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RESPONSABILITA' CIVILE
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE
APPALTO PRIVATO
RESPONSABILITA' CIVILE
REGIONE
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE
Contratti, 2010, 7, 653 (nota a sentenza)
Tarantino Gianluca
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Può essere opportuno, con riferimento alle problematiche oggetto delle sentenze che qui si
commentano, fornire, di seguito, un breve excursus sullo stato dell'arte e, successivamente,
verificare la compatibilità di questi orientamenti alla luce di una prospettiva attenta, anche e
soprattutto, alla razionalità del sistema ed alla congruità delle soluzioni applicative.
L'equo compenso
Costituisce un principio generale del diritto dei contratti l'invariabilità degli elementi facenti
parti del regolamento di interessi oggetto di accordo tra le parti, la cui rilevanza è sancita dal
legislatore con la formula racchiusa nell'art. 1372 c.c. (1), per la quale il contratto "ha forza di
legge tra le parti" (2).
Già nell'impianto codicistico del 1942, peraltro, si rinvengono significativi dati normativi
attraverso i quali è data la possibilità di intervenire sull'assetto della pattuizione, al fine di
procedere alla sua integrazione, per motivazioni di interesse pubblico che l'ordinamento ritiene
preminenti rispetto alla composizione dell'accordo raggiunto tra i contraenti (3); parimenti, non
sono del tutto estranee al nostro ordinamento possibilità di intervento, per c.d. esterno, in
ordine al contenuto del contratto, pur in assenza - ma sul punto il dibattito è assai vivace (4) -
di un potere di intervento riconosciuto all'autorità giudiziaria a tutela della parte contrattuale
ritenuta normativamente destinataria di una maggiore protezione (5).
Con specifico riferimento al contratto di appalto, gli artt. 1659-1661 c.c. prevedono, a
determinate condizioni, la possibilità per l'appaltatore di introdurre variazioni all'assetto
contrattuale oggetto di pattuizione, anche in punto di compenso, in ragione di intervenute
modifiche di natura tecnica emerse in corso di esecuzione; tali tipologie di modifiche, peraltro,
risultano soggette a ristretti limiti, anche in considerazione della circostanza che nel contratto
in questione l'appaltatore accetta di eseguire l'opera commissionata a suo rischio (6). In altri
termini - ma il discorso, sotto tale profilo, risulta davvero ben noto - nel rischio insito
nell'attività imprenditoriale che l'appaltatore va ad eseguire, deve essere compresa - nei limiti
di cui si discute - anche la possibilità che le condizioni inizialmente previste e pattuite non
corrispondano a quelle da adottarsi nel corso della realizzazione, con conseguenti modifiche
delle stesse (7); al riguardo, si ritiene che, almeno in parte, tali variazioni debbano essere
comprese nelle condizioni economiche pattuite, nel senso di rimettere alle capacità
dell'imprenditore - appaltatore di prevedere, ed individuare, e qualificare, anche in termini
esecutivi, le possibili difficoltà che dovessero sorgere nell'esecuzione dell'opera appaltata (8).
Secondo quanto previsto dall'art. 1664 c.c., come si è fatto cenno in precedenza, in presenza di
determinate condizioni è possibile che l'appaltatore o il committente richiedano una revisione
del prezzo già pattuito (comma 1), mentre l'appaltatore, nell'ipotesi in cui durante l'esecuzione
dei lavori si manifestino particolari difficoltà "derivanti da cause geologiche, idriche e simili",
tali da rendere "notevolmente più onerosa" la realizzazione dell'opera appaltata, ha diritto di
ricevere, dal committente, un "equo compenso" (comma 2).
Molto discussa si rivela, peraltro, la portata del comma in esame, con riferimento al quale è
ravvisabile un consolidato orientamento giurisprudenziale - fatto proprio anche dalla sentenza
in epigrafe - che individua, come presupposto per l'applicazione della disciplina de qua,
esclusivamente il verificarsi di cause aventi caratteristiche riconducibili ad accadimenti naturali
(10); per contro, in presenza di sopravvenienze oggettive - ad esempio, ad opera del terzo -
spetterebbe all'appaltatore, che non voglia addossarsi ulteriori costi non preventivati, il rimedio
generale previsto dall'art. 1467 c.c., ossia la risoluzione del contratto per impossibilità
sopravvenuta (11).
