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Esmein- riserva alla dottrina il compito della conoscenza dei testi e della
esposizione dei principi;
Bonnecase- nonostante nega un rapporto di gerarchia fra giurisprudenza e
dottrina, mantiene a ognuna la funzione distinta nella vita del diritto;
Demogue- considera il diritto elaborato dalla giurisprudenza come distinto dalla
legge, una specie di diritto consuetudinario moderno, di altro diritto che la
dottrina raccoglie e classifica senza per questo venir meno al suo compito.
Ma in realtà nessuno ha mai pensato che il problema tra Giurisprudenza e
Dottrina non esiste, perché esse sono una cosa sola. Tale visione francese (diritto
come norma e norma come diritto) trae origine dal Razionalismo e Illuminismo.
Satta sposta la sua attenzione da questo problema, che poi problema non è, ma
da maggiore attenzione al rapporto tra le due “cose”. Tale analisi del rapporto
inizia col dire cosa sia la Giurisprudenza, associando questa al giudice, o meglio,
al concreto su cui si basa il giudice.
Il concreto si può intendere in 2 modi:
1) In relazione ad un astratto (la norma) nel quale è contenuto tutto il
concreto;
2) In assoluto, ossia come oggetto di conoscenza, e quindi la conoscenza del
fatto attraverso il giudizio.
Nel primo caso (la norma) però si riduce il diritto a una serie di principi di
generalizzazioni, impossibilitati nelle comprensione della realtà. Vengono in aiuto
a tale tesi Vittorio Scialoja in <<Rivista di diritto commerciale>> o Santi Romano
in <<Giurisprudenza scolastica>>.
Nel secondo caso (il giudizio) la conoscenza del fatto è il diritto, ciò che porta alla
conoscenza è il giudizio, ossia trovare il diritto non fuori di noi, ma in noi, perché
siamo noi a compiere quelle azioni che verranno poi messe a giudizio.
Quindi si studia la Giurisprudenza se si vuole studiare il diritto, ma resta capire
come si studia, e secondo Satta non c’è un modo; si coglie dalla decisione del
giudice, ossia dal concreto, tutta l’esperienza in essa racchiusa. Questa cosa
avviene, ovviamente, a seconda della persona che lo fa, l’autore pone qui una
metafora della giurisprudenza con una tavolozza di colori, questi possono creare
un quadro bello o brutto a seconda del pittore.
Satta ci presenta tre sentenze:
1) Il convenuto contesta la legittimazione dell’attore affermando che la striscia
di terreno sulla quale egli pretendeva esercitare il passaggio, non
apparteneva all’attore, perché questi l’aveva usurpata da un terzo. La
Cassazione ritenne che non poteva giudicarsi della servitù se non si
chiamava il terzo in giudizio
2) Tizio aveva acquistato della merce a Milano da Caio. All’arrivo, nota che la
merce è incompleta, Tizio chiama in giudizio il vettore Sempronio, a Napoli.
Questo chiama, in garanzia, un altro vettore, a sua volta un altro e l’ultimo
chiama il venditore milanese. Il Tribunale di Napoli, compiute le dovute
indagini, dichiara che la responsabilità dell’ammanco è del venditore
milanese e riserva a Tizio il diritto di chiedere il risarcimento del danno.
3) Si tratta di un giudizio di dichiarazione di paternità promosso da un Tizio,
figlio di ignoti, sulla base di un ratto compiuto dal preteso genitore. La
Cassazione dice che la donna della quale si afferma il rapimento deve
partecipare al giudizio, e se ne deve ordinare l’intervento, perché il fatto non
pu7ò essere accertato che con la partecipazione di tutti gli attori.
Da queste sentenze si nota come il principio del contradittorio ha una più vasta
significazione di quello che appare nell’ art. 101 C. p. c.- “Il giudice non può
statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata
citata e non è comparsa” - si modifica il concetto di parte.
Per comprendere meglio la funzione della giurisprudenza, l’autore fa riferimento
ad un fascicolo, a caso, del massimario della Cassazione, vengono riportate dalle
sentenze: n.2001 (nel giudizio di appello non possono proporsi nuove domande),
n.2119 (non si può parlare di inadempienza, se prima non si accerta
l’obbligazione da adempiere), n.1988 (l’acquiescenza deve risultare da fatti
incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge)
per far notare come queste sono stesse norme del codice rivedute e scorrette. Si
vuole calcare sulla monotona ripetizione di precedenti massime, conformi a quella
che si tra trattando.
Quindi lo studio della Giurisprudenza serve a mettere in luce le ragioni profonde
del decidere, che sono poi le grandi componenti dell’esperienza giuridica. Satta
non crede all’unità della giurisprudenza, ma pensa che sia un’utopia priva di
alcun fondamento razionale e non si capacita di quanta gente si lascia “bruciare”
dalla Cassazione, sentendosi ripetere le stesse cose.
Ma, a parte ciò, l’autore porta la nostra attenzione sul vedere se il contrasto sia
sostanziale o solo apparente; a tal proposito vengono proposti due esempi: