Il contratto collettivo è presente nell’impiego privato e nell’impiego pubblico con problematiche legate
all’efficacia della contrattazione collettiva diverse nell’impiego privato e nel settore pubblico.
Il contratto collettivo presuppone un accordo tra gli organismi sindacali, cioè le associazioni sindacali e il
datore di lavoro o gli organismi rappresentativi dello stesso.
Per quanto riguarda i livelli di contrattazione, vi è un livello interconfederale, cioè quello fatto dalle grandi
confederazioni, cioè CGIL, CISL, UIL con Confindustria, Confcommercio ecc. che stipulano accordi
interconfederali come quello separato del 2009, del 2011 firmato da tutte le sigle, del 2017, 2018 ecc., che
servono a fissare delle regole di carattere generale che verranno poi applicate nei contratti successivi, come il
contratto collettivo nazionale di lavoro. Al di sotto di questo vi è il contratto aziendale, il contratto
infraindividuale e il contratto individuale, cioè quello stipulato tra datore di lavoro e lavoratore.
Il contratto collettivo è composto da due parti:
una parte obbligatoria: cioè quella che regola i rapporti tra le parti stipulanti il contratto stesso, quindi i
rapporti tra organizzazioni sindacali e datori di lavoro, prevede delle clausole ad es. quella di tregua sindacale,
quando tra le parti vi sono dei conflitti o ipotesi di raffreddamento delle trattative ecc.
una parte normativa: cioè quella che regola il rapporto di lavoro fissando diritti e obblighi del datore di
lavoro e del lavoratore. Gli istituti, gli obblighi, i poteri, le indennità sono inserite in questa parte.
Il problema si risolve grazie al combinato disposto (cioè una lettura integrata, complementare dei due istituti)
dell’art 36 Cost. e l’art. 2099 c.c.
La giurisprudenza, quindi, per estendere l’ambito di efficacia del contratto dal punto di vista retributivo fa
ricorso all’art. 36 Cost. che è una norma precettiva, cioè immediatamente vincolante, si applica a tutti.
L’ambito di efficacia del contratto viene esteso attraverso il principio della sufficienza retributiva, per cui la
retribuzione sarà sufficiente solo se farà riferimento ai minimi di trattamento retributivo che prevede il
contratto collettivo di categoria. In questo modo, l’efficacia soggettiva del contratto viene estesa ai datori di
lavoro non iscritti, i quali dovranno applicare obbligatoriamente l’art 36 Cost. cioè corrispondere una
retribuzione sufficiente e una retribuzione sufficiente è una retribuzione che non scende mai sotto i minimi
previsti dai contratti collettivi di una categoria.
A questo articolo si aggiunge anche il 2099 c.c., il quale prevede che in assenza di accordo tra datore e
lavoratore deciderà il giudice il quantum di retribuzione da dare, di conseguenza il giudice farà sempre
riferimento alla contrattazione collettiva e ai suoi limiti.
Sia la Costituzione italiana sia il codice civile dunque rinviano al contratto collettivo conferendogli
un’efficacia generalizzata che ai sensi della normativa che non è stata mai attuata dell’art. 39 Cost. non
avrebbe mai avuto.
Un’altra ipotesi che è stata usata per estendere l’ambito di efficacia è stato l’art. 36 dello Statuto dei
Lavoratori secondo il quale per i benefici nella concessione di appalti deve essere inserita la clausola
esplicitata dall’articolo che determina l’obbligo di non scendere mai sotto la soglia del minimo di retribuzione
prevista dal contratto collettivo.
Infine, un’ultima ipotesi è quella della fiscalizzazione degli oneri sociali, secondo la quale chi vuole avere dei
benefici fiscali, contributivi, sulla propria azienda deve dichiarare di applicare il contratto collettivo
Al di là delle ipotesi in cui non ci sia un rinvio legislativo ai contratti collettivi e al di là della più recente
ipotesi dell’art. 8 del Decreto Sacconi, la legge n.148/2011 in cui si è stabilito che il contratto di prossimità
può derogare anche alla legge, l’efficacia soggettiva è una delle questioni più importanti della contrattazione
collettiva nazionale ed è una problematica che viene risolta con il combinato disposto dell’art. 36 Cost e
dell’art. 2099 c.c.