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Sul punto, la dottrina appare per contro divisa, in quanto, a fronte di alcuni autori che
condividono la tesi espressa dalla giurisprudenza (12), altri adottano un'interpretazione
estensiva, sottolineando come il secondo comma dell'art. 1664 c.c. comprenderebbe, nella
configurazione logica del contratto di appalto, tutti i fatti di natura oggettiva, anche slegati dal
verificarsi di situazioni di carattere geologico o naturale, tali da rendere più gravosa,
comunque, la realizzazione dell'opera appaltata (13).
La responsabilità dell'appaltatore
Come noto, l'art. 1669 c.c. - che costituisce, unitamente agli artt. 1667 e 1668, il
"sottosistema" della responsabilità nell'ambito del contratto di appalto - sancisce la
responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente, qualora, con riferimento ad edifici
o altre opere caratterizzate, per loro natura, da una lunga durata, l'opera realizzata presenti
pericolo di rovina o gravi difetti.
Così come con riferimento alla tematica esposta in precedenza in ordine all'applicazione
dell'art. 1664 c.c., anche per quanto concerne la responsabilità in questione è dato rinvenire un
consolidato orientamento giurisprudenziale, per il quale la responsabilità in esame configura
un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale (14); secondo tale orientamento, infatti, la
disposizione contenuta nell'art. 1669 c.c. è l'espressione di un interesse all'incolumità, di
natura generale, che trova applicazione anche di là del rapporto tra committente ed appaltatore
(15).
Corollario di tale impostazione risulta essere una tendenziale vis espansiva della disposizione in
esame, ben oltre il dato letterale che fa espresso riferimento solo al rapporto tra committente
ed appaltatore; ed infatti, la giurisprudenza testè richiamata ritiene che la responsabilità in
esame possa essere fatta valere dal terzo che adduca di essere stato danneggiato dalla
costruzione o che - sempre per testimoniare un'applicazione ben al di là della previsione
legislativa - l'acquirente possa agire, nei termini e con le modalità in parola, anche contro il
venditore - appaltatore che abbia costruito l'immobile con propria gestione diretta, per
impedire, in sostanza, il decorso dei termini previsti dall'art. 1495, che disciplina, per contro,
l'azione del compratore contro il venditore, in presenza di vizi del bene acquistato (16).
Nell'ultima ipotesi citata, peraltro, il compratore agirebbe non come diretto contraente - ossia,
come parte del contratto di appalto - ma come terzo danneggiato, nei confronti del venditore,
da considerarsi, però, come costruttore dell'immobile (17).
In primo luogo, infatti, infatti, può essere utile rammentare come, nell'ambito del settore della
responsabilità, sia al momento in atto un tendenziale incremento degli spazi della
responsabilità contrattuale a discapito di quella extracontrattuale (19); ciò sembra desumersi
anche in conseguenza di importanti e significativi mutamenti giurisprudenziali, che hanno, con
diverse pronunce, sostanzialmente ridisegnato il quadro complessivo del diritto vivente in tema
di responsabilità civile (20). Senza contare, peraltro, l'ulteriore, e significativa tendenza ad
avvicinare i due settori, in presenza di aree sovrapponibili, ed in ragione della difficoltà,
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talvolta, di tracciare una puntuale linea di demarcazione tra i due settori (21). Sotto altro
profilo, e la annotazione può sembrare sin troppo ovvia, con il contratto di appalto un soggetto
si assume, a proprio rischio, l'incarico di realizzare una determinata opera, su incarico di
determinato committente; e, in considerazione della presenza di tale rischio, l'appaltatore è, o
diviene, imprenditore, trattandosi, come noto, di classificazione che prescinde da una veste
formale (quantomeno sotto alcuni profili, che qui interessano) (22).
Nel solco di quanto precede, sembra opportuno delineare, soprattutto sotto il profilo degli
interessi che ne sono alla base, il contratto di appalto nei termini di regolamentazione di
interessi tra due soggetti, committente ed appaltatore, portatori di interessi privati differenti e
che convergono nel contratto in questione (23). In tale prospettiva, gli orientamenti espressi
dalle sentenze in epigrafe possono risultare alquanto discutibili. Ed è proprio l'aspetto in
esame, ossia la convergenza di interessi che si realizza nella stipula di un contratto di appalto
che rappresenta la chiave di lettura per rendersi conto della insostenibilità delle tesi
giurisprudenziali sopra svolte, che sembrano, per contro, fondarsi su una valutazione del
contratto di appalto in termini pubblicistici anziché, come dovrebbe, in termini schiettamente
privatistici (24).
