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Indice generale

1 IL LAVORO SUBORDINATO ....................................................................................................................... 1


2 IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO ..................................................................... 8
3 LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (D. LGS. 276/2003) .................................................................. 22
4 I CONTRATTI A CONTENUTO FORMATIVO ......................................................................................... 27
5 CONTRATTI DI LAVORO AD ORARIO FLESSIBILE E/O RIDOTTO ................................................... 32
6 LAVORO AUTONOMO “PARASUBORDINATO” E “OCCASIONALE” .............................................. 37
7 LAVORO ACCESSORIO, ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E LAVORO A DOMICILIO ....... 39
8 DETERMINAZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA ................................................................ 41
9 LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO ..................................................... 43
10 LAVORO MINORILE, FEMMINILE E PARITA' TRA I SESSI............................................................... 50
11 LA RETRIBUZIONE ................................................................................................................................... 52
12 CAUSE DI SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO ................................................................... 54

1 LE FONTI
1.1FONTI INTERNAZIONALI
Il diritto internazionale del lavoro è composto per la maggior parte da norme vincolanti, ma che hanno
BASSO TASSO DI EFFETTIVITA’. Hanno invece maggior tasso di effettività le norme non vincolanti, in quanto
capaci di orientare gli stati membri.

NORME VINCOLANTI:
 CONVENZIONI emanate dall’O.I.L. Organizzazione Internazionale del Lavoro, hanno effetto vincolante
nei confronti dei 180 paesi membri, ma non sul singolo cittadino. Solo la RATIFICA consente alle
convenzioni di produrre effetti anche nei confronti dei cittadini. Decisamente PROBLEMATICO per l’OIL
controllare l’attività dei paesi membri per il rispetto dell’obbligo di ratifica.
 CARTA SOCIALE EUROPEA firmata a Torino nel 1961, e alla stessa stregua delle convenzioni, contiene
una serie di diritti appartenenti al diritto del lavoro, con obbligo per gli stati membri di rispettarli.
Prevede anche un organo di controllo a tal fine.
 CLAUSOLE SOCIALI, clausole che condizionano l’accesso a determinati benefici solo a quegli stati che
rispettano i 4 diritti fondamentali: divieto di lavoro forzato; parità tra sessi; parità sindacale; divieto
lavoro minorile.

NORME NON VINCOLANTI:


o RACCOMANDAZIONI, spesso collegate alle raccomandazioni, ma non hanno effetto vincolante
ma solo orientativo, e non prevedono quindi sanzioni, lasciando al paese membro la
libertà di decidere i tempi di ratifica e le modalità.
o DICHIARAZIONI, come ad esempio quella dell’ONU sui diritti economici sociali

1.2FONTI COMUNITARIE
Operano SOLO SULLE MATERIE ad esse attribuite dagli stati membri
 DIRITTO PRIMARIO
1. TRATTATI dell’U.E. (Roma 1957, Maastricht 1992, Amsterdam 1997, Lisbona 2008). Indicano
quali sono le materie di: COMPETENZA ESCLUSIVA UE (unione doganale, regole sulla
concorrenza, politica commerciale), COMPETENZA CONCORRENTE (politica sociale, mercato
interno) e COMPETENZA degli stati.
2. T.F.U.E. (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), ossia la riunione di tutti i
trattati istitutivi, modifiche comprese, istituito dopo il trattato di Lisbona.
3. T.U.E. (Trattato sull’Unione Europea), ossia il trattato di Maastricht 1992, comprensivo
delle modifiche del trattato di Lisbona

 DIRITTO DERIVATO
Ossia quelle DIRETTIVE, o REGOLAMENTI che vengono approvate sulla base dei trattati del diritto primario.
Sono quindi DUE i trattati CHE REGOLANO l’attività nell’Unione Europea: il TFUE e il TUE.

E’ il Consiglio Europeo a decidere con


 MAGGIORANZA QUALIFICATA dal 1992 Maastricht, dove 11 pesi su 12 (esclusa la Gran
Bretagna) stabilirono le materie sulle quali si poteva votare con maggioranza qualificata
(formazione dei lavoratori, pari opportunità uomo donna nel lavoro, etc).
 ALL’UNANIMITA’ in materia di previdenza sociale, in materia di tutela del lavoratore in caso
di licenziamento, in materia di rappresentanza dei lavoratori in azienda.
 ESCLUSE DALLA COMPETENZA, le materie indicate nell’art. 152 TFUE, che rimangono quindi
di competenza degli stati membri (retribuzione, diritto di associazione sindacale, diritto di
sciopero e serrata).

1.3FONTI NAZIONALI
E’ l’art. 117 Cost. a dirci le competenze all’interno dello stato:

COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO: l’ordinamento civile e penale e la previdenza sociale

COMPETENZA CONCORRENTE STATO REGIONE:Tutela e sicurezza del lavoro (ossia le Politiche del lavoro),
previdenza complementare integrativa, le professioni. In questo caso la potestà legislativa spetta alle
regioni, ma allo stato spetta decidere i principi fondamentali.

COMPETENZA ESCLUSIVA DELLE REGIONI Residuale, come ad esempio la Formazione Professionale, anche
dell’apprendista (vedi sentenza della Corte Costituzionale).

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI (Nizza, 2000)


Dopo il trattato di Lisbona del 2008, detta carta ha lo stesso valore giuridico dei trattati e quindi vincolante.
Essa contiene una serie di diritti che hanno una importante natura sociale:
a. proibizione della schiavitù e al lavoro forzato
b. diritto a lavorare
c. parità tra uomo e donna
d. diritto all’informazione
e. diritto di negoziazione e azione collettiva

COMPETENZA CONCORRENTE
Laddove la materia fosse regolata da più fonti, il principio regolatore è quello di sussidiarietà e di
proporzionalità.

INTERNAZIONALE => COMUNITARIO => NAZIONALE


NAZIONALE => STATALE => REGIONALE
2 IL LAVORO SUBORDINATO
Identifica L’OGGETTO del diritto del lavoro, a cui vengono assegnate tutte le tutele, per cui è IMPORTANTE
riuscire a distinguere il lavoro subordinato dal contratto d’opera.
Non esiste una vera e propria definizione, ma è desumibile dall’art. 2094 c.c. che definisce

Art. 2094 c.c. “è prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a
collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”

Il lavoro subordinato è tutelato, quindi è importantissimo riuscire ad individuare il campo di azione dell’art.
2094 c.c. per capire CHI possa essere tutelato.

Elementi caratterizzanti:
- IMPRENDITORE
o La qualifica di imprenditore non è elemento essenziale, dato che l’art. 2239 c.c. stabilisce che
i rapporti di lavoro subordinati non inerenti l’esercizio di una impresa sono regolati come se
invece lo fossero, in quanto compatibili”.
- RETRIBUZIONE
o Anche l’elemento retributivo non è elemento essenziale, viste le possibilità di lavoro
subordinato gratuito (in virtù di rapporto affettivo; in ambito di impresa familiare di cui art.
230 bis c.c.; in ambito agricolo, da parenti e affini 3 grado).
- COLLABORAZIONE
o Definisce l’oggetto del contratto di lavoro, ossia l’obbligo di prestare in proprio lavoro
personalmente e continuativamente. Anche in questo caso, però, è un elemento che da solo
non basta ad individuare il rapporto di lavoro subordinato, viste le ipotesi di identica
situazione, ma non di subordinazione come le collaborazioni a progetto, le prestazioni
occasionali (ricorda terzo genus).
- SUBORDINAZIONE
o Di certo è l’elemento più tipizzante. Consiste nell’assoggettamento al potere direttivo,
organizzativo, e gerarchico del datore di lavoro, tale che la prestazione lavorativa possa dirsi
ETERODETERMINATA. E’ quindi l’elemento che distingue il contratto di lavoro subordinato
(art. 2094 c.c.) dal contratto d’opera (art. 2222 c.c. quando il lavoratore si obbliga a
compiere un servizio SENZA VINCOLI di SUBORDINAZIONE). Ecco la GRANDE DIFFERENZA
tra i due regimi.

QUALIFICAZIONE E PROCEDURA DI CERTIFICAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

- METODO SILLOGISTICO
o Questo metodo utilizzato dal giudice di legittimità (Cassazione) presuppone che vi sia una
totale coincidenza tra la fattispecie astratta e concreta. Cioè se l’art. 2094 prevede che vi
siano tre elementi etero –direzione, collaborazione e retribuzione) questi dovranno essere
TUTTI PRESENTI nella fattispecie concreta, nel singolo rapporto di lavoro.
- METODO TIPOLOGICO
o Questo metodo usato dal giudice di merito, è invece basato sulla prevalenza di INDICI TIPICI
dell’una o dell’altra figura contrattuale. Sono indici che vengono tratti dal modello ritenuto
socialmente prevalente di lavoro subordinato: ossia quello del lavoro dipendente nella
grande industria manifatturiera; quindi:
 inserimento in una organizzazione predisposta dal datore di lavoro
 rispetto di un orario di lavoro
 le modalità di retribuzione (a tempo, predeterminata o periodica)
 assenza di rischio economico in capo al lavoratore
 esclusività della dipendenza dal datore di lavoro
 luogo di lavoro
 assoggettamento a poteri di controllo e disciplinari del datore di lavoro

Il metodo tipologico e’ quello che consente al giudice di includere molti più rapporti di lavoro.

La Corte Costituzionale lo ha detto chiaramente che non rientra nella disponibilità delle parti e del
legislatore, assegnare al contratto di lavoro una qualificazione diversa da quella che risulta dalla realtà.
Questo per farvi capire che nei casi dubbi il nomen iuris può assumere una rilevanza fondamentale, decisiva.

LA CERTIFICAZIONE
Istituto che certifica la qualità giuridica del contratto. Istituto nato dalla L. 276/2003, con la finalità di
ridurre il contenzioso del lavoro in materia di qualificazione dei contratti di lavoro.

COMMISSIONI CERTIFICATRICI:
- Enti bilaterali, le università pubbliche o private
- Commissioni di certificazione c/o Direzioni Provinciali del Lavoro
- Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro

PROCEDURA DI CERTIFICAZIONE:
Procedura volontaria, per cui viene presentata istanza dalle parti, e la commissione procede entro 30 giorni.
L’atto di certificazione è un ATTO AMMINISTRATIVO che viene emesso e motivato dopo un minimo di
attività istruttoria, e con l’indicazione di dove si possa fare il ricorso allo stesso.

CONTRASTO:
Come è possibile certificare la qualificazione giuridica di un contratto di lavoro se la Corte Costituzionale ha
ribadito che NESSUNO può dare una qualificazione diversa della modalità di svolgimento del rapporto di
lavoro? Per la QUALIFICAZIONE GIURIDICA del rapporto di lavoro, ciò che conta sono le modalità in cui
REALMENTE esse si svolgono!!!

RICORSO:
I soggetti legittimati sono le stesse parti, e anche i TERZI nei cui confronti la certificazione produce degli
effetti (ES. certificazione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’INPS per ciò che concerne il
versamento dei contributi previdenziali). Si può quindi ricorrere per diversi motivi:

- per ERRONEA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO (ES. in realtà è subordinato, ma certificato come
autonomo). Il ricorso si presenta c/o il Giudice ordinario, e la sentenza ha effetto EX TUNC, ossia dal
momento in cui il contratto è stato stipulato.
- per DIFFORMITA’ tra il programma negoziale INIZIALMENTE stipulato, e quello CONCRETO
successivo. Il ricorso si presenta c/o il Giudice ordinario, e la sentenza opera dal momento in cui si è
verificata la difformità, o dal momento in cui la stessa è stata provata.
- per VIZI DEL CONSENSO, come ad esempio una certificazione non voluta, o ottenuta forzando la sua
volontà, etc. In questo caso la certificazione si può impugnare come atto amministrativo, e quindi di
fronte al TAR.

Legge 183/2010 (c.d. COLLEGATO LAVORO), estende la certificazione anche in materia dei contratti di
lavoro, sempre al fine di ridurre il contenzioso. Il Collegato Lavoro però fu inizialmente NON FIRMATO dal
PDR perché conteneva la disciplina delle c.d. CLAUSOLE COMPROMISSORIE, con le quali le parti potevano
devolvere ogni controversia ad un arbitro e non ad un giudice. L’arbitro poteva decidere solo sulla base
dell’equità, e il lavoratore non poteva neanche invocare il rispetto delle leggi speciali del lavoro!!! Salvò la
situazione:

ART. 2113 c.c.: a risolvere il problema ci ha pensato questo articolo del codice civile…
- 1° comma: “le rinunce (atto unilaterale in cui il lavoratore rinuncia ad un proprio diritto
inderogabile) e le transazioni (atto bilaterale in cui entrambe le parti rinunciano a qualcosa) aventi
x oggetto diritti che derivano da disposizioni INDEROGABILI, NON SONO VALIDE”
- 2° comma: “l’impugnazione alle rinunce o transazioni non valide deve essere proposta entro 6
mesi dalla fine del rapporto di lavoro, a pena di decadenza”.
- 3° comma: Può esser impugnata con qualsiasi atto scritto, quindi non necessariamente davanti al
giudice. L’importante è che si possa comprendere la volontà del lavoratore nell’impugnare la
rinuncia o la transazione.
- 4° comma: le disposizioni del presente articolo NON SI APPLICANO a quelle rinunce o transazioni
AVVENUTE di fronte alle COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE, ossia quando vi sia la presenza di un
sindacalista a tutela del lavoratore, in modo da garantire SCELTE GENUINE, in virtù di una
VOLONTA’ ASSISTITA.

LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


I requisiti essenziali di ogni contratto, e quindi anche del contratto di lavoro, sono:

1 REQUISITI DI ETA’ DEL LAVORATORE:


L’età minima di accesso al lavoro coincide con l’adempimento degli obblighi di istruzione, 16 anni. A questa
età il soggetto acquisisce la CAPACITA’ GIURIDICA SPECIALE che coincide anche con la CAPACITA’ DI AGIRE
(16 anni, oppure 15 anni se assunto con contratto di apprendistato. Deroghe per i bambini sono concesse
per fini sportivi, pubblicitari, etc. purché non vi sia alcun pregiudizio per la loro integrità fisica e per il loro
assolvimento degli obblighi scolastici).
Il difetto di capacità giuridica comporta la NULLITA’ del contratto di lavoro subordinato per illiceità
dell’oggetto, e con il diritto alla retribuzione.

2 LA FORMA:
Vige la libertà di forma, quindi per l’esistenza e la validità del contratto non serve alcuna particolare forma
scritta. Il contratto è pienamente valido e può essere provato in qualunque modo, anche se fosse” verbale”,
“tacito”, o “per fatti concludenti”.

ECCEZIONI: nei CONTRATTI ATIPICI il legislatore prevede la forma SCRITTA


AD SUBSTANTIAM:
In mancanza di forma scritta il contratto di lavoro ATIPICO si converte in contratto TIPICO.
AD PROBATIONEM:
Ossia ai fini della prova. In questo caso la forma non incide sulla validità del contratto ma sul regime
della prova nel caso vi fossero controversie.

3 OBBLIGO DI INFORMAZIONE AL LAVORATORE:


Il DDL ha l’obbligo di informare per iscritto il lavoratore circa gli aspetti specifici del rapporto di lavoro stesso
- Indicazione del luogo di lavoro
- data di inizio del rapporto di lavoro
- durata di tale rapporto
- inquadramento
- livello retributivo
- orario di lavoro, etc.

4 OBBLIGHI DEL DDL:


- Nel caso di GIOVANI, questi devono aver assolto il loro obbligo di istruzione (almeno 10 anni di
studio), ed aver compiuto 16 anni (o 15 in caso di contratto di apprendistato).
- Vi è poi l’OBBLIGO FORMATIVO sino al compimento del diciottesimo anno di età.
- Vi è poi il DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE per opinioni politiche, religiose, sindacali, di età o di sesso,
né il DDL può svolgere indagini in tal senso.
- Il DDL può far svolgere visite mediche preventive per valutare la mansione più idonea.
- Vi è poi l’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE al CENTRO PER L’IMPIEGO, entro le 24 ore del giorno
precedente a quello dell’assunzione. Comunicazione che deve essere fatta per via TELEMATICA, e
deve contenere tutti i dati più importanti. In casi di particolare urgenza o impedimento per cause di
forma maggiore, va comunicato entro e non oltre il quinto giorno dall’instaurazione del rapporto di
lavoro.

IL PATTO DI Prova art. 2096 Al momento dell’assunzione il DDL e il lavoratore possono concordarlo, ai fini
della valutazione. In detto periodo ognuna delle parti può liberamente recedere dal contratto senza obbligo
di preavviso e senza penali. Il patto di prova non comporta due differenti rapporti: il rapporto è sempre uno,
ma si distingue in due fasi. Se concluso il periodo di prova, nessuna delle parti si è avvalsa della facoltà di
recedere, il rapporto di lavoro acquista il carattere della definitività.

FORMA: scritta AD SUBSTANTIAM, ai fini della validità. L’eventuale mancanza di forma scritta rende il
patto di prova NULLO, e quindi il rapporto di lavoro deve intendersi definitivamente
instaurato da subito.
DURATA: deve essere necessario alle parti per compiere una valutazione, usualmente è fissato dalla
contrattazione collettiva, ma comunque non può estendersi per oltre SEI MESI.
RECESSO IN PROVA: può essere anche senza motivazione, essendo il periodo di prova, ma ciò nonostante il
lavoratore può comunque impugnare il recesso se per motivi illeciti o discriminatori.
L'impugnazione è possibile anche quando non è consentito l'esperimento del periodo o
quando la prova è stata in realtà superata positivamente. Il recesso illegittimo è fonte di
responsabilità contrattuale, quindi è necessario il risarcimento del danno (retribuzione
percepita per il periodo di prova). Per malattia e infortuni o si blocca il periodo oppure lo si
posticipa.
PARIFICAZIONE ECONOMICA E NORMATIVA: del lavoratore in prova con quello definitivo.

L’articolo 2096 del codice civile stabilisce che il patto di prova è l'accordo con il quale lavoratore e il datore di lavoro
stabiliscono volontariamente che la definitiva instaurazione del rapporto di lavoro sia condizionata al preventivo
esperimento di un periodo di prova.
Il patto di prova ha lo scopo di permettere sia al lavoratore sia al datore di lavoro di valutare la convenienza del
rapporto di lavoro. Il lavoratore, in particolare, avrà l’opportunità di valutare l'esperienza e le condizioni lavorative
offerte, mentre il datore potrà verificare le effettive competenze e l’attitudine del lavoratore ad integrarsi nel
contesto produttivo aziendale.
Il contratto di lavoro ha pieno valore sin dall’inizio del periodo di prova ed in tale periodo sono pienamente validi
diritti e gli obblighi delle parti (lavoratore e datore di lavoro). L’unica particolarità è che in tale periodo le parti
possono recedere liberamente dal contratto senza obbligo di preavviso (con conseguente esonero dal pagamento
della connessa indennità) e, secondo la giurisprudenza, di motivazione (Cassazione 12.3.1999, n. 2228).
Al termine della prova, in mancanza di recesso, la prosecuzione anche per breve periodo dell’attività lavorativa
comporta l’assunzione definitiva del lavoratore ed il periodo prestato dal lavoratore si computa nell’anzianità di
servizio.
Durata
Il periodo di prova non può in nessun caso superare:
a) 6 mesi per tutti i lavoratori - institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi
e impiegati di grado e funzioni equivalenti – (articolo 10 legge 604/66);
b) 3 mesi per tutte le altre categorie (articolo 4 regio decreto legge 13.11.1924, n. 1825).
I contratti collettivi solitamente fissano la durata del periodo di prova entro i limiti di legge (Cassazione 13 ottobre
2000 n. 13700), prevedendo in genere periodi di prova inferiori rispetto ai limiti legali.
Fermo restando il limite legale, nel contratto individuale i termini previsti dalla contrattazione collettiva possono
essere ridotti, ovvero aumentati, se la particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessario,
nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto normalmente congruo dalla contrattazione
collettiva.
-Come si fa-
L'assunzione del prestatore di lavoro subordinato per un periodo di prova deve risultare da atto scritto e sottoscritto
da entrambe le parti, a pena di nullità (codice civile art. 2096).
In caso contrario il patto di prova è nullo e viene considerato come non posto (Cassazione Sezioni Unite 9 marzo 1983
n. 1756). Il datore di lavoro, pertanto, non può licenziare un lavoratore per mancato superamento del periodo di
prova se esso non ha sottoscritto la lettera di assunzione contenente la relativa clausola (Cassazione 24 gennaio 1997
n. 730).
In mancanza di una precisa disposizione legale, la giurisprudenza ritiene che il patto di prova debba essere firmato
contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima della esecuzione dello stesso (Cassazione
3 giugno 2002 n. 8038).
La nullità che deriva dalla mancata o non contestuale stipulazione per iscritto del patto di prova comporta la definitiva
instaurazione del rapporto di lavoro.
È ritenuta valida la proposta di assunzione che contenga gli elementi essenziali del contratto, compreso il patto di
prova, e che sia stata sottoscritta in calce per ricevuta e accettazione, anche prima dell'inizio del rapporto.
La clausola che prevede il periodo di prova deve contenere l’indicazione delle precise mansioni affidate al lavoratore
(Cassazione 10.10.2006 n. 21968). Ciò al fine di consentire al lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben
definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, ed al datore di lavoro di esprimere il proprio giudizio
sull’esito della prova.
La mancanza della specifica indicazione delle mansioni costituisce motivo di nullità del patto, a prescindere dal livello
contrattuale e dalla natura della mansione assegnata.
-chi-
Il patto di prova può essere predisposto personalmente dai soggetti interessati (datore di lavoro e lavoratore).
2.1È ammissibile il patto di prova anche nel caso di assunzioni obbligatorie dei soggetti disabili?
È ammissibile limitatamente alla verifica della residua ed effettiva capacità lavorativa all’espletamento di mansioni
compatibili con lo stato fisico e l’handicap del lavoratore invalido (Cassazione 3689/98). L'invalido che attribuisce
intento discriminatorio al recesso del datore di lavoro al termine del periodo di prova, in quanto basato
sull'incompatibilità della prestazione richiesta con l'invalidità, deve fornire la prova relativa, poiché non è sufficiente
la mera esistenza di vizi di natura formale del rapporto (Cassazione n. 15315/2001).
2.2Il patto di prova si può applicare ad un contratto di lavoro a tempo determinato?
Secondo la prevalente giurisprudenza, il patto di prova si può applicare anche al contratto a termine.
2.3In quali casi il recesso da parte del datore di lavoro è illegittimo?
Il recesso è ritenuto illegittimo quando:
 la prova non sia stata effettivamente consentita;
 la prova sia stata effettivamente superata dal lavoratore in modo positivo;
 il licenziamento sia riconducibile ad un motivo illecito o estraneo al rapporto di lavoro. In tal caso spetta al
lavoratore dimostrare l’esistenza di una di queste situazioni per ottenere l’annullamento del recesso (Corte
Costituzionale 22 dicembre 1980 n. 189).
Infine, se le parti hanno stabilito una durata minima garantita del periodo di prova per consentire l’effettività
dell’esperimento, il recesso può avvenire solo dopo la scadenza del termine.

LA TEORIA ACONTRATTUALE
Una teoria che considera il rapporto di lavoro PREVALENTE sul contratto.
Tutto ciò è consentito dall’art. 2126 c.c. secondo cui
 La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetti per il periodo in cui il
contratto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
 Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha
in ogni caso diritto alla retribuzione.

La teoria acontrattuale del rapporto di lavoro, cioè dei rapporti di lavoro che possono esistere anche in
assenza di contratto, individua nell’art. 2126 c.c. la sua base, ossia possono esistere rapporti di lavoro la cui
fonte non è il contratto ma il rapporto stesso.
Prevale in ogni caso la teoria CONTRATTUALE secondo cui il rapporto di lavoro ha la sua fonte
imprescindibile nel contratto.
Art. 2126 c.c. “La nullità o l’annullamento del contratto non produce effetto, per il periodo in cui il rapporto
ha avuto esecuzione, salvo che la nullità non derivi da illiceità della causa o dell'oggetto”
Comma 1
Assumiamo che il soggetto abbia già lavorato per un determinato tempo.
Regola generale: La nullità o l'annullamento non producono effetto per il tempo già trascorso, con la
conseguenza che il lavoratore - nonostante la nullità o l'annullamento - ha comunque
diritto alla retribuzione.
Eccezione: In caso di illiceità della causa o dell'oggetto il lavoratore non avrà diritto alla retribuzione, ma -al
massimo ad un'azione per indebito arricchimento. Ciò significa che il lavoratore verrà rimborsato comunque
del valore delle cose prodotte per evitare l’indebito arricchimento del suo datore, ad eccezione della
contrarietà del buon costume.
Comma 2
Eccezione dell’eccezione precedente.
Comunque, se il lavoro è stato prestato in violazione di una norma posta a favore del lavoratore allora in
questo caso il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione (siccome di fatto c’è stata una prestazione
lavorativa).
Da che cosa deriva il rapporto di lavoro?
Secondo una prima impostazione (teoria contrattuale), dal contratto di lavoro. Si tenga presente, però che
ci sono anche teorie acontrattuali, basate sull’art. 2126, secondo cui il rapporto di lavoro può prescindere
dal contratto di lavoro.
Da parte di alcuni sono state anche sostenute teorie istituzionistiche, oggi meno accreditate, secondo cui
l’impresa è un’istituzione, con comunità di scopo tra datore e lavoratore, improntata sulla base di una rigida
gerarchia

INDEROGABILITA’ DEL CONTRATTO DI LAVORO


Vi sono norme derogabili e norme non derogabili: ad esempio le clausole elastiche del part-time sono
norme derogabili sia dai contratti collettivi, così come l’art. 2103 c.c. sulle mansioni è inderogabile. A tutela
del contratto di lavoro, affinché patti individuali possano vanificarne l’effetto IN PEIUS, vige il principio di
inderogabilità disciplinato dall’art. 2113 c.c.:

1° comma “le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti
da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi, non sono valide”.

In questi casi IL CONTRATTO NON E’ NULLO, come verrebbe da immaginare, bensì è ANNULLA-BILE visto il
regime di decadenza previsto.

Tra i diritti INDISPONIBILI si possono riconoscere due categorie:


- DIRITTI PRIMARI, assolutamente indisponibili, sotto posti a regime dell’art. 2113 c.c. (es. il diritto alla
retribuzione minima)
- DIRITTI SECONDARI, ossia diritti di natura economica che dipendono dai diritti primari (es. le ferie,
che pur irrinunciabili, la legge prevede indennità per ferie non godute)
Qualora queste rinunce e transazioni venissero poste, è sempre possibile impugnarle, ai sensi del secondo
comma dello stesso art. 2113 c.c.:

2° e 3° e 4° comma “questa impugnazione è proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data
di cessazione del rapporto… con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché sia idoneo a
rendere nota la volontà del lavoratore di impugnarle, salvo che rinunce e transazioni non siano fatto
davanti a commissione di conciliazione””

3 IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO


La disciplina di questo tipo di contratto di lavoro è stato per molto tempo l’esempio della c.d. “legislazione
alluvionale”, con tanti piccoli provvedimenti parziali, e senza nessun intervento di riordino. Nacque nel 1962
e prevedeva solo cinque casi in cui si potesse applicare detto contratto. A partire dagli anni 1980 furono
integrati i casi portati a 12. Nel 1999 intervenne una Direttiva Comunitaria in favore del miglioramento
della qualità del lavoro a tempo determinato, a garanzia del principio di non discriminazione, e ad evitare
gli abusi da uso improprio. In attuazione di detta direttiva, arrivò il D. LGS. 368/2001.
Il contratto a termine era ammesso nei seguenti casi:
 qualora richiesto dalla particolare natura dell'attività lavorativa dal carattere stagionale;
 sostituzione lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto;
 per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere
straordinario od occasionale;
 per far fronte alle punte stagionali;
 per l’effettuazione di lavorazioni a fasi successive richiedenti maestranze diverse;
 per l'assunzione di personale necessario per la produzione di specifici spettacoli;
 per il trasporto aereo;
 per le assunzioni dei dirigenti amministrativi con contratti non superiori a 5 anni;
 per l'esecuzione di servizi speciali nel turismo e nei pubblici esercizi non superiore ad un giorno;
 per l'assunzione di lavoratori in mobilità con contratti non superiori ai 12 mesi;
 per i dipendenti nel settore privato che, maturati i requisiti minimi di accesso al pensionamento di
anzianità, posticipano il pensionamento per almeno 2 anni stipulando un contratto a tempo
determinato;
 in caso di sostituzione per congedo parentale.
L'elencazione è apparsa insufficiente a rispondere alle esigenze di flessibilità espresse dalle imprese. Quindi
con l'art. 23 della legge 56/1987 si è permesso alle più rappresentative organizzazioni sindacali di
individuare nuove ipotesi per l'utilizzo del contratto a tempo determinato, ma limitatamente alla legittima
apposizione del termine, quindi solo riguardo all'apposizione di clausole di contingentamento, cioè volte a
stabilire il numero percentuale dei lavoratori che potevano essere assunti con contratto a termine rispetto
al numero di quelli a tempo indeterminato.

È poi intervenuto il d.lgs. 368/2001 che al primo comma dichiarava:


“il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”

L’apposizione DI UN TERMINE alla durata del contratto di lavoro subordinato E’ LEGITTIMA solo a fronte di
ragioni di carattere TECNICO, PRODUTTIVO, ORGANIZZATIVO, o SOSTITUTIVO. Quindi ragioni che siano
oggettive, verificabili, e che non siano elusive dell’intento del legislatore di evitare un uso improprio di
detta figura contrattuale. Inoltre vi deve essere IL NESSO CAUSALE tra l’assunzione a termine e le ragioni di
cui prima. Le ragioni non devono più avere carattere di eccezionalità, ma possono essere riferite alla
ordinaria attività del ddl.
In continuità con la disciplina precedente è considerata legittima la sostituzione del lavoratore assente
tramite lo scorrimento interno, ciò che conta è che ci sia un nesso.
Sopravvivono le seguenti ipotesi:
 assunzione da aziende di trasporto aereo e nelle poste con durata max. di 6 mesi tra aprile e ottobre
di ogni anno e di 4 mesi in altri periodi nella percentuale max. del 15% dell'organico aziendale;
 assunzione dirigenti con contratti non superiori ai 4 anni (in deroga al termine max. di 3 anni);
 lavoratori in mobilità per un max. di 12 mesi.

La riforma 92/2012 ha previsto l'assunzione con contratto a termine senza indicazione di causale nel caso
del primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore ai 12 mesi senza possibilità di proroga. La
contrattazione collettiva potrà prevedere che il requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato dalle
seguenti ragioni:
 avvio nuova attività
 lancio di un nuovo prodotto o servizio innovativo
 implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico
 fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo
 rinnovo o proroga di una commessa consistente.
L'assunzione non potrà riguardare più del 6% dei lavoratori occupati.
Inoltre la stessa riforma afferma che anche per le start up innovative per lo svolgimento di attività inerenti
all'oggetto sociale della stessa non è necessaria l'apposizione delle ragioni: il contratto può durare dai 6 ai
36 mesi con possibilità di proroga nel limite complessivo di 4 anni.
Sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
 nella fase di avvio di start up per periodi che saranno definiti dai CCNL anche in misura non uniforme
con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
 con lavoratori con età > 55 anni;
 in ipotesi ereditate dal precedente sistema e cioè sostituzione del lavoratore assente, attività
stagionali, specifici spettacoli.

DIVIETI DI RICORSO AL contratto a tempo determinato:


1. sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
2. assunzione presso unità produttive nelle quali vi sia stato licenziamento collettivo nei 6 mesi
precedenti, a carico di lavoratori adibiti a stesse mansioni a cui si riferisce il contratto a termine
3. assunzione presso unità produttive nelle quali sia in atto l’intervento della Cassa Integrazione a
favore di lavoratori adibiti a stesse mansioni a cui si riferisce il contratto a termine
4. assunzione presso imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

DISCIPLINA:
richiesta la forma scritta AD SUBSTANTIAM. In caso di assunzione entro i 12 giorni non è richiesta la forma
scritta. In mancanza dell’atto scritto, ove obbligatorio, il rapporto di lavoro si intende convertito in
contratto a tempo indeterminato. Nel contratto dovranno essere specificate le ragioni giustificatrici (e non
in forma “vaga” ma precisa). La scadenza può essere identificata con una data precisa, oppure
determinabile.

