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Vito Velluzzi

LA DISTINZIONE TRA ANALOGIA GIURIDICA


E INTERPRETAZIONE ESTENSIVA

1. Attualità della questione e finalità del saggio

Se l’analogia giuridica e l’interpretazione estensiva si possano distin-


guere e sotto quale profilo sia possibile (e/o opportuno) farlo, sono
questioni dibattute con vivacità da lungo tempo, sia nella teoria del
diritto contemporanea, sia in altri campi del sapere giuridico (1). Il tema
oggetto di questo saggio è, pertanto, sia un evergreen, sia aspramente
dibattuto e tutt’ora appassiona e divide: per meglio comprendere, anzi
per ribadire, le ragioni che lo rendono di particolare interesse per i teo-
rici del diritto e non solo per essi, conviene prendere le mosse da alcu-
ne vicende giurisprudenziali e dottrinali.
Alcuni mesi addietro il Tribunale penale di Roma ha condannato a
dieci giorni di reclusione due responsabili di Radio vaticana per aver
provocato inquinamento elettromagnetico sulla base dell’art. 674 del
Codice penale riguardante il «Getto pericoloso di cose» che così dispo-
ne: «Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un
luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o
imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla
legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali
effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206
euro». Orbene, la produzione di onde elettromagnetiche in quali termi-

(1) Non sto qui a ricordare cose note a qualsiasi operatore e studioso del diritto,
come la previsione dell’analogia e del divieto del ricorso ad essa per le norme penali ed
eccezionali (rispettivamente art. 12, comma 2°, e art. 14 delle Preleggi). Un quadro
complessivo della letteratura è offerto da M. FRACANZANI, Analogia e interpretazione
estensiva nell’ordinamento giuridico, Giuffrè, Milano, 2003.
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ni è riconducibile al gettare o versare cose oppure all’emettere gas,


vapori o fumo? (2)
Uscendo dall’ambito penale ove la questione assume particolare rile-
vanza, non mancano di certo spunti esemplificativi (3). Riprendo due
esempi formulati in un saggio recente (4). L’art. 1333 del Codice civile
regola la fattispecie del «Contratto con obbligazioni del solo proponen-
te» e stabilisce che «La proposta diretta a concludere un contratto da
cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena
giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. (1° comma). Il
destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura
dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è conclu-
so». Si discute, sia in dottrina, sia in giurisprudenza se per mezzo di tale
procedimento si possano produrre solo effetti obbligatori, o anche
effetti reali (ad esempio l’acquisto della proprietà di un bene immobi-
le). Una parte di chi si schiera a favore della produzione di effetti reali
così argomenta: il particolare meccanismo delineato dall’art. 1333 c.c.
si giustifica in quanto diretto a produrre nella sfera del destinatario
della proposta «effetti favorevoli»; anche la produzione di effetti reali
può rivelarsi favorevole per il destinatario della proposta, ergo non si
può escludere che la fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. possa servire a
produrre effetti reali, sempre che siano favorevoli per l’oblato (5). La
ratio della norma così individuata serve ad accreditare l’interpretazione
estensiva, l’analogia o qualche altro ragionamento?

(2) Trib. Roma, 10 maggio 2005, salvo errori inedita.


(3) Per il diritto amministrativo v. il saggio di Q. CAMERLENGO, Il giudice ammini-
strativo e l’analogia, in Diritto processuale amministrativo, 2003, p. 1076 ss.; per il dirit-
to penale la letteratura è vastissima, mi limito a segnalare un contributo risalente, ma
che contiene spunti esemplificativi di interesse, vale a dire M. BOSCARELLI, Analogia e
interpretazione estensiva nell’ordinamento, Priulla Editore, Palermo, 1955, specie pp.
67 ss; per il diritto civile e non solo v. G. ALPA, Il ricorso all’analogia nella giurispruden-
za. Esempi, tecniche, stili, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, specie pp. 50 ss.
(4) A. BELVEDERE, Interpretazione estensiva e analogia: alcune considerazioni, in
Diritto privato, 2001-2002, Cedam, Padova, 2003, pp. 557-577.
(5) Si tralasciano in questa sede tutta una serie di questioni legate all’art. 1333 c.c.,
v. per due sintesi efficaci F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Esi, Napoli, 2004, pp.
840-845; E. ROPPO, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 124-128, nonché le dense
pagine di R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, I, Utet, Torino, 1993, pp. 75 ss.
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Ed ancora. L’art. 9, comma 2°, della legge sulla cessazione degli


