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LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE


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N. 3 ANNO XXXIX

MAGGIO-GIUGNO 2016

LE NUOVE
LEGGI CIVILI
COMMENTATE
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Referaggio - Norme di autodisciplina

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LE NUOVE
LEGGI CIVILI
COMMENTATE
ANNO XXXIX 2016

RIVISTA BIMESTRALE
a cura di

Giorgio CIAN Università di Padova


Alberto MAFFEI ALBERTI Università di Bologna
Piero SCHLESINGER Università Cattolica di Milano

Direzione
Giampiero BALENA Ord. dell’Università di Bari
Mario CAMPOBASSO Ord. della Seconda Univ. di Napoli
Marco CIAN Ord. dell’Università di Padova
Giovanni DE CRISTOFARO Ord. dell’Università di Ferrara
Marco DE CRISTOFARO Ord. dell’Università di Padova
Francesco DELFINI Ord. dell’Università di Milano
Gianluca GUERRIERI Ord. dell’Università di Bologna
Marisa MELI Ord. dell’Università di Catania
Sergio MENCHINI Ord. dell’Università di Pisa
Enrico MINERVINI Ord. della Seconda Univ. di Napoli
Stefano PAGLIANTINI Ord. dell’Università di Siena
Davide SARTI Ord. dell’Università di Ferrara

Redazione
Arianna Finessi (Redattore capo)
Sara Bellettato, Marcello Farneti, Cristiana Fioravanti,
Francesco Oliviero, Silvia Schiavo, Omar Vanin
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INDICE-SOMMARIO

ANNO XXXIX - N. 3 – Maggio-Giugno 2016

LE NUOVE LEGGI

Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della
famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 367
di TOMMASO AULETTA

Un nuovo caso di pronuncia d’ufficio: profili processualcivilistici del d.lgs. 15


gennaio 2016, n. 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412
di MAURO BOVE

La prospettiva processuale della pauliana (note sull’introduzione del nuovo art.


2929 bis c.c.) (art. 12 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni
dalla l. 6 agosto 2015, n. 132) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431
di MARCO DE CRISTOFARO

La nuova disciplina delle transazioni nelle procedure di bonifica e di riparazione


del danno ambientale concernenti i Siti di Interesse Nazionale (l. 28 dicem-
bre 2015, n. 221) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 456
di MARISA MELI

Il credito d’imposta per gli interventi di bonifica da amianto (art. 56 l. 28 dicembre


2015, n. 221) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 485
di ANTONIO GUIDARA

La nuova disciplina delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie in


materia di consumo: il d. lgs. n. 130/15 e le modifiche del codice del consumo
(d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 494
di PIERFRANCESCO BARTOLOMUCCI

SAGGI E APPROFONDIMENTI

Clausole claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto nel b2b: l’equili-


brio giuridico del contratto negli obiter dicta della Cassazione . . . . . . . . . . . . 545
di FRANCESCO DELFINI

La responsabilità dell’amministratore nell’impresa in crisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 571


di GIANLUCA GUERRIERI

PROVVEDIMENTI IN FORMAZIONE

La Societas Unius Personae (SUP): verso un nuovo modello societario uniperso-


nale europeo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 601
di ALESSIO BARTOLACELLI

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LE NUOVE LEGGI

TOMMASO AULETTA (*)


Professore nell’Università di Catania

DISCIPLINA DELLE UNIONI NON FONDATE SUL


MATRIMONIO: EVOLUZIONE O MORTE DELLA FAMIGLIA?
(l. 20 maggio 2016, n. 76)

SOMMARIO: 1. Il problema della regolamentazione normativa delle unioni non matrimoniali.


– 2. Il cammino verso la riforma delle unioni non matrimoniali e le sue ragioni. – 3. Le
unioni civili di persone del medesimo sesso. – 4. L’unione del transessuale. – 5. Le
convivenze di fatto. – 6. Convivenze e famiglia. – 7. La ricomposizione familiare nelle
unioni non matrimoniali. – 8. Conclusioni.

1. Il problema della regolamentazione normativa delle unioni non ma-


trimoniali.
Nell’introdurre una disciplina organica delle unioni non fondate sul
matrimonio il legislatore ha compiuto una scelta importante che dà una
svolta all’articolato dibattito sviluppatosi nell’ultimo trentennio, relativo
alla opportunità di disciplinare le unioni suddette mediante un regolamen-
to normativo o piuttosto di affidarsi all’attività della giurisprudenza e
all’autonomia delle parti. Dibattito accentuatosi da ultimo al profilarsi
dell’approvazione della legge e che prevedibilmente subirà un rapido in-
cremento e accelerazione nei prossimi mesi.
Occorre chiedersi se la strada intrapresa sia innanzitutto compatibile
con i principi costituzionali e, nell’ipotesi affermativa, se vada valutata
positivamente o meno (a prescindere dalle soluzioni concretamente adot-
tate per i singoli problemi) o addirittura se, come già sostenuto da opi-
nione autorevole, possa configurare un attentato alla stabilità e integrità
del modello tradizionale di famiglia fondato sul matrimonio. L’interro-
gativo posto all’inizio di queste pagine trae spunto infatti da un noto
scritto di Alberto Trabucchi dal titolo «Morte della famiglia o famiglie

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.

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senza famiglia?» (1) nel quale, egli perviene a conclusioni negative sia
sulla legittimità sia sull’opportunità di un’opzione siffatta nonché sulla
correttezza di una ricostruzione in chiave familiare delle unioni di fat-
to (2). Questa opinione è condivisa da una nutrita (ma per lo più risalente
nel tempo) corrente di pensiero, secondo la quale l’art. 29 Cost. costi-
tuirebbe ostacolo insormontabile al riconoscimento di altri modelli fami-
liari rispetto all’unione coniugale; la soluzione contraria, si aggiunge, non
potrebbe peraltro fondarsi sul dettato dell’art. 2 Cost. perché la forma-
zione sociale familiare, tutelata dall’ordinamento, sarebbe solo quella
delineata specificamente dall’art. 29 Cost. (3). Proprio per questa ragione
sarebbe precluso sia all’interprete sia al legislatore adottare soluzioni o
iniziative tendenti ad assimilare, nella sostanza, alla famiglia legittima
altre forme di unioni affettive. Contraria al dettato costituzionale sarebbe
anche l’introduzione di singole norme che le tutelino allo stesso modo,
quando l’appartenenza alla famiglia costituisce un titolo di preferenza (4),
(si pensi ai diritti successori). Alla luce di questa lettura della Carta
appare dunque opportuno interrogarsi sulla legittimità della riforma in
esame la quale, come si vedrà, assicura alle unioni civili una tutela ana-
loga a quella prevista per l’unione coniugale, pur differente in alcuni
aspetti non fondamentali.
Altro motivo rilevante per esprimere un giudizio critico sull’operato
del legislatore (con riferimento alla disciplina introdotta per le convivenze)
potrebbe essere costituito anche dall’esigenza, da molti interpreti messa in
luce, di salvaguardare l’autonomia dei suoi componenti, riconoscendo loro
la libertà di affidarne gli effetti a scelte compiute in autonomia mediante il
c.d. contratto di convivenza.
Sotto il profilo dell’opportunità, si rileva che una regolamentazione
organica delle unioni non matrimoniali potrebbe aggravare la crisi della
famiglia già in atto, portando alla sua disgregazione fino a sancirne la
morte (5).

(1) Relazione al Convegno svoltosi presso l’Università di Roma Tor Vergata nel dicem-
bre 1987 sul tema Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 9 ss. e in Riv.
dir. civ, 1988, I, p. 19 ss. (scritto al quale si riferiscono le cit. successive).
(2) Alla confutazione della ricostruzione in chiave familiare delle unioni non fondate sul
matrimonio è in larga parte dedicato altro saggio dal titolo, Natura legge famiglia, in Riv. dir.
civ., 1977, I, p. 1 ss.
(3) In tal senso anche, fra gli scritti di A. TRABUCCHI, Pas par cette voie s’il vous plait!, in
Riv. dir. civ., 1981, p. 329 ss. Per l’indicazione di altri autori appartenenti a questa linea di
pensiero v. le cit. alla nt. 100.
(4) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 32.
(5) A. TRABUCCHI, Pas par cette voie s’il vous plait!, cit., p. 358. Ma in senso del tutto
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le nuove leggi 369

La tutela privilegiata della famiglia legittima troverebbe giustificazione


nel fatto che gli sposi hanno operato una scelta in virtù della quale essi si
impegnano a realizzare una comunione di vita fondata su alcuni doveri
fondamentali, mentre i conviventi hanno inteso rimanere liberi in tal senso
rimettendo alla spontanea attuazione la realizzazione di un modello di vita
simile a quello matrimoniale (6).
Peculiarità riscontrabili solo nell’unione coniugale sono infatti: esclusivi-
tà, capacità espansiva, stabilità, vincolatività. Esclusività, non potendo coesi-
stere due unioni coniugali, mentre, secondo una diffusa interpretazione, la
convivenza potrebbe coesistere con un vincolo coniugale ancora in atto.
Solo la prima ha capacità espansiva perché dal matrimonio sorgono vincoli
di parentela che uniscono i membri della famiglia legittima, diversamente da
quanto accade per le unioni di fatto che danno origine ad un rapporto (solo
bilaterale) di parentela naturale, meramente biologica, non fondato sull’ap-
partenenza al gruppo familiare. Stabilità perché, l’unione matrimoniale,
quantunque dissolubile, non si estingue in maniera immediata ed assoluta-
mente discrezionale ma solo al termine di un articolato procedimento che
presuppone un accordo o una valutazione giudiziale, volto a salvaguardare
la parte economicamente debole, caratteri non riscontrabili nella convivenza
la quale si scioglie unilateralmente e con effetto immediato senza che so-
pravviva alcun obbligo patrimoniale (7). Vincolatività perché esclusivamente
nel matrimonio la coppia assume doveri che, pur limitando la libertà, danno
ad un tempo reciproca sicurezza (8).
Dal punto di vista terminologico, contraddittoria viene considerata
dall’opinione tradizionale, la stessa espressione famiglia di fatto, comune-

opposto F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 10 s., ritiene che
una regolamentazione della famiglia di fatto non peggiorerebbe la situazione attuale della
famiglia legittima. Altra è la ragione prospettata da E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile,
Torino, 1998, p. 37 per negare l’opportunità di un intervento normativo, il quale ritiene che
la regolamentazione per lo più da molti auspicata in funzione della tutela del partner più
debole, potrebbe ritorcersi contro di lui “incoraggiando la parte più forte ad imporre la
continuazione del rapporto al di fuori del vincolo matrimoniale, anche quando il matrimo-
nio sarebbe appunto possibile”.
(6) L’esigenza di rispettare la volontà dei conviventi è l’argomento invocato per lo più
per escludere un intervento della legge lasciando all’autonomia privata il compito di disci-
plinare la convivenza: v., ad es., E. QUADRI, op. cit., p. 40 ss.
(7) Tale assunto non è posto in discussione da A. TRABUCCHI, op. ult. cit., pp. 339 e 343
il quale osserva che in caso contrario sarebbe come imporre le conseguenze del matrimonio
a chi non l’ha voluto.
(8) Al significato e alle conseguenze degli impegni assunti dai coniugi con il matrimonio
e alle ripercussioni sulla libertà personale sono dedicate da A. TRABUCCHI numerose pagine
nel saggio Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 28 ss.
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370 le nuove leggi civili commentate 3/2016

mente utilizzata per identificare la coppia convivente (9), perché confonde


il fatto con il diritto. Le convivenze non sarebbero famiglie ma unioni
parafamiliari alle quali è possibile al massimo estendere singole discipline
previste per il rapporto coniugale, fermo restando il quadro generale di
protezione “qualificata” della comunione di vita che si instaura con il
matrimonio.
Il carattere familiare dell’unione viene poi ancor più decisamente ne-
gato per quanto riguarda le coppie omosessuali, quasi ignorate da una
parte della dottrina tradizionale nel dibattito sulla regolamentazione delle
convivenze, basti ricordare che tra gli elementi caratterizzanti la conviven-
za veniva spesso indicata l’eterosessualità della coppia. Dubbio superato
solo di recente dalla sentenza n. 138/2010 della Corte costituzionale (10) la
quale ha rilevato che tra le formazioni sociali tutelate dall’ordinamento è
da comprendere anche l’unione omosessuale.
A questa corrente di pensiero se ne contrappone un’altra, ormai mag-
gioritaria, secondo la quale è da privilegiare invece una interpretazione
sistematica ed evolutiva del dettato costituzionale, intesa a valorizzare i
mutamenti sociali verificatisi nel tempo circa il modo di vivere la vita
affettiva di coppia (11). Quest’ultima interpretazione appare invero più
persuasiva ove si consideri che l’art. 29 non deve necessariamente leggersi
in chiave definitoria della famiglia, bensı̀ come enunciato che, nel consi-
derarla espressione della natura umana (12), impone al legislatore ordinario
di assicurarle adeguata tutela, garantendo ai coniugi spazi di autono-
mia (13), onde scongiurare un intervento invasivo da parte dello Stato,
come avvenuto nel passato (14). È dunque condivisibile l’idea di coloro
che individuano nella famiglia legittima il modello privilegiato dall’ordina-

(9) A. TRABUCCHI, Natura legge famiglia, cit., p. 6: almeno se alla stessa si vuole
attribuire valore e significato giuridico; cioè riscontrarvi caratteristiche ed effetti propri della
famiglia legittima. L’osservazione è ribadita in ID., Pas par cette voie s’il vous plait!, cit.,
p. 354.
(10) Del 15 aprile 2010, in Fam. e dir., 2010, p. 653 ss., con nota di M. GATTUSO.
(11) Tale posizione può essere ben riassunta dalle parole di N. LIPARI, Il futuro del
diritto, le relazioni personali e i diritti delle coppie omosessuali, in Foro it., 2015, V, p. 19 ss. il
quale rileva che “anche gli enunciati della Costituzione vanno letti in funzione dell’evolu-
zione del contesto storico”. Per ulteriori indicazioni v. le cit. alla nt. 103.
(12) V. SCALISI, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità dell’Italia a oggi, in Riv.
dir. civ., 2013, I, pp. 1043 ss. e 1287 ss. (in part.) p. 1049.
(13) V. in tal senso, ad es., A.M. SANDULLI, Commento all’art. 29 cost., in Comm. Cian-
Oppo-Trabucchi, Padova, 1992, p. 7 ss.; A. SCALISI, La famiglia nella cultura del nostro
tempo, in Dir. e fam., 2002, p. 700 ss.
(14) «Con il diritto, di conseguenza, non più dominante dall’alto, ma (...) chiamato a
porsi in modalità recettiva e servente, procedente dal basso»: V. SCALISI, op. cit., p. 1050.
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le nuove leggi 371

mento di cui la Costituzione si occupa espressamente, assicurandone il


riconoscimento (15) senza escludere tuttavia la legittimità di opzioni nor-
mative che tutelino ad un tempo, anche in maniera non dissimile, le altre
forme di unione affettiva (16), le quali non devono pertanto considerarsi
deviazioni ma modelli alternativi rispetto a quello principale (17).
È mio intendimento partire dalle considerazioni generali sinteticamen-
te ricordate per sviluppare alcune riflessioni sulla recente riforma (18) che,
discostandosi dalla strada indicata dall’opinione tradizionale, ha introdotto
un regolamento delle relazioni affettive fra persone del medesimo sesso
(unioni civili), nonché delle convivenze di fatto (non registrate) etero ed
omosessuali, al fine precipuo di valutare nel merito le soluzioni adottate,
nonché per saggiare funzionalità, coerenza interna e conformità ai principi
dell’ordinamento dell’impianto normativo.

2. Il cammino verso la riforma delle unioni non matrimoniali e le sue


ragioni.
Occorre osservare innanzitutto che il contesto sociale, giurispruden-
ziale e normativo attuale appare significativamente mutato nell’ultimo
ventennio. Il moltiplicarsi dei modelli di unioni affettive a carattere fa-
miliare è un dato di fatto indiscutibile ed anche socialmente accettato.
Unioni fondate sul matrimonio, convivenze etero ed omosessuali, unioni
monogenitoriali, famiglie ricomposte sono una realtà con la quale occor-
re confrontarsi. Dall’ultimo rapporto dell’Istat emerge che il numero
delle coppie conviventi (circa un milione) è in continua crescita (in
numero dieci volte superiore rispetto al 1994) e più della metà dei suoi
membri non hanno mai contratto matrimonio. Si era da tempo diffusa
nella coscienza sociale l’idea dell’opportunità di un riconoscimento giu-

(15) A.M. SANDULLI, op. cit., p. 11 ss.; V. SCALISI, op. cit., p. 1052; BONILINI, Manuale di
diritto di famiglia, Torino, 2014, p. 1 ss. il quale osserva che «il costume vivamente intessuto
di motivazioni religiose, permane nel senso di rintracciare la regolarità della famiglia nel-
l’aggregazione di chi abbia posto, a sua base, il matrimonio». E tuttavia tale modello non è
più considerato esclusivo dalla coscienza sociale (p. 4).
(16) Di diverso parere è G. CATTANEO (Agg. M. DOSSETTI), La famiglia e i rapporti
familiari nella costituzione, nel codice civile e nelle altre leggi ordinarie, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da Bonilini, Torino, 2016, I, p. 21 ss. il quale sottolinea non solo che alla
famiglia legittima viene riconosciuta dalla Cost. una protezione superiore a quella delle altre
formazioni sociali, ma anche che alle altre forme di unioni di fatto non può riconoscersi una
tutela equivalente. Riserve, però, possono esprimersi al riguardo almeno per le unioni
omosessuali.
(17) Quest’ultimo rilievo è di V. SCALISI, op. cit., p. 1317.
(18) Introdotta con la l. 20 maggio 2016, n. 76.
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372 le nuove leggi civili commentate 3/2016

ridico delle unioni di fatto, ivi comprese quelle composte da persone del
medesimo sesso.
In giurisprudenza è consolidato l’assunto, espresso dalla dottrina più
recente, secondo il quale anche la convivenza more uxorio è da annoverare
fra le formazioni sociali menzionate dall’art. 2 Cost. e la Corte costituzio-
nale, nella ricordata pronunzia del 2010, ha precisato che è tale “anche
l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello
stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una
condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e
doveri” (19). Perentoria sull’an, sul quomodo e sul quando di detto ricono-
scimento è stata la Corte, in una pronunzia del 2014, con riferimento alla
necessità di introdurre una tutela normativa dell’unione fra persone già
sposate, una delle quali abbia ottenuto il riconoscimento del mutamento di
sesso e rispetto alle quali il matrimonio si è sciolto per tale ragione (20). La
Corte aveva precisato infatti che “tal compito il legislatore è chiamato ad
assolvere con la massima sollecitudine”, introducendo “una forma alterna-
tiva (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il
passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione,
su tal piano, di assoluta indeterminatezza”.
La Corte di Strasburgo (21) aveva condannato ancor di recente l’Italia,
per violazione dell’art. 8 CEDU, a risarcire il danno subito da una coppia
di omosessuali per il mancato riconoscimento di una tutela sufficientemen-
te stabile della loro unione, come risulta quella fondata sull’attuale quadro
giurisprudenziale. Con la propria inerzia, affermava la Corte, “il Governo
italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato
all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno spe-
cifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle
loro unioni omosessuali”.
Ferma la configurazione delle unioni non fondate sul matrimonio
come formazioni sociali si pone allora il problema se la qualifica di famiglia
sia pertinenza esclusiva dell’unione matrimoniale o se possano considerarsi
famiglie anche unioni non matrimoniali (infra n. 6).

(19) La Corte sembra discostarsi pertanto dall’opinione, ricordata in precedenza, se-


condo la quale non è possibile riconoscere ad altre forme di unione il perseguimento di
compiti e funzioni analoghi a quelli propri della famiglia legittima.
(20) 11 giugno 2014, n. 170, in Corr. giur., 2014, p. 1041, con commento di T.
AULETTA.
(21) 21 luglio 2015, n. 18766/2011, Oliari e altri v. Italia.
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le nuove leggi 373

Anche il quadro normativo ha subito in questo periodo importanti


modifiche. La Carta fondamentale dell’Unione europea (approvata nel
2000) riconosce infatti, all’art. 9, il diritto di ogni individuo di sposarsi e
di costituire una famiglia, rimettendo alle leggi nazionali di disciplinarne
l’esercizio; principio questo peraltro già contenuto nella CEDU sia pure
con formula leggermente diversa (art. 9). Quasi tutti i Paesi europei si sono
dotati di normative specifiche volte a disciplinare le unioni del medesimo
sesso, consentendo il matrimonio o (in numero maggiore) ricorrendo ad
unioni registrate. In qualche caso alcune regole sono state introdotte anche
per le convivenze di fatto (etero od omosessuali).
Il diritto interno si è mosso nella direzione di attenuare le diversità
di trattamento tra famiglia legittima e convivenze attraverso specifici
interventi settoriali (ad es., consentendo il ricorso alla PMA anche alla
coppia convivente) e più in generale con la l. n. 54/06, la quale ha
unificato le regole volte a disciplinare la crisi di coppia a prescindere
dal fatto che essa sia o meno unita in matrimonio; nella stessa direzione
si è orientata la riforma della filiazione la quale ha introdotto importanti
novità con riferimento alla parentela e alla tutela della stabilità delle
relazioni tra congiunti e minore anche quando egli sia nato all’interno
di una coppia non unita in matrimonio, mutamenti che muovono nella
direzione di un ampliamento dei modelli familiari anche a livello nor-
mativo (22).
Si può allora ipotizzare che proprio i mutamenti già avvenuti e le
sollecitazioni provenienti dalle Corti abbiano creato i presupposti per
l’approvazione di una disciplina riguardante le unioni non fondate sul
matrimonio, col superamento delle perplessità innanzi illustrate (par. 1).
Il tentativo di arrestare il cammino dell’intera riforma si è soprattutto
concentrato su due punti: l’art. 5 d.d.l. Cirinnà, nella versione approdata
in aula al Senato, che prevedeva la possibilità per ciascun componente
dell’unione registrata di procedere all’adozione del figlio dell’altro, nonché
la sostanziale coincidenza fra la disciplina del matrimonio e quella dell’u-
nione civile. Legittimo il dubbio che la strategia messa in campo tendesse a
creare confusione e conflitti che facessero naufragare l’intero testo di
legge. Si è riproposto il disegno adottato (spesso senza successo) per quasi
tutte le più importanti riforme riguardanti la famiglia: concentrare il dis-
senso sulle norme più discusse, per bloccare l’approvazione dell’intero
impianto (obiettivo esplicitato da una corrente minoritaria fra i cattolici).

(22) Anche se riguardano i rapporti fra genitori e figli.


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374 le nuove leggi civili commentate 3/2016

È quanto accaduto, ad esempio, occorre ricordarlo, con riferimento alla


riforma del 1975, la quale si proponeva di raggiungere un obiettivo, almeno
a parole, largamente condiviso anche dalla politica, di adeguare la normativa
ordinaria ai principi costituzionali già introdotti da diversi anni (uguaglianza
morale e giuridica dei coniugi, tutela dei figli nati al di fuori del matrimo-
nio). Venivano, infatti da alcuni contestate le scelte compiute dal d.d.l.
unificato dell’epoca, riguardo a: governo della famiglia, trattamento dei figli
naturali, riconoscibilità dei figli adulterini, mutamento del regime legale
(dalla separazione alla comunione dei beni), abolizione della colpa quale
presupposto necessario per ottenere la separazione giudiziale. Per tali ragio-
ni il cammino della riforma fu lungo e irto di difficoltà che ne ritardarono
l’approvazione. Simile strategia è stata riproposta in molteplici altri casi.
Molto discussa è stata, ad esempio, anche l’approvazione della legge
sul c.d. affidamento condiviso – volta a riconoscere pari dignità al ruolo di
entrambi i genitori nel caso di crisi della coppia – perché da alcuni si
temeva che l’indirizzo favorevole all’affidamento condiviso, manifestato
dalla legge, potesse incidere negativamente sull’equilibrio del minore, dub-
bio avvalorato dalla scarsa applicazione pratica riservata fino ad allora
dalla giurisprudenza alle forme alternative all’affidamento esclusivo. Di-
scussioni che hanno causato anche in questo caso ritardi nell’approvazione
della legge i quali non hanno consentito un intervento tecnico più appro-
priato sul testo, essendo ormai prossima la fine della legislatura.
Rischi aveva corso persino l’approvazione della legge di riforma della
filiazione del 2012, apparentemente condivisa dall’intero Parlamento, ma
che una corrente conservatrice aveva cercato di bloccare (si era anche in
questo caso verso la fine della legislatura) prendendo a pretesto la norma
che consentiva il riconoscimento dei figli incestuosi, in quanto – a suo parere
– avrebbe comportato una sorta di legittimazione dell’incesto.
Solo dopo aspro confronto è stato approvato, nel 2004, il testo legi-
slativo volto a regolare la procreazione medicalmente assistita, in quanto
l’opposizione metteva in dubbio la legittimità di un impianto normativo
troppo restrittivo e ritenuto discriminatorio; perplessità non condivise
dalla maggioranza parlamentare ma che, a distanza di qualche anno, si
sono rivelate più che giustificate, avendo il testo originario subito rilevanti
amputazioni e cambiamenti in seguito ai ripetuti interventi della Corte
costituzionale; essi hanno portato alla pronuncia di incostituzionalità del
divieto di fecondazione eterologa (23), della limitazione della pratica solo

(23) 10 giugno 2014, n. 162, in Corr. giur., 2014, p. 1062.


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le nuove leggi 375

alle coppie sterili o infertili escludendo quelle che, pur non essendo tali,
sono portatrici di gravi malattie genetiche (24), della limitazione predefinita
degli embrioni da fecondare e del divieto di crioconservazione dei mede-
simi (25), del divieto di diagnosi preimpianto (26). Può dunque constatarsi,
a prescindere da qualsiasi giudizio, che in questo caso le scelte compiute
dalla maggioranza parlamentare conservatrice sono state sconfessate dalla
Corte (quantunque il suo operato sia stato da alcuni autori sottoposto a
critica).
In questo clima di contrasto si è svolta anche la discussione sul rico-
noscimento delle unioni non fondate sul matrimonio. Analoghe iniziative
parlamentari erano state peraltro intraprese in tutte le recenti legislature ivi
compresa quella corrente. Il d.d.l. Cirinnà nasce proprio dal tentativo di
giungere al coordinamento di tutte le proposte presentate al Senato, ca-
ratterizzate da contenuti significativamente difformi: talune, volte a disci-
plinare solo le unioni del medesimo sesso, altre anche le convivenze ete-
rosessuali; fra le prime si registravano iniziative volte ad equiparare il
trattamento riservato all’unione civile a quello derivante dal matrimonio,
altre ne operavano una rilevante diversificazione; alcune affidavano preva-
lentemente alla legge la disciplina, altre ad accordi fra i conviventi. Tenta-
tivo che solo in parte consente di comprendere le ragioni di alcune lacune
ed imprecisioni riscontrabili nel testo entrato in vigore (che si tenterà di
porre in luce).
Passando all’esame delle linee generali della riforma, occorre rilevare
innanzitutto che l’impianto si snoda seguendo due direttrici (27): la prima
contenente la disciplina sulle unioni di persone del medesimo sesso (c.d.
unioni civili) e la seconda relativa alle c.d. convivenze di fatto etero ed
omosessuali. Ampi spazi nella regolamentazione di queste ultime sono
lasciati agli accordi di convivenza, mentre i diritti riconosciuti, a prescin-
dere dall’accordo, sono alquanto contenuti; il quadro della tutela è invece

(24) 5 giugno 2015, n. 96, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 930 con commento di
G. FERRANDO.
(25) 8 maggio 2009, n. 151, in Fam. e dir., 2009, p. 761.
(26) V. Corte cost. 5 giugno 2015, n. 96, cit.; Corte cost. 11 novembre 2015, n. 229. Per
l’illegittimità del divieto si era in precedenza espressa la Corte Edu 28 agosto 2012, n.
54270/2010 Costa e Pavan v. Italia, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 66 con nota di
C. PARDINI.
(27) Nel d.d.l. approdato in aula al Senato questo dato risultava chiaramente anche dal
testo, il quale comprendeva un capo I dedicato alle unioni civili ed un capo II riguardante le
convivenze, partizione poi venuta meno con l’emendamento conclusivo che ha costituito il
testo definitivo oggetto di approvazione da parte del Senato e confermato dalla Camera dei
deputati senza modifiche.
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376 le nuove leggi civili commentate 3/2016

ben più ampio per le unioni fra persone del medesimo sesso (28), quan-
tunque nella versione definitiva del testo siano stati introdotti ulteriori
(discutibili) elementi di diversificazione rispetto alle unioni fondate sul
matrimonio in aggiunta a quelli già esistenti.
In particolare, occorre sottolineare che la prima formulazione conte-
neva una assimilazione anche dal punto di vista formale, delle unioni civili
alla coppia legittima, mediante ampio rinvio alle norme del codice sul
matrimonio, soluzione però che ha suscitato le critiche anche in una parte
della maggioranza parlamentare (per lo più di area cattolica minoritaria)
per il timore che si ingenerasse confusione fra il matrimonio e l’istituto
dell’unione registrata, intaccando cosı̀ la centralità del primo. Preoccupa-
zione verosimilmente eccessiva ove si fosse tenuto nel debito conto il
significato insito nella collocazione della legge al di fuori del codice civile
e dunque dell’impianto tradizionale della famiglia (29). Pur tuttavia, per
non ritardare il cammino del d.d.l., al testo approvato in seno alla Com-
missione giustizia erano stati apportati alcuni mutamenti di carattere for-
male prima che il testo definitivo fosse presentato per la discussione in aula
(d.d.l. 2081 bis). Tale intervento non è stato da alcuni (pochi in verità ma
decisivi per non garantire l’approvazione in tempi brevi del testo) consi-
derato abbastanza soddisfacente, onde si è preteso di procedere ad ulte-
riori modifiche volte a diversificare maggiormente la disciplina del matri-
monio da quella dell’unione civile. Il tentativo, come si dirà, è stato al-
quanto maldestro e peraltro non è riuscito a intaccare la sostanza della
tutela dell’unione. Ad es., nel determinare i doveri in seno alla coppia il
testo approvato non fa (più) rinvio all’art. 143 c.c. ma riproduce il conte-
nuto di alcuni doveri e non ne menziona altri (fedeltà e collaborazione),
che pur appaiono fondamentali per garantire una solida unione affettiva,
attenuando inoltre gli esiti della violazione di quelli contemplati. Analoga-
mente riguardo all’individuazione delle regole sul governo dell’unione è
stato abolito il rinvio all’art. 144 c.c., pur ripetendone il contenuto. La
disciplina dell’invalidità è stata del tutto riscritta, eliminando il mero rinvio

(28) Precedentemente alla riforma aveva espresso parere opposto D’ANGELI, Il feno-
meno delle convivenze omosessuali: quale tutela giuridica?, Padova, 2003, pp. 15 e 37 la quale
riteneva che le unioni eterosessuali di fatto dovessero comunque ricevere una tutela più
incisiva rispetto alle unioni del medesimo sesso.
(29) Per un commento al d.d.l. unificato nella prima formulazione, v. T. AULETTA,
Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma, in questa Rivista, 2015, p.
615 ss.; F. ROMEO e VENUTI, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del
d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, ivi, p.
971 ss.
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le nuove leggi 377

a quella sul matrimonio; è stato cancellato l’istituto della separazione per-


sonale (presente nel testo originario) e la possibilità di adozione da parte
del convivente del genitore. La maggior parte di queste modifiche è stata
introdotta mediante un emendamento finale, presentato dal Governo per
facilitare il varo della riforma, che ha consentito di eliminare alcune incon-
gruenze presenti nel testo approdato in aula ma che è frutto di scelte di
compromesso a mio avviso molto discutibili.

3. Le unioni civili di persone del medesimo sesso.


L’introduzione della normativa sulle relazioni affettive fra persone del
medesimo sesso colma un vuoto fino ad ora esistente (30), a parere di molti
illegittimo, dovuto alla mancanza di un istituto che consentisse loro di
formalizzare l’unione, ottenendone riconoscimento sociale e giuridico
con la conseguente impossibilità di assumere diritti e doveri reciproci,
approdo naturale dell’impegno volto alla realizzazione della comunione
di vita. Viene cosı̀ cancellata, almeno in parte, la più rilevante diversità
di trattamento fra coppie etero ed omosessuali concedendo anche a queste
ultime la possibilità di costituire una unione familiare riconosciuta in ma-
niera certa dall’ordinamento giuridico (v. par. 6). A tal fine appariva infatti
inadeguata la tutela progressivamente introdotta nel tempo dalla giurispru-
denza, perché episodica, incompleta e non fondata su elementi sufficien-
temente certi, come già rilevato dalla Corte Edu (31).
Se la disponibilità ad assumere un impegno siffatto costituisce il fon-
damento della tutela dell’unione coniugale (da negare ai conviventi per
assenza di tale volontà), ove la disponibilità a contrarre un impegno di
comunione di vita possa riscontrarsi nella coppia omosessuale, non rico-
noscerle questa possibilità darebbe luogo ad una discriminazione, dovuta
al sesso, in contrasto col principio di uguaglianza; verrebbe altresı̀ negato,
senza alcuna giustificazione, il diritto fondamentale a dar vita ad una
famiglia, riconosciuto sia dalla Costituzione sia dalla CEDU (art. 8) e dalla
Carta di Nizza (art. 9: “Il diritto di sposarsi e di formare una famiglia sono

(30) Per un’ampia informazione in proposito v. C. PALMERI, La famiglia omosessuale,


linee di tendenza e prospettive in Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di F. Romeo,
Torino, 2014, p. 45 ss.
(31) 21 luglio 2015, n. 18766 Oliari e altri v. Italia, cit., la quale osserva che “la tutela
attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura in cui non provvede
alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile, ma non è neanche
sufficientemente stabile (...) nel contesto di un Paese che non è vincolato dal sistema del
precedente giudiziario”.
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378 le nuove leggi civili commentate 3/2016

garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”). La


risoluzione del legislatore è quindi pienamente da condividere e in certa
misura “obbligata” per le ragioni espresse.
Due sono le direttrici fondamentali a cui si ispira la disciplina: il
ricorso ad un istituto diverso dal matrimonio (unione registrata) (32), in
larga parte modellato, però, su quest’ultimo (33), con alcune differenze (34).
Riguardo al primo aspetto, si può osservare che è stata quindi oppor-
tunamente seguita la strada suggerita dalla Corte costituzionale nella men-
zionata decisione relativa alla trasformazione del precedente matrimonio
del transessuale in una unione registrata, non ipotizzandosi la possibilità di
riconoscere ultrattività al medesimo con conseguente deroga al principio
di eterosessualità (35). Chiara la via tracciata dalla Corte in questa occasio-
ne più di quanto non avesse fatto in precedenza con la sentenza n. 138/
2010, nella quale rimetteva alla legge la scelta sui modi di disciplinare
l’unione omosessuale, limitandosi ad escludere la necessità di ricorrere al
matrimonio. L’indicazione presente nella decisione del 2014 vale eviden-
temente anche per le unioni che sin dalla loro origine sono formate da
persone del medesimo sesso in quanto non ricorre in tale caso la (più
rilevante) esigenza di salvaguardare un rapporto già dotato di protezione.
Sarebbe dunque astrattamente ipotizzabile una maggiore tutela della pri-
ma rispetto alla seconda ma certamente non l’inverso.
L’indicazione proveniente dalla Corte va colta, pertanto, anche come
monito rivolto al legislatore ove intendesse in un futuro (verosimilmente
non vicino) estendere il matrimonio alle coppie del medesimo sesso: ri-
correre al procedimento di revisione costituzionale. Poco persuasiva è
infatti, a mio parere, l’idea di chi sostiene che a questo risultato potrebbe
pervenirsi mediante legge ordinaria (36) o addirittura in via interpretati-

(32) Questa soluzione ha trovato, de iure condendo, adesioni anche in dottrina. V. ad


es., BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 41.
(33) Trattasi della soluzione accolta da molti paesi europei (es. Germania, Svizzera,
Paesi scandinavi) che prevedono appunto una disciplina specifica per le unioni omosessuali.
(34) Si esprimevano in senso decisamente contrario alla legittimità dell’equiparazione,
tra gli altri, G. GIACOBBE, Famiglia, molteplicità di modelli o unità categoriale?, in Dir. e fam.,
2006, p. 1232 ss.; D’ANGELI, op. cit., p. 20 s.; DI ROSA, Forme familiari e modello matrimo-
niale tra discipline interne e normativa comunitaria, in Eur. dir. priv., 2009, p. 769 ss.
Considera, invece, un errore detta eventuale equiparazione, M. SEGNI, Unioni civili: non
tiriamo in ballo la costituzione, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, pp. 708 e 714, perché
l’unione civile necessita di una disciplina più elastica, pur non rinvenendo un ostacolo in tal
senso nell’ordinamento, per la diversità naturale dell’unione omosessuale che non creerebbe
il rischio di svilimento dell’istituto matrimoniale.
(35) Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170, cit.
(36) Negano valore costituzionale alla eterosessualità del matrimonio, ad esempio, G.
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le nuove leggi 379

va (37). L’etero-sessualità del matrimonio costituisce, infatti, un principio


cardine dell’istituto nella visione del costituente e come tale non suscetti-
bile di essere modificato mediante legge ordinaria, tantomeno mediante
interpretazione evolutiva proponibile in futuro dalla Corte stessa ove il
legislatore continuasse a negare il matrimonio alla coppia omosessuale.
Tale orientamento può individuarsi nel dettato della sentenza 138 il quale,
nel riconoscere che l’istituto del matrimonio non può intendersi “cristal-
lizzato” al momento di entrata in vigore della Carta, tuttavia precisa che
l’interprete “non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della
norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e pro-
blematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata” (38).
Condivisibile è anche l’indicazione normativa che assicura il ricono-
scimento dei matrimoni celebrati all’estero con conseguente loro trasfor-
mazione in unioni registrate mediante la previsione di una disciplina og-
getto di delega al governo (comma 28˚, lett. b).
Non convince l’opinione di coloro i quali sostengono che la negazione
del matrimonio sarebbe lesiva del principio di uguaglianza (39). Infatti, con
l’introduzione dell’unione registrata, sia alla coppia eterosessuale sia a
quella omosessuale è riconosciuto il diritto di formare una famiglia, pur
ricorrendo ad istituti diversi, sulla base delle peculiarità che caratterizzano
l’unione: solo la prima è in grado, sia pure in astratto, di dare origine ad

FERRANDO, Il matrimonio, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2014, p. 303; G. PALMERI e


VENUTI, L’inedita categoria delle unioni affettive con vissuto giuridico matrimoniale. Critiche
a margine della sentenza della Corte Costituzionale 11 giugno 2014 n. 170, in materia di
divorzio del transessuale, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 557.
(37) Come ritiene MONTALTI, Sulla necessità di allargare gli orizzonti in tema di matri-
monio tra persone dello stesso sesso; alcuni spunti tratti da una pronuncia fiorentina troppo
poco lungimirante..., in Giur. it., 2009, p. 1417 ss.
(38) Di fronte a questa ben precisa presa di posizione, che poi è possibile non condi-
videre, mi sembra difficile comprendere l’osservazione di chi (FORTINO, Piccoli passi e cautele
interpretative delle Corti sui diritti delle unioni omosessuali, in Nuova giur. civ. comm., 2016,
II, p. 129) sostiene che la Corte “avrebbe potuto, tuttavia, attraverso una lettura sistematica
dell’art. 3 e dell’art. 29 Cost. affermare, in via di principio, che la necessità di un trattamento
eguale senza distinzioni di sesso, esige che il diritto al matrimonio (...) sia esteso anche alle
coppie same-sex”.
(39) G. FERRANDO, Il matrimonio, cit., p. 295 ss. In giurisprudenza, Trib. Venezia 3
aprile 2009, in Dir. e fam., 2009, p. 1045; App. Trento 29 luglio 2009, in Corr. giur., 2010, p.
100. Paradossalmente, al rispetto del principio di uguaglianza potrebbero richiamarsi anche
le coppie unite in matrimonio alle quali è imposto, se vogliono accedere ad un istituto che
riconosca la loro unione, di rispettare il dovere di fedeltà e di collaborazione e di sottoporsi
ad una procedura di scioglimento del vincolo un po’ più complessa rispetto a quella carat-
terizzante l’unione civile. Come si è detto, in realtà i due tipi di coppia non sono del tutto
sovrapponibili e dunque è giustificabile una limitata diversità di trattamento.
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380 le nuove leggi civili commentate 3/2016

una filiazione genetica e di garantire ai figli una genitorialità da parte di un


uomo e di una donna, aspetto non marginale o addirittura, come da alcuni
sostenuto, decisivo. In senso contrario non vale opporre che la fertilità non
è ormai considerato requisito dal quale dipende la validità del matrimonio.
Ciò è certamente vero come però è altrettanto vero che non può esservi
fertilità genetica dell’unione all’infuori della coppia eterosessuale. Tale
diversità può giustificare la scelta dello Stato di fondare la nascita delle
due unioni su istituti diversi (40), restando impregiudicato il discorso se
anche la coppia del medesimo sesso possa in concreto ricoprire adegua-
tamente il ruolo genitoriale (problema che non può essere affrontato in
questa sede). Nel nostro ordinamento non è configurabile un diritto in-
condizionato al matrimonio bensı̀ un diritto fondamentale alla costituzione
di una famiglia (mediante atto anche diverso dal matrimonio purché con
effetti simili).
Passando all’esame dei contenuti della tutela può osservarsi innanzi-
tutto che non vengono disciplinati gli effetti di un eventuale accordo volto
ad assumere l’obbligo di contrarre in futuro una unione registrata (corri-
spondente alla promessa di matrimonio). Esso deve pertanto considerarsi
nullo perché introduce una limitazione della libertà personale, onde sul
medesimo non potrebbero fondarsi pretese risarcitorie o restitutorie. Di-
verso è anche il procedimento di formazione dell’unione rispetto alla
celebrazione del matrimonio. Il primo non contempla i preliminari carat-
terizzanti la pubblicazione (41) e la possibilità di fare opposizione (che
potrebbero essere introdotti nel decreto attuativo); identiche sono invece
le cause che ne impediscono la costituzione (42) (ad eccezione del divieto

(40) Nello stesso senso, D’ANGELI, op. cit., p. 10 ss.; N. LIPARI, op. cit., p. 23.
(41) È da notare che con riferimento alla versione del testo approdata in aula (e
all’ultimo momento modificata) vi è chi (C. COPPOLA, La famiglia non fondata sul matrimo-
nio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, cit., p. 688) ha ipotizzato la
possibilità di applicare la disciplina della pubblicazione e delle opposizioni sulla base del
dettato dell’art. 3, comma 4˚, il quale stabiliva che “le disposizioni che si riferiscono al
matrimonio e le disposizioni concernenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equiva-
lenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché
negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti
dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” applicando tale riferimento all’ordinamento
dello stato civile. La tesi, a dire il vero già piuttosto ardita in quanto il testo del d.d.l. non
conteneva un rinvio alla sezione II, III e IV, capo III, titolo VI ma esclusivamente alla
sezione VI, appare comunque incompatibile con la versione finale nella quale detto rinvio è
volto “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento
degli obblighi derivanti dall’unione civile”, finalità che non riveste la disciplina della pub-
blicazione e dell’opposizione.
(42) La medesima soluzione si riscontra ad es., nel modello tedesco tendente ad evitare
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le nuove leggi 381

temporaneo di nuove nozze previsto dall’art. 89 c.c.) e ne cagionano


l’invalidità.
Quantunque, sotto quest’ultimo profilo, per un difetto di coordina-
mento (43), non si faccia riferimento alla minore età, anch’essa è da consi-
derarsi causa di invalidità dell’unione; problemi di coordinamento si pon-
gono anche nella determinazione dei soggetti legittimati all’impugna-
zione (44).
La pubblicità è affidata ad una non meglio specificata registrazione
presso l’archivio dello stato civile che comporterà comunque necessaria-
mente la creazione di un apposito registro riservato alle unioni civili (45).
Uno degli aspetti più critici della riforma, con riferimento agli effetti
personali, è la mancanza della collaborazione e della fedeltà (46) fra i doveri
assunti dai membri dell’unione; entrambi risultano infatti strettamente
funzionali alla realizzazione di una piena e stabile comunione di vita fon-
data sugli affetti, obiettivo non solo apprezzabile ma il cui conseguimento
dovrebbe essere promosso dall’ordinamento anche riguardo all’unione
civile; è superfluo rilevare infatti che una delle cause più comuni di crisi
della coppia dipende proprio dall’infedeltà. Occorre altresı̀ mettere in luce
la funzionalità della collaborazione al perseguimento dell’unità nell’indi-
rizzo di vita che coinvolge anche l’interesse dei figli nel caso di trasforma-
zione del matrimonio del transessuale in unione di fatto (v. par. successi-
vo). Ed allora se è vero che la tutela della famiglia legittima va privilegiata

che l’unione possa costituirsi in condizioni in cui alla coppia di sesso diverso non sarebbe
consentito di contrarre matrimonio.
(43) Infatti nel testo finale emendato dal Governo non si fa rinvio all’art. 117 il quale
contempla questa causa. Peraltro fra gli impedimenti previsti dal comma 4˚ (al quale fa
rinvio il comma 5˚ nel determinare le cause di invalidità) non è menzionata la minore età alla
quale si fa riferimento nel comma 2˚.
(44) Il comma 6˚ menziona infatti ciascuna delle parti dell’unione civile, gli ascendenti
prossimi, il pubblico ministero e tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale;
fra questi ultimi va dunque ricompreso il tutore dell’interdetto al quale non si fa specifico
riferimento. Riguardo alle cause di invalidità non menzionate nel comma 4˚ la legittimazione
deve desumersi sulla base del rinvio fatto alle norme del codice (ad es., alle sole parti nel
caso di simulazione, al contraente incapace di intendere e di volere per il caso contemplato
dall’art. 120). Dubbi potrebbero sorgere per la legittimazione nel caso di minore età, che a
mio avviso è da determinarsi sulla base dell’art. 117, comma 2˚, c.c. e non va quindi
riconosciuta a qualsiasi interessato come risulta dal dettato del comma 6˚, art. 1, legge in
esame.
(45) Registro a cui faceva espresso richiamo la versione originaria del d.d.l. Cirinnà.
(46) Anche da questo punto di vista si ricalca il modello tedesco il quale non prevede
entrambi i doveri e neppure quello di convivenza, introdotto invece dal nostro legislatore.
Per una commento alla legge v. CARICATO, La legge tedesca sulle convivenze registrate, in
Familia, 2002, p. 501 ss.
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382 le nuove leggi civili commentate 3/2016

per la disponibilità all’impegno di realizzare una piena comunione di vita


caratterizzata da stabilità, era legittimo attendersi che il medesimo modello
fosse proposto anche per le unioni civili, essendo il matrimonio precluso
alle coppie del medesimo sesso. La vincolatività di comportamenti corri-
spondenti al contenuto di questi doveri potrebbe, però, scaturire dall’ac-
cordo sull’indirizzo di vita, la cui determinazione è prevista anche per i
membri dell’unione civile, accentuandone il vincolo, col coinvolgimento
dei profili personali del rapporto (47). A differenza delle convivenze di
fatto i membri dell’unione civile hanno accettato di sottoporre il loro
rapporto alla disciplina dell’ordinamento; il potere loro riconosciuto di
concordare l’indirizzo di vita non si limita peraltro alla regolamentazione
dei doveri previsti dalla legge ma comprende l’assetto complessivo della
vita dell’unione.
Il criticabile disegno normativo di creare un’impalcatura più fragile
dell’unione civile rispetto al matrimonio trova conferma nel mancato ri-
chiamo all’art. 146 c.c. per il caso di abbandono della casa familiare,
dell’addebito della separazione (non essendo previsto l’istituto della sepa-
razione con riferimento all’unione civile). Le ragioni del fallimento dell’u-
nione potrebbero rilevare però nella determinazione dell’assegno dovuto
(corrispondente al c.d. assegno divorzile).
La sensazione complessiva che comunque ne scaturisce è che il legi-
slatore abbia voluto creare una unione meno impegnativa ma anche con
minori garanzie per i suoi componenti, indebolendone la stabilità nel
discutibile intento di privilegiare l’unione matrimoniale.
Passando ad altri aspetti, occorre rilevare che tra un membro dell’u-
nione civile e i parenti dell’altro non si costituisce un rapporto di affinità.
Infatti, se per un verso il comma 20˚ dell’art. 1, prevede l’estensione dei
termini “coniuge”, “coniugi” od altri equivalenti contenuti nei testi nor-
mativi, ai membri dell’unione civile al fine di “assicurare l’effettività della
tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi”, tuttavia essa non
si applica con riferimento alle norme del codice civile non espressamente
richiamate; fra queste manca l’art. 74. La scelta legislativa non convin-
ce (48) perché non trova riscontro nella coscienza sociale secondo la quale,

(47) Non si porrebbero infatti in questo caso le medesime problematiche che si pro-
filano per le unioni di fatto (v. par. 5) proprio perché è la legge stessa a legittimare la coppia
a determinare l’assetto globale del rapporto sia con riferimento ai profili patrimoniali sia a
quelli personali.
(48) In senso opposto si è regolato il legislatore tedesco il quale prevede (al § 11 della
Lebenspartnerchaft) che si costituisce il suddetto rapporto di affinità con i parenti dell’altro
membro dell’unione.
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col formarsi della coppia, si realizza un ingresso a pieno titolo di ciascun


membro nella famiglia dell’altro. Pertanto, come il coniuge diviene affine
dei parenti dell’altro, non vi era ragione per precludere analogo effetto
riguardo ai parenti del partner dell’unione civile, principio ormai espresso
dall’art. 74 c.c. a proposito della parentela naturale.
Maggiore flessibilità in confronto alla disciplina del matrimonio può
cogliersi nella regola relativa al cognome identificativo della coppia (com-
ma 10˚) alla quale è rimessa la scelta: a) di un cognome tra quelli dei due
soggetti dell’unione; b) di entrambi i cognomi, stabilendone l’ordine, con
dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile. Il diritto viene limitato alla
durata dell’unione; quest’ultima soluzione è condivisibile se riferita allo
scioglimento volontario perché in linea con la disciplina del divorzio, ma
non anche quando lo scioglimento è causato dalla morte; ne va pertanto
esclusa l’applicazione col conseguente riconoscimento del diritto del su-
perstite a mantenere il cognome precedentemente stabilito.
Sul piano dei rapporti patrimoniali incomprensibile, come già a suo
tempo rilevato (49), è il mancato richiamo, da parte del comma 13˚ del
nuovo testo, all’art. 161 c.c., contenente indicazioni da osservare nella
stipula di convenzioni matrimoniali atipiche, possibilità questa che non
si vede la ragione per negarsi ai membri dell’unione civile. Del regime
patrimoniale, si richiede che si faccia menzione nell’atto costitutivo del-
l’unione a differenza di quanto previsto per il matrimonio; tuttavia anche
per l’unione civile si ribadisce il principio secondo il quale, in mancanza di
diversa convenzione, il regime adottato è quello di comunione (non si
comprende allora la ragione della menzione). Modificato ne risulta anche
il sistema pubblicitario, abbandonando la regola cosiddetta della pubbli-
cità negativa che vale per la comunione fra coniugi (50).
Come accennato, nel caso di crisi dell’unione non è previsto l’istituto
della separazione ma solo lo scioglimento, anche su iniziativa unilatera-
le (51). Il procedimento appare alquanto anomalo in quanto la volontà deve
esprimersi davanti all’ufficiale di stato civile e, trascorsi tre mesi, può
avviarsi la relativa procedura. Le norme non si diffondono in proposito

(49) Ci si permette di rinviare al nostro precedente scritto, Modelli familiari, disciplina


applicabile e prospettive di riforma, cit., p. 615 ss.
(50) Infatti se nel documento attestante la costituzione dell’unione deve essere indicato
il regime patrimoniale adottato, ivi compreso quello di comunione, e il documento deve
essere inserito nell’archivio dello stato civile, ne deriva che anche il regime legale deve
risultare “in positivo”.
(51) È da notare che invece la separazione dei membri dell’unione civile è contemplata
dal modello tedesco (§§ 12-14).
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ma dai rinvii fatti alla l. n. 898/70 ed alla l. n. 162/14 viene contemplato sia
il procedimento giudiziale sia quelli stragiudiziali, in presenza dei relativi
presupposti. Gli effetti personali e patrimoniali coincidono con quelli
derivanti dallo scioglimento del matrimonio. La violazione dei doveri pre-
visti dalla legge o concordati nella scelta dell’indirizzo di vita, ove incida su
un diritto fondamentale della persona, può configurare l’esistenza di un
illecito extracontrattuale, come ormai ammesso da una consolidata giuri-
sprudenza con riferimento all’unione coniugale.
L’impianto normativo descritto sembra complessivamente rispondere
a quanto richiesto, rispettivamente, dalla Corte costituzionale e dalla Corte
Edu. Esso infatti, come indicato dalla prima (52), riserva all’unione ricono-
scimento giuridico mediante disciplina di carattere generale con assunzio-
ne di imprecisati diritti e doveri; può supporsi allora che l’irrilevanza dei
doveri di fedeltà e collaborazione non risulti determinante a questo fine,
pur restando ferme tutte le perplessità innanzi manifestate. Obiettivo che
può essere legittimamente realizzato – secondo la Corte Edu – mediante
un istituto diverso dal matrimonio, essendo tale scelta demandata alla
discrezionalità dei singoli Stati, purché simile nei contenuti. Quest’ultimo
profilo è stato messo in luce dalla sentenza Schalk e Kopf contro Austria (53)
la quale ha ritenuto legittima la scelta dello Stato di riconoscere ai membri
di una unione registrata di persone del medesimo sesso la stesso tratta-
mento riservato ai coniugi riguardo alla maggior parte dei diritti (sociali e
previdenziali, successori, inerenti al lavoro, ecc.) ad esclusione della possi-
bilità di adottare (ivi compreso il figlio del partner) e di accedere alla PMA
e con diversità di regole riguardanti l’assunzione del cognome. Soluzione
non dissimile è quella che viene adottata dal nostro legislatore.

4. L’unione del transessuale.


Il medesimo vuoto normativo rilevato a proposito delle unioni del
medesimo sesso si verificava prima della riforma, come accennato, anche
per il transessuale che avesse voluto mantenere in vita la precedente unio-
ne (matrimoniale) venuta meno in seguito al mutamento di sesso, ove
anche l’ex coniuge fosse stato d’accordo. Come è noto, la corrente di
pensiero maggioritaria riteneva che detto scioglimento conseguisse come
effetto automatico ed inevitabile del mutamento, quantunque contemplato

(52) 15 aprile 2010, n. 138, cit.


(53) Corte Edu 24 giugno 2010, n. 30141/2004, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p.
1137 con nota di M. WINKLER.
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le nuove leggi 385

fra le cause di divorzio, le quali presuppongono, invece, generalmente la


domanda di parte (54). Essa è stata condivisa dalla Cassazione (55) e dalla
Corte costituzionale (56); in particolare quest’ultima ha osservato che op-
tare in questo caso per una soluzione di divorzio su domanda significhe-
rebbe “rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti
del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 cost.”. Si è rilevata ad un
tempo la violazione dell’art. 2 Cost. da parte delle norme su cui si fonda
(artt. 2 e 4 l. n. 164/82) in quanto non contemplano contestualmente la
possibilità della coppia di transitare dal matrimonio ad altra forma di
unione, che il legislatore è chiamato a stabilire, per evitare il passaggio
da “uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal
piano, di assoluta indeterminatezza (57)“, ferma pertanto la salvaguardia
dell’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del
matrimonio.
La Cassazione (58) aveva ritenuto possibile dare attuazione alla deci-
sione della Consulta colmando il vuoto normativo in via interpretativa,
senza attendere l’intervento legislativo, mediante soluzione, per molti versi
singolare e poco convincente, nella quale si disponeva la cancellazione
dell’annotazione relativa allo scioglimento del matrimonio e la “conserva-
zione dello statuto dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale
(...) sottoposta alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova
regolamentazione indicata dalla sentenza”.
Il legislatore della riforma interviene in proposito mantenendo ferma
la soluzione dello scioglimento automatico del matrimonio pregresso e la
sua trasformazione in unione civile, se i coniugi hanno manifestato la
volontà di mantenere in vita il loro rapporto (art. 1, comma 27˚). Non si
precisa in quale contesto debba essere espressa la dichiarazione ma sembra

(54) Per ragguagli in proposito v. S. PATTI e M.R.WILL, La rettificazione di attribuzione


di sesso: prime osservazioni, in Riv. dir. civ., 1982, I, p. 729 ss. Per la tesi maggioritaria, v. S.
PATTI, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 245 ss. e, con
riferimento alle modifiche successive, BONILINI, Rettificazione di attribuzione di sesso e
scioglimento automatico del matrimonio ai sensi dell’art. 31, d.lg. n. 150/2011, in Fam. pers.
e succ., 2011, p. 805 ss. Per la tesi minoritaria, P. STANZIONE, Transessualismo e sensibilità del
giurista: una rilettura attuale della legge n. 164/82, in Dir. e fam., 2009, p. 722; E. QUADRI,
voce Divorzio nel diritto civile e internazionale, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., VI,
Torino, 1990, p. 531.
(55) 6 giugno 2013, n. 14329, in Corr. giur., 2013, p. 1519.
(56) 11 giugno 2014, n. 170, cit.
(57) Ibidem.
(58) 21 aprile 2015, n. 8097, in Giur. it., 2015, p. 1812.
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plausibile ricondurla nell’ambito del giudizio di rettificazione, previa ri-


chiesta dell’interessato ed interpello dell’altro coniuge.
Se dal matrimonio sono nati figli i membri della coppia continueranno
ad esercitare nei loro confronti la responsabilità genitoriale, come durante
il matrimonio, quantunque il testo sulle unioni civili non contenga rinvii
alla relativa disciplina.
L’entrata in vigore della riforma sembra dunque realizzare le condi-
zioni per scongiurare il rischio di una possibile condanna dello Stato
italiano, per violazione degli artt. 8 e 12 CEDU. In proposito si era già
espressa la Corte Edu in occasione della controversia Hamalainen contro
Finlandia (59) nel corso della quale è stata ritenuta adeguata la tutela ri-
servata al transessuale mediante conversione del precedente matrimonio in
unione registrata, in quanto la tutela assicurata risulta simile, ma non
coincidente, con quella prevista per la coppia unita in matrimonio, somi-
glianza che ricorre anche nella normativa italiana.
È infine da sottolineare che, coerentemente, lo scioglimento automa-
tico del vincolo pregresso deriva anche dalla sentenza di rettificazione di
sesso relativa ad uno dei membri dell’unione omosessuale (comma 26˚),
con possibilità, però, di rafforzare il precedente rapporto mediante cele-
brazione del matrimonio.

5. Le convivenze di fatto.
Come in precedenza accennato, nel testo in esame il legislatore ha
ritenuto opportuno introdurre anche una disciplina delle convivenze di
fatto, ampliandone la tutela rispetto a quella già prevista (a livello norma-
tivo e giurisprudenziale) con riferimento sia ai rapporti rispetto ai terzi sia
a quelli interni alla coppia (60), scelta che assume importanza (61) perché
introduce uno “statuto” delle convivenze, dotato di sufficiente organicità,
anche se prudente nei contenuti ed in parte meramente riassuntivo di
quanto già previsto da disposizioni sparse o da consolidati indirizzi giuri-
sprudenziali, e pertanto un riconoscimento legislativo delle stesse. La tu-

(59) Grande Camera 16 luglio 2014, n. 37359/2009, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I,
p. 1139, con nota di LORENZETTI e A. SCHUSTER.
(60) Per un quadro della situazione antecedente alla riforma, v. per tutti F. ROMEO,
Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non matrimoniali, cit., p.
3 ss.
(61) Alcuni anni or sono F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 7
sottolineava che un’eventuale regolamentazione normativa delle convivenze avrebbe com-
portato “un vero e proprio salto di qualità”.
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le nuove leggi 387

tela riconosciuta è naturalmente ben più limitata di quella riservata ai


coniugi ed ai membri dell’unione civile e pur tuttavia comporta il supera-
mento della risalente opinione secondo la quale se i conviventi intendono
rimanere ai margini dell’ordinamento è opportuno che il legislatore li
ignori, anche per rispettarne la libertà; si rinvia, solo in parte, alla loro
autonomia da esercitarsi mediante contratti di convivenza. Peraltro la
perplessità manifestata dall’opinione contraria alla regolamentazione nor-
mativa è costituita dallo scorgere in essa il riconoscimento di un modello
alternativo di famiglia di rango inferiore rispetto a quello matrimo-
niale (62).
La strada privilegiata dalla riforma è a mio avviso da condividere
(anche se – come si dirà – riserve possono avanzarsi su alcune opzioni
riguardanti la sostanza e la formulazione testuale) sia perché, come si è
accennato (par. 1) l’art. 29 Cost. non sembra costituire un limite al rico-
noscimento di altri modelli di unione familiare diversi dalla famiglia legit-
tima (v. anche par. successivo) sia perché i patti (o contratti) di convivenza
non sempre rappresentano la forma di tutela più adeguata al perseguimen-
to degli interessi dei conviventi (63). Infatti alcuni risultati non possono
raggiungersi per tale strada a causa dei limiti posti dall’ordinamento al-
l’autonomia privata (ad es., costituzione della comunione legale (64) o in-
sorgenza di diritti verso i terzi) e comunque non sempre i conviventi
hanno l’accortezza e la lungimiranza di ricorrervi (65). Non può escludersi
inoltre a priori la legittimità dell’introduzione di effetti non riconducibili
alla scelta dei conviventi che, pur incidendo sulla loro libertà, trovino
fondamento nella solidarietà ingenerata dalla prolungata convivenza.
Dall’esame delle norme può constatarsi, innanzitutto, che la determi-
nazione della fattispecie costitutiva viene ancora rimessa alla valutazione
della giurisprudenza sulla base dell’accertamento di alcuni elementi: una
convivenza affettiva stabile e consolidata caratterizzata dalla coabitazione e
dall’assistenza morale e materiale. La convivenza deve risultare anagrafi-

(62) E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 36 ss.; F. GAZZONI, op. cit., p.
143 ss.
(63) Si dichiara favorevole alla compenetrazione tra auto ed etero regolamentazione,
SPADAFORA, Contratti di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, p. 23 ss.;
di diverso avviso, F. GAZZONI, op. cit., p. 150 ss.; E. QUADRI, op. ult. cit., p. 41.
(64) Secondo BALESTRA, La famiglia di fatto, in Il nuovo diritto di famiglia, diretto da G.
Ferrando, Bologna, 2008, II, p. 1080 è però possibile costruire una disciplina sulla falsariga
della comunione legale.
(65) Da non trascurare sono anche i rischi di invalidità dell’accordo. V. in proposito M.
FRANZONI, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Trattato di diritto di
famiglia, diretto da Bonilini, cit., II, p. 1854.
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camente secondo quanto stabilito dall’art. 4 d.p.r. n. 223/89 ma detto


riscontro non risulta sufficiente (e potrebbe limitarsi peraltro al puro dato
anagrafico), anche se conseguisse ad una dichiarazione delle parti di volere
dare origine ad una convivenza affettiva (66), in assenza di un riscontro
(giudiziale) sull’effettiva realizzazione della comunione di vita. La soluzio-
ne privilegiata dal legislatore non soddisfa pienamente perché gli elementi
oggetto di accertamento sono abbastanza sfuggenti: ad es., come desumere
la stabilità dell’unione? Il legame affettivo deve valutarsi sulla base della
sostanziale osservanza dei doveri coniugali? Quali sono i doveri da pren-
dere in considerazione (tenuto anche conto che nelle unioni civili non
rilevano i doveri di fedeltà e collaborazione)? Come ricostruire l’affectio
coniugalis? Quali le conseguenze in assenza del riscontro anagrafico? Dub-
bi non nuovi in quanto la giurisprudenza non stabilisce univocamente i
criteri su cui fonda la sua valutazione (67), particolare di non poco conto
dal momento che l’onere della prova grava su chi invoca tutela. L’opzione
per un modello di unione registrata sarebbe stato, a mio modo di vedere,
preferibile per ragioni di certezza e avrebbe, volendolo, reso possibile
l’introduzione della presunzione di paternità del partner (68).
Su una importante linea di discontinuità rispetto al passato si pone la
regola che collega gli effetti giuridici alla maggiore età dei conviventi (69) e
alla mancanza di un non meglio precisato vincolo di parentela, affinità,
adozione. In assenza di ulteriori indicazioni sembra preferibile fare riferi-
mento a linee e gradi previsti per il matrimonio e per le unioni civili, non
essendo ragionevole prefigurare limiti più rigidi per i conviventi di fatto.
Tra i divieti non sono contemplati il c.d. impedimentum criminis e l’inter-
dizione, i quali ostano invece solo alla (valida) stipulazione di un contratto
di convivenza (70). Qualche dubbio solleva la menzione della insussistenza

(66) C. COPPOLA, op. cit., p. 693 esclude la validità di una eventuale dichiarazione volta
alla costituzione di uno status di convivente perché in contrasto con l’inviolabilità della
libertà personale.
(67) Per lo più essa fa riferimento genericamente ad una convivenza stabile (ma non
sempre precisa i criteri sui quali si fonda tale giudizio) col sostanziale rispetto dei doveri
coniugali. Ma si è anche parlato di serenità ed inequivocità della convivenza stessa (Cass. 4
aprile 1998, n. 3503, in Fam. e dir., 1998, p. 334 con nota di DE PAOLA), una discrezionalità
che non contribuisce dunque a dare certezze come sarebbe opportuno.
(68) Osserva F. GAZZONI, op. cit., p. 14, che una difficoltà al riconoscimento giuridico
della famiglia di fatto consiste proprio nella mancanza di un atto formale che ne attesti
l’esistenza.
(69) E non, come sarebbe stato preferibile, ad un accertamento in concreto della
capacità.
(70) In precedenza, E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 32 aveva affermato
che l’unione è illecita se posta in essere in violazione di limiti legali.
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le nuove leggi 389

del vincolo di matrimonio o di unione civile per il riconoscimento della


convivenza di fatto; essa potrebbe infatti intendersi riferita o agli stessi
membri della coppia (dunque la disciplina della convivenza non sarebbe
applicabile a coloro i quali sono reciprocamente legati da matrimonio o
unione civile) o al vincolo con altra persona. La prima interpretazione
risulta maggiormente conforme al dato testuale, ma rende la previsione
del tutto superflua perché gli effetti derivanti dalla convivenza sono ben
più limitati di quelli previsti per il matrimonio o per le unioni civili e non
potrebbero certamente essere invocati dalla persona che volesse sottrarsi al
loro rispetto. La seconda avrebbe un significato ben più pregnante ed
incisivo infatti precluderebbe tutela a chi è ancora giuridicamente vinco-
lato con altra persona da matrimonio o da unione civile (e che ormai in
tempi brevi potrebbe ottenere il divorzio, fatti salvi in concreto i tempi
della giustizia) per limitarla solo alle ipotesi in cui vi è una scelta di non
sposarsi (magari rinviando al futuro tale decisione).
Quest’ultima soluzione, quantunque non confortata dal dato testuale,
sarebbe a mio avviso da preferire per le ragioni ben sintetizzate da auto-
revole opinione secondo la quale “il diritto non può essere invocato contro
il diritto” (71). Anzi, in questa prospettiva, si sarebbe dovuto includere fra i
divieti anche l’impedimentum criminis, mentre (opportunamente) non sa-
rebbe ostativa al riguardo l’interdizione o una situazione di infermità
mentale, a meno che non sia di entità tale da precludere la consapevolezza
di una scelta siffatta e limitatamente all’assunzione di effetti patrimoniali
sfavorevoli; per la medesima ragione resto perplesso riguardo alla rilevanza
attribuita alla maggiore età al fine di riconoscere effetti alla convivenza.
Non si sottovaluta il fatto che l’interpretazione suggerita pone problemi di
coordinamento con la disciplina dei contratti di convivenza e contrasta con
la corrente di pensiero prevalente, la quale riconosce rilevanza anche alla
convivenza costituita da chi è ancora vincolato dal matrimonio con altra
persona. A fondamento della soluzione si adduce l’estinzione del dovere di
fedeltà fra coniugi separati che renderebbe legittima la costituzione della
convivenza pur in presenza di un legame matrimoniale non disciolto (72).
Non è detto tuttavia che una convivenza non possa configurarsi anche in
mancanza di una separazione formalizzata (dunque pur in mancanza di

(71) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 28, dal
momento che l’unione è non solo extra legem ma contra legem. Esclude la tutelabilità della
convivenza nel caso in cui uno dei suoi membri sia separato anche SPADAFORA, op. cit., p.
65 ss.
(72) F. GAZZONI, op. cit., p. 83 ss.
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una sospensione del dovere di fedeltà); è dibattuto inoltre se durante la


separazione non residui almeno un dovere di rispetto che verrebbe violato,
almeno nel caso in cui la convivenza fosse condotta in maniera palese. La
soluzione secondo la quale la separazione estingue ogni dovere coniugale,
eccettuato il sostegno economico, è ormai consolidata e pur tuttavia non
convince pienamente perché finisce col far coincidere gli effetti della se-
parazione e del divorzio. Essa si fonda su un’opzione degli interpreti che
non trova solido riscontro nel sistema: se il legislatore ha mantenuto in vita
l’istituto della separazione personale non appare coerente sovrapporne gli
effetti con quelli del divorzio. La permanenza di un dovere di rispetto
dell’altro coniuge consentirebbe pertanto di considerare illegittima (dun-
que non tutelabile) una convivenza costituita in presenza di un vincolo
matrimoniale non disciolto. Peraltro il discorso meriterebbe un approfon-
dimento che non è possibile in queste pagine. In conclusione, la coerenza
dell’impianto normativo potrebbe a mio avviso giustificare una forzatura
del dato testuale.
Passando all’esame dei contenuti della tutela riservata alla coppia con-
vivente si può constatare che la maggior parte dei diritti riconosciuti
riguardano i rapporti con i terzi, alcuni dei quali già presenti nella norma-
tiva vigente, onde la riforma svolge in proposito una funzione meramente
ricognitiva.
Più specificamente, il convivente viene equiparato al coniuge riguardo
ai diritti riconosciuti dall’ordinamento penitenziario (permessi, colloqui,
comunicazioni telefoniche, corrispondenza) come previsto dal d.p.r. n.
230/00; cosı̀ anche in ambito sanitario, circa il diritto di visita e di ricevere
informazione sulle condizioni di salute dell’altro nel caso di malattia o
riguardo al trapianto nell’ipotesi di morte (73), al fine di poter esprimere
un consenso informato. Egli, inoltre, può nominare (mediante dichiarazio-
ne autografa o, nel caso di impossibilità, orale, rilasciata alla presenza di un
testimone) il partner suo rappresentante per assumere le decisioni riguar-
danti la salute, nel caso in cui venga a trovarsi in situazione di incapacità di
intendere e di volere. Analogo potere decisionale può essergli conferito
dall’interessato con riferimento alla donazione post mortem degli organi
(opposizione alla donazione (74)), modalità di trattamento del cadavere e

(73) La l. n. 91/99, art. 3, comma 2˚, stabilisce che al convivente, al pari del coniuge,
devono comunicarsi le notizie sulla natura e le circostanze del prelievo.
(74) Ai sensi dell’art. 23, comma 2˚, l. n. 917/99, almeno sin quando non maturino tutte
le condizioni necessarie per applicare la disciplina del silenzio-assenso prevista dalla mede-
sima.
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le nuove leggi 391

celebrazioni funerarie. Non è stato invece affrontato – come probabilmen-


te sarebbe stato opportuno – il problema dei poteri da riconoscersi al
convivente stesso in mancanza di una specifica designazione in proposito
e in assenza di decisioni assunte dall’interessato riguardo a questa materia.
Come è noto, per regola consuetudinaria, i congiunti più stretti sono
legittimati ad assumere decisioni relative alla sepoltura. Si ritiene che un
potere siffatto spetti innanzitutto al coniuge, come stabilito dalla l. n. 130/
01 al fine di consentire l’individuazione del soggetto che dovrà eseguire la
volontà manifestata dall’interessato di procedere alla dispersione delle sue
ceneri. Nulla si dice riguardo al convivente, ma sembra preferibile privi-
legiare la soluzione volta ad equipararlo al coniuge, e ad anteporlo ai
parenti, proprio in virtù del valore da riconoscere alla comunione di vita
instaurata con la convivenza; egli andrà anche considerato “familiare” al
fine di affidargli la custodia delle ceneri (75).
Problema analogo si pone riguardo ai soggetti che, in assenza di una
decisione da parte dell’interessato, possono disporre la cremazione del
cadavere del proprio congiunto: la legge menziona il coniuge ed in man-
canza, il parente più prossimo ma non il convivente (76); la tassatività
dell’elencazione potrebbe forse in questo caso giustificarsi con la partico-
lare delicatezza della decisione perché si distacca dalla “normale” destina-
zione del cadavere. I problemi si complicano ulteriormente ove si ritenesse
tutelata la convivenza pur in mancanza dello scioglimento del precedente
matrimonio, in quanto occorrerebbe stabilire se la decisione del conviven-
te (nei casi in cui gli si riconosca legittimazione) debba prevalere su quella
del coniuge separato (problemi che non possono affrontarsi in questa
sede).
La disciplina delle convivenze di fatto riserva particolare tutela all’in-
teresse dei partners al godimento dell’abitazione, garantendone innanzitut-
to l’accesso mediante equiparazione alla coppia coniugata (77), ove l’appar-
tenenza ad un nucleo familiare costituisca causa di preferenza nell’asse-
gnazione di alloggi dell’edilizia popolare. Resta fermo il principio secondo
il quale, nell’ipotesi di crisi della coppia, il diritto sulla casa familiare è
funzionalizzato esclusivamente all’interesse dei figli (art. 337 sexies).

(75) Per un esame della problematica al riguardo si rinvia a BONILINI, Gli effetti del
matrimonio sul diritto di sepoltura, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, cit., I,
p. 797 ss.
(76) Art. 3, lett. b), n. 3, l. n. 130/01.
(77) E non posponendola ad essa, come suggerito da D’ANGELI, op. cit., p. 33 ss.
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392 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Nel caso di morte del convivente titolare del contratto di locazione


viene ribadito il diritto dell’altro, già riconosciuto da consolidata giurispru-
denza e da un nota pronunzia della Corte costituzionale (78), di subentrare
al suo posto. Rimane irrisolto l’interrogativo circa il suo fondamento: se
rivesta natura successoria o costituisca riconoscimento di un diritto auto-
nomo fondamentale volto a garantire l’accesso all’abitazione e stabilità di
vita del partner. L’adozione della medesima tutela è prevista ove il titolare
decida di recedere dal contratto, con ampliamento della tutela sin qui
riconosciuta (79).
Con riferimento alla successione viene poi riconosciuto il diritto di
abitazione (fino ad ora non previsto) per almeno due anni (elevato a tre
se la coppia abbia figli minori od handicappati) o in misura maggiore, pari
alla durata della convivenza, ma non oltre cinque anni. Il riferimento
all’art. 337 sexies c.c. sta a significare che il godimento collegato alla tutela
dell’interesse dei figli dura fin quando il medesimo risulta prevalente
(normalmente il raggiungimento della loro autonomia economica); se esso
viene meno prima dello spirare dei termini previsti il diritto si protrae a
tutela del convivente.
La soluzione di limitare nel tempo il diritto appare equilibrata perché
sacrifica in maniera limitata gli interessi degli altri eredi, concedendo al
convivente un tempo non ristretto per riprogrammare la propria vita
(fermo restando che il diritto viene meno anche prima, per mancata uti-
lizzazione della casa).
Nella medesima direzione muove la disposizione che concede al part-
ner un margine di tre mesi per lasciare la casa familiare nel caso di recesso
dal contratto di convivenza (art. 20, comma 3˚). Questo collegamento
lascia perplessi perché introduce una condizione sin qui non richiesta e
dalla quale viene ora immotivatamente fatta dipendere la tutela (80). La
soluzione si fonda infatti sulla condivisibile considerazione che colui il
quale ha costituito col titolare del diritto sulla casa una comunione di vita
non può considerarsi mero ospite (81). Non è chiaro inoltre se la regola

(78) 7 aprile 1988, n. 404, in Giur. it., 1988, I, p. 1627 con nota di A. TRABUCCHI.
(79) Infatti Corte cost. 18 maggio 1989, n. 252, in Foro it., 1989, I, p. 2047 aveva
negato la possibilità di desumere, in via interpretativa, la sussistenza del diritto anche in
questa circostanza poiché la soluzione avrebbe comportato l’aggiunta di una ulteriore ipotesi
di successione nel contratto, non contemplata dalla legge.
(80) Non si comprende infatti la ragione per la quale in mancanza di un contratto di
convivenza l’altro partner potrebbe essere immediatamente messo alla porta.
(81) Su questa motivazione l’indirizzo ormai consolidato seguito dalla Cassazione ha
riconosciuto al convivente la tutela possessoria sia verso l’altro convivente sia verso i terzi.
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le nuove leggi 393

menzionata trovi comunque applicazione ove sia stato stipulato un con-


tratto di convivenza o solo se il medesimo contiene disposizioni sulla casa
di abitazione (opterei comunque per la prima soluzione). Trascorsi tre
mesi dalla crisi della coppia, il convivente che non lascia la casa familiare
è da considerare detentore illegittimo.
Mera conferma di quanto già stabilito dal combinato disposto degli
artt. 408 e 424 c.c. costituisce la previsione del comma 48˚ del testo di
legge, secondo la quale il convivente può essere nominato, dal giudice
tutelare, tutore, curatore, amministratore di sostegno della persona impos-
sibilitata a provvedere ai propri interessi. Il rilievo riconosciuto al legame
affettivo costituito dalla convivenza emerge anche dalla legittimazione già
riconosciuta (art. 417 c.c.) al partner di dare inizio ai relativi giudizi. Ad un
difetto di coordinamento sembra dovuta la mancata menzione del convi-
vente fra i legittimati a richiedere la revoca del provvedimento limitativo
della capacità.
Il comma 49˚ contiene il riconoscimento – già consolidato in giuri-
sprudenza – del diritto del convivente al risarcimento del danno nel caso
di uccisione dell’altro. L’equiparazione al coniuge è comunque da rimar-
care in quanto essa avviene pur in assenza di un dovere contributivo
connesso alla convivenza (82).
Nell’ambito della regolamentazione dei rapporti reciproci è da ricon-
durre la previsione del diritto del partner di ricevere dall’altro gli alimenti
nel caso di rottura della convivenza per un periodo ad essa commisurato,
ove venga a trovarsi in situazione di bisogno; l’obbligato è inserito agli
ultimi posti della graduatoria, innanzi ai fratelli e alle sorelle. Questa
soluzione è stata introdotta nell’emendamento finale, attenuando la tutela
prevista dal testo originario presentato in aula il quale contemplava in via
alternativa il diritto al mantenimento (83), con indicazioni alquanto pastic-
ciate sui criteri per risolverla, che avevano sollevato i rilievi critici dei primi
interpreti (84).

V., ad esempio, Cass. 15 settembre 2014, n. 19423; Cass. 2 gennaio 2014, n. 4, in Fam. e
dir., 2014, p. 664 con nota di D. RICCIO; Cass. 21 marzo 2013, n. 7214, ivi, 2013, p. 639.
Nella stesso senso è orientata la prevalente giurisprudenza di merito.
(82) È da rilevare che nella redazione finale il legislatore ha rimediato ad una evidente
discrasia tra testo e rubrica nella versione proposta in aula. Si tratta dell’art. 18 la cui rubrica
parlava di “morte di una delle parti del contratto di convivenza” cosı̀ potendo far ritenere
che il riconoscimento del diritto fosse subordinato alla stipula del contratto medesimo, con
soluzione immotivatamente riduttiva rispetto a quella consolidatasi in giurisprudenza.
(83) Il riferimento solo agli alimenti era contenuto nella versione originaria del testo poi
modificata al momento dell’unificazione dei diversi progetti presentati.
(84) Si rinvia anche in questo caso a T. AULETTA, Modelli familiari, disciplina applicabile
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394 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Al partner economicamente più debole non viene dunque riconosciuto


un diritto alla conservazione del tenore di vita più elevato, rispetto a quello
alimentare, eventualmente goduto in via di fatto durante la convivenza,
perché esso potrebbe trovare fondamento solo in un dovere di contribu-
zione, riferibile alla fisiologia del rapporto, che invece non si configura per
l’unione di fatto (cosı̀ come l’esistenza di altri doveri). Contro una solu-
zione di questo tipo, che avrebbe richiamato in qualche modo la disciplina
della separazione e del divorzio, si era già espressa autorevole dottrina,
sottolineando che “chi non ha seguito la via delle strutture previste dal
legislatore per una regolare vita di coppia non può pretenderne la prote-
zione conseguente” (85).
Il diritto agli alimenti, quantunque imposto, trova invece fondamento
nell’esigenza di consentire al partner meno abbiente, sul presupposto che sia
meritevole l’affidamento riposto della continuazione della esperienza di vita
in comune, di avere un tempo ragionevole (proporzionato alla convivenza
stessa) per riprogettare la propria vita, potendo contare su un sostegno
economico da parte dell’altro convivente, pur limitato per entità e durata.
L’esigenza di far prevalere in questi limiti il valore della solidarietà sulla
libertà dei conviventi appare meritevole di considerazione e compatibile con
i principi (86); il criterio adottato realizza infatti un accettabile bilanciamento
dei contrapposti interessi (anche se qualche riserva deve esprimersi riguardo
alla remota collocazione dell’obbligato nella relativa graduatoria), fermo
restando che una tutela più estesa del soggetto economicamente più debole
potrebbe introdursi mediante un contratto di convivenza.
Condivisibile è anche la scelta di fondo, da alcuni già sostenuta in via
interpretativa (87), di annoverare fra i partecipanti all’impresa familiare il

e prospettive di riforma, cit., p. 627 nonché a F. ROMEO e VENUTI, Relazioni affettive non
matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili
e disciplina delle convivenze, cit., pp. 988 e 1002 ss. i quali avevano ipotizzato potersi
individuare per tale ragione l’introduzione del dovere di contribuzione nel contesto della
fisiologia del rapporto.
(85) A. TRABUCCHI, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia?, cit., p. 34.
(86) Nel medesimo senso parte della dottrina tra i quali, ZATTI, Familia, familiae –
Declinazione di un’idea. II. Valori e figure della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002,
p. 346 (ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche); BALESTRA, L’evoluzione del diritto di
famiglia e le molteplici realtà affettive, in Tratt. Bessone, I, Torino, 2010, p. 16, ritiene
condivisibile, soprattutto quando ricorre la crisi dell’unione, l’intervento legislativo al fine
di dare attuazione al principio solidaristico. Ma in senso contrario, F. GAZZONI, op. cit., p. 43
ss. il quale rileva, tra l’altro, che “il profilo della responsabilità non può prevalere sul profilo
della libertà”.
(87) Cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, 1, La famiglia, Milano, 2014, p. 505 ed
ivi ulteriori indicazioni bibliografiche.
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le nuove leggi 395

convivente che presta il suo lavoro a vantaggio dell’imprenditore, effetto


tuttavia che avrebbe potuto raggiungersi in maniera molto più lineare
inserendolo nell’ambito dei familiari indicati dall’art. 230 bis. La riforma
segue, invece, una linea più tortuosa ed ingiustificatamente discriminatoria
mediante l’introduzione nel codice dell’art. 230 ter il quale gli riserva una
tutela più limitata rispetto agli altri familiari. Fermo restando infatti il
riconoscimento dei diritti indicati in mancanza di una diversa regolamen-
tazione del rapporto, non si considera titolo di partecipazione all’impresa
l’avere svolto attività di lavoro nell’ambito della famiglia del titolare; inol-
tre non sono riconosciuti il diritto al mantenimento, il diritto di prelazione
sull’azienda e di partecipazione alle decisioni straordinarie e di destinazio-
ne degli utili, riconosciuti agli altri familiari. Ma se la ratio della tutela
riservata ai familiari partecipanti è quella di assicurare un adeguato rico-
noscimento economico per il lavoro prestato anche quando, per ragioni
affettive, il rapporto non viene espressamente regolamentato, non si giu-
stifica un trattamento diverso per il convivente.
L’introduzione di una disciplina ulteriore rispetto a quella sin qui
sintetizzata è affidata ai c.d. contratti di convivenza. Il termine contratto
(e non patto) sembrerebbe avvalorare la tesi sostenuta dalla dottrina
prevalente secondo la quale tali accordi potrebbero disciplinare solo
aspetti patrimoniali dell’unione (88). A ben vedere tuttavia la norma pre-
cisa che il contratto può contenere “l’indicazione della residenza” onde
esso, almeno in questo caso, non disciplinerebbe profili patrimoniali.
Peraltro è opportuno ricordare che una opinione, espressa di recente,
ha sottoposto a critica l’indirizzo prevalente sottolineando che l’accordo
assume natura negoziale (non contrattuale) anche quando è volto a di-
sciplinare solo profili economici dell’unione (perché il rapporto riveste
natura essenzialmente personale in virtù dell’interesse sotteso). Si osserva
inoltre che il patto volto a disciplinare profili personali dell’unione (ad
esempio il rispetto della fedeltà) non è immeritevole di tutela perché mira
a favorire il perseguimento di valori apprezzabili senza introdurre limiti
alla libertà di far cessare il rapporto. Resta fermo peraltro che la viola-
zione del patto, pur rendendo possibile un giudizio negativo sul com-
portamento difforme (e l’esclusione dell’esercizio di un diritto), non
legittima pretese risarcitorie o altri effetti sanzionatori, fatta salva, tutt’al
più, la configurabilità di un illecito extracontrattuale per lesione di di-

(88) Ex multis, v., F. GAZZONI, op. cit., p. 164; SPADAFORA, op. cit., p. 88 ss.; M.
FRANZONI, op. cit., p. 1852; BALESTRA, La famiglia di fatto, cit., p. 1079; OBERTO, Convivenza
(contratti di), in Contr. e impr., 1991, p. 373 ss.; C. COPPOLA, op. cit., p. 691.
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396 le nuove leggi civili commentate 3/2016

ritto fondamentale della persona (89). Gli effetti conseguenti alla viola-
zione appaiono pertanto assai circoscritti (90).
Con riferimento al contenuto di tali contratti, la legge indica, in via
esemplificativa, la regolamentazione della contribuzione (ambito (91), enti-
tà e modalità (92)) e l’adozione delle comunione legale; ma in realtà l’ac-
cordo può riguardare anche altri profili, nel rispetto dei diritti indisponi-
bili (93) e dei principi inderogabili dell’ordinamento (94), come ad esempio,
l’attribuzione della casa familiare o di altri beni anche in funzione premiale
nonché il riconoscimento di diritti conseguenti allo scioglimento dell’unio-
ne (assegno di mantenimento, attribuzione della casa familiare, trasferi-
mento di beni per compensare il particolare contributo, fornito da un
convivente a vantaggio dell’altro) (95). La disciplina vigente relativa al pa-
trimonio di destinazione avrebbe giustificato di includere tra i possibili
contenuti del contratto la costituzione di un fondo patrimoniale a benefi-
cio della famiglia di fatto, a patto di determinarne la composizione ed i
bisogni da soddisfare (96), facoltà che sembra però da escludere in man-
canza di una specifica previsione.

(89) DELLE MONACHE, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alla soglia
della regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, p. 948 ss.
(90) Peraltro di ciò è consapevole lo stesso Autore.
(91) In questo contesto, ad esempio, un convivente potrebbe assumere l’obbligazione
di concorrere al mantenimento dei figli dell’altro.
(92) Stabilendo al riguardo i mezzi su cui l’unione potrà contare per il soddisfacimento
delle sue esigenze. Viene quindi rimosso ogni eventuale dubbio di validità di un contratto
volto a costituire un’obbligazione civile. Ma già prima dell’introduzione della legge l’opi-
nione prevalente ne aveva sostenuto l’ammissibilità, sul presupposto che l’obbligazione trova
fondamento in un contratto atipico con causa propria. V. per tutti M. FRANZONI, op. cit.,
1855 ss.; SPADAFORA, op. cit., p. 111 ss.
(93) Indisponibilità che costituisce connotazione indiscussa, ad esempio, del diritto agli
alimenti.
(94) Il divieto di patti successori costituisce ad esempio, impedimento alla rinuncia del
diritto all’abitazione innanzi considerato.
(95) Riguardo ai contenuti ed alla diversa finalità alla quale tali patti possono tendere, v.
DELLE MONACHE, op. cit., p. 944 ss.; SPADAFORA, op. cit., p. 199 ss. È da rilevare che,
differenziandosi dalla dottrina dominante, questo A. esclude la validità dei patti volti a
regolare lo scioglimento dell’unione perché comporterebbero una sorta di ultrattività del
dovere di assistenza non compatibile con la cessazione del rapporto. Tale opinione solleva
non pochi dubbi anche in considerazione del fatto che prevedere meccanismi di tutela
nell’eventualità dello scioglimento dell’unione serve proprio a rendere possibili e rafforzare
le scelte riguardanti la vita di coppia. È normale, ad esempio, che l’accettazione di un
convivente di accollarsi in misura maggiore o esclusiva i compiti domestici passi attraverso
garanzie adeguate riguardo al futuro.
(96) Sulle problematiche che deriverebbero da una costituzione siffatta v. T. AULETTA,
Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., II, p.
1686 ss.
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le nuove leggi 397

La legge introduce un requisito formale, sin qui non sempre necessa-


rio (97), richiedendo che il contratto venga stipulato per scrittura privata
autenticata o in atto pubblico (comma 51˚). Non condivisibile è la solu-
zione adottata per dare pubblicità al contratto facendo ricorso all’iscrizio-
ne nei registri anagrafici, a causa della funzione che li contraddistingue e
dell’incerta affidabilità, i quali mal si conciliano con i meccanismi di op-
ponibilità ai terzi, accrescendone gli oneri di controllo.
Limitativa rispetto alla disciplina sin qui applicabile è la regola intro-
dotta secondo la quale il contratto non può essere sottoposto a termine o
condizione, in deroga a quanto previsto dalle norme sul contratto stesso,
che trova giustificazione invece riguardo al consenso espresso al momento
della celebrazione del matrimonio o dell’unione civile. Non si comprende
la ragione per la quale non dovrebbe essere meritevole di tutela, ad esem-
pio, un contratto con il quale si assicura al convivente, dopo la rottura
dell’unione, un diritto al mantenimento per un periodo determinato o
subordinatamente al fatto che la crisi non sia riconducibile al suo com-
portamento (98). Salvo a ritenere che il contratto nel suo complesso non
possa essere sottoposto a termine o condizione, ma ciò risulti ammissibile
per le singole clausole in esso contenute.
Anche l’impianto relativo alla nullità del contratto si presta ad alcuni
rilievi critici. Tale effetto viene ricollegato in alcuni casi alla stipula del-
l’accordo fra soggetti sprovvisti dei requisiti previsti dal comma 36˚; il
difetto riguarda dunque la loro legittimazione, onde più appropriatamente
esso produce l’inefficacia dell’accordo stesso. Superfluo inoltre è il riferi-
mento specifico alla minore età come causa di invalidità, tenuto conto che
la maggiore età è già prevista fra i requisiti contemplati da detto com-
ma (99). Perplessità sorgono anche sulla nullità del contratto stipulato da
interdetto giudiziale, a fronte della disciplina generale in materia. Aspetto
problematico è quello relativo alla natura strettamente personale o meno
del negozio stesso, che peraltro non può essere affrontato in questa sede.
Ugualmente criticabile è la nullità del contratto stipulato in presenza
del c.d. impedimentum criminis dal momento che o si considera la convi-
venza contra legem, e dunque improduttiva di effetti o, altrimenti non

(97) Una forma particolare dipendeva infatti dal contenuto dell’accordo.


(98) Prima di questa riforma l’ammissibilità di termini o condizioni non era in discus-
sione. V. al riguardo BALESTRA, La famiglia di fatto, cit., p. 1079 s.
(99) È da notare che il riferimento alla minore età è frutto della modifica apportata dal
Governo con l’emendamento finale in quanto il testo presentato in aula al Senato subordi-
nava la validità del contratto all’autorizzazione del tribunale intervenuta ex art. 84. Palese
era l’errore al quale però non si è ovviato sino in fondo.
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398 le nuove leggi civili commentate 3/2016

sussiste ragione per impedire la regolamentazione convenzionale del rap-


porto.
Se si aderisce alla lettura proposta, comprensibile è, invece, la ragione
di detta invalidità per il contratto stipulato da chi è vincolato da matri-
monio o unione civile o contratto di convivenza con altra persona. Si
creerebbe altrimenti una disciplina conflittuale con riferimento ai diversi
rapporti, che la legge dovrebbe scongiurare. La disciplina sulla nullità
pone un delicato problema: se da ora in poi i contratti di convivenza siano
preclusi a tutti i partner non in possesso dei requisiti previsti dalla legge,
soluzione che innoverebbe profondamente rispetto a quanto sin qui con-
sentito, visto che la mancanza dei presupposti della convivenza potrebbe
incidere solo sulla causa dell’accordo e delle singole disposizioni in esso
contenute e sulla loro qualificazione. Deve considerarsi privo di effetti un
contratto volto ad instaurare la comunione legale ove i conviventi non
siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge: ad esempio, se uno
dei soggetti è stato condannato per l’omicidio del coniuge dell’altro o
risulta ancora unito ad altri in matrimonio (se, in quest’ultimo caso si
accede all’interpretazione che si è inteso privilegiare). Il notaio che redige
l’atto dovrà pertanto procedere ai relativi controlli.

6. Convivenze e famiglia.
È possibile a questo punto affrontare il problema, posto all’inizio di
queste pagine, se le unioni non fondate sul matrimonio possano conside-
rarsi nuove forme familiari. L’interrogativo non è di secondaria importanza
sia nella prospettiva di una individuazione dei valori su cui si fonda l’or-
dinamento e della ricostruzione sistematica dell’istituzione familiare sia in
vista dell’applicazione a queste unioni delle norme relative alla stessa. Si
pensi, ad esempio al riferimento contenuto nell’art. 31 Cost. circa l’ado-
zione di misure economiche ed altre provvidenze volte ad agevolarne la
formazione, all’art. 36 Cost. il quale richiede che la retribuzione sia suffi-
ciente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa,
all’art. 37 Cost. che impone di assicurare alla donna condizioni di lavoro
tali da consentire l’adempimento della funzione familiare che le è propria.
Secondo l’interpretazione tradizionale i limiti posti dall’art. 29 Cost.
sarebbero tali da doversi escludere la possibilità di considerare famiglie le
unioni non matrimoniali (100) le quali andrebbero tutt’al più considerate

(100) Cfr. per tutti A. RUGGERI, «Strane» idee sulla famiglia, loro ascendenze teoriche e
implicazioni di ordine istituzionale, in La famiglia davanti ai suoi giudici, Atti del Convegno
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le nuove leggi 399

unioni parafamiliari (101), non assimilabili alla prima, alle quali eventual-
mente estenderne la tutela in ipotesi particolari. L’espressione “società
naturale” non legittimerebbe infatti la ricostruzione dell’istituto in chiave
evolutiva ma starebbe ad indicare che la famiglia preesiste allo Stato, il
quale deve limitarsi a riconoscerla e rispettarne l’autonomia (102) per ga-
rantire adeguato sviluppo alla persona. Di qui la conclusione che per
introdurre nuove forme di unioni familiari occorrerebbe procedere alla
revisione dell’art. 29.
Alla conclusione opposta perviene invece la dottrina più recente (103)
in virtù delle argomentazioni già ricordate. In questo senso sembrerebbe
invero orientata anche la Corte costituzionale la quale, nella sent. n. 138/
2010 afferma che il concetto di famiglia deve interpretarsi tenendo conto
“non solo delle trasformazioni dell’ordinamento ma anche dell’evoluzione
della società e dei costumi”.
Ancor più significativa è la posizione assunta dalla Corte Edu la quale,
ormai da molti anni, ha sottolineato che il diritto alla vita familiare, enun-
ciato dall’art. 8 CEDU, è riconosciuto non solo alle famiglie fondate sul
matrimonio ma anche alle coppie di fatto (104), ivi comprese le unioni
omosessuali (105).
La Corte di cassazione e la giurisprudenza di merito, inoltre, utilizzano
ormai comunemente l’espressione “famiglia di fatto” con riferimento alle
convivenze dotate di stabilità; emblematico al riguardo è, ad esempio, un
passo di una recente sentenza della Corte (106) nella quale si afferma che

dell’Associazione Gruppo di Pisa, Catania 7-8 giugno 2013, Napoli, 2014, p. 331 ss.;
BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 520 ss.; G. GIA-
COBBE, Famiglia, molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., p. 1219 ss.
(101) BUSNELLI, Ibidem ed anche F. GAZZONI, op. cit., passim.
(102) Con riferimento a questo aspetto v. A.M. SANDULLI, op. cit., p. 7 ss.
(103) Cfr. Per tutti, F. GAZZONI, op. cit., p. 148 il quale osserva che “l’assunzione dello
schema da socialmente a giuridicamente tipico non incontrerebbe quindi alcun ostacolo in
chiave di costituzionalità (...) (ma) in chiave di opportunità”; V. SCALISI, La «famiglia» e «le
famiglie», in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Atti del Convegno di Verona
14-15 giugno 1985, Padova, 1986, p. 270 ss.; ZATTI, Familia familiae – Declinazione di
un’idea, I. La privatizzazione della famiglia, in Familia, 2002, p. 9 ss.; BALESTRA, L’evoluzione
del diritto di famiglia e le molteplicità affettive, cit., p. 1 ss.; G. FERRANDO, Il matrimonio, cit.,
p. 1 ss.; F. ROMEO, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non
matrimoniali, cit., p. 3 ss.; M. SEGNI, Unioni civili: non tiriamo in ballo la costituzione, cit., p.
707 ss.
(104) Corte Edu 22 aprile 1997, X e altri v. Regno Unito.
(105) Corte Edu 24 giugno 2010, cit.; Corte Edu 19 febbraio 2013, n. 19010/2007 X e
atri v. Austria, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 519.
(106) Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 681 con nota di
AL MUREDEN.
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400 le nuove leggi civili commentate 3/2016

detta espressione «non consiste soltanto nel convivere come coniugi ma


indica prima di tutto una “famiglia”, portatrice di valori di stretta solida-
rietà, di arricchimento e sviluppo della personalità».
A mio avviso quest’ultima è l’interpretazione da preferire (107) alla luce
di una lettura sistematica degli artt. 2 e 29 Cost. (108) (l’art. 2 contempla
dunque il genus, l’art. 29 la species) (109). Come si è rilevato in precedenza
(par. 1) l’art. 29 non pone ostacoli all’introduzione (o all’applicazione) di
regole che connotano la famiglia anche a unioni non fondate sul matrimo-
nio, bensı̀ impone al legislatore il riconoscimento del modello di unione
fondato sul matrimonio, legittimando eventualmente scelte volte ad instau-
rare una tutela privilegiata della stessa rispetto ad altre forme di unio-
ne (110). Poco persuasiva appare l’idea che il riconoscimento della funzione
di promozione della persona debba dipendere dalla costituzione di un
vincolo formale.
La possibile ricostruzione in chiave familiare delle unioni non fondate
sul matrimonio trova anche riscontro, a mio avviso, nelle normative più
recenti ed in particolare quella sul c.d. affidamento condiviso, perché ha
ricondotto ad unità le regole volte a disciplinare gli effetti della crisi con
riferimento sia alle unioni coniugali sia a quelle non fondate sul matrimo-
nio ed alla riforma della filiazione che, nell’introdurre il medesimo stato
per tutti i figli, ha riconosciuto la rilevanza del legame di parentela anche
fra i componenti di una unione non fondata sul matrimonio, i quali ven-
gono dunque considerati a tutti gli effetti come gruppo familiare (111).
Riguardo alla riforma in esame, potrebbe obiettarsi che il legislatore
non ha parlato di famiglia a proposito delle “unioni civili”, e delle convi-
venze, ma ciò non appare decisivo perché tale ricostruzione spetta all’in-
terprete sulla base dei connotati che le accomunano. A parte naturalmente

(107) V. nello stesso senso BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 38 ss.
(108) Non si tratta quindi di dimenticare – come afferma F. GAZZONI, Manuale di diritto
privato, Napoli, 2015, p. 317 – il ruolo di esclusività riservato dalla Costituzione alla famiglia
legittima, ma di privilegiare altra possibile lettura della norma.
(109) Cfr. in proposito anche SPADAFORA, op. cit., p. 1 ss.
(110) È largamente condivisa l’idea secondo la quale la famiglia legittima rappresenta
l’«istituzione» ed il riferimento per gli altri modelli familiari: v. in proposito V. SCALISI, Le
stagioni della famiglia nel diritto dall’unità dell’Italia a oggi, cit., p. 2043 ss.; BONILINI, op. ult.
cit., p. 1 ss.
(111) Osserva al riguardo CAREDDA, Spunti evolutivi sull’art. 258 c.c.: il riconoscimento,
la parentela, la famiglia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, p. 383 ss., che quantunque non si
costituisca un legame anche tra i membri delle due stirpi (paterna e materna) e dunque
rimanga una differenza rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, tale diversità non
costituisce ostacolo a ricondurre al modello familiare la relazione tra figlio riconosciuto e
parenti.
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le nuove leggi 401

l’elemento della diversità di sesso, tali connotati trovano riscontro, in larga


parte nelle unioni civili. Anch’esse si caratterizzano infatti per esclusività e
stabilità del rapporto, che viene costituito in base alla legge, in maniera
certa, mediante espressione del consenso da parte degli interessati, con il
quale si manifesta disponibilità a costituire una comunione di vita fondata
su diritti e doveri. Irrilevante appare invece l’impossibilità per la coppia di
procreare naturalmente (112). L’esclusività si fonda sul presupposto che
l’unione non può essere costituita da chi è legato con altri in matrimonio
o da altra unione civile; la stabilità può cogliersi nella necessità di instau-
rare un procedimento giudiziale per giungere allo scioglimento, anche se
maggiormente semplificato rispetto a quello previsto per l’unione coniu-
gale, al quale sopravvive il dovere di assistenza materiale (assegno di man-
tenimento, pensione di reversibilità, diritti sulla casa familiare) espressione
di una solidarietà pregressa. Particolarmente significativo in questa rico-
struzione è il riferimento normativo all’«indirizzo della vita familiare» che
le parti dell’unione devono concordare ed al quale ciascuno può dare
disgiuntamente attuazione (comma 12˚).
Le divergenze sono costituite invece dalla mancanza della capacità
espansiva per l’ostacolo, innanzi rilevato, circa la costituzione del rap-
porto di affinità con i parenti del convivente e quindi all’ingresso a pieno
titolo nella sua famiglia. Diverso inoltre è l’iter di formazione del rap-
porto. La coppia non può generare naturalmente mentre l’accesso ad
altre modalità di filiazione è precluso dal legislatore mediante il divieto
di accesso alla procreazione assistita e all’adozione. Limite quest’ultimo
di non poco conto ma che non appare decisivo per negare il carattere
familiare dell’unione (113) in quanto anche la famiglia legittima può essere
formata dai soli coniugi; le altre differenze poste in luce appaiono poi del
tutto marginali.
Occorre verificare a questo punto se alla medesima conclusione possa
pervenirsi rispetto alle c.d. convivenze di fatto (etero ed omosessuali),
ribadendo peraltro che il legislatore non usa mai l’espressione famiglia al

(112) Considera invece questo requisito essenziale, A. SCALISI, La famiglia nella cultura
del nostro tempo, cit., p. 711 ss. In senso contrario anche SCIARRINO, Minore, adozione e
famiglia di fatto: le ragioni di una difficile convivenza, in Le relazioni affettive non matrimo-
niali, cit., p. 418, ma con riferimento all’adozione da parte di coppia omosessuale.
(113) Prima della riforma in esame la dottrina risultava divisa. Opinione negativa
esprimevano ad esempio C.M. BIANCA, op. cit., p. 20, nt. 48; D’ANGELI, op. cit., p. 12 ss.,
sul presupposto che l’impianto costituzionale considererebbe famiglia solo l’unione etero-
sessuale. Per ulteriori indicazioni bibliografiche v. BALESTRA, L’evoluzione del diritto di
famiglia e le molteplicità affettive, cit., p. 18, nt. 66.
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402 le nuove leggi civili commentate 3/2016

fine di identificarle (114). In senso negativo sembrerebbe deporre la man-


canza di un’espressione certa del consenso da parte dei partners al mo-
mento della costituzione e di elementi univoci ai quali ricondurre la fatti-
specie (aspetto non marginale (115) soprattutto relativamente ai rapporti
con i terzi), nonché l’assenza di doveri reciproci, la mancata garanzia della
esclusività (ove si ammetta che la tutela oggi prevista dalla legge possa
applicarsi anche se è ancora in vita un precedente vincolo matrimoniale o
di unione civile) e della stabilità (si può sciogliere in maniera immediata
per volontà unilaterale). Le differenze rilevate rispetto alle coppie coniu-
gate ed a quelle legate da unione civile appaiono del tutto evidenti ma
probabilmente non sufficienti anche in questo caso a negare il carattere
familiare della relazione.
A mio avviso infatti il tratto fondamentale della famiglia è dato dal-
l’essere e non dal dover essere (116), cioè dall’esercizio della sua funzione di
promozione della persona, nella consolidata attuazione del modello di vita
matrimoniale mediante fedeltà reciproca, assistenza morale e materiale,
collaborazione, contribuzione. È vero, la mera attuazione non dà sicurezza
per il futuro ma vi è pur sempre la certezza del passato e del presente,
sufficienti a giustificare il sostegno dell’unione riservato in generale alla
famiglia, favorendone stabilità. Sarebbe un paradosso considerare famiglia
un’unione matrimoniale nel contesto della quale i doveri vengono (fre-
quentemente) violati e negare il medesimo riconoscimento alla coppia
che di fatto attua il modello matrimoniale, pur non avendone assunto
l’impegno. Determinante resta però, a mio parere, il carattere dell’esclu-
sività: il nostro ordinamento non ammette esistenza di più unioni familiari
alle quali la persona può appartenere contemporaneamente (altro è natu-
ralmente il discorso se la famiglia considerata è quella monogenitoriale).
Anche il mito della differenza fra famiglia legittima e unione di fatto
riguardo alla stabilità va ridimensionato per la facilità con la quale ormai si
può ottenere lo scioglimento del matrimonio. Occorre infatti considerare
che, per interpretazione consolidata, la separazione può comunque otte-

(114) Osserva più in generale CAGGIA, Il linguaggio del «nuovo» diritto di filiazione, in
Riv. crit. dir. priv., 2015, p. 235 ss. che «le soluzioni linguistiche contenute nei testi legislativi
possono ricevere una deviazione sul terreno applicativo se filtrate dagli schemi concettuali
dell’interprete».
(115) V. in proposito F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit., p. 25.
(116) Diversi sono gli autori che prima della riforma ritenevano possibile individuare
nelle unioni di fatto un nucleo familiare. V. per tutti C.M. BIANCA, op. cit., p. 20, il quale
afferma che «la famiglia di fatto risponde pur sempre al modello della famiglia ‘nucleare’
quale comunità di un uomo e di una donna che si uniscono stabilmente».
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le nuove leggi 403

nersi dal coniuge che la chiede (anche nel caso in cui la crisi è a lui
ascrivibile) ed in tempi molto brevi (al massimo dopo un anno dalla
domanda). Ed allora occorre chiedersi se si possa ancora parlare di mag-
giore stabilità della famiglia legittima rispetto all’unione di fatto o se piut-
tosto la stabilità non dipenda solo dalle caratteristiche del rapporto (durata
e intensità della comunione di vita).
Significativa è anche la sopravvivenza ormai riconosciuta dalla legge di
effetti, pur limitati, allo scioglimento dell’unione (diritto agli alimenti,
diritti sulla casa familiare) (117).
Esisterebbero anzi probabilmente tutti i presupposti per un’apertura
dell’adozione alle coppie eterosessuali (118).

