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CAPITOLO 9: La retribuzione nel rapporto di lavoro: fonti, nozioni e struttura.

1. Fonti individuali e collettive:

La retribuzione ai sensi degli artt. 2094 e 2099 cc è la prestazione fondamentale del datore nei
confronti del lavoratore.

→ L’obbligo retributivo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore connota così il contratto
di lavoro come contratto a titolo oneroso o a prestazioni corrispettive.

La retribuzione è in concreto stabilita ai sensi dell’art. 2099 cc:

 Dalla contrattazione collettiva: che costituisce la fonte preminente in materia e che


assicura la retribuzione minima ai lavoratori meno qualificati, è inderogabile in peius, ma è
suscettibile di modifiche migliorative da parte del contratto individuale (c.d. superminimi);

 Dall’accordo tra le parti: che opera soprattutto nell’ipotesi in cui manchino contratti
collettivi che stabiliscano la misura della retribuzione.
Alla contrattazione individuale spetta un ruolo di miglioramento degli standards retributivi
stabiliti in sede collettiva;

 Dalla giurisprudenza: in caso di mancata determinazione collettiva o negoziale.


Essa ha avuto, inoltre, un ruolo di fondamentale importanza in materia di retribuzione
proporzionata e sufficiente.

2. Corrispettività e principi costituzionali: sufficienza e proporzionalità. Il concetto


giurisprudenziale di retribuzione minima. Il salario minimo legale nella L. 10 Dic. 2014, n.183.

Il rapporto di lavoro si configura dal punto di vista civilistico come:

 Un rapporto oneroso: in virtù dell’obbligo retributivo del datore di lavoro → tale requisito
esclude la possibilità di inquadrare in contratti di lavoro gli apporti lavorativi caratterizzati
dalla gratuità;

 Un rapporto di scambio od a prestazioni corrispettive: in quanto la prestazione del datore di


lavoro è correlata all’esecuzione della prestazione lavorativa da parte del dipendente.

Alla retribuzione viene, dunque, attribuito il carattere della corrispettività, in quanto l’obbligo del
datore di corrispondere la retribuzione è correlato all’obbligo, assunto dal dipendente, di prestare la
propria opera. Tale principio di corrispettività, valevole per la disciplina generale dei contratti di
scambio, non ha vigenza assoluta per il contratto di lavoro, in quanto esso è attenuato dalla
sussistenza del principio del favor prestatoris che, in determinate ipotesi tassativamente previste
dall’ordinamento, fa sì che il datore di lavoro sia tenuto al pagamento della retribuzione anche in
assenza di prestazione lavorativa.
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Il lavoratore non perde la retribuzione ad es. nel caso di malattia; in quest’ipotesi, anche se la
prestazione lavorativa non viene erogata a causa della sospensione per malattia, opera, in ragione
della particolare debolezza del lavoratore e del favor dell’ordinamento nei suoi confronti, una
traslazione del rischio a carico del datore, che resta gravato dell’obbligo retributivo.
Il fondamento della deroga al principio di corrispettività si riscontra nella funzione sociale
riconosciuta alla retribuzione dalla Costituzione (art. 36), quale mezzo di sostentamento per
un’esistenza libera e dignitosa.
La corrispettività rimane, cmq, la regola e la retribuzione resta sempre collegata sul piano causale
all’esistenza dell’obbligazione di lavoro salvo ipotesi determinate (quali malattie, infortunio,
richiamo alle armi) in cui il principio della corrispettività dev’essere attenuato in relazione ad
esigenze sociali costituzionalmente riconosciute.

La retribuzione non solo caratterizza il contratto di lavoro come contratto di scambio o a prestazioni
corrispettive, ma costituisce anche la prestazione corrispettiva a quella lavorativa.
Nel contratto di lavoro la corrispettività si presenta in un modo del tutto peculiare: le particolarità
sono connesse al carattere personale della prestazione lavorativa e al coinvolgimento durevole del
lavoratore nell'organizzazione produttiva.
Tali peculiarità riconoscono alla retribuzione non solo una funzione corrispettiva, ma anche una
funzione retributiva e sociale, legata alle necessità fondamentali del lavoratore per il mantenimento
di una vita libera e dignitosa ex art. 36 Cost.

Il nesso di corrispettività fra le prestazioni subisce alterazioni significative, ma tassativamente


previste, in una serie di casi di sospensione del rapporto di lavoro, per motivi soprattutto legati alla
persona del lavoratore come ad es. la malattia, l’infortunio, la gravidanza o il puerperio, il richiamo
alle armi, l’assemblea, i permessi sindacali: in questi casi la disciplina legale o contrattuale impone
al datore di lavoro di adempiere, in tutto o in parte, all'obbligo retributivo nonostante l'assenza di
controprestazione, contrariamente alla regola dei contratti sinallagmatici.
Un analogo allentamento dal nesso di corrispettività si riscontra in una serie di istituti retributivi
c.d. “differiti” come ad es. la gratifica natalizia, la 13° e 14° mensilità ecc. che compensano la
prestazione complessiva fornita nell’anno o nell’intero rapporto senza un riferimento al lavoro
effettivamente svolto: tant’è che maturano in relazione agli stessi periodi protetti di sospensione del
rapporto di lavoro.
La determinazione quantitativa della retribuzione risulta soprattutto dalla contrattazione
collettiva ma anche la Costituzione contiene delle norme a riguardo.
La norma di riferimento è l’art. 36 Cost. secondo cui il lavoratore ha diritto a una “retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e
alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”

La norma individua nella proporzionalità e nella sufficienza i requisiti essenziali della retribuzione
in virtù dei quali:

 La retribuzione dev’essere determinata secondo un criterio di equivalenza alla quantità e


qualità del lavoro prestato, tenendo, dunque, presenti tutti gli elementi della prestazione
(orario, tipo di mansioni ecc.) → c.d. principio della proporzionalità;

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 È sancita, inoltre, una misura minima di livello retributivo idonea ad assicurare non solo al
lavoratore, ma anche alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa:
→ libera, nel senso di salvaguardare l’esigenza di non essere oppressi dal bisogno
economico;
→ dignitosa, nel senso di godere di un tenore di vita decoroso.
→c.d. principio della sussistenza.

Come si può notare non c’è alcuna omogeneità fra i 2 principi sanciti dall’art. 36 Cost, in quanto:

 La “sufficienza” impone di considerare elementi esterni al sinallagma contrattuale, cioè


l’adeguatezza della retribuzione rispetto alle condizioni soggettive del lavoratore e della sua
famiglia;

 La “proporzionalità” è interna al rapporto in quanto esplica l'equivalenza oggettiva dello


scambio tra lavoro e retribuzione.

→ La giurisprudenza ha risolto quest’antinomia ritenendo rispettato il canone di sufficienza solo


se lo fosse quello di proporzionalità.

Il giudice, infatti, si limita a verificare se la retribuzione è proporzionata alla qualità e quantità del
lavoro prestato e non controlla se la retribuzione corrisposta al lavoratore sia anche idonea a
garantire in concreto a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

→ La giurisprudenza ha così estrapolato dall'art. 36 il principio unitario di “retribuzione minima”.

