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FILOSOFIA POLITICA

La natura bifronte del potere: apparato coercitivo o ordine di valori? La soluzione di Ernst
Ferdinand Klein

La costruzione giusnaturalistica di Klein affida la garanzia degli eguali diritti alla libertà degli
individui, cui fa riscontro una minimizzazione della coazione. Lo Stato descritto da Klein prevede
che il rapporto privato sia fondato sull’assolvimento dei vicendevoli doveri civili, ed il rapporto
politico (sovrano-suddito) si esaurisca nell’equilibrio tra l’impegno di applicazione della
giustizia da parte del sovrano e l’obbligo di obbedienza da parte del suddito. Per Klein si
chiama dovere la necessità morale di fare, tollerare o omettere qualcosa, ed agire in base a tale
principio significa soddisfare il proprio impulso razionale, mentre il dovere ottenuto con la forza
si dice coercitivo e vi è inevitabilmente connesso un diritto di autodifesa. Per Klein il diritto non è
altro chela conseguenza del dovere, il cui adempimento richiede l’uso della ragione [l’essenza dei
doveri sociali è l’aver rispetto per il benessere degli altri (neminem laedere)].

Per Klein la libertà è il potere di assolvere i propri doveri mediante l’uso della ragione. In virtù di
queste leggi e secondo il principio del Neminem Laedere la ragione frena i desideri. Klein teorizza
poi un’eguaglianza tra gli obblighi sociali la cui unica limitazione è rappresentata dalle capacità
personali. Nell’effettivo funzionamento politico l’eguaglianza fra gli obblighi si tramuta nella
reciprocità della facoltà di costringere, in virtù del principio di eguaglianza. Per Klein la costrizione
può essere giustificata soltanto dalla sua funzione di tutela della propria libertà e può essere adottata
soltanto nel caso in cui l’impulso interno e l’idea del dovere non basti ad adempiere
all’obbligazione. Tuttavia secondo Klein bisogna contenere al massimo la coercizione che agisce
sul piano della punibilità.

Klein ritiene che esclusivamente la coazione imposta dalla propria ragione può costituire il valido
fondamento del dovere giuridico del cittadino. Egli è del parere che la legislazione interna possa
trasformare le obbligazioni coercitive in doveri indirettamente etici. Klein ritiene che nella società
politica essere libero vuol dire essere pienamente uomo, in quanto vincolato dalle sole leggi della
ragione. Egli sostiene che è proprio il senso di giustizia che suscita nel cittadino l’inclinazione
morale a soddisfare la propria obbligazione giuridica verso la collettività. Difatti Klein sottolinea la
contraddizione logica tra dovere e coercizione perché la coazione costringe soltanto ma non
obbliga, mentre il criterio pufendorfiano cogere-obbligare rappresenta il sogno utopico di Klein:
una società pensata senza Stato; Stato che come forza coercisce, come valore obbliga. Per realizzare
questo ideale il legislatore dovrebbe abituare i cittadini alla spontanea osservanza dell’ordine
giuridico ed ogni cittadino dovrebbe agire come se non esistesse alcuna autorità che lo costringa a
fare il proprio dovere. In tale contesto sarebbe impossibile il verificarsi della coercizione.

Il sogno di Klein non va però inteso alla stregua di un ideale anarchico perché in ogni ramo
dell’amministrazione la giustizia rimane comunque il primo dovere del sovrano. Klein interpreta la
salus pubblica come il benessere di tutti coloro che integrano lo Stato sicchè, essendo incentivati a
promuovere il loro benessere, i cittadini rispettano le leggi ed assolvono i propri obblighi ad i quali
corrispondono l’assegnazione di ampi diritti per cui, secondo Klein, i membri dell’assemblea
costituente avrebbero torto a sostenere l’eguaglianza dei diritti fra gli uomini. Partendo da questi
presupposti la rappresentanza della nazione non è altro che l’artifizio volto a realizzare l’ideale di
sovranità popolare. Klein è del parere che quanto più uno Stato sia grande e sprovvisto di forze,
tanto più esso dovrà fare affidamento sulla volontà buona dei cittadini.

Secondo Klein il tratto qualificante della società civile è da ravvisarsi nella presenza di obblighi
civili, conversione dei preesistenti obblighi sociali, attinenti alla natura dell’uomo. Sentirsi
vincolato ai fatti costituisce per Klein l’autentico cemento della società civile. Nella sua visione
anche il comportamento del regnante verso la collettività deve essere guidato dall’idea di dovere. Al
pari dei cittadini il sovrano deve eseguire i suoi obblighi come se fosse vincolato da un contratto. In
tal modo la figura del Sovrano esemplifica quella della “persona dello Stato”. Questa scissione tra
Stato e società conduce alla libertà civile, ma non alla libertà politica. Per Klein il dovere del
Sovrano consiste nel far rispettare i vicendevoli doveri dei cittadini ai quali sarà concesso di
realizzare, nella società civile, il lato etico-materiale della giustizia (rispetto delle leggi).

La libertà civile si definisce nel porre le condizioni del benessere personale del cittadino (libertà
esterna) le quali consentano lo sviluppo della sua natura finalistica (libertà interna). La libertà civile
è frutto di quella dinamica dei doveri che sostanzia il rapporto politico: mentre il cittadino deve
attenersi al principio di subordinazione, il sovrano deve conformarsi all’obbligo di tutela della
libertà civile, preservando l’eguaglianza tra le sfere giuridiche individuali senza mai interagire in
esse. Per Klein la funzione politica del cittadino deve risolversi all’interno della società civile, in
uno spazio lontano dallo Stato. Il ruolo di controllo istituzionale svolto dalla partecipazione politica
può essere compensato dall’autolimitazione, su basi morali, del potere sovrano, teso a realizzare gli
scopi della libertà e dell’eguaglianza.