REGIME DELLA PROROGA:


 PROSECUZIONE DI FATTO: 20 giorni (se contratto < 6 mesi) o in 30 giorni (se contratto >= 6 mesi).
Prevista maggiorazione del 20% sino al 10° giorno, e al 40% per ogni ulteriore giorno. Oltre detti
termini la sanzione sarà la trasformazione in contratto a tempo indeterminato. Legge n°92 del 2012
 PROROGA: consentita la proroga UNA SOLA VOLTA, con il CONSENSO DEL LAVORATORE, purché
sussistano ragioni oggettive, e purché la durata complessiva non superi i 3 anni.
 RINNOVO DEL CONTRATTO: intervallo di 10 giorni (se rinnovo per < 6 mesi) o 20 giorni (se rinnovo
per >= 6 mesi) tra un contratto e l’altro; in caso di violazione, il secondo contratto si considererà a
tempo indeterminato.
TERMINE MAX DI RINNOVO (legge n°247del 2007):36 mesi tra lo stesso lavoratore e lo stesso DDL
(disposizione “derogabile” dal contratto collettivo, e NON dal contratto individuale).
La riforma 92/2012 ha introdotto un adempimento per cui il ddl ha l'onere di comunicare al Centro per
l'impiego, entro il termine previsto, che il rapporto proseguirà oltre tale termine indicando anche la durata
della prosecuzione.
Il termine può essere prorogato solo una volta.
Ci deve poi essere un periodo di pausa tra un contratto e un altro tra il ddl e lo stesso lavoratore: se il
lavoratore viene assunto a termine entro 60 o 90 giorni dalla scadenza di un precedente contratto a termine
di durata rispettivamente fino a 6 mesi o superiore, il secondo contratto deve considerarsi a tempo
indeterminato. I contratti collettivi possono prevedere anche periodi di pausa fino a 20 o 30 giorni in
condizioni particolari.

RECESSO ANTICIPATO: l'art. 2119 stabilisce che il lavoratore a tempo determinato può legittimamente
recedere prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, cioè di una causa che non
consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.

IMPUGNAZIONE (per illegittima apposizione del termine):


La procedura deve essere avviata entro 60 giorni dalla scadenza del contratto, A PENA DI DECADENZA, con
qualsiasi atto scritto. Entro 270 giorni deve essere depositato il ricorso nella cancelleria del giudice, A
PENA DI INEFFICACIA, oppure comunicato alla controparte per la richiesta della conciliazione o arbitrato.
SE IL GIUDICE ACCOGLIE: si ha la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo
indeterminato; inoltre il lavoratore ha diritto al ripristino del rapporto di lavoro e risarcimento del danno
sino al giorno della data di riassunzione. Con la L. 183/2010 c.d. COLLEGATO LAVORO, si dispose una
indennità tra 2,5 e 12 mensilità.

PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE:


I lavoratori assunti a tempo determinato hanno gli stessi diritti di quelli a tempo indeterminato. In caso di
malattia beneficiano delle indennità, ma non sposta la scadenza del termine di scadenza del contratto di
lavoro.

DIRITTO DI PRECEDENZA: Con la modifica del 2007 in attuazione del Protocollo sul WELFARE, è stato
riconosciuto il diritto di precedenza per quel lavoratore che abbia lavorato per più di sei mesi, quando
l’azienda debba assumere qualcuno a tempo indeterminato, con le sue stesse mansioni, entro 12 mesi
dalla fine del suo rapporto di lavoro. Purché il lavoratore abbia espresso la sua volontà entro 6 mesi dalla
data di cessazione.

LIMITI QUANTITATIVI: Il legislatore affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativa-mente più rappresentativi, l’individuazione DEI LIMITI QUANTITATIVI di utilizzazione del
contratto a tempo determinato. In genere si esprime come una cifra % dei lavoratori a tempo
indeterminato.
4 LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (D. LGS. 276/2003)
EVOLUZIONE STORICA:
o Art. 2127 c.c.: introduce il DIVIETO DI INTERPOSIZIONE nel rapporto di lavoro, sia pur solo
nell’ipotesi di lavoro a cottimo.
o L. 1369/1960: estende il DIVIETO DI INTERPOSIZIONE a tutte le ipotesi in cui l’imprenditore affidava
all’intermediario l’esecuzione di prestazioni.
o L. 196/1997: nasce la figura del LAVORO TEMPORANEO c.d. LAVORO INTERINALE, il primo esempio
di interposizione ammesso dalla legge.
o D.LGS. 276/2003: abroga integralmente la L. 1369/1960 e anche la L. 196/1997, e disciplina la
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO.

Il d.lgs. 276/2003 pur abrogando la l. 1369/2003 e la l. 196/1997, non elimina dal nostro ordinamento il
generale divieto di somministrazione altrui. La liceità è ammessa solo in caso di esercizio autorizzato e alle
condizioni previste. Nella contravvenzione a tali condizioni la somministrazione è illecita e comporta una
sanzione civile all'utilizzatore e una sanzione civile/penale al somministratore.

IL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE DEL LAVORO


Il rapporto di somministrazione è un rapporto TRILATERALE che coinvolge tre distinti soggetti:
 L’UTILIZZATORE: colui che si avvale dell’attività lavorativa del lavoratore assunto dal
somministratore.
 IL SOMMINISTRATORE: l’agenzia per il lavoro AUTORIZZATA a svolgere attività di somministrazione
di lavoro. IL PRESTATORE DI LAVORO SOMMINISTRATO: il lavoratore assunto dal somministratore
che svolge le proprie prestazioni a favore dell’utilizzatore.
Il lavoratore viene assunto dall'impresa fornitrice, ma presta la propria attività presso l'impresa utilizzatrice,
agendo sotto la direzione ed il controllo di quest'ultima. Caratteristica: sdoppiamento della figura del datore
di lavoro e dell'utilizzatore della prestazione di lavoro, tradizionalmente coincidenti.
L’attività di somministrazione PUO’ ESSERE SVOLTA SOLO DA SOCIETA’ AUTORIZZATE dal Ministero del
lavoro, previa verifica di determinati requisiti che ne garantiscano la solidità economica e finanziaria, e la
sua affidabilità sul piano professionale e organizzativo.

Il rapporto di lavoro somministrato è contraddistinto da DUE CONTRATTI:


1. IL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE tra utilizzatore e somministratore
2. IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO tra il somministratore ed il lavoratore (c.d. CONTRATTO
DI LAVORO SOMMINISTRATO).

Gli stessi contratti possono essere:


A) A TERMINE, che ripropone l’ex lavoro interinale (L. 196/1997) con la nuova
denominazione di lavoro somministrato (D. LGS. 276/2003)
 Ammesso solo a fronte di ragioni di carattere TECNICO, ORGANIZZATIVO, PRODUTTIVO
o SOSTITUTIVO, anche se riferibili all’attività ordinaria dell'utilizzatore (analogia con D.
LGS. 368/2001) → sono esclusi da questa normativa (d.lgs. 24/2012): percettori di
ammortizzatori sociali da almeno 6 mesi, lavoratori svantaggiati che da 24 mesi sono
senza lavoro, altre ipotesi individuate dai contratti collettivi). In questi casi non operano
nemmeno i limiti quantitativi. La sussistenza delle ragioni non è obbligatoria nemmeno in
caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a
tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi. Il limite complessivo dei lavoratori
occupati nell'ambito dell'unità produttiva è del 6% del totale.
 Ai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi è affidata l’individuazione dei limiti quantitativi di utilizzazione (vedi
analogia con la disciplina del D. LGS. 368/2001)
B) A TEMPO INDETERMINATO (c.d. STAFF LEASING), novità introdotta dal D. LGS.
276/2003, che si caratterizza per il fatto che la durata del contratto fra l’agenzia e l’utilizzatore della
prestazione non ha limiti temporali predefiniti.
 CASI CONSENTITI: Gli utilizzatori possono avvalersene in una serie di ipotesi individuate
dal legislatore e in tutti i casi previsti dai contratti collettivi (ES. servizi di pulizia; gestione
biblioteche, musei; gestione di call-center, in caso di utilizzo da parte del somministratore di
uno o più lavoratori assunti con apprendistato); è consentita in tutti gli altri casi previsti dai
contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative (staff leasing puro)
 CASI VIETATI: In sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità
produttive ove nei 6 mesi precedenti vi siano stati licenziamenti collettivi nei confronti di
lavoratori con stesse mansioni; presso imprese che non abbiano effettuato la valutazione
dei rischi; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti di
lavoro

FORMA: deve essere stipulato con forma SCRITTA, e deve contenere


a) Estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore
b) Il numero dei lavoratori da somministrare
c) Le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo
d) La presenza di eventuali rischi per integrità e salute del lavoratore e delle relative misure di
prevenzione adottate
e) La data di inizio e la durata prevista
f) Le mansioni, l’indicazione dell’orario, del luogo di lavoro, del trattamento economico

La mancanza della forma scritta comporta la nullità del contratto di somministrazione e i lavoratori sono a
tutti gli effetti considerati alle dipendenze dell’utilizzatore.

DIRITTI DEL LAVORATORE SOMMINISTRATO:


Vige la parità di trattamento, quindi stesso trattamento economico dei dipendenti di pari livello, a parità di
mansioni svolte.
I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e di occupazione cioè
trattamento economico normativo e occupazionale previsto dalla legge dai regolamenti dalle disposizioni
amministrative etc. relative a orario di lavoro, lavoro straordinario, pause, lavoro notturno, ferie, giorni
festivi, retribuzione, gravidanza etc.
Tutti gli oneri in materia di previdenza e assistenza obbligatoria sono a carico del somministratore. Inoltre
il lavoratore gode in una ulteriore garanzia: l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore per
oneri retributivi e previdenziali. Il lavoratore svolge il suo lavoro sotto la direzione e il controllo
dell’utilizzatore, anche se assunto dal somministratore: deve pertanto osservare le disposizioni
dell’utilizzatore. Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari il lavoratore è sottoposto al somministratore,
anche se l’utilizzatore può riferire al somministratore di eventuali fatti rilevanti. Eventuali danni a terzi
commessi dal lavoratore sono a carico dell’utilizzatore. Il lavoratore somministrato può esercitare i diritti
sindacali riconosciuti ai dipendenti dell’utilizzatore.
Il lavoratore può usufruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore.
Il d. lgs. N. 24/12 ha introdotto specifiche sanzioni in caso di mancata applicazione delle condizione di base
di lavoro e occupazione e per l'utilizzatore la mancata applicazione delle norme che garantiscono ai
somministrati il diritto alla fruizione dei servizi sociali, l'informazione sui posti di lavoro vacanti presso
l'utilizzatore e la violazione degli obblighi di comunicazione alle organizzazione sindacali dei motivi di ricorso
alla somministrazione (sanzione amministrativa pecuniarie tra 250 e 1250 €).
OBBLIGHI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA:
Obbligo per il somministratore di informare il lavoratore sui rischi connessi all’attività lavorativa, e li forma
e addestra all’uso delle attrezzature necessarie per lo svolgimento del proprio lavoro. Però il contratto può
prevedere che questo obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore (in certi casi è più pratico che l’adempimento
sia svolto dall’utilizzatore).
L'utilizzatore è tenuto ad informare il lavoratore nel caso in cui le mansioni richiedano una sorveglianza
medica particolare o rischi specifici, ed ha tutti gli obblighi di protezione previsti per i propri dipendenti
anche a favore del somministrato.

FORMAZIONE DEI LAVORATORI: è previsto un Fondo Per La Formazione e la integrazione del reddito, dove i
soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare un contributo pari al 4% della
retribuzione corrisposta ai lavoratori. Tali somme sono destinate a promuovere corsi di qualificazione e
riqualificazione. Dal primo gennaio 2013 per i lavoratori somministrati assunti a tempo determinato
l'aliquota è ridotta al 2,6% (la differenza si applicherà ai contratti di lavoro subordinato non a tempo
indeterminato per finanziare la nuova assicurazione sociale per l'impiego).

SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE: in questo caso il lavoratore potrà, mediante ricorso giudiziale, chiedere
la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore.

DECENTREAMENTO PRODUTTIVO: ESTERNALIZZAZIONI

APPALTO
La differenza CON LA SOMMINISTRAZIONE risiede nell’art. 29 del D. LGS. 276/2003:
“il contratto di appalto (art. 1655 c.c.) di distingue dalla somministrazione di lavoro per LA
ORGANIZZAZIONE DI MEZZI NECESSARI da parte dell’appaltatore, che può risultare a seconda dei casi,
dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, e per
l’assunzione da parte dell’appaltatore stesso, DEL RISCHIO D’IMPRESA”.

Inoltre, sempre l’art. 29, precisa in ordine agli APPALTI A BASSA INTENSITA’ ORGANIZZATIVA:
“nelle ipotesi in cui l’organizzazione dell’appaltatore si riduce alla sola organizzazione del lavoro (es. servizi
di facchinaggio, oppure servizio di assistenza software), il giudice per stabilire l’esistenza di un appalto
illecito, deve verificare nel caso concreto CHI ESERCITA I POTERI TIPICI DEL DDL verso i dipendenti”

L’appalto privo dei requisiti previsti dall’art. 29 D. LGS. 276/2003 è equiparato alla somministrazione
irregolare.

Infine sempre l’art. 29 ha stabilito, a tutela del lavoratore, che in caso di appalto lecito, il committente è
obbligato in solido con l’appaltatore e con eventuali subappaltatori, a corrispondere ai lavoratori i
trattamenti retributivi e contributivi, entro 2 anni dalla cessazione dell'appalto, restando escluso qualsiasi
obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento.
Per quanto riguarda la responsabile si prevede a favore del committente il beneficio della preventiva
escussione del patrimonio dell'appaltatore (legge fornero 92/12); il committente convenuto in giudizio per il
pagamento unitamente con l'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori può eccepire il
beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore (subappaltatori) in questo caso il
giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati ma l'azione esecutiva può essere esercitata nei
confronti del committente solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore.
Il committente che effettua il pagamento può effettuare l'azione di regresso nei confronti dei co obbligati,
inoltre l'appaltatore risponde in solido col subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo
dovuto, del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente; questa responsabilità solidale
viene meno se l'appaltatore verifica che gli adempimenti sono stati correttamente eseguiti dal
subappaltatore (decreto sviluppo 134/12).
IL DISTACCO
L’art. 30 del D. LGS. 276/2003 lo prevede “quando un DDL, per soddisfare un proprio interesse, PONE
TEMPORANEAMENTE uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una
determinata attività lavorativa”.

Quindi per distinguere il distacco dalla somministrazione ci deve essere UN INTERESSE del DDL a predisporre
il distacco. A tal proposito dice l’art. 30, d.lgs. 276/2003:
2° comma: In ogni caso il distaccatario rimane responsabile del trattamento economico e lavorativo a
favore del lavoratore.
3° comma: Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del
lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da
quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive.

Il distacco che non abbia i requisiti richiesti dall’art. 30 è equiparato alla SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE.

5 I CONTRATTI A CONTENUTO FORMATIVO


Sono quei contratti la cui atipicità deriva dalla causa, che è di tipo MISTO. L’obbligazione del DDL consiste
nella RETRIBUZIONE e nella FORMAZIONE del lavoratore. Nel nostro ordinamento abbiamo visto diverse
forme di contratti a contenuto formativo:
1. APPRENDISTATO
2. CONTRATTO DI FORMAZIONE E LAVORO, introdotto nel 1984, e che per lungo tempo è stata la
tipologia contrattuale più utilizzata per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Consisteva nell’assunzione di giovani tra i 15 e i 29 anni, con possibilità di deroga a livello
regionale. Infatti in Sardegna tale limite fu portato sino ai 40 anni… poi fu ABROGATO dal D. LGS.
273/2003 che lo ha sostituito con il “contratto di inserimento”
3. CONTRATTO DI INSERIMENTO, introdotto dal D. LGS. 276/2003 quando abrogò il contratto di
formazione e lavoro.

La recente legge 92/12 ha collocato l'apprendistato al centro dell'azione pubblica a sostegno


dell'occupazione giovanile. L'apprendistato diviene “(la) modalità prevalente di ingresso dei giovani nel
mercato del lavoro” (art.1 comma 1 lett. B legge 92/12), l'abrogazione della disciplina del contratto di
inserimento (compensata dall'introduzione di agevolazioni contributive per l'assunzione di lavoratori idi età
non inferiore a cinquant'anni disoccupati da almeno 12 mesi e di donne di qualsiasi età prive di impiego
regolarmente retribuito da almeno 6 mesi residenti in determinate aree geografiche del Paese).
Ecco alcuni tratti caratteristici dei contratti di lavoro con finalità formative:
1- l'incidenza delle finalità formative sulla causa stessa del contratto: mentre nei normali contratti di
lavoro subordinato la causa è rinvenibile nello scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione, nei
contratti di lavoro con finalità formative la causa è mista, perché in cambio della prestazione lavorativa il
datore di lavoro si impegna non solo a retribuire il lavoratore, ma ad assicurarne la formazione
professionale, secondo i tempi e le modalità precisati dalla legge e dai contratti collettivi;
2- la previsione di un termine alla formazione: il processo formativo in cui viene inserito il lavoratore
non può non prevedere una scadenza entro cui devono essere raggiunti gli obbiettivi formativi a cui tende il
contratto;
3- i benefici economici e normativi concessi al datore di lavoro che assume giovani coi contratti in
esame, a compensazione degli oneri che ricadono sulle imprese per lo svolgimento dell'essenziale funzione
formativa.
Le finalità formative si sono così incrociate con le finalità occupazionali, cosicché, spesso, i contratti di
lavoro con finalità formative sono stati utilizzati soprattutto perché portatori di incentivi volti a favorire
l'occupazione giovanile.

A) L’APPRENDISTATO (D. LGS. 167/2011)


Come appena descritto, l’apprendistato nasce con la L. 25/1955, poi modificata dalla L. 196/1997 e dal D.
LGS. 276/2003, ed infine dal D. LGS. 167/2011.

Il D. LGS. 276/2003 rivoluzionò l’apprendistato con l’inserimento di tre tipi di apprendistato:


1. apprendistato per l’adempimento del diritto dovere di istruzione e formazione in luogo del percorso
di studio tradizionale
2. apprendistato tradizionale, per consentire al lavoratore di apprendere un mestiere
3. apprendistato per l’acquisizione di un diploma o di percorsi di alta specializzazione alternativo alla
formazione universitaria
E’ un contratto a termine e può essere stipulato da soggetti con 15 anni (per tre anni), o con soggetti tra i
18 e i 29 anni (max. 6 anni).

Il D. LGS. 167/2011 modificò le tipologie di apprendistato, mantenendole però nel numero di tre.
 apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale
 apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere)
 apprendistato per l’alta formazione
È un contratto a tempo indeterminato (vedi poi CONTRADDIZIONE)

CAMPO DI APPLICAZIONE: in tutti i settori di attività. Sono state introdotte nuove categorie di DDL:
 pubbliche amministrazioni (limitatamente a 1 e 2 di cui sopra);
 praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche;
 le agenzie di somministrazione possono assumere apprendisti esclusivamente al fine di procedere
alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (staff leasing);
 attività che si svolgono in cicli stagionali.

La tendenza espansiva dell'istituto si manifesta anche sul fronte dei lavoratori che possono essere assunti
con contratto di apprendistato: per quanto riguarda i giovani potenzialmente assumibili, i limiti di età
(minimi e massimi) variano a secondo del tipo di contratto di apprendistato, coprendo la fascia dai 15 ai 29
anni. Ma l'apprendistato va oltre i giovani ed ora è aperto anche ai lavoratori in mobilità al fine di favorire la
loro qualificazione o riqualificazione professionale. Nella categoria “apprendisti in mobilità” rientrerebbero
solo i soggetti in mobilità beneficiari della relativa indennità ai sensi dell'art 8 legge 223/91, ma secondo un
diverso orientamento il riferimento sarebbe a tutti i soggetti iscritti nelle liste di mobilità (compresi anche i
lavoratori che non beneficiano dell'indennità di mobilità ma iscritti alle liste in quanto licenziati per
giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o lavoratori
cessati dal rapporto a seguito di presentazione al datore di lavoro di dimissioni per giusta causa). Il
ministero si è pronunciato in merito aderendo al secondo orientamento di pensiero.
A partire dal gennaio 2013 il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere
direttamente non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in
servizio presso lo stesso datore di lavoro. Il medesimo rapporto non può superare, invece, il 100% per i
datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a 10 unità. Nel caso in cui il datore di lavoro
non abbia alle proprie dipendenza lavoratori qualificati o specializzati o ne abbia un numero inferiore a tre,
gli è concesso assumere fino a tre dipendenti. Nel settore artigiano si applica l'art 4 della legge 8/85 n. 443.
Tale articolo indica i limiti dimensionali perché l'impresa possa essere qualificata come artigiana, stabilendo
il numero massimo di apprendisti (minimo 5 massimo 24) a seconda dell'attività dell'impresa.
I datori di lavoro che occupano almeno 10 dipendenti possono procedere a nuove assunzioni con contratto
di apprendistato solo se, al termine del periodo di apprendistato hanno confermato i servizi almeno il 30%
degli apprendisti assunti nei 36 mesi precedenti (nel 2015 la percentuale sarà aumentata al 50%), dal
computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova,
per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.
Il mancato rispetto dei limiti è sanzionato con qualificazione del rapporto di lavoro come normale rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La durata minima del contratto non può essere inferiore ai 6 mesi (ad esclusione delle attività stagionali) e
la durata massima varia in relazione al tipo di contratto di apprendistato.
È richiesta la predisposizione di un piano formativo individuale (pfi), da definire entro 30 giorni dalla
stipulazione del contratto, esso deve stabilire gli obbiettivi formativi da raggiungere e indicare la struttura
del percorso formativo e specificarne le modalità di formazione.

DISCIPLINA DEL CONTRATTO: la forma è scritta AD SUBSTANTIAM, quindi nel caso un contratto non sia
stipulato in forma scritta il contratto è nullo e si intende come un contratto a tempo indeterminato non di
carattere formativo. Nel contratto DEVE ESSERE indicato il PIANO FORMATIVO, in modo che il lavoratore
sappia che tipo di formazione riceverà.

DURATA: minimo 6 mesi ad eccezione delle attività stagionali

VANTAGGI PER il DDL:


a) VANTAGGI ECONOMICI, consistono in SGRAVI CONTRIBUTIVI per cui il DDL pagherà i contributi
previdenziali ed assicurativi in misura ridotta:
a. Sgravio totale per i primi 3 anni per aziende sino a 9 dipendenti (anni successivi 10%)
b. Il 10% per tutti gli altri e per aziende con più di 9 dipendenti

b) VANTAGGI NORMATIVI, che consistono nella possibilità, per il DDL, di “sotto inquadrare” il
lavoratore assunto con contratto di apprendistato. Gli apprendisti quindi possono essere sotto
inquadrati sino a due livelli sotto a quello che gli spetterebbe sulla base delle mansioni svolte.

c) Con la modifica del 2011 c’è una nuova forma di VANTAGGIO, in alternativa al “sotto
inquadramento”, che consistono in una RETRIBUZIONE RIDOTTA, in una misura percentuale CHE
CON IL PASSARE DEL TEMPO sarà modificata in virtù del fatto che nel frattempo il lavoratore avrà
acquisito più professionalità.

DIVIETO DI RETRIBUZIONE A COTTIMO: poiché l’obbiettivo del contratto è la formazione, il legislatore ha


ritenuto opportuno evitare che la spinta a garantire un maggior rendimento andasse a scapito della
formazione. In seguito ad un INTERPELLO, il Ministero del lavoro rispose che “il pagamento di un “utile di
cottimo” è consentito SOLO qualora sia TOTALMENTE SLEGATO dal risultato produttivo del lavoratore,
costituendo una voce retributiva fissa. Proprio a conferma della RATIO di detto divieto.

RECESSO: durante il periodo di formazione è legittimo solo se sostenuto da giusta causa o da giustificato
motivo; al termine del periodo di formazione il recesso è libero e va comunicato con preavviso ai sensi
dell'art. 2118 c.c.

PROTEZIONE SOCIALE: gli oneri contributivi a carico dell'apprendista sono ridotti (pari al 5,84% della
retribuzione imponibile ai fini previdenziali, contro il 9% degli altri lavori subordinati), pur garantendo al
giovane una protezione simile a quella degli altri dipendenti. Al giovane è consentito di maturare diritti
previdenziali in materia pensionistica e di godere anche delle seguenti forme di protezione:
a- assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b- assicurazione contro le malattie;
c- assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;
d- prestazioni in caso di maternità;
e- assegni familiari;
f- trattamento pari all'indennità ordinaria di disoccupazione
g- in alternativa al punto f acceso ai trattamenti in deroga
h- accesso, dal 1 gennaio 2013 al trattamento di disoccupazione denominato ASPI

TUTORE O REFERENTE AZIENDALE: il legislatore li ha previsti a garanzia della formazione del lavoratore. Si
tratta di un soggetto che GARANTISCA l’adempimento dell’obbligo formativo, ovvero di un soggetto che
segua il lavoratore nella sua formazione.

CONTRADDIZIONE: è prevista la possibilità di prolungare il contratto di apprendistato in caso di malattia,


infortunio. E qua abbiamo la contraddizione con ciò che dichiara il decreto del 2011 che parla di contratto a
tempo indeterminato…

Inoltre alla lettera L il decreto dice “divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di
formazione, in assenza di una giusta causa”, e quindi richiama la disciplina tipica dell’art. 2119 c.c. sul
recesso del contratto a tempo determinato…

Poi nella lettera M il decreto introduce il principio del libero recesso una volta finito il periodo di
formazione…

QUINDI CONCLUDENDO si può dire che:


- durante il periodo di formazione il recesso è legittimo solo se sostenuto da giusta causa
- al termine del periodo di formazione il recesso è libero, e se nessuna parte lo esercita, il
rapporto di lavoro continua come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

LIMITI, MODALITA’ DI ASSUNZIONE: un DDL non può assumere apprendisti in misura superiore al numero
di lavoratori specializzati e qualificati.

TIPOLOGIA 1: APPRENDISTATO PER LA QUALIFICA E IL DIPLOMA PROFESSIONALE (art. 3 T.U.)


SOGGETTI: tra i 15 e i 25 anni.
DURATA: determinata dalla contrattazione collettiva, ma non superiore a 3 anni, (4 anni se si tratta di
diploma quadriennale regionale).
PROFILI FORMATIVI: spettano alle Regioni, previa intesa in sede di Conferenza Stato/Regioni, e sentite le
associazioni del DDL e dei lavoratori comparativamente più rappresentative.
REQUISITI: definizione del diploma professionale, e PREVISIONE di un monte ore di formazione, che sia
CONGRUO al conseguimento del diploma professionale.
È stata recentemente siglata in sede di conferenza stato-regioni un'intesa che individua 22 qualifiche e 21
diplomi professionali e i relativi standard minimi formativi, così da garantire uniformità su tutto il territorio
nazionale. L'intesa stabilisce, inoltre, un monte minimo di 400 ore annue per l'attività di formazione interna
o esterna all'azienda lasciando aperta la possibilità, per gli apprendisti con più di 18 anni di una riduzione
delle ore di formazione dovute all'eventuale riconoscimento di crediti formativi collegati alle competenze di
cui già sono in possesso.

Il decreto dal 2011 ha innalzato il limite massimo dai 18 anni ai 25 anni, ma vi sono 3 CRITICITA’:

1- la formazione potrebbe essere totalmente all’interno dell’azienda: cosa che appare inadeguata
rispetto ai bisogni formativi dei soggetti
2- non vi sono vantaggi economici e normativi che rendano appetibile questa forma di contratto ai
DDL

TIPOLOGIA 2: APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE O CONTRATTO DI MESTIERE (art. 4 T.U.)


SOGGETTI: tra i 18 e i 29 anni, con unica deroga per il 17enne che può essere assunto se in possesso di una
qualifica professionale.
DURATA: demandata alla contrattazione collettiva, anche se non può superare i 3 anni di durata, oppure 5
anni per alcune figure professionali dell’artigianato (ridotto da 6 a 3 anni rispetto alla disciplina del 2003).
SISTEMA DI FORMAZIONE: è costruito dalle parti sociali, e viene stabilito un limite minimo di 120 ore nel
triennio da dedicare alla formazione di tipo trasversale. Tecnica già utilizzata in precedenza dal contratto di
formazione e lavoro.

TIPOLOGIA 3: APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONE E RICERCA (art. 5 T.U.)


Nel 2003 consentiva il conseguimento dei titoli di studio universitari o di alta formazione compresi i
dottorati di ricerca. Poi nel 2011 venne ampliato anche per il praticantato utile per l’accesso alle professioni
intellettuali (avvocati, commercialisti, etc.).
SOGGETTI: tra i 18 anni e i 29 anni, con la consueta anticipazione a 17 anni per chi abbia già una qualifica
professionale.
DURATA: la durata massima e tutti gli altri dettagli sono rimandati alle Regioni in accordo con le associazioni
territoriali dei DDL e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul territorio, e le
istituzioni formative interessate (es. scuole, università, etc.).

B) IL CONTRATTO DI INSERIMENTO (D. LGS. 276/2003)


Si tratta di un contratto con finalità formative:

1- diretto a realizzare UN PROGETTO INDIVIDUALE (requisito essenziale) di adattamento a un contesto


lavorativo
2- al REINSERIMENTO di particolari categorie lavoratori in condizioni di svantaggio occupazionale”.

SOGGETTI:
- giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni
- lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate:
 disoccupati di lunga durata (più di 12 mesi) di età compresa tra 29 e 32 anni
 soggetti con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro
 lavoratori che desiderano riprendere un’att. lav. che non lavorino da almeno 2 anni
 donne di qualsiasi età prive di impiego retribuito da almeno 6 mesi
 persone con grave handicap fisico o mentale o psichico.

DURATA:
Si tratta di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata non inferiore a 9 mesi e non
superiore a 18 mesi (36 mesi per handicappati). Non è un contratto rinnovabile e le proroghe non possono
superare in ogni caso il limite massimo imposto.

PROGETTO INDIVIDUALE DI INSERIMENTO:


una condizione per l'assunzione è la predisposizione di un progetto individuale definito con il consenso del
lavoratore e finalizzato a garantire l'adeguamento delle competenze professionali del lavoratore in un
determinato contesto lavorativo. Relativamente alla formazione le parti hanno convenuto che il progetto
debba prevedere una formazione teorica non inferiore a 16 ore, ripartita fra l'apprendimento di nozioni di
prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale,
accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite anche con modalità e-learning, in
funzione dell'adeguamento delle capacità professionali del lavoratore.
In caso di inadempienze del progetto la legge prevede che il datore di lavoro sia tenuto a versare la
differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento
contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di inserimento,
maggiorata del 100% (e non prevede la trasformazione in contratto a tempo indeterminato).

FORMA:
il contratto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere il progetto individuale di inserimento. In
mancanza di forma scritta il contratto è nullo e il lavoratore s'intende assunto a tempo indeterminato
(art.56). Devono essere inseriti nel contratto: la durata, eventuale periodo di prova, orario di lavoro,
categoria di inquadramento del lavoratore, trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro.

DISCIPLINA DEL RAPPORTO:


vengono applicate le disposizioni sul contratto a tempo determinato salvo diversa previsione dei contratti
collettivi nazionali, territoriali o aziendali.
:
al contratto di inserimento si ritiene che possa apporsi, anche se non espressamente previsto un patto di
prova diretto a dimostrare l'idoneità del lavoratore a raggiungere gli obiettivi del progetto individuale di
inserimento.

CONDIZIONE PER ASSUNZIONE: Il DDL può assumere con un contratto di inserimento SOLO SE ABBIA
MANTENUTO in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi
precedenti.

INCENTIVI:
gli incentivi trovano applicazione solo per alcuni dei soggetti assumibili con contratto di inserimento:
disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro;
lavoratori che desiderano riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni;
donne di qualsiasi età, prive di impiego da almeno 6 mesi, residenti in particolari aree geografiche; presone
con grave handicap fisico, mentale o psichico; sono invece esclusi dagli incentivi economici, anche se
possono essere assunti con contratto di inserimento, i soggetti tra i 18 e i 29 anni (sempre che non rientrino
in una sovrastante categoria)

- INCENTIVI ECONOMICI: Le agevolazioni sono differenziate a seconda dell’area territoriale


 riduzione DEGLI ONERI CONTRIBUTIVI del 25%
 nel mezzogiorno stessi sgravi per gli apprendisti (totale x 3 anni, poi 10%)
 le imprese commerciali e turistiche con meno di 15 dipendenti, non ubicate nel
mezzogiorno e nelle zone ad elevata disoccupazione, godono di una riduzione degli oneri
contributivi del 40%
- INCENTIVI ECONOMICI: altra soluzione può essere il c.d. SALARIO D’INGRESSO, con
inquadramento del lavoratore in un livello inferiore (max. 2 livelli), il sotto inquadramento non si
applica alle donne di qualsiasi età prove di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi
e residenti in aree geografiche ad alta disoccupazione femminile.
- INCENTIVI NORMATIVI: non vengono computati ai fini del superamento di eventuali limiti
numerici previsti dalla legge per l’applicazione di particolari normative ed istituti.
Alcuni datori di lavoro ubicati nel mezzogiorno beneficiano però solo della riduzione del 50%: sono i liberi
professionisti, gli enti pubblici economici, le associazioni professionali, socio-culturali e sportive e le
fondazioni.