Non è naturalmente questa la sede per una disamina delle classificazioni - notoriamente legate
anche a periodi storici e a riflessi culturali - e delle distinzioni tra assetto (e diritto) privato e
pubblico (25); va però rimarcato, ed è questo il profilo di maggiore interesse, che la fattispecie
descritta dagli artt. 1655 ss. c.c. prende in considerazione i soggetti coinvolti sotto il piano
privatistico, non ravvisando il legislatore, nella disciplina menzionata, altro interesse che quello,
appunto, di soggetti che liberamente determinano e regolano rapporti giuridici patrimoniali
(26). La focalizzazione del rapporto tra le parti, infatti, negli esatti termini come originariamente
impostati e disciplinati dal codice (27), fa sì che la tecnica risarcitoria di cui all'art. 1669 c.c.
debba essere intesa - come per lungo tempo è stata intesa dalla giurisprudenza - in termini, e
con valenza - di responsabilità contrattuale (28). L'affermazione contraria - come visto,
ampiamente diffusa nella giurisprudenza - rischia di provocare significativi squilibri a livello
sistematico, che vanno a riflettersi sugli altri "tasselli" dei quali è composto il sottosistema della
responsabilità nel contratto di appalto (29), mentre sarebbe alquanto problematico il
coordinamento della disposizione in commento con la regola generale dell'art. 2043 c.c (30).:
proprio la norma racchiusa nell'art. 2043 c.c., unitamente a quella dettata proprio in tema di
rovina dall'art. 2053 c.c., sembra infatti costituire il migliore strumento per tutelare chi, in
termini relativi, è terzo rispetto al contratto di appalto e si vede, comunque, danneggiato (31).
(Segue) ...ed in tema di equo compenso
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Tirando le fila del discorso, ed alla luce di quanto in precedenza illustrato, appare
maggiormente consono con l'impostazione e la struttura codicistica, nonché con le più recenti
tendenze giurisprudenziali, da un lato, classificare la responsabilità disciplinata dall'art. 1669
c.c. in termini di responsabilità contrattuale e, dall'altro, estendere la disciplina de all'art. 1664
c.c. in tema di equo compenso anche al di fuori del verificarsi di sopravvenienze di tipo
naturalistico.
(1) P. Rescigno, voce Contratti, in Enc. Treccani, nel senso che l'espressione di cui al primo
comma dell'art. 1372 c.c. ha carattere tendenzialmente enfatico e senza un preciso significato
giuridico, altro non esprimendo se non il concetto della non risolubilità dell'accordo stipulato
inter partes, in linea di principio, per volontà unilaterale.
(2) Per qualche stimolante considerazione, cfr. F. Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988,
35; G. Alpa, I principi generali, Milano, 1993, 323. R. Sacco, in Trattato di diritto privato, a
cura di P. Rescigno, Torino, 2001, 360; analogamente, cfr.. In senso critico, peraltro, a tale
approccio metodologico, cfr. F. Carraresi, Il contratto, II, Milano, 1987, 682.
(3) Il riferimento, da un lato, è all'art. 1374 c.c. ed alle altre disposizione che a tale articolo si
richiamano, dall'altra, alle c.d. "clausole generali" che costituiscono modalità di attuazione ed
esecuzione del contratto, alle quali in più occasioni è stato attribuita una valenza positiva,
anche individuandone i comportamenti ispiratori: cfr., senza pretesa di completezza, S. Rodotà,
Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 195; A. D'Angelo, Il contratto in generale. La
buona fede, Torino, 2004; M.C. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di
comportamento contrattuale, in Riv. Dir. Civ., 1983, I, 205; Riccio, La clausola generale di
buona fede è, dunque, un limite generale all'autonomia negoziale, in Contr. Impr., 1999, 21 e
ss; S. Romano, voce Abuso del diritto, in Enc. dir., 1958, I, 168.
(4) Il tema della c.d. "giustizia contrattuale" ha trovato notevole diffusione, negli ultimi anni,
proprio con riferimento ai contratti stipulati tra un imprenditore ed un soggetto non
imprenditore: cfr. Oppo, Principi, Torino, 2000, 36.
(5) La questione in esame era stata affrontata in precedenza, con connotazioni di sostanziale
impegno civile e politico, da P. Barcellona, Intervento statale ed autonomia privata nella
disciplina dei rapporti economici, Milano, 1969.
(6) Per una primo approfondimento, con riserva di tornare nuovamente in argomento, cfr. D.
Rubino-G. Iudica, Dell'appalto, in Commentario al Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F.