7. La ricomposizione familiare nelle unioni non matrimoniali.


La riforma in esame non contiene una disciplina della ricomposizione
familiare, verosimilmente perché eccedeva gli obiettivi che il legislatore si
era posto di raggiungere con una disciplina delle unioni non matrimoniali.
La famiglia ricomposta infatti può essere a sua volta fondata o meno sul
matrimonio. Ciò non toglie che un intervento normativo in proposito
appare comunque opportuno per regolare in maniera organica una realtà
sempre più diffusa socialmente e dalla quale scaturiscono complesse pro-
blematiche.
Per famiglia ricomposta si intende, come è noto, generalmente (119) il
nucleo familiare nato sulle ceneri di passate esperienze di vita in comune
(fondate o meno sul matrimonio) di ciascuno dei suoi componenti e dai
figli eventualmente generati in tali contesti nonché dai figli nati dalla nuova
famiglia.
La nuova coppia può essere coniugata, legata da unione civile o convi-
vente di fatto e viene dunque sottoposta alle comuni regole riguardanti la
famiglia, le quali – come accennato – non affrontano le questioni connesse al
rapporto tra la nuova e la precedente unione. Ad esempio nulla è disposto
riguardo alla relazione fra obbligo di contribuzione derivante per legge dalla

(117) Risulta cosı̀ superato il rilievo critico formulato da F. GAZZONI, op. ult. cit., p. 36 s.
secondo il quale la famiglia di fatto si diversifica dall’unione matrimoniale perché non è in
grado di proiettare i propri effetti oltre il tempo della convivenza.
(118) Pur non potendosi negare che i tempi non sono ancora maturi, come può
evincersi dal contrastato dibattito parlamentare sull’adozione del figlio del convivente nelle
unioni civili. Altro ostacolo è costituito dal fatto che secondo la Corte Edu sarebbe illegit-
timo negare l’adozione alla coppia omosessuale se riconosciuta a quella di sesso diverso.
(119) Sono in uso però anche espressioni diverse come ad esempio, famiglia ricostituita,
seconda famiglia, famiglia composita, stepfamily.
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404 le nuove leggi civili commentate 3/2016

nuova unione o da un patto di convivenza e la prestazione dell’assegno


divorzile o dell’assegno dovuto in seguito allo scioglimento di una prece-
dente unione civile. Occorre aggiungere che l’obbligazione riferibile alla
precedente unione potrebbe anche derivare da un patto di convivenza
stipulato al fine di disciplinarne la crisi. Se entrambe le obbligazioni trovano
fondamento nella legge la soluzione da privilegiare è quella volta a contem-
perare le ragioni di entrambi gli aventi diritto in quanto l’entità delle pre-
stazioni a carattere contributivo deve fissarsi anche in base alle condizioni
economiche dell’obbligato. Analoga soluzione va adottata se la contribuzio-
ne (ivi compresa quella connessa alla crisi dell’unione) è disciplinata da un
patto di convivenza in virtù della natura stessa della prestazione, la quale
assumerebbe funzione diversa ove non commisurata alle condizioni econo-
miche suddette. In assenza di un patto di convivenza la giurisprudenza
configura tra i conviventi la nascita di un’obbligazione naturale reciproca
alla contribuzione (120). Il possibile conflitto tra quest’ultima con l’assegno
divorzile (o di mantenimento nella separazione) ha indotto una corrente di
pensiero a privilegiare l’obbligazione derivante dalla liquidazione dell’asse-
gno ove il convivente non sia in grado di sostenere gli oneri contributivi
derivanti dalla prima e dalla seconda unione (121).
La soluzione non convince sia pure limitatamente all’ipotesi di divor-
zio (nel caso di separazione infatti la prima unione è ancora in vita e la
tutela della convivenza deve quantomeno cedere alla protezione della pri-
ma) perché porterebbe alla negazione del diritto del divorziato di formarsi
una nuova famiglia sostenendola economicamente (122).
Se è poi l’avente diritto a fruire del mantenimento, è prevista l’estin-
zione del credito, derivante dalla liquidazione dell’assegno divorzile o
dell’assegno dovuto per lo scioglimento dell’unione civile, in seguito al
passaggio a nuove nozze del titolare o nell’ipotesi similare in cui egli
contragga una nuova unione registrata. Analoga soluzione normativa
non è contemplata per il caso in cui il titolare dà vita ad una nuova

(120) V., ad esempio, Cass. 3 febbraio 1975, n. 389, in Foro it., 1975, I, p. 2301; Cass.
26 gennaio 1980, n. 651; Trib. Bologna 20 dicembre 2006, in Il merito, 2007, p. 37; Trib.
Napoli 27 gennaio. 2005, in Dir e giust., 2005, p. 111.
(121) Pur con argomentazioni diverse v. in tal senso PROSPERI, La famiglia non fondata
nel matrimonio, Napoli, 1980, p. 352 ss.; F. GAZZONI, op. ult. cit., p. 114; G. CECCHERINI, I
rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 380; D’AN-
GELI, La tutela della convivenza senza matrimonio, Torino, 1995, p. 81 s.; A. TRABUCCHI, Pas
par cette voie s’il vous plait!, cit., p. 352.
(122) Sulla possibilità di giungere alla diminuzione dell’assegno post-matrimoniale per
garantire il soddisfacimento dei bisogni dell’unione di fatto si è espressa Cass. 11 maggio
1983, n. 2353, in Giur. it., 1983, I, p. 1225.
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le nuove leggi 405

convivenza di fatto e tuttavia, secondo un recente indirizzo della Cassa-


zione (123), egli perderebbe ugualmente il diritto (e non dovrebbe subire
pertanto solo una diminuzione dell’assegno) ove nel contesto della unione
di fatto fosse contemplata la contribuzione reciproca ai bisogni familiari,
anche se questa non giungesse a garantire il tenore di vita assicurato
dall’assegno stesso (124). Si aggiunge inoltre che il pregresso diritto non
potrebbe rivivere ove l’unione di fatto si estinguesse. La medesima solu-
zione potrebbe essere prospettata in futuro verosimilmente ove quella
pregressa fosse una unione civile. Viene adottata pertanto, in maniera
non del tutto persuasiva, la soluzione molto simile a quella prevista per
il passaggio a nuove nozze (125).
Anche l’argomentazione addotta dalla Corte, a fondamento della so-
luzione tesa a valorizzare la funzione della famiglia di fatto non convin-
ce (126). Se infatti potrebbe, a tutto concedere, condividersi il ragionamen-
to secondo il quale il diritto al tenore di vita pregresso si perde definiti-
vamente, particolarmente penalizzante mi sembra la soluzione secondo la
quale in caso di rottura della convivenza non potrebbe avanzarsi alcuna
pretesa economica verso il coniuge o l’ex coniuge neppure se intesa ad
ottenere un assegno che consenta di mantenere il tenore di vita (più
modesto) goduto durante la convivenza. Mentre infatti chi passa a nuove
nozze può contare sul dovere di contribuzione che scaturisce dalla nuova
unione anche nel caso in cui essa entri in crisi, al convivente verrebbe
negato ogni sostegno: quello derivante dall’unione di fatto perché dal suo
scioglimento non scaturisce alcun dovere economico, quello risalente alla
prima unione perché definitivamente estinto.
Appare allora più persuasivo il precedente indirizzo prospettato dalla
Corte secondo il quale l’assegno dovuto in seguito alla separazione o al
divorzio entra in fase di quiescenza (127), col correttivo secondo il quale la
nuova pretesa – avanzata verso il coniuge o l’ex coniuge – non può ecce-

(123) Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, cit.; Cass. 9 settembre 2015, n. 17856.
(124) Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, nella determinazione delle
condizioni dell’avente diritto occorre tenere conto del soddisfacimento dei bisogni avvenuto
nel contesto della convivenza.
(125) Infatti la Cassazione precisa che in questo caso l’estinzione del diritto all’assegno
non consegue automaticamente ma in seguito ad un accertamento giudiziale sull’esistenza
della contribuzione.
(126) Condividono invece la soluzione CICERO e M. RINALDI, Formazione di una nuova
famiglia non fondata sul matrimonio e perdita dell’assegno divorzile, in Dir. e fam., 2016, p.
314 ss.
(127) Cass. 17 ottobre 1989, n. 4158, in Giur. it., 1990, I, p. 587; Cass. 17 gennaio
2002, n. 432, in Giust. civ., 2002, I, p. 1001.
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406 le nuove leggi civili commentate 3/2016

dere quanto necessario per condurre il tenore di vita (eventualmente più


modesto) goduto nel contesto della famiglia di fatto.
Passando all’esame dei profili connessi alla filiazione, occorre subito
rilevare l’inadeguatezza della regolamentazione dei rapporti tra genitore
sociale e figli generati dall’altro membro della coppia e tra i figli nati dalle
diverse unioni. Attualmente l’unica modalità consentita per formalizzare il
rapporto è costituita dall’adozione in casi particolari che l’art. 44, lett. b), l.
adoz. considera possibile, tuttavia, solo con riferimento al coniuge del
genitore ma non anche per il convivente. Pertanto nessun legame sembra
costituirsi tra il convivente ed i figli dall’altro e tra i figli derivanti dalle
precedenti unioni. Detta carenza si registra anche nel caso in cui la coppia
ricomposta sia costituita da persone del medesimo sesso riguardo ai figli
generati nel contesto di precedenti unioni eterosessuali.
Tale possibilità era contemplata nel testo del d.d.l., approdato in aula al
Senato, mediante una disposizione (l’art. 5) che consentiva ad uno dei
membri dell’unione di procedere all’adozione dei figli dell’altro. Essa però
non è stata riproposta nella versione definitiva per il fermo dissenso emerso
all’interno di una parte maggioranza che, come in precedenza accennato
(par. 2), avrebbe ostacolato l’approvazione della riforma. La motivazione di
fondo era costituita dal rischio che, mediante tale forma di adozione, si
potessero incentivare le pratiche del c.d. utero in affitto e della procreazione
assistita da parte di donna sola, vietate nel nostro Paese ma non in altri. In
particolare, alla maternità surrogata avrebbe potuto ricorrere una coppia
composta da due uomini uno dei quali sarebbe divenuto padre genetico e
l’altro padre adottivo; la filiazione da parte di una coppia composta da due
donne avrebbe potuto realizzarsi invece mediante ricorso a fecondazione
eterologa di una ed adozione da parte dell’altra. Sarebbe in verità possibile
anche pervenire a conclusione opposta ove si ritenesse che l’inciso del
comma 20˚ secondo il quale “resta fermo quanto previsto e consentito in
materia di adozione dalle norme vigenti” consenta di fare riferimento al
“diritto vivente” e dunque alla prevalente interpretazione giurisprudenziale.
Ammesso pure che la cancellazione della norma abbia scongiurato tale
rischio (esito tutt’altro che scontato, come si è detto in virtù della tendenza
giurisprudenziale a riconoscere comunque il ruolo del genitore sociale già
esercitato in via di fatto, invocando l’interesse del minore il quale finisce
col prevalere anche sul principio di legalità (128)), ci si sarebbe potuti

(128) A favore dell’adozione si sono pronunziati Trib. min. Roma 30 luglio 2014, in Dir.
e fam., 2014, p. 1533; confermata da App. Roma 23 dicembre 2015; Trib. min. Roma 22
ottobre 2015 e App. Milano 10 dicembre 2015, in Foro it., 2016, I, p. 338 ss. Ma in senso
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le nuove leggi 407

limitare a modificarne il testo, lasciando salva la facoltà per il componente


dell’unione civile di adottare i figli generati dall’altro in precedenti unioni
familiari fondate o meno sul matrimonio o comunque già nati in base ad
un progetto di vita comune posto in essere prima di dare vita all’unione
civile. Ciò avrebbe consentito di risolvere senza grosse difficoltà alcuni dei
principali problemi relativi alla ricomposizione familiare quali ad esempio
l’attribuzione anche al genitore sociale della responsabilità genitoriale e dei
doveri connessi alla medesima (istruzione, assistenza, mantenimento). Anzi
sarebbe stato opportuno, verosimilmente, riconoscere tale possibilità an-
che al convivente di fatto.
Come fin qui accaduto pertanto la risoluzione dei complessi problemi
derivanti dalla ricomposizione familiare, ai quali ci si limiterà sinteticamen-
te ad accennare per economia della trattazione, rimangono ancora affidati
all’attività dell’interprete, con i rischi connessi a tutti i casi in cui manchi
una scelta (univoca) da parte del legislatore sulla soluzione da adottare per
contemperare gli interessi in conflitto.
Alle regole sull’affidamento ed alle dinamiche legate all’assunzione
delle decisioni familiari occorre fare riferimento per risolvere il problema
concernente l’inserimento del minore nella nuova famiglia. Il genitore
collocatario od esclusivo affidatario può essere infatti colui che ha costi-
tuito la nuova famiglia al cui interno vive il minore. Non ricorrendo nelle
ipotesi esaminate una unione matrimoniale, non trova applicazione l’art.
252 c.c. in virtù del quale il coniuge ed i figli conviventi sono chiamati per
lo più ad esprimere il consenso all’inserimento in famiglia di figli nati da
precedenti unioni. Ciò non toglie che una opposizione del convivente o del
componente dell’unione civile potrebbe assumere rilevanza riguardo al
collocamento o all’affidamento del minore, in vista della tutela del suo
interesse. Tuttavia, nel rapporto di coppia una opposizione non adegua-
tamente motivata rimane certamente priva di conseguenze nel caso di
unione di fatto (in mancanza di doveri derivanti dalla stessa), ma questo

contrario Trib. min. Piemonte e Valle d’Aosta 11 settembre 2015 n. 258 e n. 259, in Nuova
giur. civ. comm., 2016, p. 205, con nota di A. NOCCO. In tutti i casi si trattava di coppia
convivente o coniugata all’estero formata da due donne, con richiesta di procedere all’ado-
zione di figli della madre genetica. La tesi favorevole si colloca all’interno di un filone
giurisprudenziale secondo il quale la lett. d), dell’art. 44, l. adoz., che consente di ricorrere
all’adozione particolare quando non è possibile procedere all’affidamento preadottivo, do-
vrebbe interpretarsi nel senso di riconoscere detta possibilità anche quando sussiste un
ostacolo giuridico (e non solo di fatto) come nel caso di coppia non coniugata: v. al riguardo
Trib. min. Milano 28 marzo 2007, in Fam. e minori, 2007, p. 83 e App. Firenze 26 settembre
2012.
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408 le nuove leggi civili commentate 3/2016

rischio potrebbe profilarsi anche riguardo all’unione civile non essendo


previsto, come si è detto in precedenza, un dovere di collaborazione tra i
suoi membri. Sanzione che potrebbe operare invece (con eventuale limi-
tazione dell’assegno dovuto, per lo scioglimento dell’unione, dal compo-
nente responsabile) ove l’opposizione ingiustificata configurasse violazione
del dovere di assistenza morale sussistente fra i medesimi. Soluzione che
può apparire persuasiva (proprio in considerazione dell’assenza del dovere
di collaborazione) in quanto un rifiuto ingiustificato dei figli dell’altro
denota pur sempre una carenza di solidarietà e sostegno morale nei con-
fronti di quest’ultimo.
Nella pratica peraltro è molto probabile che il porre ostacoli alla
convivenza in famiglia dei figli del partner o del componente l’unione civile
conduca alla crisi ed allo scioglimento della coppia.
In mancanza della formalizzazione del rapporto è da escludere che al
genitore sociale possa essere attribuito l’esercizio della responsabilità ge-
nitoriale, funzione riservata ai genitori di sangue. Ciò non toglie che du-
rante il periodo in cui il genitore vive con il minore possa avvalersi del
partner o dell’altro componente dell’unione civile per esercitare le funzioni
di cura che gli spettano. Tale forma di collaborazione potrebbe anche
essere prevista nel contesto dell’accordo con il quale i genitori disciplinano
la crisi della loro unione matrimoniale e sottoposta al controllo del giu-
dice (129).
Anche riguardo al mantenimento del figlio l’obbligazione sussiste in-
nanzitutto per i genitori genetici, mentre non può escludersi che, in via di
fatto, il genitore sociale contribuisca al mantenimento nel contesto gene-
rale della contribuzione familiare. Una obbligazione civile può essere as-
sunta ove detto contributo sia previsto nella determinazione dell’indirizzo
di vita dell’unione civile o nell’accordo di convivenza volto a disciplinarla.
All’infuori di questi casi, dubbi si configurano circa l’esistenza di un’ob-
bligazione siffatta se i genitori genetici non siano in condizione di adem-
piere. Vi è chi l’ha ricondotta al ruolo assunto dall’affidatario in via di
fatto (130), cioè da colui che, convivendo senza un incarico specifico con
una persona non in grado di badare a se stessa, deve prendersene cura,
soluzione che consentirebbe di configurare l’obbligazione anche all’interno
della famiglia di fatto; tale possibilità sarebbe invece riconducibile solo
all’unione civile se fondata sul dovere di assistenza reciproca che compor-

(129) V. in proposito, D. BUZZELLI, La famiglia “composita”, Napoli, 2012, p. 237 s.


(130) C.M. BIANCA, op. cit., p. 255 s.; D. BUZZELLI, op. cit., p. 252.
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le nuove leggi 409

terebbe però, verosimilmente, un ampliamento improprio del medesimo.


A mio avviso l’accordo intervenuto tra i conviventi potrebbe essere inteso
come implicita espressione della volontà di rendere partecipi tutti i suoi
membri del medesimo tenore di vita, dal quale dovrebbe comunque quan-
tomeno scaturire un’obbligazione naturale, con conseguente irripetibilità
di quanto prestato ove si verifichi la crisi dell’unione.
Il principio di reciprocità è stato invocato per fondare invece l’obbli-
gazione civile del figlio di contribuire ai bisogni della famiglia ricompo-
sta (131). Tuttavia un ostacolo in tal senso può rinvenirsi nella ratio, desu-
mibile dal dettato dell’art. 328 c.c., secondo la quale, nel caso di passaggio
a nuove nozze, il genitore titolare dell’usufrutto legale deve accantonare a
favore del figlio i frutti eccedenti rispetto a quanto occorre per assicurare il
suo mantenimento, istruzione, educazione; mentre può trovare giustifica-
zione un’interpretazione estensiva che consenta di utilizzare le risorse per il
soddisfacimento dei bisogni di tutta la famiglia originaria ciò è certamente
escluso per i membri della nuova famiglia, altrimenti la norma perderebbe
di significato. Né può invocarsi il principio di reciprocità, in quanto l’ob-
bligazione del genitore sociale trova fondamento nella scelta della coppia
di inserire nel nuovo nucleo i nati dalla precedente unione (decisione che
spetta anche ai figli nella famiglia legittima ma non prevista per le unioni
civili e le famiglie di fatto). L’inserimento del figlio della nuova famiglia
può dar vita pertanto solo ad un’obbligazione naturale contributiva con
conseguente irripetibilità della prestazione spontaneamente adempiuta sul-
la base delle regole proprie di tale obbligazione.
Un cenno, infine, alle problematiche concernenti lo scioglimento della
famiglia ricomposta non fondata sul matrimonio. Mentre le regole generali
sul mantenimento e l’affidamento dei figli trovano applicazione per la
prole generata nel contesto della nuova unione, la crisi non incide sull’af-
fidamento dei figli nati dalla precedente, che resta riservato ai genitori di
sangue. Un affidamento a terzi (nella specie il genitore sociale) resta un
fatto eccezionale che presuppone l’inidoneità o la temporanea impossibi-
lità di entrambi i genitori genetici, presupposti del tutto autonomi rispetto
alla crisi della nuova famiglia.
Diverso problema è se in questo contesto il giudice possa disporre la
conservazione del rapporto instaurato col minore dal genitore sociale ove
ciò risponda agli interessi del primo (132). Invocare la regola posta dall’art.

(131) D. BUZZELLI, op. cit., p. 272 s.


(132) Adotta la soluzione positiva Trib. Palermo 13 aprile 2015, in Dir. e fam., 2015, p.
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410 le nuove leggi civili commentate 3/2016

337, comma 1˚, c.c. secondo la quale il minore ha diritto di “conservare


rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale” (133) non convince del tutto. È fin troppo ovvio osservare che
nessun legame di parentela sussiste tra i figli dell’uno ed il genitore sociale
e neppure un rapporto di affinità (ammesso che tale estensione del testo
risulti ammissibile) ove si faccia riferimento, come nel caso in esame, alla
famiglia ricomposta non fondata sul matrimonio. All’interprete non è
dunque consentito ampliare a tal punto l’applicazione del dettato norma-
tivo al fine di assicurare la salvaguardia di qualsiasi rapporto significativo
instaurato dal minore con altre persone. Sembrerebbe allora più appro-
priato richiamarsi al principio introdotto di recente dalla l. n. 173/15
secondo il quale il giudice può disporre nell’interesse del minore provve-
dimenti volti a salvaguardare la continuità delle posizioni socio-affettive
consolidatesi durante l’affidamento (134).

8. Conclusioni.
Volendo dare una risposta all’interrogativo formulato all’inizio di que-
ste pagine, non ritengo che il riconoscimento e la tutela garantita alle
unioni non matrimoniali dalla riforma in esame possa accentuare il rischio
della crisi della famiglia fondata sul matrimonio o addirittura segnarne la
morte. È vero, la sua fragilità è un dato inequivocabile col quale occorre
confrontarsi e non solo prendere atto, tuttavia il problema non si risolve, a
mio avviso, negando tutela alle giuste istanze di coloro che intendono
condurre la loro esperienza di vita in maniera diversa da quella coniugale
ma assicurando serio sostegno, anche economico, a tutte le forme familiari.
Riguardo alle unioni del medesimo sesso occorre rammaricarsi che il
legislatore, per differenziarle da quelle fondate sul matrimonio, abbia im-
provvidamente puntato sul ridimensionamento dei doveri, quasi a volerne
favorire la fragilità (o forse solo a limitare le pretese risarcitorie del part-
ner, nei confronti dell’altro che si allontani dallo schema di vita matrimo-
niale).

616 con riferimento ad un’ipotesi di crisi della coppia formata da due donne e di ricono-
scimento del diritto di frequentare la figlia dell’altra nonostante il venir meno dell’unione.
(133) In tal senso D. BUZZELLI, op. cit., p. 253 ss.
(134) Più precisamente nell’art. 4 l. adoz. è stato inserito il comma 5˚ ter il quale
stabilisce che «Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno
nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra
famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle
positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento».
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le nuove leggi 411

Sulle unioni di fatto possono farsi le seguenti osservazioni: il legislatore


ha tentato di dare una soluzione volta a coniugare in maniera soddisfa-
cente istanze di libertà e di solidarietà ma tale bilanciamento avrebbe
potuto realizzarsi meglio garantendo una tutela più estesa ai membri del-
l’unione; sul piano della ricostruzione della fattispecie, l’interprete non
potrà escludere in futuro l’esistenza di una convivenza di fatto nel caso
in cui facciano difetto fedeltà e collaborazione (in quanto limitati dal
legislatore stesso alle coppie unite in matrimonio); sembra inoltre venuto
meno il principio secondo il quale la convivenza origina un’unione di fatto
in quanto anch’essa riceve ormai riconoscimento giuridico, quantunque
con la produzione di effetti più limitati rispetto alle altre due.
All’attività dell’interprete resta invece affidata la risoluzione dei pro-
blemi relativi alla tutela da riconoscersi ad unioni che non presentano i
connotati descritti dalla riforma (ad esempio, unioni affettive fra minoren-
ni, oppure in cui non vi è coabitazione o riscontro anagrafico). Potrebbe
forse ipotizzarsi l’applicazione della tutela fin qui riconosciuta alla famiglia
di fatto.
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MAURO BOVE (*)


Professore nell’Università di Perugia

UN NUOVO CASO DI PRONUNCIA D’UFFICIO: PROFILI


PROCESSUALCIVILISTICI DEL D.LGS. 15 GENNAIO 2016, N. 7
(d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7)

SOMMARIO: 1. Funzione della normativa. – 2. Una specie di azione penale nel processo civile.
– 3. Poteri delle parti e poteri del giudice. – 4. Definizione del giudizio. – 5. Problemi
in fase di impugnazione.

1. Funzione della normativa.


Col d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in attuazione della delega in materia
di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio di
cui all’art. 2, comma 3˚, l. 28 aprile 2014, n. 67 (1), si è voluto abrogare una
serie di reati e porre al loro posto illeciti puniti con sanzioni pecuniarie
civili da irrogare ad opera del giudice civile (2). Tale normativa è entrata in

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) Sugli obiettivi della delega ed anche sul suo condizionamento derivante dal quadro
europeo vedi V. BOVE e CIRILLO, L’esercizio della delega per la riforma della disciplina
sanzionatoria: una prima lettura, in Diritto penale contemporaneo, 2016, p. 6, ove emerge
la necessità di realizzare forme di giustizia riparativa, di affrontare il sovraffollamento car-
cerario, di ridurre le pendenze di fronte ai giudici penali. Peraltro sull’attuazione di questi
obiettivi i detti autori sembrano scettici.
(2) Ha scritto PADOVANI, Procedibilità e applicazioni, le differenze più nette, in Guida al
dir., 2016, n. 8, p. 76, che con esso la «politica di decriminalizzazione imbocca una strada
nuova: la trasformazione di reati in illeciti civili puniti con sanzioni pecuniarie punitive che si
aggiungono alla sanzione riparatoria del risarcimento del danno». Tuttavia, pur essendosi
cosı̀ colta la duplice valenza della medesima vicenda della vita, io non credo che si possa
parlare di trasformazione in illeciti civili. L’illecito resta civile per il solo profilo che attiene
alla riparazione del danno provocato alla situazione giuridica soggettiva del privato, mentre
esso, per l’altro profilo, non fa emergere il vulnus al diritto soggettivo del privato e vede solo
una sanzione di tipo civile, irrogata nell’ambito del processo civile. Questa, se si differenzia
dalla sanzione pecuniaria penale, per il fatto che in caso di inadempimento non si trasforma
in una sanzione che incide sulla libertà (cosı̀ sempre PADOVANI, op. cit., p. 76), tuttavia vede
come beneficiario lo Stato ed è del tutto personale, ossia non trasferibile agli eredi. Giu-
stamente V. BOVE e CIRILLO, op. cit., p. 2, nt. 2, rilevano come qui si possa parlare di “illeciti
civili” solo impropriamente e per brevità di linguaggio. Prudentemente la relazione (Gli
interventi di depenalizzazione e di abolitio criminis del 2016: una prima lettura, in www.cor-

NLCC 3/2016
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le nuove leggi 413

vigore il 6 febbraio 2016, ancorché la disposizione transitoria contenuta


nell’art. 12 del medesimo testo la renda applicabile pure ai fatti commessi
anteriormente (3) ed, inoltre, si debba attendere, alla luce dell’art. 9, un
decreto ministeriale che definisca «termini e modalità per il pagamento
della sanzione pecuniaria civile, nonché le forme per la riscossione del-
l’importo dovuto» (4).
Si tratta di fattispecie, per le quali era in precedenza prevista la pro-
cedibilità a querela, in cui emergono essenzialmente interessi privati, col-

tedicassazione.it) dell’ufficio del Massimario (settore penale) della Corte di cassazione parla
solo di «illeciti sottoposti a (inedite) sanzioni pecuniarie civili» (p. 18).
(3) Si legga integralmente la detta norma: «Le disposizioni relative alle sanzioni pecu-
niarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data
di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con
sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal
presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di
condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto,
dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti
conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni dell’ar-
ticolo 667, comma 4, del codice di procedura penale». Si precisa che anche qui vale il
principio giurisprudenziale per cui una abolitio criminis non esime il giudice dall’obbligo di
applicare una formula di assoluzione o di proscioglimento più favorevole nel merito, se ne
risultano gli elementi agli atti: sul punto V. BOVE e CIRILLO, op. cit., p. 28. Dubbio può
esservi in ordine alla sorte delle eventuali condanne del responsabile civile assunte dal
giudice penale. La sezione seconda penale della Corte di cassazione ha, con ordinanza dell’8
marzo 2016, affermato che il giudice dell’impugnazione, dopo aver dichiarato l’estinzione
del reato a causa dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 7/16, deve pronunciarsi sulle statuizioni
civili. Tuttavia la quinta sezione, sempre della Suprema Corte, con ordinanza del 23 febbraio
2016, n. 7125 (in Guida al dir., 2016, n. 13, p. 36), aveva rimesso alle Sezioni Unite la
questione in ordine al se «a seguito dell’abrogazione dell’articolo 594 c.p. ad opera dell’ar-
ticolo 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventual-
mente adottate con sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata
prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto». Poi il primo Presidente ha restituito il
fascicolo al Collegio della quinta sezione penale, affermando che non è sufficiente, per un
esame delle Sezioni Unite, la mera eventualità di futuri ipotetici contrasti (vedi BUFFONE,
Depenalizzazione: “sfuma” la soluzione ma resta il problema, in Guida al dir., 2016, fasc. 14,
26). Ma io mi domando: se la statuizione assunta dal giudice penale sul risarcimento del
danno resta in piedi, come si potrà mai irrogare la conseguente sanzione civile, posto che
questa, come vedremo, può essere irrogata solo dal giudice civile all’interno del processo
avente ad oggetto la pretesa risarcitoria della persona offesa? Secondo me ha quindi ragione
Trib. Cosenza 24 febbraio 2016, in Guida al dir., 2016, fasc. 15, 75 (sembrerebbe seguito da
Cass. 14 aprile 2016, n. 15634, in Guida al dir., 2016, fasc. 19, 33). L’alternativa è dire che
nel regime transitorio sia il giudice penale, il quale decide sul risarcimento dei danni, ad
applicare la sanzione punitiva: BUFFONE, Quell’assenza di norme transitorie che apre alla
Consulta, in Guida al dir., 2016, n. 13, p. 44 ss.
(4) BUFFONE, L’autorità che procede è il giudice competente sull’azione risarcitoria, in
Guida al dir., 2016, n. 8, p. 84 ss., spec. p. 85, rileva giustamente che il citato art. 9 riguarda
solo l’aspetto esecutivo, ben potendo i giudici civili irrogare la sanzione civile dal 6 febbraio
2016 in poi.
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414 le nuove leggi civili commentate 3/2016

legate a protezione dell’onore, del patrimonio o della pubblica fede (5).


Situazioni, quindi, per le quali si è voluto alleggerire il carico di lavoro del
giudice penale, trasferendone la trattazione al giudice civile, trattazione
ipotizzabile solo nell’eventualità che la parte offesa eserciti di fronte a
questi la normale azione civile, facendo valere il diritto al risarcimento
del danno derivante dall’illecito altrui (6).
Non interessa in questa sede analizzare le fattispecie in questione, le
quali sono elencante nell’art. 4 del sopra citato articolato e si dividono per
gravità in due gruppi: quelle di cui all’elenco inserito nel comma 1˚, per le
quali è prevista una sanzione pecuniaria civile da euro cento ad euro
ottomila, e quelle di cui all’elenco inserito nel comma 4˚, per le quali è
prevista una sanzione pecuniaria civile da euro duecento ad euro dodici-
mila.
Interessa, invece, qui approfondire il profilo squisitamente processual-
civilistico.
A tal fine emerge la seguente domanda: visto l’art. 8 del provvedimen-
to normativo in esame, nel quale si prevede che le sanzioni in parola sono
applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento
del danno, qual è il senso che dobbiamo attribuire all’ultimo comma del
medesimo articolo, ove si dispone che al procedimento, «anche ai fini
dell’irrogazione della sanzione pecuniaria civile, si applicano le disposizioni

(5) Cosı̀ già a fronte dello schema di d.lgs. discusso dal Governo il 13 novembre 2015
vedi MORAMARCO, Depenalizzazione, la ricerca affannosa del catalogo dei reati, in Guida al
dir., 2016, n. 2, p. 15. Vedi oggi V. BOVE e CIRILLO, op. cit., p. 2, in cui si rileva come
l’attuazione della delega, che aveva uno spettro più ampio di quello che rileva in questo
scritto, sia avvenuta in due provvedimenti: quello che qui si commenta, per il quale vale
quanto detto nel testo, e il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, G.U. n. 17 del 22 gennaio 2016, in
cui invece si ha la trasformazione in illeciti amministrativi di precedenti illeciti penali pro-
cedibili d’ufficio.
(6) PADOVANI, op. cit., p. 76, in modo condivisibile chiarisce che le sanzioni civili qui
disciplinate si accostano alle sanzioni pecuniarie amministrative, pur, però, differenziando-
sene sia per la procedibilità, che nei casi ora in oggetto dipende dall’iniziativa della persona
offesa, sia per l’applicazione, che, come vedremo, si ha nell’ambito del processo civile nel
quale l’offeso esercita la sua azione civile, sia, se cosı̀ si può dire, comunque per la natura
dell’illecito sanzionato, collegandosi la sanzione amministrativa alla violazione di norme che
presiedono alla funzione amministrativa. Ma allora è evidente, tornando alla precisazione di
cui alla precedente nt. 2, che parlare di sanzioni pecuniarie civili non significa affatto parlare
anche di illecito civile. Se questo sta nella violazione delle norme che presiedono alla
ripartizione dei beni tra i consociati, insomma nella violazione di una norma che protegge
un interesse individuale secondo lo schema del diritto soggettivo, ne consegue che qui
dobbiamo pur sempre tenere distinto il profilo dell’illecito civile in senso proprio da quello
che attiene ad una pretesa punitiva dello Stato. Da questo secondo punto di vista l’unico
elemento che porta a qualificare la sanzione come “civile” è dato solo dall’autorità che la
applica.
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le nuove leggi 415

del codice di procedura civile, in quanto compatibili con le norme del


presente capo»?
Una simile riserva di compatibilità può causare molti problemi appli-
cativi, rispetto ai quali in un commento a prima lettura, qual è il presente,
si ha la pretesa almeno di individuare le domande che emergeranno nella
futura esperienza pratica nell’ambito dei più svariati contesti, magari pro-
ponendo anche qualche risposta, sia pur con la prudenza imposta all’in-
terprete a fronte di una normativa che ad oggi non ha ancora una prassi
applicativa.

2. Una specie di azione penale nel processo civile.


Innanzitutto si rileva come qui si sia in presenza, inizialmente, di un
normale processo dichiarativo civile, sia nel suo oggetto sia nella disciplina
del percorso. Questa attinge alle regole del processo dichiarativo ordinario
dettate, almeno per il procedimento di fronte al tribunale, dagli artt. 163
ss. c.p.c. (7). Quello sta in una pretesa al risarcimento del danno derivante
da fatto illecito. Insomma, la domanda dell’attore, ossia del presunto
danneggiato (8), si risolve nella formulazione di un’ipotesi di sentenza in
cui si richiede l’applicazione dei principi ispiratori dell’art. 2043 c.c., cosı̀
come specificati nelle fattispecie qui tipizzate. Insomma, dal punto di vista
civilistico siamo in presenza di un’ordinaria azione da responsabilità extra-
contrattuale, ancorché i comportamenti in gioco troveranno il loro refe-

(7) Peraltro non è esclusa la competenza del giudice di pace, nei limiti previsti dalla
legge. Né, almeno in astratto, sembra preclusa la possibilità di seguire il percorso tracciato
dagli articoli 702 bis ss. c.p.c.
(8) Si potrebbe porre la questione: legittimato all’azione civile di cui si tratta può essere
ogni danneggiato o solo colui che, quale persona offesa dal reato, avrebbe in precedenza
potuto presentare querela? Se spesso, soprattutto nelle fattispecie sostanziali qui rilevanti, le
due figure coincidono, non è detto che ciò accada sempre. PADOVANI, op. cit., p. 78,
rilevando come in astratto alla domanda si potrebbe dare risposta positiva, rileva che, però,
in concreto l’art. 8, comma 2˚, dell’articolato ipotizzi l’irrogazione della sanzione civile
pecuniaria solo qualora venga accolta la domanda di risarcimento proposta dalla persona
offesa. Ed, allora, la domanda va riformulata: posto che non si può certo impedire ad un
danneggiato la facoltà di agire per il risarcimento del danno, anche se in ipotesi egli non
s’identifichi nella persona offesa, si può dire che comunque il giudice abbia in questa
occasione sempre il potere-dovere di esercitare l’azione punitiva dello Stato? Oppure si
deve ritenere che ciò sia ipotizzabile solo nell’ambito del processo instaurato dalla persona
offesa? Francamente io non darei cosı̀ tanta importanza alla lettera del comma 2˚ dell’art. 8
citato, perché mi pare evidente che qui ciò che conta è che sia esercitata un’azione risarci-
toria derivante dall’illecito, insomma che un interesse privato coinvolto sia fatto valere:
questo dovrebbe sempre far scattare anche il secondo e dipendente profilo sanzionatorio.
Comunque, come già accennato poco sopra, il problema in questione mi pare, almeno in
questo ambito, più teorico che reale.
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416 le nuove leggi civili commentate 3/2016

rente normativo di sussunzione, non nella fattispecie indeterminata della


norma dettata nel codice civile, bensı̀ nelle fattispecie specificamente de-
scritte nell’articolato in commento (9).
Nel corso di questo processo cosı̀ pendente, poi, lo Stato esercita
anche la sua pretesa punitiva consistente nell’irrogazione di una sanzione
pecuniaria (10), esercizio che è demandato allo stesso giudice, il quale,
come sembra, non può, ma piuttosto deve irrogare la detta sanzione nel-
l’eventualità che sia accolta la domanda risarcitoria, visti i primi due com-
mi dell’art. 8 del d.lgs. in commento, nei quali si legge, per un verso, che le
sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a cono-
scere dell’azione di risarcimento del danno e, per altro verso, che egli
decide sull’applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del
giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento del danno proposta
dalla persona offesa.
Insomma, lo Stato non si preoccupa in prima battuta di punire i
colpevoli di simili illeciti. Ma, se la persona offesa pretende il ristoro dei
danni subiti, allora lo Stato, nella persona del giudice investito della causa
civile, pretende di punire il danneggiante-colpevole di questo illecito con
una sanzione pecuniaria (11), che di per sé non si trasmette agli eredi (art.

(9) Come giustamente rileva PADOVANI, op. cit., p. 78 questo è un aspetto che deriva
dalla originaria matrice penale, che esige la tipicità degli illeciti.
(10) Sulla filosofia e le conseguenze pratiche della riforma è degna di citazione la
riflessione di PADOVANI, op. cit., p. 77, il quale rileva che, avendo il legislatore spostato il
carico della tutela dal pubblico ministero alla persona offesa, si è perseguito «un plausibile e
lodevole intento deflattivo (dei carichi penali) con mezzi surrettizi poco commendevoli. Il
giudizio civile costa, e molto: saranno dunque i beati possidentes a potersi permettere la
persecuzione giudiziaria di chi abbia offeso i propri interessi; ma lo faranno invano se i
trasgressori sono poveri in canna, e insensibili dunque alla prospettiva di una condanna
civile. Questi, d’altro canto, se potranno permettersi l’offesa, non saranno in grado di
reagirvi per mancanza di mezzi. Un ben strano modo di distribuire la giustizia, in perfetto
spregio dell’articolo 3 della Costituzione». Ma la riflessione è tanto degna di nota quanto
non condivisibile, perché, se la difficoltà nel “colpevole” di difendersi poteva essere sua
buona consigliera prima dell’offesa, le possibilità economiche del danneggiato erano rile-
vanti prima e continuano ad essere rilevanti ora in riferimento al solo profilo che lo interessa:
quello dell’azione giudiziaria rivolta al ristoro del suo danno.
(11) Situazione, questa, che non impedisce all’attore di rinunciare agli atti del giudizio.
Egli, insomma, può anche ripensarci, non essendo vincolato al giudizio per il fatto che in
questo emerga anche il conseguente profilo sanzionatorio d’interesse pubblico. Né un simile
profilo sottrae alla pretesa civilistica la qualifica della disponibilità, con tutto ciò che conse-
gue in riferimento all’utilizzabilità delle c.d. ADR. Né ancora è escluso che le parti chiudano
la vicenda processuale già avviata con una transazione, esito che impedisce a questo punto
l’applicazione della sanzione civile, la quale, ai sensi dell’art. 8, comma 2˚, dell’articolato in
commento, presuppone necessariamente l’accoglimento della domanda risarcitoria.
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le nuove leggi 417

9, comma 6˚) e il cui provento è devoluto a favore della Cassa delle


ammende (art. 10).
Come altri ha detto (12), di fronte al giudice civile «si concentrano una
funzione risarcitoria a favore del privato e una funzione sanzionatoria a
favore dello stato». Insomma siamo qui in presenza di due profili giuridici
diversi della stessa vicenda umana, dai quali emergono due pretese diverse,
sia per il soggetto a cui esse sono imputate sia per le loro fattispecie, che
non necessariamente coincidono, pur valendo per entrambe lo stesso ter-
mine di prescrizione, ossia quello di cui all’art. 2947, comma 1˚, c.c., qui
richiamato dall’art. 3, comma 2˚, dell’articolato in commento (13). La qual
cosa, poi, significa anche che certo non si può vedere nell’irrogazione della
sanzione civile un mero accessorio della condanna civile, una sorta di
automatica conseguenza di questa, senza alcuna autonomia. È vero che
la condanna al risarcimento del danno è elemento pregiudiziale necessario
per l’applicazione della sanzione pecuniaria. Ma ciò non significa affatto
disconoscere la consistenza giuridica della pretesa dal cui esercizio deriva
l’irrogazione di una tale sanzione, pretesa che, se è dipendente dalla sussi-
stenza del diritto al risarcimento del danno (rectius: dalla sua dichiarazione
in sentenza), tuttavia non si identifica con questo.
Che le fattispecie rilevanti per dette pretese non siano identiche emer-
ge già, per gli elementi costitutivi, dal profilo psicologico, dovendo per la
sussistenza della pretesa punitiva dello Stato aversi il dolo del “colpevole”
(art. 3, comma 1˚, del provvedimento), mentre per la sussistenza della
pretesa risarcitoria del danneggiato è sufficiente anche solo la colpa del
danneggiante.
Ma, anche per gli elementi attinenti ai fatti impeditivi, modificativi ed
estintivi le fattispecie non coincidono necessariamente, se si pensa al fatto
che nel caso di ingiuria lo stato d’ira del “colpevole” determinato da fatto
ingiusto altrui, sempre che la condotta illecita sia stata posta in essere
nell’immediatezza, non consente la punizione, mentre essa non rileva nella

(12) Vedi BUFFONE, Una combinazione genetica innovativa che ha due funzioni, in Guida
al dir., 2016, n. 8, p. 55 ss., spec. p. 56.
(13) A questo proposito a me non sembra che sia ipotizzabile il caso di una prescrizione
della pretesa punitiva con contemporanea permanenza della possibilità del danneggiato di
esercitare l’azione civile. Il caso è stato prospettato nell’eventualità di un fatto interruttivo
quale la costituzione in mora, che, è stato detto, vale appunto solo per questa e non anche
per quella (BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p. 86). Qui non si tratta tanto di escludere
l’operatività dell’art. 1310 c.c., quanto di rilevare che, in generale, il termine di prescrizione
non può decorrere quando il titolare del diritto non può esercitarlo (art. 2935 c.c.). E cosa
può fare lo Stato prima che il danneggiato eserciti l’azione civile risarcitoria?
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418 le nuove leggi civili commentate 3/2016

decisione relativa alla pretesa risarcitoria (art. 4, comma 3˚). O ancora al


fatto che, sempre nel caso di ingiuria, se le offese sono reciproche il
giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad en-
trambi gli offensori (art. 4, comma 2˚).
Senza considerare, poi, gli elementi fattuali che, non attinenti alla
sussistenza della pretesa punitiva dello Stato, condizionano piuttosto la
commisurazione della conseguente sanzione pecuniaria, essendo ad essi
ancorati i criteri per la determinazione del suo ammontare (art. 5).
Insomma, la stessa vicenda, ancorché ritagliata giuridicamente in modi
parzialmente diversi, dà luogo a due illeciti: uno di natura civile e l’altro di
altra, non ben definibile, natura. Il primo consiste nella lesione di una
situazione giuridica soggettiva e produce una pretesa che ha la funzione
del ristoro del danno subito. Il secondo fa emerge un diverso disvalore che
porta ad una punizione, ad un’afflizione che lo Stato infligge al “colpevo-
le”, la cui caratteristica non sta nell’essere qualificabile come illecito “ci-
vile”, perché qui non si tratta di far emergere la lesione di una situazione
giuridica soggettiva, bensı̀ nell’essere essa irrogata dal giudice civile, pre-
cisamente da quello stesso giudice che decide sulla pretesa risarcitoria,
che, sembra, non può occuparsi della pretesa punitiva dello Stato se
non in pendenza del processo su detta pretesa risarcitoria.
In altri termini, la tecnica di depenalizzazione che abbiamo di fronte
ha comportato il trasferimento della punizione dell’illecito dal giudice
penale a quello civile, ma non anche la qualificabilità dell’illecito come
civile, essendo tale qualifica attribuibile solo alla conseguente sanzione,
peraltro in modo del tutto peculiare, vista, ad esempio, la sua non trasfe-
ribilità.
Siamo allora in presenza di un processo civile cumulato, nell’ambito
del quale al diritto fatto valere dall’attore si aggiunge la pretesa punitiva
dello Stato fatta valere d’ufficio dal giudice (14).
È qui che la legge dispone l’applicabilità delle regole processuali ordi-
narie, salvo la loro compatibilità con questa seconda particolare pretesa di
stampo giuspubblicistico. Regole che evidentemente sono già derogate nel
momento in cui per questa seconda pretesa non vige il principio della
domanda, procedendo il giudice appunto d’ufficio.
Né, mi sembra, è possibile sostenere che qui si abbia una sorta di
azione sanzionatoria privata, insomma ipotizzare che sia l’attore ad essere

(14) Di una doverosa pronuncia d’ufficio, senza domanda della parte privata, parla
pure BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p. 85, il quale naturalmente non esclude che
l’attore possa sollecitare l’esercizio di tale potere-dovere del giudice.
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le nuove leggi 419

legittimato da esercitare l’azione punitiva. Francamente, nell’articolato in


commento non vi sono tracce che conducano ad una simile conclusione
ed, anzi, ve ne sono di quelle che spingono alla conclusione opposta, a
cominciare dalla previsione per cui i relativi proventi vanno allo Stato,
scelta normativa da cui deriva evidentemente l’insussistenza di ogni inte-
resse giuridicamente apprezzabile in capo all’attore di esercitare una simile
pretesa (15).
Se, quindi, rispetto alle regole ordinarie vigenti nel processo civile
emerge con chiarezza innanzitutto la deroga al principio della domanda
in ordine alla pretesa punitiva, ossia alla regola per cui si deve tenere
separato il ruolo di chi giudica dal ruolo di chi stabilisce su cosa giudicare,
ci si deve interrogare in ordine ad altre possibili divergenze rispetto al
modello ordinario che il codice di rito traccia per l’esercizio della giuri-
sdizione civile.
Ma, prima di procedere oltre, è pur necessario sollevare un dubbio di
costituzionalità a fronte di quanto abbiamo finora detto, se è vero, come è
pacifico, che la regola appena enunciata è un corollario del fondamentale
principio di terzietà del giudice, di cui all’art. 111, comma 2˚, Cost. Si dirà
che un simile dubbio possa cadere se sol si considerino le sanzioni pecu-
niarie in oggetto come un semplice accessorio della condanna civile, non
assurgendo esse alla dignità di un oggetto del processo, soprattutto gio-
cando sul fatto che per esse non sembra ipotizzabile la celebrazione di un
processo autonomo. Tuttavia, un simile tentativo di eliminazione del pro-
blema a me parrebbe destinato all’insuccesso per due ragioni.
La prima: come è stato già detto e ancora diremo, non è vero che non
si sia di fronte ad un ulteriore oggetto del processo, perché la pretesa
punitiva è condizionata, nella sua esistenza e modo di essere, da elementi
parzialmente diversi rispetto a quelli rilevanti per la sussistenza e il modo
di essere del diritto al risarcimento del danno. Quindi essa, se può essere
considerata non autonoma sul piano processuale, ossia precisamente in
riferimento al suo esercizio, è invece autonoma sul piano sostanziale, an-
corché strutturalmente dipendente dalla pretesa risarcitoria (16).

(15) Altro è che nel caso concreto lo stato emotivo della persona offesa lo renda
interessato alla punizione del “colpevole”. Ma ciò non ha alcuna rilevanza giuridica.
(16) Siamo in presenza di una classica connessione per pregiudizialità-dipendenza, per
cui la condanna al risarcimento del danno (più che la sussistenza di questo diritto) è fatto
costitutivo della pretesa punitiva dello Stato. La precisazione sull’elemento pregiudiziale non
è irrilevante. Se esso sta, non nell’esistenza della situazione pregiudiziale, quanto piuttosto
nella pronuncia di accoglimento della domanda su di essa, evidentemente anche il rigetto
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420 le nuove leggi civili commentate 3/2016

La seconda: quand’anche si volesse sostenere, scelta a mio parere non


condivisibile, che qui emerga solo una sorta di misura ulteriore collegata
all’illecito civile, insomma un accessorio della condanna relativa a questo,
resta il fatto che non è usuale che il giudice civile statuisca su un quid non
richiesto da una parte. Si pensi a tal proposito a quella misura con fun-
zione sanzionatorio-compulsoria che è data dalla nostra c.d. astreinte di cui
all’art. 614 bis c.p.c., termine di paragone qui pertinente, ancorché ovvia-
mente la funzione delle misure in campo sia differente (17).

3. Poteri delle parti e poteri del giudice.


I dubbi che emergono attengono all’attuazione del principio del con-
traddittorio, al rapporto tra i poteri di parte e i poteri del giudice, nonché
ai tempi del gioco processuale, ossia alle preclusioni nelle attività di alle-
gazione e prova dei fatti rilevanti.
Che il principio del contraddittorio sia irrinunciabile anche a fronte
dell’esercizio della pretesa punitiva dello Stato di cui in oggetto da parte
dello stesso giudicante non può essere dubbio. Ciò non solo in virtù
dell’art. 111 Cost., ma anche per la traccia che evidentemente emerge nella
normativa qui in commento, quando all’art. 8, comma 3˚, si legge che la
«sanzione pecuniaria civile non può essere applicata quando l’atto intro-
duttivo del giudizio è stato notificato nelle forme di cui all’articolo 143 del
codice di procedura civile, salvo che la controparte si sia costituita in
giudizio o risulti con certezza che abbia avuto comunque conoscenza
del processo».
Qui già emerge il primo dubbio, formulabile nella seguente domanda:
se la legge esclude l’irrogabilità della sanzione pecuniaria civile solo nel
caso della notifica agli irreperibili, ciò significa che allora essa è applicabile
in ogni caso quando l’atto introduttivo sia stato diversamente notificato?
Insomma, a prescindere dall’applicazione dell’art. 143 c.p.c., il contumace
può essere punito, salvandosi solo nel caso appunto di applicazione della
citata norma?

della domanda risarcitoria per compensazione impedisce l’applicazione della sanzione pu-
nitiva.
(17) Sulla quale vedi, fra gli altri, LUISO, Diritto processuale civile, III, Il processo
esecutivo, Milano, 2015, p. 239 ss. e, se vuoi, M. BOVE, La misura coercitiva di cui all’art.
614-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, p. 781 ss. ed ivi ulteriori citazioni. Sulla
recente riforma di questa norma vedi per prime riflessioni M. BOVE, Riforme sparse in
materia di esecuzione forzata tra il d.l. n. 83 del 2015 e la legge di conversione n. 132 del
2015, in La Nuova Procedura Civile, 2015, § 7.
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le nuove leggi 421

Dalla formulazione della norma sopra citata sembrerebbe doversi ri-


cavare una risposta affermativa a questa domanda.
Ma, francamente, io non so quanto essa sia compatibile con il valore
primario del principio del contraddittorio. Invero, che la pretesa punitiva
dello Stato sia esercitabile d’ufficio dal giudice non significa, però, che essa
sia, per cosı̀ dire, compresa ex lege nella sola proposizione della domanda
da parte dell’attore, come se ci si trovasse di fronte ad un possibile svi-
luppo automaticamente conseguente alla pendenza del processo. Insomma
quella pretesa giuspubblicistica deve comunque essere esercitata in con-
creto in modo esplicito, non potendo il giudice applicare, direi a sorpresa,
la sanzione pecuniaria civile al momento della pronuncia della sentenza
senza mai aver prima sollevato il problema, previamente stimolando su di
esso il contraddittorio.
Ed, allora, se non è possibile richiedere all’attore di avvertire nell’atto
di citazione il convenuto della possibilità che il processo conduca pure
all’irrogazione di detta sanzione, si potrebbe anche ipotizzare che al con-
tumace debba essere notificato l’atto processuale in cui da parte del giu-
dice si fa valere la pretesa punitiva dello Stato, insomma che gli si debba
notificare l’atto in cui emerge un oggetto del processo diverso ed ulteriore
rispetto a quello descritto nell’atto di citazione dall’attore. Ciò in sintonia
con i principi che emergono dall’art. 292 c.p.c. (18).
Questi rilievi, a me sembra, dovrebbero avere delle conseguenze anche
rispetto ai tempi in cui il convenuto deve spendere le sue attività di
allegazione e prova. Invero, l’allegazione di tutti i fatti rilevanti al fine di
poter evitare la sanzione ovvero vederla diminuita (vedi i criteri di cui
all’art. 5 del d.lgs.) nonché le relative istanze istruttorie (19) evidentemente
non possono essere impedite prima che il giudice abbia esercitato in
concreto la pretesa punitiva dello Stato. È possibile che questo esercizio
si abbia nella prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c., con la conseguenza
che il giudice dovrà dare tempo all’interessato per allegare e provare i fatti
per lui rilevanti. Ma, è anche possibile che il giudice ponga il problema in
ritardo ed, allora, resta pur sempre al giudice il dovere di dare quello

(18) Sui quali vedi, per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di cogni-
zione, cit., p. 230.
(19) Per fare degli esempi già proposti da altri (BUFFONE, L’autorità che procede, cit., p.
86), si pensi all’allegazione e prova di aver operato per l’eliminazione o l’attenuazione delle
conseguenze dell’illecito (art. 5, lett. d), all’allegazione e prova, nel caso della fattispecie
corrispondente alla vecchia ingiuria, della reciprocità delle ingiurie (art. 4, comma 2˚),
all’allegazione e prova, sempre nel caso dell’ingiuria, del fatto di aver agito nello stato d’ira
determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso (art. 4, comma 3˚).
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422 le nuove leggi civili commentate 3/2016

spazio temporale necessario affinché il convenuto possa concretamente


difendersi.
Quanto, poi, all’equilibrio tra i poteri di parte ed i poteri del giudice, è
evidente come rispetto ai fatti ed alle questioni rilevanti per la pretesa
punitiva dello Stato il principio inquisitorio prevalga sul principio dispo-
sitivo (20), andando per certi versi anche oltre il divieto di scienza privata,
tipico del processo civile. Qui, a mio parere, bisogna distinguere tra i fatti
e le questioni relative alla fattispecie costitutiva di quella pretesa e alla sua
commisurazione dai fatti e le questioni rilevanti per la c.d. fattispecie
negativa.
I primi il giudice li deve cercare d’ufficio e sullo Stato grava il relativo
onere probatorio. I secondi devono essere allegati dal convenuto o comun-
que risultare dagli atti, fermo anche il rilievo d’ufficio sulla base di essi.
Semplificando: il giudice deve preoccuparsi di accertare il dolo del
convenuto, senza che qui egli sia limitato dal divieto di scienza privata o
dal principio dispositivo per quanto riguarda l’assunzione dei mezzi di
prova, e, se esso non risulta provato, evidentemente il convenuto, magari
condannato al risarcimento del danno, non può anche subire la sanzione
pecuniaria civile. Qui, se il principio inquisitorio, mi pare, raggiunge la sua
massima espansione, sia nella ricerca dei fatti sia nella spendita dei poteri
istruttori d’ufficio (21), resta ovviamente il rilievo per cui lo Stato deve
evidentemente farsi carico dell’onere della prova.
E lo stesso mi pare che si debba affermare per quanto riguarda i fatti
rilevanti al fine di applicare i criteri di commisurazione della sanzione
(art. 5).
Ma, prendendo ad esempio lo stato d’ira del convenuto in riferimento
all’ingiuria, che scrimina solo alla duplice condizione che esso, per un

(20) Sulla distinzione vedi ancora classicamente CALAMANDREI, Linee fondamentali del
processo civile inquisitorio, in Opere giuridiche, I, Napoli 1965, p. 145 ss. Si fa anche presente
come non si possa affermare, in generale ed in assoluto, che in ordine all’applicazione della
sanzione pecuniaria non sia necessaria un’ulteriore attività istruttoria (cosı̀ V. BOVE e CIRIL-
LO, L’esercizio della delega, cit., p. 7 e la relazione dell’ufficio del massimario della Corte di
cassazione a p. 25), perché, come già detto, la fattispecie rilevante a questo fine non coincide
con la fattispecie rilevante ai fini dell’accertamento della pretesa risarcitoria: ciò sia in
relazione all’an sia in relazione al quantum.
(21) Insomma, qui siamo ben oltre il modello che, ad esempio, si può riscontrare nel
processo del lavoro, in cui pure i poteri d’ufficio del giudice sono rafforzati. Invero, il
giudice del lavoro non può certo utilizzare fatti che non risultano dagli atti né disporre
l’assunzione di mezzi di prova la cui cognizione egli non abbia tratto dagli atti di causa.
Peraltro, è anche vero, però, che a mio parere il giudice civile avrà ben scarsa possibilità
concreta di spingersi cosı̀ oltre, di farsi, se cosı̀ si può dire, investigatore.
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le nuove leggi 423

verso, sia stato provocato da un fatto ingiusto altrui e che, per altro verso,
il comportamento per cosı̀ dire reattivo sia stato immediato, tutti gli ele-
menti fattuali rilevanti devono essere allegati dal convenuto o comunque
risultare dagli atti. Poi, si può anche ritenere che la questione impeditiva,
su quei fatti fondata, sia rilevabile dal giudice, per il semplice fatto che,
stante l’art. 112 c.p.c., il giudice può rilevare d’ufficio ogni questione che
la legge non riservi esplicitamente alle parti.
Ma resta il fatto che, ovviamente, l’onere della prova qui è a carico del
convenuto, con la conseguenza che egli subirà la sanzione pecuniaria civile
se, risultando provati i relativi fatti costitutivi della pretesa punitiva dello
Stato, non risultano provate alcune o tutte le circostanze rilevanti in rela-
zione alla questione “scriminante”.
Residua, infine, un dubbio in ordine alla regola di giudizio da utiliz-
zare, che vale per ogni elemento rilevante, tra i quali pure, nella misura in
cui concretamente conta, il nesso causale tra il comportamento dell’agente
e l’evento dannoso (22). A tal proposito si suole dire che, se il giudice
penale deve attenersi al canone dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”,
e ciò in applicazione del principio per cui in dubio pro reo, il giudice civile
deve più blandamente attenersi al principio c.d. del “più probabile che
non”. Insomma, è possibile che la stessa vicenda conduca un soggetto alla
condanna al risarcimento del danno in sede civile, nella quale emerge con
più rilevanza la figura del danneggiato, e non anche alla condanna penale.
Ciò perché, se nel primo contesto è sufficiente il canone della probabilità,
nel secondo, invece, si deve fare applicazione di un più rigido canone di
certezza, sintetizzabile nella già ricordata formula del “al di là di ogni
ragionevole dubbio”.
Ebbene, a me pare che questa distinzione debba restare ferma anche
nel caso che ci occupa, non potendosi affermare che per il giudice civile,
nel momento in cui va ad irrogare d’ufficio la sanzione pecuniaria, sia
sufficiente «il raggiungimento del livello probatorio normalmente occor-
rente in un processo civile e, in particolare, ai fini della decisione sulla
domanda di risarcimento del danno» (23).

(22) Peraltro, quanto stiamo per dire va al di là del problema del nesso causale.
(23) Sono parole che si leggono nella relazione dell’ufficio del massimario della Corte di
cassazione già citata (p. 25), parole che si rifanno alla scelta, esplicitata nella relazione di
accompagnamento al d.lgs., di uniformare lo standard probatorio, allineandolo a quello
contemplato nell’ordinamento civile, che vorrebbe giustificarsi in virtù di esigenze di coe-
renza e di funzionalità pratico-applicativa.
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424 le nuove leggi civili commentate 3/2016

È vero che qui ci troviamo di fronte ad un giudice civile. Ma è anche


vero che il giudice si occupa solo per una parte di un illecito civile,
attenendo l’altra parte del giudizio ad un illecito che, se non è più quali-
ficabile come penale, ha però delle caratteristiche che esigono l’applica-
zione di quella regola di giudizio sopra riferita alla giustizia penale. Ben
può, cosı̀, il giudice condannare il convenuto al risarcimento del danno,
fondandosi su un canone di probabilità in ordine agli elementi rilevati, ma
allo stesso tempo mandarlo “assolto” dalla sanzione pecuniaria perché
quella probabilità a questo fine non è sufficiente.
Altro, poi, è che questa distinzione posta in astratto trovi in concreto
spazi applicativi nelle fattispecie qui rilevanti: questo lo dirà l’esperienza
pratica. All’interprete spetta comunque il compito di definire concetti ben
delineati.

4. Definizione del giudizio.


La decisione in ordine alla pretesa punitiva dello Stato è condizionata
dalla decisione sulla pretesa risarcitoria fatta valere dall’attore.
Se la domanda dell’attore è rigettata, non è irrogabile la sanzione
pecuniaria civile. Insomma, l’insussistenza della pretesa risarcitoria del
privato rende non ipotizzabile la sussistenza della pretesa punitiva dello
Stato. Tuttavia, se quanto abbiamo detto finora è vero, il positivo accerta-
mento della prima non implica necessariamente il positivo accertamento
anche della seconda: quello apre solo la strada per l’eventualità di questo,
senza che si possa ipotizzare alcun automatismo. Ciò a causa del duplice
rilievo già emerso per cui, per un verso, sono diversi gli elementi rilevanti
in ordine alla sussistenza delle due pretese e, per altro verso, sono diverse
le regole di giudizio utilizzabili nella definizione dei due differenti oggetti
di giudizio.
È allora necessario verificare le varie possibilità, tenendo fermo il
duplice rilievo per cui se la pretesa risarcitoria del privato è riconosciuta
sussistente, la sanzione pecuniaria civile è applicabile senza alcuna doman-
da della parte privata e solo all’interno di questo processo che si ipotizza
pendente, non sembrando ammissibile un secondo e diverso processo in
cui successivamente si possa discutere solo di detta sanzione.
Si deve a questo punto distinguere.
È possibile che, pur essendo accolta la domanda civilistica dell’attore,
non sia applicata la sanzione a favore dello Stato. Ciò perché magari non
risulta provato l’elemento psicologico del dolo. O perché la prova del
nesso causale è stata sufficiente per affermare la sussistenza dell’obbligo
risarcitorio, ma non anche l’applicabilità della sanzione pecuniaria. O
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le nuove leggi 425

ancora perché, provati gli elementi costitutivi della pretesa punitiva dello
Stato, è tuttavia provata una scriminante, come quella sopra ipotizzata
attinente allo stato d’ira nel caso dell’ingiuria.
Oppure è possibile che, al contrario, la detta sanzione sia irrogata. E
qui per il giudice non si tratta solo di disporre della prova degli elementi
costitutivi della pretesa punitiva, ma anche di avere a disposizione gli
elementi di fatto attinenti a quelle circostanze che l’art. 5 del d.lgs. in
commento impone al giudice di valutare per commisurare la sanzione
pecuniaria.
Insomma, se la legge fornisce una cornice edittale nei cui confini il
giudice deve muoversi, l’utilizzo dei criteri di valutazione forniti dalla legge
al giudice sono fondamentali per fermare l’asticella della sanzione dal
minimo al massimo. Criteri il cui utilizzo a me sembra che sarà rivedibile,
in ipotesi, di fronte al giudice d’appello, mentre nel giudizio di cassazione
esso sarà rivedibile solo nell’eventualità che emerga la necessità di fissare
un principio di diritto valido anche per casi futuri (24).
Infine, sempre per quel che riguarda la decisione, l’art. 7 dell’articolato
in commento specifica che quando più persone concorrono nell’illecito,
ciascuna di esse soggiace alla sanzione pecuniaria civile per esso stabilita.
Questa norma, ricalcata sulla falsariga dell’art. 5 della legge 24 novembre
1981, n. 689, poco ha a che fare con l’art. 110 c.p. e ancor meno con il
modello della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c. (25).
Non con quello, perché qui ciò che conta non è il concorso in termini
penalistici, bensı̀ la compartecipazione nel fatto dannoso secondo i criteri
civilistici. Insomma, posto che la condanna al risarcimento del danno è
pregiudiziale alla condanna a pagare la sanzione civile, evidentemente,
nella misura in cui si possa ipotizzare che un soggetto potrebbe rientrare
nella fattispecie di concorso penalistico, ma non anche nella fattispecie di
coobbligato civilistico, non è neanche ipotizzabile che egli possa appunto
subire la condanna alla “pena” qui prevista.
Tantomeno la norma ha a che fare con il modello della responsabilità
solidale di cui all’art. 2055 c.c., perché il senso di essa non sta nel richie-
dere al giudice una sola determinazione sanzionatoria, da pretendere se-
condo lo schema della solidarietà e poi, dal lato passivo, da ripartire

(24) Sui limiti del giudizio civile di cassazione vedi, se vuoi, M. BOVE, Il sindacato della
Corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano, 1993, p. 65 ss.
(25) La duplice affermazione contraria si trova invece in PADOVANI, Procedibilità e
applicazioni, cit., p. 78.
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426 le nuove leggi civili commentate 3/2016

internamente per quote, bensı̀ essa sta nell’irrogazione più volte della
sanzione, una per ogni “colpevole” (26).
Si deve, inoltre, aggiungere il rilievo per cui, se non vi sia stato un
simultaneo processo nei confronti dei più soggetti concorrenti nell’illecito,
evidentemente la sentenza sfavorevole ad uno di essi non sarà opponibile
all’altro o agli altri che sia o siano citati in altri processi successivi.

5. Problemi in fase di impugnazione.


Del tutto ignorata dal legislatore è la disciplina delle impugnazioni, per
le quali resta allora solo il principio di fondo sopra enunciato: si applicano
le norme del codice di procedura civile “in quanto compatibili”.
Sui poteri del giudice civile nei diversi giudizi d’impugnazione direi
che non c’è nulla di particolare da dire, essendo evidente che anche qui il
giudizio d’appello sia una revisione della prima istanza senza una limita-
zione al solo profilo de iure, restando, invece, il giudizio di cassazione
caratterizzato, e quindi limitato, dalla funzione di nomofilachia della Corte
di cassazione.
Né mi pare che si debbano affermare principi particolari per l’even-
tualità che il processo sia celebrato tra più di due parti ovvero per l’ap-
plicabilità del principio attinente al c.d. effetto espansivo interno di cui
all’art. 336, primo comma, c.p.c.
Cosı̀, dal primo punto di vista, nulla di specifico si deve aggiungere
alla normale applicabilità degli artt. 331 e 332 c.p.c. nel caso in cui, ad
esempio, vi sia stato un concorso di persone nell’illecito ed esse siano tutte
state citate nel giudizio di primo grado ed in questo condannate sia al
risarcimento del danno sia al pagamento della sanzione pecuniaria civile.
Se, come a me sembra in questo ambito usuale, la struttura oggettiva del
processo è tale da consentire l’applicazione dell’art. 332 c.p.c., conside-
rando le diverse cause come scindibili, allora è possibile che nel giudizio
d’impugnazione sia devoluta solo la posizione di una delle parti, con la
conseguenza che l’eventuale ribaltamento della soccombenza patita nel
grado precedente non giova a colui che, invece, non ha coltivato l’impu-
gnazione (27).

(26) Mi sembra in questo senso V. BOVE e CIRILLO, L’esercizio della delega, cit., p. 26.
Cosı̀ anche la relazione dell’ufficio del Massimario della Corte di cassazione, cit., a p. 24.
(27) In generale sulle dinamiche impugnatorie in relazione alle obbligazioni solidali
vedi, per tutti, BACCAGLINI, Il processo sulle obbligazioni solidali «paritarie» e l’azione di
regresso, Milano, 2015, p. 231 ss.
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le nuove leggi 427

Semplificando: condannati in primo grado due convenuti al risarci-


mento del danno e al pagamento della sanzione pecuniaria civile, l’appli-
cazione dell’art. 332 c.p.c. conduce alla possibile scissione in appello di
queste posizioni, potendo uno solo di essi impugnare la sentenza. In
questo caso la sua vittoria in appello non giova a colui che, condannato
in primo grado, ha scelto di non proporre appello.
Se, al contrario, in casi residuali, la struttura oggettiva del processo
impone l’applicazione dell’art. 331 c.p.c., allora problemi per una even-
tuale disarmonia tra decisioni non se ne possono porre neanche in astratto,
perché tutte le posizioni saranno necessariamente devolute al giudice del-
l’impugnazione.
Per quanto riguarda, poi, l’applicazione dell’art. 336, comma 1˚, c.p.c.,
anche qui non c’è nulla da aggiungere ai principi ordinari. Il convenuto,
condannato in primo grado sia per il risarcimento del danno a favore
dell’attore sia per la sanzione pecuniaria civile a favore dello Stato, ben
può proporre appello devolvendo al giudice di secondo grado solo la causa
risarcitoria. In tal caso la sua eventuale vittoria in appello travolgerà auto-
maticamente il capo relativo alla sanzione pecuniaria civile, perché, tor-
nando al già citato disposto di cui al secondo comma dell’art. 8 del prov-
vedimento normativo in commento, l’irrogazione di questa sanzione non
può più stare in piedi se viene meno il suo presupposto necessario, che sta
nell’accoglimento della domanda risarcitoria.
Insomma, essendo i due oggetti del processo legati da un nesso di
pregiudizialità-dipendenza, cadendo il capo attinente alla situazione pre-
giudiziale (diritto al risarcimento del danno) cade automaticamente il capo
attinente alla situazione dipendente (pretesa punitiva dello Stato), pur non
essendovi stata alcuna impugnazione sul punto (28).
Ma, se cosı̀ si può dire, i veri problemi sorgono in altre situazioni, tutte
accomunate da una stessa questione di fondo, ossia quella attinente al
ruolo ed ai poteri del giudice dell’impugnazione rispetto alla pretesa pu-
nitiva dello Stato.
È possibile che in primo grado la sanzione pecuniaria non sia stata
irrogata o lo sia stata in modo discutibile. Fermo restando che, evidente-
mente, un giudizio di secondo grado si può instaurare solo se una delle

(28) Sull’applicazione dell’art. 336, comma 1˚, c.p.c. alle situazioni connesse per pre-
giudizialità-dipendenza vedi, per tutti, LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di
cognizione, cit., p. 370 ss. e, se vuoi, M. BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile,
Torino, 2012, p. 397 s.
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428 le nuove leggi civili commentate 3/2016

parti private propone appello, non essendo pensabile una sua instaurazio-
ne d’ufficio, la domanda è: cosa può accadere in questo contesto?
Si faccia il caso di un convenuto che, subita la condanna al risarci-
mento del danno, non abbia subito anche la condanna al pagamento della
sanzione pecuniaria civile, perché il giudice di primo grado non ha proprio
posto la questione oppure perché, dopo averla posta, abbia ritenuto l’in-
sussistenza di un elemento costitutivo della pretesa punitiva (ad esempio il
dolo) ovvero abbia ritenuto sussistente una “scriminante” (ad esempio lo
stato d’ira in termini giuridicamente rilevanti nel caso dell’ingiuria). Se il
convenuto soccombente a fronte dell’attore propone appello in riferimen-
to alla pretesa risarcitoria, può il giudice di secondo grado porre per la
prima volta la questione d’ufficio attinente alla pretesa punitiva dello Stato
ovvero rivedere, sempre d’ufficio, la decisione negativa che su di essa
abbia assunto il giudice di primo grado?
Si faccia ancora il caso in cui il giudice di primo grado abbia condan-
nato il convenuto sia al risarcimento del danno a favore dell’attore sia al
pagamento della sanzione pecuniaria civile a favore dello Stato. Qui il
condannato potrà proporre appello avverso il solo capo relativo alla pre-
tesa risarcitoria, fiducioso nel fatto che, se ribalterà la sua soccombenza in
ordine a questa, in automatico cadrà pure il capo dipendete relativo alla
sanzione pecuniaria civile. Oppure egli potrà proporre appello su entram-
bi i capi della sentenza di primo grado. Ci si domanda: può il giudice nel
primo caso occuparsi di nuovo della pretesa punitiva dello Stato, perché a
suo giudizio la sanzione irrogata è stata mal commisurata? E cosı̀ nel
secondo caso, nel quale il convenuto cercava una eliminazione della san-
zione pecuniaria civile o anche solo una sua diversa ed inferiore commi-
surazione, può il giudice d’appello invece riformare in termini peggiorativi
questo capo della sentenza di primo grado?
Rispondere a queste domande è veramente arduo, perché nessun aiuto
ci viene dal legislatore. Se, come a me sembra, legittimato all’esercizio della
pretesa punitiva dello Stato è il giudice che procede d’ufficio, si dovrebbe
dire che questa legittimazione resti pure in capo al giudice di secondo
grado. Né credo che qui sia applicabile il divieto della reformatio in pejus,
quale principio tipico del diritto sanzionatorio, perché non c’è una parte
che possa spendere poteri impugnatori contrari ai poteri impugnatori del
“presunto colpevole”.
Cosı̀ il giudice dovrebbe poter esercitare detta pretesa d’ufficio anche
per la prima volta in appello, non essendo essa stata esercitata in primo
grado, non trovando egli un limite nel divieto di domande nuove di cui al
primo comma dell’art. 345 c.p.c. Ed, ancora, aperto il giudizio d’appello
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le nuove leggi 429

ad opera della parte privata, egli dovrebbe poter tornare sulla decisione
assunta dal giudice di primo grado in ordine alla sanzione pecuniaria
civile. Sia per irrogarla ove questa non sia stata prima irrogata. Sia per
quantificarla nuovamente ove egli ritenga che la commisurazione effettuata
in primo grado non sia corretta. Sempre, ovviamente, che resti accertata la
sussistenza dell’obbligo risarcitorio in capo al danneggiante.
Si dirà che questa costruzione non riesce a spiegare il caso in cui il
convenuto, condannato in primo grado sia per il risarcimento del danno a
favore dell’attore sia per il pagamento della sanzione pecuniaria civile a
favore dello Stato, scelga di proporre appello per il solo capo relativo alla
pretesa punitiva. Invero, si potrebbe dire: se tale pretesa è esercitabile
d’ufficio dallo Stato in persona del giudice civile, nel caso ora ipotizzato
si può immaginare un giudizio d’appello senza una controparte?
Mi rendo conto che l’obiezione è seria. Ma non mi sento di arrivare ad
affermare che, allora, questo problema pratico può condurre alla diversa
idea secondo la quale saremmo qui in presenza di una pretesa punitiva
imputabile in realtà alla parte privata, perché di ciò non vi è alcuna traccia
nella legge.
È vero che la legge si disinteressa della punizione di questi illeciti se
non nell’eventualità che la parte privata offesa si attivi. Ma è anche vero
che, dalla lettura delle norme in oggetto, sembra proprio che la parte
privata sia legittimata alla sola azione civile, ossia a far valere il suo diritto
al risarcimento del danno, innestandosi, poi, nel processo cosı̀ instaurato,
un secondo tema di decisione, quello appunto attinente alla pretesa puni-
tiva dello Stato che, a me sembra, è tutta nelle mani del giudice.
Del resto nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. in oggetto si
legge: «Per quel che concerne il regime di procedibilità (su cui la legge
delega tace) sono prospettabili due diverse soluzioni. Secondo un primo
indirizzo, ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria civile si ritiene
necessaria un’apposita richiesta della persona offesa. In base ad altro
orientamento, invece, si reputa che, tenuto conto della funzione marcata-
mente general-preventiva sottesa alla comminatoria della sanzione pecu-
niaria civile e delle connotazioni pubblicistiche del profilo ‘punitivo’, non
sia coerente far dipendere l’applicazione della sanzione pecuniaria dalla
volontà della persona offesa. Oltre che più conforme ad esigenze di “pru-
denza processuale” (imposte anche dal carattere particolarmente innova-
tivo dell’istituto delle sanzioni civili punitive), l’opzione a favore dell’infli-
zione ex officio della sanzione punitiva è stata ritenuta sostanzialmente
imposta dalla previsione della destinazione pubblicistica del provento della
stessa».
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430 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Ed, allora, tornando al caso da ultimo ipotizzato, se l’attore vittorioso


in primo grado non è la controparte naturale del convenuto che, propo-
nendo appello, scelga di giocarsi la partita sulla sola eliminazione o ride-
finizione della sanzione pecuniaria civile, si potrebbe comunque ipotizzare
la necessità di una sua partecipazione al giudizio di secondo grado come
una sorta di contro-interessato, ancorché molto sui generis.
Insomma, è vero che non è immaginabile un giudizio di secondo grado
con una sola parte. Ma, per costituire anche in appello la necessaria
bilateralità del processo non credo che si debba addirittura rimettere in
discussione la legittimazione all’esercizio della pretesa punitiva in capo allo
Stato.
La soluzione qui offerta non è a perfetta tenuta. Ma credo che lo
sarebbe di meno la soluzione contraria.
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MARCO DE CRISTOFARO (*)


Professore nell’Università di Padova

LA PROSPETTIVA PROCESSUALE DELLA PAULIANA (NOTE


SULL’INTRODUZIONE DEL NUOVO ART. 2929 BIS C.C.)
(art. 12 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni
dalla l. 6 agosto 2015, n. 132)

SOMMARIO: 1. Sentenza pauliana e creazione di un potere processuale di azione o di ecce-


zione. – 2. L’attuazione dell’interesse creditorio e la natura cautelare della revocatoria.
– 3. La triplice “specialità” dell’azione revocatoria ordinaria. – 4. La conferma della
ricostruzione dell’istituto offerta dalla nuova revocatoria per saltum. – 5. Revocatoria
per saltum ed inefficacia relativa. – 6. Il concorso dei creditori nella revocatoria per
saltum.

1. Sentenza pauliana e creazione di un potere processuale di azione o di


eccezione.
La tralaticia descrizione dell’actio pauliana, quale strumento volto a
determinare l’inefficacia relativa di determinati atti (dispositivi o di con-
cessione di garanzia o di assunzione o pagamento di debito), fa velo alla
presa d’atto che l’unica prospettiva, nella quale si possono apprezzare gli
effetti della sentenza costitutiva di revoca, è quella processuale.
Invero, nel caso più frequentemente oggetto di attenzione per quanto
attiene alla revocatoria codicistica, costituito dal compimento di un atto
dispositivo o segregativo del patrimonio, tramite la pronuncia di accogli-
mento della domanda non si determina, come noto, alcun effetto recupe-
ratorio al patrimonio del disponente (1), e l’atto di disposizione revocato è
pur sempre valido e conserva erga omnes, quindi anche verso i creditori, la

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) V. Cass., sez. un., 17 dicembre 2008, nn. 29420 e 29421; Cass. 14 giugno 2007, n.
13972, che ha pertanto cassato la sentenza d’appello che, nell’accogliere l’azione revocatoria
avverso le donazioni compiute dal debitore in favore dei propri eredi legittimi, aveva
ritenuto che i beni donati non fossero mai usciti dal patrimonio del de cuius e che pertanto,
una volta aperta la successione, i donatari, mantenendone il possesso senza avvalersi del
beneficio d’inventario, avessero manifestato per facta concludentia la volontà di accettare
l’eredità.

NLCC 3/2016
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propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all’acquirente (2).


Solo che, per il tramite della sentenza di accoglimento della pauliana, a
tutto tondo costitutiva, si crea eccezionalmente in capo al creditore un’a-
zione esecutiva nei confronti di un soggetto estraneo al rapporto obbliga-
torio, il terzo acquirente, o si consente l’esecuzione contro il disponente
nonostante l’atto segregativo (3).
Il terzo si trova cosı̀ assoggettato, quanto al bene oggetto dell’atto
revocato, all’aggressione esecutiva del creditore fino alla concorrenza del
debito del suo dante causa: un’aggressione che, in modo rivelatore, si
svolge secondo le modalità dell’esecuzione contro il terzo proprietario
ex artt. 602 ss. c.p.c., al pari di quanto avviene in caso di esecuzione su
un bene offerto da un terzo in garanzia ovvero oggetto di un atto traslativo
posteriore alla costituzione di un diritto reale di garanzia (4). Se tuttavia si
tiene conto che il terzo volontariamente né ha costituito garanzia né ha
acquistato un bene già vincolato, e ciò nonostante si trova esposto all’e-
secuzione su un bene del proprio patrimonio, se ne può concludere che la
c.d. “inefficacia relativa” conseguente alla revoca disposta ope sententiae si
compendia in realtà nella “disattivazione” dell’eccezione dominicale in
capo al terzo acquirente (od al terzo beneficiario), che viene conseguente-
mente privato della facoltà di eccepire la proprietà in capo a sé del bene
pignorato (o la sua segregazione) tramite l’opposizione di terzo all’esecu-

(2) Il principio è ribadito in giurisprudenza anche con riferimento alla revocatoria


fallimentare: cfr. Cass., sez. un., 23 aprile 2009, n. 9660.
(3) In questa prospettiva non sembra residuare alcun dubbio sul fatto che la fonte
dell’effetto va ravvisata nella sentenza costitutiva (da ult. CONSOLO, Oscillazioni “operazio-
nali” sul litisconsorzio necessario da incertezza sulle fattispecie rilevanti (che può riguardare
anche l’azione revocatoria), in Giur. it. 2000, p. 2283; BIANCA, Diritto civile. 5. La responsa-
bilità, Milano, 1997, pp. 437 e 457; QUATRARO, GIORGETTI e FUMAGALLI, Revocatoria ordi-
naria e fallimentare, Milano, 2009, p. 382; MONTELEONE, sub art. 2901 ss. c.c., in Comm.
UTET, Artt. 2784-2906, Torino, 2015, p. 771; in giurisprudenza, in tema di revocatoria
fallimentare, già Cass., sez. un., 13 giugno 1996, n. 5443, che ne ha dedotto l’incapacità di
atti d’intimazione stragiudiziale ad interrompere il termine prescrizionale; nonché Cass. 30
luglio 2004, n. 14625), e non invece in una presunta ed originaria inefficacia ed incapacità
intrinseca dell’atto a diminuire l’oggetto della garanzia patrimoniale generica, che il giudice
si limiterebbe ad accertare con sentenza dichiarativa (cosı̀ invece NICOLÒ, Tutela dei diritti,
in Comm. Scialoja-Branca, Art. 2740-2899, Bologna, 1955, p. 194 ss.; nonché D’ERCOLE,
L’azione revocatoria, in Tratt. Rescigno, vol. XX, Torino, 1998, p. 163 ss.; escludono l’ipotesi
ricostruttiva di un vincolo reale di indisponibilità che comprimerebbe la piena disponibilità
dei propri beni in capo al debitore, NATOLI, voce “Azione revocatoria ordinaria”, in Enc. Dir.,
IV, Milano, 1959, pp. 889 e 891; BIGLIAZZI GERI, voce “Revocatoria (azione)”, in Enc. giur.
Treccani, XXVII, p. 1 ss.).
(4) Cass. 11 maggio 2005, n. 9875; Cass. 30 luglio 2004, n. 14625; Cass. 19 dicembre
1996, n. 11349, in motivazione; App. Napoli 10 aprile 2001, Nuovo d. 02, 862.
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zione, altrimenti concessagli dall’art. 619 c.p.c. (5). Ed è dunque in questa


prospettiva processual-esecutiva che si compendia l’effetto sostanziale del-
l’azione revocatoria (6): la c.d. inefficacia relativa consiste nella preclusione
alla possibilità per il terzo di sottrarsi all’esecuzione forzata, per un debito
che non lo riguarda o dal quale potrebbe andare esente, eccependo il
proprio titolo dominicale poziore poiché acquisito anteriormente al pigno-
ramento (in deroga al disposto generale degli artt. 2913-2915 c.c.).
Le conseguenze dell’accoglimento della revocatoria si colgono con
ancor più nettezza sul piano processual-esecutivo allorché la stessa abbia
ad oggetto atti costitutivi di garanzie o atti di contrazione di un debito, di
cui sia dedotta (e poi riconosciuta) la natura gratuita o fraudolenta. Con

(5) V. CONSOLO, Oscillazioni “operazionali”, cit., p. 2285, che ragiona di una sorta di
«equipollente del c.d. diritto di seguito». Si spiega cosı̀ perché il creditore pignorante il bene
asseritamente del proprio debitore, a fronte di un’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., è
carente di interesse alla proposizione di un’azione revocatoria con riferimento all’esecuzione
in corso: in caso di accoglimento dell’opposizione ex art. 619 c.p.c. (per essere il terzo
opponente riconosciuto proprietario o titolare di altro diritto reale riferibile ai beni pignorati
in base ad un valido atto traslativo), pur se venisse accolta la domanda di revoca, egli non
sarà infatti legittimato a proseguire la procedura esecutiva originariamente iniziata contro il
debitore, ma soltanto ad iniziare una nuova esecuzione contro la parte acquirente (Cass. 30
luglio 2004, n. 14625).
(6) Che dunque – diversamente da quanto sosteneva COSTANTINO, Contributo allo
studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 440 s.; critico anche CONSOLO, Oscil-
lazioni “operazionali”, cit., p. 2285 – non costituisce una “realtà sostanziale” pre-processuale
suscettibile di essere oggetto di un accertamento incidentale del giudice che precede la
pronuncia costitutiva, ma è semmai il prodotto di tale pronuncia. Resta ferma, ciò non di
meno, la ritenuta necessità del litisconsorzio tra creditore revocante, debitore revocato e
terzo acquirente, in ragione del fatto che «l’accoglimento della domanda comporta, per
effetto dell’assoggettamento del terzo alle azioni esecutive sul bene oggetto dell’atto di
disposizione impugnato, l’acquisto da parte di costui di ragioni di credito verso l’alienante
(art. 2902, co. 2, c.c.), nonché, oltre ad altri effetti immediati e diretti (quali l’obbligo di
restituzione del prezzo a seguito dell’evizione della cosa), postula nei confronti del debitore
l’accertamento della sua frode e dell’esistenza del credito» (cosı̀, ex multis, Cass. 5 luglio
2000, n. 8952; già Cass. 13 gennaio 1983, n. 246; nonché CONSOLO, Oscillazioni “operazio-
nali”, cit., p. 2284): onde il difetto d’interesse del creditore – a fronte di una sentenza
favorevole di primo grado – a dolersi del fatto che la pronuncia d’appello (di riforma) sia
stata resa a contraddittorio non integro, posto che semmai solo il terzo acquirente avrebbe
potuto subire un pregiudizio dalla mancata presenza in causa del debitore revocato, contro
il quale (in caso di conferma della pronuncia di primo grado) avrebbe dovuto esercitare le
conseguenti azioni restitutorie e risarcitorie (cfr. Cass. 20 gennaio 2016, n. 895, che sembra
cosı̀ aprire alla possibilità di configurare la necessaria presenza in giudizio del debitore
alienante in termini di litisconsorzio necessario propter opportunitatem, su cui v. appunto
CONSOLO, op. cit., p. 2284, ancorché – per vero – in una fattispecie del tutto peculiare, in cui
la declaratoria di nullità della sentenza impugnata si raffigurava come del tutto inutile, a
fronte del medio tempore maturato, in altra sede, giudicato negativo sull’esistenza del credito
a tutela del quale era stata esercitata la revocatoria, e del fatto che il debitore revocato si era
comunque cancellato da oltre tre lustri dal registro delle imprese).
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riguardo a queste ipotesi, l’utilità della pauliana consiste nel disconosci-


mento del privilegio ovvero del titolo di partecipazione in sede di distri-
buzione del ricavato: in entrambi i casi l’effetto utile della revocatoria si
coglie cosı̀ precipuamente in sede di elaborazione del piano di riparto
successiva ad una vendita forzata (7). Là dove pur sempre l’effetto sostan-
ziale – di “inefficacia relativa” dell’ipoteca o dell’assunzione del debito – si
concreta nell’attribuzione al revocante di una particolare eccezione, nel
“conflitto tra creditori” (8), che acquista senso esclusivamente entro una
procedura di esecuzione (9): salve eventuali prospettive recuperatorie nel
caso in cui il procedimento espropriativo si fosse già concluso ad impulso
del creditore, eventualmente prelatizio, in virtù di atto dispositivo suscet-
tibile di revoca (10).

(7) Vanno fatte salve, in linea di principio, le ipotesi in cui la revocatoria abbia come
finalità il recupero di un pagamento, in deroga al principio della non revocabilità, in via
ordinaria, del pagamento di un debito scaduto in quanto atto dovuto (v. l’art. 2901, comma
3˚, c.c.), nel presupposto di un’insussistenza del debito che fa appunto venir meno la
doverosità dell’atto rispetto al creditore revocante: anche in tal caso di peculiare “curvatura
recuperatoria” dell’azione, l’effetto utile della revocatoria si compendia tuttavia nell’esclu-
sione dal concorso del revocato sulla somma una volta recuperata, e cosı̀ mantiene una
propria proiezione in vista della fase esecutivo-satisfattiva.
(8) Entro il quale l’avvenuta revoca potrà essere fatta valere dal solo creditore che abbia
vittoriosamente esperito la pauliana, ex art. 512 c.p.c. ovvero ex art. 98, comma 3˚, l. fall. (in
quest’ultimo caso, peraltro, solo ove il rapporto processuale si sia concluso ante declaratoria
di fallimento; nel caso contrario, ove la pauliana sia stata proposta o proseguita dal Curatore,
ex art. 66 l. fall., essa beneficerà l’intera massa, e la relatività soggettiva dei suoi effetti verrà
meno: cfr. al riguardo Cass. 7 maggio 2015, n. 9170: «l’unica differenza fra la revocatoria ex
art. 66 l. fall. e la revocatoria ex art. 2901 c.c. è l’ambito di efficacia: la prima, esercitata dal
curatore, giova a tutti i creditori, la seconda giova soltanto al creditore che ha esercitato
l’azione»).
(9) Il principio dell’efficacia utile per il solo creditore revocante (sul cui fondamento v.
anche infra) comporterà la necessità di elaborare il piano di riparto sulla base di “scenari
alternativi”: nel senso che, nei rapporti con il creditore Tizio vittoriosamente revocante, Caio
non potrà vantare alcun privilegio (o alcun credito), mentre nei rapporti con gli altri
creditori non revocanti (ossia: una volta soddisfatto il revocante Tizio per la parte che gli
spetterebbe in ipotesi di concorso paritario o in ipotesi di concorso cui resti estraneo il
revocato Caio) Caio riacquisterà appieno, a seconda dei casi, il proprio diritto poziore di
soddisfarsi sul bene oggetto del suo diritto di privilegio o il suo “egual diritto” di soddisfarsi
sul ricavato dalla vendita dei beni del debitore.
(10) V. Cass. 20 aprile 2012, n. 6270: «nel caso in cui sia dichiarato inefficace, in
accoglimento di un’azione revocatoria, un atto di concessione volontaria di ipoteca, ma la
relativa sentenza sia stata pronunciata dopo che il creditore ipotecario – convenuto nel
giudizio revocatorio – si sia già soddisfatto sul bene oggetto della garanzia, il creditore
vittorioso in revocatoria ha diritto di ottenere dal creditore ipotecario, il cui titolo sia stato
dichiarato inefficace, la reintegrazione dell’importo che avrebbe potuto ottenere dalla ven-
dita forzata, se non ci fosse stato il concorso dell’altro creditore».
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2. L’attuazione dell’interesse creditorio e la natura cautelare della revo-


catoria.
Conseguenza delle premesse sin qui esposte è che l’attuazione dell’in-
teresse tutelato dalla revocatoria si realizza, sul piano processuale, in due
fasi distinte. La prima è quella diretta ad ottenere la sentenza costitutiva
avente ad oggetto l’atto di disposizione del debitore. La seconda fase è
quella rappresentata dall’esperimento delle eventuali azioni esecutive sui
beni oggetto dell’atto revocato, ovvero dalle controversie distributive che
pur sempre richiedono il riconoscimento in capo al creditore di un titolo al
riparto.
Salvo il caso ex se eccezionale di revocatoria ordinaria di pagamenti, in
cui il giudizio sulla pauliana può sfociare in una statuizione condannatoria
avente efficacia esecutiva, e cosı̀ in un dictum immediatamente satisfattivo
della situazione sostanziale del creditore agente; salvo questo caso, dun-
que, la dichiarazione di inefficacia non vale di per sé a legittimare il
creditore a procedere contro il terzo acquirente, essendo a tal fine neces-
sario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito,
che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito stesso e non
anche in quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria, nella
quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale (11).
Se ne desume, per solito, che quando il fatto da cui sorge l’obbliga-
zione esista, ma il credito sia non esigibile o contestato (12), la revocatoria è
ugualmente esercitabile, ma, fino a che il creditore non si procuri un titolo
esecutivo, rimarrà sospesa l’attuazione dei passi successivi alla dichiarazio-
ne d’inefficacia (13).

(11) Cfr. Cass. 6 ottobre 2005, n. 19492; Cass. 10 marzo 2006, n. 5246, nonché Cass.
14 settembre 2007, n. 19289. La giurisprudenza ne ha fatto seguire il sicuro corollario della
inammissibilità della sospensione del giudizio sulla pauliana, ex art. 295 c.p.c., in caso di
parallela pendenza del giudizio sull’accertamento del credito. Non costituendo l’accerta-
mento del credito oggetto del processo revocatorio, non può riscontrarsi quella relazione di
pregiudizialità/dipendenza che, sola, potrebbe legittimare la sospensione: ex multis, Cass. 12
luglio 2013, n. 17257, e già Cass. 17 novembre 2005, n. 23250, e Cass., sez. un., 18 maggio
2004, n. 9440.
(12) Cfr. per tutte, da ultimo, Cass. 22 marzo 2016, n. 5619.
(13) La diversa affermazione che si ritrova in Cass. 7 maggio 2014, n. 9855, per cui
sarebbe necessario attendere il giudicato anche sul credito litigioso prima che sia possibile
procedere con l’aggressione esecutiva del bene oggetto dell’atto revocato, pare esprimere in
modo “sovrabbondante” le peculiarità della fattispecie, che aveva visto il creditore soccom-
bere sia in primo che in secondo grado, ed essere in attesa di un responso positivo della
Cassazione per ottenere un titolo esecutivo solo nella successiva ed eventuale fase di rinvio.
Si noti comunque che, secondo la più recente giurisprudenza, la proposizione dell’az.
revoc. finalizzata a garantire la soddisfazione di un credito risarcitorio è idonea ad inter-
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Più radicalmente, in realtà in queste ipotesi viene alla superficie l’indi-


scutibile anima essenzialmente cautelare della revocatoria, che l’accomuna
agli altri mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (sequestro
conservativo ma anche azione surrogatoria, se si tiene conto della sua
ordinaria valenza “non satisfattiva”) (14). Essa consente infatti al sé dicente
creditore di salvaguardare il proprio diritto conseguendo la facoltà di
aggredire in futuro esecutivamente anche i beni di un terzo, ancorché –
e nonostante che – sia controverso se il credito effettivamente sussista ed
ancora il creditore non disponga di un titolo esecutivo. In altri termini: la
pauliana può assolvere la funzione di salvaguardare il preteso creditore
contro la prospettiva di perdere del tutto la possibilità di soddisfazione
coattiva sui beni già fuoriusciti dal patrimonio del debitore (incombendo
magari la prescrizione quinquennale ex art. 2903 c.c.), quando ancora non
si sa se l’attore in revocatoria diverrà effettivamente titolare dell’azione
esecutiva. Onde, per un verso, la possibilità fisiologica che, in caso di
soccombenza nella lite sul credito, la vittoriosa sentenza di revoca resti
al postutto inutile ed inutilizzabile (15); per altro verso, l’ovvia inammissi-

rompere il decorso della prescrizione di tale credito, per tale tramite da ritenersi fatto valere
in via indiretta: a nulla rilevando che esso sia poi azionato in via diretta in un autonomo
giudizio (Cass. 18 gennaio 2011, n. 1084).
(14) Cfr. per tutti MONTELEONE, sub art. 2900 c.c., in Comm. UTET, Artt. 2784-2906,
Torino, 2015, p. 760 s., per il quale è dubbia la compatibilità dell’orientamento che ammette
la surrogatoria c.d. “satisfattiva” «non tanto con l’asserita funzione conservativa e non
esecutiva dell’azione surrogatoria, quanto con altre norme sostanziali e processuali che
regolano la responsabilità-garanzia patrimoniale, l’esecuzione forzata ed il concorso dei
creditori. È, invero, evidente che nei casi sopra indicati il creditore, agendo in surrogatoria,
ottiene il soddisfacimento immediato del suo diritto di credito senza che abbia un titolo
esecutivo, al di fuori del processo di esecuzione, e violando il concorso dei creditori nonché
la par condicio». V. altresı̀ in giurisprudenza Cass. 23 gennaio 1995, n. 723; Cass. 18 maggio
2012, n. 7906.
(15) Già l’art. 1235, comma 1˚, c.c. del 1865, prevedeva che i creditori potessero
«impugnare in proprio nome gli atti che il debitore [avesse fatto] in frode alle loro ragioni».
Tale norma, che traduceva quasi alla lettera l’art. 1167 del codice francese, fece sorgere
anzitutto il dubbio, almeno in un primo tempo, se si trattasse di un’azione “esecutiva”
oppure “conservativa” (lo stesso dubbio, si ricorderà, si era posto per l’azione surrogatoria),
inducendo inizialmente a ritenere che il creditore dovesse avere agito in sede esecutiva, ivi
facendo constatare l’insolvenza del debitore medesimo, prima di essere legittimato ad im-
pugnare l’atto del debitore; solo successivamente si ammise che l’azione de qua potesse
essere esercitata dal creditore pur non munito di titolo esecutivo, ed anche per il credito
sottoposto a termine, essendo sufficiente provare il semplice pericolo di insolvenza. L’azione
assumeva quasi la natura di “strumento preventivo” o “cautelare”, preordinato all’eventuale
esecuzione.
Se ne è dedotto che, se alla sentenza sulla revocatoria sia seguita una condanna alle
spese, in caso di successivo disconoscimento dell’esistenza del credito ben potrebbero sia il
debitore sia i terzi, che si sono visti dichiarare “virtualmente” inefficace ed inopponibile
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le nuove leggi 437

bilità del rimedio quando il preteso creditore abbia già agito per conse-
guire la condanna della controparte al pagamento del credito ma abbia
visto rigettata la domanda con pronuncia passata in giudicato (16).

3. La triplice “specialità” dell’azione revocatoria ordinaria.


Proprio in quanto “creativa” di un’azione esecutiva eccezionalmente
ultra partes, la tutela offerta dalla sentenza revocatoria è (e non può che
essere) connotata da plurimi profili di “specialità”.
Essa è speciale da un primo punto di vista poiché – come già ricordato
– “giova” unicamente ai creditori che si siano attivati per chiedere quella
specifica tutela, se del caso in litisconsorzio attivo (17): creando a loro
vantaggio un vincolo strutturalmente “a porte chiuse” non diverso da
quello generato con l’iscrizione d’ipoteca e, in caso di alienazione del bene
successiva alla trascrizione del vincolo, a quello conseguente all’esecuzione
di un sequestro conservativo (18).

l’atto, ripetere quanto corrisposto a titolo di spese di lite e, ove la condanna alle spese fosse
in corso di esecuzione, dedurre il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza del credito
come fatto risolutivo dell’efficacia della sentenza sulla revocatoria e, quindi, della relativa
condanna nelle spese (Cass. 14 settembre 2007, n. 19289, ove anche l’enunciazione della
premessa per cui «L’accertamento che scaturisce dalla decisione di accoglimento della
revocatoria, in presenza di una situazione in cui il credito a favore del quale si vuole
conservare la garanzia patrimoniale è litigioso, è nella sostanza un accertamento di inoppo-
nibilità dell’atto dispositivo al creditore che, per lo stesso carattere strumentale della revo-
catoria rispetto alla conservazione della garanzia patrimoniale, ha natura condizionale, nel
senso che, qualora successivamente il creditore veda negata la sua qualità, i suoi effetti
sostanzialmente si risolvono, in quanto viene meno la possibilità di realizzazione degli effetti
di detto accertamento, cioè la possibilità per il creditore di esercitare la garanzia patrimo-
niale sui beni oggetto del negozio oggetto della revocatoria»).
(16) In tal caso, l’accertamento dell’inesistenza di un diritto fa sı̀ che non vi sia più
neppure un’aspettativa di credito da tutelare attraverso l’azione revocatoria, volta che nes-
suna pretesa creditoria sarà più in futuro utilmente esercitabile da parte del preteso attore
(v., in motivazione, Cass., sez. un., 17 dicembre 2008, n. 29421).
(17) Riconoscimento universale: cfr. da ult., ex professo, Cass. 15 febbraio 2011, n.
3676; QUATRARO, GIORGETTI e FUMAGALLI, Revocatoria ordinaria e fallimentare, cit., p. 369.
Questo è uno dei punti su cui, ovviamente, vengono a differenziarsi revocatoria ordinaria e
revocatoria esercitata nel fallimento, sia fallimentare ex art. 67 l. fall. sia ordinaria ex art. 66
l. fall.: anche nell’ambito dell’esecuzione concorsuale tuttavia, come si accennava supra, la
revocatoria esercitata e vittoriosamente condotta a termine da un creditore anteriormente
alla dichiarazione di fallimento del terzo revocato gioverà solamente al creditore che si sia
vittoriosamente attivato. Questi allora non sarà ammesso al concorso (non rientrando nel
ceto dei creditori del fallito), ma dovrà esperire le ordinarie azioni esecutive sul bene oggetto
dell’atto revocato (non diversamente da quanto accade in ipotesi di fallimento del terzo
datore di ipoteca: v. da ult. Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540).
(18) Per una peculiare declinazione del quale cfr. Cass. 7 gennaio 2016, n. 54, onde
risulta che la natura “a porte chiuse” del vincolo conseguente al sequestro conservativo, ove
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Altra faccia di questa premessa, alla stessa legata a doppio filo, è la


specialità consistente nel “limite” entro il quale sussiste la responsabilità
patrimoniale del terzo avente causa. Questi, proprio perché la pauliana dà
corpo ad un’azione esecutiva ultra partes, risponderà solo ed esclusivamen-
te con il bene oggetto del trasferimento. Lo conferma il fatto che, sempre
eccezionalmente, in queste ipotesi il sequestro conservativo, ex art. 2905,
comma 2˚, c.c., potrà essere richiesto e concesso con un oggetto determi-
nato (19), e che la responsabilità che dovesse insorgere in capo al terzo, ex
art. 2043 c.c., per gli atti illeciti posti in essere dopo l’acquisto del bene
che abbiano in concreto reso irrealizzabile in tutto o in parte il ripristino
della garanzia patrimoniale per effetto dell’esercizio dell’azione revocato-
ria (20), per definizione troverà il proprio limite nel valore del bene (ap-
punto) “sottratto” all’aggressione esecutiva del creditore (vittoriosamente)
revocante (21).
Ulteriore profilo di specialità è costituito dal fatto che la revocatoria
“giova” solo ed esclusivamente al credito o ai crediti che l’attore ha indi-
viduato nella propria domanda come destinati a beneficiare di quella tutela
esecutiva ultra partes (22). Una diversa lettura porterebbe all’aberrante
conseguenza per cui – esperita vittoriosamente l’azione revocatoria in
relazione ad un determinato credito, quello in ragione del quale il Giudice
ha accertato l’esistenza dei presupposti dell’art. 2901 c.c., e dichiarata
l’inefficacia relativa del negozio traslativo – qualsivoglia nuovo e/o diverso
credito potrebbe beneficiare della tutela originariamente accordata al cre-
ditore per un diverso titolo: magari anche un credito o l’aspettativa di un

sopravvenga un’iscrizione ipotecaria tra la trascrizione di questo e la successiva conversione


del sequestro in pignoramento ex art. 686 c.p.c., fa sı̀ che il creditore sequestrante venga a
godere – nel concorso con altri creditori intervenuti nel processo esecutivo post conversione
– di un privilegio analogo a quello del creditore ipotecario, non potendo il primo essere a
questi postergato in sede di riparto in ragione dell’efficacia conservativa del sequestro, per
un verso, ma dovendo comunque essere riconosciuto al secondo il privilegio nel successivo
procedimento esecutivo, per l’anteriorità dell’ipoteca rispetto alla conversione in pignora-
mento.
(19) Là dove, intrinsecamente, il sequestro conservativo viene invece sempre autoriz-
zato fino a concorrenza di una determinata somma da un giudice che non si preoccupa di
determinare i beni che ne saranno oggetto, essendo compito del creditore sequestrante (in
questa prospettiva, come in molte altre, in posizione identica al creditore pignorante) pro-
cedere all’individuazione dei beni sequestrandi.
(20) Cfr. Cass. 13 gennaio 1996, n. 251.
(21) Non diversamente la responsabilità del terzo acquirente, in caso di successiva
alienazione del bene a subacquirente a titolo oneroso, sarà limitata alla restituzione del
corrispettivo che il primo acquirente ha ricevuto dal subacquirente: v. Cass. 17 febbraio
1993, n. 1941.
(22) Cfr. Trib. Bolzano 26 gennaio 2015, in www.ilcaso.it.
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le nuove leggi 439

credito acquisiti successivamente dal revocante (il cui credito dedotto a


fondamento della revocatoria sia già stato estinto dal debitore) proprio
in vista della possibilità di beneficiare della originaria declaratoria di inef-
ficacia relativa, che cosı̀ verrebbe a costituire un vincolo illimitato a danno
del debitore e del terzo acquirente, in pregiudizio di tutte le ragioni di
certezza del traffico giuridico. Del resto, in capo al terzo acquirente va
accertata una scientia fraudis che si riferisce specificamente alla lesione
della garanzia patrimoniale generica del credito al momento dell’atto di-
spositivo aggredito con la pauliana, e che sarà più o meno intensa a
seconda che il credito sia sorto prima o dopo l’atto dispositivo: sı̀ che la
revocatoria accolta per un credito anteriore all’atto dispositivo non potrà
certo giovare ad un credito nato posteriormente, in relazione al quale
dovrebbe accertarsi la partecipatio alla dolosa preordinazione ordita dal
debitore (23).
Ne deriverebbe altrimenti la potenziale estensione dell’inefficacia del-
l’atto traslativo persino a favore di crediti acquistati dal revocante presso
creditori che non hanno partecipato al giudizio ex art. 2901 c.c., e nei cui
confronti non opera la sentenza revocatoria! Sicché quei crediti potrebbe-
ro allora venir efficacemente opposti al terzo acquirente da quell’unico
creditore che ha ottenuto la “patente” revocatoria: in spregio al principio
consolidatissimo per cui la pauliana dà origine ad un vincolo “a porte
chiuse”.
Su di un piano più generale, del resto, va poi rilevato che, in base al
sistema codicistico, la posizione del “terzo revocato” è in tutto e per tutto
parificata, nell’art. 602 c.p.c., a quella del terzo acquirente dell’immobile
ipotecato o del terzo datore di ipoteca (24). Ed allora diviene evidente, per
la tutela della certezza del traffico giuridico e della posizione soggettiva del

(23) Si ritiene conseguenza logica che l’azione revocatoria «produce i suoi effetti esclu-
sivamente in relazione ai crediti ovvero alle ragioni di credito sulla base dei quali l’azione
stessa viene esercitata. È infatti appunto in relazione a tali crediti o aspettative che si deve
accertare se l’atto impugnato abbia la capacità di determinare pregiudizio per le ragioni del
creditore, per cui il giudice deve tenere presenti appunto le specifiche ragioni di credito o gli
specifici crediti il cui soddisfacimento sarebbe pregiudicato dall’atto impugnato» (cosı̀,
testualmente, Cass. 26 febbraio 1986, n. 1220, citata da QUATRARO, GIORGETTI e FUMAGALLI,
Revocatoria ordinaria e fallimentare, cit., p. 394, ove la conclusione: «È assolutamente fuori
luogo la tesi del ricorrente principale che gli effetti dell’azione revocatoria si estenderebbero
a tutte le ragioni di credito che potrebbero essere pregiudicate dall’atto impugnato purché
sussistenti alla data di tale atto ed anche se non dedotte a base dell’azione revocatoria»).
(24) Sull’equivalenza funzionale della posizione del terzo revocato rispetto a quella del
terzo datore di ipoteca od acquirente dell’immobile ipotecato, v. anche CARNELUTTI, Diritto
e processo nella teoria dell’obbligazione, in Studi in onore di Chiovenda, Padova, 1927,
p. 299.
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440 le nuove leggi civili commentate 3/2016

terzo coinvolto nell’esecuzione per un debito di terzi, che debba valere


anche per questo caso il principio della “doppia specialità” che connota
strutturalmente la disciplina dell’ipoteca: specialità in relazione al bene che
ne è oggetto, ma anche specialità circa la determinazione del credito
garantito (25). Sı̀ che anche le potenzialità di aggressione esecutiva succes-
siva al vittorioso esperimento della pauliana dovranno circoscriversi nel-
l’alveo della garanzia delle specifiche posizioni creditorie dedotte a fonda-
mento della legittimazione ad agire in revocatoria.
Conseguenza di tale premessa, coordinata con la funzione cautelare
della revocatoria, va apprezzata sul piano della facoltà per il terzo acquirente
– aggredito esecutivamente – di contestare la sussistenza del credito accer-
tato nei rapporti tra creditore e debitore, entro un giudizio di cui il terzo
non sia stato parte, avvalendosi dei rimedi previsti a vantaggio del terzo
datore di ipoteca e del terzo acquirente di immobile ipotecato: e cosı̀ delle
previsioni degli artt. 2859 e 2870 c.c., in base ai quali il terzo, che non abbia
presto parte al giudizio diretto alla condanna del debitore, ha la facoltà di
«opporre al creditore procedente tutte le eccezioni non opposte dal debitore
e quelle altresı̀ che spetterebbero a questo dopo la condanna» (26).