La sfera della politica è definita e giustificata mediante un criterio etico sociale attraverso il quale
Klein giunge ad una moralizzazione della politica all’interno della quale il dovere sociale si
configura come l’essere vincolati alla validità. La costruzione teorica di Klein si pone sulla linea
della tradizione del pensiero politico tedesco, dove obbligo e persona sono inevitabilmente
collegati.

Il dovere come principio razionale di armonizzazione delle passioni di Schann Adam Bergk

La dialettica obbligo-coazione di Bergk si fonda sul primato dei diritti umani fondamentali. Nel
giacobinismo berghiano la categoria di dovere mira a rafforzare la tutela dei diritti dell’uomo e del
cittadino consentendo la loro interazione sul piano politico. Al binomio obbligo-coazione, si
sostituisce quello dovere-diritto. L’essere umano è pensato come una creatura appartenente a due
mondi, quello sensibile e quello moral-razionale, e quindi sottoposto alle leggi della causalità
morale e della libertà ed è la ragione umana a farvi da ponte di collegamento. Dall’interagire di esse
scaturisce il concetto di libertà morale, la capacità, cioè, di determinare se stessi a favore o contro la
legge etica. Dalla ragione che detiene la sovranità su tutte le altre manifestazione dello spirito
umano nasce il concetto di dovere, definito come la necessaria sottoposizione del desiderio alla
ragione pratica, dove per desiderio si intende la tensione al soddisfacimento del nostro impulso
egoistico. In Bergk il dovere è il meccanismo che rende possibile la libertà interiore, da lui
concepita come pensabile, ma non dimostrabile. Bergk parla di una teologia morale nella quale il
comando divino si risolve nell’autocoazione della ragione. La religione esemplifica per Regk la
quintessenza delle verità morali alla quale spetta solo il compito morale di rinsaldare nell’individuo
il senso del dovere, ma non può essere considerata come un bisogno che accomuni tutto il genere
umano altrimenti coinciderebbe con il dovere. Secondo Bergk la destinazione terrena dell’uomo
come persona morale sta nella realizzazione delle finalità pratiche (obblighi da lui autonomamente
imposti) per cui il principale elemento distintivo della personalità è l’autonomia.

Il diritto scaturisce dalla conformità del dovere all’imperativo razionale. Nella filosofia berghkiana
il diritto esterno oggettivo funge da parametro moral-razionale in base a cui deve orientarsi il
comportamento sociale degli individui nel vantare diritti ed adempiere doveri. Il diritto soggettivo si
identifica con tutto ciò che si adegua alla legge della ragione pratica, cioè il comando del diritto
esterno oggettivo che si configura come il criterio razionale limitativo dell’interagire dei diritti
soggettivi (ciò che la legge non vieta né comanda nella vita civile può essere fatto o meno a proprio
piacimento) ma qui entra in gioco un legislatore più alto: la coscienza, dinnanzi alla quale nulla è
moralmente indifferente. La natura del diritto soggettivo consiste nella tensione al soddisfacimento
del nostro impulso egoistico caratterizzandosi come lecita aspirazione all’appagamento dei desideri
individuali (per quante inclinazioni abbia un uomo tanti diritti inalienabili egli possiede). Mentre il
dovere esibisce una natura moral-razionale, il diritto ne presenta una sensibile, entrambe correlate.
Ciò che muta nei due concetti è il punto di vista: dal punto di vista del dovere si fa riferimento
all’operare della ragione che disciplina gli impulsi naturali; dal punto di vista del diritto soggettivo
si accentua il movimento opposto del desiderio che non può sottomettersi alla legge della ragion
pratica.

All’interno della vita socio-politica il diritto non è pensabile senza il dovere. Con la teoria decisiva
della nuova filosofia politica del ‘700 tedesco, per la quale ad ogni obbligo al quale si adempie
corrisponde un diritto, Bergk riduce la classica ripartizione dei doveri (1 erga Deum; 2 erga
seipsum; 3 erga alias) ad una bipartizione escludendo i primi. Su queste basi Bergk puntualizza che
tutti i doveri che non immaginiamo essere comandi o divieti divini non sono altro che obblighi
verso noi stessi o verso gli altri.

Nel giusnaturalismo moderno autori come Pufendorf connotano gli obblighi perfetti, quelli di natura
giuridica, in condizioni di coesistenza politica e obbligazioni imperfette di natura etica, nella
coesistenza sociale. Bergk estende questa distinzione anche alla classe dei doveri classificando
perfetti quelli di natura giuridica, in condizioni di coesistenza politica, e obbligazioni imperfette, di
natura etica, nella coesistenza sociale. Bergk estende questa distinzione anche alla classe dei doveri,
classificando perfetti quelli della virtù verso sé stessi (autoconservazione) e imperfetti quelli della
virtù verso sé stessi ma che lasciano giudicare all’individuo il punto fin dove vuole arrivare in una
cosa. Per Bergk il fine pratico che caratterizza gli obblighi imperfetti è lo sviluppo delle proprie
inclinazioni, l’edificazione interiore, comune alla nozione di Illuminismo che per Bergk risiede
nella facoltà dell’essere umano di sviluppare in maniera autonoma tutte le sue predisposizioni
naturali, sensibili, razionali. Bergk ritiene che sul piano dell’animalità l’uomo più illuminato sia
colui che riesce a godere dei piaceri sensibili, sul piano dell’umanità sarà soltanto il pensatore
autonomo e sul piano della personalità sarà colui che ottempera consapevolmente al proprio dovere.
Bergk non considera l’Illuminismo come un modo di pensare, ma lo intende con il concetto di
cultura, come una delle forme espressive dell’edificazione interiore. Pufendorf, dacendolo
coincidere con l’attività di edificazione interiore dell’individuo, forgia un concetto di cultura che
mira al dominio dell’individuo sulla natura, all’eliminazione dell’ignoranza, alla sovranità della
ragione, consistendo la cultura proprio in queste attività. Nel pensiero pufendorfiano il significato di
cultura si converte in quello di lavoro: con ciò egli fissa la categoria di cultura come
perfezionamento della personalità che introduce nell’area tedesca variazioni nel modo di concepire
il modello politico, all’interno del quale l’uomo non è più rappresentato come l’astratta macchina
del razionalismo hobbesiano, ma connotato in senso culturale più dallo status naturae perché l’uomo
di natura è già di per se un essere umano individualizzato e, in più, sempre perfettibile.

