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1 LE FONTI
1.1FONTI INTERNAZIONALI
Il diritto internazionale del lavoro è composto per la maggior parte da norme vincolanti, ma che hanno
BASSO TASSO DI EFFETTIVITA’. Hanno invece maggior tasso di effettività le norme non vincolanti, in quanto
capaci di orientare gli stati membri.
NORME VINCOLANTI:
CONVENZIONI emanate dall’O.I.L. Organizzazione Internazionale del Lavoro, hanno effetto vincolante
nei confronti dei 180 paesi membri, ma non sul singolo cittadino. Solo la RATIFICA consente alle
convenzioni di produrre effetti anche nei confronti dei cittadini. Decisamente PROBLEMATICO per l’OIL
controllare l’attività dei paesi membri per il rispetto dell’obbligo di ratifica.
CARTA SOCIALE EUROPEA firmata a Torino nel 1961, e alla stessa stregua delle convenzioni, contiene
una serie di diritti appartenenti al diritto del lavoro, con obbligo per gli stati membri di rispettarli.
Prevede anche un organo di controllo a tal fine.
CLAUSOLE SOCIALI, clausole che condizionano l’accesso a determinati benefici solo a quegli stati che
rispettano i 4 diritti fondamentali: divieto di lavoro forzato; parità tra sessi; parità sindacale; divieto
lavoro minorile.
1.2FONTI COMUNITARIE
Operano SOLO SULLE MATERIE ad esse attribuite dagli stati membri
DIRITTO PRIMARIO
1. TRATTATI dell’U.E. (Roma 1957, Maastricht 1992, Amsterdam 1997, Lisbona 2008). Indicano
quali sono le materie di: COMPETENZA ESCLUSIVA UE (unione doganale, regole sulla
concorrenza, politica commerciale), COMPETENZA CONCORRENTE (politica sociale, mercato
interno) e COMPETENZA degli stati.
2. T.F.U.E. (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), ossia la riunione di tutti i
trattati istitutivi, modifiche comprese, istituito dopo il trattato di Lisbona.
3. T.U.E. (Trattato sull’Unione Europea), ossia il trattato di Maastricht 1992, comprensivo
delle modifiche del trattato di Lisbona
DIRITTO DERIVATO
Ossia quelle DIRETTIVE, o REGOLAMENTI che vengono approvate sulla base dei trattati del diritto primario.
Sono quindi DUE i trattati CHE REGOLANO l’attività nell’Unione Europea: il TFUE e il TUE.
1.3FONTI NAZIONALI
E’ l’art. 117 Cost. a dirci le competenze all’interno dello stato:
COMPETENZA CONCORRENTE STATO REGIONE:Tutela e sicurezza del lavoro (ossia le Politiche del lavoro),
previdenza complementare integrativa, le professioni. In questo caso la potestà legislativa spetta alle
regioni, ma allo stato spetta decidere i principi fondamentali.
COMPETENZA ESCLUSIVA DELLE REGIONI Residuale, come ad esempio la Formazione Professionale, anche
dell’apprendista (vedi sentenza della Corte Costituzionale).
COMPETENZA CONCORRENTE
Laddove la materia fosse regolata da più fonti, il principio regolatore è quello di sussidiarietà e di
proporzionalità.
Art. 2094 c.c. “è prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a
collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”
Il lavoro subordinato è tutelato, quindi è importantissimo riuscire ad individuare il campo di azione dell’art.
2094 c.c. per capire CHI possa essere tutelato.
Elementi caratterizzanti:
- IMPRENDITORE
o La qualifica di imprenditore non è elemento essenziale, dato che l’art. 2239 c.c. stabilisce che
i rapporti di lavoro subordinati non inerenti l’esercizio di una impresa sono regolati come se
invece lo fossero, in quanto compatibili”.
- RETRIBUZIONE
o Anche l’elemento retributivo non è elemento essenziale, viste le possibilità di lavoro
subordinato gratuito (in virtù di rapporto affettivo; in ambito di impresa familiare di cui art.
230 bis c.c.; in ambito agricolo, da parenti e affini 3 grado).
- COLLABORAZIONE
o Definisce l’oggetto del contratto di lavoro, ossia l’obbligo di prestare in proprio lavoro
personalmente e continuativamente. Anche in questo caso, però, è un elemento che da solo
non basta ad individuare il rapporto di lavoro subordinato, viste le ipotesi di identica
situazione, ma non di subordinazione come le collaborazioni a progetto, le prestazioni
occasionali (ricorda terzo genus).
- SUBORDINAZIONE
o Di certo è l’elemento più tipizzante. Consiste nell’assoggettamento al potere direttivo,
organizzativo, e gerarchico del datore di lavoro, tale che la prestazione lavorativa possa dirsi
ETERODETERMINATA. E’ quindi l’elemento che distingue il contratto di lavoro subordinato
(art. 2094 c.c.) dal contratto d’opera (art. 2222 c.c. quando il lavoratore si obbliga a
compiere un servizio SENZA VINCOLI di SUBORDINAZIONE). Ecco la GRANDE DIFFERENZA
tra i due regimi.
- METODO SILLOGISTICO
o Questo metodo utilizzato dal giudice di legittimità (Cassazione) presuppone che vi sia una
totale coincidenza tra la fattispecie astratta e concreta. Cioè se l’art. 2094 prevede che vi
siano tre elementi etero –direzione, collaborazione e retribuzione) questi dovranno essere
TUTTI PRESENTI nella fattispecie concreta, nel singolo rapporto di lavoro.
- METODO TIPOLOGICO
o Questo metodo usato dal giudice di merito, è invece basato sulla prevalenza di INDICI TIPICI
dell’una o dell’altra figura contrattuale. Sono indici che vengono tratti dal modello ritenuto
socialmente prevalente di lavoro subordinato: ossia quello del lavoro dipendente nella
grande industria manifatturiera; quindi:
inserimento in una organizzazione predisposta dal datore di lavoro
rispetto di un orario di lavoro
le modalità di retribuzione (a tempo, predeterminata o periodica)
assenza di rischio economico in capo al lavoratore
esclusività della dipendenza dal datore di lavoro
luogo di lavoro
assoggettamento a poteri di controllo e disciplinari del datore di lavoro
Il metodo tipologico e’ quello che consente al giudice di includere molti più rapporti di lavoro.
La Corte Costituzionale lo ha detto chiaramente che non rientra nella disponibilità delle parti e del
legislatore, assegnare al contratto di lavoro una qualificazione diversa da quella che risulta dalla realtà.
Questo per farvi capire che nei casi dubbi il nomen iuris può assumere una rilevanza fondamentale, decisiva.
LA CERTIFICAZIONE
Istituto che certifica la qualità giuridica del contratto. Istituto nato dalla L. 276/2003, con la finalità di
ridurre il contenzioso del lavoro in materia di qualificazione dei contratti di lavoro.
COMMISSIONI CERTIFICATRICI:
- Enti bilaterali, le università pubbliche o private
- Commissioni di certificazione c/o Direzioni Provinciali del Lavoro
- Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro
PROCEDURA DI CERTIFICAZIONE:
Procedura volontaria, per cui viene presentata istanza dalle parti, e la commissione procede entro 30 giorni.
L’atto di certificazione è un ATTO AMMINISTRATIVO che viene emesso e motivato dopo un minimo di
attività istruttoria, e con l’indicazione di dove si possa fare il ricorso allo stesso.
CONTRASTO:
Come è possibile certificare la qualificazione giuridica di un contratto di lavoro se la Corte Costituzionale ha
ribadito che NESSUNO può dare una qualificazione diversa della modalità di svolgimento del rapporto di
lavoro? Per la QUALIFICAZIONE GIURIDICA del rapporto di lavoro, ciò che conta sono le modalità in cui
REALMENTE esse si svolgono!!!
RICORSO:
I soggetti legittimati sono le stesse parti, e anche i TERZI nei cui confronti la certificazione produce degli
effetti (ES. certificazione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’INPS per ciò che concerne il
versamento dei contributi previdenziali). Si può quindi ricorrere per diversi motivi:
- per ERRONEA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO (ES. in realtà è subordinato, ma certificato come
autonomo). Il ricorso si presenta c/o il Giudice ordinario, e la sentenza ha effetto EX TUNC, ossia dal
momento in cui il contratto è stato stipulato.
- per DIFFORMITA’ tra il programma negoziale INIZIALMENTE stipulato, e quello CONCRETO
successivo. Il ricorso si presenta c/o il Giudice ordinario, e la sentenza opera dal momento in cui si è
verificata la difformità, o dal momento in cui la stessa è stata provata.
- per VIZI DEL CONSENSO, come ad esempio una certificazione non voluta, o ottenuta forzando la sua
volontà, etc. In questo caso la certificazione si può impugnare come atto amministrativo, e quindi di
fronte al TAR.
Legge 183/2010 (c.d. COLLEGATO LAVORO), estende la certificazione anche in materia dei contratti di
lavoro, sempre al fine di ridurre il contenzioso. Il Collegato Lavoro però fu inizialmente NON FIRMATO dal
PDR perché conteneva la disciplina delle c.d. CLAUSOLE COMPROMISSORIE, con le quali le parti potevano
devolvere ogni controversia ad un arbitro e non ad un giudice. L’arbitro poteva decidere solo sulla base
dell’equità, e il lavoratore non poteva neanche invocare il rispetto delle leggi speciali del lavoro!!! Salvò la
situazione:
ART. 2113 c.c.: a risolvere il problema ci ha pensato questo articolo del codice civile…
- 1° comma: “le rinunce (atto unilaterale in cui il lavoratore rinuncia ad un proprio diritto
inderogabile) e le transazioni (atto bilaterale in cui entrambe le parti rinunciano a qualcosa) aventi
x oggetto diritti che derivano da disposizioni INDEROGABILI, NON SONO VALIDE”
- 2° comma: “l’impugnazione alle rinunce o transazioni non valide deve essere proposta entro 6
mesi dalla fine del rapporto di lavoro, a pena di decadenza”.
- 3° comma: Può esser impugnata con qualsiasi atto scritto, quindi non necessariamente davanti al
giudice. L’importante è che si possa comprendere la volontà del lavoratore nell’impugnare la
rinuncia o la transazione.
- 4° comma: le disposizioni del presente articolo NON SI APPLICANO a quelle rinunce o transazioni
AVVENUTE di fronte alle COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE, ossia quando vi sia la presenza di un
sindacalista a tutela del lavoratore, in modo da garantire SCELTE GENUINE, in virtù di una
VOLONTA’ ASSISTITA.
2 LA FORMA:
Vige la libertà di forma, quindi per l’esistenza e la validità del contratto non serve alcuna particolare forma
scritta. Il contratto è pienamente valido e può essere provato in qualunque modo, anche se fosse” verbale”,
“tacito”, o “per fatti concludenti”.
IL PATTO DI Prova art. 2096 Al momento dell’assunzione il DDL e il lavoratore possono concordarlo, ai fini
della valutazione. In detto periodo ognuna delle parti può liberamente recedere dal contratto senza obbligo
di preavviso e senza penali. Il patto di prova non comporta due differenti rapporti: il rapporto è sempre uno,
ma si distingue in due fasi. Se concluso il periodo di prova, nessuna delle parti si è avvalsa della facoltà di
recedere, il rapporto di lavoro acquista il carattere della definitività.
FORMA: scritta AD SUBSTANTIAM, ai fini della validità. L’eventuale mancanza di forma scritta rende il
patto di prova NULLO, e quindi il rapporto di lavoro deve intendersi definitivamente
instaurato da subito.
DURATA: deve essere necessario alle parti per compiere una valutazione, usualmente è fissato dalla
contrattazione collettiva, ma comunque non può estendersi per oltre SEI MESI.
RECESSO IN PROVA: può essere anche senza motivazione, essendo il periodo di prova, ma ciò nonostante il
lavoratore può comunque impugnare il recesso se per motivi illeciti o discriminatori.
L'impugnazione è possibile anche quando non è consentito l'esperimento del periodo o
quando la prova è stata in realtà superata positivamente. Il recesso illegittimo è fonte di
responsabilità contrattuale, quindi è necessario il risarcimento del danno (retribuzione
percepita per il periodo di prova). Per malattia e infortuni o si blocca il periodo oppure lo si
posticipa.
PARIFICAZIONE ECONOMICA E NORMATIVA: del lavoratore in prova con quello definitivo.
L’articolo 2096 del codice civile stabilisce che il patto di prova è l'accordo con il quale lavoratore e il datore di lavoro
stabiliscono volontariamente che la definitiva instaurazione del rapporto di lavoro sia condizionata al preventivo
esperimento di un periodo di prova.
Il patto di prova ha lo scopo di permettere sia al lavoratore sia al datore di lavoro di valutare la convenienza del
rapporto di lavoro. Il lavoratore, in particolare, avrà l’opportunità di valutare l'esperienza e le condizioni lavorative
offerte, mentre il datore potrà verificare le effettive competenze e l’attitudine del lavoratore ad integrarsi nel
contesto produttivo aziendale.
Il contratto di lavoro ha pieno valore sin dall’inizio del periodo di prova ed in tale periodo sono pienamente validi
diritti e gli obblighi delle parti (lavoratore e datore di lavoro). L’unica particolarità è che in tale periodo le parti
possono recedere liberamente dal contratto senza obbligo di preavviso (con conseguente esonero dal pagamento
della connessa indennità) e, secondo la giurisprudenza, di motivazione (Cassazione 12.3.1999, n. 2228).
Al termine della prova, in mancanza di recesso, la prosecuzione anche per breve periodo dell’attività lavorativa
comporta l’assunzione definitiva del lavoratore ed il periodo prestato dal lavoratore si computa nell’anzianità di
servizio.
Durata
Il periodo di prova non può in nessun caso superare:
a) 6 mesi per tutti i lavoratori - institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi
e impiegati di grado e funzioni equivalenti – (articolo 10 legge 604/66);
b) 3 mesi per tutte le altre categorie (articolo 4 regio decreto legge 13.11.1924, n. 1825).
I contratti collettivi solitamente fissano la durata del periodo di prova entro i limiti di legge (Cassazione 13 ottobre
2000 n. 13700), prevedendo in genere periodi di prova inferiori rispetto ai limiti legali.
Fermo restando il limite legale, nel contratto individuale i termini previsti dalla contrattazione collettiva possono
essere ridotti, ovvero aumentati, se la particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessario,
nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto normalmente congruo dalla contrattazione
collettiva.
-Come si fa-
L'assunzione del prestatore di lavoro subordinato per un periodo di prova deve risultare da atto scritto e sottoscritto
da entrambe le parti, a pena di nullità (codice civile art. 2096).
In caso contrario il patto di prova è nullo e viene considerato come non posto (Cassazione Sezioni Unite 9 marzo 1983
n. 1756). Il datore di lavoro, pertanto, non può licenziare un lavoratore per mancato superamento del periodo di
prova se esso non ha sottoscritto la lettera di assunzione contenente la relativa clausola (Cassazione 24 gennaio 1997
n. 730).
In mancanza di una precisa disposizione legale, la giurisprudenza ritiene che il patto di prova debba essere firmato
contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima della esecuzione dello stesso (Cassazione
3 giugno 2002 n. 8038).
La nullità che deriva dalla mancata o non contestuale stipulazione per iscritto del patto di prova comporta la definitiva
instaurazione del rapporto di lavoro.
È ritenuta valida la proposta di assunzione che contenga gli elementi essenziali del contratto, compreso il patto di
prova, e che sia stata sottoscritta in calce per ricevuta e accettazione, anche prima dell'inizio del rapporto.
La clausola che prevede il periodo di prova deve contenere l’indicazione delle precise mansioni affidate al lavoratore
(Cassazione 10.10.2006 n. 21968). Ciò al fine di consentire al lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben
definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, ed al datore di lavoro di esprimere il proprio giudizio
sull’esito della prova.
