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Il diritto di ignorare lo stato

Herbert Spencer

1. Come corollario della proposizione che tutte le istituzioni devono essere subordinate alla legge dell’eguale
libertà, non possiamo che ammettere il diritto del cittadino ad adottare una condizione di illegalità volontaria.
Se ogni uomo ha la libertà di fare tutto quello che vuole, a patto che non violi l’eguale libertà di ogni altro
uomo, allora è libero di interrompere il rapporto con lo stato, di rinunciare alla sua protezione e di rifiutare di
pagare per il suo mantenimento. È di per sé evidente che comportandosi così egli non interferisce
indebitamente in alcun modo nella libertà degli altri, in quanto la sua posizione è passiva, e finché resta
passiva non può diventare un aggressore. È egualmente di per sé evidente che egli non può esser costretto a
continuare a far parte di una corporazione politica senza un’infrazione alla legge morale, alla luce del fatto
che la cittadinanza comporta il pagamento delle tasse, e sottrarre la proprietà di un uomo contro la sua
volontà è una violazione dei suoi diritti1. Essendo il governo semplicemente un agente assunto in comune da
un numero di individui per assicurarsi certi vantaggi, l’autentica natura del rapporto implica che sta ad
ognuno dire se vuole impiegare tale agente o no. Se qualcuno di loro decide di ignorare questa
confederazione di mutua sicurezza, nulla può esser detto eccetto che egli perde ogni pretesa ai suoi buoni
uffici e si espone al pericolo di maltrattamento – cosa che ha la piena libertà di fare se gli piace. Egli non può
esser costretto in una associazione politica senza un’infrazione alla legge dell’eguale libertà; può ritirarsi
senza commettere alcuna infrazione, e ha quindi diritto di ritirarsi in questo modo.

2. «Nessuna legge umana ha alcuna validità se contraria alla legge di natura; e quelle che sono valide
derivano tutta la loro forza e tutta la loro autorità mediatamente o immediatamente da questa origine». Così
scrive Blackstone2, al quale va reso l’onore di aver espresso idee così avanzate rispetto a quelle del suo
tempo, e anche, possiamo ben dirlo, a quelle del nostro. Un buon antidoto, questo, per quelle superstizioni
politiche che prevalgono così largamente. Un buon freno a quel sentimento di adorazione del potere che
ancora ci trae in inganno magnificando le prerogative dei governi costituzionali così come una volta fece di
quelli dei monarchi. Fate che gli uomini imparino che un’assemblea legislativa non è “il nostro Dio sulla
terra”, sebbene per l’autorità che essi le ascrivono e le cose che ne attendono sembrerebbero pensarlo. Che
imparino piuttosto che è un’istituzione che serve uno scopo meramente temporaneo, il cui potere, quando
non rubato, è nella migliore delle ipotesi preso in prestito.
Anzi, non abbiamo anche visto3 che il governo è essenzialmente immorale? Non è esso la progenie
del male, recante tutti i segni della sua origine? Non esiste perché esiste il crimine? Non è forte, o come
diciamo, dispotico, quando il crimine è grande? Non vi è più libertà, ovvero, meno governo, non appena il
crimine diminuisce? E non deve cessare il governo quando cessa il crimine per assoluta mancanza di oggetti
su cui esercitare la sua funzione? Non solo il potere dell’autorità esiste a causa del male, ma esso esiste per
mezzo del male. La violenza è usata per mantenerlo, e ogni violenza comporta criminalità. I soldati, i
poliziotti e i carcerieri; le spade, i manganelli e le catene, sono strumenti per infliggere pena, e ogni pena
inflitta è in astratto male. Lo stato impiega le armi del male per soggiogare il male, ed è nello stesso modo
contaminato dagli oggetti con cui ha a che fare e dai mezzi con cui opera. La moralità non può riconoscerlo,
perché essendo la moralità semplicemente un’enunciazione della legge perfetta non può dare approvazione
ad alcuna cosa che derivi e viva di infrazioni a quella legge4. Di conseguenza, l’autorità legislativa non può
mai essere etica – deve sempre essere meramente convenzionale.
Perciò, vi è una certa incoerenza nel tentativo di determinare la giusta posizione, struttura e condotta
di un governo facendo appello ai principî primi della rettitudine. In quanto, come già indicato, gli atti di
un’istituzione che è imperfetta sia per natura sia per origine non possono essere resi conformi alla legge
1
Spencer nel testo rimanda al cap. X, The Right of Property, p. 121: «taking away another’s property in an infringement
of the law of equal freedom and is therefore wrong». (NdC.)
2
Sir William Blackstone (1723-1780), giurista e giudice inglese, professore di common law a Oxford, scrisse i
Commentaries on the Laws of England, del 1765; la citazione di Spencer è tratta dall’Introduction, Section the Second,
Of the Nature of Laws in General. (NdC.)
3
Spencer nel testo rimanda all’Introduction, The Doctrine of Expediency, p. 14: «as civilization advances, does
government decay. To the bad it is essential; to the good, not. It is the check which national wickedness makes to itself,
and exists only to the same degree. Its continuance is proof of still-existing barbarism». (NdC.)
4
Spencer nel testo rimanda al cap. I, Definition of Morality, pp. 51-54. (NdC.)
perfetta. Tutto quello che possiamo fare è accertare, primo, in quale atteggiamento un’assemblea legislativa
debba stare nei confronti della comunità per evitare di essere con la sua mera esistenza un male
personificato; secondo, in che modo essa debba essere costituita per presentare la minor incongruità con la
legge morale; terzo, a quale sfera debbano essere limitate le sue azioni per impedirle di moltiplicare quelle
infrazioni dell’equità per impedire le quali essa è istituita.
La prima condizione cui conformarsi prima che un’assemblea legislativa possa essere istituita senza
violare la legge dell’eguale libertà è il riconoscimento del diritto ora in discussione – il diritto di ignorare lo
stato5.