Bergk innesta il suo concetto dinamico di cultura su un’antropologia di tipo finalistico: il destino
dell’uomo non è la felicità, ma la formazione interiore attraverso l’infelicità, la fatica e le
preoccupazioni le quali producono nella sua interiorità una soddisfazione che nessuna tempesta
distrugge. Nel profilo antropologico sono riconoscibili evidenti tracce d’ispirazione XXX come il
principio della rilevanza di ogni fare per la salute dell’anima, con il conseguente rifiuto di qualsiasi
forma di ozio, di svago o riposo. Anche a livello socio-politico Bergk promuove il valore positivo
della lotta e della competizione allo scopo di tutelare le espressioni dell’attività autonoma degli
individui. Dializzandolo, il modello ha implicito in sé il principio del dinamismo dell’azione
morale. Bergk dichiara che la ragione sia nell’uomo la specifica facoltà morale, la quale soltanto
rende possibile il mondo morale per cui è intrinseco il nesso tra dovere e coltivazione interiore che,
riferiti all’individuo, ne denotano il processo di educazione alla libertà.

Bergk rileva che la volontà dell’essere umano non sia necessariamente determinata dagli imperativi
razionali a causa della sua imperfezione soggettiva, è solo lo sviluppo di tutte le energie individuali
a forgiare l’identità morale dell’essere umano, sebbene esso sia l’unico dovere che non compie con
piacere. L’adeguamento del comportamento al dettame della ragione è motivato dal rispetto per la
legge etica assoluta, autonomamente prodotto dal concetto razionale di legge. Così attraverso il
rispetto e l’operare dei sentimenti di inclinazione, la sensibilità coadiuva il corso dell’eticità
cosicché gli uomini si trovino ad agire per dovere. Secondo Kant il vero contrario dell’agire per
dovere non è l’agire per inclinazione ma l’agire per inclinazione, ossia motivati dalle sole spinte
empiriche. La configurazione bergkiana del dovere restituisce la struttura razionale costante. La
prospettiva aperta da Kant, invece, sta nell’aver posto il problema teoretico dei limiti di
conoscibilità del dovere.

I diritti come strumenti di realizzazione del dovere

Dal carattere del dovere Bergk trae l’inalienabilità, difatti l’obligatio non può essere alienata senza
negare allo stesso tempo la sua natura umana. Bergk suddivide i diritti soggettivi in alienabili, che
possono essere trasferiti ad altri, ed inalienabili, quelli la cui non utilizzazione sarebbe contraria al
dovere perché sono quelle facoltà per mezzo delle quali l’uomo interagisce con il mondo. Essi
circoscrivono la “possibilità di agire al di fuori di sé” e, nel democraticismo bergkiano permettono
l’arte della relazione umana. Proprio a causa della loro funzione strumentale essi vengono costruiti
da Bergk come facoltà innate non cedibili ad altri. La distinzione tra i diritti innati e quelli acquisiti
sta nel fatto che quelli acquisiti non sono immediatamente legati alla personalità morale dell’uomo.
Dunque la moralità umana non può agire se non servendosi dei diritti innati inalienabili che Bergk
riconduce alla libertà, il diritto che contiene in sé tutti gli altri.

La forza legittima dello Stato assiste i diritti inalienabili convertendoli in coercitivi. Con ciò Bergk
fissa la prevalenza teorica del dovere sul diritto “non si può concepire un diritto senza che sia prima
dato un dovere”. Per Bergk la salvaguardia socio-politica dei diritti si rivela doverosa: la garanzia
dei diritti è comandata dalla ragione all’esclusivo fine di rendere possibile la soddisfazione dei
doveri.

Bergk distingue i doveri della virtù verso gli altri in perfetti ed imperfetti. I doveri imperfetti della
virtù erga alias risiedono nel procurare all’altro i mezzi della sua felicità. Tali doveri instaurano una
relazione tra debitore e creditore e presuppongono nell’uomo sentimenti di benevolenza da un lato e
gratitudine dall’altro alle finalità di vita del proprio simile: sono cioè animati dall’amore per il
prossimo, costantemente mitigato dal rispetto verso l’altro che avviene in base al principio di
reciprocità. Il rispetto della dignità umana offre una struttura negativa perché consiste in un “non
fare” piuttosto che in un fare. Questo dovere, da Bergk reputato come il “supremo” fra tutti gli
obblighi erga alias, presenta un’analogia con il dovere del neminem laedere. Entrambi gli obblighi
si configurano come afficia debiti, contraddistinti da un sentimento di tipo particolare, il rispetto che
consente l’armonico esplicarsi delle libertà individuali. Mentre l’amore implica una
immedesimazione nell’altro, il rispetto comporta un riconoscimento dell’alterità morale mediante la
distanza fra gli individui.

La teoria bergkiana dei doveri, vede l’individuo determinare il proprio arbitrio in base agli impulsi
sensibili, sottraendosi al governo morale della ragione, per cui diviene necessaria la guida
specificamente politica della coazione. Nel campo del diritto l’uomo deve essere ricondotto anche
per via coattiva, ad un comportamento secondo ragione. L’essere umano necessita, cioè, della
regola di razionalità esterna, fornita dal diritto. Nella condizione socio-politica, a realizzare il
criterio di reciprocità è la legge dell’eguaglianza universale, posta dal diritto oggettivo. Per Bergk il
diritto soggettivo come potere morale di obbligare è coadiuvato dalla forza legittima dello Stato,
solo nell’ipotesi in cui si verifichi un’ingiustizia, per ripristinare la libertà violata. E’ perciò
inimmaginabile un diritto esterno senza la facoltà di coercire. Nella visione di Berk il ricorso alla
forza va mantenuto entro i limiti della legittimità: in primo luogo deve colpire solo il trasgressore,
tenendo comunque rispetto della personalità morale di quest’ultimo; in secondo luogo non può mai
essere più ampia di quanto richiede la sicurezza dei cittadini: ogni costruzione superflua è
un’ingiustizia. Bergk distingue il concetto di coazione come la facoltà di un individuo di coercire su
base legittima che proviene dal diritto romano, dal concetti di dovere giuridico di natura moral-
razionale, ossia una legge data da Dio. La scienza giuridica si differenzia dalla dottrina morale non
tanto per i loro diversi doveri, quanto per la diversità della legislazione. Per Bergk è per mezzo della
legislazione interiore che le obbligazioni giuridiche vengono convertite in quelle che Kant qualifica
come doveri indirettamente etici. La teoria politica bergkiana riconosce il movente morale del
dovere in uno specifico sentimento del diritto: l’adempimento spontaneo.

Sulla natura divergente del dovere e del diritto emergono due sequenze teoriche: la prima sequenza,
dovere-rispetto-libertà, è per Berk il dovere produttivo delle azioni libere, alimentato dalla libertà,
che può fiorire unicamente in un regime di libertà garantito dal diritto; la seconda sequenza, diritto-
timore-coazione, si dipana sul piano della sensibilità: per Bergk è inimmaginabile un diritto esterno
senza la facoltà di coazione legittima, al soddisfacimento di un bisogno sensibile. In tal senso Bergk
avvalora la tesi giusnaturalistica secondo cui la legge può sortire la sua efficacia solo se ha la forza
di obbligare moralmente: per Bergk la legge civile è sempre imperativa o proibitiva. In tale quadro i
diritti soggettivi derivano la loro natura dal collegamento con la personalità morale dell’uomo. La
configurazione bergkiana dimostra la prevalenza della prima sequenza sulla seconda, dunque del
dovere sul diritto, prevalenza confermata nella costruzione bergkiana della libertà civile o della
libertà politica nel rapporto verticale tra cittadini e istituzioni (Stato).

La prevalenza teorica della pflichtenlemre sulla klugheitslemre nel ‘700 tedesco

Alla fine del ‘700 la filosofia politica venne designata come saggezza pratica per il mondo e
suddivisa in due discipline: il diritto natura, costituito come teoria dei doveri naturali, e la dottrina
della prudenza, che coincideva con la politica in senso stretto. Il primo indicava i doveri da eseguire
nella comunità politica, la seconda i mezzi per adempirvi, creando così la dominanza della morale
sulla politica. Accanto alla politica morale degli specula principis si profila la teoria della prudentia,
da intendersi come politica empirica fondata sulla distinzione tra prudenza (utile-disutile) e
saggezza (giusto-ingiusto). Bergk notò che l’antichità possedeva al massimo una conoscenza della
politica, ma non della saggezza, per cui le leggi erano politiche, ma non giuridiche, dunque Bergk
stabilisce la netta predominanza della legge della ragione sui comandi politici. Per questo nella
visione bergkiana tutte le forme di governo e politiche in generale devono essere opera della
saggezza e della prudenza. Molti giusnaturalisti fecero critiche a Machiavelli, tra cui anche Bergk
che paragonò il Principe al più animalesco fra i despoti dove gli uomini obbediscono al sovrano non
per senso del dovere, ma perché costretti dalla forza; dunque per illuministi come Bergk il
machiavellismo rappresenta il male radicale della politica. La prudenza politica è d’ausilio alla
saggezza per l’attivazione degli scopi morali in quanto si riesce a discernere il giusto, che
caratterizza la politica morale, dall’utile, che contraddistingue la politica empirica.

Ispirato da Kant ed influenzato dalla Rivoluzione Francese, il diritto naturale dell’illuminismo


tedesco si valse contro l’assolutismo illuminato: esso propagò l’illimitata validità dei diritti umani
nello Stato, richiedendo la divisione dei poteri e l’introduzione di una costituzione normativa. Tutto
questo in un più generale clima di interesse politico dove il concetto moral-razionale di dovere
assume per la prima volta una valenza politica. Libertà civile e libertà politica entrano nella sfera
politica tedesca come qualità del singolo e non più di un intero popolo. Come libertas civis si
intende il potere sovrano, ma dal 1780 si denota come libertà naturale dell’individuo.
Parallelamente la libertà politica perde il significato di sovranità dello Stato per assumere la nuova
accezione di facoltà di partecipazione di tutti (democrazia) o di alcuni (aristocrazia)
all’amministrazione dello Stato. Per Pufendorf il concetto di libertà opera come capacità morale di
agire o non agire su base razionale; per Walff, identicamente, risiede nell’autonomia della decisione
razionale della volontà. Entrambe le nozioni di libertà civile e politica si raccordano con il concetto
di dovere.

Nel modello dicotomico stato di natura-stato civile, lo stato di natura svolge il compito di
evidenziare tutti i vantaggi della condizione politica come stato razionale. Nella concezione
bergkiana il diritto innato deve esprimere la facoltà di spettare ad ogni uomo in funzione della sua
umanità, così Bergk introduce la nozione di personalità morale. I diritti innati ed inalienabili
dell’individuo sono le specifiche facoltà di agire al di fuori di sé che favoriscono la formazione del
carattere: in tal modo vengono strappati alla condizione politica e legati alla natura morale
dell’uomo. La visione dello stato di natura è da riportarsi alla diretta influenza di Walff per il quale
si configura come la condizione di reciproca operatività degli obblighi naturali. Per Rousseau,
invece, lo status naturalis è costruito come un modello (coercitivo) critico-normativo da
contrapporre alla realtà politica esistente. Nella visione bergkiana lo stato di natura ricopre la
funzione dell’uso pratico della ragione: lo Status naturalis si riveste di tratti utopici trasformandosi
in ideale di una società completamente morale senza Stato. Per Bergk lo status naturae coincide con
la società interamente morale nella quale gli individui tendono senza posa all’adempimento della
loro destinazione terrena, ossia alla graduale realizzazione dell’umanità sempre perfettibile
dell’essere umano. Berhk delinea il processo senza fine con il quale l’uomo si innalza alla prima
moralità, data dalla guida autonoma della ragione. In tale progresso la ragione seguirà il declino
dello Stato non appena l’uomo sarà moralmente maggiorenne ed in grado di governarsi da solo.
L’abolizione dello Stato è per Bergk il processo nel quale la politica eccede nella morale
(razionalizzazione).

Per Rousseau rinunciare alla libertà vuol dire rinunciare alla propria qualità di uomo. Dato il tratto
fortemente utopico assunto dallo Stato di natura il contratto sociale non può essere reputato come
fatto storicamente avvenuto, né può assolvere la funzione mediatica tra condizione pre-politica e
condizione politica. Il movente antropologico che spinse gli uomini a riunirsi nelle società civili fu
per Bergk il bisogno, quello che Pufendorf denomina imbecillitas. Per il singolo individuo assumere
la veste di cittadino significa sottoporsi alla legge; l’ingresso nella società civile è segnato
innanzitutto dall’assunzione di obblighi verso gli altri. La società civile è contraddistinta dal
sentimento morale di essere vicendevolmente vincolati, caratteristica che assume la veste di un
contratto di tutti con tutti. Il contratto sociale è per Bergk un’associazione di uomini per tutelarsi
reciprocamente nell’uso dei loro diritti. Il diritto soggettivo implica l’espansione dell’io desiderante
in uno spazio esterno alla persona, mentre il dovere produce la restrizione moral-razionale
dell’agire. Il contenuto, ossia il fine morale del contratto sociale, è dato dalla garanzia dell’uso
libero ed eguale delle forze umane. Il fine dell’uomo sulla terra risiede nella cultura, nel dovere di
edificazione della personalità, la quale determina lo scopo della società civile. Ogni forma di
governo deve quindi essere misurata sullo scopo terreno dell’uomo. Lo scopo dello stato è da un
lato negativo e consiste nell’astenersi dall’intervenire nella società civile; e dall’altro è positivo e
consiste nella tutela coercitiva dei diritti violati. La costrizione statale può colpire le azioni
dell’intelletto e della coscienza, per tanto se applicasse leggi coercitive esterne a ciò che ricade fuori
dal proprio ambito d’azione esso si tramuterebbe in un organizzazione dell’ingiustizia. Bergk ritiene
che lo stato vada qualificato come un istituto di sicurezza e puntualizza che la sicurezza non è un
diritto, ma una conseguenza del libero uso dei diritti inalienabili del cittadino. Sul piano politico
istituzionale, il contratto donativo ideale presuppone che l’uno sia debitore dell’altro; tale
affermazione fa si che in Bergk si delinei un modello tipicamente tedesco dell’organizzazione della
sfera pubblica, che si denota anche come accordo fra debitori.

Bergk per primo propone un modello di democrazia rappresentativa fondata sulla divisione dei
poteri, con legislativo eletto a suffragio universale maschile e femminile. La repubblica democratica
si offre come la sola forma di Stato che rispetti pienamente l’autonomia morale degli individui,
secondo il principio per cui “tutto ciò che è un prodotto dell’attività umana deve sottoporsi
all’esame di tutti”. La rappresentazione democratica non soltanto ottempera alle esigenze razionali
del diritto, ma è anche la forma regiminis maggiormente conforme ai dettami della prudenza. Bergk
asserisce che in una costituzione morale la separazione dei poteri è un dovere e si configura come il
principio fondamentale introdotto dalla costituzione. Accanto ai tre classici poteri BErgk ne
contempla un quarto: il potere organizzativo il cui obiettivo principale è tutelare la suprema legge
dell’eguaglianza sociale; in secondo luogo ha il compito di intervenire con la coercizione fisica per
riportare l’equilibrio sociale. Perfettamente utilitaristico è per Bergk il principio giustificativo della
separazione dei poteri anche per evitare la degenerazione dispotica dello Stato: la scissione fra le
svariate funzioni di esso fa sì che ognuno dei poteri sorvegli gelosamente l’altro.

Bergk è del parere che l’uomo abbia dei diritti, il cittadino altri, in quanto i diritti umani sono
disciplinati dal tribunale della coscienza mentre i diritti inalienabili del cittadino cadrebbero sotto
una legalità universale e necessaria alle azioni esterne. Nel democraticismo bergkiano l’azione dello
Stato deve limitarsi alla difesa dei diritti inalienabili del cittadino, che vengono distinti da Bergk in
tre categorie: nell’indipendenza come uomo, nella libertà come cittadino e nell’eguaglianza come
suddito. Klein è del parere che l’equità della legge possa fornire l’unica sicura garanzia della libertà
civile, mentre la libertà politica ricopre un ruolo ausiliare allo sviluppo morale della prima: essa è
vista come partecipazione dei cittadini al governo dello Stato e alla legislazione. Nel liberalismo di
Klein il consenso politico si scioglie nella concordanza fra ragione individuale e forma razionale di
una legge creduta giusta (adesione morale alla legge); viceversa, nel democraticismo bergkiano il
consenso viene espresso dai cittadini nel corso del processo di formazione della volontà pubblica.

La relazione di eguaglianza in quanto suddito può riferirsi soltanto alla legge che deve essere uguale
per tutti, il che determina un rapporto di reciprocità fra i cittadini per cui ciascuno di essi non deve
riconoscere nessuno nel popolo come suo superiore, se non colui che “io” ho il diritto di vincolare e
da cui sono a mia volta obbligato a buon diritto. Il concetto di eguaglianza in Bergk risiede nella
reciprocità dell’obbedienza alla legge.