La mancanza della specifica indicazione delle mansioni costituisce motivo di nullità del patto, a prescindere dal livello
contrattuale e dalla natura della mansione assegnata.
-chi-
Il patto di prova può essere predisposto personalmente dai soggetti interessati (datore di lavoro e lavoratore).
2.1È ammissibile il patto di prova anche nel caso di assunzioni obbligatorie dei soggetti disabili?
È ammissibile limitatamente alla verifica della residua ed effettiva capacità lavorativa all’espletamento di mansioni
compatibili con lo stato fisico e l’handicap del lavoratore invalido (Cassazione 3689/98). L'invalido che attribuisce
intento discriminatorio al recesso del datore di lavoro al termine del periodo di prova, in quanto basato
sull'incompatibilità della prestazione richiesta con l'invalidità, deve fornire la prova relativa, poiché non è sufficiente
la mera esistenza di vizi di natura formale del rapporto (Cassazione n. 15315/2001).
2.2Il patto di prova si può applicare ad un contratto di lavoro a tempo determinato?
Secondo la prevalente giurisprudenza, il patto di prova si può applicare anche al contratto a termine.
2.3In quali casi il recesso da parte del datore di lavoro è illegittimo?
Il recesso è ritenuto illegittimo quando:
la prova non sia stata effettivamente consentita;
la prova sia stata effettivamente superata dal lavoratore in modo positivo;
il licenziamento sia riconducibile ad un motivo illecito o estraneo al rapporto di lavoro. In tal caso spetta al
lavoratore dimostrare l’esistenza di una di queste situazioni per ottenere l’annullamento del recesso (Corte
Costituzionale 22 dicembre 1980 n. 189).
Infine, se le parti hanno stabilito una durata minima garantita del periodo di prova per consentire l’effettività
dell’esperimento, il recesso può avvenire solo dopo la scadenza del termine.
LA TEORIA ACONTRATTUALE
Una teoria che considera il rapporto di lavoro PREVALENTE sul contratto.
Tutto ciò è consentito dall’art. 2126 c.c. secondo cui
La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetti per il periodo in cui il
contratto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha
in ogni caso diritto alla retribuzione.
La teoria acontrattuale del rapporto di lavoro, cioè dei rapporti di lavoro che possono esistere anche in
assenza di contratto, individua nell’art. 2126 c.c. la sua base, ossia possono esistere rapporti di lavoro la cui
fonte non è il contratto ma il rapporto stesso.
Prevale in ogni caso la teoria CONTRATTUALE secondo cui il rapporto di lavoro ha la sua fonte
imprescindibile nel contratto.
Art. 2126 c.c. “La nullità o l’annullamento del contratto non produce effetto, per il periodo in cui il rapporto
ha avuto esecuzione, salvo che la nullità non derivi da illiceità della causa o dell'oggetto”
Comma 1
Assumiamo che il soggetto abbia già lavorato per un determinato tempo.
Regola generale: La nullità o l'annullamento non producono effetto per il tempo già trascorso, con la
conseguenza che il lavoratore - nonostante la nullità o l'annullamento - ha comunque
diritto alla retribuzione.
Eccezione: In caso di illiceità della causa o dell'oggetto il lavoratore non avrà diritto alla retribuzione, ma -al
massimo ad un'azione per indebito arricchimento. Ciò significa che il lavoratore verrà rimborsato comunque
del valore delle cose prodotte per evitare l’indebito arricchimento del suo datore, ad eccezione della
contrarietà del buon costume.
Comma 2
Eccezione dell’eccezione precedente.
Comunque, se il lavoro è stato prestato in violazione di una norma posta a favore del lavoratore allora in
questo caso il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione (siccome di fatto c’è stata una prestazione
lavorativa).
Da che cosa deriva il rapporto di lavoro?
Secondo una prima impostazione (teoria contrattuale), dal contratto di lavoro. Si tenga presente, però che
ci sono anche teorie acontrattuali, basate sull’art. 2126, secondo cui il rapporto di lavoro può prescindere
dal contratto di lavoro.
Da parte di alcuni sono state anche sostenute teorie istituzionistiche, oggi meno accreditate, secondo cui
l’impresa è un’istituzione, con comunità di scopo tra datore e lavoratore, improntata sulla base di una rigida
gerarchia
1° comma “le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti
da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi, non sono valide”.
In questi casi IL CONTRATTO NON E’ NULLO, come verrebbe da immaginare, bensì è ANNULLA-BILE visto il
regime di decadenza previsto.
2° e 3° e 4° comma “questa impugnazione è proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data
di cessazione del rapporto… con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché sia idoneo a
rendere nota la volontà del lavoratore di impugnarle, salvo che rinunce e transazioni non siano fatto
davanti a commissione di conciliazione””
L’apposizione DI UN TERMINE alla durata del contratto di lavoro subordinato E’ LEGITTIMA solo a fronte di
ragioni di carattere TECNICO, PRODUTTIVO, ORGANIZZATIVO, o SOSTITUTIVO. Quindi ragioni che siano
oggettive, verificabili, e che non siano elusive dell’intento del legislatore di evitare un uso improprio di
detta figura contrattuale. Inoltre vi deve essere IL NESSO CAUSALE tra l’assunzione a termine e le ragioni di
cui prima. Le ragioni non devono più avere carattere di eccezionalità, ma possono essere riferite alla
ordinaria attività del ddl.
In continuità con la disciplina precedente è considerata legittima la sostituzione del lavoratore assente
tramite lo scorrimento interno, ciò che conta è che ci sia un nesso.
Sopravvivono le seguenti ipotesi:
assunzione da aziende di trasporto aereo e nelle poste con durata max. di 6 mesi tra aprile e ottobre
di ogni anno e di 4 mesi in altri periodi nella percentuale max. del 15% dell'organico aziendale;
assunzione dirigenti con contratti non superiori ai 4 anni (in deroga al termine max. di 3 anni);
lavoratori in mobilità per un max. di 12 mesi.
La riforma 92/2012 ha previsto l'assunzione con contratto a termine senza indicazione di causale nel caso
del primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore ai 12 mesi senza possibilità di proroga. La
contrattazione collettiva potrà prevedere che il requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo avvenga nell'ambito di un processo organizzativo determinato dalle
seguenti ragioni:
avvio nuova attività
lancio di un nuovo prodotto o servizio innovativo
implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico
fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo
rinnovo o proroga di una commessa consistente.
L'assunzione non potrà riguardare più del 6% dei lavoratori occupati.
Inoltre la stessa riforma afferma che anche per le start up innovative per lo svolgimento di attività inerenti
all'oggetto sociale della stessa non è necessaria l'apposizione delle ragioni: il contratto può durare dai 6 ai
36 mesi con possibilità di proroga nel limite complessivo di 4 anni.
Sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
nella fase di avvio di start up per periodi che saranno definiti dai CCNL anche in misura non uniforme
con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
con lavoratori con età > 55 anni;
in ipotesi ereditate dal precedente sistema e cioè sostituzione del lavoratore assente, attività
stagionali, specifici spettacoli.
DISCIPLINA:
richiesta la forma scritta AD SUBSTANTIAM. In caso di assunzione entro i 12 giorni non è richiesta la forma
scritta. In mancanza dell’atto scritto, ove obbligatorio, il rapporto di lavoro si intende convertito in
contratto a tempo indeterminato. Nel contratto dovranno essere specificate le ragioni giustificatrici (e non
in forma “vaga” ma precisa). La scadenza può essere identificata con una data precisa, oppure
determinabile.
RECESSO ANTICIPATO: l'art. 2119 stabilisce che il lavoratore a tempo determinato può legittimamente
recedere prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, cioè di una causa che non
consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.
DIRITTO DI PRECEDENZA: Con la modifica del 2007 in attuazione del Protocollo sul WELFARE, è stato
riconosciuto il diritto di precedenza per quel lavoratore che abbia lavorato per più di sei mesi, quando
l’azienda debba assumere qualcuno a tempo indeterminato, con le sue stesse mansioni, entro 12 mesi
dalla fine del suo rapporto di lavoro. Purché il lavoratore abbia espresso la sua volontà entro 6 mesi dalla
data di cessazione.
LIMITI QUANTITATIVI: Il legislatore affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati
comparativa-mente più rappresentativi, l’individuazione DEI LIMITI QUANTITATIVI di utilizzazione del
contratto a tempo determinato. In genere si esprime come una cifra % dei lavoratori a tempo
indeterminato.
4 LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (D. LGS. 276/2003)
EVOLUZIONE STORICA:
o Art. 2127 c.c.: introduce il DIVIETO DI INTERPOSIZIONE nel rapporto di lavoro, sia pur solo
nell’ipotesi di lavoro a cottimo.
o L. 1369/1960: estende il DIVIETO DI INTERPOSIZIONE a tutte le ipotesi in cui l’imprenditore affidava
all’intermediario l’esecuzione di prestazioni.
o L. 196/1997: nasce la figura del LAVORO TEMPORANEO c.d. LAVORO INTERINALE, il primo esempio
di interposizione ammesso dalla legge.
o D.LGS. 276/2003: abroga integralmente la L. 1369/1960 e anche la L. 196/1997, e disciplina la
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO.
Il d.lgs. 276/2003 pur abrogando la l. 1369/2003 e la l. 196/1997, non elimina dal nostro ordinamento il
generale divieto di somministrazione altrui. La liceità è ammessa solo in caso di esercizio autorizzato e alle
condizioni previste. Nella contravvenzione a tali condizioni la somministrazione è illecita e comporta una
sanzione civile all'utilizzatore e una sanzione civile/penale al somministratore.
La mancanza della forma scritta comporta la nullità del contratto di somministrazione e i lavoratori sono a
tutti gli effetti considerati alle dipendenze dell’utilizzatore.
FORMAZIONE DEI LAVORATORI: è previsto un Fondo Per La Formazione e la integrazione del reddito, dove i
soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare un contributo pari al 4% della
retribuzione corrisposta ai lavoratori. Tali somme sono destinate a promuovere corsi di qualificazione e
riqualificazione. Dal primo gennaio 2013 per i lavoratori somministrati assunti a tempo determinato
l'aliquota è ridotta al 2,6% (la differenza si applicherà ai contratti di lavoro subordinato non a tempo
indeterminato per finanziare la nuova assicurazione sociale per l'impiego).
SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE: in questo caso il lavoratore potrà, mediante ricorso giudiziale, chiedere
la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore.
APPALTO
La differenza CON LA SOMMINISTRAZIONE risiede nell’art. 29 del D. LGS. 276/2003:
“il contratto di appalto (art. 1655 c.c.) di distingue dalla somministrazione di lavoro per LA
ORGANIZZAZIONE DI MEZZI NECESSARI da parte dell’appaltatore, che può risultare a seconda dei casi,
dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, e per
l’assunzione da parte dell’appaltatore stesso, DEL RISCHIO D’IMPRESA”.
Inoltre, sempre l’art. 29, precisa in ordine agli APPALTI A BASSA INTENSITA’ ORGANIZZATIVA:
“nelle ipotesi in cui l’organizzazione dell’appaltatore si riduce alla sola organizzazione del lavoro (es. servizi
di facchinaggio, oppure servizio di assistenza software), il giudice per stabilire l’esistenza di un appalto
illecito, deve verificare nel caso concreto CHI ESERCITA I POTERI TIPICI DEL DDL verso i dipendenti”
L’appalto privo dei requisiti previsti dall’art. 29 D. LGS. 276/2003 è equiparato alla somministrazione
irregolare.
Infine sempre l’art. 29 ha stabilito, a tutela del lavoratore, che in caso di appalto lecito, il committente è
obbligato in solido con l’appaltatore e con eventuali subappaltatori, a corrispondere ai lavoratori i
trattamenti retributivi e contributivi, entro 2 anni dalla cessazione dell'appalto, restando escluso qualsiasi
obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento.
Per quanto riguarda la responsabile si prevede a favore del committente il beneficio della preventiva
escussione del patrimonio dell'appaltatore (legge fornero 92/12); il committente convenuto in giudizio per il
pagamento unitamente con l'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori può eccepire il
beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore (subappaltatori) in questo caso il
giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati ma l'azione esecutiva può essere esercitata nei
confronti del committente solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore.
Il committente che effettua il pagamento può effettuare l'azione di regresso nei confronti dei co obbligati,
inoltre l'appaltatore risponde in solido col subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo
dovuto, del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente; questa responsabilità solidale
viene meno se l'appaltatore verifica che gli adempimenti sono stati correttamente eseguiti dal
subappaltatore (decreto sviluppo 134/12).
IL DISTACCO
L’art. 30 del D. LGS. 276/2003 lo prevede “quando un DDL, per soddisfare un proprio interesse, PONE
TEMPORANEAMENTE uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una
determinata attività lavorativa”.
Quindi per distinguere il distacco dalla somministrazione ci deve essere UN INTERESSE del DDL a predisporre
il distacco. A tal proposito dice l’art. 30, d.lgs. 276/2003:
2° comma: In ogni caso il distaccatario rimane responsabile del trattamento economico e lavorativo a
favore del lavoratore.
3° comma: Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del
lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da
quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive.
Il distacco che non abbia i requisiti richiesti dall’art. 30 è equiparato alla SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE.
Il D. LGS. 167/2011 modificò le tipologie di apprendistato, mantenendole però nel numero di tre.
apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale
apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere)
apprendistato per l’alta formazione
È un contratto a tempo indeterminato (vedi poi CONTRADDIZIONE)
CAMPO DI APPLICAZIONE: in tutti i settori di attività. Sono state introdotte nuove categorie di DDL:
pubbliche amministrazioni (limitatamente a 1 e 2 di cui sopra);
praticantato per l'accesso alle professioni ordinistiche;
le agenzie di somministrazione possono assumere apprendisti esclusivamente al fine di procedere
alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (staff leasing);
attività che si svolgono in cicli stagionali.
La tendenza espansiva dell'istituto si manifesta anche sul fronte dei lavoratori che possono essere assunti
con contratto di apprendistato: per quanto riguarda i giovani potenzialmente assumibili, i limiti di età
(minimi e massimi) variano a secondo del tipo di contratto di apprendistato, coprendo la fascia dai 15 ai 29
anni. Ma l'apprendistato va oltre i giovani ed ora è aperto anche ai lavoratori in mobilità al fine di favorire la
loro qualificazione o riqualificazione professionale. Nella categoria “apprendisti in mobilità” rientrerebbero
solo i soggetti in mobilità beneficiari della relativa indennità ai sensi dell'art 8 legge 223/91, ma secondo un
diverso orientamento il riferimento sarebbe a tutti i soggetti iscritti nelle liste di mobilità (compresi anche i
lavoratori che non beneficiano dell'indennità di mobilità ma iscritti alle liste in quanto licenziati per
giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o lavoratori
cessati dal rapporto a seguito di presentazione al datore di lavoro di dimissioni per giusta causa). Il
ministero si è pronunciato in merito aderendo al secondo orientamento di pensiero.
A partire dal gennaio 2013 il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere
direttamente non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in
servizio presso lo stesso datore di lavoro. Il medesimo rapporto non può superare, invece, il 100% per i
datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a 10 unità. Nel caso in cui il datore di lavoro
non abbia alle proprie dipendenza lavoratori qualificati o specializzati o ne abbia un numero inferiore a tre,
gli è concesso assumere fino a tre dipendenti. Nel settore artigiano si applica l'art 4 della legge 8/85 n. 443.
Tale articolo indica i limiti dimensionali perché l'impresa possa essere qualificata come artigiana, stabilendo
il numero massimo di apprendisti (minimo 5 massimo 24) a seconda dell'attività dell'impresa.
I datori di lavoro che occupano almeno 10 dipendenti possono procedere a nuove assunzioni con contratto
di apprendistato solo se, al termine del periodo di apprendistato hanno confermato i servizi almeno il 30%
degli apprendisti assunti nei 36 mesi precedenti (nel 2015 la percentuale sarà aumentata al 50%), dal
computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova,
per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.
