26 Gennaio 2022
l'evoluzione
giurisprudenziale
Circolari 24 Lavoro / Il Sole 24 ORE 26 Gennaio 2022
RAPPORTO DI LAVORO
ABSTRACT
Il rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro rinviene la
propria fonte principale nel contratto individuale di lavoro, accordo
sinallagmatico ed a titolo oneroso da cui discendono diritti ed
obblighi in capo ad entrambe le parti. Gli obblighi del prestatore di
lavoro, contraente debole del rapporto, sono enucleati dagli artt.
2104 e segg. cod. civ.: obbligo di diligenza (art. 2104, c. 1, c.c. );
obbligo di obbedienza (art. 2104, c. 2, c.c. ); obbligo di fedeltà (art.
2105 c.c. ). L'obbligazione che rileva in tal sede è quella di fedeltà,
che si articola, a sua volta, in due distinti doveri: il dovere di
segretezza, in ossequio al quale è vietata la divulgazione nonché
l'utilizzo di notizie attinenti all' organizzazione ed ai metodi di
produzione dell'impresa; il divieto di concorrenza con
l'imprenditore, essendo preclusa al lavoratore la trattazione di
affari, per conto proprio o di terzi, allorquando concorrenziali
rispetto all'attività espletata dal datore di lavoro (a cura di Massimo
Braghin e Innocenzo Megali)
COMMENTO
Il divieto di concorrenza permane per tutta la durata del rapporto di lavoro e, di regola, decade
con la sua cessazione (venendo meno l'operatività dell'art. 2105 c.c. ).
La legge, tuttavia, accorda all'autonomia negoziale delle parti la facoltà di concludere un
"patto di non concorrenza", definibile come accordo scritto intercorrente tra datore di lavoro e
lavoratore con il quale quest'ultimo si vincola, verso la corresponsione di una somma di
denaro o di altra utilità, ad astenersi, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto
lavorativo, dallo svolgimento di attività, in proprio o alle dipendenze di altri, in concorrenza
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1. La forma scritta
Il patto deve risultare da atto scritto, con sottoscrizione di entrambe le parti, a pena di nullità.
L'accordo può essere contenuto nel contratto individuale di lavoro o formare oggetto di
separata pattuizione, stante la sua natura contrattuale ed essendo dotato di causa autonoma.
La giurisprudenza di merito ha chiarito come, ai fini della validità del suddetto contratto, non
sia necessaria la specifica approvazione per iscritto ai sensi dell'art. 1341, c.2., c.c. . Tale
seconda sottoscrizione, tuttavia, diviene imprescindibile per la validità del patto qualora il
medesimo sia inserito in un complesso di condizioni contrattuali, come nell'ipotesi di
contratto concluso tramite moduli o formulari (ex multis Trib. Milano 27 settembre 2005;
Trib. Milano 22 ottobre 2003).
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3. La durata predefinita
Il divieto di concorrenza deve essere circoscritto entro determinati limiti di tempo.
La durata del vincolo non può essere superiore a 5 anni se il lavoratore appartiene alla
categoria professionale dei dirigenti, e ad anni 3 nelle altre ipotesi.
Il termine di durata del contratto decorre dal primo giorno successivo alla cessazione
dell'attività lavorativa.
Qualora le parti pattuiscano una durata maggiore a quella normativamente prevista, essa si
riduce ope legis nelle misure suindicate (art. 2125, c. 2., c.c. ).
È rimessa al giudice di merito la valutazione sulla congruità della durata pattuita, fermo
restando il pedissequo rispetto dei suddetti limiti.
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converso, un oggetto piuttosto ampio potrebbe essere ritenuto legittimo se contenuto in uno
spazio geografico esiguo.
Anche in tale ipotesi la valutazione di congruità del patto è demandata all'organo giudicante
ed è frutto di un contemperamento tra le esigenze dell'azienda ed il diritto del dipendente di
produrre un reddito idoneo a garantirgli un'esistenza libera e dignitosa.