Nella visione di Bergk l’eguaglianza dinnanzi alla legge o eguaglianza giuridica esprime solo una
passività del soggetto morale. A differenza di Pufendor, Bergk è del parere che in capacità e
destrezza nessuno sia uguale all’altro e che tale disuguaglianza non possa essere eliminata. Difatti
nell’antropologia bergkiana l’uomo presenta una natura originaria ed una acquisita: la prima
consiste nella semplice predisposizione ad essere uomo, la seconda sull’acquisita abilità di far uso
delle proprie forze per il conseguimento della finalità umana. Bergk sostiene che la disuguaglianza
conceda all’uomo i più grandi vantaggi perché lo spinge a non farsi superare da nessuno in abilità,
scienze e arti e questa lotta rappresenta, per Bergk, l’unica via per il pieno raggiungimento dello
scopo terreno dell’individuo: la costruzione della sua singolare personalità morale. In un linguaggio
formalizzato, mentre l’eguaglianza è esprimibile dall’equazione A=B, l’identità può esprimersi con
l’equazione A=A.

Dato che è impossibile che l’intera nazione sia costantemente riunita in luogo per deliberare su una
proposta di legge, allora essa elegge al suo interno dei rappresentanti. E’ questo l’unico atto di
sovranità diretta che il popolo può operare e tali funzionari devono assolvere le esigenze razionali
del diritto e pragmatiche della politica) e devono, inoltre, possedere caratteristiche quali la
ragionevolezza e l’onestà e devono essere cambiati spesso. Nell’opinione di Bergk solo un intensa
circolazione delle elites può condurre alla formazione di leggi tratte dai bisogni di tutti, leggi, cioè,
realizzatrici del benessere. Mentre per Klein la democrazia diretta era sottesa al timore della
tirannide della maggioranza, per Bergk sta a conferma del dato autonomo a difesa della deontologia
democratica. Nel democraticismo bergkiano tutti sono in grado di acquistare i requisiti intellettuali e
morali per accedere alle cariche amministrative: il diritto-dovere dei cittadini di partecipare alle
questioni pubbliche costituisce il dato maggiormente coesivo che possa albergare tra gli uomini.
Nell’illuminismo radicale bergkiano la facoltà di votare si acquisiva con la maggiore età (21 anni) e
ciò definiva per Bergk la personalità civile. Il diritto di voto nella tesi kantiana è da “calcolarsi” in
rapporto agli averi dei cittadini che pretendono prender parte alle questioni pubbliche. Tale
distinzione appare a Bergk non solo logicamente scorretta, ma anche in contraddizione con la
qualità, propria dell’essere umano, di soggetto capace di diritti. Su tali bai Bergk arriva a costruire
l’idea del suggragio universale maschile e femminile, proprio facendo perno sul diritto. Nel fare
della donna un cittadino a pieno titolo Bergk finisce per richiedere i diritti del citoyen per tutti gli
uomini e le donne indistintamente dal sesso, dalle proprietà o dalla formazione culturale.

La libertà civile trova riscontro nell’agire “al di fuori di sé” e si presenta come giuridicamente
eguale, infatti l0eguaglianza dinnanzi alla legge o nei diritti rappresenta la condizione formale su
cui riposa la libertà civile che è un diritto inalienabile. Nella teoria di Bergk la libertà civile riposa
sulla rete dei reciproci doveri sociali di rispetto dei diritti altrui. Nella politica morale Kleiniana, la
libertà civile può essere interpretata come controprestazione dello Stato (con leggi giuste) per
l’adempimento del dovere del cittadino. Bergk dissocia l’idea di Stato dall’idea di giustizia in base
alla propensione umana all’ingiustizia (dei cittadini da un lato e del sovrano dall’altro). Da ciò
dipende la necessità morale che il potere dello Stato venga politicamente limitato attraverso:
l’introduzione di una Costituzione fondata sulla divisione dei poteri; la realizzazione di un codice
civile uguale per tutti; l’abolizione dei privilegi feudali; la rivoluzione come categoria
costituzionalmente contemplata. Nella gerarchizzazione dei tre principali tipi di libertà, morale,
civile e politica, le ultime due di carattere esterno sono da reputarsi funzionali alla prima in quanto
si radicano sulla libertà morale. La concezione radical-democratica di Bergk, incentrata sui doveri
morali positivi di tutela politica dei diritti civili, vede la politica come quel processo mediante il
quale nell’ambito di una qualsiasi convivenza organizzativa, una pluralità di attori perviene a
prendere le decisioni collettive vincolanti finalizzate a dirimere i conflitti che insorgono nel proprio
interno e/o nei rapporti esterni; pertanto le moderne dottrine tedesche dello stato sono da qualificarsi
come pre-politiche piuttosto che come apolitiche. La filosofia politica dell’illuminismo tedesco,
strutturandosi sul fondamentale concetto di dovere, si determina come caratteristica teoria del pre-
politico.

Dopo la libertà civile e politica la forma più rilevante di libertà attivabile nella critica pubblica è la
libertà di stampa, che consente l’estrinsecazione sul piano fenomenico del dovere di pensare
liberamente. Passaggio indispensabile nella crescita personale è l’acquisizione della facoltà di
pensare in maniera corretta ed autonoma. La libertà di pensiero è perciò un dovere e, nella visione
di Bergk anche la libertà di stampa è un diritto inalienabile che spetta all’uomo in quanto tale.
Questo diritto è specificato da Bergk come la facoltà di diffondere ogni propria idea e convinzione
su Dio, gli uomini e le cose, per mezzo della stampa e sottoposto al principio del nenimen laedere,
secondo cui ognuno può pensare e scrivere ciò che vuole, se soltanto non ci si rende colpevole di
nessun delitto verso gli altri. Nell’illuminismo bergkiano la libertà di stampa si figura come uno dei
più importanti diritti umani perché unicamente per mezzo del libero scambio delle idee la
conoscenza si arricchisce, favorendo il processo di edificazione interiore, animata dalla ricerca della
verità. Il ruolo politico affidato alla libertà di stampa è quello di dar voce alla sovranità
dell’opinione pubblica. Nella teoria liberale di Klein la pubblicità, come istanza politica, si pone
come facoltà sostitutiva della mancante o eventuale libertà di partecipazione al potere sovrano; tesi
giusnaturalistica fondata sul presupposto della bontà del Principe, secondo cui solo il cittadino
rispettato nella sua libertà di opinione e di stanza obbedisce, non perché vi è costretto, ma perché
l’istituzione politica gli si offre come una condizione di uso della libertà conforme a ragione,
anziché come uno stato XXX.