effetti civili del matrimonio (comunemente detta legge sul divorzio)
dispone che «In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniu-
ge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniu-
ge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a
nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla
pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il
trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza» (6). Taluni sosten-
gono che può chiedere ed ha diritto a ricevere la pensione di reversibi-
lità l’ex coniuge superstite che pur non essendo titolare di assegno, pos-
siede in astratto i requisiti per esserlo, vale a dire: non v’è titolarità per-
ché l’assegno non è stato chiesto, ma titolarità vi sarebbe stata se l’asse-
gno fosse stato chiesto. Ma l’attribuzione della pensione di riversibilità
all’ex coniuge titolare «potenziale» e non effettivo dell’assegno a fronte
della formulazione normativa «sempre che sia titolare di assegno» è
conseguenza di quale ragionamento? Si tratta di interpretazione esten-
siva? Di analogia?
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ed essere tratti dai più dispara-
ti ambiti disciplinari. In questo breve saggio intendo sostenere che la
distinzione tra interpretazione estensiva ed analogia è sensata, opportu-
namente formulabile sul piano teorico e concettuale, ed il modo più
plausibile e fondato di distinguere è forse il più banale e agli occhi degli
studiosi tra i più usurati (7). Per raggiungere questo obiettivo dovrò
introdurre una tricotomia, ovvero interpretazione estensiva, integrazio-
ne analogica, integrazione non analogica, nonché indicare la teoria del-
l’interpretazione che sta sullo sfondo della stessa e stimolare l’attenzio-
ne dei teorici del diritto e dei giuristi sull’integrazione non analogica:
terreno troppo poco esplorato dai primi e per lo più inconsapevolmen-
te battuto dai secondi, ma ricco di suggestioni.

(6) Sui problemi interpretativi posti da questa formulazione normativa cfr. C.


RUPERTO (a cura di), La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro
I, tomo II, Giuffrè, Milano, 2005, sub art. 9, l. 898 del 1970.
(7) Un primo tentativo in tal senso nel mio Sulla nozione di «interpretazione giuridi-
ca corretta» (e sui suoi rapporti con l’interpretazione estensiva), in Cassazione penale, 7/8-
2004, pp. 2588-2598.
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2. A che punto siamo riguardo alla distinzione

I punti in discussione da tempo ormai immemorabile e tra loro con-


nessi sono due: se interpretazione estensiva e analogia giuridica si pos-
sano distinguere, e ove si sostenga che possono essere distinte, quale sia
il criterio per farlo.
Per mezzo dell’analogia giuridica si applica la conseguenza giuridica
prevista da una norma ad una fattispecie concreta riconducibile ad una
classe di casi diversa ma simile in maniera rilevante alla classe di casi
contemplata dalla norma. Per dirla con le parole di Amedeo G. Conte
«… l’interpretazione analogica della norma: ‘Se p, deve a’ darà ad essa
questa forma: ‘Se p o se q analogo a p, deve a’. ‘p’ e ‘q’ indicano classi
di comportamenti …. ‘a’ indica le conseguenze giuridiche dei compor-
tamenti contemplati nella pròtasi» (8). Il criterio per mezzo del quale si
stabilisce la rilevanza della somiglianza è indicato dai giuristi e dai teo-
rici del diritto, di consueto, nella ratio legis: denominata a volte sempli-
cemente ratio, o ragione giustificatrice, o fondamento, o, come in
Norberto Bobbio, ragion sufficiente della norma e viene variamente
caratterizzata (9). Si interpreta estensivamente se il significato di una
formulazione normativa viene ampliato rispetto al significato determi-