Il mancato rispetto dei limiti è sanzionato con qualificazione del rapporto di lavoro come normale rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La durata minima del contratto non può essere inferiore ai 6 mesi (ad esclusione delle attività stagionali) e
la durata massima varia in relazione al tipo di contratto di apprendistato.
È richiesta la predisposizione di un piano formativo individuale (pfi), da definire entro 30 giorni dalla
stipulazione del contratto, esso deve stabilire gli obbiettivi formativi da raggiungere e indicare la struttura
del percorso formativo e specificarne le modalità di formazione.
DISCIPLINA DEL CONTRATTO: la forma è scritta AD SUBSTANTIAM, quindi nel caso un contratto non sia
stipulato in forma scritta il contratto è nullo e si intende come un contratto a tempo indeterminato non di
carattere formativo. Nel contratto DEVE ESSERE indicato il PIANO FORMATIVO, in modo che il lavoratore
sappia che tipo di formazione riceverà.
b) VANTAGGI NORMATIVI, che consistono nella possibilità, per il DDL, di “sotto inquadrare” il
lavoratore assunto con contratto di apprendistato. Gli apprendisti quindi possono essere sotto
inquadrati sino a due livelli sotto a quello che gli spetterebbe sulla base delle mansioni svolte.
c) Con la modifica del 2011 c’è una nuova forma di VANTAGGIO, in alternativa al “sotto
inquadramento”, che consistono in una RETRIBUZIONE RIDOTTA, in una misura percentuale CHE
CON IL PASSARE DEL TEMPO sarà modificata in virtù del fatto che nel frattempo il lavoratore avrà
acquisito più professionalità.
RECESSO: durante il periodo di formazione è legittimo solo se sostenuto da giusta causa o da giustificato
motivo; al termine del periodo di formazione il recesso è libero e va comunicato con preavviso ai sensi
dell'art. 2118 c.c.
PROTEZIONE SOCIALE: gli oneri contributivi a carico dell'apprendista sono ridotti (pari al 5,84% della
retribuzione imponibile ai fini previdenziali, contro il 9% degli altri lavori subordinati), pur garantendo al
giovane una protezione simile a quella degli altri dipendenti. Al giovane è consentito di maturare diritti
previdenziali in materia pensionistica e di godere anche delle seguenti forme di protezione:
a- assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b- assicurazione contro le malattie;
c- assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;
d- prestazioni in caso di maternità;
e- assegni familiari;
f- trattamento pari all'indennità ordinaria di disoccupazione
g- in alternativa al punto f acceso ai trattamenti in deroga
h- accesso, dal 1 gennaio 2013 al trattamento di disoccupazione denominato ASPI
TUTORE O REFERENTE AZIENDALE: il legislatore li ha previsti a garanzia della formazione del lavoratore. Si
tratta di un soggetto che GARANTISCA l’adempimento dell’obbligo formativo, ovvero di un soggetto che
segua il lavoratore nella sua formazione.
Inoltre alla lettera L il decreto dice “divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di
formazione, in assenza di una giusta causa”, e quindi richiama la disciplina tipica dell’art. 2119 c.c. sul
recesso del contratto a tempo determinato…
Poi nella lettera M il decreto introduce il principio del libero recesso una volta finito il periodo di
formazione…
LIMITI, MODALITA’ DI ASSUNZIONE: un DDL non può assumere apprendisti in misura superiore al numero
di lavoratori specializzati e qualificati.
Il decreto dal 2011 ha innalzato il limite massimo dai 18 anni ai 25 anni, ma vi sono 3 CRITICITA’:
1- la formazione potrebbe essere totalmente all’interno dell’azienda: cosa che appare inadeguata
rispetto ai bisogni formativi dei soggetti
2- non vi sono vantaggi economici e normativi che rendano appetibile questa forma di contratto ai
DDL
SOGGETTI:
- giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni
- lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate:
disoccupati di lunga durata (più di 12 mesi) di età compresa tra 29 e 32 anni
soggetti con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro
lavoratori che desiderano riprendere un’att. lav. che non lavorino da almeno 2 anni
donne di qualsiasi età prive di impiego retribuito da almeno 6 mesi
persone con grave handicap fisico o mentale o psichico.
DURATA:
Si tratta di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata non inferiore a 9 mesi e non
superiore a 18 mesi (36 mesi per handicappati). Non è un contratto rinnovabile e le proroghe non possono
superare in ogni caso il limite massimo imposto.
FORMA:
il contratto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere il progetto individuale di inserimento. In
mancanza di forma scritta il contratto è nullo e il lavoratore s'intende assunto a tempo indeterminato
(art.56). Devono essere inseriti nel contratto: la durata, eventuale periodo di prova, orario di lavoro,
categoria di inquadramento del lavoratore, trattamento di malattia ed infortunio non sul lavoro.
CONDIZIONE PER ASSUNZIONE: Il DDL può assumere con un contratto di inserimento SOLO SE ABBIA
MANTENUTO in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi
precedenti.
INCENTIVI:
gli incentivi trovano applicazione solo per alcuni dei soggetti assumibili con contratto di inserimento:
disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro;
lavoratori che desiderano riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni;
donne di qualsiasi età, prive di impiego da almeno 6 mesi, residenti in particolari aree geografiche; presone
con grave handicap fisico, mentale o psichico; sono invece esclusi dagli incentivi economici, anche se
possono essere assunti con contratto di inserimento, i soggetti tra i 18 e i 29 anni (sempre che non rientrino
in una sovrastante categoria)
Art. 33 – “È il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un DDL che ne può
utilizzare la prestazione lavorativa per lo svolgimento di prestazioni di carattere continuo o intermittente
secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, OPPURE per periodi predeterminati della settimana,
o del mese, o dell’anno, individuati dalla legge”
CON OBBLIGO DI RISPOSTA ALLA CHIAMATA: il lavoratore è obbligato a rispondere alla chiamata, e nei
periodi di non lavoro riceverà dal DDL la c.d. indennità di disponibilità
SENZA OBBLIGO DI RISPOSTA ALLA CHIAMATA: lavoratore darà ogni volta (oppure no) il suo consenso
SOGGETTI AMMESSI:
il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con meno di 25 anni o con più di 45
anni, anche pensionati.
TIPI DI PRESTAZIONE:
b. utilizzato per prestazioni di carattere discontinuo o intermittente a seconda delle esigenze
INDIVIDUATE dai contratti collettivi.
c. utilizzato anche per prestazioni da rendersi in periodi predeterminati, sempre individuati dai
contratti collettivi.
La legge n 92/2012 è intervenuta riguardo il campo di applicazione e gli obblighi di comunicazione, al fine di
rendere più trasparente il ricorso a questa tipologia di contratto. Perché siano effettivamente prestazioni a
intermittenza, dovranno essere intervallate da interruzioni on modo che non ci sia coincidenza tra la
durata del contratto e la durata della prestazione.
CASI VIETATI:
1. per sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
2. in unità produttive ove vi sia stato nei 6 mesi precedenti un licenziamento collettivo nei confronti di
lavoratori con la stessa mansione
3. da parte delle imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi
FORMA E COMUNICAZIONI: forma scritta AD SUBSTANTIAM, con l’indicazione di:
1. indicazione della DURATA se a tempo determinato, e delle ipotesi oggettive e soggettive che
consentono la stipulazione del contratto stesso
2. LUOGO e MODALITA’ della REPERIBILITA’, e modalità circa il preavviso di chiamata del DDL
3. il TRATTAMENTO ECONOMICO e normativo riservato al lavoratore
4. indicazione delle FORME e MODALITA’ con cui il DDL è legittimato a chiedere l’ESECUZIONE DELLA
PRESTAZIONE, nonché le modalità circa la rilevazione delle presenze
5. TEMPI e MODALITA’ del PAGAMENTO della retribuzione e della indennità di disponibilità
6. eventuali misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività da svolgere.
Il ddl ha l'obbligo di informare annualmente le rappresentanze sindacali sull'andamento del ricorso al
contratto di lav. intermittente. Inoltre è necessario comunicare alla Direzione territoriale del lavoro prima
dell'inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni; la comunicazione potrà essere modificata
mediante rettifica entro 48 ore dall'inizio della prestazione.
DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO INTERMITTENTE: per tutelare il lavoratore è stato stabilito il
principio di parità di trattamento → il lavoratore non deve ricevere un trattamento economico e normativo
inferiore a quello di un lavoratore di pari livello e a parità di mansioni svolte. Per il periodo in cui il
lavoratore resta disponibile alla chiamata, non è titolare di alcun diritto riconosciuto agli altri lavoratori e
non matura alcun trattamento economico a parte l'indennità di disponibilità.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale è ti rispetto alla prestazione effettivamente eseguita
proporzionato.
INDENNITA’ DI DISPONIBILITA’: la misura di questa indennità è stabilita dai contratti collettivi, e in ogni
caso non può essere inferiore alla misura minima fissata e aggiornata periodicamente dal Ministro del
lavoro, sentite le associazioni dei DDL e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale. Detta indennità È ESCLUSA DA OGNI COMPUTO.
In caso di MALATTIA, il lavoratore ne da’ immediatamente avviso al DDL, e l’indennità di disponibilità per
quel preciso periodo non è dovuta. Se il lavoratore in malattia non provvede a dare notizia al DDL, perde 15
giorni di indennità di disponibilità.
In caso di RIFIUTO INGIUSTIFICATO del lavoratore, l’eventuale indennità riscossa dal lavoratore sino a quel
momento dovrà essere restituita al DDL.
INTERVENTO DEL MINISTRO DEL LAVORO: qualora ritardasse il decreto in cui vengono determinati i casi in
cui sia ammesso il lavoro intermittente, il Ministro del lavoro può intervenire e sollecitare, e addirittura
emettere un proprio decreto a sopperire il ritardo.
REGIME TRANSITORIO: i contratti a chiamata stipulati prima della legge 92/2012 e che non sono compatibili
con l'attuale quadro normativo di riferimento dell'istituto cessano di produrre effetti decorsi 12 mesi
dall'entrata in vigore della legge.
CLAUSOLE ELASTICHE:
E’ riconosciuto al DDL anche il potere di modificare IN AUMENTO la durata della prestazione
lavorativa a tempo parziale con le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva. Necessario IL
CONSENSO DEL LAVORATORE, formalizzato con un patto scritto, e con l’assistenza di un
rappresentante sindacale aziendale (RSA) o RSU. L’eventuale rifiuto del lavoratore non integra alcun
procedimento a suo danno.
Necessario anche in questo caso il PREAVVISO di almeno 5 giorni, a prescindere dall’accettazione del
lavoratore.
DISPOSIZIONI PARTICOLARI: previste per quei lavoratori affetti da patologie che ne limitano la
capacità lavorativa. In questi casi il lavoratore può chiedere la trasformazione in tempo parziale, e
successivamente chiedere la nuova trasformazione a tempo pieno. Tutto ciò spetta anche al coniuge
e ai figli del lavoratore affetto, al lavoratore che abbia un figlio entro i 13 anni, o portatore di
handicap.
SETTORE PUBBLICO: la trasformazione, richiesta dal dipendente pubblico, può essere concessa
dall’amministrazione.
REVERSIBILITA’ DELLA SCELTA: i lavoratori che in precedenza hanno trasformato il proprio rapporto
di lavoro da tempo pieno a tempo parziale HANNO LA PRECEDENZA in caso di assunzioni per le
stesse mansioni. In caso di violazione da parte del DDL, il lavoratore ha diritto al risarcimento del
danno (consistente nella differenza tra quanto ha percepito e quanto avrebbe percepito).
DISCIPLINA:
Per quanto compatibile si applica la disciplina del contratto a tempo parziale, ad esempio per ciò che
concerne la retribuzione con il RIPROPORZIONAMENTO in base all’orario svolto.
COMUNICAZIONI:
I lavoratori sono tenuti a comunicare al DDL l’orario di lavoro di ciascuno, ai fini della certificazione
delle presenze degli stessi.
DIMISSIONI o LICENZIAMENTO:
Comportano normalmente l’estinzione dell’intero vincolo contrattuale, anche se il legislatore fa
salve eventuali accordi tra le parti ad es. per la sostituzione di uno dei due.
CONTRATTO A PROGETTO
Nata come RISOLUZIONE agli abusi delle “collaborazioni coordinate e continuative” CO.CO.CO. (art. 409
c.p.c.), detto contratto non si applica alle prestazioni occasionali, e alle professioni intellettuali.
La recente riforma 92/2012 ha introdotto le seguenti novità: definizione di un progetto, corrispettivo del
collaboratore, regime sanzionatorio e potere di recesso dal contratto.
Art, 61 d.lgs. 276/03 → I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e
senza vincolo di subordinazione devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato
a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del
committente, avuto riguardo al coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente
dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento
di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati
dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Da questa
definizione emergono alcuni elementi che caratterizzano il contratto: continuità, coordinazione e il
carattere personale della prestazione e la riconducibilità ad un progetto.
CARATTERI:
dalla definizione si possono quindi desumere i caratteri fondamentali, meglio chiariti poi con la CIRCOLARE
n. 1/2004
FORMA:
Il contratto è stipulato in FORMA SCRITTA AD PROBATIONEM (contratto senza forma scritta è ugualmente
valido, ma cambia il regime della prova sul piano processuale).
DISCIPLINA:
PER IL COLLABORATORE: l’esecuzione della prestazione lavorativa legata al risultato finale
PER IL COMMITTENTE: l’erogazione di un corrispettivo.
il contratto di lavoro a progetto è trattato come modalità di lavoro autonomo, ma il lavoratore a progetto è
destinatario di una serie di tutele:
- (art. 63 D.LGS. 276/2003) il COMPENSO corrisposto ai lavoratori a progetto DEVE ESSERE
PROPORZIONATO alla quantità e qualità del lavoro svolto, quindi non proprio come accade nel
lavoro autonomo.
- (art. 66 D.LGS. 276/2003) in caso di MALATTIA o INFORTUNIO non vi è la risoluzione del contratto, e
vi è la sua SOSPENSIONE senza corrispettivo; non vi è neanche alcuna PROROGA del termine. LIMITI
per malattia e infortunio:
o Se il contratto è determinato: non maggiore di 1/6 della durata del contratto stesso
o Se il contratto è determinabile: non maggiore a 30 giorni
Oltre detti LILMITI il committente può recedere il contratto. In caso di GRAVIDANZA la scadenza del
termine viene PROROGATA di 180 giorni.
INVENZIONI: il lavoratore ha diritto al riconoscimento come autore dell’invenzione fatta nello svolgimento
del rapporto.
RINNOVO:
il contratto a progetto può essere rinnovato, VANIFICANDO l’intento del D. LGS. 276/2003 volto a ridurre
l’abuso delle collaborazioni coordinate continuative…
RECESSO: per giusta causa, o per altre ipotesi eventualmente incluse nel contratto individuale.
PARTITE IVA
Con la riforma 92/2012 è stata introdotta la presunzione che le prestazioni rese da titolari di partita IVA
siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinante e continuativa qualora ricorrano almeno due
dei seguenti presupposti:
la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a 8 mesi
annui per die anni consecutivi;
il corrispettivo derivante da tale collaborazione anche se fatturato a più soggetti riconducibili allo
stesso centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80% dei corrispettivi annui
complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi;
il collaboratore disponga di una postazione fissa presso una delle sedi del committente.
È una presunzione legale relativa poiché è ammessa prova contraria da parte del committente dell'esistenza
di un genuino rapporto di lavoro autonomo non parasubordinato, cioè l'assenza del coordinamento e della
continuità della prestazione.