3. I fautori del dispotismo puro possono opportunamente credere che il controllo dello stato debba essere
illimitato e senza condizioni. Coloro che affermano che gli uomini sono fatti per i governi e non i governi per
gli uomini, possono coerentemente sostenere che nessuno può collocarsi fuori dai confini
dell’organizzazione politica. Ma coloro che asseriscono che il popolo è l’unica fonte legittima del potere –
che l’autorità legislativa non è originale ma delegata – non possono negare il diritto di ignorare lo stato senza
impigliarsi in un’assurdità.
Perché se l’autorità legislativa è delegata, ne consegue che coloro da cui procede sono i padroni di
coloro a cui è conferita: ne consegue ulteriormente che come padroni conferiscono la detta autorità
volontariamente: e ciò implica che possono darla o trattenerla come loro aggrada. Definire “una delega” ciò
che in realtà viene sottratto agli uomini, siano essi d’accordo o meno, non ha alcun senso. Ma quel che è vero
in questo caso di tutti collettivamente è egualmente vero di ciascuno separatamente. Come un governo può
agire a buon diritto per il popolo solo quando autorizzato dal popolo, così esso può anche agire a buon diritto
per l’individuo, solo quando da lui autorizzato. Se A, B e C dibattono se assumere un agente per compiere un
certo servizio per loro, e se A e B sono d’accordo mentre C non lo è, C non può essere equamente
considerato parte dell’accordo suo malgrado. E ciò deve essere egualmente vero per trenta come per tre: e se
vale per trenta, perché non per trecento o tremila o tre milioni?