(8) A.G. CONTE, Ricerche in tema d’interpretazione analogica (1957), ora in Id.,
Filosofia dell’ordinamento normativo. Studi 1957-1968, Giappichelli, Torino, 1997, p.
26, n. 58. In quella sede Conte mette correttamente in luce che tale struttura logica del
ragionamento analogico in campo giuridico, ponendo l’accento sul fatto che la somi-
glianza determina applicazione della medesima conseguenza giuridica, elimina il difet-
to della configurazione dell’analogia fornita da Norberto BOBBIO nel suo L’analogia
nella logica del diritto, Memorie dell’Istituto giuridico dell’Università di Torino, Torino,
1938, p. 87 ss., ristampa inalterata a cura di P. DI LUCIA, Giuffrè, Milano, 2006, ove
invece la struttura logica finiva col risolvere la somiglianza nell’identità delle fattispecie,
secondo lo schema Q è P; S è simile a Q; S è P. Adeguata invece la nozione di analogia
giuridica proposta da Bobbio nella voce Analogia (1957), in Id., Contributi ad un dizio-
nario giuridico, Giappichelli, Torino, 1994, p. 1: «S’intende per ‘analogia giuridica’, o,
con altre espressioni, ‘ragionamento per analogia’, ‘procedimento per analogia’, ‘esten-
sione analogica’, ‘interpretazione analogica’, quell’operazione, compiuta dagli interpre-
ti del diritto (giuristi e giudici in specie), mediante la quale si attribuisce ad un caso o
ad una materia, che non trovano una regolamentazione espressa nell’ordinamento giu-
ridico, la stessa disciplina prevista dal legislatore per un caso o per una materia simili».
(9) Sulla ratio legis è eccellente il contributo di E. DICIOTTI, Interpretazione della
legge e discorso razionale, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 398-413.
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nato in precedenza, ovviamente per la medesima formulazione norma-


tiva. L’interpretazione assunta come termine di relazione dell’interpre-
tazione estensiva è per molti quella letterale o prima facie, per taluni una
qualsiasi altra interpretazione della formulazione normativa (10).
Queste due definizioni di analogia giuridica e interpretazione esten-
siva sono in grado di raggruppare buona parte delle nozioni proposte
nella letteratura più e meno recente (11). Dove risiede, dunque, il pro-
blema del poter o meno distinguere analogia giuridica e interpretazio-
ne estensiva? Da un lato la distinzione appare a prima vista chiara:
l’analogia presuppone una lacuna e la colma estendendo una conse-
guenza giuridica ad una fattispecie non prevista sulla base di una somi-
glianza rilevante con la fattispecie regolata da una norma (12); l’interpre-

(10) Per la prima tesi v. R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi,


Giuffrè, Milano, 2004, p. 158; per la seconda P. CHIASSONI, La giurisprudenza civile.
Metodi d’interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè, Milano, 1999, p. 631; per
alcuni cenni alla giurisprudenza rinvio a V. VELLUZZI, Interpretazione sistematica e pras-
si giurisprudenziale, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 80-84. Si è soliti istituire una per-
fetta specularità tra interpretazione estensiva e restrittiva, ma per il vero le cose non
sono tanto semplici e la nozione di interpretazione restrittiva comporta una vasta serie
di complicazioni teoriche.
(11) Si assume qui che analogia legis e iuris non si differenzino sul piano qualitativo
bensì che la differenza sia di grado. Si tratta di opinione pressoché pacifica v. per tutti
L. GIANFORMAGGIO, L’analogia giuridica, in Id., Studi sulla giustificazione giuridica,
Giappichelli, Torino, 1986, pp. 150-151. Nel testo si argomenta prendendo a riferimen-
to l’analogia legis, ma quanto si è or ora precisato rende il discorso adattabile anche
all’analogia iuris.
(12) Avvertenza: si tratta pur sempre di un raffronto tra classi di casi. Riguardo a
come vada inteso il rapporto tra lacune e analogia rinvio al mio Alcune considerazioni
su ragionamento analogico e diritto positivo, in Analisi e Diritto 1997, a cura di P.
COMANDUCCI e R. GUASTINI, Giappichelli, Torino, 1998, pp. 204-205. Sulle condizioni
per far ricorso all’analogia v. L. CAIANI, Analogia (teoria generale), in Enciclopedia del
diritto, II, Giuffrè, Milano, 1958, p. 349: «Perché si abbia ricorso all’analogia è neces-
sario quindi: 1) che manchi una norma giuridica positiva e vigente atta a qualificare
direttamente un caso su cui il giudice sia chiamato decidere; 2) che sia possibile ritro-
vare una o più norme positive … ovvero uno o più principi giuridici il cui valore qua-
lificatorio sia tale che le rispettive conseguenze giuridiche possano essere ‘estese’ o
‘applicate’ al caso originariamente non previsto sulla base dell’accertamento di un rap-
porto di somiglianza o affinità tra alcuni elementi … di quella non regolata». Sofisticato
l’apparato concettuale proposto da G. CARCATERRA, Analogia (teoria generale), in
Enciclopedia giuridica italiana, II, Treccani, Roma, 1988, pp. 8-9, il quale per fissare le
condizioni del ricorso all’analogia distingue tra: caso incluso, caso escluso, caso omes-
so e caso dubbio (su cui v. infra)
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tazione estensiva è invece operazione di natura squisitamente interpre-