Ci sono alcune esclusioni dal campo di applicazione della presunzione legale qualora la prestazione abbia i
seguenti requisiti:
sia connotata da competenze teoriche di grado elevato ovvero da capacità tecnico-pratiche
attraverso corsi formativi e/o esperienza;
sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte di
livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali dovuti alle gestioni Inps
degli artigiani e dei commercianti.
LAVORO OCCASIONALE
Si intende ogni rapporto di collaborazione coordinata e continuativa di durata complessiva non superiore a
30 giorni nel corso dell'anno solare ovvero nell'ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona non
superiore a 240ore con lo stesso committente e che dia luogo a d’un compenso complessivamente
percepito nello stesso anno solare, sempre co lo stesso committente, non superiore a 5000€ (d.lgs.
276/2003).
Sono spesso denominate collaborazioni marginali o mini-collaborazioni. Il superamento dei limiti annui, in
capo allo stesso collaboratore, di una pluralità di rapporti con diversi committenti, non rende necessaria
l'esistenza del progetto (infatti a causa della brevità e del modesto valore della prestazione non è richiesto li
progetto).
Queste prestazioni sono subordinate all'iscrizione all'apposita gestione separata presso l'INPS ed al
versamento dei relativi oneri contributivi, sempre che sia configurabile un rapporto di collaborazione
coordinata.
Il lavoro occasionale non va confuso con:
lavoro occasionale di tipo accessorio (caratterizzato da forme particolarmente agili di retribuzione e
da rapporti con la p.a. estremamente semplificate, in cui il valore dell'attività svolta non può
superare il limite complessivo di 5000€ nell'anno solare;
le prestazioni autonome occasionali non caratterizzate da coordinamento e continuità nella
prestazione; non sono soggette a limiti temporali e reddituali, se non quelli coerenti con
l'occasionalità della prestazione; non sono soggette alla disciplina del lavoro a progetto.
LAVORO ACCESSORIO
Il lavoro accessorio è una forma di lavoro concepita come strumento diretto a favorire l'emersione e la
regolarizzazione contributiva di attività di scarso di rilievo economico e che possono definirsi saltuarie
mediante procedure estremamente semplificate.
La legge 92/2012 ha fornito una nuova definizione eliminando l'elenco delle attività di natura occasionale
che non danno luogo con riferimento alla totalità dei committenti a compensi superiori ai 5000 euro in un
anno solare annualmente rivalutati. Il limite suddetto è commisurato a quanto ricevuto dalla totalità dei
committenti. Le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per
compensi non superiori ai 2000 euro. Per tutto il 2013 in tutti i settori produttivi possono essere rese
prestazioni di lavoro accessorio entro il limite di 3000 euro entro l'anno solare da parte dei percettori di
prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito (cassa integrati mobilità disoccupazione
ordinaria) cumulando il compenso per il lavoro accessorio con il trattamento integrativo corrisposto.
LAVORO IN AGRICOLTURA
Art. 70 d.lgs. 276/2003 consente l'applicazione della disciplina del lavoro accessorio al settore agricolo in
riferimento alle attività lavorative di natura occasionale e stagionale effettuate da pensionati e giovani con
meno di 25 anni di età se iscritti ad un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado e in riferimento alle
elettronegatività svolte a favore dei produttori che hanno realizzato un volume d'affari inferiore ai 7000 €
costituito almeno da 2/3 da cessione di prodotti
COMMITTENTI
soggetti privati, imprenditori agricoli, imprenditori commerciali e professionisti, committenti pubblici ed
enti locali; l'INPS ha escluso che le agenzie di somministrazione possano utilizzare il lavoro accessorio per
avviare lavoratori presso aziende utilizzatrici in quanto tali prestazioni devono essere rese direttamente a
favore dell'utilizzatore senza alcuna possibilità di intermediazione.
SOGGETTI A CUI È DESITNATO
l d.lgs. del 2003 prevedeva che questo istituto fosse destinato solo a “soggetti a rischio di esclusione sociale
o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro ovvero in procinto di uscirne” (disoccupati da oltre un
anno, studenti, casalinghe, pensionati, disabili, extracomunitari) → limiti soggettivi abrogati dalla legge
133/2008.
MODALITA' DI UTILIZZO
i beneficiari acquistano presso l'INPS carnet di buoni orari il cui valore nominale è fissato con decreto
ministeriale e periodicamente aggiornato (10€ di cui il lavoratore percepisce 7,5€). il compenso è esente da
qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato.
ESPERIENZA BELGA (VEDI PAG. 303)
L'ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
Con questo contratto l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di
uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere in una prestazione di
natura patrimoniale o personale. All'associante spetta la gestione dell'impresa, mentre l'associato ha il
potere di controllo sulla gestione economica e ha il diritto al rendiconto annuale. Inoltre l'associato
partecipa alle perdite come agli utili (ma non possono superare il valore del suo apporto).
Art. 2549 comma 2 introduce un limite numerico di 3 associati; eccezione a questo limite solo gli associati
che siano legati all'associante da un rapporto coniugale o di parentela entro il terzo grado o di affinità entro
il secondo. Nel caso di violazione il rapporto di lavoro si considera come di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
REQUISITI DELLA FATTISPECIE
i requisiti sono quindi la partecipazione agli utili, la consegna del rendiconto e l'apporto di lavoro qualificato.
È stata inoltre introdotta la presunzione di subordinazione a carattere relativo (che ammette la prova
contraria) in caso di associazione in partecipazione senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione
dell'associato agli utili o senza consegna del rendiconto oppure senza che l'associato abbia competenze di
grado elevato.
OBBLIGO
con l'abrogazione dell'art. 86 del d.lgs. 276/2003, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi
senza una effettiva partecipazione e adeguata erogazione a chi lavora, non è più obbligatorio in capo al
lavoratore il diritto ai trattamenti contributivi economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti
collettivi per il lavoro subordinato.
IL LAVORO A DOMICILIO
Si caratterizza per il luogo della prestazione che non è l'azienda del datore di lavoro ma il domicilio del
lavoratore medesimo e per l'attenuazione dei caratteri della subordinazione, cioè quando l'attività oggetto
della prestazione rientri nel ciclo produttivo dell'imprenditore anche se quest'ultimo si limiti ad impartire
mere direttive tecniche. Il datore di lavoro è tenuto a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio del
lavoratore esterno alla unità produttiva e la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro. Il libro unico
del lavoro deve contenere date e ore di consegna la descrizione la specificazione della quantità e della
qualità del lavoro. La retribuzione deve essere a cottimo puro e fissata dai contratti collettivi. È vietato alle
aziende che abbiano operato licenziamenti collettivi o sospensioni dal lavoro nell'ambito dei processi di
ristrutturazione di affidare lavori a domicilio per la durata di un anno.
Il telelavoro è un esempio di lavoro a domicilio mediante un elaboratore ed è una forma di organizzazione di
svolgimento nell'ambito di un contratto o di un rapporto di la loro in cui l'attività lavorativa viene
regolarmente svolta fuori dai locali della stessa.
La legge di stabilità del 2012 ha previsto misure di incentivazione riconoscendo a chi svolge il telelavoro
l'accesso agli interventi per conciliare vita e lavoro, favorendo l'inserimento dei disabili e facilitando
l'ingresso dei lavoratori in mobilità
DIRIGENTI--> sono al vertice dell'organizzazione, a loro non si applicano le norme di tutela in materia di
licenziamento, di contratto a tempo determinato, di orario di lavoro e riposo settimanale.
QUADRI--> svolgono funzioni importanti al fine dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa.;
a loro sii applicano le norme legali riservate agli impiegati.
IMPIEGATI--> sono coloro che svolgono le funzioni di collaborazione tanto di concetto che di ordine, ma che
non svolgono manodopera
OPERAIO--> operano direttamente nella produzione collaborando nell'impresa.
SISTEMA DI INQUADRAMENTO: ora è UNICO, per cui i contratti collettivi hanno unico riferimento.
LIVELLI RETRIBUTIVI: Ad ogni LIVELLO RETRIBUTIVO corrispondono più mansioni, e quindi diverse categorie
di compiti. Si parla di mansioni di tipo pratico o di tipo intellettuale.
Le mansioni sono regolate dall’art. 2103 c.c., che come principio generale afferma il PRINCIPIO DELLA
\CONTRATTUALITA’ delle MANSIONI, nel senso che le stesse DEVONO essere individuate nel contratto.
Tutte le mansioni che si trovano all’interno di uno stesso livello retributivo possiamo definirle come
MANSIONI EQUIVALENTI, almeno dal punto di vista retributivo. Inoltre possiamo avere:
- MANSIONI SUPERIORI: ossia quelle che si trovano ad un livello retributivo superiore
- MANSIONI INFERIORI: ossia quelle che prevedono una retribuzione più bassa
Per quanto riguarda le MANSIONI EQUIVALENTI la giurisprudenza ha ampliato il concetto, estendendolo
anche nel senso PROFESSIONALE e non solo RETRIBUTIVO, nel senso che per equivalenza si escludere una
lesione della professionalità del lavoratore.
MUTAMENTO DELLE MANSIONI E DELLE QUALIFICHE
IUS VARIANDI:
Ossia IL POTERE del DDL di VARIARE le mansioni. Potere regolato dall’art. 2103 c.c., e quindi subordinato a
dei limiti precisi:
“il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per la quali è stato assunto oppure a quelle
corrispondenti alla categoria superiore” (art. 2103 c.c.)
MOBILITA’ VERTICALE:
“quando il lavoratore viene adibito alle mansioni corrispondenti alla categoria superiore successivamente
acquisita”
L’assegnazione a MANSIONI SUPERIORI diventa DEFINITIVA dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e
comunque non superiore a 3 mesi. Quindi l’acquisizione si verifica se dette mansioni superiori vengono
esercitate per un periodo superiore ai tre mesi. Tale acquisizione ha però una eccezione: non vi è
acquisizione quando il lavoratore è adibito a mansioni superiori per sostituire un lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto (es. lavoratrice in gravidanza). In questo caso vi è la retribuzione
superiore, ma non l’acquisizione delle mansioni superiori.
Tutto ciò è legittimo A PATTO che le nuove mansioni a cui il lavoratore è adibito siano
PROFESSIONALMENTE EQUIVALENTI e che NON AVVENGA alcuna diminuzione della retribuzione.
- Lavoratrice in gravidanza, che DEVE essere adibita a mansioni inferiori qualora quelle regolarmente
svolte siano pericolose per la sua salute.
- Lavoratore che a seguito di evento invalidante non sia in grado di svolgere le proprie mansioni, e per
evitare il licenziamento viene adibito a mansioni inferiori.
- In caso di licenziamenti collettivi, per evitare i licenziamenti, le associazioni sindacali possono
proporre per mansioni inferiori per un certo numero di lavoratori.
10 LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO
OBBLIGO DI OBBEDIENZA
L’art. 2104 c.c. comma 2 stabilisce che “il prestatore deve osservare le disposizioni del DDL dal quale
dipende gerarchicamente” anche se per completezza i contratti collettivi hanno introdotto notevoli limiti
all’esercizio del potere direttivo del DDL. Per la precisione è lo STATUTO DEI LAVORATORI (L. 300/1970) a
determinare che il potere direttivo debba essere nei limiti delle esigenze organizzative dell’impresa, nel
rispetto dei valori costituzionali della libertà e dignità.
POTERE DISCIPLINARE DEL DDL: è l’art. 2106 c.c. a contemplare il potere disciplinare del DDL,
disciplinato e limitato dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori in modo da rendere lo stesso potere
disciplinare compatibile con il rispetto della dignità del lavoratore e di protezione della sua sfera
personale.
LIMITI SOSTANZIALI: per l’esercizio di detto potere occorre la sussistenza del fatto e la
proporzionalità tra la sanzione commessa e la sanzione irrogata, tenendo eventualmente
conto della recidiva per fatti commessi entro i due anni precedenti e non oltre.
LIMITI PROCEDURALI: preesistenza e adeguata pubblicità di un eventuale codice disciplinare
che indichi le sanzioni, e per quali infrazioni le stesse sono applicate. Non possono essere
previste sanzioni che mutino il rapporto di lavoro (no trasferimenti, mutamenti di mansione,
e così via). L’importo della multa non può essere superiore a 4 ore di retribuzione. La
sospensione dal servizio e dalla retribuzione non può essere superiore a 10 giorni. Inoltre la
sanzione non può essere irrogata senza che prima il DDL lo abbia comunicato per iscritto al
lavoratore, il quale può pretendere di ricevere sempre per iscritto le motivazioni ed
eventualmente esercitare il diritto di difesa.
DISCIPLINA DEI POTERI DI CONTROLLO E VIGILANZA
la legge 330/1970 ha rigidamente disciplinato la materia delle guardie giurate che possono essere impiegate
esclusivamente a fini di tutela del patrimonio aziendale e non possono essere adibite a controllo sul
corretto svolgimento dell'attività lavorativa. Le visite personali di controllo sono ammesse solo se
indispensabili ai fini di tutela del patrimonio aziendale eseguite all'uscita dei luoghi di lavoro rispettando la
dignità e la riservatezza dei lavoratori.
CONTROLLI A DISTANZA
l'uso di impianti audiovisivi idonee anche indirettamente al controllo a distanza dei lavoratori è consentito
solo se necessario per esigenze organizzative produttive o di sicurezza a previo accordo con le
rappresentanze sindacali.
ACCERTAMENTI SANITARI
il controllo per le assenze per infermità può essere svolto solo da parte dei servizi ispettivi degli istituti
previdenziali competenti oppure dalle ASL che sono tenute a compierlo quando il datore lo richieda entro lo
stesso giorno della richiesta. Devono essere svolti dal medico competente.
Per combattere l'assenteismo la legge disciplina l'obbligo di certificazione medica dell'assenza per malattia e
della sua comunicazione all'INPS e al datore di lavoro nonché l'obbligo di reperibilità. Il lavoratore deve
comunicare tempestivamente l'assenza per malattia al proprio datore in modo da consentire a questi di
verificarne con i servizi competenti lo stato morboso.
In caso di non reperibilità era previsto che si perdesse l'intero trattamento economico dei primi 10 giorni e
del 60% del medesimo per il periodo successivo, ma la Corte costituzionale ha stabilito che non si possa
verificare la perdita del 50% dopo la prima violazione ma solo dopo la seconda.
La legge 133/2008 prevede che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sempre in caso di
irreperibilità per i primi 10 giorni di assenza per malattia il trattamento sia ridotto a quello fondamentale
con esclusione delle indennità accessorie; oltre i 10 giorni o nel caso di secondo evento morboso nell'arco
dell'anno, la certificazione possa essere effettuata esclusivamente dalla struttura sanitaria pubblica; inoltre
è prevista l'obbligatorietà della visita fiscale fin dal primo giorno.
È vietata qualsiasi indagine riguardo alle opinioni politiche, religiose e sindacali.
TUTELA DELLA PRIVACY
quanto ai dati personali comuni vige l'obbligo di informare il lavoratore del trattamento dei dati stessi;
mentre per i dati sensibili, cioè quelli idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale, l'origine razziale o
etnica ecc.
OBBLIGO DI FEDELTA’
L’art. 2105 c.c. stabilisce che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari in concorrenza con
l’imprenditore, né fornire informazioni che possano arrecare danno alla stessa impresa” da cui si ricavano
due espliciti divieti:
OBBLIGO DI NON CONCORRENZA: ossia il divieto di trattare affari per conto proprio o per conto di
terzi, che siano in concorrenza con l’imprenditore (diversa è la concorrenza sleale, tra imprenditori
art. 2598 c.c.). il divieto comprende qualsiasi atto di concorrenza che sia idoneo ad arrecare danno
all’impresa, e anche in mancanza di un effettivo pregiudizio come per esempio la costituzione di
società concorrenti o lo “storno” di dipendenti. Tale obbligo permane per tutta la durata del
rapporto di lavoro, a meno che non si stipuli un “patto di non concorrenza”.