Per quanto riguarda la vincolatività dei principi di proporzionalità e sufficienza, la giurisprudenza


e la dottrina attribuiscono all’art. 36 Cost. natura immediatamente precettiva, per cui la norma è
direttamente vincolante nei confronti dell’autonomia privata, e ogni patto che non attribuisce al
lavoratore una giusta retribuzione, secondo quanto previsto dalla norma costituzionale, è invalido.

→ Il giudice, dunque, può sindacare se la retribuzione spettante al lavoratore sia conforme al testo
costituzionale.

Ma quale livello retributivo può ritenersi conforme ai canoni dell’art. 36 Cost.?


I giudici hanno fatto costante riferimento alla retribuzione base (i c.d. minimi tabellari) prevista dai
contratti collettivi di categoria o di settore produttivo; le retribuzioni così individuate, ossia,
individuate in base alle tabelle fissate nei contratti nazionali di categoria o di settore costituiscono il
livello minimo vincolante per tutti i rapporti di lavoro di quella determinata categoria o di quel
determinato settore. Il riferimento ai contratti collettivi fa sì che sufficienza e proporzionalità non
rivestano un ruolo assoluto ed uniforme per tutti i lavoratori, ma varino in funzione della categoria e
del settore produttivo del singolo.
Le tabelle dei contratti collettivi costituiscono, secondo la giurisprudenza, solo un parametro di
riferimento, non necessario e da cui il giudice si può discostare con adeguata motivazione, anche
applicando il contratto di un settore merceologico diverso.

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I giudici, inoltre, si sono riservati anche il potere di controllare in assoluto l’adeguatezza delle
tabelle contrattuali collettive rispetto al parametro costituzionale.
Non essendoci una riserva esclusiva a favore della contrattazione collettiva in materia salariale,
un intervento del legislatore che introducesse il salario minimo sarebbe: 
 non solo conforme all’articolo 36 Cost. 
 Ma anche il principio di sufficienza.
Ciò tuttavia finora non è avvenuto il salario minimo è garantito dalla contrattazione collettiva, E
più precisamente dall’applicazione indiretta dei contratti collettivi
  di categoria 
 di settore produttivo
Che hanno colmato solo in parte la lacuna rappresentato dalla mancanza di contratti collettivi erga
omnes. Secondo la giurisprudenza ai fini della determinazione della giusta retribuzione costituisce
un parametro di riferimento il contratto di categoria non applicabile nella specie.
I giudici ritengono che poiché i contratti collettivi sono vincolanti solo nei confronti di soggetti
aderenti alle organizzazioni sindacali stipulanti e non essendo esclusa la possibilità che nello
stesso tempo possono essere in vigore anche più contratti collettivi per lo stesso settore, i
minimi tabellari non posso essere sic et simplicer assunti dal giudice come parametro di
riferimento per la retribuzione proporzionata è sufficiente, altrimenti si finirebbe con l’attribuire
alla CC un’ efficacia erga omnes che non le è propria.
I giudici prendono i minimi tabellari come parametri non vincolanti pertanto l’adeguamento della
retribuzione con tale parametro non deve tradursi in una mera trasposizione delle clausole della
contrattazione collettiva poiché non si tratta di realizzare un principio di parità di trattamento ma di
adeguare la retribuzione inferiore a quella della categoria equiparabile.
Il giudice può pertanto discostarsi dalle previsioni del contratto collettivo: ciò significa che tiene
conto in linea di massima dei minimi tabellari ma non necessariamente dell’eventuale voci
accessorie; potrà inoltre tener conto di fattori come le condizioni di mercato, le dimensioni
dell’impresa per giustificare una retribuzione inferiore ai minimi salariali previste contratto
collettivo.

Tuttavia i giudici, pur non essendo effettivamente vincolanti quei parametri tabellari, in realtà
‘liberamente’ si rifanno agli stessi, di fatto conferendogli una validità erga omnes, pur se
formalmente non ce l’hanno.
Cioè, anche se le parti non appartengono alle sigle sindacali che hanno sottoscritto il contratto
collettivo, in sede giudiziaria il giudice liquiderà le spettanze economiche, orientando la loro
determinazione in base ‘liberamente’ ai criteri degli accordi collettivi.

Salario minimo e differenziazioni su base territoriale:

Attraverso l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 36 Cost. si è giunti al riconoscimento di un


salario minimo garantito. La giurisprudenza, infatti, nell’assicurare la retribuzione di base
nell’intero paese, è andata oltre l’esperienza delle c.d. gabbie salariali, che nei primi anni ’50 del
secolo scorso aveva permesso la fissazione di livelli retributivi inferiori nel Mezzogiorno, rispetto al
resto dell’Italia.

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Nonostante siano numerosi i dubbi circa la compatibilità costituzionale di politiche salariali
differenziate per aree geografiche, il dibattito in relazione a ciò risulta essere ancora aperto.
Oggi il T.U. sulla rappresentanza sindacale pare contenere un esplicito veto alle differenziazioni
territoriali.
Va ricordata, però, anche l’esperienza dei c.d. contratti di riallineamento ed emersione con cui il
legislatore al fine di salvaguardare i livelli occupazionali ed al fine di consentire la regolarizzazione
retributiva e contributiva ha ammesso, per le imprese operanti in aree con tenore di vita
normalmente basso o ad alto tasso di disoccupazione, la possibilità di recepire accordi provinciali
stipulati dalle associazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali che prevedono l’applicazione
di trattamenti retributivi inferiori rispetto a quello previsti in sede nazionale, quale contropartita
per il progressivo riavvicinamento triennale dell’impresa ai livelli retributivi generali.

Se il contratto individuale non rispetta i canoni di sufficienza e proporzionalità, la relativa


pattuizione si deve ritenere nulla per violazione di norma imperativa. Anzi, secondo i principi
sulla nullità parziale, la nullità di una clausola essenziale dovrebbe rendere nullo l'intero contratto.
Secondo la Giurisprudenza di fondamentale importanza in quest’ambito è l'art. 2099 cc., che
stabilisce che, in mancanza di norme di contratti collettivi o di accordi individuali tra le parti, la
retribuzione è determinata dal giudice.
Tale argomentazione ha suscitato numerose critiche in dottrina, perché il giudice non interverrebbe
in assenza di una definizione consensuale della retribuzione, ma in presenza di un'esplicita
determinazione dell’autonomia individuale, per quanto difforme dai contratti collettivi e, quindi,
nulla per contrasto con l'art. 36 Cost.
Il procedimento seguito dalla giurisprudenza, in realtà, può giustificarsi richiamandosi agli artt.
1419 e 1339 cc., secondo i quali, a fronte di un regolamento contrattuale difforme, il rimedio
previsto dall’ordinamento non è quello della nullità totale del contratto, che lascerebbe la parte
debole senza alcun risultato utile, ma quello per cui la retribuzione individualmente concordata è
sostituita dalla retribuzione minima legale risultante dall'art.36 Cost. che ha appunto carattere di
norma impositiva, sia pur generica, del corrispettivo minimo del lavoro.