4. Delle superstizioni politiche da ultimo evocate, nessuna è così universalmente diffusa come la nozione che
le maggioranze sono onnipotenti. Sotto l’impressione che la conservazione dell’ordine richiederà sempre che
il potere venga esercitato da qualcuno, il senso morale del nostro tempo crede che tale potere non possa esser
conferito a buon diritto che alla porzione maggiore della società. Esso interpreta letteralmente il detto che “la
voce del popolo è la voce di Dio”, e trasferendo all’uno la sacralità legata all’altro, conclude che alla volontà
del popolo, cioè della maggioranza, non c’è appello. Tuttavia questa credenza è completamente erronea.
Supponiamo, per amore delle discussione, che, colpita da un qualche panico malthusiano,
un’assemblea legislativa che rappresenta debitamente l’opinione pubblica stia per stabilire che tutti i bambini
nati nei prossimi dieci anni debbano essere annegati. C’è qualcuno che pensa che tale legge sarebbe
giustificabile? Se no, evidentemente vi è un limite al potere della maggioranza. Supponiamo, ancora, che di
due razze che vivono insieme – i Celti e i Sassoni, per esempio – i più numerosi fossero determinati a
rendere loro schiavi gli altri. Sarebbe valida in tal caso l’autorità del maggior numero? Se no, c’è qualcosa a
cui la sua autorità deve essere subordinata. Supponiamo, ancora una volta, che tutti gli uomini con un reddito
sotto le 50 sterline all’anno fossero sul punto di stabilire di ridurre ogni reddito sopra quell’ammontare al
loro livello, e di appropriarsi dell’eccesso per scopi pubblici. La loro decisione potrebbe essere giustificata?
Se no, dev’essere confessato per la terza volta che c’è una legge a cui la voce del popolo deve rimettersi. Che
cos’è, quindi, quella legge, se non la legge della pura equità, la legge dell’eguale libertà? Queste restrizioni,
che tutti porrebbero alla volontà della maggioranza, sono esattamente le restrizioni istituite da quella legge.
Neghiamo il diritto di una maggioranza a uccidere, schiavizzare, o derubare, semplicemente perché
l’omicidio, la riduzione in schiavitù e la rapina sono violazioni di quella legge, violazioni troppo evidenti per
poter passare inosservate. Ma se le violazioni grandi sono un male, lo sono anche le violazioni più piccole.
Se la volontà dei molti non può sostituire il principio primo della moralità in questi casi, non lo può in alcun
caso. Di modo che, per quanto insignificante la minoranza, e per quanto trascurabile la violazione proposta
contro i suoi diritti, nessuna violazione di questo tipo è ammissibile.
Quando avremo reso la nostra costituzione puramente democratica, pensa tra sé il serio riformatore,
avremo posto il governo in armonia con la giustizia assoluta. Questa fede, benché forse necessaria in
quest’epoca, è completamente erronea. Nessun procedimento può rendere equa la coercizione. La più libera
forma di governo è solo la meno discutibile. Il dominio dei molti da parte dei pochi lo chiamiamo tirannia: il

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Da qui può esser derivato un argomento a favore della tassazione diretta, in quanto solo quando la tassazione è diretta
il ripudio degli oneri dello stato diventa possibile.

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dominio dei pochi da parte dei molti è pure tirannia, solamente di un genere meno intenso. “Tu farai come
vogliamo noi e non come tu vuoi” è la dichiarazione in entrambi i casi: e se i cento la fanno ai novantanove,
invece che i novantanove ai cento, è meno immorale solo di una frazione. Qualunque di questi due partiti
compia questa dichiarazione infrange necessariamente la legge dell’eguale libertà: la sola differenza sta nel
fatto che da parte dell’uno è infranta nelle persone dei novantanove, da parte dell’altro è infranta nelle
persone dei cento. E il merito della forma democratica di governo consiste solamente in questo, che essa
compie una violazione contro il numero più piccolo.
La stessa esistenza di maggioranze e minoranze è indicativa di uno stato immorale. L’uomo il cui
carattere si armonizza con la legge morale, troviamo sia uno che può ottenere la felicità completa senza
diminuire la felicità dei suoi simili6. Ma dare col voto attuazione a pubblici accordi implica una società che
consista di uomini altrimenti costituiti, implica che i desideri di alcuni non possano essere soddisfatti senza
sacrificare i desideri di altri, implica che nella ricerca della sua felicità la maggioranza infligga un certo
ammontare di infelicità alla minoranza, implica, quindi, immoralità organica. Così, da un altro punto di vista,
percepiamo di nuovo che anche nella sua forma più equa è impossibile per il governo dissociarsi dal male; e
inoltre, che i suoi atti devono essere essenzialmente criminali a meno che non sia riconosciuto il diritto di
ignorare lo stato.