4. La conferma della ricostruzione dell’istituto offerta dalla nuova revo-


catoria per saltum.
L’analisi sin qui svolta trova pieno riscontro nella novità offerta dal-
l’introduzione dell’art. 2929 bis c.c., operata dal legislatore “estivo” del
2015 (art. 12 d.l. 26 agosto 2015, n. 83).
Con detta norma si è inaugurata una forma peculiare di revocatoria per
saltum, tramite la quale si consente al creditore di procedere immediata-
mente a pignoramento dei beni immobili o mobili registrati in relazione ai
quali il debitore abbia proceduto ad alienazione a titolo gratuito ovvero a
costituzione di un vincolo d’indisponibilità o segregazione (costituzione di
trust, fondo patrimoniale (27), atto costitutivo di patrimonio separato ex

(25) Che appunto si coordina alle esigenze di certezza del traffico giuridico in tanto in
quanto consente al terzo acquirente di “liberare il bene” dall’incombere dell’aggressione
esecutiva del creditore pagando il necessario alla soddisfazione del credito.
(26) Sembra spingersi anche oltre Cass. 14 maggio 2014, n. 10399, che esclude qua-
lunque vincolo – ancorché attenuato – al giudicato formatosi tra le parti del rapporto
obbligatorio: «il convenuto in revocatoria ha interesse a richiedere un accertamento sull’en-
tità del credito che sia efficace anche nei suoi confronti, allo scopo di ottenere che, nel caso
di accoglimento della domanda, l’atto di disposizione patrimoniale effettuato dal debitore in
suo favore sia dichiarato inefficace solo entro i limiti dell’effettivo importo del credito».
(27) La natura gratuita di tale atto, agli effetti dell’azione revocatoria, è ormai pacifica,
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le nuove leggi 441

art. 2645 ter c.c.: non rientrano invece nello spettro applicativo della
norma gli atti di costituzione di garanzia, con riguardo ai quali – come
supra si precisava – la tutela del creditore non si concreta nella possibilità
di un’aggressione esecutiva ultra partes del rapporto obbligatorio, quale è
prevista dall’art. 2929 bis c.c., bensı̀ nel diniego della prelazione del be-
neficiario nella fase distributiva che segue l’espropriazione, o al più nel-
l’azione recuperatoria del pagamento (28)).
La condizione è che si tratti di atti compiuti successivamente al sor-
gere del credito (29) e che il creditore, ovviamente già munito di titolo
esecutivo in relazione ad un credito specifico (30), proceda alla trascri-
zione del pignoramento entro l’anno dalla trascrizione dell’atto in the-
si pregiudizievole: dando vita omisso medio (per questo ci pare che
l’etichetta per saltum sia la più confacente all’istituto), ove venga in
questione un atto traslativo, ad un’espropriazione contro il terzo proprie-

come confermano già Cass. 18 marzo 1994, n. 2604; Cass. 8 agosto 2013, n. 19029; e da
ultimo Cass. 3 febbraio 2015, n. 3568 in tema di revocatoria fallimentare: a nulla rilevando i
tentativi di “nobilitarlo” in ossequio alle ragioni del sostentamento della famiglia.
(28) Onde non avrebbe senso la costruzione legislativa rispetto ad un bene che, co-
munque rimasto nel patrimonio del debitore, potrà essere ordinariamente pignorato “in via
diretta”, salva la controversia distributiva sulla spettanza della prelazione. In questo conte-
sto, l’esecuzione del pignoramento non verrebbe di per sé ad esprimere l’esercizio dell’in-
intentio revocatoria, e dovrebbe venire esplicitamente caricata di tale valenza dal creditore,
che – nell’atto di pignoramento, da accelerarsi innaturalmente entro un termine annuale –
verrebbe a dichiarare il proprio intento di negare titoli di prelazione di creditori in quel
momento non ancora intervenuti, ed altrettanto dovrebbe fare in sede di intervento nel
processo esecutivo in thesi promosso dal creditore prelatizio (in virtù di atto a titolo gra-
tuito): snaturando con ciò la natura di entrambi gli atti, che verrebbero caricati della
necessità di svolgere l’editio di una contestazione che dovrà comunque essere svolta in sede
distributiva (e pertanto non certo in sede di un’improbabile opposizione all’esecuzione,
quale contemplata dall’art. 2929 bis c.c.), ove si troverebbero calate incidenter le questioni
di revoca della garanzia. Non persuade pertanto la contraria opinione di Oberto, La revo-
catoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929 bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, Torino,
2015, p. 79 s.
(29) Dovendosi a tal riguardo aver presente che, per quanto attiene al fondo patrimo-
niale, la questione dell’anteriorità dovrà definirsi in funzione del momento in cui il fondo
viene annotato a margine dell’atto di matrimonio, non essendo sufficiente la trascrizione nei
registri immobiliari, essendo solo da tal momento che altresı̀ decorre il termine di prescri-
zione quinquennale per la proposizione della pauliana, ex art. 2903 c.c.: da ultimo Cass. 24
marzo 2016, n. 5889 (contra OBERTO, op. cit., p. 53; reputa che dovrebbe trarsi ragione,
dall’art. 2929 bis c.c., per un ripensamento della tematica anche TEDOLDI, Le novità in
materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83/2015 … in attesa della prossima puntata …, in
Corr. giur. 2016, p. 158).
(30) Onde appunto la conferma di quanto si diceva sul fatto che la legittimazione
pauliana è necessariamente connotata da “specialità” in relazione allo specifico creditovo-
cato a beneficiare dell’aggressione esecutiva condotta sui beni di un terzo extraneus rispetto
al rapporto obbligatorio.
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442 le nuove leggi civili commentate 3/2016

tario ex art. 602 c.p.c. (31), ovvero ad un’espropriazione contro il dispo-


nente in spregio degli atti segregativi.
L’aggressione esecutiva dunque precede ed anzi prescinde dall’ema-
nazione della sentenza costitutiva di revoca. Viene invece conferita al
debitore o al terzo avente causa pignorati (o ad ogni altro interessato:
ad es. il coniuge o i figli maggiorenni non autonomi dal punto di vista
patrimoniale – anche ove non sia stato notificato loro il pignoramento –
con riguardo alla costituzione del fondo patrimoniale, ed ancora il trustee e
beneficiaries (32)) la facoltà di contestare ex post, in via d’opposizione al-
l’esecuzione ex art. 615 c.p.c., l’insussistenza dei presupposti specifici di
questa eccezionale facoltà conferita al creditore (anteriorità dell’atto rispet-
to al sorgere del credito, creditore che abbia agito oltre l’anno); oppure
l’insussistenza di quella scientia fraudis del disponente che costituisce l’u-
nico presupposto soggettivo della revocatoria (trattandosi di atti a titolo
gratuito, infatti, la revoca non è condizionata all’ulteriore requisito della
partecipatio fraudis del terzo: questi certat de lucro captando e pertanto è
sempre postergato alla tutela degli interessi del creditore qui certat de
damno vitando, come si ricava dall’art. 2901, comma 3˚, n. 2, c.c.). Per
contro il presupposto legittimante, ossia l’esistenza del credito, risulta
“coperta” dalla ovvia necessità che il creditore si trovi nella disponibilità
di un titolo esecutivo (altrimenti né avrebbe potuto promuovere il pigno-
ramento, né avrebbe potuto intervenire, ex art. 499 c.p.c.: salvi i casi di
legittimazione straordinaria all’intervento ivi considerati, nei quali peraltro
la constatazione dell’esistenza del credito si avrà in sede di udienza di
verifica o in pendenza degli accantonamenti ivi previsti (33)).

(31) Il creditore pregiudicato, nell’agire in executivis direttamente nei confronti del


terzo, dovrà perciò notificare gli atti “prodromici” – titolo esecutivo e precetto – sia al
debitore che al terzo, e trascrivere poi il pignoramento direttamente nei confronti di que-
st’ultimo (art. 604 c.p.c.), pur restando il debitore parte del processo esecutivo (Cass. 29
settembre 2007, n. 20580). Per un’omologa descrizione dell’istituto, che evoca la figura del
bypass, v. CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti processuali dell’art. 2929 bis c.c. (la tecnica
del bypass applicata all’esecuzione forzata), in Riv. esecuz. forzata 2016, p. 59 ss.
(32) Con specifico riguardo alla figura del beneficiario del trust – figura che forse
potrebbe far sorgere maggiori dubbi rispetto a quelle del disponente, che agirebbe in qualità
di debitore, e del trustee il quale agirebbe invece in qualità di terzo “proprietario” – non se
ne può invero escludere un interesse alla conservazione del vincolo, e cosı̀ la legittimazione
ad agire in opposizione all’esecuzione. E ciò a maggior ragione se si considera che viene
riconosciuta allo stesso beneficiario la possibilità di svolgere intervento adesivo dipendente
ex art. 105 c.p.c. in un’azione di accertamento dell’invalidità del trust, o della sua inefficacia,
venendo esso riconosciuto come titolare in proprio di un interesse giuridico diretto alla
conservazione degli effetti del trust (Trib. Reggio Emilia 27 agosto 2011, in Dejure.it).
(33) Cfr., in proposito, PILLONI, Accertamento ed attuazione del credito nell’esecuzione
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le nuove leggi 443

Tale opposizione, tuttavia, non impedirà di per sé il progredire del-


l’espropriazione forzata avviata con il pignoramento immediato del credi-
tore, ma conseguirà tale risultato solamente ove l’opponente deduca ra-
gioni idonee a convincere il giudice dell’esecuzione della plausibile illegit-
timità dell’iniziativa del creditore, e cosı̀ a sospendere il processo esecutivo
ex art. 624 c.p.c. Eventualità abbastanza improbabile, se si considera che
la situazione soggettiva del terzo non rileva (per quanto detto poc’anzi) e
che la scientia fraudis in capo al debitore è oggetto di presunzione invero
inscalfibile in caso di atti a titolo gratuito compiuti dopo il sorgere del
credito (34). Ciò consente di immaginare che nella maggior parte dei casi
(non potendo per definizione il giudice dell’esecuzione sospendere in
ragione delle probabilità che il titolo esecutivo venga riformato nelle fasi
d’impugnazione (35)), la procedura espropriativa avviata dal creditore pro-
seguirà indisturbata (ed è questa, evidentemente, l’aspettativa del legisla-
tore) (36).

forzata, Torino 2011, passim; STORTO, La riforma del processo espropriativo e l’accertamento
anticipato dei crediti: nuove coordinate per un vecchio problema, in Rivista dell’esecuzione
forzata, 2007, p. 221 ss.; CAPPONI, La verificazione anticipata dei crediti nell’espropriazione
forzata: vecchie soluzioni, nuovi problemi, ivi, 2010, 329 ss. V. anche infra, nt. 48.
(34) Dalla natura gratuita degli atti dispositivi si può agevolmente desumere come
presunti ex lege i presupposti dell’eventus damni (che più che presunto ben può dirsi in
re ipsa: TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 155) e della scientia
damni, essendo difficilmente confutabile che il disponente fosse in grado di comprendere il
pregiudizio che andava ad arrecare al suo creditore allorché trasferiva a titolo gratuito o
“segregava” il bene. E cosı̀, in sede di conversione del d.l. n. 83/15, si è (peraltro apoditti-
camente: v. infra, nt. 38) riconosciuto che, «coerentemente con la presunzione di frode, è
prevista l’inversione dell’onere della prova», spettando al debitore, o a qualsiasi altro inte-
ressato, contestare l’assenza del requisito soggettivo della scientia damni.
(35) Consentendo al giudice della parentesi cognitiva di disporre la sospensione sulla
base di valutazioni riservate al giudice di merito in sede di impugnazione del titolo esecutivo,
si giungerebbe ad un contrasto con i principi cardine dell’opposizione esecutiva: in tale sede
(oppositiva) il debitore non può far valere le medesime doglianze che può (e deve) invece
sollevare dinanzi al giudice della causa di merito, ma solo quelle attinenti all’esistenza del
titolo esecutivo o, ad esempio, alla sua caducazione per fatti sopravvenuti al giudicato (ex
multis cfr. Cass. 30 novembre 2005, n. 26089; Cass. 18 aprile 2006, n. 8928: «con l’oppo-
sizione avverso l’esecuzione fondata su titolo giudiziale, il debitore non può sollevare ecce-
zioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo, i quali sono deducibili
esclusivamente nel procedimento preordinato alla formazione del titolo medesimo»).
(36) Questo porta alla conseguenza della possibile nascita di un conflitto per il caso –
invero improbabile, per quanto si è detto, ma ovviamente possibile – in cui l’opposizione
esecutiva venga accolta e nel frattempo la procedura esecutiva sia appunto proseguita
“ininterrotta”: il conflitto tra il beneficiario pignorato ed il soggetto risultato aggiudicatario
del bene andrà risolto a vantaggio di quest’ultimo, mentre il terzo acquirente, uscito “vitto-
rioso” dalla parentesi cognitiva dell’opposizione esecutiva (o che abbia visto il successo
dell’opposizione promossa dal debitore o da altro interessato), avrà unicamente diritto al
prezzo, venendo il bene acquistato “irrevocabilmente” dall’assegnatario mediante la vendita
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444 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Ci pare di poter affermare che l’obiettivo dell’innovazione sia rappre-


sentato non tanto dagli atti formali di donazione, rispetto ai quali l’aggi-
ramento dell’istituto tramite ricorso a negozi simulati (devesi infatti esclu-
dere che siffatta facoltà di pignoramento omissa sententia pauliana possa
essere esercitata sul presupposto implicito della natura dissimulata della
donazione (37)) si rivelerà ancor più frequente di quanto già si facesse sin

forzata (v. anche FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929 bis c.c., tra accelerazione delle
tutele creditorie e riflessioni sistematiche. Primo commento, in www.dobank.com/attach/Con-
tent/Menu_principale/5433/o/art.2929bis.pdf, p. 9 s.; contra PETRELLI, Pignoramento di beni
oggetto di vincoli di indisponibilità e di alienazioni gratuite, in www.gaetanopetrelli.it, p. 4;
TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 160; CAPPONI, La tecnica del by-
bypass applicata all’esecuzione forzata, cit., p. 63). Questa conclusione è veicolata in modo
univoco dal precedente delle Sez. Un. ove si è chiarito che perfino il sopravvenuto accerta-
mento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva
(circostanza resa oggetto di opposizione ex art. 615 c.p.c., entro la quale non sia stata
concessa l’inibitoria ex art. 624 c.p.c.) «non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pigno-
rato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità
alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo sia dimostrata la collu-
sione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell’ese-
cutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale
danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al proce-
dimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo» (Cass., sez. un., 28 novembre 2012, n.
21110; nella giurisprudenza successiva cfr., ex multis, Cass. 27 agosto 2014, n. 18312; e
Cass. 13 marzo 2014, n. 5796).
Anche a voler cercare una qualche tutela per il terzo proprietario, questa non è certo
rinvenibile negli artt. 619 c.p.c. (che disciplina l’opposizione di terzo) e 2921 c.c. (che
prevede la “rivendica” del bene, ossia l’evizione dell’assegnatario), trattandosi di norme a
cui può far ricorso unicamente il soggetto terzo estraneo al processo esecutivo: qualifica,
questa, non attribuibile all’avente causa a titolo gratuito pignorato, il quale, all’evidenza,
partecipa in qualità di parte alla procedura introdotta ex art. 2929 bis c.c.
(37) Riteniamo infatti inevitabile che tale presupposto debba continuare ad essere
accertato in un giudizio ordinario di cognizione promosso dal creditore, e non in un giudizio
mosso dall’iniziativa “repressiva” del terzo inopinatamente pignorato, pur avendo acquistato
formalmente a titolo oneroso, entro le maglie di un’opposizione esecutiva. Il legislatore
d’altronde, abbiamo visto, consente la revocatoria per saltum solo ove i presupposti della
legittimazione risultino, a termini di diritto sostanziale, pressoché scontati, se non in re ipsa:
la declaratoria di simulazione relativa di un negozio (potenzialmente idonea a sfociare in
nullità del negozio ove la donazione dissimulata difetti della forma pubblica assistita dai due
testimoni), richiede invece un accertamento che non può essere “aggirato” per tramite di
una mera asserzione del creditore pignorante.
Tale accertamento di simulazione relativa, nel caso dell’actio pauliana – ove non è data
questa “scorciatoia” al creditore –, potrà anche concorrere con il petitum revocatorio: si
tratta bensı̀ di domande diverse, per contenuto, ma funzionalmente coordinate al medesimo
obiettivo di tutela del creditore (non cosı̀ invece la domanda di simulazione assoluta, che,
postulando che il bene sia rimasto nel patrimonio del debitore, è concettualmente incom-
patibile con la revocatoria, “assorbendone” l’utilità: onde si può desumere che il pignora-
mento diretto ex art. 2929 bis c.c. sia a propria volta del tutto incompatibile rispetto
all’iniziativa di un creditore che prospetti l’ipotesi della simulazione assoluta dell’atto di
disposizione).
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le nuove leggi 445

quando la simulazione consentiva solo di rendere più difficoltoso il suc-


cesso nella revocatoria, imponendo l’apparente onerosità del negozio la
prova della partecipatio fraudis del terzo simulato acquirente.
Il target sono piuttosto e trasparentemente gli atti di “segregazione
patrimoniale”, specie quelli di costituzione di fondi patrimoniali o di trust,
rispetto ai quali l’esercizio della revocatoria risulta sommamente facilitato,
e ciò soprattutto a beneficio dei creditori usi a monitorare periodicamente
la capienza patrimoniale dei propri debitori o dei loro fideiussori: nella
sostanza gli istituti di credito, che sono gli unici dai quali per solito ci si
potrà attendere l’esercizio dell’azione esecutiva omissa sententia pauliana in
tempi cosı̀ subitanei (un anno) dalla trascrizione di siffatti negozi a titolo
gratuito, in thesi volti a sottrarre i beni personali ad assai probabili ag-
gressioni esecutive.

5. Revocatoria per saltum ed inefficacia relativa.


Non può peraltro nascondersi che questa innovazione prospetta un’a-
sperità sistematica notevole, dovendosi giustificare che l’effetto che sin qui

In tal senso sono orientati tutti i commentatori della novella: cfr. PETRELLI, op. cit., p. 6;
RIZZI, L’art. 2929 bis c.c.: una nuova tutela per il ceto creditorio, in www.federnotizie.it/lart-
2929-bis-c-c-una-nuova-tutela-per-il-ceto-creditorio/, par. 2; FRANCO, La novella codicistica del-
l’art. 2929 bis c.c., cit., p. 1 s., nt. 4; TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit.,
p. 156; CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), cit., p. 69; OBERTO,
Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 62 s., per il quale l’atto di precetto non sarebbe
strumento compatibile con l’allegazione della simulazione o della nullità del trasferimento,
anche alla luce degli oneri probatori che una tale allegazione richiede. Conseguentemente il
terzo acquirente, “aggredito” con pignoramento diretto, potrà ricorrere all’opposizione di
terzo di cui all’art. 619 ss. c.p.c. (invocando quel titolo dominicale che, in questo caso, non
risulterebbe affatto depotenziato né dagli effetti della sentenza costitutiva né dall’inefficacia
temporanea ex lege disposta dall’art. 2929 bis c.c.), producendo in giudizio l’atto di vendita
od altro titolo idoneo ad escludere (quanto meno formalmente) la gratuità dell’acquisto.
Ancora, proprio alla luce della peculiarità del rimedio per saltum garantito al creditore,
si è ritenuto di dover ulteriormente escludere, tra le fattispecie riconducibili all’ambito di
applicazione della norma, le c.d. “liberalità indirette”, e più in generale tutti gli atti privi di
quella “gratuità” che giustifica il ricorso alla tutela esecutiva omissa sententia pauliana (v.
OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 86 ss.). Peraltro, la recente prassi – indotta
da ragioni fiscali e di tracciabilità dei pagamenti – di far risultare formalmente la prove-
nienza da terzi dei mezzi di pagamento del corrispettivo di un trasferimento immobiliare,
potrebbe indurre a ravvisare nelle donazioni indirette delle liberalità “palesi” suscettibili in
astratto, come tali, di consentire ai creditori di chi abbia messo a disposizione la provvista di
aggredire in executivis il bene presso il beneficiario con il pignoramento diretto ex art. 2929
bis c.c. Un’apertura sull’ammissibilità della revocatoria di donazioni indirette la si ritrova in
Cass., 23 maggio 2014, n. 11491, nella prospettiva della proposizione di un’azione risarci-
toria o di recupero del prezzo (trattandosi, nel caso di specie, di azioni di una cooperativa
non suscettibili di aggressione esecutiva).
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446 le nuove leggi civili commentate 3/2016

richiedeva non solo la pronuncia di una sentenza costitutiva (appunto la


sententia pauliana), ma anche il suo passaggio in giudicato, possa essere
realizzato per tramite di un pignoramento immediato per saltum (purché
esso esprima una reazione infrannuale al negozio pregiudizievole a titolo
gratuito), salvo il rinvio della cognizione sui presupposti della medesima
pauliana in sede di opposizione esecutiva (opposizione nella quale, come si
diceva, più che le negazioni sui presupposti specifici della revocatoria,
emergenti in re ipsa (38), troveranno per solito albergo le contestazioni
circa i presupposti di applicabilità dell’art. 2929 bis c.c.: natura gratuita
del negozio pregiudizievole (39), infrannualità dell’aggressione esecutiva,
anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo).

(38) Il che in realtà depotenzia la problematica circa il riparto dell’onere probatorio (v.
anche TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 155): fermo restando che,
entro la struttura concepita dal legislatore con l’inversione dell’onere di iniziativa, è ragio-
nevole ammettere che – di fronte all’opposizione di uno dei soggetti legittimati – sia sempre
il creditore procedente ad essere gravato dal “rischio della mancata prova” dei requisiti
sostanziali della pauliana: al pari di quanto oramai prevalentemente si ritiene, anche in
giurisprudenza, per le azioni di accertamento negativo in genere (cfr. di recente Cass. 31
ottobre 2013, n. 24568; Cass. 4 ottobre 2012, n. 16917; Cass. 10 novembre 2010, n. 22862;
nonché da ult., nel senso che – nel giudizio di opposizione di merito all’esecuzione – ove il
quantum del credito non risulti dal titolo esecutivo, essendo questo costituito da un’ipoteca
iscritta a garanzia di uno scoperto di conto corrente, l’onere della prova dell’esistenza e
dell’ammontare della pretesa gravi sul creditore opposto, Cass., 25 marzo 2016, n. 10752). In
senso contrario a siffatta “suggestione” v. tuttavia CAPPONI, La tecnica del bypass applicata
all’esecuzione forzata), cit., p. 66.
(39) A tal riguardo meritano attenzione particolare le alienazioni dipendenti da accordi
patrimoniali raggiunti tra i coniugi in sede di separazione personale o di divorzio. Nello
specifico, negli atti conclusi dai coniugi in sede di separazione o divorzio non è ravvisabile
né la causa liberale tipica delle donazioni, e nemmeno una causa meramente gratuita (cosı̀
ampiamente OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 100 ss.; RIZZI, L’art. 2929 bis
c.c., cit., par. 2; VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929 bis c.c., in
Riv. esecuz. forzata 2016, p. 595): si tratta di situazioni in cui la volontà dei coniugi è quella
di regolare e definire i rapporti patrimoniali matrimoniali, a seguito del venir meno del-
l’affectio maritalis, quando al regolamento di tali rapporti si intende condizionare la defini-
zione consensuale della crisi coniugale o di una fase di questa. Del resto anche in dottrina ed
in giurisprudenza, ove erano sorti dubbi circa la causa propria di tali atti, è prevalsa la tesi
dell’esclusione della loro gratuità, ferma peraltro la loro revocabilità. Anche poi volendo
ravvisare una causa gratuita, questa, non essendo evidente e certa – come invece per le
alienazioni soggette al nuovo art. 2929 bis c.c. –, dovrebbe essere accertata in un giudizio di
merito a cognizione piena, e non entro le strette maglie dell’opposizione esecutiva di cui
all’art. 615 c.p.c. (si veda ad esempio Cass. 10 aprile 2013, n. 8678, in motivazione, per cui
«le attribuzioni di beni mobili o immobili disposte, nell’ambito di accordi di separazione
personale, da un coniuge in favore dell’altro rispondono, di norma, ad un intento di siste-
mazione dei rapporti economici della coppia che sfugge, da un lato, alle connotazioni di una
vera e propria donazione (di per sé estranea ad un contesto caratterizzato dalla dissoluzione
delle ragioni di affettività), e dall’altro a quelle di un atto di vendita (non fosse altro che per
l’assenza di un prezzo corrisposto), e svela, dunque, una sua tipicità, che può colorarsi dei
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le nuove leggi 447

A tale asperità sistematica si riesce a dare soluzione solo richiamando


la sopra tratteggiata prospettiva processuale della revocatoria. In definitiva
con la c.d. revocatoria per saltum si è disposto che, per il periodo di un
anno, nonostante l’atto traslativo (o segregativo), resti sottratta al debitore
ed al terzo la possibilità di contrastare l’esecuzione invocando l’eccezione
radicata nella nuova situazione dominicale del bene (cosa che, in situazioni
“normali”, di per sé sarebbe sufficiente ad impedire il progresso dell’ag-
gressione esecutiva, con un’opposizione ex art. 619 c.p.c.).
Il bene ovviamente “non torna” nel patrimonio del debitore (tanto che
solo il creditore o i creditori subitaneamente pignoranti potranno benefi-
ciare dell’effetto di cui al novello art. 2929 bis c.c., “a porta chiusa”) e
resta assoggettato al vincolo d’indisponibilità o ricompreso nelle proprietà
del terzo (significativamente ammesso a proporre opposizione esecutiva –
ma non di terzo, proprio perché privato dell’eccezione dominicale –, là
dove il terzo acquirente dell’immobile pignorato, ex art. 2913 c.c., non ha
alcuna legittimazione al riguardo (40)). Tuttavia vi è un’attenuazione degli
effetti sostanziali dell’atto a titolo gratuito (41), poiché – appunto – l’ecce-
zione dominicale resta paralizzata ove l’aggressione esecutiva prenda il via
entro un anno dalla trascrizione del negozio traslativo (42). Quella che

tratti propri dell’onerosità o della gratuità a seconda che l’attribuzione trovi o meno giu-
stificazione nel dovere di compensare e/o ripagare l’altro coniuge del compimento di una
serie di atti a contenuto patrimoniale, anche solo riflesso, da questi posti in essere nel corso
della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale»).
(40) Giurisprudenza costante: Cass. 12 aprile 2013, n. 8936, per cui «il terzo che, in
pendenza di esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, abbia
acquistato a titolo particolare il bene pignorato, soggiace alla disposizione di cui all’art. 2913
c.c., che, sancendo l’inefficacia verso il creditore procedente ed i creditori intervenuti delle
alienazioni del bene, impedisce che egli (il terzo) succeda nella posizione di soggetto passivo
dell’espropriazione in corso, e quindi, che sia legittimato all’opposizione all’esecuzione di cui
all’art. 615, co. 2, c.p.c.» (v. anche Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703; Cass. 12 aprile 2010, n.
15400). Il terzo dunque, eventualmente, ove ne ricorrano i requisiti, potrà al massimo
proporre un’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. per far valere la inesistenza o nullità
della trascrizione del pignoramento (Cass. 26 luglio 2004, n. 14003; Cass. 18 luglio 2006, n.
16440).
(41) Contra, nel senso che dalla norma novellata non possa farsi discendere un’ipotesi
di inefficacia legale, FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929 bis c.c., cit., p. 5: l’affer-
mazione è a nostro avviso condivisibile nella sua assolutezza, ma per converso non può
negarsi che vi sia un’attenuazione degli effetti traslativi non riducibile ad un fenomeno
puramente processuale (che l’A. descrive in termini di antergazione degli effetti del pigno-
ramento: ipotesi che costituirebbe un vero monstrum nella sistematica degli artt. 2911 ss.
c.c.). Nel senso del testo, ossia dell’introduzione di un’ipotesi di inefficacia “temporanea e
relativa” ex lege degli atti di disposizione a titolo gratuito o di segregazione, v. anche RIZZI,
L’art. 2929 bis c.c.: una nuova tutela per il ceto creditorio, cit., Introduzione.
(42) Con ciò si comprova altresı̀ come non sia possibile immaginare, nella revocatoria
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448 le nuove leggi civili commentate 3/2016

costituisce l’efficacia sostanziale tipica dell’accoglimento della pauliana è


dunque disposta omisso medio dal legislatore: con una norma che, pur
prevedendo un potere processuale (il potere di azione esecutiva “verso
terzi”), in realtà è pienamente sostanziale (43), poiché l’investitura di siffat-

ordinaria “tradizionale”, l’inefficacia come oggetto di accertamento incidentale preliminare


al dictum costitutivo (cosı̀ invece COSTANTINO, Contributo allo studio del litisconsorzio ne-
cessario, Napoli, 1979, p. 440 s.): o l’inefficacia è disposta dalla legge o essa consegue alla
sentenza, poiché se l’inefficacia preesistesse al processo non avrebbe bisogno della sentenza,
ed appunto legittimerebbe il pignoramento immediato. Neppure però si può ridurre l’im-
patto della revocatoria al mero piano processuale (cosı̀ invece CONSOLO, Oscillazioni “ope-
razionali”, cit., p. 2285), poiché la sottrazione dell’eccezione dominicale al terzo acquirente
non può che rifluire anche sul versante sostanziale della fattispecie (come appunto insegna il
novellato art. 2929 bis c.c.). Ne segue altresı̀ la non condivisibilità della tesi (per cui v.
TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 155 s.) per cui l’inefficacia relativa
sarebbe frutto di un’azione esecutiva «a effetti modificativi del regime giuridico dell’atto
impugnato, di cui determina l’inefficacia relativa mercé trascrizione nei registri immobiliari
del pignoramento»: l’inefficacia è legale, ed è solo l’effetto revocatorio che si perfeziona (non
certo con il pignoramento, bensı̀) con il compimento dell’espropriazione.
(43) Con tutto quanto ne consegue sul versante del diritto intertemporale. L’art. 23,
comma 6˚, d.l. n. 83/15 ha infatti dettato una norma transitoria a dir poco incomprensibile
al riguardo dell’entrata in vigore dell’art. 2929 bis c.c., là dove ha stabilito che quest’ultimo,
come introdotto dall’art. 12 del medesimo d.l., si «applica esclusivamente alle procedure
esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto» (ossia
il 27 giugno 2015). Una siffatta previsione potrebbe avere un significato se riferita ad una
modifica della procedura esecutiva (ed infatti l’art. 23, comma 6˚, fa riferimento anche
all’art. 13 del d.l., che effettivamente modifica le disposizioni in tema di esecuzione forzata),
ma non ha senso alcuno se riferita ad una disposizione, come l’art. 2929 bis c.c., che
riguarda i presupposti per attivare la procedura esecutiva, ed è pertanto intrinsecamente
destinata ad operare quando la procedura non è ancora iniziata (v. cosı̀ RIZZI, L’art. 2929 bis
c.c.: una nuova tutela per il ceto creditorio, cit., par. 5). Si è pertanto autorevolmente
sostenuto che una lettura costituzionalmente orientata della disposizione in discorso – che
valorizzi i principi di tutela dell’affidamento, l’art. 11, comma 1˚, delle preleggi ed il precetto
ivi contenuto per cui «la legge non dispone che per l’avvenire» – induce a ritenere che l’art.
2929 bis c.c. si applichi bensı̀ alle procedure esecutive instaurate dal 27 giugno 2015, ma al
fine di sottoporre a siffatta forma di esecuzione diretta beni che siano oggetto degli atti, di
cui al comma 1˚ della norma, posti in essere successivamente alla predetta data (PETRELLI,
Pignoramento di beni oggetto di vincoli di indisponibilità e di alienazioni gratuite, cit., p. 8 s.;
RIZZI, op. cit., par. 5; PICCOLO, Modifiche del processo esecutivo, in www.abbruscatonotaio.-
com/component/content/article/50-nuovo-archivio/1913-modifiche-del-processo-esecutivo,
punto VII; perplessa la conclusione di FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929 bis c.c.,
cit., p. 1, nt. 2; contra OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 34 s.). Del resto il
terzo proprietario, nel momento in cui ha acquistato il bene a titolo gratuito (prima del 27
giugno 2015), era o poteva essere consapevole di poter subire un’azione revocatoria alle
condizioni e nei termini di cui agli artt. 2901 ss. c.c., ma non certo un pignoramento
immediato nelle forme di cui agli artt. 602 ss. c.p.c. (non essendo ancora stata emanata la
disposizione dell’art. 2929 bis c.c.). Viceversa il disponente sapeva (o poteva sapere) di
compiere un atto avente l’effetto ordinario di far fuoriuscire il bene dal proprio patrimonio
(o di sottoporlo ad un vincolo di destinazione), e non si attendeva un regime normativo che
prevedesse la sostanziale inefficienza traslativa dell’atto negoziale nei confronti dei creditori.
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le nuove leggi 449

to potere processuale in tanto è legittima (ossia: si sottrae all’eccezione


dominicale altrimenti ineluttabilmente spettante) in quanto, “al di sotto”
della superficie, vi è un’attenuazione dell’efficacia sostanziale dell’atto di-
spositivo a titolo gratuito (44).
Il bene fuoriuscito dal patrimonio del debitore disponente (o “segre-
gato” in patrimonio separato dal debitore) potrà dunque essere aggredito
dal creditore con l’azione espropriativa, e dato che l’attenuazione dell’ef-
fetto traslativo trova fonte nella volontà di legge, non c’è neppure bisogno
di ricercare altrove la fonte dell’effetto revocatorio. Questo si perfezionerà
bensı̀ al momento dell’espropriazione (ossia della vendita al terzo con
“purgazione” di tutti i diritti potenzialmente confliggenti, e destinazione
del bene, previa sua vendita forzata, alla soddisfazione del credito), ma
solo come momento culmine di una fattispecie a formazione progressiva:
espressione pur sempre di un diritto potestativo ad esercizio giudiziale,
salvo il fatto che l’esercizio avviene nelle forme del pignoramento imme-
diato e senza necessità di una previa sentenza costitutiva di revoca.
Né certo la fonte dell’effetto revocatorio si potrà ravvisare entro le
maglie del giudizio di opposizione esecutiva in eventum instaurato dal
terzo acquirente o dal debitore, a termini dell’art. 2929 bis, comma
3˚, c.c. È ovvio che la fattispecie a formazione progressiva si realizzerà
nel momento terminale, e che pertanto essa troverebbe ostacolo nel fatto
che debitore o avente causa (o altro terzo interessato: v. supra) riescano a
far riacquistare rilevanza al mutamento della situazione dominicale del
bene, dimostrando positivamente la (pur improbabile) insussistenza dei
presupposti per la revoca e ponendo termine alla espropriazione diretta.
Tuttavia siffatta sentenza, se favorevole al debitore, verrà a por termi-
ne all’esecuzione forzata, se del caso con forza di giudicato sulla insussi-
stenza dei requisiti di una revocatoria che, pertanto, non potrà essere
riproposta (45), ed in ogni caso risulterebbe per lo più prescritta. Infatti

Ciò induce conclusivamente a condividere le tesi per cui la nuova tutela del ceto creditorio
introdotta dall’art. 2929 bis c.c. si applichi esclusivamente con riguardo agli atti costitutivi di
vincoli o di alienazione a titolo gratuito posti in essere a partire dal 27 giugno 2015, ossia
dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 83/15.
(44) Anche qui dunque ritroviamo la prova della generale natura ancillare della norma
processuale rispetto alla realtà sostanziale, e di come i rimedi processuali si configurino in
funzione di questa.
(45) In tal senso v. anche OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 56.
Nulla peraltro dirà al riguardo la sentenza, nelle ipotesi in cui la vittoriosa contestazione
del debitore avrà avuto ad oggetto l’anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo ovvero
l’infra-annualità dell’esercizio dell’azione esecutiva, o ancora la non esperibilità della revo-
catoria per saltum per ragioni di diritto transitorio.
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450 le nuove leggi civili commentate 3/2016

in tal caso il creditore potrà ben a “ricominciare” con il rinnovato esercizio


della tradizionale pauliana, ma solo se ancora non sia maturato il termine
prescrizionale dell’art. 2903 c.c.: dovendosi escludere la possibilità di in-
terruzione e sospensione del suddetto termine, a fronte dell’esigenza che la
situazione sostanziale si acquieti ove non avvia avuto sbocco vittorioso il
potere processuale tempestivamente esercitato (senza che lo stato di “pen-
denza” possa protrarsi all’infinito a discapito dell’esigenza di certezza delle
situazioni sostanziali e del traffico giuridico) (46).
Se invece la sentenza sarà favorevole al creditore, essa contribuirà sı̀ al
perfezionamento del risultato espropriativo (o ne consentirà il verificarsi,
là dove l’esecuzione fosse stata sospesa) – ed alla funzionalizzazione alla
soddisfazione dei creditori dei beni trasferiti al terzo o assoggettati a
vincolo di disponibilità –, ma del tutto a prescindere da una pronuncia
costitutiva che non potrà certo ricercarsi entro le maglie strette della
decisione sull’opposizione.

6. Il concorso dei creditori nella revocatoria per saltum.


La neo-introdotta facoltà di pignoramento diretto apre una serie di
questioni in merito al concorso tra creditori.
Il legislatore si premura invero di precisare che la via dell’aggressione
esecutiva è aperta a tutti i creditori anteriori che dispieghino intervento
nell’esecuzione da altri promossa (muniti di apposito titolo esecutivo, ex
art. 499 c.p.c. (47)), purché l’iniziativa presenti quel connotato infrannuale

(46) Trattandosi di termine di prescrizione-decadenza, esso può essere impedito uni-


camente dal vittorioso esercizio della legittimazione revocatoria, ma non interrotto in caso di
insuccesso. Ne segue l’erroneità, a nostro avviso, delle tesi per cui, in caso di pignoramento
diretto riconosciuto illegittimo od abortito in un’estinzione del processo esecutivo, il termine
prescrizionale dell’art. 2903 c.c. ricomincerebbe (o riprenderebbe) a decorrere dalla chiu-
sura del procedimento esecutivo (cosı̀ invece CIRULLI, La riforma del processo esecutivo, in
Judicium.it, p. 8 ss.; nel senso del testo, apparentemente, OBERTO, Dalla pauliana alla
“renziana”?, cit., p. 37): la possibilità di “ripartire” con una pauliana “tradizionale” si avrà
solo se ciò accada nei cinque anni dal compimento dell’atto (o dalla sua trascrizione).
Sulla peculiarità del regime dei termini “di prescrizione” previsti dal c.c. per l’esercizio
di azioni costitutive v. da ult. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24822, ove si è ribadito che
il principio di “scissione del momento soggettivo” di perfezionamento della notificazione,
definitivamente sancito della sentenza della Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477, si applica
quanto alla verifica del rispetto delle decadenze processuali ma non ai termini sostanziali,
fatta eccezione per quelli per “salvare” i quali è necessaria la proposizione di una domanda
giudiziale: come appunto accade per il termine quinquennale di esercizio della pauliana.
(47) Il generico rinvio “all’intervento” consente peraltro di ricomprendere tra i credi-
tori intervenienti anche le figure di intervento “non titolato” individuate nella menzionata
norma (TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit., p. 159; contra OBERTO,
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le nuove leggi 451

– rispetto alla trascrizione dell’atto pregiudizievole – che costituisce la cifra


caratterizzante del nuovo istituto (48). Tuttavia questo fugace cenno lascia
aperte molte questioni, anche solo per il fatto di non chiarire punto se
l’intervento cui ha riguardo l’art. 2929 bis, comma 1˚, ult. parte, c.c. si
riferisca alla sola – e sicura – ipotesi di processo esecutivo avviato da altro
creditore per titolo anteriore all’atto dispositivo e che abbia esercitato la
legittimazione revocatoria con il pignoramento diretto (49), ovvero anche al
caso di un processo esecutivo avviato da un creditore dell’avente
causa (50).

Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 16). Tra queste rileveranno in particolare i creditori
titolari di credito nei confronti del disponente risultante dalle scritture contabili obbligato-
rie, nonché i creditori che abbiano ottenuto un sequestro conservativo nei confronti del
dante causa trascritto sul bene alienato o segregato ed i creditori muniti di ipoteca sul bene
alienato o segregato: questi ultimi potrebbero certo vantare l’inefficacia nei loro confronti
dell’atto dispositivo, tuttavia – se ed in quanto ancora privi di titolo esecutivo – rischiereb-
bero di veder comunque procedere ed ipoteticamente concludersi l’espropriazione forzata
promossa da altro creditore autore di “pignoramento diretto”, senza poter far valere il titolo
deputato a rendere comunque inefficace l’atto dispositivo nei loro confronti.
(48) A differenza di quanto accade d’ordinario, l’intervento ex art. 2929 bis, comma 1˚,
ult. parte, c.c. non costituisce pertanto un mero atto di esercizio della azione satisfattiva, ma
intrinsecamente squaderna la pretesa revocatoria. Pertanto la previsione normativa non
porta con sé alcuna deroga al principio per cui la revocatoria crea un vincolo “a porte
chiuse”: qui, in realtà, si realizza un litisconsorzio attivo tra creditori che tutti esercitano, per
saltum, il potere revocatorio tramite promuovimento od accessione al processo esecutivo
(contra, con tesi strutturalmente e funzionalmente ingiustificata, TEDOLDI, Le novità in
materia di esecuzione forzata, cit., p. 158; VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria,
cit., p. 589 s.).
(49) Approdo sicuro: per tutti v. OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 49.
(50) Non dovrebbe invece porre particolari problemi il caso del concorso tra creditore
pignorante diretto e creditore che abbia titolo per soddisfarsi esecutivamente sui beni
costituiti in patrimonio separato: si tratta infatti pur sempre di creditori del medesimo
soggetto (per quest’ipotesi non si contempla infatti, nel comma 2˚ dell’art. 2929 bis c.c.,
un’espropriazione contro il terzo proprietario), che concorreranno secondo par condicio,
salve eventuali legittime cause di prelazione.
Al riguardo dei creditori aventi titolo per soddisfarsi sui beni costituiti in patrimonio
separato, deve darsi conto di una tendenza sempre più diffusa, in giurisprudenza, ad
attenuare gli effetti della costituzione del fondo patrimoniale, qualificandosi come crediti
contratti per i bisogni familiari anche quelli connessi all’attività imprenditoriale o professio-
nale del coniuge, nella misura in cui questa attività sia funzionale al soddisfacimento dei
bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed
all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavo-
rativa o per il soddisfacimento del tenore di vita familiare, salve le sole esigenze di natura
voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (v. Cass. 23 novembre 2015,
n. 23876; Cass. 24 febbraio 2015, n. 3738; Cass. 11 luglio 2014, n. 15886). L’onere di
allegare e provare che il debito sia stato contratto per uno scopo estraneo ai bisogni della
famiglia, e che il creditore fosse a conoscenza di tale circostanza, grava comunque sul
coniuge che si opponga all’esecuzione o agli atti prodromici dell’esecuzione, quale può
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452 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Nella prospettiva del concorso tra i creditori del disponente, l’intro-


duzione dello specifico rimedio di cui all’art. 2929 bis c.c. apre altresı̀ la
questione dei rapporti tra i creditori che dello stesso si siano avvalsi entro
l’arco temporale prescritto (51) e quelli invece che – non essendo stati
sufficientemente solleciti – si siano trovati a dover ricorrere al tradizionale
rimedio della pauliana (che, ovviamente, non viene posto fuori gioco dal-
l’innovazione legislativa, ma resta a disposizione nel consueto termine
quinquennale di cui all’art. 2903 c.c.). Per quanto non vi siano ragioni
sostanziali per riservare ai primi una posizione poziore, sembra rientri nella
logica del sistema un principio di preferenza per coloro che abbiano fatto
ricorso alla revocatoria per saltum, nel senso che (52) la soddisfazione di
costoro non potrà essere ritardata o postergata all’esigenza di consentire ai
“superstiti” della pauliana di recuperare il terreno perduto in partenza al
fine di partecipare pure essi al concorso in condizioni di parità. Il processo
esecutivo non potrà derogare dai canoni ordinari, ed il revocante riuscirà a
concorrere paritariamente solo nell’improbabile caso in cui riesca a con-
seguire il giudicato costitutivo (ed un titolo) in tempo utile per dispiegare
intervento tempestivo; altrimenti subirà la ordinaria degradazione di fon-
damento endo-processuale che consegue alla tardività nell’accessione al
processo esecutivo.
Potrebbe peraltro succedere che, nonostante la novella facoltà messa a
disposizione dal codice, un creditore abbia comunque proposto – ancor-
ché nell’anno – azione revocatoria ordinaria. Passi quando ciò è dovuto al
fatto che il creditore difetta di titolo esecutivo (ciò che non impedisce
l’esercizio della pauliana, come ricordato al principio di questo scritto),
posto che in tal caso il creditore non avrebbe l’alternativa del pignoramen-
to diretto (che quel titolo esecutivo, ovviamente, presuppone). Se invece
ciò è dovuto a disattenzione, leggerezza od altro (cosı̀ come nel caso in cui
il titolo esecutivo sia stato ottenuto entro l’anno dalla trascrizione dell’atto
dispositivo, già precedentemente aggredito con una sollecita pauliana), ci

essere l’iscrizione di ipoteca giudiziale ovvero dell’ipoteca fiscale ex art. 77 d.p.r. n. 602/73
(v. da ult. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1652).
(51) Per il cui rispetto si dovrà necessariamente guardare alla data del deposito dell’atto
d’intervento.
(52) Senza necessariamente ricorrere alla brutale livella del vigilantibus, non dormienti-
bus iura succurrunt. Reputa peraltro che il creditore che azioni la pauliana nelle forme
ordinarie, pur potendo procedere a pignoramento diretto, si renda responsabile di abuso
del processo e lite temeraria, non persuasivamente (anche il creditore che abbia lasciato
decorrere il termine annuale?), TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, cit.,
2016, p. 156).
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le nuove leggi 453

si può chiedere se il creditore abbia la facoltà di “tornare sui propri passi”,


abbandonando la revocatoria azionata nelle forme del processo di cogni-
zione ed optando per l’esercizio della stessa per saltum ed in via esecutiva
ex art. 2929 bis c.c.
Pur nella consapevolezza che tale esigenza si prospetti come vitale
qualora altro creditore del disponente abbia promosso il pignoramento
diretto, atteso che – per quanto detto poc’anzi – in queste ipotesi subentra
il rischio pressoché certo che ogni valore venga “consumato” da una
siffattamente subitanea aggressione esecutiva sul bene pur in thesi fuoriu-
scito dal patrimonio del debitore; pur con questa premessa, dunque, rite-
niamo di dover concludere per l’inammissibilità di un “libero” ripensa-
mento circa le modalità di esercizio della legittimazione revocatoria.
In tale direzione orienta la considerazione per cui la facoltà di pigno-
ramento diretto o di intervento diretto nel pignoramento (53), nella sostan-
za, determina una “pendenza virtuale” del petitum revocatorio: che potrà
divenire attuale nel momento in cui i presupposti ne verranno contestati in
via di opposizione all’esecuzione ex art. 2929 bis, comma 3˚, c.c., ma che
comunque esprime la potenzialità del giudizio revocatorio anche in assen-
za di opposizione, poiché il risultato dello stesso si perfezionerà in ogni
caso nel momento dell’espropriazione del bene pur in titolarità del terzo.
Ne segue che, una volta resa pendente la pauliana in sede di cognizione, il
pignoramento diretto o l’intervento per saltum (54) andrebbero incontro

(53) Come si diceva, l’intervento ex art. 2929 bis, comma 1˚, ult. parte, c.c. intrinseca-
mente squaderna la pretesa revocatoria: come tale è sin da subito suscettibile di opposizione
da parte del debitore, del terzo acquirente o di ogni altro interessato, in base al comma 3˚, in
deroga al principio del tendenziale rinvio al momento della fase distributiva delle opposi-
zioni ex art. 615 c.p.c. nei confronti dei creditori intervenuti che (si siano limitati all’inter-
vento senza esercitare l’azione espropriativa, e cosı̀) non abbiano compiuto atti del proce-
dimento (v. per tutte Cass. 8 maggio 1991, n. 5146), ovvero fin tanto che non venga meno il
titolo del procedente (che, ex se, non caduca la procedura ove siano intervenuti altri
creditori titolati, ma “trasla” in capo a questi il potere d’impulso: cfr. Cass., sez. un., 7
gennaio 2014, n. 61, commentata ex ceteris da CAPPONI, Le Sez. Un. e l’«oggettivizzazione»
degli atti dell’espropriazione forzata, in Riv. dir. proc., 2014, p. 496 ss., e da PILLONI, L’ese-
cuzione forzata: tra oggettivizzazione degli atti esecutivi ed esigenze di efficienza della giuri-
sdizione esecutiva, in Rivista dell’esecuzione forzata, 2014, p. 301 ss.).
L’intervento per saltum apre in ogni caso con la stessa intensità del pignoramento
diretto – e tanto più se operato entro una procedura esecutiva avviata dai creditori del
terzo acquirente (v. infra) – la questione circa la sussistenza dei presupposti della legittima-
zione revocatoria (oltre che degli specifici requisiti di infrannualità ed anteriorità del credi-
to), determinando con ciò una pendenza “latente” del relativo petitum e radicando sin dalla
sua effettuazione l’interesse del debitore esecutato all’opposizione per contestare la revoca-
toria, e la conseguente legittimazione passiva del creditore intervenuto.
(54) Lungi dal determinare la cessazione della materia del contendere sulla pauliana,
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454 le nuove leggi civili commentate 3/2016

all’ostacolo della litispendenza: e ciò, in definitiva, porta a ritenere che la


mutatio nell’esercizio della revocatoria sia possibile unicamente ove il cre-
ditore abbia efficacemente rinunciato agli atti del giudizio di cognizione
(vuoi unilateralmente, poiché i convenuti ancora non si siano costituiti o
non abbiano dimostrato interesse alla prosecuzione del processo; vuoi
previa accettazione delle altre parti), facendo cosı̀ venir meno l’ostacolo
della previa pendenza della lite rispetto all’esercizio della legittimazione
revocatoria per saltum (55).
Venendo infine al concorso tra il creditore del disponente che abbia
titolo ad effettuare il pignoramento diretto ed i creditori dell’avente causa
che abbiano promosso preventivamente l’azione esecutiva, a fronte del
dettato generico della norma novellata si dovrebbe ritenere legittimo l’in-
tervento dei creditori del dante causa, per via di espropriazione contro il
terzo proprietario, anche nell’esecuzione promossa dai creditori dell’aven-
te causa (56).
Quanto al criterio che presiede al concorso, il mero dato cronologi-
co (57) dev’essere contemperato con la presenza della buona fede e con il

come pretende OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 54 ss. Esito che non consi-
dera come il “venir meno dell’interesse”, suscettibile di portare alla pronuncia di cessazione,
deve essere oggettivo e concernere entrambe le parti del rapporto processuale: invece, nel
caso di pauliana seguita da pignoramento diretto, non vi è alcun venir meno oggettivo delle
ragioni del contendere (poiché le stesse potranno essere dispiegate nuovamente in sede di
opposizione esecutiva) e l’unico interesse che risulterebbe parimenti (se non più intensa-
mente) soddisfatto è quello del creditore, mentre resta del tutto priva di considerazione la
prospettiva del debitore.
(55) Da questa conclusione si trae ulteriore argomento per corroborare la tesi sostenuta
supra, nt. 43, in tema di diritto intertemporale. L’inammissibilità di optare per il pignora-
mento diretto, una volta promossa la pauliana, ha senso infatti ove il creditore abbia com-
piuto detta scelta avendo a disposizione tutte e due le alternative. Se invece il creditore
avesse promosso l’azione revocatoria ordinaria nei confronti di un atto di disposizione a
titolo gratuito del proprio debitore, compiuto nell’anno precedente, prima del 27 giugno
2015, si vedrebbe preclusa la via dell’intervento (a termini dell’art. 2929 bis, comma 1˚, ult.
frase, c.c.) e rimarrebbe involontariamente destinato a postergazione rispetto a chi abbia
invece promosso detto pignoramento diretto, successivamente al 27 giugno 2015, nei con-
fronti di un atto compiuto anteriormente. Questa evenienza si eviterebbe ove – appunto –
congruamente si ritenga la norma applicabile solamente agli atti di disposizione a titolo
gratuito o di segregazione trascritti successivamente al 27 giugno 2015. Solo in tal caso il
creditore che abbia optato per l’esercizio della pauliana rimarrebbe postergato per il fatto di
non aver – consapevolmente o comunque colpevolmente – voluto approfittare della tutela
offerta ex novo dal legislatore, nel paralizzare l’efficacia dispositiva degli atti di disposizione
a titolo gratuito appunto esclusivamente pro futuro.
(56) Cosı̀ anche CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), cit., p.
68; PICCOLO, Modifiche del processo esecutivo, cit., punto VII.2.
(57) Cui tende ad affidarsi OBERTO, Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., p. 49 s., che
muove dall’esclusiva considerazione dell’art. 2915, comma 2˚, c.c., salvo a concludere in
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le nuove leggi 455

dato sistematico ricavabile con quanto disposto dall’art. 1416, comma 2˚,
c.c., suscettibile di estensione analogica non da ultimo per l’identità di
disciplina ricavabile dagli artt. 1415, comma 2˚, e 2901, comma 4˚, c.c.,
per un verso, e dai nn. 4 e 5 dell’art. 2652 c.c., per altro verso. Come per
l’ipotesi di esercizio della pauliana, nemmeno nel caso in cui la trascrizione
della intentio revocatoria (sia tramite domanda, sia tramite pignoramento
diretto) sia stata preceduta dalla trascrizione del pignoramento (atto che,
in quanto tale, non dà alcun diritto di prelazione) vi sarà paritario con-
corso tra il creditore revocante ed i creditori dell’acquirente, ove il credito
sia sorto in data anteriore all’atto fraudolento (58) (ciò che accadrà per
definizione nel caso avuto presente dall’art. 2929 bis c.c.). Nel caso in
cui invece i creditori dell’avente causa abbiano iscritto ipoteca prima della
trascrizione del pignoramento diretto, il conflitto si risolverà secondo i
criteri di cui all’art. 2901, comma 4˚, c.c., corrisposto dalle previsioni
dell’art. 2652, n. 5, c.c., che danno prevalenza ai soli terzi aventi causa a
titolo oneroso ed in buona fede (59).

senso opposto in ossequio ad una presunta ratio legis in base alla quale «non sembra avere
molto senso, da un lato, attribuire al creditore del dante causa le facoltà concesse dalla
riforma del 2015, per poi farlo soccombere, dall’altro, nel conflitto con i creditori dell’avente
causa a titolo gratuito». Sulla ratio della prevalenza assegnata dall’art. 1416, comma 2˚, ai
creditori anteriori del simulato alienante, v. ORESTANO, in Commentario del c.c. diretto da
Gabrielli, Dei contratti in generale, Artt. 1387-1424, Torino 2012, 480 s.; NICOLÒ, La
trascrizione, III, Milano 1973, 106 s., che ammette una deroga all’art. 2915, comma 2˚,
c.c.; sul senso di tale prevalenza, da apprezzarsi nell’ottica di una collocazione preferenziale
in sede di riparto, v. ANDRIOLI, Profili processuali della nuova disciplina della simulazione, in
Studi in onore di Redenti, II, Milano 1951, 451 ss. Raccomanda invece cautela sulla “espor-
tazione” di soluzioni accolte con riferimento alla pauliana rispetto alla “azione esecutiva
speciale” di cui all’art. 2929 bis c.c., CAPPONI, La tecnica del bypass applicata all’esecuzione
forzata), cit., p. 68 s.
(58) V. PETRELLI, Pignoramento di beni oggetto di vincoli di indisponibilità e di aliena-
zioni gratuite, cit., p. 7.
(59) V. in tal senso PETRELLI, op. cit., p. 5, ad avviso del quale questa conclusione si
impone a fortiori rispetto all’ipotesi di simulazione, poiché i creditori dell’avente causa
hanno invero visto sin da subito che l’atto era a titolo gratuito e ben potevano attendersi,
pertanto, una reazione ed un pignoramento diretto da parte di un creditore del dante causa.
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MARISA MELI (*)


Professore nell’Università di Catania

LA NUOVA DISCIPLINA DELLE TRANSAZIONI NELLE


PROCEDURE DI BONIFICA E DI RIPARAZIONE
DEL DANNO AMBIENTALE CONCERNENTI
I SITI DI INTERESSE NAZIONALE
(L. 28 dicembre 2015, n. 221)

SOMMARIO: 1. Nuove disposizioni in materia di bonifica, come contributo alla crescita del
Paese ed alla green economy: in particolare, l’introduzione dello strumento della
transazione nel codice dell’ambiente. – 2. Il ricorso alle transazioni ambientali nella
prassi applicativa. – 3. Il primo intervento normativo in materia di transazioni (art. 2
d.l. n. 208/08). – 4. Le ragioni dell’intervento d’urgenza: i Siti di Interesse Nazionale
e il criterio di imputazione dei costi. – 5. L’impasse delle bonifiche e la prima
proposta di “transazione globale”. – 6. Dalla logica dell’emergenza alla logica di
sistema. – 7. Il nuovo art. 306 bis: l’ambito di applicazione e il potere di iniziativa.
– 8. Il procedimento di formazione del contratto. – 9. Il contenuto della proposta
transattiva. – 10. Un nuovo modello di transazione ambientale orientata al ripristino.
– 11. Segue: la transazione, nel quadro degli strumenti di partecipazione nei Siti
inquinati di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale. – 12.
Gli effetti del contratto. – 13. Disposizioni in materia di interventi di bonifica di
amianto (rinvio).

1. Nuove disposizioni in materia di bonifica, come contributo alla cre-


scita del paese ed alla green economy: in particolare, l’introduzione dello
strumento della transazione nel codice dell’ambiente.
Il Collegato Ambientale alla Legge di Stabilità del 2016 (1) contiene
numerose disposizioni finalizzate a promuovere l’economia e la crescita del
paese, in direzione di un effettivo riutilizzo delle risorse e della sostenibilità
ambientale (green economy).

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) L. 28 dicembre 2015, n. 221 (in G.U. n. 13 del 18 gennaio 2016), recante Dispo-
sizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento
dell’uso eccessivo di risorse naturali.

NLCC 3/2016
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le nuove leggi 457

Il provvedimento normativo ha un raggio d’azione particolarmente


ampio e variegato, che si estende dalla mobilità sostenibile al contenimento
delle emissioni di gas ad effetto serra, alla gestione dei rifiuti, alla preven-
zione del dissesto idrogeologico ed a molto altro ancora.
Tra le nuove disposizioni introdotte alcune (in ordine sparso) riguar-
dano la materia delle bonifiche.
L’argomento è anch’esso connesso alla sostenibilità ambientale. È no-
to, infatti, come anche in Italia, a partire dalla seconda metà degli anni ‘90,
abbia cominciato a farsi sentire l’esigenza di uscire dalla c.d. stagione dei
veleni, legata all’esperienza di un’industrializzazione brusca e distruttiva,
che ha lasciato in eredità aree minerarie dismesse, centri siderurgici, com-
plessi chimici e petrolchimici, con un elevatissimo rischio di contamina-
zione.
Purtroppo, a differenza di quanto accaduto in altri paesi, a detta
esigenza non ha fatto seguito un cambiamento di rotta consapevole e
programmato, con interventi rassicuranti sul piano della salute, dell’am-
biente e del recupero delle aree (tranne in pochi casi isolati). Ciò, nono-
stante tali interventi, oltre ad avere un impatto positivo sulla salute e sugli
ecosistemi, ben avrebbero potuto contribuire a stimolare la crescita ed una
nuova idea di sviluppo economico.
Con il Collegato Ambientale si tenta di fornire nuovi stimoli, nella
direzione indicata.
In particolare, è oggetto di attenzione in queste pagine l’art. 31,
inserito durante l’esame della proposta di legge al Senato, con il quale
si provvede all’introduzione nel codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile
2006, n. 152, d’ora in avanti c.a.) di una nuova disposizione: l’art.
306 bis.
Tale disposizione, rubricata Determinazione delle misure per il risar-
cimento del danno ambientale e il ripristino ambientale dei siti di interesse
nazionale, mira in realtà a disciplinare l’istituto della transazione ambien-
tale, intervenendo cosı̀ su una materia che era già stata oggetto di nor-
mazione con legge speciale: l’art. 2 d.l. n. 208/08 aveva infatti, per la
prima volta, previsto e disciplinato il meccanismo delle “transazioni glo-
bali”.
L’art. 306 bis introduce importanti novità, sia sul piano del procedi-
mento, sia in ordine al contenuto dell’accordo transattivo. Soprattutto,
attraverso tale disposizione il legislatore cerca di superare la logica dell’e-
mergenza e di restituire alla fattispecie una maggiore coerenza sistematica,
a partire dalla sua nuova collocazione.
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458 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Per tutte queste ragioni, la norma è stata salutata con favore nei
primi articoli di commento (2). Una riflessione più approfondita tuttavia
si impone, per comprendere il senso (ed i limiti) delle innovazioni intro-
dotte.

2. Il ricorso alle transazioni ambientali nella prassi applicativa.


Nel nostro ordinamento la transazione tra un soggetto pubblico e un
soggetto privato è disciplinata da una serie di disposizioni sparse ed anche
risalenti nel tempo, la più importante delle quali è costituita dall’art. 239
del codice dei contratti pubblici (c.contr.pubbl.), che introduce una disci-
plina del contratto di transazione in materia di appalti pubblici (3).
Un tempo si tendeva ad escludere che lo strumento della transazione
potesse essere utilizzato dalla p.a., se non nell’ambito dei suoi rapporti di
diritto privato (4).
Oggi, l’opinione prevalente è nel senso contrario. Anzi, il ricorso a tale
meccanismo viene caldeggiato, sia per evitare i tempi lunghi dei giudizi sia
per conseguire un più stabile assetto di interessi. Sotto tale profilo, la
transazione non è un istituto isolato nel campo del diritto amministrativo.
Sempre più spesso si fa ricorso a strumenti di partecipazione attiva dei
privati, per concordare insieme il contenuto dell’azione amministrativa al
fine di prevenire controversie e contestazioni future (5).
In questo contesto, la transazione ambientale non ha mai costituito
oggetto di una disciplina specifica, né con la normativa che ha introdotto
per la prima volta la responsabilità per danno ambientale (l. n. 349/86), né
in occasione della sua trasposizione nel codice dell’ambiente.
A tale strumento, tuttavia, si è sempre fatto ricorso. Talvolta, in verità,
dietro apposita autorizzazione normativa: è il caso della l. n. 239/98, con
cui si autorizzava il Presidente del Consiglio dei Ministri a definire in via
stragiudiziale, con uno o più atti transattivi, le controversie attinenti al

(2) Cfr. LATOUR, Bonifiche – Con il collegato ambientale transazioni lampo per chiudere i
contenziosi, in Il sole24ore, 12 novembre 2015.
(3) C. POLIDORI, La transazione in materia di appalti pubblici, in Corr. merito, 2009,
p. 941.
(4) È d’obbligo ricordare il saggio di GUICCIARDI, Le transazioni degli enti pubblici, in
Arch. dir. pubbl., 1936, pp. 64 e 205, che propendeva già per una ampia utilizzazione
dell’istituto. Il tema è ripreso da G. GRECO, Contratti e accordi della pubblica amministra-
zione con funzione transattivi (appunti per un nuovo studio), in Dir. amm., 2005, p. 223.
(5) CHIRULLI e P. STELLA RICHTER, voce Transazione (dir. amm.), Enc. dir., XLIV,
Milano, 1992, p. 867. Vedremo più avanti quanto questo sia vero nello specifico campo
delle bonifiche.
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le nuove leggi 459

risarcimento dei danni subiti dallo Stato italiano a seguito dell’esplosione e


dell’affondamento della motocisterna Haven, nelle acque della riviera li-
gure (6). Ma in tante altre occasioni lo strumento negoziale è stato sem-
plicemente adoperato, come mezzo di prevenzione o di definizione stra-
giudiziale delle controversie in materia ambientale. Ciò è accaduto in
materia di bonifiche, ancor prima dell’intervento d’urgenza del legislatore,
ma anche in materia di risarcimento del danno ambientale ed anche ri-
spetto ad incidenti di rilevante portata (valga, per tutti, l’esempio di Se-
veso (7)).
Il ricorso allo strumento della transazione, in mancanza di una norma-
tiva ad hoc, postula il rinvio alle disposizioni codicistiche per ciò che
concerne i presupposti e gli effetti dell’atto. Con riferimento alla materia
ambientale, una prima questione si pone in merito alla validità di un atto
che, per espressa previsione normativa, richiede la capacità e la possibilità
di disporre dei diritti oggetto della lite (art. 1966, comma 2˚, c.c.).
La questione ha trovato risposta positiva in un parere espresso dal
Consiglio di Stato (8), secondo il quale oggetto dell’accordo transattivo
non è l’ambiente, ovvero “la possibilità futura di alterare in peggio la
condizione ambientale”. Al contrario, la menomazione dell’integrità am-
bientale è un fatto già storicamente avvenuto e la transazione diviene
soltanto uno dei modi con cui si provvede alla sua riparazione monetaria.
L’opinione ha trovato conferma anche da parte della Corte dei con-
9
ti ( ), che ha precisato come la competenza alla stipulazione dei relativi
accordi sia del Ministero, trattandosi di scelte di carattere politico che
esulano dai compiti della dirigenza e sono da ricondurre al vertice politi-
co-amministrativo.

(6) La transazione, firmata nel marzo del 1999, attribuiva allo Stato italiano un risarci-
mento complessivo pari a 117 miliardi e 600 milioni di lire, con rinuncia di ogni ulteriore
richiesta formulata in giudizio. Cfr. ALBERTON, La quantificazione e la riparazione del danno
ambientale nel diritto internazionale e dell’Unione Europea, Milano, 2011, p. 119 ss.
(7) Sul contenuto delle transazioni che hanno fatto seguito all’incidente di Seveso cfr.
POZZO (a cura di), Seveso trent’anni dopo: percorsi giurisprudenziali, sociologici e di ricerca,
Milano, 2008, p. 28 ss. Sul tema anche COMPORTI, Il danno ambientale e l’operazione
rimediale, in D’ADDA, NICONTRA e U. SALANITRO (a cura di), Principi europei e illecito
ambientale, Torino, 2013, p. 88, che mette in evidenza come la transazione ha successo
proprio nelle grandi catastrofi, in cui la gestione processuale di una pluralità di domande si
rivela costosa, anche in relazione agli esiti incerti e lontani nel tempo.
(8) Parere 18 maggio 2001, n. 426/01, in Foro it., 2003, III, p. 633 con nota di
GIRACCA, Brevi note in tema di contratto di transazione e azione di danno ambientale.
(9) Parere 15 gennaio 2003, n. 1/03/P, ibidem.
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460 le nuove leggi civili commentate 3/2016

La circostanza che, nella prassi applicativa, si faccia sovente ricorso


allo strumento transattivo è confermata anche da alcuni riferimenti testua-
li: la legge finanziaria del 2007, ad esempio, regola le procedure per la
rassegnazione al Ministero dell’ambiente delle somme versate allo Stato a
titolo di risarcimento del danno ambientale “a seguito della sottoscrizione
di accordi transattivi” (10).

3. Il primo intervento normativo in materia di transazioni (art. 2 d.l. n.


208/08).
È in questo contesto che interviene l’art. 2 d.l. 30 dicembre 2008, n.
208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione
dell’ambiente (convertito in l. 27 febbraio 2009, n. 13) (11).
La disposizione, rubricata Danno ambientale, generava già solo per
questo una gran confusione, aggiungendo un nuovo tassello in una materia
oggetto di interventi sovrapposti e stratificati.
In verità, il suo ambito normativo era assai più circoscritto, andando
ad incidere “nell’ambito degli strumenti di attuazione di interventi di
bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale, al
fine della stipula di una o più transazioni globali, con una o più imprese
interessate, pubbliche o private, in ordine alla spettanza e alla quantifica-
zione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, nonché del danno
ambientale di cui agli art. 18 l. 349/86 e 300 del d.lgs. 152/2006 e degli
altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano
chiedere il risarcimento”.
La disposizione offriva dunque un’alternativa esplicita e potenzialmen-
te onnicomprensiva di tutte le ipotesi di danno ambientale, attraverso lo
strumento della transazione.
Tale norma è stata comunemente letta come un tentativo (disperato)
di porre rimedio alle inefficienze della p.a., nel ricorso agli strumenti auto-
ritativi previsti dalla legge nei settori della bonifica e del danno ambientale.
Essa sarebbe stata introdotta per ovviare al pratico insuccesso dei mecca-

(10) Ne dà conto P.A. DE SANTIS, La transazione in materia ambientale alla luce della l.
n. 13 del 2009 tra diritto privato e diritto pubblico, in Giur. merito, 2012, p. 2491 ss.
(11) La disposizione è commentata da: OGGIANU, ADR in materia ambientale: le tran-
sazioni globali (art.2 d.l.n.208/2008), in Ianus, 2010, p. 2; F. FONDERICO, Alla ricerca della
“pietra filosofale”: bonifica, danno ambientale e transazioni globali, in Giorn. dir. amm., 2009,
p. 917; SCARDINA, Sulla cd. transazione ambientale, in Riv. giur. amb., 2011, p. 203; MASTRO-
DONATO, Gli strumenti privatistici nella tutela amministrativa dell’ambiente, in Riv. giur.
amb., 2010, p. 707; LUCATI, “Transazioni globali” per il risarcimento del danno ambientale,
in Resp. civ., 2009, p. 285.
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le nuove leggi 461

nismi di bonifica, consentendo agli operatori economici di percorrere


strade alternative, attraverso transazioni “globali”, ovvero destinate a de-
finire, relativamente al sito da bonificare, tutto il contenzioso esistente con
la p.a. (12).
A tale fine, il legislatore si preoccupava di disciplinare, innanzitutto, il
procedimento: l’iniziativa era rimessa al Ministero dell’ambiente, sentiti
l’ISPRA e il COVIS. Lo stesso Ministero doveva predisporre uno schema
di contratto, concordato con le imprese interessate, che veniva poi comu-
nicato a regioni, province, comuni e reso noto al pubblico mediante ade-
guate forme di pubblicità. Ad esso faceva seguito una conferenza di servi-
zi, alla quale partecipavano solo i soggetti pubblici e che doveva acquisire
il parere dell’Avvocatura di Stato. Le conseguenti determinazioni costitui-
vano la vera e propria proposta di transazione, che doveva essere accettata
dalle imprese ed essere ulteriormente sottoposta ad autorizzazione del
Consiglio dei Ministri.
La disposizione, invero, disciplinava tanti altri profili, che hanno oggi
subito radicali modifiche e che trovavano la loro ragion d’essere nelle
precipue finalità dell’istituto, comprensibili alla luce delle considerazioni
che seguono.

4. Le ragioni dell’intervento d’urgenza: i Siti di Interesse Nazionale e il


criterio di imputazione dei costi.
L’intervento d’urgenza – cosı̀ come oggi il nuovo testo dell’art. 306 bis
c.a. – non aveva un ambito di applicazione generalizzato, riguardando
soltanto i Siti di Interesse Nazionale (SIN).
La nozione di SIN si trova nel titolo V, parte quarta, c.a., dedicata alla
bonifica di siti contaminati, ovvero a quel corpo di regole che definisce le
procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni ne-
cessarie per l’eliminazione delle sorgenti di inquinamento e per la riduzio-
ne delle concentrazioni di sostanze inquinanti.
L’istituto, introdotto per la prima volta dal c.d. decreto Ronchi (art. 17
d.lgs. n. 22/97), nasce in risposta ad un’esigenza più volte ribadita anche a
livello europeo. Da ultimo, con la comunicazione Strategia tematica per la
protezione del suolo (13), in cui si pone l’accento sulle conseguenze che il
degrado del suolo produce sulle qualità delle acque e dell’aria, sulla bio-
diversità e sui cambiamenti climatici, ma anche sulla salute dei cittadini,

(12) COMPORTI, op. cit., p. 89.


(13) Doc. COM(2006)231 def., che fa seguito alla com. COM(2002)179 def.
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462 le nuove leggi civili commentate 3/2016

mettendo in pericolo la stessa sicurezza dei prodotti destinati all’alimenta-


zione umana e animale.
I SIN rappresentano “porzioni di territorio da bonificare che meritano
particolare attenzione per le caratteristiche del sito, la quantità e perico-
losità degli inquinanti presenti, l’impatto dell’ambiente circostante in ter-
mini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni
culturali ed ambientali” (art. 252 c.a.) (14).
I SIN fino ad oggi individuati dal Ministero dell’ambiente sono 57.
All’interno di essi ricadono le più importanti aree industriali del paese, tra
cui i poli petrolchimici di Porto Marghera, Brindisi, Priolo, Gela.
Le zone sono interessate da attività industriali di diversa origine che si
sono susseguite negli anni, compromettendo l’utilizzo delle risorse naturali
e paesaggistiche e creando delle vere e proprie emergenze sanitarie. Nello
stesso tempo, si tratta di poli produttivi che costituiscono una parte im-
portante dell’industria chimica, della petrolchimica, della siderurgia e della
produzione di energia termoelettrica, il cui risanamento implica anche la
sfida di poter coniugare la bonifica con lo sviluppo, la riconversione indu-
striale e la capacità di attrarre nuovi investimenti.
In considerazione di tali specifiche esigenze, il legislatore (nel 2008)
aveva aggiunto nel titolo sulle bonifiche l’art. 252 bis (oggi, come vedremo,
completamente modificato), relativamente ai Siti inquinati di preminente
interesse pubblico per la riconversione industriale (individuati in un nu-
mero di 26 nell’intero territorio nazionale).
La norma, che prevedeva regole particolari per la bonifica ed appositi
stanziamenti, non ha però mai trovato attuazione (15). È rimasto, cosı̀, del
tutto irrisolto il problema della bonifica di tali aree e, soprattutto, del
criterio cui fare riferimento per l’imputazione dei relativi costi.
In verità, in materia di imputazione dei costi il quadro normativo è
abbastanza chiaro.
La normativa sulle bonifiche, improntata al principio chi inquina paga,
segue un’impostazione non diversa da quella fatta propria dal legislatore
europeo con la direttiva sul danno ambientale.
In estrema sintesi, l’adozione di misure di prevenzione e di riparazione
gravano, in prima battuta, sul responsabile dell’inquinamento (art. 242
c.a.). In particolare, il responsabile della contaminazione è il soggetto su

(14) Secondo il disposto dell’art. 2 bis sono in ogni caso individuati come SIN i siti
interessati da attività produttive ed estrattive di amianto.
(15) Per quanto mi consta, le somme originariamente stanziate per gli interventi previsti
furono poi destinate alle spese per il terremoto dell’Aquila.
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le nuove leggi 463

cui grava l’obbligo di eseguire indagini preliminari per accertare il supe-


ramento dei parametri e, qualora si sia in presenza di un superamento
della soglia di contaminazione, l’obbligo di prevedere un piano di caratte-
rizzazione e di presentare un progetto per la messa in sicurezza del sito, la
bonifica e, se necessarie, per le ulteriori misure di riparazione ambientale.
Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripri-
stino ambientale possono essere comunque attivate su iniziativa degli in-
teressati non responsabili (art. 245 c.a.).
Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile e
non provveda il proprietario del sito contaminato né altro soggetto inte-
ressato, gli interventi sono predisposti dalla pubblica amministrazione
competente (nel caso dei SIN, dal Ministero dell’ambiente, art. 252, com-
ma 5˚), che potrà poi procedere al recupero delle spese nei confronti del
responsabile o, entro i limiti dell’ingiustificato arricchimento, nei confronti
del proprietario dell’area (16).
Se il quadro normativo è chiaro la situazione, in concreto, è complicata
dal fatto che i SIN, come si è detto, sono territori prevalentemente inte-
ressati da contaminazioni storiche, in cui l’inquinamento non rappresenta
un costo sociale dell’odierna produzione; per di più, diversi operatori
economici si sono succeduti nel tempo, con la conseguenza che gli attuali
proprietari e/o utilizzatori delle aree non necessariamente coincidono con i
responsabili del passato.
In tale situazione non sempre è facile individuare il responsabile del-
l’inquinamento.
La pubblica amministrazione, dal canto suo, ha dovuto fare i conti con
l’insufficienza dei fondi a disposizione; da qui l’espediente di rivolgersi agli

(16) A differenza di quanto accadeva nel decreto Ronchi, la normativa è oggi chiara
nello stabilire che gli interventi effettuati dalla p.a. costituiscono onere reale sui siti conta-
minati. L’onere deve essere pubblicizzato ed indicato nel certificato di destinazione urbani-
stica. Le spese sostenute per gli interventi sono assistite da privilegio speciale immobiliare
sulle aree medesime e detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti
acquistati dai terzi (art. 253 c.c.).
La medesima disposizione inoltre prevede che il privilegio e la ripetizione delle spese
possono essere esercitate nei confronti del proprietario incolpevole solo in seguito a prov-
vedimento motivato dell’autorità competente che precisi l’impossibilità di accertare l’iden-
tità del soggetto responsabile o l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di
quest’ultimo. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere
tenuto a rimborsare le spese solo nei limiti del valore di mercato del sito, determinato a
seguito dell’esecuzione degli interventi di bonifica. Laddove infine il proprietario abbia
volontariamente attivato la procedura e sostenuto il relativo costo potrà rivalersi sul respon-
sabile. Il tema è trattato da U. SALANITRO, La bonifica dei siti contaminati nel sistema della
responsabilità ambientale, Colloqui in ricordo di M. Giorgianni, Napoli, 2007, p. 967.
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464 le nuove leggi civili commentate 3/2016

attuali operatori economici, imponendo loro oneri di bonifica in ragione


del mero titolo proprietario.
Attualmente, la situazione è più chiara con riferimento ad entrambi i
profili: nonostante non esista ancora a livello europeo una normativa spe-
cifica sui costi delle bonifiche (17), la Corte di giustizia ha fornito il suo
importante contributo in merito all’individuazione del responsabile (18); ed
anche rispetto alla misura del coinvolgimento del proprietario non respon-
sabile la giurisprudenza sembra essersi attestata su posizioni più rigo-
rose (19).

(17) A livello europeo esiste soltanto, da tempo, una proposta di direttiva quadro per la
protezione del suolo, doc. COM(2006)232 def. In tale proposta si mette in evidenza (21˚
considerando) come “i trascorsi processi di industrializzazione abbiano lasciato in eredità
migliaia di siti contaminati, per i quali sarebbe necessario adottare una strategia comune per
la decontaminazione, che ne prevenga e mitighi gli effetti dannosi per la salute umana e
l’ambiente”. Quanto ai costi, la proposta di direttiva richiama il principio “chi inquina
paga”, precisando tuttavia che “per i siti contaminati per i quali non è possibile risalire al
responsabile dell’inquinamento oppure questi non può essere ritenuto responsabile a norma
del diritto nazionale o comunitario o ancora non è possibile imputargli i costi della bonifica
(cosiddetti siti orfani) la responsabilità di ridurre il rischio per la salute umana e per
l’ambiente incombe sugli Stati membri interessati, che devono a tal fine istituire un mecca-
nismo di finanziamento specifico” (28˚ considerando).
(18) Corte giust., grande sez., 9 marzo 2010 (causa 378/08). In sintesi, la Corte ha
chiarito che: 1) quando un danno sia stato causato da operatori attivi nei settori dell’energia
e della chimica si tratta di attività comprese nell’allegato della direttiva, dunque per essi vale
un criterio di responsabilità oggettiva; 2) la responsabilità oggettiva implica sempre l’accer-
tamento del nesso di causalità; 3) il nesso causale può essere ritenuto esistente anche per
presunzioni, in presenza di indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore
all’inquinamento e la corrispondenza tra attività svolte e sostanze inquinanti ritrovate; 4) gli
operatori non sono tenuti a sostenere i costi delle misure di riparazione quando sono in
grado di dimostrare che i danni sono opera di un terzo. Il principio chi inquina paga, infatti,
non implica che gli operatori debbano farsi carico di danni ai quali non hanno contribuito,
confermando il ruolo strategico ma non esaustivo della responsabilità civile, che non co-
stituisce strumento inidoneo quando il nesso causale non può essere accertato ed allorché si
tratti di amministrare danni diffusi. Sul tema sia consentito rinviare al mio Il principio chi
inquina paga e il costo delle bonifiche, in Impresa e Mercato. Studi dedicati a Mario Libertini,
Milano, 2015, III, p. 1887.
(19) La prassi di rivolgersi ai proprietari delle aree aveva trovato riscontro in un
discutibile orientamento della giurisprudenza amministrativa che, a fronte di un testo legi-
slativo ormai sufficientemente chiaro, ha continuato a ritenere il proprietario responsabile,
richiamando gli obblighi di custodia ex art. 2051 c.c. o, più spesso, evidenziando come tale
soggetto non sia immune dal coinvolgimento nelle procedure in materia di bonifica, dal
momento che deve adottare misure di prevenzione (artt. 242 e 254 c.a.) e può attivare
volontariamente la procedura (art. 245 c.a.). Tar Lazio 14 marzo 2011, n. 2263, in www.giu-
stizia-amministrativa.it. Tar Lazio 10 luglio 2012, n. 6251, in www.giustizia.amministrati-
va.it. Contra Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971, in Riv. giur. amb., 2003, p. 806
(nota di DE CESARIS); Cons. Stato 16 giugno 2009, n. 3885, in Urb. e app., 2009, p. 1328.
Tale lettura è stata oggi disattesa da una pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato che, al fine di fugare ogni ulteriore dubbio, ha invocato anche un intervento chiari-
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le nuove leggi 465

Nel recente passato, tuttavia, tali questioni hanno alimentato il con-


tenzioso in materia di bonifiche, con conseguente paralisi delle procedure.
A ciò si aggiunga che la p.a. non sempre ha improntato i suoi com-
portamenti a un principio di buona amministrazione, imponendo obblighi
di bonifica che traevano spunto da pianificazioni incomplete ed affidan-
dosi a tecniche di intervento non efficienti, se non addirittura pericolose o
irrealizzabili. Il conseguente annullamento degli atti, giunti al termine di
lunghe e complesse istruttorie, ha fatto retrocedere al punto di partenza
l’azione amministrativa (20).
Spesso, nelle more dei procedimenti, agli operatori economici (l’eser-
cizio della cui attività veniva subordinato all’adempimento degli obblighi
imposti dalla p.a.) non era data altra scelta se non la stipulazione di accordi
transattivi. Anche cosı̀ si spiega la previsione contenuta nel comma 5˚ bis
dell’art. 2 (oggi venuta meno), secondo cui “la stipula del contratto di
transazione comporta altresı̀ la facoltà di utilizzare i terreni o singoli lotti
o porzioni degli stessi, in conformità alla loro destinazione urbanisti-
ca (…)”.

ficatore della Corte di giustizia. Il Consiglio di Stato (sez. VI, 26 giugno 2013, n. 3515 e sez.
VI, 21 maggio 2013, n. 2740, in www.reteambiente.it) ha rimesso all’Adunanza plenaria la
questione se, in base al principio chi inquina paga, la p.a. possa imporre al proprietario di
un’area inquinata che non sia anche l’autore dell’inquinamento l’obbligo di realizzare gli
interventi di bonifica. L’ad. plen. (ord. n. 21 del 25 settembre 2013, in www.ambientedi-
ritto.it) ha optato per l’interpretazione negativa, procedendo a una corretta lettura del dato
normativo, rinviando però la questione interpretativa alla Corte di giustizia. La risposta della
Corte, del 4 marzo 2015 (causa 534/13) mette la parola fine a tale questione, affermando che
il diritto europeo non osta ad una normativa nazionale in base ala quale, nell’ipotesi in cui
sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione, non consente all’autorità
competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprie-
tario non responsabile della contaminazione.
(20) Valga per tutti l’esempio del SIN di Priolo: dopo un primo accordo di programma
stipulato nel 2004 che prevedeva un certa tipologia di interventi, l’attenzione della p.a. si è
spostata sul risanamento dell’intera rada di Augusta per la realizzazione di un hub portuale,
con conseguente modifica delle tecniche di intervento. Il Tar, nel 2012, ha ritenuto che la
p.a. abbia agito unilateralmente, modificando in modo radicale alcuni progetti in preceden-
za approvati dalla stessa p.a., non abbia fatto ricorso ad una previa valutazione di impatto
ambientale, ed abbia inoltre ingiustamente subordinato la possibilità per le ricorrenti di
disporre dei loro siti industriali alla condizione di realizzare detti lavori. Profili di illegitti-
mità evidenziati anche nel contributo interpretativo della Corte di giustizia, grande sez., 9
marzo 2010 (causa 379/08), in www.ambientediritto.it. Forse anche in considerazione di
questi problemi il Collegato ambientale reca, all’art. 78, alcune modifiche alla normativa
preesistente in materia di dragaggio.
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466 le nuove leggi civili commentate 3/2016

5. L’impasse delle bonifiche e la prima proposta di “transazione globale”.


La situazione di impasse nella gestione delle bonifiche è stata messa in
evidenza anche dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività
illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che ha ritenuto di dover approfondire
anche questo tema (21).
L’analisi condotta ha rilevato l’estrema lentezza, per non dire la stasi
delle relative procedure.
Per lo più infruttuoso si è rivelato il ricorso agli accordi di programma,
almeno nella misura in cui la p.a. assumeva l’impegno di realizzare deter-
minati interventi, riservandosi di agire nei confronti degli attuali operatori
economici per il recupero delle spese sostenute.
Frequente è stato il ricorso alle transazioni che, come si è detto, spesso
rappresentavano per le imprese l’unica via di uscita. Al riguardo, è oppor-
tuno segnalare che la stipulazione di accordi transattivi comincia ad essere
avviata ben prima dell’intervento normativo. I primi accordi hanno riguar-
dato il SIN di Porto Marghera già a partire dal 2001 (22).
In questo contesto, l’intervento d’urgenza del legislatore può spiegarsi
solo alla luce del fatto che, proprio nel 2008, l’ENI presenta la prima
proposta di “transazione globale”.
L’ENI è una delle imprese maggiormente coinvolte nelle operazioni di
bonifica. Essa è presente in almeno 20 SIN e nel 2003 ha costituito
un’apposita società, la Syndial s.p.a., che si occupa essenzialmente di in-
terventi ambientali in siti dimessi.
Nel 2008, in un momento in cui si cominciava a prestare attenzione ai
disastri ambientali prodotti nel passato, è intervenuta, ai danni dell’ENI,
una pesante condanna al risarcimento del danno per inquinamento da
DDT prodotto, negli anni ‘70, nello stabilimento di Pieve Vergonte (anche
se si rimprovera alle imprese di non aver adottato tutti gli accorgimenti
necessari anche in epoche più recenti, in cui era già venuta in luce la
pericolosità del sistema di lavorazione) (23). Ai fini della liquidazione del
danno sono stati utilizzati i criteri del vecchio art. 18 (l. n. 349/86) ed è
stata valutata in maniera particolarmente rigorosa la gravità della colpa.
Complessivamente, il danno è stato stimato in più di un miliardo di euro

(21) Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli
interventi e i profili di illegalità (doc. XXIII, n. 14), 12 dicembre 2012.
(22) Ma numerosi sono gli esempi anche in altre aree. Un quadro completo nella
Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi
e i profili di illegalità, cit., p. 92 ss.
(23) Trib. Torino 8 luglio 2008, n. 4991, inedita.
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le nuove leggi 467

(ma con l’aggiunta di altre voci di danno, quali ad esempio il pregiudizio


arrecato al lago, quale bene demaniale, si è giunti ad una quantificazione
pari a circa due miliardi di euro). Ciò si badi, indipendentemente dall’esi-
stenza di progetti di bonifica, in parte realizzati (dalla stessa ENI).
La proposta di transazione (per quanto mi consta, poi non andata a
buon fine) rappresentava una possibile via d’uscita. Essa prevedeva, oltre
alla realizzazione di alcune opere di risanamento, la realizzazione di pro-
getti di bonifica nelle aree di proprietà dell’impresa ed investimenti di
carattere ambientale che avrebbero concorso ad una maggiore efficienza
e compatibilità energetica. Era prevista, inoltre, la corresponsione di una
somma consistente per gli interventi di bonifica nelle aree di proprietà
pubblica.
Di fronte ad una proposta di siffatta portata, il legislatore ha ritenuto
di dover disciplinare un fenomeno fino a quel momento mai regolato. È
cosı̀ che, nel provvedimento normativo, l’istituto della transazione diventa
“globale”, prendendo le mosse da un contesto in cui si trattava di risolvere
numerose questioni pendenti. Al nomen fa da pendant l’indicazione degli
effetti dell’atto (art. 2, comma 5˚): “la stipula del contratto di transazione,
non novativo, comporta l’abbandono del contenzioso pendente e preclude
ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed
ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, nonché per le
altre eventuali pretese risarcitorie azionabili dallo Stato o da enti pubblici
territoriali per i fatti oggetto della transazione”.
Il legislatore si preoccupa inoltre di risolvere un problema che affan-
nava l’allora Ministro dell’ambiente: l’effettiva destinazione delle som-
me (24). Da qui la previsione (art. 2, comma 7˚) secondo cui “i proventi
di spettanza dello Stato, derivanti dalle transazioni di cui al presente
articolo, sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riasse-
gnati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, allo stato di
previsione del Ministero dell’ambiente (…) per le finalità previamente
individuate con decreto, di concerto dai due Ministeri”.

6. Dalla logica dell’emergenza alla logica di sistema.


Al di là di questa singolare vicenda, va detto che le transazioni in
materia di bonifica, utilizzate ancor prima ed indipendentemente dall’in-

(24) Cosı̀ ancora nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi
nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità, cit.
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468 le nuove leggi civili commentate 3/2016

tervento d’urgenza del legislatore, sono divenute un tassello di quella che


è, più in generale, la storia del risanamento in Italia.
Una storia che racconta di bonifiche che, anche in termini di inqui-
namento, hanno prodotto più problemi di quanti non avrebbero dovuto
risolverne (penso al caso emblematico della Maddalena). Di bonifiche mai
fatte o, ancora, di bonifiche considerate un fiore all’occhiello nell’opera di
risanamento e di riconversione industriale (penso al caso di Porto Mar-
ghera), ma rispetto alle quali siamo già in presenza dei primi avvisi di
garanzia per la gestione del denaro pubblico (anche per le somme lucrate
sulle transazioni ambientali, spesso peraltro frutto di vere e proprie impo-
sizioni alle imprese (25)).
In questo scenario, è sicuramente positivo il fatto che il legislatore
abbia scelto di tornare sull’argomento, al di fuori da ogni logica d’emer-
genza.
A voler riassumere la ratio di tale intervento, sembra si possa indivi-
duare nell’esigenza di ricondurre anche l’istituto della transazione ad una
logica di sistema, quale derivante dalla disciplina del danno ambientale di
matrice europea.
Per comprendere tale passaggio bisogna considerare che, nella parte
del c.a. dedicata alla tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (parte
sesta), convivono due diversi gruppi di discipline. Un primo gruppo di
norme (artt. 304-310) è attuativo della dir. 2004/35/CE, in materia di
prevenzione e riparazione del danno ambientale. Un secondo gruppo di
norme (artt. 311-318), dedicato anch’esso al risarcimento del danno am-
bientale, rappresenta invece la trasposizione (con consistenti modifiche e
aggiunte) della vecchia normativa interna, preesistente a quella europea.
Il sistema è ulteriormente complicato dal fatto che esistono discipline
settoriali in materia di bonifica, tra cui quelle di nostro interesse, relative
alla bonifica di siti contaminati.
La disciplina di origine europea ha introdotto principi fortemente
innovativi rispetto alla normativa interna, sia per quel che concerne i criteri
di imputazione del danno sia per quel che riguarda i criteri di riparazione,
essendo orientata al ripristino, piuttosto che al risarcimento per equiva-
lente.
Rispetto alla disciplina della bonifica di siti contaminati il contrasto è
meno evidente, in primo luogo perché i due gruppi di norme hanno radici
comuni, che trovano il loro fondamento nel principio chi inquina paga; in

(25) La “cricca” delle bonifiche da Grado a Marghera, in www.ilgazzettino.it.


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le nuove leggi 469

secondo luogo, perché anche la materia della bonifica è sostanzialmente


orientata al ripristino, trattandosi di un corpo di regole finalizzato all’ado-
zione di misure di messa in sicurezza, bonifica e riparazione ambientale.
Del resto, il collegamento tra le due aree di intervento è stato subito
evidenziato dallo stesso legislatore europeo che, nel 1˚ considerando della
direttiva, ha affermato: “(…) esistono attualmente molti siti contaminati,
che comportano rischi significativi per la salute, e negli ultimi anni vi è
stata una forte accelerazione della perdita di biodiversità”.
Ciò non di meno, i due gruppi di norme, intervenuti in tempi diversi,
non sono del tutto omogenei, soprattutto per quel che concerne presup-
posti e modalità di intervento.
A partire dal 2013 il legislatore ha avviato un’opera di adeguamento
della normativa interna rispetto a quella europea. Ciò, tanto con riferi-
mento alla disciplina del risarcimento del danno ambientale (la stessa
rubrica dell’art. 311 è stata ribattezzata azione risarcitoria in forma spe-
cifica), quanto con riferimento alla disciplina della bonifica di siti conta-
minati (26).
Dispone oggi l’art. 298 bis, comma 3˚, c.a. che risultano disciplinati dal
titolo V (bonifica di siti contaminati) gli interventi di ripristino del suolo, a
condizione che siano progettati in conformità ai criteri indicati dall’allega-
to 3 (ovvero ai criteri di riparazione del danno ambientale indicati dalla
direttiva europea) o, per le contaminazioni anteriori al 2006, a condizione
che gli interventi di riparazione delle acque sotterranee conseguano gli
obiettivi di qualità specificati nella parte terza del c.a. (difesa del suolo e
tutela delle acque).
La norma non è di facile lettura. Secondo l’interpretazione prevalente
il legislatore avrebbe scelto di delimitare la disciplina delle bonifiche alle
contaminazioni storiche, prevedendo che agli eventi successivi all’entrata
in vigore della direttiva si applichi la disciplina della responsabilità am-
bientale (27). Non sarei cosı̀ sicura che si tratti dell’unica interpretazione
possibile, potendosi anche ritenere che permanga un’alternativa nella scel-
ta tra i due gruppi di regole. Quel che è certo, in ogni caso, è che il
legislatore ha inteso in tal modo armonizzare i criteri di riparazione del
danno.
Nel caso dei SIN, per essere più chiari, non v’è dubbio che possa
continuare ad applicarsi la normativa sulle bonifiche (trattandosi, come

(26) Il tema è approfondito da U. SALANITRO, La novella sulla responsabilità ambientale


nella “legge europea” del 2013, in questa Rivista, 2013, p. 1309.
(27) U. SALANITRO, op. loc. ult. citt., p. 1325 ss.
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470 le nuove leggi civili commentate 3/2016

si è detto, per lo più di contaminazioni storiche). Le modalità di intervento


dovranno però tenere conto delle indicazioni contenute nell’allegato 3,
parte sesta, c.a.
In questo quadro, il nuovo art. 306 bis altro non è che un’ulteriore
tappa, nel processo di allineamento del sistema di responsabilità per danno
ambientale ai principi di derivazione europea. Era già stato unanimemente
evidenziato come l’istituto della transazione se, da un lato, consentiva di
“fare cassa”, dall’altro disattendeva le indicazioni impartite dal legislatore
europeo, privilegiando la liquidazione monetaria del danno all’ambiente
piuttosto che il suo ripristino (28). Ed è proprio su questo aspetto che viene
prevalentemente ad incidere la nuova disciplina, che ci apprestiamo ad
analizzare.

7. Il nuovo art. 306 bis: l’ambito di applicazione e il potere di iniziativa.


L’art. 306 bis, rubricato Determinazione delle misure per il risarcimento
del danno ambientale e il ripristino ambientale dei siti di interesse nazionale,
trova la sua collocazione nella parte sesta del c.a. e va ad integrare le
previsioni del titolo II, rubricato Prevenzione e ripristino ambientale. Si
tratta, come si è detto, di quel gruppo di regole che ha recepito la direttiva
europea.
La nuova disposizione abroga la vecchia disciplina (art. 2 d.l. n. 208/
09), che continuerà ad applicarsi soltanto ai rapporti pendenti, ovvero ai
procedimenti per i quali, alla data di entrata in vigore della nuova legge, sia
già avvenuta la comunicazione dello schema di contratto agli enti locali
interessati.
Il contratto di transazione, ai sensi del comma 1˚ dell’art. 306 bis,
potrà essere stipulato tra il Ministero dell’ambiente e il soggetto nei cui
confronti lo stesso Ministero ha avviato le procedure di bonifica e di
riparazione del danno ambientale di siti inquinati di interesse nazionale,
ai sensi dell’art. 18 (l. n. 349/86), dell’art. 17 decreto Ronchi, nonché ai
sensi del titolo V, parte quarta e parte sesta, c.a.
Trova, dunque, conferma il fatto che la fattispecie disciplinata dal
legislatore riguarda i SIN. Come si è detto, tuttavia, lo strumento della
transazione è stato sempre utilizzato nelle controversie ambientali e, forse,
si è persa un’occasione per disciplinare compiutamente la materia, al di
fuori dalle ipotesi considerate.

(28) Per tutti, P. DELL’ANNO E OCCHIENA, L’indennizzo mette in ombra la bonifica, in Il


Sole24ore, 27 febbraio 2009, p. 33.
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le nuove leggi 471

All’interno del suo ambito applicativo, il legislatore ha ipotizzato un


margine di azione più ampio possibile, facendo riferimento a controversie
giudiziali o stragiudiziali attuali, ma anche risalenti nel tempo e che tro-
vano la loro fonte di regolazione in normative oggi abrogate. A tale ri-
guardo, la norma, opportunamente, non distingue tra responsabile della
contaminazione, proprietario e/o utilizzatore delle aree, perseguendo l’o-
biettivo di fornire alle parti, a qualunque titolo coinvolte, una via alterna-
tiva per la risoluzione dei conflitti.
Cambiano le regole per quanto concerne il potere di iniziativa. Nella
normativa precedente essa era rimessa al Ministero dell’ambiente. Con
ogni probabilità, il legislatore aveva adoperato come modello di riferimen-
to quelle disposizioni che attribuiscono al Ministero tanto l’esercizio del-
l’azione di danno ambientale (art. 311 c.a.) quanto l’avvio della procedura
amministrativa (art. 313 c.a.).
L’art. 306 bis, comma 1˚, stabilisce, invece, che il potere di iniziativa
compete al soggetto nei cui confronti è stata avviata una delle procedure di
cui sopra. L’innovazione introdotta trova la sua ragion d’essere nel più
generale intento di ricondurre la fattispecie alla logica del sistema di ripa-
razione del danno di matrice europea. In tale sistema, come del resto
nell’ambito della disciplina della bonifica di siti contaminati, è lo stesso
soggetto coinvolto chiamato (in via prioritaria) ad attivarsi. Come ha chia-
rito la Corte di giustizia (29), si tratta infatti del soggetto che meglio con-
trolla la situazione e sa come affrontarla.
Rispetto al potere di iniziativa, una particolarità della disciplina intro-
dotta è data dal fatto che, nel caso di concorso tra più soggetti nell’aver
causato il danno e negli obblighi di bonifica, la proposta di transazione
può essere formulata anche da alcuni di essi soltanto con riferimento
all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti
(lett. f), art. 306 bis, comma 2˚). Si tratta di una previsione a dire il vero
anomala, perché la volontà di transigere dovrebbe essere espressa da tutti i
soggetti coinvolti. Essa, tuttavia, si spiega alla luce del fatto che la proposta
transattiva, come vedremo, è orientata al ripristino e dunque può rendere
necessario un intervento su più fronti.

(29) Corte giust. 9 marzo 2010 (causa 379/08), cit.


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472 le nuove leggi civili commentate 3/2016

8. Il procedimento di formazione del contratto.


La transazione ha carattere negoziale ma, trattandosi di un contratto
da stipulare con la p.a., la sua fase di formazione si interseca con quella del
procedimento di carattere pubblicistico.
Il procedimento è alquanto articolato, dovendosi regolare lo svolgi-
mento di un’attività di cura dell’interesse pubblico, attraverso l’utilizzo di
moduli negoziali. Rispetto alla normativa precedente esso diviene tuttavia
più snello: il Ministero dell’ambiente, con proprio decreto, dichiara rice-
vibile la proposta (art. 306 bis, comma 3˚). A seguire (nei trenta giorni
successivi) convoca una conferenza di servizi, alla quale partecipano sol-
tanto i soggetti pubblici (la regione e gli enti locali territoriali coinvolti).
Sotto il vigore della precedente disciplina, in cui vigeva una regola analoga,
è stato criticato il fatto che non potessero partecipare alla conferenza
anche i soggetti privati coinvolti (30). Non mi sembra, tuttavia, che tale
critica colga nel segno, trattandosi del momento in cui si forma la volontà
negoziale della p.a.
In questa fase, si deve acquisire il parere dell’ISPRA e dell’Istituto
superiore di sanità (art. 306 bis, comma 4˚). Tale parere deve tenere conto
del fatto che gli interventi proposti, anche se non conseguono il completo
ripristino dello stato dei luoghi, assicurino comunque la funzionalità dei
servizi e delle risorse tutelate.
Della conferenza di servizi è data adeguata pubblicità al fine di con-
sentire a tutti i soggetti interessati di formulare osservazioni. Il legislatore
non aggiunge altro, rinviando alle regole che governano i diritti di parte-
cipazione al procedimento amministrativo.
La conferenza di servizi si chiude con un vero e proprio atto derisorio:
entro centottanta giorni dalla convocazione essa approva, respinge o mo-
difica la proposta di transazione (art. 306 bis, comma 5˚). In ogni caso, la
deliberazione finale è comunicata al proponente, eventualmente per l’ac-
cettazione.
Lo schema di contratto, quale risultante dalla delibera della conferenza
di servizi, accettata dal proponente, sarà predisposto dal Ministero del-
l’ambiente e dovrà acquisire il parere dell’Avvocatura di Stato (art. 306 bis,
comma 6˚). Il parere non è indicato come vincolante; esso mira soltanto a
fornire una valutazione giuridica circa l’interesse a transigere, tenendo
conto dei presumibili tempi processuali e dei prevedibili esiti del giudizio
pendente o da instaurare.

(30) OGGIANU, op. cit., p. 24.


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le nuove leggi 473

Infine lo schema di transazione, sottoscritto per accettazione dal pro-


ponente, è adottato con decreto del Ministero dell’ambiente e sottoposto a
controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti (art. 306 bis, com-
ma 7˚).

9. Il contenuto della proposta transattiva.


Ma le novità più significative riguardano il contenuto dell’accordo,
perché è proprio su tale piano che il legislatore istituisce quel raccordo
con le direttive impartite dal legislatore europeo.
Come si è detto, la disciplina europea ha radicalmente innovato il
sistema di riparazione del danno ambientale, abbandonando (quasi del
tutto) l’idea del risarcimento per equivalente e puntando sull’imputazione
al responsabile dei costi del ripristino.
In verità, anche il vecchio art. 18 tentava di andare in questa direzione:
la norma prevedeva il ripristino dello stato dei luoghi, laddove possibile,
anche oltre il limite dell’eccessiva onerosità (in deroga al disposto dall’art.
2058, comma 2˚, c.c.) e, in subordine, il risarcimento del danno per equi-
valente. Nella prassi, tuttavia, si è prevalentemente ripiegato sulla liquida-
zione equitativa del danno, sulla scorta dei criteri indicati dallo stesso
legislatore (criteri che, com’è noto, finivano col far prevalere una funzione
sanzionatoria).
Il legislatore europeo ha percorso questa strada ancora più in fondo,
stabilendo che il danneggiamento delle risorse naturali o delle utilità che
queste ultime assicurano debba portare ad un loro effettivo reintegro. In
questo senso, può dirsi che il principale obiettivo della direttiva è la
riparazione completa delle risorse naturali danneggiate e delle utilità che
derivano da tali risorse.
D’altra parte, se proviamo ad evocare le immagini che conseguono ad
un incidente ambientale (penso, ad esempio, alle immagini dei pesci e
degli uccelli acquatici investiti dalla c.d. marea nera), comprendiamo bene
come l’intervento che meglio risponde agli interessi della collettività sia
quello volto a fronteggiare la situazione, limitando il più possibile gli effetti
dannosi e cercando di ricostituire l’habitat danneggiato.
L’allegato 2 della direttiva (recepito con l’allegato 3, parte sesta, c.a.)
individua le misure più appropriate cui attenersi per perseguire tale risul-
tato (31).

(31) Ampia è ormai la letteratura sull’argomento. Si veda: POZZO (a cura di), La


responsabilità ambientale, Milano, 2005; ID., La nuova direttiva 2004/35 del Parlamento
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474 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Precisamente, nell’ipotesi in cui si tratti di danno all’acqua o alle specie


e agli habitat naturali l’obiettivo è quello di riportare l’ambiente danneg-
giato alle condizioni originarie tramite misure di riparazione primaria,
complementare e compensativa.
Le misure di riparazione primaria comprendono tutte le misure che
consentono di riportare le risorse naturali e/o i servizi danneggiati alle o
verso le condizioni originarie.
Le misure di riparazione complementare, invece, entrano in gioco quan-
do le risorse naturali e/o i servizi danneggiati non tornino (o non possano
tornare) nelle condizioni originarie. Si tratterà allora di intraprendere quel-
le iniziative che consentano di ottenere, anche in un sito alternativo (pre-
feribilmente geograficamente collegato al sito danneggiato), un livello di
risorse naturali e/o di servizi analogo a quello che si sarebbe ottenuto se il
sito originario fosse tornato alle condizioni originarie.
Possono essere affiancate tanto alle prime quanto alle seconde le mi-
sure di riparazione compensativa, che mirano a compensare la perdita
temporanea di risorse e/o servizi naturali dalla data del verificarsi di un
danno fino a quando la riparazione primaria (o compensativa) non abbia
prodotto un effetto completo (32).
Qualora invece si tratti di danno al terreno, si devono adottare le
misure necessarie per garantire, come minimo, che gli agenti contaminanti
pertinenti siano eliminati, controllati, circoscritti o diminuiti in modo che il
terreno contaminato, tenuto conto del suo uso attuale o approvato per il

Europeo e del Consiglio sulla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno,
in Riv. giur. amb., 2006, p. 1; ID., La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, in
Riv. giur. amb., 2010, p. 1 e Il recepimento della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità
ambientale in Germania, Spagna, Francia e Regno Unito, in Riv. giur. amb., 2010, p. 207.
GIAMPIETRO (a cura di), La responsabilità per danno all’ambiente: l’attuazione della direttiva
2004/35/CE, Milano, 2006; M. FRANZONI, Il nuovo danno all’ambiente, in Resp. civ., 2009,
p. 785; U. SALANITRO, Il danno ambientale, Roma, 2009; E. GALLO, L’evoluzione sociale e
giuridica del danno ambientale, in Amministrare, 2010, p. 261. Con particolare riferimento ai
criteri di riparazione del danno PATTI, La quantificazione del danno ambientale, in Resp. civ.,
2010, p. 485; GIAMPIETRO, Danno ambientale: breve disamina degli eterogenei criteri di
risarcimento, in Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 811. Tiene conto delle novità apportate dalla
novella del 2009 (oggi abrogata) U. SALANITRO, La quantificazione del danno ambientale, in
Danno e resp., 2010, p. 57.
(32) La direttiva fornisce anche alcuni parametri per identificare e scegliere la misura di
riparazione più appropriata (primaria, complementare o compensativa). Le diverse opzioni
dovrebbero essere valutate secondo le migliori tecnologie disponibili e sulla base di una serie
di criteri espressamente indicati, che vanno dall’effetto di ciascuna opzione sulla salute e
sulla sicurezza pubblica, ai relativi costi di attuazione, alle probabilità di successo, ecc.
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le nuove leggi 475

futuro al momento del danno, non presenti più un rischio significativo di


causare effetti nocivi per la salute umana (misure di riparazione primaria).
L’art. 306 bis, comma 2˚, fa tesoro di tali indicazioni, stabilendo che la
proposta di transazione deve:
a) individuare gli interventi di riparazione primaria, complementare e
compensativa;
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tenere conto del
tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o
della riparazione primaria e complementare;
il legislatore aggiunge (punto c) che ove i criteri risorsa-risorsa e servi-
zio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure comple-
mentari e compensative, (la proposta deve) contenere una liquidazione del
danno mediante una valutazione economica.
Anche tale previsione riprende le indicazioni fornite dal legislatore
europeo.
Essa si riferisce all’ipotesi in cui sia necessario individuare misure di
intervento complementari e, soprattutto, compensative. Nell’ottica del le-
gislatore europeo non dovrebbe, nemmeno in questo caso, trattarsi di
“una compensazione finanziaria al pubblico”. L’obiettivo sarebbe piutto-
sto quello di “compensare la perdita temporanea di risorse naturali e
servizi in attesa del ripristino”. In particolare, esse dovrebbero consistere
in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle
acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo.
A tal fine, è ancora il legislatore europeo ad indicare che, per indivi-
duare le azioni da intraprendere, bisognerebbe condurre un’analisi di
equivalenza, allo scopo di stabilire quali risorse e servizi possono essere
considerati “sufficientemente simili” alle risorse e ai servizi danneggiati. Si
parla di analisi di equivalenza risorsa-risorsa (Resources Equivalency Ana-
lysis) o servizio-servizio (Habitat Equivalency Analysis).
Qualora tuttavia non sia possibile usare, come prima scelta, i metodi di
equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio, si devono utilizzare tecniche
di valutazione alternative. Cosı̀, si potrà fare ricorso alla valutazione mo-
netaria, per determinare la portata delle necessarie misure di riparazione
compensativa.
Il punto c) dell’art. 306, comma 2˚, applica puntualmente tali direttive.