Questa problematica, tuttavia, non si pone all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, nel pubblico impiego,
perché la parte datoriale è rappresentata dall’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale nelle
Pubbliche Amministrazioni), quindi non si può creare un problema di efficacia perché per il datore di lavoro
c’è sempre l’ARAN e una volta che si stipula il contratto esso è valido per tutti.
L’efficacia oggettiva o tipo di efficacia studia l’inderogabilità del contratto collettivo, cioè i rapporti tra
contratto individuale e contratto collettivo nazionale.
La regola è l’inderogabilità unilaterale imperius del contratto collettivo, cioè un contratto individuale non può
derogare in senso peggiorativo un contratto nazionale di categoria. Tuttavia, non vi è un fondamento giuridico
di tale inderogabilità, il fatto che il sindacato non si sia registrato ha portato a delle conseguenze drammatiche
per lo stesso sindacato, l’associazione non riconosciuta che stipula un contratto fa si che quel contratto valga
solo tra gli stipulanti, quindi il datore di lavoro e il lavoratore non si dovrebbero ritenere vincolati da un
principio di inderogabilità imperius. Giuridicamente un contratto tra due soggetti ha lo stesso valore, la stessa
efficacia, di un contratto tra organizzazioni sindacali.
Per questo motivo si sono cercati degli appigli normativi per capire come e perché il contratto collettivo sia
revocabile e si è scelto l’istituto del mandato in favore di terzi dicendo che si configurerebbe come
irrevocabile. Tuttavia, il mandato è irrevocabile a meno che non ricorra giusta causa quindi questa prima
ipotesi non è ammissibile.
Si inizia dunque a fare riferimento ad una serie di dottrine, e Santoro Passarelli propose di utilizzare due
teorie: la sovra-ordinazione del potere sindacale e la teoria della dismissione dei diritti individuali.
La prima teoria potrebbe aiutare a fondare l’inderogabilità del contratto collettivo in quanto il potere sindacale
è sovraordinato al singolo, quindi, presuppone una maggiore forza di quei lavoratori che sono riuniti e
rappresentati sindacalmente rispetto a quelli non rappresentati. Questa teoria però è stata contestata e rimane
inidonea a fondare l’inderogabilità perché è più un concetto sociologico che giuridico.
Per quanto riguarda la seconda teoria, si è detto che sostanzialmente quando ci si rivolge ad un sindacato ci si
rivolge a dei rappresentati sindacali dismettendo un po’ i propri diritti e facendosi rappresentare dal sindacato;
questa natura che caratterizza le organizzazioni sindacali, cioè di destinatari di rappresentanti di diritti, di
interessi individuali, giustificherebbe l’inderogabilità del contratto collettivo da parte dei contratti individuali,
ma anche questa teoria è stata contestata.
Alcuni hanno fatto notare che nel nostro ordinamento sono presenti in realtà delle norme che risolverebbero il
problema.
Inizialmente si è fatto riferimento all’art.2077 c.c., norma che però è stata ritenuta inapplicabile al sistema
attuale di contratto collettivo di diritto comune perché si tratta di una norma nata nel periodo post-corporativo
e si riferisce al tipo di contratto nato in quel periodo (il nostro contratto collettivo attuale si chiama di diritto
comune perché si applica la disciplina comune privatistica applicabile a tutti i contratti, per distinguerlo dai
contratti corporativi del periodo fascista)
L’art. 2077 c.c. afferma infatti che i contratti individuali devono uniformarsi a quelli collettivi. Nel caso in cui
non lo facciano, le clausole difformi saranno ritenute nulle e sostituite con norme del contratto collettivo,
quindi di fatto il contratto collettivo sarebbe inderogabile. Tuttavia, questa norma era applicabile al contratto
collettivo corporativo, cioè quello che aveva una forza di legge incredibile anche a livello di fonte, ma non ad
un contratto collettivo di diritto comune, frutto dell’art. 39 Cost.