SOGGETTI ABILITATI AD ASSUMERE:


I contratti di inserimento possono essere stipulati da enti pubblici economici, imprese e loro consorzi,
fondazioni, enti di ricerca.

SOGGETTI NON ABILITATI AD ASSUMERE:


Quei DDL iscritti agli albi professionali e le amministrazioni pubbliche.
6 CONTRATTI DI LAVORO AD ORARIO FLESSIBILE E/O RIDOTTO

A) IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE (artt. 33-40 d.lgs. 276/2003)


Tipologia di contratto con flessibilità a totale vantaggio dell’impresa, tanto che fu per un periodo abrogata
come figura contrattuale.

Art. 33 – “È il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un DDL che ne può
utilizzare la prestazione lavorativa per lo svolgimento di prestazioni di carattere continuo o intermittente
secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, OPPURE per periodi predeterminati della settimana,
o del mese, o dell’anno, individuati dalla legge”

CON OBBLIGO DI RISPOSTA ALLA CHIAMATA: il lavoratore è obbligato a rispondere alla chiamata, e nei
periodi di non lavoro riceverà dal DDL la c.d. indennità di disponibilità
SENZA OBBLIGO DI RISPOSTA ALLA CHIAMATA: lavoratore darà ogni volta (oppure no) il suo consenso

SOGGETTI AMMESSI:
il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con meno di 25 anni o con più di 45
anni, anche pensionati.

TIPI DI PRESTAZIONE:
b. utilizzato per prestazioni di carattere discontinuo o intermittente a seconda delle esigenze
INDIVIDUATE dai contratti collettivi.
c. utilizzato anche per prestazioni da rendersi in periodi predeterminati, sempre individuati dai
contratti collettivi.

La legge n 92/2012 è intervenuta riguardo il campo di applicazione e gli obblighi di comunicazione, al fine di
rendere più trasparente il ricorso a questa tipologia di contratto. Perché siano effettivamente prestazioni a
intermittenza, dovranno essere intervallate da interruzioni on modo che non ci sia coincidenza tra la
durata del contratto e la durata della prestazione.

Il contratto può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato.


Si differenzia da:
 contratto part time → il contratto intermittente soddisfa esigenze limitate nel tempo ed eventuali,
mentre nel secondo sono certi i reciproci obblighi dei contraenti; inoltre il primo non prevede alcuna
durata della prestazione che sarà richiesta da una chiamata del ddl mentre le clausole elastiche e
flessibili sono attivate anch'esse da una richiesta del ddl, ma esprimono una variazione in aumento
o nella collocazione della prestazione lavorativa ovvero esprimono uno jus variandi del datore di
lavoro finalizzato ad ottenere una prestazione ulteriore o la stessa diversamente distribuita.
 Lavoro interinale → nel lav. Intermittente non vi è l'agenzia che intermedia ed il lavoratore è assunto
direttamente da ddl che ne utilizza le prestazioni:
ipotesi soggettive: il contratto può essere concluso da persone che abbiano al max. 24 anni o con più di 55;
ipotesi oggettive: può essere usato per prestazioni di carattere discontinuo e in periodi determinati.
Sono state abrogate le norme che consentivano al ddl di ricorrere a questo contratto per prestazioni da
rendersi nel weekend, nei periodi di ferie estive o nelle vacanze natalizie e pasquali.

CASI VIETATI:
1. per sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
2. in unità produttive ove vi sia stato nei 6 mesi precedenti un licenziamento collettivo nei confronti di
lavoratori con la stessa mansione
3. da parte delle imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi
FORMA E COMUNICAZIONI: forma scritta AD SUBSTANTIAM, con l’indicazione di:
1. indicazione della DURATA se a tempo determinato, e delle ipotesi oggettive e soggettive che
consentono la stipulazione del contratto stesso
2. LUOGO e MODALITA’ della REPERIBILITA’, e modalità circa il preavviso di chiamata del DDL
3. il TRATTAMENTO ECONOMICO e normativo riservato al lavoratore
4. indicazione delle FORME e MODALITA’ con cui il DDL è legittimato a chiedere l’ESECUZIONE DELLA
PRESTAZIONE, nonché le modalità circa la rilevazione delle presenze
5. TEMPI e MODALITA’ del PAGAMENTO della retribuzione e della indennità di disponibilità
6. eventuali misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività da svolgere.
Il ddl ha l'obbligo di informare annualmente le rappresentanze sindacali sull'andamento del ricorso al
contratto di lav. intermittente. Inoltre è necessario comunicare alla Direzione territoriale del lavoro prima
dell'inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni; la comunicazione potrà essere modificata
mediante rettifica entro 48 ore dall'inizio della prestazione.

DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO INTERMITTENTE: per tutelare il lavoratore è stato stabilito il
principio di parità di trattamento → il lavoratore non deve ricevere un trattamento economico e normativo
inferiore a quello di un lavoratore di pari livello e a parità di mansioni svolte. Per il periodo in cui il
lavoratore resta disponibile alla chiamata, non è titolare di alcun diritto riconosciuto agli altri lavoratori e
non matura alcun trattamento economico a parte l'indennità di disponibilità.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale è ti rispetto alla prestazione effettivamente eseguita
proporzionato.

INDENNITA’ DI DISPONIBILITA’: la misura di questa indennità è stabilita dai contratti collettivi, e in ogni
caso non può essere inferiore alla misura minima fissata e aggiornata periodicamente dal Ministro del
lavoro, sentite le associazioni dei DDL e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale. Detta indennità È ESCLUSA DA OGNI COMPUTO.
In caso di MALATTIA, il lavoratore ne da’ immediatamente avviso al DDL, e l’indennità di disponibilità per
quel preciso periodo non è dovuta. Se il lavoratore in malattia non provvede a dare notizia al DDL, perde 15
giorni di indennità di disponibilità.
In caso di RIFIUTO INGIUSTIFICATO del lavoratore, l’eventuale indennità riscossa dal lavoratore sino a quel
momento dovrà essere restituita al DDL.

PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE: trattamento previsto per tutti i contratti atipici.

INTERVENTO DEL MINISTRO DEL LAVORO: qualora ritardasse il decreto in cui vengono determinati i casi in
cui sia ammesso il lavoro intermittente, il Ministro del lavoro può intervenire e sollecitare, e addirittura
emettere un proprio decreto a sopperire il ritardo.

REGIME TRANSITORIO: i contratti a chiamata stipulati prima della legge 92/2012 e che non sono compatibili
con l'attuale quadro normativo di riferimento dell'istituto cessano di produrre effetti decorsi 12 mesi
dall'entrata in vigore della legge.

B) IL CONTRATTO DI LAVORO PART - TIME


Il rapporto di lavoro viene considerato a tempo parziale (part time) quando l’orario di lavoro fissato dal
contratto individuale risulta comunque inferiore al tempo pieno, ovvero quello stabilito dalla Legge, fissato
in 40 ore settimanali. Esistono diverse FORME DI PART TIME:

PART-TIME ORIZZONTALE: quando la RIDUZIONE dell’orario di lavoro avviene durante la giornata


(es. 4 ore anziché 8 ore al giorno)
PART-TIME VERTICALE: quando la attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma
LIMITATAMENTE a PERIODI predeterminati nel corso della settimana,
del mese o dell’anno
PART-TIME MISTO: quando la attività lavorativa si svolge secondo una combinazione delle
modalità appena esposte

LA FORMA DEL CONTRATTO PART-TIME:


È richiesta la forma scritta AD PROBATIONEM, e devono essere indicate LE ORE che il lavoratore deve
lavorare, e la loro COLLOCAZIONE TEMPORALE.
Il DDL potrà chiedere al lavoratore part-time prestazioni di lavoro supplementare, di lavoro straordinario,
oppure le c.d. clausole flessibili e le c.d. clausole elastiche. Vediamole:

LAVORO SUPPLEMENTARE: (solo Part Time ORIZZONTALE)


Consiste nella prestazione lavorativa svolta oltre le ore concordate, MA ENTRO il limite del tempo
pieno, nei limiti fissati dai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali e aziendali (i contratti
stessi stabiliscono l’ammontare massimo, e le causali per le quali la richiesta è ammessa). Se il
contratto collettivo prevede ESPRESSAMENTE e regoli il lavoro supplementare, NON È NECESSARIO IL
CONSENSO DEL LAVORATORE, ed il suo rifiuto può assumere rilevanza disciplinare.
Se il contratto collettivo non lo prevede, È NECESSARIO il CONSENSO del lavoratore. L'eventuale
rifiuto del lavoratore non comporta alcuna conseguenza disciplinare.

LAVORO STRAORDINARIO: (solo Part Time VERTICALE e MISTO)


Sono ore di lavoro svolte in più oltre l’orario pieno (es. part time verticale, lavora dal lunedì al
mercoledì otto ore al giorno, 1 ora in più al giorno è straordinario). In mancanza di disciplina collettiva
applicabile, il lavoro straordinario è ammesso solo PREVIO ACCORDO tra DDL e lavoratore, e per un
periodo che non superi 250 ore annuali.

CLAUSOLE FLESSIBILI: (Part Time ORIZZONTALE, VERTICALE e MISTO)


E’ facoltà del DDL variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale,
mediante le c.d. CLAUSOLE FLESSIBILI, ammesse in tutti i tipi di part-time (orizzontale, verticale,
misto).
Richiesto IL CONSENSO del lavoratore mediante patto scritto, e comunque con un preavviso di
almeno 5 giorni. Le modalità sono stabilite dalla contrattazione collettiva. L’eventuale rifiuto del
lavoratore non integra estremi di giustificato motivo di licenziamento.

CLAUSOLE ELASTICHE:
E’ riconosciuto al DDL anche il potere di modificare IN AUMENTO la durata della prestazione
lavorativa a tempo parziale con le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva. Necessario IL
CONSENSO DEL LAVORATORE, formalizzato con un patto scritto, e con l’assistenza di un
rappresentante sindacale aziendale (RSA) o RSU. L’eventuale rifiuto del lavoratore non integra alcun
procedimento a suo danno.
Necessario anche in questo caso il PREAVVISO di almeno 5 giorni, a prescindere dall’accettazione del
lavoratore.

La contrattazione collettiva ha il compito di stabilire le condizioni e le modalità in relazione alle quali il


datore di lavoro può variare la collocazione temporale della prestazione oppure può variare in aumento la
durata della prestazione lavorativa, i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione
lavorativa nonché le condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l'eliminazione o la
modifica delle clausole elastiche.
Il prestatore deve avere un preavviso di almeno 2 giorni lavorativi oltre al diritto a specifiche compensazioni
nella misura fissata dai contratti collettivi.
REVOCA DEL CONSENSO DEL LAVORATORE: il lavoratore può richiedere al datore di modificare o eliminare
le clausole. Questo può accadere solo se è previsto dal contratto collettivo applicato e qualora il lavoratore
di trovi o affetto da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa del lavoratore stesso, del coniuge,
dei figli o dei genitori, portatori di handicap ecc. oppure lavoratori studenti frequentanti corsi regolari di
studi. Se non vengono rispettate queste condizioni, oltre alla retribuzione dovuta il lavoratore ha diritto
anche al risarcimento del danno.

PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE:


Principio che caratterizza TUTTI I CONTRATTI ATIPICI (ricordane uno e vale per tutti!!!)
Gli istituti normativi ed economici del lavoro subordinato a tempo pieno vanno riproporzionati in relazione
al tempo di lavoro stabilito dal contratto part time. Non vanno però riproporzionati quelli che non sono
legati da un nesso di corrispettività con la prestazione di lavoro.

APPARATO SANZIONATORIO: ipotesi di mancanza o indeterminatezza dell'indicazione relativa alla durata


delle prestazioni di lavoro part-time e della sia distribuzione nel tempo → non determina nullità, ma se
manca su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale;
nell'ipotesi invece in cui l0omissione riguardi solo la collocazione temporale dell'orario il giudice provvede a
determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione. In entrambi i casi il lavoratore ha diritto
alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno.

COMPUTO DEL LAVORATORE PART-TIME


Ai fini del computo della consistenza dell’organico i lavoratori part-time contano per la percentuale per la
quale sono impiegati: es. due part-time al 50% equivalgono ai fini del computo a 1 dipendente.

TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DA TEMPO PIENO A TEMPO PARZIALE


Si effettua mediante accordo scritto, e a tutela del lavoratore l’eventuale suo rifiuto alla trasformazione non
comporta alcun giustificato motivo di licenziamento. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il
DDL deve darne informazione ai dipendenti a tempo pieno.

DISPOSIZIONI PARTICOLARI: previste per quei lavoratori affetti da patologie che ne limitano la
capacità lavorativa. In questi casi il lavoratore può chiedere la trasformazione in tempo parziale, e
successivamente chiedere la nuova trasformazione a tempo pieno. Tutto ciò spetta anche al coniuge
e ai figli del lavoratore affetto, al lavoratore che abbia un figlio entro i 13 anni, o portatore di
handicap.

SETTORE PUBBLICO: la trasformazione, richiesta dal dipendente pubblico, può essere concessa
dall’amministrazione.

REVERSIBILITA’ DELLA SCELTA: i lavoratori che in precedenza hanno trasformato il proprio rapporto
di lavoro da tempo pieno a tempo parziale HANNO LA PRECEDENZA in caso di assunzioni per le
stesse mansioni. In caso di violazione da parte del DDL, il lavoratore ha diritto al risarcimento del
danno (consistente nella differenza tra quanto ha percepito e quanto avrebbe percepito).

C) IL CONTRATTO DI LAVORO RIPARTITO (art. 41 d.lgs. 276/2003)


Il contratto di lavoro RIPARTITO (JOB SHARING) viene definito dal D. LGS. 276/2003 come “uno speciale
contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica e
identica obbligazione lavorativa”.
Non si tratta di due lavoratori part-time, ma di due lavoratori vincolati in solido PER L’INTERA prestazione
del lavoro, che possono accordarsi per le modalità dell’adempimento. Il DDL in caso di impedimento
dell’uno, potrà pretendere la prestazione dall’altro, e viceversa.

VINCOLO FIDUCIARIO E SOLIDALE:


È la specialità che esiste tra i due coobbligati; infatti solitamente tale scelta avviene sulla base di vincoli di
parentela, o affettivi. Infatti tra i coobbligati vi è l’obbligo di sostituirsi reciprocamente in caso di
impedimento a svolgere la prestazione lavorativa. I due lavoratori possono gestire in perfetta autonomia tra
loro il proprio orario di lavoro, anche perché ciò che rileva è la prestazione nei confronti del DDL, e non
come e quanto è in che percentuale questa venga svolta dai due lavoratori.

FORMA DEL CONTRATTO: richiesta la forma scritta AD PROBATIONEM, e deve contenere:


1. la misura % e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale e annuale di ciascuno
2. il luogo di lavoro
3. il trattamento economico
4. le eventuali misure di sicurezza

PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE:


Tipico di ogni contratto atipico IMPO ricorda per tutti!

DISCIPLINA:
Per quanto compatibile si applica la disciplina del contratto a tempo parziale, ad esempio per ciò che
concerne la retribuzione con il RIPROPORZIONAMENTO in base all’orario svolto.

IMPEDIMENTO DI TUTTI E DUE:


Situazione disciplinata dall’art. 1256 c.c. secondo cui obbligazione si estingue SOLO nel caso la
prestazione DIVENTI IMPOSSIBILE. In caso di impossibilità temporanea è prevista la SOSPENSIONE
dell’obbligo di prestazione e di contro-prestazione.

COMUNICAZIONI:
I lavoratori sono tenuti a comunicare al DDL l’orario di lavoro di ciascuno, ai fini della certificazione
delle presenze degli stessi.

DIMISSIONI o LICENZIAMENTO:
Comportano normalmente l’estinzione dell’intero vincolo contrattuale, anche se il legislatore fa
salve eventuali accordi tra le parti ad es. per la sostituzione di uno dei due.

ASPETTI PREVIDENZIALI: sono assimilati ai lavoratori part time.

7 LAVORO AUTONOMO “PARASUBORDINATO” E “OCCASIONALE”


(D. LGS. 276/2003) (terzo genus?)

COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE


Il lavoro autonomo si articola in una serie di figure contrattuali diversamente disciplinate.
Queste attività sono svolte senza vincolo di subordinazione e caratterizzati dalla contemporanea presenza di
tre elementi:
 la continuità della prestazione che si verifica quando quest'ultima è svolta in un lasso di tempo
sufficientemente ampio
 il coordinamento funzionale della prestazione con l'organizzazione produttiva e con l'attività del
committente
 la prevalente personalità della prestazione volta a sottolineare l'assoluta preminenza dell'opera del
collaboratore nell'esecuzione della prestazione rispetto ad altri fattori.
In questo contesto il d.lgs 276/2003 ha ritagliato un nuovo contratto riservato al settore privato denominato
contratto di lavoro a progetto.

CONTRATTO A PROGETTO
Nata come RISOLUZIONE agli abusi delle “collaborazioni coordinate e continuative” CO.CO.CO. (art. 409
c.p.c.), detto contratto non si applica alle prestazioni occasionali, e alle professioni intellettuali.
La recente riforma 92/2012 ha introdotto le seguenti novità: definizione di un progetto, corrispettivo del
collaboratore, regime sanzionatorio e potere di recesso dal contratto.
Art, 61 d.lgs. 276/03 → I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e
senza vincolo di subordinazione devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato
a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del
committente, avuto riguardo al coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente
dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento
di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati
dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Da questa
definizione emergono alcuni elementi che caratterizzano il contratto: continuità, coordinazione e il
carattere personale della prestazione e la riconducibilità ad un progetto.

SOGGETTI ESCLUSI: agenti e rappresentanti di commercio; le prestazioni occasionali; le professioni


intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione all'albo; i rapporti e le attività di collaborazione
coordinata e continuativa comunque rese ed utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e
società sportive dilettantistiche; i componenti degli organi di amministrazione e controllo della società ed i
partecipanti a collegi e commissioni; coloro che percepiscono pensione per vecchiaia.

Le disposizioni sul contratto a progetto non si applicano ai rapporti di collaborazione coordinata e


continuativa instaurati con la pubblica amministrazione.

CARATTERI:
dalla definizione si possono quindi desumere i caratteri fondamentali, meglio chiariti poi con la CIRCOLARE
n. 1/2004

 la presenza di un PROGETTO (coincide con il risultato finale) o di un PROGRAMMA (attività


non direttamente riconducibile al risultato finale, ma che organizzato con altri programmi
danno luogo al risultato finale)
 la GESTIONE AUTONOMA del collaboratore
 la COORDINABILITA’ della prestazione con prestazioni di altri soggetti (il coordinamento
può essere riferito ai tempi di lavoro o alle modalità di esecuzione del progetto stesso.
Abbiamo quindi COORDINAMENTO e non ETERODIREZIONE)
 prestazione coordinabile INDIPENDENTEMENTE DAL TEMPO IMPIEGATO (a tal proposito la
DURATA è determinata o determinabile in funzione delle caratteristiche del programma
stesso, in poche parole quello che conta è il risultato)

FORMA:
Il contratto è stipulato in FORMA SCRITTA AD PROBATIONEM (contratto senza forma scritta è ugualmente
valido, ma cambia il regime della prova sul piano processuale).

- DURATA della prestazione che sia determinata o determinabile


- Indicazione del PROGETTO o del PROGRAMMA
- Indicazione del CORRISPETTIVO e MODALITA’ di pagamento
- Indicazione delle FORME DI COORDINAMENTO (che non possono essere tali da pregiudicare
L’AUTONOMIA del collaboratore)
- misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.

In MANCANZA DEI REQUISITI, il contratto a progetto sarà TRASFORMATO il contratto di lavoro


SUBORDINATO a tempo indeterminato (art. 69 D.LGS. 276/2003), sin dalla data di costituzione del
rapporto: è una presunzione IURIS TANTUM, insuperabile da una prova contraria delle parti. Infatti il
committente non può provare che, in mancanza del progetto, il rapporto di lavoro sia autonomo e non
subordinato.

DISCIPLINA:
PER IL COLLABORATORE: l’esecuzione della prestazione lavorativa legata al risultato finale
PER IL COMMITTENTE: l’erogazione di un corrispettivo.

il contratto di lavoro a progetto è trattato come modalità di lavoro autonomo, ma il lavoratore a progetto è
destinatario di una serie di tutele:
- (art. 63 D.LGS. 276/2003) il COMPENSO corrisposto ai lavoratori a progetto DEVE ESSERE
PROPORZIONATO alla quantità e qualità del lavoro svolto, quindi non proprio come accade nel
lavoro autonomo.
- (art. 66 D.LGS. 276/2003) in caso di MALATTIA o INFORTUNIO non vi è la risoluzione del contratto, e
vi è la sua SOSPENSIONE senza corrispettivo; non vi è neanche alcuna PROROGA del termine. LIMITI
per malattia e infortunio:
o Se il contratto è determinato: non maggiore di 1/6 della durata del contratto stesso
o Se il contratto è determinabile: non maggiore a 30 giorni
Oltre detti LILMITI il committente può recedere il contratto. In caso di GRAVIDANZA la scadenza del
termine viene PROROGATA di 180 giorni.

INVENZIONI: il lavoratore ha diritto al riconoscimento come autore dell’invenzione fatta nello svolgimento
del rapporto.

OBBLIGHI DEL COLLABORATORE:


- OBBLIGO DI RISERVATEZZA: non diffondere quindi notizie importanti riguardanti i programmi e le
organizzazioni degli stessi, e non arrecare pregiudizio all’esecuzione degli stessi programmi.
- DIVIETO DI CONCORRENZA: non può svolgere attività in concorrenza.
- DIVIETO DI LAVORI MULTIPLI: se il contratto impone una collaborazione di tipo esclusivo.

RINNOVO:
il contratto a progetto può essere rinnovato, VANIFICANDO l’intento del D. LGS. 276/2003 volto a ridurre
l’abuso delle collaborazioni coordinate continuative…

RECESSO: per giusta causa, o per altre ipotesi eventualmente incluse nel contratto individuale.

PARTITE IVA
Con la riforma 92/2012 è stata introdotta la presunzione che le prestazioni rese da titolari di partita IVA
siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinante e continuativa qualora ricorrano almeno due
dei seguenti presupposti:
 la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a 8 mesi
annui per die anni consecutivi;
 il corrispettivo derivante da tale collaborazione anche se fatturato a più soggetti riconducibili allo
stesso centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80% dei corrispettivi annui
complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi;
 il collaboratore disponga di una postazione fissa presso una delle sedi del committente.
È una presunzione legale relativa poiché è ammessa prova contraria da parte del committente dell'esistenza
di un genuino rapporto di lavoro autonomo non parasubordinato, cioè l'assenza del coordinamento e della
continuità della prestazione.
Ci sono alcune esclusioni dal campo di applicazione della presunzione legale qualora la prestazione abbia i
seguenti requisiti:
 sia connotata da competenze teoriche di grado elevato ovvero da capacità tecnico-pratiche
attraverso corsi formativi e/o esperienza;
 sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte di
livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali dovuti alle gestioni Inps
degli artigiani e dei commercianti.

LAVORO OCCASIONALE
Si intende ogni rapporto di collaborazione coordinata e continuativa di durata complessiva non superiore a
30 giorni nel corso dell'anno solare ovvero nell'ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona non
superiore a 240ore con lo stesso committente e che dia luogo a d’un compenso complessivamente
percepito nello stesso anno solare, sempre co lo stesso committente, non superiore a 5000€ (d.lgs.
276/2003).
Sono spesso denominate collaborazioni marginali o mini-collaborazioni. Il superamento dei limiti annui, in
capo allo stesso collaboratore, di una pluralità di rapporti con diversi committenti, non rende necessaria
l'esistenza del progetto (infatti a causa della brevità e del modesto valore della prestazione non è richiesto li
progetto).
Queste prestazioni sono subordinate all'iscrizione all'apposita gestione separata presso l'INPS ed al
versamento dei relativi oneri contributivi, sempre che sia configurabile un rapporto di collaborazione
coordinata.
Il lavoro occasionale non va confuso con:
 lavoro occasionale di tipo accessorio (caratterizzato da forme particolarmente agili di retribuzione e
da rapporti con la p.a. estremamente semplificate, in cui il valore dell'attività svolta non può
superare il limite complessivo di 5000€ nell'anno solare;
 le prestazioni autonome occasionali non caratterizzate da coordinamento e continuità nella
prestazione; non sono soggette a limiti temporali e reddituali, se non quelli coerenti con
l'occasionalità della prestazione; non sono soggette alla disciplina del lavoro a progetto.

8 LAVORO ACCESSORIO, ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E LAVORO A


DOMICILIO

LAVORO ACCESSORIO
Il lavoro accessorio è una forma di lavoro concepita come strumento diretto a favorire l'emersione e la
regolarizzazione contributiva di attività di scarso di rilievo economico e che possono definirsi saltuarie
mediante procedure estremamente semplificate.
La legge 92/2012 ha fornito una nuova definizione eliminando l'elenco delle attività di natura occasionale
che non danno luogo con riferimento alla totalità dei committenti a compensi superiori ai 5000 euro in un
anno solare annualmente rivalutati. Il limite suddetto è commisurato a quanto ricevuto dalla totalità dei
committenti. Le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per
compensi non superiori ai 2000 euro. Per tutto il 2013 in tutti i settori produttivi possono essere rese
prestazioni di lavoro accessorio entro il limite di 3000 euro entro l'anno solare da parte dei percettori di
prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito (cassa integrati mobilità disoccupazione
ordinaria) cumulando il compenso per il lavoro accessorio con il trattamento integrativo corrisposto.
LAVORO IN AGRICOLTURA
Art. 70 d.lgs. 276/2003 consente l'applicazione della disciplina del lavoro accessorio al settore agricolo in
riferimento alle attività lavorative di natura occasionale e stagionale effettuate da pensionati e giovani con
meno di 25 anni di età se iscritti ad un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado e in riferimento alle
elettronegatività svolte a favore dei produttori che hanno realizzato un volume d'affari inferiore ai 7000 €
costituito almeno da 2/3 da cessione di prodotti
COMMITTENTI
soggetti privati, imprenditori agricoli, imprenditori commerciali e professionisti, committenti pubblici ed
enti locali; l'INPS ha escluso che le agenzie di somministrazione possano utilizzare il lavoro accessorio per
avviare lavoratori presso aziende utilizzatrici in quanto tali prestazioni devono essere rese direttamente a
favore dell'utilizzatore senza alcuna possibilità di intermediazione.
SOGGETTI A CUI È DESITNATO
l d.lgs. del 2003 prevedeva che questo istituto fosse destinato solo a “soggetti a rischio di esclusione sociale
o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro ovvero in procinto di uscirne” (disoccupati da oltre un
anno, studenti, casalinghe, pensionati, disabili, extracomunitari) → limiti soggettivi abrogati dalla legge
133/2008.
MODALITA' DI UTILIZZO
i beneficiari acquistano presso l'INPS carnet di buoni orari il cui valore nominale è fissato con decreto
ministeriale e periodicamente aggiornato (10€ di cui il lavoratore percepisce 7,5€). il compenso è esente da
qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato.
ESPERIENZA BELGA (VEDI PAG. 303)

L'ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
Con questo contratto l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di
uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere in una prestazione di
natura patrimoniale o personale. All'associante spetta la gestione dell'impresa, mentre l'associato ha il
potere di controllo sulla gestione economica e ha il diritto al rendiconto annuale. Inoltre l'associato
partecipa alle perdite come agli utili (ma non possono superare il valore del suo apporto).
Art. 2549 comma 2 introduce un limite numerico di 3 associati; eccezione a questo limite solo gli associati
che siano legati all'associante da un rapporto coniugale o di parentela entro il terzo grado o di affinità entro
il secondo. Nel caso di violazione il rapporto di lavoro si considera come di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
REQUISITI DELLA FATTISPECIE
i requisiti sono quindi la partecipazione agli utili, la consegna del rendiconto e l'apporto di lavoro qualificato.
È stata inoltre introdotta la presunzione di subordinazione a carattere relativo (che ammette la prova
contraria) in caso di associazione in partecipazione senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione
dell'associato agli utili o senza consegna del rendiconto oppure senza che l'associato abbia competenze di
grado elevato.
OBBLIGO
con l'abrogazione dell'art. 86 del d.lgs. 276/2003, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi
senza una effettiva partecipazione e adeguata erogazione a chi lavora, non è più obbligatorio in capo al
lavoratore il diritto ai trattamenti contributivi economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti
collettivi per il lavoro subordinato.

IL LAVORO A DOMICILIO
Si caratterizza per il luogo della prestazione che non è l'azienda del datore di lavoro ma il domicilio del
lavoratore medesimo e per l'attenuazione dei caratteri della subordinazione, cioè quando l'attività oggetto
della prestazione rientri nel ciclo produttivo dell'imprenditore anche se quest'ultimo si limiti ad impartire
mere direttive tecniche. Il datore di lavoro è tenuto a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio del
lavoratore esterno alla unità produttiva e la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro. Il libro unico
del lavoro deve contenere date e ore di consegna la descrizione la specificazione della quantità e della
qualità del lavoro. La retribuzione deve essere a cottimo puro e fissata dai contratti collettivi. È vietato alle
aziende che abbiano operato licenziamenti collettivi o sospensioni dal lavoro nell'ambito dei processi di
ristrutturazione di affidare lavori a domicilio per la durata di un anno.
Il telelavoro è un esempio di lavoro a domicilio mediante un elaboratore ed è una forma di organizzazione di
svolgimento nell'ambito di un contratto o di un rapporto di la loro in cui l'attività lavorativa viene
regolarmente svolta fuori dai locali della stessa.
La legge di stabilità del 2012 ha previsto misure di incentivazione riconoscendo a chi svolge il telelavoro
l'accesso agli interventi per conciliare vita e lavoro, favorendo l'inserimento dei disabili e facilitando
l'ingresso dei lavoratori in mobilità

9 DETERMINAZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA

MANSIONI, QUALIFICHE E CATEGORIE


La prestazione lavorativa consiste in una pluralità di comportamenti che possono essere richiesti dal datore
di lavoro e che il contratto di lavoro individua nelle mansioni.
Le mansioni sono l'insieme dei compiti che il lavoratore svolge in corrispondenza alla prestazione lavorativa.
Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (art. 2103) e deve esserci una
certa omogeneità professionale in maniera tale che si possa definire il livello retributivo. La classificazione
professionale viene decisa dalla contrattazione collettiva ed è il procedimento di riconduzione di gruppi di
mansioni omogenee ad un medesimo livello o qualifica (può essere oggettiva in riferimento alle mansioni
svolte e soggettiva in riferimento alle caratteristiche professionali del lavoratore) o categoria contrattuale.
Le qualifiche contrattuali non vanno confuse con le categorie legali, cioè le classificazioni dei lavoratori
subordinati effettuate dalla legge al fine di rendere applicabili le norme legali riservate a ciascuna di esse
(norme riservate ai dirigenti, ai quadri, impiegati e operai).
Per le categorie legali i contratti collettivi e le leggi speciali determinano i requisiti di appartenenza alle
categorie in relazione al ramo di produzione o alla particolare struttura dell'impresa.

DIRIGENTI--> sono al vertice dell'organizzazione, a loro non si applicano le norme di tutela in materia di
licenziamento, di contratto a tempo determinato, di orario di lavoro e riposo settimanale.
QUADRI--> svolgono funzioni importanti al fine dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa.;
a loro sii applicano le norme legali riservate agli impiegati.
IMPIEGATI--> sono coloro che svolgono le funzioni di collaborazione tanto di concetto che di ordine, ma che
non svolgono manodopera
OPERAIO--> operano direttamente nella produzione collaborando nell'impresa.

