mosso agli
amministratori nel contesto delle azioni di responsabilità esercitate dagli organi delle pro-
cedure concorsuali – è altrettanto vero che una seria statistica circa il grado di efficienza di
detta regola dovrebbe muovere dalla rilevazione degli innumerevoli casi in cui, su iniziativa
degli organi sociali, i soci vengono indotti a ricapitalizzare, trasformare o sciogliere la
società, consentendo dunque ai creditori di godere delle forme di protezione accordate loro
dalla legge.
(14) Trattasi, chiaramente, dell’art. 216 l. fall., che disciplina le fattispecie di “Banca-
rotta fraudolenta”.
(15) Ai sensi della citata disposizione, “Si applicano le pene stabilite nell’art. 216”
anche ai soggetti individuati di seguito, nel testo, ove abbiano “commesso alcuni dei fatti
preveduti nel suddetto articolo” 216 l. fall. e la società sia dichiarata fallita.
(16) Quanto ai liquidatori, ai direttori generali e ai componenti degli organi di con-
trollo, è inutile dire che la normativa loro applicabile deve essere ricostruita anche tenendo
conto dei doveri dei gestori.
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(i) ai sensi dell’art. 223, comma 2˚, l. fall., “si applica” loro (oltre che ai
direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori) “la pena prevista dal primo
comma dell’art. 216 (17) se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società
commettendo alcuni dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627,
2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile” (18);
“2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il
fallimento della società”;
(ii) ai sensi dell’art. 224 l. fall., amministratori – oltre che direttori
generali, sindaci e liquidatori – di società fallite sono puniti con le pene
stabilite dall’art. 217 l. fall., in tema di bancarotta semplice, se abbiano
commesso alcuni dei fatti previsti da quest’ultimo articolo o abbiano
“concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosser-
vanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge” (fra cui il dovere di agire
con diligenza per rilevare ed affrontare tempestivamente la crisi);
(iii) ai sensi dell’art. 236 l. fall., i citati artt. 223 e 224 l. fall. si ap-
plicano anche nel caso di concordato preventivo.
Una precisa individuazione dei doveri degli amministratori in caso di
insolvenza della società è, dunque, possibile solo ricostruendo la nozione
di aggravamento del dissesto e le ipotesi in cui lo stesso possa dirsi cagio-
nato, inter alia, dall’omessa istanza di fallimento in proprio (19); ricostru-
zione che dovrebbe valere a chiarire, in particolare, in quali ipotesi è
consentito all’organo di gestione di una società insolvente proporre ai
creditori il ricorso a un istituto di soluzione concordata della crisi e in
quali ipotesi, per contro, tale comportamento può essere fonte di respon-
sabilità, sul piano penale e/o sul piano civile. Ed è inutile osservare che,
ove effettivamente il legislatore italiano voglia promuovere il ricorso a tali
istituti anche da parte di società insolventi (20), è opportuno che fornisca
132, che – in palese controtendenza con il trend normativo che ha caratterizzato l’ordina-
mento italiano nel periodo 2005-2015 – ha ridotto la possibilità per gli imprenditori in crisi
di accedere al concordato preventivo, statuendo, inter alia, che – con la sola eccezione dei
concordati con continuità aziendale – “in ogni caso la proposta di concordato deve assicu-
rare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari” (e v.
il novellato art. 160, ultimo comma, l. fall.) ed eliminando il principio del silenzio-assenso in
sede di manifestazione del voto da parte dei creditori (art. 178, comma 4˚, l. fall.).
(21) E salve le ipotesi (oltre che di commissione di specifici reati) di illegittimità dolose
o colpose del debitore (per quanto interessa in questa sede, degli amministratori della
società debitrice) e dell’attestatore, che si sia pronunciato – secondo quanto disposto dagli
artt. 67, lett. d, 161, 182 bis l. fall. – sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano,
esponendosi in tal modo, perlomeno astrattamente, oltre che a responsabilità penale (e v.
l’art. 236 bis l. fall., in tema di “Falso in attestazioni e relazioni” dell’attestatore), anche a
responsabilità civile; parendo corretto ritenere, sotto quest’ultimo profilo, che ambedue tali
soggetti possano ritenersi responsabili per il danno derivante dalla ritardata declaratoria di
fallimento della società, e dal conseguente aggravamento del dissesto, oltre che nelle ipotesi
di dolo, solo nei casi in cui, impiegando la diligenza da loro esigibile (e ferma l’esclusione da
responsabilità per colpa lieve prevista dall’art. 2236 c.c., per il professionista chiamato alla
“soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, ove ricorrano i presupposti previsti da
tale norma), avrebbero potuto e dovuto rendersi conto della non fattibilità del piano;
dovendosi invece escludere che la negoziazione e la predisposizione di un piano a priori
fattibile, al fine di ricorrere a uno degli istituti di soluzione concordata della crisi, possano
ritenersi fonte di responsabilità, anche in caso di insuccesso di detti istituti e di aggrava-
mento del dissesto della società.
(22) E questo, nonostante l’attestazione avente ad oggetto la veridicità dei dati e la
fattibilità del piano – prevista per ciascuno di detti istituti – non garantisca necessariamente
che si tratti di una proposta ragionevole, secondo quanto potrebbe avvenire ove l’attestatore
dovesse esprimersi – sotto la propria responsabilità – anche circa l’idoneità della proposta
ad assicurare (se non la migliore) una congrua soddisfazione dei creditori, tenendo conto
dello stato di crisi in cui si trova il debitore.
(23) Sulle “Procedure di allerta e composizione assistita della crisi” v. l’art. 4 del
disegno di legge Rordorf recante ‘Delega al Governo per la riforma organica delle discipline
della crisi di impresa e dell’insolvenza’, cit. (e v. nel testo, sub par. 2): d.d.l. su cui di seguito,
alla nt. 34. V., inoltre, infra, sub par. 2.3, nel testo e in nota.
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(29) E v., in tema di s.p.a., l’art. 2392, c.c., a norma del quale “Gli amministratori
devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”: norma che rappre-
senta un limite alla c.d. business judgment rule, per la quale il merito delle scelte compiute
dagli amministratori è insindacabile sia dagli organi di vigilanza (a cui siano affidati – ed è il
caso del collegio sindacale – controlli di legittimità), sia – a fortiori – dall’autorità giudiziaria.
(30) Si noti, peraltro, che la possibilità, prevista in tema di concordato preventivo dagli
artt. 163 e 163 bis l. fall. (e v. la novella di cui al d.l. n. 83/15, conv. con l. n. 132/15, cit.), di
presentazione di proposte concorrenti (inammissibili quando un professionista attesti che la
proposta di concordato presentata dal debitore assicura il pagamento, ancorché dilazionato,
di almeno il quaranta per cento – nei concordati con continuità aziendale, il trenta per cento
– dei crediti chirografari: art. 163, comma 5˚, l. fall.) e di offerte concorrenti (e v. l’art. 163
bis l. fall.) condurrà verosimilmente a un affievolimento della responsabilità addossabile agli
amministratori in considerazione del contenuto della proposta e del piano di concordato
(perlomeno quando gli stessi non impediscano il lancio di proposte e offerte concorrenti),
essendo evidente che, (i) ove vengano approvate e omologate proposte od offerte concor-
renti, gli organi della società debitrice, per definizione, non ne potranno rispondere; (ii)
identiche conclusioni debbano verosimilmente valere ove sia approvata ed omologata la
proposta della debitrice in presenza di proposte od offerte concorrenti; (iii) analoga consi-
derazione possa essere svolta (perlomeno, in linea di principio) quando proposte od offerte
concorrenti non siano state presentate.
(31) E ciò sia in considerazione di fattori esogeni, in primis l’andamento del mercato,
sia in considerazione di fattori endogeni, fra cui il rifiuto dei soci di apportare a favore della
società nuovo capitale di rischio (conferimenti o apporti a fondo perduto) ovvero, e sempre
che possa essere utile ai fini della risoluzione della crisi, nuovo capitale di credito.
(32) Ferma restando la responsabilità degli amministratori che abbiano determinato la
crisi per effetto di atti illegittimi (ivi compresa la violazione del dovere di diligenza), o che
non abbiano tempestivamente rilevato la crisi, per effetto di azioni o di omissioni contra
legem.
(33) Questa la nozione a cui parrebbe più opportuno riferirsi (eventualmente adottan-
do alcuni indici elaborati dai sostenitori delle procedure di allerta; e v., sul punto, ROSAPEPE,
op. cit., p. 899, ove riferimenti a JORIO, I lineamenti di una nuova… improbabile legge
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fallimentare, in Giur. comm., 2005, I, p. 323 ss.; SANDULLI, I controlli delle società come
strumenti di tempestiva rivelazione della crisi d’impresa, in Fallimento, 2009, p. 1102; GIORGI,
Introduzione al diritto della crisi di impresa, Padova, 2012, p. 149 ss.), trattandosi del
presupposto oggettivo individuato dalla legge per l’accesso alle procedure di soluzione
concordata della crisi.
(34) E salva, forse, la possibilità di derogare alla regola ipotizzata nel testo, mediante
l’adozione di una delibera motivata (il cui contenuto potrà evidentemente venire in consi-
derazione in sede di giudizio di responsabilità).
(35) La cui presentazione, pure, se palesata, può concorrere ad aggravare la crisi, non
fosse altro per i problemi di carattere reputazionale che inevitabilmente determina; sı̀ che
talora potrebbe essere giudicato doveroso, per gli amministratori, studiare un piano di
risanamento ex art. 67, lett. d, l. fall., senza procedere alla sua divulgazione e alla sua
pubblicazione nel registro delle imprese (e v. A. ROSSI, La gestione dell’impresa nella crisi
“atipica”, cit., p. 13).
In senso parzialmente conforme a quanto sostenuto nel testo v. il disegno di legge
Rordorf, cit (già oggi suscettibile di essere considerato espressione degli orientamenti dot-
trinali di cui la maggioranza dei membri della commissione di riforma sono fautori, non
necessariamente soltanto in un’ottica de iure condendo); disegno di legge che:
all’art. 13 (“Modifiche al codice civile”), lett. b, prevede “il dovere dell’imprenditore e
degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva
della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché l’obbligo di attivarsi per l’ado-
zione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della
crisi ed il recupero della continuità aziendale” (e si veda l’analogia di contenuto con la
norma 11 – “Attività del collegio sindacale nella crisi di impresa” - delle “Norme di
comportamento del collegio sindacale” dettate, per i sindaci di società non quotate, dal
CNDCEC-Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti Esperti Contabili, recentemente appro-
vate a far data dal settembre 2015; norma che, sub 11.1 “Prevenzione ed emersione della
crisi”- “Principi” - recita quanto segue: “Il collegio sindacale, nello svolgimento della fun-
zione riconosciutagli dalla legge, vigila che il sistema di controllo e gli assetti organizzativi
adottati dalla società risultino adeguati a rilevare tempestivamente segnali che facciano
emergere dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come
una entità in funzionamento. Il collegio sindacale può chiedere chiarimenti all’organo di
amministrazione e, se del caso, sollecitare lo stesso ad adottare opportuni provvedimenti”);
all’art. 4 (“Procedure di allerta e composizione assistita della crisi”) prevede, d’altra
parte, l’introduzione di “procedure di allerta e composizione assistita della crisi, di natura
non giudiziale e confidenziale, finalizzate ad incentivare l’emersione anticipata della crisi e
ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori”: procedure che l’organismo
di composizione della crisi (OCC) dovrebbe essere tenuto ad avviare, su segnalazione dei
soggetti individuati alla lett. b (gli “organi di controllo societari, il “revisore contabile” e le
“società di revisione” – ai quali dovrebbe essere imposto di “avvisare immediatamente
l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati inizi della crisi e, in caso di
omessa o inadeguata risposta, di informare direttamente il competente organismo di com-
posizione della crisi”; essendo allora ragionevole che analoghi doveri siano imposti all’im-
prenditore individuale) e alla lett. c (che stabilisce l’obbligo dei “creditori qualificati” “di
segnalare immediatamente agli organi di controllo della società o, in mancanza, all’organi-
smo di composizione della crisi, il perdurare di inadempimenti di importo rilevante” do-
vendosi coordinare detti obblighi “con quelli di informazione e vigilanza spettanti alla
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Consob”).
L’OCC, in particolare, dovrebbe promuovere “le misure idonee a porre rimedio allo
stato di crisi”, affidando a “un soggetto scelto tra soggetti di adeguata professionalità nella
gestione della crisi d’impresa” “l’incarico di addivenire ad una soluzione concordata della
crisi”, “entro un congruo termine” “non superiore complessivamente a sei mesi”; dovendosi
altrimenti allertare il “presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribu-
nale del luogo in cui l’imprenditore ha sede”, il quale, convocato l’imprenditore, dovrebbe
far verificare a un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 l. fall. “la situazione
economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa”; essendo stabilito che, “se dalla relazione
depositata dal predetto professionista risulta che l’impresa versa in stato di crisi, il presi-
dente assegna un termine per intraprendere le misure idonee a provi rimedio, decorso
inutilmente il quale dispone la pubblicazione della relazione medesima nel registro delle
imprese” (pare di comprendere, per palesare lo stato di crisi dell’imprenditore e consentire
ai creditori di valutare l’opportunità di richiederne il fallimento).
(36) Supra, sub par. 2.2.
(37) Si tenga conto, del resto, che l’art. 182 sexies l. fall., fa salvo, per il periodo
anteriore al deposito delle domande di concordato preventivo o di omologa di accordi di
ristrutturazione dei debiti, il disposto dell’art. 2486 c.c., a norma del quale, al verificarsi di
una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli
fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e sono personal-
mente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e
ai terzi per atti ed omissioni eventualmente compiuti in violazione di tale precetto. Con la
conseguenza che gli amministratori, per evitare di vedersi un giorno citati in responsabilità
per non avere tempestivamente rilevato la causa di scioglimento dell’ente di cui all’art. 2484,
n. 4), c.c. (e v. l’art. 2485 c.c., a norma del quale gli amministratori “devono senza indugio
accertare il verificarsi di una causa di scioglimento” e procedere ai relativi adempimenti
pubblicitari, essendo personalmente responsabili, “in caso di ritardo od omissione”, “per i
danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi”) saranno spinti ad anti-
cipare, quanto più possibile, l’istanza di concordato preventivo o di omologa di un accordo
di ristrutturazione dei debiti; essendo evidente che, per non incorrere in responsabilità, gli
stessi dovranno pervenire al deposito della relativa istanza prima che la perdita del capitale
superi le soglie previste dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c. o, al più, appena l’assemblea,
tempestivamente convocata, abbia omesso di deliberare nel senso ivi previsto (riduzione e
contestuale aumento del capitale o trasformazione dell’ente); potendosi dunque classificare
l’art. 182 sexies l. fall. fra le norme volte a favorire l’emersione della crisi d’impresa e ad
anticipare, quanto più possibile, l’avvio dei processi di soluzione concordata della crisi.
Rischia peraltro di vanificare tale obiettivo il d.l. n. 83/15, convertito in l. n. 132/15,
cit., che – come anticipato (e v. supra, la nt. 30) – (i) sia pure nelle sole ipotesi contemplate
dal novellato art. 163, commi 4˚ ss., l. fall., consente ai creditori rappresentanti almeno il
dieci per cento dei crediti di presentare una proposta di concordato preventivo alternativa a
quella formulata dall’imprenditore in crisi: proposta che, se preferita dai creditori e omo-
logata dal tribunale, risulta vincolante per il debitore, tenuto a compiere, ex lege, ogni atto
necessario a darvi esecuzione (ivi compreso, per i debitori aventi la forma di s.r.l. e di s.p.a.,
“un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto di opzione”);
(ii) ammette che, qualora il piano di concordato preveda un’offerta di “un soggetto già
individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione,
verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell’azienda o di uno o più
rami d’azienda o di specifici beni”, si debba aprire una procedura competitiva (applicabile
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“anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’articolo 161, settimo comma, nonché all’affitto di
azienda o di uno o più rami di azienda”) al cui esito il debitore si deve adeguare, dovendo
“modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all’esito della gara”.
È evidente, infatti, che la consapevolezza di poter subire una procedura di concordato
completamente diversa da quella che si intenderebbe proporre al ceto creditorio (situazione
che, sino all’emanazione del d.l. n. 83/15, l’ordinamento giuridico italiano non contemplava,
essendo accordata al solo debitore la legittimazione a presentare una proposta di concordato
preventivo e potendo i creditori soltanto accettarla o rifiutarla) potrebbe indurre, e di
frequente indurrà, l’imprenditore in crisi a non effettuare alcuna proposta (non potendo
ancor oggi il concordato essere imposto al debitore in assenza di una sua “prima mossa”).
Pacifico, del resto, che il d.l. n. 83/15, convertito in l. n. 132/15, cit., abbia reso l’accesso al
concordato preventivo molto più difficile che nel decennio appena trascorso, ponendosi in
antitesi col ciclo di riforme avviato nel triennio 2005-2007 (d.l. n. 14 marzo 2005, n. 35,
convertito con l. 14 maggio 2005, n. 80, in G.U. n. 111 del 14 maggio 2005, s.o. n. 91; d.lgs.
9 gennaio 2006, n. 5, in G.U. n. 12 del 16 gennaio 2006, s.o. n. 13; d.lgs. 12 settembre 2007,
n. 169, in G.U. n. 241 del 16 ottobre 2007), tanto da poter essere definito una vera e propria
“controriforma”.
(38) E v. di seguito, al par. 3.2, in nota.
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(39) Mediante la citata novella di cui al d.l. n. 35/05, convertito con l. n. 80/05.
(40) Trasferimento su cui v. comunque di seguito, al par. 3.2.1.
(41) Circa la possibilità di una rinuncia all’azione sociale di responsabilità da parte dei
soci e/o della società nel momento in cui gli amministratori cessano dalla carica (e gene-
ralmente, se soci, alienano le loro partecipazioni), è noto che la dottrina e, soprattutto, la
giurisprudenza hanno espresso orientamenti talora molto restrittivi. Al riguardo, e per
rimanere alle pronunce più recenti, è possibile citare Cass. 7 luglio 2011, n. 14963 (in Giur.
it., 2012, p. 1074, con nota di DESANA: “La rinuncia all’azione sociale di responsabilità
manifestata preventivamente da tutti i soci, in difetto di espressa delibera assembleare, è
affetta da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile
d’ufficio”); Trib. Genova 4 febbraio 2008, in Pluris (“In tema di società, la validità della
rinuncia all’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori, rimane sottopo-
sta, in virtù dell’ultimo comma dell’art. 2393 c.c., alla ricorrenza di determinate condizioni e,
segnatamente, alla approvazione, con la maggioranza indicata dalla predetta norma, prove-
niente da apposita delibera assembleare e, sempre che, la rinuncia abbia ad oggetto una
specifica azione di responsabilità fondata su fatti dei quali l’assemblea societaria abbia
precedentemente avuto contezza”); Cass. 24 aprile 2007, n. 9901 (in Giur. it., 2007, p.