Il mutamenteo politico è ravvisato in maniera eruttiva, cioè con improvvise esplosioni di collera e
con processi accellerati per i radical-democratici, mentre si ravvisa in maniera evoluzionistica, ossia
con la salvaguardia della continuità per i liberali. Il termine rivoluzione nasce in campo astronomico
per denotare il movimento dei corpi celesti, per poi venire gradualmente assorbito, nella sua valenza
metaforica, dal lessico politico, dove il termine sta per restaurazione. Bergk attribuisce a questo
concetto il dinamismo dell’agire morale, distinguendo tre tipi di attività rivoluzionaria: la rivoltà,
l’insurrezione e la rivoluzione vera e propria. La differenza fra essere risiede nel diverso numero dei
soggetti politici che vi prendono parte e nel diverso fine pratico che la caratterizza.

La rivoluzione politica come dovere morale

La rivolta è l’opposizione della minoranza dei cittadini a disposizioni legislative non eque o
all’ingiunto esercizio dei poteri esecutivo e giudiziario (tra moralità e legalità). L’azione
contraddice la regola di maggioranza (principio) e la rivolta viene risolta da Bergk assolvendo il
dovere di emigrazione della minoranza da uno stato non più giusto.

L’insurrezione, a differenza della rivolta, è costruita come categoria morale e legale insieme proprio
perché adeguata a quelle forme giuridico-razionali che la Costituzione è tenuta ad introdurre nello
Stato. A tal proposito si delineano due ipotesi:
- Se lo Stato viola i diritti inalienabili dei cittadini, l’insurrezione viene costruita da Bergk
come il dovere morale della maggioranza di sollevarsi contro istituzioni politiche che
mettono in pericolo le condizioni di esistenza della società civile;
- Se il potere politico danneggia diritti che possono anche essere ceduti (alienabili) allora
l’insurrezione è affidata all’arbitrio di coloro che patiscono l’ingiustizia, essa non è dunque
necessaria, ma meramente possibile sul piano empirico.
Il fine che caratterizza l’insurrezione non è tanto la trasformazione della struttura costituzionale
dello Stato, quanto piuttosto il ricambio forzato del ceto dei funzionari pubblici. L’insurrezione
presenta carattere giuridico in quanto regolata dall’idea del contratto sociale nella condizione
politica. Mentre in Kant viene affermato il diritto introdotto dalla rivoluzione, rifiutando invece il
diritto alla rivoluzione, Bergk tenta di legittimare il processo rivoluzionario come azione costitutiva
del diritto posto dalla rivoluzione, considerando la giuridicità di essa in una forma costituzionale.

La rivoluzione comporta un sovvertimento radicale dell’ordine politico e si manifesta in un totale


mutamento della costituzione e delle persone che la applicano: essa non si limita al ricambio forzato
dei funzionari, ma mira al capovolgimento della struttura costituzionale ad opera dell’intero popolo
sovrano, o soltanto nella maggioranza di esso che sia stata lesa nei suoi diritti inalienabili. La
rivoluzione ravvisa le sue cause scatenanti in circostanze esterne fra le quali l0oppressione, il
maltrattamento e lo scherno dei diritti umani, tuttavia ad esse deve accompagnarsi una ricettività
interiore, ossia la capacità di discernere il giusto dall’ingiusto, che l’essere umano acquisisce
raggiungendo il grado morale massimo. La rivoluzione viene configurata come il dovere morale di
restaurare la condizione di universale validità del diritto mediante il radicale rinnovamente dello
stato. L’idea esemplificata dal fatto fondativo prevede che il contratto sociale possa durare soltanto
fino a che il cittadino lo riconosca come giusto. Modificare i principi di un’antica costituzione o
costituirne una nuova su principi diversi è per Bergk l’autentico scopo morale di una rivoluzione,
così, perseguendo un fine morale, la rivoluzione riceve una legittimazione prettamente morale. La
rottura rivoluzionaria costituisce per Bergk l’unica via per salvaguardare il diffondersi
dell’illuminismo morale dagli abusi di un potere politico tendenzialmente corrotto. Nel giudizio di
Bergk la rivoluzione francese segna l’avvento di quel regno della libertà che può concretizzarsi solo
quando l’uomo senta la necessità morale di rispettare nell’altro il suo “secondo io”.

Pufendorf

La dottrina giusnaturalistica di Pufendorf costituisce una sistemazione e uno sviluppo di quella di