tativa, nel senso che il significato della norma viene «esteso» sino a
ricomprendervi una fattispecie esclusa da una interpretazione prece-
dente. Il principale aspetto critico è dato dal fatto che entrambi i pro-
cedimenti comportano un’estensione e non è agevole sapere sino a
quale punto l’estensione operata resti interpretativa e quando invece
divenga analogica. Si tratta, insomma, del ricorrente problema attinen-
te al se il significato di una formulazione normativa sia riferibile o meno
alla fattispecie oggetto di giudizio: ove si ritenga di sì, l’operazione com-
piuta sarà denominata interpretazione estensiva, ove si ritenga di no e
si proceda all’estensione della conseguenza giuridica sulla base di una
somiglianza rilevante, l’operazione sarà denominata analogia (13).
Tuttavia, la questione è ben più complessa e in letteratura, infatti, la
differenziazione o l’assimilazione, completa o parziale, tra i due proce-
dimenti vengono argomentate da molteplici punti di vista, considerati
talvolta congiuntamente, talaltra singolarmente. Ecco una sintesi rap-
presentativa di quanto appena detto. Norberto Bobbio, ad esempio,
esprimendosi a più riprese sull’argomento, ha sostenuto dapprima che
interpretazione estensiva e analogia sono pressoché equivalenti sul
piano del ragionamento (14), per poi aderire alla posizione di Massimo
Severo Giannini (15) e sostenere successivamente che «l’interpretazione
estensiva non esiste come tertium genus tra interpretazione dichiarativa

(13) È in voga l’idea che qualsiasi ragionamento abbia natura necessariamente ana-
logica. Tuttavia, anche se così fosse gli stessi assertori di tale posizione riconoscono che
le questioni giuridiche legate all’analogia, come ad esempio il divieto di analogia per
talune norme e ambiti e la distinzione tra analogia giuridica e interpretazione estensiva,
hanno senso se collocati «… nella dimensione dell’analogia» e si può «… tracciare un
confine in qualche misura plausibile per mezzo di criteri adeguati» (A. KAUFMANN,
L’analogia. Un problema insoluto della scienza del diritto, in Id., Analogia e «natura della
cosa», trad. it., Vivarium, Napoli, 2003, p. 16). Posta in questi termini la questione rima-
ne attuale e permane l’interesse per l’oggetto di indagine: quale sia il rapporto tra ana-
logia giuridica e interpretazione estensiva, seppur all’interno di una dimensione neces-
sariamente analogica del ragionare. Resta, cioè, la specificità dell’analogia giuridica e
dei problemi che essa porta seco.
(14) N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, cit., p. 63 e pp. 139 ss.
(15) N. BOBBIO, Analogia (1957), in Id., Contributi ad un dizionario giuridico, cit.,
p. 10.
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(comprendente anche l’interpretatio lata) e procedimento per analo-


gia» (16). Massimo Severo Giannini ha sostenuto in un approfondito stu-
dio sull’analogia, salvo fraintendimenti, che l’interpretazione estensiva
non comporta, diversamente dall’analogia, il coinvolgimento di altre
norme del sistema giuridico: nel caso dell’interpretazione estensiva si
estende il significato della norma, nel caso dell’analogia si risale ad una
norma superiore che comprende sia il caso regolato, sia quello simile in
maniera rilevante da regolare (17). Per Letizia Gianformaggio l’interpre-
tazione estensiva altro non è che un’analogia facile, conforme al senso
comune dei giuristi e come tale non necessita di giustificazione (18).
Gaetano Carcaterra sostiene che sia nell’interpretazione estensiva, sia
nell’analogia entra in gioco la ratio legis: nella prima (interpretazione
estensiva) essa serve a decidere i casi dubbi, nei quali «… non si è in
grado di stabilire univocamente se la norma attribuisca o no, neghi o
no, a B la disciplina D»; nella seconda (analogia) la ratio serve a decide-
re casi omessi, ovvero casi in cui «… la norma … non attribuisce ma
neppure nega a B la disciplina D» (19). E sempre con riferimento al
ruolo della ratio legis Andrea Belvedere ritiene che l’interpretazione
estensiva si possa distinguere dall’analogia per il diverso uso della ratio
stessa: per la prima è escluso il ricorso all’argomento a simili (20).