2757: “La rinuncia o la transazione relative all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità
contro gli amministratori di società per azioni senza la preventiva deliberazione assembleare
sono affette da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e
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difficile immaginare piani ex art. 67, lett. d, o ex art. 182 bis l. fall., che
prevedano l’esercizio di iniziative giudiziarie, da parte della società debi-
trici, nei confronti dei componenti l’organo amministrativo.
In tal modo, in realtà, le società in crisi potrebbero recuperare attività
da destinare al superamento, o alla gestione, della crisi; né, d’altra parte, si
può escludere che i predetti piani, venendo elaborati una volta che l’azione
sociale di responsabilità sia già stata esercitata, o quando sarebbero matu-
rati i presupposti per esercitarla (42), contemplino la rinuncia alla stessa (43)
o, più verosimilmente, una transazione con gli amministratori convenuti.
In tali casi, rinunce e transazioni, ove possano effettivamente conside-
rarsi atti esecutivi del piano predisposto dalla società in crisi ex artt. 67 e
182 bis l. fall., saranno sottratte all’applicazione delle norme sulla revoca-
toria, la bancarotta semplice e la bancarotta preferenziale (44); fermo re-
stando che le stesse, nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a., potranno venire poste in
essere unicamente alle condizioni prescritte dall’art. 2393, comma 6˚,
c.c. (45) e, dunque, in presenza di una delibera assembleare e in assenza
rilevabile d’ufficio”); Trib. Milano 2 dicembre 2005, in Società, 2006, p. 1525, con nota di
CIVERRA (“La rinuncia all’azione sociale di responsabilità, perché possa produrre efficacia,
deve essere deliberata dall’assemblea in relazione a specifici e concreti episodi di ammini-
strazione integranti la pretesa risarcitoria della società. Per tale ragione, non è ammissibile
una rinuncia anteriore ai fatti di ‘mala gestio’”) Cass. 9 giugno 1994, n. 7030 (“Il patto col
quale i soci di una s.r.l. si impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex
amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei
confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto pur in presenza dei pre-
supposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione
realizza un conflitto di interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo
ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale
di società, non potendo i soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad
esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il
patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la compagine sociale sia limitata a
due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi)”). Per un’ampia disamina
dei problemi connessi all’esonero da responsabilità dei componenti l’organo amministrativo
di società per azioni v. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a.,
Milano, 2008, ove ampi riferimenti.
(42) Perlomeno, secondo la prospettazione della società che asserisce di essere stata
danneggiata dall’operato dei suoi amministratori.
(43) Si può immaginare, dietro corresponsione, da parte degli amministratori, di un
“contributo” prestato, a qualsivoglia titolo, alla soluzione della crisi; trattandosi dunque
verosimilmente di rinuncia che, se anche preventiva rispetto all’instaurazione di un proce-
dimento giudiziario, avrà una funzione perlomeno lato sensu transattiva.
(44) E v. gli artt. 67, lett. d ed e, e 217 bis l. fall.
(45) Trovando invece applicazione, alle s.r.l., l’art. 2476, comma 5˚, c.c., per il quale
“Salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità contro gli ammi-
nistratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi
consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale
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del voto contrario di tanti soci che rappresentino un quinto (o, nelle
società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, un ventesimo)
del capitale sociale (46); cosı̀ come, d’altra parte, l’esercizio dell’azione
sociale di responsabilità, ove contemplata dal piano, richiederebbe la de-
liberazione dell’assemblea prevista dall’art. 2393, comma 1˚, c.c. (47) (48).
e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo dal capitale
sociale”.
(46) “Ovvero” – recita la seconda parte dell’art. 2393, comma 6˚, c.c. – “la misura
prevista nello statuto per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi
primo e secondo dell’art. 2393 bis” c.c.
(47) Tale conclusione – pacifica per le s.p.a. e per le s.a.p.a., a cui tale articolo è
direttamente applicabile – vale, secondo l’opinione dominante (invero, perlomeno discuti-
bile), anche per le s.r.l., nonostante la legge, nel disciplinare tale tipo sociale, non detti
alcuna disposizione di contenuto analogo all’art. 2393 c.c. e, per la verità, non regoli
nemmeno l’azione sociale di responsabilità (la cui configurabilità, tuttavia, discende dai
principi generali sul rapporto di amministrazione e la responsabilità contrattuale); e v.,
sul punto, GUIDOTTI, Sub art. 2476, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve al
diritto delle società, Padova, 2015, p. 1395 ss., ove ampi riferimenti.
(48) Ne discendono – in particolare con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei
debiti – problemi di governance non ancora sufficientemente esplorati: da un lato, essendo
necessario domandarsi se, una volta che gli amministratori abbiano presentato un a.r.d.
prevedente una delibera assembleare avente ad oggetto l’esercizio dell’azione di responsa-
bilità (si può immaginare, verso gli ex amministratori), ovvero a rinunciarvi o a transigervi,
l’assemblea sia vincolata ad adottarla (essendo comunque dubbio, in tale ipotesi, quale sia la
sorte di una deliberazione che si discosti dalle previsioni del piano); d’altro lato, dovendosi
comprendere se e come gli amministratori possano proporre un a.r.d. prevedente la rinuncia
all’azione di responsabilità nei loro confronti, o una transazione in ordine alla stessa.
Con riferimento al primo problema (che parrebbe evitabile facendo assumere all’as-
semblea le delibere de quibus in via contestuale – se non preventiva e condizionata – rispetto
alla decisione dell’organo gestionale avente ad oggetto la presentazione della domanda di
omologa dell’a.r.d.), sembra corretto ritenere che i soci, in assemblea, mantengano la pro-
pria discrezionalità e che, pertanto, la mancata adozione della delibera assembleare prevista
nel piano (o avente il contenuto ivi previsto) non sia configurabile quale inadempimento da
parte della società (non potendo i suoi amministratori assumere validamente o, comunque,
efficacemente obbligazioni con riferimento a materie riservate alla competenza assembleare
– ivi comprese, a mero titolo esemplificativo, aumenti di capitale, fusioni, scissioni – in
assenza di una previa delibera dell’assemblea).
Circa la seconda questione, non v’è dubbio che gli amministratori rischino di trovarsi in
conflitto di interessi, o comunque portatori di un interesse personale all’esecuzione dell’o-
perazione, con conseguente (astratta) applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 2391 e
2475 ter c.c.; dovendosi tuttavia considerare come, una volta che non solo l’accordo coi
creditori sia stato raggiunto e la domanda di omologa dell’a.r.d. sia stata depositata, ma che
per di più le delibere assembleari de quibus siano state adottate, le rinunce e le transazioni
non potranno venire dichiarate inefficaci (non potendo comunque essere impedita l’adozio-
ne di dette delibere assembleari anche se la domanda di omologa dell’a.r.d. potesse venire
dichiarata improduttiva di effetti, o dovesse comunque essere respinta – con conseguente
diniego dell’omologazione – stante l’annullabilità della delibera consiliare avente ad oggetto
il deposito del ricorso ex art. 182 bis l. fall.: questione – che non è possibile approfondire in
questa sede – la cui soluzione richiede di comprendere come, nel giudizio di omologa, si
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possa dare rilievo all’invalidità della delibera consiliare de qua, eventualmente coordinando
le deduzioni svolte al riguardo all’interno di detto giudizio con l’impugnativa della mede-
sima deliberazione).
Ambedue le problematiche sopra accennate, peraltro, appaiono risolvibili, da parte dei
soci, avocando a sé stessi la competenza deliberativa in tema di a.r.d., secondo quanto pare
possibile, perlomeno nelle s.r.l. (ma lo stesso vale nelle s.p.a., se si giudica applicabile alla
presentazioni di a.r.d. l’art. 152, comma 2˚, l. fall., ove è espressamente sancita la deroga-
bilità della competenza decisionale in materia attribuita ex lege all’organo di gestione).
(49) Esercizio dell’azione sociale di responsabilità, ovvero rinuncia o transazione della
stessa.
(50) Ovvero la rinuncia della società all’azione.
(51) La norma, come noto, regola l’azione di responsabilità esperibile, nei confronti
degli amministratori, dai creditori sociali di s.p.a., quando “il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti” e i componenti l’organo di gestione abbia-
no violato gli obblighi, sugli stessi incombenti, “inerenti alla conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale”. Rimane ferma, almeno astrattamente, la possibilità per gli stessi credi-
tori sociali di agire verso gli amministratori ex art. 2043 c.c., per richiedere il risarcimento
dei danni cagionati loro per effetto di comportamenti dolosi o colposi dei gestori; essendo
peraltro questo il principale, se non l’unico rimedio a disposizione dei creditori di società
appartenenti a tipi sociali (fra cui, in particolare, la s.r.l.) per i quali non sia previsto
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solo una volta negoziata ed eseguita, con gli organi gestori, una transazione
che ponga fine al contenzioso in essere, in maniera considerata soddisfa-
cente dagli organi di gestione della stessa banca (52). Ferma, ovviamente,
l’inapplicabilità, ai piani di cui all’art. 67, lett. d e agli accordi ex art. 182
bis l. fall., del principio di maggioranza nei rapporti interni al ceto credi-
torio: sı̀ che gli amministratori, nell’ambito di tali procedimenti, non po-
tranno mai porsi al riparo dalle azioni dei creditori con i quali non inter-
venga una transazione (53).
un’azione tipica quale quella di cui all’art. 2394 c.c. (alla quale soltanto, perlomeno tenden-
zialmente, si farà riferimento nel prosieguo del presente articolo).
(52) In tal caso, non trattandosi di atti di disposizione di cespiti facenti parte dell’attivo
sociale (ma dell’attivo della banca, sedicente creditrice degli amministratori ex art. 2394 e/o
2395 c.c.), non dovrebbe, peraltro, nemmeno porsi il problema di esentare detta transazione
dall’ambito di applicazione delle norme in tema di revocatoria e di bancarotta semplice e
fraudolenta. Interessante, piuttosto, rilevare che, perlomeno in caso di esercizio dell’azione
post omologa, i creditori sociali aderenti all’accordo, ove abbiano visto falcidiato il proprio
credito, potrebbero vedersi eccepire che, se la società è in grado di dare esecuzione all’a.r.d.,
non sussiste il presupposto di cui all’art. 2394, comma 2˚, c.c. (l’essere il patrimonio sociale
divenuto insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti); e v. D’ATTORRE, Le azioni di
responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. società, 2015, p. 37. Sull’analogo problema
che si pone in caso di omologa di un concordato preventivo v. peraltro di seguito, il
par. 3.2.2.
(53) Sul punto del resto, con riferimento al concordato preventivo, v. di seguito il
par. 3.2.3.
(54) E v., fra gli altri, D’ATTORRE, op. cit., p. 15 ss.; PAGNI, La legittimazione alle azioni
di responsabilità nel concordato preventivo, in Società, 2015, p. 601 ss.; FABIANI, Le azioni di
responsabilità nei confronti degli amministratori di società in concordato preventivo, in Società,
2015, p. 612 ss. (ma, dello stesso autore, v. anche L’azione di responsabilità dei creditori
sociali e le altre azioni sostitutive, Milano, 2015); A. DIMUNDO, La responsabilità civile degli
amministratori di s.r.l. in concordato preventivo, in Fallimento, 2014, p. 1138 ss.; GRACI, Le
azioni di responsabilità nel concordato preventivo e la legittimazione del commissario giudi-
ziale, in Dir. fall., 2015, II, p. 154; DONGIACOMO, Le azioni di responsabilità nel piano di
concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 16.11.2012; CONFORTI, La responsabilità
civile degli amministratori di società per azioni, Milano, 2013, p. 1003 ss.; AMBROSINI, Il
concordato preventivo, in VASSALLI, LUISO e GABRIELLI (diretto da), Trattato di diritto falli-
mentare e delle altre procedure concorsuali vol. IV, Torino, 2014, p. 142. Si vedano inoltre F.
PASQUARIELLO, Le azioni risarcitorie per lesione aquiliana del credito contro ‘amministratore di
società fallita: una nuova lettura, anche nella prospettiva dell’imminente riforma del diritto
(societario) della crisi d’impresa, in corso di pubblicazione su Banca, borsa e tit. cred., 2016,
ed il blog di GALLETTI, Le azioni di responsabilità esercitate nel corso di procedure di concor-
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zione parziale delle attività sociali (57), escluso il diritto al risarcimento dei
danni vantato dalla società nei confronti degli amministratori, ovvero di
(ii) piano di concordato prevedente una liquidazione totale o comun-
que, ove ammissibile (58), una liquidazione parziale degli assets sociali com-
prendente anche il credito risarcitorio de quo (59).
(57) E v. l’art. 186 bis l. fall., il cui comma 1˚ dispone che il piano di concordato con
continuità aziendale “può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’eserci-
zio dell’impresa”.
(58) Nonostante sia opinione dominante, perlomeno in giurisprudenza (e v. App. Roma
5 marzo 2013, in www.ilcaso.it, 2013; Trib. Roma 25 luglio 2012, in Fallimento, 2013, p.
748; Trib. Roma 29 luglio 2010, in Fallimento, 2011, p. 225; ma – in senso contrario – si
vedano gli autori citati da FABIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli ammini-
stratori di società in concordato preventivo, cit., p. 615, nt. 14), che i concordati liquidatori
debbano prevedere la liquidazione totale delle attività sociali, o comunque l’attribuzione ai
creditori di beni di valore pari a quello, complessivo, di tutti i cespiti dell’attivo, non paiono
ravvisabili indici normativi in grado di supportare detta conclusione. Sembra ingiustificato,
in particolare, il richiamo all’art. 2740 c.c., che da un lato trova un’espressa deroga nel
concordato con continuità aziendale c.d. soggettiva (procedura in cui è concesso al debitore
di esdebitarsi per la parte di passività eccedenti la percentuale oggetto della proposta
concordataria e che peraltro, nell’ottica del legislatore, non è certo maggiormente meritevole
di incentivi rispetto al concordato con continuità aziendale c.d. oggettiva) e nei concordati
prevedenti la fusione fra più società, con conseguente confusione delle masse attive e passive
(procedure in cui perlomeno una delle società partecipanti alla fusione vedrà destinata una
parte dei propri assets ai creditori di altra, o di altre società, e non ai propri); d’altro lato, si
caratterizza per una ratio legis (consentire ai creditori, sino alla loro completa soddisfazione,
di poter contare su tutti i cespiti dell’attivo del debitore, presenti e futuri) che viene tradita
in ogni tipo di concordato comportante esdebitazione (e, conseguentemente, il venir meno
del debito, prima ancora che della responsabilità; e questo nonostante, estinto il primo, la
seconda, dal punto di vista formale, non possa sussistere, sı̀ che, in ogni concordato pre-
vedente liquidazione totale degli assets ed esdebitazione, l’art. 2740 c.c. risulta tecnicamente
rispettato, non essendovi più debiti di cui il debitore debba rispondere con i propri beni
futuri). Pare, in altre parole, che in un sistema che consente al debitore – ove la maggioranza
dei creditori lo accetti e il tribunale conceda l’omologazione – di liberarsi da una parte anche
molto consistente dei propri debiti, evitando di dover destinare per il futuro, ai propri (ex)
creditori, i beni di cui diverrà titolare, anche ove si tratti di milioni e milioni di euro, ritenere
che sia impedito allo stesso debitore di offrire ai creditori una parte soltanto del proprio
attivo (al limite, con uno scostamento di un solo euro fra valore totale degli assets e valore
messo a disposizione del ceto creditorio) pare non conforme alla mens legis; dovendosi
oltretutto considerare che, nel novellare l’art. 160 l. fall., il d.l. n. 35/05 ha eliminato la
previsione per cui, in caso di concordato liquidatorio, il debitore doveva offrire “la cessione
di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio alla data della proposta di concordato, tranne
quelli indicati dall’art. 46” l. fall.
(59) In assenza di diversa previsione pattizia che contempli la cessione (se non, espres-
samente, del credito de quo) di tutti i crediti, il credito della società al risarcimento del
danno non potrà considerarsi trasferito, nemmeno in caso di cessione di azienda (fattispecie
dalla quale, secondo l’opinione dominante, sono di regola esclusi – salva diversa disposizio-
ne convenzionale – tanto il trasferimento dei crediti, quanto il trasferimento dei debiti: e v.
per tutti COLOMBO, Contratti, crediti e debiti nel trasferimento dell’azienda in piena titolarità,
in GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,
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Nella prima ipotesi (sub i), non v’è dubbio che l’azione di responsa-
bilità rimanga a far parte del patrimonio della società (60), che difficilmente
deciderà di esercitarla per le note ragioni che, in concreto, ostano all’e-
sperimento di tale iniziativa nelle società in bonis (id est, la tendenziale
riferibilità degli amministratori ai soci di maggioranza che dovrebbero
adottare la delibera assembleare di cui all’art. 2393 c.c.). La disciplina
dell’azione, infatti, è la medesima applicabile alle società in bonis; ferma
la necessità di integrare dette apparato di regole con le norme che pre-
scrivono l’autorizzazione del giudice delegato per gli atti di straordinaria
amministrazione in corso di procedura (61); dovendosi far rientrare in tale
insieme – ad avviso di chi scrive – unicamente la rinuncia o la transazione
dell’azione de qua, ma non anche il suo esercizio (62).
momento che, con particolare riferimento ad azioni già esercitate prima dell’apertura del
concordato preventivo, il più recente orientamento della Cassazione (e v. Cass. 27 ottobre
2015, n. 21851) – invero opinabile – ha condotto ad affermare che, “In tema di concordato
preventivo con cessione dei beni, il giudizio promosso dal debitore per la riscossione di un
proprio credito prima dell’ammissione alla procedura e proseguito dopo l’omologazione,
non richiede l’integrazione del contraddittorio nei confronti del commissario liquidatore dei
beni nominato dal tribunale, non determinandosi in capo agli organi della procedura il
trasferimento della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma esclusivamente dei
poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore conserva il
diritto di esercitare in proprio le azioni e resistervi nei confronti dei terzi a tutela del suo
patrimonio”. Sul punto, che non è possibile approfondire adeguatamente in questa sede, v.
inoltre Cass. 11 agosto 2000, n. 10738 (la quale correttamente esclude che, qualora il
liquidatore trascuri l’esercizio di determinati crediti, questi possano dirsi estinti, una volta
che lo stesso liquidatore sia decaduto dall’esercizio delle sue funzioni: e v. invece Cass. 18
dicembre 1991, n. 13626); Cass. 13 aprile 2005, n. 7661.