Infine, si arriva ad una soluzione con l’art. 2113 c.c., norma che fonda l'inderogabilità del contratto collettivo
da parte del contratto individuale. Secondo quest’articolo le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto
dei diritti del prestatore di lavoro contenuti in legge o in contratti collettivi non sono valide.
Questa norma che assimila la legge al contratto collettivo ai fini della rinunzia ad un diritto. Se il lavoratore
rinuncia ad un suo diritto, sia che questo sia contenuto o disciplinato in una legge sia che sia riconosciuto in
un contratto collettivo, la sua rinuncia sarà comunque invalida, prevede la stessa sanzione dell’annullabilità
sia che il diritto rinunciato sia disciplinato in legge sia che venga disciplinato in un contratto collettivo.
L’art. 2113 c.c. assimila la legge al contratto collettivo e permette di fondare giuridicamente l’inderogabilità
imperius del contratto collettivo.
La rinuncia è un atto unilaterale recettizio cioè produce effetti nel momento in cui viene a conoscenza del
destinatario mentre la transazione è un accordo con cui le parti facendosi reciproche concessioni o fanno
terminare una lite già sorta o evitano che ne sorga una nuova.
Rapporto tra contratto nazionale e contratto aziendale e rapporto tra contratti di diverso livello
Per quanto riguarda il rapporto tra contratto nazionale e il contratto aziendale sono stati utilizzati diversi
criteri: il criterio della posteriorità nel tempo (lex posterior derogat priori), il criterio di specialità (quale
contratto riguarda quella materia specifica), e il criterio gerarchico.
Inoltre, questi criteri dovrebbero valere anche in casi di rapporti tra contratti collettivi di diverso livello.
Sono poi state utilizzate altre due teorie, cioè quella del mandato discendente e ascendente.
La prima teoria si fonda sull’inderogabilità imperius del contratto superiore, che è quello di categoria, da parte
di quello inferiore che è quello aziendale; il contratto superiore non può essere derogato in peggio da quello
inferiore. Si tratta di una cosa diversa rispetto all’efficacia oggettiva che riguarda il rapporto tra contratti
individuali di lavoro e contratti nazionali, il contratto individuale viene stipulato tra datore di lavoro e
lavoratore, non vi è un sindacato. In questo caso invece si tratta di rapporti tra contratti fatti comunque da
sindacati: uno in azienda e uno a livello nazionale.
Nella seconda teoria si parlerebbe invece di derogabilità imperius del contratto di categoria da parte del
contratto aziendale (quindi il contratto aziendale potrebbe derogare imperius) e inderogabilità del secondo da
parte del primo. Questa teoria è meno considerata perché è uno schema privatistico della rappresentanza e non
è adattabile al sistema.
La teoria prevalente è quindi quella del mandato discendente sebbene i criteri della posteriorità, specialità e
gerarchico continuano ad essere utilizzati maggiormente.
Rapporti tra legge e contratto collettivo e rapporto tra contratti collettivi di categoria applicabili
Quando la stessa fattispecie è regolamentata da una disposizione di legge di un contratto collettivo o da due
contratti collettivi eventualmente applicabili entrambi si applicano alcuni criteri: il criterio del cumulo nei
rapporti tra legge e contratto collettivo, cioè si prendono le clausole contenute in legge e quelle contenute nel
contratto collettivo più favorevoli per il lavoratore e si cumulano, si applicano, cioè si ritiene che vadano
cumulate le clausole più favorevoli che contiene la legge e il contratto collettivo verso quella categoria
professionale; e il criterio del conglobamento, che riguarda i rapporti tra contratti collettivi, e si chiama
conglobamento perché normalmente nella parte normativa dei contratti collettivi gli istituti non sono
disciplinati per clausole ma per blocchi (es. la retribuzione, i licenziamenti, i trasferimenti ecc), si tratta di
istituti che non sono inscindibili tra di loro, quindi bisogna considerare complessivamente, nella globalità,
quale istituto si presenti più favorevole e applicabile al rapporto di lavoro concreto.