SISTEMA DI INQUADRAMENTO: ora è UNICO, per cui i contratti collettivi hanno unico riferimento.
LIVELLI RETRIBUTIVI: Ad ogni LIVELLO RETRIBUTIVO corrispondono più mansioni, e quindi diverse categorie
di compiti. Si parla di mansioni di tipo pratico o di tipo intellettuale.

Le mansioni sono regolate dall’art. 2103 c.c., che come principio generale afferma il PRINCIPIO DELLA
\CONTRATTUALITA’ delle MANSIONI, nel senso che le stesse DEVONO essere individuate nel contratto.

Tutte le mansioni che si trovano all’interno di uno stesso livello retributivo possiamo definirle come
MANSIONI EQUIVALENTI, almeno dal punto di vista retributivo. Inoltre possiamo avere:
- MANSIONI SUPERIORI: ossia quelle che si trovano ad un livello retributivo superiore
- MANSIONI INFERIORI: ossia quelle che prevedono una retribuzione più bassa
Per quanto riguarda le MANSIONI EQUIVALENTI la giurisprudenza ha ampliato il concetto, estendendolo
anche nel senso PROFESSIONALE e non solo RETRIBUTIVO, nel senso che per equivalenza si escludere una
lesione della professionalità del lavoratore.
MUTAMENTO DELLE MANSIONI E DELLE QUALIFICHE

IUS VARIANDI:
Ossia IL POTERE del DDL di VARIARE le mansioni. Potere regolato dall’art. 2103 c.c., e quindi subordinato a
dei limiti precisi:

“il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per la quali è stato assunto oppure a quelle
corrispondenti alla categoria superiore” (art. 2103 c.c.)

MOBILITA’ VERTICALE:
“quando il lavoratore viene adibito alle mansioni corrispondenti alla categoria superiore successivamente
acquisita”
L’assegnazione a MANSIONI SUPERIORI diventa DEFINITIVA dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e
comunque non superiore a 3 mesi. Quindi l’acquisizione si verifica se dette mansioni superiori vengono
esercitate per un periodo superiore ai tre mesi. Tale acquisizione ha però una eccezione: non vi è
acquisizione quando il lavoratore è adibito a mansioni superiori per sostituire un lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto (es. lavoratrice in gravidanza). In questo caso vi è la retribuzione
superiore, ma non l’acquisizione delle mansioni superiori.

MOBILITA’ ORIZZONTALE ed EQUIVALENZA PROFESSIONALE:


“quando il viene adibito a mansioni diverse, ma appartenenti alla medesima categoria contrattuale”

Tutto ciò è legittimo A PATTO che le nuove mansioni a cui il lavoratore è adibito siano
PROFESSIONALMENTE EQUIVALENTI e che NON AVVENGA alcuna diminuzione della retribuzione.

NEL PUBBLICO IMPIEGO:


Qui la situazione è diversa in quanto dalla riforma del 1993 sono stati equiparati e sottostanno alla disciplina
del rapporto di lavoro privato, anche se con QUALCHE ECCEZIONE, diretta a salvaguardare la tipicità dei
meccanismi di accesso ai pubblici impieghi.
“il dipendente pubblico può essere adibito a mansioni superiori solo nelle ipotesi indicate dalla
legge: che vi sia un posto vacante nell’organico e per sostituzione di un lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto”
IN OGNI CASO il dipendente pubblico ha diritto SOLTANTO alla retribuzione corrispondente, sempre che
abbia svolto le mansioni superiori in modo CONTINUATIVO e PREVALENTE. Non potrà MAI acquisire la
qualifica superiore per via del principio DELL’ACCESSO TRAMITE CONSORSO.
Il dirigente che abbia disposto mansioni superiori violando le norme imperative può essere chiamato a
risponderne se ha agito con colpa o dolo.

MOBILITA’ VERSO IL BASSO:


L’art. 2103 c.c. non parla di mansioni inferiori, anzi, nell’ultimo comma stabilisce che ogni patto contrario è
nullo. Deve dedursi che NEANCHE CON L’ACCORDO DEL LAVORATORE si può essere adibiti a mansioni
inferiori (infatti non può essere ridotta la retribuzione per il Principio di Irriducibilità della Retribuzione). Vi
sono pochissime ECCEZIONI, previste dalla legge, in cui è ammessa la mobilità verso il basso:

- Lavoratrice in gravidanza, che DEVE essere adibita a mansioni inferiori qualora quelle regolarmente
svolte siano pericolose per la sua salute.
- Lavoratore che a seguito di evento invalidante non sia in grado di svolgere le proprie mansioni, e per
evitare il licenziamento viene adibito a mansioni inferiori.
- In caso di licenziamenti collettivi, per evitare i licenziamenti, le associazioni sindacali possono
proporre per mansioni inferiori per un certo numero di lavoratori.
10 LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO

DILIGENZA E OBBEDIENZA DEL LAVORATORE


OBBLIGO DI DILIGENZA
L’art. 2104 c.c. stabilisce che “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della
prestazione dovuta” (quindi una diligenza in riferimento alle mansioni svolte) “nell’interesse dell’impresa”
(non nel senso dell’interesse personale del DDL) “e nell’interesse superiore della produzione nazionale”
(secondo l’orientamento prevalente quest’ultimo sarebbe venuto meno con la caduta delle corporazioni).

OBBLIGO DI OBBEDIENZA
L’art. 2104 c.c. comma 2 stabilisce che “il prestatore deve osservare le disposizioni del DDL dal quale
dipende gerarchicamente” anche se per completezza i contratti collettivi hanno introdotto notevoli limiti
all’esercizio del potere direttivo del DDL. Per la precisione è lo STATUTO DEI LAVORATORI (L. 300/1970) a
determinare che il potere direttivo debba essere nei limiti delle esigenze organizzative dell’impresa, nel
rispetto dei valori costituzionali della libertà e dignità.

POTERE DISCIPLINARE DEL DDL: è l’art. 2106 c.c. a contemplare il potere disciplinare del DDL,
disciplinato e limitato dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori in modo da rendere lo stesso potere
disciplinare compatibile con il rispetto della dignità del lavoratore e di protezione della sua sfera
personale.
LIMITI SOSTANZIALI: per l’esercizio di detto potere occorre la sussistenza del fatto e la
proporzionalità tra la sanzione commessa e la sanzione irrogata, tenendo eventualmente
conto della recidiva per fatti commessi entro i due anni precedenti e non oltre.
LIMITI PROCEDURALI: preesistenza e adeguata pubblicità di un eventuale codice disciplinare
che indichi le sanzioni, e per quali infrazioni le stesse sono applicate. Non possono essere
previste sanzioni che mutino il rapporto di lavoro (no trasferimenti, mutamenti di mansione,
e così via). L’importo della multa non può essere superiore a 4 ore di retribuzione. La
sospensione dal servizio e dalla retribuzione non può essere superiore a 10 giorni. Inoltre la
sanzione non può essere irrogata senza che prima il DDL lo abbia comunicato per iscritto al
lavoratore, il quale può pretendere di ricevere sempre per iscritto le motivazioni ed
eventualmente esercitare il diritto di difesa.
DISCIPLINA DEI POTERI DI CONTROLLO E VIGILANZA
la legge 330/1970 ha rigidamente disciplinato la materia delle guardie giurate che possono essere impiegate
esclusivamente a fini di tutela del patrimonio aziendale e non possono essere adibite a controllo sul
corretto svolgimento dell'attività lavorativa. Le visite personali di controllo sono ammesse solo se
indispensabili ai fini di tutela del patrimonio aziendale eseguite all'uscita dei luoghi di lavoro rispettando la
dignità e la riservatezza dei lavoratori.
CONTROLLI A DISTANZA
l'uso di impianti audiovisivi idonee anche indirettamente al controllo a distanza dei lavoratori è consentito
solo se necessario per esigenze organizzative produttive o di sicurezza a previo accordo con le
rappresentanze sindacali.
ACCERTAMENTI SANITARI
il controllo per le assenze per infermità può essere svolto solo da parte dei servizi ispettivi degli istituti
previdenziali competenti oppure dalle ASL che sono tenute a compierlo quando il datore lo richieda entro lo
stesso giorno della richiesta. Devono essere svolti dal medico competente.
Per combattere l'assenteismo la legge disciplina l'obbligo di certificazione medica dell'assenza per malattia e
della sua comunicazione all'INPS e al datore di lavoro nonché l'obbligo di reperibilità. Il lavoratore deve
comunicare tempestivamente l'assenza per malattia al proprio datore in modo da consentire a questi di
verificarne con i servizi competenti lo stato morboso.
In caso di non reperibilità era previsto che si perdesse l'intero trattamento economico dei primi 10 giorni e
del 60% del medesimo per il periodo successivo, ma la Corte costituzionale ha stabilito che non si possa
verificare la perdita del 50% dopo la prima violazione ma solo dopo la seconda.
La legge 133/2008 prevede che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sempre in caso di
irreperibilità per i primi 10 giorni di assenza per malattia il trattamento sia ridotto a quello fondamentale
con esclusione delle indennità accessorie; oltre i 10 giorni o nel caso di secondo evento morboso nell'arco
dell'anno, la certificazione possa essere effettuata esclusivamente dalla struttura sanitaria pubblica; inoltre
è prevista l'obbligatorietà della visita fiscale fin dal primo giorno.
È vietata qualsiasi indagine riguardo alle opinioni politiche, religiose e sindacali.
TUTELA DELLA PRIVACY
quanto ai dati personali comuni vige l'obbligo di informare il lavoratore del trattamento dei dati stessi;
mentre per i dati sensibili, cioè quelli idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale, l'origine razziale o
etnica ecc.

DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI POTERE DISCIPLINARE


in base a questo principio sono invalidi tutti gli atti di gestione del rapporto di lavoro si unilaterali che
consensuali che siano determinati da motivi sindacali, politici, religiosi ecc.
la direttiva 54/2006 ha unificato in un unico testo tutte le precedenti direttive in materia di discriminazione.
Sono vietate anche le discriminazioni indirette che ricorrono quando una disposizione, un criterio, una
prassi, un atto apparentemente neutri mettono o possono mettere le persone in una situazione di
particolare svantaggio rispetto alle altre.
L'onere della prova incombe sul lavoratore discriminato e questi può ricorrere al giudice per richiedere
l'invalidità (nullità) dell'atto discriminatorio.
Il potere del datore di lavoro di adottare sanzioni previsto dall'art. 2106 c.c. È stato disciplinato dall'art. 7
dello statuto dei lavoratori in maniera da renderlo compatibile con il principio di rispetto della dignità del
lavoratore e di protezione della sua sfera personale. Il potere disciplinare è subordinato a dei requisiti
sostanziali e procedurali. Sul piano sostanziale, i presupposti sono la sussistenza del fatto addebitato (di cui
è il datore di lavoro dover fornire la prova) e la proporzionalità tra l'infrazione commessa e la sanzione
irrogata; rileva anche il fatto che siano già state sanzionate precedenti effrazioni (recidiva”, ma la legge vieta
che si possa tener conto della recidiva se sono trascorsi 2 anni. I requisiti procedurali sono:
 la per-esistenza e la pubblicità di un codice disciplinare che contenga le norme relative alle sanzioni
disciplinari e alle infrazioni (nulla poena sine lege); non possono e essere disposte sanzioni che
comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro non possono essere utilizzati come sanzioni
disciplinari provvedimenti di ordinaria gestione del rapporto di lavoro. Ci sono dei limiti non
derogabili a sfavore del lavoratore: l'importo della multa non può essere superiore a 4 ore di
retribuzione, la sospensione del servizio e della retribuzione non può essere superiore a 10 giorni.
 Contestazione degli addebiti e diritto di difesa: il datore di lavoro non può dare alcuna sanzione
senza aver prima constatato per iscritto l'addebito al lavoratore e senza averlo sentito non prima di
5 giorni
il lavoratore entro 20 giorni può impugnare la sanzione davanti ad un apposito collegio di conciliazione ed
arbitrato durante la procedura la sanzione rimane sospesa. Il datore di lavoro ha 10 giorni per nominare un
arbitro o rifiutare.
Per i dipendenti pubblici valgono le seguenti regole:
 ci sono appositi uffici per i procedimenti disciplinari
 15 giorni (invece che 5) del periodo di attesa tra la contestazione e l'adozione della sanzione
 possibilità di patteggiamento
 speciale procedura di conciliazione e arbitrato.

OBBLIGO DI FEDELTA’
L’art. 2105 c.c. stabilisce che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari in concorrenza con
l’imprenditore, né fornire informazioni che possano arrecare danno alla stessa impresa” da cui si ricavano
due espliciti divieti:
OBBLIGO DI NON CONCORRENZA: ossia il divieto di trattare affari per conto proprio o per conto di
terzi, che siano in concorrenza con l’imprenditore (diversa è la concorrenza sleale, tra imprenditori
art. 2598 c.c.). il divieto comprende qualsiasi atto di concorrenza che sia idoneo ad arrecare danno
all’impresa, e anche in mancanza di un effettivo pregiudizio come per esempio la costituzione di
società concorrenti o lo “storno” di dipendenti. Tale obbligo permane per tutta la durata del
rapporto di lavoro, a meno che non si stipuli un “patto di non concorrenza”.
PATTO DI NON CONCORRENZA: ossia un patto con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro
quando cessa il rapporto di lavoro, purché sia stipulato per iscritto, e sia con precisione indicato il
luogo, l’oggetto e la durata della non concorrenza, in ogni caso non superiore a 3 anni. Inoltre deve
essere specificato l’eventuale corrispettivo in favore del lavoratore e tale corrispettivo è una
retribuzione non solo nell’ipotesi in cui il patto acceda fin dall’inizio del contratto di lavoro, ma anche
nell’ipotesi in cui esso venga stipulato in occasione e a seguito della cessazione del rapporto di
lavoro. (Art. 2125 c.c.)

OBBLIGO DI RISERVATEZZA: ossia il divieto di divulgare informazioni attinenti l’organizzazione e


metodi di produzione dell’azienda, che possano recar danno all’azienda stessa. Tale obbligo permane
anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. È un obbligo TUTELATO ANCHE PENALMENTE.

LE INVENZIONI DEL LAVORATORE


Questo tema è disciplinato nel “codice della proprietà industriale” D.lgs. 30/2005.
I diritti che spettano al lavoratore subordinato che abbia inventato qualcosa nel corso del rapporto di lavoro
variano a seconda che l’invenzione sia:
- INVENZIONE DI SERVIZIO: costituisce oggetto specifico dell’obbligazione lavorativa, e come tale
retribuita. I diritti economici della stessa appartengono al DDL (es. ricercatori di aziende
chimiche)
- INVENZIONE AZIENDALE: non costituisce oggetto specifico dell’obbligazione lavorativa, ma
sempre durante l’esecuzione del contratto di lavoro. I diritti economici spettano al DDL ma se il
lavoratore brevetta l’invenzione, gli è dovuto un EQUO PREMIO
- INVENZIONE OCCASIONALE: non è stata fatta nell’esecuzione del contratto di lavoro, ma rientra
nel campo di attività del DDL. I diritti economici spettano all’inventore, ma il DDL ha diritto di
opzione per l’uso o l’acquisto del brevetto. Questo diritto deve essere esercitato entro 3 mesi
dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto, ma è condizionato alla
corresponsione di un corrispettivo a favore dell’inventore, da fissarsi con deduzione della somma
corrispondente agli aiuti che l’inventore ha percepito dal datore per pervenire all’invenzione.
- IN TUTTI I CASI: il lavoratore autore dell’invenzione ha il diritto di essere riconosciuto AUTORE
DELL’INVENZIONE, il c.d. “diritto morale d’autore”
Il compito di accertare l’esistenza del diritto al premio o al compenso viene attribuito al giudice civile.
Discipline speciali ci sono per i ricercatori delle Università e della categoria dei “quadri” (per questi ultimi i
compensi sono rimessi alla contrattazione collettiva).

IL LUOGO DI LAVORO E LE SUE VARIAZIONI


Il luogo della prestazione deve essere determinato dal contratto, ovvero desunto dalla natura della
prestazione o da altre circostanze (art. 1182 c.c.). a meno che non sia stato stipulato un “patto di
inamovibilità”, anche la determinazione del luogo di lavoro rientra nei poteri del datore anche se questo è
limitato dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE


L’art. 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra solo se
in presenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. Dunque non è sufficiente il
mutamento stabile (duraturo) del luogo di lavoro, ma è anche necessario che muti l’unità produttiva in cui si
svolge la prestazione lavorativa (duraturo e definitivo); quindi il mutamento del luogo di lavoro che non
prevede anche quello dell’unità produttiva, non costituisce trasferimento ai sensi di legge. Il provvedimento
unilaterale del datore di lavoro non è un atto libero ma deve essere giustificato adeguatamente. Diverso è il
caso del PATTO DI TRAFERIMENTO

RICHIESTA DI TRASFERIMENTO DEL PRESTATORE:


 Persone affette da handicap
 Persone che assistono continuativamente un congiunto affetto da handicap (avvicinamento al
proprio domicilio)
 Dipendenti pubblici con figli minori fino a tre anni di età (avvicinamento alla sede di lavoro del
coniuge)
RAGIONI che giustificano il trasferimento devono essere oggettive, cioè devono essere attinenti al miglior
funzionamento dell’azienda sotto il profilo tecnico - organizzativo e non comportamenti del lavoratore
poiché in tal caso si dovrebbe ricorrere ad un provvedimento disciplinare.
FORMA: salva diversa previsione del contratto collettivo applicabile, non è richiesta la forma scritta.
COMUNICAZIONE: non è necessario che il datore di lavoro comunichi le ragioni del trasferimento al
prestatore a meno che quest’ultimo le richieda.
INTRASFERIBILITÁ: amministratori degli enti locali, delle persone affette da handicap grave o che assistono
il coniuge con handicap, madri con figli fino ad 1 anno di età. N.B. Per i dirigenti sindacali aziendali è
richiesto il nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
“INCOMPATIBILITÁ AMBIENTALE”: in questo caso è ammesso il trasferimento quando la ragione
giustificativa sia riconducibile direttamente alla situazione oggettiva che ne è conseguita nel luogo di lavoro.
TRASFERTA: (o missione) “mutamento temporaneo e transitorio del luogo di lavoro, disposto dal datore di
lavoro nell’ambito dei suoi poteri direttivi e organizzativi nell’impresa, per la soddisfazione di esigenze
aziendali contingenti e provvisorie”. Il datore invia il dipendente in trasferta (all’interno dei confini
nazionali) liberamente, purché questo non avvenga per fini illeciti e siano rispettati i contratti collettivi.
Invece per le trasferte all’estero è necessario il consenso del lavoratore. In relazione alla trasferta è
contemplato un compenso aggiuntivo definito come “indennità di trasferta” soggetta ad una speciale
disciplina fiscale e contributiva.
DISTACCO: (o comando) ricorre quando il mutamento del luogo di lavoro si accompagna anche al
mutamento del soggetto imprenditoriale a favore del quale il lavoratore è tenuto a svolgere la prestazione.
D. Lgs. N° 276/2003 il distacco si configura “quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio
interesse, pone uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una
determinata attività lavorativa”; quindi non muta il datore di lavoro, ma solo il destinatario della
prestazione: è il datore di lavoro distaccante che “rimane responsabile del trattamento economico e
normativo a favore del lavoratore”. È un mutamento temporaneo e non definitivo.
N.B.
Cambio mansione il decreto dispone che il distacco debba avvenire con il consenso del lavoratore
Cambio luogo se comporta un trasferimento a una unità produttiva a più di 50 km da quella cui il
lavoratore è adibito, il distacco può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative,
produttive e sostitutive.
D. Lgs. N° 72/2000 al lavoratore di imprese comunitarie, che erogano servizi al di fuori dei confini
nazionali, che sia distaccato in territorio italiano, durante il distacco si applicano le medesime
condizioni di lavoro previste da leggi e contratti collettivi applicabili ai lavoratori italiani.

ORARIO DI LAVORO E I RIPOSI


Ragioni alla base della disciplina legale dell’orario di lavoro:
1. necessità di tutelare la salute e di promuovere il benessere dei lavoratori
2. massimizzare l’occupazione individuando l’equilibrio ottimale tra produttività, efficienza e posti di
lavoro
3. rendere possibile la flessibilità sia nell’utilizzo delle risorse umane dell’impresa sia nell’interesse degli
stessi lavoratori.
L’art. 8 comma 2 L.n. 148/2011 consente ai contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni dei
lavoratori più rappresentative sul piano nazionale, di realizzare “specifiche intese” finalizzate alla
regolazione dell’orario di lavoro.
La disciplina comunitaria è condensata soprattutto nella direttiva n° 93/104/CE del ’93 (modificata dalla
n° 2000/34).

Nella disciplina italiana l’orario di lavoro è regolato dal D. LGS. 66/2003. Detto decreto si ispira al principio
di sussidiarietà, utilizzando la tecnica del rinvio alla disciplina stabilita o da stabilirsi delle parti sociali. La
disciplina contenuta nel decreto vige solo in assenza di accordo tra le parti sociali. Solo in difetto di
disciplina negoziale collettiva, trovano applicazione le previsioni “sussidiarie”. Il decreto individua i soggetti
abilitati a negoziare i contratti collettivi: “i sindacati dei lavoratori comparativamente più rappresentativi”.
Il campo di applicazione è generale con alcune esclusioni esplicitate: lavoratori marittimi, il personale di
volo dell’aviazione e i cd. “lavoratori mobili”, il personale scolastico, forze di polizia, armate e municipale; si
applica invece al corpo nazionale dei vigili del fuoco, alle strutture giudiziarie e penitenziarie e anche agli
apprendisti maggiorenni.

LIMITI COSTITUZIONALI: l’art. 36 Cost. prescrive che “la durata massima della giornata lavorativa è
stabilita dalla legge”. Devono quindi essere rispettati dei limiti che consentano al lavoratore un recupero
psicofisico. Tali limiti devono essere fissati almeno a livello giornaliero
La direttiva n° 93/104/CE stabilisce che la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7
giorni non superi le 48 ore settimanali comprese le ore di lavoro straordinario, con riposo di almeno
11 ore consecutive ogni 24 ore.
IL D. LGS. 66/2003 40 ore settimanali, e riposo di 11 ore nell’arco delle 24 ore. Per l’orario massimo
(sommatoria tra orario normale e straordinari), rimanda ai contratti collettivi di lavoro.

FLESSIBILIZZAZIONE DELL’ORARIO NORMALE:


L’art. 13 della legge n°196/1997 prevedeva che i contratti collettivi potessero riferire l’orario normale
settimanale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (cd.
“annualizzazione dell’orario di lavoro”). L’art. 3 del d. Lgs. 66/2003 ha confermato questa norma. Sono
possibili orari settimanali superiori alle 40 ore, senza che spetti la maggiorazione per lavoro straordinario,
purché la durata media dell’orario settimanale normale, in un anno, non sia superiore alle 40 ore
settimanali. L’annualizzazione dell’orario può essere realizzata solo da sindacati più rappresentativi.
Sono ammesse le deroghe migliorative, ossia riduzioni dell’orario di lavoro stabilite dai contratti collettivi a
mezzo sia di permessi retributivi sia di riduzione della durata giornaliera o settimanale del lavoro. Solo i
contratti collettivi stipulati da sindacati dei lavoratori “comparativamente più rappresentativi” possono
realizzare l’annualizzazione dell’orario di lavoro (la quale comporta periodi di orario inferiore accanto a
periodi di orario superiore).
La determinazione contrattuale di un orario di lavoro settimanale inferiore alle 40 ore non equivale
all’abbassamento dell’orario normale legale, e quindi non comporta automaticamente la qualificazione
come ore di lavoro straordinario, delle ore di lavoro eccedenti il limite contrattuale, ma non eccedenti il
limite legale delle 40 ore.

FLESSIBILIZZAZIONE DELLA DURATA MASSIMA DELL’ORARIO DI LAVORO:


La durata media dell’orario settimanale non può superare le 48 ore, compreso lo straordinario, con
riferimento ad un periodo di 4 mesi (tale periodo può essere elevato a 6 o addirittura 12 mesi dalla
contrattazione collettiva o a fronte di ragioni tecniche oppure per difetto di contrattazione collettiva).

LAVORO STRAORDINARIO:
Il superamento dei limiti di durata dell’orario di lavoro “normale” è ammesso con il ricorso al lavoro
straordinario, che deve per legge essere “contenuto”, ovvero “saltuario” ed “eccezionale”.
La disciplina è flessibile: la regolamentazione delle modalità di esecuzione delle prestazioni straordinarie, il
potere di rendere obbligatorio il lavoro straordinario e la quantità massima sono rimandati alla
contrattazione collettiva.
Se lo straordinario è previsto dal contratto collettivo, può anche superare le 250 ore annuali e non richiede
il consenso esplicito del lavoratore.
Non è più obbligatorio comunicare le ore di lavoro straordinario eccedenti la 48esima ora nella settimana e
nemmeno versare una maggiorazione contributiva su queste ore.
Il lavoro straordinario È COMPUTATO A PARTE e quindi le relative maggiorazioni devono essere individuate
distintamente rispetto agli altri elementi della retribuzione (il diritto alla maggiorazione è stato
flessibilizzato, rimandando alla contrattazione collettiva senza più un limite minimo stabilito dalla legge e
con l’aggiunta della possibilità di usufruire in alternativa, DEI RIPOSI COMPENSATIVI).
In caso di ORARIO PLURISETTIMANALE è considerato straordinario tutto ciò che eccede la media di 40 ore
settimanali. Non è lavoro straordinario quello che eccede il limite stabilito dai contratti collettivi (e non il
limite legale delle 40 ore). Detto superamento darà luogo ad una maggiorazione, ma inferiore a quella per lo
straordinario.
Il lavoratore ha diritto:
 RIPOSI GIORNALIERI: 11 ore consecutive ogni 24 ore.
 PAUSA: determinata dalla contrattazione collettiva e in ogni caso non inferiore a 10 minuti ogni 6
ore di lavoro.
 RIPOSO SETTIMANALE: art. 36 Cost. stabilisce che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e non
può rinunciare ad esso. Secondo la direttiva comunitaria n° 93/104/CE è di 24 ore ogni 7 giorni. Il
decreto invece ha stabilito il riposo domenicale oppure in alternativa 48 ore nell’arco di 14 giorni
(es. 12 ore la prima settimana, e 36 ore la seconda). Il principio può essere derogato solo in casi
specifici (previsti dall’art 9 del D.Lgs 66/2003 comma2): cambio turno, cambio squadra solo per
evidenti necessità e se comunque venga rispettato, come media in un determinato arco temporale,
il rapporto di un giorno di riposo ogni 6 giorni di lavoro. Comma 3: il riposo di 24 ore consecutive può
essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato mediante turni.
Il lavoro prestato in giorno di riposo dà luogo al risarcimento del danno + retribuzione per il lavoro
effettuato + la maggiorazione per il lavoro festivo o straordinario.

LAVORO NOTTURNO:
PERIODO NOTTURNO: è quel periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti intervallo fra la
mezzanotte e le cinque del mattino (quindi gli archi temporali 22:00-05:00, 23:00-06:00, 24:00-
07:00).
IL LAVORATORE NOTTURNO:
 DEFINIZIONE SECCA colui che svolga almeno 3 delle sue ore lavorative nel periodo notturno.
 DEFINIZIONE “SUSSIDIARIA” colui che svolga durante il periodo notturno almeno una parte
del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro.
 DEFINIZIONE EX LEGE colui che svolga per almeno 3 ore lavoro notturno per un minimo di 80
giorni lavorativi all’anno (da riproporzionarsi in caso di lavoro a tempo parziale)

LIMITAZIONI SOGGETTIVE: Vi è il DIVIETO per donne in gravidanza, e fino ad uno anno di età
del bambino. Vi è la possibilità di RIFIUTARLO per il genitore di minore di 3 anni o per il
lavoratore che ha a carico un disabile, e nei casi indicati dalla contrattazione collettiva.
MODALITA’ E ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NOTTURNO: è obbligatoria la previa
consultazione delle rappresentanze sindacali, o in loro assenza delle organizzazioni territoriali
dei lavoratori.
ORARIO DI LAVORO: non può superare le 8 ore di media nelle 24 ore; non è più obbligatoria
ex lege la riduzione dell’orario di lavoro per i lavoratori notturni (l’an e il quantum sono
affidati alla contrattazione collettiva).
TUTELA DELLA SALUTE: l’adibizione al lavoro notturno è preceduta da previo accertamento di
idoneità, per poi essere monitorata obbligatoriamente dal datore di lavoro tramite il medico
competente. Il datore di lavoro è obbligato anche a garantire un livello di servizi o di mezzi di
prevenzione o di protezione, “adeguato e d’equivalente a quello previsto per il lavoro
diurno”; nonché ad adottare specifiche “misure di protezione personale e collettiva” per i
lavoratori notturni che effettuano “lavorazioni che comportano rischi particolari”.

LE FERIE
Il diritto alle ferie annuali retribuite è stabilito dall’ art. 36 della Costituzione, che lo definisce
IRRINUNCIABILE. Inoltre l’art. 2109 c.c. stabilisce che “il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di
ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel periodo che l’imprenditore stabilisca, tenuto conto delle
esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.
DURATA: stabilita dalla legge o dai contratti collettivi. Il minimo è 4 settimane.
PRINCIPIO DI INFRA - ANNUALITA’: le ferie spettano anche per quei rapporti di lavoro che non
durano un anno. Le ferie spettanti saranno calcolate in proporzione al periodo lavorativo.
MATURAZIONE DELLE FERIE: il numero di giorni di ferie cui il lavoratore ha diritto dipende dalle
giornate di lavoro effettivamente prestate nell’anno. Sono computati a tal fine le assenze per
malattia, infortunio, gravidanza, etc. Non sono computati invece i periodi di assenza facoltativa per
maternità o paternità, o per congedo militare, politico o sindacale.
IRRINUNCIABILE: il diritto alle ferie è irrinunciabile e quindi la sua fruizione deve essere effettiva.
Solo in caso di risoluzione del rapporto di lavoro si possono convertire le ferie in indennità per ferie
non godute. Tale conversione si può fare anche in casi in cui di fatto si renda irrealizzabile la fruizione
delle ferie (malattia, morte…).
Il periodo feriale annuale “va goduto per almeno due settimane … nel corso dell’anno di
maturazione, e per le due settimane restanti, entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di
maturazione”. Decorsi i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, sarà dovuta
l’indennità sostitutiva e non potrà essere pretesa dal lavoratore la fruizione “in natura”. Le due
settimane di ferie devono essere, se così richieste dal lavoratore, consecutive.
Ferie e malattia: il decorso delle ferie resta sospeso in caso di malattia sopravvenuta che ne
comprometta la fruizione o nel caso il figlio di età inferiore ai 9 anni subisca un ricovero ospedaliero.
Ferie e festività: idem (avviene la sospensione delle ferie).
Ferie e cure termali: le cure devono avvenire durante le ferie.
Retribuzione: è la stessa spettante nel periodo di lavoro.

FESTIVITÁ INFRASETTIMANALI
Lavoratori pagati ad ore (che non siano sospesi dal lavoro da oltre 2 settimane) ricevono normale
retribuzione giornaliera ragguagliata ad un sesto dell’orario settimanale contrattuale
Lavoratori retribuiti in misura fissa la retribuzione, essendo ragguagliata al mese e non al numero delle ore
di lavoro prestato, non subisce alcuna variazione
In caso di lavoro prestato in giorno festivo, il lavoratore ha diritto, oltre alla retribuzione per la festività, alla
retribuzione per le ore di lavoro prestato e alla maggiorazione per il lavoro festivo.
N.B. art 1 comma 24 L. n 148/2011: slittamento alla domenica delle celebrazioni e festività.

LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI LAVORATORI SUL LUOGO DI LAVORO


Benché il diritto dei lavoratori subordinati alla salute e alla sicurezza venga garantito dalla Costituzione agli
artt. 32 (la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni) e 41 (riconoscimento all’iniziativa
economica privata a condizione che questa non rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana)
e dal Codice civile all’art. 2087 (obbligo per l’imprenditore di adottare dell’esercizio dell’impresa le misure
che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica
e la personalità morale dei prestatori di lavoro), la mancata specificazione di obblighi da seguire in materia
di sicurezza ha fatto sì che si determinasse una sorta di “monetizzazione del rischio”, consistente nella
rinuncia alla prevenzione e nell’attenzione al profilo indennitario - risarcitorio.
Al problema ha risposto la legislazione “prevenzionistica” degli anni ‘50 introducendo disposizioni specifiche
anche penalmente sanzionate; successivamente lo “statuto dei lavoratori” all’art.9 riconobbe il diritto
collettivo di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
mediante apposite rappresentanze sindacali. Inoltre la normativa comunitaria prevede che il Consiglio della
Comunità europea abbia il potere di emanare direttivi per migliorare le legislazioni degli Stati membri in
materia di ambiente di lavoro, sicurezza e salute dei lavoratori.
Infine il decreto legislativo n. 81/2008 rappresenta un codice della sicurezza e salute dei lavoratori,
composto di 306 articoli divisi in 13 titoli

MOBBING
l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di tutelare la personalità morale del lavoratore e ciò implica un
dovere di protezione del lavoratore da tutti i fenomeni che aggrediscono il lavoratore nella sua dignità.
Il mobbing è l'insieme dei comportamenti intenzionalmente rivolti ad emarginare ed isolare il soggetto
passivo nell'ambiente di lavoro. Consiste anche di un elemento soggettivo in una mera negligenza o nella
mera violazione di norme cautelari. Mobbing orizzontale--> opera dei collaboratori o colleghi di lavoro;
mobbing verticale (o bossing) → esercitato o favorito dai vertici aziendali.