SI RICORDA CHE
Nell'ipotesi di lavoro subordinato ai sensi dell' art. 2094 c.c. , destinatari dell'obbligo possono
essere tanto dirigenti e soggetti apicali quanto operai e commessi (cfr. Cass. Sent. 10
settembre 2003 n. 13283 ); allorquando le mansioni abbiano carattere esecutivo, la valida
stipula di un patto di non concorrenza presuppone, in capo al prestatore di lavoro, i requisiti
dell'esperienza e della capacità di attrarre clientela (cfr. Cass. Sent. 19 aprile 2002 n. 5691 ).
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RAPPORTO DI LAVORO
ABSTRACT
Il patto di non concorrenza è un contratto sinallagmatico a titolo
oneroso: ne consegue la necessaria pattuizione di un corrispettivo a
fronte dell'obbligo di non facere assunto dal lavoratore, senza cui il
patto si palesa irrimediabilmente nullo (a cura di Massimo Braghin
e Innocenzo Megali)
COMMENTO
Le caratteristiche del corrispettivo
Affinché il patto di non concorrenza sia valido il corrispettivo convenzionalmente stabilito
deve essere:
L'entità del compenso va parametrata agli altri elementi essenziali del patto di non
concorrenza e dovrà essere tanto maggiore quanto più sia:
– meramente simbolico;
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c) Corresponsione del corrispettivo del patto di non concorrenza al di fuori del rapporto di
lavoro
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In merito occorre dapprima osservare come, nell'ipotesi in esame, di patto di non concorrenza
intervenga in assenza di rapporto di lavoro tra le parti, essendo dunque disciplinato dall'art.
2596 c.c. , rubricato "limiti contrattuali alla concorrenza": "il patto che limita la concorrenza
deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una
determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non è
determinata o è stabilita per un periodo superiore a 5 anni, il patto è valido per la durata di un
quinquennio".
Ne discende l'esenzione di tale emolumento, non qualificabile quale elemento retributivo,
dalla contribuzione previdenziale.
Per quel che concerne il trattamento fiscale, l'importo va qualificato come reddito derivante
dalla "assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere" ai sensi dell'art. 67, c. 1, lett. l),
TUIR : colui che versa il corrispettivo è dunque vincolato ad operare, all'atto del pagamento,
una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell'Irpef dovuta dai percipienti, con l'obbligo
di rivalsa (art. 25, D.P.R. 600/1973 ).
SI RICORDA CHE
Natura del corrispettivo: il compenso può concretizzarsi tanto nella corresponsione di una
somma di denaro o altra utilità, quanto, a titolo esemplificativo e non esaustivo, nella
remissione di un debito, purché siano rispettati i requisiti già enucleati (determinatezza e
congruità).
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RAPPORTO DI LAVORO
ABSTRACT
La violazione del patto di non concorrenza costituisce
inadempimento contrattuale e legittima le richieste di adempimento
o di risoluzione del contratto, fatto salvo il diritto ad agire per il
risarcimento del danno patito ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c. (a
cura di Massimo Braghin e Innocenzo Megali)
COMMENTO
È sempre più frequente l'inserimento nell'accordo di clausole penali, unanimemente ritenute
legittime, fatta salva la facoltà per il giudice di ridurne l'entità qualora sia eccessiva, così come
la richiesta di inibitoria giudiziale di prosecuzione dell'attività concorrenziale.
Ed invero, allorquando il lavoratore violi il patto di non concorrenza, è ammesso il ricorso
d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. prodromico all'ottenimento di un'Ordinanza di
cessazione dell'attività. Devono ovviamente sussistere i requisiti del fumus boni iuris e del
periculum in mora.
Nel caso in cui il patto sia dichiarato nullo, il datore di lavoro può esercitare l'azione di
ripetizione delle somme corrisposte al lavoratore in esecuzione del patto.
1. Quaestio iuris: il datore di lavoro può recedere unilateralmente dal patto di non concorrenza,
prima della naturale scadenza del termine di durata, in presenza di una clausola contrattuale
che gli attutisca tale potere?
La giurisprudenza (di legittimità nonché di merito) è concorde nel ritenere detta clausola
affetta da nullità per contrarietà a norme imperative, non potendosi concedere al datore di
lavoro il potere unilaterale (nonché arbitrario) di incidere sulla durata temporale del vincolo o
di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita (in tal senso Cass. n. 9491/2003 ; Cass. n.
15952/2004 ; Cass. n. 10535/2020 ).
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Una tale attribuzione, secondo parte della giurisprudenza, può ritenersi legittima solo
allorquando avvenga ai sensi e nel rispetto dell'art. 1331 c.c. (c.d. contratto d'opzione).
Mediante il contratto d'opzione, una parte, detta promittente (nel caso di specie, il lavoratore)
attribuisce all'opzionario (nella fattispecie de qua, il datore di lavoro) il diritto potestativo di
concludere un contratto - e, pertanto, anche un patto di non concorrenza – attraverso una
dichiarazione unilaterale e recettizia.
Tale diritto potestativo, tuttavia, deve essere esercitato dall'opzionario entro un termine (di
efficacia) fissato nello stesso contratto d'opzione: decorso inutilmente il predetto termine,
l'opzione cesserà di avere efficacia.
Potrebbe astrattamente ritenersi valida ed efficace la stipulazione di un patto di concorrenza
(comprensivo di tutti i requisiti richiesti a pena di nullità) contenente una clausola del
seguente tenore: "il perfezionamento del presente accordo è subordinato all'esercizio, da
parte della Società datrice di lavoro, della facoltà di opzione ai sensi dell'art. 1331 c.c. prima
della cessazione del rapporto di lavoro, unitamente al preavviso in caso di licenziamento o
entro…giorni dalla ricezione delle dimissioni…….".
Una tale formulazione può trovare la propria causa nell'esigenza di riservarsi, al momento
della cessazione del rapporto di lavoro, la concreta valutazione delle potenzialità dannose del
dipendente in termini di concorrenza.
A riconoscere la legittimità del diritto d'opzione concesso al datore di lavoro in subiecta
materia è la stessa Corte di Cassazione con recente Sentenza (cfr. Cass. 26 ottobre 2017, n.
25462 ).
È tuttavia necessario il pedissequo ed ossequioso rispetto dello schema contrattuale
dell'opzione previsto dall'art. 1331 c.c. , altrimenti la clausola attributiva del diritto potrebbe
risultare affetta da nullità. Specificatamente:
- è fondamentale che la clausola apposta abbia ad oggetto l'attribuzione di un diritto
(potestativo) d'opzione e non di un diritto di recesso unilaterale (ex multis Cass. 13 giugno
2003, n. 9491 ; Cass., Ord. 3 giugno 2020, n. 10535 );
- non deve esser pattuito alcun corrispettivo né alcuna prestazione in favore del lavoratore
per l'attribuzione del diritto potestativo: un tanto determinerebbe la violazione della natura
del contratto d'opzione con sua conseguenziale nullità (cfr. Cass. 3 gennaio 2018, n. 3 ).
La giurisprudenza maggioritaria, pertanto, ha accolto la validità della suddetta operazione
negoziale, ma è pur vero che residuano pronunce che corroborano l'orientamento opposto (a
titolo esemplificativo Cass. 17 maggio 2018, n. 12090 ), secondo cui la clausola d'opzione
apposta ad un patto di non concorrenza va qualificata alla stregua di una "condizione
sospensiva meramente potestativa", come tale affetta da nullità.
Si rischia, dunque, di subire la caducazione della "clausola d'opzione", soprattutto se
l'esercizio del diritto potestativo soggiace al mero arbitrio datoriale, senza essere ancorato a
presupposti di carattere oggettivo.
La giurisprudenza (di legittimità come di merito) non è ancora unanime sul punto, né le
Sezioni Unite sono intervenute per dirimere il contrasto insorto.
3. Questio iuris: rapporti tra il patto di non concorrenza ed il divieto di storno di dipendenti
Prima di addivenire al merito della questione si rende necessaria una premessa.
Con l'espressione "storno di dipendenti" ci si riferisce ad un fenomeno di matrice
giurisprudenziale, non espressamente disciplinato dal legislatore, che si configura
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Grava sul datore di lavoro l'onere di provare la violazione del patto da parte del lavoratore.
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