(16) N. BOBBIO, Ancora intorno alla distinzione tra interpretazione estensiva e analo-
gia, in Giur. it, I, 1968, c. 698.
(17) M. S. GIANNINI, L’analogia giuridica, in Jus IV, 1941 e I, 1942, ora in Id., Scritti,
vol. II, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 187-255, il saggio è particolarmente utile, oltre che
per la profondità delle argomentazioni in esso contenute, per la messe di riferimenti a
saggi e manuali degli inizi del ‘900.
(18) L. GIANFORMAGGIO, L’analogia giuridica, cit., p. 150. La differenza è quindi di
mero grado.
(19) G. CARCATERRA, Analogia (teoria generale), p. 8 e p. 16.
(20) A. BELVEDERE, Interpretazione estensiva e analogia: alcune considerazioni, cit.,
specialmente pp. 568-572. Particolare attenzione meriterebbero le pagine di E. BETTI,
Interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale e dogmatica), (1949)
seconda ed. riveduta e ampliata da G. CRIFÒ, Giuffrè, Milano, 1971, 130 ss., solo che
in Betti la critica alla distinzione tra interpretazione estensiva e analogia passa attraver-
so la distinzione ulteriore tra norma e massima di decisione. Si tratta di una questione
complessa che investe le basi della teoria di Betti e non la si può affrontare in questa
sede. Nelle pagine di Betti si trova anche una accurata ricostruzione e discussione delle
tesi di Bobbio del 1938.
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Guardando alla sommaria e incompleta carrellata di opinioni ripor-


tata si possono compiere alcune osservazioni. Che due procedimenti
siano assimilabili non significa necessariamente che conducano al
medesimo risultato, dipende dal punto in cui il comune modo di pro-
cedere si arresta nell’un caso, ma non nell’altro. Tutte le opinioni ripor-
tate lasciano, inoltre, aperto un interrogativo: qual è il criterio che con-
sente di capire che un caso è dubbio o omesso, oppure che l’interpre-
tazione realizzata risponde al senso comune dei giuristi, o che si tratta
di una estensione di significato pur sempre rapportabile alla formula-
zione normativa e non di qualche altra cosa, per quanto magari non si
tratti neppure di analogia?
I punti critici sono sempre i medesimi: esaminiamoli.

3. Un quadro concettuale di riferimento: interpretazione (anche estensi-


va), integrazione analogica, integrazione non analogica

Orbene, il cammino compiuto sin qui ha messo in rilievo tre profili


fondamentali: che l’assimilazione tra analogia e interpretazione estensi-
va sul piano della struttura del ragionamento non comporta ipso facto
la loro assimilazione sul piano dei risultati del ragionamento (21); che
non ogni estensione di significato procede necessariamente secondo il
modello dell’analogia giuridica; che sia l’affermazione, sia le negazione
della distinzione presuppongono, mi pare, uno specifico modo di con-
cepire l’interpretazione giuridica.
Si rende indispensabile, dunque, muovere proprio da quest’ultimo
punto per poter proporre un quadro concettuale di riferimento ade-
guato.
L’interpretazione giuridica, o meglio quella parte di essa che riguar-
da documenti normativi, si misura con la questione della determinazio-
ne del significato dei documenti normativi medesimi. Ma cosa significa
determinare il significato dei documenti e delle formulazioni normati-

(21) In questi termini con riferimento alla più generale dicotomia interpretazione/-
integrazione si era espresso con chiarezza già L. CAIANI, Analogia (teoria generale), cit.,
352 ss.
ANALOGIA GIURIDICA E INTERPRETAZIONE ESTENSIVA 141

ve? La domanda è epocale, mi limito qui a fornire una risposta che con-
siste nell’esporre sinteticamente la teoria dell’interpretazione giuridica
da me preferita per poi valutarne i riflessi sul tema oggetto di questo
breve saggio.
In buona parte della letteratura più e meno recente di teoria del di-
ritto, specie d’indole analitica, si è soliti distinguere le teorie dell’inter-
pretazione in tre grandi filoni: formalista, scettico, intermedio. Ogni
filone presenta molteplici varianti, sovente significative (22). Perso-
nalmente aderisco allo scetticismo interpretativo moderato inteso nei
seguenti termini. Se si muove da una definizione di interpretazione giu-
ridica, al pari di quanto si è fatto, come determinazione del significato
delle formulazioni normative, si può ragionevolmente sostenere che
«determinare» il significato sia cosa diversa dallo «scoprire» e dal
«creare» il significato medesimo. Si sostiene, cioè, che nell’interpreta-
zione giuridica le soluzioni possibili aperte alla scelta dell’interprete
sono molteplici, ma delimitate: l’interprete opera discrezionalmente,
ma non arbitrariamente. Tuttavia, se l’ambito delle soluzioni interpreta-
tive possibili è delimitato, in qual senso lo è? Per rispondere all’interro-
gativo posto, ho introdotto in un mio scritto recente alcune distinzioni,
muovendo dall’assunto che per interpretare è necessario conoscere la
lingua nella quale è espressa la formulazione normativa (23). Conoscere
la lingua significa, di conseguenza, conoscerne le regole di funziona-
mento (24), ed allora si può affermare che il primo ambito a venire in

(22) In sintesi di recente M. BARBERIS, Filosofia del diritto, un’introduzione teorica,


seconda ed., Giappichelli, Torino, 2005, pp. 222 ss.
(23) Profilo apparentemente ovvio, ma che vale la pena ribadire, cfr. il mio Sulla
nozione di «interpretazione giuridica corretta» (e sui suoi rapporti con l’interpretazione
estensiva), cit., pp. 2593 ss.; e autorevolmente v. R. SACCO, L’interpretazione, in G.
ALPA, A. GUARNERI, P.G. MONATERI, A. PASCUZZI, R. SACCO, Le fonti non scritte e l’in-
terpretazione, Utet, Torino, 1999, passim.
(24) La questione è, come noto, tra le più complesse e discusse della filosofia del lin-
guaggio, ma visto che intendo proporre in via un po’ apodittica una teoria dell’interpre-
tazione giuridica, posso solo aderire ad un indirizzo filosofico linguistico generale e non
discuterlo a fondo, nella speranza che la sua adozione in campo giuridico risulti alme-
no plausibile se non proprio convincente. Tuttavia, si possono menzionare due argo-
menti a sostegno della tesi che il linguaggio funziona in base a regole: se così non fosse
sarebbe arduo spiegare perché la comunicazione avviene e perché si possano individua-
re errori nel comunicare di chicchessia.
142 VITO VELLUZZI

questione è l’ambito dei significati possibili. Questo ambito, che è sin-


cronicamente determinato e diacronicamente mutevole, è dato dai
significati determinabili in base alle regole della lingua. L’ambito è sin-
cronicamente determinato proprio grazie all’esistenza di regole lingui-
stiche, ma dato che queste subiscono o possono subire mutamenti nel
tempo esso è anche diacronicamente mutevole. Al primo ambito appe-
na indicato se ne affianca un altro che può caratterizzarsi come un sot-
toambito del precedente o può sovrapporsi perfettamente ad esso: è
l’ambito dei significati giuridicamente ammissibili, ed è anch’esso sin-
cronicamente determinato e diacronicamente mutevole. Si tratta del-
l’insieme dei significati giustificabili per mezzo di uno o più argomenti
dell’interpretazione accettati nella comunità giuridica (25).
Mi pare che questa ricostruzione, rapidamente delineata, consenta
di ben comprendere anche il ruolo degli argomenti interpretativi all’in-
terno di una teoria moderatamente scettica dell’interpretazione: esso
consiste nel delimitare il campo dei significati giuridicamente ammissi-
bili, campo che si sovrappone oppure si iscrive all’interno all’ambito dei
significati possibili. Da ciò conseguono due corollari: a) non tutti i
significati possibili sono giuridicamente ammissibili; b) per avere un
esito etichettabile come «interpretativo», giuridicamente ammissibile o
meno, è necessario muoversi all’interno dei significati possibili.
È plausibile ed opportuno quindi distinguere tra interpretazione ed
integrazione, tra attività che portano alla determinazione del significato
delle formulazioni normative e attività che conducono ad «altro».
Si possono considerare ora i riflessi dell’impostazione delineata sulla
distinzione tra interpretazione estensiva e analogia. Data un’interpreta-
zione di una formulazione normativa si ha interpretazione estensiva
della formulazione normativa medesima ove si determini un significato
più ampio, ma rientrante nell’ambito dei significati possibili (26). Se poi
tale determinazione di significato sia anche giuridicamente ammissibile

(25) Quali e quanti siano gli argomenti interpretativi accettati nella comunità giuri-
dica e soprattutto in che cosa consista la loro accettazione è arduo dirlo, in questa sede
non posso in alcun modo trattarne.
(26) Estendere il significato può significare ampliarne la denotazione, cioè la classe
cui il termine si riferisce, o la connotazione, cioè le caratteristiche della classe.
ANALOGIA GIURIDICA E INTERPRETAZIONE ESTENSIVA 143

dipende da un ulteriore giudizio: ragion per cui si possono avere sia


interpretazioni estensive possibili e giuridicamente ammissibili, sia
interpretazioni estensive possibili, ma giuridicamente inammissibili.
L’analogia interviene quando ci si muove, per così dire, fuori dai signi-
ficati possibili. Per riprendere uno degli esempi citati all’inizio: se l’art.
1333 riguarda il contratto con «obbligazioni» a carico del solo propo-
nente, non v’è chi non veda che le obbligazioni e gli effetti obbligatori,
propri appunto delle obbligazioni, non sono effetti reali, e che la paro-
la «obbligazioni» non può essere interpretata come «effetto reale».
Quanto esposto sin qui mi consente di riproporre una ben nota
distinzione, vale a dire la distinzione tra interpretazione (anche estensi-
va), intesa come determinazione del significato delle formulazioni nor-
mative (nel senso indicato), e integrazione analogica. Il criterio propo-
sto per operare la distinzione è tra i più risalenti, forse anche tra i più
criticati, ma conserva un’elevata plausibilità. Infatti, per quanto esista-
no molteplici situazioni di particolare difficoltà nell’applicazione delle
regole linguistiche, vi sono pure situazioni nelle quali tali difficoltà non
sussistono: che la parola «obbligazioni» non possa essere intesa in via
interpretativa col significato «effetto reale» è impresa piuttosto agevole
e costituisce un risultato di non poco conto. Il criterio linguistico pro-
posto di certo non è una panacea, può lasciare nel dubbio in molte
situazioni alla attenzione degli interpreti, essa però possiede il pregio di
chiarire in altrettante situazioni cosa non sia «interpretazione».
Considero per l’ennesima volta il medesimo esempio. Se si sostiene che
il procedimento di formazione del contratto delineato dall’art. 1333 c.c.
si giustifica in quanto diretto a produrre nella sfera del destinatario
della proposta «effetti favorevoli» e che la produzione di effetti reali
può rivelarsi favorevole per il destinatario della proposta, la conclusio-
ne che la fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. possa servire a produrre
effetti reali, sempre che siano favorevoli per l’oblato viene raggiunta per
mezzo di un tipico ragionamento analogico, ove la somiglianza rilevan-
te tra gli effetti obbligatori e quelli reali è istituita in ragione dell’essere
entrambi effetti favorevoli.
Tuttavia, l’ho accennato più volte, l’integrazione analogica non è
l’unica forma di integrazione praticabile e praticata. L’osservazione pare
banale, ed in effetti lo è, ma la sua banalità cessa ove si consideri la poca
attenzione prestata a questo tema dai giuristi e dai teorici, specie con
144 VITO VELLUZZI