STALKING
l'art. 612-bis cip punisce con la reclusione dai 6 mesi ai 4 anni “chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta
taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità
propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo s tesso ad
alterare le proprie abitudini di vita.”

11 LAVORO MINORILE, FEMMINILE E PARITA' TRA I SESSI

IL LAVORO DEI MINORI


Nell’ordinamento italiano, l’espressione lavoro minorile indica il contratto o il rapporto di lavoro
intercorrente fra datore di lavoro ed un minore, ossia un soggetto che non abbia ancora compiuto i 18 anni.

La Costituzione riconosce e garantisce al lavoro prestato dai minori una speciale tutela mediante gli artt. 37
e 34, ove stabilisce rispettivamente i principi di parità di retribuzione a parità di lavoro fra adulto e minore e
di obbligo dell’assolvimento scolastico.
La disciplina specifica in materia è contenuta nella legge n. 677/1977, così come modificata a seguito del
recepimento della normativa comunitaria.
In particolare la legge citata coinvolge i minori così come più sopra definiti e, nell’ambito di tale categoria,
opera un’ulteriore distinzione fra bambini e adolescenti.
In particolare intende per:
bambini, i minori che non abbiano ancora compiuto i 15 anni di età o che siano ancora soggetti all’obbligo
scolastico;
adolescenti, i minori che hanno un’età compresa fra i 15 ed i 18 anni ed abbiano già assolto l’obbligo
scolastico.
L’età minima per l’accesso al lavoro coincide con il momento in cui il minore ha concluso il periodo di
istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni compiuti.
In proposito, è necessario specificare che, a decorrere dall’anno 2007- 2008, il numero degli anni di
istruzione obbligatoria è stato innalzato a dieci anni e, conseguentemente, l’età minima di ammissione al
lavoro è innalzata ai 16 anni.
Conseguentemente, la legge vieta espressamente di adibire al lavoro i bambini, che non possono accedervi
sino all’assolvimento dell’obbligo scolastico, il quale pertanto costituisce una condizione necessaria per
l’ammissione all’attività lavorativa.
È peraltro stabilita una deroga a tale previsione poiché è permesso l’impiego di minori in attività di carattere
culturale, artistico sportivo e pubblicitario, purché però sussistano particolari condizioni formali e
sostanziali.
Possono invece accedere al lavoro gli adolescenti, per i quali tuttavia è prevista una disciplina speciale, volta
a dettare regole peculiari che ineriscono a specifici aspetti del rapporto di lavoro con il minore. Tali regole
sono predisposte al fine di evitare che la crescita fisica ed intellettuale del minore subisca pregiudizi.
Invero esse subiscono deroghe in casi espressamente previsti: non debbono infatti essere applicate quando
l’adolescente sia adibito a lavori occasionali o di breve durata, purché si tratti di servizi domestici svolti in
ambito familiare oppure di prestazioni svolte nelle imprese a conduzione familiare a condizione che esse
non abbiano carattere nocivo, né pregiudizievole, né pericoloso.
L'orario di lavoro varia: per i bambini l'orario massimo è di 7 ore al giorno e 35 alla settimana; per gli
adolescenti rispettivamente 8 e 40. È vietato il lavoro notturno. Almeno 2 giorni possibilmente consecutivi
di riposo e il periodo di ferie non può essere inferiore ai 30 giorni per i bambini mentre per gli adolescenti
vale la regola generale delle 4 settimane. Vige la parità retributiva.
IL LAVORO DELLE DONNE
L'art. 37 della Costituzione, in relazione alle donne, mette in primo piano il principio di parità di trattamento
non solo retributivo a parità di lavoro ed ammette norme speciali solo al fine di consentire alla donna
adempimento della sua essenziale funzione familiare e di assicurare alla madre e al bambino una speciale
adeguata protezione. La legislazione protettiva non è ammessa in esclusiva del sesso, ma in considerazione
del ruolo familiare svolto dalla donna.

TUTELA DELLA MATERNITA' E DELLA PATERNITA'


la tutela della maternità si ispira all'esigenza di garantire la piena esplicazione della maternità, senza che
ciò comporti alcuna discriminazione giuridica o di fatto a danno della donna.
 Una speciale tutela delle condizioni di lavoro: divieto di svolgere lavori faticosi (fino a 7 mesi di età
del bambino) o notturni( fino a 1 anno di età del bambino) e di essere adibite al periodo di maternità
obbligatoria (tra i 2 mesi prima del parto e i 3 post parto) con una tutela economica previdenziale
pari all'80% della retribuzione. E' possibile per le lavoratrici di posticipare l'astensione al mese
precedente la data presunta del parto. L'art. 4 della legge 92/2012 prevede il congedo di paternità
obbligatorio di 15 giorni interamente retribuito ed in aggiunta all'obbligo di astensione della madre
ha stabilito l'obbligo del padre all'astensione di un giorni entro i 5 mesi dalla data della nascita del
figlio retribuito al 100%.
 garanzia dello svolgimento della funzione materna: Voucher per l'acquisto di servizi di babysitting o
per l'accesso ai servizi per infanzia in via sperimentale dal 2013 al 2015.
 tutela antidiscriminatoria a cui vanno ricondotti il divieto generale di discriminazioni nelle
assunzioni, la decorrenza dell'anzianità di servizio durante le assenze per le maternità o paternità sia
obbligatoria che facoltativa e il divieto di licenziamento e sospensione dal lavoro.

PARITA' TRA I SESSI


discriminazioni indirette → differenze tra uomini e donne che si realizzano con l'adozione di criteri che
hanno un effetto svantaggioso nei confronti dei lavoratori appartenenti al sesso discriminato. La legge n.
198/2006 afferma che “Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione,
un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono
mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori
dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché'
l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Azioni positive: iniziative volte a creare situazioni di vantaggio per le donne compensative di iniziali
svantaggi favorendone l'inserimento nel mondo del lavoro, l’accesso a settori tradizionalmente maschili, il
miglioramento professionale ecc.
gli organismi istituzionalmente competenti sono: i “consiglieri di parità” nominati a livello nazionale
regionale e provinciale dal Ministro del lavoro con funzioni di promozione e controllo dell'attuazione dei
principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro; il comitato
nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza composto d 40 membri e
presieduto dal Ministro del lavoro.

12 LA RETRIBUZIONE
L’art. 2094 c.c. stabilisce che la retribuzione costituisce il corrispettivo della prestazione lavorativa. Una
corrispettività che riguarda tutti i contratti SINALLAGMATICI (la retribuzione esiste affinché esiste la
prestazione lavorativa).

GARANZIA COSTITUZIONALE DELLA RETRIBUZIONE EQUA: lo dice l’art. 36 che “il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione PROPORZIONATA alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. L’ammontare della retribuzione non può
mai scendere al di sotto del livello minimo inderogabile necessario per una vita dignitosa. I criteri della
PROPORZIONALITA’ e della SUFFICIENZA sono stabiliti in concreto dai contratti collettivi.
ECCEZIONI ALLA CORRISPETTIVITA’: la retribuzione è dovuta anche in caso di assenza per
MALATTIA, INFORTUNIO, GRAVIDANZA, oppure in caso di assenza per l’esercizio dei DIRITTI
SINDACALI, oppure agli STUDENTI LAVORATORI, e così via.

RETRIBUZIONE DIFFERITA: retribuzioni in mancanza di prestazione lavorativa, come ad esempio


GRATIFICHE NATALIZIE, MANSILITA’ AGGIUNTIVE, TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO, che compensano la
prestazione complessivamente fornita durante l’anno (l'ammontare è commisurato ad una determinata
quota della retribuzione normale quindi si parla anche di RETRIBUZIONE INDIRETTA).
La corrispettività presuppone l'obbligatorietà della retribuzione che deve essere corrisposta dal datore di
lavoro in adempimento ad un obbligo.
La continuità è l'indice sintomatico della natura retributiva delle erogazioni monetarie o in natura effettuate
dal datore di lavoro.
TEORIA DELLA RETRIBUZIONE OMNICOMPRENSIVA → ogni volta che sia necessario determinare
l'ammontare di un elemento retributivo indiretto o differito, dovrebbe assumersi come base di calcolo una
nozione di retribuzione comprensiva di tutto quanto il lavoratore riceve dal datore di lavoro con continuità
in dipendenza del rapporto di lavoro (TFR, retribuzione per le ferie e per i giorni festivi ecc.
la dottrina ha fortemente criticato questa teoria poiché le norme non sono generalizzabili, dunque la teoria
è stata abbandonata.
Si è passati ad una sorta di liberalizzazione della retribuzione
LE FORME DELLA RETRIBUZIONE: le indica l’art. 2099 c.c.

 RETRIBUZIONE A TEMPO: è quella tipica del lavoro subordinato, ed è determinata in ragione


della durata della prestazione di lavoro:
1. STIPENDIO agli impiegati (spetta per intero anche in caso di mancata
prestazione di lavoro per cause imputabili al DDL)
2. SALARIO agli operai (essendo calcolata “ad ore”, in caso di mancata
prestazione viene decurtata)

 RETRIBUZIONE A COTTIMO: prevede che il lavoratore si retribuito in base al rendimento del


lavoro e non in base al tempo lavorato. Le “tariffe di cottimo” sono stabilite dal contratto
collettivo e possono essere modificate in caso di mutamenti dell’organizzazione del lavoro.
Esiste poi il COTTIMO MISTO che prevede una PAGA BASE a cui si aggiunge un UTILE DI
COTTIMO.
 PARTECIPAZIONE AGLI UTILI: la retribuzione può consistere in parte nella partecipazione agli
utili dell’impresa oppure può consistere nella partecipazione ai prodotti, come nel caso della
pesca e dell’agricoltura.

 LA PROVVIGIONE: un sistema che non serve studiare perché lo so già

LA STRUTTURA DELLA RETRIBUZIONE:


La retribuzione è composta da più VOCI. La sua struttura è stabilita dai contratti collettivi e solo in casi
eccezionali dalla legge (es. T.F.R.).

RETRIBUZIONE MENSILE: corrisposta alla scadenza del periodo normale di paga


RETRIBUZIONE PLURIMENSILE: corrisposta con periodicità superiore al mese

ELEMENTI RETRIBUTIVI FISSI: stabiliti dai contratti nazionali di categoria “retribuzione equa”.
Paga base: o minimo tabellare
Scala mobile: cessata di esistere nel 1991
Vacanza contrattuale: istituita in luogo della scala mobile. Calcolata in % sul tasso di
inflazione programmato. Nel 2009 l’istituto è stato ulteriormente rivisitato, per cui “in caso di
mancato rispetto delle procedure e dei tempi stabiliti per il rinnovo dei contratti collettivi” è
prevista una “copertura economica” da definirsi nei singoli contratti collettivi
Indennità di disponibilità: solo per lavoratori intermittenti

ELEMENTI RETRIBUTIVI ACCESSORI: stabiliti anche dai contratti collettivi aziendali e da quelli individuali.
Sono aggiuntivi rispetto a quelli fissi.
Superminimi: incrementi stabiliti dal contratto collettivo aziendale, o individuale
Indennità: voce retributiva connessa a particolari caratteristiche della prestazione lavorativa
(es. indennità per lavorazioni nocive, di cassa, di trasferta, di turno)
Maggiorazioni: già viste per il lavoro straordinario, notturno, festivo e domenicale
Retribuzione differita: ossia le retribuzioni pluri-mensili
Mensilità aggiuntive: es. la tredicesima
Premi: di produzione, di rendimento, di fedeltà, di presenza
Trattamento di Retribuzione Differita: TFR

IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (TFR):


Il più importante istituto di retribuzione differita. Nato come “indennità di anzianità”, poi nel 1966 si stabilì
che spettasse in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro (infatti prima veniva corrisposta solo se non
licenziato per giusta causa, o se non dimesso). Per il suo calcolo ci fu una evoluzione della disciplina:

- fino al 1982 il calcolo veniva effettuato moltiplicando una quota dell’ultima retribuzione per il
numero degli anni di servizio (quota stabilita dai contratti collettivi)
- dal 1982 con la L. 297/1982 fu totalmente riformato l’istituto
1) ogni anno viene accantonata una quota pari a 1/13,5 (ossia il 7,4%) della retribuzione
dovuta per l’anno medesimo
2) gli elementi della retribuzione annua sono stabiliti dalla legge, ma con la possibilità di
modifica di tali parametri in fase di contrattazione collettiva
3) agli accantonamenti viene applicato un tasso di rivalutazione dell’1,5% fisso e dal 75%
dell’aumento del costo della vita (infatti con un tasso di inflazione del 6% la rivalutazione è
piena)
ANTICIPAZIONI: i lavoratori con almeno 8 anni di servizio possono chiedere anticipazioni del TFR in misura
non superiore al 70% della stessa, e può essere concessa solo per spese mediche straordinarie o per
l’acquisto della prima casa di abitazione. Le richieste di anticipazione devono essere soddisfatte entro i limiti
stabiliti, derogabili in meglio dai contratti aziendali e individuali.

TFR E PREVIDENZA: la possibilità di destinare il TFR alle forme pensionistiche. Se il lavoratore non opta
espressamente per il TFR o in alternativa per una forma pensionistica, dette quote confluiscono in altra
forma pensionistica complementare.

INDENNITA' SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO: indennità dovuta dal datore di lavoro in caso di licenziamento
senza preavviso.

DEVOLUZIONE IN CASO DI MORTE: in caso di morte del lavoratore l'indennità sostitutiva e il TFR non si
devolvono secondo le regole della successione, ma secondo l'art.2122 spettano secondo i rispettivi bisogni
effettivi al coniuge, ai figli e se a carico del lavoratore defunto i parenti entro il terzo grado e gli affini entro
il secondo.

13 CAUSE DI SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


Ci sono una pluralità di ipotesi in cui la prestazione lavorativa non è dovuta: ciò può dipendere
dall'impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al lavoratore o dal divieto legale di
presentare attività lavorativa in determinati periodi. Il diritto del lavoro esclude l'estinzione del rapporto e
ne impone la prosecuzione per un periodo di tempo predeterminato. Il datore di lavoro può rifiutare di
ricevere la prestazione solo in presenza di un motivo legittimo.

13.1 Malattia, infortunio, maternità/paternità, servizio militare


In questi casi operano, in base agli art. 2110 e 2111, due importanti principi:
- il diritto alla conservazione del posto di lavoro, che comporta da una parte il divieto del licenziamento e la
temporanea inefficacia o l'invalidità del licenziamento per ragioni diverse dalla causa sospensiva ( a meno
che ci sia giusta causa);
- il diritto alla retribuzione o ad una forma equivalente di previdenza.
Il diritto di conservazione del posto di lavoro opera nel limite temporale massimo stabilito dai contratti
collettivi, cioè il periodo di comporto; alla scadenza del periodo di comporto il prestatore di lavoro che sia
ancora ammalato può essere licenziato senza che sia necessario invocare una specifica ragione: la causa del
licenziamento sarà la stessa scadenza del periodo di comporto.
Si distingue il comporto secco (il periodo di conservazione del posto è stabilito in considerazione di un unico
ed ininterrotto evento morboso) dal comporto per sommatoria (è prevista e disciplinata anche l'ipotesi di
più eventi morbosi che si succedano con soluzione di continuità in un determinato arco temporale.
In caso di infortunio sul lavoro, il divieto di licenziamento opera fono alla guarigione certificata dall'INAIL (il
licenziamento intimato non per giusta causa durante il periodo di comporto è inefficace e acquista efficacia
dal momento della cessazione del periodo di comporto.
In caso di maternità o paternità opera un regime di nullità di licenziamento nonché un divieto di
sospensione dal lavoro per il perdio successivo all'astensione obbligatoria.
Il diritto di conservazione del posto opera anche per tutta la durata del richiamo alle armi e fino a 3 mesi
dopo il ritorno al lavoro.
In caso di malattia, per quanto riguarda il trattamento economico, si distingue tra impiegati e operai: per i
primi opera la garanzia retributiva prevista dall'art. 6 del regio decreto n. 1825 del 1924 ( Nei casi di interruzione
di servizio dovuta ad infortunio o malattia, il principale conserverà il posto al dipendente per il periodo di:
a) tre mesi, se questi abbia un’anzianità di servizio non superiore ai dieci anni;
b) sei mesi, se abbia un’anzianità di servizio di oltre dieci anni.
Nel caso in cui alla lettera a) l’impiegato avrà diritto alla intera retribuzione per il primo mese e alla metà di essa per i successivi due
mesi; nel caso della lettera b) alla intera retribuzione nei primi due mesi e alla metà di essa per i successivi.
All’impiegato retribuito in tutto od in parte a provvigione, è dovuta, nelle stesse proporzioni e per lo stesso periodo di cui al
capoverso precedente, un compenso calcolato sull’ammontare medio delle provvigioni liquidate all’impiegato nel semestre
precedente l’interruzione di servizio.
Nell’uno e nell’altro caso è in facoltà del principale di dedurre quanto l’impiegato abbia diritto di percepire per atti di previdenza da
esso principale compiuti.), mentre per gli operai provvede l'ente previdenziale. In entrambi i casi la copertura
economica offerta dalla legge non è piena (la retribuzione piena viene offerta agli impiegati in malattia fino
ad un max di 2 mesi dopodiché è dimezzata; l'indennità a favore degli operai è pari al 60% dura fino ad un
max si 180 giorni e non spetta per i primi 3 giorni, cioè il periodo di carenza).

13.2 Permessi, congedi e aspettative


Si prevede il diritto di ciascun genitore di astenersi dal lavoro nei primi 8 anni di vita del bambino per un
periodo non superiore ai 6 mesi purchè entro il limite complessivo, per entrambi genitori, di 10 mesi
durante i quali spetta un'indennità a carico dell'INPS pari al 30% della retribuzione fino ai 3 anni di età del
bimbo, mentre per il rimanente periodo fino a 8 anni spetta solo a certe condizioni di reddito. È
riconosciuto anche il diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bimbo ma senza indennità.
Sono previsti permessi per i lavoratori dipendenti per consentire loro lo svolgimento di cariche pubbliche o
sindacali o per funzioni di presidente, scrutatore, rappresentante di lista o di gruppo presso seggi elettorali.
Tra i permessi possono essere menzionati quelli retribuiti spettanti ai lavoratori portatori di handicap e ai
lavoratori che assistono persona con un handicap in situazione di gravità (coniuge, parente o affine entro il
secondo grado).

14 SOSPENSIONE RAPPORTO DI LAVORO E RIDUZIONE DELL'ORARIO DI


LAVORO PER CAUSE ECONOMICHE
14.1 Sospensione del rapporto di lavoro per ragioni economiche aziendali: cassa
integrazione
L'ordinamento italiano prevede le integrazioni salariali rogate dalla cassa integrazione guadagni come tutela
del reddito dei lavoratori dipendenti d'aziende che contraggono o sospendono temporaneamente l'attività
produttiva.
Il presupposto per la cassa integrazione guadagno è la sospensione o la riduzione dell'attività produttiva che
rende impossibile l'adempimento dell'obbligazione lavorativa da parte dei lavoratori e quindi provoca anche
il venir meno anche della retribuzione. In base alla regola generale il potere di rifiutare la prestazione
lavorativa sussiste solo in presenza di un legittimo motivo (art. 1206) e il motivo dovrebbe potersi
riscontrare solo per impossibilità sopravvenuta non imputabile a proseguire la normale attività aziendale.
Quando però sono concesse le integrazioni salariali non si riscontra questa impossibilità oggettiva, ma solo
una difficoltà economica dell'imprenditore (cause integrabili).
In attesa della concessione delle integrazioni salariali, l'impresa deve continuare a pagare l'intera
retribuzione o comunque deve liquidare ai lavoratori l 'intera retribuzione non corrisposta in caso di rigetto
di domanda. La stessa legge esclude tale conseguenza nel caso in cui per omissione o ritardo nella
presentazione della domanda d'integrazione salariale da parte dell'imprenditore, i lavoratori perdano il
diritto all'integrazione medesima: in tal caso il ddl non è tenuto a corrispondere l'intera retribuzione, ma
solo l'importo dell'integrazione salariale perduta.

 Tipologia delle integrazioni salariali: l'intervento ordinario e l'intervento straordinario


Le integrazioni salariali sono erogate da tre diverse CIG (casse per l'integrazione dei guadagni): dei lavoratori
dell'industria, dell'edilizia e dell'agricoltura. Qui ci si limita ad esaminare le CIG dei lavoratori d'industria e si
distingue tra l'intervento “ordinario” (CIGO) e quello straordinario (CIGS).
CIGO → è destinato ai lavoratori subordinati come operai impiegati e quadri dei predetti settori economici
che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni lavorative ad orario ridotto a causa di:
 contrazioni o sospensioni dell'attività produttiva dovute ad eventi transitori e non
imputabili all'imprenditore o ai lavoratori;
 crisi temporanee di mercato;
 eventi oggettivamente non evitabili, quindi imprevedibili.
Queste sono le cause integrabili che hanno carattere transitorio e che quindi devono essere superate in un
lasso di tempo non lungo. La CIGO si applica al settore industriale e alle cooperative che svolgono attività
simili a quelle industriali; sono invece esclusi dall'intervento ordinario il settore terziari, artigiano, credito e
assicurazioni. L'importo dell'integrazione è pari all'80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per
le ore non lavorate, fino a 40 settimanali, oppure il minore orario contrattuale eventualmente previsto. La
somma viene assoggettata alla contribuzione ridotta (5,84%); la durata massima dell'intervento è di 3 mesi
continuativi prorogabili trimestralmente fino ad un max di 12 mesi per casi eccezionali. In caso di CIGO non
continuative non si possono superare i 12 mesi nel biennio e per una nuova domanda bisogna aspettare
almeno un anno di attività lavorativa. La scelta dei lavoratori deve essere effettuata tramite criteri oggettivi
e la integrazione è corrisposta dal ddl per contro dell'INPS con conguaglio sui contributi previdenziali. La
domanda di intervento della CIGO va presentata alla sede provinciale dell'inps entro 25 giorni dalla fine del
periodo di paga in corso al termine al corso della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione/riduzione di
orario. La CIGO è finanziata dalle imprese mediante un contributo sulle retribuzioni lorde (1,9% per le
imprese fino a 50 dipendenti e 2,2% per quelle superiori ai 50 dipendenti) e un contributo addizionale (4%
<= 50 dipendenti e 8% >50 dipendenti) sulle integrazioni salariali a cui l'azienda è stata ammessa
commisurati alla dimensione aziendale.
CIGS → è riconosciuto oltre alle imprese industriali anche a quelle artigiane che subiscono l'influsso
gestionale prevalente di una impresa a sua volta assoggettata a CIGS(quando le fatture emesse dall'impresa
artigiana nei confronti dell'impresa committente abbiano superato nei due anni precedenti il 50% del
fatturato complessivo) ; alle imprese commerciali con più di 5o dipendenti alle agenzie di viaggio e turismo
con più di 50 dipendenti, alle imprese editoriali; alle imprese appaltatrici di servizi di ristorazione; alle
cooperative di produzione e lavoro; le imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti.
Le cause integrabili sono: la crisi aziendale; ristrutturazione riorganizzazione e riconversione aziendale; le
procedure concorsuali. È necessario un programma di intervento che indichi le prospettive di superamento
delle difficoltà aziendali. Lo stato di crisi aziendale può rinvenirsi per un evento improvviso e imprevisto
anche in presenza delle situazioni emerse in ambito nazionale o internazionale che causino una ricaduta sui
volumi produttivi.
La CIGS può essere richiesta per al massimo 36 mesi in 5 anni per ciascuna unità produttiva ed esistono dei
limiti specifici quali: 12 mesi per crisi aziendale, prorogabile in casi eccezionali per altri 12 mesi; 24 mesi per
la ristrutturazione riconversione etc, prorogabili a 48 mesi; 12 mesi prorogabili a 18 mesi per le procedure
concorsuali. L'importo delle integrazioni è uguale a quello delle CIGO ma il pagamento ai lavoratori avviene
direttamente da parte dell'INPS.
L'imprenditore che vuole richiedere l'intervento straordinario lo comunica alla rappresentanza sindacale
unitaria. Entro tre giorni deve essere presentata la domanda di esame congiunto della situazione aziendale
presso un ufficio individuato dalla regione se le unità aziendali sono ubicate in una regione; in caso contrario
la competenza è del ministero del lavoro. Oggetto dell'esame è il programma e la durata e il numero di
lavoratori interessati alla sospensione. Il datore di lavoro deve applicare il meccanismo di rotazione:
alternare i lavoratori sospesi. Decorsi 25 gironi (10 per le aziende <50 dipendenti) il ddl richiedente può
procedere unilateralmente alla sospensione o riduzione di orario. La domanda va presentata al ministero
del lavoro entro 20 giorni dall'inizio della sospensione, se l'impresa chiede il pagamento diretto a carico
dell'INPS altrimenti è di 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha
avuto inizio la sospensione.
La CIGS è finanziata dai ddl e dai lavoratori con un contributo rispettivamente dello 0,6% e dello 0,3% della
retribuzione lorda. Il contributo addizionale è pari al 3% delle integrazioni salariali anticipate per le imprese
fino ai 50 dipendenti (4,5% per quelle superiori).

 Disciplina di aspetti particolari della cassa integrazione: tfr, contribuzione figurativa,
eventuale svolgimento di attività lavorativa
Le quote giornaliere di TFR che maturano durante la sospensione per CIG non si computano nella
retribuzione integrabile e sono a carico del ddl; tuttavia in caso di CIGS ininterrotta qualora questa sia
interrotta con il licenziamento, le quote di TFR maturate durante la sospensione sono a carico dell'INPS.
I periodi di CIGO e di CIGS sono utili sia per l'accreditamento d'ufficio dei contributi figurativi ai fini
pensionistici, sulla base della retribuzione cui è riferita l'integrazione salariale sia ai fini dell'anzianità di
servizio.
Lo svolgimento di eventuali attività lavorative purché temporanee, è compatibile con lo status di lavoratore
collocato in cassa integrazione a condizione che ne venga data comunicazione preventiva all'INPS.
L'integrazione salariale, sia ordinaria che straordinaria, è totalmente incumulabile con altri redditi di lavoro
(il cassaintegrato che svolga attività di lavoro subordinato o autonomo perde il diritto all'integrazione per le
giornate di lavoro effettuate.

14.2 Contratti di solidarietà “difensivi”


Il contratto di solidarietà (CDS) è un contratto collettivo aziendale che dispone una riduzione generalizzata
dell'orario di lavoro, al fine di evitare una riduzione di personale (contratto di solidarietà “difensivo”) o di
consentire nuove assunzioni (contratto di solidarietà “espansivo” o “offensivo”).
Il primo è un contratto collettivo aziendale stipulato dall'impresa con le rappresentanze sindacali
maggiormente rappresentative, che dispone la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro al fine di evitare
in tutto o in parte la riduzione di personale mediamente un suo più razionale impiego. Si prevede che
l'accordo aziendale giustifichi di per se senza una possibile causa integrabile l'intervento dell'integrazione
salariale straordinaria per un periodo massimo di 24 mesi prorogabili di ulteriori 24 (36 al sud). La misura è
del 60% della retribuzione persa. A favore delle imprese che non rientrano nel predetto campo di
applicazione e che stipulino contratti di solidarietà è riconosciuto, fino al 31 dicembre 2012, per un periodo
continuativo max di 24 mesi, un contributo pari al 50% del monte retributivo da esse non dovuto a seguito
della riduzione. La stipula del cds gode di alcune peculiarità tra cui la disapplicazione del massimale di
integrazione salariare, l'addebito all'inps del tfr ed esclude la possibilità di procedere a licenziamenti
collettivi. Inoltre per un max di 24 mesi è prevista una riduzione della contribuzione sociale variabile a
seconda della collocazione geografica, della consistenza della riduzione di orario e della data di stipulazione
del cds (dal 25 al 40%)

14.3 Le misure straordinarie per fronteggiare la crisi occupazionale: i trattamenti in


deroga
Il principale obbiettivo dell'intervento straordinario è favorire la continuità dei rapporti di lavoro anche a
fronte delle situazioni negative della crisi. Il legislatore ha introdotto elementi di innovazione:
l'intreccio tra politiche del lavoro attive e passive, la cooperazione tra stato e regioni, la
corresponsabilizzazione delle parti sociali e del concorso finanziario richiesto oltre che alle regioni anche al
sistema della bilateralità (enti e sistemi bilaterali)

 Le forme di protezione destinate ai lavoratori privi di ammortizzatori sociali


Queste misure sono rivolte:
 ai dipendenti d'azienda non destinatarie dei trattamenti di integrazione salariale;
 a coloro che, pur essendo dipendenti da aziende destinatarie di tali trattamenti, non hanno diritto a
forme di sostegno al reddito in caso di sospensione (vedi apprendisti);
 a coloro che non hanno un rapporto di lavoro subordinato, ma di collaborazione coordinata e
continuativa.
Le nuove misure di ammortizzatori sociali in deroga in favore di lavoratori privi di trattamenti:
 il riconoscimento di indennità ordinaria di disoccupazione, con requisiti normali o ridotti, ai
lavoratori, sospesi per crisi aziendali o occupazionali, dipendenti d'aziende non destinatarie di
trattamenti d'integrazione salariale. L'indennità è riconosciuta per un max di 90 giorni all'anno e può
essere usufruita anche in maniera frazionata;
 il riconoscimento in via sperimentale dell'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali
agli apprendisti in caso di sospensione per crisi aziendale o licenziamento;
 il riconoscimento in via sperimentale ai collaboratori coordinati e continuativi in possesso di
particolari requisiti.
I primi due interventi sono subordinati a: un intervento integrativo, pari almeno al 20% a carico degli enti o
fondi bilaterali; un'apposita comunicazione del datore di lavoro ai servizi territorialmente competenti e alla
sede territoriale INPS della sospensione dell'attività lavorativa e delle motivazioni; una dichiarazione del
lavoratore interessato di immediata disponibilità al lavoro o ad un percorso di riqualificazione professionale
all'atto della presentazione della domanda per l'indennità di disoccupazione.
Nel caso in cui gli enti bilaterali non abbiano le risorse economiche si è previsto che i lavoratori possano
accedere direttamente ai trattamenti di integrazione salariale o di indennità di mobilità in deroga alla
normativa vigente.
Questo tipo di intervento è destinato a prolungare i suoi effetti anche nel nuovo quadro normativo
delineato dalla recente riforma degli ammortizzatori sociali (art. 2 3 legge 92/2012). Al fine di garantire la
graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma è la stessa legge 92/2012 a consentire di
prorogare per periodi non superiori ai 12 mesi i trattamenti in deroga esaminati precedentemente (fino al
2016 nei limiti delle risorse finanziate).