(67) E v. Trib. Napoli, 5 luglio 2013, in Dir. fall., 2015, II, p. 144 ss.
(68) E v. PAGNI, La legittimazione alle azioni di responsabilità nel concordato preventivo,
cit., p. 611, che per la verità, pur ricordando la pronuncia di Trib. Napoli 5 luglio 2013,
citata alla nota che precede, si dichiara più propensa ad “immaginare una legittimazione
all’azione dei creditori sociali in capo ad un organo della procedura che, per semplicità, si è
ipotizzato essere il liquidatore, perché al Commissario è tradizionalmente attribuito un ruolo
diverso da quello che qui verrebbe a svolgere se si facesse parte attiva del rimedio”.
(69) Il titolo VI della legge fallimentare, dedicato – come noto – alle “Disposizioni
penali”.
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(70) E v., fra gli altri, l’art. 81 c.p.c., a norma del quale, “Fuori dei casi espressamente
previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.
Una delle applicazioni più note, nell’ambito del diritto concorsuale, del principio espresso
nel testo si è avuta da parte della giurisprudenza che, in tema di concessione abusiva di
credito, ha escluso la legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio della relativa
azione, riconoscendola ai soli creditori uti singuli: e v., fra le altre, Cass. 23 luglio 2010,
n. 17284 e App. Roma 5 luglio 2012, in Pluris (che peraltro paiono trascurare la circostanza
per cui, se e nella misura in cui l’abusiva concessione di credito abbia cagionato un danno
non solo ai creditori, ma anche alla società, il curatore fallimentare, deputato a gestirne il
patrimonio, deve ritenersi naturalmente investito del potere di esercitare il relativo credito).
(71) Titolo che pare riconducibile, prima facie, alla stessa azione di cui si discorre nel
testo, riconosciuta ai creditori sociali, nelle s.p.a., dall’art. 2394 c.c. e, nelle s.r.l. (per chi non
ritenga analogicamente applicabile, a tale tipo sociale, quest’ultima disposizione), dall’art.
2043 c.c. (sı̀ che sorge addirittura il dubbio che l’azione attribuita dall’art. 240 l. fall. agli
organi ivi citati – azione il cui esercizio è possibile in concorso con quella dei creditori avente
ad oggetto un titolo “di azione propria personale” – sia l’azione sociale: tesi verosimilmente
da escludere, ma significativa quanto ai dubbi sollevati dal dato normativo): proposta
interpretativa scartata dal Trib. Napoli, nella citata pronuncia del 5 luglio 2013 (e v. supra,
la nt. 66), sulla base della considerazione per cui, nel riferirsi ad un “titolo di azione propria
personale” dei creditori, l’art. 240 l. fall. farebbe riferimento alla sola azione diretta a
ottenere il risarcimento dei danni morali. Sul punto v. ROSSI VANNINI, Sub art. 240, in ROSSI
VANNINI e MAZZACUVA, Disposizioni penali. Art. 232-241, in Comm. Scialoja-Branca. Legge
fallimentare, Bologna, 1997, p. 142 ss.; SAMMARCO, La costituzione di parte civile, in GHIA,
PICCININNI e SEVERINI (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, vol. 6, I reati nelle
procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, p. 395 ss.; CASAROLI, Sub art. 240, in MAFFEI
ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1608 ss.;
APRILE, Sub art. 240, in FERRO (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico,
Padova, 2014, p. 3022 ss., ove ampi riferimenti.
(72) E v. Trib. Piacenza 12 febbraio 2015, in Dir. fall., 2015, II, p. 577 ss.; Trib.
Bolzano 30 aprile 2015, in Fallimento, 2015, p. 958; Trib. Ravenna 27 ottobre 2015, in
www.ilcaso.it, 2015. Superato, per contro, l’orientamento che giudicava inammissibile, nel
concordato preventivo, l’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c.: e v., in giurispru-
denza, Trib. Bologna 17 gennaio 1962, in Dir. fall., 1962, II, p. 478; Trib. Milano 23
dicembre 1968, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 283; in dottrina cfr. inoltre MAZZONI, La respon-
sabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità azien-
dale, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Anto-
nio Piras, Torino, 2010, p. 846.
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(73) Non essendovi alcun dubbio che, essendo la società ammessa al concordato
preventivo e trovandosi, dunque, in crisi, ricorra la condizione di cui al comma 2˚ dell’art.
2394 c.c.: il risultare il patrimonio sociale insufficiente al soddisfacimento (se non integrale,
tempestivo) di tutti i creditori. Ciò, perlomeno, in corso di procedura; una volta omologato
il concordato, invece, l’esdebitazione della società comporta che il patrimonio sociale possa
dirsi sufficiente alla soddisfazione delle obbligazioni sociali (nella misura falcidiata), sı̀ che
secondo taluni interpreti gli amministratori, convenuti in responsabilità da uno o più cre-
ditori, potrebbero eccepire l’insussistenza del presupposto di cui all’art. 2394, comma 2˚,
c.c.; e v. in questo senso, sia pure dubitativamente, D’ATTORRE, op. cit., p. 36, le cui
argomentazioni potrebbero forse essere superate sostenendo che, ai fini dell’esperibilità
dell’azione de qua, rileva l’insufficienza del patrimonio sociale rispetto alla soddisfazione
dei creditori nella misura a cui originariamente avevano diritto, dovendosi ritenere che
l’effetto esdebitatorio non possa prodursi se non nei confronti dei soci illimitatamente
responsabili e relativamente alla loro responsabilità per le obbligazioni sociali (e v. l’art.
184, comma 2˚, l. fall.), non potendo giovarsi dello stesso – oltre ai coobbligati, ai fideiussori
e agli obbligati in via di regresso (e v. l’art. 184, comma 1˚, l. fall.) – nemmeno gli ammini-
stratori (e v. infra, il paragrafo che segue).
(74) Limite che, in verità, potrebbe anche non venire raggiunto, potendo ricorrere
situazioni nelle quali i danni riconducibili alle condotte contra legem degli amministratori,
sulla base dei principi in tema di nesso causale, ammontino ad una cifra inferiore a quella
ora individuata nel testo.
(75) E v. FABIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società
in concordato preventivo, cit., p. 623.
(76) Pari – secondo lo stesso FABIANI (Le azioni di responsabilità nei confronti degli
amministratori di società in concordato preventivo, cit., p. 623) – all’importo che, determi-
nato l’ammontare massimo complessivamente risarcibile ex art. 2394 c.c., spetterebbe al
creditore attore simulando “una specie di riparto concorsuale in modo da verificare quale
sia l’esatta porzione del danno che a ciascun creditore può competere”.
(77) O dovendosi, altrimenti, procedere sulla base delle alternative proposte dallo
stesso FABIANI (Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società in
concordato preventivo, cit., p. 624). Circa la problematica trattata nel testo v. comunque, con
diversità di posizioni, gli autori citati supra, alla nt. 53.
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(78) Peraltro, secondo parte della giurisprudenza, “la mancata indicazione nella do-
manda di concordato preventivo di circostanze che giustificano l’esperimento di un’azione
di responsabilità nei confronti degli amministratori impedisce ai creditori di esprimere una
valutazione comparativa di convenienza della proposta di concordato rispetto al fallimento”
e deve, pertanto, essere considerata un atto in frode ai creditori, tale da determinare la
revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l. fall. (e v., di recente, Trib. Rimini 8 ottobre
2014, in www.ilcaso.it, 2015, riprendendo le massime di Trib. Monza 2 novembre 2011 e
App. Bologna 25 febbraio 2013; nello stesso senso, in dottrina, GALLETTI, Le azioni di
responsabilità esercitate nel corso di procedure di concordato preventivo, cit., riferendosi
non solo all’occultamento, ma anche alla mancata considerazione, nel piano concordatario,
del credito risarcitorio vantato dalla società verso gli amministratori, quando, per la verità,
l’art. 173 l. fall. pare attribuire rilievo unicamente a condotte dolose della società debitrice;
in senso contrario, Trib. Bolzano 30 aprile 2015, in Fallimento, 2015, p. 958, con nota
conforme di FABIANI, Dalla meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel
concordato preventivo, cit.).
(79) Secondo quanto ipotizzato supra, al par. 3.1 (ove un accenno alle problematiche di
governance che si possono porre nell’ipotesi considerata: e v., in particolare, la nt. 48) e
secondo quanto è verosimile che accada sia per porre al riparo gli amministratori anche
dall’azione sociale, sia per formulare una proposta che possa apparire conveniente per i
creditori (non essendo per contro agevole convincerli dell’opportunità di votare a favore di
un concordato che impedisca loro l’esercizio dell’azione di responsabilità verso gli ammini-
stratori, senza che questi ultimi abbiano versato alcunché nelle casse della società, in ese-
cuzione della transazione dell’azione sociale).
(80) Il problema potrebbe verosimilmente porsi nei termini precisati nel testo, in
considerazione della probabilità che i soci e gli amministratori – anche nei casi in cui si
tratti di soggetti diversi – abbiano interessi coincidenti o, comunque, convergenti, sı̀ che i
primi vogliano porre il riparo i secondi non solo dall’azione sociale di responsabilità, ma
anche da quella esperibile dai creditori. È tuttavia possibile – e v. infra, in questo stesso par.
– che gli amministratori ipotizzino di proporre un concordato che li liberi da responsabilità
verso i creditori, pur rimanendo esposti all’azione sociale, stante la mancata rinuncia a detta
azione da parte dell’assemblea.
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Il dubbio sorge sia alla luce della disciplina concorsuale, sia alla luce
della disciplina societaria.
Sotto quest’ultimo profilo, è evidente che, nell’ipotesi di coincidenza
fra gli amministratori che dovrebbero beneficiare della rinuncia all’azione
di responsabilità e quelli in carica al momento del deposito della domanda
di concordato, questi ultimi, nel votare la delibera volta all’approvazione
della proposta e del piano, si troverebbero in conflitto di interessi (81).
Per evitare che l’organo di gestione, per tale ragione, dia vita ad una
deliberazione annullabile (82), i soci potrebbero allora decidere di modifi-
care lo statuto e attribuire la competenza a deliberare sulla domanda di
concordato all’organo assembleare, secondo quanto consentito dall’art.
152 l. fall.; salvo, tuttavia, in particolare per l’ipotesi di coincidenza fra i
soci e gli amministratori, il disposto dell’art. 2373, comma 2˚, c.c. (83):
norma che pare applicabile, se non anche alla delibera di approvazione
della proposta di concordato preventivo, alla delibera assembleare di ri-
nuncia alla (o di transazione della) azione da adottarsi in esecuzione di
detta proposta.
Ma le maggiori perplessità circa la percorribilità della soluzione ipo-
tizzata sorgono alla luce del diritto concorsuale, essendo perlomeno dub-
bio che la proposta di concordato di un soggetto (la società) possa avere
ad oggetto le passività che gravano su un altro soggetto (l’amministratore);
e ciò, anche ove si tratti di proposta rivolta a creditori comuni ad entram-
bi (84) e anche se, senza dubbio, sia configurabile un interesse concreto ed
(81) E v. quanto già osservato in precedenza, al par. 3.1, con riferimento ai piani
attestati di risanamento, ex art. 67, lett. d, l. fall., e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
(82) Qualora, in effetti, la proposta di concordato venga sottoscritta dai legali rappre-
sentanti della società e depositata presso il tribunale in esecuzione di una delibera consiliare
annullabile, l’apertura della procedura e, comunque, l’omologazione del concordato potreb-
bero dirsi impedite (in questo senso v. anche DONGIACOMO, Le azioni di responsabilità nel
piano di concordato preventivo, cit., p. 9). E v., ancora una volta, quanto già osservato in
precedenza, al par. 3.1, con riferimento ai piani attestati di risanamento, ex art. 67, lett. d, l.
fall., e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
(83) A norma del quale “Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni
riguardanti la loro responsabilità […]”.
(84) In realtà non è affatto certo che, ogni qual volta i componenti l’organo di gestione
si siano resi autori di condotte rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2394 c.c., tutti i
creditori concorsuali siano anche creditori degli amministratori, potendosene dubitare per-
lomeno con riferimento a coloro i cui crediti siano sorti dopo il compimento delle condotte
illegittime de quibus e che fossero consapevoli del loro compimento; e questo, nonostante
anche rispetto a tali soggetti sia possibile affermare che, qualora il patrimonio sociale sia
divenuto insufficiente alla loro soddisfazione, sussistono i presupposti per l’esercizio dell’a-
zione ex art. 2394 c.c.: condotta illegittima, danno e nesso di causalità (giacché, ove la
condotta illegittima non fosse mai stata perpetrata, il valore del patrimonio sociale risulte-
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attuale della società e dei suoi soci (85) a mantenere gli amministratori
esenti da responsabilità (86).
In effetti, l’ampia autonomia contrattuale riconosciuta al proponente,
ai sensi dell’art. 160 l. fall., non consente di obliterare la circostanza per
cui il principio di maggioranza, su cui è imperniato l’istituto del concor-
dato preventivo, pare concepito dal legislatore quale mezzo eccezional-
mente utilizzato dall’ordinamento, in deroga al canone dell’autonomia
contrattuale in senso negativo (87), per rendere possibile la gestione della
crisi che caratterizza il debitore; tanto che, ai sensi dell’art. 184 l. fall., i
creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso
per concordato preventivo (88) conservano impregiudicati i loro diritti
contro “i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di
regresso” (89) e che tale precetto è considerato inderogabile dalla maggior
parte della dottrina e della giurisprudenza (90), venendo letto nel senso che
rebbe più elevato, sı̀ che i creditori vedrebbero ridotto, se non eliso, il proprio danno). Il che
spiega perché l’art. 2394 bis c.c., per l’ipotesi di fallimento, di liquidazione coatta ammini-
strativa e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza,
attribuisce anche l’azione di cui all’art. 2394 c.c. al curatore fallimentare, al commissario
liquidatore e al commissario straordinario, a tutela di tutti i creditori concorsuali.
(85) Che – fermo quanto precedentemente osservato circa la competenza all’adozione
della domanda di c.p. – rappresentano il substrato personale dell’ente (e v., fra gli altri,
Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070, sull’estinzione delle società).
(86) Diversa l’ipotesi – già considerata – in cui i soci intendano allettare i creditori
sociali prevedendo, fra gli atti esecutivi del piano, l’esercizio dell’azione di responsabilità
contro gli amministratori (o, più verosimilmente, gli ex amministratori).
(87) Trattasi – come noto – del principio per cui nessuno, di regola, può vedere incisi
negativamente i propri diritti soggettivi contro (o comunque indipendentemente da) la sua
volontà: e v., per tutti, GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. II, 1, Padova, 1990,
p. 131.
(88) Coloro nei cui confronti il concordato preventivo omologato è obbligatorio e
vincolante.
(89) Insieme a cui, pure, gli amministratori sono estranei.
(90) E v., in giurisprudenza, App. Bologna 16 aprile 1977, in Giur. comm., 1979, II, p.
174; Trib. Roma 15 marzo 1958, in Dir. fall., 1958, II, p. 90 e, in tema di concordato
fallimentare, con riferimento al disposto dell’art. 135, comma 2˚, l. fall. (il cui contenuto è
analogo a quello di cui all’art. 184, comma 1˚, secondo periodo, citato nel testo), Trib. Bari 4
marzo 1985, in Fallimento, 1985, p. 1107. Sul contenuto dell’art. 184 l. fall. v., fra gli altri,
FILOCAMO, in FERRO (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova,
2014, p. 2654 ss.; RIVOLTA e PAJARDI, Sub art. 184, in BOCCHIOLA e PALUCHOWSKY (a cura di),
PAJARDI, Codice del fallimento, p. 2094 ss.; AUDINO, sub art. 184, in MAFFEI ALBERTI (a cura
di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1300 ss.
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(91) E v. l’art. 184, comma 2˚, l. fall., che pure si apre con l’inciso “Salvo patto
contrario”.
(92) Non essendovi alcun dubbio che, in linea di principio, soci che fossero responsa-
bili per danni nei confronti della società e dei creditori – ad esempio ai sensi dell’art. 2476,
comma 7˚, c.c. – non beneficerebbero degli effetti positivi (immaginiamo, anche esdebita-
tori) del patto di concordato. E v., di recente, nel senso della mancata liberazione, ex art.
184 l. fall., di soci illimitatamente responsabili terzi datori di ipoteca, Cass., sez. un., 16
febbraio 2015, n. 3022, in Fallimento, 2015, p. 1204 ss.
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PROVVEDIMENTI IN FORMAZIONE
NLCC 3/2016
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2009 (4). La Proposta SUP si pone in questa scia, avendo una funzione
sostitutiva della dir. 2009/102/CE (5).
Lo scopo della Proposta SUP, tuttavia, appare ben più ambizioso di
un semplice restyling della recentemente codificata materia dell’armoniz-
zazione delle società private unipersonali. Accanto ad una Parte prima
(artt. 1 – 5), che accoglie le “Disposizioni generali” in materia di società
unipersonali, in larga misura replica dei contenuti della direttiva sostituen-
da, si pone infatti il “cuore” del documento, costituito dalla Parte seconda
(artt. 6 – 25), recante la regolamentazione di una particolare forma socie-
taria unipersonale, la Societas Unius Personae (SUP), prima della consueta
parte terza (artt. 26 – 33), con le norme di chiusura, che non paiono
particolarmente innovative.
Anche solamente osservando l’estensione della parte seconda in termi-
ni di numero di articoli ivi contenuti, è evidentemente la disciplina della
SUP a costituire il punto focale della proposta; donde la scelta di identi-
ficare in questo studio il documento proprio con il nome di “Proposta
SUP” (6).
codificazione del testo nel 2009 risiede nel fatto che i tipi societari primariamente interessati
– le società “private”, a base chiusa, di ogni singolo Paese membro – erano nella prima citati
esplicitamente nell’articolato, segnatamente all’art. 1, mentre nel testo codificato si è prov-
veduto ad inserire l’elencazione – aggiornata – all’interno dell’allegato 1 al testo.
(4) Dir. 2009/102/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009,
in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con un unico
socio (versione codificata), in G.U.U.E. L 258/20 del 1˚ ottobre 2009.
(5) Cfr. art. 29 della Proposta nelle diverse versioni disponibili; la sostituzione delle
previsioni della dir. 2009/102/CE avverrà sulla base della tavola di concordanza di cui all’all.
2 della Proposta.
(6) Ed è stata in particolare modo la prefigurazione della SUP a sollecitare le riflessioni
della dottrina, soprattutto in lingua tedesca ed inglese, che si è sin qui impegnata nell’analisi
della Proposta. Atteso quanto tra breve si dirà dello stato di elaborazione della direttiva, è
utile distinguere tra commenti aventi ad oggetto la sua versione originale, espressa dalla
Commissione UE, e quelli che danno conto della elaborazione più recente, frutto dell’O-
rientamento Generale rilasciato dal Consiglio dell’Unione Europea il 28 maggio 2015.
Quanto ai commenti alla versione originale, si vedano, in lingua tedesca: ADENAUER,
Der Richtlinienvorschlag der EU-Kommission zur Societas Unius Personae (SUP), in AnwZert
HaGesR – AnwaltZertifikat Online – Handels- und Gesellschaftsrecht, 2014, 21, Anm 1;
BAUER e WELLER, Europäisches Konzernrecht: vom Gläubigerschutz zur Konzernleitungsbefu-
gnis via Societas Unius Personae, in ZEuP – Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2015, p.
6; BEURSKENS, “Societas Unius Personae”– der Wolf im Schafspelz?, in GmbH-Rundschau,
2014, p. 738; BÖHM, Gesellschaftsrecht: Societas Unius Personae als Alternative für die Eu-
ropäische Privatgesellschaft?, in EuZW – Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p.
363; DREHER, Der Richtlinienvorschlag über die Societas Unius Personae und seine Regelun-
gen zur faktischen Geschäftsführung, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014,
p. 967; DRYGALA, What’s SUP? Der Vorschlag der EU-Kommission zur Einführung einer
europäischen Einpersonengesellschaft (Societas Unius Personae, SUP), in EuZW – Europäische
universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 491; EICKELBERG, SUP, EGVP, ePerso und XML –
Die schöne neue (digitale) Welt der GmbHGründung, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesell-
schaftsrecht, 2015, p. 81; FLEISCHER, Internationale Trends und Reformen im Recht der
geschlossenen Kapitalgesellschaft, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p.
1081; HOMMELHOFF, Die Societas Unius Personae: als Konzernbaustein momentan noch un-
brauchbar, in Gmbh-Rundschau, 2014, 20, p. 1065; HOMMELHOFF e TEICHMANN, Die Wie-
derbelebung der SPE, in GmbH-Rundschau, 2014, 4, p. 177; S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP): Der neue Konzernbaustein, in Gmbh-Rundschau, 2014, 11, p. 579; KYNAST, “SUP”:
Supergesellschaft oder Superflop?, in Anwaltsblatt, 2015, 1, p. M6; OMLOR, Die Societas Unius
Personae – eine supranationale Erweiterung der deutschen GmbH-Familie, in NZG – Neue
Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p. 1137; OMLOR, Die gemeinnützige Societas Unius
Personae (“gSUP”), in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2015, p. 665; OMLOR,
Die Societas Unius Personae (SUP) mit mehreren Gesellschaftern – ein Paradoxon?, in GPR –
Zeitschrift für das Privatrecht der Europäischen Union, 2015, p. 158; RIES, Societas Unius
Persononae – cui bono?, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p. 569; J.
SCHMIDT, Der Vorschlag für eine Societas Unius Personae (SUP) – super oder suboptimal?, in
GmbH-Rundschau, 2014, 9, p. 130; J. SCHMIDT, Die Societas Unius Personae (SUP) – eine
neue “europäische” Option für Familienunternehmen?, in FuS – Familienunternehmen und
Stiftungen, 2014, p. 232; SCHOENEMANN, Bauen am Baustein für einen europäischen Konzern
– Der Richtlinienvorschlag der Kommission zur SUP, in Europäisches Wirtschafts- und Steuer-
recht (EWS), 2014, p. 241; SEIBERT, SUP – Der Vorschlag der EU-Kommission zur Harmo-
nisierung der Einpersonen-Gesellschaft, in GmbH-Rundschau, 2014, 14, p. 209; THANNISCH,
Bedrohung für die Mitbestimmung!, in AiB – Arbeitsrecht im Betrieb, 2015, 2, p. 30; TEICH-
MANN, Europäische Harmonisierung des GmbH-Rechts, in NJW – Neue Juristische Wo-
chenschrift, 2014, p. 3561; VERSE e WIERSCH, Die Entwicklung des europäischen Gesellschaft-
srechts im Jahr 2013, in EuZW – Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 375;
WICKE, Societas Unius Personae – SUP: eine äußerst wackelige Angelegenheit, in ZIP –
Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 1414: Ad essi sono da aggiungere i commenti
organici presenti nel volume a cura di LUTTER e KOCH, Societas Unius Personae (SUP).
Beiträge aus Wissenschaft und Praxis, Berlin, 2015: J. SCHMIDT, Die SUP aus der Sicht der
Kommission und ihr Kapitalschutz, p. 1; BORMANN, Die SUP aus Sicht des nationalen Rechts-
systems, p. 23; TEICHMANN, Einsatzmöglichkeiten der Societas Unius Personae (SUP), p. 37;
RIES, Die SUP und das Handelsregister, p. 65; HOMMELHOFF, Die SUP-Ferngründung, p. 69;
LEUERING, SUP – Perspektiven für die Praxis, p. 89.
In inglese: CONAC, The Societas Unius Personae (SUP): A “Passport” for Job Creation
and Growth, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 139; GUIDOTTI, The
Proposal for a Directive on Single-Member Private Limited Liability Company (Societas Unius
Personae) from the Italian Perspective, in Nuovo diritto delle società, 2015, 5, p. 96; GUIDOTTI
e BARTOLACELLI, Societas Unius Personae from the Italian Perspective, in corso di pubblica-
zione in un volume collettaneo curato da J. Viera González, ma disponibile on-line all’indi-
rizzo http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2719212; J.L. HANSEN, The SUP
Proposal: Registration and Capital (Articles 13–17), in European Company and Financial
Law Review, 2015, p. 177; HARBARTH, From SPE to SMC: The German Political Debate
on the Reform of the “Small Company”, in European Company and Financial Law Review,
2015, p. 230; KNAPP, Directive on Single-Member Private Limited Liability Companies: Di-
stributions, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 191; KOSTER, EU
Legal Entities: New Options?, in European Company Law 12, 2015, 1, p. 5; KRAVETS,
Discussion Report: The Proposal for a Directive on the Single-Member Private Limited Lia-
bility Company, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 125; NEVILLE e
universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
responsabilità limitata, in Giur. comm., 2015, I, p. 382 e spec. p. 399 ss.; nonché CAPPIELLO,
Proposta di direttiva SUP: possibili implicazioni, rischio di abuso e considerazioni sull’armo-
nizzazione del diritto nell’area UE, in Studi e Materiali, 2014, p. 661; GUIDOTTI, Il Progetto
di Societas Unius Personae (Single Member Private Limited Liability Company), in Percorsi
di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016, p. 215; LICINI, La “Societas
unius personae (SUP)” europea: ombre liberiste e abusi annunciati, in Notariato, 2014, p. 229;
MALBERTI, La proposta di direttiva sulla societas unius personae: una nuova strategia per
l’armonizzazione del diritto societario europeo?, in Riv. società, 2014, p. 848.
Sin qui per i commenti aventi ad oggetto la primigenia versione della Proposta. Prima
di aggiungere i pochi che già forniscono un panorama sulla versione del testo contenuta
nell’Orientamento generale del Consiglio, si deve rilevare come vi è stato chi si è cimentato
anche nell’analisi di una versione intermedia dello stesso, denominata “proposta di com-
promesso della presidenza italiana”: KINDLER, Die Einpersonen-Kapitalgesellschaft als Kon-
zernbaustein – Bemerkungen zum Kompromissvorschlag der italienischen Ratspräsidentschaft
für eine Societas Unius Personae (SUP), in ZHR – Zeitschrift für das gesamte Handels- und
Wirtschaftsrecht, 2015, p. 330.
Infine, a seguito del raggiungimento di un compromesso in sede di Consiglio dell’U-
nione europea, il testo dell’Orientamento generale è stato commentato, prima che dal
presente scritto, da S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element
in Company Groups, in European Business Law Review, 2015, p. 645; ESTEBAN VELASCO, La
Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto del Consejo de
28 de mayo de 2015, in Anales de la Academia Matritense del Notariado, 2015, p. 105;
FUENTES NAHARRO, Una primera aproximación al test de solvencia recogido en la propuesta
de directiva sobre la Societas Unius Personae (SUP), working paper disponibile all’URL:
http://www.ucm.es/eprints (ultima consultazione: 15 giugno 2016); TEICHMANN e FRÖHLICH,
How to make a Molehill out of a Mountain: The Single-Member Company (SUP) Proposal
after Negotiations in the Council, destinata alla stessa raccolta di scritti curata da J. Viera
González già citata, ma già disponibile all’URL: http://www.jura.uni-wuerzburg.de/lehr-
stuehle/teichmann/aktuelles/meldungen/single/artikel/working-paper-on-the-societas-unius-
personae-sup/ (ultima consultazione: 25 marzo 2016) ed il lavoro monografico di KINDLER,
The Single-Member Limited Liability Company (SUP). A Necessary Reform of EU Law on
Business Organizations?, München, Oxford, Baden-Baden, 2016, passim.
(7) COM(2008) 396/3.
(8) Da ultimi, pare, Germania e Svezia, come è dato comprendere dal sito internet
http://www.europeanprivatecompany.eu/news/ (ultima consultazione: 25 marzo 2016). Ri-
guardo i punti di maggiore attrito si v. HOMMELHOFF e TEICHMANN, Societas Privata Europaea
(SPE) – General Report, in The European Private Company – Societas Privata Europaea, a
cura di HIRTE e TEICHMANN, Berlin/Boston, 2013, p. 1 ss.; CONAC, The Societas Unius
Personae, cit., p. 141 ss.
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(13) Non avendo mai visto conclusione il progetto di Nona direttiva su tale tema
inizialmente presentato nel 1977 e poi modificato nel 1984: cfr. SANTA MARIA, Diritto
commerciale europeo, Milano, 2008, pp. 177 s. e 228 ss. Il tema è stato affrontato – soprat-
tutto rispetto al riconoscimento a livello europeo del c.d. “interesse di gruppo” – anche
dall’Action Plan elaborato dalla Commissione nel 2012 [COM(2012) 740 final, del 12
dicembre 2012], p. 15 ss.
Rispetto alla SUP, diversi AA. sottolineano una possibile funzione nell’ambito del
diritto dei gruppi; in particolare si v. CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 159 s.;
TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit., p. 212 ss., spec. 225 ss.;
LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 702; S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) –
The New Corporate Element, cit., p. 653; critico rispetto a tale impostazione è HOMMELHOFF,
Die Societas Unius Personae, cit., p. 1065, rilevando come la SUP sia solamente una cornice
incompleta per il diritto europeo dei gruppi. In quest’ultimo senso anche BAUER e WELLER,
Europäisches Konzernrecht, cit., p. 6.
(14) Che, come si vedrà tra breve, ha avuto specifica eco nel secondo documento di
lavoro della Commissione JURI del Parlamento europeo, ove si riserva l’utilizzo della SUP
alle sole piccole e micro imprese. In questo senso depone anche l’Explanatory Memorandum
che precede il testo della Proposta di direttiva, dove si legge che “[l]’obiettivo generale della
presente proposta, che prevede un approccio alternativo alla SPE, è quello di dare a
qualsiasi potenziale fondatore di società, in particolare di PMI, la possibilità di creare più
facilmente una società all’estero. Ciò dovrebbe incoraggiare e promuovere l’imprenditoria-
lità e contribuire alla crescita, all’innovazione e all’occupazione nell’UE”: Relazione antepo-
sta al testo della Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle
società a responsabilità limitata con un unico socio, COM(2014) 212 final, p. 3 della
versione in lingua italiana. Sulla necessità di dare attenzione alle PMI anche il Parere del
Comitato economico e sociale europeo, reso il 10 settembre 2014 (punto 3.3). Perplessa
quanto alla riconducibilità delle finalità della Proposta allo sviluppo delle PMI anche C.
SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 137.
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Essi sono più evidenti nel momento della costituzione, da parte di una
data impresa, di filiali estere (15). Tali barriere riguardano “le differenze nei
regimi regolamentari nazionali, i diversi requisiti legali, amministrativi e
linguistici nell’ambito dell’Unione, ed altre materie quali l’accesso a finan-
ziamenti esterni” (16); a ciò si aggiungano, nello specifico, i costi relativi ai
processi di registrazione, la cui quantificazione, tuttavia, è assai ardua da
individuare in via generale, in quanto spesso dipende dalla concreta situa-
zione (dimensione, capitalizzazione) della società coinvolta (17). La Propo-
sta SUP intenderebbe dunque incidere su tali difficoltà, riducendole signi-
ficativamente.
Le concrete modalità di realizzazione presupponevano, soprattutto
nella versione originale della Proposta, un singolare bilanciamento di in-
teressi: una denominazione unica a livello europeo, che desse l’idea di un
modello sovranazionale largamente armonizzato, ed al contempo la sicu-
rezza nelle transazioni commerciali offerta dalla contrattazione con società
di diritto nazionale. Pare che, all’esito dell’esame del Consiglio Europeo in
sede di Orientamento Generale, l’ago della bilancia si sia spostato sensi-
bilmente verso quest’ultimo polo.
Il punto focale della Proposta SUP è tuttavia costituito dalla desiderata
semplificazione – ed armonizzazione – della fase di iscrizione della società,
grazie alla quale potrebbe finalmente avvenire, nella prefigurazione delle
istituzioni europee, lo sviluppo transfrontaliero delle PMI (18); se ne trat-
terà diffusamente infra, a suo luogo.
Sin qui per interessi e funzioni esplicitamente citati dai documenti che
hanno accompagnato la Proposta SUP; altri ve ne possono tuttavia essere
di tipo differente.
Innanzitutto nulla pare ostare a che una SUP sia costituita da un
soggetto pienamente riconducibile al medesimo ordinamento in cui egli
intenda costituire la società unipersonale. In altri termini, e più in generale,
non sembra di potersi riscontrare, nel dettato della Proposta SUP, alcun
elemento che lasci propendere per la necessaria transnazionalità dei sog-
getti coinvolti (SUP e suo socio unico) o dell’attività esercitata (19).
In secondo luogo, una volta adottato il sistema di registrazione on-line
previsto dalla Proposta, nulla sembrerebbe impedire che anche soggetti
extraeuropei possano utilizzare la medesima procedura, sia pure nel ri-
spetto delle procedure previste dai singoli Stati membri per identificazione
e registrazione (20). Si faciliterebbe cosı̀ non solo l’operatività transnazio-
nale delle PMI europee, ma, potenzialmente, anche l’accesso al mercato
unico da parte di concorrenti non europei di quelle PMI, che in prece-
denza potevano trovare poco vantaggiosa l’apertura di una filiale in ragio-
ne delle barriere rimosse proprio dalla Proposta SUP.
Su di un piano più generale, per quanto il legislatore europeo non
abbia attraverso la Proposta SUP inteso necessariamente rimpiazzare le
esistenti forme societarie private unipersonali già vigenti nei singoli ordi-
namenti nazionali con la Societas Unius Personae, sembra probabile che si
assisterà ad una sorta di competizione intraordinamentale tra le due fatti-
zione: 25 marzo 2016. Un più dettagliato Position paper è stato poi divulgato, ad opera della
medesima associazione, il 26 maggio 2014: NOTARIES OF EUROPE, Position of the Council of
the Notariats of the European Union concerning the proposal for a Directive on the single-
member private limited liability company (SUP), parimenti disponibile on-line all’indirizzo
http://www.notaries-of-europe.eu/files/position-papers/2014/Prise-position-finale-SU-
P_en%20(1).pdf, ultima consultazione: 25 marzo 2016. Sul punto si v. anche, con ulteriori
riferimenti, TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius Personae, cit., p. 536.
(19) E ciò è tanto più evidente ove si consideri che la SUP ben potrebbe sostituire, e
non affiancarsi alle società unipersonali attualmente esistenti: cfr. infra § 5. Nello stesso
senso WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 36.
Peraltro, la potenziale assenza di qualsivoglia implicazione transnazionale potrebbe
essere invocata per contestare la mancanza della funzione sussidiaria che sempre dovrebbe
connotare l’intervento normativo della UE: sul punto si v. la posizione ufficiale austriaca del
Bundesrat, il 27 maggio 2014, e del Nationalrat il giorno successivo, disponibile sulla piat-
taforma http://www.ipex.eu/IPEXL-WEB/dossier/document/SWD20140123.do#dossier-
COD20140120 (ultima consultazione: 25 marzo 2016); LUCINI MATEO, En torno al Proyecto,
cit., p. 5. Contra, e dunque sostenendo la piena compatibilità con il principio di sussidia-
rietà, CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 153 ss.
(20) Non cosı̀ WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 36, per cui “[t]he founder
should be a resident of the EU”.
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specie, nel caso che i legislatori nazionali non intendano, appunto, fare
della SUP l’unica forma societaria unipersonale chiusa in un dato ordina-
mento (21). Sembra dunque, per quanto non esplicitato dalla Proposta, né
dalla documentazione di accompagnamento, che la SUP si voglia candi-
dare, nei fatti, ad essere la forma “regina” delle società a base chiusa
unipersonale, soppiantando – o relegando alla sola regolamentazione delle
società già sin qui costituite – le preesistenti forme organizzative uniper-
sonali nazionali. Di qui a pronosticare senz’altro un successo per tale
istituto, pare comunque un passo troppo lungo.
Tuttavia, la funzione di maggiore rilevanza della SUP è, ad avviso di
chi scrive, ancora differente, del tutto inespressa esplicitamente, ma con
effetti in realtà dirompenti. Si tratta della modalità di registrazione della
società attraverso la procedura telematica. Il concreto modo di funziona-
mento di tale processo sarà a suo luogo analizzato, e cosı̀ pure il regime di
eventuale compresenza tra costituzione “tradizionale” e on-line; in via
generale si deve tuttavia dare conto del fatto che la registrazione non
presenziale prevista per la SUP dalla Proposta sembra essere una sorta
di “cavallo di Troia” per finalità che esorbitano, e non di poco, quelle della
società unipersonale, fondendosi in certa misura con quelle della prima e
della seconda direttiva e le loro successive modificazioni, integrazioni e
codificazioni (22).