10. Un nuovo modello di transazione ambientale orientata al ripristino.


Il legislatore, come si è visto, altro non fa che riprendere i criteri di
riparazione del danno di origine europea. Eppure le indicazioni fornite,
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476 le nuove leggi civili commentate 3/2016

cosı̀ come riferite al contenuto della proposta di transazione, finiscono con


l’apparire stravaganti, almeno a prima vista.
Si è, infatti, naturalmente portati a pensare che la transazione sia il
risultato di una trattativa volta ad individuare “il giusto prezzo”, per
chiudere la lite o impedire il suo sorgere; più difficile è invece immaginare
un contratto di transazione orientato, anch’esso, al ripristino.
Ciò, innanzitutto, per le difficoltà di individuazione delle appropriate
misure di intervento, che il legislatore rimette, come abbiamo visto, ai
soggetti proponenti.
In secondo luogo, poiché se il contenuto del contratto deve necessa-
riamente andare nella direzione verso cui andrebbe una pronuncia di
condanna, sembrano affievolirsi i margini per una trattativa e per quelle
“reciproche concessioni” che la legge eleva a elemento costitutivo della
fattispecie (art. 1965 c.c.) (33).
In verità, entrambe le preoccupazioni sono più apparenti che reali.
Sotto il primo profilo, la norma riproduce anche in questa parte il più
generale impianto della legge. Ai sensi dell’art. 306 c.a., infatti, di fronte al
verificarsi di un danno all’ambiente, sono sempre gli operatori economici a
dover individuare le possibili misure per il ripristino (che risultino confor-
mi all’allegato 3) e a doverle presentare al Ministero dell’ambiente per
l’approvazione. Solo in seconda battuta il Ministero decide quali misure
attuare in modo da conseguire il completo ripristino ambientale e valuta
l’opportunità di addivenire a un accordo con l’operatore interessato.
La nuova disposizione segue la medesima impostazione: la proposta
avrà ad oggetto l’individuazione delle misure di intervento (primarie, com-
plementari e compensative), risultanti da una serie di variabili di cui è la
p.a., in ultima analisi, a valutare sia l’utilità che la convenienza.
L’art. 306 bis, in proposito, fornisce ulteriori indicazioni, quali la
necessità di tenere conto degli interventi di bonifica già approvati e rea-
lizzati (lett. e); prevedere un piano di monitoraggio e controllo qualora
all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento
residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente (lett. d);
nonché fornire idonee garanzie finanziarie (lett. g).
Più complesso, il discorso, quando si passi all’ipotesi sub c): ovvero nei
casi in cui non sia possibile procedere all’applicazione dei metodi di equi-

(33) Si rinvia per un esame più dettagliato della fattispecie a DEL PRATO, voce Transa-
zione (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 813 ss.; M. FRANZONI, La transazione,
Padova, 2001.
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le nuove leggi 477

valenza risorsa-risorsa o servizio-servizio e si devono utilizzare tecniche di


valutazione alternative, quali la valutazione monetaria.
Qui si pone un duplice problema.
Innanzitutto, sempre nell’ottica del legislatore europeo, l’accoglimento
di questa opzione implica l’adesione e l’utilizzazione di quelle tecniche di
analisi economica volte ad attribuire un valore/prezzo alle risorse ambien-
tali compromesse. Si tratta di un’operazione complessa, che in Italia non
può dirsi giunta a termine, ma che a dire il vero anche in Europa si
presenta ancora in fase di studio (34). In questa situazione, è davvero
difficile che il singolo proponente possa procede ad una corretta applica-
zione dei principi europei.
Ancora più a monte, dal momento che è la stessa analisi di equivalenza
a risultare un’operazione complessa, c’è il rischio che tale previsione si
traduca in un facile espediente per abbandonare l’idea del ripristino, pun-
tando sull’offerta di una somma di denaro. D’altra parte, c’è chi ha messo
in risalto come già nella stessa direttiva europea, al di là di ogni buona
intenzione, siano presenti spazi di operatività per il risarcimento del danno
per equivalente (35). Sotto questo profilo, la norma di nuova introduzione,

(34) Cosı̀, ad esempio, il progetto REMEDE (Resources Equivalency Methods for As-
sessing Environmental Damage in the EU) finanziato nell’ambito del sesto programma qua-
dro e finalizzato alla ricerca e allo sviluppo di precise metodologie di quantificazione del
danno ambientale. Lo scopo è quello di fornire uno strumentario, che le autorità nazionali
competenti dovrebbero adoperare nella determinazione delle misure di riparazione com-
plementari e compensative. Sul progetto www.envliability.eu. In particolare per condurre
un’analisi di equivalenza vengono descritte le seguenti fasi: a) valutazione preliminare:
comprende la raccolta dei dati disponibili, l’individuazione delle opzioni di riparazione, la
determinazione del livello adeguato di analisi e dell’impegno di valutazione; b) determina-
zione e quantificazione del danno (debito): comprende la determinazione delle cause del
danno, la scelta di una o più metriche per la valutazione del danno, ivi comprese le perdite
transitorie, la determinazione e quantificazione delle condizioni originarie, la valutazione
dell’esposizione al danno, le caratteristiche delle risorse e dei servizi danneggiati, la deter-
minazione dei benefici della riparazione primaria; c) determinazione e quantificazione dei
benefici tratti dalla riparazione (credito): comprende l’individuazione delle opzioni di ripa-
razione, la scelta delle opzioni più appropriate e praticabili, in base ai criteri stabiliti nel-
l’allegato 2 della direttiva, la stima dei benefici derivanti dalla compensazione applicando le
stesse metriche impiegate nella fase 2; d) valutazione delle azioni di riparazione: comprende
la determinazione dell’importo totale della riparazione, la stima dei costi della riparazione; e)
monitoraggio e rendicontazione: comprende la stesura di un piano di riparazione (obiettivi
generali, impostazioni, obiettivi specifici) e il monitoraggio dell’attuazione del piano stesso.
Per una comparazione tra il modello di riparazione statunitense e quello europeo
ALBERTON, La quantificazione e la riparazione del danno ambientale nel diritto internazionale
e dell’Unione europea, Milano, 2011.
(35) D’ADDA, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in
Principi europei e illecito ambientale, cit., p. 50.
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478 le nuove leggi civili commentate 3/2016

riflesso di quella europea, finisce col partecipare, oltre che dei pregi, dei
suoi stessi limiti.
In definitiva, solo l’applicazione concreta, accompagnata da una sem-
pre maggiore esperienza nel settore, potrà dirci se la riforma ha avuto un
senso e se davvero la composizione stragiudiziale delle controversie si
muoverà nel senso del ripristino o se continuerà, come nel passato, a
fungere da strumento per “fare cassa”.

11. Segue: la transazione, nel quadro degli strumenti di partecipazione


nei Siti inquinati di preminente interesse pubblico per la riconversione indu-
striale.
L’intervento normativo dimostra che la transazione continua ad essere
vista come uno strumento che presenta una sua utilità nelle procedure
concernenti i SIN, in grado di ridurre i costi e conseguire benefici non
altrimenti realizzabili in sede giurisdizionale.
La nuova disciplina, come si è detto orientata al ripristino, rende forse
più difficoltoso il suo impiego. Ma anche tale difficoltà è indicativa del-
l’esigenza di dare una nuova veste all’istituto, abbandonando la prospettiva
di un uso diffuso e massiccio, rimedio ultimo all’inefficienza dell’azione
amministrativa.
L’esigenza che oggi si avverte è piuttosto quella di rendere davvero
utile ed innovativo lo strumento contrattuale, per chiudere quelle penden-
ze che risalgono al passato ma, soprattutto, per programmare interventi di
recupero funzionali a qualsiasi prospettiva di riqualificazione delle aree.
Sotto tal profilo, la nuova disposizione introdotta va letta alla luce
delle più recenti novità che investono la materia degli accordi di pro-
gramma.
In relazione a tale profilo l’art. 252 bis c.a. (36), relativo ai Siti inquinati
di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, contiene
importanti innovazioni.
Gli accordi di programma (stipulati dal Ministro dell’ambiente e dal
Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con la regione territorialmente
interessata e, per le materie di competenza, con il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali nonché con il Ministro dei beni e delle attività
culturali e del turismo) sono finalizzati ad assicurare il coordinamento
delle azioni per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento per
l’attuazione dei progetti e disciplinano in particolare: a) l’individuazione

(36) La disposizione è stata introdotta dall’art. 4, comma 1˚, l. n. 9/14.


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le nuove leggi 479

degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica; b) l’individuazione degli


interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo;
c) il piano economico finanziario dell’investimento e la durata del relativo
programma; d) i tempi di attuazione degli interventi e le relative garanzie;
e) i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario
disponibili ed altro ancora.
Nel nuovo contesto normativo tali accordi devono essere stipulati
(almeno di regola) con soggetti che non possono essere considerati re-
sponsabili della contaminazione, tenuto anche conto dei collegamenti so-
cietari e delle cariche direttive ricoperte nelle società interessate o ad esse
collegate (art. 252 bis, comma 4˚).
Potrà dunque trattarsi dei proprietari delle aree o degli attuali gestori
che non hanno cagionato la contaminazione del sito e hanno assolto agli
obblighi loro imposti dall’art. 245, comma 2˚, c.a. (obblighi di intervento e
di notifica) o, ancora, di altri soggetti “interessati ad attuare progetti
integrati di messa in sicurezza o bonifica e di riconversione industriale e
sviluppo economico produttivo nei SIN individuati entro il 30 aprile 2007
(art. 252 bis, 1 c., c.a.)” (37).
I vantaggi della partecipazione a tale accordo sono considerevoli: l’at-
tuazione degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, con-
trollo, cosı̀ come specificati nell’accordo di programma, esclude ogni altro
obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venire meno l’onere reale
per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo (art. 252 bis, comma 6˚).
La legge contempla anche l’ipotesi in cui gli accordi siano stipulati con
soggetti responsabili della contaminazione. In tal caso sono richieste ulte-
riori condizioni, tra le quali il fatto che (oltre alle misure di messa in
sicurezza e bonifica) siano individuati gli interventi di riparazione del
danno ambientale, secondo i criteri di derivazione europea (art. 252 bis,
comma 5˚).
Anche in quest’ipotesi l’attuazione degli impegni fa venir meno l’onere
reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo di programma, ma solo in

(37) Siti individuati entro il 30 aprile 2007. Con esclusione delle aree interessate dal d.l.
4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e
del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale (il c.d. secondo decreto
salva-Ilva, su cui si rinvia al mio Ambiente, salute, lavoro: il caso Ilva, in questa Rivista, 2013,
p. 1017) in cui si dispone il “commissariamento straordinario dell’impresa che gestisca
almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale e la cui attività produttiva abbia
comportato e comporti pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a
causa dell’inosservanza dell’AIA”. L’esclusione cessa di avere effetto nel caso in cui l’im-
presa è ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria.
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480 le nuove leggi civili commentate 3/2016

seguito al rilascio della certificazione dell’avvenuta bonifica. Inoltre, i con-


tributi pubblici e le altre misure di sostegno finanziario previste dall’ac-
cordo non potranno riguardare le misure di messa in sicurezza, di bonifica
e di riparazione del danno ambientale (che ovviamente competono agli
stessi, in base al principio chi inquina paga), ma esclusivamente l’acquisto
di beni strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico
dell’area.
Si tratta di novità di un certo rilievo, in grado di porre il nostro sistema
in linea con le più moderne tecniche di intervento, già sperimentate in altri
Paesi europei, che affrontano il problema della bonifica dei siti contami-
nati in sede di elaborazione dei piani di sviluppo territoriale (38).

12. Gli effetti del contratto.


Stipulato il contratto, si apre la fase dell’esecuzione, regolata dal diritto
privato.
A differenza di quanto accade in altri strumenti di partecipazione
attiva, la transazione è un vero e proprio contratto, che ha forza di legge
secondo le regole generali e che preclude alla parte pubblica di incidere
sulla posizione dei soggetti privati, facendo ricorso ai suoi poteri auto-
ritativi.
A differenza di quanto prevedeva la vecchia normativa, l’art. 306 bis si
limita a rinviare, quanto agli effetti, a quelle che sono le regole generali.
Come si è detto, va però considerato che la transazione finirà realistica-
mente con l’operare in un contesto partecipativo, divenendo strumento
funzionale alla produzione dei relativi effetti (39).
Pressoché invariata è rimasta la previsione in tema di inadempimento,
che prevede regole di favor per la p.a., in ragione dell’uso dello strumento
per la tutela di un interesse collettivo. Stabilisce infatti l’art. 306 bis,
comma 8˚, che “in caso di inadempimento, anche parziale, da parte dei
soggetti privati, delle obbligazioni assunte, il Ministero dell’Ambiente,
previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni e previa escussione
delle garanzie finanziarie prestate può dichiarare risolto il contratto”. In
deroga alla regola generale contenuta nell’art. 1455 c.c., ai fini dello scio-
glimento dal vincolo rileva dunque qualsiasi inadempimento, anche par-
ziale. Ulteriore previsione di favor è quella per cui, in caso di scioglimento
del contratto in ragione dell’inadempimento del partner privato, le somme

(38) Cfr. Contaminated Land Statutory Guidance, in www.defra.gov.uk., April 2012.


(39) V. supra, par. 11.
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le nuove leggi 481

eventualmente già corrisposte sono trattenute dal Ministero in acconto dei


maggiori importi definitivamente dovuti.
La nuova disposizione non contiene nessuna specifica previsione in
merito alla destinazione delle (eventuali) somme ricevute dalla p.a. in
esecuzione del contratto. D’altra parte, l’opera di razionalizzazione com-
piuta dal legislatore fa sı̀ che alla fattispecie si applichi la previsione gene-
rale contenuta nell’art. 317 c.a. (secondo cui “le somme derivanti dalla
riscossione dei crediti in favore dello Stato (…) ivi comprese quelle deri-
vanti dall’escussione di fideiussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia
del risarcimento medesimo, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato
per essere integralmente riassegnate con decreto del Ministro dell’econo-
mia e delle finanze ad un pertinente capitolo dello stato di previsione del
Ministero dell’ambiente (…) per essere destinate alla realizzazione delle
misure di prevenzione e di riparazione in conformità alle previsioni della
direttiva 2004/35/CE ed agli obblighi da essa derivanti”).

13. Disposizioni in materia di interventi di bonifica di amianto (rinvio).


Tra le disposizioni del Collegato Ambientale si segnala, in ragione del
suo collegamento con gli argomenti trattati in queste pagine, l’art. 56,
contenente disposizioni in materia di bonifica da amianto.
Attraverso tale disposizione il legislatore ha voluto dar seguito alla ris.
Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulle minacce per la salute sul luogo
di lavoro o legate all’amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l’a-
mianto esistente (40).
Si tratta di un altro dei problemi del nostro tempo, avendo la scienza
ormai ampiamente dimostrato i pericoli insiti nell’utilizzazione di un pro-
dotto largamente adoperato nel passato (41).
Oggi tutti i tipi di amianto sono ritenuti pericolosi, dal momento che
risultano ormai accertate le conseguenze pregiudizievoli di tale sostanza e
che non sussiste alcuna prova dell’esistenza di una soglia di esposizione di
sicurezza. Al contrario, è stato osservato un aumento del rischio di cancro
anche in popolazioni esposte a livelli molto bassi, con effetti che spesso si
manifestano anche dopo decenni.

(40) Doc. P7_TA (2013) 0093.


(41) Per chi volesse ripercorre la storia, tutta meridionale, della rimozione dell’amianto
dal parco ferroviario italiano, si suggerisce la lettura di A. PETRILLO (a cura di), Il silenzio
della polvere, Milano, 2015.
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482 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Malgrado il suo utilizzo sia vietato, l’amianto è ancora presente in beni


e strutture sia pubbliche che private.
Il Parlamento europeo esorta a tenere una serie di comportamenti, che
vanno dalla predisposizione di un sistema di censimento e di monitoraggio
dell’amianto esistente; a formare gruppi di lavoro qualificati per la sua
rimozione; ad elaborare programmi di sensibilizzazione sui rischi; a for-
mulare piani d’azione per la gestione e la rimozione, invitando gli Stati
membri a portare avanti la progressiva eliminazione dell’amianto nel minor
breve tempo possibile.
La nuova disposizione del Collegato Ambientale interviene su due
diversi fronti.
Da un lato, al fine di promuovere la realizzazione di interventi di
bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto, istituisce presso il
Ministero dell’ambiente una dotazione finanziaria il Fondo per la proget-
tazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni conta-
minati da amianto (art. 56, comma 7˚).
Dall’altro, si preoccupa della bonifica di beni privati. La rimozione dei
materiali contenenti amianto comporta oneri finanziari a carico dei pro-
prietari. Al fine di fornire un sostegno attivo, la disposizione introduce
misure di incentivazione per le imprese che effettuano nell’anno in corso
interventi di bonifica superiori ai 20.000 euro, su beni e strutture produt-
tive ubicate nel territorio dello Stato.
In merito a tali previsioni seguirà il commento del tributarista.
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ANTONIO GUIDARA (*)


Professore associato nell’Università di Catania

IL CREDITO D’IMPOSTA PER GLI INTERVENTI


DI BONIFICA DA AMIANTO
(art. 56 l. 28 dicembre 2015, n. 221)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il “finanziamento fiscale” degli interventi di bonifica dall’a-


mianto. – 3. L’attribuzione del credito d’imposta. – 4. Contenuto e irrilevanza impo-
sitiva dell’agevolazione. – 5. La “spesa” del credito e profili ulteriori.

1. Premessa.
Tra gli interventi in materia ambientale per promuovere misure di
green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali,
di cui alla recente l. 28 dicembre 2015, n. 221, si segnalano le «disposizioni
in materia di interventi da bonifica da amianto» (1), contenute nell’art. 56.
Si tratta di due tipologie di interventi, consistenti: nelle agevolazioni
fiscali, nella forma del credito di imposta, agli imprenditori che effettuano
nell’anno 2016 interventi di bonifica dall’amianto su beni e strutture pro-
duttive; nella promozione di interventi di bonifica di edifici pubblici con-
taminati da amianto mediante la costituzione di apposito fondo (2). Essi
sono delineati, rispettivamente dai commi 1˚- 6˚ e 7˚, cui seguono le pre-
visioni di copertura finanziaria, contenute nel comma 8˚.
Entrambi gli interventi richiedono a breve l’emanazione di una disci-
plina applicativa, rappresentata da decreti ministeriali, nell’ordine: del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze (3); e del Ministro dell’am-

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) Cosı̀ testualmente si esprime la rubrica dell’art. 56 l. n. 221/15.
Nel prosieguo si farà riferimento all’art. 56 e ai suoi commi senza alcuna indicazione
del testo legislativo di appartenenza.
(2) Viene, per l’appunto, costituito presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare il «Fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi
di bonifica di beni contaminati da amianto».
(3) Da emanare, ai sensi del comma 4˚, entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge.

NLCC 3/2016
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484 le nuove leggi civili commentate 3/2016

biente e della tutela del territorio e del mare (4). Sicché entrambi gli in-
terventi attendono di acquisire una fisionomia (più) compiuta, come anche
di diventare operativi in conseguenza degli emanandi decreti ministeriali.
Tuttavia, del primo intervento può dirsi tracciata una disciplina abba-
stanza completa, che consente di mettere a fuoco i tratti salienti della
nuova agevolazione fiscale e di svolgere pure qualche considerazione cri-
tica sugli stessi, dovendo il decreto ministeriale attuare soltanto alcuni
aspetti della disciplina, per quanto ad esso sia comunque condizionata la
fruizione del beneficio (5). Mentre, per il secondo intervento la disciplina
primaria è minimale e assumerà un ruolo decisivo l’emananda disciplina
secondaria.

2. Il “finanziamento fiscale” degli interventi di bonifica dall’amianto.


Dei due interventi descritti, il primo sembra destinato ad una maggio-
re diffusione (e, forse, anche ad un maggiore impatto economico-sociale),
giacché riguarda: beni e strutture produttive di vario tipo ubicate nel
territorio dello Stato, sulle quali gli imprenditori promuovano iniziative
di bonifica; verosimilmente, un numero potenzialmente elevato di situa-
zioni, anche perché, a fronte di un limite di spesa considerevole (che per il
comma 1˚ è «di 5,667 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e
2019»), gli aiuti soggiacciono ad un tetto individuale piuttosto basso (che
per il diritto UE «non può superare 200.000 EUR nell’arco di tre esercizi
finanziari»), essendo ex lege ricondotti a quelli «de minimis», di cui al reg.
UE n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013 (espressamen-
te richiamato nell’art. 56) (6).

(4) Che, ai sensi del comma 7˚, deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge e che individua anche i criteri di priorità per la selezione dei
progetti ammessi al finanziamento da parte del Fondo per la progettazione preliminare e
definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto.
(5) Il credito d’imposta in esame si aggiunge alla detrazione d’imposta per interventi da
bonifica da amianto, ricompresa tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di
riqualificazione energetica degli edifici dall’art. 16 bis, comma 1˚, lett. l), t.u.i.r., la quale
compete alle persone fisiche per «un importo pari al 36 per cento delle spese documentate,
fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità
immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono
o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli inter-
venti». Cfr. anche l’art. 16 d.l. 4 giugno 2013, n. 63, come da ultimo modificato dalla l. 28
dicembre 2015, n. 208, che prevede un innalzamento provvisorio della detrazione.
(6) Il comma 6˚ qualifica ex lege l’aiuto come «de minimis» («Le agevolazioni (…) sono
concesse nei limiti e alle condizioni del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione,
del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis»).
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le nuove leggi 485

Il predetto intervento viene realizzato nella forma dell’agevolazione


fiscale, piuttosto che in quella della sovvenzione (o del contributo). Come
è noto, i finanziamenti pubblici possono essere “attribuiti” piegando la via
tributaria a fini extrafiscali, in linea con le moderne concezioni dello Stato
interventista e della finanza funzionale; e accade spesso che le agevolazioni
fiscali, che surroghino gli interventi pubblici nella sfera economica e so-
ciale, siano più proficue delle corrispondenti sovvenzioni, e pertanto a
queste ultime preferite, sul piano della semplificazione degli adempimenti
e della tempestività della fruizione. Non vi sono dubbi, poi, che quella in
esame sia un vera e propria agevolazione fiscale, giacché persegue chiara-
mente fini extrafiscali (decisamente estranei al riparto delle spese pubbli-
che tra i consociati, ossia alla sfera delle entrate tributarie), i quali sono
espressamente enunciati nel comma 1˚ dell’art. 56 in esame (7): attuare, nei

In particolare l’art. 3, par. 2, reg. UE n. 1407/2013, cit., fissa dei tetti massimi, perché
gli aiuti siano considerati «de minimis» e, pertanto, non diventino aiuti concessi dagli Stati,
incompatibili con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 1, Tratt. FUE («L’importo
complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un’impresa unica non
può superare 200.000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari. L’importo complessivo degli
aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un’impresa unica che opera nel settore
del trasporto di merci su strada per conto terzi non può superare 100.000 EUR nell’arco di
tre esercizi finanziari. Gli aiuti «de minimis» non possono essere utilizzati per l’acquisto di
veicoli destinati al trasporto di merci su strada»).
Dalla riconduzione del credito d’imposta in esame agli aiuti «de minimis» discende che
lo Stato può darvi corso senza alcuna notifica alla Commissione e conseguente autorizza-
zione di essa (in deroga, cioè, alla disciplina contenuta nell’art. 108 Tratt. FUE).
Sugli aiuti «de minimis» cfr. ad esempio: PEPE e TOZZA, Le deroghe al divieto di aiuti di
Stato, in Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, a cura di Ingrosso e Tesauro, Napoli, 2009, p.
265 ss.; FONTANA, Gli aiuti di stato di natura fiscale, Torino, 2012, p. 196 ss.; SACRESTANO,
Aggiornate le norme UE sugli aiuti “de minimis”, in Corr. trib., 2014, p. 1652 ss. Cfr. anche
infra par. 4.
(7) Per quanto le agevolazioni fiscali si traducano in deroghe, favorevoli per il contri-
buente, alle regole di determinazione e applicazione dei tributi, ciò è poco significativo ai
fini della loro identificazione. Piuttosto, appare preferibile dare rilievo ai fini che le varie
agevolazioni fiscali perseguono, da individuare in quelli propri della spesa pubblica e del-
l’intervento diretto dello Stato nell’economia e nella società. Naturalmente, nel dovere di
contribuzione dei consociati vengono in rilievo vari interessi economici e sociali di rilievo
costituzionale, i quali, però, se realizzano la ragionevole discriminazione dei contribuenti,
che sta alla base della capacità contributiva individuale, o consentono un migliore esercizio
delle funzioni amministrative in cui si articola il prelievo, attengono pur sempre al riparto
delle spese pubbliche, ossia alla sfera delle entrate pubbliche, e quindi non danno vita ad
agevolazioni fiscali, le quali invece sono spese, più esattamente “spese fiscali”.
Sulle agevolazioni fiscali si ricordano i contributi di LA ROSA (tra i quali, Le agevolazioni
fiscali, in Trattato di diritto tributario, a cura di A. Amatucci, I, Padova, 1994, p. 401 ss.) e di
FICHERA (tra i quali, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992); e, più di recente: BASILAVECCHIA,
voce Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni fiscali (diritto tributario), in Enc. dir., Agg. V,
Milano, 2002, p. 48 ss.; BATISTONI FERRARA, voce Agevolazioni ed esenzioni fiscali, in Diz.
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486 le nuove leggi civili commentate 3/2016

limiti di competenza degli Stati, la risoluzione del Parlamento europeo del


14 marzo 2013 «sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate
all’amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l’amianto esistente» (8);
«concorrere alla tutela e alla salvaguardia della salute e dell’ambiente
anche attraverso l’adozione di misure straordinarie tese a promuovere e
a sostenere la bonifica dei beni e delle aree contenenti amianto» (9).
Più esattamente, viene scelto lo strumento del credito d’imposta in
luogo di altro beneficio fiscale, in linea con interventi di analogo tenore
posti in essere comunemente negli ultimi anni (si veda, ad esempio, il d.lgs.
31 marzo 1998, n. 123, che individua i principi che regolano i procedi-
menti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo
sviluppo delle attività produttive (10)); e ciò risponde anche ad un’esigenza
di trasparenza della spesa fiscale (accentuata dalla genesi extrafiscale del
credito, commisurato, appunto, alle spese sostenute per gli interventi di
bonifica da amianto), che altre agevolazioni difficilmente soddisfano (11).
Naturalmente, l’utilizzo dell’agevolazione fiscale comporta l’attrazione
della disciplina dell’intervento pubblico in esame alle regole al diritto
tributario: non soltanto sul piano sostanziale, come prima facie si è indotti
a pensare, anche per i riferimenti a varie previsioni normative tributarie;
ma anche per quanto riguarda l’azione amministrativa (cosı̀, un eventuale
recupero del credito in tutto o in parte non spettante avverrà mediante
atto di recupero del credito d’imposta, verosimilmente ai sensi dell’art. 1,
commi 421˚ ss., l. 30 dicembre 2004, n. 311) e le possibilità di tutela (le
eventuali controversie, a prescindere dal soggetto che proceda al recupero,
sono attratte alla giurisdizione delle Commissioni tributarie ai sensi del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (12)).

dir. pubbl., a cura di Cassese, I, Milano, 2006, p. 175 ss.; PACE, Agevolazioni fiscali. Forme di
tutela e schemi processuali, Torino, 2012; GUIDARA, Agevolazioni fiscali, in Diritto on line,
Enc. giur. Treccani, in www.treccani.it, 2013.
(8) Cosı̀ si intitola la menzionata risoluzione del Parlamento europeo. Si ricorda che
essa è destinata principalmente alle istituzioni europee e, in particolare, alla Commissione.
(9) Cosı̀ recita testualmente il comma 1˚.
(10) In particolare, l’art. 7, comma 1˚, dispone che: «I benefı̀ci determinati dagli
interventi sono attribuiti in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale,
(…) concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi,
finanziamento agevolato».
(11) Cfr. ad es. PACE, op. cit., p. 5.
Si aggiunge che l’esigenza di trasparenza è imposta anche dall’art. 4 reg. UE n. 1407/
2013.
(12) L’esclusione ex lege che si tratti di un aiuto di stato ai sensi dell’art. 107 Tratt. FUE
impedisce che subentri la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui al comma
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le nuove leggi 487

3. L’attribuzione del credito d’imposta.


Il credito d’imposta è destinato ai soggetti titolari di reddito di im-
presa. Rileva, quindi, la nozione di imprenditore ai fini delle imposte sui
redditi, nozione che com’è noto non coincide con quella del codice civile
(ma neppure con quella prevista ai fini IVA (13)), e in sintesi comprende le
società commerciali, gli imprenditori commerciali anche se non organizzati
in forma d’impresa, coloro che abitualmente prestano servizi diversi da
quelli indicati dall’art. 2195 c.c. purché organizzati in forma d’impresa, gli
imprenditori agricoli che eccedano i limiti di cui all’art. 32 t.u.i.r. (testo
unico delle imposte sui redditi); inoltre, sono titolari di reddito d’impresa
anche i soggetti non residenti (a prescindere dalla loro forma giuridica), i
cui redditi derivino da attività esercitate nel territorio dello Stato per il
tramite di stabili organizzazioni (14).
Dal novero dei destinatari, cosı̀ individuati, bisogna escludere comun-
que alcuni soggetti, giacché il credito d’imposta è ricondotto dalla legge
agli aiuti «de minimis», i quali ai sensi dell’art. 1 reg. UE n. 1407/2013 –
che viene espressamente richiamato – non riguardano talune categorie di
imprenditori: che operino nell’agricoltura, nella pesca, nell’acquacoltura,
in attività connesse alle esportazioni o che impieghino prodotti nazionali
rispetto a quelli di importazione (15) (e ciò sarebbe anche confermato dal

1˚, lett. z)-sexies dell’art. 133 c.p.a. (aggiunto dall’art. 49, comma 2˚, l. 24 dicembre 2012,
n. 234).
(13) Contenuta nell’art. 4 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.
(14) La nozione di imprenditore ai fini delle imposte sui redditi si ricava essenzialmente
dagli artt. 6, comma 3˚, 55, 81 t.u.i.r. Ai fini della tassazione dei redditi d’impresa (prodotti
nel territorio dello Stato) dei soggetti non residenti si vedano essenzialmente gli artt. 23,
comma 1˚, lett. d), e 162 t.u.i.r.
(15) L’art. 1 del reg. cit. prevede che: «1. Il presente regolamento si applica agli aiuti
concessi alle imprese di qualsiasi settore, ad eccezione dei seguenti aiuti: a) aiuti concessi a
imprese operanti nel settore della pesca e dell’acquacoltura di cui al regolamento (CE) n.
104/2000 del Consiglio; b) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della produzione
primaria dei prodotti agricoli; c) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della trasfor-
mazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti: i) qualora l’importo
dell’aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da pro-
duttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate, ii) qualora l’aiuto sia
subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;
d) aiuti per attività connesse all’esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti
direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di
distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione; e) aiuti subor-
dinati all’impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d’importazione.
2. Se un’impresa operante nei settori di cui alle lettere a), b) o c) del paragrafo 1 opera
anche in uno o più dei settori o svolge anche altre attività che rientrano nel campo di
applicazione del presente regolamento, il regolamento si applica agli aiuti concessi in rela-
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488 le nuove leggi civili commentate 3/2016

fatto che nell’art. 56 non viene richiamato il coevo reg. UE n. 1408/2013,


relativo agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo).
Gli imprenditori, cosı̀ identificati, possono godere del credito d’impo-
sta a condizione che nell’anno 2016 effettuino interventi di bonifica dal-
l’amianto su beni e strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato e
che gli investimenti non siano di importo unitario inferiore a 20.000 euro.
In proposito, stando al comma 4˚ dell’art. 56 in esame è necessario
che, ad integrazione della fattispecie agevolativa e per come verrà meglio
specificato dall’emanando decreto interministeriale (16), l’imprenditore dia
apposita comunicazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del terri-
torio e del mare, il quale determina l’ammontare dell’agevolazione spet-
tante a ciascun beneficiario e trasmette all’Agenzia delle entrate l’elenco
dei soggetti beneficiari e l’importo del credito spettante a ciascuno di essi.
In verità, il predetto comma 4˚ rimette all’emanando decreto di individua-
re, tra l’altro, modalità e termini per la concessione del credito d’imposta a
seguito di istanza delle imprese, lasciando intendere, per lo meno prima
facie, che sarebbe necessario apposito provvedimento amministrativo, di
tipo concessorio, costitutivo dell’agevolazione.
Sennonché, nell’intero art. 56 non vi sono elementi che supportino
una qualche discrezionalità amministrativa (tipica delle concessioni), la
quale peraltro difficilmente troverebbe cittadinanza nel diritto tributario:
infatti, pur notandosi che le agevolazioni fiscali in sé considerate – poiché
non sono prestazioni tributarie imposte – sfuggono alla riserva di legge
ex art. 23 Cost. (dalla quale discende l’assenza di discrezionalità ammi-
nistrativa), si rileva come le stesse a tale previsione costituzionale si
riconducano comunque, ogni qualvolta incidano, derogandovi, sulle ca-
ratteristiche delle prestazioni tributarie oggetto di riserva; e sicuramente,
il credito d’imposta, di cui all’art. 56 in esame, incidendo su an e quan-
tum debeatur (a titolo di IRPEF e di IRES, ma anche di IRAP), soggiace
alla riserva di legge, che di certo riguarda doverosità ed entità delle
prestazioni tributarie (17).

zione a questi ultimi settori o attività a condizione che lo Stato membro interessato garanti-
sca, con mezzi adeguati quali la separazione delle attività o la distinzione dei costi, che le
attività esercitate nei settori esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento non
beneficiano degli aiuti «de minimis» concessi a norma di detto regolamento».
(16) Di cui si è detto supra nel par. 1.
(17) Per una più recente analisi della riserva di legge ex art. 23 Cost. in ordine ai vari
profili delle prestazioni tributarie, avendo riguardo soprattutto alla riscossione, si veda
GUIDARA, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, p. 130 ss.
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le nuove leggi 489

Ed ancora, nell’art. 56 non vi sono neppure elementi che lascino


pensare ad una volontà costitutiva dell’agevolazione. Si aggiunge che:
all’amministrazione non competono valutazioni particolari; ai sensi del
d.lgs. n. 123/98, cui comunque il credito d’imposta in esame dovrebbe
ricondursi (18), verosimilmente verrebbe in essere una procedura auto-
matica (19); più in generale, le agevolazioni fiscali spettano di regola ex
lege (20).
Sicché appare preferibile intendere la posizione giuridica del contri-
buente nei termini del diritto (piuttosto che dell’interesse legittimo) e
riqualificare coerentemente i termini utilizzati dal legislatore, alla stregua,
peraltro, di quanto si fa con numerosi interventi legislativi in tema di
agevolazioni fiscali (21); sicché l’istanza sarebbe elemento costitutivo del
diritto al beneficio e all’amministrazione competerebbe l’accertamento
dei presupposti di tale diritto (22). Analoghe considerazioni andrebbero
fatte con riferimento all’individuazione dei «casi di revoca» del credito
d’imposta, su cui pure l’emanando decreto è chiamato ad intervenire; e
tale revoca, lungi dall’essere il provvedimento amministrativo discrezionale
di secondo grado, di cui all’art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241, è da
intendere piuttosto come comunicazione successiva di insussistenza dei
presupposti per fruire dell’agevolazione fiscale (23).

4. Contenuto e irrilevanza impositiva dell’agevolazione.


Il credito d’imposta spetta nella misura del cinquanta per cento delle
spese sostenute per gli interventi di bonifica dall’amianto su beni e strut-
ture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

(18) Si ricorda, infatti, che il d.lgs. n. 123/98 «individua i principi che regolano i
procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo
delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni
e i benefici di qualsiasi genere» (qualificati «principi generali dell’ordinamento dello Stato»,
specificandi con regolamenti ministeriali e fonti degli enti locali e, comunque pienamente,
efficaci decorso inutilmente il termine ultimo annuale per l’adozione di queste fonti com-
plementari: cfr. artt. 1 e 12).
(19) Di cui all’art. 4 d.lgs. n. 123/98.
(20) Cfr., ad esempio, Autori e opere cit. infra nella successiva nt. 22.
(21) Peraltro, nel comma 3˚ dell’art. 56 si usa la formula «riconoscimento del credito»,
che è di significato opposto alla formula «concessione del credito» usata nel comma suc-
cessivo, di cui si è detto nel testo.
(22) Sulla qualificazione delle situazioni giuridiche, dei procedimenti e degli atti in
materia di agevolazioni fiscali si veda già LA ROSA, voce Esenzioni ed agevolazioni tributarie,
in Enc. giur. Treccani, 1989, p. 4 ss.; e più di recente: PACE, op. cit., p. 65 ss.; GUIDARA,
Agevolazioni fiscali, cit., par. 3.
(23) Del resto, è già diversa la nozione di revoca di cui all’art. 9 d.lgs. n. 123/98.
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490 le nuove leggi civili commentate 3/2016

A tal fine il comma 1˚ dà rilievo alle «spese sostenute per i predetti
interventi nel periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di
entrata in vigore della presente legge», periodo che è da individuare nel
2017, essendo la l. n. 221/15 stata pubblicata il 18 gennaio 2016 (24). Dal
che, però, visto che l’intervento di bonifica deve avvenire nel 2016, sembra
discendere una contraddizione, la quale forse può risolversi intendendo la
littera legis come “spese sostenute entro il periodo di imposta successivo a
quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Inoltre, sull’entità del credito incidono altri elementi. Infatti: a) poiché
per il comma 2˚ «il credito d’imposta non spetta per gli investimenti di
importo unitario inferiore a 20.000 euro», l’entità minima del credito non
dovrebbe essere inferiore alla metà di tale importo; b) poiché per il comma
6˚ l’agevolazione fiscale de qua è ricondotta agli aiuti «de minimis», ai sensi
del reg. UE n. 1407/2013 della Commissione, vi è anche un importo
massimo finanziabile, che dall’art. 3 del regolamento è fissato in 200.000
euro nell’arco di tre esercizi finanziari (la cifra è dimezzata per le imprese
di trasporto di merci su strada per conto terzi) (25).
Il credito d’imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo e
indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di
riconoscimento del credito.
Ancorché debba essere indicato nella dichiarazione dei redditi, esso
non concorre expressis verbis alla formazione né del reddito né della base
imponibile dell’IRAP. Il legislatore risolve cosı̀, mediante una norma di
esclusione, un problema di possibile rilevanza impositiva, e conseguente
tassabilità, del credito d’imposta, quale appunto contributo (all’impresa),
alla stregua di quanto disposto spesso e di recente per altri crediti d’impo-
sta (26).

(24) Nella G.U. n. 13 del 18 gennaio 2016.


(25) Cfr. supra nt. 6.
(26) Si ricordano, ad esempio i crediti d’imposta (anche se talora, specialmente in
passato e discutibilmente, le previsioni di esclusione/irrilevanza fiscale sono state contenute
nella disciplina secondaria): alle imprese di autotrasporto per l’acquisto di mezzi pesanti di
ultima generazione, di cui all’art. 17, commi 35 undecies e 35 duodecies, d.l. 1 luglio 2009, n.
78; il credito d’imposta alle parti che corrispondono l’indennità di mediazione delle con-
troversie civili, di cui all’art. 20, comma 4˚, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28; alle imprese che
investono in ricerca e sviluppo, di cui all’art. 3, comma 6˚, d.l. 23 dicembre 2013, n. 145; agli
esercizi commerciali che effettuano vendita di libri al dettaglio, di cui all’art. 9, comma 6˚,
d.l. 23 dicembre 2013, n. 145; per la digitalizzazione degli esercizi ricettivi, di cui all’art. 9,
comma 3˚, d.l. 31 maggio 2014, n. 83; alle imprese che producono prodotti agricoli, della
pesca e dell’acquacoltura o prodotti agroalimentari, di cui all’art. 3, commi 2˚ e 4˚, d.l. 24
giugno 2014, n. 91.
Il problema della rilevanza fiscale, e conseguente tassabilità, delle agevolazioni fiscali è
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le nuove leggi 491

Inoltre, sempre expressis verbis e alla stregua di altri precedenti (27), il


credito: non rileva ai fini della deducibilità degli interessi passivi, che, se
inerenti all’esercizio di impresa, sono deducibili «per la parte corrispon-
dente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concor-
rono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto
esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi» (28); come
anche non rileva ai fini della deducibilità di spese e altri componenti
negativi (diversi dagli interessi passivi), che «se si riferiscono indistinta-
mente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o
beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella deter-
minazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rap-
porto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare
il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammon-
tare complessivo di tutti i ricavi e proventi» (29).

5. La “spesa” del credito e profili ulteriori.


Il beneficio fiscale in esame, oltre che nella dichiarazione dei redditi
relativa al periodo di imposta di riconoscimento del credito, deve essere
indicato nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta
successivi, nei quali il credito è utilizzato. Il che è funzionale ai controlli,
ma si spiega innanzi tutto giacché il credito viene “speso” in compen-
sazione di altri debiti fiscali (e non). Infatti, il comma 3˚ dispone che
esso «è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’artico-
lo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modifi-
cazioni».
L’art. 17, testé richiamato, contiene la disciplina dei versamenti uni-
tari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a
favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, e consente una
compensazione degli eventuali crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle

noto (già LA ROSA, Le agevolazioni alle imprese: aspetti giuridici, in Riv. dir. fin., 1993, I, p.
572 ss.; e, più di recente, NAPOLITANO, Contributi e crediti d’imposta: aspetti civilistici, penali
e tributari: inquadramento sistematico, illeciti tributari e illeciti comuni finanziari, momenti e
modalità di rilevazione civilistica, trattamento contabile e fiscale, Milano, 2005, pp. 51 ss. e 60
ss.) ed è foriero di non pochi contrasti, al punto che in molte occasioni si sono preferite e si
preferiscono previsioni espresse di esclusione/irrilevanza impositiva dei crediti d’imposta
(come quella di cui si tratta – riferita nel testo – o quelle menzionate in precedenza in questa
stessa nota).
(27) Cfr. nt. precedente.
(28) Cfr. art. 61 t.u.i.r.
(29) Cfr. art. 109, comma 5˚, t.u.i.r.
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492 le nuove leggi civili commentate 3/2016

denunce periodiche nei confronti dei medesimi soggetti (30). Si tratta di


una compensazione speciale, appunto tributaria, che nulla ha a che ve-
dere con la vera compensazione (è sufficiente rilevare che crediti e debiti
sono soltanto affermati dal contribuente e il rapporto può anche essere
trilatero), né con quella prevista dall’art. 8 dello Statuto dei diritti del
contribuente (la quale a quella civilistica viene comunemente ricondotta),
e che si risolve, piuttosto, in una forma atipica di pagamento, in cui: i
crediti vengono “spesi” per estinguere varie situazioni debitorie (tribu-
tarie e non); e, ove essi risultino in tutto o in parte insussistenti, vengono
recuperati dall’amministrazione, considerandosi comunque estinti i de-
biti (31).
Vi è anche un termine iniziale per l’utilizzazione del credito, rectius
della prima quota annuale di esso, che è dato «dal 1˚ gennaio del periodo
di imposta successivo a quello in cui sono stati effettuati gli interventi di
bonifica».
Deve ritenersi ultronea l’esclusione – contenuta sempre nel comma 3˚
dell’art. 56 – del limite di utilizzazione del credito, di cui al comma 53˚
dell’art. 1 della l. 24 dicembre 2007, n. 244, giacché l’entità del credito
d’imposta in esame (di cui si è detto in precedenza (32)) non può comun-
que eccedere siffatto limite, che è stabilito in via generale in euro 250.000
per anno (anche se, poi, sono numerose le disposizioni successive che vi
derogano) (33).
Infine, si presentano di sicuro interesse anche i profili: dei controlli
per la verifica della corretta fruizione del credito d’imposta (i quali sono
devoluti, nei rispettivi ambiti di competenza, al Ministero dell’ambiente e

(30) Il comma 2˚ dell’art. 17 del d.lgs. n. 241/97 contiene un elenco puntuale di crediti
e debiti, per i quali sono possibili versamento unitario e compensazione, ma viene esteso da
varie previsioni normative ad altre voci (e corrispondenti soggetti).
(31) Cfr. ad esempio: RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007,
p. 153 ss.; LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 250 ss. Amplius sulla
compensazione nel diritto tributario: RUSSO, La compensazione in materia tributaria, in Rass.
trib., 2002, p. 1855 ss.; GIRELLI, La compensazione, in Statuto dei diritti del contribuente, a
cura di Fantozzi e Fedele, Milano, 2005, p. 388 ss.; ID., La compensazione tributaria, Milano,
2010; MESSINA, La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006.
(32) Supra par. 4.
(33) L’art. 1 l. n. 244/07 prevede che «a partire dal 1˚ gennaio 2008, anche in deroga
alle disposizioni previste dalle singole leggi istitutive, i crediti d’imposta da indicare nel
quadro RU della dichiarazione dei redditi possono essere utilizzati nel limite annuale di
250.000 euro. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale
eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’in-
tero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’ecce-
denza (…)».
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le nuove leggi 493

della tutela del territorio e del mare e all’Agenzia delle entrate); come
anche del recupero del credito d’imposta in tutto o in parte non spet-
tante.
Sennonché, l’individuazione delle modalità dei controlli e del recupero
è demandata dall’art. 56 all’emanando decreto interministeriale.
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PIERFRANCESCO BARTOLOMUCCI (*)


Ricercatore nell’Università «Parthenope» di Napoli

LA NUOVA DISCIPLINA DELLE PROCEDURE DI


RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE IN
MATERIA DI CONSUMO: IL D.LGS. N. 130/15 E LE MODIFICHE
DEL CODICE DEL CONSUMO
(d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130)

SOMMARIO: 1. Premessa: il recepimento della dir. 2013/11/UE ed il contesto normativo


italiano. – 2. Il contesto normativo europeo. – 3. La ratio della dir. 2013/11/UE. –
4. I principi di delega e le scelte compiute dal legislatore italiano. – 5. La preclusione
per l’arbitrato di consumo in Italia. – 6. La collocazione sistematica della disciplina
delle ADR di consumo. – 7. L’ambito di applicazione delle disposizioni. – 8. Tentativi
obbligatori e partecipazione obbligatoria dei professionisti alle procedure di risoluzione
alternativa delle controversie. – 9. Le negoziazioni paritetiche. – 10. I principi appli-
cabili a tutte le procedure ADR di consumo: relativi alla procedura. – 11. Segue: relativi
alle persone fisiche responsabili della procedura. – 12. Gli obblighi di informazione
(per gli organismi e per i professionisti). – 13. Gli effetti delle procedure ADR: pre-
scrizione e decadenza. – 14. L’abilitazione degli organismi ADR: efficacia dell’iscrizione
nell’elenco e competenza delle autorità. – 15. La disciplina delle ADR di consumo e i
rapporti con la normativa in materia di mediazione civile e commerciale. – 16. Irri-
nunciabilità e indisponibilità dei diritti dei consumatori e soluzione negoziale delle
controversie. – 17. Pluralità di ADR, consapevolezza del consumatore e vessatorietà
delle clausole.

1. Premessa: il recepimento della dir. 2013/11/UE ed il contesto nor-


mativo italiano.
Con il d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130 (1) è stata data attuazione alla dir.
2013/11/UE (2) sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consu-

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) D.lgs. 6 agosto 2015, n. 130, recante “Attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla
risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE)
n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR dei consumatori)”, in G.U. n.
191 del 19 agosto 2015.
(2) Dir. 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio 21 maggio 2013 “sulla
risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE)
n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR dei consumatori)”, in G.U.U.E.
n. L 165/63 del 18 giugno 2013.

NLCC 3/2016
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le nuove leggi 495

matori. La trasposizione delle norme europee è avvenuta sulla base dei


criteri dettati dal legislatore delegante nella l. 7 ottobre 2014, n. 154
(art. 8) (3).
Le disposizioni cosı̀ recepite si inseriscono in un quadro normativo
piuttosto articolato, che ha dettato specifiche norme in materia di riso-
luzione alternativa delle controversie riguardanti esclusivamente i con-
sumatori; un quadro che, pur mostrando diversi rilievi di disomogenei-
tà, è abbastanza risalente nel tempo ed ha conosciuto importanti svi-
luppi.
Basti pensare alla prima legge di riordino del sistema delle Camere di
commercio, la l. n. 580/93 (4), la quale aveva attribuito al sistema camerale
– tra le cc.dd. funzioni di regolazione del mercato – anche quella di
costituire commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle con-
troversie tra imprese e consumatori; attribuzione che è stata confermata
nel nuovo assetto camerale, disciplinato dal d.lgs. n. 23/10.
Altra importante norma sulle ADR nel settore consumeristico è quella
contenuta nella l. n. 481/95 di riforma dei servizi di pubblica utilità (5), la

(3) L. 7 ottobre 2014, n. 154, recante “Delega al Governo per il recepimento delle
direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione
europea 2013 – secondo semestre”, in G.U. n. 251 del 28 ottobre 2014.
(4) Sul riordino delle Camere di commercio, con particolare riferimento alla tutela del
consumatore, ex multis ALPA, Riti alternativi e tecniche di risoluzione stragiudiziale delle
controversie nel diritto civile, in Temi romana, 1997, p. 264 ss.; CASTELLANA, CONTE, MARI-
NELLI e TRIPODI, Camere di commercio e Upica, Milano, 1996, p. 474 ss.; CENA Riforma delle
Camere di commercio e tutela del consumatore, in Contr. e impr./Europa, 1996, p. 946;
MINERVINI, Le Camere di commercio e la conciliazione delle controversie, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 2001, p. 939 ss.; ID., La conciliazione stragiudiziale delle controversie. Il ruolo
delle camere di commercio, Napoli, 2003, p. 9 ss.; MORANA Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002, p. 216 ss.; PERRINI, Il ruolo
delle Camere di Commercio, in BERNARDINI (a cura di), La conciliazione. Modelli ed esperienze
di composizioni non conflittuale delle controversie, Milano, 2001, p. 48 ss.; QUINTO, Camere
di commercio e conciliazione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori, Roma,
1997; TEATINI, Il nuovo ordinamento delle Camere di commercio, Padova, 1996.
(5) CADEDDU, Strumenti alternativi di soluzione delle controversie fra erogatori e utenti
dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2001, p. 679 ss.; CHIRULLI, Sub art. 2,
comma 24, lett b), in BARDUSCO, CAIA, e DI GASPARE (a cura di), Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di
pubblica utilità, in questa Rivista, 1998, p. 391 ss.; CICI, L’autorità per l’energia ed il gas, in
Rass. giur. en. el., 1998, p. 739 s.; CLARICH, L’attività delle autorità indipendenti in forme
semicontenziose, in CASSESE e FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole. Le autorità
indipendenti, Bologna, 1996, p. 157; COCCHI, I riti alternativi nel diritto amministrativo,
in ALPA (a cura di), L’arbitrato. Profili sostanziali, II, Torino, 1999, p. 1211; ID., Tecniche
alternative di risoluzione delle controversie: il ruolo delle Autorità amministrative indipen-
denti, in Pol. dir., 1997, p. 437 ss.; MONTESANO, Tutela giurisdizionale dei diritti dei consu-
matori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e
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496 le nuove leggi civili commentate 3/2016

quale prevede l’istituzione di procedure di risoluzione stragiudiziale dei


conflitti nel settore; in applicazione di tale disposizione, la legge istitutiva
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha avviato un importante
percorso, che ha portato – attraverso l’adozione di una serie di delibere
dell’Autorità – alla costituzione di un sistema di primario rilievo nell’ordi-
namento interno; sempre in base a tale disposizione, anche l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas ha dato vita ad un meccanismo di risoluzione
alternativa delle liti nel settore di riferimento.
Anche nell’ambito delle controversie relative al comparto turistico è
stata prevista l’istituzione di procedure ADR, dapprima rivenienti nella l.
n. 135/01 (6), e successivamente nelle norme confluite nel d.lgs. n. 79/11,
codice del turismo (7).
Il legislatore domestico ha inteso inserire una ulteriore e specifica
disposizione sulla risoluzione alternativa delle liti anche con riguardo alla
disciplina dell’attività di pulitintorie, di cui alla l. n. 84/06 (art. 3, com-
ma 2˚) (8).
Da ultimo, in seguito a quanto previsto dalla c.d. legge sulla tutela del
risparmio, n. 262/05, anche il settore bancario e dell’intermediazione fi-
nanziaria ha visto introdurre rilevanti disposizioni relative alla disciplina di
procedure di risoluzione alternativa delle controversie, affidate a due or-
ganismi istituiti in seno alle Autorità di vigilanza del settore: l’Arbitro

quelle Autorità di regolazione, in Riv. dir. proc., 1997, p. 1 ss.; PATRONI GRIFFI, Tipi di
autorità indipendenti, in CASSESE e FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole. Le autorità
indipendenti, cit., p. 25 ss.; QUINTO, Intervento, in AA.VV. Attività regolatoria e autorità
indipendenti, Milano, 1996, p. 77 ss.; MINERVINI, op. ult. cit., p. 21; SCHLESINGER La pluralità
delle fonti nella somministrazione di energia elettrica, in Rass. giur. en. el., 1997, p. 318 ss.;
VACCÀ, La disciplina dei contratti dei consumatori, in Diritto privato 1996, II, Condizioni
generali e clausole vessatorie, Padova, 1997, p. 501, ID. La composizione extragiudiziale delle
controversie dei consumatori, in ID. (a cura di) Consumatori, contratti, conflittualità, Milano,
2000, p. 283 ss.
(6) ATELLI, La riforma della legislazione sul turismo, in Corr. giur., 2001, p. 1377 ss.;
FRAGOLA, Primo approccio sulla legge 29 marzo 2001, n. 135. Riforma della legislazione
nazionale sul turismo, in Nuova rass., 2001, p. 1354 ss.; MINERVINI, op. ult. cit., p. 57 ss.
(7) CORRADO, La tutela dei diritti del turista: metodi di risoluzione alternativa delle
controversie, in FRANCESCHELLI e MORANTI (a cura di), Manuale di diritto del turismo, Torino,
2013, p. 356 ss.; SANTAGATA, Diritto del turismo, Torino, 2014, p. 413 ss., SOLDATI, La
composizione delle controversie in materia turistica, in COGLIANI, GOLA, SANDULLI e SANTA-
GATA (a cura di), L’ordinamento del mercato turistico, Torino, 2012, p. 313 ss.
(8) BARTOLOMUCCI, Arbitrato e conciliazione nelle controversie del consumo, pulitintorie
e tuirismo, in BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI (a cura di), Codice degli arbitrati, delle
conciliazioni e di altre ADR, Torino, 2006, p. 301 ss.
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le nuove leggi 497

bancario finanziario (art. 128 bis t.u.b.) (9) e la Camera di conciliazione e


arbitrato presso la Consob (d.lgs. n. 179/07) (10).

(9) Tra i numerosi contributi: F. AULETTA, Arbitro bancario finanziario e «sistemi di


risoluzione stragiudiziale delle controversie», in Società, 2011, p. 85; BARTOLOMUCCI, Principio
di sussidiarietà e risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria: l’esperienza
dell’Arbitro bancario finanziario, in NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiarietà nel diritto
privato, Torino, 2014, I, p. 647 ss.; BERLINGUER, L’ ABF tra giudizio e media-conciliazione, in
Riv. arbitrato, 2013, p. 27; CAPOBIANCO, Arbitro bancario finanziario, in Digesto IV ed., Disc.
priv., Sez. comm., Agg., VI, Torino, 2012, p. 36; CAPRIGLIONE, La giustizia nei rapporti
bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 11;
CAPRIGLIONE e PELLEGRINI, (a cura di), ABF e supervisione bancaria, Padova, 2011; CARRIERO,
Arbitro bancario finanziario: morfologia e funzioni, in Foro it., 2012, V, c. 213; CONSOLO e
STELLA, Il ruolo prognostico-deflattivo, irriducibile a quello dell’arbitro, del nuovo ABF, “scru-
tatore” di torti e ragioni nelle liti in materia bancaria, in Corr. giur., 2011, p. 1656; ID., Il
funzionamento dell’ABF nel sistema delle ADR, in Analisi giur. econ., 2011, p. 135; COSTAN-
TINO, L’Arbitro bancario finanziario, in Foro it., 2010, V, c. 160; DE CAROLIS, L’arbitro
bancario finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quad. di ricerca giuridica
della consulenza legale della Banca d’Italia, n. 70, Roma, 2011, p. 21; DELLE MONACHE,
Arbitro bancario finanziario, in Banca, borsa e tit. cred., 2013, I, p. 160; FANTETTI, L’arbitro
bancario finanziario quale sistema di risoluzione alternativa delle controversie tra investitore ed
intermediario, in Resp. civ., 2010, p. 857 s.; G. FINOCCHIARO, L’arbitro bancario finanziario
tra funzioni di tutela e di vigilanza, Milano, p. 2010; GUCCIONE e RUSSO, L’arbitro bancario
finanziario, in questa Rivista, 2010, p. 476; GUIZZI, L’Arbitro Bancario Finanziario nell’am-
bito dei sistemi di ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Società, 2011,
p. 1224 ss.; MAIONE, Sulla natura dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Giur. comm., 2012, II,
p. 1200; MINERVINI, L’arbitro bancario finanziario. Una nuova «forma» di a.d.r., Napoli,
2014; PARROTTA, Arbitro bancario finanziario: dal 1˚ gennaio 2012 in vigore il nuovo rego-
lamento sulle competenze, in Guida al dir., 2012, p. VIII; PERASSI, Il ruolo dell’ABF nell’or-
dinamento bancario: prime riflessioni, in Analisi giur. econ., 2011, p. 143; PETRELLA, L’arbi-
trato bancario finanziario, in PUNZI (a cura di), Disegno sistematico dell’arbitrato, III, Padova,
2012, p. 303; E. QUADRI, L’«arbitrato bancario finanziario» nel quadro dei sistemi di risolu-
zione stragiudiziale delle controversie, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 308; RABITTI, La
soft law come strumento di governo dei fallimenti del mercato: l’esperienza dell’ABF, in
NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, cit., p. 623 ss.; RUPERTO,
L’«arbitro bancario finanziario», in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 327; SANGIOVANNI,
Regole procedurali e poteri decisori dell’arbitro bancario finanziario, in Società, 2012, p. 953
ss.; SCOTTI, ABF e rapporti bancari, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. comm., Agg., VI,
Torino, 2012, p. 2; SOLDATI, L’arbitro bancario finanziario della Banca d’Italia (ABF), in
Contratti, 2009, p. 853; TAVORMINA, L’Arbitro Bancario Finanziario (un altro episodio della
serie “I nuovi mostri”), in Società, 2011, p. 1025 ss.
(10) BARTOLOMUCCI, Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, in Digesto IV
ed., Disc. priv., Sez. comm., Agg., VI, Torino, 2012, p. 77 ss.; ID., Conciliazione e arbitrato
presso la Consob. Aspetti di diritto civile, Roma, 2012; BERGAMINI, I nuovi strumenti stragiu-
diziali di soluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, in GABRIELLI e LENER (a
cura di), I contratti del mercato finanziario, Torino, 2004, II, p. 429 ss.; CARIDI, Legge sul
risparmio e nuovi strumenti di tutela diretta dell’investitore non professionale, in Dir. banca e
merc. fin., 2007, II, p. 233 ss.; CARLEO, Primi cenni sugli strumenti di tutela di risparmiatori e
investitori istituiti presso la CONSOB dal D.Lgs. 179/2007: procedure di conciliazione e
arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia, in MARTORANO e DE LUCA (a cura di),
Disciplina dei mercati finanziari e tutela del risparmio, Milano, 2008, p. 361 ss.; CAVALLINI, La
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498 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Al di là di tali interventi normativi, rispetto ai quali la previsione di


procedure ADR è connessa alla regolamentazione di settori e contratti
specifici, il contesto normativo italiano ha pure dato ingresso a disposizioni
generali sulle procedure di risoluzione alternativa delle controversie di
consumo; successivamente alla norma contenuta nella prima legge sui
diritti dei consumatori e degli utenti, la l. n. 281/98 (art. 3) (11), la disci-
plina delle ADR è stata rimessa al codice del consumo, il quale – accanto
alle previsioni sulla conciliazione nell’ambito dell’azione inibitoria colletti-
va (art. 140, comma 2˚) e dell’azione di classe (art. 140 bis, comma 15˚) –
ne aveva prevista un’altra, l’art. 141 (12), che aveva riconosciuto la legitti-
mità delle procedure alternative di risoluzione delle controversie di con-

Camera di conciliazione e di arbitrato della Consob: «prima lettura» del d. lgs. 8 ottobre 2007,
n. 179, in Riv. società, 2007, p. 1445 ss.; COLOMBO, La Consob e la soluzione extragiudiziale
delle controversie in materia di servizi di investimento, in Società, 2007, p. 8 ss.; CUOMO
ULLOA, La camera di conciliazione e di arbitrato istituita presso la Consob, in Contratti, 2008,
p. 1181 ss.; G. FINOCCHIARO, La specialità della conciliazione presso la Consob non esclude
l’uso di alcune regole sulla mediazione, in Guida al dir., 2010, p. 102 ss.; GIOIA, Tutela
giurisdizionale dei contratti del mercato finanziario, in GABRIELLI e LENER (a cura di), I
contratti del mercato finanziario, cit., I, p. 53 ss.; MANCINI, I nuovi strumenti processuali di
tutela degli investitori: l’arbitrato amministrato dalla Consob, in Riv. arbitrato, 2007, p. 665
ss.; EAD, L’arbitrato amministrato presso la Consob, in RUBINO SAMMARTANO (a cura di), Il
diritto dell’arbitrato. Disciplina comune e regimi speciali, Padova 2010, II, p. 1667 ss.; EAD,
L’autonomia della Camera di conciliazione e arbitrato istituita dal d. lgs. 170/07 per la
risoluzione delle controversie insorte tra investitori e intermediari dinnanzi alla Consob alla
luce della posizione del Consiglio di Stato, in Banca, borsa e tit. cred., 2012, II, p. 233 ss.;
NASCOSI, La nuova Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, in questa Rivista,
2009, p. 963 ss.; SANGIOVANNI, La conciliazione stragiudiziale presso la Consob, in Riv.
arbitrato, 2010, p. 213 ss.; SOLDATI, Le procedure di conciliazione e di arbitrato nella legge
sul risparmio, in GALGANO e ROVERSI MONACO (a cura di), Le nuove regole del mercato
finanziario, Padova, 2009, p. 521 ss.; ID., La Camera arbitrale presso la Consob per le
controversie tra investitori ed intermediari, in Contratti, 2009, p. 423 ss.
(11) BASTIANON, Brevi osservazioni sulla legge n. 281/1998 in materia di tutela dei
consumatori, in Resp. civ. e prev., 1999, p. 526 ss.; CENA, Verso una legge-quadro sui diritti
dei consumatori, in Contr. e impr./Europa, 1997, p. 889 ss.; COLAGRANDE, Disciplina dei
diritti dei consumatori e degli utenti, in questa Rivista, 1998, p. 700 ss.; MINERVINI, I contratti
dei consumatori e la legge 30 luglio1998 n. 281, in Contratti, 1999, p. 954; VACCÀ, Diritti dei
consumatori: la conciliazione nella disciplina «in itinere», in Contratti, 1998, p. 212 ss.
(12) BARTOLOMUCCI, sub art. 141, in ALPA e ROSSI CARLEO (a cura di), Codice del
consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 846 ss.; ID., sub art. 141, in MINERVINI e ROSSI
CARLEO (a cura di), Le modifiche al codice del consumo, Torino, 2009, p. 502 ss.; BENUCCI,
sub art. 141, in VETTORI (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova, 2007, p.
1076 ss.; MICONI, sub art. 141, in FRANZONI (a cura di), Codice ipertestuale di consumo, 2008,
p. 676 ss.; NASCOSI, sub art. 141, in G. DE CRISTOFARO e ZACCARIA (a cura di), Commentario
breve al diritto dei consumatori, Padova, 2010, p. 991 ss.; PEDUTO, sub art. 141, in STANZIONE
e SCIANCALEPORE (a cura di), Commentario al codice del consumo. Inquadramento sistematico
e prassi applicativa, Milano, 2006, p. 1064 ss.; PORRECA, sub art. 141, in CUFFARO (a cura di),
Codice del consumo, Milano, 2006, p. 539 ss.
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le nuove leggi 499

sumo (relative ai rapporti regolati dal codice stesso), purché conformi ai


principi dettati dal legislatore comunitario in materia.
Seppure non specificamente dettata per la risoluzione delle controver-
sie di consumo, deve essere ricordata anche la disciplina della mediazione
delle liti civili e commerciali, di cui al d.lgs. n. 28/10 (13), riformato dal c.d.
“decreto del fare” del 2013, in seguito alla pronuncia della Corte cost. n.
272/2012.

2. Il contesto normativo europeo.


Anche con riguardo al panorama europeo, la dir. 2013/11/UE costi-
tuisce l’ultima tappa di un iter che si è andato dispiegando in questi
anni (14), nel corso del quale le istituzioni comunitarie hanno intrapreso
numerose iniziative, sia volte alla realizzazione di studi e approfondimenti,
sia volte all’adozione di specifiche norme di settore.

(13) Tra i numerosi commenti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 28/10 (anteriormente alla
novella legislativa): AMERIO, APPIANO, BOGGIO, COMBA e SAFFIRIO (a cura di), La mediazione
nelle controversie civili e commerciali. Metodo e regole, Milano, 2010; BANDINI e SOLDATI (a
cura di), La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali. Com-
mentario al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, Milano, 2010; BESSO (a cura di), La mediazione civile e
commerciale, Torino, 2010; BOVE (a cura di), La mediazione per la composizione delle con-
troversie civili e commerciali, Padova, 2010; CASTAGNOLA e DELFINI (a cura di), La media-
zione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010; CENNI, FABIANI e LEO (a cura di),
Manuale della mediazione civile e commerciale. Il contributo del notariato alla luce del d.lgs. n.
28/2010, Napoli, 2012; MARTINO (a cura di), Materiali e commenti sulla mediazione civile e
commerciale, Bari, 2011; SASSANI e SANTAGADA (a cura di), Mediazione e conciliazione nel
nuovo processo civile. Commento organico al d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in materia di media-
zione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, Roma, 2010; R.
TISCINI, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo nel d.lgs. n.
28/2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino, 2012; VACCÀ e MARTELLO, La
mediazione delle controversie, Milano, 2010.
(14) APPIANO, I sistemi di Adr nell’ottica del legislatore comunitario, in Contr. e impr./
Europa, 2009, p. 59 ss.; BARTOLOMUCCI, Conciliazione extragiudiziale, in Digesto IV ed., Disc.
priv., Sez. civ., Agg., 3, I, Torino, 2007, p. 211 ss.; CAPPONI, Libro verde e accesso dei
consumatori alla giustizia, in Doc. giust., 1991, p. 361 ss.; ID., Giustizia civile: nuovi modelli
verso l’Europa, in Foro it., 1993, V, c. 216 ss.; CARPANETO, La tutela comunitaria del consu-
matore: il problema dell’accesso alla giustizia, con particolare riferimento all’Italia e all’Inghil-
terra, in Contr. e impr./Europa, 2000, p. 761 ss.; DANOVI, Le ADR e le iniziative dell’Unione
europea, in Giur. it., 1997, IV, p. 326 ss.; MARTINELLO, Accesso dei consumatori alla giustizia.
Un progetto pilota, in Doc. giust., 1992, p. 1619 ss.; ID., Libro verde sull’accesso dei consu-
matori alla giustizia: appunti per un’analisi critica, ivi, 1994, p. 340 ss.; ROSSOLINO, I mezzi
alternativi di risoluzione delle controversie (Adr) tra diritto comunitario e diritto internazio-
nale, in Dir. UE, 2008, p. 349 ss.; STICCHI DAMIANI, Sistemi alternativi alla giurisdizione
(ADR) nel diritto dell’Unione europea, Milano, 2004; VIGORITI, Europa e mediazione. Pro-
blemi e soluzione, in Contr. e impr./Europa, 2011, p. 81 ss.
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500 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Il diritto dei consumi ha rappresentato uno dei principali ambiti per


l’applicazione delle disposizioni in tema di risoluzione alternativa delle
controversie; non a caso, dopo i primi interventi programmatici (in cui
le ADR erano considerate quali strumenti finalizzati a favorire l’accesso dei
consumatori alla giustizia, e dunque, strumenti adeguati per assicurare la
tutela dei diritti che trovavano via via spazio nel contesto normativo eu-
ropeo), la risoluzione stragiudiziale delle liti di consumo ha assunto una
propria rilevanza, al punto da essere oggetto di due raccomandazioni: la n.
1998/257/CE relativa alle procedure facilitative e la n. 2001/310/CE re-
lativa alle procedure valutative (15).
Né può dirsi che tale obiettivo sia venuto meno, allorché la Commis-
sione ha inteso disciplinare alcuni principi applicabili alla sola mediazione
delle controversie civili e commerciali; tale intervento, che si è concretiz-
zato nell’adozione della dir. 2008/52/UE (16), ha rappresentato per un
verso un allargamento e per altro verso un restringimento dell’approccio
sino ad allora perseguito.
Un allargamento poiché essa ha inteso disciplinare uno strumento
alternativo di risoluzione di tutte le controversie civili e commerciali, delle
quali fanno certamente parte anche quelle di consumo; un restringimento
perché, contrariamente alla equiparazione, sul piano degli effetti, dei mo-
delli procedurali (sia quelli di natura facilitativa, di cui la mediazione
rappresenta l’archetipo, sia quelli di natura valutativa), essa ha inteso
disciplinare un’unica procedura, in ragione della sua maggiore diffusione
pratica negli ordinamenti dei vari Stati membri.
L’adozione della direttiva del 2013 ha segnato, sotto tale aspetto, un
ritorno all’approccio precedente, mediante la costituzione di un quadro
giuridico di riferimento applicabile a tutti i modelli procedurali, indipen-

(15) Sui principi delle due citate raccomandazioni e sulle distinzioni tra procedure
facilitative e valutative BARTOLOMUCCI, op. ult. cit., p. 211 ss. e riferimenti bibliografici ivi
citati.
(16) CANNALIRE, Giunge al traguardo la direttiva europea sulla mediazione, in Contratti,
2008, p. 853 ss.; DE BONIS, La proposta di direttiva sulla mediazione nell’ambito delle
politiche comunitarie in tema di cooperazione, in Contr. e impr./Europa, 2005, p. 439 ss.;
GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (Ri-
flessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE), in
Riv. dir. proc., 2009, p. 357 ss.; GIUDICE, Dalla Commissione europea una scelta «flessibile»
per il futuro della mediation, in Contratti, 2005, p. 102 ss.; MICELI, La mediazione in materia
civile e commerciale nella Direttiva 2008/52/CE, in Eur. e dir. priv., 2009, p. 855 ss.;
MINERVINI, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contr.
e impr./Europa, 2009, p. 41 ss.; ROSSOLINO, I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie
(Adr) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in Dir. UE, 2008, p. 349 ss.; VACCÀ, La
direttiva sulla conciliazione: un’occasione mancata?, in Contratti, 2008, p. 857 ss.
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le nuove leggi 501

dentemente dalla loro natura, finalizzati alla risoluzione stragiudiziale delle


liti che vedono coinvolto un consumatore.
Quello dei rapporti negoziali con i consumatori appare, infatti, un
terreno privilegiato per la concreta applicazione di tali procedure, rispetto
al più ampio e complesso contesto delle relazioni contrattuali tra soggetti
non riconducibili a tale qualificazione. La necessità di apprestare un ele-
vato livello di protezione dei consumatori, anche mediante la disciplina
delle procedure ADR, è testimoniata dalla coeva adozione del reg. UE n.
524/2013 in tema di online dispute resolution (17).

3. La ratio della dir. 2013/11/UE.


Rispetto al contesto normativo preesistente, improntato al modello
della soft law (come dimostra l’adozione delle due raccomandazioni del
1998 e del 2001), il legislatore ha inteso intervenire nuovamente, mediante
l’adozione di un atto normativo più rilevante nella gerarchia delle fonti del
diritto europeo.
Possono individuarsi molteplici ragioni sottese a tale scelta normativa,
come è possibile verificare scorrendo i considerando della direttiva. In
primo luogo la scelta di uno strumento normativo di maggiore portata
cogente rispetto alle precedenti raccomandazioni, di cui essa è comunque
immediata e diretta conseguenza, è dettata dalla necessità di costituire un
quadro normativo organico e coerente in grado di rimediare alla frammen-
tarietà che ancora si rinviene negli ordinamenti nazionali in materia: alcuni
di essi, infatti, sono privi di disposizioni generali e/o settoriali, mentre altri
hanno posto in essere normative settoriali disomogenee; tale disomogenei-
tà rappresenta un forte disincentivo alla costituzione del mercato unico,
nel cui contesto le transazioni di consumo, sia nazionali, sia transfronta-
liere, assumono un primario rilievo (5˚ considerando) (18).

(17) Il 12˚ considerando della direttiva parla di provvedimenti “interconnessi e com-


plementari”.
(18) “La risoluzione alternativa delle controversie (ADR) offre una soluzione semplice,
rapida ed extragiudiziale alle controversie tra consumatori e professionisti. Tuttavia, l’ADR
non è ancora sviluppata in maniera sufficiente e coerente nell’Unione. È deplorevole che,
nonostante le raccomandazioni della Commissione 1998/257/CE, del 30 marzo 1998, ri-
guardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale
delle controversie in materia di consumo, e 2001/310/CE, del 4 aprile 2001, sui principi
applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle
controversie in materia di consumo, l’ADR non sia stato attuato correttamente e non
funzioni in modo soddisfacente in tutte le zone geografiche o in tutti i settori economici
dell’Unione. I consumatori e i professionisti non sono ancora a conoscenza dei meccanismi
extraprocessuali di ricorso esistenti e soltanto un’esigua percentuale di cittadini sa come
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502 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Pur non potendosi annoverare tra gli obiettivi che il legislatore euro-
peo (al contrario di quello domestico, specie negli interventi normativi
degli ultimi anni) intende perseguire, la direttiva sottolinea che lo sviluppo
delle ADR possa contribuire anche ad un più generale recupero di effi-
cienza dell’intero sistema di amministrazione della giustizia statale, specie
in quegli ordinamenti “dove esiste una congestione importante di cause
pendenti dinanzi agli organi giurisdizionali, che non consente ai cittadini
dell’Unione di esercitare il loro diritto a un processo equo in tempi ragio-
nevoli” (15˚ considerando) (19).
Contrariamente alla scelta operata negli ultimi anni in materia di diritti
dei consumatori, la direttiva de qua introduce un livello di armonizzazione
minima, che consente ampi margini di operatività ai legislatori dei singoli
Stati membri; e ciò non soltanto con riguardo alla scelta dei modelli da
disciplinare negli ordinamenti interni, ovvero alla necessità di prevedere la
costituzione ex novo di organismi nazionali rispetto a quelli già esistenti,
ma – come dispone l’art. 2, comma 3˚ – con riguardo anche alla possibilità
di “conservare o introdurre norme che prevedano misure ulteriori rispetto
a quanto stabilito dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello
superiore di tutela dei consumatori”.
Sintomatico è il riconoscimento della facoltà degli Stati membri di
regolamentare (lasciando ovvero introducendo ex novo) disposizioni che
impongano il ricorso alle ADR, fatto naturalmente salvo il diritto alla

presentare un reclamo a un organismo ADR. Laddove le procedure ADR sono disponibili, i


loro livelli qualitativi variano notevolmente da uno Stato membro all’altro e le controversie
transfrontaliere non sono spesso trattate in modo efficace dagli organismi ADR”. Al riguar-
do il Consiglio europeo, nelle risoluzioni del marzo e dell’ottobre 2011 avevano sollecitato il
Parlamento all’adozione di una serie di provvedimenti legislativi finalizzati alla predisposi-
zione di un quadro normativo per le ADR, sia nel settore consumeristico sia in altri settori
(cfr. 10˚ considerando).
(19) Tale affermazione, seppure generale e priva di portata precettiva immediata,
richiama uno degli argomenti che spesso è entrato nel dibattito intorno alla utilità di un
sistema modero di ADR; tale ratio peraltro appare sottesa ad una serie di interventi che negli
ultimi anni sono stati posti in essere dal legislatore domestico, sia con riferimento alla
mediazione civile e commerciale, sia con riferimento ai meccanismi di c.d. degiurisdiziona-
lizzazione, che si sono meritati vivaci critiche in dottrina. AA. VV., Degiurisdizionalizzazione e
altri interventi per la definizione dell’arretrato, Torino, 2015; BRIGUGLIO, Nuovi ritocchi in
vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si
confida su altri e più utili versanti) sul serio, in www.giustiziacivile.com; CONSOLO, Un d.l.
processuale in bianco e nerofumo sull’equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, in Corr. giur.,
2014, p. 1173 ss.; LIBERTINI, La ‘degiurisdizionalizzazione’, in www.federalismi.it; SCARSELLI,
Luci e ombre sull’ennesimo progetto di riforma del processo civile, in www.questionegiusti-
zia.it; VIGORITI, Il “trasferimento” in arbitrato: un’inversione di tendenza?, in www.judi-
cium.it.
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le nuove leggi 503

tutela giurisdizionale (art. 1 dir.), oppure la mancata interferenza di detta


disciplina con quella della mediazione civile e commerciale, oggetto della
dir. 2008/52/CE (19˚ considerando).
Tale scelta di politica del diritto appare inusuale, non solo rispetto al
trend assunto in relazione a questa “ultima generazione” di interventi
normativi europei in tema di diritto dei consumi, quanto e soprattutto
per la necessità di un quadro normativo unitario, tenuto conto del fatto
che ciascun ordinamento ha inteso adottare in tale settore le scelte più
diverse, anche in ragione della cultura giuridica di riferimento.
Proprio tale diversità è stata riconosciuta come una delle principali
ragioni che ha ostacolato una diffusa conoscenza ed il conseguente ricorso
alle ADR da parte dei consumatori, determinando un vulnus rispetto alla
realizzazione del più volte richiamato livello elevato di protezione degli
stessi. Sulla scorta di tali premesse, sarebbe apparso opportuno un inter-
vento normativo volto alla massima armonizzazione che avrebbe imposto
un adattamento a livello legislativo, favorendo la creazione di un sistema
normativo condiviso. E ciò anche in ragione del fatto che l’obiettivo con-
nesso alla costituzione di un framework unitario dovrebbe incentivare il
ricorso alla risoluzione alternativa delle controversie transfrontaliere, anche
attraverso il ricorso ad organismi stabiliti in Stati membri diversi da quello
di residenza delle parti. Ciò nonostante, resta dubbio se ciò sarebbe stato
sufficiente a favorire una più ampia e diffusa cultura della c.d. giustizia
alternativa.
D’altro canto, l’opzione per l’armonizzazione minima potrebbe appa-
rire giustificata dall’esigenza di salvaguardare la molteplicità dei modelli
procedurali esistenti nei vari ordinamenti nazionali, da considerare come
una risorsa anche in ragione della scelta pluralista adottata dal legislatore
europeo (20).
Questa ragione di intervento è connessa con la necessità di pervenire,
anche attraverso questa strada, al raggiungimento di un elevato livello di
protezione dei consumatori, che passi attraverso la predisposizione di
procedure stragiudiziali di composizione dei conflitti rapide, efficienti,

(20) 21˚ considerando “Inoltre, le procedure ADR sono molto diverse nell’Unione e
all’interno degli Stati membri. Esse possono prendere la forma di procedure in cui l’organi-
smo ADR riunisce le parti allo scopo di facilitare una soluzione amichevole, di procedure in
cui tale organismo ADR propone una soluzione o di procedure in cui lo stesso organismo
ADR impone una soluzione. Le procedure ADR possono anche consistere in una combi-
nazione di due o più procedure di questo tipo. È opportuno che la presente direttiva non
pregiudichi la forma che le procedure ADR assumono negli Stati membri”.
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504 le nuove leggi civili commentate 3/2016

poco onerose, in grado di soddisfare la domanda di giustizia sottesa alle


controversie di consumo.
L’elevato livello di qualità delle procedure, che si realizza mediante il
rispetto di principi di natura organizzativa, funzionale e regolamentare,
rappresenta – nell’ottica della direttiva – un elemento essenziale per au-
mentare la fiducia dei consumatori nel mercato interno, il quale è in grado
non soltanto di garantire l’applicazione di regole comuni ai rapporti ne-
goziali, ma anche alle procedure cui possa farsi riferimento in caso di
controversie relative a tali rapporti.
Dunque, non solo la facoltà di ricorrere ad organismi chiamati a gestire
procedure stragiudiziali, ma di gestirle nel rispetto di principi condivisi di
economicità, imparzialità e trasparenza: solo in tal modo, infatti, è possibile
assicurare che detti procedimenti siano effettivamente alternativi rispetto a
quelli di natura giurisdizionale. Il rispetto di questi principi, pertanto, co-
stituisce la condizione imprescindibile affinché l’autonomia privata possa
essere utilmente impiegata quale strumento per la composizione delle liti.
Il legislatore europeo non intende esprimere una preferenza rispetto ai
modelli procedimentali, ma opta per un regime aperto, nel quale possano
trovare spazio tanto strumenti facilitativi, quanto strumenti valutativi (aggiu-
dicativi oppure no), seppure mediante l’applicazione di presidi specifici, a
seconda che si pervenga ad una soluzione mediante una procedura auto-
noma ovvero eteronoma del conflitto. E ciò sia al fine di garantire, come
detto, l’efficienza e l’efficacia delle procedure, sia per assicurare “il rispetto
dei principi fondamentali in tema di accesso alla tutela giurisdizionale” (21).
Di tal guisa, per le procedure che prevedono l’intervento del terzo
finalizzato a favorire una ricerca della soluzione ad opera delle parti coin-
volte, ovvero a suggerirla (facendo in modo che questi possano poi rece-
pirla con un distinto atto di autonomia negoziale), deve farsi in modo che
(oltre alla terzietà, imparzialità e competenza di detto soggetto) sia con-
sentito di conoscere preventivamente le regole che vengono applicate per
l’adozione di tale proposta, in modo tale che le parti possano contestarne
la validità, laddove questa sia stata adottata senza il rispetto di tali rego-
le (22). Per le procedure che prevedono, invece, l’adozione di una decisione

(21) GALLETTO, Adr e controversie dei consumatori: un difficile equilibrio, in www.judi-


cium.it.
(22) LUISO, La direttiva 2013/11/Ue, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei
consumatori, in www.judicium.it, il quale sottolinea la assimilabilità delle regole dettate per
le procedure autonome con i procedimenti di struttura tendenzialmente contenzioso-deci-
soria.
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le nuove leggi 505

vincolante (le quali costituiscono la novità più rilevante dell’intervento


comunitario), la direttiva impone, oltre al rispetto delle norme procedi-
mentali, che la scelta verso tali modelli non possa essere effettuata pre-
ventivamente, bensı̀ – in conformità con l’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea (e con l’art. 24 Cost.) – solo una volta
che sia insorta la lite.
In entrambi i casi, il modello procedurale di riferimento è quello che
contempla l’affidamento della procedura ad un organismo terzo, stabil-
mente costituito e chiamato all’amministrazione della stessa. L’attività di
gestione delle procedure ADR è un’attività riservata, affidata a soggetti che
– in ragione dei requisiti amministrativi, gestionali, economici e procedi-
mentali – sono sottoposti alla vigilanza di autorità nazionali e iscritti in un
apposito elenco, chiamato anche ad assolvere ad una funzione pubblicita-
ria, essenziale per i consumatori che devono essere messi in grado di avere
il maggior numero di informazioni possibili non solo riguardo alla natura
delle procedure, ma anche ai soggetti chiamati a gestirle.

4. I principi di delega e le scelte compiute dal legislatore italiano.


La dir. 2013/11/UE, in quanto volta all’armonizzazione minima delle
disposizioni in materia di ADR, lascia spazi di intervento ai legislatori degli
Stati membri, tanto con riguardo alla impostazione generale del nuovo
assetto normativo, quanto in relazione a specifiche disposizioni relative a
singoli aspetti inerenti le varie procedure.
Il legislatore domestico, sin dalla legge di delegazione, ha inteso com-
piere delle scelte rilevanti, in alcuni casi avvalendosi di specifiche facoltà
attribuite dalla direttiva e in altri casi, invece, scegliendo al contrario di
non avvalersene.
Come può evincersi dalla semplice lettura dell’art. 8 l. n. 154/14, il
legislatore italiano ha inteso considerare quali procedure ADR anche quel-
le in cui le persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie
sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista (lett. a), purché
l’organismo collegiale di cui facciano parte sia composto da un numero
eguale di rappresentanti delle organizzazioni di consumatori e di rappre-
sentanti del professionista, e siano nominate a seguito di una procedura
trasparente (lett. b). Tali principi di delega hanno trovato applicazione
nell’art. 141 ter c.cons., il quale fa espresso riferimento alle cc.dd. nego-
ziazioni paritetiche. La struttura paritetica di dette procedure costituisce
una deroga rispetto ad uno dei principi cardine sul quale poggia l’intero
impianto normativo europeo, il quale per l’appunto prevede l’affidamento
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506 le nuove leggi civili commentate 3/2016

e la gestione delle ADR a soggetti stabilmente costituiti e in posizione di


terzietà rispetto alle parti.
Non a caso, anche al fine di evitare pericolose situazioni di conflitto di
interessi, che potrebbero nascere dal fatto che i componenti di detti organi
collegiali siano remunerati direttamente dal professionista, la direttiva ha
escluso dal novero delle procedure rientranti nell’ambito di applicazione
quelle gestite “dinanzi a organismi di risoluzione delle controversie in cui
le persone fisiche incaricate della risoluzione delle controversie sono as-
sunte o retribuite esclusivamente dal professionista a meno che gli Stati
membri decidano di consentire tali procedure come procedure ADR ai
sensi della presente direttiva e siano rispettati i requisiti di cui al capo II,
inclusi i requisiti specifici di indipendenza e trasparenza” (art. 2, comma
2˚, lett. a) (23).
Ulteriore principio sancito dalla legge di delega è quello della inva-
rianza finanziaria, non potendo l’applicazione delle disposizioni della di-
rettiva comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (princi-
pio ribadito all’art. 3 d.lgs. n. 130/15). Inoltre è stabilito che le compe-
tenze affidate alle Autorità competenti siano esercitate mediante il ricorso
alle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili presso ciascuna di
esse (art. 8, lett. c).
Tale scelta deve essere interpretata anche alla luce degli ulteriori prin-
cipi sanciti dalla direttiva: ci si riferisce, in particolare, alla economicità e/o
gratuità delle procedure nei confronti del consumatore, che pare stridere
con quello del finanziamento degli organismi ADR (art. 8, lett. c) e di
retribuzione delle persone incaricate (art. 6, lett. d), necessari per garantire
l’erogazione di un servizio di qualità elevata. Se, infatti, deve essere ga-
rantita la gratuità o la economicità delle procedure per i consumatori, i
costi connessi alla gestione delle stesse e alla retribuzione dei soggetti
incaricati dovrebbe essere interamente a carico dei professionisti, tenuto

(23) Lo stesso 22˚ considerando della direttiva disponeva che “Le procedure dinanzi a
organismi di risoluzione delle controversie in cui le persone fisiche incaricate della risolu-
zione delle controversie sono alle dipendenze del professionista o ricevono da quest’ultimo,
sotto qualunque forma, la loro unica remunerazione rischiano di essere esposte a un con-
flitto di interessi. Pertanto, tali procedure dovrebbero, di norma, essere escluse dall’ambito
di applicazione della presente direttiva, a meno che uno Stato membro decida che tali
procedure si possono considerare procedure ADR ai sensi della direttiva stessa e a condi-
zione che detti organismi siano pienamente conformi ai requisiti specifici di indipendenza e
di imparzialità stabiliti dalla presente direttiva. Gli organismi ADR che offrono la risoluzione
delle controversie attraverso tali procedure dovrebbero essere soggetti alla valutazione pe-
riodica della loro conformità ai requisiti di qualità stabiliti dalla presente direttiva, inclusi i
requisiti specifici aggiuntivi che garantiscono la loro indipendenza”.
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le nuove leggi 507

conto del fatto che gli organismi non possono avvalersi di risorse pubbli-
che (nonostante contribuiscano alla complessiva amministrazione della
giustizia).
In occasione dell’attuazione, il legislatore si è avvalso dell’ulteriore
facoltà relativa alla disciplina della obbligatorietà, pur concessa dalla di-
rettiva (art. 1). In particolare, il d.lgs. n. 130/15 non ha inteso prevedere
nuove forme di ricorso obbligatorio alle ADR, ma ha lasciato ferme le
disposizioni previgenti in tema di condizione di procedibilità della doman-
da giudiziale, quali quelle di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28/10 in materia di
mediazione delle controversie civili e commerciali, all’art. 1, comma 11˚, l.
n. 249/97 in materia di comunicazioni elettroniche, all’art. 2, comma 24˚,
lett. b), l. n. 481/95 in materia di energia elettrica, gas e sistema idrico [art.
141, comma 6˚, lett. a-c), c.cons.].
Parimenti, sono stati fatti salvi i tentativi obbligatori dinanzi all’Arbitro
bancario finanziario presso la Banca d’Italia, nonché dinanzi alla Camera
di conciliazione e arbitrato presso la Consob, previsti dall’art. 5, comma 1˚
bis, d.lgs. n. 28/10 come procedure atte ad assolvere condizione di pro-
cedibilità della domanda giudiziale in relazione a controversie inerenti i
contratti bancari e dell’intermediazione finanziaria, in alternativa alla me-
diazione (art. 141, comma 7˚, c. cons.).
Conformemente a quanto stabilito dal 27˚ considerando (24), il legisla-
tore domestico non ha inteso modificare la norma di cui all’art. 140,
comma 2˚, c.cons., con riferimento alla facoltà concessa alle associazioni
rappresentative dei diritti dei consumatori a livello nazionale (e iscritte
all’elenco di cui all’art. 139 dello stesso codice), di esperire un tentativo
di conciliazione presso la Camera di commercio territorialmente compe-
tente, nell’ambito del giudizio inibitorio collettivo.
Cosı̀ pure resta impregiudicata la disposizione di cui all’art. 15 d.lgs. n.
28/10 relativa alla conciliazione nell’ambito dell’azione di classe ex art. 140
bis c.cons.

(24) “La presente direttiva non dovrebbe impedire agli Stati membri di mantenere o
introdurre procedure ADR che trattano congiuntamente controversie identiche o simili tra
un professionista e vari consumatori. È opportuno effettuare una valutazione d’impatto
globale sulle composizioni extragiudiziali collettive prima di proporre tali composizioni a
livello di Unione. L’esistenza di un sistema efficace per i reclami collettivi e un facile ricorso
alle procedure ADR dovrebbero essere complementari e le procedure non dovrebbero
escludersi reciprocamente”.
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508 le nuove leggi civili commentate 3/2016

5. La preclusione per l’arbitrato di consumo in Italia.


La più significativa rinuncia operata dal legislatore italiano è però
quella relativa alle procedure cc.dd. valutative di natura aggiudicativa,
nelle quali il responsabile emette una decisione vincolante per le parti.
La stessa direttiva, pur facendo rientrare nella definizione di procedu-
ra ADR anche quelle in cui l’organismo impone una soluzione vincolante,
riconosce agli Stati membri – ex art. 4, comma 4˚ – la competenza a
“stabilire se gli organismi ADR istituiti sui rispettivi territori debbano
avere la facoltà di imporre una soluzione”. Tenuto conto del necessario
bilanciamento tra i principi di tutela dei diritti dei consumatori e di ac-
cesso alla giustizia – entrambi garantiti a livello “costituzionale” europeo –
il legislatore di Bruxelles ha inteso presidiare il riconoscimento di tali
procedure con una serie di specifiche disposizioni, in considerazione del
fatto che esse comportano una deroga alla competenza dell’autorità giu-
diziaria. In primo luogo, l’art. 10 dispone, al comma 1˚, la non vincolatività
delle clausole che obblighino il consumatore a rinunziare alla tutela giuri-
sdizionale in via preventiva, e cioè al momento della sottoscrizione del
contratto, in un momento precedente all’insorgere della controversia. In
secondo luogo, il secondo comma del medesimo articolo prevede che la
scelta di deferire la lite a tali procedure sia consentita solo se le parti siano
previamente rese edotte della natura vincolante della decisione, ed abbiano
specificamente fornito il loro assenso (25).
Pur non nominandolo espressamente, appare implicito il richiamo
all’arbitrato, che viene ope legis considerato una procedura ADR nel set-
tore del diritto dei consumi, pur nel rispetto dei cennati limiti, connessi
alla vessatorietà delle clausole compromissorie. Tema, quest’ultimo, che in
passato è stato fatto oggetto delle riflessioni della dottrina italiana, ancor-
ché non vi fosse alcuna previsione normativa al riguardo. È noto, infatti,
che in occasione della trasposizione della dir. 1993/13/CEE nell’ordina-
mento interno, non si era fatto alcun cenno alle clausole compromissorie,
contenuto invece nell’addendum alla normativa comunitaria. Infatti, l’art.
33, comma 2˚, lett. t), c.cons. introduce una presunzione di vessatorietà di
tutte le clausole che hanno per oggetto o per effetto di sancire “deroghe
alla competenza dell’autorità giudiziaria”. Una lettura formale di tale di-
sposizione dovrebbe far pervenire alla radicale nullità dei patti compro-

(25) Invero, dalla lettura della citata disposizione, pare che lo specifico assenso sia
richiesto al solo consumatore nel caso in cui – in applicazione di specifiche disposizioni
di legge – i professionisti siano comunque vincolati a dette decisioni.
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le nuove leggi 509

missori che, per loro natura, comportano proprio tale deroga; questa
soluzione non sembrava superabile neppure alla luce della previgente
formulazione dell’art. 141, comma 4˚, c.cons. a mente del quale “Non
sono vessatorie le clausole inserite nei contratti dei consumatori aventi
ad oggetto il ricorso ad organi che si conformano alle disposizioni di cui
al presente articolo”. Le soluzioni alle quali era pervenuta la dottrina erano
le più varie: a fronte di coloro che ritenevano il mancato inserimento della
clausola compromissoria in una delle liste di cui all’art. 33 come il segnale
di un favor del legislatore (26), v’era chi aveva sostenuto che dovesse di-
stinguersi a seconda della tipologia di arbitrato individuato dalla clausola:
l’addendum alla direttiva del 1993, infatti, nel riportare l’elenco indicativo
delle clausole abusive, stabilisce la presunzione di vessatorietà per quelle
che hanno per oggetto o per effetto di “sopprimere o limitare l’esercizio di
azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il
consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato
non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mez-
zi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della
prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra
parte del contratto” (lett. q). Ne sarebbe dovuta conseguire la vessatorietà
delle sole clausole compromissorie per arbitrato irrituale (27). Nel mezzo si
ponevano coloro che ritenevano che avrebbe dovuto valutarsi caso per
caso il contenuto vessatorio di una clausola compromissoria, alla luce
dei riferimenti comunitari (che costituiscono strumento interpretativo
per il giudice), con particolare riguardo alla esistenza di norme giuridiche
alle quali l’arbitrato sarebbe sottoposto (28).
In linea con la disposizione contenuta nella racc. 1998/257/CE, dun-
que, la direttiva sembra aver sciolto – seppure alle condizioni ivi previste –
il nodo problematico, ammettendo un arbitrato di consumo, di tipo vo-
lontario e non obbligatorio, rimesso alla scelta espressa delle parti (in
particolare, del consumatore), una volta insorta la controversia (29), in

(26) STANZIONE, Clausole compromissorie, arbitrato e tutela dei consumatori, in Vita not.,
1996, p. 1163 ss.
(27) GABRIELLI, Clausola compromissoria e contratti per adesione, in Riv. dir. civ., 1993,
I, p. 555 ss.
(28) ALPA, Le ADR dalla tutela dei consumatori alla amministrazione efficiente della
giustizia civile, in ALPA e DANOVI (a cura di), La risoluzione stragiudiziale delle controversie e
il ruolo dell’avvocatura, Milano, 2004, p. 44 ss.
(29) GALLETTO, op. cit., ipotizzava, in fase di recepimento, una disposizione che rico-
noscesse la validità di clausole vincolanti per il solo professionista e che concedessero al
consumatore la facoltà di deferimento in arbitri solo al momento dell’insorgenza della lite,
p. 12.
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510 le nuove leggi civili commentate 3/2016

modo da assicurare la libertà di scelta verso la giurisdizione privata in


luogo di quella statale (30). Ciò nonostante, il legislatore domestico non
ha optato per tale scelta, escludendo in radice – e quindi al di là dell’e-
sercizio di opzioni normative riguardanti la validità del patto compromis-
sorio – l’ammissibilità di procedure eteronome vincolanti, prima tra tutte
l’arbitrato, tanto nella forma dell’arbitrato rituale, quanto in quella del-
l’arbitrato irrituale. Soluzione, questa, che non appare coerente con il più
generale contesto normativo italiano, che conosce già ipotesi legislative di
affidamento della lite a procedure siffatte, gestite da pubbliche autorità,
pur se non possono essere qualificate come arbitrati in senso stretto: basti
pensare, alle procedure gestite dall’Autorità per le garanzie nelle comuni-
cazioni ovvero dall’Autorità per l’energia elettrica, gas e sistema idrico (31).

6. La collocazione sistematica della disciplina delle ADR di consumo.


Le norme recepite hanno trovato la loro collocazione sistematica nel
“cantiere aperto” (32) del codice del consumo. Tale scelta va salutata con
favore, posto che sottolinea la vocazione di tale codice a costituire un
corpus unitario e specializzato, che riunisce tutte le disposizioni relative
ai rapporti che vedono coinvolti i consumatori. Inoltre, tale opzione sot-
tolinea la portata generale e trasversale della disciplina relativa alle ADR di
consumo, che si configurano come strumenti idonei ad offrire soluzioni
alternative dei conflitti inerenti l’intero atto di consumo, nel suo aspetto
dinamico, che va dal contatto sociale, alla comunicazione commerciale,
sino alla conclusione e all’esecuzione dei contratti dei consumatori.

(30) 43˚ considerando “Un accordo tra un consumatore e un professionista riguardo alla
presentazione di reclami presso un organismo ADR non dovrebbe essere vincolante per il
consumatore se è stato concluso prima del sorgere della controversia e se ha l’effetto di
privare il consumatore del suo diritto di adire un organo giurisdizionale per la risoluzione
della controversia stessa. Inoltre, nelle procedure ADR volte a comporre la controversia
mediante l’imposizione di una soluzione, la soluzione imposta dovrebbe essere vincolante
per le parti soltanto a condizione che queste siano state preventivamente informate del suo
carattere vincolante e abbiano specificatamente dato il loro assenso. La specifica accetta-
zione del professionista non dovrebbe essere richiesta se le norme nazionali dispongono che
soluzioni di questo tipo vincolano i professionisti”.
(31) Come ricorda opportunamente LUISO, op. cit., il quale richiama pure le procedure
dinanzi all’Autorità per la protezione dei dati personali. L’Autore, peraltro, sottolinea che la
vera novità introdotta dalla direttiva è da individuare nel riconoscimento dell’affidamento di
dette procedure non solo a soggetti pubblici ma anche a soggetti privati.
(32) G. DE CRISTOFARO, Il “cantiere aperto” del codice del consumo: modificazioni e
innovazioni apportate dal d. legisl. 23 ottobre 2007, n. 221, in Studium iuris, 2008, p. 265 ss.
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le nuove leggi 511

D’altro canto, la natura generale di detta disciplina non costituisce un


ostacolo per la sua applicazione anche in relazione a rapporti giuridici non
direttamente disciplinati dal codice stesso; basti pensare, a titolo mera-
mente esemplificativo, alle controversie relative ai rapporti bancari, a quelli
assicurativi, dell’intermediazione finanziaria ovvero a quelli turistici. An-
corché essi trovino la loro compiuta disciplina in altri testi normativi
(t.u.b., t.u.f., codice delle assicurazioni, codice del turismo), e a prescin-
dere dall’esistenza di specifici strumenti di risoluzione alternativa delle
controversie già disciplinati nei vari settori di riferimento (ABF; Camera
di conciliazione e arbitrato presso la Consob seppure oggetto di prossima
revisione ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 130/15; mediazione, le quali peraltro
non sono estranee al nuovo intervento normativo), le procedure ADR oggi
inserite nel codice del consumo appaiono applicabili a detti rapporti,
anche in considerazione dell’art. 141 c.cons., che identifica il proprio
ambito di applicazione oggettivo nelle controversie relative alle obbliga-
zioni contrattuali derivanti dai contratti di vendita e di servizi, senza alcun
riferimento (esclusivo) a quelle disciplinate dal medesimo codice.
In conformità con la ratio sottesa alla direttiva del 2013, l’ordinamento
italiano ha cosı̀ definito un quadro normativo nel quale concorrono una
molteplicità di procedure, diverse per loro natura o per la soggettività
degli organismi chiamati a gestirle, ma tutte in grado di garantire un
elevato livello di protezione dei consumatori, i quali sono cosı̀ posti in
grado di scegliere di volta in volta, a seconda della natura della contro-
versia, quella che ritengono conforme alle proprie necessità ed esigenze.

7. L’ambito di applicazione delle disposizioni.


Dal punto di vista soggettivo, la disciplina delle ADR trova applica-
zione per le sole controversie tra consumatori e professionisti, le cui defi-
nizioni, contenute all’art. 141, lett. a) e b), c.cons., fanno opportunamente
rinvio a quelle contenute nell’art. 3 del codice stesso. Giova rammentare
che, seppure alcun riferimento compaia nel testo di recepimento, il 18˚
considerando fa rientrare tra le controversie di consumo quelle riguardanti
i cc.dd. usi promiscui (33).