14.4La riforma 92/2012


La legge persegue la protezione del reddito dei lavoratori sospesi dal lavoro per ragioni economiche da
imprese appartenenti a settori non coperti dalla normativa in materia di integrazioni salariali. A questo fine
la riforma contempla tre ipotesi.
 Un modello di protezione obbligatorio riguardante le imprese che occupano mediamente più di 15
dipendenti, incentrato su Fondi bilaterali di solidarietà (commi 4-13 e 31 32).
A questo fine entro il 18 gennaio 2013 le organizzazioni dei ddl e dei lavoratori sono chiamate a stipulare
accordi e contratti collettivi anche intersettoriali aventi ad oggetto la costituzione di fondi di solidarietà
bilaterali con la finalità di assicurare ai lavoratori un sostegno al reddito in caso di riduzione o sospensione
dell'attività lavorativa per le stesse cause previste dalla cassa integrazione. I fondi istituiti entro i tre mesi
successivi non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell'inps. Assicurano inoltre almeno la
prestazione di un assegno ordinario di importo pari all'integrazione salariale, di durata non superiore ad 1/8
delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile in relazione alle causali previste
della normativa della cassa integrazione. I fondi perseguono anche altre finalità: assicurare ai lavoratori una
tutela in caso di cessazione del rapporto di lavoro integrativa rispetto all'assicurazione sociale per l'impiego;
prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito riconosciuti a lavoratori che abbiano i requisiti per il
pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi 5 anni; contribuire al finanziamento di programmi
formativi di riconversione o riqualificazione professionale anche in concorso con gli appositi fondi nazionali
o dell'UE. Per il perseguimento di queste 3 finalità i fondi possono essere costituiti anche in settori già
coperti dalle integrazioni salariali: gli accordi collettivi possono prevedere che i fondi siano finanziati a
decorrere dal gennaio 2017 con lo 0,3% della retribuzione imponibile.
 un modello alternativo per quei settori in cui siano già operanti consolidati sistemi di bilateralità,
incentrato su Fondi bilaterali volti a realizzare ovvero integrare il sistema di tutela del reddito in
costanza di rapporto di lavoro (commi 14-16); l'attività di questi Fondi può investire anche le
imprese con meno di 15 dipendenti. La contrattazione collettiva dovrà definire: una aliquota di
contribuzione ordinaria di almeno 0,2%; le tipologie di prestazioni; l'adeguamento dell'aliquota in
funzione dell'andamento della gestione; criteri e requisiti per la gestione dei fondi.
 Per le imprese con più di 15 dipendenti appartenenti a settori risultanti non coperti (dopo il 31
Marzo 2013) da accordi collettivi volti all'attivazione di un Fondo di cui ai precedenti A) e B) è
prevista l'istituzione di un Fondo di solidarietà residuale (comma 19) al cui finanziamento sono
chiamati i ddl e i lavoratori ai settori interessati.
I decreti ministeriali sopra elencati determinano per tutti e tre i tipi di fondi:
 le aliquota di contribuzione ordinaria ripartita tra ddl (2/3) e lavoratori (1/3);
 l'importo del contributo addizionale a carico del ddl non inferiore a 1,5%;
 l'importo del contributo straordinario corrispondente al fabbisogno per la copertura degli assegni
straordinari erogabili.
Tutti i fondi hanno l'obbligo di bilanci in pareggio e non possono erogare prestazioni in carenza di
disponibilità.
Nel triennio 2013-2015 ai lavoratori sospesi, non coperti da cassa integrazione, è riconosciuta la nuova
indennità di disoccupazione (ASPI) a condizione che vi sia un intervento integrativo pari almeno al 20%
dell'indennità stessa a carico dei fondi bilaterali o dei fondi di solidarietà. La durata massima di tale
trattamento non può durare più di 90 gg in un biennio mobile.

14.5Politiche attive a favore della ricollocazione dei lavoratori collocati in cassa


integrazione
Sono previste agevolazioni al reinserimento lavorativo dei cassaintegrati. Tra gli incentivi ai ddl si ricordano:
il contributo mensile del 50% dell'indennità di integrazione salariale e lo sgravio contributivo pari a quello
previsto per gli apprendisti di azienda con più di 9 dipendenti per l'assunzione a tempo pieno e
indeterminato di lavoratori che abbiano usufruito del CIGS per almeno 3 mesi e che siano alle dipendenze di
imprese beneficiarie da almeno 6 mesi dell'intervento; lo sgravio triennale pari al 50% (100% al sud) dei
contributi a carico dei ddl che assumano lavoratori in CIGS da almeno 24 mesi.
I ddl dei lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali in deroga ricevono dall'inps un incentivo pari
all'indennità spettante al lavoratore (dal 2009 al 2012). altre misure di incentivazione negli stessi anni sono:
- i beneficiari di qualsiasi trattamento di sostegno al reddito non connesso a sospensioni dal lavoro che
abbiano almeno 35 anni di anzianità contributiva e che accettino un offerta di lavoro che preveda un
inquadramento retributivo inferiore ad almeno il 20% a quello di provenienza è riconosciuta la
contribuzione integrativa;
- i datori di lavoro che assumono lavoratori beneficiari dell'indennità di disoccupazione non agricola con
requisiti normali e che abbiano almeno 50 anni di età godono della retribuzione contributiva per gli
apprendisti;
- i ddl che assumono lavoratori beneficiari della indennità di mobilità o di disoccupazione non agricole con
requisiti normali e che abbiano almeno 35 anni di anzianità contributiva godono di un allungamento della
durata della contribuzione retributiva prevista anche per gli apprendisti.
15 IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE
15.1Il recesso dal contratto di lavoro. Dimissioni e risoluzione consensuale.
DIMISSIONI DEL LAVORATORE: art. 2118 c.c.
Le dimissioni sono libere e richiedono un PREAVVISO al DDL la cui durata è stabilita nei contratti collettivi.
In mancanza di preavviso il dimissionario DEVE CORRISPONDERE al DDL una indennità sostitutiva in
misura delle retribuzioni che il DDL stesso avrebbe dovuto dargli durante il periodo di preavviso.
Detta indennità è invece dovuta dal DDL al lavoratore se le dimissioni derivino da GIUSTA CAUSA o da
GRAVI INADEMPIMENTI del DDL ai suoi obblighi.

LICENZIAMENTO: art. 2118 e 2119 c.c.


La regola generale è che il potere di licenziamento non è libero, bensì condizionato dalla presenza di
determinati presupposti, in assenza dei quali il licenziamento è ingiustificato e illegittimo. Questa regola
accomuna entrambe le tutele (obbligatoria e reale). Quello che cambia è invece l’ambito di applicazione
dell’una o dell’altra tutela su un presupposto DIMENSIONALE

L'efficacia delle dimissioni e della risoluzione (cioè della risoluzione del contratto di lavoro per mutuo
consenso) è condizionata a due procedure di convalida alternative tra loro a seconda che attengano al
periodo della gravidanza e della maternità/paternità.
Nel caso di dimissioni o di risoluzione consensuale al di fuori del periodo di maternità/paternità spetterà al
datore di lavoro attivarsi per ottenere la convalida dell'atto risolutivo che altrimenti resterà privo di efficacia
(condizione sospensiva legale).
Ci sono due modalità: una prevede la convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il
Centro per l'impiego territorialmente competenti oppure in alternativa presso le sedi individuate dai
contratti collettivi nazionali; la seconda consiste nella sottoscrizione di un'apposita dichiarazione da parte
del ddl a apporre in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di risoluzione del rapporto di
lavoro.
Il ddl entro 30 giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale consegna o invia apposita
comunicazione contenente l'invito a presentarsi presso una delle sedi suddette oppure ad apporre
sottoscrizione in calce alla comunicazione di risoluzione.
Qualora il ddl non effettui tempestivamente la comunicazione, le dimissioni/risoluzione si considerano prive
d'effetto salvo che il prestatore abbia spontaneamente proceduto alla convalida; qualora il prestatore non
aderisca all'invito entro 7 giorni dalla ricezione la condizione sospensiva si ritiene verificata e il rapporto si
ritiene risolto. Durante i 7 giorni il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni/risoluzione e il contratto
di lavoro torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca (nel periodo
tra il recesso e la revoca qualora l'attività lavorativa non sia stata svolta, il lavoratore non ha diritto alla
retribuzione).
In mancanza di preavviso il lavoratore dimissionario è obbligato a corrispondere al ddl un'indennità
sostitutiva commisurata alle retribuzioni che il ddl stesso avrebbe dovuto corrispondergli durante il periodo
di preavviso; ma questa indennità sostitutiva non è dovuta ed anzi è il ddl a doverla se le dimissioni sono
state date per giusta causa.

Il licenziamento può essere affetto da diversi vizi: formali, procedurali, sostanziali(attinenti cioè alla carenza
di giustificazione), derivanti dalla violazione di divieti di licenziamento o di norme imperative.
La disciplina si divide in 3 macro aree:
 tutela obbligatoria o indennitaria → sanziona il licenziamento illegittimo con un obbligo
risarcitorio/indennitario, ma non contempla la reintegrazione nel posto di lavoro; si divide in due
sotto-aree: tutela indennitaria minore, riservata alle unità produttive e ai datori di lavoro di minori
dimensioni occupazionali tutela indennitaria privilegiata, riservata alle unità produttive e a i ddl di
maggiori dimensioni occupazionali;
 tutela reale → riservata ai più gravi casi di illegittimità del licenziamento, nelle unità produttive
presso i ddl di maggiori dimensioni occupazionali con una ulteriore graduazione interna a seconda
delle diverse fattispecie;
 licenziamento ad natum.

RECESSO E CONTRATTAZIONE DECENTRATA


L'art. 8 legge 148/2011 consente ai contratti collettivi di stipulare specifiche intese finalizzate alla
regolazione delle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro fatta eccezione per il licenziamento
discriminatorio e della lavoratrice in concomitanza del matrimonio o in gravidanza ecc.
CONTRIBUTO DI LICENZIAMENTO
Inoltre la legge 92/2012 ha introdotto in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato per cause diverse dalle dimissioni è previsto a carico del ddl un contributo di licenziamento
da versare all'Inps pari al 50% del trattamento mensile iniziale della nuova Assicurazione sociale per
l'impiego per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi 3 anni (non deve essere versata
nei casi di licenziamento in conseguenza a cambi di appalto e in caso di interruzione di rapporto di lavoro a
tempo indeterminato nel settore delle costruzioni edili per completamento di attività o di chiusura del
cantiere e nel caso in cui sia dovuto il contributo d'ingresso alla mobilità.
REVOCA DEL LICENZIAMENTO
È riconosciuto al ddl il potere di revoca del licenziamento da esercitarsi nel termine di 15 giorni dalla
ricezione della comunicazione dell'impugnazione del lavoratore con conseguente ripristino del rapporto
senza soluzione di continuità e diritto del lavoratore al pagamento della retribuzione per il periodo
precedente la revoca, ma senza che trovi applicazione alcun regime sanzionatorio/risarcitorio a carico del
ddl.

15.2 Tutela obbligatorio/ indennitaria vs tutela reale nei licenziamenti ingiustificati

Il potere di licenziamento non è libero, ma è condizionato alla sussistenza di determinati presupposti. Il


licenziamento è legittimo solo se sostenuto da giusta causa o giustificato motivo.
L'applicabilità della tutela reale e di quella obbligatorio/indennitaria dipende dalle dimensioni occupazionali
dell'unità produttiva e dal vizio che colpisce il licenziamento.
C'è una distinzione tra i licenziamenti ingiustificati che sono sanzionati con obbligo risarcitorio a carico del
ddl e quelli che possono, a seconda delle fattispecie, godere di tutela indennitaria privilegiata o addirittura
dalla tutela reale.
Da una parte ci sono i lavoratori occupati in unità produttive con >15 dipendenti (>5 imprese agricole) o da
ddl che abbiano >15 dipendenti (>5 imprese agricole) nell'ambito di uno stesso Comune o cmq >60
dipendenti complessivamente; dall'altra ci sono quelli che non raggiungono queste soglie occupazionali
(piccoli ddl).
GIUSTA CAUSA:
E’ quella definita dall’art. 2119 c.c. e serve ad escludere l’obbligo di preavviso; l’articolo dice “causa che non
consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. Quindi si parla di un inadempimento
TALMENTE GRAVE da legittimare il c.d. LICENZIAMENTO IN TRONCO ossia senza preavviso.
GIUSTIFICATO MOTIVO CON PREAVVISO:
E’ quello che FONDA il licenziamento, e che lo rende legittimo.
SOGGETTIVO quando si parla di inadempimenti NOTEVOLI agli obblighi contrattuali sia relativi alla
prestazione principale, sia accessori (arriva in ritardo, etc).
OGGETTIVO quando si parla di “ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro”. In questo
caso il giustificato motivo oggettivo non è sindacabile nel merito perché se no violerebbe l’art. 41 Cost. sulla
Libertà di iniziativa economica, ma tuttavia vi è sempre la possibilità di un controllo del giudice che verte
solo all'accertamento del presupposto di legittimità. Non è precluso comunque un controllo da parte del
giudice sulle effettività delle esigenze aziendali, né preclude la possibilità di condizionare le determinazioni
del ddl fono al punto di imporgli di fornire la prova dell'impossibilità di utilizzare il lavoratore in posizioni
professionali equivalenti (ONERE DI REPECHANGE/ OBBLIGO DI RIPESCAGGIO).
NEL VALUTARE LE MOTIVAZIONI POSTE A base del licenziamenti, il giudice deve tener conto delle
tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai
sindacati più rappresentativi.
La differenza tra i diversi tipi di tutela si coglie nella diversità degli effetti del licenziamento ingiustificato.

TUTELA OBBLIGATORIA (L. 604/1966 e L. 108/1990):


Tutela MENO FORTE in unità produttive con meno di 15 dipendenti, o comunque meno di 60 dipendenti
complessivi. Il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto a scelta del DDL:
◦ alla RIASSUNZIONE oppure
◦ al RISARCIMENTO DEL DANNO. Il risarcimento è compreso tra 2,5 e 6 mensilità, che possono anche
diventare 10 o anche 14 mensilità a seconda dell’età del lavoratore o se l’impresa abbia più di 15
dipendenti NEL SUO TOTALE e quindi a livello nazionale (quindi la TUTELA REALE non opera, dato che
a livello nazionale richiede minimo 60 dipendenti) IMPO.

Se si tratta di dipendente di un ddl non piccolo (quindi in unità produttive con più di 15 lavoratori, o
comunque più di 60 dipendenti complessivamente), il licenziamento rientra nella tutela indennitaria
privilegiata o nella tutela reale, a seconda delle diverse ipotesi; infatti con la 92/2012 è stata stabilita una
diversa disciplina a seconda della tipologia e della gravità del vizio da cui è affetto il licenziamento, per
giusta causa o per giustificato moto.

TUTELA REALE (art. 18 Statuto dei lavoratori):


Si tratta di una tutela FORTE, in unità produttive con più di 15 lavoratori, o comunque più di 60 dipendenti
complessivamente e che ricorre in ipotesi più gravi sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
A questa disciplina sono ricondotte le fattispecie in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo perché il fatto contestato non sussiste oppure sussiste, ma rientra tra le condotte punibili con
una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari. Dove poi
un inadempimento contrattuale è riscontrabile, ma non ha forte gravità tale da integrare una giusta causa o
un giustificato motivo soggettivo, bisognerà distinguere: se l'inadempimento è espressamente previsto dal
contratto collettivo o dal codice disciplinare e sanzionato con una misura conservativa sarà comunque
applicabile la tutela reale, in caso contrario opererà la sola tutela indennitaria.
Per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o ipotesi assimilate, rientrano le fattispecie seguenti:
manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo(non può
dar luogo a reintegrazione il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo basato su un fatto solo
in parte sussistente oppure sussistente ma non accompagnato dalla prova della inutilizzabilità aliunde del
dipendente (repechange).
Il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto
◦ alla REINTEGRAZIONE, senza alcuna scelta da parte del DDL.
◦ al RISARCIMENTO COMMISURATO o EQUIVALENTE alle retribuzioni spettanti dal giorno del
licenziamento sino all’effettiva reintegrazione (commisurata nel senso che il giudice può disporre
un risarcimento anche superiore in caso di ulteriori danni patiti a causa dell’ingiusto
licenziamento). Non è più prevista la penale minima delle 5 mensilità di retribuzione (è rimasta
solo per i licenziamenti discriminatorie nulli); è previsto poi un importo massimo, pari a 12
mensilità della retribuzione globale, del risarcimento dovuto per il periodo intercorrente dal giorno
del licenziamento fino a quello dell'effettiva integrazione. È prevista poi la detraibilità da tale
risarcimento sia dall'aliunde perceptum(quanto il lavoratore ha percepito nel periodo
dell'estromissione per lo svolgimento di altre attività) che dell'aliunde percepiundum (pari a
quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova
occupazione). L'indennità risarcitoria può ricoprire non solo il periodo fino alla sentenza si
reintegrazione, ma anche quello successivo.
Alla sentenza si reintegra si accompagna anche la condanna del ddl al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali fino al giorno dell'effettiva reintegrazione, ma senza applicazioni di sanzioni per
omessa o ritardata contribuzione.
Il lavoratore può optare in luogo della reintegrazione sul posto di lavoro ad una indennità sostitutiva pari a
15 mensilità retributive, esente dal contribuzione previdenziale e assistenziale. L'indennità, che si aggiunge
al risarcimento del danno, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui è stata
effettuata le richiesta (che si considera tempestiva se effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del
deposito della sentenza da parte della cancelleria del Tribunale ovvero dall'invito del ddl a riprendere
servizio.
La tutela reale non è applicabile ai dipendenti dei ddl non imprenditori che svolgono senza fini di lucro
attività di natura politica, sindacale, culturale ecc.
In ogni caso la TUTELA REALE si applica anche ai:
 LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI a prescindere dai limiti dimensionali.
 LICENZIAMENTI nelle C.D. IMPRESE DI TENDENZA (es. sindacati, partiti politici, etc)

TUTELA INDENNITARIA
Sono qui ricondotti i licenziamenti “disciplinari” ingiustificati per motivi diversi da quelli che comportano la
reintegrazione del posto di lavoro; quindi tutti i casi in cui il fatto contestato sussista e sia stato commesso
dal lavoratore e non corrisponda ad una mancanza disciplinare per la quale il contratto collettivo o il codice
disciplinare prevedano una sanzione meno grave del licenziamento.
La tutela indennitaria si applica nei casi in cui il giudice accerta che non ricorrano gli estremi del giustificato
motivo, le ipotesi cioè diverse sia dalla manifestata insussistenza del fatto posto a base del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo sia dalla insussistenza della inidoneità fisica o psichica del lavorate o dal
mancato superamento del periodo di comporto.
In tutti questi casi è prevista la corresponsione e di un'indennità tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima
retribuzione globale di fatto esente da contributi. La quantificazione tiene anche conto dell'anzianità
lavorativa, della consistenza occupazionale, della dimensione dell'attività economica ecc.

15.3 Il recesso ad nutum


È possibile licenziare senza giustificazione in base all’art. 4 della L. 108/1990, e da quelle altre norme che
prevedono espressamente la libertà di recesso. Questo è il caso di:
 lavoro domestico (il DDL deve solo dare il preavviso, per non corrispondere l’indennità sostitutiva, salvo
che non sia per giusta causa, e allora non serve neanche il preavviso)
 dirigenti (categoria sottoposta in linea principale al regime di licenziamento ad nutum)
 lavoratori in prova
 lavoratori ultrasessantenni con requisiti pensionistici che non abbiano optato per prosecuzione del
rapporti di lavoro

Il PREAVVISO è disciplinato come per le dimissioni del lavoratore. L’efficacia del preavviso in questi casi è
OBBLIGATORIA nel senso che lo stesso comporta l’estinzione immediata del rapporto di lavoro con l’obbligo
per la parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva.

15.4 Il licenziamento inefficace e nullo


LICENZIAMENTO ANNULLABILE:
Quando sia privo di giustificato motivo o giusta causa. L. 604/66

LICENZIAMENTO INEFFICACE: L. 604/66 e art. 7 Statuto Lavoratori


Per carenza requisiti formali procedurali stabiliti dalla legge:
 unità con più di 15 dipendenti: TUTELA REALE
 unità con meno di 15 dipendenti: se non applicabile l’art. 7 Statuto Lavoratori, si applica l’art. 2 L.
604/66
REQUISITI FORMALI E PROCEDURALI: art. 2 L. 604/66
Per il licenziamento è richiesta la FORMA SCRITTA (ad substantiam) e deve essere comunicato al
lavoratore. Inoltre (purché non si tratti di licenziamento ad nutum) devono essere specificate anche le
motivazioni (in mancanza il licenziamento è inefficace).
In mancanza di uno di tali requisiti formali o procedurali il licenziamento è INEFFICACE, ossia privo di effetto.
Nel caso di licenziamenti affetti da vizio procedurale la sanzione applicabile presso i ddl non piccoli
costituisce una ulteriore e più debole variante della tutela indennitaria privilegiata che si potrebbe definite
tutela indennitaria per vizi procedurali. L'indennità ammonta da un minimo di 6 a un max di 12 mensilità
dell'ultima retribuzione globale in relazione alla gravità commessa dal ddl.

PROCEDURA CONCILIATIVA
essendo preventiva e obbligatoria, costituisce condizione di legittimità, comportando nel caso di violazione,
l'applicazione della tutela indennitaria per vizi procedurali.
Il ddl invia la comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro, trasmessa per conoscenza anche al
lavoratore, in cui dichiara la volontà di procedere al licenziamento per ragioni oggettive ed economiche
indicando i motivi del provvedimento di espulsione e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del
lavoratore interessato. Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, la Direzione Territoriale del
Lavoro convoca il ddl e il lavoratore per un tentativo di conciliazione. Entro 20 giorni dalla convocazione, se
il tentativo di conciliazione fallisce il ddl comunica il licenziamento al lavoratore. Qualora invece la
conciliazione abbia esito positivo, si dispone che possa essere previsto l'affidamento del lavoratore ad
un'agenzia per il lavoro al fine di favorirne la ricollocazione professionale. Per incentivare la conciliazione, il
legislatore ha previsto che spetti al lavoratore l’assicurazione sociale per l'impiego, indennità che non gli
spetterebbe, essendo l'indennità di disoccupazione esclusa in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro. All'esito della procedura l'efficacia del licenziamento è retroattiva: il provvedimento
del recesso produce effetto dal giorno della comunicazione con la quale ha preso il via la procedura.

LICENZIAMENTO NULLO o illecito o inefficace (nel caso di mancanza della forma scritta)
 se determinato da ragioni discriminatorie L. 604/66;
 se intimato alla lavoratrice in stato di gravidanza o di puerperio o al lavoratore in congedo di
paternità;
 se intimato in concomitanza con il matrimonio;
 se riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.
È inefficace/nullo il licenziamento intimato in forma orale e non scritta.
La legge 92/2012 stabilisce per i casi di licenziamento discriminatorio, nullo, illecito, inefficace, le stesse
conseguenze sanzionatorie: tutela reale rafforzata per cui:
1. l'indennità risarcitoria è commisurata alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento a
quello della effettiva reintegrazione, senza alcun tetto massimo;
2. essa non può essere inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto;
3. dall'importo suddetto di detrae solo l'aliunde perceptum e non anche l'aliunde percipieundum.

15.5 Il licenziamento disciplinare


art. 7 Statuto dei lavoratori
Fu la Corte Costituzionale a stabilire che qualunque licenziamento causato da una infrazione disciplinare del
dipendente fosse da considerarsi LICENZIAMENTO DISCIPLINARE, e stabilendo che a tutti questi si dovessero
applicare le garanzie procedurali dei primi tre commi dell’art. 7 L. 300/70 (“Le norme disciplinari relative
alle sanzioni alle infrazioni … devono essere portate a conoscenza dei lavoratori … in luogo accessibile a tutti.
Esse devono applicare quanto in materia é stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il datore di
lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli
preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere
da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato”).
Se prima si riteneva che un licenziamento disciplinare senza l’applicazione preventiva delle garanzie
procedurali dell’art. 7 L. 300/70 produce gli stessi effetti di un licenziamento ingiustificato, oggi l'art. 18
della legge 300/1970 prescrive l'applicazione della tutela indennitaria privilegiata: il giudice dichiara risolto il
rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di
un'indennità risarcitoria tra le 6 e le 12 mensilità di retribuzione.

15.6 Impugnazione del licenziamento illegittimo


Un licenziamento che non sia sorretto da giusta causa o da giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, è, ai
sensi della disciplina della L. 604/66, un licenziamento illegittimo.

RICORSO GIUDIZIALE:
Si ricorre c/o Giudice del lavoro, purché impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione
scritta del licenziamento stesso o dei motivi, ed entro lo stesso termine venga portato a conoscenza del
DDL. Infatti ha effetto dal momento in cui lo stesso DDL ne viene a conoscenza. Detto termine vale per
l’impugnazione di TUTTI i licenziamenti.
L’impugnazione può essere fatta con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, anche attraverso
l’intervento dell’organizzazione sindacale.

LIMITI DEL GIUDICE: Non nel merito ma sulla legittimità, perché se no violerebbe l’art. 41 Cost. sulla Libertà
di iniziativa economica

RICORSO AL GIUDICE O ALL’ARBITRO:


L'impugnazione può essere effettuata con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale.
Non è necessaria l'impugnazione entro 60 giorni se il licenziamento è stato intimato senza la forma scritta.
L'impugnazione è inefficace se non è seguita entro il successivo termine di 180 giorni dal deposito del
ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione del giudice del lavoro o dalla comunicazioni alla
controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato.
Se l'altra parte rifiuta la conciliazione o l'arbitrato, il ricorso al giudice deve essere presentato entro i
successivi 60 giorni (il tentativo è facoltativo non più obbligatorio).

RITO SPECIALE per le impugnazioni dei licenziamenti e delle questioni afferenti alla qualificazione del
rapporto di lavoro.
L'ambito di applicazione attiene alle controversie che hanno oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle
ipotesi dell'art. 18 legge 300/1970. il legislatore consente di ricorrere al “processo breve” anche ove sia
necessario pronunciarsi sulla natura subordinata del rapporto di lavoro all'origine instaurato in forma
autonoma.
Il rito speciale al quale devono essere riservati particolari giorni del calendario delle udienze presenta due
fasi: una sommaria e urgente ed una a cognizione piena e nelle forme ordinarie del rito del lavoro.
Fase sommaria → il recesso può essere impugnato davanti al Tribunale in funzione del giudice del lavoro
con ricorso; a seguito del ricorso il giudice fissa l'udienza di comparazione delle parti non oltre i 40 giorni dal
deposito del ricorso medesimo con decreto. Sia il ricorso che il decreto devono essere notificati a cura del
ricorrente anche per pec. Il termine per la notifica alla controparte è assegnato dal giudice ma non può
essere <25 giorni prima dell'udienza; il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno 5 giorni prima
dell'udienza. Il giudice provvede poi con ordinanza esecutiva l'accoglimento o il rigetto della domanda.
Fase a cognizione piena → è una fase eventuale nel caso in cui ci sia opposizione contro l'ordinanza di
accoglimento o rigetto che avviene mediante ricorso da depositare in Tribunale entro 30 giorni dalla
notificazione della comunicazione. Chi si oppone entro 30 giorni dall'udienza deve depositare una memoria
difensiva indicando i mezzi di prova. Contro la sentenza che decide l'accoglimento o il rigetto del ricorso in
opposizione è ammesso anche il reclamo in corte d'Appello e anche, eventualmente successivamente, il
ricorso per Cassazione.
Legge 300/1970
Art. 18 - Reintegrazione nel posto di lavoro3
Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la
sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al
datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo
nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque
se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai
datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti
ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti
con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di
orario effettivamente svolto tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario
previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma
non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal
lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei
contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni
caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la
facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici
mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di
lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della
sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto alla spirale dei
termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi
aderisce o conferisca mandato, il giudice in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando
ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto
di lavoro. L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al
giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del
Codice di procedura civile. L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al
primo comma ovvero alla ordinanza di cui al quarto comma, non
3 I primi 5 commi sono stati introdotti dalla legge 108 del 1990 che ha così modificato i primi 2 commi della legge
330/1970

15.7 Indennità di disoccupazione


La legge 92/2012 ha previsto l'introduzione di mezzi per assicurare le indennità ai disoccupati: ASpI
(Assicurazione sociale per l'impiego) e la Mini-ASpI che sostituiscono l'indennità di disoccupazione ordinaria,
l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, l'indennità di mobilità e quella speciale edile (rimane
inalterata quella di disoccupazione agricola). È previsto un sussidio per i lavoratori parasubordinati iscritti
alla Gestione separata INPS e rimasti privi di occupazione (indennità una tantum).
L'indennità di disoccupazione entrerà a regime definitivamente dal 1° gennaio 2016.
la disoccupazione dà diritto all'indennità solo se involontaria e a condizione che: non consegua a dimissioni
(salvo il caso della giusta causa) del lavoratore, che non si traduca in un atteggiamento passivo nella ricerca
dell'occupazione e che non riguardi periodi di inattività nell'ambito dei rapporti di lavoro a tempo parziale
verticale.
ASpI
è erogata ai lavoratori del settore privato compresi apprendisti e i soci cooperative di lavoro che abbiano
perso involontariamente la propria occupazione (anche nel caso di risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro nel caso in cui sia intervenuta la procedura di conciliazione).
Requisiti: stato di disoccupazione e 2 anni di anzianità assicurativa ed almeno1 anno di contribuzione nel
biennio precedente l'inizio del periodo di disoccupazione.
È liquidata su presentazione di una domanda (da inviare all'Inps entro 2 mesi dalla data di spettanza del
trattamento) dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro o dal giorno
successivo a quello in cui sia stata presentata la domanda.
L’ammontare dipende dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni comprensiva
delle mensilità aggiuntive e dal numero di settimane di contribuzione: questo importo complessivo è diviso
per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicato per 4,33 al fine di ottenere la retribuzione media
mensile. Questa retribuzione di riferimento diventa la base di calcolo per la definizione dell'ammontare
della prestazione. L'importo dell'indennità è del 75% della retribuzione di riferimento (quando è pari o
inferiore a 1180 €) e nel caso di una retribuzione superiore al 75% della stessa è aggiunto il 25% della parte
eccedente i 1180 €. Dopo i primi 6 mesi l'ASPI è soggetta ad una riduzione (15% dal sesto al dodicesimo
mese e 30% dopo il dodicesimo mese).
Durata: dal 2016 la durata sarà di max 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 e 18 mesi per i maggiori di 55
anni. In ogni caso l'indennità è erogata nel limite del numero di settimane di contribuzione versata nei 2
anni precedenti la disoccupazione.
Nel caso di nuova occupazione è prevista la sospensione dell'ASPI di ufficio fino ad un max di 6 mesi (se la
sospensione è inferiore ai 6 mesi, l'ASPI riprende dal momento in cui era stata sospesa). Nel caso il
percipiente svolga una attività di lavoro autonomo dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai
fini della conservazione dello stato di disoccupazione l'ASPI verrà mantenuta ma ridotta. Inoltre è possibile
richiedere l'anticipazione del trattamento per l'importo delle mensilità non ancora percepite nel caso in cui
si voglia intraprendere una attività di auto impresa.
Mini ASPI
sostituisce dal primo gennaio 2013 l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti ed è erogata a coloro
che hanno perso involontariamente l'occupazione (anche per la risoluzione consensuale con conciliazione).
Soggetti interessati → lavoratori del settore privato, apprendisti e soci di coop di lavoro.
Requisiti → il lavoratore deve aver versato almeno 13 settimane di contribuzione di attività lavorativa
nell'ultimo anno (non occorre possedere una certa anzianità contributiva) è liquidata dall'ottavo giorno
successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, e la sua fruizione è condizionata dallo status di
disoccupazione. È corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di
contribuzione nell'ultimo anno, detratte le indennità eventualmente fruite. La sospensione per nuova
occupazione è prevista fino ad un max di 5 giorni non è prevista la facoltà di richiedere la liquidazione in
forma anticipata come forma di autoimpiego.

Ipotesi di decadenza dell'ASPI e della mini ASPI


 perdita dello stato di disoccupazione;
 quando il lavoratore non ha comunicato all'INPS il reddito annuo che prevede di conseguire nel caso
di svolgimento di un'altra attività;
 raggiungimento dei requisiti per il pensionamento o prepensionamento;
 nel caso di esercizio del diritto all'assegno ordinario di invalidità (a meno che il lavoratore non opti
per l'ASPI).