riguardo alle implicazioni di diritto positivo, e non solo di indole filo-


sofico-giuridica, che tale tema può avere nei più svariati ambiti discipli-
nari (27). Per chiarire questo punto riprendo una delle più recenti pro-
poste riguardanti la distinzione, ovvero quella formulata da Andrea
Belvedere (28). Per questo autore l’interpretazione estensiva è distingui-
bile dall’analogia in ragione del diverso uso della ratio: per la prima è
escluso il ricorso all’argomento a simili. Orbene, come definire un uso
della ratio di questo tipo che conduce ad un esito estraneo all’ambito
dei significati possibili della formulazione normativa? Mi pare che essa
sia un’integrazione non analogica: non v’è interpretazione perché non
ci si misura con la determinazione del significato della formulazione
normativa; ma non v’è nemmeno analogia, poiché l’integrazione avvie-
ne senza l’istituzione argomentata di un rapporto di somiglianza rile-
vante (29). Siamo d’innanzi ad una integrazione non analogica, integra-
zione che sussiste per qualsiasi estensione, realizzata con gli strumenti
più vari, che superi l’ambito dei significati possibili, incluse quelle nelle
quali non compare alcun riferimento alla ratio (30).
Per concludere fornisco uno schema riassuntivo (31):

(27) Basti pensare alla legalità in ambito penale. A tal proposito è importante sotto-
lineare un aspetto. Sostenere che si può distinguere tra analogia giuridica e interpreta-
zione estensiva non significa sostenere l’automatica ammissibilità di qualsiasi interpre-
tazione estensiva in ambito penale. Fino a quale punto una estensione di significato
confligga o non confligga con la stretta legalità penale dipende dal modo di concepire
quest’ultima. Lo studio delle forme di integrazione non analogica si lega, almeno in
parte, a quello di vari tipi di sistemazione o sistematizzazione del diritto, segnalo in pro-
posito il lavoro di G. B. RATTI, Sistema giuridico e sistemazione del diritto, Tesi presen-
tata al Dottorato di ricerca in Filosofia del diritto dell’Università di Milano, ciclo XVIII.
(28) A. BELVEDERE, Interpretazione estensiva e analogia: alcune considerazioni, cit.,
specialmente pp. 568-572, ma potrei assumere come riferimento più genericamente l’af-
fermazione che l’interpretazione estensiva è una estensione del significato priva di una
giustificazione o della giustificazione tipica del ragionamento analogico (si vedano ad
esempio retro le opinioni di Bobbio del 1957, Giannini e Gianformaggio).
(29) Sia ben chiaro che il riferimento a Belvedere è operato per comodità espositiva
e non in funzione critica: infatti da una accorta lettura delle sue pagine emerge la piena
consapevolezza della differenza tra una estensione per mezzo della ratio che resta entro
certi confini, ed una estensione che li varca.
(30) Insomma: all’interno dei significati possibili abbiamo interpretazioni (giuridica-
mente ammissibili o meno), al di fuori abbiamo integrazioni (analogiche e non).
(31) Nel quale, come il lettore noterà, il dato più problematico e insoddisfacente, tra
i molti presenti, è la definizione di integrazione.
ANALOGIA GIURIDICA E INTERPRETAZIONE ESTENSIVA 145

INTERPRETAZIONE INTEGRAZIONE

Determinazione del significato delle Estensione di effetti giuridici a fattispecie


formulazioni normative in via non interpretativa

Ambito dei Ambito dei Analogia giuridica Integrazioni non


significati possibili significati (legis e iuris) analogiche
determinabili giuridicamente
secondo le regole ammissibili sulla
della lingua base di argomenti
interpretativi
accettati

Può coincidere con Può coincidere con


l’ambito dei l’ambito dei
significati significati possibili
giuridicamente o essere più piccolo
ammissibili o
essere più ampio
146 VITO VELLUZZI

Bibliografia essenziale

(Segnalo alcuni contributi specifici sull’analogia giuridica e più in


generale sull’interpretazione giuridica che costituiscono un’ottima base,
ma nulla più di questo dato l’amplissimo panorama letterario, per
orientarsi e reperire ulteriori informazioni. Per un verso la bibliografia
comprende solo alcuni dei saggi e dei libri citati nelle note e per l’altro
verso ne contiene ulteriori)

ATIENZA M., Sobre la analogía en el derecho, Civitas, Madrid, 1986.

BELVEDERE A., Interpretazione estensiva e analogia: alcune considerazio-


ni, in Diritto privato, 2001-2002, Cedam, Padova, 2003, pp. 557-577.

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co, Giappichelli, Torino, 1994, pp. 1-16.

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e analogia, in Giur. it, I, 1968, c.c. 695-702.

BOBBIO N., L’analogia nella logica del diritto, Giappichelli, Torino,


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che argomentative, Giuffrè, Milano, 1999.

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