PATTO DI NON CONCORRENZA: ossia un patto con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro
quando cessa il rapporto di lavoro, purché sia stipulato per iscritto, e sia con precisione indicato il
luogo, l’oggetto e la durata della non concorrenza, in ogni caso non superiore a 3 anni. Inoltre deve
essere specificato l’eventuale corrispettivo in favore del lavoratore e tale corrispettivo è una
retribuzione non solo nell’ipotesi in cui il patto acceda fin dall’inizio del contratto di lavoro, ma anche
nell’ipotesi in cui esso venga stipulato in occasione e a seguito della cessazione del rapporto di
lavoro. (Art. 2125 c.c.)
Nella disciplina italiana l’orario di lavoro è regolato dal D. LGS. 66/2003. Detto decreto si ispira al principio
di sussidiarietà, utilizzando la tecnica del rinvio alla disciplina stabilita o da stabilirsi delle parti sociali. La
disciplina contenuta nel decreto vige solo in assenza di accordo tra le parti sociali. Solo in difetto di
disciplina negoziale collettiva, trovano applicazione le previsioni “sussidiarie”. Il decreto individua i soggetti
abilitati a negoziare i contratti collettivi: “i sindacati dei lavoratori comparativamente più rappresentativi”.
Il campo di applicazione è generale con alcune esclusioni esplicitate: lavoratori marittimi, il personale di
volo dell’aviazione e i cd. “lavoratori mobili”, il personale scolastico, forze di polizia, armate e municipale; si
applica invece al corpo nazionale dei vigili del fuoco, alle strutture giudiziarie e penitenziarie e anche agli
apprendisti maggiorenni.
LIMITI COSTITUZIONALI: l’art. 36 Cost. prescrive che “la durata massima della giornata lavorativa è
stabilita dalla legge”. Devono quindi essere rispettati dei limiti che consentano al lavoratore un recupero
psicofisico. Tali limiti devono essere fissati almeno a livello giornaliero
La direttiva n° 93/104/CE stabilisce che la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7
giorni non superi le 48 ore settimanali comprese le ore di lavoro straordinario, con riposo di almeno
11 ore consecutive ogni 24 ore.
IL D. LGS. 66/2003 40 ore settimanali, e riposo di 11 ore nell’arco delle 24 ore. Per l’orario massimo
(sommatoria tra orario normale e straordinari), rimanda ai contratti collettivi di lavoro.
LAVORO STRAORDINARIO:
Il superamento dei limiti di durata dell’orario di lavoro “normale” è ammesso con il ricorso al lavoro
straordinario, che deve per legge essere “contenuto”, ovvero “saltuario” ed “eccezionale”.
La disciplina è flessibile: la regolamentazione delle modalità di esecuzione delle prestazioni straordinarie, il
potere di rendere obbligatorio il lavoro straordinario e la quantità massima sono rimandati alla
contrattazione collettiva.
Se lo straordinario è previsto dal contratto collettivo, può anche superare le 250 ore annuali e non richiede
il consenso esplicito del lavoratore.
Non è più obbligatorio comunicare le ore di lavoro straordinario eccedenti la 48esima ora nella settimana e
nemmeno versare una maggiorazione contributiva su queste ore.
Il lavoro straordinario È COMPUTATO A PARTE e quindi le relative maggiorazioni devono essere individuate
distintamente rispetto agli altri elementi della retribuzione (il diritto alla maggiorazione è stato
flessibilizzato, rimandando alla contrattazione collettiva senza più un limite minimo stabilito dalla legge e
con l’aggiunta della possibilità di usufruire in alternativa, DEI RIPOSI COMPENSATIVI).
In caso di ORARIO PLURISETTIMANALE è considerato straordinario tutto ciò che eccede la media di 40 ore
settimanali. Non è lavoro straordinario quello che eccede il limite stabilito dai contratti collettivi (e non il
limite legale delle 40 ore). Detto superamento darà luogo ad una maggiorazione, ma inferiore a quella per lo
straordinario.
Il lavoratore ha diritto:
RIPOSI GIORNALIERI: 11 ore consecutive ogni 24 ore.
PAUSA: determinata dalla contrattazione collettiva e in ogni caso non inferiore a 10 minuti ogni 6
ore di lavoro.
RIPOSO SETTIMANALE: art. 36 Cost. stabilisce che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e non
può rinunciare ad esso. Secondo la direttiva comunitaria n° 93/104/CE è di 24 ore ogni 7 giorni. Il
decreto invece ha stabilito il riposo domenicale oppure in alternativa 48 ore nell’arco di 14 giorni
(es. 12 ore la prima settimana, e 36 ore la seconda). Il principio può essere derogato solo in casi
specifici (previsti dall’art 9 del D.Lgs 66/2003 comma2): cambio turno, cambio squadra solo per
evidenti necessità e se comunque venga rispettato, come media in un determinato arco temporale,
il rapporto di un giorno di riposo ogni 6 giorni di lavoro. Comma 3: il riposo di 24 ore consecutive può
essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato mediante turni.
Il lavoro prestato in giorno di riposo dà luogo al risarcimento del danno + retribuzione per il lavoro
effettuato + la maggiorazione per il lavoro festivo o straordinario.
LAVORO NOTTURNO:
PERIODO NOTTURNO: è quel periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti intervallo fra la
mezzanotte e le cinque del mattino (quindi gli archi temporali 22:00-05:00, 23:00-06:00, 24:00-
07:00).
IL LAVORATORE NOTTURNO:
DEFINIZIONE SECCA colui che svolga almeno 3 delle sue ore lavorative nel periodo notturno.
DEFINIZIONE “SUSSIDIARIA” colui che svolga durante il periodo notturno almeno una parte
del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro.
DEFINIZIONE EX LEGE colui che svolga per almeno 3 ore lavoro notturno per un minimo di 80
giorni lavorativi all’anno (da riproporzionarsi in caso di lavoro a tempo parziale)
LIMITAZIONI SOGGETTIVE: Vi è il DIVIETO per donne in gravidanza, e fino ad uno anno di età
del bambino. Vi è la possibilità di RIFIUTARLO per il genitore di minore di 3 anni o per il
lavoratore che ha a carico un disabile, e nei casi indicati dalla contrattazione collettiva.
MODALITA’ E ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NOTTURNO: è obbligatoria la previa
consultazione delle rappresentanze sindacali, o in loro assenza delle organizzazioni territoriali
dei lavoratori.
ORARIO DI LAVORO: non può superare le 8 ore di media nelle 24 ore; non è più obbligatoria
ex lege la riduzione dell’orario di lavoro per i lavoratori notturni (l’an e il quantum sono
affidati alla contrattazione collettiva).
TUTELA DELLA SALUTE: l’adibizione al lavoro notturno è preceduta da previo accertamento di
idoneità, per poi essere monitorata obbligatoriamente dal datore di lavoro tramite il medico
competente. Il datore di lavoro è obbligato anche a garantire un livello di servizi o di mezzi di
prevenzione o di protezione, “adeguato e d’equivalente a quello previsto per il lavoro
diurno”; nonché ad adottare specifiche “misure di protezione personale e collettiva” per i
lavoratori notturni che effettuano “lavorazioni che comportano rischi particolari”.
LE FERIE
Il diritto alle ferie annuali retribuite è stabilito dall’ art. 36 della Costituzione, che lo definisce
IRRINUNCIABILE. Inoltre l’art. 2109 c.c. stabilisce che “il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di
ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel periodo che l’imprenditore stabilisca, tenuto conto delle
esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.
DURATA: stabilita dalla legge o dai contratti collettivi. Il minimo è 4 settimane.
PRINCIPIO DI INFRA - ANNUALITA’: le ferie spettano anche per quei rapporti di lavoro che non
durano un anno. Le ferie spettanti saranno calcolate in proporzione al periodo lavorativo.
MATURAZIONE DELLE FERIE: il numero di giorni di ferie cui il lavoratore ha diritto dipende dalle
giornate di lavoro effettivamente prestate nell’anno. Sono computati a tal fine le assenze per
malattia, infortunio, gravidanza, etc. Non sono computati invece i periodi di assenza facoltativa per
maternità o paternità, o per congedo militare, politico o sindacale.
IRRINUNCIABILE: il diritto alle ferie è irrinunciabile e quindi la sua fruizione deve essere effettiva.
Solo in caso di risoluzione del rapporto di lavoro si possono convertire le ferie in indennità per ferie
non godute. Tale conversione si può fare anche in casi in cui di fatto si renda irrealizzabile la fruizione
delle ferie (malattia, morte…).
Il periodo feriale annuale “va goduto per almeno due settimane … nel corso dell’anno di
maturazione, e per le due settimane restanti, entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di
maturazione”. Decorsi i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, sarà dovuta
l’indennità sostitutiva e non potrà essere pretesa dal lavoratore la fruizione “in natura”. Le due
settimane di ferie devono essere, se così richieste dal lavoratore, consecutive.
Ferie e malattia: il decorso delle ferie resta sospeso in caso di malattia sopravvenuta che ne
comprometta la fruizione o nel caso il figlio di età inferiore ai 9 anni subisca un ricovero ospedaliero.
Ferie e festività: idem (avviene la sospensione delle ferie).
Ferie e cure termali: le cure devono avvenire durante le ferie.
Retribuzione: è la stessa spettante nel periodo di lavoro.
FESTIVITÁ INFRASETTIMANALI
Lavoratori pagati ad ore (che non siano sospesi dal lavoro da oltre 2 settimane) ricevono normale
retribuzione giornaliera ragguagliata ad un sesto dell’orario settimanale contrattuale
Lavoratori retribuiti in misura fissa la retribuzione, essendo ragguagliata al mese e non al numero delle ore
di lavoro prestato, non subisce alcuna variazione
In caso di lavoro prestato in giorno festivo, il lavoratore ha diritto, oltre alla retribuzione per la festività, alla
retribuzione per le ore di lavoro prestato e alla maggiorazione per il lavoro festivo.
N.B. art 1 comma 24 L. n 148/2011: slittamento alla domenica delle celebrazioni e festività.
MOBBING
l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di tutelare la personalità morale del lavoratore e ciò implica un
dovere di protezione del lavoratore da tutti i fenomeni che aggrediscono il lavoratore nella sua dignità.
Il mobbing è l'insieme dei comportamenti intenzionalmente rivolti ad emarginare ed isolare il soggetto
passivo nell'ambiente di lavoro. Consiste anche di un elemento soggettivo in una mera negligenza o nella
mera violazione di norme cautelari. Mobbing orizzontale--> opera dei collaboratori o colleghi di lavoro;
mobbing verticale (o bossing) → esercitato o favorito dai vertici aziendali.
STALKING
l'art. 612-bis cip punisce con la reclusione dai 6 mesi ai 4 anni “chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta
taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità
propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo s tesso ad
alterare le proprie abitudini di vita.”
La Costituzione riconosce e garantisce al lavoro prestato dai minori una speciale tutela mediante gli artt. 37
e 34, ove stabilisce rispettivamente i principi di parità di retribuzione a parità di lavoro fra adulto e minore e
di obbligo dell’assolvimento scolastico.
La disciplina specifica in materia è contenuta nella legge n. 677/1977, così come modificata a seguito del
recepimento della normativa comunitaria.
In particolare la legge citata coinvolge i minori così come più sopra definiti e, nell’ambito di tale categoria,
opera un’ulteriore distinzione fra bambini e adolescenti.
In particolare intende per:
bambini, i minori che non abbiano ancora compiuto i 15 anni di età o che siano ancora soggetti all’obbligo
scolastico;
adolescenti, i minori che hanno un’età compresa fra i 15 ed i 18 anni ed abbiano già assolto l’obbligo
scolastico.
L’età minima per l’accesso al lavoro coincide con il momento in cui il minore ha concluso il periodo di
istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni compiuti.
In proposito, è necessario specificare che, a decorrere dall’anno 2007- 2008, il numero degli anni di
istruzione obbligatoria è stato innalzato a dieci anni e, conseguentemente, l’età minima di ammissione al
lavoro è innalzata ai 16 anni.
Conseguentemente, la legge vieta espressamente di adibire al lavoro i bambini, che non possono accedervi
sino all’assolvimento dell’obbligo scolastico, il quale pertanto costituisce una condizione necessaria per
l’ammissione all’attività lavorativa.
È peraltro stabilita una deroga a tale previsione poiché è permesso l’impiego di minori in attività di carattere
culturale, artistico sportivo e pubblicitario, purché però sussistano particolari condizioni formali e
sostanziali.
Possono invece accedere al lavoro gli adolescenti, per i quali tuttavia è prevista una disciplina speciale, volta
a dettare regole peculiari che ineriscono a specifici aspetti del rapporto di lavoro con il minore. Tali regole
sono predisposte al fine di evitare che la crescita fisica ed intellettuale del minore subisca pregiudizi.
Invero esse subiscono deroghe in casi espressamente previsti: non debbono infatti essere applicate quando
l’adolescente sia adibito a lavori occasionali o di breve durata, purché si tratti di servizi domestici svolti in
ambito familiare oppure di prestazioni svolte nelle imprese a conduzione familiare a condizione che esse
non abbiano carattere nocivo, né pregiudizievole, né pericoloso.
L'orario di lavoro varia: per i bambini l'orario massimo è di 7 ore al giorno e 35 alla settimana; per gli
adolescenti rispettivamente 8 e 40. È vietato il lavoro notturno. Almeno 2 giorni possibilmente consecutivi
di riposo e il periodo di ferie non può essere inferiore ai 30 giorni per i bambini mentre per gli adolescenti
vale la regola generale delle 4 settimane. Vige la parità retributiva.
IL LAVORO DELLE DONNE
L'art. 37 della Costituzione, in relazione alle donne, mette in primo piano il principio di parità di trattamento
non solo retributivo a parità di lavoro ed ammette norme speciali solo al fine di consentire alla donna
adempimento della sua essenziale funzione familiare e di assicurare alla madre e al bambino una speciale
adeguata protezione. La legislazione protettiva non è ammessa in esclusiva del sesso, ma in considerazione
del ruolo familiare svolto dalla donna.
12 LA RETRIBUZIONE
L’art. 2094 c.c. stabilisce che la retribuzione costituisce il corrispettivo della prestazione lavorativa. Una
corrispettività che riguarda tutti i contratti SINALLAGMATICI (la retribuzione esiste affinché esiste la
prestazione lavorativa).
GARANZIA COSTITUZIONALE DELLA RETRIBUZIONE EQUA: lo dice l’art. 36 che “il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione PROPORZIONATA alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. L’ammontare della retribuzione non può
mai scendere al di sotto del livello minimo inderogabile necessario per una vita dignitosa. I criteri della
PROPORZIONALITA’ e della SUFFICIENZA sono stabiliti in concreto dai contratti collettivi.
ECCEZIONI ALLA CORRISPETTIVITA’: la retribuzione è dovuta anche in caso di assenza per
MALATTIA, INFORTUNIO, GRAVIDANZA, oppure in caso di assenza per l’esercizio dei DIRITTI
SINDACALI, oppure agli STUDENTI LAVORATORI, e così via.
ELEMENTI RETRIBUTIVI FISSI: stabiliti dai contratti nazionali di categoria “retribuzione equa”.
Paga base: o minimo tabellare
Scala mobile: cessata di esistere nel 1991
Vacanza contrattuale: istituita in luogo della scala mobile. Calcolata in % sul tasso di
inflazione programmato. Nel 2009 l’istituto è stato ulteriormente rivisitato, per cui “in caso di
mancato rispetto delle procedure e dei tempi stabiliti per il rinnovo dei contratti collettivi” è
prevista una “copertura economica” da definirsi nei singoli contratti collettivi
Indennità di disponibilità: solo per lavoratori intermittenti
ELEMENTI RETRIBUTIVI ACCESSORI: stabiliti anche dai contratti collettivi aziendali e da quelli individuali.
Sono aggiuntivi rispetto a quelli fissi.