Galgano, 4ª ed., Roma-Bologna, 2007, 251; Magrì, Le varianti, in L'appalto privato, a cura di
M. Costanza, Torino, 2000, 313.
(7) Per la caratteristica del rischio d'impresa, quale elemento intrinseco all'attività di impresa,
cfr. P. Spada, Diritto Commerciale, I, Padova, 2004, 43 ss.
(8) Parzialmente difforme, sul punto, la tesi sostenuta da Mangini, Il contratto di appalto,
Torino, 1972, per il quale l'appaltatore non è necessariamente un imprenditore, dovendo
l'appaltatore poter contare solo un'organizzazione di mezzi, senza necessità di dover
predisporre anche una struttura organizzativa a forma di impresa. In tal senso, la tesi dell'A., in
punto di qualificazione (e caratterizzazione) dell'imprenditore, sembra, per certi aspetti,
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coincidere con la tesi sostenuta da F. Galgano, in più occasioni ed anche nelle diverse edizione
del celebre Manuale, alla stregua della quale "il requisito dell'organizzazione finisce, dunque,
con il rivelarsi uno pseudo requisito: la sua mancanza non impedisce di assumere la qualità di
imprenditore" (F. Galgano, L'imprenditore, Bologna, 2000, 31).
(9) In realtà, il tema in questione rientra nell'ambito della più ampia problematica, che può
essere oggetto soltanto di un fugace cenno in questa sede, attinente alla possibilità che, anche
all'interno del medesimo settore dell'ordinamento, l'applicazione della medesima disposizione,
anche se richiamata, possa avere una differente portata - o, parimenti, non trovare
applicazione - in forza della specialità del settore o della fattispecie richiamata: cfr, per ampi
riferimenti, anche in prospettiva storica, A. Plaia, Diritto civile e diritti speciali. Il problema
dell'autonomia delle normative di settore, Milano, 2008. Con specifico riferimento, peraltro, al
contratto di appalto, cfr. F. Macario, La rinegoziazione delle condizioni di appalto, in Appalto
pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuale, a cura di Iudica, Padova, 1997, 173.
(10) Cass., 28 marzo 2001, n. 4463, in questa Rivista, 2001, 1134; Cass., 27 aprile 1993, n.
4959, in Rep. Foro it., 1993, voce Appalto, n. 45.
(13) Geri, Squilibrio contrattuale, cit., 1320; Addante, In tema di equo compenso a favore
dell'appaltatore, in questa Rivista, 2001, 1334; in termini analoghi, ma isolati, cfr. Coll.
Arbitrale, 24 giugno 1986, in Rep. Foro it., 1988, voce Appalto, n. 35.
(14) Cass., 12 aprile 2006, n. 8520, in Giur. it., 2007, 1654; Cass., 10 settembre 2002, in
Danno e resp., 2003, 623; Cass., 16 giugno 2000, n. 8187, ibidem, 2001, 906; Trib. Cagliari,
14 novembre 2006, in Riv. Giur. sarda, 2008, 669.
(15) Cass., 12 aprile 2006, n. 8520, cit.; Cass., 7 gennaio 2000, n. 81, in Giust. civ., 2001, I,
2511.
(17) Cass., 23 luglio 2007, n. 16202, in Imm. e dir., 2008, 18; Cass., 10 ottobre 2001, n.
12406, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 141; Cass., 27 agosto 1997, n. 8109, in Foro it., 1998, I,
134; in senso contrario, la giurisprudenza antecedente all'emanazione del codice del 1942: cfr.
Cass., 24 gennaio 1933, in Foro it., 1933, I, 140; per ulteriori riferimenti, cfr. Rubino-Iudica,
Dell'appalto, cit., 474.
(18) Cfr. Cass., 6 novembre 2008, n. 26609, in questa Rivista, 2009, 456.
(20) In dottrina, per un quadro complessivo della materia, cfr. A. DI Majo, Discorso generale
sulla responsabilità civile, in AA.VV., Diritto civile, diretto da N. Lipari-P. Rescigno e coordinato
da A. Zoppini, IV, 3, Milano, 2009, 4; C. Scognamiglio, Responsabilità precontrattuale e danno
non patrimoniale, in Resp. civ. prev., 2009, 1450; M. Franzoni, I diritti della personalità, il
danno esistenziale e la funzione della responsabilità civile, in Contr. e impr., 2009, 1.
(21) Cfr. Alpa, Deterrence e responsabilità: il caso delle società di revisione, in Scritti in onore
di Marco Comporti, I, Milano, 2008, 59.
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(22) Nel senso che l'impresa è, in primo luogo, attività - a prescindere, quindi, da ogni
rilevanza formalistica per l'applicazione del c.d. statuto dell'imprenditore (commerciale) - cfr.
G. Oppo, La impresa come fattispecie, in Riv. dir. civ., 1982, I, 115.
(23) Si richiama, nel testo, la prospettiva offerta da C. Scognamiglio, Interesse dei contraenti
ed interpretazione del contratto, Milano, 1992, nel senso di individuare (e valorizzare) quale
canone interpretativo del contratto in essere tra le parti, gli interessi sottesi alla realizzazione
del contratto stesso; tale prospettiva risulta peraltro efficacemente sviluppata, peraltro, proprio
da Id., L'interpretazione del contrato di appalto, in AA.VV., L'appalto privato, a cura di M.
Costanza, Torino, 2000, 393.
(24) L'approccio qui richiamato, finalizzato ad una sorta di lettura, in chiave prettamente
individualistica, della disciplina codicistica in tema di appalto, risente del (e si richiama, del
tutto consapevolmente, al) contributo offerto dal pensiero liberale ai compilatori del codice
civile: su tutti, per la autorevolezza, a Filippo Vassalli: cfr. G.B. Ferri, Filippo Vassalli o il diritto
civile come opera d'arte, Padova, 2002, 105.
(25) Per un esame della questione, anche sotto il profilo storico, ineludibile appare la lettura di
Nocera, Il binomio pubblico-privato nella storia del diritto, Napoli, 1989; con riferimento,
peraltro, alle materie oggetto del codice civile del 1942, cfr. Nicolò, voce Codice civile, in Enc.
dir., 1960, VII, 240. La valorizzazione, in termini privatistici, del tipo contrattuale dell'appalto,
si evince anche da un'analisi della prospettiva storica e, in particolare, dalla derivazione
dell'appalto nel più ampio contratto locativo: cfr. M. Confortini, Problemi generali del contratto
attraverso la locazione, Padova, 1988, 26.
(26) G.B. Ferri, Il diritto statuale ed il suo doppio, in Le anamorfosi del diritto civile attuale,
Padova, 1994, 125; per un prospettiva differente, mirata ad evidenziare come la tendenza
attuale del diritto sia, per contro, nel senso di ridurre la portata dell'autonomia privata, cfr.
Raiser, Il compito del diritto privato, Milano, 1990, 58 ss.
(28) In tal senso si esprimeva una parte più risalente della giurisprudenza, anche antecedente
al codice del 1942: cfr. App. Roma, 30 dicembre 1936, in Giur. it., 1937, I, 2, 125, nonché di
poco successiva alla emanazione del codice stesso: cfr. Cass., 25 gennaio 1959, in Giust. civ.,
1959, I, 1777. In dottrina, per la tesi della natura della responsabilità contrattuale, Musolino,
Le mobili frontiere della responsabilità nell'appalto immobiliare, in Riv. trim. app., 2004, 7;
Rossi, La responsabilità del costruttore di appartamenti per vizi degli immobili compravenduti,
in Nuovo diritto, 1993, 301; Rubino-Iudica, Dell'appalto, cit., 452.
(30) In tal senso, infatti, la responsabilità dell'art. 2053 c.c. sembra offrire una tutela anche al
proprietario chiamato a risarcire i danni cagionati a terzi, alla stregua di quanto sostenuto da
autorevole dottrina, per la quale al proprietario è, a sua volta, riconosciuta l'azione di regresso
anche contro l'appaltatore: cfr. R. Scognamiglio, Responsabilità civile, in Noviss. dig. it., 1968,
ed ora in Id., Responsabilità civile e danno, Torino, 2010, 38, 67.
(31) Molto discusso, peraltro, il rapporto tra l'art. 1669 c.c. e 2043 c.c., sul quale vedi, anche
per riferimenti giurisprudenziali, Gigliotti, Sulla natura extracontrattuale della responsabilità
prevista dall'art. 1669 c.c., in Giur. it., 2007, 1665.
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(32) Ed infatti, la "prevedibilità" dell'appaltatore deve intendersi limitata alle questioni tecnico-
organizzative, tipiche dell'organizzazione imprenditoriale: cfr. Tartaglia, Appalto e eccessiva
onerosità, cit., 46; contra, Irti, Sulla responsabilità del committente per danni cagionati a terzi
dall'appaltatore nel corso dell'esecuzione dell'opera, in Foro it., 1962, I, 1689.
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