5. Che un uomo sia libero di abbandonare i benefici e scrollarsi di dosso gli oneri della cittadinanza può
essere invero dedotto dalle ammissioni delle autorità esistenti e dell’opinione corrente. Impreparati come
probabilmente sono per una dottrina così estrema come quella qui sostenuta, i radicali dei giorni nostri,
benché involontariamente, professano la loro credenza in una massima che ovviamente esprime questa
dottrina. Non li sentiamo citare continuamente l’asserzione di Blackstone che «nessun suddito d’Inghilterra
può essere costretto a pagare alcun tributo o tassa anche per la difesa del regno o il sostegno del governo, se
non quelle che sono imposte con il suo consenso o con quello dei suoi rappresentati in parlamento»7? E cosa
significa questo? Significa, dicono, che ogni uomo dovrebbe contare per un voto. Vero: ma significa molto di
più. Se le parole hanno un senso, è la chiara enunciazione proprio del diritto che è oggetto di discussione.
Affermando che un uomo non possa essere tassato a meno che egli abbia direttamente o indirettamente dato
il suo consenso, si afferma che egli può così rifiutare di essere tassato; e rifiutare di essere tassato è tagliare
ogni rapporto con lo stato. Forse si dirà che questo consenso non è specifico ma generale e che è inteso che il
cittadino abbia dato il suo assenso ad ogni cosa che il suo rappresentante possa fare quando egli ha votato per
lui. Ma supponiamo che egli non abbia votato per lui e, al contrario, abbia fatto tutto ciò che era in suo potere
per eleggere qualcuno che sostiene idee opposte – cosa diremmo allora? La risposta, probabilmente, sarebbe
che, prendendo parte alle elezioni, egli ha tacitamente consentito ad attenersi alla decisione della
maggioranza. E come la mettiamo se egli non ha votato affatto? Ebbene, in questo caso non può giustamente
lamentarsi di alcuna tassa, visto che non ha protestato contro la sua imposizione. In questo modo, abbastanza
curiosamente, sembra che egli abbia dato il suo consenso in qualunque modo abbia agito – sia che abbia
detto sì, sia che abbia detto no, sia che sia rimasto neutrale! Una dottrina piuttosto imbarazzante questa.
Troviamo qui uno sfortunato cittadino cui si chiede se vorrà pagare del denaro per un certo vantaggio
prospettato; e sia che egli impieghi l’unico mezzo per esprimere il suo rifiuto, sia che non lo impieghi, ci
viene detto che egli praticamente acconsente, se solo il numero degli altri che acconsentono è maggiore del
numero di quelli che dissentono. E così siamo introdotti nel nuovo principio che il consenso di A ad una cosa
non è determinato da quello che dice A ma da quello che può darsi il caso che dica B!
Sta a coloro che citano Blackstone scegliere tra questa assurdità e la dottrina esposta sopra. O la sua
massima implica il diritto di ignorare lo stato, oppure è una sciocchezza assoluta.

6. C’è una strana eterogeneità nelle nostre fedi politiche. Sistemi che hanno avuto il loro momento e stanno
cominciando qua e là a mostrare l’usura del tempo sono rattoppati con nozioni moderne totalmente diverse
per qualità e colore; ed esistono uomini che espongono con serietà questi sistemi, li indossano e se ne vanno
in giro così conciati, del tutto inconsapevoli della loro stravaganza. Questo nostro periodo di transizione, che
partecipa in modo eguale del passato e del futuro, genera teorie ibride che esibiscono la più insolita unione
tra il dispotismo lasciato alle spalle e la libertà avvenire. Vi sono esempi dell’antica organizzazione
curiosamente travisati dai germi della nuova – peculiarità nate dall’adattamento ad uno stato precedente, ma
modificate da rudimenti che prefigurano qualcosa che ancora non esiste – che creano, complessivamente,

6
Spencer nel testo rimanda al cap. III, The Divine Idea, and the Conditions of its Realization, pp. 60-66. (NdC.)
7
Blackstone, Commentaries, Book the First, Of the Rights of Persons, Chapter the First, Of The Absolute Rights of
Individuals. (NdC.)