(33) “La definizione di «consumatore» dovrebbe comprendere le persone fisiche che


agiscono per scopi estranei alla loro attività commerciale, industriale, artigianale o profes-
sionale. Tuttavia, se il contratto è stipulato per scopi in parte interni ed in parte esterni
all’attività commerciale della persona (contratti a duplice scopo) e lo scopo dell’operazione è
limitato in modo da non risultare predominante nel contesto generale della fornitura, tale
persona dovrebbe essere parimenti considerata come un consumatore”.
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512 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Dal punto di vista oggettivo, va rilevato che la disciplina trova appli-


cazione in relazione a tutte le controversie, siano esse relative a soggetti
aventi sede o residenza nello stesso Stato membro [art. 141, lett. e),
c.cons.], siano esse di natura transfrontaliera [art. 141, lett. f), c.cons.],
purché i soggetti coinvolti siano residenti o stabiliti (34) nel territorio del-
l’Unione europea.
Ulteriore precisazione che può essere fatta alla luce dei considerando
della direttiva è che le controversie deferibili in ADR sono quelle relative ai
rapporti off line e on line, strettamente connessi con lo sviluppo del
commercio elettronico, anch’esso visto come uno strumento di forte in-
centivazione allo sviluppo del mercato unico.
Circa la natura di dette controversie, le lett. e) ed f) del nuovo art.
141 c.cons. precisano che esse debbano riguardare, come detto, “obbli-
gazioni contrattuali derivanti da un contratto di vendita o di servizi”,
rinviando – per la definizioni di questi – all’art. 45 c.cons. Pertanto,
tenuto conto di quanto stabilito da quest’ultima disposizione, deve rite-
nersi che possa farsi ricorso alle ADR per tutte le controversie che ab-
biano ad oggetto obblighi (35) derivanti da contratti di vendita (ad effetti
reali ovvero obbligatori), nonché a qualsiasi altro contratto avente ad
oggetto la fornitura di servizi (36), qualunque sia la modalità della con-
trattazione prescelta (e quindi anche con riferimento alle cc.dd. vendite
aggressive) (37), e qualunque sia l’oggetto (fatte salve le esclusioni speci-
ficamente previste); il rinvio espresso all’art. 45 c.cons. permette di rite-
nere che, anche per la disciplina che ci occupa, si intende addivenire ad
una definizione ampia di contratto di vendita, in grado di comprendere
(attraverso uno schema che determini effetti di natura traslativa) diversi

(34) Il professionista si considera stabilito, a mente dell’art. 141, comma 2˚, “a) se si
tratta di una persona fisica, presso la sua sede di attività; b) se si tratta di una società o di
un’altra persona giuridica o di un’associazione di persone fisiche o giuridiche, presso la sua
sede legale, la sua amministrazione centrale o la sua sede di attività, comprese le filiali, le
agenzie o qualsiasi altra sede”.
(35) In relazione alle controversie transfrontaliere trova dunque applicazione l’art. 6
reg. CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio 17 giugno 2008 sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, anche noto come regolamento Roma 1.
(36) PERUGINI, Il recepimento della Direttiva 2008/11/Ue: prime riflessioni, in www.giu-
stiziacivile.com, 2014, p. 6.
(37) Con specifico riferimento ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai
contratti a distanza, il d.lgs. n. 130/15 (art. 141 decies) ha introdotto una sostituzione all’art.
66 quater, comma 3˚, c.cons., con una norma del seguente tenore “Per la risoluzione delle
controversie sorte dall’esatta applicazione dei contratti disciplinati dalle disposizioni delle
sezioni da I a IV del presente capo è possibile ricorrere alle procedure di risoluzione
extragiudiziale delle controversie, di cui alla parte V, titolo II-bis, del presente codice”.
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le nuove leggi 513

negozi caratterizzati da cause diverse (38). Di contro, sono escluse espres-


samente – cosı̀ come previsto dalla direttiva (39) – le controversie relative
ai servizi non economici di interesse generale [definiti all’art. 141, lett.
m), c.cons.] (40); a quelle tra professionisti; a quelle inerenti i servizi di
assistenza sanitaria, prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di
valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, compresa la pre-
scrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi
medici (41); a quelle riguardanti organismi pubblici di istruzione superio-
re o di formazione continua.
Inoltre, non possono essere considerate procedure ADR, secondo
quanto previsto nel codice: i reclami gestiti direttamente dal professionista
(poiché in tal caso non vi sarebbe alcuna terzietà, ma si tratterebbe di
procedure interne condotte nell’ambito delle funzioni di compliance); la
negoziazione diretta tra consumatore e professionista (essendo una proce-
dura non guidata da un terzo, ovvero, come nel caso delle negoziazioni
paritetiche, dai rispettivi rappresentanti) (42); i tentativi di risoluzione stra-
giudiziale posti in essere dal giudice nel corso del giudizio (43).
Da ultimo, non va considerata quale procedura ADR quella avviata da
un professionista nei confronti di un consumatore. Il legislatore ha inteso

(38) RICCI, Particolari modalità della contrattazione, in ROSSI CARLEO (a cura di), Diritto
dei consumi, Torino, 2012, p. 107 s.; SIRAGUSA, sub art. 45, in GAMBINO e NAVA (a cura di), I
nuovi diritti dei consumatori, Torino, 2014, p. 11 ss.
(39) LUISO, op. cit., sottolinea la disomogeneità delle esclusioni previste dalla direttiva,
che ritiene rilevanti ora il contenuto della controversia, ora il soggetto che prende l’iniziativa,
ora il tipo di attività svolta per la gestione della procedura, ora, infine, il soggetto che compie
l’attività.
(40) Il 13˚ considerando rileva che tale esclusione appare giustificata proprio dall’assen-
za del corrispettivo a fronte della fornitura di servizi (di pubblica utilità) prestati diretta-
mente dallo Stato o per conto dello stesso.
(41) Esclusione che appare singolare, seppure prevista nella direttiva (art. 2, comma 2˚,
lett. h) atteso che l’art. 5, comma 1˚ bis, d.lgs. n. 28/10 dispone il tentativo obbligatorio di
mediazione per le controversie inerenti il risarcimento del danno derivante da responsabilità
medica o sanitaria; cfr. pure 14˚ considerando dir.
(42) 50˚ considerando “Al fine di evitare inutili oneri per gli organismi ADR, è oppor-
tuno che gli Stati membri incoraggino i consumatori a contattare il professionista per tentare
di risolvere la problematica in modo bilaterale prima di presentare un reclamo a un organi-
smo ADR. In molti casi, ciò consentirebbe ai consumatori di risolvere le loro controversie in
modo rapido e tempestivo”.
(43) Con riferimento alle fattispecie escluse, nonché a quelle delle ADR gestite dalle
Autorità, il comma 9˚, art. 141 dispone “Le disposizioni di cui al presente titolo non
precludono il funzionamento di eventuali organismi ADR istituiti nell’ambito delle norme
e provvedimenti, di cui ai commi 7˚ e 8˚, ed in cui i funzionari pubblici sono incaricati delle
controversie e considerati rappresentanti sia degli interessi dei consumatori e sia degli
interessi dei professionisti”.
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514 le nuove leggi civili commentate 3/2016

riconoscere una sorta di legittimazione diseguale, in quanto il consumatore


è l’unico soggetto legittimato ad esperire una delle procedure ivi discipli-
nate.
Quanto alle caratteristiche proprie delle ADR, l’art. 141 c.cons. iden-
tifica procedure di natura essenzialmente volontaria (fatti salvi i casi già
previsti di obbligatorietà, cui si riferisce il successivo comma 6˚ e che,
quindi, devono considerarsi come eccezione a tale principio); inoltre, sot-
tolinea che, ai fini della disciplina applicabile, esse siano pure conformi ai
principi stabiliti dal codice e “nell’ambito delle quali l’organismo ADR
propone una soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione
amichevole” (art. 141, comma 4˚, c.cons.). L’opzione, come sottolineato, è
per le sole procedure facilitative ovvero valutative, purché in tale ultima
ipotesi esse non si concludano con un atto avente natura vincolante per le
parti.
È altresı̀ stabilito che debba trattarsi di procedure amministrate, vale a
dire affidate a soggetti terzi, neutrali ed imparziali [gli organismi ADR, di
cui all’art. 141, lett. h), c.cons.] che siano stati appositamente e stabilmente
abilitati da una delle autorità competenti, mediante l’iscrizione ad uno
specifico elenco, e che gestiscano procedure di risoluzione delle contro-
versie su base permanente (44), id est dotati non solo di soggettività giuri-
dica propria – in relazione alla quale essi abbiano quale scopo (sociale o
associativo) quella di gestire procedure ADR di consumo anche non in via
esclusiva – ma anche di autonomia regolamentare, gestionale e patrimo-
niale. Pur nel silenzio della normativa italiana, il riferimento alla stabile
offerta di servizi di giustizia alternativa consente di escludere dall’ambito

(44) 24˚ considerando “Gli Stati membri dovrebbero garantire che le controversie
oggetto della presente direttiva possano essere presentate a un organismo ADR conforme
ai requisiti da essa stabiliti e inserito in elenco ai sensi della stessa. Gli Stati membri
dovrebbero avere la possibilità di ottemperare a tale obbligo basandosi sugli organismi
ADR correttamente funzionanti esistenti e adeguandone l’ambito d’applicazione, se neces-
sario, oppure creando nuovi organismi ADR. La presente direttiva non dovrebbe precludere
il funzionamento di organismi di risoluzione delle controversie esistenti nell’ambito di auto-
rità nazionali di protezione dei consumatori negli Stati membri dove i funzionari pubblici
sono incaricati della risoluzione delle controversie. I funzionari pubblici dovrebbero essere
considerati rappresentanti sia degli interessi dei consumatori sia di quelli dei professionisti.
La presente direttiva non dovrebbe obbligare gli Stati membri a creare organismi ADR
specifici per ogni settore del commercio al dettaglio. Ove necessario, per assicurare una
copertura settoriale e geografica totale e l’accesso all’ADR, gli Stati membri dovrebbero
avere la possibilità di provvedere alla creazione di un organismo ADR residuo, che tratti le
controversie per la risoluzione delle quali nessun organismo ADR specifico è competente.
Gli organismi ADR residui costituiscono una garanzia per consumatori e professionisti che
non sussistano lacune nell’accesso a un organismo ADR”.
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le nuove leggi 515

di applicazione le procedure istituite ad hoc per la risoluzione alternativa di


una singola controversia (45), ovvero mediante ricorso ad un soggetto terzo
non stabilmente costituito a tale fine, ma chiamato a dirimere una lite sulla
base di un accordo contrattuale con le parti, atto a definire norme proce-
dimentali, tariffe e regime di responsabilità in relazione ad una fattispecie
concreta.
Rispetto alla definizione generale di procedura ADR, il legislatore
richiama espressamente alcune specifiche procedure già oggetto di auto-
noma disciplina, cosı̀ attraendole nell’ambito di applicazione della norma-
tiva in parola, tra cui: i) le procedure di mediazione delle controversie di
consumo, disciplinate dal d.lgs. n. 28/10; ii) le procedure gestite dalla
Banca d’Italia e dalla Consob, rispetto alle quali è consentito che l’organi-
smo adotti una soluzione; iii) le negoziazioni paritetiche disciplinate all’art.
141 ter c.cons. L’attrazione di procedure già disciplinate dall’ordinamento
determina problemi connessi all’eventuale conflitto tra diverse norme; tale
possibile antinomia viene risolta espressamente dal codice, disponendo che
il riconoscimento (degli organismi e delle procedure) avvenga a condizione
che essi soddisfino i requisiti previsti dal codice. In altri termini, le dispo-
sizioni regolamentari che hanno dato attuazione alle norme primarie in
materia di ADR nel settore bancario e finanziario dovranno essere modi-
ficate, pur salvaguardando la specificità dei modelli procedimentali, al fine
di garantire la coerenza con i principi rivenienti dalla direttiva, fatti propri
dal codice del consumo. In caso di contrasto, infatti, la richiamata dispo-
sizione sancisce la prevalenza della norma del codice; ciò appare altresı̀
coerente con la natura degli atti regolamentari delle autorità di vigilanza,
gerarchicamente subordinati alle norme che hanno trovato ingresso nel
codice del consumo.

8. Tentativi obbligatori e partecipazione obbligatoria dei professionisti


alle procedure di risoluzione alternativa delle controversie.
L’art. 1 della direttiva, lasciando impregiudicata la facoltà degli ordi-
namenti statali di mantenere previsioni esistenti ovvero di introdurne di
nuove, apre all’esperimento di tentativi obbligatori di ricorso alle ADR.
Parallelamente, il 49˚ considerando dispone che “La presente direttiva non
dovrebbe prescrivere che la partecipazione dei professionisti alle procedu-
re ADR sia obbligatoria, né che l’esito di tali procedure sia vincolante per i
professionisti, quando un consumatore presenta un reclamo nei loro con-

(45) 20˚ considerando.


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516 le nuove leggi civili commentate 3/2016

fronti. Tuttavia, è opportuno incoraggiare i professionisti a partecipare il


più possibile alle procedure ADR per fare in modo che i consumatori
possano presentare reclamo e che non siano obbligati a rinunciarvi. Per-
tanto, la presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme nazionali
che obbligano i professionisti a partecipare a tali procedure, assoggettano
la partecipazione a incentivi o sanzioni o rendono vincolante l’esito delle
procedure stesse per i professionisti, a condizione che tale legislazione non
impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accedere al sistema
giudiziario secondo le garanzie di cui all’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea”.
Si tratta di due previsioni non pienamente sovrapponibili; infatti, altro
è una norma che imponga il preventivo esperimento di un’ADR quale
condizione di procedibilità della domanda giudiziale, altro è una norma
che – lasciando alla volontà delle parti la scelta di accedere ad una pro-
cedura alternativa – obblighi una di esse a prender parte all’incontro,
specie laddove sia prevista la vincolatività della decisione finale adottata
dal responsabile della procedura.
La legittimità di entrambe le previsioni, rimesse alla scelta degli
ordinamenti nazionali, è soggetta al rispetto del diritto di difesa, garan-
tito tanto a livello comunitario (art. 47 Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea), quanto a livello nazionale (art. 24 Cost.). Quanto
alla prima, è risalente il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in me-
rito alla c.d. giurisdizione condizionata, il quale ha sancito la compati-
bilità con i principi costituzionali delle norme che prevedono il preven-
tivo ricorso all’esperimento di tentativi di composizione stragiudiziale
delle controversie, da intendersi quali condizioni per l’esercizio della
tutela giurisdizionale che resta intangibile, negli ambiti e secondo le
modalità che solo il legislatore ordinario può individuare. Proprio per
questa ragione, l’art. 141, comma 6˚, c.cons. lascia impregiudicate le
previsioni in materia di mediazione delle controversie nel settore delle
telecomunicazioni, nonché in quello dell’energia elettrica, gas e servizio
idrico.
Quanto alla seconda, invece, escludendo dal novero delle procedure di
cui si discute l’arbitrato, non osta al rispetto dei richiamati diritti una
previsione normativa che imponga a determinati soggetti, con particolare
riguardo a quelli posti sotto la supervisione di autorità di settore, la par-
tecipazione a procedure di risoluzione alternativa delle controversie e la
conformazione alle decisioni eventualmente assunte in tale sede, per ra-
gioni connesse alla funzionalità dei mercati. Tali obblighi, infatti, appaiono
conformi ai ricordati principi costituzionali a condizione si tratti di pro-
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le nuove leggi 517

cedure che non comportino alcuna deroga alla competenza dell’autorità


giudiziaria, trovando giustificazione nella necessità di conformare l’attività
dei professionisti ad una maggiore correttezza nelle relazioni con la clien-
tela.
Un’esperienza particolarmente significativa in tal senso, non a caso
espressamente contemplata all’art. 141 c.cons., è quella dell’Arbitro
bancario finanziario, la cui attività ha preso vita in applicazione dell’art.
128 bis t.u.b. il quale espressamente prescrive che gli intermediari ban-
cari e finanziari aderiscano a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle
controversie con i clienti. Le norme regolamentari, inoltre, prevedono
l’esecuzione da parte degli intermediari bancari delle decisioni assunte
dall’Arbitro, a pena di sanzioni di carattere reputazionale. Significativa-
mente, per le medesime ragioni, il d.lgs. n. 130/15, all’art. 1 bis, ha
introdotto una modifica all’art. 2 d.lgs. n. 170/05 con riferimento al
settore dell’intermediazione finanziaria, aggiungendo un ulteriore com-
ma (il 5˚ bis) in virtù del quale viene imposta agli intermediari finanziari
l’adesione al sistema di risoluzione alternativo delle controversie secon-
do quanto stabilito dall’autorità, con conseguente comminatoria di una
sanzione pecuniaria, sulla falsariga di quanto previsto per l’appunto
dalla disciplina dell’Arbitro bancario finanziario. Una norma come que-
sta potrebbe apparire in contrasto con il divieto dell’arbitrato obbliga-
torio cui si è fatto cenno; tuttavia, la stessa novella prevede che l’autorità
disponga con proprio regolamento i principi di svolgimento della pro-
cedura ADR, lasciando cosı̀ intendere che l’attuale disciplina (dell’arbi-
trato, in particolare) sia stata tacitamente abrogata e dovrà essere sosti-
tuita con norme conformi ai nuovi principi introdotti nel codice del
consumo (46).

9. Le negoziazioni paritetiche.
Una significativa scelta effettuata dal legislatore domestico è stata
quella di annoverare tra le procedure ADR anche le negoziazioni pariteti-
che. Dette procedure (come precisato anche nella legge di delega), erano
state fatte oggetto di una previsione normativa, l’art. 2, comma 2˚, d.lgs. n.
28/10, al solo fine di escludere le stesse dall’ambito di applicazione della
disciplina della mediazione civile e commerciale.

(46) L’8 gennaio 2016 la Consob ha avviato una consultazione finalizzata alla modifica
delle norme regolamentari della Camera di conciliazione e arbitrato che tengano conto
proprio del nuovo assetto normativo introdotto dal d.lgs. n. 130/15.
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518 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Accanto a tale specifico referente normativo, altre disposizioni vi fa-


cevano richiamo implicitamente: infatti, non può disconoscersi che esse
rientrassero nel novero delle procedure ADR cui faceva richiamo il testo
previgente dell’art. 141 c.cons. (47); conseguentemente, seppure a livello di
normazione secondaria, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ave-
va emanato un regolamento che prevedeva – accanto alla procedura di
conciliazione presso i Co.re.com. – la facoltà di esperire il tentativo di
conciliazione obbligatorio presso uno degli organismi di cui all’art. 141
c.cons., tra cui rientrano anche gli organismi di negoziazione paritetica.
Anche nel contesto europeo tali procedure, seppure non sono state
oggetto di specifica regolamentazione, hanno ottenuto un importante ri-
conoscimento da parte del Parlamento, il quale ha posto “l’attenzione sulla
conciliazione paritetica italiana quale esempio di migliore prassi, basata su
un protocollo stipulato e sottoscritto dall’azienda e dalle associazioni di
consumatori, in cui l’azienda si impegna in anticipo a ricorrere all’ADR
per risolvere le eventuali controversie che possono sorgere nei settori
contemplati dal protocollo” (par. 11). Tale principio viene ulteriormente
ribadito al par. n. 31, il quale afferma che “l’imparzialità del risultato può
validamente fondarsi sul principio di una partecipazione paritetica di per-
sonalità proveniente dalle associazioni di consumatori e dalle organizza-
zioni che rappresentano le imprese” (48).
Le negoziazioni paritetiche sono procedure di risoluzione alternativa
delle controversie tra consumatori e grandi imprese diffuse nel settore dei
servizi. Esse sono strutturate sulla base della sottoscrizione di protocolli di
intesa tra le principali associazioni dei consumatori a livello nazionale e tali
aziende, le quali si impegnano a partecipare ad una procedura affidata ad
una commissione “paritetica” composta dai rispettivi rappresentanti, per
giungere – grazie ad una negoziazione diretta – ad una soluzione della lite.
Le procedure vengono gestite, dal punto di vista amministrativo, da rap-
presentanti dell’azienda che costituiscono una segreteria tecnica con com-
piti di comunicazione, di nomina dei componenti della “commissione di
conciliazione”, di conservazione dei verbali, e cosı̀ via.

(47) Come modificato dal d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 recante “Disposizioni corret-
tive ed integrative del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del
consumo, a norma dell’articolo 7, della legge 29 luglio 2003, n. 229”.
(48) Metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale e
familiare – Commissione giuridica PE467.017 Risoluzione del Parlamento europeo 25 otto-
bre 2011 sui metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale
e familiare (2011/2117(INI))P.
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le nuove leggi 519

La commissione di conciliazione, invece, è costituita da un rappresen-


tante delle associazioni dei consumatori firmatarie del relativo protocollo
(il quale, munito di un apposito mandato, rappresenta il consumatore) e
da un funzionario dipendente dell’azienda. La procedura prende avvio
dopo il deposito della domanda di conciliazione che il consumatore può
presentare solo dopo aver infruttuosamente esperito la procedura di re-
clamo direttamente presso l’azienda (perché questa non ha fatto pervenire
alcuna risposta o perché la risposta è ritenuta insoddisfacente); una volta
avviata la procedura questa deve terminare entro un termine piuttosto
breve (30 o 60 giorni a seconda degli accordi). Essa si conclude con
una soluzione che la commissione di conciliazione adotta in seguito all’e-
same del caso; il consumatore ha un termine per accettare la proposta della
commissione; in questo caso viene redatto un verbale positivo, che dà atto
dell’esito della conciliazione; in caso contrario il verbale sarà negativo e
darà atto semplicemente del mancato accordo. L’accordo si sostanzia in un
contratto, redatto nella forma della scrittura privata.
Le ragioni della diffusione delle negoziazioni paritetiche sono da ricol-
legare ad una serie di elementi che attengono non solo a questioni giuridi-
che, quanto – piuttosto – a scelte strategiche: da un lato vi è la gratuità
delle procedure, che costituisce un forte incentivo, specie per le contro-
versie di consumo caratterizzate da un modico valore; dall’altro, le proce-
dure paritetiche garantiscono sempre, in ragione della sottoscrizione del
protocollo d’intesa, l’adesione dell’impresa alla procedura nonché alla de-
cisione assunta all’esito della stessa.
La scelta imprenditoriale verso questa forma di soluzione dei conflitti
appare preferibile per una serie di ragioni. Essa assicura la possibilità di
un controllo sul contenzioso, anche sotto l’aspetto organizzativo (poiché
l’attività di segreteria viene svolta presso l’azienda) che sarebbe impossi-
bile in caso di attività giurisdizionale, sia in termini di costi che in termini
di risultato; la possibilità di fidelizzazione della clientela, anche attraverso
soluzioni negoziate in ordine ad eventuali contrasti; un innegabile ritorno
di immagine, potendo offrire un ulteriore servizio alla clientela per la
rapida ed efficiente soluzione di questioni per cosı̀ dire fisiologiche,
laddove si tratti di rapporti di durata. Ciò, peraltro, non avviene a svan-
taggio dei consumatori, poiché la loro posizione non è soggetta al potere
economico e contrattuale del professionista, ma è posta su di un piano –
paritetico appunto – al fine di individuare una soluzione reciprocamente
soddisfacente: il contenuto dell’accordo, meramente eventuale, è infatti
determinato dalla collaborazione tra l’impresa e l’associazione dei consu-
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520 le nuove leggi civili commentate 3/2016

matori, scongiurando il rischio di intese inique a danno del contraente


debole (49).
Infine, tali procedure possono essere esperite con riguardo a rapporti
standardizzati su base contrattuale, e si concentra su determinate aree di
criticità, in ordine alle quali è reciprocamente soddisfacente individuare
una soluzione negoziata: dal lato delle imprese per porre rimedio a deter-
minate scelte contrattuali nella prestazione dei servizi (il massiccio ricorso
a strumenti di risoluzione stragiudiziale dei conflitti, infatti, potrebbe in-
durre il professionista a modificare le criticità di talune scelte contrattuali,
che non consentirebbero più di realizzare quelle economie di scala che, in
maniera a volte poco corretta, si confida di ottenere mediante tali mecca-
nismi negoziali); dal lato dei consumatori, per operare decisioni economi-
che e contrattuali maggiormente consapevoli anche in base agli strumenti
di tutela concretamente accordati.
Descritti sinteticamente gli elementi essenziali delle varie procedure
paritetiche (queste, infatti, sono tante quanti sono gli accordi sottoscritti),
è agevole porre in evidenza la differenza ontologica rispetto alle procedure
ADR, definite all’art. 141, comma 4˚, c.cons. Le differenze possono essere
colte sia rispetto alla loro struttura, sia rispetto alle attività concretamente
poste in essere ai fini della composizione stragiudiziale della lite. Sotto il
primo profilo, le procedure paritetiche non richiedono la presenza di un
terzo, inteso come soggetto (o collegio) distinto rispetto alle parti coinvol-
te, in condizioni di neutralità ed indipendenza. La commissione, cui viene
demandata la soluzione delle controversie, è composta paritariamente da
rappresentanti dell’associazione dei consumatori e da funzionari delle
aziende. Dunque, tale organismo non è propriamente terzo: esso è costi-
tuito, da un lato, da soggetti che – muniti di apposito mandato (50) –
agiscono in nome e per conto del consumatore al fine di individuare
una soluzione alla lite; dall’altro esso è costituito da funzionari che agisco-
no in forza di poteri conferiti dall’azienda, nell’ambito del rapporto orga-
nico tra questa ed i suoi dipendenti. Rispetto al ruolo concretamente
svolto, deve sottolinearsi che la commissione non assume il compito di
fornire un ausilio alle parti affinché esse trovino in maniera autonoma una

(49) Contra BONSIGNORE, La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2009: i
risultati di una ricerca, in ISDACI (a cura di), Quarto rapporto sulla diffusione della giustizia
alternativa in Italia, Milano, 2011, p. 82, la quale ritiene che le procedure paritetiche
costituiscano una “forma evoluta” della attività di gestione dei reclami.
(50) VACCÀ, sub art. 2, in BANDINI e SOLDATI (a cura di), La nuova disciplina della
mediazione delle controversie civili e commerciali, cit., p. 37 s., specifica che si tratta di un
mandato con rappresentanza a transigere.
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le nuove leggi 521

soluzione; essa assume un ruolo attivo ed esclusivamente volto a delineare


una proposta di soluzione, basata sull’analisi degli elementi di fatto e di
diritto relativi alla controversia (proposta che può essere fondata non solo
su aspetti di natura giuridica, ma che può tener conto anche del migliore
assetto degli interessi).
La proposta di soluzione ha un carattere valutativo (proprio perché
basato sull’analisi compiuta dalla commissione) e decisorio (poiché è la
commissione che formula una decisione con cui si prospetta la soluzione
della controversia); essa, tuttavia, non ha natura vincolante, poiché viene
sottoposta successivamente al consumatore, il quale potrà far pervenire la
propria accettazione, in seguito alla quale il contratto può dirsi concluso, e
la lite definitivamente risolta.
In ragione delle richiamate differenze rispetto alle altre procedure
ADR oggetto della disciplina in esame, appare rilevante il riconoscimento
espresso operato dal legislatore nell’art. 141 ter c.cons., il quale – nel
riconoscere la equiparabilità di tali procedure – le sottopone a specifici
requisiti (la composizione collegiale paritaria; un incarico per i componenti
della commissione di durata almeno triennale; l’insussistenza di rapporti
lavorativi tra il rappresentante dei consumatori ed il professionista, o
un’associazione di cui questi faccia parte; la trasparenza delle procedure
di finanziamento; l’esistenza di un organo di garanzia che presieda al
regolare svolgimento delle attività della commissione priva di personalità
giuridica).
Il rispetto di detti requisiti (oltre che di quelli dell’intero Titolo II bis,
come previsto dall’art. 141, comma 5˚, c.cons.) è volto ad assicurare che –
nonostante l’assenza del requisito di terzietà – sia comunque osservato il
principio di indipendenza (e dunque l’assenza di conflitti di interessi in
capo ai componenti della commissione) e il principio di trasparenza nelle
fonti di finanziamento (al fine di garantire la gratuità delle stesse per i
consumatori).

10. I principi applicabili a tutte le procedure ADR di consumo: relativi


alla procedura.
Allo scopo di rispettare i principi di trasparenza, efficacia, equità e
libertà sanciti dalla direttiva, le norme introdotte nel codice del consumo
prevedono una serie di obblighi che riguardano: a) gli aspetti procedurali;
b) la competenza e la professionalità dei soggetti che operano per conto
dell’organismo.
Con riguardo agli aspetti procedurali, si impone che l’accesso alle
ADR sia consentito tanto in modalità on line, quanto in modalità off
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522 le nuove leggi civili commentate 3/2016

line [art. 141 bis, lett. c); art. 141 quater, lett. a), c.cons.]: tale previsione, in
linea con la stessa definizione di procedura ADR, appare evidentemente
finalizzata a rendere accessibile il ricorso anche in relazione a controversie
transfrontaliere [mediante accesso alle reti di organismi ADR, art. 141
bis, lett. e), c.cons.], in espansione con l’implementazione del commercio
elettronico, in maniera connessa con lo sviluppo della piattaforma europea
per la gestione delle ODR (51), senza tuttavia mortificare il ricorso a pro-
cedure secondo modalità tradizionali. Parimenti, la stessa norma prevede
obbligatoriamente che i regolamenti di procedura dispongano lo scambio
delle informazioni tra le parti sia in modalità telematica, sia in modalità
tradizionale, anche attraverso i servizi postali [art. 141 bis, lett. d), c.cons.].
È inoltre imposto che le procedure siano accessibili personalmente dal
consumatore, senza che i regolamenti prevedano la necessità dell’assistenza
legale; la difesa tecnica, in quanto tale, non è ritenuta necessaria, data la
natura negoziale delle procedure [art. 141 quater, comma 3˚, lett. b),
c.cons.]. Deve essere riconosciuta la facoltà del consumatore di avvalersi
di un ausilio tecnico, non necessariamente da parte di un avvocato, ogni
qualvolta per la natura della controversia, o per la rilevanza delle questioni
ad essa sottese, ovvero per semplice volontà, questi intenda farvi ricorso.
Una procedura ADR è davvero efficiente, efficace e accessibile nella
misura in cui è poco onerosa ovvero del tutto gratuita; per tale ragione si
impone che i regolamenti dispongano la gratuità della stessa ovvero la
previsione di costi minimi [art. 141 quater, comma 3˚, lett. c), c.cons.].
Tale previsione sconta la convinzione che le controversie di consumo siano
relative a questioni dal ridotto valore economico, in relazione alle quali
sarebbe eccessivamente dispendioso fare ricorso all’autorità giudiziaria.
Seppure tale considerazione possa apparire condivisibile per molte delle
controversie di consumo, è altrettanto vero che un numero non insignifi-
cante di queste ha ad oggetto questioni di rilevante entità sotto il profilo
economico, per le quali tale previsione potrebbe apparire ingiustificata; ad
ogni modo, la previsione della gratuità anche con riferimento a queste
ultime rappresenta una forma di agevolazione del ricorso a forme di riso-
luzione alternativa delle controversie.
Oltre che economica una procedura ADR deve necessariamente essere
rapida; per tale ragione viene imposto il rispetto di termini ristretti entro i
quali questa deve concludersi, non superiori a novanta giorni decorrenti
dal momento dell’avvio del procedimento che corrisponde alla ricezione

(51) 12˚ considerando.


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le nuove leggi 523

da parte dell’organismo del fascicolo inerente la domanda e della quale


deve esser data comunicazione al consumatore [art. 141 quater, comma 3˚,
lett. d-e), c.cons.] (52).
Per quanto riguarda la composizione dell’organo, la nuova disciplina
ammette che esso possa essere sia monocratico che collegiale; in quest’ul-
timo caso, il comma 9˚, art. 141 bis, c.cons. dispone che il collegio sia
costituito paritariamente da rappresentanti degli interessi dei professionisti
e dei consumatori (53).
In merito allo svolgimento della procedura, e al ruolo assunto dalle
parti, l’art. 141 quater, comma 4˚, c.cons. impone che i regolamenti pre-
vedano la possibilità per queste di esprimere la propria opinione, accedere
alla documentazione e agli atti presentati dalla controparte (nel rispetto del
principio di riservatezza), alle opinioni di eventuali esperti cui si sia fatto
ricorso, con il contestuale diritto di presentare proprie argomentazioni in
relazione ad esse (lett. a). Inoltre – data la natura alternativa di dette
procedure – viene ribadita l’insussistenza dell’obbligo di assistenza tecnica,
pur riconoscendo il diritto delle parti di ricorrere all’assistenza di esperti
legali o rappresentanti in qualsiasi momento (lett. b).
Una volta conclusa la procedura, ed indipendentemente dal fatto che
essa sia meramente facilitativa ovvero valutativa, deve essere notificato per
iscritto alle parti l’esito della stessa, con l’indicazione dei motivi sui quali
esso si fonda. Mette conto sottolineare che, nel caso di procedura facili-
tativa (poiché il terzo ha il solo ruolo di favorire la ricerca autonoma della
soluzione alla lite), tale atto non può che essere il verbale con cui si dà atto
del fallimento del tentativo, senza che sia necessaria l’indicazione delle
ragioni che hanno portato a tale fallimento. Ciò anche al fine di garantire
il rispetto del principio di riservatezza, specie nel caso in cui le parti
intendessero adire l’autorità giudiziaria in seguito al mancato accordo,
non essendo consentito che il giudice tragga argomenti di prova dalla
verbalizzazione in relazione all’impossibilità o indisponibilità delle parti
di pervenire alla soluzione negoziale della lite. In caso di esito positivo,

(52) La stessa disposizione prevede pure che “in caso di controversie particolarmente
complesse, l’organismo ADR può, a sua discrezione, prorogare il termine fino a un massimo
di novanta giorni; le parti devono essere informate di tale proroga e del nuovo termine di
conclusione della procedura”.
(53) Si pensi, ad esempio, alla composizione dei Collegi dell’Arbitro bancario finanzia-
rio le cui norme regolamentari dispongono, per l’appunto, che i membri siano espressione
tanto degli intermediari quanto della clientela (Banca d’Italia, Disposizioni sui sistemi di
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finan-
ziari, sez. III, par. 2).
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524 le nuove leggi civili commentate 3/2016

invece, l’esito della procedura si sostanzia nel verbale con cui si dichiara
che le parti hanno raggiunto l’accordo, contenuto nel separato contratto
tra queste stipulato (e del quale l’organismo ADR ovviamente non è parte).
Con riferimento alle procedure valutative, invece, a mente dell’art. 141
quater, comma 5˚, c.cons., deve essere garantito dai regolamenti di proce-
dura il diritto delle parti di potersi ritirare in qualsiasi momento (cfr. pure
art. 141 bis, comma 6˚, c.cons.), nonché quello di poter rifiutare la propo-
sta ricevuta, all’esito di un periodo congruo di riflessione, durante il quale
esse possono anche far ricorso ad una fonte indipendente per valutare le
conseguenze dell’eventuale adesione. Tale disposizione appare opportuna,
specie se si tiene conto che il consumatore ha il diritto di partecipare a
dette procedure senza l’assistenza o la rappresentanza di alcuno: seppure il
ruolo assunto dal terzo, chiamato ad esprimere una proposta di soluzione,
deve garantire equidistanza e imparzialità, assicurando nello svolgimento
della procedura il riequilibrio della posizione di svantaggio ontologicamen-
te connessa alla figura di consumatore, la sua funzione di terzietà potrebbe
comportare l’adozione di una soluzione (elaborata non necessariamente
secondo diritto, ma anche secondo equità ovvero secondo ulteriori ele-
menti: si pensi, ad esempio, ai codici di autoregolamentazione di determi-
nati settori) (54) non soddisfacente per il consumatore. Per questa ragione,
a quest’ultimo è garantita una precisa informazione, sin dal momento
dell’avvio della procedura, relativamente al proprio diritto di accettare o
rifiutare la proposta, di poter ottenere un periodo di tempo sufficiente per
decidere in merito, alla natura della decisione e alle conseguenze giuridi-
che connesse all’accettazione o al rifiuto della proposta, al diritto di poter
comunque adire l’autorità giudiziaria in relazione al risarcimento del dan-
no, alle eventuali diversità tra soluzione stragiudiziale e sentenza eventual-
mente emessa dal giudice (lett. a-d).
Accanto alle norme procedurali che gli organismi che intendono essere
abilitati devono inserire nei rispettivi regolamenti, la disciplina del codice
del consumo prevede alcune ulteriori disposizioni che essi possono intro-
durre, anche nel rispetto di eventuali prescrizioni dettate dalle autorità
chiamate a vigilare su specifici settori (art. 141 bis, comma 2˚, c.cons.).
In particolare, si è inteso riconoscere agli organismi la facoltà di svolgere la
propria attività in settori di specifica competenza, da individuare nei re-
golamenti. Tale principio appare conforme con la ratio dell’intera disci-

(54) Cfr. pure l’art. 141 quater, lett. i) il quale impone che venga data precisa informa-
zione sulla natura delle regole in base alle quali l’organismo risolve le controversie (dispo-
sizioni giuridiche, equità, codici di condotta o altri tipi di regole).
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le nuove leggi 525

plina, che intende perseguire l’obiettivo di costruire una rete di organismi


chiamati a gestire ADR in tutti i settori del diritto dei consumi (sia a livello
nazionale, sia a livello europeo), tale che non possano esservi controversie
di consumo le quali – per l’oggetto, la natura o la sede di una delle parti –
non trovino organismi competenti a gestirle in via stragiudiziale.
In tale contesto non può che essere riconosciuto il diritto dei singoli
organismi di ottenere l’iscrizione per gestire controversie tanto in specifici
settori del diritto dei consumi (ad esempio in materia bancaria, ovvero
assicurativa, ovvero ancora finanziaria), quanto per gestire indifferente-
mente tutte le liti tra professionisti e consumatori, indipendentemente
dall’ambito nel quale la controversia è insorta. Non a caso la stessa diret-
tiva dispone che gli Stati membri assicurino l’accesso alle procedure ADR
“garantendo la disponibilità di un organismo ADR residuo, competente a
trattare le controversie secondo quanto stabilito in detto paragrafo nei casi
in cui nessun organismo ADR esistente sia competente a farlo. Gli Stati
membri possono inoltre ottemperare a tali obblighi facendo ricorso a
organismi ADR stabiliti in altro Stato membro, ovvero organismi regionali,
transnazionali o paneuropei di risoluzione delle controversie nei quali i
professionisti di diversi Stati membri sono coperti dallo stesso organismo
ADR, senza pregiudicare la loro responsabilità di assicurare la copertura
totale e l’accesso agli organismi ADR” (art. 5, comma 3˚).
La norma di diritto interno riconosce che gli organismi ADR stabiliti
in territorio italiano possano prevedere condizioni specifiche di accesso
alla procedura. In particolare, l’art. 141 bis c.cons. prevede che i regola-
menti possano disporre che, prima di accedere agli organismi, le parti
tentino una soluzione diretta nell’ambito della procedura di reclamo; in
tal modo, è rimessa all’autonomia regolamentare la previsione di presup-
posti procedimentali, senza il cui assolvimento è preclusa la possibilità di
adire l’organismo stesso. In stretta connessione con tale previsione sta
quella di cui alla successiva lettera e), che prevede il decorso di un lasso
temporale, non inferiore ad un anno dalla presentazione del reclamo, entro
il quale può essere presentato il ricorso all’organismo. È altresı̀ consentito
di rifiutare la gestione di controversie futili o temerarie: nonostante l’atec-
nicità del termine, la futilità potrebbe essere connessa a tutte quelle liti che
non attengano all’accertamento della violazione di un diritto riconosciuto
in capo al consumatore, ma che riguardino meri capricci o questioni
bizzarre e irragionevoli, valutabili già ad un esame preliminare. Di contro,
per quanto attiene alla temerarietà della domanda, non potendosi far
riferimento alla disposizione dell’art. 96 c.p.c. (che presuppone l’avvenuto
svolgimento del processo, nel quale la parte abbia agito o resistito con
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526 le nuove leggi civili commentate 3/2016

mala fede o colpa grave), pare lecito ritenere che essa vada riconosciuta
con riguardo a richieste palesemente infondate dal punto di vista giuridico
ovvero, ove sia possibile siffatto accertamento prognostico, a domande
finalizzate esclusivamente a far pressione sul professionista (55).
Il ricorso ad un organismo può altresı̀ essere ritenuto irricevibile dalle
norme del regolamento in caso di litispendenza, determinata dalla circo-
stanza che la medesima controversia sia già in corso di esame da parte di
un altro organismo ADR ovvero dell’autorità giudiziaria. Pur dovendosi
ritenere condivisibile la scelta operata dal legislatore, la norma di cui
all’art. 141 bis, comma 2˚, lett. c), c.cons. – che rimette all’autonomia
regolamentare la relativa scelta – non è in grado di risolvere il conflitto
in caso di presentazione (contestuale o successiva) di più ricorsi relativi alla
medesima controversia, non introducendo alcuna disposizione in tema di
prevenzione. La questione, che potrebbe essere risolta in ragione della
priorità dell’avvio della procedura, lascia irrisolta l’individuazione di detto
termine; in altre parole il legislatore nulla dispone riguardo al momento in
cui può dirsi avviata la procedura, che potrebbe essere individuato nel dies
del deposito della domanda o in quello di comunicazione dell’avvio del
procedimento da parte dell’organismo [come pure parrebbe preferibile,
opinando dal disposto dell’art. 141 quater, comma 3˚, lett. d)].
Ulteriore previsione volta a restringere la competenza dell’organismo è
quella relativa al valore della controversia, laddove questo sia inferiore o
superiore ad una certa soglia monetaria espressamente indicata; la norma
soggiunge che l’identificazione di detta soglia non può avere quale effetto
quello di nuocere in modo significativo all’accesso dei consumatori alle
ADR (56). La genericità di tale richiamo impone una valutazione rimessa
alle autorità chiamate all’accreditamento di tali organismi, in sede di veri-
fica delle norme regolamentari.
Di significato oscuro è l’ulteriore richiamo, anch’esso mutuato dalla
direttiva [art. 5, comma 4˚, lett. f)], che consente di rifiutare la gestione

(55) Tale disposizione potrebbe comportare la previsione di una sorta di esame preli-
minare di ammissibilità del ricorso, affidato non tanto alle persone fisiche responsabili della
procedura, bensı̀ agli uffici amministrativi dell’organismo, con conseguenze di non poco
momento sia sul piano del governo delle spese, ove previste, sia sul piano delle conseguenti
responsabilità in caso di valutazioni errate.
(56) Cfr. art. 5, comma 4˚, lett. d), nonché comma 5˚, dir.; il 25˚ considerando, a tale
riguardo, precisa “allorché prevedono una soglia monetaria, gli Stati membri dovrebbero
sempre tenere conto del fatto che il valore effettivo della controversia può variare tra Stati
membri e, pertanto, che una soglia sproporzionatamente elevata in uno Stato membro
potrebbe ostacolare l’accesso dei consumatori di altri Stati membri alle procedure ADR”.
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le nuove leggi 527

della procedura laddove ciò possa nuocere significativamente all’efficace


funzionamento dell’organismo ADR: non risulta chiaro se detta disposi-
zione intenda riferirsi a casi per la cui trattazione sia necessaria l’acquisi-
zione di elementi di prova non consentiti dal regolamento (si pensi, ad
esempio, a prove testimoniali ovvero a consulenze tecniche che il regola-
mento potrebbe non ammettere), ovvero a casi in cui sia necessaria una
procedura multiparte e sia impossibile assicurare la presenza, pur neces-
saria, di tutte (per le ragioni più disparate: indisponibilità dei locali, resi-
denza delle parti in luoghi molto distanti ovvero all’estero, ecc.).
Laddove le norme regolamentari prevedano norme limitative della
competenza dell’organismo, questi deve comunicare alle parti – con deci-
sione motivata – le ragioni del proprio rifiuto a gestire la controversia, la
quale deve essere notificata entro ventuno giorni dal ricevimento della
domanda (art. 141 bis, comma 3˚, c.cons.).

11. Segue: relativi alle persone fisiche responsabili della procedura.


Quanto al ruolo delle persone fisiche chiamate alla gestione di tali
procedure, la nuova disciplina mira non soltanto ad evitare la sussistenza
di qualsiasi tipo di conflitto d’interesse – condizione necessaria e sufficien-
te per assicurare la terzietà rispetto alle parti in lite –, ma anche la com-
petenza specifica in materia.
Quanto alla prima, l’art. 141 bis, comma 4˚, lett. b), c.cons., impone
che le persone incaricate della soluzione della controversia siano nominate
per un incarico la cui durata sia sufficiente a garantire l’indipendenza della
loro azione, senza che essi possano essere sostituiti o rimossi senza giusta
causa. Per i componenti delle commissioni paritetiche di cui all’art. 141 ter
c.cons. la durata è fissata direttamente dal legislatore e non deve essere
inferiore a tre anni (lett. b). La durata del mandato affidato deve essere tale
che assicuri l’assenza di conflitti di interessi ovvero di casi che compro-
mettano l’imparzialità delle persone fisiche non solo in relazione alla du-
rata dell’incarico, ma anche alla natura dei compiti effettivamente attribuiti
[i quali devono essere tali da non consentire che esse siano soggette ad
istruzioni delle parti o dei loro rappresentanti, lett. c), nonché alle modalità
di retribuzione, che deve prescindere dall’esito della procedura (lett. d)].
Quello della retribuzione appare chiaramente come uno dei punti più
delicati in relazione allo svolgimento dell’incarico; non a caso, la disciplina
del codice del consumo, riserva a tale aspetto ulteriori disposizioni. In
particolare il comma 8˚, art. 141 bis, c.cons. stabilisce che “Qualora le
persone fisiche incaricate della procedura ADR siano assunte o retribuite
esclusivamente da un’organizzazione professionale o da un’associazione di
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528 le nuove leggi civili commentate 3/2016

imprese di cui il professionista è membro, è assicurato che (…) esse


abbiano a loro disposizione risorse di bilancio distinte e apposite che siano
sufficienti ad assolvere i loro compiti. Il presente comma non si applica
qualora le persone fisiche interessate facciano parte di un organismo col-
legiale composto da un numero uguale di rappresentanti dell’organizza-
zione professionale e dell’associazione di imprese da cui sono assunte o
retribuite e di una o più associazioni dei consumatori e degli utenti di cui
all’articolo 137”.
Con specifico riferimento alle procedure paritetiche, l’art. 141 ter, lett.
c), c.cons. reca una disposizione speciale, volta a garantire l’assenza di
qualsivoglia conflitto d’interessi, prevedendo – tanto per i rappresentanti
dei consumatori, quanto per quelli dei professionisti – che essi non abbia-
no alcun rapporto lavorativo con il professionista (57) per l’intera durata
dell’incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dello stesso. È fatto
altresı̀ divieto ai rappresentanti dei consumatori di percepire emolumenti
direttamente dal professionista, ad esclusione della remunerazione per
l’attività svolta, che deve avvenire nel rispetto di procedure trasparenti,
note alla competente autorità di settore, e comunque nell’ambito dell’au-
tonoma appostazione delle relative risorse da parte degli organismi pari-
tetici che non abbiano distinta soggettività giuridica rispetto al professio-
nista [lett. e)] (58).
Il comma 5˚ dell’art. 141 ter, c.cons. disciplina le conseguenze deri-
vanti da ipotesi di conflitto d’interessi in capo alle persone fisiche incari-
cate della procedura (59), ovvero da ipotesi “idonee ad incidere sulla loro
indipendenza e imparzialità”. In questi casi, infatti, sussiste un vero e
proprio obbligo di disclosure che comporta la sostituzione immediata della
persona incaricata con altra persona, ovvero – in mancanza di sostituti,
come ad esempio in caso di organismo con una sola persona fisica com-
petente (comma 7˚) – la rimessione della controversia ad altro organismo.
In ultima analisi, in caso di inesistenza di altro organismo competente a

(57) Nel caso dei rappresentanti dei professionisti, tale divieto sussiste sempre che il
rapporto lavorativo non sia già esistente al momento del conferimento dell’incarico.
(58) Conformemente a quanto espressamente richiesto dal 35˚ considerando.
(59) A proposito del conflitto d’interessi il 34˚ considerando specifica che “Potrebbe
trattarsi di qualsiasi interesse finanziario, diretto o indiretto, nell’esito della procedura ADR
o di eventuali rapporti personali o commerciali con una o più parti nei tre anni precedenti
all’assunzione del posto, anche a qualunque titolo, estranei ai fini dell’ADR in cui la persona
interessata abbia agito a vantaggio di una o più parti, di un’organizzazione professionale o di
un’associazione di imprese di cui una delle parti sia membro o a vantaggio di qualsiasi altro
suo membro”.
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le nuove leggi 529

trattare la materia, è imposto alla persona fisica incaricata di informare le


parti della sussistenza di tali ipotesi, al fine di consentire a queste di
scegliere se proseguire la procedura o no.
Quanto alla competenza delle persone fisiche, l’art. 141 bis, comma 4˚,
lett. a), prevede che esse conoscano i principi applicabili in materia di
risoluzione alternativa delle controversie (intendendosi con tale espressio-
ne sia di competenze di carattere teorico sia di competenze di carattere
pratico, con particolare riguardo alle tecniche di negoziazione), e richiede
una comprensione generale del diritto. La disposizione non impone alcun
obbligo di formazione specifica, rimettendo tale scelta al libero apprezza-
mento degli organismi, tant’è che il successivo comma 10˚ prevede che “Se
gli organismi ADR, ai fini del comma 4, lettera a), del presente articolo,
provvedono alla formazione delle persone fisiche incaricate della risolu-
zione extragiudiziale delle controversie, le autorità competenti provvedono
a monitorare i programmi di formazione istituiti dagli organismi ADR in
base alle informazioni comunicate loro ai sensi dell’articolo 141-nonies,
comma 4, lettera g). I programmi di formazione possono essere promossi
ed eseguiti dalle stesse autorità competenti, di cui all’articolo 141-octies.
Restano ferme le disposizioni in materia di formazione dei mediatori di cui
ai commi 4-bis, 5 e 6 dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010,
n. 28”.
Proprio il riferimento alla disciplina della mediazione civile e com-
merciale, nonché l’esperienza empirica maturata in seguito all’applicazio-
ne di detta normativa, avrebbe richiesto una specifica regolamentazione
in materia di formazione, che rappresenta uno degli elementi necessari
per l’effettivo successo di tali procedure; basti considerare non soltanto
l’opportunità di percorsi formativi finalizzati all’acquisizione di specifi-
che competenze di carattere pratico, allo scopo di assicurare da parte
delle persone incaricate una expertise in grado di differenziare la ricerca
stragiudiziale di una soluzione (da suggerire o da favorire), rispetto a
quella giurisdizionale, ma anche – per quanto riguarda al profilo teorico
– ad una piena e completa conoscenza della normativa in tema di diritto
dei consumi (60). Appare ormai patrimonio acquisito che la conoscenza
della materia della controversia può essere di grande utilità, sia con
riferimento alle procedure in cui il terzo sia incaricato di proporre una
soluzione, sia in quelle in cui il terzo sia incaricato di favorire il confronto

(60) GALLETTO, Adr e controversie dei consumatori: un difficile equilibrio, cit., p. 6.


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530 le nuove leggi civili commentate 3/2016

tra le parti al fine della ricerca autonoma della soluzione della stessa
controversia.
Com’è stato opportunamente osservato, l’attenzione rivolta dal legisla-
tore sia alle norme procedimentali, sia a quelle relative alla posizione delle
persone fisiche responsabili delle procedure, delineando “un procedimen-
to improntato al principio del contraddittorio, di struttura tendenzialmen-
te contenzioso-decisoria, che porta ad un atto finale motivato, in perfetta
simmetria con quanto accade nel processo giurisdizionale dichiarativo e
nell’arbitrato”, deve garantire il rispetto sia delle norme procedimentali
applicate per l’adozione di tale atto, sia di quelle che ne individuano il
contenuto. Tali regole devono essere conoscibili ed effettivamente cono-
sciute ex ante, solo cosı̀ potendosi garantire che – in assenza di contesta-
zione sul mancato rispetto delle stesse – l’atto finale sia del tutto equiva-
lente a quello giurisdizionale, e sia assicurata una vera alternativa rispetto
alla giustizia ordinaria (61).

12. Gli obblighi di informazione (per gli organismi e per i professionisti).


Il raggiungimento di un elevato livello di protezione dei consumatori
passa non soltanto per la predisposizione di un sistema di procedure ADR
trasparenti, eque, efficienti ed efficaci, ma anche per la consapevolezza che
di questa abbiano i consumatori, quali fruitori dei servizi di giustizia
alternativa. Per questa ragione, oltre che per garantire consapevolezza e
libertà nella scelta delle varie ADR e degli organismi cui affidarle, la
normativa impone una serie di obblighi informativi sia in capo agli orga-
nismi, in qualità di erogatori di tali servizi, sia in capo ai professionisti, in
qualità di controparti contrattuali.
Per i primi, è fatto obbligo di predisporre e mantenere costantemente
aggiornato un sito web che fornisca tutte le informazioni relative al fun-
zionamento della procedura e alle modalità di presentazione della doman-
da e di invio della documentazione necessaria, e di inviare tali informazioni
su supporto durevole a coloro che ne facciano espressa richiesta [art. 141
bis, lett. a-b), c.cons.]. A mente dell’art. 141 quater c.cons. tale obbligo si
estende anche ad ulteriori informazioni, quali: i contatti dell’organismo; il
numero di inserimento nell’elenco tenuto dall’autorità competente e l’e-
ventuale appartenenza a reti europee di organismi ADR; la competenza,
l’imparzialità e l’indipendenza delle persone fisiche incaricate della proce-
dura; l’eventuale specializzazione dell’organismo, con indicazione della

(61) LUISO, op. cit., p. 3 ss.


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le nuove leggi 531

eventuale esclusione di controversie che non rientrino nell’ambito di co-


gnizione dello stesso; la altre norme procedurali; la lingua applicabile alla
procedura; le regole in base alle quali viene risolta la controversia; even-
tuali condizioni di accesso alla procedura; il diritto di potersi ritirare dalla
stessa; la gratuità del servizio ovvero l’indicazione specifica degli oneri
economici e le modalità della loro attribuzione; la natura giuridica e gli
effetti della decisione.
Oltre che gli aspetti procedimentali, l’informazione deve riguardare
anche l’attività effettivamente svolta dall’organismo, con particolare riguar-
do al numero delle domande ricevute, delle procedure gestite, della per-
centuale di quelle rifiutate (con l’indicazione dei motivi), di quelle inter-
rotte (con i relativi motivi), il tempo medio per l’adozione della soluzione,
la percentuale dell’adesione agli esiti delle procedure gestite (se conosciu-
ta), l’eventuale coinvolgimento di altri organismi ADR all’interno di una
rete di organismi.
Per i professionisti, l’obbligo di informazione riguarda le procedure
ADR esistenti e gli organismi a ciò abilitati e sussiste solo nel caso in cui
essi si siano impegnati a ricorrere ad uno o più organismi ADR (art. 141
sexies, comma 1˚). Tale esplicito riferimento lascia presupporre che detti
professionisti si impegnino con apposita clausola contenuta nel contratto
sottoscritto dal consumatore ad aderire alla domanda da questi eventual-
mente presentata dinanzi ad uno degli organismi iscritti, una volta insorta
la controversia.
Nonostante la formulazione della norma, che lascerebbe presupporre
la facoltà del professionista predisponente di indicare anche uno solo degli
orgasmi ADR abilitati, deve invece concludersi nel senso che la pattuizione
negoziale deve prevedere l’impegno ad aderire alle procedure presso uno
qualsiasi degli organismi iscritti che il consumatore sarà libero di scegliere.
Va infatti rilevato che il legislatore domestico, in occasione del recepimen-
to della direttiva, ha inteso prevedere nuove ipotesi di vessatorietà delle
clausole inserite nei contratti dei consumatori, ed in particolare di quelle
che impongano “al consumatore che voglia accedere ad una procedura di
risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della
parte V, di rivolgersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organismi
ADR o ad un unico organismo ADR” [art. 33, comma 2˚, lett. v-bis),
c.cons.] (62).

(62) A prescindere dalla sussistenza dei richiamati obblighi informativi, dovrebbe altresı̀
valutarsi se possa essere ritenuto vincolante anche l’impegno che il professionista abbia
assunto non in sede negoziale, bensı̀ nella fase della comunicazione commerciale o pubbli-
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532 le nuove leggi civili commentate 3/2016

L’obbligo informativo deve essere assolto non soltanto prima dell’in-


sorgere della controversia, ma anche della sottoscrizione del contratto,
attraverso espresse indicazioni contenute nelle condizioni generali di con-
tratto ovvero sul sito web del professionista. Accanto a tale obbligo pre-
ventivo, il comma 3˚ dispone che – una volta insorta la lite, laddove non sia
stato possibile risolverla nella fase del reclamo – il professionista informi
specificamente il consumatore, su supporto cartaceo o altro supporto
durevole, relativamente alle procedure ADR e agli organismi abilitati “pre-
cisando se intenda avvalersi” degli stessi.
In caso di controversie transfrontaliere, i consumatori possono rivol-
gersi al Centro nazionale della rete europea dei consumatori (Ecc-net) per
essere eventualmente assistiti per l’avvio della procedura ADR (comma 5˚).
Le informazioni relative alle procedure ADR e agli organismi a ciò abilitati
sono messe a disposizione, oltre che dal competente centro Ecc-net, dalle
associazioni dei consumatori e dalle autorità di vigilanza, affinché vengano
rese pubbliche mediante i rispettivi siti internet o attraverso altri strumenti
di comunicazione.

13. Gli effetti delle procedure ADR: prescrizione e decadenza.


L’art. 141 quinquies c.cons. prevede che il ricevimento della domanda
da parte dell’organismo ADR, comporta sul decorso del termine di pre-
scrizione l’effetto interruttivo-sospensivo tipico della domanda giudiziale
(art. 2945, comma 2˚, c.c.), precisando che detti effetti cominciano a
decorrere nuovamente “dalla data della comunicazione alle parti della
mancata definizione della controversia con modalità che abbiano valore
di conoscenza legale”. Tale prescrizione, non nuova nell’ambito della di-
sciplina delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie (basti
pensare al previgente art. 40, comma 4˚, d.lgs. n. 5/03 in tema di conci-
liazione delle controversie societarie, o all’art. 5, comma 6˚, d.lgs. n. 28/10
in materia di mediazione delle controversie civili e commerciali), introduce
una nuova ipotesi di atto idoneo ad interrompere il decorso dei termini
prescrizionali, ai sensi dell’art. 2943 c.c.: una scelta siffatta appare utile al
fine di incentivare il ricorso alle procedure ADR e renderle realmente
efficaci, senza compromettere il diritto di difesa dei consumatori, costitu-

citaria; il mancato rispetto di tale impegno, pur assunto nella fase extracontrattuale, po-
trebbe essere valutato come pratica commerciale scorretta (attesa la sua chiara finalità di
indurre il consumatore a confidare nella possibilità di risolvere stragiudizialmente una
controversia relativa al contratto da concludere), sanzionabile con l’obbligo per il professio-
nista di aderire ad una eventuale procedura avviata dal consumatore.
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le nuove leggi 533

zionalmente garantito (63). Singolarmente l’effetto interruttivo si produce


non dal momento della conoscenza dell’avvio del procedimento da parte
del professionista, bensı̀ dalla data di ricevimento della domanda da parte
dell’organismo: soluzione eccentrica, tenuto conto del fatto che l’avvio
della procedura equivale all’esercizio di un diritto, il cui effetto sui termini
di prescrizione dovrebbe decorrere dal momento in cui sia fornita la prova
che il destinatario di tale atto ne sia venuto a conoscenza.
Oltre che sulla prescrizione, l’avvio della procedura produce effetti
anche sul decorso dei termini di decadenza, “per una sola volta”. Anche
in tal caso, l’effetto c.d. sospensivo si produce sino alla comunicazione alle
parti della conclusione della procedura.

14. L’abilitazione degli organismi ADR: efficacia dell’iscrizione nell’e-


lenco e competenza delle autorità.
La qualità degli organismi ADR, garantita dal rispetto dei principi
enucleati, deve essere certificata. L’intervento comunitario, infatti, ha in-
teso predisporre un meccanismo di accreditamento nazionale di tali orga-
nismi, in ragione del quale – previo accertamento da parte delle autorità
preposte – i consumatori possano confidare nella serietà ed efficienza degli
stessi; al tempo stesso, l’inserimento negli elenchi nazionali consente di
costituire una rete comunitaria di organismi conformi alle prescrizioni
normative, anche per la risoluzione delle controversie transfrontaliere,
agevolando la cooperazione a livello europeo.
L’art. 141 octies c.cons. identifica una serie di autorità competenti a
livello nazionale, ciascuna in relazione al proprio settore di competen-
za (64), individuando il Ministero dello sviluppo economico quale autorità

(63) Detta opzione è peraltro contemplata espressamente all’art. 12 dir., che il 45˚
considerando giustifica nel seguente modo “Il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale sono diritti fondamentali previsti dall’articolo 47 della Carta dei diritti fonda-
mentali dell’Unione europea. Pertanto, l’obiettivo delle procedure ADR non dovrebbe
essere né quello di sostituire le procedure giudiziali né quello di privare i consumatori o i
professionisti del diritto di rivolgersi agli organi giurisdizionali. È opportuno che la presente
direttiva non contenga alcun elemento che possa impedire alle parti di esercitare il diritto di
accesso al sistema giudiziario. Nei casi in cui una controversia non possa essere risolta
secondo una determinata procedura ADR il cui esito non sia vincolante, è auspicabile
che alle parti non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario in
relazione a tale controversia. Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di scegliere i
mezzi appropriati per conseguire tale obiettivo. Essi dovrebbero poter prevedere, tra l’altro,
che i termini di prescrizione o decadenza non vengano a scadenza durante una procedura
ADR”.
(64) Avvalendosi di tale riconoscimento il Ministero dello sviluppo economico, con
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534 le nuove leggi civili commentate 3/2016

competente per le procedure ADR in materia di consumo (anche in rela-


zione a quanto previsto dall’art. 16 d.lgs. n. 28/10), oltre che come punto
di contatto nazionale con la Commissione europea (comma 2˚) (65). Detto
dicastero, inoltre, è competente in relazione alle negoziazioni paritetiche,
alle procedure di conciliazione presso le Camere di commercio, e alle
ulteriori procedure relative alle controversie inerenti settori le cui rispettive
autorità di vigilanza non abbiano inteso adottare specifiche disposizioni.
Il ruolo delle autorità è precisato all’art. 141 decies c.cons., il quale
indica specifiche competenze in ordine all’iscrizione degli organismi in un
elenco da queste tenuto, secondo le modalità stabilite da ciascuna ai sensi
del comma 3˚, nonché alla verifica costante dei requisiti di stabilità, effi-
cienza, imparzialità e tendenziale non onerosità del servizio per i consu-
matori. Le autorità provvedono altresı̀ a disporre la sospensione e l’even-
tuale cancellazione degli organismi dal relativo elenco.
Il comma 4˚ dispone: “Se un organismo ADR non soddisfa più i
requisiti di cui al comma 1, l’autorità competente interessata lo contatta
per segnalargli tale non conformità, invitandolo a ovviarvi immediatamen-
te. Se allo scadere di un termine di tre mesi l’organismo ADR continua a
non soddisfare i requisiti di cui al comma 1, l’autorità competente cancella
l’organismo dall’elenco di cui al comma 2. Detto elenco è aggiornato senza
indugio e le informazioni pertinenti sono trasmesse al Ministero dello
sviluppo economico quale punto di contatto unico con la Commissione
europea. Ogni autorità competente notifica senza indugio l’elenco di cui ai
commi 1 e 3, e ogni suo successivo aggiornamento, al Ministero dello
sviluppo economico quale punto di contatto unico con la Commissione
europea”. Da tale disposizione sembrerebbe desumersi che sospensione e
cancellazione siano collegate non tanto a violazioni di minore o maggiore
entità, ma siano conseguenze dell’inadempimento, più o meno prolungato,
per la violazione dei principi sanciti dalla normativa. In particolare, rilevata
la violazione, l’autorità contatta l’organismo chiedendogli di ovviare; in
caso di mancato adempimento viene disposta la sospensione che può
durare sino a tre mesi, decorsi i quali si provvede alla cancellazione del-
l’organismo dall’elenco.

d.m. 21 dicembre 2015 e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera 1˚
dicembre 2015, n. 661/15/Cons hanno istituito i rispettivi elenchi degli organismi ADR.
(65) Oltre alla Consob, alla Banca d’Italia, all’Autorità per le garanzie nelle comunica-
zioni, all’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per i settori di rispettiva
competenza, l’art. 141 octies individua le altre autorità amministrative indipendenti (si pensi,
ad esempio, all’Autorità per la regolazione dei trasporti), quali autorità competenti nei
settori vigilati.
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le nuove leggi 535

La norma nulla dispone in relazione alla natura, definitiva o no, di


detta cancellazione, potendosi opinare che l’organismo cancellato, una
volta che si sia adeguato ai requisiti stabiliti dalla disciplina, possa chiedere
nuovamente l’iscrizione nell’elenco.
Tutte le annotazioni relative agli organismi iscritti, nonché i provvedi-
menti di sospensione e cancellazione, devono essere annotati nell’elenco e
comunicati alle istituzioni comunitarie, anche in relazione agli ulteriori
obblighi di cooperazione imposti dall’art. 141 novies c.cons.
Ricostruita la disciplina dell’iscrizione, della sospensione e della cancellazio-
ne, può ritenersi che – nonostante il nomen juris adottato dal legislatore, che si
riferisce ad un “elenco” e non ad un “registro”(come invece nel caso dell’art. 16
d.lgs. n. 28/10) – l’iscrizione abbia efficacia abilitante. Tale efficacia può essere
desunta dalle disposizioni richiamate e dalle finalità cui esse tendono: gli orga-
nismi, infatti, devono presentare una domanda, allegando tutta la documenta-
zione necessaria per consentire all’autorità competente di verificare la sussistenza
dei requisiti procedurali, organizzativi, funzionali e tecnici previsti dalla norma-
tiva primaria (art. 141 novies c.cons.); le autorità, dal canto loro, sono chiamate
ad esercitare una vera e propria vigilanza (documentale, specie in fase di ac-
creditamento, e ispettiva) sugli organismi, all’esito della quale possono essere
emessi provvedimenti di sospensione e cancellazione; una volta abilitati, gli
organismi sono obbligati ad offrire i servizi di ADR alle condizioni (procedurali
ed economiche) per le quali sono abilitati; solo lo svolgimento delle procedure
ADR presso gli organismi abilitati comporta la produzione di determinati effetti
sostanziali, come quelli visti sul decorso dei termini di prescrizione e decadenza.
Ciò naturalmente non può portare a ritenere che non sia possibile
costituire organismi ADR di consumo non iscritti, e che le eventuali solu-
zioni adottate in esito alle relative procedure siano illegittime; al contrario,
esse potranno avere gli effetti di un qualsiasi atto negoziale, coerente con la
disciplina propria a ciascuno di essi, avente in genere natura transattiva. A
conferma sta la circostanza che l’elenco costituito dal Ministero dello
sviluppo economico in relazione alle controversie di consumo, con parti-
colare riguardo agli organismi di mediazione finalizzati alla risoluzione
delle controversie che coinvolgano un consumatore, sia costituito agli
effetti dell’art. 16, commi 2˚ e 4˚, d.lgs. n. 28/10, la cui natura è chiara-
mente abilitativa e non meramente certificativa (66).

(66) Contra, seppure con riferimento allo schema di decreto legislativo GALLETTO, op.
cit., p. 15 s., il quale sottolinea la diversa opzione tra “elenco” e “registro” di cui al d.lgs. n.
28/10.
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536 le nuove leggi civili commentate 3/2016

L’elenco svolge altresı̀ funzioni di pubblicità notizia, nel senso di ren-


dere edotti tutti i consumatori circa l’esistenza degli organismi abilitati in
Italia (e in Europa attraverso il meccanismo della cooperazione e dell’e-
ventuale appartenenza alle reti comunitarie di ADR), nonché circa le
caratteristiche delle procedure da questi gestite ed i principi cui esse si
ispirano (art. 141 sexies, commi 7˚-9˚, c.cons.).
Le autorità competenti, oltre che alla tenuta dell’elenco e alla vigilanza
sugli iscritti, sono chiamate anche ad assicurare la cooperazione tra orga-
nismi ADR in relazione alle controversie transfrontaliere ed al continuo
scambio di informazioni con gli altri Stati membri, al fine di stabilire una
costante collaborazione ed evidenziare le prassi migliori nel settore, favo-
rendo l’inserimento degli organismi nazionali nelle reti europee di ADR,
ove esistenti. Detta cooperazione, infine, deve estendersi anche alle auto-
rità nazionali ed europee responsabili dell’attuazione delle politiche di
tutela dei consumatori nei vari ordinamenti nazionali.

15. La disciplina delle ADR di consumo e i rapporti con la normativa in


materia di mediazione civile e commerciale.
La normativa in parola lascia impregiudicate le discipline esistenti a
livello nazionale relative a specifiche procedure negoziali di risoluzione
delle controversie; in particolare, la direttiva lascia impregiudicata la di-
sciplina in materia di mediazione delle controversie civili e commerciali, di
cui alla dir. 2008/52/CE. Non può dubitarsi che – laddove tale procedura
sia destinata alla risoluzione alternativa delle controversie di consumo –
essa costituisca una species del più ampio genus delle procedure di risolu-
zione alternativa delle liti.
Se è chiaro il rapporto sussistente tra mediazione e ADR, deve essere
chiarita la relazione esistente tra le rispettive normative. Al riguardo, il 19˚
considerando stabilisce “Alcuni atti giuridici dell’Unione in vigore già con-
tengono disposizioni relative all’ADR. Per garantire la certezza giuridica è
opportuno prevedere che, in caso di conflitto, prevalga la presente diret-
tiva, salvo qualora sia espressamente previsto altrimenti. In particolare, la
presente direttiva non dovrebbe pregiudicare la direttiva 2008/52/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a de-
terminati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, che
definisce già un quadro di riferimento per i sistemi di mediazione a livello
di Unione per quanto concerne le controversie transfrontaliere, senza
impedire l’applicazione di tale direttiva ai sistemi di mediazione interna.
La presente direttiva è destinata a essere applicata orizzontalmente a tutti i
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le nuove leggi 537

tipi di procedure ADR, comprese le procedure ADR contemplate dalla


direttiva 2008/52/CE”.
Corrispondentemente, l’art. 141 bis, comma 6˚, c.cons. fa salve le sole
disposizioni in materia di tentativi obbligatori, tra cui quelle di cui all’art.
5, comma 1˚ bis, d.lgs. n. 28/10, tacendo invece sui rapporti tra la disci-
plina in parola e quella in materia di mediazione facoltativa.
Il d.lgs. n. 28/10 presenta numerose disposizioni la cui compatibilità
con la riforma del codice del consumo deve essere compiutamente valu-
tata. In primo luogo, la disciplina del 2010 – riformata, come è noto, nel
2013 – contempla sia una procedura di natura meramente facilitativa, nella
quale il mediatore si limita a favorire il dialogo tra le parti, finalizzato alla
ricerca autonoma di una soluzione della controversia, sia una procedura di
natura valutativa, nella quale il mediatore può o (su autorizzazione con-
giunta delle parti) deve formulare una proposta di soluzione della lite. In
entrambi i casi, tenuto conto che la proposta non ha natura vincolante per
le parti, non sembrano sussistere elementi ostativi a considerare le due
discipline pienamente compatibili, in considerazione del fatto che le nuove
disposizioni del codice del consumo si applicano ad entrambe le tipologie
di procedura e che, in particolare, nulla prevedono con riguardo agli
aspetti procedurali relativi alla formulazione della proposta, potendosi
applicare quelle “speciali” in tema di mediazione.
In seguito alla novella della disciplina della mediazione, e con parti-
colare riguardo all’attuale formulazione dell’art. 5, comma 1˚ bis, d.lgs. n.
28/10, è stata rimessa alla Corte di giustizia la questione relativa alla
compatibilità delle norme della dir. 2013/11/UE (67) con la disciplina
del tentativo obbligatorio di mediazione: in particolare, il giudice remit-
tente ha sottolineato la necessità di verificare se la salvezza operata dalla
direttiva rispetto alle disposizioni nazionali in tema di tentativi obbligatori
vada intesa nel senso di mantenere detto obbligo nei soli casi di contro-
versie che non rientrino nell’ambito di applicazione della normativa euro-
pea (id est controversie relative a contratti di vendita o di servizi); inoltre,
lo stesso giudicante ha ritenuto necessario chiarire se sia compatibile col
principio di accesso dei consumatori alle ADR una disciplina nazionale che
prevede – come nel caso della mediazione – il ricorso obbligatorio alla
mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il
quale comporta non soltanto il pagamento delle spese di procedura e di
corresponsione degli onorari del mediatore, ma anche l’obbligo di assi-

(67) Trib. Verona, sez. III, ord. 28 gennaio 2016.


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538 le nuove leggi civili commentate 3/2016

stenza da parte di un legale; da ultimo, il giudice ha rimesso la questione


relativa alla possibilità di non partecipare alla mediazione se non in pre-
senza di un giustificato motivo.
In attesa di una decisione della Corte europea, si può tentare di dare
qualche risposta a tali quesiti. Non appare decisivo, a tal fine, il tenore
della disposizione dell’art. 141 bis c.cons., che fa salvo l’art. 5, comma 1˚
bis, d.lgs. n. 28/10, laddove dovesse intendersi che in siffatta ipotesi pre-
valga comunque la disciplina della mediazione con tutte le conseguenze ivi
previste. Infatti – come opportunamente rilevato dal giudice remittente –
alcune di tali conseguenze sembrano contrastare con i principi della dir.
2013/11/UE. Non ci si riferisce alla previsione della obbligatorietà, che
rappresenta una scelta di politica del diritto che le stesse norme europee
rimettono alla discrezionalità dei legislatori nazionali. Tale obbligo perma-
ne non soltanto in relazione alle controversie diverse da quelle di consumo,
ma anche in relazione a quelle che vedano coinvolto un consumatore e che
siano relative alle “obbligazioni contrattuali derivanti da un contratto di
vendita o di servizi” [art. 141, lett. e), c.cons.], laddove tale definizione
coincida con le materie indicate all’art. 5, comma 1˚ bis, d.lgs. n. 28/10.
Neppure sembra incompatibile con i principi comunitari la previsione
in base alla quale la partecipazione a tali tentativi comporti, a carico del
consumatore, la corresponsione dei relativi costi, posto che la direttiva non
impone la gratuità delle procedure. Tuttavia, potrebbe valutarsi se sia
necessario che il Ministero dello sviluppo economico, autorità competente
alla tenuta del registro degli organismi di mediazione in materia di consu-
mo, determini una tabella delle indennità che – diversamente da quanto
previsto dai decreti attuativi del d.lgs. n. 28/10 – sia maggiormente con-
forme al principio di economicità delle procedure ADR di consumo san-
cito dalla direttiva.
Non appare illegittima neppure la disposizione che consente al pro-
fessionista di non prender parte alla procedura di mediazione in presenza
di un giustificato motivo; seppure, infatti, la direttiva lasci impregiudicato
il diritto di imporre l’adesione del solo professionista, non pare che ciò
impedisca al legislatore nazionale di prevedere precise condizioni al ricor-
rere delle quali si possa derogare a tale obbligo. Deroga che è rimessa alla
valutazione del giudice adito in conseguenza del fallimento del tentativo di
mediazione, con le conseguenze previste in ordine al governo delle spese e
alle ulteriori sanzioni economiche e processuali (art. 8, comma 4˚ bis, d.lgs.
n. 28/10).
L’unico rilievo che pare cogliere nel segno è quello relativo all’assi-
stenza tecnica obbligatoria, introdotto dalla novella del 2013 per la me-
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le nuove leggi 539

diazione, posto che tale principio contrasta apertamente con il principio di


efficacia delle ADR, sancito dall’art. 8, lett. b), dir. (68).
Proseguendo nell’analisi circa la compatibilità tra disciplina della me-
diazione e delle ADR di consumo, alcuna questione desta la previsione
relativa allo svolgimento del procedimento di mediazione, atteso il fatto
che il codice del consumo (conformemente alla direttiva), nulla statuisce al
riguardo; resta impregiudicato il diritto del consumatore di ritirarsi in
qualsiasi momento dalla stessa, di presentare le proprie argomentazioni,
difese e documentazioni e di avere accesso a quelle della controparte, nel
rispetto del principio di riservatezza, pur riconosciuto dalla normativa
europea per tutte le procedure [cfr. l’art. 141 quater, comma 4˚, lett. a),
c.cons.]. Né pare doversi pervenire ad una diversa conclusione in relazione
alla disciplina dell’efficacia esecutiva dell’accordo conciliativo raggiunto in
esito ad una procedura di mediazione, attesa la specialità della previsione
normativa che – pur prevedendo la partecipazione degli avvocati, chiamati
a certificare con la loro sottoscrizione la liceità dell’accordo raggiunto –
rimette alla libera determinazione delle parti e quindi, per quanto qui
interessa, del consumatore la scelta di far riconoscere all’accordo raggiunto
tale efficacia.
Risultano pienamente compatibili anche le disposizioni relative ai rap-
porti col processo civile, sia con riguardo al tentativo obbligatorio, sia con
riguardo a quello facoltativo: militano, in tal senso due considerazioni, alla
luce dei principi ispiratori della direttiva del 2013. Per un verso, la garan-
zia del diritto di difesa (sancito dall’art. 47 Carta fondamentale dei diritti
dell’UE e dall’art. 42 Carta costituzionale), non pare contrastato – come
ricordato in precedenza – dall’esperimento della mediazione come condi-
zione di procedibilità della domanda giudiziale; per altro verso, coerente-
mente con la ratio della disciplina della mediazione, che tende alla costi-
tuzione di un circuito virtuoso tra detta procedura e il processo, le dispo-

(68) Va sottolineato che l’ipotesi di conflitto tra normativa sulle ADR e normativa sulla
mediazione è risolta, dal 19˚ considerando, in favore della prima. Si prevede infatti “Alcuni
atti giuridici dell’Unione in vigore già contengono disposizioni relative all’ADR. Per garan-
tire la certezza giuridica è opportuno prevedere che, in caso di conflitto, prevalga la presente
direttiva, salvo qualora sia espressamente previsto altrimenti. In particolare, la presente
direttiva non dovrebbe pregiudicare la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia
civile e commerciale, che definisce già un quadro di riferimento per i sistemi di mediazione a
livello di Unione per quanto concerne le controversie transfrontaliere, senza impedire l’ap-
plicazione di tale direttiva ai sistemi di mediazione interna. La presente direttiva è destinata
a essere applicata orizzontalmente a tutti i tipi di procedure ADR, comprese le procedure
ADR contemplate dalla direttiva 2008/52/CE”.
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540 le nuove leggi civili commentate 3/2016

sizioni del d.lgs. n. 130/15 non contrastano con l’obiettivo di deflazionare


il carico delle cause civili, come riconosciuto dal 15˚ considerando della
direttiva 2013.
Parimenti deve ritenersi con riguardo al termine di conclusione della
procedura, oggi determinato per entrambe le discipline in novanta giorni,
decorrenti dal deposito della domanda di avvio delle procedure.
Per le ragioni esposte, neanche il sistema di affidamento ad organismi
pubblici e privati espressamente abilitati e iscritti nel registro tenuto dal
Ministero della giustizia (rectius, per le controversie di consumo, dal Mi-
nistero dello sviluppo economico) si pone in contrasto con la ratio del-
l’intervento comunitario in materia di ADR di consumo. Al riguardo, va
ricordato che, in relazione a dette procedure, prevalgono le norme del
codice del consumo, rispetto a quelle del d.lgs. n. 28/10 e dei decreti
ministeriali attuativi.
Da ultimo, non pare in contrasto con la disciplina di cui al d.lgs. n.
130/15 la disposizione sulla mediazione c.d. delegata dal giudice (essendo
questa una procedura comunque di natura stragiudiziale che non rientra
nella fattispecie espressamente esclusa dall’ambito di applicazione della
direttiva, relativa ai tentativi di conciliazione posti in essere dal giudice
nell’ambito del processo).

16. Irrinunciabilità e indisponibilità dei diritti


Il d.lgs. n. 130/15 riconosce il diritto del consumatore di pervenire ad
una soluzione negoziale di una controversia, in relazione alle obbligazioni
contrattuali derivanti dalla conclusione di contratti di vendita o di servizi.
Poiché, opportunamente, nulla dispone la normativa europea, né quella
italiana di recepimento, deve ritenersi che l’atto con il quale si formalizza
tale accordo possa avere il contenuto più diverso, comportando anche
rinunzie, reciproche concessioni, novazioni e quant’altro le parti – nell’e-
sercizio della loro autonomia contrattuale – ritengano utile e necessario, al
fine di pervenire alla composizione negoziale di una determinata contro-
versia.
Un cosı̀ ampio riconoscimento normativo pone la questione relativa ad
un principio generale, sancito dall’art. 143 c.cons., il quale statuisce l’irri-
nunciabilità dei diritti attribuiti ai consumatori dal codice stesso, con la
conseguente nullità di tutte le pattuizioni che si pongano in contrasto con
esso. In particolare, v’è da chiedersi se il principio di irrinunciabilità vada
interpretato nel senso della indisponibilità, con la conseguenza che sia
precluso alle parti di porre in essere un negozio con il quale il consumatore
– titolare di uno dei diritti sanciti dal codice del consumo – ne disponga in
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le nuove leggi 541

via transattiva, d’intesa con un professionista, ed in esito ad una procedu-


ra ADR.
Siffatta interpretazione non merita consenso, sia con riferimento alla
ratio sottesa all’art. 143 c.cons. (69), sia con riferimento alla disciplina in
tema di soluzione alternativa delle controversie di consumo, in quanto
annichilisce in maniera ingiustificata l’autonomia privata e, conseguente-
mente, il ricorso a meccanismi alternativi di composizione delle liti di
consumo. Ritenendo di dover tenere distinta la nozione di irrinunciabilità
da quella di indisponibilità dei diritti, nel senso che la prima non appare
sintomatica della imperatività delle norme bensı̀ di mera inderogabilità ex
ante inadeguata di per sé a negare il riconoscimento della valida disposi-
zione del diritto da parte del titolare, una volta che sia divenuto tale, deve
concludersi che non sia preclusa al consumatore l’esperibilità di procedure
di risoluzione alternativa delle controversie, la cui scelta è rimessa alla sua
autonomia. Conseguentemente, l’eventuale rinuncia contenuta in un ac-
cordo stragiudiziale deve ritenersi ammissibile alla condizione che il con-
sumatore pervenga ad essa liberamente e senza costrizioni, in esito ad una
procedura che rispecchi i principi sanciti a livello europeo, volti a garantire
la trasparenza, l’efficacia, l’equità, la libertà e la legalità delle ADR. In altri
termini, i presidi normativi fissati dalla direttiva, e recepiti dal diritto
interno, costituiscono garanzie volte ad assicurare che il consumatore pos-
sa pervenire ad una soluzione negoziale della controversia che lo vede
coinvolto, anche mediante rinuncia ai diritti allo stesso riconosciuti dal
codice del consumo.
Non a caso, anche dal punto di vista procedimentale (e con particolare
riferimento alle ADR che comportino la formulazione di una proposta
eteronoma di soluzione) il legislatore si è sforzato di circondare l’adesione
del consumatore da una serie di passaggi, volti all’acquisizione di un
consenso consapevole: si pensi, ad esempio, al riconoscimento del diritto
del consumatore ad un periodo di riflessione prima di accettare la propo-
sta, a quello di ricorrere alla consulenza di una fonte indipendente, a
quello di essere informato sulla libertà di accettare o no la proposta, del
diverso risultato eventualmente perseguibile in via giudiziale, dell’effetto

(69) In tal senso concludono, in via generale, G. DE CRISTOFARO, sub art. 143, in DE
CRISTOFARO e ZACCARIA (a cura di), Commentario breve al diritto dei consumatori, cit., p. 997;
MONTICELLI, L’indisponibilità dei diritti del consumatore nel Codice del consumo e la nullità
dei patti, in Contratti, 2007, p. 697 ss.; contra ALBANESE, sub art. 143, in FRANZONI (a cura
di), Codice ipertestuale del consumo, cit., p. 691; BARBA, sub art. 143, in CUFFARO, BARENGHI
e BARBA (a cura di), Codice del Consumo e norme collegate, 2012, Milano, p. 838.
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542 le nuove leggi civili commentate 3/2016

giuridico dell’accettazione, delle regole in base alle quali detta proposta è


stata formulata (70).
I requisiti di competenza e professionalità richiesti per le persone
fisiche responsabili delle procedure (siano esse facilitative ovvero valutati-
ve) comportano l’assolvimento di tale incarico in maniera tale da garantire
che, durante lo svolgimento delle stesse non si ripropongano i medesimi
rapporti di forza che hanno dato origine alla controversia, cosı̀ frustrando
la libertà di scelta consapevole da parte del consumatore.

17. Pluralità di ADR, consapevolezza del consumatore e vessatorietà


delle clausole.
Dalla lettura delle normative europea e nazionale può evincersi la
scelta del legislatore per la costituzione di un sistema integrato di modelli
procedurali di ADR che – pur nella diversità delle norme e, quindi, degli
esiti connessi – sono accomunate dal rispetto di alcuni principi fondamen-
tali (trasparenza, efficacia, equità, libertà e legalità, tutti assicurati dalla
iscrizione degli organismi nei rispettivi elenchi), che mirano a garantire un
elevato livello di protezione dei consumatori. Viene cosı̀ a delinearsi un
duplice profilo di concorrenza: il primo tra diversi modelli procedimentali
(facilitativi e aggiudicativi), ed il secondo tra procedure facenti capo ai
medesimi modelli, le quali possono essere offerte a pari condizioni da
organismi pubblici e privati, posti sullo stesso piano, e senza nessuna
riserva a favore di alcuni di essi. Il perseguimento degli obiettivi di tutela
del consumatore e di regolazione del mercato unico fanno sı̀ che tale
concorrenza non sia piena ed illimitata, ma soggetta alla supervisione delle
autorità di settore.
Le controversie di consumo appaiono il terreno privilegiato per la
realizzazione di tale sistema, in primo luogo in ragione del ridotto valore
economico delle stesse, in relazione al quale appare antieconomico il ri-
corso alla tutela giurisdizionale, con la conseguente frustrazione del diritto
di accesso dei consumatori alla giustizia. In secondo luogo per la loro
serialità, atteso il fatto che le controversie deferibli dinanzi agli organismi
ADR sono relative a rapporti contrattuali di massa, che pongono in evi-

(70) Nel senso della necessità che il consumatore sia preventivamente informato dei
diritti attribuiti dal codice del consumo e, di conseguenza, della consapevolezza che deve
essere garantita in occasione del sacrificio che eventualmente una soluzione transattiva
potrebbe comportare, ai fini della sua validità, GIROLAMI, Le invalidità di protezione nel
sistema delle invalidità negoziali, Padova, 2008, p. 380 ss.; PAGLIANTINI, Autonomia privata e
divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, p. 163 s.
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le nuove leggi 543

denza criticità diffuse e potenzialmente replicabili su tutto il territorio


(nazionale e/o europeo). In considerazione di tale aspetto, lo sviluppo di
un sistema garantito, sicuro ed efficace di ADR può assicurare anche una
più efficiente regolazione del mercato, nelle sue diverse articolazioni, che
costituisce il vero obiettivo del legislatore.
Guardando detto sistema dall’ottica dei suoi principali destinatari e
fruitori, il modello pluralista adottato impone – come del resto richiedono
tutti i mercati concorrenziali – un’adeguata conoscenza dei servizi offerti,
affinché possa essere compiuta una scelta consapevole verso una certa
procedura, ovvero verso un certo organismo: ecco, dunque, l’attenzione
riservata agli obblighi di informazione, imposti in primis ad organismi e
professionisti, nella rispettiva qualità di offerenti tali servizi e di contro-
parti contrattuali. Ulteriori oneri informativi sono estesi alle associazioni di
categoria (con particolare riguardo alle associazioni dei consumatori), non-
ché alle autorità di regolazione.
La legislazione in materia di diritti dei consumatori non è nuova al-
l’introduzione di stringenti obblighi di informazione che, nel caso che ci
occupa, è finalizzata al raggiungimento della piena consapevolezza dell’e-
sistenza di vari modelli procedurali e di molteplici organismi chiamati a
gestirli, in paritaria condizione di efficienza e serietà. L’esperienza deri-
vante dall’applicazione di tali doveri informativi, tuttavia, ha dimostrato i
suoi limiti, sia con riguardo ai contenuti ed alla esaustività delle indicazio-
ni, sia con riguardo alle modalità di trasmissione e alla concreta intelligi-
bilità delle stesse.
Quanto alla risoluzione alternativa delle controversie, tali difficoltà
potrebbero essere accresciute dalla circostanza per cui la gestione dei
conflitti coinvolge anche elementi di natura psicologica e relazionale, oltre
che la conoscenza dei diritti attribuiti dall’ordinamento, e la competenza a
disporre degli stessi al fine di pervenire ad una soluzione della controver-
sia. Rispetto alle differenze sussistenti tra le varie tipologie di controversie
di consumo, la scelta pluralista verso altrettanto varie procedure ADR va
salutata con favore: ma l’effettiva applicazione di tale scelta implica non
solo un’adeguata informazione del consumatore, ma anche una vera e
propria consapevolezza dello stesso nella individuazione della procedura
e dell’organismo che più si conformano alle esigenze sottese alla specifica
controversia.
Sotto tale aspetto, gli obblighi informativi imposti ai vari soggetti non
paiono sufficienti al raggiungimento dello scopo; anzi, l’eccesso di infor-
mazioni rischia di tradursi nell’assenza di una effettiva informazione, te-
nuto conto che il consumatore – per la debolezza intrinsecamente connes-
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544 le nuove leggi civili commentate 3/2016

sa alla sua condizione – potrebbe non essere in grado di discernere le


indicazioni effettivamente utili per i propri bisogni e quindi di operare
la scelta più adeguata alla fattispecie concreta (71). Tale rischio appare
tenuto in considerazione dal legislatore domestico, il quale ha inteso am-
pliare (pur in assenza di uno specifico obbligo nella direttiva) il novero
delle clausole vessatorie inserite nella c.d. grey list di due ipotesi ulteriori di
clausole presuntivamente vessatorie.
La prima è relativa alle clausole che hanno per oggetto o per effetto
quello di “imporre al consumatore che voglia accedere ad una procedura
di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis
della parte V, di rivolgersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organi-
smi ADR o ad un unico organismo ADR” [art. 33, comma 2˚, lett. v-bis),
c.cons.]; la seconda di “rendere eccessivamente difficile per il consumatore
l’esperimento della procedura di risoluzione extragiudiziale delle contro-
versie prevista dal titolo II-bis della parte V” [art. 33, comma 2˚, lett. v-
ter), c.cons.]. In entrambe le disposizioni può scorgersi la medesima ratio,
da individuare nella necessità di garantire al consumatore la libera e con-
sapevole scelta tra le varie procedure esistenti e tra i vari organismi abilitati
a gestirle. In altri termini, l’unilaterale predisposizione di tale scelta ad
opera del professionista (che pure individui procedure e organismi posti
sul medesimo piano, in termini di garanzie, poiché tutti egualmente “cer-
tificati” mediante l’iscrizione negli elenchi, che assicurano proprio la con-
formazione ai principi normativi), determina un significativo squilibrio dei
diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a danno del consumatore,
nella misura in cui sia privato del diritto di scelta della procedura e del-
l’organismo più idonei. Diritto di scelta che, fino a prova contraria, deve
essere garantito in ogni momento, sino all’insorgere della lite, e non può
essere disatteso da una specifica pattuizione, sottoscritta in occasione della
stipula del contratto.

(71) La questione è connessa al più generale problema di garantire il perseguimento del


diritto all’educazione al consumo, sancito all’art. 2, comma 2˚, lett. d), c.cons.
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SAGGI E APPROFONDIMENTI

Francesco Delfini (*)


Professore nell’Università di Milano

CLAUSOLE CLAIMS MADE E DETERMINAZIONE


UNILATERALE DELL’OGGETTO NEL B2B: L’EQUILIBRIO
GIURIDICO DEL CONTRATTO NEGLI OBITER DICTA
DELLA CASSAZIONE

SOMMARIO: 1. Il problema del controllo nella determinazione unilaterale dell’oggetto del


contratto. – 2. La clausola claims made come deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c. –
3. La clausola claims made e la potenziale restrizione dell’oggetto contrattuale delineato
dall’art. 1917, comma 1˚, c.c. – 4. La giurisprudenza sulle clausole claims made. – 5. La
causa come strumento di controllo dell’unilaterale determinazione dell’oggetto del
contratto. – 6. La disciplina di parte speciale dei tipi contrattuali quale strumento
del controllo sull’equilibrio giuridico del contratto. – 7. Il tipo contrattuale in funzione
di controllo e di sostituzione.

1. Il problema del controllo della determinazione unilaterale dell’oggetto


del contratto.
Una recentissima sentenza delle Sezioni Unite (6 maggio 2016, n.
9140) (1) consente di tornare sul tema della determinazione unilaterale
dell’oggetto del contratto. E va premesso che la decisione è di interesse
soprattutto per i suoi obiter dicta, che richiamano, tra l’altro, la “delicata
questione della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione,
in taluni settori, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa
all’esercizio della propria attività” (pp. 15-16 sent.): il riferimento è fatto
all’art. 3, comma 5˚, d.l. n. 138/11, recante i principi ispiratori delle rifor-
me degli ordinamenti professionali, tra i quali l’obbligo di assicurazione
responsabilità professionale; al d.p.r. n. 137/12, sull’obbligo di stipulazio-
ne di contratti di assicurazione per la responsabilità civile professionale
“anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli na-

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) Cass., sez. un., 6 maggio 2016, n. 9140, pubblicata per esteso sul sito istituzionale
della Corte (www.cortedicassazione.it).

NLCC 3/2016
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546 le nuove leggi civili commentate 3/2016

zionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”; al d.l. n. 158/12 (conv.


con l. n. 189/12) di dettaglio di tale obbligo per gli esercenti le professioni
sanitarie ed al d.l. n. 69/13 (c.d. decreto del “fare”, conv. con l. n. 98/13
che ha prorogato il termine per l’assicurazione obbligatoria r.c. medica).
Vent’anni fa, il tema della determinazione unilaterale (e restrittiva)
dell’oggetto dei contratti standard non era al centro del dibattito giuridico
e la prassi assicurativa non lo aveva posto ancora all’attenzione della giuri-
sprudenza con la frequenza odierna.
Il breve saggio in cui ne avevo fatto cenno (2) era rimasto isolato. Dopo
aver evocato l’iter giurisprudenziale scaturito dalle controversie sulla na-
tura delle clausole dei contratti di cassetta di sicurezza, giunte in cassazio-
ne alla metà degli anni 70 a seguito dell’alluvione di Firenze del 1966,
prospettavo in allora proprio il caso delle clausole claims made, di cui la
prassi di consulenza stragiudiziale mi aveva fatto occupare, come ipotesi
che richiedesse una riflessione sui limiti dell’autonomia privata nella de-
terminazione dell’oggetto del contratto.

2. La clausola claims made come deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c.
Come ormai oggi noto, le clausole claims made nei contratti di assicu-
razione della responsabilità civile configurano il contratto in modo che –
per usare le parole della recente sentenza della Cassazione – “la copertura
è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo
di vigenza della polizza (…) laddove, secondo lo schema denominato loss
occurence o “insorgenza del danno”, la copertura opera in relazione a tutte
le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di
durata del contratto” (3). Si tratta di modello concepito negli anni ‘80 negli
USA per gestire responsabilità civili – quali quella ambientale o più in
generale industriale – ove spesso era difficile identificare la condotta,
commissiva o omissiva, generatrice del danno e conseguentemente la sua
collocazione cronologica: un problema solitamente non presente nella re-
sponsabilità civile derivante dall’esercizio delle professioni liberali, ove la

(2) DELFINI, Clausole di esonero da responsabilità e di determinazione dell’oggetto, in


Contratti, 1997, n. 3, pp. 255 ss.
(3) Il testo della clausola usualmente contenuta nelle condizioni generali di assicura-
zione, titolata “Inizio e termine della garanzia” – e che si ispira a quello elaborato dall’asso-
ciazione di categoria ANIA (similmente a quanto fatto dall’ABI per il contratto di cassette di
sicurezza) – è del seguente tenore: “L’assicurazione vale per le richieste di risarcimento
presentate per la prima volta all’Assicurato nel corso del periodo di assicurazione...”(cfr. Cass.
15 marzo 2005, n. 5624, in Pluris).
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saggi e approfondimenti 547

condotta professionalmente erronea è di regola ben evidente e contestua-


lizzabile nel tempo; ciò malgrado, il mercato assicurativo anche per code-
ste forme di responsabilità civile professionale è dominato in modo pres-
soché totale dalle polizze claims made.
Nel 1997 prospettavo appunto, quale caso di abusiva restrizione del-
l’oggetto del contratto, quello di un contratto di assicurazione claims ma-
de per la responsabilità civile del professionista predisposto dalla compa-
gnia assicuratrice con esclusione della copertura per le richieste di risarci-
mento “pervenute” all’assicurato dopo un anno dalla “cessazione” del
contratto e diritto di recesso della compagnia dopo ogni sinistro (4).
Osservavo allora che le clausole claims made derogavano all’art. 1917,
comma 1˚, c.c. che – con disposizione che pure non è tra quelle dichiarate
inderogabili in danno dell’assicurato dall’art. 1932 c.c. – cosı̀ descrive
l’oggetto del contratto: “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assi-
curato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tem-
po dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della respon-
sabilità dedotta nel contratto”.
Che la clausola claims made costituisca deroga all’art. 1917 primo
comma è stato talvolta contestato. Nelle prospettazioni difensive dell’assi-
curatore predisponente si è talvolta cercato di sostenere che proprio lo
schema contrattuale claims made darebbe attuazione a quanto previsto
dall’art. 1917, dovendosi interpretare la locuzione “fatto accaduto durante
il tempo dell’assicurazione” come “sinistro”, e dunque come effettiva ag-
gressione del patrimonio dell’assicurato: il che si verificherebbe solo nel
momento della richiesta di risarcimento e non già precedentemente.
La tesi, di cui si trova eco in alcune pronunce della Cassazione (5), non
può essere sostenuta scientificamente e pare un mero espediente difensivo:
essa da un lato prova troppo e, dall’altro, è smentita dalla lettera del
medesimo art. 1917.
Sotto il primo profilo, infatti, a seguire tale prospettazione si dovrebbe
concludere che il sinistro può identificarsi esclusivamente con l’effettiva
condanna risarcitoria dell’assicurato, dal momento che il patrimonio del-
l’assicurato è inciso negativamente solo dalla condanna e non già dalla
mera (e potenzialmente infondata) richiesta di risarcimento.

(4) Ovvero, come oggi il mercato assicurativo impone, che il contratto avesse una
durata annua, come tale palesemente inadeguata rispetto al termine di prescrizione dell’a-
zione del terzo danneggiato.
(5) Cass. 15 marzo 2005, n. 5624, in Pluris.
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548 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Sotto il secondo profilo, la tesi che interpreta la locuzione sopra ri-


portata come riferita alla richiesta di risarcimento, e non invece alla con-
dotta (l’errore professionale) che genera la responsabilità, è smentita dal
secondo periodo del medesimo primo comma dell’art. 1917, ove si pre-
vede che “sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi”: poiché, da un lato,
può predicarsi un dolo esclusivamente rispetto alla condotta del danneg-
giante (e non certo rispetto alla richiesta di risarcimento del danneggiato) e
poiché, dall’altro, non può ipotizzarsi che il medesimo termine “fatto” sia
usato con due significati diversi nello stesso comma, ne consegue indefet-
tibilmente che anche nella prima parte del primo comma il termine “fatto”
è riferito alla condotta dell’assicurato danneggiante e non alla richiesta di
risarcimento.
L’assicurazione r.c. della tipologia claims made costituisce dunque
incontestabilmente una variante atipica del contratto tipico di assicurazio-
ne della responsabilità civile, derogandosi appunto al modello legale del-
l’art. 1917, comma 1˚, cit. (6), che con anglicismo la prassi assicurativa
indica come loss occurence.

3. La clausola claims made e la potenziale restrizione dell’oggetto con-


trattuale delineato dall’art. 1917, comma 1˚, c.c.
La deroga all’art. 1917, comma 1˚ (ad all’art. 1372, ove prevista una
facoltà di recesso dell’assicuratore dopo ogni denuncia di sinistro) (7),
realizza uno “svuotamento” del tipo contrattuale evocato con la polizza
unilateralmente predisposta, perché il professionista, stipulando il contrat-
to, fa affidamento sul trasferimento, in capo all’assicuratore, del rischio
derivante dalla propria responsabilità professionale e quest’ultimo, con le
clausole ipotizzate, deliberatamente delude tale affidamento, di cui è ve-
rosimilmente consapevole, sottraendosi al contenuto contrattuale consono
al tipo evocato.
Il professionista è infatti esposto al rischio risarcitorio – risultante dalla
propria responsabilità, disciplinata, in particolare, dagli artt. 1176, 1218,

(6) In questo senso Cass. 15 marzo 2005, n. 5624 secondo cui: “In conclusione va
enunciato il seguente principio di diritto: il contratto di assicurazione della responsabilità
civile con la clausola claims mode non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall’art.
1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico (da ritenersi in linea generale lecito ex art.
1322 c.c.)”.
(7) Facoltà superflua, come anticipato sopra, se il contratto viene proposto solo con
durata annuale, dopo la quale l’assicuratore può decidere se rinnovare o non: e verosimil-
mente non lo farà (o lo farà con un incremento cospicuo di premio) allorché vi sia stata la
denuncia di un claim.
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saggi e approfondimenti 549

1236 ss., 2236 e 2946 c.c. – per tutto il tempo destinato al compiersi della
prescrizione dei diritti, di fonte contrattuale, del cliente nei propri con-
fronti, ma con il modello claims made l’assicuratore non si fa carico della
medesima posizione debitoria dell’assicurato (seppur nei limiti di massi-
male convenuti), perché può sempre liberarsi, con il recesso, dal contratto
sgradito, determinando per tale via l’esclusione dalla copertura per tutti
quei fatti generatori di responsabilità pur posti in essere durante la vigenza
contrattuale ma per i quali tuttavia i danneggiati avanzino richieste succes-
sivamente alla cessazione del contratto. Ciò è quanto avviene di regola per
professioni, quali quella dell’avvocato (o del notaio), ove il danno conse-
guente all’inadempimento del professionista non si evidenzia in modo
subitaneo ed ove, per il rapporto di continuativa fiducia che si instaura
con il professionista, il cliente è restio a formalizzare sin da subito una
richiesta di risarcimento danni, perché da un lato conta sullo spatium
deliberandi costituito dal lungo termine di prescrizione contrattuale e,
dall’altro, perché tende a rinviare nel tempo il momento della definitiva
rottura del mandato professionale, magari nella speranza che all’errore
possa essere posto rimedio dallo stesso professionista che lo ha causato.
Per completare il quadro offerto dalla prassi va aggiunto:
1) che di regola la definizione contrattuale di claim è latissima, e tale
da indurre il contraente – per evitare future eccezioni di inoperatività della
polizza – a denunciare cautelativamente all’assicuratore anche le più blan-
de lamentele del cliente, che evochino una responsabilità per eventuali
danni, non ancora neppure ipotizzati, rispetto all’errore professionale oc-
corso;
2) che anche una “denuncia cautelativa” consente il recesso dell’assi-
curatore o occasiona il mancato rinnovo del contratto alla scadenza (an-
nuale o comunque più breve rispetto alla prescrizione dell’azione del
cliente, come si è detto);
3) che, in ogni caso, anche la “denuncia cautelativa” fa incrementare in
maniera cospicua e talvolta insostenibile il premio che sarà richiesto l’anno
successivo per il rinnovo dallo stesso assicuratore, ovvero da quello diverso
cui ci si dovesse rivolgere, in caso di rifiuto del primo;
4) che la “sinistrosità” dell’assicurato viene cosı̀ parametrata non già al
dato oggettivo degli indennizzi che l’assicuratore sia tenuto a pagare (loss
occurence), ma al dato estemporaneo ed accidentale – e per giunta di
brevissimo periodo – della litigiosità dei clienti del professionista, latori
di richieste di risarcimento che poi magari non troveranno accoglimento in
giudizio;
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550 le nuove leggi civili commentate 3/2016

5) che talvolta la consapevolezza di ciò in capo ai clienti genera inde-


bite pressioni degli stessi nei confronti del professionista, con la minaccia
di richieste risarcitorie di incerto fondamento che tuttavia costituirebbero,
di per sé sole, un danno certo per l’assicurato (sotto il profilo dell’incre-
mento di premio o della difficoltà di reperire aliunde una nuova polizza,
oggi obbligatoria per legge, stante il quadro normativo riportato in aper-
tura e richiamato dalle Sezioni Unite di recente).
L’effetto paradossale di un mercato assicurativo che offre oggi esclu-
sivamente polizze claims made è che se l’assicurato riceve richieste di
risarcimento infondate e “bagatellari” non solo sarà danneggiato comun-
que dall’impennata dei premi assicurativi richiesti (oppure dalla quasi
impossibilità di trovare una compagnia disposta ad assicurarlo in futuro),
ma potrebbe trovarsi non più coperto nel momento in cui malaugurata-
mente compia un effettivo errore professionale che si concluda con una
condanna risarcitoria, sicché per l’assicurato diverrebbe quasi preferibi-
le… augurarsi di commettere subito un errore professionale effettivo e
reale, piuttosto che commetterlo dopo una serie di infondati claims che
lo abbiano privato, di fatto, della copertura assicurativa.

4. La giurisprudenza sulle clausole claims made.


La prima giurisprudenza sulla validità delle clausole claims made non
aveva mostrato consapevolezza di tale situazione di pregiudizio per l’assi-
curato.
Da un lato si motivava la ritenuta validità delle clausole con l’astratto
rilievo che il codice, a differenza di quanto fatto dall’art. 1229 c.c. per le
limitazioni di responsabilità, non presenta espressi limiti per la determina-
zione convenzionale dell’oggetto del contratto, mentre forse maggiore at-
tenzione si sarebbe dovuta porre alla circostanza che nella più parte dei
casi la clausola claims made non è convenzionalmente concordata, ma
unilateralmente imposta: ciò che dà conto del richiamo ad una unilaterale
restrizione dell’oggetto del contratto evocato, che avevo semanticamente
evidenziato nel mio intervento degli anni ‘90.
Dall’altro, tale giurisprudenza, quale argomento di rincalzo per la
validità delle clausole e per mantenere giustificazione economica dell’ope-
razione contrattuale, prestava adesione alle prospettazioni difensive del-
l’assicuratore, secondo cui le clausole in questione avrebbero dato benefici
all’assicurato, consentendogli una copertura anche per errori professionali
posti in essere precedentemente alla conclusione del contratto, ma ancora
non tradottisi in richieste di risarcimento. Si dimenticava cosı̀ che tale
convenienza economica per l’assicurato, pur se sussistente nel solo limitato
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saggi e approfondimenti 551

caso in cui per anni il professionista avesse operato privo di assicurazione –


caso inverosimile in passato, per i professionisti seri, e non più possibile
giuridicamente oggi per alcuno, a fronte del nuovo quadro normativo
indicato in apertura – non vi è invece mai per il periodo successivo alla
cessazione del contratto claims made, in relazione agli errori professionali
commessi sotto la vigenza del contratto ma senza che il diritto al risarci-
mento del terzo danneggiato, peraltro non ancora prescritto, sia stato
azionato (8). Ne è prova che la tesi difensiva degli assicuratori, come ri-
portata nelle sentenze sul tema, si è dovuta arricchire del richiamo alla
possibilità di pattuire delle c.d. “sunset clauses” a copertura di tale rischio
residuo: ma si tratta di “pannicelli”, volti a ritornare ad un simulacro del
modello di copertura saggiamente previsto dall’art. 1917, comma 1˚, c.c.; e
per di più di “pannicelli” onerosi per il contraente, perché non oggetto di
un obbligo a contrarre per l’assicuratore e comunque spesso temporal-
mente inadeguati a coprire tutto il periodo di prescrizione dell’azione del
cliente eventualmente danneggiato (9).
Di tali situazioni mostra ora di essere consapevole la Cassazione, con la
sentenza S.U. n. 9140/16, ove si legge: “in realtà, al fondo della manifesta
insofferenza per una condizione contrattuale che appare pensata a tutto
vantaggio del contraente forte, c’è la percezione che essa snaturi l’essenza
stessa del contratto di assicurazione per responsabilità civile, legando l’ob-
bligo di manleva a una barriera temporale che potrebbe scattare assai
prima della cessazione del rischio che ha indotto l’assicurato a stipularlo,
considerato che l’eventualità di un’aggressione del suo patrimonio persiste
almeno fino alla maturazione dei termini di prescrizione” (p. 11) (10).

(8) Peraltro, come osservano le Sezioni Unite (Cass. n. 9140/16): “è evidente che della
copertura del rischio pregresso nulla potrà farsene l’esordiente, il quale non ha alcun
interesse ad assicurare inesistenti sue condotte precedenti alla stipula, di talché anche tale
circostanza entrerà, se del caso, nella griglia valutativa della meritevolezza”.
(9) La prassi del mercato assicurativo è nel senso che la stipulazione di sunset clauses è
di regola facoltà dell’assicuratore; che esse raramente vengono concesse per tutto il periodo
necessario alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno contrattuale (10 anni) e che
esse vengono concesse quasi esclusivamente solo nell’ipotesi in cui l’attività professionale
dell’assicurato cessi.
(10) In precedenza, con più analiticità, consapevolezza di ciò si leggeva in Cass. n.
5624/2005: “Non sembra inutile aggiungere quanto segue circa la tesi della parte ricorrente
secondo la quale si sarebbe di fronte ad “...una esplicita estensione di garanzia in favor del-
dell’assicurato (...)” (v. a p. 15 del ricorso): si ipotizzi che un soggetto, con riferimento alla
sua responsabilità professionale, preveda di correre ingenti rischi nei successivi cinque anni;
se si assicura con la clausola loss occurrence per tale quinquennio ottiene facilmente e
chiaramente una assicurazione esattamente rispondente alle sue esigenze; se invece si assi-
cura con la clausola claims made tale corrispondenza (specialmente temporale) diviene più
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552 le nuove leggi civili commentate 3/2016

La giurisprudenza della Cassazione sulle clausole claims made è stata


spesso superficialmente interpretata nel senso della validità delle medesi-
me, nei commenti adesivi alla prassi del mercato assicurativo – che mo-
strava prima la marginalizzazione e, poi, la scomparsa del modello loss
occurence – sottolineando i benefici che il modello claims made avrebbe

difficile, in quanto, dato il (generalmente) variabile ed imprevedibile lasso di tempo inter-


corrente tra il fatto (nel senso suddetto) e la richiesta di risarcimento del danneggiato
all’assicurato, è difficile stabilire un quinquennio di assicurazione claims made suscettibile
di coprire integralmente il quinquennio di rischio previsto (a meno di ricorrere ad un
periodo di assicurazione claims made più lungo od a sunset clauses; corrispondendo però
premi più elevati); ed anche se riuscisse a risolvere il problema, la sua tutela assicurativa non
sarà identica; infetti, con riferimento ai fatti (intesi sempre nel senso predetto) avvenuti
prima del periodo di assicurazione claims made ma con la richiesta di risarcimento presen-
tata nel periodo, va rilevata l’insostenibilità della tesi secondo cui sarebbero tutti comunque
coperti. Tale tesi omette infatti di considerare tutte le problematiche (concernenti la sussi-
stenza del rischio risarcibile e la buona fede) relative alla conoscenza dei fatti stessi da parte
dell’assicurato; non a caso gli assicuratori, nel predisporre le clausole del contratto, limitano
talora la loro responsabilità ai fatti (intesi nel senso suddetto) accaduti nell’anno o nei due
anni precedenti alla conclusione del contratto; e non a caso nell’assicurazione claims made
viene generalmente richiesto all’assicurato, al momento della stipulazione del contratto, di
dichiarare se è a conoscenza di sinistri risarcibili già verificatisi; il che a sua volta implica
l’esplicita od implicita volontà di stabilire l’applicabilità degli artt. 1892, 1893 e 1894 c.c.
relativi alle dichiarazioni di rischio. Da ciò discende che, anche in considerazione della
diversità dei rischi professionali in questione (ad es. un chirurgo è generalmente in grado
di accorgersi di un suo eventuale errore in un lasso di tempo breve; altri professionisti
possono ignorare di aver commesso atti colposi per tempi anche molto lunghi) è in realtà
tutta da dimostrare (caso per caso) l’affermazione che l’assicurazione claims mode copre (in
misura maggiore o minore) i fatti dannosi antecedenti alla stipulazione del contratto; va
rilevato che detta affermazione potrebbe comunque avere solo un rilievo essenzialmente
statistico e probabilistico; e che appare in ogni caso ben difficilmente ipotizzarle l’ipotesi che
vengano coperti effettivamente tutti i fatti antecedenti (purché la richiesta di risarcimento sia
stata fatta nel periodo di efficacia del contratto), tra l’altro in quanto ciò implicherebbe che
nella specie è da escludere con certezza che l’assicurato, al momento della stipulazione del
contratto, fosse effettivamente a conoscenza di qualche possibile suo comportamento pro-
duttivo di danno risarcibile. Con riferimento alla parte finale del rapporto assicurativo, va
poi rilevato che più ci si avvicina al termine di questo, più aumenta la possibilità che fatti che
l’assicurato vorrebbe coperti dall’assicurazione si trovino invece ad essere scoperti in quanto
in relazione ad essi il danneggiato presenta la richiesta di risarcimento dopo il termine
medesimo. È appena il caso di accennare infine al fatto che ogni considerazione e previsione
in materia è complicata dalla concreta possibilità che danneggiato e danneggiante trovino
una concordanza di interessi e quindi un accordo in ordine al momento in cui il primo deve
procedere a detta richiesta allo scopo di farla rientrare nel periodo assicurato. In conclusione
proprio in quanto il contratto di assicurazione per responsabilità professionale con la clau-
sola claims made non rientra nella tipica fattispecie astratta prevista dal legislatore, ma
costituisce un contratto atipico e quindi suscettibile di variare notevolmente da caso a caso,
ogni questione al riguardo (compresa quella circa la vessatorietà o meno della clausola di cui
al motivo di ricorso successivo) va affrontata caso per caso in relazione al concreto conte-
nuto del singolo contratto in questione (e, tra l’altro, al particolare tipo di responsabilità
professionale oggetto di assicurazione)”.
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saggi e approfondimenti 553

apportato ad entrambe le parti, quali la già riferita copertura di errori


professionali progressi, quanto all’assicurato, ed una maggiore razionalità
nella appostazione a bilancio di fondi rischi, quanto all’assicuratore.
Se però non ci si limita alle massime delle sentenze riguardate come
favorevoli alla validità di tali clausole, ci si avvede che i casi decisi hanno
fortemente condizionato le decisioni concrete, che non possono dunque
essere generalizzate.
In motivazione di Cass. 15 marzo 2005 n. 5624 – una delle sentenze
spesso indicate in tal senso – si legge: “In conclusione va enunciato il
seguente principio di diritto: il contratto di assicurazione della responsa-
bilità civile con la clausola claims mode non rientra nella fattispecie astratta
tipica prevista dall’alt. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico (da
ritenersi in linea generale lecito ex art. 1322 c.c.)” (p. 6), aggiungendosi
che “certamente la clausola claims made, pur non corrispondendo alla
previsione legislativa (art. 1917 c.c.) è lecita (si consideri tra l’altro che,
come giustamente osservato dalla parte ricorrente, l’art. 1932 prevede la
non derogabilità, se non in senso più favorevole all’assicurato, del terzo e
quarto comma dell’art. 1917, ma non del primo comma)” (p. 9).
Si tratta, tuttavia, di affermazioni funzionali al rigetto della tesi del-
l’assicuratore, che sosteneva che l’assicurazione claims made non costituis-
se deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c. ma, al contrario, desse precisa
attuazione a tale norma nella quale il termine “fatto” dovesse leggersi
come “richiesta di risarcimento”: tesi rigettata dalla Cassazione anche sulla
base di quanto ricordato supra. Ne residuava cosı̀, secondo la Corte,
un’inammissibile censura al merito dell’interpretazione della clausola fatta
dalla Corte di appello, secondo cui l’ambiguità e contraddittorietà del
contratto non consentivano di ritenere concordata tra le parti una limita-
zione della garanzia alle richieste di risarcimento formulate durante il
periodo di efficacia della polizza.
La conferma della decisione di appello veniva poi anche dal mancato
accoglimento (11), da parte della Cassazione, dell’ulteriore motivo di ricor-
so, che lamentava l’avvenuta qualificazione della clausola, in secondo gra-
do, come vessatoria e pertanto invalida ex art. 1341 c.c. in quanto non
specificamente approvata per iscritto.