Indennità una tantum per lavoratori parasubordinati (il rapporta di lavoro parasubordinato è una forma di lavoro
prossima al rapporto di lavoro subordinato ma differisce per una autonomia "attenuata" del lavoratore che può godere
di una autonoma organizzazione .
Esempio tipico è la figura dell'agente di commercio che svolge autonomamente ma nell'interesse ed eventualmente per
conto del preponente (datore) il lavoro. Il proponente ha un limitato potere nell'impartire all'agente istruzioni per il
compimento del lavoro.)
è una indennità a favore degli iscritti in via esclusiva alla Gestione separata dell'INPS che abbiano operato
nell'anno precedente in regime di mono-committenza. Per accedere alla prestazione occorre:
 un reddito lordo complessivo conseguito nell'anno precedente minore di 20.000 €;
 accreditamento presso la gestione separata di almeno 4 mensilità di contribuzione nell'anno
precedente;
 almeno 2 mesi ininterrotti di disoccupazione nell'anno precedente;
 l'accreditamento alla gestione separata di una mensilità nell'anno di riferimento.
L'ammontare della prestazione corrisponde al 5% del minimale annuo di reddito imponibile ai fini del
versamento dei contributi previdenziali moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate
nell'anno precedente e quelle non coperte da contribuzione. È erogata in un unica soluzione se <= 1.000€ se
no in quote mensili di max 1.000 €.

il finanziamento dell'ASPI
è finanziata dal tradizione contributo obbligatorio per l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria
(1,31%) più un contributo addizionale (1,4%) delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali a carico solo
dei ddl che utilizzano rapporti di lavoro non a tempo indeterminato.
Ipotesi di esenzione dal contributo addizionale:
 lavoratori assunti a termine in sostituzione di assenti o per lo svolgimento delle attività stagionali;
 apprendisti;
 dipendenti delle pa.
Il contributo addizionale è restituito al ddl nel limite delle ultime 6 mensilità in caso di trasformazione del
contratto a tempo indeterminato o di assunzione a tempo indeterminato dello stesso lavoratore entro 6
mesi dalla cessazione del precedente contratto.

16 IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO (L. 223/1991)


Prima del 1991 la legge non forniva alcuna definizione del licenziamento collettivo ne' i criteri di distinzione
tra quest'ultimo e la fattispecie dei licenziamenti plurimi individuali. La giurisprudenza affermò che la natura
collettiva del licenziamento vi era quando ricorrevano i seguenti requisiti sostanziali e procedurali: pluralità
di licenziamenti, riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, nesso di causalità tra la scelta economica
operata dall'imprenditore e la soppressione di un certo tipo e numero di posti di lavoro, il rispetto delle
procedure sindacali.
La carenza di uno di tali presupposti determinava il venir meno della fattispecie del licenziamento collettivo.
Per quanto riguarda le P.A. Il d.lgs. 165/2001 afferma che per i dipendenti delle pa, alla conclusione della
procedura di mobilità non fa seguito il licenziamento collettivo con la relativa collocazione in mobilità ma il
cd. Collocazione in disponibilità che comporta la sospensione per non più di 24 mesi del rapporto di lavoro e
la corresponsione di una indennità di disponibilità a carico dell'amministrazione, di importo pari al'80%
dello stipendio base; solo alla fine di tale periodo ha luogo la risoluzione del rapporto di lavoro ove il
lavoratore non sia stato nel frattempo collocato in quiescenza avendo maturato un'anzianità contributiva di
almeno 40 anni. Inoltre nelle pa contrattualizzate la procedura collettiva si applica solo quando le
eccedenze di personale siano almeno 10 nell'arco di un anno.
Nella L. 223/1991 si identificano DUE TIPI DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO, ossia

 PER RIDUZIONE DEL PERSONALE (art. 24)


Gli elementi costitutivi e i requisiti per questa ipotesi di licenziamento collettivo sono:
 DDL deve essere un'impresa oppure un privato ddl non imprenditore che occupi più
di 15 lavoratori nell’ambito della stesso provincia (nel licenziamento individuale
invece era nello stesso comune N.B.). Se ha MENO di 15 dipendenti si parla di
licenziamento individuale plurimo. La soglia numerica deve sussistere con riferimento
all'occupazione media in azienda nell'ultimo semestre (“normale occupazione”)e nel
computo dei dipendenti vanno considerati anche i lavoratori assunti con contratto di
formazione e lavoro, gli apprendisti, i contratti a termine e quelli a tempo parziale in
misura proporzionale all'orario prestato.
[Il d.lgs. 276/2003 all'art. 22 ha escluso l'applicazione della procedura di mobilità nel caso di fine dei lavori connessi
alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, prevedendo che operi oltre alla tutela obbligatoria anche la
speciale tutela dell'art. 12 che consiste in una integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato in caso di fine lavori, erogata dagli appositi fondi bilaterali costituiti dalle parti stipulanti il contratto
collettivo nazionale delle agenzie di somministrazione di lavoro, mediante un contributo del 4% della retribuzione
corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.]
 il licenziamento deve coinvolgere, nell'ambito di una o più unità produttive che si
trovino nella stessa provincia, più di 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni purché
riconducibili alle stesse motivazioni di cui al punto 3.
 il licenziamento deve essere una conseguenza di una “riduzione o trasformazione di
attività o di lavoro”. Rientrano quindi i licenziamenti tecnologici cioè non
necessariamente collegati ad un ridimensionamento della struttura aziendale, ma
conseguenti ad una diversa organizzazione del lavoro e anche i recessi a seguito di
cessazione dell'attività d'impresa.

 PER MESSA IN MOBILITA’ (art. 4) dopo trattamento di Cassa Integrazione


Art. 4 → L'impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel
corso di attuazione del programma di cui all'articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il
reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà' di avviare
((la procedura di licenziamento collettivo)) ai sensi del presente articolo.
I presupposti di applicabilità dei questo articolo sono che: l'impresa debba essere autorizzata all'intervento
straordinario i integrazione salariale in base ad un programma di ristrutturazione, riconversione e
riorganizzazione, ovvero ad un programma di crisi aziendale; e che nel corso di attuazione del suddetto
programma l'azienda preveda di non poter reimpiegare tutti o parte dei lavoratori sospesi.
La distinzione comporta che il licenziamento di personale in sevizio non “cassaintegrato”, per configurarsi
come collettivo, deve superare una certa soglia numerica che invece non è necessaria nel primo caso.

16.1 procedura DI MESSA IN MOBILITA’ (art. 4 L. 223/1991)


La procedura della c.d. “messa in mobilità” è identica sia per i lavoratori sottoposti a Cassa Integrazione
Guadagni Straordinari, sia per quelli che vengono licenziati direttamente.

1 * COMUNICAZIONE SINDACALE: il DDL deve


 COMUNICARE per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali, o a quelle di categoria
LA SUA INTENZIONE di effettuare dei licenziamenti collettivi
 INDICARE i MOTIVI a fondamento della sua decisione, quindi ragioni tecniche,
organizzative, produttive e quelli per cui si ritiene non possano essere adottate misure
alternative al licenziamento collettivo
 INDICARE il NUMERO DEI LAVORATORI che intende licenziare e i loro PROFILI
PROFESSIONALI, senza indicare quindi i nomi e i cognomi
 INDICARE il c.d. PIANO SOCIALE con il quale affrontare il licenziamento (ad es.
proponendo un “contratto di solidarietà” per ridurre il numero dei licenziati)
 effettuare un contributo d'ingresso (dal 2017 verrà sostituito dal contributo di
licenziamento) all’INPS, pari ad una mensilità di massimale CIGS per ogni lavoratore che
si intenda licenziare, a titolo di anticipazione. [la somma complessiva, da pagarsi in 30
rate mensili, ammonta a 6 mensilità di indennità di mobilità per ciascun licenziato, ma è
dimezzata se nel corso della procedura si raggiunge un accordo sindacale. È inoltre
incrementata del 5% per ogni periodo di 30 giorni intercorrente tra il licenziamento
avvenuto dopo il 12° mese di CIGS e la data di completamento del programma; mentre è
decurtata di tutte le rate rimanenti se l'impresa procura un posto di lavoro a tempo
indeterminato professionalmente e retributivamente comparabile al lavoratore
licenziato]
E' possibile sanare i vizi purchè ciò avvenga nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso
della medesima procedura.

Una volta ricevuta, le organizzazioni sindacali hanno 7 GIORNI di tempo per chiedere un INCONTRO con il
DDL, dando avvio alla c.d. FASE SINADCALE

2 * FASE SINDACALE: in questa fase vengono ESAMINATE le cause che hanno contribuito a creare
l’eccedenza del personale, e VALUTARE eventuali diverse utilizzazioni dei lavoratori che dovrebbero
essere licenziati, quindi VERIFICARE se vi siano soluzioni alternative (es. “I contratti di solidarietà”
con riduzione dell’orario e della retribuzione + utilizzo della Cassa Integrazione). E’ una fase CHE
DEVE DURARE al massimo 45 GIORNI.
In questa fase il DDL NON HA ALCUN OBBLIGO, se non quello di TRATTARE. Infatti il DDL che non si
presenti in questa fase, sta VIOLANDO la libertà sindacale.
Il legislatore ha INCENTIVATO il DDL a concludere l’accordo entro i 45 giorni previsti, concedendo
una riduzione del versamento delle somme all’INPS per la messa in mobilità.

3 * FASE AMMINISTRATIVA: in questa fase viene coinvolta la Direzione Provinciale del Lavoro, che
convoca il DDL al fine di proporre soluzioni alternative al licenziamento collettivo. Questa fase dura
30 giorni, e solitamente non genera alcun esito positivo, giacché questi, se si verificano, si
concludono nella fase dove vi è anche l’incentivo.

Esaurita l’intera procedura (che quindi DEVE DURARE al massimo 75 giorni), l'impresa può procedere al
licenziamento entro 120 giorni. In CASO NEGATIVO, il DDL procede alla comunicazione DEL RECESSO ad
ogni singolo lavoratore oggetto del licenziamento collettivo. A tal fine vi sono i c.d. CRITERI DI SCELTA.

CRITERI DI SCELTA: sono criteri che operano IN CONCORSO TRA LORO

1. in base ai criteri previsti nell’accordo collettivo firmato in FASE SINDACALE, in mancanza,


2. carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico produttive organizzative

Detti criteri non dovranno essere applicati in modo DISCRIMINATORIO. (es. il criterio DELL’ETA’ non è
discriminatorio se viene salvato il lavoratore anziano perché ha maggiore professionalità)

IL RECESSO: è l'atto finale di una fattispecie a formazione progressiva e viene comunicato individualmente
a ciascun lavoratore, in forma scritta e seguendo la procedura dettata dalla legge.
RECESSO INEFFICACE: in violazione della forma e della procedura imposta.
RECESSO ANNULLABILE: in violazione dei criteri di scelta il licenziamento.
Va inoltre comunicato ai competenti organi regionali, alle associazioni di categoria, unitamente all’elenco
dei lavoratori collocati in mobilità, e i criteri di scelta.

L’IMPUGNAZIONE:
Con qualsiasi atto scritto, anche extra giudiziale, entro 60 giorni a pena di decadenza.
L’eventuale dichiarazione di illegittimità del licenziamento COMPORTA LA REINTEGRAZIONE dei lavoratori.
Se l’illegittimità deriva dalla violazione dei criteri di scelta, il DDL potrà licenziare lo stesso numero di
lavoratori reintegrati senza dover rifare tutta la procedura.

Entro 7 giorni dalla comunicazione dei recessi i lavoratori licenziati vengono ISCRITTI in una LISTA DEI
LAVORATORI IN MOBILITA’ (con i dati anagrafici, la qualifica, i carichi di famiglia, il luogo di residenza e come
sono stati applicati i criteri di scelta) che deve essere comunicata agli organi competenti regionali e
provinciali, nonché alle associazioni di categoria.
16.2 LA MOBILITA’
E' il regime al quale sono sottoposti i lavoratori rientranti nel campo di applicazione della CIGS che siano
stati licenziati per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro o per cessazione di attività.
A questi verrà corrisposta una INDENNITA’ DI MOBILITA’ erogata dall’INPS se abbiano maturato almeno
12 mesi di anzianità presso lo stesso DDL. Per ciascun lavoratore il DDL deve VERSARE in 30 RATE MENSILI,
una somma che è pari a 6 VOLTE il trattamento iniziale di mobilità spettante al lavoratore (la metà se ha
concluso l’accordo in fase sindacale). È un'indennità che si affianca a quella ordinaria e ai trattamenti
speciali di disoccupazione.

A CHI E' RIVOLTO:


 A chi è stato oggetto della procedura sopra descritta
 ai dipendenti licenziati per riduzione del personale o perché non più reimpiegabili dalla CIGS
 agli impiegati, i quadri e gli operai licenziati per giustificato motivo oggettivo, connesso a riduzione,
trasformazione o cessazione di attività o di lavoro da imprese che occupino anche meno di 15
dipendenti o che cmq non abbiano titolo per la fruizione dell'indennità di mobilità

REQUISITI
 iscrizione alla lista di mobilità;
 il lavoratore deve poter far valere un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi di cui almeno 6 di lavoro
effettivamente prestato non a termine;
 l'impresa che ha licenziato il lavoratore rientri nel campo di applicazione della CIGS.
Sono esclusi gli inoccupati, i disoccupati non iscritti alle liste di mobilità, i dipendenti da imprese estranee al
campo di applicazione della CIGS o cmq privi dell'anzianità lavorativa minima richiesta.

INDENNITA’ DI MOBILITA’: ha una durata limitata (12 mesi, elevato a 24 mesi per lavoratori con almeno 40
anni, ed elevato a 36 mesi per i lavoratori con almeno 50 anni). L’indennità è del 100% per i primi 12 mesi,
mentre dell’80% per i restanti mesi. Detta indennità è concedibile in una unica misura se il lavoratore
intenda intraprendere una attività autonoma.

MOBILITA' LUNGA → consente ai lavoratori collocati in mobilità entro un certo termine e prossimi al
pensionamento, di fruire dell'indennità di mobilità fino al pensionamento medesimo.

VANTAGGI: i lavoratori iscritti alle liste di mobilità oltre che l’indennità di mobilità possono essere assunti
dai DDL con particolari VANTAGGI di tipo contributivo.
OBBLIGHI: se
Se però il lavoratore ha accettato un posto di lavoro comportante un livello retributivo non
inferiore di almeno il 10% rispetto a quello precedente alla messi in mobilità, un'integrazione
mensile per un periodo max di 12 mesi.

Cause di cessazione dell'indennità di mobilità:


 trovare un'occupazione
 il lavoratore non accetta una offerta di lavoro che sia EQUIVALENTE PROFESSIONALMENTE, viene
cancellato dalla lista di mobilità
 il rifiuto del lavoratore di reinserirsi nel mondo del lavoro ovvero di partecipare attivamente alle
iniziative di reinserimento come corsi regionali di formazione professionale;
 omissione della comunicazione all'INPS della propria occupazione a tempo determinato e/o parziale
La cancellazione è disposta dalla direzione territoriale del lavoro entro 15 giorni dalla conoscenza.

L'indennità è finanziata dalle imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGS attraverso un
contributo dello 0,3% delle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
INCENTIVI ALL'ASSUNZIONE.
Sono benefici contributivi o incentivi economici a favore dei ddl che assumono i soggetti in mobilità.
In caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato spetta per 18 mesi il medesimo sgravio contributivo
previsto per gli apprendisti; per 12 mesi (elevabili a 24 o 36 per i lavoratori con >50 anni) spetta ai lavoratori
che fruiscono dell'indennità di mobilità un contributo mensile pari al 50% dell'indennità che sarebbe stata
loro corrisposta.(????)
in caso di assunzione a termine di durata non superiore a 12 mesi, il regime contributivo pari a quello degli
apprendisti spetta per 12 mesi; inoltre in caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato e
pieno, lo sgravio medesimo è prorogato di altri 12 mesi e spetta per lo stesso periodo anche il contributo
mensile del 50% delle indennità di mobilità risparmiate dall'INPS.
Opera poi il diritto di precedenza nell'assunzioni effettuate entro 6 mesi dall'impresa che ha proceduto al
licenziamento.

LA CASSA INTEGRAZIONE (L. 223/1991)


Utilizzata dal DDL in situazione di crisi economica, qualora abbia deciso di non avvalersi direttamente del
licenziamento collettivo. Si tratta di un c.d. AMMORTIZZATORE SOCIALE, a sostegno del reddito, poiché
interviene PRIMA che il rapporto di lavoro sia cessato e avvantaggia le aziende, cercando di aiutarle a
rimanere sul mercato. Sono previste due casse, quella ordinaria e quella straordinaria. La differenza tra le
due sta nella gravità delle ragioni che determinano l’accesso a questo sistema.

CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA:


Consentita per un periodo di 3 mesi, prolungati in via eccezionale sino a 12 mesi. Si occupa infatti di
situazioni presumibilmente transitorie:
1. sospensione o contrazione dell’attività produttiva
2. situazioni aziendali gravi
3. sospensione per situazioni temporanee di mercato

PROCEDURA:
- il DDL presenta domanda all’INPS per avere un trattamento economico pari all’80% della
retribuzione globale che sarebbe dovuta spettare ai lavoratori per le ore non prestate. I
lavoratori che otterranno questa integrazione vedranno i loro contributi versati in maniera
figurativa quindi senza perderli.
- Il DDL deve informare le rappresentanze sindacali sul numero di lavoratori interessati e sulla
durata (non consultazione se riduzione < 16 ore settimanali)
- Il DDL deve consultare le rappresentanze sindacali e dovrà specificare i turni di cassa
integrazione (rotazione che deve coinvolgere tutti e non solo e sempre le stesse persone).

CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA:


può essere concessa anche nel caso di crisi aziendale, ma con un REQUISITO dimensionale per cui
possono farne richiesta le imprese che abbiano occupato mediamente nel semestre almeno 15
persone. Con una riforma del 2008 è stata allargata la fascia di lavoratori ammessa al computo.

PROCEDURA:
o il DDL presenta la richiesta al Ministero del Lavoro, accompagnata da una procedura di tipo
sindacale, dove viene indicato un programma che contenga i tempi e le misure attraverso le quali
il DDL presuma di rientrare dallo stato di crisi aziendale.
o detta procedura si apre con Decreto del Ministro del Lavoro e ha delle durate prestabilite:
 12 mesi per crisi aziendale (estendibile a 24 mesi x questioni eccezionali)
 24 mesi per ristrutturazione o riconversione o riorganizzazione (estendibili a 48)
 12 mesi (prorogabili a 18 mesi) per procedure concorsuali
Nel caso in cui il DDL NON RIESCA A PORTARE IN SALVEZZA L’AZIENDA, ciò che gli si prospetta è il
licenziamento collettivo per messa in mobilità, con la procedura già vista in precedenza.

Sia nella Cassa Integrazione Ordinaria che in quella Straordinaria c’è una partecipazione del DDL che versa in
modo fisso dei contributi. Anche i lavoratori contribuiscono parzialmente.

17 GARANZIE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI

17.1IL TRASFERIMENTO DI AZIENDA (L. 428/1990 e art. 2112 c.c. modificato dal d. lgs. 276/2003)
Il nostro ordinamento prevede due tipi di garanzia a favore dei lavoratori
o “continuazione del rapporto di lavoro”
o “conservazione dei trattamenti goduti”

LA FATTISPECIE “TRASFERIMENTO DI AZIENDA”: (art. 2112 c.c.)


“qualsiasi operazione che, in seguito a cessione o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di una
attività economica organizzata, e conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla
tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi
usufrutto o affitto di azienda”
Rientra anche il trasferimento di una parte dell’azienda:
“trasferimento di una articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata,
identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento
IN DEFINITIVA: “qualunque mutamento della titolarità dell’impresa”, che consegua a qualunque tipo di
operazione negoziale.

LE GARANZIE: (art. 2112 c.c.)


1. la PROSECUZIONE automatica del rapporto di lavoro in capo all’acquirente (il nuovo DDL non
potrà licenziare a causa del trasferimento d’azienda, così come non serva il consenso del
lavoratore sempre in caso di trasferimento di azienda; il lavoratore però può dimettersi per
giusta causa)
2. la CONSERVAZIONE dei diritti acquisiti, inclusi quelli derivanti da contratto individuale, e dei
trattamenti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi nazionali e aziendali applicati
dal cedente sino alla loro scadenza (se però l’acquirente applica un proprio e diverso contratto
collettivo DI UGUALE LIVELLO, vi è la sostituzione con quello applicato dall’acquirente). A
riguardo eventuali problemi saranno risolti attraverso la stipulazione di accordi di “ingresso” e di
“armonizzazione”.
3. la RESPONSABILITA’ SOLIDALE del cedente e del cessionario per i crediti che i lavoratori vantino
prima della cessione, nei confronti del cedente (e anche tra appaltante e appaltatore
nell'outsorucing)
4. la conservazione dei trattamenti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi

Se l'acquirente applica già un proprio e diverso contratto collettivo, questo trova applicazione ai dipendenti
dell'azienda alienata in sostituzione di quelli applicati dall'alienante; l'unico problema è capire se venga
applicato automaticamente o in maniera programmata tramite accordi sindacali

DISCIPLINA PARTICOLARE: IL TRASFERIMENTO DELLE IMPRESE IN CRISI


Più precisamente di quelle imprese cui il Ministero del lavoro abbia accertato lo stato di crisi ai fini
dell’intervento della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, oppure aziende impegnate in procedure
concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa).
In questi casi è ammessa la stipulazione di accordi sindacali che prevedano il passaggio all’acquirente DI
UNA PARTE SOLTANTO del personale interessato, e prevedere inoltre LA INAPPLICABILITA’ dell’art. 2112
c.c. Il personale non trasferito avrà diritto di precedenza sulle eventuali nuove assunzioni entro un anno.
Detta norma è stata giudicata dalla Corte Europea NON CONFORME al diritto comunitario, secondo cui sono
SOLO i trasferimenti di azienda nell’ambito di procedure concorsuali ad essere escluse da detto regime, e
non anche le procedure con finalità di conservazione e salvataggio come nel caso della cassa integrazione.
Nel 1998 poi una nuova direttiva fu emessa in favore “della salvaguardia del posto di lavoro tramite la
sopravvivenza dell’impresa”.

LA DISCIPLINA (art. 47 L. 428/1990)


SOLO se l’azienda trasferita occupa più di 15 dipendenti. Prevede che:

INFORMAZIONE: L’alienante e l’acquirente, devono comunicare alle RSA o alle RSU o alle
associazioni sindacali di categoria delle unità produttive interessate dal trasferimento, entro 25
giorni prima che si sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento, con indicazione dei motivi e
della data del trasferimento stesso. Inoltre deve contenere gli effetti sui rapporti di lavoro dei
lavoratori coinvolti.
ESAME CONGIUNTO: Una volta pervenuta l’informazione, le organizzazioni sindacali possono entro 7
giorni richiedere un esame congiunto, il quale deve poi essere avviato entro i successivi 7 giorni. Vi è
obbligo di discutere, ma NON OBBLIGO di contrarre.
SANZIONI: Eventuali violazioni sono SANZIONATE identificandole come condotta antisindacale.

17.2Le rinunzie e transazioni dei lavoratori subordinati e parasubordinati


la maggioranza delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro sono inderogabili, cioè non possono
nemmeno essere derogate con patti espressi tra le parti.
Vanno però distinti da questi patti i negozi dismissivi, in particolare le rinunzie e le transazioni: le prime
sono dichiarazioni unilaterali di volontà con le quali un soggetto decide di abducare ad un suo diritto; le
seconde sono contratti con i quali le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una
controversia in atto o ne prevengono il sorgere. La distinzione tra negozi che derogano a norme inderogabili
e negozi dismissivi è che nei primi vige il regime della nullità mentre nei secondi quello della annullabilità
(art. 2113); tale articolo stabilisce che i negozi dismissivi aventi ad oggetto diritti derivanti da norme
inderogabili sono invalidi e che l'invalidità può essere impugnata dal lavoratore entro 6 mesi dalla
cessazione del rapporto di lavoro (in caso di mancata impugnazione entro il termine vengono convalidati).
Si distinguono dai negozi dismissivi le quietanze liberatori, cioè quelle clausole di stile che vengono fatte
sottoscrivere al lavoratore all'atto della risoluzione del rapporto e con le quali il lavoratore stesso attesta di
essere stato soddisfatto di ogni credito e di non aver più nulla a pretendere. Perché infatti possa
configurarsi un vero negozio dismissivo è necessario che vengano specificati i crediti ai quali il lavoratore
rinuncia, non bastando una semplice dichiarazione di non aver più nulla a pretendere; le quietanze a saldo
non hanno alcuno effetto estintivo dei diritti del lavoratore quindi non è nemmeno necessario impugnarle.
Esiste un modo per rendere inoppugnabile la rinunzia o la transazione anche prima del termine semestrale:
stipulare il negozio dismissivo nei casi di conciliazione giudiziale, sindacale oppure di quelle effettuate
presso la commissione di conciliazione oppure quelle di certificazione.

La conciliazione e l'arbitrato nelle controversie di lavoro


legge 183/2010 art 31 stabilisce che il tentativo di conciliazione è meramente facoltativo
indipendentemente dalla circostanza che le controversie di lavoro attendano al settore pubblico o privato.
Ci sono due eccezioni: la prima è il tentativo di conciliazione in caso di ricorso giurisdizionale avverso la
certificazione (l'organo conciliatore è la stessa commissione di conciliazione che ha adottato l'atto di
certificazione), la seconda è il tentativo di conciliazione in sede giudiziale (si prevede non solo che la
comparizione delle parti ma anche il rifiuto della proposta transattiva del giudice senza giustificato motivo
costituisce comportamento valutabile dal giudice).
Ci sono altri tipi di conciliazione facoltative:
 conciliazione in sede amministrativa costituita presso la direzione provinciale del lavoro competente.
La procede prevede la notificazione della richiesta alla controparte, un contenuto minimo necessario
della richiesta di conciliazione, l'onere della controparte di presentare una memoria difensiva entro
20 giorni; entro i 10 giorni successivi le parti sono convocate per la conciliazione che deve avvenire
entro 30 giorni;
 conciliazione in sede sindacale il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato a cura di
una delle parti;
 conciliazione monocratica introdotta nell'ambito della riforma dei servizi ispettivi del lavoro: nel caso
di intervento ispettivo e quando emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia
la direzione provinciale del lavoro avvia un tentativo di conciliazione.
Nell'ambito delle procedure stragiudiziali delle risoluzioni delle controversie di lavoro importante istituto è
l'arbitrato in qualunque fase del tentativo di conciliazione le parti possono accordarsi per la risoluzione della
lite affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Per
quanto riguarda l'impugnazione del lodo arbitrale è possibile impugnare nel caso in cui l'arbitro non decida
secondo equità entro 30 giorni. La nuova disciplina ammette la legittimità della clausola compromissoria,
con cui le parti stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto siano decise da arbitri; la stipulazione
della clausola è possibile solo quando sia prevista da accordi interconfederali o contratti collettivi e a pena
di nullità, deve essere certificata affinché sia accertata l'effettiva volontà delle parti. La stipulazione è
vietata quando:
 prima della scadenza del patto di prova
 prima che siano trascorsi 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro
 per le controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro.

La certificazione dei contratti di lavoro


riforma Biagi
si tratta di una procedura volontaria diretta ad ottener una qualificazione del contratto da parte di un
organismo amministrativo appositamente costituito.
Gli organi abilitati sono apposite commissioni che potevano essere costituite nell'ambito di tre categorie di
soggetti: le strutture pubbliche aventi competenze in materia di mercato del lavoro, gli enti bilaterali cioè gli
organismi costitutivi di una o più associazione di datori o prestatori di lavoro, le università pubbliche e
private, il ministero del lavoro per i datori di lavoro con sedi in più province, i consigli provinciali dei
consulenti del lavoro.
L'atto di certificazione è un atto amministrativo ed è preclusivo cioè incontestabile fino al momento in cui
sia stato accolto con sentenza di merito fatti salvi i provvedimenti cautelari. Può essere impugnato per
erroneità della qualificazione, per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva
attuazione, per vizi del consenso. Fino a quando non è stata pronunciata sentenza nessuno può contestare
l'atto.

Le garanzie dei crediti retributivi


si tratta del diritto di preferenza a determinati crediti. I crediti retributivi aventi oggetto il risarcimento del
danno godono di un privilegio: in caso di esecuzione forzata sui beni del debitore detti crediti devono essere
soddisfatti prima di qualunque altro credito.
I crediti retributivi sono soggetti ad un regime di limitata disponibilità essendo pignorabili: nella misura
stabilita dal giudice se il pignoramento riguarda crediti alimentari, negli altri casi il pignoramento non può
superare la misura di 1/5 della retribuzione per ciascun credito e della metà della retribuzione se si procede
per più crediti.
Il lavoratore subordinato è tutelato anche in caso di insolvenza del ddl: presso l'inps è stato costituito un
fondo di garanzia con il compito di provvedere al pagamento del tfr nel caso in cui il ddl sia assoggettato ad
una procedura concorsuale o esecuzione forzata; la domanda al fondo va presentata dal lavoratore decorsi
15 giorni dal deposito dello stato passivo o dalla sentenza di omologazione del concordato preventivo. Il
fondo deve pagare entro 60 giorni dalla richiesta e interviene anche per il pagamento di tutti gli altri crediti
di lavoro ma solo limitatamente a quelli maturati durante gli ultimi tre mesi del rapporto rientranti nei 12
mesi precedenti l'inizio della procedure concorsuale e esecutiva. I crediti di lavoro si prescrivono in 5 anni e
la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 cc); questa
norma è giudicata incostituzionale perché fa cominciare la decorrenza della prescrizione quando il
dipendente riceve ancora la retribuzione e quindi può temere ritorsioni, quindi è stata fatta decorrere dal
momento della cessazione del rapporto di lavoro. Il divieto della decorrenza della prescrizione è limitato ai
rapporti di lavoro ad nutum e quelli assistiti da tutela obbligatoria.

Le speciali garanzie dei lavoratori subordinati negli appalti e nelle esternalizzazioni di impresa
Manca

LA LIBERTA’ SINDACALE
Sono pochissime le fonti sindacali del diritto sindacale. Ecco quelle di rango costituzionale:

art. 39 Cost. che consiste nella libertà di organizzazione sindacale, ed è divisa in due parti:

comma 1: “l’organizzazione sindacale è libera”.

Art. 39 Cost. VS art. 18 Cost.:


L’art. 39 Cost. è per certi versi simile all’art. 18 Cost. che parla di “libertà di associazione per fini che
non siano vietati dalla legge”.

L’art. 39 Cost.: ha una PORTATA MAGGIORE, e non presuppone alcun controllo dello Stato
L’art. 18 Cost. presuppone che lo stato eserciti un controllo sui fini delle stesse

Statuto dei Lavoratori (art. 14 e art. 15) a rinforzare la libertà sindacale:


Art. 14 Statuto dei lavoratori:
“Ogni lavoratore all’interno dei luoghi di lavoro ha il diritto di costituire associazioni sindacali, di
aderire alle organizzazioni sindacali e di svolgere attività sindacali.
Art. 15 Statuto dei lavoratori:
protegge il lavoratore da tutti i possibili atti discriminatori del DDL dichiarando NULLO qualsiasi
atto generato da dette discriminazioni.
Art. 28 Statuto dei lavoratori:
“consente al lavoratore di opporsi alla c.d. condotta antisindacale da parte del DDL”.
Evita di indicare le tipologie dei comportamenti, e quindi ha UNA PORTATA MOLTO AMPIA, in
quanto può essere un comportamento antisindacale QUALUNQUE atto del DDL volto a danneggiare
le libertà sindacali. Non prevede la nullità, ma prevede una AZIONE da parte del GIUDICE molto
veloce. IN QUESTO CASO PUO’ AGIRE SOLO un’organizzazione sindaca-le E NON il singolo
lavoratore.

comma 2: ”ai sindacati non può esser posto alcun obbligo, se non quello di registrazione presso uffici locali
o contrali…”, disposizione sostanzialmente mai attuata.
comma 3: stabilisce le condizioni per tale registrazione, ossia che un sindacato che abbia uno statuto che
ne chiarisca la democraticità e il suo funzionamento, con conseguente CONTROLLO sullo stesso statuto.

Questo è il motivo per cui i sindacati si sono opposti…


1. erano contrari a qualunque controllo da parte dello Stato
2. erano contrari anche al comma 4 circa la rappresentanza in proporzione
al numero degli iscritti, anche se alcune sigle preferivano in base alle deleghe, oppure in base alla
capacità di mobilitazione, etc.
3. solo sottoponendosi al controllo dello stato avrebbero potuto poi firmare
contratti collettivi

LIBERTA’ SINDACALE POSITIVA: libertà di costituire un sindacato, di aderirvi, e di parteciparvi.


LIBERTA’ SINDACALE NEGATIVA: libertà di NON ADERIRE, o di uscire dall’organizzazione sindacale.