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una mescolanza di relazioni tanto caotica da rendere impossibile l’assegnazione di questi parti della nostra
epoca all’una o all’altra classe.
Siccome le idee devono di necessità recare il sigillo del tempo, è inutile lamentare l’appagamento
con cui queste credenze incoerenti sono considerate. Altrimenti sarebbe deplorevole che gli uomini non
seguissero fino in fondo la serie di ragionamenti che hanno condotto a queste modifiche parziali. Nel caso
presente, per esempio, la coerenza li costringerebbe ad ammettere che, su altri punti oltre quello appena
considerato, essi sostengono opinioni e usano argomenti in cui il diritto di ignorare lo stato è implicito.
Perché, qual è il significato del Dissenso? Ci fu un tempo in cui la fede di un uomo e la forma del
suo culto erano determinabili per legge come i suoi comportamenti civili; e, secondo provvedimenti ancora
esistenti nella nostra raccolta di leggi, lo sono tuttora. Grazie alla crescita dello spirito Protestante, tuttavia,
abbiamo ignorato lo stato in questo campo – interamente in teoria e parzialmente in pratica. Ma come lo
abbiamo fatto? Assumendo un atteggiamento che, se tenuto con coerenza, implica un diritto di ignorare lo
stato interamente. Osserviamo le posizioni dei due partiti. “Questo è il tuo credo”, dice il legislatore; “devi
credere e professare apertamente ciò che qui è scritto per te”. “Non farò niente del genere”, risponde il
nonconformista, “piuttosto andrò in prigione”. “I tuoi riti religiosi”, prosegue il legislatore, “saranno come li
abbiamo prescritti. Frequenterai le chiese che abbiamo finanziato e adotterai le cerimonie che vi sono usate”.
“Nulla mi indurrà a farlo”, è la replica; “nego completamente il tuo potere di darmi ordini in questo campo e
intendo resistere fino all’estremo”. “Da ultimo”, aggiunge il legislatore, “ti obbligheremo a pagare la tal
somma di denaro per il sostegno di queste istituzioni religiose, come riterremo opportuno di chiedere”. “Non
avrete un centesimo da me”, esclama il nostro saldo Indipendente: “anche se credessi nelle dottrine della tua
chiesa (il che non è), mi ribellerei ancora contro la tua interferenza; e se tu prenderai la mia proprietà, ciò
accadrà con la forza e contro la mia volontà”.
Ora, che cosa significa questo modo di agire se considerato in astratto? Significa un’affermazione da
parte dell’individuo del diritto di esercitare una delle sue facoltà – il sentimento religioso – senza
autorizzazione o impedimento, e senza limiti tranne quello rappresentato dalle eguali pretese degli altri. E
che cosa si intende con ignorare lo stato? Semplicemente un’affermazione del diritto di esercitare allo stesso
modo tutte le facoltà. L’una è esattamente un’espansione dell’altra – riposa sulla stessa base dell’altra – deve
stare o cadere con l’altra. Gli uomini parlano invero della libertà civile e religiosa come cose differenti, ma la
distinzione è del tutto arbitraria. Esse sono parti dello stesso tutto e non possono essere filosoficamente
separate.
“Sì, lo possono”, interviene un contraddittore; “l’affermazione dell’una è imperativa essendo un
dovere religioso. La libertà di adorare Dio nel modo che gli sembra giusto è una libertà senza la quale un
uomo non può adempiere quelli che crede essere i comandamenti Divini, e quindi la coscienza gli ordina di
affermarla”. Abbastanza vero; ma cosa accade se lo stesso può essere affermato per tutta l’altra libertà, e se
l’affermazione anche di questa si rivela essere una questione di coscienza? Non abbiamo visto che la felicità
umana è volontà Divina – che solo esercitando le nostre facoltà si può ottenere la felicità – e che è
impossibile esercitarle senza libertà?8 E se questa libertà per l’esercizio delle facoltà è una condizione senza
la quale la volontà Divina non sarà adempiuta, la sua preservazione è, per ammissione del nostro stesso
contraddittore, un dovere. O, in altre parole, appare non solo che l’affermazione della libertà d’azione può
essere un punto di coscienza, ma che dovrebbe esserlo. E così ci è chiaramente dimostrato che le pretese di
ignorare lo stato nei campi religioso e civile sono in essenza identiche.
L’altra ragione comunemente riconosciuta per il nonconformismo può essere discussa e interpretata
allo stesso modo. Oltre a resistere agli ordini dello stato in astratto, il dissidente resiste tramite la
disapprovazione delle dottrine che gli vengono insegnate. Nessuna ingiunzione legislativa gli farà adottare
ciò che considera una credenza erronea; e, tenendo a mente il suo dovere verso i suoi simili, rifiuta di aiutare
per mezzo della sua borsa la diffusione di questa credenza erronea. La posizione è perfettamente
comprensibile. Ma se non impegna i suoi aderenti anche al nonconformismo civile, non può che lasciare
aperto un dilemma. Infatti, perché rifiutano di essere strumento di diffusione dell’errore? Perché l’errore è
contrario alla felicità umana. E su quale base è oggetto di disapprovazione un testo della legislazione civile?
Per la stessa ragione – perché ritenuto contrario alla felicità umana. Come può quindi esser dimostrato che
allo stato si dovrebbe resistere in un caso e non nell’altro? Qualcuno affermerà deliberatamente che se un
governo ci chiede denaro per sostenere l’insegnamento di qualcosa che pensiamo produrrà del male,
dovremmo rifiutarci; ma che se il denaro serve allo scopo di fare quello che pensiamo produrrà del male, non
dovremmo rifiutarci? Eppure tale è la fiduciosa posizione che devono sostenere coloro che riconoscono il
diritto di ignorare lo stato in campo religioso ma lo negano in campo civile.