Superminimi: incrementi stabiliti dal contratto collettivo aziendale, o individuale
Indennità: voce retributiva connessa a particolari caratteristiche della prestazione lavorativa
(es. indennità per lavorazioni nocive, di cassa, di trasferta, di turno)
Maggiorazioni: già viste per il lavoro straordinario, notturno, festivo e domenicale
Retribuzione differita: ossia le retribuzioni pluri-mensili
Mensilità aggiuntive: es. la tredicesima
Premi: di produzione, di rendimento, di fedeltà, di presenza
Trattamento di Retribuzione Differita: TFR
- fino al 1982 il calcolo veniva effettuato moltiplicando una quota dell’ultima retribuzione per il
numero degli anni di servizio (quota stabilita dai contratti collettivi)
- dal 1982 con la L. 297/1982 fu totalmente riformato l’istituto
1) ogni anno viene accantonata una quota pari a 1/13,5 (ossia il 7,4%) della retribuzione
dovuta per l’anno medesimo
2) gli elementi della retribuzione annua sono stabiliti dalla legge, ma con la possibilità di
modifica di tali parametri in fase di contrattazione collettiva
3) agli accantonamenti viene applicato un tasso di rivalutazione dell’1,5% fisso e dal 75%
dell’aumento del costo della vita (infatti con un tasso di inflazione del 6% la rivalutazione è
piena)
ANTICIPAZIONI: i lavoratori con almeno 8 anni di servizio possono chiedere anticipazioni del TFR in misura
non superiore al 70% della stessa, e può essere concessa solo per spese mediche straordinarie o per
l’acquisto della prima casa di abitazione. Le richieste di anticipazione devono essere soddisfatte entro i limiti
stabiliti, derogabili in meglio dai contratti aziendali e individuali.
TFR E PREVIDENZA: la possibilità di destinare il TFR alle forme pensionistiche. Se il lavoratore non opta
espressamente per il TFR o in alternativa per una forma pensionistica, dette quote confluiscono in altra
forma pensionistica complementare.
INDENNITA' SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO: indennità dovuta dal datore di lavoro in caso di licenziamento
senza preavviso.
DEVOLUZIONE IN CASO DI MORTE: in caso di morte del lavoratore l'indennità sostitutiva e il TFR non si
devolvono secondo le regole della successione, ma secondo l'art.2122 spettano secondo i rispettivi bisogni
effettivi al coniuge, ai figli e se a carico del lavoratore defunto i parenti entro il terzo grado e gli affini entro
il secondo.
Disciplina di aspetti particolari della cassa integrazione: tfr, contribuzione figurativa,
eventuale svolgimento di attività lavorativa
Le quote giornaliere di TFR che maturano durante la sospensione per CIG non si computano nella
retribuzione integrabile e sono a carico del ddl; tuttavia in caso di CIGS ininterrotta qualora questa sia
interrotta con il licenziamento, le quote di TFR maturate durante la sospensione sono a carico dell'INPS.
I periodi di CIGO e di CIGS sono utili sia per l'accreditamento d'ufficio dei contributi figurativi ai fini
pensionistici, sulla base della retribuzione cui è riferita l'integrazione salariale sia ai fini dell'anzianità di
servizio.
Lo svolgimento di eventuali attività lavorative purché temporanee, è compatibile con lo status di lavoratore
collocato in cassa integrazione a condizione che ne venga data comunicazione preventiva all'INPS.
L'integrazione salariale, sia ordinaria che straordinaria, è totalmente incumulabile con altri redditi di lavoro
(il cassaintegrato che svolga attività di lavoro subordinato o autonomo perde il diritto all'integrazione per le
giornate di lavoro effettuate.
L'efficacia delle dimissioni e della risoluzione (cioè della risoluzione del contratto di lavoro per mutuo
consenso) è condizionata a due procedure di convalida alternative tra loro a seconda che attengano al
periodo della gravidanza e della maternità/paternità.
Nel caso di dimissioni o di risoluzione consensuale al di fuori del periodo di maternità/paternità spetterà al
datore di lavoro attivarsi per ottenere la convalida dell'atto risolutivo che altrimenti resterà privo di efficacia
(condizione sospensiva legale).
Ci sono due modalità: una prevede la convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il
Centro per l'impiego territorialmente competenti oppure in alternativa presso le sedi individuate dai
contratti collettivi nazionali; la seconda consiste nella sottoscrizione di un'apposita dichiarazione da parte
del ddl a apporre in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di risoluzione del rapporto di
lavoro.
Il ddl entro 30 giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale consegna o invia apposita
comunicazione contenente l'invito a presentarsi presso una delle sedi suddette oppure ad apporre
sottoscrizione in calce alla comunicazione di risoluzione.
Qualora il ddl non effettui tempestivamente la comunicazione, le dimissioni/risoluzione si considerano prive
d'effetto salvo che il prestatore abbia spontaneamente proceduto alla convalida; qualora il prestatore non
aderisca all'invito entro 7 giorni dalla ricezione la condizione sospensiva si ritiene verificata e il rapporto si
ritiene risolto. Durante i 7 giorni il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni/risoluzione e il contratto
di lavoro torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca (nel periodo
tra il recesso e la revoca qualora l'attività lavorativa non sia stata svolta, il lavoratore non ha diritto alla
retribuzione).
In mancanza di preavviso il lavoratore dimissionario è obbligato a corrispondere al ddl un'indennità
sostitutiva commisurata alle retribuzioni che il ddl stesso avrebbe dovuto corrispondergli durante il periodo
di preavviso; ma questa indennità sostitutiva non è dovuta ed anzi è il ddl a doverla se le dimissioni sono
state date per giusta causa.
Il licenziamento può essere affetto da diversi vizi: formali, procedurali, sostanziali(attinenti cioè alla carenza
di giustificazione), derivanti dalla violazione di divieti di licenziamento o di norme imperative.
La disciplina si divide in 3 macro aree:
tutela obbligatoria o indennitaria → sanziona il licenziamento illegittimo con un obbligo
risarcitorio/indennitario, ma non contempla la reintegrazione nel posto di lavoro; si divide in due
sotto-aree: tutela indennitaria minore, riservata alle unità produttive e ai datori di lavoro di minori
dimensioni occupazionali tutela indennitaria privilegiata, riservata alle unità produttive e a i ddl di
maggiori dimensioni occupazionali;
tutela reale → riservata ai più gravi casi di illegittimità del licenziamento, nelle unità produttive
presso i ddl di maggiori dimensioni occupazionali con una ulteriore graduazione interna a seconda
delle diverse fattispecie;
licenziamento ad natum.
Se si tratta di dipendente di un ddl non piccolo (quindi in unità produttive con più di 15 lavoratori, o
comunque più di 60 dipendenti complessivamente), il licenziamento rientra nella tutela indennitaria
privilegiata o nella tutela reale, a seconda delle diverse ipotesi; infatti con la 92/2012 è stata stabilita una
diversa disciplina a seconda della tipologia e della gravità del vizio da cui è affetto il licenziamento, per
giusta causa o per giustificato moto.
TUTELA INDENNITARIA
Sono qui ricondotti i licenziamenti “disciplinari” ingiustificati per motivi diversi da quelli che comportano la
reintegrazione del posto di lavoro; quindi tutti i casi in cui il fatto contestato sussista e sia stato commesso
dal lavoratore e non corrisponda ad una mancanza disciplinare per la quale il contratto collettivo o il codice
disciplinare prevedano una sanzione meno grave del licenziamento.
La tutela indennitaria si applica nei casi in cui il giudice accerta che non ricorrano gli estremi del giustificato
motivo, le ipotesi cioè diverse sia dalla manifestata insussistenza del fatto posto a base del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo sia dalla insussistenza della inidoneità fisica o psichica del lavorate o dal
mancato superamento del periodo di comporto.
In tutti questi casi è prevista la corresponsione e di un'indennità tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima
retribuzione globale di fatto esente da contributi. La quantificazione tiene anche conto dell'anzianità
lavorativa, della consistenza occupazionale, della dimensione dell'attività economica ecc.
Il PREAVVISO è disciplinato come per le dimissioni del lavoratore. L’efficacia del preavviso in questi casi è
OBBLIGATORIA nel senso che lo stesso comporta l’estinzione immediata del rapporto di lavoro con l’obbligo
per la parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva.
PROCEDURA CONCILIATIVA
essendo preventiva e obbligatoria, costituisce condizione di legittimità, comportando nel caso di violazione,
l'applicazione della tutela indennitaria per vizi procedurali.
Il ddl invia la comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro, trasmessa per conoscenza anche al
lavoratore, in cui dichiara la volontà di procedere al licenziamento per ragioni oggettive ed economiche
indicando i motivi del provvedimento di espulsione e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del
lavoratore interessato. Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, la Direzione Territoriale del
Lavoro convoca il ddl e il lavoratore per un tentativo di conciliazione. Entro 20 giorni dalla convocazione, se
il tentativo di conciliazione fallisce il ddl comunica il licenziamento al lavoratore. Qualora invece la
conciliazione abbia esito positivo, si dispone che possa essere previsto l'affidamento del lavoratore ad
un'agenzia per il lavoro al fine di favorirne la ricollocazione professionale. Per incentivare la conciliazione, il
legislatore ha previsto che spetti al lavoratore l’assicurazione sociale per l'impiego, indennità che non gli
spetterebbe, essendo l'indennità di disoccupazione esclusa in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro. All'esito della procedura l'efficacia del licenziamento è retroattiva: il provvedimento
del recesso produce effetto dal giorno della comunicazione con la quale ha preso il via la procedura.
LICENZIAMENTO NULLO o illecito o inefficace (nel caso di mancanza della forma scritta)
se determinato da ragioni discriminatorie L. 604/66;
se intimato alla lavoratrice in stato di gravidanza o di puerperio o al lavoratore in congedo di
paternità;
se intimato in concomitanza con il matrimonio;
se riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.
È inefficace/nullo il licenziamento intimato in forma orale e non scritta.
La legge 92/2012 stabilisce per i casi di licenziamento discriminatorio, nullo, illecito, inefficace, le stesse
conseguenze sanzionatorie: tutela reale rafforzata per cui:
1. l'indennità risarcitoria è commisurata alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento a
quello della effettiva reintegrazione, senza alcun tetto massimo;
2. essa non può essere inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto;
3. dall'importo suddetto di detrae solo l'aliunde perceptum e non anche l'aliunde percipieundum.
RICORSO GIUDIZIALE:
Si ricorre c/o Giudice del lavoro, purché impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione
scritta del licenziamento stesso o dei motivi, ed entro lo stesso termine venga portato a conoscenza del
DDL. Infatti ha effetto dal momento in cui lo stesso DDL ne viene a conoscenza. Detto termine vale per
l’impugnazione di TUTTI i licenziamenti.
L’impugnazione può essere fatta con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, anche attraverso
l’intervento dell’organizzazione sindacale.
LIMITI DEL GIUDICE: Non nel merito ma sulla legittimità, perché se no violerebbe l’art. 41 Cost. sulla Libertà
di iniziativa economica
RITO SPECIALE per le impugnazioni dei licenziamenti e delle questioni afferenti alla qualificazione del
rapporto di lavoro.
L'ambito di applicazione attiene alle controversie che hanno oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle
ipotesi dell'art. 18 legge 300/1970. il legislatore consente di ricorrere al “processo breve” anche ove sia
necessario pronunciarsi sulla natura subordinata del rapporto di lavoro all'origine instaurato in forma
autonoma.
Il rito speciale al quale devono essere riservati particolari giorni del calendario delle udienze presenta due
fasi: una sommaria e urgente ed una a cognizione piena e nelle forme ordinarie del rito del lavoro.
Fase sommaria → il recesso può essere impugnato davanti al Tribunale in funzione del giudice del lavoro
con ricorso; a seguito del ricorso il giudice fissa l'udienza di comparazione delle parti non oltre i 40 giorni dal
deposito del ricorso medesimo con decreto. Sia il ricorso che il decreto devono essere notificati a cura del
ricorrente anche per pec. Il termine per la notifica alla controparte è assegnato dal giudice ma non può
essere <25 giorni prima dell'udienza; il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno 5 giorni prima
dell'udienza. Il giudice provvede poi con ordinanza esecutiva l'accoglimento o il rigetto della domanda.
Fase a cognizione piena → è una fase eventuale nel caso in cui ci sia opposizione contro l'ordinanza di
accoglimento o rigetto che avviene mediante ricorso da depositare in Tribunale entro 30 giorni dalla
notificazione della comunicazione. Chi si oppone entro 30 giorni dall'udienza deve depositare una memoria
difensiva indicando i mezzi di prova. Contro la sentenza che decide l'accoglimento o il rigetto del ricorso in
opposizione è ammesso anche il reclamo in corte d'Appello e anche, eventualmente successivamente, il
ricorso per Cassazione.
Legge 300/1970
Art. 18 - Reintegrazione nel posto di lavoro3
Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la
sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al
datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo
nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque
se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai
datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti
ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti
con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di
orario effettivamente svolto tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario
previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma
non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal
lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei
contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni
caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la
facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici
mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di
lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della
sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto alla spirale dei
termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi
aderisce o conferisca mandato, il giudice in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando
ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto
di lavoro. L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al
giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del
Codice di procedura civile. L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al
primo comma ovvero alla ordinanza di cui al quarto comma, non
3 I primi 5 commi sono stati introdotti dalla legge 108 del 1990 che ha così modificato i primi 2 commi della legge
330/1970
Indennità una tantum per lavoratori parasubordinati (il rapporta di lavoro parasubordinato è una forma di lavoro
prossima al rapporto di lavoro subordinato ma differisce per una autonomia "attenuata" del lavoratore che può godere
di una autonoma organizzazione .
Esempio tipico è la figura dell'agente di commercio che svolge autonomamente ma nell'interesse ed eventualmente per
conto del preponente (datore) il lavoro. Il proponente ha un limitato potere nell'impartire all'agente istruzioni per il
compimento del lavoro.)
è una indennità a favore degli iscritti in via esclusiva alla Gestione separata dell'INPS che abbiano operato
nell'anno precedente in regime di mono-committenza. Per accedere alla prestazione occorre:
un reddito lordo complessivo conseguito nell'anno precedente minore di 20.000 €;
accreditamento presso la gestione separata di almeno 4 mensilità di contribuzione nell'anno
precedente;
almeno 2 mesi ininterrotti di disoccupazione nell'anno precedente;
l'accreditamento alla gestione separata di una mensilità nell'anno di riferimento.
L'ammontare della prestazione corrisponde al 5% del minimale annuo di reddito imponibile ai fini del
versamento dei contributi previdenziali moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate
nell'anno precedente e quelle non coperte da contribuzione. È erogata in un unica soluzione se <= 1.000€ se
no in quote mensili di max 1.000 €.
il finanziamento dell'ASPI
è finanziata dal tradizione contributo obbligatorio per l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria
(1,31%) più un contributo addizionale (1,4%) delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali a carico solo
dei ddl che utilizzano rapporti di lavoro non a tempo indeterminato.
Ipotesi di esenzione dal contributo addizionale:
lavoratori assunti a termine in sostituzione di assenti o per lo svolgimento delle attività stagionali;
apprendisti;
dipendenti delle pa.
Il contributo addizionale è restituito al ddl nel limite delle ultime 6 mensilità in caso di trasformazione del
contratto a tempo indeterminato o di assunzione a tempo indeterminato dello stesso lavoratore entro 6
mesi dalla cessazione del precedente contratto.
Una volta ricevuta, le organizzazioni sindacali hanno 7 GIORNI di tempo per chiedere un INCONTRO con il
DDL, dando avvio alla c.d. FASE SINADCALE
2 * FASE SINDACALE: in questa fase vengono ESAMINATE le cause che hanno contribuito a creare
l’eccedenza del personale, e VALUTARE eventuali diverse utilizzazioni dei lavoratori che dovrebbero
essere licenziati, quindi VERIFICARE se vi siano soluzioni alternative (es. “I contratti di solidarietà”
con riduzione dell’orario e della retribuzione + utilizzo della Cassa Integrazione). E’ una fase CHE
DEVE DURARE al massimo 45 GIORNI.