(11) In primo luogo per inammissibilità, “dato che l’applicabilità dell’art. 1341 c.c. con
le relative conseguenze costituisce solo la seconda ratio decidendi [della sentenza di appello];
e che perciò la sentenza resterebbe comunque ferma sulla base dell’autonoma e prima ratio
decidendi sopra considerata, oggetto del primo motivo di ricorso”; in secondo luogo perché
comunque il motivo è stato ritenuto “privo di pregio”.
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La sentenza di Cassazione, dunque, ha da un lato affermato in astratto


la liceità ex art. 1322 c.c. del contratto atipico di assicurazione R.C. claims
made, nel decidere che esso costituisce comunque deroga all’art. 1917,
comma 1˚, c.c.; dall’altro, tuttavia, ha confermato la qualificazione della
clausola, data in appello, come vessatoria perché limitativa della respon-
sabilità. La motivazione della sentenza di appello, per come richiamata
dalla Cassazione (p. 8), faceva infatti riferimento alla ritenuta applicabilità
della “sanzione di inefficacia che l’art. 1341 c.c. prevede per le clausole
vessatorie, comportando essa [la clausola claims made], con la definizione
e precisazione di una copertura per rischi normalmente fuori da un con-
tratto di assicurazione ed escludendo i rischi per i quali di solito ci si
assicura per eventi collegati alla colpa professionale, una evidente limita-
zione di responsabilità, che avrebbe dovuto quanto meno essere approvata
specificamente per iscritto al fine di rendere edotto l’assicurato dello spo-
stamento del rischio assicurato rispetto a quello che solitamente viene
munito di copertura assicurativa in caso di colpa professionale (...)”.
La motivazione della Corte d’appello ivi richiamata pare non piena-
mente corretta sotto il profilo formale, perché, come osservavo nel 1997, è
difficile qualificare le clausole claims made come limitative della responsa-
bilità del predisponente, piuttosto che determinative dell’oggetto del con-
tratto: esse effettivamente riducono l’oggetto della obbligazione primaria
dell’assicuratore, quella indennitaria, ma l’effetto di tali clausole unilate-
ralmente predisposte è tuttavia quello di incidere in senso sfavorevole
sull’aderente con una riduzione dell’oggetto della prestazione del predi-
sponente. È verosimilmente per questo che parte della giurisprudenza
richiama, pur impropriamente, l’elencazione dell’art., 1341, comma 2˚,
c.c., per concludere nel senso della vessatorietà delle clausole claims ma-
de, con una qualificazione che, a ben vedere, è di tipo “sostanzialistico” e
funzionale a richiedere la piena consapevolezza dell’assicurato sul reale
oggetto del contratto di assicurazione r.c. cui sta aderendo, perché più
restrittivo rispetto al modello legale.
Anche la successiva sentenza della Cassazione 17 febbraio 2014 n.
3622 (12) solo apparentemente può registrarsi come approvazione incon-
dizionata della predisposizione unilaterale dell’oggetto del contratto di
assicurazione della responsabilità civile nella variante del claims made.
Infatti, se da un lato è pur vero che con tale precedente la Cassazione
ha concluso nel senso della validità della clausola claims made, tuttavia

(12) Pubblicata per esteso sul sito istituzionale della Corte (www.cortedicassazione.it).
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saggi e approfondimenti 555

l’esame della fattispecie decisa fa emergere con chiarezza che in quel caso
la nullità della clausola avrebbe giovato alla compagnia assicuratrice pre-
disponente: un caso emblematico, potremmo dire, di venire contra factum
proprium, probabilmente considerato come tale dalla Corte.
Il caso deciso era infatti proprio uno di quelli – rari – in cui la struttura
claims made avrebbe operato a vantaggio dall’assicurato per errori com-
messi in un periodo per il quale non aveva garanzie: come si legge nella
sentenza, “l’illecito addebitato all’assicurato risale agli anni 1990 – 1991,
cioè a data anteriore a quella del 30 dicembre 1994, da cui decorre l’effi-
cacia della polizza di assicurazione (p. 4) e come osserva la Corte, “le
clausole claims made sono predisposte dallo stesso assicuratore, nelle con-
dizioni generali di contratto; è pertanto da ritenere che, nella parte in cui
prevedono effetti vantaggiosi per l’assicurato, siano frutto di scelte medi-
tate e consapevoli, nonché di un’attenta valutazione dei rischi e della
rimuneratività del corrispettivo convenuto come premio, pur in relazione
ai sinistri verificatisi in data anteriore” (p. 8-9).
Il professionista assicurato – in quel caso un dottore commercialista –
ricevuta dal cliente, successivamente all’entrata in vigore del contratto di
assicurazione, una richiesta di risarcimento riferita ad errore professionale
(errata compilazione delle dichiarazioni Iva) occorso in precedenza ma non
ancora azionato alla data di stipulazione della polizza, si era visto in primo e
secondo grado rigettare la domanda di manleva verso l’assicuratore per la
ritenuta nullità della clausola claims made sotto il profilo della inassicura-
bilità del rischio pregresso: tecnicamente una nullità del contratto assicu-
razione, dunque, per mancanza di alea ex art. 1895 c.c.
Verosimilmente considerando che la tutela dell’assicuratore, in caso di
negoziazione di una clausola claims made, risiede nei rimedi previsti agli
artt. 1892 e 1893 c.c. piuttosto che nella nullità ex art. 1895 (e 1904) c.c.,
la Cassazione ha ritenuto che l’assicuratore fosse obbligato all’indennizzo
proprio in forza della clausola claims made, rilevando che “la sentenza
impugnata ha ingiustificatamente equiparato il caso in esame a quello di
inesistenza del rischio, mentre in realtà nel caso in esame un’alea esiste,
pur se di natura e consistenza diverse da quella avente ad oggetto i com-
portamenti corposi del professionista. (…) L’alea non concerne compor-
tamenti passati nella loro materialità, ma la consapevolezza da parte del-
l’assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare
danno a terzi” (p. 7) concludendo che “ sotto alcun aspetto pertanto
appare giustificato, nel caso in esame, il diniego di efficacia alla clausola
claims made, poiché la domanda risarcitoria è stata proposta contro l’assi-
curato in corso di validità della polizza; non risulta che questi fosse con-
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sapevole degli illeciti commessi, né dell’intenzione del cliente di agire in


responsabilità nei suoi confronti, alla data della sottoscrizione della po-
lizza” (13).
Le peculiarità del caso ivi trattato davano dunque pienamente ragione
della decisione in punto di validità della clausola claims made, ma non già
in maniera indistinta e generalizzata, bensı̀ perché la clausola era operante,
in quel caso, a favore dell’assicurato: ciò che del resto è assai bene espli-
citato dall’obiter dictum di tale sentenza, ove si distinguono ipotesi diffe-
renti – quelle qui da me ipotizzate – “in cui la clausola claims made è stata
invocata per escludere la copertura assicurativa, pur essendosi il sinistro
realizzato nel pieno vigore del contratto di assicurazione, in quanto la
domanda risarcitoria è stata per la prima volta proposta dopo lo sciogli-
mento del contratto medesimo (cfr. Cass. 15 marzo 2005, n. 5624). In
questo secondo caso la clausola potrebbe effettivamente porre problemi di
validità, venendo a mancare, in danno dell’assicurato, il rapporto di corri-
spettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo, per il solo
fatto che la domanda risarcitoria viene proposta dopo lo scioglimento del
contratto (come frequentemente avviene – ben più che nel caso opposto
qui considerato – in tema di responsabilità professionale)”. Ma – giusta-
mente soggiungeva il consigliere relatore – “ trattasi di questione che qui
non si pone, sulla quale quindi non vi è luogo a pronunciare”.
Pur nella sua sinteticità, tale sentenza implicitamente dunque distingue
tra due operatività della clausola claims made.
A) La prima, cui si rivolge il decisum, che possiamo etichettare come
claims made in funzione di copertura retroattiva rispetto al modello loss
occurence dell’art. 1917, comma 1˚, c.c.: clausola lecita perché sussiste pur
sempre un’alea, ancorché “putativa”.
B) La seconda, quella che più di frequente è alla base del contenzioso,
in cui la clausola claims made opera come restrizione dell’oggetto del
contratto quale emergente dall’art. 1917, comma 1˚, c.c., trattata nell’obiter
dictum sopra riportato, perplesso sulla persistenza del “rapporto di corri-
spettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo”, vale a
dire sull’esistenza di una causa, nella sua accezione di giustificazione dello
spostamento patrimoniale, per il premio pagato all’assicuratore.
E veniamo alla più recente sentenza, a Sezioni Unite, 6 maggio 2016,
n. 9140

(13) Cass. 17 febbraio 2014, n. 3622.


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saggi e approfondimenti 557

Con tale decisione la Cassazione ha rigettato le censure di validità


formulate dai ricorrenti riguardo alla clausola claims made osservando,
in motivazione, che “la prospettazione dell’immeritevolezza è, in via di
principio, infondata con riferimento alle clausole c.d. pure, che, non pre-
vedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la
rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito, mentre l’esito dello
scrutinio sembra assai più problematico con riferimento alle clausole c.d.
impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la
copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, inter-
vengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento”.
Tale apparente apertura per le clausole claims made c.d. pure non va
sopravvalutata, perché non lo consente la peculiarità fattuale del caso
deciso, che avrebbe escluso la copertura anche se il contratto fosse stato
del tipo loss occurence. La sentenza, poi, si caratterizza principalmente per
quanto si afferma con gli obiter dicta che chiudono la motivazione.
Anzitutto il caso deciso, pur avendo ad oggetto una clausola c.d.
impura – quella che in astratto è più sfavorevole per l’assicurato perché
subordina la copertura al duplice requisito sia del compimento della con-
dotta sotto la vigenza del contratto (come nel modello loss occurence), sia
del ricevimento della richiesta di risarcimento nel medesimo periodo di
efficacia del contratto – vedeva in concreto il mancato ricorrere di entram-
bi gli elementi fattuali durante il periodo di polizza.
Si legge nella sentenza (p. 8): “Merita evidenziare, sul piano fattuale: a)
che il sinistro, e cioè l’omessa diagnosi dei cui effetti pregiudizievoli [il
danneggiato] ha chiesto di essere ristorato, si è verificato nell’agosto 1993;
b) che l’arco temporale di vigenza della polizza dedotta in giudizio andava
dal 21 febbraio 1996 al 31 dicembre 1997, con effetto retroattivo al trien-
nio precedente; c) che la copertura assicurativa era in ogni caso limitata
alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato
durante il periodo di operatività dell’assicurazione, e quindi entro il 31
dicembre 1997; d) che nella fattispecie la domanda del paziente venne
avanzata nel giugno 2001”.
Né dunque una struttura loss occurence, né quella claims made (pura)
avrebbero in tale caso consentito di ritenere operante la garanzia assicu-
rativa.
La recente sentenza tuttavia si chiude con alcuni obiter dicta di indub-
bia importanza per il tema generale del controllo sulla validità delle clau-
sole claims made e per la delineazione di un criterio volto – per usare le
parole della Corte – a “stabilire fino a che punto i paciscenti possano
spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contrat-
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558 le nuove leggi civili commentate 3/2016

to e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia
in concreto idonea ad avvelenarne la causa. Non a caso, al riguardo, la tesi
della nullità viene declinata nella ben più scivolosa chiave della immerite-
volezza di tutela dell’assicurazione con clausola claims made, segnatamente
di quella mista, in ragione della significativa delimitazione dei rischi risar-
cibili, del pericolo di mancanza di copertura in caso di mutamento del-
l’assicuratore e delle conseguenti, possibili ripercussioni negative sulla
concorrenza tra le imprese e sulla libertà contrattuale”.
Il preoccupato impegno della Corte nel discettare, pur obiter, di tale
tema generale è già percepibile per la terminologia figurata ed evocativa
che viene usata: le Sezioni Unite considerano che una “manipolazione” del-
lo schema tipico del contratto – potremmo dire: una restrizione unilaterale
dell’oggetto del contratto delineato dalle norme, pur dispositive, di parte
speciale – possa portare addirittura ad un “avvelenamento” della causa, qui
intesa nella accezione bettiana di funzione economico-sociale del con-
tratto.
La Corte valutando “i possibili esiti di uno scrutinio di validità con-
dotto sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime
legale contrattualmente stabilita” (p.16), prende a riferimento, da un lato,
la disciplina consumeristica e, dall’altro, la recente legislazione speciale che
impone l’obbligo di assicurazione r.c. ai professionisti.
Sotto il primo profilo, si osserva “che, laddove risulti applicabile la
disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, l’indagine
dovrà necessariamente confrontarsi con la possibilità di intercettare, a
carico del consumatore, quel “significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto” presidiato dalla nullità di protezione, di
cui all’art. 36 d.lgs. n. 206 del 2005”.
L’osservazione è di poco momento pratico perché è assai difficile
ipotizzare che chi contrare un’assicurazione RC professionale possa quali-
ficarsi come consumatore. Ciò di cui è consapevole la stessa Cassazione,
che tuttavia sembra richiamare tale ipotesi residuale per evidenziare “la
maggiore incisività del relativo scrutinio. Questo, in quanto volto ad assi-
curare protezione al contraente debole, non potrà invero che attestarsi su
una soglia di incisione dell’elemento causale più bassa rispetto a quella
necessaria per il positivo riscontro dell’immeritevolezza, affidato ai principi
generali dell’ordinamento”, segnalando analoga esigenza di un penetrante
sindacato nel più frequente “contesto caratterizzato dalla spiccata asimme-
tria delle parti e nel quale il contraente non predisponente, ancorché in
tesi qualificabile come “professionista”, è, in realtà, il più delle volte
sguarnito di esaustive informazioni in ordine ai complessi meccanismi
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saggi e approfondimenti 559

giuridici che governano il sistema della responsabilità civile; dall’altro, di


tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresi altri profili della disci-
plina pattizia, quali, ad esempio, l’entità del premio pagato dall’assicurato,
cosı̀ in definitiva risolvendosi in un giudizio di stretto merito che, se
adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità”: il perio-
dare sembra indicare dunque uno speciale cave, al giudice di merito, nel
vaglio di meritevolezza della causa del contratto, specie di fronte alle
asimmetrie di rapporti tra professionisti uno dei quali in posizione di
minorità (il c.d. terzo contratto) (14).
Sotto il secondo profilo – quello relativo alla recente legislazione spe-
ciale che impone l’obbligo di assicurazione RC ai professionisti – si legge
nella sentenza che “non possono queste Sezioni Unite ignorare la delicata
questione della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione,
in taluni settori, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa
all’esercizio della propria attività”. Cosı̀ prosegue la Corte: “Ciò posto, e
rilevato che è stata da più parti segnalata l’incongruenza della previsione di
un obbligo per il professionista di assicurarsi, non accompagnata da un
corrispondente obbligo a contrarre in capo alle società assicuratrici, quel
che in questa sede rileva è che il giudizio di idoneità della polizza diffi-
cilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made,
la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura. È
peraltro di palmare evidenza che qui non sono più in gioco soltanto i
rapporti tra società e assicurato, ma anche e soprattutto quelli tra profes-
sionista e terzo, essendo stato quel dovere previsto nel preminente inte-
resse del danneggiato, esposto al pericolo che gli effetti della colpevole e
dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio
della stessa, definitivamente a suo carico. E di tanto dovrà necessariamente
tenersi conto al momento della stipula delle “convenzioni collettive nego-
ziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”,
nonché in sede di redazione del decreto presidenziale chiamato a stabilire,
per gli esercenti le professioni sanitarie, le procedure e i requisiti minimi e
uniformi per l’idoneità dei relativi contratti” (p. 16).

5. La causa come strumento di controllo dell’unilaterale determinazione


dell’oggetto del contratto.
Possiamo dunque tirare le fila degli obiter dicta sopra riportati.

(14) GITTI e VILLA (a cura di.), Il terzo contratto, Bologna, 2008.


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560 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Secondo la giurisprudenza della Cassazione cui si è fatto cenno, la


validità della clausola claims made, per la parte (cfr. supra, lett. B) che
impedisce copertura assicurativa per condotte colpose pur poste in essere
durante la vigenza del contratto ma per le quali le richieste risarcitorie non
vengano formulate durante il medesimo periodo – (e dunque al di fuori
del non frequente caso (cfr. supra, lett. A) in cui la clausola sia funzionale
ad una consapevole e condivisa copertura, dietro un premio a ciò commi-
surato, anche di pregressi eventuali errori professionali non ancora tradot-
tisi in una richiesta di risarcimento) – può essere sindacata sotto il profilo
della mancanza o non meritevolezza della causa contrattuale.
Gli obiter della Cassazione impiegano il termine causa in una duplice
accezione (15).
Nel primo senso è l’obiter di Cass. 3622/2014, secondo cui “la clausola
potrebbe effettivamente porre problemi di validità, venendo a mancare, in
danno dell’assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del
premio e il diritto all’indennizzo”, laddove il riferimento alla mancanza di
causa è relativo alla causa come “giustificazione del sacrificio patrimoniale
dell’assicurato”.
Nel secondo senso è l’obiter di Cass. S.U. 9140/2016, che richiama
uno “scrutinio di validità condotto sotto il profilo della meritevolezza di
tutela della deroga al regime legale contrattualmente stabilita”, ove invece
il richiamo ad un sindacato sulla meritevolezza del contratto allude alla
causa nell’accezione, sintetizzata dalla Relazione al codice, di “funzione
economico-sociale” del contratto (16).
Si tratta di obiter dicta che segnalano l’esigenza e la praticabilità, da
parte della giurisprudenza, di un sindacato sull’equilibrio giuridico (17) del

(15) Su tali diverse accezioni del concetto di causa, rinvio a DELFINI, Causa ed auto-
nomia privata nella giurisprudenza di legittimità e di merito: dai contratti di viaggio ai derivati
sul rischio di credito, in Studi in onore di Giorgio De Nova, Milano, 2015, pp. 987 ss. e, con
prospettiva comparatistica, a DELFINI, Cause and Consideration
th
in Canadian Contract Law: a
Civil Lawyer’s Perspective, (Lecture delivered on 6 January 2016 at Peter A. Allard School
of Law, University of British Columbia, Vancouver, BC Canada), in Riv. dir. priv., 2016, n.
2, pp. 111- 117.
(16) Relazione del Ministro Guardasigilli, par. 613, Roma, 1943, p. 392.
(17) Tra i principi generali cui è ancora informato l’ordinamento privatistico non vi è né
quello di proporzione oggettiva dei sacrifici patrimoniali dei contraenti, né quello di equi-
valenza soggettiva tra le prestazioni (cfr. CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano,
1966, p. 303 ss. e p. 312 ss.) cosı̀ che icasticamente si è potuto affermare che “La giustizia
del prezzo è nella legalità della sua formazione: in ciò, che venditori e compratori abbiano
osservato le regole della gara” (IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, p. 70); più di
recente, sempre con grande efficacia descrittiva, si è sintetizzato: “nessuna delle regole
concernenti il controllo di funzionalità del contratto è diretta a controllare istituzionalmente
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saggi e approfondimenti 561

contratto anche se concluso tra soggetti di status eguale, laddove tale


sindacato è ormai esplicitamente riconosciuto dall’ordinamento nei con-
tratti c.d. B2C, tra soggetti di status diseguale.
Come è noto, la disciplina di tutela del consumatore, originariamente
prevista nell’art. 1469 bis c.c. e, ora, nell’art. 33 c.cons., dà rilevanza, quale
ipotesi di nullità di protezione, al significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto in danno del consumatore e con violazione
del precetto di buona fede da parte del professionista. Il comma 2˚ del
successivo art. 34 c.cons. precisa tuttavia che la valutazione del carattere
vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del
contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché
individuati in modo chiaro e comprensibile e quest’onere di trasparen-
za (18), funzionale alla consapevole adesione al contenuto contrattuale uni-
lateralmente predisposto dal professionista, può forse leggersi in filigrana
nell’eterodossa qualificazione giurisprudenziale della clausola claims ma-
de come clausola vessatoria ex art. 1341 c.c. nei contratti per adesione tra
professionisti, che non possono giovarsi dell’applicazione del codice del
consumo.
Segnali della rilevanza dell’equilibrio contrattuale si possono inoltre
cogliere, anche al di là del settore dei contratti dei consumatori, nell’art.
9 della l. n. 192/98 in tema di subfornitura (oltre che nell’art. 3.10 dei
Principles Unidroit e nell’art. 4:109 dei PECL). Manca tuttavia una norma
volta a consentire esplicitamente un sindacato sull’equilibrio giuridico del
contratto tra soggetti formalmente eguali, nell’area del c.d. B2B. E tuttavia
l’esigenza di tale controllo si manifesta prepotentemente allorché vi sia
predisposizione unilaterale del contratto e adesione necessitata di un pro-
fessionista di non eguale forza contrattuale.

l’adeguatezza del rapporto tra le prestazioni, a valutare se ciò che una parte ha dato o
promesso è adeguatamente remunerato da ciò che dall’altra parte a lei si è dato o promesso:
a garantire insomma l’equità dello scambio, il rispetto dei principi di giustizia commutativa”
(ROPPO, voce Contratto, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 135 ss.;
in passato, sulla medesima posizione, GATTI, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con
prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 443). La posizione è condivisa in
giurisprudenza (da ultimo, Cass. n. 22567/2015, in Contratti, 2016, 559, ove si legge, in
motivazione: «(…) nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che
opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Si ritiene
dunque che, salvo particolari esigenze di tutela, le parti sono i migliori giudici dei loro inte-
ressi»).
(18) Sui molteplici profili della trasparenza e dell’informazione nel contratto, in passato,
DE NOVA, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1993, p. 705 ss.
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562 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Il caso qui in esame, dell’unilaterale predisposizione dell’oggetto del


contratto in senso riduttivo rispetto al modello legale è emblematico di tale
esigenza.
E la scelta dello strumento del controllo causale, indicata negli obi-
ter sopra richiamati, potrebbe consentire di applicare, anche nel caso qui
trattato, il concetto di causa non già in funzione invalidante del contratto
(o di una sua parte), quanto per operare un’interpretazione correttrice del
contratto medesimo.
Ciò è già stato fatto in passato dalla Cassazione in tema di assicura-
zione, ancorché in una fattispecie diversa coinvolgente un assicurato non
professionista.
Il caso deciso da Cass. 12 novembre 2009, n. 23941 (19) era quello di
un appassionato di volo sportivo che, nella consapevolezza della rischio-
sità di esso e con l’intento di assicurare, qualora fosse avvenuto un
incidente mortale, il soddisfacimento dei bisogni economici della propria
famiglia, aveva provveduto a stipulare un contratto di assicurazione per il
caso di morte, ed a pagare cospicui premi per lungo tempo, malgrado le
proprie condizioni economiche non fossero particolarmente floride. Ve-
rificatosi purtroppo un incidente mortale allorché il marito contraente
l’assicurazione era alla guida di un velivolo ultraleggero, la vedova chie-
deva alla compagnia il pagamento dell’indennizzo previsto in contratto e
si sentiva opporre la mancata copertura assicurativa, esito, nella prospet-
tazione dell’assicuratore, della delimitazione convenzionale dell’oggetto
del contratto.
Ivi la Cassazione ha impiegato il concetto di “causa in concreto” in
funzione ermeneutica, per garantire efficacia al vincolo contrattuale in
senso conforme al legittimo affidamento dell’assicurato, ed ha ricostruito
estensivamente l’oggetto del contratto, per contrastare un’evidente deter-

(19) Cass. 12 novembre 2009, n. 23941, in Rep. Foro it., 2010, voce Assicurazione
(contratto), n. 114 e in Giur. it., 2010, p. 1560, cosı̀ massimata: “Causa del contratto è lo
scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente
diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica
negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (nella specie, la suprema corte ha cassato
la sentenza di merito che – in relazione ad un contratto di assicurazione sulla vita stipulato
da un privato per il rischio connesso allo svolgimento dell’attività di volo sportivo o da
diporto – aveva interpretato la clausola contrattuale che escludeva dall’assicurazione l’ipotesi
di volo a bordo di aeromobile non autorizzato senza tener presente in modo adeguato la
finalità concreta che l’assicurato intendeva perseguire con la stipula del contratto, tanto più
che l’incidente si era verificato mentre questi viaggiava a bordo del proprio veicolo da
diporto, peraltro privo delle caratteristiche di un «aeromobile»)”.
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saggi e approfondimenti 563

minazione del medesimo, da parte della compagnia di assicurazione pre-


disponente, in senso abusivamente riduttivo (20).

(20) Questi i passaggi centrali della motivazione della sentenza: “(…) la ricorrente, in
sostanza, evidenzia l’erroneità dello stesso, ché esso non tiene conto che più che una
motivazione personale, come configurata dal giudice dell’appello, l’aver sottoscritto quella
polizza era dovuto al fatto esclusivo e imprescindibile che l’assicurato intendeva tutelarsi dai
rischi del volo che avrebbe potuto correre, essendo egli in possesso di brevetto e amante del
volo da diporto. Peraltro, rileva la ricorrente, “lo S. ha versato in premi la somma non
trascurabile, considerando la sua posizione modesta, di L. 40.000.000 circa ed ha praticato
la propria attività sportiva nella tranquillità relativa di aver pensato ai bisogni della propria
famiglia nel caso malaugurato d incidente” (p. 17 ricorso). In altri termini, si censura la
sentenza impugnata per non aver interpretato la clausola proposta in favore del soggetto
assicurato-consumatore, tenendo conto dell’intenzione della parte – S. – e del comporta-
mento complessivo, anche posteriore alla stipulazione del contratto e, quindi, in sostanza
aver considerato la causa astratta del contratto e non già la causa concreta. 3.-Al riguardo,
ritiene la Corte che la censura nella sua sostanza coglie nel segno. Infatti, l’art. 4, cosı̀ come
riportato nella sentenza impugnata – p. 10 – “esclude la garanzia nel caso in cui il decesso
dell’assicurato è causato da incidente di volo, quando questi viaggi a bordo di aeromobile
non autorizzato al volo o con pilota non titolare di idoneo brevetto o, in ogni caso, quale
membro dell’equipaggio”. Questa clausola, allorché esclude la garanzia nei termini predetti,
sta a significare che nella prospettiva motivazionale dello S. essa clausola operava solo se lo
S. avesse viaggiato a bordo di aeromobile (e tale non era il veicolo da diporto), ma qualora lo
S., come accadde, si fosse messo, perché munito di brevetto e delle prescritte autorizzazioni,
a viaggiare e guidare sul suo veicolo, che, ripetesi, per espresso dettato legislativo non è
aeromobile, detta clausola di esclusione della garanzia assicurativa non poteva trovare ap-
plicazione. La fedele trascrizione della motivazione del giudice di appello, di cui sopra,
evidenzia come quel giudice abbia considerato in astratto la causa del contratto assicurativo
stipulato tra le parti. Questa individuazione non risulta conforme ai criteri elaborati da
questa Corte, che con sentenza n. 10490/06 ha, in modo approfondito e convincente, avuto
modo di statuire che la causa “ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale del-
l’atto” non può non essere che “funzione individuale del singolo, specifico contratto posto
in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del
concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione
normativa dei vari tipi contrattuali, si volga al fine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi
hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo
unica) convenzione negoziale” (Cass. n. 10490/06, in motivazione, peraltro, autorevolmente
e recentemente confermata, sia pur a livello di obiter dictum, da Cass. S.U. n. 26793/08, in
tema di risarcimento danno non patrimoniale da contratto). Intesa in tal senso la nozione di
causa del negozio, appare allora evidente, nel caso in esame, che il giudice dell’appello nel
valutare il contratto concluso avrebbe dovuto interrogarsi sul perché lo S. avesse concluso
quel contratto, quali esigenze lo avessero indotto ad assicurarsi in quel modo, ovvero quale
fosse la funzione concreta che quel contratto, peraltro, contenente espressioni ambigue,
veniva a svolgere nel contemperamento degli interessi in gioco anche con la sua aleatorietà.
Di ciò non vi è traccia perché la motivazione valorizza la causa astratta del contratto,
liquidando come irrilevanti, a tal fine, le “motivazioni personali” evidenziate in quella sede
ed ancor prima avanti al tribunale, dalla attuale ricorrente. Il motivo va, quindi, accolto e la
sentenza impugnata va cassata sul punto, dovendo il giudice dell’appello verificare alla luce
del comportamento complessivo tenuto delle parti ed in specie dello S. se quel contratto
aveva in sé una causa concreta individuale, che non poteva e non può essere elusa nell’in-
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564 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Il richiamo seppur sintetico, fatto negli obiter in tema di claims made,


al concetto di causa merita apprezzamento, perché mostra l’implicita con-
sapevolezza del dover ancorare il sindacato sull’equilibrio giuridico del
contratto ad un parametro controllabile a posteriori (21). La certezza del
diritto resta infatti valore primario nel campo del diritto dei contratti e la
Cassazione, richiamando il concetto di causa, mostra di non farsi sedurre
dalla “scorciatoia” che potrebbe leggersi in talune recenti ordinanze della
Corte Costituzionale (22), con potenziali autorizzazioni al più ondivago
soggettivismo nel sindacato sull’equilibrio contrattuale.

6. La disciplina di parte speciale dei tipi contrattuali quale strumento del


controllo sull’equilibrio giuridico del contratto.
Ma se il concetto di causa, nella sua declinazione di causa concreta,
pare indicato, negli obiter riportati, come idoneo strumento di decisione e
controllo sull’equilibrio giuridico dei contratti tra soggetti formalmente
eguali (B2B), un più analitico percorso motivazionale può essere suggerito
muovendo, come mi era parso di poter suggerire alcuni decenni or sono,
dalla stessa disciplina di parte speciale, particolarmente ricca nel nostro
codice.
Nel caso specifico della determinazione unilaterale dell’oggetto del
contratto, qui in esame, il fenomeno da sottoporre a controllo mi pare
possa indicarsi come quello dell’evocazione (con il nomen o con altri con-
trassegni), da parte del predisponente, di un tipo contrattuale e del suo
contemporaneo svuotamento (23) di contenuto in senso sfavorevole all’ade-

dividuazione degli elementi costitutivi anche del contratto di assicurazione, cosı̀ come sotto-
scritto dalle parti in causa”.
(21) Ancorché lo strumento usato – la causa appunto – costituisca, per la propria
ampiezza e voluta indeterminatezza, una clausola generale.
(22) La Corte cost. con ordinanza n. 248/13 ha dichiarato manifestamente la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1385, secondo comma, del codice civile affermando che
“…in punto poi di rilevanza, il Tribunale rimettente (…) non tiene conto dei possibili
margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta
(come, nella specie, egli prospetta) un regolamento degli opposti interessi non equo e
gravemente sbilanciato in danno di una parte. E ciò in ragione della rilevabilità, ex officio,
della nullità (totale o parziale) ex articolo 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto
con il precetto dell’articolo 2 Cost., (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà) che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della
buona fede, cui attribuisce vis normativa, «funzionalizzando cosı̀ il rapporto obbligatorio
alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con
l’interesse proprio dell’obbligato”; ha poi ribadito i medesimi rilievi nella successiva ordi-
nanza n. 77/14, il cui testo riproduce sostanzialmente la prima.
(23) Di “vanificazione concreta delle finalità perseguite dall’utente” parlava, in relazio-
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saggi e approfondimenti 565

rente. Un problema, dunque, di creazione di affidamento e di sua consa-


pevole delusione (abusiva, perché contraria al precetto di buona fede).
Gli strumenti per operare tale controllo possono trarsi dal tipo con-
trattuale e dagli artt. 1322, comma 1˚, 1418 e 1419 c.c.: procediamo per
gradi.
Innanzitutto, vi è la disciplina di ciascun tipo contrattuale, che può
fornire il metro per valutare l’abusività della predisposizione unilaterale
dell’oggetto del contratto. “Evocato”, con il nomen, ovvero aliunde, un
certo tipo contrattuale la parte predisponente non può discostarsi signifi-
cativamente o sistematicamente (24) dalla disciplina del tipo (25), seppur

ne al risalente dibattito sul contratto di cassette di sicurezza, MARICONDA, Cassette di sicu-


rezza: ancora sulla clausola n. 2 delle norme bancarie uniformi, in Corr. giur., 1988, p. 499) –
tuttavia scettico sull’utilizzo del concetto di abuso del tipo in relazione all’art. 1322 c.c. – per
prospettare un’incompatibilità della clausola con l’ordine pubblico, con conseguente nullità,
ex art. 1343 c.c. dell’intero (art. 1419, comma 1˚, c.c.) contratto, ed una tutela (ex art. 1718
c.c. applicato per analogia) dell’utente, pur a fronte del contratto nullo, con attribuzione alla
banca, ex art. 2041 c.c. di adeguato ristoro per il servizio comunque reso.
(24) La deroga sporadica alla disciplina, anche dispositiva, del tipo, potrà ancora co-
stituire indice per la qualificazione, nel senso dell’atipicità, del contratto concreto, ma la
deroga sistematica alla disciplina del tipo evocato imporrà invece un’operazione di controllo
e di espunzione della disciplina derogatrice (sulla rilevanza della “sistematicità” della deroga
al diritto dispositivo, già DI MAJO, Condizioni generali di contratto e diritto dispositivo, in
Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Milano, 1976, p. 65 ss.).
(25) Tale disciplina va ricostruita non solo attingendo alle regole del tipo legale, ma
comprendendo anche le norme che attengono al tipo normativo (cfr. DE NOVA, Il tipo
contrattuale, Padova, 1974, p. 140, nt. 51 e p. 159), tra le quali vi possono essere anche
norme di parte generale sulle obbligazioni, ovvero rinvenibili al di fuori del tipo legale (cfr.
BENATTI, Le clausole di esonero da responsabilità, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale,
Milano, I, 1978, p. 167, secondo cui l’art. 1838, ult. comma, c.c., pur dettato per il deposito
titoli, avrebbe attitudine a fungere da regola generale per ogni ipotesi di responsabilità della
banca, derogando alla regola generale di cui all’art. 1229 c.c., che consente a contrario il
patto di irresponsabilità per colpa semplice), o addirittura fuori del quarto libro del codice
(e talvolta anche espressione di principi generali). Si pensi al seguente caso, pure oggetto di
attenzione giurisprudenziale: un aderente sottoscrive un contratto di assicurazione invalidità
permanente ove designa quali beneficiari anche i propri familiari; non si avvede che vi è una
clausola, che pure sottoscrive agli effetti dell’art. 1341, nella quale la compagnia prevede che
l’indennità assicurativa sia trasmissibile agli eredi esclusivamente allorché sia stata accertata e
liquidata la invalidità permanente prima della morte dell’assicurato, non spettando dunque
alcunché a questi, a termini di polizza, se l’assicurato si ammala e, pur residuandogli una
invalidità permanente nella misura oggetto di copertura, non riesce a farne accertare l’am-
montare per la prematura morte. La clausola indicata costruisce deroga al principio generale
della trasmissibilità mortis causa dei diritti a contenuto patrimoniale, emergente dalla disci-
plina delle successioni: principio che compone, a mio parere, la disciplina del tipo normativo
dell’assicurazione per invalidità permanente, specie se si considera che i contratti standard
per tale tipo di assicurazione prevedono una soglia minima di invalidità permanente assai
alta, il cui raggiungimento può accompagnarsi ad una ridotta possibilità di sopravvivenza
sino alla determinazione convenzionale dell’indennità.
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566 le nuove leggi civili commentate 3/2016

dispositiva, intesa come disciplina ritenuta equa ed adeguata dal legisla-


tore.
In altre parole, in presenza di una contrattazione standard, con la
quale venga evocato un tipo contrattuale, le clausole, unilateralmente pre-
disposte, di determinazione dell’oggetto in senso sfavorevole all’aderente
non andranno considerate quali elementi idonei alla (ri)qualificazione del
rapporto, nel senso della atipicità, quanto quali patti la cui validità va
accertata.
Si tratta qui di salvaguardare l’affidamento ingenerato nell’aderente
(anche se professionista) dal nomen, ovvero da altri connotati qualificativi
dati al contratto concreto dal predisponente. Si tratta, per tale via, di
valorizzare una sorta di “rigidità” del tipo, come limite alla conformazione,
formalmente pattizia ma sostanzialmente unilaterale, del contratto evocato.
Quella che ho chiamato “rigidità” del tipo è stata talvolta espressa-
mente indicata dal legislatore speciale, ma può essere ricavata anche da
una riflessione sistematica.
Ad esempio, una rigidità del tipo fu prevista, per i contratti bancari,
già nell’originaria formulazione dell’art. 117, comma 8˚, t.u.b. (d.lgs. n.
385/93): “La Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti o
titoli, individuati attraverso una particolare denominazione, o sulla base di
specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I
contratti e i titoli difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della
banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni
della Banca d’Italia” (26). La norma è contenuta in una disciplina di setto-
re, mentre il problema del controllo sulla restrizione dell’oggetto del con-
tratto è problema più generale, comune a tutti i contratti standard; essa è
tuttavia indicativa dell’esistenza, nel settore della contrattazione per ade-
sione, di un principio generale di rigidità del tipo, a tutela dell’affidamento
ingenerato nell’aderente dall’evocazione del tipo medesimo.

(26) Ed è significativo che ivi si sia fatto riferimento non solo ai contratti individuati
con specifici nomina, ma anche individuati sulla base di specifici criteri qualificativi, con ciò
consentendo che la rigidità del tipo operi non solo a fronte di una specifica evocazione o
enunciazione di un nomen, ma anche a fronte dell’evocazione sostanziale del tipo, conse-
guente ad altre circostanze (per il rilievo che la norma vieta “di ingannare il cliente giocando
con i nomi”, DE NOVA, Contratti bancari doc, in Contratti, 1993, p. 525). La tutela dell’a-
derente è tuttavia ottenuta nell’art. 117.8 cit. con un mezzo incongruo: la nullità totale del
contratto e la responsabilità del predisponente ex art. 1338 cod. civ., diversamente da
quanto era stato previsto nello schema di Testo Unico al 2 luglio 1993, ove si prevedeva
l’inefficacia delle clausole contrattuali difformi (DE NOVA, Contratti bancari doc, cit., p. 525).
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saggi e approfondimenti 567

7. Il tipo contrattuale in funzione di controllo e di sostituzione.


La disciplina del tipo è assai spesso costituita da norme di natura
dispositiva: ma tale natura esse hanno esclusivamente se sono singolarmen-
te considerate. Prese nel loro complesso, invece, devono essere riguardate
come un corpus che male tollera una deroga sistematica o sostanziale per
opera di una sola delle parti (il predisponente).
Il giudizio va operato talvolta sul quantum della deroga, talvolta sul
quomodo, perché anche la deroga ad una sola norma dispositiva può
talvolta importare scostamenti sostanziali dal tipo. È questo il caso della
restrizione unilaterale dell’oggetto del contratto, specie laddove esso è
descritto e considerato dal codice avendo riguardo alla prestazione carat-
terizzante il tipo (27): se si tratta, come di regola avviene, della prestazione
del predisponente, il tema si declina allora in quello della restrizione
unilaterale dell’oggetto della propria prestazione.
Evocato il tipo e derogatosi unilateralmente in modo sostanziale ad
esso – come è nel caso delle clausole di restrizione dell’oggetto della
prestazione del predisponente, quali sono, per la parte di deroga all’art.
1917 comma 1˚ a sfavore dell’assicurato, le clausole claims made (cfr.
supra, lett. B) – potrà dirsi che queste ultime sono nulle ex art. 1418 c.c.
La giurisprudenza, a fini descrittivi, qualifica l’assicurazione r.c. claims
made come contratto “atipico”, ma esso resta un contratto tipico il cui
contenuto è stato conformato (unilateralmente, nella più parte dei casi) in
difformità della disciplina del tipo: è stato anche di recente condivisibil-
mente osservato, infatti, “come siano numerose le pronunce giudiziarie
nelle quali si parla di “atipicità”, in un senso molto generico è sicuramente
opinabile, allo scopo di descrivere altrettante ipotesi di determinazione del
contenuto di un contratto tipico in maniera difforme rispetto lo schema
legale prescelto” (28).

(27) La prestazione caratteristica del predisponente, nel tipo di riferimento evocato, è


costituita sovente dalla fornitura di servizi (o beni), e dunque da un facere che connota con
evidenza il tipo, mentre la prestazione dell’aderente è costituita da un corrispettivo pecu-
niario, che non connota il tipo, ma funge da semplice3
controprestazione (cfr. SACCO, in
SACCO e DE NOVA, Il contratto, in Trattato Sacco , Torino, 2004, 2, p. 462), cioè bilancia-
mento causale della prestazione caratterizzante dovuta dal predisponente medesimo. Sarà
allora assai difficile, per questo, dimostrare che non si è trattato di riduzione abusiva
dell’oggetto, perché anche la controprestazione è stata ridotta: trattandosi, di regola, di
controprestazione pecuniaria non sarà oggettivamente accertabile con sicurezza se vi sia
stato un correlativo ridimensionamento della medesima.
(28) BRECCIA, Autonomia contrattuale, sub art. 1322, in Comm. Gabrielli, Torino, 2011,
p. 123. L’assicurazione RC claims made rientra appieno nella fattispecie considerata dal
primo comma dell’art. 1322 c.c., quella del contratto tipico con clausole di deroga alla
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568 le nuove leggi civili commentate 3/2016

È necessario dunque valutare se con tale conformazione del contenuto


il predisponente sia restato nei limiti richiamati dall’art. 1322, comma 1˚,
c.c. per l’esplicazione dell’autonomia privata.
La dottrina tradizionalmente non ha assegnato una concreta portata
precettiva al comma 1˚ dell’art. 1322 c.c., limitandosi ad inquadrarlo tra le
norme di sistema, sulla base delle quali sviluppare, per lo più negli anni
‘70, un dibattito sul rapporto tra autonomia privata, ruolo dello Stato e
interesse pubblico.
L’art. 1322, comma 1˚, c.c. può tuttavia oggi meritare un ruolo appli-
cativo concreto, perché, col menzionare la determinazione del contenuto
del contratto ad opera delle parti, pare idoneo a consentire di edificare
una, seppur embrionale, disciplina della determinazione convenzionale
dell’oggetto contrattuale, colmando quella lacuna – evidenziata dalla giu-
risprudenza sulle cassette di sicurezza – cui fa da contrappunto l’espressa
disciplina della limitazione convenzionale di responsabilità (art. 1229
c.c.) (29).
Si tratta allora di riconoscere che la disciplina della prestazione carat-
terizzante il tipo evocato dal predisponente – ancorché non sia dichiarata
inderogabile – può concretare quei limiti imposti dalla legge per i contratti

disciplina del tipo, pur dispositiva: BRECCIA op. ult. cit., p. 122: “La libera determinazione
del contenuto di un contratto, quando il contratto concluso ha una disciplina legale, può
farsi per tramite di una clausola difforme da una disposizione di natura non cogente. In tal
caso i contraenti si limitano a conformare lo schema nominato e tipico nel modo che gli
stessi hanno considerato più adeguato ai loro interessi. (…)” La libera determinazione del
contenuto non è, tuttavia, sconfinata: come si è visto, coesiste, in base al primo comma della
disposizione in esame, con l’imposizione di limiti legali”.
(29) Altra norma che fa riferimento alla determinazione del contenuto del contratto è,
come noto, l’art. 1349 c.c., ma essa disciplina un fenomeno diverso, da quello qui in esame,
sotto due profili: ivi 1) la determinazione dell’oggetto è successiva alla conclusione del
contratto; 2) è affidata ad un terzo e non ad una parte. Si discute se sia possibile, ed in
che limiti, la determinazione unilaterale (e successiva) dell’oggetto del contratto ad opera di
una delle parti: è il tema dell’arbitraggio della parte, appunto. Esso ha trovato risalenti
aperture (cfr. CARRESI, Il contratto, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1987, 1, p. 235, che
lo consentiva, purché compiuto secondo equo apprezzamento) e, più di recente, la tesi
dell’ammissibilità ha potuto trovare spazi argomentativi nella legislazione, seppur di settore,
che ha consentito uno jus variandi unilaterale alla banca o la previsione, nei contratti dei
consumatori, di una clausola che consenta tale potere di modifica unilaterale purché su-
bordinato ad un giustificato motivo. L’attenzione anche monografica al tema resta alta: cfr.
BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale del contratto, Napoli, 2005 e FICI, Il
contratto “incompleto”, Torino, 2005. La dottrina più recente ne attesta ormai la possibilità –
anche ricordando il dato comparatistico e le c.d. fonti persuasive, quali i PECL – appro-
vando il richiamo del canone di buona fede per il controllo a posteriori dell’arbitraggio della
parte (E. GABRIELLI, Dell’oggetto del contratto, sub art. 1349, in Comm. Gabrielli, Torino,
2011, p. 822).
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saggi e approfondimenti 569

tipici cui fa riferimento all’art. 1322, comma 1˚, c.c. E ciò a maggior
ragione nel nostro caso, ove la rilevanza meta- individuale della disciplina
del tipo – segnatamente il modello loss occurence delineato dall’art. 1917,
comma 1˚, c.c. – è enfatizzata oggi dall’obiter delle Sezioni Unite, che
ricordano la funzionalizzazione, all’interesse dei clienti del professionista,
dell’obbligo di assicurazione previsto dalla recente legislazione speciale.
Il monito contenuto nell’obiter delle Sezioni Unite – a tenere in conto,
“al momento della stipula delle “convenzioni collettive negoziate dai con-
sigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti” i potenziali
pregiudizi derivanti dal modello claims made per i terzi danneggiabili
dal professionista – può dunque valere a dare concretezza a quella cate-
goria del contratto in danno del terzo in passato indicata a fini eminente-
mente descrittivi (30). E può consentire di intravedere oggi nell’art. 1917,
comma 1˚, c.c., con maggiore fondamento ed urgenza, uno dei “limiti”
all’autonomia privata richiamati dall’art. 1322, comma 1˚, c.c. cit. (31).
La deroga all’art. 1917, comma 1˚, c.c. nella misura che si rivolga al
futuro – e cioè escluda dalla copertura (cfr. supra, lett. B) sinistri verifica-
tisi vigente la polizza ma posti a base di richieste di risarcimento successive
alla cessazione della stessa (come consentito dal lungo termine prescrizio-
nale) – costituirà dunque violazione dell’art. 1322, comma 1˚, con conse-
guente nullità ex art. 1418, comma 1˚, c.c. (32).
Si tratterà di nullità parziale, delle clausole di restrizione abusiva del-
l’oggetto della prestazione caratterizzante il tipo: a ciò non conseguirà la
nullità dell’intero contratto, perché le clausole nulle verranno sostitute, ex

(30) MESSINEO, Il contratto in genere, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1972, 2, p. 119.


(31) Non ostandovi la circostanza che il comma 1˚ dell’art. 1917 cod. civ. non sia
ricompreso dall’art. 1932 c.c. tra le norme inderogabili a sfavore dell’assicurato, perché tale
elenco fu compilato nel 1942 senza aver riguardo all’interesse dei terzi, oggi enfatizzato dalla
Cassazione.
(32) In tal senso, sempre in relazione all’ormai risalente dibattito sui contratti di cassette
di sicurezza, CASTRONOVO, La responsabilità da cassette di sicurezza, in Le operazioni banca-
rie, a cura di Portale, Milano, I, 1978, p. 500, che parlava di “abuso del tipo”: “Quando la
materia o sostanza del rapporto risulti irriducibile alla forma utilizzata, la discrasia che viene
a crearsi tra l’una e l’altra si concreta in un abuso del tipo, in una utilizzazione deviante di
esso, che l’ordinamento non può consentire. A questa conclusione (...) sembra dare confer-
ma sul piano normativo l’art. 1322 co. 1, allorché attribuisce ai contraenti il potere di
“liberamente determinare il contenuto del contatto nei limiti imposti dalla legge”. Una volta
cioè che le parti abbiano inteso riversare il loro accordo in una delle forme previste dalla
legge, non abbiano cioè inteso correre l’avventura dei “contratti che non appartengono ai
tipi aventi una disciplina particolare”, cui fa riferimento l’art. 1322, co. 2, esse non possono
stravolgere il tipo prescelto (...)”, concludendo per la nullità ex art.1418, comma 1˚, c.c.,
dell’art. 2 delle norme bancarie uniformi in tema di cassette di sicurezza.
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570 le nuove leggi civili commentate 3/2016

art. 1419, comma 2˚, c.c. da un materiale di sostituzione (la disciplina del
tipo) che ben può essere di natura dispositiva (33).
Il tipo contrattuale può cosı̀ mostrare ancora attuale utilità: non servirà
qui a disciplinare un contratto atipico del quale manchi una disciplina ma,
delineato il tipo evocato dal predisponente, assolverà in un primo momen-
to alla funzione di integrare i limiti, di cui all’art. 1322 c.c., per fondare il
controllo sull’unilaterale determinazione dell’oggetto del contratto e per
giungere alla nullità (parziale) della disciplina abusiva; fornirà, in un se-
condo momento, il materiale di sostituzione delle clausole abusive espun-
te (34). Per tale via il controllo dell’abuso del tipo risulterà praticabile con
maggiore oggettività e meglio controllabile a posteriori.

(33) DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente
approvate per iscritto, in Riv. dir. civ., 1976, II, pp. 487-489.
(34) Con raffinatezza giungeva ad un risultato analogo, per altra via, GENTILI, (Merito e
metodo nella giurisprudenza sulle cassette di sicurezza: a proposito della meritevolezza di tutela
del contratto “atipico”, in Riv. dir. comm., I, 1989, 238 ss., p. 244), che prospettava una
valutazione della “interna congruenza” e della eventuale “contraddizione causale” del patto
atipico, rapportandolo alle “norme inderogabili su pezzi di contratto”.
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GIANLUCA GUERRIERI (*)


Professore nell’Università di Bologna

LA RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
NELL’IMPRESA IN CRISI (1)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I doveri degli amministratori di società in crisi. – 2.1. Crisi


patrimoniale. – 2.2. Crisi finanziaria sfociata in insolvenza. – 2.3. Crisi finanziaria non
sfociata in insolvenza. – 3. Le azioni di responsabilità nelle procedure di crisi. – 3.1.
Piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti. – 3.2. Concordato
preventivo. – 3.2.1. L’azione sociale di responsabilità. – 3.2.2. L’azione di responsabi-
lità dei creditori sociali. – 3.2.3. Proposta di concordato preventivo ed azione di
responsabilità dei creditori sociali.

1. Premessa.
Trattare di responsabilità degli amministratori di imprese in crisi ri-
chiede di affrontare due ordini di problemi che possono e devono essere
mantenuti distinti: da un lato, l’individuazione dei doveri che incombono
sugli organi gestori di società in crisi (2), doveri il cui inadempimento può
determinare l’insorgere di profili di responsabilità a carico dei loro com-
ponenti; d’altro lato, l’individuazione delle modalità attraverso cui, negli
enti societari in stato di crisi, la responsabilità di detti soggetti può essere
fatta valere.
Si tratta di questioni che, nell’ordinamento italiano (3), sono discipli-
nate in parte da norme di diritto societario, in parte da norme di diritto

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) Il presente scritto costituisce la rielaborazione della relazione tenuta dall’Autore nel
corso del convegno scientifico dedicato a «La responsabilità degli amministratori di società»,
svoltosi a Bolzano in data 27 novembre 2015, ed è destinato alla pubblicazione negli Atti del
convegno.
(2) Dovendosi trattare della responsabilità dei componenti gli organi amministrativi di
enti esercenti attività di impresa, si prenderà in considerazione, in particolare, la posizione
degli amministratori di società: gli enti deputati, per eccellenza, all’esercizio delle attività di
cui all’art. 2082 c.c. Particolare attenzione, in particolare, verrà rivolta alla disciplina delle
società per azioni, cercando, tuttavia, di ampliare il discorso – perlomeno implicitamente –
ai diversi tipi sociali presi in considerazione dal nostro sistema giuridico.
(3) Il solo a cui è dedicata la presente trattazione.

NLCC 3/2016
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572 le nuove leggi civili commentate 3/2016

concorsuale: scelta – comune anche ad altri sistemi giuridici – in grado di


determinare problematiche di non poco momento ogni qual volta si apra
una procedura concorsuale che, sulla base delle norme in tema di insol-
venza transfrontaliera (4), assoggetti le azioni di responsabilità nei confron-
ti degli amministratori ad una legge diversa da quella loro applicabile nel
periodo in cui la società era in bonis; essendo evidente che, indipendente-
mente dal contenuto della lex concursus, la stessa non dovrebbe mai com-
portare l’accertamento, in capo agli amministratori, di profili di responsa-
bilità derivanti da azioni od omissioni che, sulla base della lex societatis,
dovevano considerarsi legittime (5).

2. I doveri degli amministratori di società in crisi.


Il dibattito relativo ai doveri che incombono in capo agli amministra-
tori di società in crisi (6) si è rivitalizzato, in Italia, alla luce delle norme di

(4) E v. il reg. CE n. 1346/2000 e il reg. UE n. 848/2015, che per previsione dell’art. 92


si applica, salvo sia diversamente disposto, a partire dal 26 giugno 2017.
(5) La conclusione riportata nel testo pare doversi imporre, in via ermeneutica, in
applicazione del principio per cui a nessuno possono essere imputati gli effetti negativi di
un comportamento a cui non era – né poteva sapere di essere – tenuto.
(6) Crisi che – stante il tema oggetto del presente contributo – si considererà già
manifestata, perlomeno agli occhi degli amministratori; rimanendo dunque estranea alla
presente trattazione la serie di problematiche inerenti i doveri degli amministratori aventi
ad oggetto la tempestiva rilevazione della crisi. Su tali questioni, e sui temi trattati nel testo,
v., ex multis, NIGRO, “Principio” di ragionevolezza e regime di responsabilità degli ammini-
stratori di s.p.a., in Giur. comm., 2013, I, p. 457 ss.; SACCHI, La responsabilità gestionale nella
crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, p. 304 ss.; MONTALENTI, La gestione
dell’impresa di fronte alla crisi, in Riv. società, 2011, p. 820 ss.; D’ALESSANDRO, La crisi
dell’impresa tra diagnosi precoci e accanimenti terapeutici, in Giur. comm., 2001, I, p. 411
ss. (ove, a p. 473, riferimenti alla Guida legislativa sull’insolvenza elaborata dall’Uncitral);
STANGHELLINI, Directors’ duties and the optimal timing of insolvency. A reassessment of the
“recapitalize or liquidate” rule, in BENAZZO, CERA e PATRIARCA (diretto da), Il diritto delle
società oggi - Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, Torino, 2011, p.
733 ss.; GALLETTI, L’insorgere della crisi e il dover essere nel diritto societario. Obblighi di
comportamento degli organi sociali in caso di insolvenza, in www.ilfallimentarista.it; A. ROSSI,
La gestione dell’impresa nella crisi “atipica”, in www.ilcaso.it, 2015; ROSAPEPE, La responsa-
bilità degli organi di controllo nella crisi d’impresa, in Giur. comm., 2013, I, p. 896 ss.;
GUERRERA, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione negoziale della
crisi, in Riv. società, 2013, p. 1114 ss.; TOMBARI, Principi e problemi di “diritto societario della
crisi”, in Riv. società, 2013, p. 1138 ss., ove ampi riferimenti di diritto comparato, e da
ultimo LUCIANO, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016; cfr., inoltre,
il Report Winter, elaborato nel 2002 dall’High Level Group of Company Law Experts, la cui
Reccomendation III.13 ha ad oggetto l’adozione di una wrongful trading rule (e v. NIGRO, op.
cit., p. 474, ove riferimenti all’art. 214 dell’Insolvency Act del 1986); in particolare, a p. 68
del Report si legge quanto segue: “[…] if the directors ought to foresee that the company
cannot continue to pay its debts, they must decide either to rescue the company (and ensure
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saggi e approfondimenti 573

diritto concorsuale che, dal 2005 ad oggi, hanno arricchito il catalogo degli
strumenti di soluzione concordata della crisi d’impresa e, a differenza che
nel passato, ne hanno consentito l’utilizzo anche agli imprenditori che
siano in semplice stato di crisi, non ancora sfociato in insolvenza, senza
tuttavia imporre espressamente nuovi, specifici comportamenti a carico
degli organi di società che si trovino in tale condizione: scelta di politica
legislativa confermata anche dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83 (7), convertito in
legge con l. 6 agosto 2015, n. 132 (in G.U. n. 192 del 20 agosto 2015), e
dal recentissimo d.l. 3 maggio 2016, n. 59 (8) (in G.U. n. 102 del 3 maggio
2016), che si sono astenuti dal legiferare in materia (secondo quanto
previsto, per contro, dal disegno di legge recante “Delega al Governo
per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insol-
venza”, elaborato dalla commissione governativa presieduta dal Consiglie-
re Renato Rordorf e approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio
2016 (9)).

future payment of creditors) or to put it into liquidation. Otherwise, the directors will be
liable fully or in part to creditors for their unpaid claims. The details of the national rules
vary considerably. In some Member States there are no specific provisions, but a similar
effect is achieved through general rules on directors’ liability, sometimes by tort law, though
the general duty to file a petition for bankruptcy in the case of actual insolvency comes too
late. The concept of wrongful trading applies both to independent companies and to
companies within groups. The directors of a subsidiary company are subject to the rules,
as well as the parent company and its directors if they operate as de facto or “shadow”
directors of the subsidiary. The beauty of the rule is that it does not interfere with the on-
going business decisions of directors, as long as an insolvency situation is not yet foreseea-
ble. A general obligation to file for bankruptcy in case of actual insolvency usually comes too
late”.
(7) Decreto legge (su cui infra, in nota) recante misure urgenti in materia fallimentare,
civile e procedura civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudi-
ziaria.
(8) Decreto recante disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concor-
suali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione, e che, in materia concor-
suale, ha inciso su profili estranei ai temi oggetto della presente trattazione (fra i quali la
creazione di un registro elettronico relativo alle procedure espropriative e concorsuali e la
possibilità di utilizzare strumenti telematici nell’ambito delle procedure di crisi; senza con-
siderare le norme di diritto concorsuale dettate in tema di pegno mobiliare non possessorio
e di finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensiva-
mente condizionato).
(9) Su tale disegno di legge (comunemente denominato d.d.l. Rordorf) si veda di
seguito, passim, nel testo e in nota.
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574 le nuove leggi civili commentate 3/2016

2.1. Crisi patrimoniale.


Come noto e già evidenziato in altra sede (10), la legge italiana dedica
specifiche disposizioni sia all’ipotesi in cui una società di capitali si trovi in
difficoltà di ordine patrimoniale, sia all’ipotesi in cui un qualsivoglia im-
prenditore – ivi compresi quelli costituiti in forma societaria – sia insol-
vente.
Sotto il primo profilo vengono in considerazione i precetti in tema di
riduzione obbligatoria del capitale sociale e, segnatamente, gli artt. 2446 e
2447 c.c., in tema di s.p.a., e gli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., in tema di
s.r.l.; disposizioni che,
(i) per l’ipotesi di discesa del patrimonio netto della società al di sotto
dei due terzi del capitale sociale (e di conseguente perdita superiore ad un
terzo del capitale sociale), impongono agli amministratori di convocare
l’assemblea per gli opportuni provvedimenti; dovendosi comunque ridurre
obbligatoriamente il capitale sociale – salva l’ipotesi di cui all’art. 182
sexies l. fall. (11) – ove la perdita non risulti diminuita a meno di un terzo
entro l’esercizio successivo;

(10) E v. GUERRIERI, Risanamento dell’impresa e diritto societario, destinato alla pub-


blicazione all’interno del volume, a cura di Dialogi Europaei, contenente gli atti del conve-
gno di Oporto, tenutosi il 23 gennaio 2015 su Recuperaēao de empresas e insolvencia;
articolo di cui, nel prosieguo del presente par. 2, saranno ripresi molti passaggi.
(11) L’articolo ora citato – come noto – è stato introdotto nel nostro sistema giuridico
mediante d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito con l. 7 agosto 2012, n 134, in G.U. n. 187
dell’11 agosto 2012, s.o. n. 171) e, nel recepire un orientamento diffuso in giurisprudenza (e
v., inter alia, Trib. Ancona 12 aprile 2012, in Fallimento, 2013, p. 110; NOBILI e SPOLIDORO,
La riduzione del capitale, in COLOMBO e PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni,
vol. 6, Torino, 1993, p. 330), ma svincolato, sino all’entrata in vigore del citato decreto
legge, dai dati di diritto positivo, ha previsto l’inapplicabilità degli artt. 2447, 2482 ter, 2484,
n. 4) (oltre che, per le società cooperative, 2545 duodecies) c.c., “Dalla data del deposito
della domanda per l’ammissione al concordato preventivo (…), della domanda per l’omo-
logazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis ovvero della proposta di
accordo a norma del comma sesto dello stesso articolo e sino all’omologazione” e ha
stabilito che, durante lo stesso periodo, non si applicano nemmeno gli artt. 2446, commi
2˚ e 3˚, e 2482 bis, commi 4˚, 5˚ e 6˚, i quali prevedono ulteriori casi di riduzione obbligatoria
del capitale, per le ipotesi in cui, verificatasi la diminuzione di oltre un terzo del capitale “in
conseguenza di perdite” e convocata “senza indugio” l’assemblea dei soci “per gli opportuni
provvedimenti”, “la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo” “entro l’esercizio
successivo”: disciplina che si giustifica in considerazione della volontà legislativa di evitare,
alle società in crisi, di dover ridurre il proprio capitale sociale e/o optare per l’alternativa fra
ricapitalizzazione e scioglimento in epoca anteriore, o immediatamente successiva, all’in-
gresso in procedure generalmente volte a una diminuzione del passivo e/o a un incremento
dell’attivo e al conseguente ripristino di un equilibrio patrimoniale.
Evidente come l’art. 182 sexies l. fall. incida profondamente sul riparto di competenze
fra assemblea ed amministratori nell’ambito della governance delle società. Qualora, infatti,
l’organo di gestione opti per la presentazione di una domanda di concordato preventivo o di
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saggi e approfondimenti 575

(ii) per l’ipotesi di discesa del patrimonio netto, oltre che al di sotto dei
due terzi del capitale sociale, al di sotto del minimo legale (12), impongono
ugualmente la convocazione dell’assemblea, che sarà chiamata ad optare
immediatamente – salvo il già citato disposto dell’art. 182 sexies, l. fall. –
fra ricapitalizzazione, trasformazione in un tipo sociale che non preveda un
capitale minimo incompatibile col valore del patrimonio netto della società
o liquidazione dell’ente (disposta dalla legge – come anticipato – ogni qual
volta i soci non prescelgano una delle ulteriori alternative delineate dalla
legge) (13).

omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti prima che ricorrano i presupposti di cui
agli artt. 2447 e 2482 ter c.c., nel momento in cui tali presupposti, eventualmente, si
verificheranno l’assemblea sarà verosimilmente libera di optare per una delle tre alternative
previste dai predetti articoli solo ove compatibili – in astratto e in concreto – con la
domanda presentata (potendo allora essere concretamente impedita, ad esempio, la trasfor-
mazione della società). Qualora, per contro, nel momento in cui l’assemblea sia convocata
per deliberare ai sensi degli artt. 2447 e 2482 ter c.c., non sia stata avviata alcuna procedura
di soluzione concordata della crisi, occorre chiedersi se la stessa assemblea – in alternativa a
ricapitalizzazione, trasformazione o liquidazione della società – possa deliberare, con effetto
vincolante per gli amministratori, la presentazione di una domanda di concordato preventi-
vo o di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti: quesito a cui, per le s.r.l., pare
possibile dare una risposta affermativa (e v. l’art. 2479 c.c.), al contrario di quanto sembra
doversi sostenere per le s.p.a. (e v. l’art. 2380 bis c.c.). Su questi e su altri problemi,
scaturenti dal coordinamento fra l’art. 182 sexies l. fall. e le disposizioni del codice civile
sulla gestione delle società di capitali, v. in particolare A. ROSSI, La governance dell’impresa
in fase di ristrutturazione, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, p. 1 ss.
(12) Oggi stabilito, per le s.p.a., nella misura di 50.000,00 euro (e v. l’art. 2327 c.c.); per
le s.r.l., nella misura di 10.000,00 euro (e v. l’art. 2463, n. 4), c.c.); ferma la possibilità, per
tutte le s.r.l. ordinarie, di determinare il capitale “in misura inferiore a euro diecimila, pari
almeno a un euro” (e v. lo stesso art. 2463, comma 4˚, c.c.), e salva la disposizione dettata
dall’art. 2463 bis, comma 2˚, n. 3), c.c., per cui il capitale delle s.r.l. semplificate deve essere
“pari almeno a 1 euro e inferiore all’importo di 10.000 euro previsto dall’art. 2463, secondo
comma, n. 4)” c.c.
(13) La disciplina ora descritta rappresenta l’architrave su cui si impernia la normativa
in tema di capitale sociale: normativa oggetto di un vibrante dibattito, animato da giuristi di
formazione anglosassone (e v. per tutti ENRIQUES e MACEY, Raccolta di capitale di rischio e
tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. società,
2002, p. 78 ss.; contra, tuttavia, ex multis, DENOZZA, A che serve il capitale? (Piccole glosse a
L. Enriques-J.R. Macey, Creditors Versus Capital Formation: The Case Against the European
Legal Capital Rules), in Giur. comm., 2002, p. 585 ss.), convinti dell’opportunità di appre-
stare forme di tutela dei creditori basate su coefficienti di natura finanziaria piuttosto che su
parametri di carattere patrimoniale.
È noto, peraltro, come recentemente la “riscrittura” della seconda direttiva CEE in
materia societaria (dir. 2012/30/UE) abbia consacrato la scelta del legislatore comunitario di
riconfermare, ad onta di detti orientamenti dottrinali, la disciplina del capitale, nella con-
vinzione che imporre il mantenimento di un valore positivo del patrimonio netto possa
rappresentare uno dei baluardi posti a protezione del ceto creditorio.
E, in effetti, la scelta pare condivisibile, dovendosi considerare che, per rimanere al
sistema italiano, la disciplina dettata dagli artt. 2447, 2482 ter e 2484, n. 4), c.c., ove
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576 le nuove leggi civili commentate 3/2016

2.2. Crisi finanziaria sfociata in insolvenza.


Sotto il secondo profilo, occorre ricordare che, fra le disposizioni di
carattere penale contenute nella legge fallimentare, riveste un ruolo signi-
ficativo l’art. 217, comma 1˚, n. 4), per cui è punito, a titolo di bancarotta
semplice, “con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito,
l’imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente” (14),
“ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiara-
zione del proprio fallimento o con altra grave colpa”. Disposizione da cui
viene generalmente desunto che l’esercizio dell’iniziativa per la dichiara-
zione di fallimento, riconosciuta dall’art. 6 l. fall. anche al debitore (oltre
che ai creditori e al pubblico ministero), se generalmente è oggetto di una
mera facoltà, nella situazione preveduta dall’art. 216, n. 4), l. fall. diviene
oggetto di un vero e proprio obbligo, che l’art. 223, comma 1˚, l. fall. (15)
estende – oltre che all’imprenditore individuale insolvente – anche “agli
amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società”
fallite.
In realtà, per rimanere alla posizione degli amministratori (16) delineata
dalle norme penali della legge fallimentare con riferimento alle società in
stato di insolvenza, è opportuno ricordare – inter alia – che,

rispettata, assicurerebbe la soddisfazione integrale dei creditori anche nelle ipotesi di insol-
venza e di conseguente apertura di una procedura concorsuale a carico della società; non
potendosi, teoricamente, verificare – se non per avvenimenti imponderabili – casi in cui
l’ente divenga incapace di soddisfare regolarmente i propri creditori e, al contempo, essen-
dosi conformato alla regola “ricapitalizza o liquida”, abbia un attivo patrimoniale inferiore
alle passività.
D’altra parte, se è vero che, in moltissimi casi, la regola “ricapitalizza o liquida” non
viene rispettata – tanto che la sua violazione rappresenta l’addebito più ricorrente mosso agli
amministratori nel contesto delle azioni di responsabilità esercitate dagli organi delle pro-
cedure concorsuali – è altrettanto vero che una seria statistica circa il grado di efficienza di
detta regola dovrebbe muovere dalla rilevazione degli innumerevoli casi in cui, su iniziativa
degli organi sociali, i soci vengono indotti a ricapitalizzare, trasformare o sciogliere la
società, consentendo dunque ai creditori di godere delle forme di protezione accordate loro
dalla legge.
(14) Trattasi, chiaramente, dell’art. 216 l. fall., che disciplina le fattispecie di “Banca-
rotta fraudolenta”.
(15) Ai sensi della citata disposizione, “Si applicano le pene stabilite nell’art. 216”
anche ai soggetti individuati di seguito, nel testo, ove abbiano “commesso alcuni dei fatti
preveduti nel suddetto articolo” 216 l. fall. e la società sia dichiarata fallita.
(16) Quanto ai liquidatori, ai direttori generali e ai componenti degli organi di con-
trollo, è inutile dire che la normativa loro applicabile deve essere ricostruita anche tenendo
conto dei doveri dei gestori.
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saggi e approfondimenti 577

(i) ai sensi dell’art. 223, comma 2˚, l. fall., “si applica” loro (oltre che ai
direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori) “la pena prevista dal primo
comma dell’art. 216 (17) se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società
commettendo alcuni dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627,
2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile” (18);
“2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il
fallimento della società”;
(ii) ai sensi dell’art. 224 l. fall., amministratori – oltre che direttori
generali, sindaci e liquidatori – di società fallite sono puniti con le pene
stabilite dall’art. 217 l. fall., in tema di bancarotta semplice, se abbiano
commesso alcuni dei fatti previsti da quest’ultimo articolo o abbiano
“concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosser-
vanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge” (fra cui il dovere di agire
con diligenza per rilevare ed affrontare tempestivamente la crisi);
(iii) ai sensi dell’art. 236 l. fall., i citati artt. 223 e 224 l. fall. si ap-
plicano anche nel caso di concordato preventivo.
Una precisa individuazione dei doveri degli amministratori in caso di
insolvenza della società è, dunque, possibile solo ricostruendo la nozione
di aggravamento del dissesto e le ipotesi in cui lo stesso possa dirsi cagio-
nato, inter alia, dall’omessa istanza di fallimento in proprio (19); ricostru-
zione che dovrebbe valere a chiarire, in particolare, in quali ipotesi è
consentito all’organo di gestione di una società insolvente proporre ai
creditori il ricorso a un istituto di soluzione concordata della crisi e in
quali ipotesi, per contro, tale comportamento può essere fonte di respon-
sabilità, sul piano penale e/o sul piano civile. Ed è inutile osservare che,
ove effettivamente il legislatore italiano voglia promuovere il ricorso a tali
istituti anche da parte di società insolventi (20), è opportuno che fornisca

(17) E cioè la reclusione da tre a dieci anni.


(18) Norme penali in materia di società e di consorzi, facenti parte del titolo XI del
libro V c.c., e relative a false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.), indebita resti-
tuzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.), illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art.
2627 c.c.), illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art.
2628 c.c.), operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.), formazione fittizia del
capitale (art. 2632 c.c.), indebita restituzione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art.
2633 c.c.), infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.).
(19) Sul punto, e su altre problematiche ingenerate dagli artt. 223 ss. l. fall., v. per tutti
CASAROLI, Art. 223 (e successivi), in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla
legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1518 ss., ove ampi riferimenti.
(20) Proposito che, in realtà, pare contraddetto dalle norme introdotte nel testo della
legge fallimentare dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge con l. 6 agosto 2015, n.
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578 le nuove leggi civili commentate 3/2016

una risposta a tali interrogativi, auspicabilmente statuendo ciò che, de iure


condito, pare ragionevole sostenere già alla luce degli attuali dati normativi,
e cioè che la tempestiva presentazione – da parte di un imprenditore
insolvente – di una proposta di concordato preventivo o di un accordo
di ristrutturazione dei debiti (a.r.d.), ovvero di un accordo o di una con-
venzione ex art. 182 septies, l. fall., se non anche la negoziazione di un
piano di risanamento attestato ex art. 67, lett. d, l. fall., di per sé sola (21)
non possa essere fonte di responsabilità (22); fermo restando che qualora
tali ipotesi si rivelino non percorribili, o in concreto non vengano percorse,
entro un ragionevole arco di tempo dal manifestarsi dell’insolvenza (o, de
iure condendo, di specifici segnali di allerta che siano considerati rilevatori
dell’insolvenza (23)), il deposito di un’istanza di fallimento in proprio, per-

132, che – in palese controtendenza con il trend normativo che ha caratterizzato l’ordina-
mento italiano nel periodo 2005-2015 – ha ridotto la possibilità per gli imprenditori in crisi
di accedere al concordato preventivo, statuendo, inter alia, che – con la sola eccezione dei
concordati con continuità aziendale – “in ogni caso la proposta di concordato deve assicu-
rare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari” (e v.
il novellato art. 160, ultimo comma, l. fall.) ed eliminando il principio del silenzio-assenso in
sede di manifestazione del voto da parte dei creditori (art. 178, comma 4˚, l. fall.).
(21) E salve le ipotesi (oltre che di commissione di specifici reati) di illegittimità dolose
o colpose del debitore (per quanto interessa in questa sede, degli amministratori della
società debitrice) e dell’attestatore, che si sia pronunciato – secondo quanto disposto dagli
artt. 67, lett. d, 161, 182 bis l. fall. – sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano,
esponendosi in tal modo, perlomeno astrattamente, oltre che a responsabilità penale (e v.
l’art. 236 bis l. fall., in tema di “Falso in attestazioni e relazioni” dell’attestatore), anche a
responsabilità civile; parendo corretto ritenere, sotto quest’ultimo profilo, che ambedue tali
soggetti possano ritenersi responsabili per il danno derivante dalla ritardata declaratoria di
fallimento della società, e dal conseguente aggravamento del dissesto, oltre che nelle ipotesi
di dolo, solo nei casi in cui, impiegando la diligenza da loro esigibile (e ferma l’esclusione da
responsabilità per colpa lieve prevista dall’art. 2236 c.c., per il professionista chiamato alla
“soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, ove ricorrano i presupposti previsti da
tale norma), avrebbero potuto e dovuto rendersi conto della non fattibilità del piano;
dovendosi invece escludere che la negoziazione e la predisposizione di un piano a priori
fattibile, al fine di ricorrere a uno degli istituti di soluzione concordata della crisi, possano
ritenersi fonte di responsabilità, anche in caso di insuccesso di detti istituti e di aggrava-
mento del dissesto della società.
(22) E questo, nonostante l’attestazione avente ad oggetto la veridicità dei dati e la
fattibilità del piano – prevista per ciascuno di detti istituti – non garantisca necessariamente
che si tratti di una proposta ragionevole, secondo quanto potrebbe avvenire ove l’attestatore
dovesse esprimersi – sotto la propria responsabilità – anche circa l’idoneità della proposta
ad assicurare (se non la migliore) una congrua soddisfazione dei creditori, tenendo conto
dello stato di crisi in cui si trova il debitore.
(23) Sulle “Procedure di allerta e composizione assistita della crisi” v. l’art. 4 del
disegno di legge Rordorf recante ‘Delega al Governo per la riforma organica delle discipline
della crisi di impresa e dell’insolvenza’, cit. (e v. nel testo, sub par. 2): d.d.l. su cui di seguito,
alla nt. 34. V., inoltre, infra, sub par. 2.3, nel testo e in nota.
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saggi e approfondimenti 579

lomeno quando la società continui a produrre perdite, dovrebbe essere


dichiarato obbligatorio (24), secondo quanto pare corretto ritenere anche
alla luce della normativa attualmente in vigore.

2.3. Crisi finanziaria non sfociata in insolvenza.


Quanto alle ipotesi di crisi non sfociata in insolvenza – generalmente
ricondotta, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, alla temporanea difficoltà
di adempiere le proprie obbligazioni o al concreto pericolo di insolven-
za (25) – l’ordinamento italiano non detta alcuna specifica disposizione
inerente la condotta degli amministratori.
Certo, nell’ipotesi in cui la società abbia perduto la c.d. “continuità
aziendale” (26), taluno sostiene (27) che possa dirsi integrata la causa di
scioglimento di cui all’art. 2484, n. 2), c.c., a norma del quale le società
di capitali si sciolgono “per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la
sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l’assemblea, all’uopo
convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie”;
con la conseguenza che gli amministratori sarebbero tenuti a iscrivere nel
registro delle imprese la dichiarazione di accertamento dell’avvenuto scio-
glimento, di cui allo stesso art. 2484 c.c., e a porre in essere gli ulteriori
incombenti prescritti dagli artt. 2485 ss. c.c., per l’ipotesi di liquidazione.
Trattasi, tuttavia, di una chiave di lettura dell’art. 2484 c.c. che si pone
in contrasto con l’orientamento tradizionale, secondo cui si ha impossibi-
lità di conseguimento dell’oggetto sociale quando l’esercizio dell’attività di
impresa prevista dallo statuto diviene giuridicamente o materialmente im-
possibile (28).
Ne discende che, anche in caso di perdita della continuità aziendale,
cosı̀ come in ogni altra ipotesi di crisi non ancora sfociata in insolvenza, gli

(24) Si vedano, al riguardo, le soluzioni previste dall’ordinamento francese e dall’ordi-


namento spagnolo ricordate da NIGRO, op. cit., p. 473.
(25) E v. per tutti FABIANI, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, p. 88 ss.; NIGRO e
VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2014, pp. 21 ss., 61 ss. e 354 ss.
(26) E si trovi dunque nella situazione per cui l’impresa non può più operare quale
going concern (e v. l’art. 2423 bis, n. 1), c.c., per cui il bilancio delle s.p.a. deve venire
redatto, fra l’altro, “nella prospettiva della continuazione dell’attività”).
(27) E v., inter alia, RACUGNO, Venir meno della continuità aziendale e adempimenti
pubblicitari, in Giur. comm., 2010, I, p. 223 ss.; SPOLIDORO, Capitale sociale, in Enc. Dir.
Aggiornamento, IV, Milano, 2000, p. 229 ss.; ROSAPEPE, La responsabilità degli organi di
controllo nella crisi d’impresa, cit., p. 915.
(28) E v. in questo senso, fra gli altri, FERRI jr. e SILVA, In tema di impossibilità di
conseguimento dell’oggetto sociale e scioglimento delle società di capitali, Studio n. 237-2014/
I del Consiglio Nazionale del Notariato, 9 settembre 2014, in www.notariato.it; MONTAGNI-
NI, Crisi dell’impresa e impossibilità dell’oggetto sociale, in Riv. dir. comm., 2013, I, p. 245 ss.
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580 le nuove leggi civili commentate 3/2016

amministratori dovranno conformarsi ai parametri generali che devono


ispirare l’attività gestionale, in primis il canone di diligenza (29).
È alla stregua di tale criterio, dunque, che si dovrà verificare, inter alia,
se, in quale momento e con quali modalità gli amministratori siano tenuti a
proporre al ceto creditorio una soluzione concordata della crisi (30): com-
portamento che, alla luce della spinta propulsiva impressa dal legislatore a
tali istituti, perlomeno sino al 2015, potrà di frequente essere giudicato
doveroso, specie nelle situazioni in cui, in un’ottica ex ante, sia prevedibile
un aggravamento del dissesto (31).
Invero, per conferire al sistema un maggior grado di certezza e per
consentire ai componenti dell’organo di gestione di individuare con pre-
cisione le condotte imposte loro dalla legge (32), si potrebbe pervenire –
eventualmente mediante riferimento a specifici parametri e sintomi di
allerta – a una definizione dello stato di crisi (33) e statuire che, in presenza

(29) E v., in tema di s.p.a., l’art. 2392, c.c., a norma del quale “Gli amministratori
devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”: norma che rappre-
senta un limite alla c.d. business judgment rule, per la quale il merito delle scelte compiute
dagli amministratori è insindacabile sia dagli organi di vigilanza (a cui siano affidati – ed è il
caso del collegio sindacale – controlli di legittimità), sia – a fortiori – dall’autorità giudiziaria.
(30) Si noti, peraltro, che la possibilità, prevista in tema di concordato preventivo dagli
artt. 163 e 163 bis l. fall. (e v. la novella di cui al d.l. n. 83/15, conv. con l. n. 132/15, cit.), di
presentazione di proposte concorrenti (inammissibili quando un professionista attesti che la
proposta di concordato presentata dal debitore assicura il pagamento, ancorché dilazionato,
di almeno il quaranta per cento – nei concordati con continuità aziendale, il trenta per cento
– dei crediti chirografari: art. 163, comma 5˚, l. fall.) e di offerte concorrenti (e v. l’art. 163
bis l. fall.) condurrà verosimilmente a un affievolimento della responsabilità addossabile agli
amministratori in considerazione del contenuto della proposta e del piano di concordato
(perlomeno quando gli stessi non impediscano il lancio di proposte e offerte concorrenti),
essendo evidente che, (i) ove vengano approvate e omologate proposte od offerte concor-
renti, gli organi della società debitrice, per definizione, non ne potranno rispondere; (ii)
identiche conclusioni debbano verosimilmente valere ove sia approvata ed omologata la
proposta della debitrice in presenza di proposte od offerte concorrenti; (iii) analoga consi-
derazione possa essere svolta (perlomeno, in linea di principio) quando proposte od offerte
concorrenti non siano state presentate.
(31) E ciò sia in considerazione di fattori esogeni, in primis l’andamento del mercato,
sia in considerazione di fattori endogeni, fra cui il rifiuto dei soci di apportare a favore della
società nuovo capitale di rischio (conferimenti o apporti a fondo perduto) ovvero, e sempre
che possa essere utile ai fini della risoluzione della crisi, nuovo capitale di credito.
(32) Ferma restando la responsabilità degli amministratori che abbiano determinato la
crisi per effetto di atti illegittimi (ivi compresa la violazione del dovere di diligenza), o che
non abbiano tempestivamente rilevato la crisi, per effetto di azioni o di omissioni contra
legem.
(33) Questa la nozione a cui parrebbe più opportuno riferirsi (eventualmente adottan-
do alcuni indici elaborati dai sostenitori delle procedure di allerta; e v., sul punto, ROSAPEPE,
op. cit., p. 899, ove riferimenti a JORIO, I lineamenti di una nuova… improbabile legge
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saggi e approfondimenti 581

di tale presupposto, i gestori, in linea di principio (34), siano tenuti a


verificare, mediante l’ausilio di professionisti, se è possibile presentare,
in un arco di tempo predefinito, soluzioni concordate della crisi (35); fermo

fallimentare, in Giur. comm., 2005, I, p. 323 ss.; SANDULLI, I controlli delle società come
strumenti di tempestiva rivelazione della crisi d’impresa, in Fallimento, 2009, p. 1102; GIORGI,
Introduzione al diritto della crisi di impresa, Padova, 2012, p. 149 ss.), trattandosi del
presupposto oggettivo individuato dalla legge per l’accesso alle procedure di soluzione
concordata della crisi.
(34) E salva, forse, la possibilità di derogare alla regola ipotizzata nel testo, mediante
l’adozione di una delibera motivata (il cui contenuto potrà evidentemente venire in consi-
derazione in sede di giudizio di responsabilità).
(35) La cui presentazione, pure, se palesata, può concorrere ad aggravare la crisi, non
fosse altro per i problemi di carattere reputazionale che inevitabilmente determina; sı̀ che
talora potrebbe essere giudicato doveroso, per gli amministratori, studiare un piano di
risanamento ex art. 67, lett. d, l. fall., senza procedere alla sua divulgazione e alla sua
pubblicazione nel registro delle imprese (e v. A. ROSSI, La gestione dell’impresa nella crisi
“atipica”, cit., p. 13).
In senso parzialmente conforme a quanto sostenuto nel testo v. il disegno di legge
Rordorf, cit (già oggi suscettibile di essere considerato espressione degli orientamenti dot-
trinali di cui la maggioranza dei membri della commissione di riforma sono fautori, non
necessariamente soltanto in un’ottica de iure condendo); disegno di legge che:
all’art. 13 (“Modifiche al codice civile”), lett. b, prevede “il dovere dell’imprenditore e
degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva
della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché l’obbligo di attivarsi per l’ado-
zione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della
crisi ed il recupero della continuità aziendale” (e si veda l’analogia di contenuto con la
norma 11 – “Attività del collegio sindacale nella crisi di impresa” - delle “Norme di
comportamento del collegio sindacale” dettate, per i sindaci di società non quotate, dal
CNDCEC-Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti Esperti Contabili, recentemente appro-
vate a far data dal settembre 2015; norma che, sub 11.1 “Prevenzione ed emersione della
crisi”- “Principi” - recita quanto segue: “Il collegio sindacale, nello svolgimento della fun-
zione riconosciutagli dalla legge, vigila che il sistema di controllo e gli assetti organizzativi
adottati dalla società risultino adeguati a rilevare tempestivamente segnali che facciano
emergere dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come
una entità in funzionamento. Il collegio sindacale può chiedere chiarimenti all’organo di
amministrazione e, se del caso, sollecitare lo stesso ad adottare opportuni provvedimenti”);
all’art. 4 (“Procedure di allerta e composizione assistita della crisi”) prevede, d’altra
parte, l’introduzione di “procedure di allerta e composizione assistita della crisi, di natura
non giudiziale e confidenziale, finalizzate ad incentivare l’emersione anticipata della crisi e
ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori”: procedure che l’organismo
di composizione della crisi (OCC) dovrebbe essere tenuto ad avviare, su segnalazione dei
soggetti individuati alla lett. b (gli “organi di controllo societari, il “revisore contabile” e le
“società di revisione” – ai quali dovrebbe essere imposto di “avvisare immediatamente
l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati inizi della crisi e, in caso di
omessa o inadeguata risposta, di informare direttamente il competente organismo di com-
posizione della crisi”; essendo allora ragionevole che analoghi doveri siano imposti all’im-
prenditore individuale) e alla lett. c (che stabilisce l’obbligo dei “creditori qualificati” “di
segnalare immediatamente agli organi di controllo della società o, in mancanza, all’organi-
smo di composizione della crisi, il perdurare di inadempimenti di importo rilevante” do-
vendosi coordinare detti obblighi “con quelli di informazione e vigilanza spettanti alla
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582 le nuove leggi civili commentate 3/2016

quanto precedentemente suggerito (36), con riferimento all’ipotesi in cui la


crisi, invece di dissolversi, sfoci in stato di insolvenza (37).

Consob”).
L’OCC, in particolare, dovrebbe promuovere “le misure idonee a porre rimedio allo
stato di crisi”, affidando a “un soggetto scelto tra soggetti di adeguata professionalità nella
gestione della crisi d’impresa” “l’incarico di addivenire ad una soluzione concordata della
crisi”, “entro un congruo termine” “non superiore complessivamente a sei mesi”; dovendosi
altrimenti allertare il “presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribu-
nale del luogo in cui l’imprenditore ha sede”, il quale, convocato l’imprenditore, dovrebbe
far verificare a un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 l. fall. “la situazione
economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa”; essendo stabilito che, “se dalla relazione
depositata dal predetto professionista risulta che l’impresa versa in stato di crisi, il presi-
dente assegna un termine per intraprendere le misure idonee a provi rimedio, decorso
inutilmente il quale dispone la pubblicazione della relazione medesima nel registro delle
imprese” (pare di comprendere, per palesare lo stato di crisi dell’imprenditore e consentire
ai creditori di valutare l’opportunità di richiederne il fallimento).
(36) Supra, sub par. 2.2.
(37) Si tenga conto, del resto, che l’art. 182 sexies l. fall., fa salvo, per il periodo
anteriore al deposito delle domande di concordato preventivo o di omologa di accordi di
ristrutturazione dei debiti, il disposto dell’art. 2486 c.c., a norma del quale, al verificarsi di
una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli
fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e sono personal-
mente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e
ai terzi per atti ed omissioni eventualmente compiuti in violazione di tale precetto. Con la
conseguenza che gli amministratori, per evitare di vedersi un giorno citati in responsabilità
per non avere tempestivamente rilevato la causa di scioglimento dell’ente di cui all’art. 2484,
n. 4), c.c. (e v. l’art. 2485 c.c., a norma del quale gli amministratori “devono senza indugio
accertare il verificarsi di una causa di scioglimento” e procedere ai relativi adempimenti
pubblicitari, essendo personalmente responsabili, “in caso di ritardo od omissione”, “per i
danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi”) saranno spinti ad anti-
cipare, quanto più possibile, l’istanza di concordato preventivo o di omologa di un accordo
di ristrutturazione dei debiti; essendo evidente che, per non incorrere in responsabilità, gli
stessi dovranno pervenire al deposito della relativa istanza prima che la perdita del capitale
superi le soglie previste dagli artt. 2447 e 2482 ter c.c. o, al più, appena l’assemblea,
tempestivamente convocata, abbia omesso di deliberare nel senso ivi previsto (riduzione e
contestuale aumento del capitale o trasformazione dell’ente); potendosi dunque classificare
l’art. 182 sexies l. fall. fra le norme volte a favorire l’emersione della crisi d’impresa e ad
anticipare, quanto più possibile, l’avvio dei processi di soluzione concordata della crisi.
Rischia peraltro di vanificare tale obiettivo il d.l. n. 83/15, convertito in l. n. 132/15,
cit., che – come anticipato (e v. supra, la nt. 30) – (i) sia pure nelle sole ipotesi contemplate
dal novellato art. 163, commi 4˚ ss., l. fall., consente ai creditori rappresentanti almeno il
dieci per cento dei crediti di presentare una proposta di concordato preventivo alternativa a
quella formulata dall’imprenditore in crisi: proposta che, se preferita dai creditori e omo-
logata dal tribunale, risulta vincolante per il debitore, tenuto a compiere, ex lege, ogni atto
necessario a darvi esecuzione (ivi compreso, per i debitori aventi la forma di s.r.l. e di s.p.a.,
“un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto di opzione”);
(ii) ammette che, qualora il piano di concordato preveda un’offerta di “un soggetto già
individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione,
verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell’azienda o di uno o più
rami d’azienda o di specifici beni”, si debba aprire una procedura competitiva (applicabile
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saggi e approfondimenti 583

Ma è inutile evidenziare come una legislazione che affidi la soluzione


delle crisi d’impresa a rules, invece che a standards, potrebbe comportare
un eccessivo irrigidimento del sistema; con la conseguenza che una riforma
in tal senso delle norme sui doveri dei componenti gli organi sociali sa-
rebbe possibile, al più, al termine di un periodo di ponderata riflessione,
che tenga conto delle linee evolutive del sistema e che conduca alla cri-
stallizzazione, per un periodo di tempo consolidato, dei dati normativi.

3. Le azioni di responsabilità nelle procedure di crisi.


Quanto alla disciplina delle azioni di responsabilità nell’ambito delle
procedure di crisi (tema anch’esso trascurato nella normativa più recente,
salva la previsione normativa di cui all’art. 6, comma 2˚, lett. a, del disegno
di legge Rordorf, in tema di concordato preventivo (38)), è necessario
distinguere.
Nel fallimento, nella liquidazione coatta amministrativa e nell’ammini-
strazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, l’art.
2394 bis attribuisce la legittimazione all’esercizio di dette azioni (il riferi-
mento è sia all’azione della società, sia all’azione dei creditori sociali)
all’organo della procedura chiamato a gestire il patrimonio del debitore
insolvente, nell’interesse dei creditori: si tratta, rispettivamente, del cura-
tore fallimentare, del commissario liquidatore e dei commissari straordi-
nari.
L’esercizio, da parte di tali soggetti, delle azioni de quibus, si verifica –
come noto – con grande frequenza; tanto più da quando, essendo stata

“anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’articolo 161, settimo comma, nonché all’affitto di
azienda o di uno o più rami di azienda”) al cui esito il debitore si deve adeguare, dovendo
“modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all’esito della gara”.
È evidente, infatti, che la consapevolezza di poter subire una procedura di concordato
completamente diversa da quella che si intenderebbe proporre al ceto creditorio (situazione
che, sino all’emanazione del d.l. n. 83/15, l’ordinamento giuridico italiano non contemplava,
essendo accordata al solo debitore la legittimazione a presentare una proposta di concordato
preventivo e potendo i creditori soltanto accettarla o rifiutarla) potrebbe indurre, e di
frequente indurrà, l’imprenditore in crisi a non effettuare alcuna proposta (non potendo
ancor oggi il concordato essere imposto al debitore in assenza di una sua “prima mossa”).
Pacifico, del resto, che il d.l. n. 83/15, convertito in l. n. 132/15, cit., abbia reso l’accesso al
concordato preventivo molto più difficile che nel decennio appena trascorso, ponendosi in
antitesi col ciclo di riforme avviato nel triennio 2005-2007 (d.l. n. 14 marzo 2005, n. 35,
convertito con l. 14 maggio 2005, n. 80, in G.U. n. 111 del 14 maggio 2005, s.o. n. 91; d.lgs.
9 gennaio 2006, n. 5, in G.U. n. 12 del 16 gennaio 2006, s.o. n. 13; d.lgs. 12 settembre 2007,
n. 169, in G.U. n. 241 del 16 ottobre 2007), tanto da poter essere definito una vera e propria
“controriforma”.
(38) E v. di seguito, al par. 3.2, in nota.
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584 le nuove leggi civili commentate 3/2016

depotenziata la revocatoria fallimentare (39), sono drasticamente diminuite


le chances di sopperire altrimenti alla cronica mancanza di attivo che
caratterizza le procedure concorsuali.
Il tema è talmente noto da non richiedere alcun approfondimento e da
consentire il rinvio ai numerosi scritti e alla numerosissime statuizioni
giurisprudenziali in argomento; essendo risaputo che proprio le procedure
fallimentari rappresentano lo scenario principale nel quale vengono espe-
rite – e divengono dunque oggetto di applicazione pratica da parte degli
operatori e di studio da parte degli interpreti – le azioni di responsabilità
verso i componenti gli organi sociali.

3.1. Piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei


debiti.
Molto meno esplorata la tematica inerente l’esercizio delle azioni di
responsabilità, o la gestione delle stesse, nell’esecuzione di piani attestati di
risanamento, ex art. 67, lett. d, l. fall., o di piani di gestione della crisi posti
alla base di accordi di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182 bis l. fall.
In effetti, in tali circostanze, l’avvio delle citate procedure non deter-
mina, in linea di principio, alcuna incidenza sulla governance societaria né
il trasferimento del credito de quo (40); con la conseguenza che, salva
l’ipotesi di azione di sociale di responsabilità contro ex amministratori
che non si siano adeguatamente tutelati – o che non abbiano potuto
adeguatamente tutelarsi – al momento della cessazione dalla carica (41), è

(39) Mediante la citata novella di cui al d.l. n. 35/05, convertito con l. n. 80/05.
(40) Trasferimento su cui v. comunque di seguito, al par. 3.2.1.
(41) Circa la possibilità di una rinuncia all’azione sociale di responsabilità da parte dei
soci e/o della società nel momento in cui gli amministratori cessano dalla carica (e gene-
ralmente, se soci, alienano le loro partecipazioni), è noto che la dottrina e, soprattutto, la
giurisprudenza hanno espresso orientamenti talora molto restrittivi. Al riguardo, e per
rimanere alle pronunce più recenti, è possibile citare Cass. 7 luglio 2011, n. 14963 (in Giur.
it., 2012, p. 1074, con nota di DESANA: “La rinuncia all’azione sociale di responsabilità
manifestata preventivamente da tutti i soci, in difetto di espressa delibera assembleare, è
affetta da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile
d’ufficio”); Trib. Genova 4 febbraio 2008, in Pluris (“In tema di società, la validità della
rinuncia all’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori, rimane sottopo-
sta, in virtù dell’ultimo comma dell’art. 2393 c.c., alla ricorrenza di determinate condizioni e,
segnatamente, alla approvazione, con la maggioranza indicata dalla predetta norma, prove-
niente da apposita delibera assembleare e, sempre che, la rinuncia abbia ad oggetto una
specifica azione di responsabilità fondata su fatti dei quali l’assemblea societaria abbia
precedentemente avuto contezza”); Cass. 24 aprile 2007, n. 9901 (in Giur. it., 2007, p.
2757: “La rinuncia o la transazione relative all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità
contro gli amministratori di società per azioni senza la preventiva deliberazione assembleare
sono affette da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e
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saggi e approfondimenti 585

difficile immaginare piani ex art. 67, lett. d, o ex art. 182 bis l. fall., che
prevedano l’esercizio di iniziative giudiziarie, da parte della società debi-
trici, nei confronti dei componenti l’organo amministrativo.
In tal modo, in realtà, le società in crisi potrebbero recuperare attività
da destinare al superamento, o alla gestione, della crisi; né, d’altra parte, si
può escludere che i predetti piani, venendo elaborati una volta che l’azione
sociale di responsabilità sia già stata esercitata, o quando sarebbero matu-
rati i presupposti per esercitarla (42), contemplino la rinuncia alla stessa (43)
o, più verosimilmente, una transazione con gli amministratori convenuti.
In tali casi, rinunce e transazioni, ove possano effettivamente conside-
rarsi atti esecutivi del piano predisposto dalla società in crisi ex artt. 67 e
182 bis l. fall., saranno sottratte all’applicazione delle norme sulla revoca-
toria, la bancarotta semplice e la bancarotta preferenziale (44); fermo re-
stando che le stesse, nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a., potranno venire poste in
essere unicamente alle condizioni prescritte dall’art. 2393, comma 6˚,
c.c. (45) e, dunque, in presenza di una delibera assembleare e in assenza

rilevabile d’ufficio”); Trib. Milano 2 dicembre 2005, in Società, 2006, p. 1525, con nota di
CIVERRA (“La rinuncia all’azione sociale di responsabilità, perché possa produrre efficacia,
deve essere deliberata dall’assemblea in relazione a specifici e concreti episodi di ammini-
strazione integranti la pretesa risarcitoria della società. Per tale ragione, non è ammissibile
una rinuncia anteriore ai fatti di ‘mala gestio’”) Cass. 9 giugno 1994, n. 7030 (“Il patto col
quale i soci di una s.r.l. si impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex
amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei
confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto pur in presenza dei pre-
supposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione
realizza un conflitto di interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo
ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale
di società, non potendo i soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad
esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il
patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la compagine sociale sia limitata a
due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi)”). Per un’ampia disamina
dei problemi connessi all’esonero da responsabilità dei componenti l’organo amministrativo
di società per azioni v. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a.,
Milano, 2008, ove ampi riferimenti.
(42) Perlomeno, secondo la prospettazione della società che asserisce di essere stata
danneggiata dall’operato dei suoi amministratori.
(43) Si può immaginare, dietro corresponsione, da parte degli amministratori, di un
“contributo” prestato, a qualsivoglia titolo, alla soluzione della crisi; trattandosi dunque
verosimilmente di rinuncia che, se anche preventiva rispetto all’instaurazione di un proce-
dimento giudiziario, avrà una funzione perlomeno lato sensu transattiva.
(44) E v. gli artt. 67, lett. d ed e, e 217 bis l. fall.
(45) Trovando invece applicazione, alle s.r.l., l’art. 2476, comma 5˚, c.c., per il quale
“Salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità contro gli ammi-
nistratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi
consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale
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586 le nuove leggi civili commentate 3/2016

del voto contrario di tanti soci che rappresentino un quinto (o, nelle
società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, un ventesimo)
del capitale sociale (46); cosı̀ come, d’altra parte, l’esercizio dell’azione
sociale di responsabilità, ove contemplata dal piano, richiederebbe la de-
liberazione dell’assemblea prevista dall’art. 2393, comma 1˚, c.c. (47) (48).

e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo dal capitale
sociale”.
(46) “Ovvero” – recita la seconda parte dell’art. 2393, comma 6˚, c.c. – “la misura
prevista nello statuto per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi
primo e secondo dell’art. 2393 bis” c.c.
(47) Tale conclusione – pacifica per le s.p.a. e per le s.a.p.a., a cui tale articolo è
direttamente applicabile – vale, secondo l’opinione dominante (invero, perlomeno discuti-
bile), anche per le s.r.l., nonostante la legge, nel disciplinare tale tipo sociale, non detti
alcuna disposizione di contenuto analogo all’art. 2393 c.c. e, per la verità, non regoli
nemmeno l’azione sociale di responsabilità (la cui configurabilità, tuttavia, discende dai
principi generali sul rapporto di amministrazione e la responsabilità contrattuale); e v.,
sul punto, GUIDOTTI, Sub art. 2476, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve al
diritto delle società, Padova, 2015, p. 1395 ss., ove ampi riferimenti.
(48) Ne discendono – in particolare con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei
debiti – problemi di governance non ancora sufficientemente esplorati: da un lato, essendo
necessario domandarsi se, una volta che gli amministratori abbiano presentato un a.r.d.
prevedente una delibera assembleare avente ad oggetto l’esercizio dell’azione di responsa-
bilità (si può immaginare, verso gli ex amministratori), ovvero a rinunciarvi o a transigervi,
l’assemblea sia vincolata ad adottarla (essendo comunque dubbio, in tale ipotesi, quale sia la
sorte di una deliberazione che si discosti dalle previsioni del piano); d’altro lato, dovendosi
comprendere se e come gli amministratori possano proporre un a.r.d. prevedente la rinuncia
all’azione di responsabilità nei loro confronti, o una transazione in ordine alla stessa.
Con riferimento al primo problema (che parrebbe evitabile facendo assumere all’as-
semblea le delibere de quibus in via contestuale – se non preventiva e condizionata – rispetto
alla decisione dell’organo gestionale avente ad oggetto la presentazione della domanda di
omologa dell’a.r.d.), sembra corretto ritenere che i soci, in assemblea, mantengano la pro-
pria discrezionalità e che, pertanto, la mancata adozione della delibera assembleare prevista
nel piano (o avente il contenuto ivi previsto) non sia configurabile quale inadempimento da
parte della società (non potendo i suoi amministratori assumere validamente o, comunque,
efficacemente obbligazioni con riferimento a materie riservate alla competenza assembleare
– ivi comprese, a mero titolo esemplificativo, aumenti di capitale, fusioni, scissioni – in
assenza di una previa delibera dell’assemblea).
Circa la seconda questione, non v’è dubbio che gli amministratori rischino di trovarsi in
conflitto di interessi, o comunque portatori di un interesse personale all’esecuzione dell’o-
perazione, con conseguente (astratta) applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 2391 e
2475 ter c.c.; dovendosi tuttavia considerare come, una volta che non solo l’accordo coi
creditori sia stato raggiunto e la domanda di omologa dell’a.r.d. sia stata depositata, ma che
per di più le delibere assembleari de quibus siano state adottate, le rinunce e le transazioni
non potranno venire dichiarate inefficaci (non potendo comunque essere impedita l’adozio-
ne di dette delibere assembleari anche se la domanda di omologa dell’a.r.d. potesse venire
dichiarata improduttiva di effetti, o dovesse comunque essere respinta – con conseguente
diniego dell’omologazione – stante l’annullabilità della delibera consiliare avente ad oggetto
il deposito del ricorso ex art. 182 bis l. fall.: questione – che non è possibile approfondire in
questa sede – la cui soluzione richiede di comprendere come, nel giudizio di omologa, si
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saggi e approfondimenti 587

Qualora peraltro tali iniziative (49), in sede di elaborazione del piano,


siano negoziate con uno o più creditori o terzi, è ipotizzabile che gli stessi,
prima di eseguire (o quale condizione per eseguire) la prestazione even-
tualmente prevista a loro carico dalle pattuizioni intercorse con la società
(nelle procedure di cui all’art. 182 bis l. fall., preferibilmente post omolo-
ga, non essendo altrimenti possibile godere dell’esenzione da revocatoria e
da responsabilità penale, di cui agli artt. 67, lett. d ed e, e 217 bis l. fall.),
richiedano l’adozione ed, eventualmente, l’esecuzione di tali delibere; ed è
inutile sottolineare come, nell’ipotesi di accordi ex art. 182 bis l. fall.
prevedenti una transazione con gli amministratori già citati in giudizio
dalla società (50), anche questi ultimi, per godere della protezione accor-
data dagli artt. 67, lett. e, e 217 bis l. fall. agli atti esecutivi di accordi di
ristrutturazione dei debiti omologati, richiederanno verosimilmente l’inclu-
sione espressa della transazione nel piano e la sua esecuzione post omologa
dell’accordo.
Al contempo è lecito supporre che, in taluni casi, fra gli elementi
oggetto di negoziazione fra la società e i creditori o i terzi, vi siano anche
le azioni di responsabilità esperibili da questi ultimi nei confronti dei
componenti l’organo amministrativo; potendosi ad esempio immaginare
che, ove gli amministratori di una società per azioni siano stati citati in
giudizio (o coinvolti in un contenzioso stragiudiziale) da una banca, ai
sensi degli artt. 2394 (51) e 2395 c.c., l’istituto di credito sia disponibile
ad accordare sostegno al piano di risanamento proposto dalla debitrice

possa dare rilievo all’invalidità della delibera consiliare de qua, eventualmente coordinando
le deduzioni svolte al riguardo all’interno di detto giudizio con l’impugnativa della mede-
sima deliberazione).
Ambedue le problematiche sopra accennate, peraltro, appaiono risolvibili, da parte dei
soci, avocando a sé stessi la competenza deliberativa in tema di a.r.d., secondo quanto pare
possibile, perlomeno nelle s.r.l. (ma lo stesso vale nelle s.p.a., se si giudica applicabile alla
presentazioni di a.r.d. l’art. 152, comma 2˚, l. fall., ove è espressamente sancita la deroga-
bilità della competenza decisionale in materia attribuita ex lege all’organo di gestione).
(49) Esercizio dell’azione sociale di responsabilità, ovvero rinuncia o transazione della
stessa.
(50) Ovvero la rinuncia della società all’azione.
(51) La norma, come noto, regola l’azione di responsabilità esperibile, nei confronti
degli amministratori, dai creditori sociali di s.p.a., quando “il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti” e i componenti l’organo di gestione abbia-
no violato gli obblighi, sugli stessi incombenti, “inerenti alla conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale”. Rimane ferma, almeno astrattamente, la possibilità per gli stessi credi-
tori sociali di agire verso gli amministratori ex art. 2043 c.c., per richiedere il risarcimento
dei danni cagionati loro per effetto di comportamenti dolosi o colposi dei gestori; essendo
peraltro questo il principale, se non l’unico rimedio a disposizione dei creditori di società
appartenenti a tipi sociali (fra cui, in particolare, la s.r.l.) per i quali non sia previsto
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588 le nuove leggi civili commentate 3/2016

solo una volta negoziata ed eseguita, con gli organi gestori, una transazione
che ponga fine al contenzioso in essere, in maniera considerata soddisfa-
cente dagli organi di gestione della stessa banca (52). Ferma, ovviamente,
l’inapplicabilità, ai piani di cui all’art. 67, lett. d e agli accordi ex art. 182
bis l. fall., del principio di maggioranza nei rapporti interni al ceto credi-
torio: sı̀ che gli amministratori, nell’ambito di tali procedimenti, non po-
tranno mai porsi al riparo dalle azioni dei creditori con i quali non inter-
venga una transazione (53).