8
Spencer nel testo rimanda al cap. IV, Derivation of a First Principle, pp. 67-83. (NdC.)

4
7. La sostanza di questo capitolo ci rammenta ancora una volta l’incongruità tra una legge perfetta e uno
stato imperfetto. La praticabilità del principio qui esposto varia direttamente con la moralità sociale. In una
comunità interamente viziosa la sua ammissione produrrebbe l’anarchia. In una comunità completamente
virtuosa la sua ammissione sarebbe sia innocua sia inevitabile. Il progresso verso una condizione di
prosperità – una condizione, cioè, in cui le misure correttive della legislazione non saranno più necessarie –,
è progresso verso una condizione in cui quelle misure correttive verranno messe da parte e l’autorità che le
prescrive non rispettata. I due cambiamenti sono di necessità coordinati. Quel senso morale la cui supremazia
renderà la società armoniosa e il governo non necessario è lo stesso senso morale che farà quindi sì che ogni
uomo affermi la sua libertà addirittura fino al limite di ignorare lo stato – è lo stesso senso morale che,
dissuadendo la maggioranza dall’esercitare la coercizione sulla minoranza, renderà alla fine il governo
impossibile. E poiché quelle che sono manifestazioni meramente differenti dello stesso sentimento devono
avere un rapporto reciproco costante, la tendenza a ripudiare i governi aumenterà solo allo stesso ritmo che il
governo diventerà superfluo.
Che nessuno si allarmi, quindi, per la promulgazione della precedente dottrina. Ci sono ancora
numerosi cambiamenti da attraversare prima che possa cominciare ad esercitare una qualche influenza.
Probabilmente passerà molto tempo prima che il diritto di ignorare lo stato sia generalmente ammesso, anche
in teoria. Ne dovrà passare anche di più prima che esso riceva riconoscimento legislativo. E anche allora ci
saranno controlli in grande quantità sul suo prematuro esercizio. Una dura esperienza istruirà a sufficienza
coloro che potrebbero abbandonare troppo presto la protezione legale. Mentre, nella maggioranza degli
uomini, c’è un tale amore delle soluzioni collaudate e un terrore così grande degli esperimenti, che essi
probabilmente non agiranno in base a questo diritto se non molto tempo dopo che sarà diventato sicuro farlo.

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