Consistendo il punto centrale della Proposta di direttiva nella possi-
bilità di iscrizione della società direttamente on-line da parte del fondatore,
senza dovere comparire fisicamente dinanzi ad alcun funzionario, la sua
realizzazione dipende naturalmente dalla predisposizione di una apposita
infrastruttura informatica da parte dello Stato membro in cui si intenda
realizzare tale iscrizione. L’infrastruttura avrà caratteristiche tendenzial-
mente omogenee in tutto il territorio dell’Unione, essendo scopo della
Proposta SUP proprio l’armonizzazione, tra l’altro, di tale profilo. Ora,
(23) L’Impact Assessment (p. 29) informa che i sistemi di registrazione on-line attual-
mente presenti in Slovenia e Lituania sono costati a tali Paesi, rispettivamente, 1,1 e 1,9
milioni di euro. Parimenti si rammenta, tuttavia, che le medesime misure, adottate in Irlanda
ed in Lettonia, avrebbero avuto impatti ben inferiori sulle finanze pubbliche (42.000 e
120.000 euro, rispettivamente).
(24) Idea che è suffragata dall’essere le misure previste dalla Proposta SUP applicabili, a
norma dell’art. 1, par. 1, lett. a, della stessa ai tipi di società elencati nell’allegato 1, ovvero le
forme di s.r.l. nazionali. L’impatto che ciò ha sulla qualificazione della SUP è piuttosto
rilevante, come si vedrà nel seguito, soprattutto nel momento in cui la società da uniperso-
nale passi ad avere più soci; nello stesso senso, qualificando la SUP come “subtipo”: C.
SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 148; CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 158;
J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 177. Per ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva
sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 110 la SUP sarebbe un
“nuevo subtipo de sociedad unipersonal” (corsivo mio). Parzialmente diversa la posizione di
S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 651, per cui la
SUP sarebbe – valorizzando la formulazione del 10˚ considerando del preambolo, che di-
scorre di “forma societaria” – qualcosa di differente da una “variante” nel senso della UG
tedesca o della s.r.l.s. italiana; scetticismo sulla configurazione della SUP quale “variante”
della s.r.l. di diritto domestico condiviso anche da MALBERTI, The relationship, cit., spec. p.
254 ss.
(25) Questo risultato su larga scala è esplicitamente perseguito dalla Commissione
europea, per quanto non nella Proposta SUP. Se ne trova traccia, ad esempio, nel docu-
mento Il piano d’azione europeo per l’eGovernment 2011-2015. Valorizzare le TIC per pro-
muovere un’amministrazione digitale intelligente, sostenibile e innovativa, Comunicazione
della Commissione UE a Parlamento, Consiglio, Comitato Economico e Sociale Europeo
e Comitato delle Regioni, COM(2010) 743 definitivo, del 15 dicembre 2010, p. 9. E si v.
pure la c.d. Agenda digitale europea, altra (precedente, 19 maggio 2010) Comunicazione
della Commissione indirizzata ai medesimi soggetti [COM(2010)245 definitivo], p. 34 s.
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maturata con il fallimento del progetto di statuto per una SPE. Esso non è
giunto a buon fine proprio a causa del mancato raggiungimento del con-
senso unanime richiesto per l’approvazione degli atti aventi la propria base
giuridica nell’art. 352 Tratt. FUE; si è pertanto dubitato della possibilità di
successo per un nuovo progetto basato su tale norma (28).
Tuttavia, sotto il profilo sostanziale, si può sostenere che la direttiva
sia lo strumento più idoneo per il raggiungimento dello scopo che la
Commissione si prefiggeva (29)? Il punto è oggetto di acceso dibattito e
sul tema si è pronunziato anche il Servizio Giuridico del Consiglio del-
l’Unione Europea con un proprio parere (30). In esso si considera in
particolare la comparazione tra le finalità proprie dell’art. 50 Tratt.
FUE e quelle del successivo art. 352. Il punto di partenza a tale riguardo
è dato dal rivestire la norma da ultimo citata un ruolo residuale esperibile
solamente quando “l’articolo 50 TFUE o qualsiasi altra disposizione del
trattato non fossero sufficienti” per l’adozione della proposta di direttiva
in commento (31). Per giungere a tale conclusione, il parere analizza un
particolare arresto della Corte di Giustizia (32) in tema di Società Coo-
perativa Europea. In esso si ribadisce come l’art. 308 Tratt. CE abbia
costituito adeguata base giuridica per il regolamento istitutivo della SCE,
in quanto soltanto esso poteva consentire “di creare una nuova forma di
società cooperativa europea sovrapposta alle forme nazionali” (33). Il prin-
cipio in tale sede più volte sottolineato è che, lasciando il regolamento in
questione “invariati i diversi diritti nazionali esistenti, non può essere
(37) In questo senso ancora il Parere del Servizio giuridico citato, § 28.
(38) E senza dimenticare, da un lato, gli ormai abortiti progetti di statuto della SPE e
della Fundatio Europaea, e dall’altro il GECT, gruppo europeo di cooperazione territoriale,
istituto nel 2006, che non ha (ancora) una finalità direttamente privatistico commerciale, ma
che con le modifiche cui è stato soggetto nel 2013 potrebbe in futuro assumere anche tale
dimensione.
(39) Cfr. art. 39, Reg. (CEE) n. 2137/1985 per il GEIE; art. 68, Reg. (CE) n. 2157/2001
per la SE; art. 78, Reg. (CE) n. 1435/2003 per la SCE.
(40) Con l’eccezione del GEIE, il cui acronimo e la cui denominazione cambia a
seconda della lingua in uso nel Paese considerato.
(41) Cosı̀, per il GEIE, MOSCO, Il “successo” del GEIE, in AA.VV., L’integrazione fra
imprese nell’attività internazionale, Torino, 1995, p. 91 ss., p. 102 s.; DI SABATO, Il Gruppo
europeo di interesse economico, in Riv. dir. impr., 1996, p. 1 ss., p. 3 ss.; medesime consi-
derazioni, in materia di SE da parte di J. SCHMIDT, “Deutsche” vs. “britische” Societas Euro-
paea (SE), Jena, 2006, p. 1 ss. e, in Italia, si v. MIOLA, Lo statuto di Società europea nel diritto
societario comunitario: dall’armonizzazione alla concorrenza tra ordinamenti, in Riv. società,
2003, spec. p. 330 ss.
universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
(47) Ciò è evidente, in particolare, nel mutamento di diversi considerando del pream-
bolo e, nell’articolato, nella sostituzione a proposizioni quali “[u]na SUP può (…)” con
“[g]li Stati Membri garantiscono che (…)” (art. 18), oltre che nella quasi integrale libera-
lizzazione del tema dell’organizzazione interna della società (Capo 7).
(48) E che, in quanto tale, bene prestava il fianco a chi riteneva che non si fosse in
presenza di una Proposta senz’altro fondata sull’art. 50 Tratt. FUE.
(49) TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 25. Di
“flessibilizzazione” discorre ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas
Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 109. Si vedano inoltre le pertinenti conside-
razioni di S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 648
ss. rispetto all’essere le previsioni della Proposta da ritenersi “minime” o “massime”.
(50) In senso analogo si v. supra nt. 28.
universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
(51) È forse utile rammentare come, in base alla procedure ordinaria, il passaggio
obbligato in Consiglio necessariamente segua la prima lettura in Parlamento, e sia sufficiente
all’approvazione una maggioranza qualificata del 55% dei membri del Consiglio – e dunque
almeno 16 Paesi – che rappresentino perlomeno il 65% della popolazione dell’Unione.
(52) L’Orientamento Generale è stato approvato dal Consiglio il 29 maggio 2015 ed il
testo italiano è reperibile al sito http://www.consilium.europa.eu/register/it/content/out?&-
typ=ENTRY&i=ADV&DOC_ID=ST-9050-2015-INIT (ultima consultazione: 25 marzo
2016).
(53) Occupazione e affari sociali (EMPL); Problemi economici e monetari (ECON);
Industria, ricerca e energia (ITRE); Mercato interno e protezione dei consumatori (IMCO).
(54) Si veda il Parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali destinato
alla commissione giuridica sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consi-
glio relativa alle società a responsabilità limitata con un socio unico [COM(2014)0212 – C7-
0145/2014 – 2014/0120(COD)], del 29 giugno 2015, reperibile on-line all’indirizzo http://
www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+COMPARL+PE-
549.466+02+DOC+PDF+V0//IT&language=IT (ultima consultazione: 25 marzo 2016).
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istruzioni del socio unico, riserve legali) nel medesimo senso dell’Orienta-
mento Generale adottato dal Consiglio dell’Unione europea (55).
Allo stato attuale (giugno 2016), la commissione JURI non ha ancora
espresso il proprio parere (56); è tuttavia stato elaborato (57) un documento
di lavoro (58) che fornisce spunti di grande interesse, e talvolta di discreta
novità, rispetto a molti dei temi più rilevanti toccati dalla Proposta SUP. Si
tratta di un testo ancora non definitivo, ma di particolare utilità per in-
tendere al meglio le differenti sensibilità che si fronteggiano nella discus-
sione sulla Proposta SUP.
Essendo la Proposta SUP ancora in fase di gestazione, si è in questo
scritto ritenuto utile privilegiare il commento del testo scaturito dall’O-
rientamento Generale del Consiglio (di qui innanzi: “O.G.”), dando conto
dei punti in cui più vistosamente si discosta dalla versione originaria della
Proposta presentata dalla Commissione (testo “COM”) ed inserendo ove
opportuno riferimenti alle soluzioni ipotizzate nel parere della commissio-
ne parlamentare per il Mercato interno (testo “IMCO”) e nel secondo
documento di lavoro predisposto dal relatore della commissione parla-
mentare giuridica (testo “JURI-2DL”) (59). La preferenza è accordata al
testo dell’O.G. in quanto, pur nella sua provvisorietà, è comunque espres-
sione di una concertazione avanzata da parte degli Stati membri sotto
l’egida delle presidenze che si sono nel tempo susseguite, e si tratta di
un testo votato ed approvato. Al contempo, pure essendo ampiamente
emendativo della versione COM (60), il testo O.G. la presuppone e forni-
(55) Il testo integrale del parere può essere recuperato on-line all’indirizzo http://
www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-%2f%2fEP%2f%2fNONSGML%2b-
COMPARL%2bPE-546.844%2b02%2bDOC%2bPDF%2bV0%2f%2fIT (ultima consulta-
zione: 25 marzo 2016).
(56) Ed anzi, a giudicare dal tenore del dibattito sviluppatosi in occasione dell’ultima
discussione sul punto, il 28 gennaio 2016 [video disponibile all’URL http://www.europar-
l.europa.eu/news/en/news-room/20160121IPR11088/Committee-on-Legal-Affairs-meeting-
28012016-(PM), ultima consultazione: 25 marzo 2016, a partire da 1:23:10] pare a chi scrive
del tutto improbabile che si riesca a raggiungere un consenso della maggioranza dei com-
ponenti la commissione su di un parere a riguardo della Proposta SUP.
(57) Da parte del relatore della Proposta in commissione, l’europarlamentare spagnolo
Luis De Grandes Pascual.
(58) PE575.031v02-00, sottoposto alla commissione nella seduta del 28 gennaio 2016;
si tratta del secondo documento di lavoro, dopo quello, in verità ben più generico, proposto
il 6 febbraio 2015, con la classificazione PE549.150v01-00.
(59) Per maggiore agio del lettore è disponibile, al sito https://unimc.academia.edu/
AlessioBartolacelli una sinossi dei quattro testi qui presi in considerazione.
(60) Fino a circa il 60% del contenuto, nella quantificazione offerta da Luis de Grandes
P a s cu a l : cf r . h t t p : / / ww w . e u r o p a r l . e u r o p a . e u / n e w s / e n / n e w s - r o o m / c o n t e n t /
20150611IPR65565/html/Committee-on-Legal-Affairs-meeting-16062015 (ultima consulta-
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zione: 25 marzo 2016), al minuto 2:06:11, registrazione della riunione della commissione
giuridica nella seduta del 16 giugno 2015.
(61) Viene cosı̀ opportunamente modificata la formulazione presente testo COM, che
discorreva di applicabilità delle “misure di coordinamento previste” dalla direttiva, lascian-
do cosı̀ il dubbio se fossero da individuarsi anche all’interno della disciplina della SUP (parte
2) misure di coordinamento la cui applicazione fosse cosı̀ richiesta anche alle altre società
unipersonali. Si v. comunque la formulazione dell’11˚ considerando ter O.G., che esplicita-
mente suggerisce che “[l]e società a responsabilità limitata che non sono state costituite
come SUP dovrebbero poter beneficiare del quadro previsto per le SUP al fine di assicurare
che le norme armonizzate siano applicate nel modo più ampio possibile”. Si istituisce cosı̀
un quadro per cui la SUP diverrebbe una sorta di paradigma opzionale per tutte le società
unipersonali, senza tuttavia che vi sia uno specifico obbligo degli Stati membri a conformarsi
a tale previsione. Con riferimento alla SUP si v. anche il 10˚ considerando, su cui più
diffusamente infra.
(62) Cfr. la nota 7 al testo O.G., in corrispondenza dell’espunto art. 2. In realtà cosı̀
non è, specialmente per quanto concerne le distribuzioni al socio unico, creando non poche
difficoltà interpretative. Sul punto si v. infra, § 7.
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(63) Salutano con favore l’assenza della previsione TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas
Unius Personae, cit., p. 538; TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework,
cit., p. 225. S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p.
648, rileva come il contenuto della previsione non riprodotta può comunque essere ritrovato
nel testo dell’11˚ considerando del Preambolo, causando talune problematiche di coordina-
mento.
(64) Se non nei già citati limiti di cui all’11˚ considerando, per cui la SUP sarebbe un
paradigma opzionale per tutte le società unipersonali rette dai singoli diritti nazionali. Si
tratta comunque, come è evidente, non di norma imperativa, ma di semplice “suggerimen-
to” offerto dal legislatore europeo, in quanto tale privo di cogenza nei confronti dei legi-
slatori nazionali.
(65) V. supra, § 1.
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(66) E la espressa menzione del “registro centrale” assente nella formulazione della dir.
2009/102/CE, ancorché questo fosse già citato nell’art. 2 della richiamata Prima Direttiva
societaria (dir. 68/151/CEE).
(67) È fondamentale leggere la revisione congiuntamente con l’11˚ considerando bis
O.G., per cui gli Stati membri non possono imporre limitazioni per quanto riguarda il luogo
in cui sono adottate le decisioni del socio unico. Questo determina che, nel dibattito sulla
dissociazione o meno della sede reale da quella statutaria di cui la SUP è oggetto, evidente-
mente non potrà essere imposto, ove il testo cosı̀ rimanga, che la sede reale (intesa come
amministrazione centrale) della SUP coincida con quella legale, almeno quando l’ammini-
stratore coincida col socio unico. D’altra parte, sulla scorta della medesima disposizione,
sarà facoltà degli Stati membri imporre limitazioni per quanto riguarda le modalità dell’as-
sunzione della decisione.
(68) Conformemente anche il testo JURI-2DL.
(69) Una ulteriore deviazione dal testo di base è data dal fatto che il secondo paragrafo,
che stabilisce un’eccezione all’applicazione della pubblicità prevista dal primo, sarebbe
applicabile, nel testo O.G. “alle operazioni correnti concluse alle normali condizioni di
mercato”, mentre nel testo di cui alla dir. 2009/102/CE le parole “di mercato” non sono
presenti. Non pare tuttavia che a tale diversità di formulazione sia da attribuire una parti-
colare rilevanza.
Diversamente si deve invece ritenere per la formulazione prevista nel testo COM della
Proposta, peraltro cui è conforme pure JURI-2DL. A differenza del testo O.G., la versione
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Si deve infine notare come non vi sia traccia alcuna della regola (70) per
cui sarebbe facoltà degli Stati membri non permettere la costituzione di
società unipersonali nei rispettivi ordinamenti ove fosse data l’alternativa
della costituzione di imprese individuali con responsabilità limitata ad un
patrimonio specificamente destinato ad una determinata attività. Le ragio-
ni per la mancata riproposizione di tale norma sono di chiara evidenza: le
società private unipersonali sono oggi presenti in tutti gli Stati dell’Unione,
compresi quelli che in un primo tempo optarono per l’introduzione del-
l’imprenditore individuale con responsabilità limitata, preferendolo alla
figura della società unipersonale (71). In virtù di ciò, la disposizione in
parola ha ormai perso di significato attuale; ed in chiave prospettica, oltre
a sembrare anche solo teoricamente assai poco probabile che alcuno degli
Stati membri in cui è presente la società a responsabilità limitata uniper-
sonale possa prevedere una sua abrogazione, ciò sarebbe comunque ga-
rantito dalla necessità per gli Stati membri di provvedere all’introduzione
della SUP nel proprio ordinamento. Non vi sarebbe pertanto alcuna fun-
zione residua per l’art. 7.
COM all’art. 5, par. 2, prevedeva che gli Stati membri potessero decidere di non applicare il
regime pubblicitario di cui al § 1 non solamente a patto che le operazioni de quibus fossero
“normali” e “a condizioni di mercato”, ma anche che non si trattasse di operazioni “pre-
giudizievoli per la società unipersonale”. Con tale formulazione, dunque, la possibile esen-
zione dalla registrazione del contratto si darebbe solamente 1) ove lo Stato membro cosı̀
decida; e 2) ricorrano tutte e tre le condizioni (contratto concluso a condizioni di mercato;
nel corso di normali operazioni commerciali; e mancanza di pregiudizio per la società). Ora,
fermo restando che non è semplice intendere se il pregiudizio sia da valutarsi in termini
meramente probabilistici, ogni qual volta esso di verifichi (o si possa verificare?) il contratto,
anche concluso a condizioni di mercato nel corso di operazioni normali, sarà soggetto alla
registrazione.
(70) Art. 7, dir. 2009/102/CE.
(71) Per maggiori dettagli sul punto si rimanda a BARTOLACELLI, Società chiusa e capitale
sociale minimo: tendenze europee, in Giur. comm., 2014, I, p. 519, p. 529, nt. 47 e, speci-
ficamente sul Portogallo, C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 131, nt. 19, e ENGRÁCIA
ANTUNES, O estabelecimento individual de responsabilidade limitada: crónica de uma morte
anunciada, in Revista da facultade de direito da Universidade do Porto, 2006, p. 401.