In questa fase il DDL NON HA ALCUN OBBLIGO, se non quello di TRATTARE. Infatti il DDL che non si
presenti in questa fase, sta VIOLANDO la libertà sindacale.
Il legislatore ha INCENTIVATO il DDL a concludere l’accordo entro i 45 giorni previsti, concedendo
una riduzione del versamento delle somme all’INPS per la messa in mobilità.
3 * FASE AMMINISTRATIVA: in questa fase viene coinvolta la Direzione Provinciale del Lavoro, che
convoca il DDL al fine di proporre soluzioni alternative al licenziamento collettivo. Questa fase dura
30 giorni, e solitamente non genera alcun esito positivo, giacché questi, se si verificano, si
concludono nella fase dove vi è anche l’incentivo.
Esaurita l’intera procedura (che quindi DEVE DURARE al massimo 75 giorni), l'impresa può procedere al
licenziamento entro 120 giorni. In CASO NEGATIVO, il DDL procede alla comunicazione DEL RECESSO ad
ogni singolo lavoratore oggetto del licenziamento collettivo. A tal fine vi sono i c.d. CRITERI DI SCELTA.
Detti criteri non dovranno essere applicati in modo DISCRIMINATORIO. (es. il criterio DELL’ETA’ non è
discriminatorio se viene salvato il lavoratore anziano perché ha maggiore professionalità)
IL RECESSO: è l'atto finale di una fattispecie a formazione progressiva e viene comunicato individualmente
a ciascun lavoratore, in forma scritta e seguendo la procedura dettata dalla legge.
RECESSO INEFFICACE: in violazione della forma e della procedura imposta.
RECESSO ANNULLABILE: in violazione dei criteri di scelta il licenziamento.
Va inoltre comunicato ai competenti organi regionali, alle associazioni di categoria, unitamente all’elenco
dei lavoratori collocati in mobilità, e i criteri di scelta.
L’IMPUGNAZIONE:
Con qualsiasi atto scritto, anche extra giudiziale, entro 60 giorni a pena di decadenza.
L’eventuale dichiarazione di illegittimità del licenziamento COMPORTA LA REINTEGRAZIONE dei lavoratori.
Se l’illegittimità deriva dalla violazione dei criteri di scelta, il DDL potrà licenziare lo stesso numero di
lavoratori reintegrati senza dover rifare tutta la procedura.
Entro 7 giorni dalla comunicazione dei recessi i lavoratori licenziati vengono ISCRITTI in una LISTA DEI
LAVORATORI IN MOBILITA’ (con i dati anagrafici, la qualifica, i carichi di famiglia, il luogo di residenza e come
sono stati applicati i criteri di scelta) che deve essere comunicata agli organi competenti regionali e
provinciali, nonché alle associazioni di categoria.
16.2 LA MOBILITA’
E' il regime al quale sono sottoposti i lavoratori rientranti nel campo di applicazione della CIGS che siano
stati licenziati per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro o per cessazione di attività.
A questi verrà corrisposta una INDENNITA’ DI MOBILITA’ erogata dall’INPS se abbiano maturato almeno
12 mesi di anzianità presso lo stesso DDL. Per ciascun lavoratore il DDL deve VERSARE in 30 RATE MENSILI,
una somma che è pari a 6 VOLTE il trattamento iniziale di mobilità spettante al lavoratore (la metà se ha
concluso l’accordo in fase sindacale). È un'indennità che si affianca a quella ordinaria e ai trattamenti
speciali di disoccupazione.
REQUISITI
iscrizione alla lista di mobilità;
il lavoratore deve poter far valere un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi di cui almeno 6 di lavoro
effettivamente prestato non a termine;
l'impresa che ha licenziato il lavoratore rientri nel campo di applicazione della CIGS.
Sono esclusi gli inoccupati, i disoccupati non iscritti alle liste di mobilità, i dipendenti da imprese estranee al
campo di applicazione della CIGS o cmq privi dell'anzianità lavorativa minima richiesta.
INDENNITA’ DI MOBILITA’: ha una durata limitata (12 mesi, elevato a 24 mesi per lavoratori con almeno 40
anni, ed elevato a 36 mesi per i lavoratori con almeno 50 anni). L’indennità è del 100% per i primi 12 mesi,
mentre dell’80% per i restanti mesi. Detta indennità è concedibile in una unica misura se il lavoratore
intenda intraprendere una attività autonoma.
MOBILITA' LUNGA → consente ai lavoratori collocati in mobilità entro un certo termine e prossimi al
pensionamento, di fruire dell'indennità di mobilità fino al pensionamento medesimo.
VANTAGGI: i lavoratori iscritti alle liste di mobilità oltre che l’indennità di mobilità possono essere assunti
dai DDL con particolari VANTAGGI di tipo contributivo.
OBBLIGHI: se
Se però il lavoratore ha accettato un posto di lavoro comportante un livello retributivo non
inferiore di almeno il 10% rispetto a quello precedente alla messi in mobilità, un'integrazione
mensile per un periodo max di 12 mesi.
L'indennità è finanziata dalle imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGS attraverso un
contributo dello 0,3% delle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
INCENTIVI ALL'ASSUNZIONE.
Sono benefici contributivi o incentivi economici a favore dei ddl che assumono i soggetti in mobilità.
In caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato spetta per 18 mesi il medesimo sgravio contributivo
previsto per gli apprendisti; per 12 mesi (elevabili a 24 o 36 per i lavoratori con >50 anni) spetta ai lavoratori
che fruiscono dell'indennità di mobilità un contributo mensile pari al 50% dell'indennità che sarebbe stata
loro corrisposta.(????)
in caso di assunzione a termine di durata non superiore a 12 mesi, il regime contributivo pari a quello degli
apprendisti spetta per 12 mesi; inoltre in caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato e
pieno, lo sgravio medesimo è prorogato di altri 12 mesi e spetta per lo stesso periodo anche il contributo
mensile del 50% delle indennità di mobilità risparmiate dall'INPS.
Opera poi il diritto di precedenza nell'assunzioni effettuate entro 6 mesi dall'impresa che ha proceduto al
licenziamento.
PROCEDURA:
- il DDL presenta domanda all’INPS per avere un trattamento economico pari all’80% della
retribuzione globale che sarebbe dovuta spettare ai lavoratori per le ore non prestate. I
lavoratori che otterranno questa integrazione vedranno i loro contributi versati in maniera
figurativa quindi senza perderli.
- Il DDL deve informare le rappresentanze sindacali sul numero di lavoratori interessati e sulla
durata (non consultazione se riduzione < 16 ore settimanali)
- Il DDL deve consultare le rappresentanze sindacali e dovrà specificare i turni di cassa
integrazione (rotazione che deve coinvolgere tutti e non solo e sempre le stesse persone).
PROCEDURA:
o il DDL presenta la richiesta al Ministero del Lavoro, accompagnata da una procedura di tipo
sindacale, dove viene indicato un programma che contenga i tempi e le misure attraverso le quali
il DDL presuma di rientrare dallo stato di crisi aziendale.
o detta procedura si apre con Decreto del Ministro del Lavoro e ha delle durate prestabilite:
12 mesi per crisi aziendale (estendibile a 24 mesi x questioni eccezionali)
24 mesi per ristrutturazione o riconversione o riorganizzazione (estendibili a 48)
12 mesi (prorogabili a 18 mesi) per procedure concorsuali
Nel caso in cui il DDL NON RIESCA A PORTARE IN SALVEZZA L’AZIENDA, ciò che gli si prospetta è il
licenziamento collettivo per messa in mobilità, con la procedura già vista in precedenza.
Sia nella Cassa Integrazione Ordinaria che in quella Straordinaria c’è una partecipazione del DDL che versa in
modo fisso dei contributi. Anche i lavoratori contribuiscono parzialmente.
17.1IL TRASFERIMENTO DI AZIENDA (L. 428/1990 e art. 2112 c.c. modificato dal d. lgs. 276/2003)
Il nostro ordinamento prevede due tipi di garanzia a favore dei lavoratori
o “continuazione del rapporto di lavoro”
o “conservazione dei trattamenti goduti”
Se l'acquirente applica già un proprio e diverso contratto collettivo, questo trova applicazione ai dipendenti
dell'azienda alienata in sostituzione di quelli applicati dall'alienante; l'unico problema è capire se venga
applicato automaticamente o in maniera programmata tramite accordi sindacali
INFORMAZIONE: L’alienante e l’acquirente, devono comunicare alle RSA o alle RSU o alle
associazioni sindacali di categoria delle unità produttive interessate dal trasferimento, entro 25
giorni prima che si sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento, con indicazione dei motivi e
della data del trasferimento stesso. Inoltre deve contenere gli effetti sui rapporti di lavoro dei
lavoratori coinvolti.
ESAME CONGIUNTO: Una volta pervenuta l’informazione, le organizzazioni sindacali possono entro 7
giorni richiedere un esame congiunto, il quale deve poi essere avviato entro i successivi 7 giorni. Vi è
obbligo di discutere, ma NON OBBLIGO di contrarre.
SANZIONI: Eventuali violazioni sono SANZIONATE identificandole come condotta antisindacale.
Le speciali garanzie dei lavoratori subordinati negli appalti e nelle esternalizzazioni di impresa
Manca
LA LIBERTA’ SINDACALE
Sono pochissime le fonti sindacali del diritto sindacale. Ecco quelle di rango costituzionale:
art. 39 Cost. che consiste nella libertà di organizzazione sindacale, ed è divisa in due parti:
L’art. 39 Cost.: ha una PORTATA MAGGIORE, e non presuppone alcun controllo dello Stato
L’art. 18 Cost. presuppone che lo stato eserciti un controllo sui fini delle stesse
comma 2: ”ai sindacati non può esser posto alcun obbligo, se non quello di registrazione presso uffici locali
o contrali…”, disposizione sostanzialmente mai attuata.
comma 3: stabilisce le condizioni per tale registrazione, ossia che un sindacato che abbia uno statuto che
ne chiarisca la democraticità e il suo funzionamento, con conseguente CONTROLLO sullo stesso statuto.
LIBERTA’ SINDACALE COLLETTIVA: il divieto DI INGERENZE da parte dell’ordinamento statale per ciò che
concerne le forme organizzative, le regole interne, e così via.
SINDACATO IN AZIENDA: esistono in Europa 2 modelli di rappresentanza lavoratori in azienda
L’art. 19 affida l’istituzione delle RSA all’iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva.
L’art. 19 stabilisce inoltre che siano destinatarie di una SERIE DI DIRITTI SINDACALI (vedi capitolo successivo
assemblea, affissione, referendum, permessi retribuiti e non).
L’art. 35 invece indica che possono essere costituite in tutte quelle unità produttive che abbiano più di 15
dipendenti.
In seguito all’abrogazione delle parole “nazionale e provinciale”, però, ci fu una gran discussione sugli
effetti… arrivò addirittura alla Corte Costituzionale che si dovette pronunciare nel 1996.
TIMORE: Un sindacato SOLO AZIENDALE potrebbe essere accondiscendente con il DDL, proprio perché
firmando il contratto collettivo gli darebbe il “requisito” richiesto per costituire le RSA!!!
La Corte Costituzionale nel 1996 ribadì che “un sindacato che effettivamente contratta con il DDL è un
sindacato rappresentativo, e che quindi non c’è alcun rischio”.
La debolezza di tale pronuncia si dimostrò nel caso della FIAT:
“il DDL è vincolato dal contratto collettivo nazionale di categoria SOLO SE ISCRITTO all’associazione
datoriale”.
La FIAT non essendo più iscritta a CONFINDUSTRIA non aveva più alcun vincolo!!! E ha quindi firmato un suo
contratto collettivo soltanto aziendale. La CIGL non avendolo firmato perché non ne condivideva i
contenuti, si trovò all’improvviso SENZA I REQUISITI di cui all’art. 19 per poter costituire le RSA!!!
DEFINIZIONI DA SAPERE
CONFEDERAZIONE:
E’ una struttura sindacale che affilia FEDERAZIONI che rappresentano le diverse categorie
FEDERAZIONE:
E’ un sindacato che affilia lavoratori aderenti ad una determinata categoria produttiva (es. metalmeccanici, chimici, etc)
* RAPPRESENTANZA SINDACALE: è il rapporto DIRETTO che sussiste tra il singolo lavoratore e l’organizzazione sindacale alla
quale il lavoratore stesso aderisce. Il lavoratore conferisce all’organizzazione il potere di agire in suo nome tramite MANDATO DI
RAPPRESENTANZA.
* RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE: è la capacità di un sindacato di FARSI INTERPRETE degli interessi collettivi dei lavoratori
subordinati, siano essi iscritti oppure no. Questa è una distinzione necessaria affinché il legislatore possa distinguere tra i vari
sindacati esistenti, quali vadano supportati da una “legislazione di sostegno” ed eventualmente intrattenere rapporti privilegiati
(c.d. concertazione sociale).
MAGGIOR RAPPRESENTATIVITA’ prima del 1995: consisteva nell’avere un certo numero di iscritti; la presenza di un
sindacato in più categorie produttive; la partecipazione alla contrattazione collettiva; la capacità di mobilitazione; Questa
era la situazione prima che venisse il referendum del 1995 che abrogò al lettera A dell’art. 19.
COSTITUZIONE RSU: Le RSU vengono istituite PER VOLONTA’ delle grandi confederazioni maggior-mente
rappresentative, e non per volontà del legislatore. In concreto, per rafforzare la posizione sindacale nei
confronti del DDL è meglio avere, anziché diverse RSA, una struttura unitaria ossia la RSU. Ne deriva che il
sindacato che decide di partecipare alla costituzione della RSU, RINUNCIA ad istituire la propria RSA.
Le RSU sono organi a formazione elettiva, dove tutti i lavoratori possono partecipare all’elezione del
candidato. Possono presentare le liste per candidarsi alle RSU:
* solo le RSU uscenti
* i sindacati maggiormente rappresentativi che hanno firmato l’accordo del dicembre 1993
* i sindacati che siano firmatari del contratto collettivo nazionale applicato in azienda
* i sindacati non di dimensione nazionale, ma che abbiano raccolto un numero di firme pari almeno al
5%.
La RSU rimane in carica 3 anni, poi si possono rinnovare. Tutti i diritti della RSA passano all’RSU quindi
vedi i diritti sindacali del capitolo successivo, con la particolarità che il monte ore di 10 ore può
prevedere che sino a 4 ore delle 10 disponibili possano essere usate per assemblee interne. Inoltre 1/3
dei seggi è riservato alle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale applicato in
azienda.
Nel PUBBLICO IMPIEGO invece, il sistema RSU è OBBLIGATORIO e non volontario come nel privato. In
questo caso la rappresentatività sindacale è stata definita. In questo caso la rappresentatività non è di
tipo DISCENDENTE, come nel privato, e il procedimento è inverso: è l’associazione sindacale che deve
dimostrare di essere rappresentativa
Misurazione della rappresentatività dei sindacati: tramite un PROTOCOLLO tra CONFINDUSTRIA, CIGL, CISL,
UIL, UGL nel 2011 è stato disciplinato l’accertamento e la certificazione della rappresentatività dei sindacati
sul piano nazionale. Detto accordo devolve al CNEL il compito di costruire degli indici di rappresentatività,
sulla base di una MEDIA tra il “dato associativo” relativo alle deleghe dei lavoratori e certificate dall’INPS, e
il “dato associativo” relativo ai risultati del voto per l’elezione delle rappresentanze unitarie nei luoghi di
lavoro.