3.2. Concordato preventivo.


Più complesso trattare di azioni di responsabilità nell’ambito del con-
cordato preventivo: questione a lungo trascurata da parte della dottrina e
dalla giurisprudenza ed assurta solo di recente all’attenzione degli inter-
preti (54), in considerazione del fatto che le riforme poste in essere a partire

un’azione tipica quale quella di cui all’art. 2394 c.c. (alla quale soltanto, perlomeno tenden-
zialmente, si farà riferimento nel prosieguo del presente articolo).
(52) In tal caso, non trattandosi di atti di disposizione di cespiti facenti parte dell’attivo
sociale (ma dell’attivo della banca, sedicente creditrice degli amministratori ex art. 2394 e/o
2395 c.c.), non dovrebbe, peraltro, nemmeno porsi il problema di esentare detta transazione
dall’ambito di applicazione delle norme in tema di revocatoria e di bancarotta semplice e
fraudolenta. Interessante, piuttosto, rilevare che, perlomeno in caso di esercizio dell’azione
post omologa, i creditori sociali aderenti all’accordo, ove abbiano visto falcidiato il proprio
credito, potrebbero vedersi eccepire che, se la società è in grado di dare esecuzione all’a.r.d.,
non sussiste il presupposto di cui all’art. 2394, comma 2˚, c.c. (l’essere il patrimonio sociale
divenuto insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti); e v. D’ATTORRE, Le azioni di
responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. società, 2015, p. 37. Sull’analogo problema
che si pone in caso di omologa di un concordato preventivo v. peraltro di seguito, il
par. 3.2.2.
(53) Sul punto del resto, con riferimento al concordato preventivo, v. di seguito il
par. 3.2.3.
(54) E v., fra gli altri, D’ATTORRE, op. cit., p. 15 ss.; PAGNI, La legittimazione alle azioni
di responsabilità nel concordato preventivo, in Società, 2015, p. 601 ss.; FABIANI, Le azioni di
responsabilità nei confronti degli amministratori di società in concordato preventivo, in Società,
2015, p. 612 ss. (ma, dello stesso autore, v. anche L’azione di responsabilità dei creditori
sociali e le altre azioni sostitutive, Milano, 2015); A. DIMUNDO, La responsabilità civile degli
amministratori di s.r.l. in concordato preventivo, in Fallimento, 2014, p. 1138 ss.; GRACI, Le
azioni di responsabilità nel concordato preventivo e la legittimazione del commissario giudi-
ziale, in Dir. fall., 2015, II, p. 154; DONGIACOMO, Le azioni di responsabilità nel piano di
concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 16.11.2012; CONFORTI, La responsabilità
civile degli amministratori di società per azioni, Milano, 2013, p. 1003 ss.; AMBROSINI, Il
concordato preventivo, in VASSALLI, LUISO e GABRIELLI (diretto da), Trattato di diritto falli-
mentare e delle altre procedure concorsuali vol. IV, Torino, 2014, p. 142. Si vedano inoltre F.
PASQUARIELLO, Le azioni risarcitorie per lesione aquiliana del credito contro ‘amministratore di
società fallita: una nuova lettura, anche nella prospettiva dell’imminente riforma del diritto
(societario) della crisi d’impresa, in corso di pubblicazione su Banca, borsa e tit. cred., 2016,
ed il blog di GALLETTI, Le azioni di responsabilità esercitate nel corso di procedure di concor-
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saggi e approfondimenti 589

dal d.l. n. 35/05, se da un lato hanno eliminato, fra i presupposti di accesso


al concordato preventivo, i requisiti di meritevolezza di cui al previgente
art. 160 l. fall. (55) (la cui sussistenza rendeva spesso arduo configurare una
responsabilità in capo agli amministratori), d’altro lato hanno elevato il
numero di procedure concordatarie (in precedenza, come noto, non cosı̀
diffuse).
Al riguardo, occorre distinguere fra azione di responsabilità spettante
alla società ed azione di responsabilità riconosciuta in capo ai creditori
sociali (56).

3.2.1. L’azione sociale di responsabilità.


Quanto all’azione sociale, la disciplina varia a seconda che si tratti di:
(i) piano di concordato prevedente, quanto all’esercizio dell’impresa,
una continuità c.d. soggettiva senza liquidazione di assets, o con liquida-

dato preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 31.3.2015. Quanto al sistema previgente v., fra


gli altri, RAGUSA MAGGIORE, Concordato preventivo e responsabilità degli amministratori ex
articolo 2394 codice civile, in Dir. fall., 1990, II, p. 1173; CARDARELLI, Azione di responsabi-
lità: legittimazione del liquidatore “ad acta” e volontà sociale, in Società, 1996, p. 916;
MARIANI, Questioni in tema di concordato preventivo, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 288 ss.;
RORDORF, Azione di responsabilità, concordato preventivo e amministrazione controllata, in
Società, 1995, p. 748; FISCON, Sull’esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori sociali
contro gli amministratori nel concordato preventivo delle società, in Giur. comm., 1989, II, p.
839; BORELLA, Note in tema di concordato preventivo e azione di responsabilità dei creditori
sociali verso gli amministratori, in Giur. comm., 1993, II, p. 75; per ulteriori riferimenti cfr.,
inoltre, AUDINO, Sub art. 184, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge
fallimentare, Padova, 2013, p. 1307. Con riferimento al tema trattato nel testo, l’art. 6,
comma 2˚, lett. a, del disegno di legge Rordorf, cit., in tema di concordato preventivo,
delega il Governo a “esplicitare presupposti, legittimazione ed effetti dell’azione sociale di
responsabilità e dell’azione dei creditori sociali, in conformità ai principi dettati dal codice
civile”.
(55) Per il quale poteva proporre ai propri creditori un concordato preventivo unica-
mente l’imprenditore iscritto nel registro delle imprese da almeno un biennio (o, comunque,
dall’inizio della sua attività), sempre che avesse tenuto, per lo stesso arco di tempo, una
regolare contabilità, non fosse stato dichiarato fallito, o ammesso a concordato preventivo,
nei cinque anni precedenti, e non fosse stato condannato per bancarotta o delitti contro il
patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria o il commercio.
(56) Il riferimento, quanto alle s.p.a., è rispettivamente all’azione di cui all’art. 2392 e a
quella di cui all’art. 2394 c.c. Le considerazioni svolte di seguito in tema di azione sociale di
responsabilità paiono valere, peraltro, anche per l’azione che dovesse riconoscersi alla so-
cietà eterodiretta, ex art. 2497 c.c. (per come interpretato dalla dottrina maggioritaria: e v.
D’ATTORRE, op. cit., p. 38, nt. 62); quelle svolte in tema di azione dei creditori sociali
sembrano adattabili anche all’azione riconosciuta da tale disposizione ai creditori della
società sottoposta a direzione e coordinamento.
Non sembra potersi dubitare, per contro, che rimangano nella disponibilità dei legitti-
mati, uti singuli, sia l’azione per danno diretto attribuita ai soci e ai terzi, ex art. 2395 c.c., sia
l’azione riconosciuta ai soci di società eterodirette dall’art. 2497 c.c.
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590 le nuove leggi civili commentate 3/2016

zione parziale delle attività sociali (57), escluso il diritto al risarcimento dei
danni vantato dalla società nei confronti degli amministratori, ovvero di
(ii) piano di concordato prevedente una liquidazione totale o comun-
que, ove ammissibile (58), una liquidazione parziale degli assets sociali com-
prendente anche il credito risarcitorio de quo (59).

(57) E v. l’art. 186 bis l. fall., il cui comma 1˚ dispone che il piano di concordato con
continuità aziendale “può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’eserci-
zio dell’impresa”.
(58) Nonostante sia opinione dominante, perlomeno in giurisprudenza (e v. App. Roma
5 marzo 2013, in www.ilcaso.it, 2013; Trib. Roma 25 luglio 2012, in Fallimento, 2013, p.
748; Trib. Roma 29 luglio 2010, in Fallimento, 2011, p. 225; ma – in senso contrario – si
vedano gli autori citati da FABIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli ammini-
stratori di società in concordato preventivo, cit., p. 615, nt. 14), che i concordati liquidatori
debbano prevedere la liquidazione totale delle attività sociali, o comunque l’attribuzione ai
creditori di beni di valore pari a quello, complessivo, di tutti i cespiti dell’attivo, non paiono
ravvisabili indici normativi in grado di supportare detta conclusione. Sembra ingiustificato,
in particolare, il richiamo all’art. 2740 c.c., che da un lato trova un’espressa deroga nel
concordato con continuità aziendale c.d. soggettiva (procedura in cui è concesso al debitore
di esdebitarsi per la parte di passività eccedenti la percentuale oggetto della proposta
concordataria e che peraltro, nell’ottica del legislatore, non è certo maggiormente meritevole
di incentivi rispetto al concordato con continuità aziendale c.d. oggettiva) e nei concordati
prevedenti la fusione fra più società, con conseguente confusione delle masse attive e passive
(procedure in cui perlomeno una delle società partecipanti alla fusione vedrà destinata una
parte dei propri assets ai creditori di altra, o di altre società, e non ai propri); d’altro lato, si
caratterizza per una ratio legis (consentire ai creditori, sino alla loro completa soddisfazione,
di poter contare su tutti i cespiti dell’attivo del debitore, presenti e futuri) che viene tradita
in ogni tipo di concordato comportante esdebitazione (e, conseguentemente, il venir meno
del debito, prima ancora che della responsabilità; e questo nonostante, estinto il primo, la
seconda, dal punto di vista formale, non possa sussistere, sı̀ che, in ogni concordato pre-
vedente liquidazione totale degli assets ed esdebitazione, l’art. 2740 c.c. risulta tecnicamente
rispettato, non essendovi più debiti di cui il debitore debba rispondere con i propri beni
futuri). Pare, in altre parole, che in un sistema che consente al debitore – ove la maggioranza
dei creditori lo accetti e il tribunale conceda l’omologazione – di liberarsi da una parte anche
molto consistente dei propri debiti, evitando di dover destinare per il futuro, ai propri (ex)
creditori, i beni di cui diverrà titolare, anche ove si tratti di milioni e milioni di euro, ritenere
che sia impedito allo stesso debitore di offrire ai creditori una parte soltanto del proprio
attivo (al limite, con uno scostamento di un solo euro fra valore totale degli assets e valore
messo a disposizione del ceto creditorio) pare non conforme alla mens legis; dovendosi
oltretutto considerare che, nel novellare l’art. 160 l. fall., il d.l. n. 35/05 ha eliminato la
previsione per cui, in caso di concordato liquidatorio, il debitore doveva offrire “la cessione
di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio alla data della proposta di concordato, tranne
quelli indicati dall’art. 46” l. fall.
(59) In assenza di diversa previsione pattizia che contempli la cessione (se non, espres-
samente, del credito de quo) di tutti i crediti, il credito della società al risarcimento del
danno non potrà considerarsi trasferito, nemmeno in caso di cessione di azienda (fattispecie
dalla quale, secondo l’opinione dominante, sono di regola esclusi – salva diversa disposizio-
ne convenzionale – tanto il trasferimento dei crediti, quanto il trasferimento dei debiti: e v.
per tutti COLOMBO, Contratti, crediti e debiti nel trasferimento dell’azienda in piena titolarità,
in GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,
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saggi e approfondimenti 591

Nella prima ipotesi (sub i), non v’è dubbio che l’azione di responsa-
bilità rimanga a far parte del patrimonio della società (60), che difficilmente
deciderà di esercitarla per le note ragioni che, in concreto, ostano all’e-
sperimento di tale iniziativa nelle società in bonis (id est, la tendenziale
riferibilità degli amministratori ai soci di maggioranza che dovrebbero
adottare la delibera assembleare di cui all’art. 2393 c.c.). La disciplina
dell’azione, infatti, è la medesima applicabile alle società in bonis; ferma
la necessità di integrare dette apparato di regole con le norme che pre-
scrivono l’autorizzazione del giudice delegato per gli atti di straordinaria
amministrazione in corso di procedura (61); dovendosi far rientrare in tale
insieme – ad avviso di chi scrive – unicamente la rinuncia o la transazione
dell’azione de qua, ma non anche il suo esercizio (62).

vol. III, L’azienda e il mercato, Padova, 1979, p. 123 ss.).


Del resto, occorre tener conto che, secondo parte della giurisprudenza (v. Trib. Lucca
23 gennaio 2013, in www.ilcaso.it, 2013), “La cessione dell’azienda sociale non include la
cessione del credito risarcitorio rinveniente titolo nell’azione sociale di responsabilità, po-
stulando quest’ultima, come ogni atto dispositivo dell’azione sociale di responsabilità (ri-
nuncia, transazione), una preventiva autorizzazione dell’assemblea sociale”; tesi invero opi-
nabile, non solo in considerazione del fatto che nessuna norma impone, quale condizione di
efficacia del trasferimento del predetto credito, una delibera dell’assemblea, e che l’art. 2393
c.c., nell’attribuire all’organo assembleare il potere di esercitare l’azione, e quello di rinun-
ziarvi o transigervi, pare dover essere considerato una norma eccezionale, insuscettibile di
applicazione analogica, ma anche per via delle particolarità che la cessione dell’azione de
qua presenta nell’ambito del concordato: in tal caso, infatti, in cui la società debitrice mette a
disposizione dei creditori le proprie attività o, comunque, il risultato della loro liquidazione,
non v’è il pericolo che il trasferimento dell’azione sociale potrebbe presentare al di fuori del
concordato; pericolo consistente in una cessione a prezzo vile (eventualmente, a terzi indi-
viduati ad hoc per ledere gli interessi della società), operata peraltro dagli amministratori in
una situazione di conflitto di interessi (che potrebbe comunque essere arginata mediante
impugnativa della relativa delibera da parte dei sindaci, ex art. 2391 c.c.). Sul punto v.
peraltro D’ATTORRE, op. cit., p. 24, nt. 27.
(60) Al pari di quanto si verifica nella fase precedente l’ammissione al concordato, in
cui la disciplina dell’azione è la medesima applicabile alla società in bonis, salva la necessità
dell’autorizzazione del Tribunale – ex art. 161, comma 7˚, l. fall. (testualmente riferito alle
domande di concordato con riserva, ma verosimilmente applicabile anche alle domande
ex art. 161, comma 1˚) – per l’ipotesi di compimento di atti di straordinaria amministrazione
(insieme in cui, come detto nel testo, pare corretto fare rientrare la rinuncia all’azione, o la
transazione della stessa, ma non anche il suo esercizio).
(61) E questo – come ovvio – sempre che si tratti di iniziative da esperire in corso di
concordato; non essendovi per contro necessità di alcuna autorizzazione qualora le stesse
siano assunte post omologa.
(62) Quanto alla transazione di un’azione già esercitata, potrebbe trattarsi – come già
evidenziato per gli a.r.d. e i piani attestati di risanamento (e v. supra, sub 3.1) – di un atto
esecutivo della proposta e del piano di concordato, finalizzato a recuperare attivo a favore
della società; fermo restando che anche la rinuncia potrebbe assolvere la medesima funzione
(e si pensi, a titolo esemplificativo, a una rinuncia preventiva all’azione nei confronti di un
socio amministratore che apporti alla società nuova finanza, al servizio del piano di concor-
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592 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Nell’ipotesi (sub ii) di soluzione liquidatoria comprendente il credito


risarcitorio nei confronti degli amministratori, quest’ultimo, di regola (e
sempre che non venga ulteriormente ceduto, unitamente o disgiuntamente
rispetto all’azienda, nell’esecuzione del concordato (63)), potrà essere azio-
nato dal liquidatore nominato dal tribunale, ai sensi dell’art. 182 l. fall., e
incaricato di liquidare i crediti della società fallita, eventualmente facendoli
valere in sede contenziosa (64).
In tal caso, è discusso se sia o meno necessaria la delibera dell’assem-
blea prevista, per le s.p.a., dall’art. 2393 c.c.
Preferibile la risposta negativa (65), parendo corretto ritenere che l’a-
dozione della delibera assembleare non costituisca un presupposto di esi-
stenza del credito risarcitorio, ma rappresenti una condizione dell’azione,
per la sola ipotesi in cui la stessa rimanga nella disponibilità dei soci;
divenendo, dunque, superflua in caso di esperimento della stessa da parte
di terzi (66).

dato). In tali ipotesi, è possibile immaginare che la società, nell’elaborare la proposta di


concordato, intenda prevedere che l’approvazione della stessa e la successiva omologazione
comportino anche la rinuncia dei creditori all’azione di responsabilità loro spettante; ma v.
quanto osservato di seguito, al par. 3.2.3.
(63) Dallo stesso liquidatore nominato ex art. 182 l. fall. e menzionato di seguito, nel
testo.
(64) In realtà, il liquidatore giudiziale di cui all’art. 182 l. fall. potrebbe non essere
nominato (e v. l’inciso iniziale della norma, riferito all’ipotesi in cui il concordato non
disponga diversamente); in tal caso, qualora la gestione e la liquidazione dell’attivo spettino
alla società debitrice, l’azione di responsabilità, sino alla sua cessione a terzi, potrà essere
esercitata dalla stessa società secondo le ordinarie regole di governance: e v. FABIANI, Dalla
meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel concordato preventivo, in
Fallimento, 2015, p. 971, nt. 33, che poi, alla nt. 41, ricorda anche la pronuncia di Trib.
Roma 20 gennaio 1996, in Società, 1996, p. 913, il quale ha nominato un liquidatore ad
acta per promuovere un’azione di responsabilità che la società si era rifiutata di deliberare.
(65) E v. DONGIACOMO, Le azioni di responsabilità nel piano di concordato preventivo,
cit., p. 9 e, nel sistema previgente, Trib. Roma 20 gennaio 1996, cit. alla nota che precede;
contra, tuttavia, D’ATTORRE, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, cit., p. 22;
Trib. Milano 19 luglio 2011, in www.ilcaso.it, 2011.
(66) Lo stesso pare possa affermarsi con riferimento alla rinuncia e alla transazione
dell’azione, che dovrebbero rientrare nelle competenze del liquidatore, al pari di qualsivo-
glia atto dispositivo avente ad oggetto i crediti e, più in generale, le posizioni giuridiche
attive facenti parte dell’attivo concordatario; sı̀ che lo stesso liquidatore pare avere il potere
di gestione e di disposizione di tali posizioni giuridiche attive, senza dover richiedere una
preventiva delibera dell’organo generalmente competente a disporne sulla base delle norme
di diritto societario: principio pacifico per le attribuzioni riconosciute, di regola, all’organo
amministrativo, e che sembra corretto applicare anche alle attribuzioni che normalmente
rientrano nella sfera decisionale dell’assemblea. Più dubbio che la legittimazione del liqui-
datore – per il periodo in cui lo stesso rimane in carica – possa dirsi esclusiva (secondo
quanto si dovrebbe ritenere applicando, al concordato preventivo con cessione dei beni, i
principi desumibili dagli artt. 1979 e 1980 c.c., in tema di cessione dei beni a creditori), dal
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saggi e approfondimenti 593

3.2.2. L’azione di responsabilità dei creditori sociali.


Quanto, invece, all’azione dei creditori sociali, un recente orientamen-
to giurisprudenziale (67) – avallato dalla dottrina processualistica (68) – ha
ritenuto di doverla riconoscere al commissario giudiziale. Ciò, alla luce del
disposto dell’art. 240 l. fall., a norma del quale “Il curatore, il commissario
giudiziale e il commissario liquidatore possono costituirsi parte civile nel
procedimento penale per i reati preveduti nel presente titolo (69), anche
contro il fallito. I creditori possono costituirsi parte civile nel procedimen-
to penale per bancarotta fraudolenta quando manca la costituzione del
curatore, del commissario giudiziale o del commissario liquidatore o quan-
do intendano far valere un titolo di azione propria personale”.
In effetti, dalla lettura di tale articolo matura la sensazione per cui, se
la legge riconosce al commissario giudiziale la possibilità di esercitare
l’azione civile nel processo penale, non può non riconoscergli anche l’e-
sercizio della medesima azione in sede civile.
Ma tale modo di ragionare si scontra con il principio per cui, in
assenza di un’espressa disposizione normativa che riconosca ad un sogget-
to (all’organo di una procedura concorsuale) il diritto di far valere in
giudizio un diritto altrui, o comunque di agire per conto di terzi (i singoli
creditori concorsuali), la relativa azione rimane nella disponibilità degli

momento che, con particolare riferimento ad azioni già esercitate prima dell’apertura del
concordato preventivo, il più recente orientamento della Cassazione (e v. Cass. 27 ottobre
2015, n. 21851) – invero opinabile – ha condotto ad affermare che, “In tema di concordato
preventivo con cessione dei beni, il giudizio promosso dal debitore per la riscossione di un
proprio credito prima dell’ammissione alla procedura e proseguito dopo l’omologazione,
non richiede l’integrazione del contraddittorio nei confronti del commissario liquidatore dei
beni nominato dal tribunale, non determinandosi in capo agli organi della procedura il
trasferimento della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma esclusivamente dei
poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore conserva il
diritto di esercitare in proprio le azioni e resistervi nei confronti dei terzi a tutela del suo
patrimonio”. Sul punto, che non è possibile approfondire adeguatamente in questa sede, v.
inoltre Cass. 11 agosto 2000, n. 10738 (la quale correttamente esclude che, qualora il
liquidatore trascuri l’esercizio di determinati crediti, questi possano dirsi estinti, una volta
che lo stesso liquidatore sia decaduto dall’esercizio delle sue funzioni: e v. invece Cass. 18
dicembre 1991, n. 13626); Cass. 13 aprile 2005, n. 7661.
(67) E v. Trib. Napoli, 5 luglio 2013, in Dir. fall., 2015, II, p. 144 ss.
(68) E v. PAGNI, La legittimazione alle azioni di responsabilità nel concordato preventivo,
cit., p. 611, che per la verità, pur ricordando la pronuncia di Trib. Napoli 5 luglio 2013,
citata alla nota che precede, si dichiara più propensa ad “immaginare una legittimazione
all’azione dei creditori sociali in capo ad un organo della procedura che, per semplicità, si è
ipotizzato essere il liquidatore, perché al Commissario è tradizionalmente attribuito un ruolo
diverso da quello che qui verrebbe a svolgere se si facesse parte attiva del rimedio”.
(69) Il titolo VI della legge fallimentare, dedicato – come noto – alle “Disposizioni
penali”.
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594 le nuove leggi civili commentate 3/2016

interessati, uti singuli (70). Senza considerare le incertezze sollevate dal


dato normativo quanto all’azione attribuita dall’art. 240 l. fall. al commis-
sario giudiziale, in rapporto con quella ivi riconosciuta ai creditori sociali
(ai quali la norma in parola, non senza ambiguità, nega di regola la legitti-
mazione alla costituzione di parte civile, a meno che – come anticipato –
manchi “la costituzione […] del commissario giudiziale” o i creditori
intendano “far valere un titolo di azione propria personale” (71)).
Sembra dunque più corretto ritenere che i creditori sociali abbiano il
diritto di agire individualmente nei confronti degli amministratori (72),
facendo valere, perlomeno nelle s.p.a., il disposto dell’art. 2394 c.c.; con

(70) E v., fra gli altri, l’art. 81 c.p.c., a norma del quale, “Fuori dei casi espressamente
previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.
Una delle applicazioni più note, nell’ambito del diritto concorsuale, del principio espresso
nel testo si è avuta da parte della giurisprudenza che, in tema di concessione abusiva di
credito, ha escluso la legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio della relativa
azione, riconoscendola ai soli creditori uti singuli: e v., fra le altre, Cass. 23 luglio 2010,
n. 17284 e App. Roma 5 luglio 2012, in Pluris (che peraltro paiono trascurare la circostanza
per cui, se e nella misura in cui l’abusiva concessione di credito abbia cagionato un danno
non solo ai creditori, ma anche alla società, il curatore fallimentare, deputato a gestirne il
patrimonio, deve ritenersi naturalmente investito del potere di esercitare il relativo credito).
(71) Titolo che pare riconducibile, prima facie, alla stessa azione di cui si discorre nel
testo, riconosciuta ai creditori sociali, nelle s.p.a., dall’art. 2394 c.c. e, nelle s.r.l. (per chi non
ritenga analogicamente applicabile, a tale tipo sociale, quest’ultima disposizione), dall’art.
2043 c.c. (sı̀ che sorge addirittura il dubbio che l’azione attribuita dall’art. 240 l. fall. agli
organi ivi citati – azione il cui esercizio è possibile in concorso con quella dei creditori avente
ad oggetto un titolo “di azione propria personale” – sia l’azione sociale: tesi verosimilmente
da escludere, ma significativa quanto ai dubbi sollevati dal dato normativo): proposta
interpretativa scartata dal Trib. Napoli, nella citata pronuncia del 5 luglio 2013 (e v. supra,
la nt. 66), sulla base della considerazione per cui, nel riferirsi ad un “titolo di azione propria
personale” dei creditori, l’art. 240 l. fall. farebbe riferimento alla sola azione diretta a
ottenere il risarcimento dei danni morali. Sul punto v. ROSSI VANNINI, Sub art. 240, in ROSSI
VANNINI e MAZZACUVA, Disposizioni penali. Art. 232-241, in Comm. Scialoja-Branca. Legge
fallimentare, Bologna, 1997, p. 142 ss.; SAMMARCO, La costituzione di parte civile, in GHIA,
PICCININNI e SEVERINI (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, vol. 6, I reati nelle
procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, p. 395 ss.; CASAROLI, Sub art. 240, in MAFFEI
ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1608 ss.;
APRILE, Sub art. 240, in FERRO (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico,
Padova, 2014, p. 3022 ss., ove ampi riferimenti.
(72) E v. Trib. Piacenza 12 febbraio 2015, in Dir. fall., 2015, II, p. 577 ss.; Trib.
Bolzano 30 aprile 2015, in Fallimento, 2015, p. 958; Trib. Ravenna 27 ottobre 2015, in
www.ilcaso.it, 2015. Superato, per contro, l’orientamento che giudicava inammissibile, nel
concordato preventivo, l’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c.: e v., in giurispru-
denza, Trib. Bologna 17 gennaio 1962, in Dir. fall., 1962, II, p. 478; Trib. Milano 23
dicembre 1968, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 283; in dottrina cfr. inoltre MAZZONI, La respon-
sabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità azien-
dale, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Anto-
nio Piras, Torino, 2010, p. 846.
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saggi e approfondimenti 595

la conseguenza che gli stessi potranno richiedere il risarcimento dei danni


eziologicamente riconducibili alla violazione delle norme “inerenti alla
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (73), entro il limite (74)
della differenza fra quanto agli stessi attribuito in sede di esecuzione del
concordato e la somma che avrebbero ricevuto in caso di regolare adem-
pimento dei loro crediti.
Al riguardo, si è ipotizzato (75) che, trattandosi di procedura concor-
suale, la legge impedisca il free riding, sı̀ che ciascun creditore, ove non
volesse accontentarsi del risarcimento del danno nella “misura mini-
ma” (76), dovrebbe convenire in giudizio gli altri creditori, di modo da
consentire al giudice di procedere alla liquidazione del danno a favore
di ciascuno degli aventi diritto, considerandolo in una posizione di par
condicio rispetto agli altri (77). Ma la tesi non pare convincente, non essen-
do dato applicare i principi della concorsualità ed invocare la par condi-

(73) Non essendovi alcun dubbio che, essendo la società ammessa al concordato
preventivo e trovandosi, dunque, in crisi, ricorra la condizione di cui al comma 2˚ dell’art.
2394 c.c.: il risultare il patrimonio sociale insufficiente al soddisfacimento (se non integrale,
tempestivo) di tutti i creditori. Ciò, perlomeno, in corso di procedura; una volta omologato
il concordato, invece, l’esdebitazione della società comporta che il patrimonio sociale possa
dirsi sufficiente alla soddisfazione delle obbligazioni sociali (nella misura falcidiata), sı̀ che
secondo taluni interpreti gli amministratori, convenuti in responsabilità da uno o più cre-
ditori, potrebbero eccepire l’insussistenza del presupposto di cui all’art. 2394, comma 2˚,
c.c.; e v. in questo senso, sia pure dubitativamente, D’ATTORRE, op. cit., p. 36, le cui
argomentazioni potrebbero forse essere superate sostenendo che, ai fini dell’esperibilità
dell’azione de qua, rileva l’insufficienza del patrimonio sociale rispetto alla soddisfazione
dei creditori nella misura a cui originariamente avevano diritto, dovendosi ritenere che
l’effetto esdebitatorio non possa prodursi se non nei confronti dei soci illimitatamente
responsabili e relativamente alla loro responsabilità per le obbligazioni sociali (e v. l’art.
184, comma 2˚, l. fall.), non potendo giovarsi dello stesso – oltre ai coobbligati, ai fideiussori
e agli obbligati in via di regresso (e v. l’art. 184, comma 1˚, l. fall.) – nemmeno gli ammini-
stratori (e v. infra, il paragrafo che segue).
(74) Limite che, in verità, potrebbe anche non venire raggiunto, potendo ricorrere
situazioni nelle quali i danni riconducibili alle condotte contra legem degli amministratori,
sulla base dei principi in tema di nesso causale, ammontino ad una cifra inferiore a quella
ora individuata nel testo.
(75) E v. FABIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società
in concordato preventivo, cit., p. 623.
(76) Pari – secondo lo stesso FABIANI (Le azioni di responsabilità nei confronti degli
amministratori di società in concordato preventivo, cit., p. 623) – all’importo che, determi-
nato l’ammontare massimo complessivamente risarcibile ex art. 2394 c.c., spetterebbe al
creditore attore simulando “una specie di riparto concorsuale in modo da verificare quale
sia l’esatta porzione del danno che a ciascun creditore può competere”.
(77) O dovendosi, altrimenti, procedere sulla base delle alternative proposte dallo
stesso FABIANI (Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società in
concordato preventivo, cit., p. 624). Circa la problematica trattata nel testo v. comunque, con
diversità di posizioni, gli autori citati supra, alla nt. 53.
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596 le nuove leggi civili commentate 3/2016

cio con riferimento al patrimonio di soggetti diversi dalla società debitrice,


quali gli amministratori.

3.2.3. Proposta di concordato preventivo ed azione di responsabilità dei


creditori sociali.
La circostanza che, nel corso o nell’esecuzione del concordato, e in
ogni caso in epoca successiva alla sua omologazione, gli amministratori
possano essere esposti alle azioni di responsabilità accordate dalla legge
alla società e ai creditori sociali (78), e la relativa frequenza con cui costoro
potrebbero decidere di attivarsi, induce a chiedersi se sia ammissibile una
proposta di concordato con cui la società in crisi preveda che per effetto
dell’omologa – eventualmente, una volta deliberata (la rinuncia o) la tran-
sazione all’azione sociale (79) – gli amministratori dovranno considerarsi
liberati da responsabilità nei confronti dei creditori (80).

(78) Peraltro, secondo parte della giurisprudenza, “la mancata indicazione nella do-
manda di concordato preventivo di circostanze che giustificano l’esperimento di un’azione
di responsabilità nei confronti degli amministratori impedisce ai creditori di esprimere una
valutazione comparativa di convenienza della proposta di concordato rispetto al fallimento”
e deve, pertanto, essere considerata un atto in frode ai creditori, tale da determinare la
revoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l. fall. (e v., di recente, Trib. Rimini 8 ottobre
2014, in www.ilcaso.it, 2015, riprendendo le massime di Trib. Monza 2 novembre 2011 e
App. Bologna 25 febbraio 2013; nello stesso senso, in dottrina, GALLETTI, Le azioni di
responsabilità esercitate nel corso di procedure di concordato preventivo, cit., riferendosi
non solo all’occultamento, ma anche alla mancata considerazione, nel piano concordatario,
del credito risarcitorio vantato dalla società verso gli amministratori, quando, per la verità,
l’art. 173 l. fall. pare attribuire rilievo unicamente a condotte dolose della società debitrice;
in senso contrario, Trib. Bolzano 30 aprile 2015, in Fallimento, 2015, p. 958, con nota
conforme di FABIANI, Dalla meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel
concordato preventivo, cit.).
(79) Secondo quanto ipotizzato supra, al par. 3.1 (ove un accenno alle problematiche di
governance che si possono porre nell’ipotesi considerata: e v., in particolare, la nt. 48) e
secondo quanto è verosimile che accada sia per porre al riparo gli amministratori anche
dall’azione sociale, sia per formulare una proposta che possa apparire conveniente per i
creditori (non essendo per contro agevole convincerli dell’opportunità di votare a favore di
un concordato che impedisca loro l’esercizio dell’azione di responsabilità verso gli ammini-
stratori, senza che questi ultimi abbiano versato alcunché nelle casse della società, in ese-
cuzione della transazione dell’azione sociale).
(80) Il problema potrebbe verosimilmente porsi nei termini precisati nel testo, in
considerazione della probabilità che i soci e gli amministratori – anche nei casi in cui si
tratti di soggetti diversi – abbiano interessi coincidenti o, comunque, convergenti, sı̀ che i
primi vogliano porre il riparo i secondi non solo dall’azione sociale di responsabilità, ma
anche da quella esperibile dai creditori. È tuttavia possibile – e v. infra, in questo stesso par.
– che gli amministratori ipotizzino di proporre un concordato che li liberi da responsabilità
verso i creditori, pur rimanendo esposti all’azione sociale, stante la mancata rinuncia a detta
azione da parte dell’assemblea.
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saggi e approfondimenti 597

Il dubbio sorge sia alla luce della disciplina concorsuale, sia alla luce
della disciplina societaria.
Sotto quest’ultimo profilo, è evidente che, nell’ipotesi di coincidenza
fra gli amministratori che dovrebbero beneficiare della rinuncia all’azione
di responsabilità e quelli in carica al momento del deposito della domanda
di concordato, questi ultimi, nel votare la delibera volta all’approvazione
della proposta e del piano, si troverebbero in conflitto di interessi (81).
Per evitare che l’organo di gestione, per tale ragione, dia vita ad una
deliberazione annullabile (82), i soci potrebbero allora decidere di modifi-
care lo statuto e attribuire la competenza a deliberare sulla domanda di
concordato all’organo assembleare, secondo quanto consentito dall’art.
152 l. fall.; salvo, tuttavia, in particolare per l’ipotesi di coincidenza fra i
soci e gli amministratori, il disposto dell’art. 2373, comma 2˚, c.c. (83):
norma che pare applicabile, se non anche alla delibera di approvazione
della proposta di concordato preventivo, alla delibera assembleare di ri-
nuncia alla (o di transazione della) azione da adottarsi in esecuzione di
detta proposta.
Ma le maggiori perplessità circa la percorribilità della soluzione ipo-
tizzata sorgono alla luce del diritto concorsuale, essendo perlomeno dub-
bio che la proposta di concordato di un soggetto (la società) possa avere
ad oggetto le passività che gravano su un altro soggetto (l’amministratore);
e ciò, anche ove si tratti di proposta rivolta a creditori comuni ad entram-
bi (84) e anche se, senza dubbio, sia configurabile un interesse concreto ed

(81) E v. quanto già osservato in precedenza, al par. 3.1, con riferimento ai piani
attestati di risanamento, ex art. 67, lett. d, l. fall., e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
(82) Qualora, in effetti, la proposta di concordato venga sottoscritta dai legali rappre-
sentanti della società e depositata presso il tribunale in esecuzione di una delibera consiliare
annullabile, l’apertura della procedura e, comunque, l’omologazione del concordato potreb-
bero dirsi impedite (in questo senso v. anche DONGIACOMO, Le azioni di responsabilità nel
piano di concordato preventivo, cit., p. 9). E v., ancora una volta, quanto già osservato in
precedenza, al par. 3.1, con riferimento ai piani attestati di risanamento, ex art. 67, lett. d, l.
fall., e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
(83) A norma del quale “Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni
riguardanti la loro responsabilità […]”.
(84) In realtà non è affatto certo che, ogni qual volta i componenti l’organo di gestione
si siano resi autori di condotte rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2394 c.c., tutti i
creditori concorsuali siano anche creditori degli amministratori, potendosene dubitare per-
lomeno con riferimento a coloro i cui crediti siano sorti dopo il compimento delle condotte
illegittime de quibus e che fossero consapevoli del loro compimento; e questo, nonostante
anche rispetto a tali soggetti sia possibile affermare che, qualora il patrimonio sociale sia
divenuto insufficiente alla loro soddisfazione, sussistono i presupposti per l’esercizio dell’a-
zione ex art. 2394 c.c.: condotta illegittima, danno e nesso di causalità (giacché, ove la
condotta illegittima non fosse mai stata perpetrata, il valore del patrimonio sociale risulte-
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598 le nuove leggi civili commentate 3/2016

attuale della società e dei suoi soci (85) a mantenere gli amministratori
esenti da responsabilità (86).
In effetti, l’ampia autonomia contrattuale riconosciuta al proponente,
ai sensi dell’art. 160 l. fall., non consente di obliterare la circostanza per
cui il principio di maggioranza, su cui è imperniato l’istituto del concor-
dato preventivo, pare concepito dal legislatore quale mezzo eccezional-
mente utilizzato dall’ordinamento, in deroga al canone dell’autonomia
contrattuale in senso negativo (87), per rendere possibile la gestione della
crisi che caratterizza il debitore; tanto che, ai sensi dell’art. 184 l. fall., i
creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso
per concordato preventivo (88) conservano impregiudicati i loro diritti
contro “i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di
regresso” (89) e che tale precetto è considerato inderogabile dalla maggior
parte della dottrina e della giurisprudenza (90), venendo letto nel senso che

rebbe più elevato, sı̀ che i creditori vedrebbero ridotto, se non eliso, il proprio danno). Il che
spiega perché l’art. 2394 bis c.c., per l’ipotesi di fallimento, di liquidazione coatta ammini-
strativa e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza,
attribuisce anche l’azione di cui all’art. 2394 c.c. al curatore fallimentare, al commissario
liquidatore e al commissario straordinario, a tutela di tutti i creditori concorsuali.
(85) Che – fermo quanto precedentemente osservato circa la competenza all’adozione
della domanda di c.p. – rappresentano il substrato personale dell’ente (e v., fra gli altri,
Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070, sull’estinzione delle società).
(86) Diversa l’ipotesi – già considerata – in cui i soci intendano allettare i creditori
sociali prevedendo, fra gli atti esecutivi del piano, l’esercizio dell’azione di responsabilità
contro gli amministratori (o, più verosimilmente, gli ex amministratori).
(87) Trattasi – come noto – del principio per cui nessuno, di regola, può vedere incisi
negativamente i propri diritti soggettivi contro (o comunque indipendentemente da) la sua
volontà: e v., per tutti, GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. II, 1, Padova, 1990,
p. 131.
(88) Coloro nei cui confronti il concordato preventivo omologato è obbligatorio e
vincolante.
(89) Insieme a cui, pure, gli amministratori sono estranei.
(90) E v., in giurisprudenza, App. Bologna 16 aprile 1977, in Giur. comm., 1979, II, p.
174; Trib. Roma 15 marzo 1958, in Dir. fall., 1958, II, p. 90 e, in tema di concordato
fallimentare, con riferimento al disposto dell’art. 135, comma 2˚, l. fall. (il cui contenuto è
analogo a quello di cui all’art. 184, comma 1˚, secondo periodo, citato nel testo), Trib. Bari 4
marzo 1985, in Fallimento, 1985, p. 1107. Sul contenuto dell’art. 184 l. fall. v., fra gli altri,
FILOCAMO, in FERRO (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova,
2014, p. 2654 ss.; RIVOLTA e PAJARDI, Sub art. 184, in BOCCHIOLA e PALUCHOWSKY (a cura di),
PAJARDI, Codice del fallimento, p. 2094 ss.; AUDINO, sub art. 184, in MAFFEI ALBERTI (a cura
di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1300 ss.
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saggi e approfondimenti 599

sarebbe consentita dall’ordinamento, attraverso il concordato della società,


la sola liberazione “dei soci illimitatamente responsabili” (91) e, per di più,
limitatamente alla responsabilità per debiti (92).
E pare arduo allora immaginare che taluno dei creditori, per effetto
del voto favorevole della maggioranza, possa venire spogliato di un’azione
– quella contro gli amministratori resisi autori delle condotte di cui all’art.
2394 c.c. – che potrebbe essere rivolta verso soggetti diversi dai soci, per
fare valere una responsabilità diversa da quella per debiti a cui è riferito il
secondo comma dell’art. 184 l. fall.

(91) E v. l’art. 184, comma 2˚, l. fall., che pure si apre con l’inciso “Salvo patto
contrario”.
(92) Non essendovi alcun dubbio che, in linea di principio, soci che fossero responsa-
bili per danni nei confronti della società e dei creditori – ad esempio ai sensi dell’art. 2476,
comma 7˚, c.c. – non beneficerebbero degli effetti positivi (immaginiamo, anche esdebita-
tori) del patto di concordato. E v., di recente, nel senso della mancata liberazione, ex art.
184 l. fall., di soci illimitatamente responsabili terzi datori di ipoteca, Cass., sez. un., 16
febbraio 2015, n. 3022, in Fallimento, 2015, p. 1204 ss.
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PROVVEDIMENTI IN FORMAZIONE

ALESSIO BARTOLACELLI (*)


Ricercatore nell’Università di Macerata

LA SOCIETAS UNIUS PERSONAE (SUP): VERSO UN NUOVO


MODELLO SOCIETARIO UNIPERSONALE EUROPEO?

SOMMARIO: 1. Funzioni, ragioni e precedenti della nuova Proposta di direttiva in materia di


società unipersonali. – 2. Base giuridica e procedimento di approvazione: lo stato
dell’arte. – 3. Le vicende della Proposta: il testo originale, l’Orientamento Generale
e gli sviluppi successivi. – 4. Le disposizioni generali in materia di società unipersonali.
– 5. La SUP: fattispecie, soggetti e questioni in tema di sede legale/amministrazione
centrale. – 6. Segue: la SUP: la costituzione e l’iscrizione on-line. – 7. Segue: la SUP:
quota unica, capitale sociale e tutela dei creditori. – 8. Segue: la SUP: l’organizzazione
interna. – 9. Le norme di chiusura. – 10. Il potenziale impatto sul diritto italiano. – 11.
Considerazioni finali.

1. Funzioni, ragioni e precedenti della nuova Proposta di direttiva in


materia di società unipersonali.
Il 9 aprile 2014 la Commissione Europea ha rilasciato una Proposta di
direttiva in materia di società a responsabilità limitata unipersonali, da
approvarsi da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio (di qui in-
nanzi anche “Proposta SUP”) (1).
La materia era stata oggetto di attenzione comunitaria sin dagli anni
‘80 con l’approdo nel 1989 all’emanazione della c.d. Dodicesima Diretti-
va (2), successivamente più volte emendata (3), e da ultimo codificata nel

(*) Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente del


Comitato per la valutazione scientifica.
(1) Atto COM(2014) 212 final 2014/0120 (COD), del 9 aprile 2014: Proposta di
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle società a responsabilità limitata
con un unico socio, il cui testo è disponibile on-line in lingua italiana con i relativi allegati
all’URL: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014PC0212&-
from=EN (ultima consultazione: 25 marzo 2016).
(2) Dodicesima direttiva 89/667/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, in materia
di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio, in
G.U.C.E. L 395/40 del 30 dicembre 1989.
(3) Per la verità tutti riguardanti l’estensione spaziale dell’ambito di applicazione della
Direttiva, a seguito del progressivo allargamento dei confini comunitari. La differenza
sostanziale, da un punto di vista di tecnica redazionale, tra la Dodicesima Direttiva e la

NLCC 3/2016
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602 le nuove leggi civili commentate 3/2016

2009 (4). La Proposta SUP si pone in questa scia, avendo una funzione
sostitutiva della dir. 2009/102/CE (5).
Lo scopo della Proposta SUP, tuttavia, appare ben più ambizioso di
un semplice restyling della recentemente codificata materia dell’armoniz-
zazione delle società private unipersonali. Accanto ad una Parte prima
(artt. 1 – 5), che accoglie le “Disposizioni generali” in materia di società
unipersonali, in larga misura replica dei contenuti della direttiva sostituen-
da, si pone infatti il “cuore” del documento, costituito dalla Parte seconda
(artt. 6 – 25), recante la regolamentazione di una particolare forma socie-
taria unipersonale, la Societas Unius Personae (SUP), prima della consueta
parte terza (artt. 26 – 33), con le norme di chiusura, che non paiono
particolarmente innovative.
Anche solamente osservando l’estensione della parte seconda in termi-
ni di numero di articoli ivi contenuti, è evidentemente la disciplina della
SUP a costituire il punto focale della proposta; donde la scelta di identi-
ficare in questo studio il documento proprio con il nome di “Proposta
SUP” (6).

codificazione del testo nel 2009 risiede nel fatto che i tipi societari primariamente interessati
– le società “private”, a base chiusa, di ogni singolo Paese membro – erano nella prima citati
esplicitamente nell’articolato, segnatamente all’art. 1, mentre nel testo codificato si è prov-
veduto ad inserire l’elencazione – aggiornata – all’interno dell’allegato 1 al testo.
(4) Dir. 2009/102/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009,
in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con un unico
socio (versione codificata), in G.U.U.E. L 258/20 del 1˚ ottobre 2009.
(5) Cfr. art. 29 della Proposta nelle diverse versioni disponibili; la sostituzione delle
previsioni della dir. 2009/102/CE avverrà sulla base della tavola di concordanza di cui all’all.
2 della Proposta.
(6) Ed è stata in particolare modo la prefigurazione della SUP a sollecitare le riflessioni
della dottrina, soprattutto in lingua tedesca ed inglese, che si è sin qui impegnata nell’analisi
della Proposta. Atteso quanto tra breve si dirà dello stato di elaborazione della direttiva, è
utile distinguere tra commenti aventi ad oggetto la sua versione originale, espressa dalla
Commissione UE, e quelli che danno conto della elaborazione più recente, frutto dell’O-
rientamento Generale rilasciato dal Consiglio dell’Unione Europea il 28 maggio 2015.
Quanto ai commenti alla versione originale, si vedano, in lingua tedesca: ADENAUER,
Der Richtlinienvorschlag der EU-Kommission zur Societas Unius Personae (SUP), in AnwZert
HaGesR – AnwaltZertifikat Online – Handels- und Gesellschaftsrecht, 2014, 21, Anm 1;
BAUER e WELLER, Europäisches Konzernrecht: vom Gläubigerschutz zur Konzernleitungsbefu-
gnis via Societas Unius Personae, in ZEuP – Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2015, p.
6; BEURSKENS, “Societas Unius Personae”– der Wolf im Schafspelz?, in GmbH-Rundschau,
2014, p. 738; BÖHM, Gesellschaftsrecht: Societas Unius Personae als Alternative für die Eu-
ropäische Privatgesellschaft?, in EuZW – Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p.
363; DREHER, Der Richtlinienvorschlag über die Societas Unius Personae und seine Regelun-
gen zur faktischen Geschäftsführung, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014,
p. 967; DRYGALA, What’s SUP? Der Vorschlag der EU-Kommission zur Einführung einer
europäischen Einpersonengesellschaft (Societas Unius Personae, SUP), in EuZW – Europäische
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provvedimenti in formazione 603

Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 491; EICKELBERG, SUP, EGVP, ePerso und XML –
Die schöne neue (digitale) Welt der GmbHGründung, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesell-
schaftsrecht, 2015, p. 81; FLEISCHER, Internationale Trends und Reformen im Recht der
geschlossenen Kapitalgesellschaft, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p.
1081; HOMMELHOFF, Die Societas Unius Personae: als Konzernbaustein momentan noch un-
brauchbar, in Gmbh-Rundschau, 2014, 20, p. 1065; HOMMELHOFF e TEICHMANN, Die Wie-
derbelebung der SPE, in GmbH-Rundschau, 2014, 4, p. 177; S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP): Der neue Konzernbaustein, in Gmbh-Rundschau, 2014, 11, p. 579; KYNAST, “SUP”:
Supergesellschaft oder Superflop?, in Anwaltsblatt, 2015, 1, p. M6; OMLOR, Die Societas Unius
Personae – eine supranationale Erweiterung der deutschen GmbH-Familie, in NZG – Neue
Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p. 1137; OMLOR, Die gemeinnützige Societas Unius
Personae (“gSUP”), in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2015, p. 665; OMLOR,
Die Societas Unius Personae (SUP) mit mehreren Gesellschaftern – ein Paradoxon?, in GPR –
Zeitschrift für das Privatrecht der Europäischen Union, 2015, p. 158; RIES, Societas Unius
Persononae – cui bono?, in NZG – Neue Zeitschrift für Gesellschaftsrecht, 2014, p. 569; J.
SCHMIDT, Der Vorschlag für eine Societas Unius Personae (SUP) – super oder suboptimal?, in
GmbH-Rundschau, 2014, 9, p. 130; J. SCHMIDT, Die Societas Unius Personae (SUP) – eine
neue “europäische” Option für Familienunternehmen?, in FuS – Familienunternehmen und
Stiftungen, 2014, p. 232; SCHOENEMANN, Bauen am Baustein für einen europäischen Konzern
– Der Richtlinienvorschlag der Kommission zur SUP, in Europäisches Wirtschafts- und Steuer-
recht (EWS), 2014, p. 241; SEIBERT, SUP – Der Vorschlag der EU-Kommission zur Harmo-
nisierung der Einpersonen-Gesellschaft, in GmbH-Rundschau, 2014, 14, p. 209; THANNISCH,
Bedrohung für die Mitbestimmung!, in AiB – Arbeitsrecht im Betrieb, 2015, 2, p. 30; TEICH-
MANN, Europäische Harmonisierung des GmbH-Rechts, in NJW – Neue Juristische Wo-
chenschrift, 2014, p. 3561; VERSE e WIERSCH, Die Entwicklung des europäischen Gesellschaft-
srechts im Jahr 2013, in EuZW – Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 375;
WICKE, Societas Unius Personae – SUP: eine äußerst wackelige Angelegenheit, in ZIP –
Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2014, p. 1414: Ad essi sono da aggiungere i commenti
organici presenti nel volume a cura di LUTTER e KOCH, Societas Unius Personae (SUP).
Beiträge aus Wissenschaft und Praxis, Berlin, 2015: J. SCHMIDT, Die SUP aus der Sicht der
Kommission und ihr Kapitalschutz, p. 1; BORMANN, Die SUP aus Sicht des nationalen Rechts-
systems, p. 23; TEICHMANN, Einsatzmöglichkeiten der Societas Unius Personae (SUP), p. 37;
RIES, Die SUP und das Handelsregister, p. 65; HOMMELHOFF, Die SUP-Ferngründung, p. 69;
LEUERING, SUP – Perspektiven für die Praxis, p. 89.
In inglese: CONAC, The Societas Unius Personae (SUP): A “Passport” for Job Creation
and Growth, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 139; GUIDOTTI, The
Proposal for a Directive on Single-Member Private Limited Liability Company (Societas Unius
Personae) from the Italian Perspective, in Nuovo diritto delle società, 2015, 5, p. 96; GUIDOTTI
e BARTOLACELLI, Societas Unius Personae from the Italian Perspective, in corso di pubblica-
zione in un volume collettaneo curato da J. Viera González, ma disponibile on-line all’indi-
rizzo http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2719212; J.L. HANSEN, The SUP
Proposal: Registration and Capital (Articles 13–17), in European Company and Financial
Law Review, 2015, p. 177; HARBARTH, From SPE to SMC: The German Political Debate
on the Reform of the “Small Company”, in European Company and Financial Law Review,
2015, p. 230; KNAPP, Directive on Single-Member Private Limited Liability Companies: Di-
stributions, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 191; KOSTER, EU
Legal Entities: New Options?, in European Company Law 12, 2015, 1, p. 5; KRAVETS,
Discussion Report: The Proposal for a Directive on the Single-Member Private Limited Lia-
bility Company, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 125; NEVILLE e
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604 le nuove leggi civili commentate 3/2016

SØRENSEN, Promoting Entrepreneurship – The New Company Law Agenda, in European


Business Organisation Law Review, 2014, p. 545; MALBERTI, The relationship between the
Societas Unius Personae proposal and the acquis: Creeping Toward an Abrogation of EU
Company Law?, in European Company and Financial Law Review, 2015, p. 238; TEICHMANN,
Corporate Groups within the Legal Framework of the European Union: The Group-Related
Aspects of the SUP Proposal and the EU Freedom of Establishment, in European Company
and Financial Law Review, 2015, p. 202; TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius Personae
(SUP): Facilitating Cross-Border Establishment, in Maastricht journal of European and com-
parative law, 3, 2014, p. 536; TER BRAKE e VAN DUUREN, The Societas Unius Personae: A
Welcome European Vehicle, in European Company Law 12, 2015, p. 270; WUISMAN, The
Societas Unius Personae (SUP), in European Company Law 12, 2015, p. 34. Si v. anche il
lavoro di tesi di ABOSH, Societas Unius Personae: Is there a need for a new European company
form?, disponibile per il download all’URL http://www.diva-portal.org/smash/get/di-
va2:817594/FULLTEXT01.pdf (ultima consultazione: 25 marzo 2016).
Minore la produzione in altri idiomi, compreso l’italiano. In castigliano: ESTEBAN VE-
LASCO, La propuesta de Directiva sobre la “Societas unius personae” (sup): las cuestiones más
polémicas, in El notario del siglo XXI: revista del Colegio Notarial de Madrid, 2015, p. 148;
ID., La propuesta de Directiva relativa a las sociedades unipersonales de responsabilidad
limitada (en especial la Societas Unius Personae), in Estudios jurı´dicos en memoria del
profesor Emilio Beltrán: liber amicorum, coordinato da Rojo Fernández-Rı́o e Campuzano
Laguillo, Vol. 1, Valencia, 2015, p. 909; LUCINI MATEO, En torno al Proyecto de Directiva
europea sobre la Sociedad Limitada Unipersonal (SUP) presentado por la Comisión Europea el
9 de abril de 2014, in La Ley mercantil, 10 (enero), 2015, p. 24; ID., El proyecto de Directiva
Europea acerca de la Sociedad Limitada Unipersonal, in El notario del siglo XXI: revista del
Colegio Notarial de Madrid, 2015, 61, p. 54; MAMBRILLA RIVERA, Propuesta de Directiva
relativa a las sociedades unipersonales privadas de responsabilidad limitada unipersonal, in
Revista de derecho de sociedades, 2014, p. 531.
In neerlandese, BOSCHMA, Het plan voor een nieuwe EU-richtlijn van de eenpersoon-
svennootschap: Raad bereikt algemene oriëntatie, in Ondernemingsrecht, 2015, 107, p. 544;
KOSTER, Societas Unius Personae (SUP), in Bb, 2014, 81, p. 268; ZAMAN, SUP-optimaal?, in
Ondernemingsrecht, 2015, 1, p. 1; ROEST, Nieuws vanuit Europa. De SUP: een online op te
richten eenpersoons-BV, een nieuwe rol voor de notaris?, in Weekblad voor Privaatrecht,
Notariaat en Registratie, 2014, 145 (7036), p. 989.
In francese: LECOURT, La Societas Unius Personae: la nouvelle société unipersonnelle à
responsabilité limitée proposée par la Commission européenne, in Revue des sociétés, 2014, p.
699.
In greco: ALEXANDROPOULOU, Societas Unius Personae (“SUP”), η νέα εταιρική μορφή,
in Χρονικά Ιδιωτικού Δικαίου, 2014, p. 629 (della stessa A. è disponibile l’abstract in lingua
inglese di una comunicazione a convegno avente ad oggetto la SUP all’URL http://iises.net/
proceedings/14th-international-academic-conference-malta/table-of-content/detail?article=so-
cietas-unius-personae: ultima consultazione, 25 marzo 2016).
In croato: GONGETA, Promjene regulatornog okvira njemačkog društva s ograničenom
odgovornošću kao posljedica regulatorne konkurencije u području prava društava među drža-
vama članicama Europske Unije, in Zbornik Pravnog fakulteta Sveučilišta u Rijeci. (1991), v.
35, 2014, broj 2, p. 819.
In portoghese: C. SERRA, Societas Unius Personæ (SUP) – Um Golem na União Euro-
peia?, in Direito das sociedades em revista, 2014, p. 127.
Infine, in lingua italiana sia consentito il rinvio, per cenni, a BARTOLACELLI, Nuove
esperienze europee in tema di costituzione “semplificata” e “a basso costo” di società con
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provvedimenti in formazione 605

Prima ancora di analizzare gli obiettivi della Proposta SUP è opportu-


no ricordare il contesto non certo favorevole dell’intervento dell’Unione in
materia societaria in cui essa è maturata, nell’ultimo decennio contraddi-
stinto da un succedersi iniziative non andate a buon fine. Quello di mag-
giore rilievo per la Proposta SUP è senz’altro l’abortito progetto di rego-
lamento recante lo statuto della Societas Privata Europaea (SPE), la cui
proposta da parte della Commissione risale al 2008 (7). Essa ha sino al
2011 conosciuto diverse traversie derivanti dalla opposizione alla proposta
da parte di taluni Paesi membri (8), per poi essere oggetto di definitiva

responsabilità limitata, in Giur. comm., 2015, I, p. 382 e spec. p. 399 ss.; nonché CAPPIELLO,
Proposta di direttiva SUP: possibili implicazioni, rischio di abuso e considerazioni sull’armo-
nizzazione del diritto nell’area UE, in Studi e Materiali, 2014, p. 661; GUIDOTTI, Il Progetto
di Societas Unius Personae (Single Member Private Limited Liability Company), in Percorsi
di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016, p. 215; LICINI, La “Societas
unius personae (SUP)” europea: ombre liberiste e abusi annunciati, in Notariato, 2014, p. 229;
MALBERTI, La proposta di direttiva sulla societas unius personae: una nuova strategia per
l’armonizzazione del diritto societario europeo?, in Riv. società, 2014, p. 848.
Sin qui per i commenti aventi ad oggetto la primigenia versione della Proposta. Prima
di aggiungere i pochi che già forniscono un panorama sulla versione del testo contenuta
nell’Orientamento generale del Consiglio, si deve rilevare come vi è stato chi si è cimentato
anche nell’analisi di una versione intermedia dello stesso, denominata “proposta di com-
promesso della presidenza italiana”: KINDLER, Die Einpersonen-Kapitalgesellschaft als Kon-
zernbaustein – Bemerkungen zum Kompromissvorschlag der italienischen Ratspräsidentschaft
für eine Societas Unius Personae (SUP), in ZHR – Zeitschrift für das gesamte Handels- und
Wirtschaftsrecht, 2015, p. 330.
Infine, a seguito del raggiungimento di un compromesso in sede di Consiglio dell’U-
nione europea, il testo dell’Orientamento generale è stato commentato, prima che dal
presente scritto, da S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element
in Company Groups, in European Business Law Review, 2015, p. 645; ESTEBAN VELASCO, La
Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto del Consejo de
28 de mayo de 2015, in Anales de la Academia Matritense del Notariado, 2015, p. 105;
FUENTES NAHARRO, Una primera aproximación al test de solvencia recogido en la propuesta
de directiva sobre la Societas Unius Personae (SUP), working paper disponibile all’URL:
http://www.ucm.es/eprints (ultima consultazione: 15 giugno 2016); TEICHMANN e FRÖHLICH,
How to make a Molehill out of a Mountain: The Single-Member Company (SUP) Proposal
after Negotiations in the Council, destinata alla stessa raccolta di scritti curata da J. Viera
González già citata, ma già disponibile all’URL: http://www.jura.uni-wuerzburg.de/lehr-
stuehle/teichmann/aktuelles/meldungen/single/artikel/working-paper-on-the-societas-unius-
personae-sup/ (ultima consultazione: 25 marzo 2016) ed il lavoro monografico di KINDLER,
The Single-Member Limited Liability Company (SUP). A Necessary Reform of EU Law on
Business Organizations?, München, Oxford, Baden-Baden, 2016, passim.
(7) COM(2008) 396/3.
(8) Da ultimi, pare, Germania e Svezia, come è dato comprendere dal sito internet
http://www.europeanprivatecompany.eu/news/ (ultima consultazione: 25 marzo 2016). Ri-
guardo i punti di maggiore attrito si v. HOMMELHOFF e TEICHMANN, Societas Privata Europaea
(SPE) – General Report, in The European Private Company – Societas Privata Europaea, a
cura di HIRTE e TEICHMANN, Berlin/Boston, 2013, p. 1 ss.; CONAC, The Societas Unius
Personae, cit., p. 141 ss.
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606 le nuove leggi civili commentate 3/2016

rinuncia da parte della Commissione, nel maggio 2014 (9).


Quest’ultima data è particolarmente significativa riguardo il simbolico
“passaggio di testimone” tra la SPE e la SUP; non si deve tuttavia cadere
nell’errore di equiparare tout court le due proposte, che sono caratterizzate
non solo da elementi strutturali disomogenei – potendo una SPE essere
incidentalmente unipersonale, mentre una SUP dovrà necessariamente
avere un solo socio (10) – ma soprattutto da basi normative decisamente
differenziate. Se, infatti, per l’adozione della SPE lo strumento giuridico
prospettato era il regolamento, alla cui adozione sarebbe conseguita la
creazione di un nuovo tipo societario, nella SUP, frutto prospettico di
una direttiva, è da ravvisarsi uno strumento di armonizzazione, e non di
standardizzazione.
Sotto un profilo generale, dunque, la SUP costituisce un tentativo, da
parte delle istituzioni europee, ed in primo luogo la Commissione, per
riallacciare i nodi del diritto societario europeo dopo una lunga fase di
stallo, costellata da dolorosi fallimenti. Soprattutto in questo senso è da
leggersi la contiguità temporale tra la fine del progetto SPE e gli albori
della SUP: attraverso quest’ultima, evidentemente, la Commissione inten-
deva eliminare taluni degli ostacoli che non avevano reso possibile giun-
gere ad un esito favorevole per la proposta di statuto della SPE (11). Allo
stesso tempo, si calibra il “bersaglio” su di un obbiettivo tendenzialmente
più agevole da raggiungere, in virtù dell’assenza, ex professo, della neces-
sità di normare diversi profili di corporate governance, tra cui quelli dei
conflitti tra i soci e, in via tendenziale, il funzionamento dell’organo as-
sembleare (12).
A completare il quadro che cosı̀ si delinea, si devono poi ricordare
perlomeno due ulteriori aspetti.
In primo luogo, un intervento della Commissione in materia di società
unipersonali non era del tutto inatteso, avendo la D.G. Mercato Interno e

(9) Cfr. G.U.U.E. C/2014/153/6.


(10) Perlomeno da un punto di vista formale, e salvo quanto si vedrà infra, § 7; sul
punto specifico si v. anche OMLOR, Die Societas Unius Personae (SUP) mit mehreren Gesell-
schaftern, cit., p. 158 ss.
(11) Sul punto si v. almeno HOMMELHOFF e TEICHMANN, Die Wiederbelebung, cit., p.
209 ss. E, in senso sostanziale, si v. anche l’emendamento proposto n. 43 da parte della
commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento
europeo (v. infra § 3 per maggiori riferimenti). Nello stesso senso anche CONAC, The Societas
Unius Personae, cit., p. 175; LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 708; e, nella
sostanza, anche TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit., p. 208,
ove definisce la SUP come second-best rispetto alla SPE.
(12) In questo senso anche J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 185.
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provvedimenti in formazione 607

Servizi della Commissione UE lanciato nel giugno 2013 una consultazione


pubblica su tale tema. Inoltre, il legislatore europeo non è stato in grado,
nel corso degli ultimi decenni, di portare a termine interventi normativi in
tema di gruppi di società (13). Il facilitare la creazione di società uniperso-
nali potrebbe evidentemente avere, tra i suoi risultati più immediati, anche
una più agevole costituzione di filiali estere, e dunque in definitiva la
nascita e lo sviluppo di nuovi gruppi.
Quanto alle funzioni della Proposta SUP, tra di esse vi è certamente –
perlomeno da un punto di vista nominale – la necessità di prestare atten-
zione alle PMI (14), sostenendo la loro nascita, parrebbe più ancora che la
loro crescita. E tale attenzione al think small first, oltre ad essere ribadita
nell’ambito dello Small Business Act del 2008, caratterizzava anche il pro-
getto di statuto della Societas Privata Europaea. La “contiguità ideologica”
tra SPE e SUP, dunque, si spiega non già in termini generali, ma soprat-
tutto, oltre che nell’indirizzo al medesimo “pubblico” di imprenditori,
nell’ambito della facilitazione della costituzione di società all’estero al fine
di rimuovere ostacoli alla internazionalizzazione delle PMI.

(13) Non avendo mai visto conclusione il progetto di Nona direttiva su tale tema
inizialmente presentato nel 1977 e poi modificato nel 1984: cfr. SANTA MARIA, Diritto
commerciale europeo, Milano, 2008, pp. 177 s. e 228 ss. Il tema è stato affrontato – soprat-
tutto rispetto al riconoscimento a livello europeo del c.d. “interesse di gruppo” – anche
dall’Action Plan elaborato dalla Commissione nel 2012 [COM(2012) 740 final, del 12
dicembre 2012], p. 15 ss.
Rispetto alla SUP, diversi AA. sottolineano una possibile funzione nell’ambito del
diritto dei gruppi; in particolare si v. CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 159 s.;
TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit., p. 212 ss., spec. 225 ss.;
LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 702; S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) –
The New Corporate Element, cit., p. 653; critico rispetto a tale impostazione è HOMMELHOFF,
Die Societas Unius Personae, cit., p. 1065, rilevando come la SUP sia solamente una cornice
incompleta per il diritto europeo dei gruppi. In quest’ultimo senso anche BAUER e WELLER,
Europäisches Konzernrecht, cit., p. 6.
(14) Che, come si vedrà tra breve, ha avuto specifica eco nel secondo documento di
lavoro della Commissione JURI del Parlamento europeo, ove si riserva l’utilizzo della SUP
alle sole piccole e micro imprese. In questo senso depone anche l’Explanatory Memorandum
che precede il testo della Proposta di direttiva, dove si legge che “[l]’obiettivo generale della
presente proposta, che prevede un approccio alternativo alla SPE, è quello di dare a
qualsiasi potenziale fondatore di società, in particolare di PMI, la possibilità di creare più
facilmente una società all’estero. Ciò dovrebbe incoraggiare e promuovere l’imprenditoria-
lità e contribuire alla crescita, all’innovazione e all’occupazione nell’UE”: Relazione antepo-
sta al testo della Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle
società a responsabilità limitata con un unico socio, COM(2014) 212 final, p. 3 della
versione in lingua italiana. Sulla necessità di dare attenzione alle PMI anche il Parere del
Comitato economico e sociale europeo, reso il 10 settembre 2014 (punto 3.3). Perplessa
quanto alla riconducibilità delle finalità della Proposta allo sviluppo delle PMI anche C.
SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 137.
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608 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Essi sono più evidenti nel momento della costituzione, da parte di una
data impresa, di filiali estere (15). Tali barriere riguardano “le differenze nei
regimi regolamentari nazionali, i diversi requisiti legali, amministrativi e
linguistici nell’ambito dell’Unione, ed altre materie quali l’accesso a finan-
ziamenti esterni” (16); a ciò si aggiungano, nello specifico, i costi relativi ai
processi di registrazione, la cui quantificazione, tuttavia, è assai ardua da
individuare in via generale, in quanto spesso dipende dalla concreta situa-
zione (dimensione, capitalizzazione) della società coinvolta (17). La Propo-
sta SUP intenderebbe dunque incidere su tali difficoltà, riducendole signi-
ficativamente.
Le concrete modalità di realizzazione presupponevano, soprattutto
nella versione originale della Proposta, un singolare bilanciamento di in-
teressi: una denominazione unica a livello europeo, che desse l’idea di un
modello sovranazionale largamente armonizzato, ed al contempo la sicu-
rezza nelle transazioni commerciali offerta dalla contrattazione con società
di diritto nazionale. Pare che, all’esito dell’esame del Consiglio Europeo in
sede di Orientamento Generale, l’ago della bilancia si sia spostato sensi-
bilmente verso quest’ultimo polo.
Il punto focale della Proposta SUP è tuttavia costituito dalla desiderata
semplificazione – ed armonizzazione – della fase di iscrizione della società,
grazie alla quale potrebbe finalmente avvenire, nella prefigurazione delle
istituzioni europee, lo sviluppo transfrontaliero delle PMI (18); se ne trat-
terà diffusamente infra, a suo luogo.

(15) E, in particolare quanto alle succursali, si veda lo studio di BECHT, ENRIQUES e


KOROM, Centros and the Cost of Branching, in Journal of Corporate Law Studies, 2009, 9, p.
171 ss.
(16) Impact Assessment [8842/14 ADD 4; Interinstitutional File: 2014/0120 (COD)]
alla Proposta SUP, pp. 13 e 64 ss.; TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Frame-
work, cit., p. 223, cit. a nt. 84 uno studio della law firm Baker & McKenzie secondo cui la
maggior parte dei costi da sopportare per lo stabilimento di filiali estere è dato dalle
consulenze relative al diritto societario.
(17) Si v. ancora l’Impact Assessment, p. 16 s.
(18) Tale semplificazione costitutiva deve avere luogo attraverso un sistema di registra-
zione informatico. È tuttavia evidente che l’introduzione di una simile modalità di costitu-
zione della società impatterebbe sulle procedure tradizionali attualmente in essere ed i loro
attori in maniera dirompente, se non fossero nel contempo predisposti meccanismi di
contemperamento volti a salvaguardare, ad esempio, il ruolo del notariato e naturalmente
gli interessi di certezza delle identità e legalità del contenuto degli statuti che esso ha il
compito di tutelare nel nostro sistema giuridico. Non a caso, riguardo la Proposta SUP
l’associazione dei notariati europei ha immediatamente diramato un documento in cui sono
ampiamente sottolineate le criticità, soprattutto in termini di minore certezza rispetto all’i-
dentità del socio unico fondatore; il testo del comunicato del 9 aprile 2014 è disponibile
all’indirizzo http://www.notaries-of-europe.eu//index.php?pageID=10740, ultima consulta-
universita degli studi di catania CBD - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.

provvedimenti in formazione 609

Sin qui per interessi e funzioni esplicitamente citati dai documenti che
hanno accompagnato la Proposta SUP; altri ve ne possono tuttavia essere
di tipo differente.
Innanzitutto nulla pare ostare a che una SUP sia costituita da un
soggetto pienamente riconducibile al medesimo ordinamento in cui egli
intenda costituire la società unipersonale. In altri termini, e più in generale,
non sembra di potersi riscontrare, nel dettato della Proposta SUP, alcun
elemento che lasci propendere per la necessaria transnazionalità dei sog-
getti coinvolti (SUP e suo socio unico) o dell’attività esercitata (19).
In secondo luogo, una volta adottato il sistema di registrazione on-line
previsto dalla Proposta, nulla sembrerebbe impedire che anche soggetti
extraeuropei possano utilizzare la medesima procedura, sia pure nel ri-
spetto delle procedure previste dai singoli Stati membri per identificazione
e registrazione (20). Si faciliterebbe cosı̀ non solo l’operatività transnazio-
nale delle PMI europee, ma, potenzialmente, anche l’accesso al mercato
unico da parte di concorrenti non europei di quelle PMI, che in prece-
denza potevano trovare poco vantaggiosa l’apertura di una filiale in ragio-
ne delle barriere rimosse proprio dalla Proposta SUP.
Su di un piano più generale, per quanto il legislatore europeo non
abbia attraverso la Proposta SUP inteso necessariamente rimpiazzare le
esistenti forme societarie private unipersonali già vigenti nei singoli ordi-
namenti nazionali con la Societas Unius Personae, sembra probabile che si
assisterà ad una sorta di competizione intraordinamentale tra le due fatti-

zione: 25 marzo 2016. Un più dettagliato Position paper è stato poi divulgato, ad opera della
medesima associazione, il 26 maggio 2014: NOTARIES OF EUROPE, Position of the Council of
the Notariats of the European Union concerning the proposal for a Directive on the single-
member private limited liability company (SUP), parimenti disponibile on-line all’indirizzo
http://www.notaries-of-europe.eu/files/position-papers/2014/Prise-position-finale-SU-
P_en%20(1).pdf, ultima consultazione: 25 marzo 2016. Sul punto si v. anche, con ulteriori
riferimenti, TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius Personae, cit., p. 536.
(19) E ciò è tanto più evidente ove si consideri che la SUP ben potrebbe sostituire, e
non affiancarsi alle società unipersonali attualmente esistenti: cfr. infra § 5. Nello stesso
senso WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 36.
Peraltro, la potenziale assenza di qualsivoglia implicazione transnazionale potrebbe
essere invocata per contestare la mancanza della funzione sussidiaria che sempre dovrebbe
connotare l’intervento normativo della UE: sul punto si v. la posizione ufficiale austriaca del
Bundesrat, il 27 maggio 2014, e del Nationalrat il giorno successivo, disponibile sulla piat-
taforma http://www.ipex.eu/IPEXL-WEB/dossier/document/SWD20140123.do#dossier-
COD20140120 (ultima consultazione: 25 marzo 2016); LUCINI MATEO, En torno al Proyecto,
cit., p. 5. Contra, e dunque sostenendo la piena compatibilità con il principio di sussidia-
rietà, CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 153 ss.
(20) Non cosı̀ WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 36, per cui “[t]he founder
should be a resident of the EU”.
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610 le nuove leggi civili commentate 3/2016

specie, nel caso che i legislatori nazionali non intendano, appunto, fare
della SUP l’unica forma societaria unipersonale chiusa in un dato ordina-
mento (21). Sembra dunque, per quanto non esplicitato dalla Proposta, né
dalla documentazione di accompagnamento, che la SUP si voglia candi-
dare, nei fatti, ad essere la forma “regina” delle società a base chiusa
unipersonale, soppiantando – o relegando alla sola regolamentazione delle
società già sin qui costituite – le preesistenti forme organizzative uniper-
sonali nazionali. Di qui a pronosticare senz’altro un successo per tale
istituto, pare comunque un passo troppo lungo.
Tuttavia, la funzione di maggiore rilevanza della SUP è, ad avviso di
chi scrive, ancora differente, del tutto inespressa esplicitamente, ma con
effetti in realtà dirompenti. Si tratta della modalità di registrazione della
società attraverso la procedura telematica. Il concreto modo di funziona-
mento di tale processo sarà a suo luogo analizzato, e cosı̀ pure il regime di
eventuale compresenza tra costituzione “tradizionale” e on-line; in via
generale si deve tuttavia dare conto del fatto che la registrazione non
presenziale prevista per la SUP dalla Proposta sembra essere una sorta
di “cavallo di Troia” per finalità che esorbitano, e non di poco, quelle della
società unipersonale, fondendosi in certa misura con quelle della prima e
della seconda direttiva e le loro successive modificazioni, integrazioni e
codificazioni (22).
Consistendo il punto centrale della Proposta di direttiva nella possi-
bilità di iscrizione della società direttamente on-line da parte del fondatore,
senza dovere comparire fisicamente dinanzi ad alcun funzionario, la sua
realizzazione dipende naturalmente dalla predisposizione di una apposita
infrastruttura informatica da parte dello Stato membro in cui si intenda
realizzare tale iscrizione. L’infrastruttura avrà caratteristiche tendenzial-
mente omogenee in tutto il territorio dell’Unione, essendo scopo della
Proposta SUP proprio l’armonizzazione, tra l’altro, di tale profilo. Ora,

(21) A tale competizione “intraordinamentale”, su cui si avrà a breve modo di tornare a


riflettere, si affianca poi anche una competizione “interordinamentale”, derivante dall’arbi-
traggio normativo possibile rispetto al Paese membro dove procedere alla costituzione della
società.
(22) La medesima identificazione della Proposta SUP in un “cavallo di Troia” si
rinviene anche in SIEMS, The Societas Unius Personae (SUP): a Trojan Horse?, in Siemslegal,
recuperabile all’indirizzo internet siemslegal.blogspot.it/2014/04/the-societas-unius-personae-
sup-trojan.html (ultima consultazione: 25 marzo 2016). Nello stesso senso anche C. SERRA,
Societas Unius Personæ, cit., p. 131, che ricorre anche all’immaginifica figura del Golem per
definire la SUP; J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., pp. 178, 180 s. e 189 s.; J. SCHMIDT,
Der Vorschlag, cit., p. 130 e ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas
Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 131, nt. 45.
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provvedimenti in formazione 611

due fattori sono da considerare: da un lato, i costi da sopportare, da parte


di ciascuno Stato membro, per l’implementazione dei portali on-line e
delle conseguenti modificazioni della disciplina attualmente vigente, che
non paiono lievi (23); dall’altro, una basilare considerazione di equità so-
stanziale non può che fare domandare per quale ragione la forma telema-
tica di registrazione dovrebbe essere possibile per la SUP e non per le
rimanenti società, perlomeno di capitali, rette dalle norme di un dato
ordinamento.
E se correttamente si considera la SUP non alla stregua di un tipo
sociale autonomo, ma quale “versione” della s.r.l. locale (24), si porranno
anche problemi di equità di trattamento tra tale nuova forma organizzativa
e le preesistenti a base sociale chiusa, unipersonali o meno. Ciò favorirà un
ampliamento della platea dei soggetti giuridici legittimati alla costituzione
on-line, presumibilmente attraverso l’estensione di tale possibilità a tutte le
forme societarie capitalistiche (25).

(23) L’Impact Assessment (p. 29) informa che i sistemi di registrazione on-line attual-
mente presenti in Slovenia e Lituania sono costati a tali Paesi, rispettivamente, 1,1 e 1,9
milioni di euro. Parimenti si rammenta, tuttavia, che le medesime misure, adottate in Irlanda
ed in Lettonia, avrebbero avuto impatti ben inferiori sulle finanze pubbliche (42.000 e
120.000 euro, rispettivamente).
(24) Idea che è suffragata dall’essere le misure previste dalla Proposta SUP applicabili, a
norma dell’art. 1, par. 1, lett. a, della stessa ai tipi di società elencati nell’allegato 1, ovvero le
forme di s.r.l. nazionali. L’impatto che ciò ha sulla qualificazione della SUP è piuttosto
rilevante, come si vedrà nel seguito, soprattutto nel momento in cui la società da uniperso-
nale passi ad avere più soci; nello stesso senso, qualificando la SUP come “subtipo”: C.
SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 148; CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 158;
J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 177. Per ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva
sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 110 la SUP sarebbe un
“nuevo subtipo de sociedad unipersonal” (corsivo mio). Parzialmente diversa la posizione di
S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 651, per cui la
SUP sarebbe – valorizzando la formulazione del 10˚ considerando del preambolo, che di-
scorre di “forma societaria” – qualcosa di differente da una “variante” nel senso della UG
tedesca o della s.r.l.s. italiana; scetticismo sulla configurazione della SUP quale “variante”
della s.r.l. di diritto domestico condiviso anche da MALBERTI, The relationship, cit., spec. p.
254 ss.
(25) Questo risultato su larga scala è esplicitamente perseguito dalla Commissione
europea, per quanto non nella Proposta SUP. Se ne trova traccia, ad esempio, nel docu-
mento Il piano d’azione europeo per l’eGovernment 2011-2015. Valorizzare le TIC per pro-
muovere un’amministrazione digitale intelligente, sostenibile e innovativa, Comunicazione
della Commissione UE a Parlamento, Consiglio, Comitato Economico e Sociale Europeo
e Comitato delle Regioni, COM(2010) 743 definitivo, del 15 dicembre 2010, p. 9. E si v.
pure la c.d. Agenda digitale europea, altra (precedente, 19 maggio 2010) Comunicazione
della Commissione indirizzata ai medesimi soggetti [COM(2010)245 definitivo], p. 34 s.
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612 le nuove leggi civili commentate 3/2016

2. Base giuridica e procedimento di approvazione: lo stato dell’arte.


La Proposta SUP dovrebbe sostituire la direttiva 2009/102/CE; coe-
rentemente con ciò, la base normativa su cui essa riposa è l’art. 50 Tratt.
FUE, ovvero la competenza delle istituzioni europee a porre in essere
misure finalizzate alla realizzazione della libertà di stabilimento in una
determinata attività. In particolare risultano di interesse le lett. c, f e g
del par. 2 (26).
Il punto è pacifico per quanto concerne le disposizioni generali e finali,
ovvero le parti 1 e 3 della proposta di direttiva; replicando queste ultime le
regole già previste all’interno della dir. 2009/102/CE, è logico che la base
normativa sia la medesima di tale intervento. La stessa conclusione non è
altrettanto automatica allorché si consideri la parte della Proposta recante
la disciplina in materia di SUP.
Si potrebbe infatti essere tentati di ritenere che, a dispetto della forma
giuridica della direttiva, la Societas Unius Personae si atteggi ad autonoma
forma societaria sopranazionale, ravvisandosi in essa i medesimi caratteri
propri delle esperienze della SE, SCE e, in ambito pre-societario, del
GEIE, nonché dell’abortito progetto di statuto di SPE. Il fondamento
giuridico di tali modelli organizzativi è infatti da rinvenirsi nel disposto
dell’attuale art. 352 Tratt. FUE (27), quale esercizio di un potere non
espressamente previsto dai trattati europei per il raggiungimento di un
obiettivo e nel quadro delle politiche che da quei trattati sono tuttavia
definiti. La creazione di forme organizzative sovranazionali per l’esercizio
di attività di impresa ricade in tale casistica; per quale ragione la Commis-
sione ha dunque inteso proporre la introduzione della SUP perseguendo la
via della direttiva?
La risposta è agevole e tutt’altro che sorprendente: la SUP non è una
forma giuridica sopranazionale; e ciò proprio in ragione dell’esperienza

(26) Ovvero, rispettivamente, la soppressione di “quelle procedure e pratiche ammini-


strative contemplate dalla legislazione interna ovvero da accordi precedentemente conclusi
tra gli Stati membri, il cui mantenimento sarebbe di ostacolo alla libertà di stabilimento”,
l’applicazione della “graduale soppressione delle restrizioni relative alla libertà di stabili-
mento in ogni ramo di attività considerato […] alle condizioni per l’apertura di agenzie,
succursali o filiali sul territorio di uno Stato membro” ed il coordinamento “nella necessaria
misura e al fine di renderle equivalenti” delle “necessarie garanzie che sono richieste, negli
Stati membri, alle società […] per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi”; sul
punto, diffusamente, MALBERTI, The Relationship, cit., 241 ss.; TEICHMANN, Corporate
Groups within the Legal Framework, cit., p. 220 ss.
(27) Questo per la proposta di statuto di SPE; con riferimento al GEIE la norma
corrispondente era l’art. 235 del Trattato istitutivo la Comunità Economica Europea; per
la SE e la SCE si trattava dell’art. 308 del Tratt. CE.
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provvedimenti in formazione 613

maturata con il fallimento del progetto di statuto per una SPE. Esso non è
giunto a buon fine proprio a causa del mancato raggiungimento del con-
senso unanime richiesto per l’approvazione degli atti aventi la propria base
giuridica nell’art. 352 Tratt. FUE; si è pertanto dubitato della possibilità di
successo per un nuovo progetto basato su tale norma (28).
Tuttavia, sotto il profilo sostanziale, si può sostenere che la direttiva
sia lo strumento più idoneo per il raggiungimento dello scopo che la
Commissione si prefiggeva (29)? Il punto è oggetto di acceso dibattito e
sul tema si è pronunziato anche il Servizio Giuridico del Consiglio del-
l’Unione Europea con un proprio parere (30). In esso si considera in
particolare la comparazione tra le finalità proprie dell’art. 50 Tratt.
FUE e quelle del successivo art. 352. Il punto di partenza a tale riguardo
è dato dal rivestire la norma da ultimo citata un ruolo residuale esperibile
solamente quando “l’articolo 50 TFUE o qualsiasi altra disposizione del
trattato non fossero sufficienti” per l’adozione della proposta di direttiva
in commento (31). Per giungere a tale conclusione, il parere analizza un
particolare arresto della Corte di Giustizia (32) in tema di Società Coo-
perativa Europea. In esso si ribadisce come l’art. 308 Tratt. CE abbia
costituito adeguata base giuridica per il regolamento istitutivo della SCE,
in quanto soltanto esso poteva consentire “di creare una nuova forma di
società cooperativa europea sovrapposta alle forme nazionali” (33). Il prin-
cipio in tale sede più volte sottolineato è che, lasciando il regolamento in
questione “invariati i diversi diritti nazionali esistenti, non può essere

(28) L’Impact Assessment è sul punto insolitamente sbrigativo: a p. 24 si cita, tra le


opzioni esaminate e scartate, la creazione di una nuova forma legale di diritto europeo, o lo
sviluppo delle esistenti. Per cui si nota che “il presente Impact Assessment non analizza la
possibilità di utilizzare modelli societari di fonte europea adottati sulla base dell’art. 352
Tratt. FUE – né migliorando gli esistenti (SE e SCE), né mediante l’introduzione di nuovi.
Gli statuti di SE e SCE non si adattano bene alle esigenze delle PMI e non è stato possibile
trovare un accordo che consentisse l’approvazione all’unanimità della proposta di SPE tra i
Paesi membri” (corsivo e traduzione nostri). Per indicazioni ulteriori si v. C. SERRA, Societas
Unius Personæ, cit., p. 131; MALBERTI, The Relationship, cit., p. 244; LECOURT, La Societas
Unius Personae, cit., p. 700.
(29) MALBERTI, The Relationship, cit., p. 246 rileva come sia la prima volta che viene ad
essere utilizzata una direttiva per la creazione di una forma giuridica societaria.
(30) Documento 14423/14 del 17 ottobre 2014, recante il Parere del Servizio Giuridico
del Consiglio dell’Unione europea al gruppo “Diritto delle società”, organo preparatorio
delle sedute del Consiglio stesso in materia di diritto societario.
(31) Ibi, § 12.
(32) Corte giust. 2 maggio 2006, Causa C-436/03, Parlamento c. Consiglio, in Raccolta,
2006, p. I-03733 ss., avente ad oggetto il Reg. (CE) n. 1435/2003, recante lo statuto
della SCE.
(33) Parere del Servizio Giuridico, cit., § 13-14; corsivi nostri.
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614 le nuove leggi civili commentate 3/2016

considerato nel senso che ha per oggetto il ravvicinamento delle legisla-


zioni degli Stati membri applicabili alle società cooperative; esso ha
invece per oggetto la creazione di una nuova forma di società cooperativa
che si sovrappone alle forme nazionali” (34), implicando ciò l’utilizzo
dell’art. 308 in luogo dell’art 95 Tratt. CE (35) in materia di ravvicina-
mento delle legislazioni degli Stati membri.
Il punto è essenziale anche rispetto alla SUP ed alla sua relazione con
gli ordinamenti in cui potrebbe andare ad insediarsi; anche per essa è
necessario comprendere se una volta approvata la Proposta SUP, veda la
luce un nuovo modello societario di origine europea o meno.
Ora, anticipando conclusioni desumibili da elementi di disciplina e di
dinamica della genesi del provvedimento che saranno oggetto del pro-
sieguo dell’analisi, si deve sostenere che tra la versione originale della
Proposta a quella licenziata dal Consiglio in sede di Orientamento Ge-
nerale vi siano sostanziali differenze. Soprattutto in quest’ultima versione
vi sono diversi elementi – primo tra tutti il maggiore spazio lasciato alla
disciplina nazionale “integrativa” – che lasciano propendere per una
qualificazione della SUP ventura come strumento di armonizzazione
più che di standardizzazione; senza, in altri termini, che la forma giuri-
dica cosı̀ creata si sovrapponga (necessariamente) ai corrispondenti tipi
nazionali.
Non si deve tuttavia estremizzare il significato di tale impostazione.
Non è infatti escluso – ed anzi, cosı̀ è in effetti – che la forma di armo-
nizzazione utilizzata sia connotata da un carattere largamente ibrido, che
porta nel caso concreto a fare sfumare le differenze tra utilizzo dello
strumento “direttiva” in competizione con quello regolamentare, intima-
mente connessa alla dialettica tra base giuridica costituita dall’art. 50 Tratt.
FUE (attraverso direttiva) piuttosto che non dal successivo art. 352 (usual-
mente mediante regolamento) (36).

(34) Corte giust. 2 maggio 2006, cit., § 44.


(35) Oggi art. 114 Tratt. FUE. Ancorché la disputa non riguardasse l’applicabilità quale
base giuridica dell’art. 308 Tratt. CE (oggi 352 Tratt. FUE) piuttosto che l’art. 44 Tratt. CE
(oggi art. 50 Tratt. FUE), il principio su cui si basa la decisione è pianamente trasponibile al
caso qui trattato.
(36) Nell’idea di MALBERTI, The Relationship, cit., p. 251 ss., a fronte di previsioni che
certamente possono trovare la loro fonte nell’art. 50, all’interno della Proposta ve ne sa-
rebbero altre certamente al di fuori della operatività di tale norma. Sarebbe pertanto da
preferire l’art. 352 (p. 252 s.). La medesima idea di fondo è rinvenibile in WICKE, Societas
Unius Personae, cit., p. 1417; OMLOR, Die Societas Unius Personae, cit., p. 1138.
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provvedimenti in formazione 615

A ben vedere, infatti, se pure è vero che l’obiettivo della Proposta è


quello di ravvicinare effettivamente, armonizzandole, le normative nazio-
nali in materia di società unipersonale (37), l’affermazione per cui da tale
opera di armonizzazione non deriverebbe la creazione di una nuova forma
sopranazionale di organizzazione della impresa societaria con unico socio
sembra meritevole di un approfondimento di riflessione.
Le forme sopranazionali sin qui note (GEIE nel 1985; SE nel 2001;
SCE nel 2003) (38) hanno tutte visto la luce attraverso l’emanazione di un
regolamento. In ciascuno di tali casi, tuttavia, esso era solo parzialmente
self-executive, essendo comunque necessaria l’emanazione di atti nazionali
di attuazione da parte degli Stati membri. Ciò determina che la fonte del
diritto applicabile ad un GEIE, una SE, una SCE non fosse più il solo
regolamento europeo, ma che ad esso si aggiungessero la normativa na-
zionale di attuazione e le restanti regole dell’ordinamento applicabile, oltre
che le disposizioni pattizie che i soci o membri di tali enti si fossero dati
per regolamentare la loro attività in comune (39).
Questo significa, da un punto di vista più generale, che nonostante in
ciascuno dei casi qui considerati si sia senz’altro assistito alla venuta ad
esistenza di un organismo “nuovo” di natura sopranazionale, il diritto
nazionale dei Paesi membri non è indifferente alla determinazione della
disciplina atta a normare ciascuno di tali fenomeni. Il nomen iuris di tali
enti rimane sovente (40) il medesimo, ma in concreto si assiste, nonostante
la base giuridica utilizzata, alla venuta ad esistenza di tanti GEIE, SE, SCE
quanti sono i Paesi che hanno provveduto alla loro applicazione (41). I
rispettivi Regolamenti istitutivi dettano una disciplina imperativa larga-

(37) In questo senso ancora il Parere del Servizio giuridico citato, § 28.
(38) E senza dimenticare, da un lato, gli ormai abortiti progetti di statuto della SPE e
della Fundatio Europaea, e dall’altro il GECT, gruppo europeo di cooperazione territoriale,
istituto nel 2006, che non ha (ancora) una finalità direttamente privatistico commerciale, ma
che con le modifiche cui è stato soggetto nel 2013 potrebbe in futuro assumere anche tale
dimensione.
(39) Cfr. art. 39, Reg. (CEE) n. 2137/1985 per il GEIE; art. 68, Reg. (CE) n. 2157/2001
per la SE; art. 78, Reg. (CE) n. 1435/2003 per la SCE.
(40) Con l’eccezione del GEIE, il cui acronimo e la cui denominazione cambia a
seconda della lingua in uso nel Paese considerato.
(41) Cosı̀, per il GEIE, MOSCO, Il “successo” del GEIE, in AA.VV., L’integrazione fra
imprese nell’attività internazionale, Torino, 1995, p. 91 ss., p. 102 s.; DI SABATO, Il Gruppo
europeo di interesse economico, in Riv. dir. impr., 1996, p. 1 ss., p. 3 ss.; medesime consi-
derazioni, in materia di SE da parte di J. SCHMIDT, “Deutsche” vs. “britische” Societas Euro-
paea (SE), Jena, 2006, p. 1 ss. e, in Italia, si v. MIOLA, Lo statuto di Società europea nel diritto
societario comunitario: dall’armonizzazione alla concorrenza tra ordinamenti, in Riv. società,
2003, spec. p. 330 ss.
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616 le nuove leggi civili commentate 3/2016

mente unitaria, pure avendo lasciato anche notevoli spazi di opzione, di


cui fruire in sede di emanazione dello strumento di applicazione, alle
norme nazionali (42). Da un punto di vista generale, quindi, l’utilizzo di
un regolamento per la creazione delle “nuove” forme organizzative unita-
rie a livello europeo ha dato luogo ad una ibridazione dello strumento che,
tra concessione di opt-in/opt-out e libertà nomopoietica sussidiaria lasciata
ai singoli legislatori nazionali cessa di essere, nei fatti, direttamente appli-
cabile per i suoi fruitori ultimi.
Sul versante della direttiva, la considerazione pare trovare ulteriore
conferma nella Proposta SUP: la creazione di una forma giuridica sopra-
nazionale e “nuova” è naturalmente in questo caso impedita dall’opzione
per lo strumento della direttiva. Il risultato sostanziale raggiunto, tuttavia,
pare essere il medesimo dai regolamenti poc’anzi menzionati. E, sul piano
di teoria generale, è in effetti noto in dottrina (43) e giurisprudenza comu-
nitaria (44) come anche una direttiva possa in sé contenere elementi di
auto-applicabilità, alla pari di un regolamento, quando il suo disposto
sia sufficientemente preciso (45), fornendo cosı̀ un inquadramento generale
alla ibridazione delle fonti normative europee (46).
In base a tale impostazione, tuttavia la questione della eventuale com-
patibilità delle SUP con la definizione di “creazione di una nuova forma
organizzativa societaria a livello europeo” ha profili leggermente diversi.
Con SE, SCE e GEIE il legislatore europeo si è dovuto avvalere delle
norme nazionali dei Paesi membri che si innestavano come rami (differenti
tra Stato e Stato) su di un tronco comune dato dalle norme regolamentari.

(42) Si pensi, ad esempio, al riconoscimento o meno della personalità giuridica al GEIE


o alla disciplina della partecipazione dei lavoratori nella SE.
(43) Si v., per tutti, PREDIERI, Il legislatore recalcitrante e il rimedio degli effetti diretti
delle direttive comunitarie, Firenze, 1987, passim e già LUZZATTO, La diretta applicabilità nel
diritto comunitario, Milano, 1980, passim.
(44) Cfr. Corte giust. 4 dicembre 1974, Causa C-41/74, Van Duyn c. Home Office in
Raccolta 1974, p. 1337 e Corte giust. 1˚ febbraio 1977, Causa C-51/76, Verbond van
Nederlandse Ondernemingen c. Inspecteur der Invoerrechten en Accijinzen, in Raccolta,
1977, p. 113.
(45) Cfr. Corte giust. 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti, in Raccolta, 1979, p. 1629,
punto 23. A scanso di equivoci, tuttavia, si deve specificare che è da escludersi decisamente
la possibilità di autoapplicazione della Proposta SUP, ove approvata, in quanto troppi
elementi della introducenda SUP necessitano di un intervento diretto da parte dei singoli
legislatori nazionali, primo tra tutti la predisposizione di un sistema di registrazione telema-
tica della società anche attraverso modalità non presenziali.
(46) Pare condividere tali riflessioni anche S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The
New Corporate Element, cit., p. 652 s., per quanto il maggiore rinvio alle norme nazionali
operato dal testo dell’Orientamento Generale farebbe della SUP compiutamente una forma
di diritto nazionale.
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provvedimenti in formazione 617

Diversamente, la SUP vorrebbe essere il tralcio comune che lega insieme


tronchi (nazionali) diversi: la SUP dovrebbe essere una variante uniperso-
nale (armonizzata a livello europeo) delle società private nazionali. Non è
detto, proseguendo nella metafora arborea, che l’innesto riesca; certo è che
le possibilità di successo potranno essere maggiori ove sia lasciato più
ampio spazio di manovra ai legislatori nazionali. In tale senso si muove
il testo dell’Orientamento Generale del Consiglio, ben meno immediata-
mente cogente di quanto non fosse la versione primigenia della Proposta
SUP (47).
L’Orientamento Generale del Consiglio de-potenzia i profili che
avrebbero suggerito essere la SUP un nuovo (sotto-)tipo sovranazionale,
sostituendoli con indicazioni che esplicitamente sono da leggersi nel senso
di un rinnovato mandato a regolamentare a favore dei legislatori nazionali.
Si determina cosı̀ un abbandono di un anelito omogeneizzante che in larga
parte caratterizzava il primo testo (48), a favore di un approccio che, det-
tando criteri inferiori – e, probabilmente, minimali, se si esclude il profilo
della registrazione (49) – di uniformità, meglio si presta ad essere conside-
rato come fattore di armonizzazione, in quanto tale riconducibile al fonda-
mento giuridico dell’art. 50 Tratt. FUE.

3. Le vicende della Proposta: il testo originale, l’Orientamento Generale


e gli sviluppi successivi.
La Proposta SUP è stata presentata da parte della Commissione Eu-
ropea il 9 aprile 2014; il suo iter di approvazione prevede il placet sia da
parte del Parlamento, sia del Consiglio. L’utilizzo della procedura legisla-
tiva ordinaria – implicato dalla scelta di procedere attraverso direttiva
piuttosto che non tramite regolamento – ha avuto tra l’altro lo scopo di
evitare la necessità del consenso unanime per l’approvazione (50), ossia il

(47) Ciò è evidente, in particolare, nel mutamento di diversi considerando del pream-
bolo e, nell’articolato, nella sostituzione a proposizioni quali “[u]na SUP può (…)” con
“[g]li Stati Membri garantiscono che (…)” (art. 18), oltre che nella quasi integrale libera-
lizzazione del tema dell’organizzazione interna della società (Capo 7).
(48) E che, in quanto tale, bene prestava il fianco a chi riteneva che non si fosse in
presenza di una Proposta senz’altro fondata sull’art. 50 Tratt. FUE.
(49) TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 25. Di
“flessibilizzazione” discorre ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas
Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 109. Si vedano inoltre le pertinenti conside-
razioni di S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 648
ss. rispetto all’essere le previsioni della Proposta da ritenersi “minime” o “massime”.
(50) In senso analogo si v. supra nt. 28.
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618 le nuove leggi civili commentate 3/2016

potere di veto sulla decisione da parte di ciascuno Stato membro in sede di


Consiglio dell’Unione (51).
Prima del passaggio in Consiglio, la procedura prevede l’approvazione
in prima lettura del testo da parte del Parlamento, il quale può modificarlo
anche sostanzialmente rispetto alla versione originaria. Al contempo, tut-
tavia, anche per rendere più spedita la procedura nel suo complesso, il
Consiglio, ancora non investito dell’esame formale del testo ed ancor
prima della discussione parlamentare, può esprimere un Orientamento
Generale sulla materia, di cui il Parlamento può tenere conto.
Nel caso specifico della Proposta qui in esame il Consiglio ha proprio
inteso esprimere tale Orientamento al fine di giungere ad una approvazio-
ne della direttiva già con la prima lettura in entrambi gli organi (52).
A ciò si aggiunga che, in parallelo, è proseguito anche l’esame da parte
degli organi deputati del Parlamento; l’esame in seduta plenaria d’Aula è
infatti preceduto dall’analisi nelle commissioni competenti. Nel caso della
Proposta SUP la commissione referente nel merito è la Giuridica (JURI),
mentre delle quattro commissioni consultate per fornire un parere (53)
solamente due – “Occupazione e affari sociali” e “Mercato interno e
protezione dei consumatori” – hanno deciso di rilasciarlo. Peraltro, la
prima di esse si è limitata ad invitare “la commissione giuridica, compe-
tente per il merito, a proporre la reiezione della proposta della Commis-
sione” (54), senza ulteriori motivazioni.
Ben più articolato, d’altra parte, il parere della commissione per il
“Mercato interno e la protezione dei consumatori”, che ha formulato
nel suo documento ben 43 emendamenti al testo originario della Proposta
presentata dalla Commissione, alcuni dei quali (in tema di statuto standard,

(51) È forse utile rammentare come, in base alla procedure ordinaria, il passaggio
obbligato in Consiglio necessariamente segua la prima lettura in Parlamento, e sia sufficiente
all’approvazione una maggioranza qualificata del 55% dei membri del Consiglio – e dunque
almeno 16 Paesi – che rappresentino perlomeno il 65% della popolazione dell’Unione.
(52) L’Orientamento Generale è stato approvato dal Consiglio il 29 maggio 2015 ed il
testo italiano è reperibile al sito http://www.consilium.europa.eu/register/it/content/out?&-
typ=ENTRY&i=ADV&DOC_ID=ST-9050-2015-INIT (ultima consultazione: 25 marzo
2016).
(53) Occupazione e affari sociali (EMPL); Problemi economici e monetari (ECON);
Industria, ricerca e energia (ITRE); Mercato interno e protezione dei consumatori (IMCO).
(54) Si veda il Parere della commissione per l’occupazione e gli affari sociali destinato
alla commissione giuridica sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consi-
glio relativa alle società a responsabilità limitata con un socio unico [COM(2014)0212 – C7-
0145/2014 – 2014/0120(COD)], del 29 giugno 2015, reperibile on-line all’indirizzo http://
www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+COMPARL+PE-
549.466+02+DOC+PDF+V0//IT&language=IT (ultima consultazione: 25 marzo 2016).
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provvedimenti in formazione 619

istruzioni del socio unico, riserve legali) nel medesimo senso dell’Orienta-
mento Generale adottato dal Consiglio dell’Unione europea (55).
Allo stato attuale (giugno 2016), la commissione JURI non ha ancora
espresso il proprio parere (56); è tuttavia stato elaborato (57) un documento
di lavoro (58) che fornisce spunti di grande interesse, e talvolta di discreta
novità, rispetto a molti dei temi più rilevanti toccati dalla Proposta SUP. Si
tratta di un testo ancora non definitivo, ma di particolare utilità per in-
tendere al meglio le differenti sensibilità che si fronteggiano nella discus-
sione sulla Proposta SUP.
Essendo la Proposta SUP ancora in fase di gestazione, si è in questo
scritto ritenuto utile privilegiare il commento del testo scaturito dall’O-
rientamento Generale del Consiglio (di qui innanzi: “O.G.”), dando conto
dei punti in cui più vistosamente si discosta dalla versione originaria della
Proposta presentata dalla Commissione (testo “COM”) ed inserendo ove
opportuno riferimenti alle soluzioni ipotizzate nel parere della commissio-
ne parlamentare per il Mercato interno (testo “IMCO”) e nel secondo
documento di lavoro predisposto dal relatore della commissione parla-
mentare giuridica (testo “JURI-2DL”) (59). La preferenza è accordata al
testo dell’O.G. in quanto, pur nella sua provvisorietà, è comunque espres-
sione di una concertazione avanzata da parte degli Stati membri sotto
l’egida delle presidenze che si sono nel tempo susseguite, e si tratta di
un testo votato ed approvato. Al contempo, pure essendo ampiamente
emendativo della versione COM (60), il testo O.G. la presuppone e forni-

(55) Il testo integrale del parere può essere recuperato on-line all’indirizzo http://
www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-%2f%2fEP%2f%2fNONSGML%2b-
COMPARL%2bPE-546.844%2b02%2bDOC%2bPDF%2bV0%2f%2fIT (ultima consulta-
zione: 25 marzo 2016).
(56) Ed anzi, a giudicare dal tenore del dibattito sviluppatosi in occasione dell’ultima
discussione sul punto, il 28 gennaio 2016 [video disponibile all’URL http://www.europar-
l.europa.eu/news/en/news-room/20160121IPR11088/Committee-on-Legal-Affairs-meeting-
28012016-(PM), ultima consultazione: 25 marzo 2016, a partire da 1:23:10] pare a chi scrive
del tutto improbabile che si riesca a raggiungere un consenso della maggioranza dei com-
ponenti la commissione su di un parere a riguardo della Proposta SUP.
(57) Da parte del relatore della Proposta in commissione, l’europarlamentare spagnolo
Luis De Grandes Pascual.
(58) PE575.031v02-00, sottoposto alla commissione nella seduta del 28 gennaio 2016;
si tratta del secondo documento di lavoro, dopo quello, in verità ben più generico, proposto
il 6 febbraio 2015, con la classificazione PE549.150v01-00.
(59) Per maggiore agio del lettore è disponibile, al sito https://unimc.academia.edu/
AlessioBartolacelli una sinossi dei quattro testi qui presi in considerazione.
(60) Fino a circa il 60% del contenuto, nella quantificazione offerta da Luis de Grandes
P a s cu a l : cf r . h t t p : / / ww w . e u r o p a r l . e u r o p a . e u / n e w s / e n / n e w s - r o o m / c o n t e n t /
20150611IPR65565/html/Committee-on-Legal-Affairs-meeting-16062015 (ultima consulta-
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620 le nuove leggi civili commentate 3/2016

sce un punto di riflessione più avanzata rispetto ad un eventuale futuro


consenso. Da questo punto di vista, se anche le versioni IMCO e JURI-
2DL sono certamente tentativi di composizione delle divergenti opinioni
sui singoli problemi che la Proposta solleva, esse non rappresentano né un
accordo raggiunto (JURI-2DL), né un testo particolarmente rilevante, non
promanando dalla commissione competente nel merito (IMCO).
Ciò premesso, e senza mancare di ribadire che ancora non si ha alcuna
certezza riguardo an e quando (e neppure quomodo, in verità) dell’appro-
vazione della Proposta SUP, se ne possono ora osservare i punti essenziali.

4. Le disposizioni generali in materia di società unipersonali.


La parte prima della Proposta SUP riporta, quasi testualmente, quanto
già disposto dalla dir. 2009/102/CE. Si specifica che la sola parte prima
della direttiva si applica alle società di cui all’allegato 1 ed alle SUP (art. 1,
par. 1, O.G.) (61); si prevede che gli Stati membri informino la Commis-
sione di ogni modifica apportata ai tipi di s.r.l. previsti nell’ordinamento
nazionale che incida sul contenuto dell’allegato 1. Sembra con ciò da
intendersi la creazione di nuovi tipi di società private regolate dal diritto
nazionale, che potrebbero essere incluse nell’allegato 1, attribuendosi pe-
raltro alla Commissione il potere di aggiornare tale elenco di conseguenza.
L’art. 2 del testo COM, che recava le definizioni applicabili all’intera
direttiva, non trova corrispondenza nell’O.G., in cui si specifica che cia-
scuna definizione è stata collocata all’interno dell’articolo di volta in volta
pertinente (62).

zione: 25 marzo 2016), al minuto 2:06:11, registrazione della riunione della commissione
giuridica nella seduta del 16 giugno 2015.
(61) Viene cosı̀ opportunamente modificata la formulazione presente testo COM, che
discorreva di applicabilità delle “misure di coordinamento previste” dalla direttiva, lascian-
do cosı̀ il dubbio se fossero da individuarsi anche all’interno della disciplina della SUP (parte
2) misure di coordinamento la cui applicazione fosse cosı̀ richiesta anche alle altre società
unipersonali. Si v. comunque la formulazione dell’11˚ considerando ter O.G., che esplicita-
mente suggerisce che “[l]e società a responsabilità limitata che non sono state costituite
come SUP dovrebbero poter beneficiare del quadro previsto per le SUP al fine di assicurare
che le norme armonizzate siano applicate nel modo più ampio possibile”. Si istituisce cosı̀
un quadro per cui la SUP diverrebbe una sorta di paradigma opzionale per tutte le società
unipersonali, senza tuttavia che vi sia uno specifico obbligo degli Stati membri a conformarsi
a tale previsione. Con riferimento alla SUP si v. anche il 10˚ considerando, su cui più
diffusamente infra.
(62) Cfr. la nota 7 al testo O.G., in corrispondenza dell’espunto art. 2. In realtà cosı̀
non è, specialmente per quanto concerne le distribuzioni al socio unico, creando non poche
difficoltà interpretative. Sul punto si v. infra, § 7.
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provvedimenti in formazione 621

Di particolare interesse è la trasposizione dell’art. 2, dir. 2009/102/


CE, nella Proposta SUP. Non esiste, infatti, una specifica disposizione
che ne replichi il contenuto. Più precisamente, il primo paragrafo del-
l’art. 2, dir. 2009/102/CE si limita a prevedere l’unipersonalità societaria
sia in forma originaria che sopravvenuta; ciò è presupposto per la for-
mulazione del successivo art. 3, che esordisce esattamente stabilendo che
“la società diventa unipersonale in seguito al cumulo di tutte le sue quote
in capo a un unico socio”. Il problema si pone piuttosto per il paragrafo
successivo, che fornisce legittimazione agli Stati membri riguardo la pos-
sibilità di impedire che una data persona fisica rivesta il ruolo di unico
socio in più di una società unipersonale, ovvero che ciò accada quando il
socio unico sia altra società unipersonale o comunque una persona giu-
ridica.
All’interno della Proposta SUP non vi è traccia di una disposizione
generale del medesimo tenore (63); esiste, per vero, la regola menzionata
nell’undicesimo Considerando e nell’art. 6, par. 2, che tuttavia è limitata
alla partecipazione delle persone giuridiche, ed ha un ambito applicativo
al solo caso della proprietà incrociata o circolare. In aggiunta, e decisi-
vamente, tali regole hanno esplicitamente ad oggetto la sola SUP, e l’art.
6 è contenuto nella parte 2 della direttiva, per cui una sua applicazione
alla stregua di disposizione generale non sembra possibile (64). E, data
l’assenza di consenso su tale tema (65), non pare che la mancata ripropo-
sizione della norma in parola possa essere rinvenuta nella convinzione
che si possa giungere in tempi brevi a quell’organico “coordinamento
delle disposizioni nazionali in materia di diritto dei gruppi” cui dichia-
ratamente vorrebbe supplire l’art. 2, dir. 2009/102/CE.

(63) Salutano con favore l’assenza della previsione TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas
Unius Personae, cit., p. 538; TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework,
cit., p. 225. S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p.
648, rileva come il contenuto della previsione non riprodotta può comunque essere ritrovato
nel testo dell’11˚ considerando del Preambolo, causando talune problematiche di coordina-
mento.
(64) Se non nei già citati limiti di cui all’11˚ considerando, per cui la SUP sarebbe un
paradigma opzionale per tutte le società unipersonali rette dai singoli diritti nazionali. Si
tratta comunque, come è evidente, non di norma imperativa, ma di semplice “suggerimen-
to” offerto dal legislatore europeo, in quanto tale privo di cogenza nei confronti dei legi-
slatori nazionali.
(65) V. supra, § 1.
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622 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Quanto al regime pubblicitario, l’art. 3 della Proposta riprende


verbatim l’art. 3, dir. 2009/102/CE, salvo l’aggiornamento del riferimen-
to normativo relativo ai registri (66) all’art 3, parr. 1 e 3, dir. 2009/101/
CE in luogo del rinvio alla Prima direttiva comunitaria.
Anche le disposizioni di cui all’art. 4, in materia di assemblea generale
e decisioni dell’unico socio, riprendono pedissequamente il testo già pre-
sente al medesimo articolo della dir. 2009/102/CE, per cui il socio unico
esercita i poteri propri dell’assemblea dei soci e le sue decisioni devono
essere verbalizzate o redatte per iscritto (67); la Proposta SUP specifica
inoltre che la conservazione di tali documenti deve perdurare per almeno
cinque anni, salva la facoltà per gli Stati membri di imporre la conserva-
zione per un periodo di tempo più lungo, eventualmente mediante regi-
strazione informatica, a patto che ciò avvenga “in un formato sicuro e
accessibile che impedisca la perdita di integrità delle decisioni” (68). E le
medesime notazioni sono riproponibili, mutatis mutandis, per ciò che
concerne l’art. 5, sui contratti tra socio unico e società. Anche in questo
caso la formulazione di base dell’art. 5, dir. 2009/102/CE è ripresa nella
Proposta SUP, con l’aggiunta in quest’ultima del termine perlomeno quin-
quennale di conservazione della verbalizzazione del contratto e la possibi-
lità accordata agli Stati membri di autorizzare la registrazione su supporto
elettronico, utilizzando un formato di registrazione “sicuro e accessibile”
che “impedisca la perdita di integrità dei contratti” (69).

(66) E la espressa menzione del “registro centrale” assente nella formulazione della dir.
2009/102/CE, ancorché questo fosse già citato nell’art. 2 della richiamata Prima Direttiva
societaria (dir. 68/151/CEE).
(67) È fondamentale leggere la revisione congiuntamente con l’11˚ considerando bis
O.G., per cui gli Stati membri non possono imporre limitazioni per quanto riguarda il luogo
in cui sono adottate le decisioni del socio unico. Questo determina che, nel dibattito sulla
dissociazione o meno della sede reale da quella statutaria di cui la SUP è oggetto, evidente-
mente non potrà essere imposto, ove il testo cosı̀ rimanga, che la sede reale (intesa come
amministrazione centrale) della SUP coincida con quella legale, almeno quando l’ammini-
stratore coincida col socio unico. D’altra parte, sulla scorta della medesima disposizione,
sarà facoltà degli Stati membri imporre limitazioni per quanto riguarda le modalità dell’as-
sunzione della decisione.
(68) Conformemente anche il testo JURI-2DL.
(69) Una ulteriore deviazione dal testo di base è data dal fatto che il secondo paragrafo,
che stabilisce un’eccezione all’applicazione della pubblicità prevista dal primo, sarebbe
applicabile, nel testo O.G. “alle operazioni correnti concluse alle normali condizioni di
mercato”, mentre nel testo di cui alla dir. 2009/102/CE le parole “di mercato” non sono
presenti. Non pare tuttavia che a tale diversità di formulazione sia da attribuire una parti-
colare rilevanza.
Diversamente si deve invece ritenere per la formulazione prevista nel testo COM della
Proposta, peraltro cui è conforme pure JURI-2DL. A differenza del testo O.G., la versione
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provvedimenti in formazione 623

Si deve infine notare come non vi sia traccia alcuna della regola (70) per
cui sarebbe facoltà degli Stati membri non permettere la costituzione di
società unipersonali nei rispettivi ordinamenti ove fosse data l’alternativa
della costituzione di imprese individuali con responsabilità limitata ad un
patrimonio specificamente destinato ad una determinata attività. Le ragio-
ni per la mancata riproposizione di tale norma sono di chiara evidenza: le
società private unipersonali sono oggi presenti in tutti gli Stati dell’Unione,
compresi quelli che in un primo tempo optarono per l’introduzione del-
l’imprenditore individuale con responsabilità limitata, preferendolo alla
figura della società unipersonale (71). In virtù di ciò, la disposizione in
parola ha ormai perso di significato attuale; ed in chiave prospettica, oltre
a sembrare anche solo teoricamente assai poco probabile che alcuno degli
Stati membri in cui è presente la società a responsabilità limitata uniper-
sonale possa prevedere una sua abrogazione, ciò sarebbe comunque ga-
rantito dalla necessità per gli Stati membri di provvedere all’introduzione
della SUP nel proprio ordinamento. Non vi sarebbe pertanto alcuna fun-
zione residua per l’art. 7.

5. La SUP: fattispecie, soggetti e questioni in tema di sede legale/ammi-


nistrazione centrale.
Se le disposizioni generali nei testi COM e O.G. erano tendenzialmen-
te coincidenti, altrettanto non può dirsi della disciplina della SUP che
assume sovente nella versione del Consiglio tratti assai differenti da quella
immaginata dalla Commissione.

COM all’art. 5, par. 2, prevedeva che gli Stati membri potessero decidere di non applicare il
regime pubblicitario di cui al § 1 non solamente a patto che le operazioni de quibus fossero
“normali” e “a condizioni di mercato”, ma anche che non si trattasse di operazioni “pre-
giudizievoli per la società unipersonale”. Con tale formulazione, dunque, la possibile esen-
zione dalla registrazione del contratto si darebbe solamente 1) ove lo Stato membro cosı̀
decida; e 2) ricorrano tutte e tre le condizioni (contratto concluso a condizioni di mercato;
nel corso di normali operazioni commerciali; e mancanza di pregiudizio per la società). Ora,
fermo restando che non è semplice intendere se il pregiudizio sia da valutarsi in termini
meramente probabilistici, ogni qual volta esso di verifichi (o si possa verificare?) il contratto,
anche concluso a condizioni di mercato nel corso di operazioni normali, sarà soggetto alla
registrazione.
(70) Art. 7, dir. 2009/102/CE.
(71) Per maggiori dettagli sul punto si rimanda a BARTOLACELLI, Società chiusa e capitale
sociale minimo: tendenze europee, in Giur. comm., 2014, I, p. 519, p. 529, nt. 47 e, speci-
ficamente sul Portogallo, C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 131, nt. 19, e ENGRÁCIA
ANTUNES, O estabelecimento individual de responsabilidade limitada: crónica de uma morte
anunciada, in Revista da facultade de direito da Universidade do Porto, 2006, p. 401.
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624 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Con riferimento alla fattispecie, gli Stati membri sono tenuti a preve-
dere la possibilità di costituzione di SUP all’interno dei rispettivi ordina-
menti o stabilendo che essa abbracci, assorbendole, tutte le preesistenti
forme societarie unipersonali private; ovvero, in alternativa, che la SUP sia
disponibile “in parallelo ad altre forme di società a responsabilità limitata
con un unico socio previste dal diritto nazionale” (72). D’altronde l’artico-
lato altro non specifica se non che la SUP sia “un tipo di società a re-
sponsabilità limitata con unico socio” (73); e ciò dovrebbe essere decisivo al
fine di rinvenire nella SUP una o la variante unipersonale della s.r.l. di un
dato ordinamento, senza il riconoscimento di una autonomia tipologi-
ca (74). La SUP, dunque, potrebbe in linea teorica rimpiazzare le versioni
già esistenti delle s.r.l. unipersonali di diritto domestico, essendo discipli-
nata, per quanto non previsto dalle norme di attuazione della Diretti-
va (75), dalle norme generalmente applicabili alle società a responsabilità
limitata domestiche da individuarsi sulla base del criterio dello Stato mem-
bro di registrazione della SUP (76).
In aggiunta a ciò si deve considerare il tema della denominazione della
società. Il fatto che la Societas Unius Personae sia dotata di una propria

(72) 10˚ considerando del Preambolo O.G.


(73) Art. 7, par. 2, O.G. La citazione del termine “tipo” non pare da enfatizzare e non
sembra che il legislatore europeo ritenga di fare della SUP un tipo autonomo in senso
tecnico, come si vedrà tra breve.
(74) La conclusione è corroborata dalle norme in tema di passaggio tra modelli orga-
nizzativi, che significativamente discorrono di “conversione” – e non trasformazione – ove
una s.r.l. opti per il passaggio alla SUP (cfr. art. 9, par. 1, O.G.).
(75) E non la direttiva stessa, ancora a testimonianza della maggiore attenzione posta
dal testo dell’Orientamento generale nei confronti della specifica forma giuridica della
direttiva rispetto al regolamento.
(76) Cfr. art. 7, par. 4, O.G. È inoltre opportuno segnalare come il testo JURI-2DL,
con l’intenzione dichiarata (ed in contrasto con lo spirito dei testi precedenti, sia COM, sia
O.G., ma non, si badi, con le finalità che originariamente erano state pubblicizzate dalla
Commissione come determinanti per la venuta ad esistenza del progetto) di riservare l’uti-
lizzo della SUP alle sole iniziative imprenditoriali piccole e piccolissime, detti regole in
materia di soggetti legittimati (v. infra nel testo), e conversione di e in SUP che sarebbe
rispettivamente obbligata (a pena di scioglimento ex officio) quando la società non rispetti
più i parametri delle micro e piccole imprese (dir. 2013/34/UE art. 3, par. 2) (art. 7 bis,
parr. 1 e 1 bis) JURI-2DL) e consentita solo se la società convertenda sia certificata come
micro o piccola impresa con almeno un anno di attività alle spalle (art. 9, par. 1, JURI-2DL).
Contro tale impostazione si v. CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 161; e ancor più
recisamente TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit., p. 224, che
segnala come la limitazione dimensionale basata sul numero di lavoratori sia inedita e possa
portare ad un incentivo al nanismo delle imprese, dissuadendo da politiche imprenditoriali
favorevoli all’incremento delle assunzioni di lavoratori. Più equilibrato della versione JURI
pare, sul punto, il testo IMCO, che si limita a segnalare una generica priorità da accordarsi
alle PMI.
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provvedimenti in formazione 625

denominazione ad hoc potrebbe apparire quale indice di autonomia tipo-


logica (77). L’obiezione perde tuttavia di incisività nel testo O.G., al cui art.
7, par. 3, sono ribaditi sia la riserva sia l’obbligo di denominazione della
società come SUP, ma consentendo agli Stati membri (78) di aggiungere
alla denominazione SUP una “indicazione” supplementare che permetta di
individuare immediatamente lo Stato membro in cui è avvenuta la regi-
strazione della SUP, potendo questa essere costituita anche da “una sigla
applicabile alle società a responsabilità limitata conformemente alle norme
nazionali” (79). Tale circostanza, dunque, aggiunge un ulteriore indizio alla
tesi che vede nella SUP una variante, o sottotipo, della s.r.l.
Ciò che, indipendentemente dallo Stato di registrazione e dalla deno-
minazione sociale, necessariamente dovrà essere concesso dagli Stati mem-
bri alle SUP registrate nei propri confini è la personalità giuridica (art. 7,
par. 1, O.G.) (80); la limitazione della responsabilità dell’unico socio (81),
ancorché non espressamente ribadita nella versione O.G., è direttamente
desumibile dalla applicazione alla SUP delle regole proprie delle s.r.l.
nazionali, in quanto non derogate dalla normativa specifica. E questo è
pure il significato dell’art. 7, par. 2, O.G. ove dispone, come già osservato,
che le SUP siano un (sotto)tipo di s.r.l. unipersonali.
A conferma di ciò, l’art. 7, par. 4, comma 2˚, O.G. chiarisce (oppor-
tunamente) come la Societas Unius Personae si inserisca pienamente nel
sistema giuridico di riferimento, stabilendo l’applicazione alla SUP, per
quanto non previsto dalla Direttiva, delle norme in materia di s.r.l. nazio-

(77) E tale obiezione era tanto più possibile alla lettura del testo originale della Propo-
sta (art. 7, par. 3, COM), ove si stabiliva semplicemente la riserva assoluta e l’obbligo della
denominazione “SUP” per ogni società che avesse tale forma giuridica, determinando ciò un
“passaporto” per le imprese: CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 139; cosı̀ pure
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 5.
(78) Il testo JURI-2DL in verità pare fornire una disciplina più cogente, ove afferma
(art. 7, par. 3) che “Lo Stato membro di registrazione impone alle SUP di aggiungere al
nome della società un’indicazione che la società è registrata in tale Stato membro” (corsivi
nostri). Il punto dell’opzionalità dell’indicazione geografica era stato in effetti contestato da
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 6.
(79) Come, sulla base del testo COM, era stato auspicato da CONAC, The Societas Unius
Personae, cit., p. 155.
(80) L’attribuzione della quale, a norma dell’art. 14, par. 2, O.G., avviene alla data
stabilita dal diritto nazionale applicabile.
(81) Che, mentre nel nostro ordinamento è corollario della attribuzione della persona-
lità giuridica alla società, che acquisisce cosı̀ autonomia patrimoniale perfetta, in altri Paesi
non è cosı̀ strettamente legata a tale status giuridico dell’ente. La responsabilità limitata del
socio unico era esplicitamente citata all’art. 7, par. 2, COM.
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626 le nuove leggi civili commentate 3/2016

nale di registrazione, con chiara preferenza per la teoria della sede di


incorporazione.
Sia le persone fisiche, sia quelle giuridiche (82) potranno essere socio
unico della SUP; nulla è però stabilito – e dunque pare legittima l’even-
tualità – quanto alla possibilità che tale soggetto sia riconducibile ad un
ordinamento non facente parte dell’Unione europea (83).
In linea di principio gli Stati membri dovranno acconsentire a che una
data SUP sia socio unico di altre società con responsabilità limitata (84);
l’unico limite che tale principio incontra è dettato dal secondo periodo,
art. 6, par. 2, O.G., sulla base del quale “gli Stati membri possono stabilire
norme per vietare alle SUP di essere soci unici in altre società a responsa-
bilità limitata qualora ciò comporti situazioni di proprietà incrociata o
circolare”, diretta o meno (85). Questo per la SUP; per le rimanenti società
unipersonali, “gli Stati membri dovrebbero rimanere autorizzati a limitare
la catena delle società non consentendo alle società unipersonali di essere
un unico socio in altre società” (86). Vi è dunque una disciplina di favore
per la SUP: ove ricorra l’utilizzo di tale forma sociale, il criterio di base
rimane quello della libera partecipazione della ed alla SUP in e da parte di
altre società unipersonali. Tale principio incontra (rectius: può incontrare,
a discrezione del singolo Stato membro) il solo limite della proprietà
incrociata o circolare, diretta od indiretta. Al contrario, per le società
unipersonali non SUP, permane in ogni caso in capo agli Stati membri il
diritto di limitare od escludere la partecipazione di società unipersonali in
altre società con responsabilità limitata in qualità di socio unico, indipen-

(82) Con innovazione rispetto al testo COM, O.G. stabilisce (art. 8) che il diritto
nazionale applicabile potrà acconsentire a che sia socia unica di una SUP anche una diffe-
rente entità, priva di personalità giuridica. Ciò, peraltro, potrebbe fare sorgere problemi di
non poco conto nel momento dell’eventuale trasferimento della sede della SUP in uno Stato
membro in cui la riferita possibilità non sia accordata.
(83) Di estremo rilievo l’emendamento proposto all’art. 8 JURI-2DL, per cui in caso di
socio unico persona giuridica, la legittimazione alla costituzione della SUP è data nel solo
caso in cui esso sia una micro o piccola impresa.
(84) Pare di intendere, anche attesa la previsione di estensione della parte prima della
direttiva a tutte le società unipersonali indipendentemente dalla loro forma giuridica di
costituzione (art. 1, par. 3, O.G.), che ciò significhi consentire che una SUP potrà legitti-
mamente essere unico socio anche, ad esempio, di una s.p.a. unipersonale.
(85) La disposizione, oggetto di introduzione da parte dell’O.G. (nel testo COM nulla
si disponeva a riguardo) è poi più diffusamente esaminata dall’11˚ considerando O.G. La
medesima sostanza, anche se in termini forse ancor più netti (la formulazione parrebbe
imporre agli Stati membri il vietare proprietà incrociate o circolari aventi ad oggetto la
SUP), è ribadita anche dal testo dell’art. 6, par. 2, JURI-2DL.
(86) 11˚ considerando del Preambolo O.G.
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provvedimenti in formazione 627

dentemente cioè dal fatto che da ciò derivi una proprietà incrociata o
circolare. Si potrebbe dunque dare un “privilegio” per la SUP in un
quadro di competizione intraordinamentale tra le forme societarie uniper-
sonali (87).
La costituzione di una SUP può avvenire sia ex nihilo, sia a seguito di
operazioni di conversione, trasformazione, fusione, scissione di enti pree-
sistenti. La rubrica dell’art. 9 discorre tuttavia in maniera esplicita del solo
caso della conversione in SUP, corroborando l’idea di una mancata auto-
nomia tipologica di tale società. L’interpretazione della norma deve tutta-
via essere estensiva, comprendendo cosı̀ (o fornendo una idonea chiave di
lettura per risolvere) i casi di trasformazione, fusione e scissione che sa-
rebbero altrimenti sprovvisti di alcuna regolamentazione (88). Ed analogo è
il principio di continuità dei rapporti giuridici preesistenti, patrimonio
comune di tutte le vicende sin qui menzionate.
Particolarmente interessante è il secondo periodo dell’art. 9, par. 1,
O.G., in cui si considera la possibilità che dalla conversione di una s.r.l.
nazionale in una SUP si verifichi un trasferimento della sede legale della
società da uno Stato membro ad un altro (89). La norma prescrive che una
simile possibilità debba essere negata salvo che il trasferimento rispetti la
normativa applicabile sia dello Stato di partenza che di quello di destina-
zione. Il caso ipotizzato dalla norma in discorso è estendibile sino a disci-
plinare, coerentemente con le pronunce della Corte di Giustizia (90), il

(87) Riguardo tale tema, in varie disposizioni (ad es.: art. 13, par. 4, e art. 18, par. 5,
O.G.) l’intendimento del legislatore europeo è generalmente di evitare che le forme giuridi-
che preesistenti godano di vantaggi particolari rispetto alla SUP. La previsione appena
osservata, al contrario, ribalta la prospettiva, e lascia intuire che la SUP non solo non potrà
essere in alcun modo una sorella minore delle società unipersonali già esistenti, bensı̀,
tuttalpiù, una prima inter pares con esse.
(88) E d’altra parte, il risultato si attingerebbe ugualmente trasformando dal tipo di
origine in s.r.l., per poi procedere alla conversione in SUP; pare quindi preferibile accedere
all’interpretazione estensiva data nel testo. Contra: C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p.
137; ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el
nuevo texto, cit., p. 126. Problematica S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New
Corporate Element, cit., p. 661.
(89) Il tema è toccato, con norma dal tenore letterale più imperativo, anche nell’art. 9,
par. 1 bis, JURI-2DL che ammette il trasferimento di sede legale a seguito di conversione al
solo fine di adempiere alle disposizioni di cui al successivo art. 10 JURI-2DL, ossia per
garantire la coincidenza della sede reale con quella amministrativa. Al contrario, l’argomento
non era esplicitamente toccato nella versione COM, probabilmente per evitare alcuni dei
problemi sorti con la SE: in questo senso anche MALBERTI, The Relationship, cit., p. 269.
(90) Su cui si v., da ultimo, PEDERZINI, La libertà di stabilimento delle società europee
nell’interpretazione evolutiva della Corte di Giustizia. Armonizzazione e concorrenza tra ordi-
namenti nazionali, in Percorsi di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016,
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628 le nuove leggi civili commentate 3/2016

trasferimento transfrontaliero di sede anche di una SUP già costituita. Se


infatti la SUP è forma giuridica di diritto nazionale, ciò ha come inevitabile
corollario una differenza tipologica tra la Societas Unius Personae retta da
un dato diritto nazionale e le ventisette restanti. Il trasferimento della sede
sociale da un Paese membro ad un altro, quindi, determinando un cam-
biamento del diritto nazionale applicabile (91), causa pure una trasforma-
zione della società, ad esempio da SUP italiana a SUP spagnola. E da
questa trasformazione, sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, de-
riva l’applicabilità della normativa stabilita dall’art. 9 O.G. (92).
Il tema del trasferimento di sede conduce a spendere appena poche
parole commentando l’assenza nel testo O.G. dell’unica disposizione che
trattava specificamente del tema della sede della SUP nella versione COM,
ovvero l’art. 10 (93); in esso era stabilito che sede legale della SUP ed
amministrazione centrale della stessa – o la sua sede operativa principale
– si dovessero trovare nell’Unione. Nulla si stabiliva con riferimento alla
necessità che tali sedi si trovassero nel medesimo Stato membro, e ciò
legittimava l’idea della possibilità di dissociazione, anche in Paesi differen-

p. 95 ss. Ed in particolare è del tutto significativa la consonanza della previsione con quanto
disposto nella nota sentenza VALE Épı́tési kft (Corte giust. 12 luglio 2012, Causa C-378/10,
su cui, oltre al citato contributo di PEDERZINI, p. 120 ss., si v.J.L. HANSEN, The Vale Decision
and the Court’s Case Law on the Nationality of Companies, in European Company and
Financial Law Review, 2013, p. 6 ss.).
(91) A seguito della registrazione che dovrà avere luogo nello Stato di destinazione,
essendo la SUP regolata, come più volte ripetuto, dalla legge nazionale dello Stato membro
in cui essa è registrata.
(92) Resta, tuttavia, il dubbio se possa darsi il caso di una trasformazione in SUP di una
entità retta da un ordinamento non appartenente alla UE. Sulla scorta del dato letterale
dell’art. 9, par. 1, O.G., che cita le società elencate dall’allegato 1, necessariamente “euro-
pee”, e il trasferimento della sede legale “da uno Stato membro a un altro”, pare che la
risposta debba essere negativa.
(93) Di esso, nella formulazione O.G., non resta neppure l’indicazione della soppres-
sione, come invece accade per gli artt. 19, 20, 21, 23, 24, 27: semplicemente si passa
nell’articolato dall’art. 9 all’11, relegando il fu art. 10 all’oblio più completo.
La norma “resuscita”, con formulazione opposta al testo COM, nella versione JURI-
2DL, in cui si prevede che “la sede legale della SUP nonché la sua amministrazione centrale
coincidono con la sede effettiva della stessa”. Secondo questo testo, dunque, non solo non vi
sarebbe (più) la possibilità di una dissociazione rispetto allo Stato membro in cui è posta la
sede legale e quello di sede reale (neppure ove ciò dovesse essere consentito per le rimanenti
forme sociali dalle norme dello Stato di registrazione: v. infra nel testo), ma – curiosamente –
neppure di operare tale dissociazione all’interno di un medesimo Stato membro. In defini-
tiva, per chiudere ogni possibilità alla separazione delle sedi tra ordinamenti regolanti la
società secondo le contrapposte teorie della sede reale e dello Stato di incorporazione, si è
giunti alla ultronea situazione di bloccare ogni differente dislocazione, anche intrastatuale, il
che pare eccessivo, oltre che sfornito di particolare utilità; nel medesimo senso TEICHMANN e
FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 9.
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provvedimenti in formazione 629

ti, di sede legale e reale, provocando una certa irritazione in diversi Paesi
tradizionalmente legati alla teoria della sede reale (94).
A tale proposito è necessario considerare separatamente le questioni
sollevate dall’art. 10. Per quanto riguarda il posizionamento all’interno
dell’Unione della sede legale, non si pone alcun problema anche in assenza
dell’art. 10. L’art. 14, par. 1, O.G. è infatti chiaro nello stabilire che la SUP
dovrà essere registrata nello Stato membro nel quale avrà la sede legale.
Corollario di tale regola è, come già si è rilevato, il fatto che ove si
determini un cambiamento di sede legale, dovrà essere effettuata una
nuova registrazione.
Il punto è di risoluzione meno piana per quanto concerne l’ammini-
strazione centrale, o la sede operativa principale della società, in quanto
tali aspetti non sono toccati nel testo O.G. Da tale assenza si deve desu-
mere che la specifica disciplina applicabile alla possibilità della dissocia-
zione tra Stato di registrazione (e sede legale) e Paese in cui abbia sede
l’amministrazione centrale della SUP sia da risolvere sulla base delle regole
specifiche di ciascuno Stato membro, anche onde evitare problematiche in
materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione della società ed un
potenziale danno ai creditori sociali (95).

6. Segue: la SUP: la costituzione e l’iscrizione on-line.


Il primo punto essenziale in materia di SUP è comunque quello ri-
guardante la fase genetica della società, comprensiva della redazione del-
l’atto costitutivo e della sua registrazione.

(94) Il tema ha a che vedere con la possibilità che da ciò scaturisca una violazione delle
norme nazionali in tema di cogestione. Su tali perplessità si v. per tutti SEIBERT, SUP – Der
Vorschlag der EU-Kommission zur Harmonisierung der Einpersonen-Gesellschaft, cit., p. 210;
ma anche la convincente replica di CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 171 ss., spec.
173 ss. Il tema non è stato direttamente affrontato dalla Proposta anche per evitare i punti di
attrito diretti su cui si era infranta la SPE; in questo senso MALBERTI, The Relationship, cit.,
p. 278 efficacemente discorre di “Commission’s non-confrontational strategy”; TEICHMANN e
FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 9; ciononostante LECOURT, La
Societas Unius Personae, cit., p. 707 suggerisce di ispirarsi alla SPE per fare entrare il tema
all’interno della Proposta. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 43 solleva a
riguardo della possibilità di dissociazione tra sede legale e reale anche il tema della possi-
bilità che ciò dia luogo ad elusioni fiscali.
(95) Nello stesso senso anche TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a
Mountain, cit., p. 7; e pure, ma esprimendo soddisfazione per la soluzione O.G.: ESTEBAN
VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto,
cit., p. 112.
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630 le nuove leggi civili commentate 3/2016

Dal testo O.G., ben più dettagliato di COM sul punto, emergono tre
profili: informazione relativa alla disciplina delle società a responsabilità
limitata in ogni Stato membro (art. 12); regole in materia di redazione
dell’atto costitutivo (art. 11); norme in tema di registrazione (artt. 13 ss.).
La chiave di volta dell’intero sistema di costituzione/registrazione age-
volata per la SUP poggia su di un elemento decisivo: la possibilità per il
fondatore della società di scegliere l’ordinamento che reputi migliore ai
propri fini. Tale scelta presuppone una conoscenza, nell’idea del legisla-
tore almeno a livello elementare, delle norme che regolano le società nello
Stato membro in cui si desidera costituire la SUP. In ragione di ciò, l’O.G.
prevede uno specifico obbligo in capo agli Stati membri di fornire infor-
mazioni relative a punti chiave della normativa societaria ai soggetti po-
tenzialmente interessati alla costituzione (96). Le informazioni offerte dagli
Stati membri (97) dovrebbero essere, ancora nell’idea del redattore della
norma, sufficienti a disegnare il quadro normativo globale cui sarebbe
soggetta una SUP (98) ove il socio fondatore si avvalga del modello di atto
costitutivo tipizzato, senza che alcuna modificazione sia ad esso appor-
tata (99).
Di maggiore interesse le norme in tema di costituzione della società in
senso proprio.
Il procedimento di registrazione telematica della società, che senz’altro
costituisce il punto focale della Proposta, implica che vi sia la possibilità di
costituire la società attraverso modelli standard; la disciplina a riguardo è
piuttosto differente nelle versioni COM e O.G.

(96) Cfr. art. 12 e 15˚ considerando quater e quater bis O.G.; la medesima finalità è
presente anche nell’art. 12 bis JURI-2DL.
(97) Di preferenza all’interno degli stessi modelli di atto costitutivo, ma con la possi-
bilità di utilizzare “altri strumenti che consentano al fondatore di ottenerne facilmente
conoscenza” prima della registrazione: cfr. art. 12, parr. 1 e 2, O.G. La finalità informativa
e di incentivo all’imprenditorialità transnazionale della previsione potrà essere facilmente
frustrata dal fatto che gli Stati membri sono liberi di fornire o meno tali informazioni anche
in lingue diverse da quella dello Stato di registrazione.
(98) Non è in questa sede possibile soffermarsi su oggetto, modalità e tempi che tali
informazioni devono contemplare. Sia sufficiente segnalare che le informazioni dovranno
essere (con previsione che pecca di idealismo sino a rasentare l’ingenuità) “aggiornate,
chiare, concise e di facile fruizione” e riguardare l’organizzazione, i profili finanziari e le
formalità relative alla registrazione della società. Con scelta che pare criticabile, in quanto
non facilita il reperimento delle informazioni, la formulazione letterale dell’art. 12, par. 1,
comma 2˚, O.G. pare autorizzare gli Stati membri a mettere a disposizione non necessaria-
mente le norme, ma solamente “riferimenti a tali disposizioni”.
(99) E ferma restando la facoltà degli Stati membri, esplicitata dallo stesso 15˚ consi-
derando quater O.G., di fornire eventualmente anche informazioni ulteriori rispetto a quelle
imposte dall’art. 12.
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provvedimenti in formazione 631

Il testo COM prevedeva, infatti, due modelli, entrambi emanandi dalla


Commissione stessa, uno per l’atto costitutivo ed uno per la sua registra-
zione (100); ugualmente la versione O.G. che tuttavia devolve la competen-
za all’elaborazione ad ogni singolo Stato membro (101). La modifica è
espressione della maggiore attenzione nel testo O.G. per le singole legi-
slazioni nazionali, ancora onde evitare l’idea che dalla Direttiva SUP di-
scenda direttamente un nuovo tipo societario europeo (102).
Il testo O.G. (ma pure il COM, anche se con meno dettagli) consente
tuttavia anche la possibilità di avvalersi di atti costitutivi a formulazione
libera. La differenza tra le due ipotesi è che l’accesso alla procedura di
registrazione on-line di cui tra breve si dirà è ammesso per i soli atti
redatti, ex nihilo, secondo il modello standard, mentre i rimanenti potran-
no fruire della sola procedura di registrazione “tradizionale”, meno celere
e comunque presenziale (103).
Ciascuno Stato membro è tenuto alla redazione dell’atto costitutivo
standard nella/e propria/e lingua/e nazionale/i; quanto alla traduzione di
esso “in altre lingue, in particolare quelle utilizzate nel settore commerciale
internazionale”, essa è rimessa all’adoperarsi degli Stati membri, senza che
sia in ciò ravvisabile un vero e proprio dovere (104). Il testo deve essere
messo a disposizione on-line da parte degli Stati membri perlomeno nel
sito web nazionale di registrazione.
La seconda parte dell’art. 11, par. 2, O.G. rileva per il suo impatto
sull’acquis communautaire. Sulla base dell’art. 11 della dir. 2009/101/CE,
infatti, “[i]n tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto

(100) Quanto alle difficoltà che avrebbe potuto incontrare la Commissione in tale
elaborazione si v. MALBERTI, The Relationship, cit., p. 258, nt. 73. Critici rispetto alla
redazione unica a livello europeo del modello anche LECOURT, La Societas Unius Personae,
cit., p. 703; LUCINI MATEO, En torno al Proyecto, cit., p. 5; ESTEBAN VELASCO, La propuesta de
Directiva sobre la “Societas unius personae” (sup), cit., p. 142.
(101) Medesima impostazione anche per l’art. 11 JURI-2DL, mentre non chiarissima –
ancorché probabilmente coincidente infine con la soluzione ipotizzata in O.G. – è la posi-
zione della versione IMCO (argomento ex Motivazione correlata all’emendamento 17). S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 665 s. non
condivide tale previsione, in quanto foriera di “legal fragmentation”.
(102) Il testo COM non considerava le realtà nazionali che richiedono, per la costitu-
zione di una società, l’elaborazione di documenti ulteriori rispetto al solo atto costitutivo;
non a caso l’art. 11, par. 1, O.G. nel demandare al diritto nazionale la disciplina dell’atto
costitutivo, esplicitamente considera anche “il numero di tali atti”.
(103) Per quanto, nell’idea di ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 116, nt. 25, sarà necessario nel testo
definitivo della Direttiva chiarire i termini di tale compresenza.
(104) Cosı̀ l’art. 11, par. 1, O.G.; conformemente anche il 15˚ considerando bis O.G.
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632 le nuove leggi civili commentate 3/2016

della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario,


l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono
rivestire la forma di atto pubblico”; ciò significa che il documento in
questione, ad esempio nel caso italiano, dovrebbe essere redatto, ai sensi
dell’art. 2699 c.c., da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato; e la
medesima considerazione vale, naturalmente, per ogni Paese in cui vi sia
un analogo ruolo attribuito al notariato o ad altro pubblico funziona-
rio (105). Ora, l’art. 11, par. 2, seconda frase, O.G. stabilisce per la SUP
che il requisito della costituzione per atto pubblico della società si consi-
dera soddisfatto per il solo fatto di essere stato l’atto costitutivo della SUP
redatto e presentato on-line nella forma del modello tipizzato. La norma,
che deve essere coordinata con i successivi artt. 14 bis e 14 ter O.G., pare
tuttavia non considerare nello specifico non tanto e non solo i profili
relativi all’identità del fondatore – che sono esplicitamente esaminati pro-
prio negli artt. 14 bis e seguente – bensı̀ la certificazione riguardo la
legittima formulazione della clausola relativa all’oggetto sociale, che po-
trebbe essere foriera di problemi di non poco momento.
Quanto al contenuto dei singoli modelli nazionali, la Proposta nella
versione dell’Orientamento generale fornisce agli Stati membri le indica-
zioni massime che questi sono legittimati a richiedere al socio fondato-
re (106). Non viene, dunque, disciplinato nello specifico il contenuto degli
atti costitutivi nazionali, proprio in ragione dell’essere questi regolamentati
dal diritto di ciascuno Stato membro.
Tra le informazioni che, in base al testo O.G., gli Stati membri sono
legittimati a richiedere al socio unico, ve ne sono talune che trascendono la
mera elencazione, offrendo spunti di disciplina. Si dà cosı̀ menzione della
possibilità che sia presente un organo di sorveglianza (107), che sia data una
durata della SUP (108), che si specifichi il tipo di quota (109); che siano

(105) Sul punto, ancorché sulla base del testo COM ed in funzione della compatibilità
della SUP con l’acquis si v. MALBERTI, The Relationship, cit., p. 274.
(106) Contesta la scelta di positivizzare il massimo delle informazioni, anziché non il
minimo ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae”
(SUP): el nuevo texto, cit., p. 120.
(107) Si noti come la previsione dell’eventuale organo di sorveglianza potrebbe essere
declinata nel senso di un Aufsichtsrat noto nel diritto dei Paesi di lingua tedesca, oppure del
collegio sindacale (o sindaco unico) proprio della nostra tradizione giuridica. Il modello di
governance in concreto adottato da ciascuno Stato membro può peraltro comportare un
inferiore grado di armonizzazione: MALBERTI, The Relationship, cit., p. 260.
(108) Si tratta di una innovazione apportata dalla formulazione O.G.; nel testo COM, la
SUP era da intendersi costituita a tempo indeterminato [cfr.: art. 7(5) COM].
(109) Ovvero se la natura giuridica della quota unica della società sia da intendersi
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provvedimenti in formazione 633

determinate forma e procedura per costituire riserve legali (110). Inoltre,


l’art. 11, par. 4, O.G. autorizza lo Stato membro a richiedere informazioni
ulteriori rispetto a quelle del paragrafo precedente se il fondatore intenda
avvalersi di un atto costitutivo a formulazione libera.
Con riferimento alla registrazione della SUP, la regola aurea cui si
attiene il redattore della Proposta, sia nel testo COM che nella versione
O.G. è la necessità che «dovrebbe essere possibile espletare nella sua
interezza la procedura di registrazione in formato elettronico senza la
necessità di essere fisicamente presenti di fronte alle autorità di uno Stato
membro» (111). Ciò non esclude che gli Stati membri mantengano funzio-
nante un canale “tradizionale” di iscrizione, perlomeno per quanti non
intendano avvalersi dell’atto costitutivo tipizzato; ove, d’altra parte, si
utilizzi il modello standard nazionale di atto costitutivo (ed il formulario
on-line per la registrazione), le autorità di registro dovranno completare il
procedimento di iscrizione, dando conferma anche in formato elettronico
all’unico socio entro cinque giorni lavorativi dal momento in cui i docu-
menti sono stati presentati dal fondatore (112).

come, appunto, quota, ovvero come azione (share), come accade ad esempio nei Paesi di
lingua inglese. E si v. a riguardo la nota 8, all’art. 3 O.G.
(110) Questa indicazione appare essere non coerente con le rimanenti, alla pari delle
successive lett. i e j, che immediatamente seguono nell’elenco. In questo caso, infatti, non
sembra esservi la necessità di una informazione da offrire da parte del socio unico, in
relazione alla modalità di formazione della riserva, ma, tutt’al più, di un dato che il legi-
slatore nazionale dovrebbe dare al socio unico, rispetto alla modalità della costituzione della
riserva legale. Rispetto a tale profilo, l’unico fondatore solamente potrà influire, attesa
l’esperienza che rispetto a tali riserve si è formata nei diversi Paesi dell’Unione, in riferi-
mento al quantum degli utili annuali sia da trattenersi da parte della società al fine di
formare la riserva, nel caso (raro, si direbbe) in cui il fondatore desideri destinare a tale
fine una percentuale maggiore rispetto a quella richiesta dispositivamente dalla legge (a
titolo di esempio: il 25% in Germania e Belgio; il 20% in Italia e Spagna; per ulteriori
informazioni sul punto si rinvia a BARTOLACELLI, Armonizzazione, concorrenza e convergenza
tra ordinamenti: evidenze dal diritto delle società a responsabilità limitata in Europa e in Italia,
in Percorsi di diritto societario europeo, a cura di Pederzini, Torino, 2016, p. 139 ss., spec. p.
153 ss.).
(111) 13˚ considerando O.G.; nell’articolato O.G. si v. l’art. 14, par. 3, su cui imme-
diatamente infra nel testo, e le cautele di cui si trova traccia ad es. negli artt. 13, par. 6, e 14
ter, par. 5. La previsione è tuttavia definita controversa (“polémica”) da ESTEBAN VELASCO,
La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p.
131 ss.
(112) La riduzione dei tempi di iscrizione è una delle funzioni principali della Proposta;
sul punto si v. CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 151 s. L’art. 14, par. 3, comma 2˚,
O.G. si preoccupa di specificare che il rispetto del termine dei cinque giorni lavorativi non è
destinato ad operare in caso di “circostanze eccezionali che renderebbero impossibile ri-
spettare tale termine”; opportunamente, il 16˚ considerando O.G. esemplifica tali circostanze
eccezionali, citando “la complessità del caso [che] richiede un esame speciale nel contesto
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634 le nuove leggi civili commentate 3/2016

In aggiunta a ciò, è necessario distinguere anche tra registrazioni di


SUP costituite ex nihilo, e società che a tale forma pervengano a seguito di
trasformazione, conversione, fusione o scissione; ai sensi dell’art. 14, par.
3, O.G. l’obbligo per gli Stati membri di predisporre il canale di registra-
zione telematico si dà per il solo primo caso. Non essendovi alcun dovere
per gli Stati membri di allestire regimi di iscrizione on-line per costituzioni
non ex nihilo, non è dato neppure rinvenire un obbligo in capo agli stessi
di fornire agevolazioni temporali per quelle costituzioni “per conversione”
in cui si sia optato per l’utilizzo del modello tipizzato (113).
Per quanto riguarda la registrazione on-line, che rappresenta l’elemen-
to più innovativo – e controverso – della Proposta, la disciplina è offerta
dagli artt. 13, 14 bis e 14 ter O.G. Anche per l’iscrizione della SUP sono
citati “modelli nazionali”; tuttavia, in questo caso, essi sono da intendersi
nel senso di formulari, utilizzabili on-line, e predisposti da ciascuno Stato
membro (114).
Il già citato principio di garanzia della possibilità di espletamento delle
formalità on-line è dettato dall’art. 14 bis O.G. (115). L’articolo in parola

della registrazione che renderebbe impossibile rispettare tale termine”. Sia consentito rile-
vare come una determinazione cosı̀ vaga dell’eccezionalità per il mancato rispetto del ter-
mine dei cinque giorni lavorativi rischia di compromettere seriamente la disposizione anche
da un punto di vista sostanziale. E d’altra parte, già il testo COM – che prevedeva un
termine di tre giorni – era stato criticato da parte della dottrina per la sua rigidità: WICKE,
Societas Unius Personae, cit., p. 1416; perplessità sulla norma sono sollevate anche da
TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 14.
(113) E si v., nel medesimo senso, il 16˚ considerando bis O.G.
(114) Ciò si desume dalla nota 9, all’art. 13, par. 2, O.G., indirizzata all’attenzione dei
giuristi-linguisti. Specularmente a quanto accade per l’atto costitutivo tipizzato, anche in
questo caso si dà un elenco “massimo” delle informazioni che lo Stato membro può richie-
dere al socio fondatore all’atto della registrazione, ove questi si sia avvalso dell’atto costi-
tutivo tipizzato. Qualora, invece, l’atto costitutivo sia stato redatto con formulazione libera,
è facoltà dello Stato membro (art. 13, par. 3, O.G.) richiedere informazioni ulteriori; in tema
si v. anche il considerando 15˚ quinquies, secondo periodo O.G. Lo Stato membro di
registrazione può richiedere che le informazioni da fornire siano confermate con mezzi di
prova idonei, che non possono eccedere in quantità quelli imposti alle altre s.r.l. di diritto
nazionale. Si tratta di altra norma volta a garantire la competitività intraordinamentale della
SUP nei confronti delle forme giuridiche previgenti, in ogni caso la richiesta non deve
pregiudicare la possibilità che la SUP sia registrata on-line. Sulla eventuale preferenza da
accordarsi alla SUP tra le forme unipersonali nazionali si v. C. SERRA, Societas Unius Perso-
næ, cit., p. 129.
(115) A riguardo il 18˚ considerando O.G., pure ammettendo la possibilità di controlli
di legalità ed identità predisposti dagli Stati membri, e fornendo esemplificazioni sulle
modalità in cui tali controlli potranno trovare attuazione si chiude con la specificazione
che “[i]n ogni caso è opportuno che le norme nazionali non incidano sulla possibilità di
completare l’intera procedura di registrazione on-line”. E, analogamente rispetto alla pro-
cedura di registrazione, il 13˚ considerando bis stabilisce: “[l]a registrazione on-line dovrebbe
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provvedimenti in formazione 635

detta le regole in tema di controlli di legalità (par. 1), di forma (par. 2) e di


rilascio di autorizzazioni (par. 3), che potranno essere disciplinati dal
diritto nazionale. Potranno, nel senso che, con norma assai criticabile (116),
sugli Stati membri non incombe alcun obbligo specifico di verifica di
legalità, e ciò ben può determinare, nel quadro d’insieme, un complessivo
calo di affidabilità delle informazioni contenute nei registri nazionali.
Le tre citate fattispecie attengono al processo di registrazione, mentre
nulla è specificamente stabilito con riferimento ai controlli sulla redazione
dell’atto costitutivo (117). D’altra parte, tuttavia, la costituzione di una
SUP, come quella di qualunque altra società capitalistica, è atto complesso
che vede la compresenza delle fasi di redazione dell’atto costitutivo e di
registrazione. In tale senso il controllo di legalità effettuato in sede di
registrazione pare, ove presente, potere assorbire anche quello relativo alla
redazione dell’atto costitutivo.
Nei soggetti citati dall’art. 14 bis come “autorità preposta alla registra-
zione” sono da ravvisarsi non già i punti nazionali di registrazione elet-
tronica, né i “siti web nazionali per la registrazione delle SUP”: questi
sono, semmai, il mezzo attraverso il quale la registrazione ha luogo, ma
non l’autorità preposta alla registrazione. Il riferimento è piuttosto da
intendersi a quei soggetti che, in ciascuna esperienza nazionale, sovrinten-
dono alla verifica della legittimità e della forma dell’atto da registrare, in
particolare, quindi, gli uffici del registro. A norma dell’art. 14 bis, par. 1,
O.G., tuttavia, discorrendosi di processo di registrazione, e dunque di una
serie di atti connessi teleologicamente orientati all’iscrizione, sembra di
potersi includere nel concetto di autorità preposta alla registrazione anche
il notaio, ove presente e deputato ai controlli di legalità al momento della
costituzione di una società. Nella sostanza ciò significa un espresso rico-
noscimento del possibile ruolo del notariato che non trovava alcuna espli-
citazione nella versione COM, pur essendo menzionato nei documenti
secondari a corollario del testo (118). A questo fine, compaiono nella ver-

lasciare impregiudicata la scelta da parte degli Stati membri delle persone o degli organismi
cui potrebbe essere imposto di assistere o sovrintendere alla legalità della registrazione a
condizione che l’intero processo possa essere espletato elettronicamente”.
(116) Ed assai criticata: si v., ad esempio, TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius
Personae, cit., p. 542 s.
(117) Fatte salve le previsioni della dir. 2009/101/CE e, per il modello standard le
perplessità di cui già si è poc’anzi riferito.
(118) Ma, ritenendo che tale possibilità fosse comunque contemplata dall’art. 14, par. 5,
COM: J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 179. Nel senso del testo, LUCINI MATEO, En
torno al Proyecto, cit., p. 4; critici pure RIES, Societas Unius Personae, cit., p. 569 e DRYGALA,
What’s SUP, cit., p. 494.
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636 le nuove leggi civili commentate 3/2016

sione O.G. anche l’art. 14 ter sul riconoscimento dei mezzi di identifica-
zione, e i considerando 13˚, 13˚ bis, 18˚ e 18˚ bis del Preambolo.
Il controllo di legalità (non presenziale) ha ad oggetto innanzitutto
(art. 14 bis, par. 1, O.G.) la “verifica dell’identità e della capacità giuridica
del socio fondatore e/o del rappresentante che costituisce la SUP per
conto del socio”. Pur non essendo in alcun modo citato, pare ragionevole
che il controllo possa (debba?) esplicarsi anche sui rimanenti aspetti con-
templati nell’atto costitutivo della società, primo tra tutti il contenuto della
clausola dell’oggetto sociale. L’attenzione del legislatore europeo è tuttavia
focalizzata innanzitutto sul socio unico e/o sull’eventuale suo rappresen-
tante che costituisca la SUP per suo conto, rispetto alla loro identificazione
e la verifica della capacità giuridica. Tale operazione, disciplinata nell’an e
nel quomodo dal diritto nazionale applicabile, è volta a fornire garanzie
rispetto all’effettiva imputazione di una attività giuridicamente rilevante in
capo al soggetto che si assume essere unico fondatore; e, proprio come
conseguenza di ciò, in definitiva, a custodire al meglio “attendibilità e
affidabilità dei registri” nazionali (119).

(119) Cosı̀, ancora, il 18˚ considerando O.G. Il controllo in parola si deve basare su di
una fase documentale ed una esperienziale: vi è la necessità di verificare se il soggetto il cui
documento di identità sia stato validamente fornito per la registrazione quale socio unico
della SUP sia effettivamente la persona che – direttamente o rappresentata da un terzo – sta
svolgendo la procedura di registrazione.
Per quanto riguarda l’accreditamento dei documenti di identificazione accettabili alla
finalità sin qui descritta, indicazioni a riguardo provengono dall’art. 14 ter O.G. La verifica
della corrispondenza tra il registrante ed il soggetto risultante dai documenti allegati al
formulario di registrazione potrà essere svolta da un’autorità dello Stato membro di regi-
strazione, ove il diritto nazionale lo preveda, salvo il principio per cui tale controllo non
incida sulla possibilità di un completamento on-line dell’intera procedura. A tale fine, il 18˚
considerando suggerisce indicazioni su modalità possibili di espletamento del controllo in
parola, segnatamente menzionando la “videoconferenza o altri mezzi on-line che permettano
un collegamento audio-video in tempo reale”.
L’accreditamento dei mezzi di identificazione riguarda anche la fase di verifica della
regolarità formale, da espletarsi a cura delle autorità di registro. Il quadro a tale riguardo si
presenta piuttosto complesso. Il principio generale è dettato dall’art. 14 bis, par. 2, O.G.: gli
Stati membri regolamentano l’attività di verifica formale, ma essi necessariamente devono
accettare almeno i mezzi di identificazione elettronica rilasciati dallo Stato membro di
registrazione ai fini della registrazione on-line stessa e i mezzi di identificazione elettronica
rilasciati da altro Stato membro che soddisfino le disposizione del c.d. regolamento e-IDAS
(reg. (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014). Inoltre,
le autorità di registrazione possono autorizzare come validi anche altri mezzi di riconosci-
mento (non elettronici, o elettronici non conformi alle disposizioni e-IDAS), secondo un
principio di equivalenza: ove siano accettati documenti interni di un dato tipo, dovranno
essere ammessi anche quelli esteri “dello stesso tipo”. Il coordinamento delle disposizioni
del regolamento e-IDAS con quelle della Proposta SUP non è particolarmente semplice e
comporta diverse problematiche, in special modo legate alla possibile non applicazione delle
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provvedimenti in formazione 637

Il punto critico essenziale è, in effetti, quello della prevenzione di frodi


in relazione alle identità, soprattutto per problematiche connesse al rici-
claggio di capitali (120); il tentativo di risolverlo, tuttavia, ha effetti che
appaiono particolarmente rilevanti per i principi sottesi alla registrazione
non presenziale della SUP.
L’art. 14 ter, parr. 3 e 4, O.G. disciplina infatti le conseguenze della
mancata presentazione di mezzi di riconoscimento conformi al regolamen-
to (UE) n. 910/2014 ed il “sospetto concreto di frode”. In particolare in
quest’ultimo caso si specifica che gli Stati membri sono liberi di adottare
misure di contrasto alla frode ove vi sia tale concreto sospetto legato
all’identificazione (121), secondo il diritto nazionale applicabile. In questo
caso, lo Stato membro è libero di richiedere, eccezionalmente, anche l’in-
tervento presenziale dinanzi ad un’autorità dello Stato membro. Si tratta,
in pratica, dell’unica esplicita eccezione al principio di possibilità di regi-
strazione on-line più volte ricordato e più volte ribadito in Preambolo ed
articolato della Proposta.
A conclusione del tema della registrazione, infine, l’art. 14 bis, par. 3,
O.G. disciplina le autorizzazioni eventualmente richieste dagli Stati mem-
bri alla SUP (122), dovendosi distinguere tra autorizzazioni richieste ante o

regole e-IDAS da taluni Stati membri ed al diverso rating di affidabilità degli strumenti di
identificazione; su di esse si v. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 40 ss.;
MALBERTI, The Relationship, cit., p. 266 s.; ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva
sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 133. Rispetto alla possibilità
di coniugare affidabilità dei registri e iscrizione on-line attraverso l’utilizzo delle nuove
tecnologie si v. BEURSKENS, “Societas Unius Personae”, cit., p. 745 ss.
(120) C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 140; TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas
Unius Personae, cit., p. 542 (che modificano il loro parere, a seguito dell’approvazione del
testo O.G., rilevando come non tutte le previsioni in materia di disclosure e antiriciclaggio
siano replicate nel testo della Proposta: TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out
of a Mountain, cit., p. 13 s.); MALBERTI, The Relationship, cit., pp. 265 e 267 s.; CONAC, The
Societas Unius Personae, cit., p. 166 s. (assumendo una piena compatibilità della disciplina
SUP con le norme antiriciclaggio e sostenendo la presenza di minori rischi relativi alla
identificazione in procedure on-line rispetto a quelle tradizionali). Più critico LUCINI MATEO,
En torno al Proyecto, cit., p. 7.
(121) Se si è sin qui menzionato il caso della identificazione del socio unico fondatore,
che certamente è quello di maggiore rilievo teorico-pratico, si deve tuttavia osservare come
la rilevanza dei mezzi di identificazione si esprima ogni qual volta si dia la necessità di
provvedere ad una identificazione: rappresentante, revisore contabile, titolare effettivo della
SUP, amministratori, membri dell’organo di sorveglianza… Si segnala come il testo dell’art.
14 ter O.G. sia quasi completamente conforme all’emendamento 30 IMCO.
(122) La disposizione era contenuta, nella versione originale della Proposta, all’art. 14,
par. 6, in una formulazione assai meno dettagliata. Sul punto, sollevando anche rischi di
lesione al principio di uguaglianza all’interno di un singolo ordinamento, si v. LUCINI MATEO,
En torno al Proyecto, cit., p. 7.
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638 le nuove leggi civili commentate 3/2016

post registrazione. In entrambi i casi, tutto è naturalmente demandato al


diritto nazionale applicabile (123), ma con l’avvertenza che ante registrazio-
ne gli Stati membri possono imporre l’ottenimento di specifica autorizza-
zione solo se essa prima della registrazione sia “indispensabile per il cor-
retto controllo dello svolgimento di determinate attività”, secondo il diritto
nazionale (124).

7. Segue: la SUP: quota unica, capitale sociale e tutela dei creditori.


Il secondo punto essenziale in materia di Proposta SUP è dato dalla
disciplina del capitale sociale. Essa, latamente intesa, abbraccia i temi della
quota unica (art. 15), dei conferimenti (art. 17), del capitale di per sé
inteso (art. 16) e delle distribuzioni al socio (art. 18).
Rispetto alla versione COM, il testo O.G. offre una regolamentazione
più diretta, basandosi il sistema sulla creazione di una quota unica non
frazionabile (125). Tale scelta implica una serie di corollari, il più rilevante
dei quali è dato dal coincidere il valore nominale attribuito all’unica quota
con il capitale sociale della SUP.
Quanto all’indivisibilità della quota unica, essa permarrà sino a che sia
utilizzato il modello organizzativo della SUP; allorquando se ne esca, ad
esempio per l’entrata in società di un nuovo soggetto – e conseguente
conversione in s.r.l. “ordinaria” – la quota potrà senz’altro essere frazio-
nata. In altre parole, il passaggio da SUP ad un modello societario pluri-
personale (126) determina di per sé la possibilità di frazionamento della
quota in quanto ciò sia possibile in ragione del modello di destinazio-
ne (127). Infine, ed è il punto sistematico di maggiore rilievo, il § 3 stabili-
sce il regime applicabile al caso in cui la quota unica cada in regime di
comunione tra più soggetti (128), per cui i diritti relativi sono esercitati

(123) Fermo restando il diritto degli Stati membri a subordinare lo svolgimento di date
attività alla concessione di una licenza o di un’autorizzazione. Si v. sul punto anche il testo
IMCO (emendamento 31), che proponeva l’elencazione di tali attività nei siti web di regi-
strazione.
(124) Cfr. art. 14 bis, par. 3, O.G. La possibilità concessa a ciascun Paese membro di
fornire un significato concreto all’aggettivo “indispensabile” e alla nozione di “corretto
controllo” (come pure, d’altra parte, un regime più o meno rigido rispetto alle autorizzazioni
o licenze richieste) potrebbe tuttavia di per sé costituire un ennesimo fattore su cui si
esplichi una competizione inter-ordinamentale.
(125) Art. 15, par. 1, O.G.
(126) O anche ad un modello unipersonale differente, ove questo sia consentito dalla
legislazione applicabile.
(127) Cosı̀ anche J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 186.
(128) Il 20˚ considerando fornisce quali esemplificazioni di tale situazione la successione
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provvedimenti in formazione 639

mediante un rappresentante (129), la cui identità deve essere oggetto di


registrazione, come già si è avuto modo di ricordare. Nulla vieta che la
comunione in questione abbia natura volontaria (130); ciò determina che la
società, pur mantenendosi formalmente unipersonale, vedrà una pluralità
di persone a titolo di comunista, aprendo cosı̀ il varco per una SUP che, a
dispetto della denominazione, sarà nella sostanza pluripersonale, con una
partecipazione regolata in via di principio dalle norme di diritto comune e
non da quelle proprie del diritto societario (131). E la previsione di cui
all’art. 15, par. 2, O.G. per cui la SUP non può acquisire né possedere
per conto proprio o di terzi la propria quota unica si risolve nel fatto che
altrimenti la società sarebbe senza socio, derivando da ciò in concreto una
modalità di realizzazione del già osservato fenomeno di proprietà circo-
lare (132).
Con riferimento al capitale sociale minimo, la Direttiva impone la sua
entità nell’unità di euro (o di altra valuta per i Paesi membri che non
aderiscano alla c.d. Eurozona), esplicitamente proibendo che gli Stati
membri impongano un capitale sociale minimo più elevato (133). Ed ugual-
mente le norme nazionali non potranno imporre neppure un capital cap,

per causa di morte ed il diritto matrimoniale. E cosı̀ pure LECOURT, La Societas Unius
Personae, cit., p. 705.
(129) L’identità del rappresentante deve essere oggetto di notifica all’organo di dire-
zione della società, al pari del nome dei comproprietari e l’eventuale modifica di tali infor-
mazioni. In mancanza di notifica, si verifica una sospensione dall’esercizio dei diritti nella
SUP se ciò è contemplato nel diritto nazionale applicabile.
(130) Potendo ciò accadere, ad esempio, anche nel caso di conversione/trasformazione
da una società pluripersonale verso il modello SUP; nello stesso senso anche S. JUNG,
Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 661, nt. 95.
(131) C. SERRA, Societas Unius Personae, cit., p. 137; OMLOR, Die Societas Unius Perso-
nae (SUP) mit mehreren Gesellschaftern, cit., p. 158 ss. e le considerazioni svolte da WEIG-
MANN, nel corso del suo intervento sulla Societas Unius Personae in occasione del 29˚
Convegno di studio “Adolfo Beria di Argentine” su I modelli di impresa societaria fra
tradizione e innovazione nel contesto europeo, Courmayeur, 18-19 settembre 2015. Contra
SCHÖNEMANN, Bauen am Baustein, cit., p. 246.
(132) Conformemente anche J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 186.
(133) Art. 16, par. 1, O.G.; si v. anche il 19˚ considerando bis O.G. Per le ragioni di tale
scelta, condivisa da taluni sulla base del trend assunto dalla competizione regolamentare:
CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 149 ss. Il punto ha suscitato talune perplessità
in studiosi che ritengono che il capitale possa fungere da “selettore di serietà”, auspicando
quindi un minimo più elevato; in tale senso TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius Personae,
cit., p. 540; C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 145; LUCINI MATEO, En torno al
Proyecto, cit., p. 8 propone la definizione del capitale minimo su base nazionale. In senso
diametralmente opposto, auspicando l’eliminazione del capitale sociale minimo: J.L. HAN-
SEN, The SUP Proposal, cit., p. 187.
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640 le nuove leggi civili commentate 3/2016

ovvero un valore (nominale) massimo per la quota unica, e dunque per il


capitale sociale.
È poi previsto che il capitale della SUP sia interamente sottoscritto
(art. 16, par. 2, O.G.), mentre nulla è specificamente disposto in relazione
alla necessità che questo sia anche integralmente o parzialmente versato al
momento della costituzione della società, essendo il tema del “pagamento
del corrispettivo della quota” di competenza degli Stati membri (134).
Quest’ultimo tema è da ritenersi nella piena disponibilità degli Stati mem-
bri, ed in quanto tale può costituire un fattore su cui valutare la compe-
tizione inter-ordinamentale, cosı̀ pure come la natura del conferimento,
che potrebbe essere differente dal denaro (135). L’unica regola imperativa
riguarda il dovere gli Stati membri riconoscere valido il versamento in
contante del conferimento mediante deposito presso un ente creditizio
autorizzato ad operare all’interno dell’Unione (136).
Con previsione che ribalta completamente l’impostazione del testo
COM (137), all’art. 16, par. 4, O.G. si prevede la possibilità che gli Stati
membri impongano alla SUP la costituzione di riserve legali, in forma di
percentuale dei suoi profitti annuali, “e/o fino all’importo del capitale
sociale minimo richiesto per le società a responsabilità limitata elencate
nell’allegato I”. Ciò significa che gli Stati membri potranno applicare alle
SUP il regime di riserve legali per le società “sottosoglia” già eventualmen-

(134) Art. 17 O.G. Nulla è previsto, nel testo O.G., rispetto alla necessità che il
conferimento sia integralmente liberato all’atto della sottoscrizione, come invece disposto
dall’art. 17, par. 1, COM: ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas
Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 139.
(135) J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 188 s. si chiede se sia possibile un
conferimento non in denaro già in sede di costituzione. S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 674 immagina che all’atto della costituzione on-
line sia possibile il solo conferimento in denaro, non essendo cosı̀ per la registrazione per via
tradizionale e domandandosi la ragione della discriminazione.
(136) L’art. 17 O.G. dispone che tale equivalenza tra istituti di credito appartenenti a
Paesi diversi debba operare “[q]ualora la normativa nazionale imponga il pagamento del
corrispettivo della quota in contante”; appare tuttavia ragionevole ritenere che il principio
sia destinato ad operare non solamente quando il versamento in contante sia l’unico auto-
rizzato, ma anche quando esso sia scelto all’interno di un più ampio ventaglio di alternative.
Ed in ogni caso non dovrebbero sussistere dubbi riguardo la legittimità del versamento del
conferimento attraverso mezzi differenti, come ad esempio la consegna nelle mani degli
amministratori, come attualmente previsto dall’art. 2464, c.c. italiano. Sulle potenziali diffi-
coltà di apertura di un conto bancario a nome di una società non ancora costituita si v. J.L.
HANSEN, The SUP Proposal, cit., p. 189.
(137) In cui la possibilità per gli Stati membri di richiedere la costituzione di riserve
legali era esplicitamente esclusa dall’art. 16, par. 4. Il testo JURI-2DG è sul punto assai più
assertivo, prevedendo che “gli Stati membri impongono” la costituzione di tali riserve.
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provvedimenti in formazione 641

te previsto dalle norme nazionali; e, ove tale regime non sia già attivo (138),
di predisporne uno apposito.
Lo schema di funzionamento di tale riserva è quello noto in diverse
esperienze nazionali di Stati membri: una volta che la società abbia matu-
rato utili annuali, una quota di essi – normalmente più elevata di quella
richiesta dal diritto comune delle s.r.l., per quanto rispetto a tale questione
la Proposta non si pronunzi (139) – è resa non disponibile ai soci. Le riserve
cosı̀ formate hanno due possibili configurazioni: da un lato quella che vede
un tetto massimo all’entità della riserva, e dall’altro quella che determina
una permanenza dell’obbligo di accantonamento senza la previsione di una
soglia finale (140). La Proposta SUP mostra di tenere in considerazione
entrambe le opzioni sin qui descritte, per quanto il significato effettivo
della congiunzione/disgiunzione “e/o” presente all’art. 16, par. 4, O.G.
non appare del tutto esente da dubbi di natura interpretativa (141), e
sarebbe consigliabile provvedere ad una formulazione che in maniera
più chiara definisca le questioni che sono mantenute aperte (142).

(138) Ma anche qualora sia previsto e si intenda crearne uno ad hoc per la SUP, non
essendovi in questa materia alcuna norma che imponga una parità di trattamento della SUP
e delle preesistenti forme nazionali di s.r.l.
(139) La mancata menzione di un range percentuale minimo su cui si attesti la disciplina
nazionale in materia determina la possibilità che per la SUP siano operative le regole
generali, ove previste. O persino che vengano dettate norme ad hoc con percentuali più
basse di quelle usuali. Una simile ipotesi pare di improbabile realizzazione nella pratica:
essendo il ricorso dalla riserva legale una libera opzione del legislatore nazionale, assai
difficilmente questi la vanificherà nella sostanza imponendo la trattenuta di utili in percen-
tuale inferiore a quella stabilita in via generale.
(140) Sul punto, con maggiori dettagli, v. supra, nt. 110.
(141) Ad esempio, come potrebbe avvenire la formazione di riserva “fino all’importo
del capitale sociale minimo richiesto” il modello superiore di riferimento, in assenza della
regola di formazione su base di percentuale degli utili, ove si adotti la disgiuntiva “o”?
(142) La finalità della eventuale predisposizione di riserve legali da parte del legislatore
nazionale è esplicitata dal considerando 19˚ bis bis e ter O.G. Nel considerando 19˚ bis bis si
cita l’esigenza che siano garantiti nel diritto nazionale “meccanismi volti a impedire che le
SUP non siano in grado di pagare i debiti dopo aver effettuato le distribuzioni.
La scelta della forma e dei metodi per assicurare la conformità a tale requisito spetta
agli Stati membri. In tale contesto gli Stati membri dovrebbero essere in grado, ad esempio,
di imporre alle società di costituire riserve legali (…)”. Il successivo considerando 19˚ ter si
occupa specificamente delle riserve legali, riproponendo testualmente il contenuto dell’art.
16, par. 4, aggiungendo tuttavia che l’obbligo di costituzione e mantenimento della riserva
legale potrebbe essere declinato dai singoli Stati membri in maniera differenziata su base
settoriale, “tenendo conto delle differenze di capitale necessario per tutelare i creditori in
diversi settori economici”. Al di là della disciplina che tale specificazione potrebbe intro-
durre, si segnala come il legislatore europeo menzioni esplicitamente una sempre più di-
scutibile funzione garantistica del capitale sociale (per di più latamente inteso), oltre ad un
approccio differenziato che non pare esente da problematiche sul punto del principio di
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642 le nuove leggi civili commentate 3/2016

La Proposta SUP considera infine le distribuzioni al socio unico. Sul


tema, il testo O.G. è assai meno rigido di quanto non fosse la versio-
ne COM.
Nella versione originale della Proposta (143), infatti, le distribuzioni al
socio unico potevano essere effettuate solamente a condizione che fossero
stati esperiti e superati sia un test di bilancio (144), sia uno di solvibilità
della società. Per quanto riguarda il nostro diritto interno, la novità era
costituita dalla positivizzazione del c.d. solvability test (145); in esso veniva
richiesto che gli amministratori dichiarassero di essere pervenuti alla “con-
clusione ragionevole che la SUP [sarebbe stata] in grado di pagare i suoi
debiti, quando [fossero diventati] esigibili, nel corso normale dell’attività
commerciale nell’anno successivo alla data della distribuzione propo-
sta” (146). Entrambi i fattori appena menzionati trovano regolamentazione
differente nella versione O.G.

parità di trattamento di situazioni societarie nella sostanza analoghe; nello stesso senso S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 673.
Inoltre, la combinazione dei due considerando appena citati non sembra in ogni caso
idonea a fornire garanzie ai creditori, in quanto non vi è una esplicita alternativa tra
formazione di riserve (comunque eventuale, e su cui si v. le condivisibili osservazioni di
CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 169 e J.L. HANSEN, The SUP Proposal, cit., p.
187 ss., e specialmente l’esempio di cui alla nt. 28) e test di solvibilità: entrambi sono
opzionali, e ben si potrebbero dare casi di Stati membri che, in una race to the bottom assai
poco commendevole, decidano di non applicare né l’una, né l’altro.
(143) Ma anche nel testo JURI-2DL, che semplicemente emenda la versione COM per
prevedere la responsabilità solidale degli amministratori (§ 5) e porta nel corpo dell’art. 18
(§ 5bis) le norme in materia di indebita distribuzione o riduzione del capitale sociale (artt. 19
e 20 COM).
(144) Il cui tenore è il medesimo della dir. 2012/30/UE, sia pure senza menzionare gli
acconti dividendo, come segnalato da KNAPP, Directive, cit., p. 193 s.
(145) Che, a livello europeo continentale, è stato di recente introdotto nella riforma del
diritto olandese delle società a responsabilità limitata, dopo essere stato a lungo pietra
miliare del diritto britannico (sul punto, anche con analisi comparatistica con altri Paesi
di common law: KNAPP, Directive, cit., p. 194 ss.). Per un approfondimento a riguardo
dell’esperienza neerlandese si v. BARTOLACELLI, Società chiusa, cit., p. 524 ss., ove maggiori
riferimenti bibliografici. Nonché, sull’istituto in generale, SCHÖN, Balance Sheet Tests or
Solvency Tests – or Both?, in European Business Organization Law Review, 2006, 7, p.
181 e, tra di noi, MIOLA, Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in La società per
azioni oggi, a cura di Balzarini, Carcano e Ventoruzzo, Milano, 2007, I, p. 363 ss., spec.
373 ss.
(146) Art. 18, par. 3, COM. A riguardo KNAPP, Directive, cit., 195 s. correttamente
puntualizza che non si comprende se la decisione debba essere assunta dagli amministratori
all’unanimità o a maggioranza, e suggerisce che il livello di approfondimento dell’analisi
condotta dagli amministratori dovrebbe essere “ragionevole”, più che “completa”, dati i
costi che tale ultima soluzione comporterebbe.
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provvedimenti in formazione 643

In essa, sia pure ribadendo la competenza generale degli Stati membri


rispetto all’adozione di provvedimenti “volti ad impedire che le SUP non
siano in grado di pagare i debiti dopo la restituzione” (147), richiama i due
test già menzionati, ma con la possibilità che siano esperiti in via alterna-
tiva e riducendo a sei mesi la finestra di monitoraggio degli amministratori
rispetto alla capacità della società di fare fronte ai propri debiti (148). Nello
specifico, gli Stati membri possono prevedere (149) che la distribuzione
abbia luogo solamente ove sia superato il test di bilancio (150) e/o un test
di solvibilità. E, preliminarmente, si deve rilevare come anche lo stesso
concetto di “distribuzione” non trovi nella versione O.G. una definizione,
invece presente nell’art. 2 COM (151).
Ciascuno Stato membro sarebbe dunque libero di regolamentare la
distribuzione al socio unico prevedendo che questa abbia validamente
luogo:
– una volta che sia stato superato con esito positivo il test di bilancio;
oppure
– una volta che sia stato superato con esito positivo il test di solvibilità;
oppure
– una volta che, con esito positivo, siano stati superati sia il test di
bilancio, sia quello di solvibilità; oppure

(147) Art. 18, par. 1, O.G.; il medesimo principio è richiamato dal considerando 19˚ bis
bis, già citato.
(148) Gli Stati membri possono comunque ampliare tale termine, senza tuttavia che
questo ecceda l’anno: art. 18, par. 4, O.G.
(149) La formulazione qui adottata, anche nel testo inglese che recita may in luogo di
shall, lascia il dubbio – cui si dovrebbe dare risposta affermativa – se sia legittima la
posizione dello Stato membro che, nel rispetto del principio generale di cui al § 1, subordini
la distribuzione ad adempimenti diversi sia dal test di bilancio, sia da quello di solvibilità.
Non pare infatti che la previsione di cui all’art. 18, par. 4, O.G. (“[l]e modalità di attuazione
dei meccanismi di cui ai paragrafi 2 e 3 sono disciplinate dal diritto nazionale”) possa essere
letta nel senso di prevedere come obbligatorie le sole ipotesi di cui al precedente § 2. Si
tratta, nella sostanza, del risultato auspicato da LECOURT, La Societas Unius Personae, cit.,
p. 704.
(150) La formulazione della norma è stata opportunamente modificata rispetto alla
versione originaria per consentire l’inclusione delle riserve legali nelle passività ideali.
(151) Che recitava: «“distribuzione”, qualsiasi vantaggio finanziario che il socio unico
deriva direttamente o indirettamente dalla SUP in relazione alla quota unica, compresi
eventuali trasferimenti di denaro o beni. Le distribuzioni possono assumere la forma di
dividendi e possono essere effettuate tramite l’acquisto o la vendita di beni o con qualsiasi
altro mezzo». KNAPP, Directive, cit., p. 192 rileva come tale definizione sia più ampia di
quella prevista dalla dir. 2012/30/UE e ne suggerisce una riformulazione che chiarisca
meglio il concetto (p. 200). Peraltro, la mancanza di qualunque definizione nel testo
O.G. determina l’insorgenza di notevoli problematiche interpretative.
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644 le nuove leggi civili commentate 3/2016

– una volta che la società abbia superato il diverso meccanismo predi-


sposto ad hoc dal legislatore nazionale nella sua libera potestà normativa
attribuitagli ai sensi dell’art. 18, par. 1, O.G., che eventualmente potrebbe
anche essere congiunto al superamento del test di bilancio, di quello di
solvibilità o di entrambi.
Appare cosı̀ evidente che il quadro possibile della regolamentazione su
tale materia potrebbe essere estremamente variegato (152); e a ciò natural-
mente consegue da parte dei soggetti potenzialmente interessati alla crea-
zione di una SUP un ulteriore fattore di arbitraggio normativo.
L’istituto del test di solvibilità, evidentemente la caratteristica più
innovativa con riferimento al tema in discorso, è oggetto di regolamenta-
zione specifica da parte della Proposta, in termini largamente coincidenti
nelle versioni COM e O.G. Spetta allo Stato membro, ove vi sia la previ-
sione di tale test, disporre che l’organo di direzione sottoscriva, prima del
pagamento del dividendo (153), una dichiarazione che, dato atto che è stata
dagli amministratori effettuata una approfondita analisi della situazione e
delle prospettive della SUP, è ragionevole concludere che la società sarà in
grado di onorare i propri debiti che divengano esigibili nel periodo almeno
semestrale già ricordato. Si specifica poi che tale dichiarazione di solvibilità
dovrà essere iscritta a registro e costituisce mezzo sufficiente per dichiarare
il superamento con esito positivo del test di solvibilità. Resta naturalmente
ferma la responsabilità degli amministratori per le proprie dichiarazio-
ni (154), per cui con questa disposizione si opererebbe un sostanziale tra-

(152) La disgiunzione tra test di bilancio e di solvibilità appare, nei lavori preparatori
l’O.G., solamente nel documento 7986/2015 del 22 aprile 2015. In esso si dà atto, all’in-
terno delle explanatory notes, del fatto che l’art. 18 “was modified to state the general
principle which should be common to all Member States [cioè la competenza in capo agli
Stati membri rispetto all’istituzione di una normative nazionale che eviti che la SUP non sia
in grado di pagare i propri debiti dopo una eventuale distribuzione al socio], but the ways to
achieve it could be different” (corsivo nostro). Sul punto si v. TEICHMANN e FRÖHLICH, How to
make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 19 s. Vede nella SUP un laboratorio di speri-
mentazione, soprattutto per i temi legati al capitale ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 136.
(153) Curiosamente, infatti, il test di solvibilità è esplicitamente previsto dalla Proposta,
nei termini non imperativi di cui sopra, solo “in caso di distribuzione sotto forma di
pagamento di un dividendo” (art. 18, par. 2, lett. b, O.G.), e non in ogni ipotesi di
distribuzione, come stabilito dal testo COM. Ci si chiede – ma la risposta dovrebbe essere
affermativa – se, nel caso, gli Stati membri potranno estendere la disciplina anche alle
distribuzioni non costituite da dividendi. Non cosı̀ ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 142.
(154) Nonostante la disciplina in precedenza contenuta nell’art. 18, par. 5, COM non
trovi riproposizione nella versione O.G., si deve ritenere che tale profilo sia ora destinato ad
essere regolamentato in via diretta dal diritto nazionale applicabile. Solleva problematiche
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provvedimenti in formazione 645

sferimento del regime della garanzia dal patrimonio sociale a quello degli
amministratori (155). Ove siano decise distribuzioni – o riduzioni del capi-
tale sociale – illegittime, gli Stati membri dovranno imporre la restituzione
alla SUP di quanto ricevuto dall’unico socio, fermo restando il diritto al
risarcimento del danno a coloro che abbiano subito un pregiudizio dall’il-
legittima distribuzione, secondo le norme proprie del diritto nazionale
applicabile (156).
Al par. 5, l’art. 18 detta una ulteriore clausola di salvaguardia intra-
ordinamentale, stabilendo che, fermo restando che gli Stati membri po-
tranno limitare le ipotesi di distribuzione a quelle disciplinate per la SUP
dall’art. 18, ciò non dovrà determinare per la SUP requisiti più restrittivi di
quelli imposti alle altre s.r.l. di diritto nazionale (157).

8. Segue: la SUP: l’organizzazione interna.


Nel testo O.G. l’intero Capo 7 della Proposta, in materia di organiz-
zazione della società, è quasi completamente azzerato (158), espressione
evidente dell’orientamento che ha visto venire meno la normazione diretta
da parte della Direttiva a favore dei legislatori nazionali. Nella versione
COM era presente la regolamentazione di temi quali le decisioni e le

sul punto in particolare C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 147. E si vedano le
interessanti questioni sollevate da ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 151 s. per la responsabilità degli
amministratori in caso di distribuzioni irregolari.
(155) Criticato nel parere del Comitato economico e sociale europeo (punto 1.4),
sollevando il problema della potenziale inconsistenza del patrimonio degli amministratori.
(156) Art. 18, parr. 5 e 6, O.G. Per alcune considerazioni sulla riduzione del capitale nel
testo COM si v. KNAPP, Directive, cit., p. 199 s.
(157) Potrebbe tuttavia risultare non sempre semplice individuare in concreto quando
un requisito sia da ritenersi “più restrittivo”, e la norma in parola potrebbe avere una
funzione assai dirompente, nel senso di introdurre il test di solvibilità non solamente per
la SUP ma per tutte le s.r.l. nazionali, secondo l’effetto “Cavallo di Troia” già citato supra.
D’altra parte nulla sembra ostare al fatto che la SUP risponda a regole meno stringenti
rispetto a quelle delle restanti società di diritto nazionale: ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de
Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 146; S. JUNG,
Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 678.
(158) Nella versione IMCO si proponeva la completa espunzione del capo, per lasciare
l’intera materia alla regolamentazione nazionale. In senso contrario, diversi AA. ritenevano
che l’armonizzazione rispetto all’organizzazione interna fosse necessaria per fornire certezza
a chi si trovasse ad avere a che fare con una SUP: CONAC, The Societas Unius Personae, cit.,
p. 160; nel medesimo senso TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework, cit.,
p. 207. LUCINI MATEO, En torno al Proyecto, cit., p. 9 s. proponeva d’altra parte l’integra-
zione delle previsioni esistenti con altre sempre in tema di amministrazione, in modo da
fornire un quadro normativo più completo.
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646 le nuove leggi civili commentate 3/2016

istruzioni del socio unico ed il regime della rappresentanza, ora demandate


da O.G. al diritto nazionale applicabile. Sopravvivono, nel testo O.G., le
sole indicazioni in materia di gestione della società (159) e la norma di
chiusura in materia di conversione della SUP in altra forma societaria.
In particolare è venuta meno la norma in tema di amministratore di
fatto (160), materia che trova ora evidentemente la propria regolamentazio-
ne nel diritto dello Stato membro di registrazione, nonché ogni altra regola
in materia di riserva di competenze a favore del socio unico (161) e, so-
prattutto, di diritto del socio unico a dare istruzioni vincolanti all’organo
di direzione (162).
L’unico residuo ulteriore del Capo 7 è una norma, di chiusura, che
poco ha a che vedere con l’organizzazione propriamente intesa. Si tratta
dell’art. 25 in materia di conversione della SUP in altra forma societaria,
che detta il principio generale, in cui già più volte ci si è imbattuti, per cui

(159) Cfr. art. 22 O.G., comunque oggetto di decisa revisione. Nessun riferimento al
funzionamento dell’amministrazione è infatti presente, mentre l’attenzione si focalizza sulle
cause di ineleggibilità e le conseguenze dell’eventuale revoca degli amministratori. Viene
mantenuto il principio dell’organizzazione corporativa, prevedendo che la gestione della
società spetti all’organo di direzione, composto da uno o più amministratori; ed anzi il
principio trova esplicitazione ulteriore nella possibilità, attribuita agli Stati membri, di
prevedere che la SUP abbia (anche) un consiglio di sorveglianza. In tema di rappresentanza,
la disciplina della Proposta si rifà all’acquis communautaire, ed in particolare alle previsioni
della dir. 2009/101/CE, come segnalato anche dal 22˚ considerando O.G.; non altrettanto
nella versione COM, come sottolineato da MALBERTI, The Relationship, cit., p. 253 s. (e
pure, LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 708).
Nessuno specifico riferimento viene dato rispetto alla possibilità di revocare ad nutum
l’amministratore, come invece previsto dall’art. 22, par. 5, COM; la caduta di tale previsione
è criticata convincentemente da TEICHMANN, Corporate Groups within the Legal Framework,
cit., p. 226, che rileva come ciò possa portare ad indebiti vantaggi per gli amministratori
revocandi rispetto al socio unico.
(160) Art. 22, par. 7, COM. La sua regolamentazione all’interno della disciplina della
sola SUP era probabilmente ultronea, come riferisce LUCINI MATEO, En torno al Proyecto,
cit., p. 9; ESTEBAN VELASCO, La propuesta de Directiva sobre la “Societas unius personae”
(sup), cit., p. 143 e ID., La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae” (SUP): el
nuevo texto, cit., p. 154. E si v. anche le interessanti considerazioni di TEICHMANN e FRÖH-
LICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 22 s.; S. JUNG, Societas Unius
Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 685.
(161) Art. 21 COM.
(162) Art. 23 COM. Il tema è naturalmente di particolare interesse per quanto riguarda
il c.d. “interesse di gruppo”, che avrebbe cosı̀ fatto ingresso nella disciplina di origine
europea, in attesa di una specifica regolamentazione: TEICHMANN e FRÖHLICH, Societas Unius
Personae, cit., p. 541; LECOURT, La Societas Unius Personae, cit., p. 705; a favore dell’in-
troduzione (ma già scettico sulle possibilità di approvazione del testo, almeno in questa
parte), CONAC, The Societas Unius Personae, cit., p. 163. L’espunzione della previsione
all’interno del testo O.G. è un evidente depotenziamento dell’armonizzazione di cui la
SUP vorrebbe essere portabandiera, restando il tema rimesso ai diritti nazionali.
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provvedimenti in formazione 647

la SUP in qualunque momento può convertirsi in altra forma giuridica di


società (163).

9. Le norme di chiusura.
Il testo della Proposta si conclude poi con la Parte 3 recante le di-
sposizioni finali, essenzialmente operative. Esse riguardano: l’esercizio del-
le deleghe conferite dalla direttiva alla Commissione per aggiornamento
dell’allegato 1 sulle forme nazionali di s.r.l. (164); la predisposizione, da
parte degli Stati membri, di sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive”
applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione
della direttiva (165); l’abrogazione della dir. 2009/102/CE (art. 29) e la sua
decorrenza (art. 32); le modifiche necessarie al testo del reg. (UE) n. 1024/
2012 finalizzate ad introdurre anche il riferimento alla direttiva SUP
(art. 30).
È poi regolamentato, all’art. 31, il recepimento della direttiva da parte
degli Stati membri, fermo restando che questi sono i destinatari (primi)
della direttiva (art. 33). Gli Stati membri saranno tenuti a dare attuazione
alle misure richieste dalla direttiva entro 36 mesi dalla data di sua entrata
in vigore, comunicando immediatamente il testo di tali disposizioni alla
Commissione. Gli Stati membri dovranno inoltre comunicare alla Com-
missione ogni disposizione di diritto interno ulteriore rispetto a quella di
recepimento della direttiva che riguardi il settore disciplinato dalla diret-
tiva stessa (166).

(163) La formulazione letterale è tuttavia fuorviante, essendo la conversione propria-


mente intesa è quella che determina un abbandono del modello organizzativo della Societas
Unius Personae per un approdo nel solo tipo generale della s.r.l. Sono in questo caso
applicabili le osservazioni già svolte supra in analisi dell’art. 9 O.G., cui si rimanda.
(164) Art. 26 O.G. Nella versione COM, questa norma si rendeva necessaria anche per
quanto riguardava la predisposizione di un modello unitario di atto costitutivo tipizzato, da
elaborarsi da parte della Commissione, non più previsto in O.G.
(165) Art. 28 O.G.; si specifica poi (28˚ considerando O.G.) che “[c]iascuno Stato
membro dovrebbe applicare almeno le stesse sanzioni in caso di violazione delle disposizioni
della presente direttiva nella misura in cui le applica ad analoghe violazioni da parte di
società a responsabilità limitata con sede legale nel suo territorio”; si tratta, evidentemente,
di un ulteriore caso di restrizione della competizione intra-ordinamentale tra i tipi societari
di un dato ordinamento.
(166) E ci si può a riguardo interrogare se per “settore” sia in questo caso da intendersi
quello delle società unipersonali, delle s.r.l., delle società di capitali in genere.
La disposizione appena riferita pare tuttavia comportare un rischio di scarso coordi-
namento temporale. Ferma restando la data di inizio vigenza della Direttiva SUP, l’abroga-
zione della dir. 2009/102/CE avverrà 24 mesi e un giorno dopo tale data (art. 29, par. 1,
O.G.), mentre gli Stati membri dovranno adottare la disciplina nazionale di attuazione entro
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648 le nuove leggi civili commentate 3/2016

10. Il potenziale impatto sul diritto italiano.


La Proposta SUP è ancora in uno stadio non avanzato del suo iter di
approvazione; per questo non avrebbe senso un esame dettagliato delle
implicazioni sul diritto italiano vigente delle disposizioni sin qui analizzate.
È tuttavia opportuno segnalare brevemente alcuni profili peculiari.
La SUP potrebbe affiancarsi o sostituire la s.r.l. unipersonale. Pare
assai più probabile, specie nel breve termine, il primo caso (167), che de-
terminerebbe una possibile competizione tra i due modelli; e la SUP
sarebbe svantaggiata, per cosı̀ dire, dalla path dependance in quanto, su
taluni aspetti (ad esempio le distribuzioni ai soci, o il regime della riserva
legale), potrebbe rivelarsi traumatico il passaggio da e verso tale modello,
ad esempio in caso di sopravvenute unipersonalità o pluripersonalità.
Ulteriore questione che potrebbe porsi è la compatibilità della SUP
con le rimanenti varianti previste per le s.r.l. nel nostro ordinamento. Sia le
semplificate che le start-up innovative possono essere costituite in forma
unipersonale; a tacere di altri profili di potenziale incompatibilità, è però
per entrambe previsto l’utilizzo di modelli tipizzati che difficilmente po-
tranno essere analoghi a quello da elaborarsi per la SUP. Ed il discorso
pare essere chiuso definitivamente in ragione della disposizione (art. 7,
par. 4, lett. b, O.G.) che prevede l’applicabilità sussidiaria alla SUP delle
norme nazionali dettate per le società elencate all’allegato I, e quindi la
s.r.l. “ordinaria”. È altrettanto vero, tuttavia, che si potrebbe dare, per la
introduzione della SUP, una legge ad hoc in cui nulla pare vieti la possi-
bilità di sussumere elementi di disciplina propri dei sub-modelli nazio-
nali (168).

i 36 mesi successivi (art. 31, par. 1, O.G.). Anche ove si dovesse rispettare quest’ultimo
termine – evento tutt’altro che scontato, ove si considerino le esperienze precedenti a
riguardo – non resta chiarissimo il regime applicabile nel momento in cui la dir. 2009/
102/CE risulti abrogata e non siano ancora emanate le normative nazionali di attuazione.
(167) Non la pensa cosı̀ C. SERRA, Societas Unius Personæ, cit., p. 148, secondo la quale,
anche in assenza di una sostituzione iniziale, si assisterà ad una armonizzazione di fatto tra i
(sotto)tipi unipersonali nazionali [si v. anche le interessanti questioni sulla armonizzazione
“dal basso”, ivi, p. 143, su cui pure ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la
“Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 107]. Nel senso del testo, invece, S.
JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 650.
(168) ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre la “Societas Unius Personae”
(SUP): el nuevo texto, cit., p. 139, nt. 61 immagina la compresenza della SUP con le
rimanenti varianti nazionali. Si v. anche la posizione di S. JUNG, Societas Unius Personae
(SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 659, che immagina in termini problematici
l’ipotesi cui ci si riferisce nel testo.
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provvedimenti in formazione 649

Per quanto riguarda il contenuto dell’atto costitutivo, i requisiti previ-


sti dall’art. 2463 c.c. si ritrovano tutti all’interno dell’art. 11, par. 3, O.G.
della Proposta; e riguardo al modello da elaborarsi per l’atto costitutivo,
dopo la scoraggiante esperienza delle s.r.l.s., il modello previsto dal MISE
per la costituzione di start-up innovative (169) potrebbe essere un discreto
riferimento anche per la elaborazione del testo richiesto dalla Propo-
sta SUP.
Con riferimento alla iscrizione nel Registro delle Imprese, il punto è
assai critico. Il tema della redazione in forma di atto pubblico vorrebbe
essere risolto dalla stessa Proposta, con l’art. 11, par. 2, O.G., per cui la
rispondenza al modello determina di per sé la forma di atto pubblico; il
punto essenziale, tuttavia, è rappresentato dalla certezza rispetto all’iden-
tità del socio unico (e/o del rappresentante che in suo nome richieda la
costituzione) e la legittimità della clausola dell’oggetto sociale. L’applica-
zione italiana della direttiva nella versione O.G. potrebbe prevedere strut-
turalmente un intervento del notaio in sede di costituzione on-line della
società, restando da immaginare la modalità di tale intervento. Si potrebbe
ipotizzare un sistema di identificazione univoca del soggetto, ad esempio
attraverso dati biometrici (impronte digitali, colore e dimensione dell’iride
o simili); a ciò si dovrebbe aggiungere la certificazione della legittimità
dell’oggetto sociale (e delle eventuali ulteriori clausole “personalizzate”
presenti nel documento). Il tutto senza che sia necessario comparire “fisi-
camente” dinanzi al notaio, il quale potrà semmai dotarsi di una sorta di
“sportello elettronico” (170) facente parte del complessivo sistema di regi-
strazione da implementare, e che consenta di effettuare la registrazione
entro il previsto termine di cinque giorni lavorativi. Peraltro, la recente
espunzione del controllo di regolarità da parte del Registro delle imprese
per gli atti relativi alle s.r.l., come previsto dall’art. 20, comma 7˚ bis, d.l. n.
91/14, fa sı̀ che l’espletamento dell’attività di verifica competa nella sua
interezza al notaio; tale norma sarà applicabile, se del caso, anche alle SUP.
Il sistema della quota unica, eventualmente con più comproprietari,
non pare dissimile da quanto già oggi previsto nelle s.r.l. all’art. 2468,
comma 5˚, c.c.; nella sostanza, la quota cadrà in comunione, con applica-

(169) Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 17 febbraio 2016, in G.U.R.I.
n. 56 dell’8 marzo 2016, p. 65 ss.
(170) La soluzione è ipotizzata da TER BRAKE e VAN DUUREN, The Societas Unius Perso-
nae, cit., p. 277. Un nuovo ruolo per il notariato, d’altra parte, è da immaginarsi anche nel
pensiero di ROEST, Nieuws vanuit Europa, cit., p. 989 ss.
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650 le nuove leggi civili commentate 3/2016

zione degli artt. 1105 e 1106, c.c. per quanto riguarda l’amministrazione
della società e l’eventuale regolamento della comunione.
Maggiori problemi determina il capitale minimo fissato inderogabil-
mente all’unità di euro, soprattutto nel suo raccordo con la disciplina delle
riserve legali che eventualmente possono essere previste dagli Stati mem-
bri. Ci si deve chiedere se sia applicabile alla SUP, nel caso, l’art. 2463,
comma 5˚, c.c.
Ora, ove si convenga con chi scrive che il capitale sociale minimo di
una s.r.l. italiana è comunque pari a 10.000 euro anche a seguito della
introduzione del quarto e del quinto comma dell’art. 2463 c.c. (171), in
questo caso la riserva legale di cui al testo O.G. potrebbe assumere sen-
z’altro le vesti della riserva a formazione accelerata prevista al quinto
comma dell’art. 2463, c.c. Qualora, al contrario, si ritenga che il capitale
sociale minimo per la s.r.l. a seguito degli interventi normativi del 2013 è
da intendersi pari a 1 euro, non sembra perfettamente piano ricondurre la
riserva immaginata alla previsione di cui all’art. 2463, comma 5˚, c.c., ed
anzi si potrebbe immaginare che la SUP potrebbe essere soggetta alla
costituzione ed al mantenimento della usuale (ed inutile, nel caso di specie)
riserva legale di cui all’art. 2430, c.c. Si verrebbe cosı̀ a creare una situa-
zione di asimmetria rispetto alle s.r.l. uni- e pluripersonali con capitale
inferiore a diecimila euro, con ulteriore elemento di vantaggio per la SUP
nella concorrenza intraordinamentale con le s.r.l. unipersonali.
In materia di conferimenti, la disciplina della SUP italiana potrebbe
seguire quella attuale della s.r.l. unipersonale senza particolari problemi,
perlomeno in caso di costituzione presenziale della società. In caso di
costituzione con iscrizione on-line, la previsione di cui all’art. 2464, c.c.,
per cui il versamento deve avvenire nelle mani dell’organo amministrativo
dovrà essere sostituita da quanto richiesto dall’art. 17 O.G., con liberazio-
ne del conferimento – integrale, se le norme attualmente vigenti in materia
di società unipersonali non seguiranno la china liberalizzatrice pure am-
messa dalla Proposta, per cui sarebbe sufficiente l’integrale sottoscrizione,
e non la completa liberazione iniziale – presso un istituto creditizio auto-
rizzato.
Per quanto riguarda le distribuzioni al socio unico, la formulazione
O.G. pare consentire che esse possano avere luogo anche ove sia esperito

(171) Ad opera del d.l. n. 76/13. La disciplina dettata dalle norme citate determine-
rebbe solamente un regime temporaneo valido appena in sede di costituzione della società,
per cui si dovrebbe distinguere tra capitale sociale minimo per la costituzione della società
(pari ad un euro), e capitale minimo durante societate, non inferiore a diecimila.
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provvedimenti in formazione 651

il solo test di bilancio, senza un apposito sindacato di solvibilità da parte


degli amministratori. In sostanza, quindi, il sistema italiano attualmente
vigente potrebbe essere compatibile con la SUP, anche in assenza di spe-
cifici accorgimenti (172).
In materia di amministrazione, atteso il principio generale di compe-
tenza dello Stato membro di registrazione, sembra che non sussistano
insormontabili ostacoli all’applicazione alla SUP delle norme attualmente
in vigore per le s.r.l. (173), con preferenza (dispositiva) per l’amministratore
che al contempo sia anche socio. Quale che sia l’impostazione dell’inter-
prete rispetto alla applicabilità delle cause di ineleggibilità e decadenza
previste dall’art. 2382, c.c. per gli amministratori di s.p.a. anche ai gestori
di s.r.l., per la SUP certamente si darà la necessità di ragionare nel diritto
interno quanto all’introduzione di una norma per recepire quanto previsto
dall’art. 22, par. 4, O.G. in materia di riconoscimento di decisioni giudi-
ziarie o norme di altri Stati membri che impediscano a determinati soggetti
di essere amministratori (di una società in tali Paesi e dunque) di una SUP
iscritta in Italia. Ed al contempo dovrà essere valutata anche l’opportunità
di istituzionalizzare il sistema di scambio di informazioni basato su
IMI (174).

11. Considerazioni finali.


Il testo della Proposta SUP risultante dall’O.G. è molto distante da
quello elaborato originariamente dalla Commissione; e, d’altra parte, an-
che talune delle modifiche proposte in sede di JURI-2DL lo allontanano
ulteriormente dalla versione COM. In linea di generale approssimazione, si
può sostenere che l’unico elemento potenziato nelle diverse redazioni sia
quello della iscrizione non presenziale attraverso piattaforma informatica.
E, come già si è osservato (175), è quello l’obbiettivo reale che il legislatore

(172) Se a ciò si aggiunge la possibilità che non si dia alcun obbligo specifico in
relazione alla creazione ed al mantenimento di riserve legali a formazione accelerata, ciò
farebbe sı̀ che si ripresenti per la SUP la medesima situazione che si dava per la s.r.l.s. ante
d.l. n. 76/13, con un livello di tutela per i creditori sociali particolarmente basso.
Sulla conciliabilità del sistema basato sul capitale sociale con i test di bilancio e di
solvibilità si v., da ultimo, PORTALE, La parabola del capitale sociale nella s.r.l. (dall’«impor-
tancia cuasi-sacramental» al ruolo di «ferro vecchio»), in Riv. Società, 2015, p. 815 ss., spec.
830 s. e la bibliografia ivi citata.
(173) Ci si può tuttavia domandare se sia compatibile con la Societas Unius Personae
l’incipit dell’art. 2475, c.c. che lascia intravvedere la legittimità di una previsione statutaria
che ipotizzi l’amministrazione della società non riservata ad un organo ad hoc.
(174) Cfr. WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 38.
(175) V. supra, § 1.
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652 le nuove leggi civili commentate 3/2016

europeo vorrebbe perseguire attraverso la Proposta SUP: la creazione di


un sistema armonizzato di iscrizione non presenziale delle società nei
registri nazionali. La creazione di una SUP determinerebbe la venuta ad
esistenza di una idonea piattaforma informatica nei vari Stati membri, che
a quel punto potrebbe essere fruibile anche da soggetti giuridici differenti
dalla Societas Unius Personae. Anzi, proprio per rendere più efficiente
l’investimento necessario alla predisposizione di tale sistema di registrazio-
ne, sarebbe insensato non renderlo disponibile ad ogni altra società, per-
lomeno di capitali. Si determinerebbe cosı̀ non già una eterogenesi dei fini,
bensı̀ l’esplicitazione, attraverso la venuta ad esistenza della SUP, della
reale intenzione del legislatore europeo. La Proposta sarebbe, in altri
termini, semplicemente funzionale al perseguimento di una diversa, e
più ampia, finalità: ma ha senso, in questo caso, che continui a trattare
ufficialmente di società unipersonali? Non sarebbe meno insincero espli-
citare tale finalità sin dal titolo del documento, evitando cosı̀ per di più la
limitazione alle sole società unipersonali (176)?
Anche ove si convenga su tale convincimento, tuttavia, vi sono diverse
questioni che non paiono essere ancora giunte a maturazione. In primo
luogo, per quanto meglio specificato in O.G., il ruolo del notariato deve
ancora essere definito puntualmente nelle modalità concrete di intervento.
Sarebbe riduttivo ritenere che ciò abbia a che vedere con la sola potestà
normativa degli Stati membri in sede di applicazione della direttiva: talune
questioni, che a prima vista potrebbero essere tacciate di formalismo,
hanno in realtà rilevanti ricadute sostanziali. Si pensi a tale riguardo alle
modalità di identificazione personale del soggetto costituente, in nome
proprio o di terzi: se pure il richiamo al regolamento e-IDAS fornisce
un valido punto di riferimento, tuttavia la possibilità di accettazione da
parte degli Stati membri anche di mezzi di identificazione che non siano
conformi a tali standard – e la necessità di riconoscere gli analoghi docu-
menti non elettronici rilasciati da autorità di Stati membri diversi da quello
di registrazione – rischiano di compromettere seriamente l’intero sistema.
Ed ancor più di questo, si ponga mente alla difficoltà di certificare la
capacità giuridica di taluni soggetti, operazione talvolta non agevole in
situazioni presenziali, che rischia di essere assolutamente improponibile
ove sia svolta on-line.

(176) Nel medesimo ordine di idee, ESTEBAN VELASCO, La Propuesta de Directiva sobre
la “Societas Unius Personae” (SUP): el nuevo texto, cit., p. 156.
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provvedimenti in formazione 653

D’altra parte, il correttivo approntato dal legislatore O.G. all’art. 14


ter, par. 4, che consente agli Stati membri di adottare, in presenza di
“sospetto concreto di frode di identità”, misure che richiedano eventual-
mente anche la presenza fisica dinanzi ad un’autorità dello Stato di regi-
strazione, pare da utilizzarsi cum grano salis: un abuso di esso, fondato
evidentemente su una lata interpretazione del “sospetto concreto”, rischia
di fare naufragare l’intero impianto della registrazione on-line.
Sul punto, insomma, deve ancora essere raggiunto un equilibrio di
sistema, in assenza del quale non si comprende neppure se sia auspicabile
l’approvazione della Proposta SUP. E, più in generale, sembra che dal-
l’intero scenario sin qui delineato emerga la possibilità di ventotto diversi
sistemi di identificazione, uno per ciascuno Stato membro, che solo inci-
dentalmente, sulla base della regola di reciprocità a suo luogo menzionata,
saranno tra loro compatibili (177).
Questa circostanza consente di accostarsi in maniera più compiuta a
quello che pare essere l’equivoco di fondo in materia di Societas Unius
Personae. L’intento della Commissione UE nel presentare la Proposta era,
evidentemente, di tentare una strada alternativa a quella utilizzata per la
SPE al fine di raggiungere un risultato che potesse essere in qualche modo
ad essa paragonabile; in altre parole si sarebbe sacrificata la forma unitaria
pan-europea (sia pure “mediata” dalle norme nazionali di attuazione) per
dare vita piuttosto a società su base nazionale, ma ad alto grado di armo-
nizzazione. Ciò avrebbe potuto decretare, in concreto, una coincidenza
sostanziale dei risultati ottenuti dalle due diverse modalità di azione. Es-
senzialmente da tale circostanza è dipeso lo scetticismo diffuso rispetto
all’idoneità dell’art. 50 Tratt. FUE ad essere la base legale corretta per la
Proposta e, più in generale, la compatibilità di essa con il principio di
sussidiarietà del diritto europeo rispetto a quello dei Paesi membri. Le
successive operazioni di emendamento al testo, che, come già si è rilevato,
hanno decisamente abbattuto il livello di imperatività delle norme presenti
nella Proposta a favore della libertà di determinazione dei legislatori degli
Stati membri, pure avendo con questo dato maggiore legittimazione al
fondamento giuridico basato sull’art. 50 Tratt. FUE, hanno conseguente-

(177) Dando quindi luogo a ventotto diverse procedure di registrazione; cosı̀ WUISMAN,
The Societas Unius Personae, cit., p. 37; S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New
Corporate Element, cit., p. 672. Nello stesso senso, rilevando che ciò determina la completa
rimozione dell’idea di fondo che la procedura unitaria avrebbe costituito un risparmio per
quanti avessero intenzione di costituire una SUP, avendo questi contezza di ciò che li
avrebbe attesi, anche TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain,
cit., p. 15.
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654 le nuove leggi civili commentate 3/2016

mente abbassato il livello di armonizzazione, rendendo cosı̀ assai differen-


ziate, almeno in potenza, le SUP costituite in diversi Stati membri. Ci si
deve domandare se ciò non determini, in definitiva, il venire meno di ogni
valore aggiunto per la proposta, e dunque la sostanziale inutilità della
stessa.
Il depotenziamento di ogni soluzione innovativa prevista dal testo
originale, poi, è evidente nella versione O.G. rispetto a diversi profili: dalla
sede legale separata da quella reale alla istituzione del test di solvibilità per
dare luogo alle distribuzioni al socio unico; dall’atto costitutivo secondo un
modello unitario a livello europeo alla disciplina delle istruzioni del socio
alla società. In questi ed altri aspetti, come è stato osservato, l’O.G. ha
ridotto una montagna ad un granello di sabbia (178).
Se il testo originale era probabilmente eccessivamente velleitario, ten-
tando di porre sul tavolo soluzioni innovative che spaziavano dalle teorie
sulla sede sociale all’introduzione dell’interesse di gruppo, dal superamen-
to della Seconda direttiva con l’introduzione del test di solvibilità al rico-
noscimento dell’amministratore di fatto; se questa era la pecca della ver-
sione COM, il testo O.G. è contraddistinto dal suo scarso coraggio. Pra-
ticamente ogni elemento di innovazione è stato sacrificato sull’altare della
ricerca del compromesso; ed un progetto il cui fine dichiarato era, già in
origine, non univocamente riconosciuto come necessario si trova ora ad
essere più che azzoppato tentando di servire scopi che non sarebbero del
tutto propri – o che perlomeno non sono dichiaratamente tali.
Anche ove si riconosca, infine, un’utilità ad una proposta il cui valore
residuo stia nella sola previsione della costituzione non presenziale delle
società (179), il paradosso che si crea è che essa sarebbe comunque troppo
anticipata (180). Mancano i presupposti tecnico/giuridici (identificazione
certa, verifica della capacità giuridica, ruolo definito del notariato,
ecc…) perché un simile sistema possa funzionare correttamente nei vari
Stati membri mantenendo l’affidabilità dei registri nazionali che già ne

(178) Cfr. TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., pp.
7 e 25: rilevato che nulla resta di innovative nella versione O.G. della SUP giungono a
proporre anche l’eliminazione della denominazione unitaria, perché, cosı̀ strutturata la
società, la denominazione determinerebbe solamente dei fraintendimenti in capo ai credi-
tori. S. JUNG, Societas Unius Personae (SUP) – The New Corporate Element, cit., p. 658 si
spinge ancora oltre, immaginando che la carenza di serietà che contraddistingue la SUP nella
sua versione O.G. potrebbe determinare un danno indiretto a tutte le forme societarie di
origine europea.
(179) Cosı̀ TEICHMANN e FRÖHLICH, How to make a Molehill out of a Mountain, cit., p. 7.
(180) In questo senso WUISMAN, The Societas Unius Personae, cit., p. 44.
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provvedimenti in formazione 655

sono dotati ed incrementando quella di quelle esperienze che non siano


particolarmente virtuose. Ove si prescindesse da quest’ultimo profilo, la
Proposta SUP potrebbe realmente portare molti più danni di quanti non
siano i benefici possibili.
In conclusione, se la Proposta sulla Societas Unius Personae avrebbe
dovuto essere l’occasione per un rilancio del diritto societario europeo,
sembra che esso, per paura, scarsa volontà politica, poca fiducia nel pro-
getto europeo o semplice gelosia delle competenze nazionali, ancora sarà
destinato ad attendere tempi migliori. Posto che ve ne siano.
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a cura di
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