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Con riferimento alla fattispecie, gli Stati membri sono tenuti a preve-
dere la possibilità di costituzione di SUP all’interno dei rispettivi ordina-
menti o stabilendo che essa abbracci, assorbendole, tutte le preesistenti
forme societarie unipersonali private; ovvero, in alternativa, che la SUP sia
disponibile “in parallelo ad altre forme di società a responsabilità limitata
con un unico socio previste dal diritto nazionale” (72). D’altronde l’artico-
lato altro non specifica se non che la SUP sia “un tipo di società a re-
sponsabilità limitata con unico socio” (73); e ciò dovrebbe essere decisivo al
fine di rinvenire nella SUP una o la variante unipersonale della s.r.l. di un
dato ordinamento, senza il riconoscimento di una autonomia tipologi-
ca (74). La SUP, dunque, potrebbe in linea teorica rimpiazzare le versioni
già esistenti delle s.r.l. unipersonali di diritto domestico, essendo discipli-
nata, per quanto non previsto dalle norme di attuazione della Diretti-
va (75), dalle norme generalmente applicabili alle società a responsabilità
limitata domestiche da individuarsi sulla base del criterio dello Stato mem-
bro di registrazione della SUP (76).
In aggiunta a ciò si deve considerare il tema della denominazione della
società. Il fatto che la Societas Unius Personae sia dotata di una propria
(77) E tale obiezione era tanto più possibile alla lettura del testo originale della Propo-
sta (art. 7, par. 3, COM), ove si stabiliva semplicemente la riserva assoluta e l’obbligo della
denominazione “SUP” per ogni società che avesse tale forma giuridica, determinando ciò un
“passaporto” per le imprese: CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 139; cosı̀ pure
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 5.
(78) Il testo JURI-2DL in verità pare fornire una disciplina più cogente, ove afferma
(art. 7, par. 3) che “Lo Stato membro di registrazione impone alle SUP di aggiungere al
nome della società un’indicazione che la società è registrata in tale Stato membro” (corsivi
nostri). Il punto dell’opzionalità dell’indicazione geografica era stato in effetti contestato da
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 6.
(79) Come, sulla base del testo COM, era stato auspicato da CONAC, The Societas Unius
Personae, cit., p. 155.
(80) L’attribuzione della quale, a norma dell’art. 14, par. 2, O.G., avviene alla data
stabilita dal diritto nazionale applicabile.
(81) Che, mentre nel nostro ordinamento è corollario della attribuzione della persona-
lità giuridica alla società, che acquisisce cosı̀ autonomia patrimoniale perfetta, in altri Paesi
non è cosı̀ strettamente legata a tale status giuridico dell’ente. La responsabilità limitata del
socio unico era esplicitamente citata all’art. 7, par. 2, COM.
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(82) Con innovazione rispetto al testo COM, O.G. stabilisce (art. 8) che il diritto
nazionale applicabile potrà acconsentire a che sia socia unica di una SUP anche una diffe-
rente entità, priva di personalità giuridica. Ciò, peraltro, potrebbe fare sorgere problemi di
non poco conto nel momento dell’eventuale trasferimento della sede della SUP in uno Stato
membro in cui la riferita possibilità non sia accordata.
(83) Di estremo rilievo l’emendamento proposto all’art. 8 JURI-2DL, per cui in caso di
socio unico persona giuridica, la legittimazione alla costituzione della SUP è data nel solo
caso in cui esso sia una micro o piccola impresa.
(84) Pare di intendere, anche attesa la previsione di estensione della parte prima della
direttiva a tutte le società unipersonali indipendentemente dalla loro forma giuridica di
costituzione (art. 1, par. 3, O.G.), che ciò significhi consentire che una SUP potrà legitti-
mamente essere unico socio anche, ad esempio, di una s.p.a. unipersonale.
(85) La disposizione, oggetto di introduzione da parte dell’O.G. (nel testo COM nulla
si disponeva a riguardo) è poi più diffusamente esaminata dall’11˚ considerando O.G. La
medesima sostanza, anche se in termini forse ancor più netti (la formulazione parrebbe
imporre agli Stati membri il vietare proprietà incrociate o circolari aventi ad oggetto la
SUP), è ribadita anche dal testo dell’art. 6, par. 2, JURI-2DL.
(86) 11˚ considerando del Preambolo O.G.
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dentemente cioè dal fatto che da ciò derivi una proprietà incrociata o
circolare. Si potrebbe dunque dare un “privilegio” per la SUP in un
quadro di competizione intraordinamentale tra le forme societarie uniper-
sonali (87).
La costituzione di una SUP può avvenire sia ex nihilo, sia a seguito di
operazioni di conversione, trasformazione, fusione, scissione di enti pree-
sistenti. La rubrica dell’art. 9 discorre tuttavia in maniera esplicita del solo
caso della conversione in SUP, corroborando l’idea di una mancata auto-
nomia tipologica di tale società. L’interpretazione della norma deve tutta-
via essere estensiva, comprendendo cosı̀ (o fornendo una idonea chiave di
lettura per risolvere) i casi di trasformazione, fusione e scissione che sa-
rebbero altrimenti sprovvisti di alcuna regolamentazione (88). Ed analogo è
il principio di continuità dei rapporti giuridici preesistenti, patrimonio
comune di tutte le vicende sin qui menzionate.
Particolarmente interessante è il secondo periodo dell’art. 9, par. 1,
O.G., in cui si considera la possibilità che dalla conversione di una s.r.l.
nazionale in una SUP si verifichi un trasferimento della sede legale della
società da uno Stato membro ad un altro (89). La norma prescrive che una
simile possibilità debba essere negata salvo che il trasferimento rispetti la
normativa applicabile sia dello Stato di partenza che di quello di destina-
zione. Il caso ipotizzato dalla norma in discorso è estendibile sino a disci-
plinare, coerentemente con le pronunce della Corte di Giustizia (90), il
(87) Riguardo tale tema, in varie disposizioni (ad es.: art. 13, par. 4, e art. 18, par. 5,
O.G.) l’intendimento del legislatore europeo è generalmente di evitare che le forme giuridi-
che preesistenti godano di vantaggi particolari rispetto alla SUP. La previsione appena
osservata, al contrario, ribalta la prospettiva, e lascia intuire che la SUP non solo non potrà
essere in alcun modo una sorella minore delle società unipersonali già esistenti, bensı̀,
tuttalpiù, una prima inter pares con esse.
(88) E d’altra parte, il risultato si attingerebbe ugualmente trasformando dal tipo di
origine in s.r.l., per poi procedere alla conversione in SUP; pare quindi preferibile accedere
all’interpretazione estensiva data nel testo. Contra: C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p.
137; ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el
nuevo texto, cit., p. 126. Problematica S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New
Corporate Element, cit., p. 661.
(89) Il tema è toccato, con norma dal tenore letterale più imperativo, anche nell’art. 9,
par. 1 bis, JURI-2DL che ammette il trasferimento di sede legale a seguito di conversione al
solo fine di adempiere alle disposizioni di cui al successivo art. 10 JURI-2DL, ossia per
garantire la coincidenza della sede reale con quella amministrativa. Al contrario, l’argomento
non era esplicitamente toccato nella versione COM, probabilmente per evitare alcuni dei
problemi sorti con la SE: in questo senso anche MALBERTI, The Relationship, cit., p. 269.
(90) Su cui si v., da ultimo, PEDERZINI, La libertà di stabilimento delle società europee
nell’interpretazione evolutiva della Corte di Giustizia. Armonizzazione e concorrenza tra ordi-
namenti nazionali, in Percorsi di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016,
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p. 95 ss. Ed in particolare è del tutto significativa la consonanza della previsione con quanto
disposto nella nota sentenza VALE Épı́tési kft (Corte giust. 12 luglio 2012, Causa C-378/10,
su cui, oltre al citato contributo di PEDERZINI, p. 120 ss., si v.J.L. HANSEN, The Vale Decision
and the Court’s Case Law on the Nationality of Companies, in European Company and
Financial Law Review, 2013, p. 6 ss.).
(91) A seguito della registrazione che dovrà avere luogo nello Stato di destinazione,
essendo la SUP regolata, come più volte ripetuto, dalla legge nazionale dello Stato membro
in cui essa è registrata.
(92) Resta, tuttavia, il dubbio se possa darsi il caso di una trasformazione in SUP di una
entità retta da un ordinamento non appartenente alla UE. Sulla scorta del dato letterale
dell’art. 9, par. 1, O.G., che cita le società elencate dall’allegato 1, necessariamente “euro-
pee”, e il trasferimento della sede legale “da uno Stato membro a un altro”, pare che la
risposta debba essere negativa.
(93) Di esso, nella formulazione O.G., non resta neppure l’indicazione della soppres-
sione, come invece accade per gli artt. 19, 20, 21, 23, 24, 27: semplicemente si passa
nell’articolato dall’art. 9 all’11, relegando il fu art. 10 all’oblio più completo.
La norma “resuscita”, con formulazione opposta al testo COM, nella versione JURI-
2DL, in cui si prevede che “la sede legale della SUP nonché la sua amministrazione centrale
coincidono con la sede effettiva della stessa”. Secondo questo testo, dunque, non solo non vi
sarebbe (più) la possibilità di una dissociazione rispetto allo Stato membro in cui è posta la
sede legale e quello di sede reale (neppure ove ciò dovesse essere consentito per le rimanenti
forme sociali dalle norme dello Stato di registrazione: v. infra nel testo), ma – curiosamente –
neppure di operare tale dissociazione all’interno di un medesimo Stato membro. In defini-
tiva, per chiudere ogni possibilità alla separazione delle sedi tra ordinamenti regolanti la
società secondo le contrapposte teorie della sede reale e dello Stato di incorporazione, si è
giunti alla ultronea situazione di bloccare ogni differente dislocazione, anche intrastatuale, il
che pare eccessivo, oltre che sfornito di particolare utilità; nel medesimo senso TEICHMANN e
FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 9.
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ti, di sede legale e reale, provocando una certa irritazione in diversi Paesi
tradizionalmente legati alla teoria della sede reale (94).
A tale proposito è necessario considerare separatamente le questioni
sollevate dall’art. 10. Per quanto riguarda il posizionamento all’interno
dell’Unione della sede legale, non si pone alcun problema anche in assenza
dell’art. 10. L’art. 14, par. 1, O.G. è infatti chiaro nello stabilire che la SUP
dovrà essere registrata nello Stato membro nel quale avrà la sede legale.
Corollario di tale regola è, come già si è rilevato, il fatto che ove si
determini un cambiamento di sede legale, dovrà essere effettuata una
nuova registrazione.
Il punto è di risoluzione meno piana per quanto concerne l’ammini-
strazione centrale, o la sede operativa principale della società, in quanto
tali aspetti non sono toccati nel testo O.G. Da tale assenza si deve desu-
mere che la specifica disciplina applicabile alla possibilità della dissocia-
zione tra Stato di registrazione (e sede legale) e Paese in cui abbia sede
l’amministrazione centrale della SUP sia da risolvere sulla base delle regole
specifiche di ciascuno Stato membro, anche onde evitare problematiche in
materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione della società ed un
potenziale danno ai creditori sociali (95).
(94) Il tema ha a che vedere con la possibilità che da ciò scaturisca una violazione delle
norme nazionali in tema di cogestione. Su tali perplessità si v. per tutti SEIBERT, SUP – Der
Vorschlag der EU-Kommission zur Harmonisierung der Einpersonen-Gesellschaft, cit., p. 210;
ma anche la convincente replica di CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 171 ss., spec.
173 ss. Il tema non è stato direttamente affrontato dalla Proposta anche per evitare i punti di
attrito diretti su cui si era infranta la SPE; in questo senso MALBERTI, The Relationship, cit.,
p. 278 efficacemente discorre di “Commission’s non-confrontational strategy”; TEICHMANN e
FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 9; ciononostante LECOURT, La
Societas Unius Personae, cit., p. 707 suggerisce di ispirarsi alla SPE per fare entrare il tema
all’interno della Proposta. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 43 solleva a
riguardo della possibilità di dissociazione tra sede legale e reale anche il tema della possi-
bilità che ciò dia luogo ad elusioni fiscali.
(95) Nello stesso senso anche TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a
Mountain, cit., p. 7; e pure, ma esprimendo soddisfazione per la soluzione O.G.: ESTEBAN
VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto,
cit., p. 112.
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Dal testo O.G., ben più dettagliato di COM sul punto, emergono tre
profili: informazione relativa alla disciplina delle società a responsabilità
limitata in ogni Stato membro (art. 12); regole in materia di redazione
dell’atto costitutivo (art. 11); norme in tema di registrazione (artt. 13 ss.).
La chiave di volta dell’intero sistema di costituzione/registrazione age-
volata per la SUP poggia su di un elemento decisivo: la possibilità per il
fondatore della società di scegliere l’ordinamento che reputi migliore ai
propri fini. Tale scelta presuppone una conoscenza, nell’idea del legisla-
tore almeno a livello elementare, delle norme che regolano le società nello
Stato membro in cui si desidera costituire la SUP. In ragione di ciò, l’O.G.
prevede uno specifico obbligo in capo agli Stati membri di fornire infor-
mazioni relative a punti chiave della normativa societaria ai soggetti po-
tenzialmente interessati alla costituzione (96). Le informazioni offerte dagli
Stati membri (97) dovrebbero essere, ancora nell’idea del redattore della
norma, sufficienti a disegnare il quadro normativo globale cui sarebbe
soggetta una SUP (98) ove il socio fondatore si avvalga del modello di atto
costitutivo tipizzato, senza che alcuna modificazione sia ad esso appor-
tata (99).
Di maggiore interesse le norme in tema di costituzione della società in
senso proprio.
Il procedimento di registrazione telematica della società, che senz’altro
costituisce il punto focale della Proposta, implica che vi sia la possibilità di
costituire la società attraverso modelli standard; la disciplina a riguardo è
piuttosto differente nelle versioni COM e O.G.
(96) Cfr. art. 12 e 15˚ considerando quater e quater bis O.G.; la medesima finalità è
presente anche nell’art. 12 bis JURI-2DL.
(97) Di preferenza all’interno degli stessi modelli di atto costitutivo, ma con la possi-
bilità di utilizzare “altri strumenti che consentano al fondatore di ottenerne facilmente
conoscenza” prima della registrazione: cfr. art. 12, parr. 1 e 2, O.G. La finalità informativa
e di incentivo all’imprenditorialità transnazionale della previsione potrà essere facilmente
frustrata dal fatto che gli Stati membri sono liberi di fornire o meno tali informazioni anche
in lingue diverse da quella dello Stato di registrazione.
(98) Non è in questa sede possibile soffermarsi su oggetto, modalità e tempi che tali
informazioni devono contemplare. Sia sufficiente segnalare che le informazioni dovranno
essere (con previsione che pecca di idealismo sino a rasentare l’ingenuità) “aggiornate,
chiare, concise e di facile fruizione” e riguardare l’organizzazione, i profili finanziari e le
formalità relative alla registrazione della società. Con scelta che pare criticabile, in quanto
non facilita il reperimento delle informazioni, la formulazione letterale dell’art. 12, par. 1,
comma 2˚, O.G. pare autorizzare gli Stati membri a mettere a disposizione non necessaria-
mente le norme, ma solamente “riferimenti a tali disposizioni”.
(99) E ferma restando la facoltà degli Stati membri, esplicitata dallo stesso 15˚ consi-
derando quater O.G., di fornire eventualmente anche informazioni ulteriori rispetto a quelle
imposte dall’art. 12.
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(100) Quanto alle difficoltà che avrebbe potuto incontrare la Commissione in tale
elaborazione si v. MALBERTI, The Relationship, cit., p. 258, nt. 73. Critici rispetto alla
redazione unica a livello europeo del modello anche LECOURT, La Societas Unius Personae,
cit., p. 703; LUCINI MATEO, En torno al Proyecto, cit., p. 5; ESTEBAN VELASCO, La propuesta de
Directiva sobre la “Societas unius personae” (sup), cit., p. 142.
(101) Medesima impostazione anche per l’art. 11 JURI-2DL, mentre non chiarissima –
ancorché probabilmente coincidente infine con la soluzione ipotizzata in O.G. – è la posi-
zione della versione IMCO (argomento ex Motivazione correlata all’emendamento 17). S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 665 s. non
condivide tale previsione, in quanto foriera di “legal fragmentation”.
(102) Il testo COM non considerava le realtà nazionali che richiedono, per la costitu-
zione di una società, l’elaborazione di documenti ulteriori rispetto al solo atto costitutivo;
non a caso l’art. 11, par. 1, O.G. nel demandare al diritto nazionale la disciplina dell’atto
costitutivo, esplicitamente considera anche “il numero di tali atti”.
(103) Per quanto, nell’idea di ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 116, nt. 25, sarà necessario nel testo
definitivo della Direttiva chiarire i termini di tale compresenza.
(104) Cosı̀ l’art. 11, par. 1, O.G.; conformemente anche il 15˚ considerando bis O.G.
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(105) Sul punto, ancorché sulla base del testo COM ed in funzione della compatibilità
della SUP con l’acquis si v. MALBERTI, The Relationship, cit., p. 274.
(106) Contesta la scelta di positivizzare il massimo delle informazioni, anziché non il
minimo ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae”
(SUP): el nuevo texto, cit., p. 120.
(107) Si noti come la previsione dell’eventuale organo di sorveglianza potrebbe essere
declinata nel senso di un Aufsichtsrat noto nel diritto dei Paesi di lingua tedesca, oppure del
collegio sindacale (o sindaco unico) proprio della nostra tradizione giuridica. Il modello di
governance in concreto adottato da ciascuno Stato membro può peraltro comportare un
inferiore grado di armonizzazione: MALBERTI, The Relationship, cit., p. 260.
(108) Si tratta di una innovazione apportata dalla formulazione O.G.; nel testo COM, la
SUP era da intendersi costituita a tempo indeterminato [cfr.: art. 7(5) COM].
(109) Ovvero se la natura giuridica della quota unica della società sia da intendersi
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come, appunto, quota, ovvero come azione (share), come accade ad esempio nei Paesi di
lingua inglese. E si v. a riguardo la nota 8, all’art. 3 O.G.
(110) Questa indicazione appare essere non coerente con le rimanenti, alla pari delle
successive lett. i e j, che immediatamente seguono nell’elenco. In questo caso, infatti, non
sembra esservi la necessità di una informazione da offrire da parte del socio unico, in
relazione alla modalità di formazione della riserva, ma, tutt’al più, di un dato che il legi-
slatore nazionale dovrebbe dare al socio unico, rispetto alla modalità della costituzione della
riserva legale. Rispetto a tale profilo, l’unico fondatore solamente potrà influire, attesa
l’esperienza che rispetto a tali riserve si è formata nei diversi Paesi dell’Unione, in riferi-
mento al quantum degli utili annuali sia da trattenersi da parte della società al fine di
formare la riserva, nel caso (raro, si direbbe) in cui il fondatore desideri destinare a tale
fine una percentuale maggiore rispetto a quella richiesta dispositivamente dalla legge (a
titolo di esempio: il 25% in Germania e Belgio; il 20% in Italia e Spagna; per ulteriori
informazioni sul punto si rinvia a BARTOLACELLI, Armonizzazione, concorrenza e convergenza
tra ordinamenti: evidenze dal diritto delle società a responsabilità limitata in Europa e in Italia,
in Percorsi di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016, p. 139 ss., spec. p.