Grozio, condotta in chiave più marcatamente laica e razionalistica e tenendo conto dell'elaborazione
di Hobbes (vedi Unità 12). Rivendicando l'autonomia della scienza del diritto, volta a disciplinare la
dimensione sociale dell'agire umano, da interferenze teologico-religiose, Pufendorf si propone di
ricavare i principi fondamentali del diritto naturale, che per la loro universalità, perpetuità e
conformità con la natura delle cose debbono ispirare il legislatore nel determinare gli istituti
giuridici positivi. Alla base di tale indagine, condotta con metodo e contenuto razionali! è l'esame
della natura umana, con le sue condizioni e inclinazioni. Scrive Pufendorf: "L’uomo è un animale
preoccupatissimo della propria conservazione, per se stesso bisognoso di molte cose, incapace di
vivere senza l'aiuto dei suoi simili, grandemente abile a dare e a ricevere vantaggi, e ciononostante
spesso malvagio, arrogante, facilmente irritabile, pronto e valido all'offesa. A un essere siffatto,
perché si possa conservare e possa godere dei beni che gli si presentano, è necessario di essere
socievole, cioè di unirsi con i suoi simili e di comportarsi verso di essi in modo da non offrir loro
occasione di nuocergli, ma piuttosto motivo di salvare o di promuovere il proprio interesse. Perciò il
fondamento della legge naturale è il seguente: ciascuno, per quanto dipende da lui deve promuovere
e mantenere con i suoi simili uno stato di socievolezza pacifico, conforme in generale all'indole e
alle finalità del genere umano". Pufendorf distingue uno stato di natura puro, sorta di idea-limite, da
uno stato di natura "temperato o parziale", dotato di effettiva storicità. Lo stato di natura puro si
configura come uno stato di assoluta libertà e uguaglianza naturali: nessuno è sottoposto al
comando di altri né ha altri a sé sottoposti, tutti possono parimenti governare le proprie azioni
secondo i dettami della ragione. Lo stato di natura puro equivale però anche a una condizione di
estrema miseria e debolezza: privo di protezioni, atomo sperso in un mondo ostile, assillato dalla
povertà e dal bisogno, l'uomo riesce a stento a provvedere alla propria conservazione. Di fatto, lo
stato di natura effettivamente esistito mitiga gli svantaggi dello stato di natura puro: già dispone di
proprie forme associative, tra cui la famiglia, strutturate su basi di parità e uguaglianza; è
tendenzialmente più pacifico che bellicoso (l'uguaglianza delle forze risultando "atta più a frenare
che a eccitare la volontà di nuocere"); in esso, soprattutto, l'amor di sé che inclina a preoccuparsi
solo della propria autoconservazione è mitigato dalla naturale socievolezza. La maggioranza degli
uomini è in grado così di seguire la ragione più che l'impeto della passione e di riconoscere almeno
tre precetti della legge naturale: nessuno deve offendere l'altro se non è provocato; a ciascuno deve
essere permesso di godere dei propri beni; ciascuno deve mantenere le promesse fatte. L'uomo,
però, oltre che ragione, è anche passione e desiderio; inoltre, anche lo stato di natura temperato e
parziale è privo di una autorità regolatrice. In questo modo la pace resta insicura e precaria, la legge
naturale manca di efficacia, l'effettivo esercizio dei diritti degli individui e dei gruppi non è
adeguatamente garantito. La legge di natura, inoltre, non definisce le modalità di impiego delle
risorse: di conseguenza allo stato di natura non vige in principio alcun sistema proprietario, le cose
sono semplicemente res nullius, a disposizione di tutti. L'originario ius omnium in omnia è
semplicemente un diritto indefinito, e non un diritto limitativo che escluda altri dal suo beneficio. II
diritto alla proprietà privata non è dunque implicito nella legge di natura ma presuppone una
convenzione, tacita o espressa, in base alla quale gli uomini ne stabiliscono limiti e forme ancor
prima dell'istituzione vera e propria dello stato. Con tutto ciò il diritto di proprietà è un istituto di
diritto naturale, anziché positivo, nel senso che la sua opportunità viene riconosciuta dalla retta
ragione in considerazione delle condizioni della vita sociale. Nel passaggio allo stato civile,
Pufendorf distingue formalmente il preliminare pactus unionis tra eguali, i cui contraenti—singuli
cum singulis— deliberano di associarsi in perpetuo provvedendo con comuni delibere alla comune
salvezza e sicurezza, il pactus ordinationis, che istituisce la forma di governo, infine il pactus
subiectionis, come i precedenti libero e volontario, con cui la società nel suo insieme conferisce il
potere all'autorità civile, instaura la personalità morale e giuridica dello stato e obbliga tutti i
contraenti all'obbedienza. La distinzione sottolinea sia la libertà del corpo sociale di scegliere il
sistema istituzionale, sia i limiti costituzionali cui è contrattualmente tenuta l'autorità civile nei
riguardi dei diritti individuali e sociali, che non vengono (come in Hobbes) conferiti per intero al
sovrano. Lo stato realizza l'unione perpetua di tutte le volontà particolari che, sottoponendosi alla
volontà dell' autorità civile , ne accolgono l ' opera legislativa in merito ai fini e alla sicurezza della
società. Pufendorf applica anche allo stato la titolarità del diritto di autoconservazione. Qui,
assecondando la logica centralizzatrice dell'assolutismo, vedendo nella divisione e nella delegabilità
dei poteri una permanente minaccia di frantumazione e di conflitto, Pufendorf, come già Hobbes,
teorizza l'unicità, indivisibilità e inalienabilità del potere. Il principio di autoconservazione dà altresì
facoltà allo stato, ove ne sia minacciata l'integrità e la sicurezza, di sospendere i principi del diritto
naturale nell'attività legislativa. Una rilevante correzione rispetto a Hobbes riguarda invece l'origine
dell'obbligazione. La legge è a quella deliberazione con cui il sovrano obbliga il suddito ad agire in
conformità delle sue prescrizioni". Ora, poiché diritto non è ciò che impone il più forte, "il diritto di
comandare non può fondarsi sulla sola e nuda onnipotenza"; la volontà del sovrano deve essere una
volontà razionale, non un mero e insindacabile arbitrio. Disponendo del monopolio della forza, lo
stato può "infliggere ai trasgressori dell'utilità comune un male presente e sensibile " . Ma la forza
coattiva dello stato e la constatazione utilitaristica che la trasgressione ha un prezzo superiore
all'osservanza della legge sono solo la fonte "esterna" dell'obbligazione. Come il potere civile non
nasce dalla pura forza o da una superiorità naturale di qualcuno, così pure la mera coercizione e il
timore della pena non bastano a impedire al suddito di tentare di sottrarsi all'obbligazione. A tale
forza esterna, per quanto grande, Pufendorf associa una forza interna", il contenuto razionale della
legge, la persuasività delle sue giuste motivazioni, che introduce "un vincolo interno alla libertà
della nostra volontà".

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