Soglia minima: le organizzazioni sindacali ammesse alle contrattazioni collettive nazionali
devono pertanto avere il 5% del totale della categoria dei lavoratori della categoria cui si
applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (permane comunque la possibilità di
stipulazione di contratti collettivi con associazioni sindacali la cui rappresentatività non sia
misurata o certificata.
I DIRITTI SINDACALI
Il diritto di costituire RSA (o RSU) è fondamentale perché è IL PRESUPPOSTO per l’esercizio di tutti gli altri
diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori:
ASSEMBLEA:
Il diritto di riunirsi all’interno dell’unità produttiva, purché la stessa sia stata indetta da almeno una delle
R.S.A. esistenti nell’unità produttiva.
Assemblea retribuita: IN ORARIO DI LAVORO max 10 ore annue retribuite
Assemblea non retribuita: FUORI dall’orario di lavoro
Ordine del giorno: riguarda ESCLUSIVAMENTE materie di interesse sindacale e di lavoro.
LOCALI:
Il diritto ad avere un idoneo locale per lo svolgimento delle loro funzioni. Se l’unità produttiva ha più di 200
dipendenti il locale a disposizione delle RSA, deve essere all’interno o nelle immediate vicinanze dell’unità
produttiva, ad USO ESCLUSIVO.
REFERENDUM:
Il diritto di partecipare, FUORI DALL’ORARIO DI LAVORO, a referendum su materie attinenti l’attività
sindacali purché INDETTO CONGIUNTAMENTE da tutte le RSA presenti in azienda.
AFFISSIONE:
Il DDL deve consentire alle RSA di poter affiggere su appositi spazi accessibili a tutti i lavoratori, tutto ciò
che è inerente a materie di interesse sindacale.
CONTRIBUTI SINDACALI:
Il diritto di raccogliere contributi e promuovere la propria organizzazione sindacale, PURCHE’ esercitato
SENZA PREGIUDIZIO per il normale svolgimento dell’attività aziendale. Prima del referendum 1995 c’era un
sistema di prelievo automatico con una delega del lavoratore al DDL il quale versava il contributo
automaticamente: detto automatismo ora non c’è più!
PERMESSI:
Per l’espletamento delle proprie funzioni, i dirigenti sindacali hanno in diritto di usufruirne. Sono previsti
permessi retribuiti e non retribuiti:
Permessi retribuiti: spetta ai dirigenti per l’espletamento di attività sindacale di interesse
aziendale, in misura stabilita dalla legge, in relazione alle dimensioni occupazionali dell’unità
produttiva, derogabile in meglio dai contratti collettivi.
Permessi non retribuiti: spetta ai dirigenti per l’espletamento di attività sindacale EXTRA aziendale,
in misura non inferiore a 8 giorni all’anno.
Per la fruizione di entrambi i permessi vi è obbligo di comunicazione scritta, senza che sia subordinata ad
alcuna autorizzazione del DDL (1 giorno prima per quelli retribuiti, 3 giorni prima per quelli non retribuiti).
Sono previsti permessi retribuiti e periodi di aspettativa non retribuita anche a favore di lavoratori che
ricoprano cariche nelle associazioni sindacali.
GUERENTIGIE SINDACALI:
Ne godono i dirigenti in caso di licenziamento (su istanza del lavoratore e del sindacato il giudice può
disporre anche l’immediata reintegrazione), o in caso di trasferimento.
CONDOTTA ANTISINDACALE
Lo Statuto dei lavoratori, a rafforzare ulteriormente la presenza sindacale in azienda, disciplina anche quella
che viene chiamato “condotta antisindacale”.
CONDOTTA ANTISINDACALE: viene riferita alla “oggettiva capacità lesiva” dei diritti sindacali,
piuttosto che identificarla con determinati atti o comportamenti. Infatti sono perseguibili “tutti quei
comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale e del
diritto di sciopero”.
SOGGETTO ATTIVO: può essere il DDL oppure anche suoi dipendenti che esercitano potere direttivo
su altri dipendenti.
SOGGETTI PASSIVI (legittimati ad agire): sono gli organismi sindacali locali delle associazioni
sindacali nazionali che vi abbiano interesse. NON QUINDI i singoli lavoratori. Devi quindi trattarsi di
associazioni sindacali nazionali. La Corte Costituzionale non ha reputato illegittima questa
disposizione, in quanto dette associazioni nazionali danno maggiori garanzie poiché godono di
un’effettiva migliore rappresentatività. Non possono essere le RSA dato che devono essere costituite
“nell’ambito di un sindacato” che potrebbe essere nazionale.
LA PROCEDURA: agile e spedita. Il giudice del lavoro sulla base di “sommarie informazioni”, e quindi
senza una rigorosa istruttoria, qualora ravvisi gli estremi, ordina con decreto motivato la cessazione
del comportamento illegittimo al DDL. Il giudizio normale si svolgerà poi in un secondo momento, e
SOLO SE SARA’ stata proposta opposizione entro 15 giorni.
SANZIONI: il DDL che non ottempera al decreto o alla sentenza che derivi dall’opposizione al
decreto, commette il reato di “inosservanza dell’ordine del giudice”, la cui condanna prevede anche
la revoca degli eventuali benefici fiscali goduti dal DDL.
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Dal punto di vista formale, il contratto collettivo NON E’ una fonte del diritto, ma dal punto di vista pratico
invece E’ UNA FONTE DEL DIRITTO.
E’ un contratto stipulato tra un’organizzazione sindacale di lavoratori e una organizzazione sindacale di DDL
(o con un singolo DDL).
ORGANIZZAZIONE LAV + ORGANIZZAZIONE DDL = contratto collettivo nazionale
ORGANIZZAZIONE LAV + SINGOLO DDL = contratto collettivo aziendale
1) CORPORATIVO: in epoca fascista, poi abolito con la caduta del fascismo e con l’avvento della
Costituzione, erano contratti con efficacia ERGA OMNES (nel sopprimere le organizzazioni sindacali
fasciste vennero lasciate il vita i contratti corporativi all’epoca vigenti, con possibilità per i contratti
collettivi vi potessero apportare modifiche… cosa che poi è ovviamente avvenuta).
2) COSTITUZIONALE: per sostituire i contratti corporativi la Costituzione diede vita a nuovi contratti
collettivi, sempre con efficacia ERGA OMNES, che sarebbero dovuti esser stipulati da apposite
delegazioni costituite dai sindacati registrati presso pubblici uffici, e rappresentati in proporzione ai
rispettivi iscritti. TALE NORMA NON FU MAI ATTUATA dal legislatore, poiché i sindacati temevano
che ciò comportasse limitazioni alla propria libertà. Ecco perché non è mai diventato operativo!
3) DI DIRITTO COMUNE: si chiamano così perché basati sulle regole comuni a tutti gli altri contratti
disciplinati dal codice civile, e non da norme speciali.
4) RECEPITI IN DECRETO: contratti recepiti dei decreti legislativi (es. Legge Vigorelli). Fu obbiettato che
in questo modo veniva data efficacia generale ai contratti con un meccanismo che non era quello
previsto dalla Costituzione. Così infatti decise la Corte Costituzionale.
Fu così che ai giorni nostri l’unico contratto conosciuto dal nostro ordinamento è quello DI DIRITTO
COMUNE, ma con il problema dell’efficacia, che non si può ricondurre all’ERGA OMNES delle altre tre figure
di contratto collettive…
LAVORATORE: il contratto collettivo nazionale di categoria (es. metalmeccanici) sarà applicato ai soggetti
firmatari e ai soggetti rappresentati dai soggetti firmatari.
DDL: il contratto collettivo nazionale di categoria produce effetti SOLO nei confronti dei soggetti firmatari, e
sui DDL iscritti nella associazione datoriale.
3. Nel Pubblico Impiego: esiste una disciplina che individua entrambe le parti della contrattazione
collettiva, e ne definisce le procedure.
a. Per la PARTE DATORIALE si ha l’A.R.A.N. (agenzia di rappresentanza delle pubbliche
amministrazioni), senza la possibilità, quindi, per le P.A. di poter decidere se farsi
rappresentare oppure no dall’ARAN.
b. Per la PARTE SINDACALE la legge ha stabilito il criterio sulla rappresentatività già spiegato in
precedenza (5% etc). L’accordo può firmarsi SOLO quando vi sia il consenso del 51% dei
sindacati che hano partecipato al tavolo delle trattative. Il 51% è IL DATO MEDIO TRA IL
DATO ELETTORALE E IL DATO ASSOCIATIVO.
c. EFFICACIA: l’obbligatorietà per la P.A. di essere rappresentata dall’ARAN, fa si che abbia
EFFCACIA GENERALIZZATA. Tale controllo, che non esiste nel privato, è giustificato per il
CONTROLLO DELLA SPESA PUBBLICA.
Art. 2113 c.c.(rinunce e transazioni): impedisce le deroghe IN PEIUS, ma se dovessero esistere dette
deroghe, le stesse si dovrebbero impugnare entro 6 mesi, a pena di decadenza. In parole povere, se
non impugnate, eventuali deroghe in peius sarebbero valide!
La dottrina ha ritenuto che l’art. 2113 c.c. dia conferma della vigenza dell’art. 2077 c.c. Rimane, però, il
problema applicativo dell’art. 2077 c.c. riguarda la comparazione tra contratto collettivo e contratto
individuale, al fine di stabilire quali parti siano più favorevoli al lavoratore: a riguardo si sono sviluppate due
teorie:
1. CRITERIO DEL CUMULO: secondo cui la risultante sarebbe l’insieme di TUTTE LE CLAUSOLE più
favorevoli al lavoratore (quindi potendo attingere per lo stesso istituto le migliori clausole dal
contratto individuale e le migliori clausole del contratto collettivo).
2. CRITERIO DEL CONGLOBAMENTO: secondo cui invece la risultante consisterebbe nell’applicazione
dell’ISTITUTO complessivamente favorevole
Delle due teorie, quella che ha avuto maggior applicazione è quella del conglobamento, anche considerando
i problemi che potrebbero sorgere con il criterio del cumulo!
SOLUZIONI AL PROBLEMA:
ACCORDO QUADRO SEPARATO 2009: prevedeva che la contrattazione di secondo livello potesse occuparsi
delle materie a lei delegate dal contratto nazionale o dalla legge, “in materie e istituti che non fossero già
stati negoziati in altri livelli di contrattazione”. Prevedeva inoltre che il contratto aziendale potesse
MODIFICARE gli istituti economici o normativi sulla base di parametri individuati dal contratto collettivo
nazionale (andamento del mercato del lavoro, etc). Inoltre tali accordi (c.d. CLAUSOLE DI USCITA) dovevano
essere preventivamente approvati dalle parti che avevano stipulato i contratti collettivi nazionali della
categoria interessata.
ACCORDO DEL 2011: prevede che il contratto nazionale stabilisca i LIMITE E LE PROCEDURE, anche in via
sperimentale e temporanea, della attività derogatoria della contrattazione aziendale. I contratti aziendali,
conclusi con le RSU d’intesa con le organizzazioni firmatarie dell’accordo interconfederale possono
DEFINIRE INTESE MODIFICATIVE in materia di prestazione lavorativa, l’orario di lavoro, l’organizzazione
del lavoro. Detti accordi hanno efficacia ERGA OMNES in quanto la stessa RSU è stata eletta a suffragio
universale. Non possono quindi esserci contestazioni sull’efficacia dell’accordo (IMPO). Determina anche la
RAPPRESENTATIVITA’ (vedi prima)
CLAUSOLE DI TREGUA: accordi che tendono a limitare o evitare le azioni collettive nei 6 mesi che precedono
il rinnovo del contratto. Però l’accordo del 2011 dice che le clausole di tregua hanno effetto vincolante
SOLO nei confronti delle associazioni sindacali che hanno firmato il contratto collettivo ma NON
VINCOLANO individualmente i singoli lavoratori. Per cui singolarmente il lavoratore potrebbe scioperare!!!
Ma allora l’azione collettiva dello sciopero è riferibile ai singoli lavoratori o alle associazioni sindacali? L’art.
40 Cost. dice che “lo sciopero è un diritto che può essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo
regolano”. Ma quindi è un diritto individuale o collettivo???
DOTTRINA: il diritto di sciopero è un diritto individuale, ma il suo esercizio è collettivo, poiché il fine
è quello di perseguire interessi collettivi. L’astensione di un solo lavoratore non avrebbe detto fine
collettivo!
LO SCIOPERO
È il più tipico mezzo di autotutela degli interessi collettivi dei lavoratori subordinati. È stato considerato in 3
differenti modi lo sciopera, con il susseguirsi degli anni:
LIBERTA’: nel codice Zanardelli non era previsto, ma se attuato non era visto come una libertà
REATO: nel codice Rocco lo sciopero era visto come un reato
DIRITTO: nella Costituzione è invece visto come un diritto.
Dice poi l’art. 40 della Costituzione: “il diritto di sciopero di esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
Nella realtà però queste leggi non sono mai state emanate, eccezion fatta per quelle sullo “sciopero nei
servizi essenziali”.
L. 146/1990: questa legge prevedeva che i contratti collettivi individuassero quei “servizi essenziali” in
modo da evitare che uno sciopero potesse non rispettarli; inoltre l’individuazione delle modalità per
garantire detti servizi essenziali. Inoltre sempre i contratti collettivi dovevano occuparsi per garantire
INTERVALLI MINIMI tra gli scioperi
LIMITI LEGALI: imposti direttamente dalla legge:
- OBBLIGO di comunicare alla Prefettura, alle imprese e alle amministrazioni erogatrici del servizio, la
durata, le modalità e le motivazioni con preavviso minimo di 10 giorni. Questi ultimi devono poi
avvisare l’utenza almeno 5 giorni prima dell’effettuazione dello sciopero. È illegittima la revoca dopo
che sia stata avvisata l’utenza.
- TENTATIVO DI CONCILIAZIONE OBBLIGATORIO (novità della modifica del 2000), secondo cui prima
della proclamazione dello sciopero debba essere ESPERITO UN TENTATIVO secondo le procedure
previste dai contrati collettivi o con la mediazione del Ministro del lavoro, del Prefetto.
SANZIONI: per chi non dovesse rispettare le norme stabilite:
- AI LAVORATORI sanzioni disciplinari dal parte del DDL
- AI SINDACATI che hanno proclamato lo sciopero la sospensione dei permessi sindacali e la
esclusione per 2 mesi dalla contrattazione collettiva, oppure una sanzione amministrativa pecuniaria
deliberata dalla COMMISSIONE DI GARANZIA.
PRECETTAZIONI: il Prefetto può emettere, previo tentativo di conciliazione, una ordinanza motivata almeno
48 ore prima dello sciopero QUALORA CI SIA FONDATO PERICOLO che lo stesso pregiudichi diritti
costituzionalmente garantiti. Con detta ordinanza VIENE IMPOSTA la garanzia delle prestazioni
indispensabili, tenendo conto delle prescrizioni eventualmente proposte dalla commissione di garanzia.
LA COMMISSIONE DI GARANZIA: composta da esperti designati dai presidenti della Camera e del Senato. Il
suo compito è quello di valutare l’idoneità degli accordi sindacali in materia di sciopero collegato al rispetto
dei diritti costituzionalmente tutelati. I criteri suggeriti dalla modifica del 2000 troviamo:
1. le prestazioni indispensabili non possono essere maggiori del 50% di quelle normalmente erogate
2. il presidio non può essere imposto a oltre 1/3 del personale normalmente utilizzato per detto
servizio
Se la commissione valuta un accordo INIDONEO, invita le parti a modificarlo inviando una propria proposta,
sulla quale le parti stesse devono pronunciarsi entro 15 giorni.
LA SERRATA
È il mezzo di lotta dei DDL. Consiste nella sospensione temporanea dell’attività al fine di esercitare
pressione sui lavoratori o sulla pubblica autorità. A differenza dello sciopero, la serrata non è un diritto. Si
attua in opposizione ad uno SCIOPERO ILLEGITTIMO.