153 ss.).
(111) 13˚ considerando O.G.; nell’articolato O.G. si v. l’art. 14, par. 3, su cui imme-
diatamente infra nel testo, e le cautele di cui si trova traccia ad es. negli artt. 13, par. 6, e 14
ter, par. 5. La previsione è tuttavia definita controversa (“polémica”) da ESTEBAN VELASCO,
La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p.
131 ss.
(112) La riduzione dei tempi di iscrizione è una delle funzioni principali della Proposta;
sul punto si v. CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 151 s. L’art. 14, par. 3, comma 2˚,
O.G. si preoccupa di specificare che il rispetto del termine dei cinque giorni lavorativi non è
destinato ad operare in caso di “circostanze eccezionali che renderebbero impossibile ri-
spettare tale termine”; opportunamente, il 16˚ considerando O.G. esemplifica tali circostanze
eccezionali, citando “la complessità del caso [che] richiede un esame speciale nel contesto
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della registrazione che renderebbe impossibile rispettare tale termine”. Sia consentito rile-
vare come una determinazione cosı̀ vaga dell’eccezionalità per il mancato rispetto del ter-
mine dei cinque giorni lavorativi rischia di compromettere seriamente la disposizione anche
da un punto di vista sostanziale. E d’altra parte, già il testo COM – che prevedeva un
termine di tre giorni – era stato criticato da parte della dottrina per la sua rigidità: WICKE,
Societas Unius Personae, cit., p. 1416; perplessità sulla norma sono sollevate anche da
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 14.
(113) E si v., nel medesimo senso, il 16˚ considerando bis O.G.
(114) Ciò si desume dalla nota 9, all’art. 13, par. 2, O.G., indirizzata all’attenzione dei
giuristi-linguisti. Specularmente a quanto accade per l’atto costitutivo tipizzato, anche in
questo caso si dà un elenco “massimo” delle informazioni che lo Stato membro può richie-
dere al socio fondatore all’atto della registrazione, ove questi si sia avvalso dell’atto costi-
tutivo tipizzato. Qualora, invece, l’atto costitutivo sia stato redatto con formulazione libera,
è facoltà dello Stato membro (art. 13, par. 3, O.G.) richiedere informazioni ulteriori; in tema
si v. anche il considerando 15˚ quinquies, secondo periodo O.G. Lo Stato membro di
registrazione può richiedere che le informazioni da fornire siano confermate con mezzi di
prova idonei, che non possono eccedere in quantità quelli imposti alle altre s.r.l. di diritto
nazionale. Si tratta di altra norma volta a garantire la competitività intraordinamentale della
SUP nei confronti delle forme giuridiche previgenti, in ogni caso la richiesta non deve
pregiudicare la possibilità che la SUP sia registrata on-line. Sulla eventuale preferenza da
accordarsi alla SUP tra le forme unipersonali nazionali si v. C. SERRA, Societas Unius Perso-
næ, cit., p. 129.
(115) A riguardo il 18˚ considerando O.G., pure ammettendo la possibilità di controlli
di legalità ed identità predisposti dagli Stati membri, e fornendo esemplificazioni sulle
modalità in cui tali controlli potranno trovare attuazione si chiude con la specificazione
che “[i]n ogni caso è opportuno che le norme nazionali non incidano sulla possibilità di
completare l’intera procedura di registrazione on-line”. E, analogamente rispetto alla pro-
cedura di registrazione, il 13˚ considerando bis stabilisce: “[l]a registrazione on-line dovrebbe
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lasciare impregiudicata la scelta da parte degli Stati membri delle persone o degli organismi
cui potrebbe essere imposto di assistere o sovrintendere alla legalità della registrazione a
condizione che l’intero processo possa essere espletato elettronicamente”.
(116) Ed assai criticata: si v., ad esempio, TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius
Personae, cit., p. 542 s.
(117) Fatte salve le previsioni della dir. 2009/101/CE e, per il modello standard le
perplessità di cui già si è poc’anzi riferito.
(118) Ma, ritenendo che tale possibilità fosse comunque contemplata dall’art. 14, par. 5,
COM: J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 179. Nel senso del testo, LUCINI MATEO, En
torno al Proyecto, cit., p. 4; critici pure RIES, Societas Unius Personae, cit., p. 569 e DRYGALA,
What’s SUP, cit., p. 494.
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sione O.G. anche l’art. 14 ter sul riconoscimento dei mezzi di identifica-
zione, e i considerando 13˚, 13˚ bis, 18˚ e 18˚ bis del Preambolo.
Il controllo di legalità (non presenziale) ha ad oggetto innanzitutto
(art. 14 bis, par. 1, O.G.) la “verifica dell’identità e della capacità giuridica
del socio fondatore e/o del rappresentante che costituisce la SUP per
conto del socio”. Pur non essendo in alcun modo citato, pare ragionevole
che il controllo possa (debba?) esplicarsi anche sui rimanenti aspetti con-
templati nell’atto costitutivo della società, primo tra tutti il contenuto della
clausola dell’oggetto sociale. L’attenzione del legislatore europeo è tuttavia
focalizzata innanzitutto sul socio unico e/o sull’eventuale suo rappresen-
tante che costituisca la SUP per suo conto, rispetto alla loro identificazione
e la verifica della capacità giuridica. Tale operazione, disciplinata nell’an e
nel quomodo dal diritto nazionale applicabile, è volta a fornire garanzie
rispetto all’effettiva imputazione di una attività giuridicamente rilevante in
capo al soggetto che si assume essere unico fondatore; e, proprio come
conseguenza di ciò, in definitiva, a custodire al meglio “attendibilità e
affidabilità dei registri” nazionali (119).
(119) Cosı̀, ancora, il 18˚ considerando O.G. Il controllo in parola si deve basare su di
una fase documentale ed una esperienziale: vi è la necessità di verificare se il soggetto il cui
documento di identità sia stato validamente fornito per la registrazione quale socio unico
della SUP sia effettivamente la persona che – direttamente o rappresentata da un terzo – sta
svolgendo la procedura di registrazione.
Per quanto riguarda l’accreditamento dei documenti di identificazione accettabili alla
finalità sin qui descritta, indicazioni a riguardo provengono dall’art. 14 ter O.G. La verifica
della corrispondenza tra il registrante ed il soggetto risultante dai documenti allegati al
formulario di registrazione potrà essere svolta da un’autorità dello Stato membro di regi-
strazione, ove il diritto nazionale lo preveda, salvo il principio per cui tale controllo non
incida sulla possibilità di un completamento on-line dell’intera procedura. A tale fine, il 18˚
considerando suggerisce indicazioni su modalità possibili di espletamento del controllo in
parola, segnatamente menzionando la “videoconferenza o altri mezzi on-line che permettano
un collegamento audio-video in tempo reale”.
L’accreditamento dei mezzi di identificazione riguarda anche la fase di verifica della
regolarità formale, da espletarsi a cura delle autorità di registro. Il quadro a tale riguardo si
presenta piuttosto complesso. Il principio generale è dettato dall’art. 14 bis, par. 2, O.G.: gli
Stati membri regolamentano l’attività di verifica formale, ma essi necessariamente devono
accettare almeno i mezzi di identificazione elettronica rilasciati dallo Stato membro di
registrazione ai fini della registrazione on-line stessa e i mezzi di identificazione elettronica
rilasciati da altro Stato membro che soddisfino le disposizione del c.d. regolamento e-IDAS
(reg. (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014). Inoltre,
le autorità di registrazione possono autorizzare come validi anche altri mezzi di riconosci-
mento (non elettronici, o elettronici non conformi alle disposizioni e-IDAS), secondo un
principio di equivalenza: ove siano accettati documenti interni di un dato tipo, dovranno
essere ammessi anche quelli esteri “dello stesso tipo”. Il coordinamento delle disposizioni
del regolamento e-IDAS con quelle della Proposta SUP non è particolarmente semplice e
comporta diverse problematiche, in special modo legate alla possibile non applicazione delle
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regole e-IDAS da taluni Stati membri ed al diverso rating di affidabilità degli strumenti di
identificazione; su di esse si v. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 40 ss.;
MALBERTI, The Relationship, cit., p. 266 s.; ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva
sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 133. Rispetto alla possibilità
di coniugare affidabilità dei registri e iscrizione on-line attraverso l’utilizzo delle nuove
tecnologie si v. BEURSKENS, “Societas Unius Personae”, cit., p. 745 ss.
(120) C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 140; TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas
Unius Personae, cit., p. 542 (che modificano il loro parere, a seguito dell’approvazione del
testo O.G., rilevando come non tutte le previsioni in materia di disclosure e antiriciclaggio
siano replicate nel testo della Proposta: TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out
of a Mountain, cit., p. 13 s.); MALBERTI, The Relationship, cit., pp. 265 e 267 s.; CONAC, The
Societas Unius Personae, cit., p. 166 s. (assumendo una piena compatibilità della disciplina
SUP con le norme antiriciclaggio e sostenendo la presenza di minori rischi relativi alla
identificazione in procedure on-line rispetto a quelle tradizionali). Più critico LUCINI MATEO,
En torno al Proyecto, cit., p. 7.
(121) Se si è sin qui menzionato il caso della identificazione del socio unico fondatore,
che certamente è quello di maggiore rilievo teorico-pratico, si deve tuttavia osservare come
la rilevanza dei mezzi di identificazione si esprima ogni qual volta si dia la necessità di
provvedere ad una identificazione: rappresentante, revisore contabile, titolare effettivo della
SUP, amministratori, membri dell’organo di sorveglianza… Si segnala come il testo dell’art.
14 ter O.G. sia quasi completamente conforme all’emendamento 30 IMCO.
(122) La disposizione era contenuta, nella versione originale della Proposta, all’art. 14,
par. 6, in una formulazione assai meno dettagliata. Sul punto, sollevando anche rischi di
lesione al principio di uguaglianza all’interno di un singolo ordinamento, si v. LUCINI MATEO,
En torno al Proyecto, cit., p. 7.
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(123) Fermo restando il diritto degli Stati membri a subordinare lo svolgimento di date
attività alla concessione di una licenza o di un’autorizzazione. Si v. sul punto anche il testo
IMCO (emendamento 31), che proponeva l’elencazione di tali attività nei siti web di regi-
strazione.
(124) Cfr. art. 14 bis, par. 3, O.G. La possibilità concessa a ciascun Paese membro di
fornire un significato concreto all’aggettivo “indispensabile” e alla nozione di “corretto
controllo” (come pure, d’altra parte, un regime più o meno rigido rispetto alle autorizzazioni
o licenze richieste) potrebbe tuttavia di per sé costituire un ennesimo fattore su cui si
esplichi una competizione inter-ordinamentale.
(125) Art. 15, par. 1, O.G.
(126) O anche ad un modello unipersonale differente, ove questo sia consentito dalla
legislazione applicabile.
(127) Cosı̀ anche J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 186.
(128) Il 20˚ considerando fornisce quali esemplificazioni di tale situazione la successione
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per causa di morte ed il diritto matrimoniale. E cosı̀ pure LECOURT, La Societas Unius
Personae, cit., p. 705.
(129) L’identità del rappresentante deve essere oggetto di notifica all’organo di dire-
zione della società, al pari del nome dei comproprietari e l’eventuale modifica di tali infor-
mazioni. In mancanza di notifica, si verifica una sospensione dall’esercizio dei diritti nella
SUP se ciò è contemplato nel diritto nazionale applicabile.
(130) Potendo ciò accadere, ad esempio, anche nel caso di conversione/trasformazione
da una società pluripersonale verso il modello SUP; nello stesso senso anche S. JUNG,
Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 661, nt. 95.
(131) C. SERRA, Societas Unius Personae, cit., p. 137; OMLOR, Die Societas Unius Perso-
nae (SUP) mit mehreren Gesellschaftern, cit., p. 158 ss. e le considerazioni svolte da WEIG-
MANN, nel corso del suo intervento sulla Societas Unius Personae in occasione del 29˚
Convegno di studio “Adolfo Beria di Argentine” su I modelli di impresa societaria fra
tradizione e innovazione nel contesto europeo, Courmayeur, 18-19 settembre 2015. Contra
SCHÖNEMANN, Bauen am Baustein, cit., p. 246.
(132) Conformemente anche J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 186.
(133) Art. 16, par. 1, O.G.; si v. anche il 19˚ considerando bis O.G. Per le ragioni di tale
scelta, condivisa da taluni sulla base del trend assunto dalla competizione regolamentare:
CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 149 ss. Il punto ha suscitato talune perplessità
in studiosi che ritengono che il capitale possa fungere da “selettore di serietà”, auspicando
quindi un minimo più elevato; in tale senso TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius Personae,
cit., p. 540; C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 145; LUCINI MATEO, En torno al
Proyecto, cit., p. 8 propone la definizione del capitale minimo su base nazionale. In senso
diametralmente opposto, auspicando l’eliminazione del capitale sociale minimo: J.L. HAN-
SEN, The SUP Proposal, cit., p. 187.
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(134) Art. 17 O.G. Nulla è previsto, nel testo O.G., rispetto alla necessità che il
conferimento sia integralmente liberato all’atto della sottoscrizione, come invece disposto
dall’art. 17, par. 1, COM: ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas
Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 139.
(135) J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 188 s. si chiede se sia possibile un
conferimento non in denaro già in sede di costituzione. S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 674 immagina che all’atto della costituzione on-
line sia possibile il solo conferimento in denaro, non essendo cosı̀ per la registrazione per via
tradizionale e domandandosi la ragione della discriminazione.
(136) L’art. 17 O.G. dispone che tale equivalenza tra istituti di credito appartenenti a
Paesi diversi debba operare “[q]ualora la normativa nazionale imponga il pagamento del
corrispettivo della quota in contante”; appare tuttavia ragionevole ritenere che il principio
sia destinato ad operare non solamente quando il versamento in contante sia l’unico auto-
rizzato, ma anche quando esso sia scelto all’interno di un più ampio ventaglio di alternative.
Ed in ogni caso non dovrebbero sussistere dubbi riguardo la legittimità del versamento del
conferimento attraverso mezzi differenti, come ad esempio la consegna nelle mani degli
amministratori, come attualmente previsto dall’art. 2464, c.c. italiano. Sulle potenziali diffi-
coltà di apertura di un conto bancario a nome di una società non ancora costituita si v. J.L.
HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 189.
(137) In cui la possibilità per gli Stati membri di richiedere la costituzione di riserve
legali era esplicitamente esclusa dall’art. 16, par. 4. Il testo JURI-2DG è sul punto assai più
assertivo, prevedendo che “gli Stati membri impongono” la costituzione di tali riserve.
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te previsto dalle norme nazionali; e, ove tale regime non sia già attivo (138),
di predisporne uno apposito.
Lo schema di funzionamento di tale riserva è quello noto in diverse
esperienze nazionali di Stati membri: una volta che la società abbia matu-
rato utili annuali, una quota di essi – normalmente più elevata di quella
richiesta dal diritto comune delle s.r.l., per quanto rispetto a tale questione
la Proposta non si pronunzi (139) – è resa non disponibile ai soci. Le riserve
cosı̀ formate hanno due possibili configurazioni: da un lato quella che vede
un tetto massimo all’entità della riserva, e dall’altro quella che determina
una permanenza dell’obbligo di accantonamento senza la previsione di una
soglia finale (140). La Proposta SUP mostra di tenere in considerazione
entrambe le opzioni sin qui descritte, per quanto il significato effettivo
della congiunzione/disgiunzione “e/o” presente all’art. 16, par. 4, O.G.
non appare del tutto esente da dubbi di natura interpretativa (141), e
sarebbe consigliabile provvedere ad una formulazione che in maniera
più chiara definisca le questioni che sono mantenute aperte (142).
(138) Ma anche qualora sia previsto e si intenda crearne uno ad hoc per la SUP, non
essendovi in questa materia alcuna norma che imponga una parità di trattamento della SUP
e delle preesistenti forme nazionali di s.r.l.
(139) La mancata menzione di un range percentuale minimo su cui si attesti la disciplina
nazionale in materia determina la possibilità che per la SUP siano operative le regole
generali, ove previste. O persino che vengano dettate norme ad hoc con percentuali più
basse di quelle usuali. Una simile ipotesi pare di improbabile realizzazione nella pratica:
essendo il ricorso dalla riserva legale una libera opzione del legislatore nazionale, assai
difficilmente questi la vanificherà nella sostanza imponendo la trattenuta di utili in percen-
tuale inferiore a quella stabilita in via generale.
(140) Sul punto, con maggiori dettagli, v. supra, nt. 110.
(141) Ad esempio, come potrebbe avvenire la formazione di riserva “fino all’importo
del capitale sociale minimo richiesto” il modello superiore di riferimento, in assenza della
regola di formazione su base di percentuale degli utili, ove si adotti la disgiuntiva “o”?
(142) La finalità della eventuale predisposizione di riserve legali da parte del legislatore
nazionale è esplicitata dal considerando 19˚ bis bis e ter O.G. Nel considerando 19˚ bis bis si
cita l’esigenza che siano garantiti nel diritto nazionale “meccanismi volti a impedire che le
SUP non siano in grado di pagare i debiti dopo aver effettuato le distribuzioni.
La scelta della forma e dei metodi per assicurare la conformità a tale requisito spetta
agli Stati membri. In tale contesto gli Stati membri dovrebbero essere in grado, ad esempio,
di imporre alle società di costituire riserve legali (…)”. Il successivo considerando 19˚ ter si
occupa specificamente delle riserve legali, riproponendo testualmente il contenuto dell’art.
16, par. 4, aggiungendo tuttavia che l’obbligo di costituzione e mantenimento della riserva
legale potrebbe essere declinato dai singoli Stati membri in maniera differenziata su base
settoriale, “tenendo conto delle differenze di capitale necessario per tutelare i creditori in
diversi settori economici”. Al di là della disciplina che tale specificazione potrebbe intro-
durre, si segnala come il legislatore europeo menzioni esplicitamente una sempre più di-
scutibile funzione garantistica del capitale sociale (per di più latamente inteso), oltre ad un
approccio differenziato che non pare esente da problematiche sul punto del principio di
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parità di trattamento di situazioni societarie nella sostanza analoghe; nello stesso senso S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 673.
Inoltre, la combinazione dei due considerando appena citati non sembra in ogni caso
idonea a fornire garanzie ai creditori, in quanto non vi è una esplicita alternativa tra
formazione di riserve (comunque eventuale, e su cui si v. le condivisibili osservazioni di
CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 169 e J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p.