LIBERTA’ SINDACALE COLLETTIVA: il divieto DI INGERENZE da parte dell’ordinamento statale per ciò che
concerne le forme organizzative, le regole interne, e così via.
SINDACATO IN AZIENDA: esistono in Europa 2 modelli di rappresentanza lavoratori in azienda

 MODELLO A CANALE UNICO


i lavoratori sono rappresentati in azienda da una istituzione che ha composizione sindacale e ha
DOPPIA FUNZIONE (contrattazione, informazione, consultazione)
 MODELLO A CANALE DOPPIO
Vi è UNA SEPARAZIONE tra:
a. INFORMAZIONE E CONSULTAZIONE (struttura elettiva non
sindacalizzata)
b. CONTRATTAZIONE (struttura che rappresenta un sindacato all’interno
dell’azienda)
Nel nostro stato è stato scelto in modello a CANALE UNICO, ma con una anomalia. La rappresen-tanza
all’interno dell’azienda può avere due forme:

1- R.S.A. Rappresentanza Sindacale Aziendale (art. 19 Statuto dei lavoratori)


I’art. 19 individua i criteri in base ai quali può costituirsi legittimamente una rappresentanza sindacale in
azienda che intenda usufruire dei diritti di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori.

L’art. 19 affida l’istituzione delle RSA all’iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva.
L’art. 19 stabilisce inoltre che siano destinatarie di una SERIE DI DIRITTI SINDACALI (vedi capitolo successivo
assemblea, affissione, referendum, permessi retribuiti e non).
L’art. 35 invece indica che possono essere costituite in tutte quelle unità produttive che abbiano più di 15
dipendenti.

REQUISITO MODIFICATO DAL REFERENDUM 1995:


“possono costituire RSA quelle associazioni sindacali che siano firmatarie dei contratti collettivi di
lavoro applicati nell’unità produttiva”.
La RSA è composta da lavoratori che vengono designato dal sindacato esterno.

REQUISITO PRIMA DEL REFERENDUM 1995:


…potevano costituire RSA solo “le associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale” e “sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali o
provinciali”. Quindi dopo il referendum le RSA possono essere costituite anche in ambiti diversi da
quelli indicati nelle parti abrogate.

EFFETTI DEL REFERENDUM:


a) può istituire una RSA quel sindacato che abbia firmato un contratto collettivo nazionale
b) può istituire una RSA quel sindacato che abbia firmato un contratto collettivo aziendale

In seguito all’abrogazione delle parole “nazionale e provinciale”, però, ci fu una gran discussione sugli
effetti… arrivò addirittura alla Corte Costituzionale che si dovette pronunciare nel 1996.

TIMORE: Un sindacato SOLO AZIENDALE potrebbe essere accondiscendente con il DDL, proprio perché
firmando il contratto collettivo gli darebbe il “requisito” richiesto per costituire le RSA!!!

La Corte Costituzionale nel 1996 ribadì che “un sindacato che effettivamente contratta con il DDL è un
sindacato rappresentativo, e che quindi non c’è alcun rischio”.
La debolezza di tale pronuncia si dimostrò nel caso della FIAT:

“il DDL è vincolato dal contratto collettivo nazionale di categoria SOLO SE ISCRITTO all’associazione
datoriale”.
La FIAT non essendo più iscritta a CONFINDUSTRIA non aveva più alcun vincolo!!! E ha quindi firmato un suo
contratto collettivo soltanto aziendale. La CIGL non avendolo firmato perché non ne condivideva i
contenuti, si trovò all’improvviso SENZA I REQUISITI di cui all’art. 19 per poter costituire le RSA!!!

DEFINIZIONI DA SAPERE

CONFEDERAZIONE:
E’ una struttura sindacale che affilia FEDERAZIONI che rappresentano le diverse categorie
FEDERAZIONE:
E’ un sindacato che affilia lavoratori aderenti ad una determinata categoria produttiva (es. metalmeccanici, chimici, etc)

* RAPPRESENTANZA SINDACALE: è il rapporto DIRETTO che sussiste tra il singolo lavoratore e l’organizzazione sindacale alla
quale il lavoratore stesso aderisce. Il lavoratore conferisce all’organizzazione il potere di agire in suo nome tramite MANDATO DI
RAPPRESENTANZA.
* RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE: è la capacità di un sindacato di FARSI INTERPRETE degli interessi collettivi dei lavoratori
subordinati, siano essi iscritti oppure no. Questa è una distinzione necessaria affinché il legislatore possa distinguere tra i vari
sindacati esistenti, quali vadano supportati da una “legislazione di sostegno” ed eventualmente intrattenere rapporti privilegiati
(c.d. concertazione sociale).

MAGGIOR RAPPRESENTATIVITA’ prima del 1995: consisteva nell’avere un certo numero di iscritti; la presenza di un
sindacato in più categorie produttive; la partecipazione alla contrattazione collettiva; la capacità di mobilitazione; Questa
era la situazione prima che venisse il referendum del 1995 che abrogò al lettera A dell’art. 19.

2- R.S.U. Rappresentanza Sindacale Unitaria:


E’ un sistema nato nel 1993 in seguito ad un PROTOCOLLO, che istituì la possibilità di formare
rappresentanze sindacali unitarie RSU.

COSTITUZIONE RSU: Le RSU vengono istituite PER VOLONTA’ delle grandi confederazioni maggior-mente
rappresentative, e non per volontà del legislatore. In concreto, per rafforzare la posizione sindacale nei
confronti del DDL è meglio avere, anziché diverse RSA, una struttura unitaria ossia la RSU. Ne deriva che il
sindacato che decide di partecipare alla costituzione della RSU, RINUNCIA ad istituire la propria RSA.

Le RSU sono organi a formazione elettiva, dove tutti i lavoratori possono partecipare all’elezione del
candidato. Possono presentare le liste per candidarsi alle RSU:
* solo le RSU uscenti
* i sindacati maggiormente rappresentativi che hanno firmato l’accordo del dicembre 1993
* i sindacati che siano firmatari del contratto collettivo nazionale applicato in azienda
* i sindacati non di dimensione nazionale, ma che abbiano raccolto un numero di firme pari almeno al
5%.

La RSU rimane in carica 3 anni, poi si possono rinnovare. Tutti i diritti della RSA passano all’RSU quindi
vedi i diritti sindacali del capitolo successivo, con la particolarità che il monte ore di 10 ore può
prevedere che sino a 4 ore delle 10 disponibili possano essere usate per assemblee interne. Inoltre 1/3
dei seggi è riservato alle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale applicato in
azienda.

Nel PUBBLICO IMPIEGO invece, il sistema RSU è OBBLIGATORIO e non volontario come nel privato. In
questo caso la rappresentatività sindacale è stata definita. In questo caso la rappresentatività non è di
tipo DISCENDENTE, come nel privato, e il procedimento è inverso: è l’associazione sindacale che deve
dimostrare di essere rappresentativa

Misurazione della rappresentatività dei sindacati: tramite un PROTOCOLLO tra CONFINDUSTRIA, CIGL, CISL,
UIL, UGL nel 2011 è stato disciplinato l’accertamento e la certificazione della rappresentatività dei sindacati
sul piano nazionale. Detto accordo devolve al CNEL il compito di costruire degli indici di rappresentatività,
sulla base di una MEDIA tra il “dato associativo” relativo alle deleghe dei lavoratori e certificate dall’INPS, e
il “dato associativo” relativo ai risultati del voto per l’elezione delle rappresentanze unitarie nei luoghi di
lavoro.
Soglia minima: le organizzazioni sindacali ammesse alle contrattazioni collettive nazionali
devono pertanto avere il 5% del totale della categoria dei lavoratori della categoria cui si
applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (permane comunque la possibilità di
stipulazione di contratti collettivi con associazioni sindacali la cui rappresentatività non sia
misurata o certificata.

I DIRITTI SINDACALI
Il diritto di costituire RSA (o RSU) è fondamentale perché è IL PRESUPPOSTO per l’esercizio di tutti gli altri
diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori:

ASSEMBLEA:
Il diritto di riunirsi all’interno dell’unità produttiva, purché la stessa sia stata indetta da almeno una delle
R.S.A. esistenti nell’unità produttiva.
Assemblea retribuita: IN ORARIO DI LAVORO max 10 ore annue retribuite
Assemblea non retribuita: FUORI dall’orario di lavoro
Ordine del giorno: riguarda ESCLUSIVAMENTE materie di interesse sindacale e di lavoro.
LOCALI:
Il diritto ad avere un idoneo locale per lo svolgimento delle loro funzioni. Se l’unità produttiva ha più di 200
dipendenti il locale a disposizione delle RSA, deve essere all’interno o nelle immediate vicinanze dell’unità
produttiva, ad USO ESCLUSIVO.
REFERENDUM:
Il diritto di partecipare, FUORI DALL’ORARIO DI LAVORO, a referendum su materie attinenti l’attività
sindacali purché INDETTO CONGIUNTAMENTE da tutte le RSA presenti in azienda.
AFFISSIONE:
Il DDL deve consentire alle RSA di poter affiggere su appositi spazi accessibili a tutti i lavoratori, tutto ciò
che è inerente a materie di interesse sindacale.
CONTRIBUTI SINDACALI:
Il diritto di raccogliere contributi e promuovere la propria organizzazione sindacale, PURCHE’ esercitato
SENZA PREGIUDIZIO per il normale svolgimento dell’attività aziendale. Prima del referendum 1995 c’era un
sistema di prelievo automatico con una delega del lavoratore al DDL il quale versava il contributo
automaticamente: detto automatismo ora non c’è più!
PERMESSI:
Per l’espletamento delle proprie funzioni, i dirigenti sindacali hanno in diritto di usufruirne. Sono previsti
permessi retribuiti e non retribuiti:
Permessi retribuiti: spetta ai dirigenti per l’espletamento di attività sindacale di interesse
aziendale, in misura stabilita dalla legge, in relazione alle dimensioni occupazionali dell’unità
produttiva, derogabile in meglio dai contratti collettivi.
Permessi non retribuiti: spetta ai dirigenti per l’espletamento di attività sindacale EXTRA aziendale,
in misura non inferiore a 8 giorni all’anno.
Per la fruizione di entrambi i permessi vi è obbligo di comunicazione scritta, senza che sia subordinata ad
alcuna autorizzazione del DDL (1 giorno prima per quelli retribuiti, 3 giorni prima per quelli non retribuiti).
Sono previsti permessi retribuiti e periodi di aspettativa non retribuita anche a favore di lavoratori che
ricoprano cariche nelle associazioni sindacali.

GUERENTIGIE SINDACALI:
Ne godono i dirigenti in caso di licenziamento (su istanza del lavoratore e del sindacato il giudice può
disporre anche l’immediata reintegrazione), o in caso di trasferimento.

CONDOTTA ANTISINDACALE
Lo Statuto dei lavoratori, a rafforzare ulteriormente la presenza sindacale in azienda, disciplina anche quella
che viene chiamato “condotta antisindacale”.

CONDOTTA ANTISINDACALE: viene riferita alla “oggettiva capacità lesiva” dei diritti sindacali,
piuttosto che identificarla con determinati atti o comportamenti. Infatti sono perseguibili “tutti quei
comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale e del
diritto di sciopero”.

SOGGETTO ATTIVO: può essere il DDL oppure anche suoi dipendenti che esercitano potere direttivo
su altri dipendenti.

SOGGETTI PASSIVI (legittimati ad agire): sono gli organismi sindacali locali delle associazioni
sindacali nazionali che vi abbiano interesse. NON QUINDI i singoli lavoratori. Devi quindi trattarsi di
associazioni sindacali nazionali. La Corte Costituzionale non ha reputato illegittima questa
disposizione, in quanto dette associazioni nazionali danno maggiori garanzie poiché godono di
un’effettiva migliore rappresentatività. Non possono essere le RSA dato che devono essere costituite
“nell’ambito di un sindacato” che potrebbe essere nazionale.

LA PROCEDURA: agile e spedita. Il giudice del lavoro sulla base di “sommarie informazioni”, e quindi
senza una rigorosa istruttoria, qualora ravvisi gli estremi, ordina con decreto motivato la cessazione
del comportamento illegittimo al DDL. Il giudizio normale si svolgerà poi in un secondo momento, e
SOLO SE SARA’ stata proposta opposizione entro 15 giorni.

SANZIONI: il DDL che non ottempera al decreto o alla sentenza che derivi dall’opposizione al
decreto, commette il reato di “inosservanza dell’ordine del giudice”, la cui condanna prevede anche
la revoca degli eventuali benefici fiscali goduti dal DDL.
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Dal punto di vista formale, il contratto collettivo NON E’ una fonte del diritto, ma dal punto di vista pratico
invece E’ UNA FONTE DEL DIRITTO.
E’ un contratto stipulato tra un’organizzazione sindacale di lavoratori e una organizzazione sindacale di DDL
(o con un singolo DDL).
ORGANIZZAZIONE LAV + ORGANIZZAZIONE DDL = contratto collettivo nazionale
ORGANIZZAZIONE LAV + SINGOLO DDL = contratto collettivo aziendale

In una ipotetica piramide TROVIAMO IN ORDINE DI IMPORTANZA:


 PROTOCOLLI: intese trilaterali nelle quali vi è anche la presenza del Governo.
 CONTRATTO NAZIONALE DI CATEGORIA, stipulato dalle varie federazioni
sindacali delle diverse categorie (metalmeccanica, chimica, commercio, terziario)
 CONTRATTI COLLETTIVI DECENTRATI E AZIENDALI ai quali i contratti di
categoria rinviano per la disciplina di determinate materie o istituti (es. per i premi di
produzione).

PARTE NORMATIVA: in materia di retribuzione, orario di lavoro, permessi, sanzioni, licenziamento


PARTE OBBLIGATORIA: in materia di diritti sindacali, di informazione, infatti NON DISCIPLINA il rapporto di
lavoro

TIPI DI CONTRATTO COLLETTIVO:

1) CORPORATIVO: in epoca fascista, poi abolito con la caduta del fascismo e con l’avvento della
Costituzione, erano contratti con efficacia ERGA OMNES (nel sopprimere le organizzazioni sindacali
fasciste vennero lasciate il vita i contratti corporativi all’epoca vigenti, con possibilità per i contratti
collettivi vi potessero apportare modifiche… cosa che poi è ovviamente avvenuta).
2) COSTITUZIONALE: per sostituire i contratti corporativi la Costituzione diede vita a nuovi contratti
collettivi, sempre con efficacia ERGA OMNES, che sarebbero dovuti esser stipulati da apposite
delegazioni costituite dai sindacati registrati presso pubblici uffici, e rappresentati in proporzione ai
rispettivi iscritti. TALE NORMA NON FU MAI ATTUATA dal legislatore, poiché i sindacati temevano
che ciò comportasse limitazioni alla propria libertà. Ecco perché non è mai diventato operativo!
3) DI DIRITTO COMUNE: si chiamano così perché basati sulle regole comuni a tutti gli altri contratti
disciplinati dal codice civile, e non da norme speciali.
4) RECEPITI IN DECRETO: contratti recepiti dei decreti legislativi (es. Legge Vigorelli). Fu obbiettato che
in questo modo veniva data efficacia generale ai contratti con un meccanismo che non era quello
previsto dalla Costituzione. Così infatti decise la Corte Costituzionale.

Fu così che ai giorni nostri l’unico contratto conosciuto dal nostro ordinamento è quello DI DIRITTO
COMUNE, ma con il problema dell’efficacia, che non si può ricondurre all’ERGA OMNES delle altre tre figure
di contratto collettive…

EFFICACIA DEI CONTRATTI COLLETTIVI:


Il contratto collettivo di diritto comune si basa sull’istituto del “mandato con rappresentanza” previsto dal
codice civile all’art. 1704: esso è quindi stipulato in rappresentanza dei lavoratori iscritti al sindacato.

LAVORATORE: il contratto collettivo nazionale di categoria (es. metalmeccanici) sarà applicato ai soggetti
firmatari e ai soggetti rappresentati dai soggetti firmatari.
DDL: il contratto collettivo nazionale di categoria produce effetti SOLO nei confronti dei soggetti firmatari, e
sui DDL iscritti nella associazione datoriale.

SOGGETTI NON ISCRITTI:


1. Lavoratore non iscritto: i motivi per cui un lavoratore non si iscrive risiede nei motivi più disparati. In
ogni caso sa che il DDL pur potendo non applicargli il contratto collettivo, tanto glielo applica dato che
per il DDL comporterebbe un aggravio di lavoro tenere due contabilità separate… Inoltre se non lo
applicasse a tutti, il lavoratore si iscriverebbe al sindacato e poi il DDL dovrebbe applicargli il contratto
collettivo. Ma quando invece il contratto non è accettato dal lavoratore come nei casi di contratti
firmati in periodi di crisi? La risposta è che il lavoratore può rifiutarlo, anche se questi problemi non si
presentano di frequente. Sull’accordo firmato durante la procedura di licenziamento collettivo (c.d.
contratto collettivo gestionale) la Corte Costituzionale ha affermato che hanno una efficacia
generalizzata e si applicano a tutti i lavoratori.
2. DDL non iscritto: casistica più frequente nel caso delle piccolissime imprese. Ma come rimediare in
questi casi?
a. Es. la legge Vigorelli consentiva l’emanazione di decreti attraverso i quali si recepissero i
contratti collettivi nazionali. La Corte Costituzionale dapprima la salvò, ma dichiarò l’illegittimità
la sua proroga in quanto attuava un meccanismo di estensione dell’efficacia con procedure
diverse da quelle indicate dall’art. 39 Cost.
b. Tecniche Giurisprudenziali di estensione:
i. Applicazione di fatto: la giurisprudenza ritiene che quando il DDL non iscritto faccia
riferimento al contratto collettivo, si intende vincolato nella sua interezza. APPLICAZIONE DI
FATTO. In questi casi si presuppone che vi sia sempre UNA CONTROVERSIA, dove il lavoratore
dice che il suo DDL ho ha applicato il contratto collettivo, e dove il DDL dirà che non è
vincolato in quanto non iscritto, e dove il lavoratore addurrà che è invece vincolato perché DI
FATTO ha applicato alcune clausole del contratto collettivo, e il giudice darà ragione la
lavoratore.
ii. Art. 36 Cost.: è la tecnica giurisprudenziale che garantisce una efficacia soggettiva
quasi generalizzata, con il PRINCIPIO della SUFFICIENZA e della PROPORZIONA-LITA’. Se il
DDL retribuisce il lavoratore in modo insufficiente, il lavoratore potrà agire in giudizio sulla
base appunto dell’art. 36 Cost. Il giudice potrà quindi stabilire la retribuzione sufficiente
grazie all’art. 2099 c.c. (stabilisce che la retribuzione è stabilita dalle parti, e in mancanza, dal
giudice). Il giudice per stabilirla dovrebbe agire secondo equità, ma una prassi
giurisprudenziale molto solida gli consente di rifarsi al contratto collettivo nazionale di
categoria. QUINDI almeno per quanto riguarda la retribuzione l’efficacia generalizzata è
salva.

iii. Le tecniche legislative incentivano l’applicazione ma non possono obbligare il DDL in


quanto violerebbero le disposizioni di cui all’art. 39 Cost. Es. il legislatore quando debba
accordare benefici economici, o incentivi per il DDL, può subordinare detti benefici
all’applicazione, da parte del DDL, del contratto collettivo nazionale.
iv. Clausole Sociali: altra tecnica prevista dall’art. 36 dello Statuto dei lavoratori,
laddove vi siano appalti di opere pubbliche, viene apposta la c.d. clausola sociale secondo cui
il beneficiario deve applicare il contratto collettivo ai suoi lavoratori, A PENA DI ESCLUSIONE
DALL’APPALTO.

3. Nel Pubblico Impiego: esiste una disciplina che individua entrambe le parti della contrattazione
collettiva, e ne definisce le procedure.
a. Per la PARTE DATORIALE si ha l’A.R.A.N. (agenzia di rappresentanza delle pubbliche
amministrazioni), senza la possibilità, quindi, per le P.A. di poter decidere se farsi
rappresentare oppure no dall’ARAN.
b. Per la PARTE SINDACALE la legge ha stabilito il criterio sulla rappresentatività già spiegato in
precedenza (5% etc). L’accordo può firmarsi SOLO quando vi sia il consenso del 51% dei
sindacati che hano partecipato al tavolo delle trattative. Il 51% è IL DATO MEDIO TRA IL
DATO ELETTORALE E IL DATO ASSOCIATIVO.
c. EFFICACIA: l’obbligatorietà per la P.A. di essere rappresentata dall’ARAN, fa si che abbia
EFFCACIA GENERALIZZATA. Tale controllo, che non esiste nel privato, è giustificato per il
CONTROLLO DELLA SPESA PUBBLICA.

INDEROGABILITA’ DEL CONTRATTO COLLETTIVO


Sarebbe perfettamente inutile se la parte normativa (in materia di retribuzione, orario di lavoro, permessi,
sanzioni, licenziamento) fosse derogabile da patti individuali. A protezione dell’inderogabilità del contratto
collettivo potrebbe intervenire l’art. 2077 c.c.: “i contratti individuali devono uniformarsi alle disposizioni
del contratto collettivo, e le clausole DIFFORMI sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo,
salvo che non siano più favorevoli al lavoratore”. Purtroppo, però, detto articolo è da considerarsi
abrogato perché si riferisce al contratto di tipo corporativo. Ma la soluzione arriva dall’art. 2113 c.c.

Art. 2113 c.c.(rinunce e transazioni): impedisce le deroghe IN PEIUS, ma se dovessero esistere dette
deroghe, le stesse si dovrebbero impugnare entro 6 mesi, a pena di decadenza. In parole povere, se
non impugnate, eventuali deroghe in peius sarebbero valide!

La dottrina ha ritenuto che l’art. 2113 c.c. dia conferma della vigenza dell’art. 2077 c.c. Rimane, però, il
problema applicativo dell’art. 2077 c.c. riguarda la comparazione tra contratto collettivo e contratto
individuale, al fine di stabilire quali parti siano più favorevoli al lavoratore: a riguardo si sono sviluppate due
teorie:
1. CRITERIO DEL CUMULO: secondo cui la risultante sarebbe l’insieme di TUTTE LE CLAUSOLE più
favorevoli al lavoratore (quindi potendo attingere per lo stesso istituto le migliori clausole dal
contratto individuale e le migliori clausole del contratto collettivo).
2. CRITERIO DEL CONGLOBAMENTO: secondo cui invece la risultante consisterebbe nell’applicazione
dell’ISTITUTO complessivamente favorevole

Delle due teorie, quella che ha avuto maggior applicazione è quella del conglobamento, anche considerando
i problemi che potrebbero sorgere con il criterio del cumulo!

DURATA DEL CONTRATTO COLLETTIVO


Prima del 1993:
- 4 anni
Successivamente al 1993:
- 2 anni la parte ECONOMICA
- 4 anni la parte NORMATIVA
Dopo l’accordo quadro del 2009:
- 3 anni per entrambe le parti (economica e normativa)

CONFLITTO TRA CONTRATTI COLLETTIVI


Qualora un contratto collettivo di pari livello venga emesso prima della scadenza del contratto collettivo
vigente, accade che:
- Solitamente nei contratti è contenuta la CLAUSOLA di ULTRATTIVITA’, secondo cui il contratto
continua a produrre i suoi effetti fino a quando non venga SOSTITUITO da un altro contratto
collettivo.
- In mancanza della CLAUSOLA di ULTRATTIVITA’, il contratto cessa alla scadenza pattuita.

CONFLITTO TRA CONTRATTI DI DIVERSO LIVELLO


Questo tipo di conflitti trovano solo soluzioni dottrinali, giurisprudenziali e contrattuali.
- Soluzioni dottrinali e giurisprudenziali:
o TEORIA DEL MANDATO ASCENDENTE: secondo cui il potere contrattuale SALE dalle strutture
periferiche sindacali verso quelle del vertice
o TEORIA DEL MANDATO DISCENDENTE: esattamente l’opposto
o Tutte e due le teorie sono stato bocciate in favore di altri CRITERI:
o CRITERIO CRONOLOGICO e di SPECIALITA’: secondo cui in assenza di soluzioni legislative di
tipo GERARCHICO, si applica in caso di conflitto il contratto più recente (CRONOLOGICO),
oppure quello più vicino agli interessi da regolare (SPECIALITA’)

SOLUZIONI AL PROBLEMA:

PROTOCOLLO 1993: prevedeva DUE LIVELLI DI CONTRATTAZIONE:


- CONTRATTAZIONE NAZIONALE che stabiliva modalità, tempi, articolazioni della contrattazione
aziendale
- CONTRATTAZIONE AZIENDALE che in ogni caso aveva ad oggetto materie e istituti DIVERSI a quelli
propri del contratto nazionale

ACCORDO QUADRO SEPARATO 2009: prevedeva che la contrattazione di secondo livello potesse occuparsi
delle materie a lei delegate dal contratto nazionale o dalla legge, “in materie e istituti che non fossero già
stati negoziati in altri livelli di contrattazione”. Prevedeva inoltre che il contratto aziendale potesse
MODIFICARE gli istituti economici o normativi sulla base di parametri individuati dal contratto collettivo
nazionale (andamento del mercato del lavoro, etc). Inoltre tali accordi (c.d. CLAUSOLE DI USCITA) dovevano
essere preventivamente approvati dalle parti che avevano stipulato i contratti collettivi nazionali della
categoria interessata.

ACCORDO DEL 2011: prevede che il contratto nazionale stabilisca i LIMITE E LE PROCEDURE, anche in via
sperimentale e temporanea, della attività derogatoria della contrattazione aziendale. I contratti aziendali,
conclusi con le RSU d’intesa con le organizzazioni firmatarie dell’accordo interconfederale possono
DEFINIRE INTESE MODIFICATIVE in materia di prestazione lavorativa, l’orario di lavoro, l’organizzazione
del lavoro. Detti accordi hanno efficacia ERGA OMNES in quanto la stessa RSU è stata eletta a suffragio
universale. Non possono quindi esserci contestazioni sull’efficacia dell’accordo (IMPO). Determina anche la
RAPPRESENTATIVITA’ (vedi prima)

CLAUSOLE DI TREGUA: accordi che tendono a limitare o evitare le azioni collettive nei 6 mesi che precedono
il rinnovo del contratto. Però l’accordo del 2011 dice che le clausole di tregua hanno effetto vincolante
SOLO nei confronti delle associazioni sindacali che hanno firmato il contratto collettivo ma NON
VINCOLANO individualmente i singoli lavoratori. Per cui singolarmente il lavoratore potrebbe scioperare!!!
Ma allora l’azione collettiva dello sciopero è riferibile ai singoli lavoratori o alle associazioni sindacali? L’art.
40 Cost. dice che “lo sciopero è un diritto che può essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo
regolano”. Ma quindi è un diritto individuale o collettivo???

DOTTRINA: il diritto di sciopero è un diritto individuale, ma il suo esercizio è collettivo, poiché il fine
è quello di perseguire interessi collettivi. L’astensione di un solo lavoratore non avrebbe detto fine
collettivo!
LO SCIOPERO
È il più tipico mezzo di autotutela degli interessi collettivi dei lavoratori subordinati. È stato considerato in 3
differenti modi lo sciopera, con il susseguirsi degli anni:

LIBERTA’: nel codice Zanardelli non era previsto, ma se attuato non era visto come una libertà
REATO: nel codice Rocco lo sciopero era visto come un reato
DIRITTO: nella Costituzione è invece visto come un diritto.

Dice poi l’art. 40 della Costituzione: “il diritto di sciopero di esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
Nella realtà però queste leggi non sono mai state emanate, eccezion fatta per quelle sullo “sciopero nei
servizi essenziali”.

LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO (attinenti le sue finalità)


Detti limiti sono stati definiti dalla Corte costituzionale chiamata a più riprese a giudicare in materia di
sciopero. Il codice penale prevedeva tre forme di sciopero come reato:
1. Sciopero per fini contrattuali: eliminato dalla Corteo Costituzionale
2. Sciopero per fini politici: sono state identificate tre ipotesi distinte
a. SCIOPERO ECONOMICO POLITICO: effettuato allo scopo di ottenere provvedimenti che
riguardino le condizioni dei lavoratori: NON E’ REATO
b. SCIOPERO POLITICO PURO: effettuato per motivi estranei alle condizioni dei lavoratori, (es.
favore pace nel mondo), vista COME LIBERTA’ e NON COME REATO
c. SCIOPERO POLITICO SOVVERSIVO: quando si sciopera in modo da impedire ad esempio che il
Parlamento possa lavorare, unico caso in cui è visto come reato.

LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO (attinenti le modalità di esercizio)


È spettato alla giurisprudenza ordinaria valutare la legittimità dello sciopero in funzione delle sue modalità
attuative. Il problema viene dai c.d. SCIOPERI ARTICOLATI, ossia effettuati in modo da massimizzare il danno
per il DDL e minimizzare, se non addirittura annullare il danno per il lavoratore (es. SCIOPERO A
SCACCHIERA: i lavoratori dei vari reparti si alternano per cui scioperano prima quelli di un reparto, poi l’ora
successiva quelli di un altro reparto, e così via; es. SCIOPERO A SINGHIOZZO: i lavoratori di uno stesso
reparto scioperano per una parte del tempo, con l’obbiettivo di arrecare un danno maggiore al DDL e un
danno minore al lavoratore stesso)

CORTE DI CASSAZIONE: secondo la corte occorre distinguere tra:


- sciopero che provoca un danno alla capacità del DDL di generare profitti (legittimo)
- sciopero che limita la capacità produttiva del DDL, e incide sulla quantità dei beni e servizi prodotti
(legittimo)
- sciopero che impedisce al DDL la capacità di produrre (illegittimo, con residua responsabilità civile)
LO SCIOPERO NEI SERVIZI ESSENZIALI
Fu la L. 146/1990 a determinare l’unico caso in cui intervenne una legge a precisare limiti al diritto di
sciopero. Questa legge si ispira all’esigenza di limitare il diritto di sciopero contrapponendolo ad altri diritti
di rango costituzionale (alla vita, alla salute, di circolazione, e così via). La stessa legge fu poi riformata nel
2000, che ne rafforzò ulteriormente l’efficacia.

L. 146/1990: questa legge prevedeva che i contratti collettivi individuassero quei “servizi essenziali” in
modo da evitare che uno sciopero potesse non rispettarli; inoltre l’individuazione delle modalità per
garantire detti servizi essenziali. Inoltre sempre i contratti collettivi dovevano occuparsi per garantire
INTERVALLI MINIMI tra gli scioperi
LIMITI LEGALI: imposti direttamente dalla legge:
- OBBLIGO di comunicare alla Prefettura, alle imprese e alle amministrazioni erogatrici del servizio, la
durata, le modalità e le motivazioni con preavviso minimo di 10 giorni. Questi ultimi devono poi
avvisare l’utenza almeno 5 giorni prima dell’effettuazione dello sciopero. È illegittima la revoca dopo
che sia stata avvisata l’utenza.
- TENTATIVO DI CONCILIAZIONE OBBLIGATORIO (novità della modifica del 2000), secondo cui prima
della proclamazione dello sciopero debba essere ESPERITO UN TENTATIVO secondo le procedure
previste dai contrati collettivi o con la mediazione del Ministro del lavoro, del Prefetto.
SANZIONI: per chi non dovesse rispettare le norme stabilite:
- AI LAVORATORI sanzioni disciplinari dal parte del DDL
- AI SINDACATI che hanno proclamato lo sciopero la sospensione dei permessi sindacali e la
esclusione per 2 mesi dalla contrattazione collettiva, oppure una sanzione amministrativa pecuniaria
deliberata dalla COMMISSIONE DI GARANZIA.
PRECETTAZIONI: il Prefetto può emettere, previo tentativo di conciliazione, una ordinanza motivata almeno
48 ore prima dello sciopero QUALORA CI SIA FONDATO PERICOLO che lo stesso pregiudichi diritti
costituzionalmente garantiti. Con detta ordinanza VIENE IMPOSTA la garanzia delle prestazioni
indispensabili, tenendo conto delle prescrizioni eventualmente proposte dalla commissione di garanzia.
LA COMMISSIONE DI GARANZIA: composta da esperti designati dai presidenti della Camera e del Senato. Il
suo compito è quello di valutare l’idoneità degli accordi sindacali in materia di sciopero collegato al rispetto
dei diritti costituzionalmente tutelati. I criteri suggeriti dalla modifica del 2000 troviamo:
1. le prestazioni indispensabili non possono essere maggiori del 50% di quelle normalmente erogate
2. il presidio non può essere imposto a oltre 1/3 del personale normalmente utilizzato per detto
servizio
Se la commissione valuta un accordo INIDONEO, invita le parti a modificarlo inviando una propria proposta,
sulla quale le parti stesse devono pronunciarsi entro 15 giorni.

LA SERRATA
È il mezzo di lotta dei DDL. Consiste nella sospensione temporanea dell’attività al fine di esercitare
pressione sui lavoratori o sulla pubblica autorità. A differenza dello sciopero, la serrata non è un diritto. Si
attua in opposizione ad uno SCIOPERO ILLEGITTIMO.

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