187 ss., e specialmente l’esempio di cui alla nt. 28) e test di solvibilità: entrambi sono
opzionali, e ben si potrebbero dare casi di Stati membri che, in una race to the bottom assai
poco commendevole, decidano di non applicare né l’una, né l’altro.
(143) Ma anche nel testo JURI-2DL, che semplicemente emenda la versione COM per
prevedere la responsabilità solidale degli amministratori (§ 5) e porta nel corpo dell’art. 18
(§ 5bis) le norme in materia di indebita distribuzione o riduzione del capitale sociale (artt. 19
e 20 COM).
(144) Il cui tenore è il medesimo della dir. 2012/30/UE, sia pure senza menzionare gli
acconti dividendo, come segnalato da KNAPP, Directive, cit., p. 193 s.
(145) Che, a livello europeo continentale, è stato di recente introdotto nella riforma del
diritto olandese delle società a responsabilità limitata, dopo essere stato a lungo pietra
miliare del diritto britannico (sul punto, anche con analisi comparatistica con altri Paesi
di common law: KNAPP, Directive, cit., p. 194 ss.). Per un approfondimento a riguardo
dell’esperienza neerlandese si v. BARTOLACELLI, Società chiusa, cit., p. 524 ss., ove maggiori
riferimenti bibliografici. Nonché, sull’istituto in generale, SCHÖN, Balance Sheet Tests or
Solvency Tests – or Both?, in European Business Organization Law Review, 2006, 7, p.
181 e, tra di noi, MIOLA, Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in La società per
azioni oggi, a cura di Balzarini, Carcano e Ventoruzzo, Milano, 2007, I, p. 363 ss., spec.
373 ss.
(146) Art. 18, par. 3, COM. A riguardo KNAPP, Directive, cit., 195 s. correttamente
puntualizza che non si comprende se la decisione debba essere assunta dagli amministratori
all’unanimità o a maggioranza, e suggerisce che il livello di approfondimento dell’analisi
condotta dagli amministratori dovrebbe essere “ragionevole”, più che “completa”, dati i
costi che tale ultima soluzione comporterebbe.
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(147) Art. 18, par. 1, O.G.; il medesimo principio è richiamato dal considerando 19˚ bis
bis, già citato.
(148) Gli Stati membri possono comunque ampliare tale termine, senza tuttavia che
questo ecceda l’anno: art. 18, par. 4, O.G.
(149) La formulazione qui adottata, anche nel testo inglese che recita may in luogo di
shall, lascia il dubbio – cui si dovrebbe dare risposta affermativa – se sia legittima la
posizione dello Stato membro che, nel rispetto del principio generale di cui al § 1, subordini
la distribuzione ad adempimenti diversi sia dal test di bilancio, sia da quello di solvibilità.
Non pare infatti che la previsione di cui all’art. 18, par. 4, O.G. (“[l]e modalità di attuazione
dei meccanismi di cui ai paragrafi 2 e 3 sono disciplinate dal diritto nazionale”) possa essere
letta nel senso di prevedere come obbligatorie le sole ipotesi di cui al precedente § 2. Si
tratta, nella sostanza, del risultato auspicato da LECOURT, La Societas Unius Personae, cit.,
p. 704.
(150) La formulazione della norma è stata opportunamente modificata rispetto alla
versione originaria per consentire l’inclusione delle riserve legali nelle passività ideali.
(151) Che recitava: «“distribuzione”, qualsiasi vantaggio finanziario che il socio unico
deriva direttamente o indirettamente dalla SUP in relazione alla quota unica, compresi
eventuali trasferimenti di denaro o beni. Le distribuzioni possono assumere la forma di
dividendi e possono essere effettuate tramite l’acquisto o la vendita di beni o con qualsiasi
altro mezzo». KNAPP, Directive, cit., p. 192 rileva come tale definizione sia più ampia di
quella prevista dalla dir. 2012/30/UE e ne suggerisce una riformulazione che chiarisca
meglio il concetto (p. 200). Peraltro, la mancanza di qualunque definizione nel testo
O.G. determina l’insorgenza di notevoli problematiche interpretative.
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(152) La disgiunzione tra test di bilancio e di solvibilità appare, nei lavori preparatori
l’O.G., solamente nel documento 7986/2015 del 22 aprile 2015. In esso si dà atto, all’in-
terno delle explanatory notes, del fatto che l’art. 18 “was modified to state the general
principle which should be common to all Member States [cioè la competenza in capo agli
Stati membri rispetto all’istituzione di una normative nazionale che eviti che la SUP non sia
in grado di pagare i propri debiti dopo una eventuale distribuzione al socio], but the ways to
achieve it could be different” (corsivo nostro). Sul punto si v. TEICHMANN e FRÖHLICH, How to
make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 19 s. Vede nella SUP un laboratorio di speri-
mentazione, soprattutto per i temi legati al capitale ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 136.
(153) Curiosamente, infatti, il test di solvibilità è esplicitamente previsto dalla Proposta,
nei termini non imperativi di cui sopra, solo “in caso di distribuzione sotto forma di
pagamento di un dividendo” (art. 18, par. 2, lett. b, O.G.), e non in ogni ipotesi di
distribuzione, come stabilito dal testo COM. Ci si chiede – ma la risposta dovrebbe essere
affermativa – se, nel caso, gli Stati membri potranno estendere la disciplina anche alle
distribuzioni non costituite da dividendi. Non cosı̀ ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 142.
(154) Nonostante la disciplina in precedenza contenuta nell’art. 18, par. 5, COM non
trovi riproposizione nella versione O.G., si deve ritenere che tale profilo sia ora destinato ad
essere regolamentato in via diretta dal diritto nazionale applicabile. Solleva problematiche
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sferimento del regime della garanzia dal patrimonio sociale a quello degli
amministratori (155). Ove siano decise distribuzioni – o riduzioni del capi-
tale sociale – illegittime, gli Stati membri dovranno imporre la restituzione
alla SUP di quanto ricevuto dall’unico socio, fermo restando il diritto al
risarcimento del danno a coloro che abbiano subito un pregiudizio dall’il-
legittima distribuzione, secondo le norme proprie del diritto nazionale
applicabile (156).
Al par. 5, l’art. 18 detta una ulteriore clausola di salvaguardia intra-
ordinamentale, stabilendo che, fermo restando che gli Stati membri po-
tranno limitare le ipotesi di distribuzione a quelle disciplinate per la SUP
dall’art. 18, ciò non dovrà determinare per la SUP requisiti più restrittivi di
quelli imposti alle altre s.r.l. di diritto nazionale (157).
sul punto in particolare C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 147. E si vedano le
interessanti questioni sollevate da ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 151 s. per la responsabilità degli
amministratori in caso di distribuzioni irregolari.
(155) Criticato nel parere del Comitato economico e sociale europeo (punto 1.4),
sollevando il problema della potenziale inconsistenza del patrimonio degli amministratori.
(156) Art. 18, parr. 5 e 6, O.G. Per alcune considerazioni sulla riduzione del capitale nel
testo COM si v. KNAPP, Directive, cit., p. 199 s.
(157) Potrebbe tuttavia risultare non sempre semplice individuare in concreto quando
un requisito sia da ritenersi “più restrittivo”, e la norma in parola potrebbe avere una
funzione assai dirompente, nel senso di introdurre il test di solvibilità non solamente per
la SUP ma per tutte le s.r.l. nazionali, secondo l’effetto “Cavallo di Troia” già citato supra.
D’altra parte nulla sembra ostare al fatto che la SUP risponda a regole meno stringenti
rispetto a quelle delle restanti società di diritto nazionale: ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 146; S. JUNG,
Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 678.
(158) Nella versione IMCO si proponeva la completa espunzione del capo, per lasciare
l’intera materia alla regolamentazione nazionale. In senso contrario, diversi AA. ritenevano
che l’armonizzazione rispetto all’organizzazione interna fosse necessaria per fornire certezza
a chi si trovasse ad avere a che fare con una SUP: CONAC, The Societas Unius Personae, cit.,
p. 160; nel medesimo senso TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit.,
p. 207. LUCINI MATEO, En torno al Proyecto, cit., p. 9 s. proponeva d’altra parte l’integra-
zione delle previsioni esistenti con altre sempre in tema di amministrazione, in modo da
fornire un quadro normativo più completo.
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(159) Cfr. art. 22 O.G., comunque oggetto di decisa revisione. Nessun riferimento al
funzionamento dell’amministrazione è infatti presente, mentre l’attenzione si focalizza sulle
cause di ineleggibilità e le conseguenze dell’eventuale revoca degli amministratori. Viene
mantenuto il principio dell’organizzazione corporativa, prevedendo che la gestione della
società spetti all’organo di direzione, composto da uno o più amministratori; ed anzi il
principio trova esplicitazione ulteriore nella possibilità, attribuita agli Stati membri, di
prevedere che la SUP abbia (anche) un consiglio di sorveglianza. In tema di rappresentanza,
la disciplina della Proposta si rifà all’acquis communautaire, ed in particolare alle previsioni
della dir. 2009/101/CE, come segnalato anche dal 22˚ considerando O.G.; non altrettanto
nella versione COM, come sottolineato da MALBERTI, The Relationship, cit., p. 253 s. (e
pure, LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 708).
Nessuno specifico riferimento viene dato rispetto alla possibilità di revocare ad nutum
l’amministratore, come invece previsto dall’art. 22, par. 5, COM; la caduta di tale previsione
è criticata convincentemente da TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework,
cit., p. 226, che rileva come ciò possa portare ad indebiti vantaggi per gli amministratori
revocandi rispetto al socio unico.
(160) Art. 22, par. 7, COM. La sua regolamentazione all’interno della disciplina della
sola SUP era probabilmente ultronea, come riferisce LUCINI MATEO, En torno al Proyecto,
cit., p. 9; ESTEBAN VELASCO, La propuesta de Directiva sobre la “Societas unius personae”
(sup), cit., p. 143 e ID., La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el
nuevo texto, cit., p. 154. E si v. anche le interessanti considerazioni di TEICHMANN e FRÖH-
LICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 22 s.; S. JUNG, Societas Unius
Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 685.
(161) Art. 21 COM.
(162) Art. 23 COM. Il tema è naturalmente di particolare interesse per quanto riguarda
il c.d. “interesse di gruppo”, che avrebbe cosı̀ fatto ingresso nella disciplina di origine
europea, in attesa di una specifica regolamentazione: TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius
Personae, cit., p. 541; LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 705; a favore dell’in-
troduzione (ma già scettico sulle possibilità di approvazione del testo, almeno in questa
parte), CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 163. L’espunzione della previsione
all’interno del testo O.G. è un evidente depotenziamento dell’armonizzazione di cui la
SUP vorrebbe essere portabandiera, restando il tema rimesso ai diritti nazionali.
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9. Le norme di chiusura.
Il testo della Proposta si conclude poi con la Parte 3 recante le di-
sposizioni finali, essenzialmente operative. Esse riguardano: l’esercizio del-
le deleghe conferite dalla direttiva alla Commissione per aggiornamento
dell’allegato 1 sulle forme nazionali di s.r.l. (164); la predisposizione, da
parte degli Stati membri, di sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive”
applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione
della direttiva (165); l’abrogazione della dir. 2009/102/CE (art. 29) e la sua
decorrenza (art. 32); le modifiche necessarie al testo del reg. (UE) n. 1024/
2012 finalizzate ad introdurre anche il riferimento alla direttiva SUP
(art. 30).
È poi regolamentato, all’art. 31, il recepimento della direttiva da parte
degli Stati membri, fermo restando che questi sono i destinatari (primi)
della direttiva (art. 33). Gli Stati membri saranno tenuti a dare attuazione
alle misure richieste dalla direttiva entro 36 mesi dalla data di sua entrata
in vigore, comunicando immediatamente il testo di tali disposizioni alla
Commissione. Gli Stati membri dovranno inoltre comunicare alla Com-
missione ogni disposizione di diritto interno ulteriore rispetto a quella di
recepimento della direttiva che riguardi il settore disciplinato dalla diret-
tiva stessa (166).
i 36 mesi successivi (art. 31, par. 1, O.G.). Anche ove si dovesse rispettare quest’ultimo
termine – evento tutt’altro che scontato, ove si considerino le esperienze precedenti a
riguardo – non resta chiarissimo il regime applicabile nel momento in cui la dir. 2009/
102/CE risulti abrogata e non siano ancora emanate le normative nazionali di attuazione.
(167) Non la pensa cosı̀ C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 148, secondo la quale,
anche in assenza di una sostituzione iniziale, si assisterà ad una armonizzazione di fatto tra i
(sotto)tipi unipersonali nazionali [si v. anche le interessanti questioni sulla armonizzazione
“dal basso”, ivi, p. 143, su cui pure ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 107]. Nel senso del testo, invece, S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 650.
(168) ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae”
(SUP): el nuevo texto, cit., p. 139, nt. 61 immagina la compresenza della SUP con le
rimanenti varianti nazionali. Si v. anche la posizione di S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 659, che immagina in termini problematici
l’ipotesi cui ci si riferisce nel testo.
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(169) Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 17 febbraio 2016, in G.U.R.I.
n. 56 dell’8 marzo 2016, p. 65 ss.
(170) La soluzione è ipotizzata da TER BRAKE e VAN DUUREN, The Societas Unius Perso-
nae, cit., p. 277. Un nuovo ruolo per il notariato, d’altra parte, è da immaginarsi anche nel
pensiero di ROEST, Nieuws vanuit Europa, cit., p. 989 ss.
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zione degli artt. 1105 e 1106, c.c. per quanto riguarda l’amministrazione
della società e l’eventuale regolamento della comunione.
Maggiori problemi determina il capitale minimo fissato inderogabil-
mente all’unità di euro, soprattutto nel suo raccordo con la disciplina delle
riserve legali che eventualmente possono essere previste dagli Stati mem-
bri. Ci si deve chiedere se sia applicabile alla SUP, nel caso, l’art. 2463,
comma 5˚, c.c.
Ora, ove si convenga con chi scrive che il capitale sociale minimo di
una s.r.l. italiana è comunque pari a 10.000 euro anche a seguito della
introduzione del quarto e del quinto comma dell’art. 2463 c.c. (171), in
questo caso la riserva legale di cui al testo O.G. potrebbe assumere sen-
z’altro le vesti della riserva a formazione accelerata prevista al quinto
comma dell’art. 2463, c.c. Qualora, al contrario, si ritenga che il capitale
sociale minimo per la s.r.l. a seguito degli interventi normativi del 2013 è
da intendersi pari a 1 euro, non sembra perfettamente piano ricondurre la
riserva immaginata alla previsione di cui all’art. 2463, comma 5˚, c.c., ed
anzi si potrebbe immaginare che la SUP potrebbe essere soggetta alla
costituzione ed al mantenimento della usuale (ed inutile, nel caso di specie)
riserva legale di cui all’art. 2430, c.c. Si verrebbe cosı̀ a creare una situa-
zione di asimmetria rispetto alle s.r.l. uni- e pluripersonali con capitale
inferiore a diecimila euro, con ulteriore elemento di vantaggio per la SUP
nella concorrenza intraordinamentale con le s.r.l. unipersonali.
In materia di conferimenti, la disciplina della SUP italiana potrebbe
seguire quella attuale della s.r.l. unipersonale senza particolari problemi,
perlomeno in caso di costituzione presenziale della società. In caso di
costituzione con iscrizione on-line, la previsione di cui all’art. 2464, c.c.,
per cui il versamento deve avvenire nelle mani dell’organo amministrativo
dovrà essere sostituita da quanto richiesto dall’art. 17 O.G., con liberazio-
ne del conferimento – integrale, se le norme attualmente vigenti in materia
di società unipersonali non seguiranno la china liberalizzatrice pure am-
messa dalla Proposta, per cui sarebbe sufficiente l’integrale sottoscrizione,
e non la completa liberazione iniziale – presso un istituto creditizio auto-
rizzato.
Per quanto riguarda le distribuzioni al socio unico, la formulazione
O.G. pare consentire che esse possano avere luogo anche ove sia esperito
(171) Ad opera del d.l. n. 76/13. La disciplina dettata dalle norme citate determine-
rebbe solamente un regime temporaneo valido appena in sede di costituzione della società,
per cui si dovrebbe distinguere tra capitale sociale minimo per la costituzione della società
(pari ad un euro), e capitale minimo durante societate, non inferiore a diecimila.
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(172) Se a ciò si aggiunge la possibilità che non si dia alcun obbligo specifico in
relazione alla creazione ed al mantenimento di riserve legali a formazione accelerata, ciò
farebbe sı̀ che si ripresenti per la SUP la medesima situazione che si dava per la s.r.l.s. ante
d.l. n. 76/13, con un livello di tutela per i creditori sociali particolarmente basso.
Sulla conciliabilità del sistema basato sul capitale sociale con i test di bilancio e di
solvibilità si v., da ultimo, PORTALE, La parabola del capitale sociale nella s.r.l. (dall’«impor-
tancia cuasi-sacramental» al ruolo di «ferro vecchio»), in Riv. Società, 2015, p. 815 ss., spec.
830 s. e la bibliografia ivi citata.
(173) Ci si può tuttavia domandare se sia compatibile con la Societas Unius Personae
l’incipit dell’art. 2475, c.c. che lascia intravvedere la legittimità di una previsione statutaria
che ipotizzi l’amministrazione della società non riservata ad un organo ad hoc.
(174) Cfr. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 38.
(175) V. supra, § 1.
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(176) Nel medesimo ordine di idee, ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre
la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 156.
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(177) Dando quindi luogo a ventotto diverse procedure di registrazione; cosı̀ WUISMAN,
The Societas Unius Personae, cit., p. 37; S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New
Corporate Element, cit., p. 672. Nello stesso senso, rilevando che ciò determina la completa
rimozione dell’idea di fondo che la procedura unitaria avrebbe costituito un risparmio per
quanti avessero intenzione di costituire una SUP, avendo questi contezza di ciò che li
avrebbe attesi, anche TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain,
cit., p. 15.
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(178) Cfr. TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., pp.
7 e 25: rilevato che nulla resta di innovative nella versione O.G. della SUP giungono a
proporre anche l’eliminazione della denominazione unitaria, perché, cosı̀ strutturata la
società, la denominazione determinerebbe solamente dei fraintendimenti in capo ai credi-
tori. S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 658 si
spinge ancora oltre, immaginando che la carenza di serietà che contraddistingue la SUP nella
sua versione O.G. potrebbe determinare un danno indiretto a tutte le forme societarie di
origine europea.
(179) Cosı̀ TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 7.
(180) In questo senso WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 44.
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