→ Si tratta, però, approccio quest’ultimo non condiviso dalla giurisprudenza dominante che
continua a fondarsi su art. 2099 cc.

Si è così giunti al canone giurisprudenziale di “retribuzione minima” ormai consolidato e divenuto


di generale applicazione.

ATTENZIONE: come già sostenuto i principi di proporzionalità e sufficienza non solo risultano
essere di fondamentale importanza ai fini della determinazione della retribuzione, ma sono di
fondamentale importanza anche in vista dell’introduzione nel nostro ordinamento di un salario
minimo legale.
A tal proposito, un primo tentativo è stato recentemente compiuto mediante l’inserimento nella L.
183/2014 di un’apposita delega, che però non è stata esercitata dal Governo nel termine
semestrale previsto. La delega prevedeva l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale,
del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro

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subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non
regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

3. Non discriminazione e parità retributiva.

Altri due principi costituzionali di fondamentale importanza in tema di retribuzione sono:

 Il principio di non discriminazione → che si caratterizza in negativo perchè vieta


trattamenti differenziati per motivi di sesso fra lavoratori e lavoratrici e per motivi di età fra
adulti e minori;

 Il principio di uguaglianza → che si caratterizza in positivo in quanto comporta la


parificazione di trattamento dei lavoratori che ricoprano la stessa posizione professionale.
Secondo l'opinione prevalente nel nostro ordinamento non esisterebbe un principio di
uguaglianza generale nei rapporti di lavoro e quindi non sarebbe applicabile né l'art. 3 Cost.
che opera solamente nei rapporti col potere pubblico, né le clausole generali di buona fede e
correttezza contrattuale.
La giurisprudenza ordinaria ha ribadito che il principio di proporzionalità ex art. 36 Cost.
attiene all'equilibrio tra le prestazioni del singolo rapporto di lavoro e non implica un
rapporto “orizzontale” di parità tra retribuzione di diversi lavoratori in situazioni
analoghe; un lavoratore quindi non può chiedere retribuzione maggiore solo perché altri
lavoratori con qualifiche o mansioni analoghe godono di un trattamento più favorevole.
Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale con la sent. n. 103/1989; tale
pronuncia, nel rigettare la questione di costituzionalità proposta riguardo alle norme
civilistiche che riconoscono al datore di lavoro la libertà di inquadrare e retribuire i
lavoratori anche diversamente a parità di mansioni, si ricollega all’applicazione della
normativa legale e internazionale la cui applicazione garantirebbe il diritto ad un’eguale
retribuzione a parità di mansioni.
Le conclusioni della Corte Costituzionale in ordine alla sussistenza di un diritto all’eguale
retribuzione a parità di mansioni non sono, tuttavia, espresse in modo chiaro; infatti essa
contestualmente afferma che “sono tollerabili e possibili disparità di trattamento” per i
lavoratori in posizione di identico valore qualora simili differenziazioni risultino
“giustificate e comunque ragionevoli”.
Nonostante i primi riconoscimenti da parte della Corte di Cassazione di un vero e proprio
principio di parità retributiva, in poco la questione si è nuovamente ricomposta con la
conferma che nel nostro ordinamento tale principio NON sussiste. Gli unici limiti esistenti
sono quelli della garanzia del minimo retributivo e quello della non discriminazione. La
preoccupazione di fondo che emerge dalle posizioni giurisprudenziali e dottrinali contrarie
all’affermazione di un principio di parità di trattamento fra lavoratori è che una sua
applicazione generale ed orizzontale possa comprimere l’autonomia privata individuale nella
determinazione dei trattamenti retributivi e delle condizioni di lavoro. Quindi, il datore di
lavoro, riconosciuta a tutti i lavoratori la garanzia della retribuzione minima, può
legittimamente differenziare le retribuzioni sulla base di proprie personali valutazioni,
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attribuendo trattamenti di miglior favore ad alcuni lavoratori. Nel settore pubblico vige un
sistema peculiare: da un lato si riconosce alla contrattazione collettiva il compito di
determinare il trattamento economico, e dall'altro si impone alle pubbliche amministrazioni
di “garantire parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli
previsti dai rispettivi contratti collettivi”.

4. Il concetto di retribuzione: le definizioni legislative.

Uno dei temi più controversi del rapporto individuale di lavoro è rappresentato dal concetto di
retribuzione. La definizione di retribuzione come principale obbligazione corrispettiva del datore di
lavoro non è, infatti, sufficiente ad identificarne precisamente i connotati. È discusso, anzitutto, se
esista un concetto unitario di retribuzione.
In realtà sussistono una pluralità di definizioni provenienti da diverse fonti legali e contrattuali.
Fra le definizioni legali:

1. Le definizioni generiche contemplate dagli artt. 2094 e 2099 cc;

2. La definizione contemplata dall’art. 2121 cc che dal punto di vista giurisprudenziale è la


più importante. Secondo tale definizione devono essere inclusi nel calcolo tutti i compensi
corrisposti al lavoratore dal datore, comprese le provvigioni, le partecipazioni agli utili ecc.
aventi carattere continuativo, con esclusione delle sole prestazioni erogate a titolo di
rimborso spese;

3. La L. n. 297/1982: ha introdotto una diversa definizione di retribuzione da prendere a base


di calcolo a questi fini: devono essere inclusi tutti i compensi corrisposti in dipendenza del
rapporto e a titolo non occasionale dal datore;

4. Il D. Lgs. 314/1997: afferma che in considerazione vengono “tutte le somme e i valori in


genere, a qualunque titolo percepiti, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al
rapporto di lavoro”.

→ Sussiste, dunque, una tendenziale unificazione della nozione di retribuzione imponibile ai fini
fiscali e previdenziali.

5. La nozione giurisprudenziale onnicomprensiva. Critica.

La giurisprudenza ha elaborato un concetto unitario o onnicomprensivo di retribuzione alla base


del quale si ha l'identificazione di determinati caratteri strutturali propri della retribuzione:
 La determinatezza: per definire la quantità in misura sia fissa sia variabile;
 L’obbligatorietà: che escluderebbe prestazioni eventuali rientranti nella discrezionalità o
liberalità del datore;

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 La corrispettività: non nel senso di corrispondenza con specifiche prestazioni di lavoro, ma
di generica riconducibilità causale al rapporto di lavoro;
 La continuità: come corresponsione ricorrente nel tempo con carattere di regolarità, anche
per compensi non configurati ex ante come stabili, ma erogati di fatto in modo continuativo.

Tali caratteri sono stati utilizzati in modo combinato per ricomprendere nella retribuzione tutti i
compensi erogati dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto, con carattere necessario e
ricorrente nel tempo, con la sola esclusione dei rimborsi spese in senso stretto →
onnicomprensività del concetto.
Gli obiettivi della determinazione di tali indici sono:

 Stabilire se certe prestazioni del datore, qualificate a vario titolo come gratifiche liberali o
prestazioni assistenziali, debbano ritenersi ricomprese nell'area della contrattualità e quindi
dovute a titolo retributivo e non modificabili dal datore nel “se” e nel “quanto”. Da questo
punto di vista il concetto onnicomprensivo di retribuzione veniva utilizzato sul piano
dell’individuazione della stessa obbligazione retributiva → c.d. retribuzione-corrispettivo;

 Utilizzare il concetto di onnicomprensività nell'ambito di istituti che hanno la retribuzione


come base di calcolo. È il caso delle indennità di fine rapporto e dei contributi
previdenziali, della retribuzione festiva e feriale, degli elementi differiti della retribuzione
(13-14esima), delle maggiorazioni dovute per il lavoro straordinario e per il cottimo. Da
questo punto di vista il concetto onnicomprensivo di retribuzione serviva ad individuare la
base da prendere in considerazione per il calcolo dei diversi istituti. → c.d. retribuzione-
parametro.

→ L’elaborazione del principio di onnicomprensività ha ampliato notevolmente la


nozione di retribuzione.

Una cosa è ritenere ad es. che una determinata indennità è retribuiva, nel senso che non è
discrezionale, ma è dovuta dal datore o nel senso che dev’essere assoggettata a contributi
previdenziali, altro è sostenere che per questo motivo va calcolata sulla base di una serie di istituti
costruiti su una variabile base di calcolo retributiva.

→ Proprio tenendo conto di queste implicazioni, la tendenza giurisprudenziale è stata oggetto di


critiche sempre più diffuse che l’hanno successivamente condotta a disconoscere la sussistenza
di un concetto legale unitario di retribuzione.

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onnicomprensività non costituisce un principio


dell'ordinamento e che la determinazione dell’ammontare della retribuzione si risolve in un
problema interpretativo delle formule utilizzate dal legislatore o delle clausole dei contratti
collettivi. Una parte della dottrina e una parte della giurisprudenza ritengono ragionevole e
conforme all’ordinamento conservare all’onnicomprensività almeno il valore di regola residuale,
per risolvere casi dubbi, tuttavia la legislazione ha sostenuto l’orientamento giurisprudenziale che
nega l’esistenza di un principio di onnicomprensività della retribuzione, per cui il compito di

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determinare il calcolo e il ricalcolo delle retribuzioni sui diversi istituti retributivi diretti ed
indiretti è assegnato alla contrattazione collettiva, col riconoscimento peraltro alle parti della
possibilità di prevedere che gli elementi retributivi concordati siano comprensivi dell'incidenza
sugli stessi.

6. Le 7 Caratteristiche in positivo della retribuzione.

1. PROPORZIONALITÀ → art. 36. 1, Cost:

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Secondo l’art. 36.1 Cost.: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro...”.

 La quantità: riguarda l’entità dell’impegno lavorativo, misurato con riferimento al


periodo di tempo in cui si attua la disponibilità del lavoratore alla prestazione lavorativa
e/o in relazione al risultato raggiunto o ai prodotti e ai frutti della gestione aziendale;

 La qualità: attiene alla capacità e alla competenza professionale che il lavoratore deve
possedere ed applicare per l’esecuzione della prestazione nel tempo e secondo le
modalità dovute. Il rapporto tra retribuzione e “qualità” emerge, innanzitutto, dalla
disciplina dei contratti collettivi nazionali di lavoro (ccnl), i quali, ad. es., prevedono
retribuzioni più alte per le qualifiche più elevate.

2. SUFFICIENZA → art. 36.1, Cost:

L’art. 36.1, Cost. dispone, inoltre, che: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione ... in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e a alla sua famiglia un’esistenza libera e
dignitosa”. Il principio di sufficienza richiede un livello retributivo non solo correlato al
minimo vitale, ma tale da permettere al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e
dignitosa, cioè un tenore di vita socialmente adeguato, secondo il contesto storico ed
ambientale.

Estensione erga omnes dei minimi retributivi.

 Precettività: l’art. 36.1, Cost. è una norma precettiva, cioè immediatamente azionabile
(di fronte al giudice);
 Retribuzione insufficiente e giudice: il lavoratore che ritenga di non percepire una
retribuzione sufficiente può ricorrere al giudice, sostenendo di ricevere una retribuzione
insufficiente;
 Quantificazione: In tal caso, il giudice:
a) dichiarerà la nullità della clausola retributiva del contratto individuale;
b) potrà (ai sensi dell’art. 2099 cc) quantificare la retribuzione secondo i principi di
proporzionalità ed adeguatezza;
c) per determinare la “giusta retribuzione” farà rinvio ai minimi previsti dal ccnl relativo
al settore (ad es. chimico) al quale appartiene il lavoratore interessato (giurisprudenza
consolidata), anche se il datore di lavoro non è vincolato da tale contratto collettivo.

Come noto, infatti, la determinazione della retribuzione sufficiente è affidata alla


contrattazione collettiva (nazionale o aziendale), che fissa la misura della retribuzione
minima per le diverse qualifiche professionali dei diversi settori produttivi.

3. DETERMINABILITÀ → art. 1346 cc:

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L’oggetto del contratto deve essere lecito, possibile, determinato e determinabile (ex art.
1346 cc). Perciò, è possibile includere nella retribuzione anche erogazioni di cui non sia
predeterminato l’importo, purché vi siano i criteri per calcolarlo (ad. es.: premi di
produttività; partecipazione agli utili; provvigioni).

4. ASSORBIBILITÀ:

Superminimo collettivo e individuale:


Nel passaggio a mansioni superiori, il c.d. superminimo collettivo (maggiorazione della
retribuzione erogata, ad es., ad una squadra di lavoratori) si ritiene assorbibile, nel senso che
la maggiore retribuzione connessa alla mansione superiore assorbe il precedente aumento.
Diversamente avviene, nel caso di superminimo individuale, ossia di aumento individuale di
merito concesso intuitu personae, cioè in considerazione delle qualità personali del
dipendente.
Ad es., nell’ipotesi in cui tutti i lavoratori del III livello ricevono un aumento (superminimo
collettivo) di 100 €, se Tizio viene promosso ad una mansione superiore che comporta 120 €
di aumento, gli verranno “assorbiti” i 100 € e guadagnerà solo 20 € di più. Ma se i 100 € di
aumento erano stati corrisposti individualmente a Tizio per i suoi meriti personali (c.d.
superminimo individuale), egli “se li porterà dietro” nella mansione superiore.
Ciò significa che guadagnerà 120 € + 100 €del superminimo individuale.

5. DECURTABILITA’ → art. 2103.6 cc.

→ È ammessa la modifica peggiorativa della retribuzione nell’ipotesi di adibizione del


lavoratore, “consensuale” e con modalità garantite, a mansioni inferiori.

L’art. 2103.6 cc dispone infatti che: “presso le sedi di cui all'articolo 2113 cc (n.d.r.: ad es,
davanti al giudice o con l’assistenza del sindacato), od avanti alle commissioni di
certificazione, possono essere stipulati accordi individuali (n.d.r.: quindi con il consenso del
lavoratore) di modifica”:
1) delle mansioni;
2) della categoria legale;
3) del livello di inquadramento;
4) e della relativa retribuzione.
“Nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una
diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.” In tali ipotesi, “Il
lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”.

6. AUMENTABILITA’ → art. 2103.7 cc:

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In caso di promozione temporanea e definitiva, il lavoratore ha diritto alla retribuzione
corrispondente. In particolare, in base all’art. 2103.7 cc: “Nel caso di assegnazione a
mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta
e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima
non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il
periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.”

7. EFFETTIVITÀ:

La retribuzione è comunque dovuta al lavoratore che abbia prestato la propria opera


anche se il contratto è invalido. In particolare, l’art. 2126 cc. stabilisce due principi
fondamentali:
1. Se il lavoro è prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di
lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione → ad es. bambino che lavora
in miniera;

2. La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo
che il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità
dell’oggetto o della causa → ad. es., se il datore di lavoro incarica un dipendente di
rubare un’auto, questi non avrà diritto alla retribuzione per il furto compiuto.

7. Le 4 caratteristiche in negativo della retribuzione.

 ONNICOMPRENSIVITÀ:

Nel nostro ordinamento non esiste un principio generale di onnicomprensività della


retribuzione che imponga di computare tutti o alcuni elementi retributivi nella
determinazione di altri.

→ Nel concetto di “retribuzione” non rientrano automaticamente le maggiorazioni, le


indennità e quant’altro. Queste sono incluse solo in presenza di un’espressa previsione
di legge o di contratto collettivo.
Ad es., se il calcolo della maggiorazione per il lavoro straordinario è pari al 10% della
“retribuzione”: è bene che il ccnl specifichi quali voci si devono calcolare nella retribuzione,
in modo da computare il 10% solo sulla somma indicata (ad es: paga base + scatto di
anzianità + indennità di rischio + rateo di tredicesima mensilità).

 RINUNCIABILITÀ:

Il lavoratore non può rinunciare alla retribuzione, poiché, in base a quanto previsto dall’art.
2113 cc: “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di
lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi
concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono
valide”.

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 NO PARITÀ DI TRATTAMENTO, MA NO DISCRIMINAZIONE:

Nel nostro ordinamento, non esiste un principio di parità di trattamento tra i lavoratori.
Non vi è, cioè, un obbligo per il datore di lavorOodi riconoscere, a parità di qualifica e di
mansioni, lo stesso trattamento economico e normativo ai lavoratori non caratterizzati da
fattori differenziali protetti.
L'art. 3 Cost., infatti, impone l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non anche nei
rapporti interprivati; pertanto, una volta rispettate le norme del contratto collettivo di
lavoro, il datore di lavoro è libero di attribuire in maniera discrezionale dei trattamenti di
favore ai singoli lavoratori.

Il datore di lavoro è comunque tenuto a rispettare il principio di non discriminazione, che


costituisce un vincolo ed un limite di carattere generale al suo potere direttivo, affinché non
ponga in essere atti arbitrari, ingiustificati o puramente discrezionali (ad es. retribuendo un
lavoratore ebreo meno di un cattolico).
L’art. 15 Stat. Lav. prevede, infatti la nullità di qualsiasi “patto” o “atto” diretto “a fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o
basata sull'orientamento sessuale” ovvero motivato dall’affiliazione o attività sindacale del
lavoratore ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

 NO RICONDUCIBILITÀ:

La retribuzione non può essere ridotta nelle seguenti ipotesi:

o ADIBIZIONE “DISCREZIONALE” PER MODIFICHE ORGANIZZATIVE del


lavoratore A MANSIONI DI UN LIVELLO INFERIORE: (ma non di categoria
inferiore). L’art. 2103.2 cc stabilisce, infatti, che: “In caso di modifica degli assetti
organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può
essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore
purché rientranti nella medesima categoria legale.”
In tali ipotesi il dipendente conserva il livello di inquadramento ed il trattamento
retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a
particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (c.d.
indennità estrinseche come le paghe di posto, ad es. indennità rischio rapina per il
cassiere di banca o indennità maneggio denaro);

o ADIBIZIONE “SINDACALE del lavoratore A MANSIONI DI UN LIVELLO


INFERIORE: In particolare, l’art. 2103.4 cc consente ai ccnl anche aziendali
(stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale o dalle rsa o dalle rsu) di prevedere: “ulteriori ipotesi di assegnazione di
mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella
medesima categoria legale...”. Anche in tali casi, il dipendente conserva il livello
di inquadramento ed il trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per
gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della
precedente prestazione lavorativa (c.d. indennità estrinseche come le paghe di
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posto, ad es. indennità rischio rapina per il cassiere di banca o indennità maneggio
denaro);

o LAVORATORE DIVENUTO INABILE: (allo svolgimento delle proprie mansioni


a causa di infortunio, malattia o per l'inadempimento del datore di lavoro delle
norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro) e poi demansionato.
Nell’ipotesi di destinazione a mansioni inferiori esso ha infatti diritto alla
conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di
provenienza;

o GESTANTE: assegnata a mansioni inferiori non pregiudizievoli per propria la


salute.
Il datore di lavoro è obbligato ad adibire le lavoratrici in gestazione, fino a 7 mesi
dopo il parto, a mansioni non pregiudizievoli della salute, anche se tali mansioni
sono inferiori rispetto a quelle di assunzione. In tali ipotesi, la dipendente
conserverà la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte,
nonché la qualifica di assunzione.

8. La struttura della retribuzione.

La retribuzione ha una struttura complessa, in quanto comprende una serie di attribuzioni


patrimoniali che presentano forme, funzioni e denominazioni differenti.
L’art. 2099 cc contempla diverse tipologie retributive, stabilendo che la retribuzione può essere
determinata a:
 Tempo;
 Cottimo;
 Con la partecipazione agli utili od ai prodotti;
 Con provvigione;
 In natura.

Tali sistemi costituiscono metodi per calcolare l’ammontare della retribuzione, a sua volta
determinata dai contratti collettivi o dagli accordi individuali.
Il metodo adottato in modo pressochè esclusivo è quello della “retribuzione a tempo”, in quanto le
altre forme costituiscono compensi parziali o elementi della retribuzione, che mantiene sempre una
parte fissa, determinata a tempo, al fine di garantire al lavoratore un minimo retributivo dovuto per
il semplice fatto di aver prestato la sua attività per un determinato periodo di tempo.
Tale prassi garantisce al lavoratore un compenso minimo in via indipendente dagli esiti della
prestazione, limitando l’incidenza delle voci variabili. Infatti, l’assorbimento dell’intero trattamento
economico da parte di voci retributive variabili è da ritenersi in contrasto con l’art. 36 Cost. che
garantisce una retribuzione sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa.

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9. Le forme ordinarie di retribuzione.

Ai sensi dell’art. 2099 cc rappresentano forme ordinarie di retribuzione:

 La retribuzione a tempo: è la forma retributiva di gran lunga più utilizzata. Essa è


determinata in ragione della durata della prestazione di lavoro (€ per ora, giorno, mese,
anno) ed è l’unica adottata in maniera esclusiva, in modo tale da assorbire per intero il
trattamento economico percepito dal lavoratore.
Nell’ambito della retribuzione a tempo si suole distinguere:
 La retribuzione mensile: denominata “stipendio” e compete ai dirigenti, quadri ed
impiegati;
 La retribuzione oraria: denominata “salario” e viene corrisposta agli operai e a
speciali qualifiche;

 La retribuzione a cottimo: rappresenta l’altro fondamentale sistema di retribuzione previsto


dall’art. 2099 cc. In tale sistema, nella determinazione della retribuzione si tiene conto non
solo del tempo impiegato, ma anche del risultato e della produttività del lavoro conseguiti
e, quindi, del rendimento fornito dal lavoratore (es. numero di scarpe prodotto in un
determinato tempo).
Nella retribuzione a cottimo rileva il rendimento e NON propriamente il risultato, che
può dipendere anche da fattori esterni all’attività del prestatore; questo significa che
ogniqualvolta il risultato venga meno per fattori non attinenti alla prestazione del lavoratore
(ad es. per difettosità della materia prima che rallenta la produzione) resta fermo il diritto
alla retribuzione a cottimo corrispondente al lavoro svolto o che si sarebbe potuto svolgere.

Di regola, come già detto, la retribuzione a cottimo si combina con la retribuzione a tempo
e, in tal caso si parla di cottimo misto, nel quale il cottimo si configura come una
maggiorazione (c.d. percentuale o utile di cottimo) integrativa della retribuzione fissa (c.d.
paga base) calcolata a tempo.
In concreto nel cottimo misto la retribuzione si suddivide nelle seguenti tre fasce:
 Paga base: pari alla retribuzione a tempo;
 Cottimo minimo;
 Cottimo effettivo: che oscilla di volta in volta.

A garanzia del diritto costituzionale ad una retribuzione sufficiente i contratti collettivi


escludono che il cottimo possa costituire l’unica forma di retribuzione → cottimo puro.
Costituisce però un’eccezione la sua applicazione nel lavoro a domicilio, in cui il lavoro non
si svolge nell’impresa e quindi non può essere controllato il tempo impiegato per il suo
svolgimento → in tal caso il cottimo è obbligatorio.
Va segnalato anche:
 Il cottimo collettivo (di squadra o di gruppo): che si caratterizza per essere una
forma particolare di retribuzione del lavoro subordinato legata al rendimento, non
individualmente misurato, ma riferito ad un gruppo di lavoratori organizzato
dall’impresa.

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 Il concottimo: indica il particolare trattamento retributivo riservato ai lavoratori non
cottimisti che, in ragione delle loro mansioni, sono condizionati al ritmo di lavoro dei
cottimisti e perciò partecipano ai benefici del cottimo.

L’art. 2100 cc stabilisce che il lavoratore dev’essere obbligatoriamente retribuito con il


sistema del cottimo quando:
 È vincolato dall’osservanza di un determinato ritmo produttivo (es. catena di
montaggio);
 La valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni
dei tempi di lavorazione.

L’art. 2101 cc stabilisce alcuni principi generali in ordine alle procedure di fissazione
della retribuzione a cottimo con due ordini di limiti:
1. La comunicazione preventiva del datore di lavoro al lavoratore degli elementi
costitutivi della tariffa di cottimo, delle lavorazioni da eseguire ed il compenso
unitario, dei dati finali riguardanti la quantità di lavoro eseguito e il tempo
impiegato;
2. Il datore può modificare tali elementi solo nel caso in cui si siano verificati
mutamenti oggettivi delle condizioni di lavoro. Il nuovo sistema di cottimo diventa
definitivo dopo un periodo di adattamento previsto dai contratti collettivi al fine di
proteggere il lavoratore da alterazioni unilaterali introdotte dal datore di lavoro.

La disciplina del cottimo, ferme le disposizioni degli artt. 2100 e 2101 cc., è quasi
interamente contenuta nella contrattazione collettiva che interviene in tutti gli aspetti
dell’istituto, con funzione di controllo del potere del datore di lavoro, in particolare circa la
fissazione delle tariffe e del minimo garantito di cottimo, la rilevazione dei tempi, la
disciplina delle pause ecc.

Che funzione ha il cottimo?


Nel tempo il cottimo ha visto progressivamente modificata la sua funzione: infatti, esso ha
perso la sua originaria finalità di commisurare il salario al risultato produttivo, per divenire
componente dell’organizzazione del lavoro e porsi, dunque, come strumento di incentivo e
di controllo del rendimento del lavoro.
La funzione del cottimo è quella di adeguare la retribuzione al modo di organizzare la
prestazione lavorativa, con l’effetto che la produttività del lavoro rimase sì a carico del
datore di lavoro, per ciò che concerne l’organizzazione del lavoro, ma viene parzialmente
trasferita al lavoratore per quanto riguarda la quantità della prestazione.
Pertanto, nel cottimo la retribuzione è commisurata alla quantità della prestazione
lavorativa determinata in base all’intensità del lavoro.

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10. Le forme speciali di retribuzione.

Vengono qualificate come speciali le seguenti forme di retribuzione contemplate dall’art. 2099 cc:

 La partecipazione agli utili e al capitale d’impresa: in essa il compenso è legato al


risultato dell’impresa, che viene commisurato in base agli utili netti (non vi è
partecipazione alle perdite) e per le imprese soggette a pubblicazione del bilancio, in base
a quelli risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato. Il lavoratore non può
controllare l’ammontare degli utili da cui dipende il suo compenso, potendosi perciò solo
rifare ai dati forniti dall’impresa, con le garanzie dell’approvazione e della pubblicazione
del bilancio;

 La provvigione: consiste in una percentuale sugli affari conclusi dal lavoratore nei casi in
cui oggetto della prestazione sia la trattazione di affari in nome e per conto del datore di
lavoro (es. commessi della Foot Locker).
La partecipazione ai prodotti è una particolare specie di provvigione, utilizzata
principalmente nel mondo agricolo e nella pesca come retribuzione parziale.
Qui però il prodotto non è l’affare, ma il bene fisico oggetto dell’attività dell’impresa;

 La retribuzione in natura: si sostanzia nella fornitura al lavoratore di determinati beni o


servizi come ad es. vitto e alloggio in cambio della prestazione lavorativa.
Essa ha un rilievo marginale in certe forme di lavoro domestico, agricolo e nel settore della
pesca.
Fu sempre vista con particolare sfavore per le forme di sfruttamento cui dava luogo, in
quanto addossava al lavoratore il rischio della sua trasformazione in denaro.
L’importanza della retribuzione in natura oggi è collegata al riconoscimento dei c.d. fringe
benefits (benefici marginali), come la disponibilità dell'auto aziendale per uso personale,
del telefono cellulare ecc., spesso costituenti parte importante del trattamento economico
complessivo;

 La retribuzione differita: in essa si fanno rientrare tutti quegli emolumenti come ad es. la
13-14esima che maturano nel corso del rapporto di lavoro, ma vengono erogati in un
momento successivo;

 Finalità partecipative possono essere perseguite anche attraverso la distribuzione di azioni


ai dipendenti, sussistente per la ricerca di fonti di finanziamento facilmente accessibili.
L’art. 2349 cc prevede che i lavoratori possono acquisire azioni a titolo gratuito: la società
può decidere di assegnare in via straordinaria utili ai propri dipendenti emettendo speciali
categorie di azioni → la gratuità dell’assegnazione ne fa una disposizione utilizzabile solo
in casi marginali. L’art. 2441 cc prevede, invece, un aumento di capitale con contestuale
assegnazione di azioni, a titolo oneroso, ai dipendenti. Tale operazione può realizzarsi sia
con la sottoscrizione a titolo oneroso di azioni da parte dei dipendenti (in questo caso il
beneficio sta nel fatto che le azioni sono offerte al valore nominale, solitamente molto più

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basso di quello di mercato), sia con la distribuzione di azioni il cui valore è conteggiato
quale parte della retribuzione.

11. La disciplina contrattuale della retribuzione. La proliferazione delle forme retributive.

La disciplina contrattuale conosce una serie di istituti diversi da quelli finora accennati. Di
frequente le distinzioni sono nominalistiche, ad es. giustificate dall’intento di mascherare aumenti
retributivi o per conservare al datore margini di discrezionalità nell’erogazione oppure per eludere
gli obblighi contributivi.

Una distinzione ricorrente è tra:


 Retribuzione diretta: ossia corrisposta immediatamente al lavoratore nei singoli periodi di
durata del rapporto (settimanale o mensile);
 Retribuzione indiretta: ossia corrisposta in modo posticipato rispetto al periodo della
maturazione, ad es. annualmente come la 13-14esima o alla fine del rapporto come il TFR.

Spesso si fa ricorso all’espressione “automatismi retributivi” per indicare istituti che comportano
incrementi automatici della retribuzione al verificarsi di determinati eventi o cadenze temporali
senza bisogno di specifici interventi contrattuali o legislativi.

Il nucleo centrale della retribuzione è la retribuzione tabellare risultante dalla contrattazione


collettiva nazionale di categoria. Essa è fissata nei suoi vari standards e periodicamente aggiornata
in rapporto alle diverse categorie e qualifiche dei lavoratori (ora chiamati livelli di inquadramento).
Le tabelle fissate nei contratti collettivi possono rappresentare il livello standards della retribuzione
e vengono integrate dalla contrattazione aziendale, ove presente, finendo col rappresentare il livello
minimo di trattamento.
Gli incrementi aziendali di solito non confluiscono nella retribuzione base. Più spesso sono fissati
con forme e nomi diversi - premi annuali, superminimi aziendali e gratifiche come la 14esima - e
contribuiscono a comporre la retribuzione globale. Questa può includere ulteriori elementi
accessori, legati alle caratteristiche modali della prestazione individuale (il cui ammontare è
normalmente controllato dalla contrattazione collettiva in tutte le aziende in cui il sindacato è
presente. Il controllo del salario è obiettivo essenziale del sindacato.

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12. Le voci retributive contrattuale e gli elementi della retribuzione.

La retribuzione si compone di vari elementi, dal cui insieme si ricava il trattamento economico
complessivo corrisposto al lavoratore.

Tali voci retributive sono:


1. La paga base (c.d. paga o minimo tabellare): che è determinata dalla contrattazione
collettiva ed è connessa alla categoria ed alla qualifica rivestita dal lavoratore. Si
aggiungono alla paga base, e ne costituiscono parte integrante, gli scatti di anzianità ed il
TFR che consistono in aumenti periodici di retribuzione (di solito biennali e di regola
proporzionati alla paga base) legati alla permanenza del lavoratore presso il medesimo
datore di lavoro;

2. L’elemento distinto della retribuzione (E.D.R.): che è costituito da una somma mensile
pari a 10,33€ erogata per 13 mensilità ed introdotta dal Protocollo d’Intesa del 31-07-’92
per tutti i lavoratori del settore privato (senza distinzione di qualifica o di contratto
collettivo applicato).
L’E.D.R. è stato introdotto per compensare l’abolizione dell’indennità di contingenza, un
istituto di origine pattizia che ha costituito per quasi 40 anni il meccanismo automatico di
adeguamento delle retribuzioni all’aumento del costo della vita e, difatti, era regolata dal
meccanismo della scala mobile, che prevedeva un adeguamento automatico delle
retribuzioni all’aumento dei prezzi (inflazione).
Dal ’92, tuttavia, è cessata la sussistenza della scala mobile, per tale motivo da tale data
viene pagata solamente l’indennità di contingenza maturata fino ad allora.

3. Le attribuzioni patrimoniali accessorie: che consistono in attribuzioni corrisposte in via


saltuaria od anche continuativa, previste dai contratti collettivi o individuali in aggiunta
alla retribuzione normale minima e si distinguono in:
 Attribuzioni patrimoniali accessorie retributive : che, anche se saltuarie ed
occasionali, costituiscono un corrispettivo della prestazione di lavoro e, qualora
assumano carattere continuativo, devono essere comprese, a tutti gli effetti, nella
retribuzione.
Tra di esse:

 I superminimi: costituiscono incrementi rispetto alle retribuzioni contrattuali


standard assegnati collettivamente (in seguito di norma ad accordi aziendali) o
individualmente (in tal caso si chiamano anche aumenti o assegni di merito o ad
personam). I superminimi collettivi indicano il grado di controllo o il mancato
controllo del salario da parte della contrattazione nazionale, mentre quelli
individuali incidono sulla capacità di controllo complessivo della contrattazione
aziendale. Un problema interpretativo comune a quasi a tutti i trattamenti

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individuali migliorativi è se debbano ritenersi o meno assorbiti da futuri aumenti
dei minimi collettivi
La giurisprudenza prevalente ritiene che tutti i trattamenti individuali
migliorativi vengano assorbiti da futuri aumenti dei minimi collettivi, sulla
base del principio del trattamento più favorevole al lavoratore. A ciò farebbero
eccezione solo i superminimi concessi intuitu personae, ossia, quelli concessi
per i particolari meriti del singolo lavoratore;

 I premi: sono istituti generalmente contratti a livello collettivo, ma che


possono assumere anche forma individuale → i più diffusi sono i premi di
produzione.
Configurati inizialmente come strumenti per far partecipare i lavoratori ai
benefici della produttività aziendale, sono stati quasi subito previsti dalla
contrattazione aziendale come compensi fissi annuali slegati dalla produttività,
diventando in concreto un’integrazione aziendale della retribuzione stabilita nel
contratto nazionale.

→ In tal senso non si distinguono dai superminimi aziendali.

Una forte spinta all’utilizzo dei premi in funzione radicalmente differente da


quella storicamente consolidata è stata introdotta dal Protocollo del 23 Luglio
1993 che ha configurato i premi di risultato quali voci retributive variabili,
collegate al raggiungimento di obiettivi predefiniti e deputate a premiare la
professionalità dei dipendenti ed il loro impegno per il buon successo
dell’impresa.
In verità i premi in questione sono distinti in base a dei parametri di misurazione:
→ I “premi di produttività”: agganciati ad indicatori (come la quantità e la
qualità del prodotto) che ricadono nella sfera di dominio e controllo dei
lavoratori, costituiscono propriamente forme di retribuzione incentivante
dell'impegno lavorativo;
→ I “premi di redditività”: legati ad indici che denotano il successo dell'impresa
sul mercato (ad es. il fatturato e il rapporto tra costo del lavoro e valore della
produzione), costituiscono un modo di flessibilizzazione della retribuzione e
quindi di alleggerimento del costo del lavoro in periodi di difficoltà.

 Le gratifiche: il lavoratore che si distingue nel corso dell’anno potrebbe


meritarsi una gratifica, ossia, un premio in denaro legato al suo rendimento
o al raggiungimento di un determinato obiettivo. Generalmente la gratifica
economica viene data come premio ai dipendenti su libera scelta del datore di
lavoro, tuttavia, ci sono dei casi in cui quest’ultimo non può esimersi dal
concederla. Ad es. può succedere che la gratifica sia prevista dal contratto
nazionale del lavoro del settore di riferimento, oppure, che sia stata
concordata al momento dell’assunzione e inserita nel contratto firmato. Se
sussistono queste condizioni, quindi, l’azienda è obbligata a premiare i propri
dipendenti e in caso di mancata gratifica quest’ultimi possono rivolgersi alla

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Direzione del Lavoro o presentare un decreto ingiuntivo in Tribunale per
chiedere quanto gli spetta di diritto.

→ la più diffusa è la gratifica natalizia, detta anche 13esima mensilità.

Quali sono le gratifiche più diffuse?


Le gratifiche retributive sono una sorta di premio che le aziende riconoscono
ai propri dipendenti al raggiungimento di un determinato risultato → quindi,
dipendono dai risultati e dagli obiettivi ai quali questi fanno riferimento.
Per questo motivo possiamo riassumere le gratifiche retributive in tre diverse
tipologie:
o Premi di produttività: si tratta di riconoscimenti economici che il
datore di lavoro concede ai propri dipendenti che hanno contribuito a
far conseguire all’azienda un determinato risultato. Solitamente viene
concesso una volta l’anno per motivi legati alla crescita aziendale e
all’incremento della produttività;
o Premi di rendimento: mentre i primi sono legati all’andamento
dell’azienda, questi fanno riferimento al lavoro del dipendente. I
premi di rendimento, infatti, vengono concessi non a tutti i lavoratori
dell’azienda, ma solo a quelli che si sono distinti nel corso dell’anno;
o Premio fedeltà: infine, ci sono dei contratti che possono prevedere un
premio in denaro per quei dipendenti impiegati da diversi anni in
azienda, una gratifica legata quindi all’anzianità di servizio.
Queste gratifiche possono essere obbligatorie o facoltative a seconda dei
casi.

Quando le gratifiche sono obbligatorie?


Le gratifiche retributive sono obbligatorie quando sono previste dal CCNL di
riferimento, nel quale solitamente viene indicata anche la tipologia del premio e i
modi per calcolarne l’importo. Generalmente è nel contratto collettivo di secondo
livello - aziendale e territoriale - che si trovano le informazioni relative ai premi
aziendali, quindi è a questo che si deve far riferimento per sapere quali sono le
regole che il datore di lavoro deve rispettare. Quando le gratifiche vengono
riconosciute in maniera abituale, diventando quindi una vera consuetudine per
l’azienda, il datore di lavoro ha il dovere di riconoscerle a tutti i suoi dipendenti.
L’uso aziendale ripetuto della gratifica come trattamento economico di maggior
favore rispetto a quello riconosciuto dai contratti, infatti, fa sorgere in capo
all’azienda un obbligo unilaterale di tipo collettivo: ergo, il trattamento di favore
deve riguardare la collettività dei dipendenti.

Quando la gratifica non è obbligatoria?


La gratifica retributiva è facoltativa - ed è il datore di lavoro a decidere se e
quando pagarla - quando sussistono le seguenti condizioni:
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o Non ci sono norme e contratti che prevedono l’obbligo della gratifica
retributiva ai dipendenti;
o Quando questa viene concessa in maniera occasionale e quindi non si può
definire come prassi aziendale.

Prendiamo come esempio un rivenditore di auto che a tutti i suoi dipendenti


riconosce un premio del 2% sul valore di ogni automobile venduta pur non
essendo previsto dal contratto. Una volta che questa prassi si consolida il datore
di lavoro ha il dovere di riconoscere a tutti i suoi dipendenti il trattamento di
favore ogni volta che ciascuno di questi vende un’automobile. In caso contrario
se questo decide di premiare in via occasionale solamente un dipendente per aver
venduto un’auto di grande valore o in giacenza da diversi anni, il diritto alla
gratifica non viene esteso anche agli altri dipendenti.

 Le attribuzioni patrimoniali accessorie non retributive: che, invece, non hanno


carattere corrispettivo, anche se sono di natura continuativa.
 Le indennità  sono delle voci aggiuntive rispetto alla retribuzione ordinaria che
servono ad adattare il compenso complessivo del lavoratore a diverse
particolarità del lavoro: ne esistono di numerose tipologie, ed il diritto a
percepirle, nonché l’ammontare, cambia a seconda del contratto collettivo o
della contrattazione individuale, dell’inquadramento e della
specifica mansione del lavoratore, nonché in base all’eventuale prestazione resa
nel concreto.
Le principali tipologie d’indennità:

o Indennità di cassa (o di rischio, o di maneggio di denaro):


Tale indennità è dovuta in base al maneggio di denaro o altri valori.
Generalmente, nei contratti collettivi è previsto che l’ammontare
dell’indennità sia commisurato alle ore di lavoro prestate nelle
determinate mansioni per le quali è necessario il maneggio di denaro, ed a
seconda della responsabilità concreta del dipendente, nel seguente ordine:
– cassieri che maneggiano con continuità denaro liquido, adibiti
allo sportello contante;
– addetti allo sportello che si occupano di versamenti o prelevamenti;

Gli importi possono essere ridotti o aumentati, in ragione delle ore di


lavoro o delle giornate prestate nelle specifiche mansioni che prevedano
il maneggio di valori. L’indennità ha natura retributiva, ed il diritto alla
percezione si prescrive in 5 anni; se l’azienda conta meno di 16
dipendenti, la prescrizione decorre dal momento della cessazione del
rapporto di lavoro;

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o Indennità di reperibilità: si tratta di un compenso spettante al personale
che ha l’obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie o giornate, oltre
al normale orario di lavoro: qualora sia richiesto l’intervento del
lavoratore, sarà dovuto un compenso per il lavoro straordinario svolto, o
un’indennità d’intervento, a seconda degli accordi applicati;

o Indennità di disponibilità: da non confondere con l’indennità di


reperibilità, tale indennità non è una maggiorazione della retribuzione
propriamente detta, ma è un compenso spettante ai lavoratori con
contratto intermittente, o a chiamata (Jobs on call): in pratica, se il
dipendente si è impegnato a restare a disposizione del datore di lavoro,
anche nei periodi d’inattività, ha diritto alla percezione di tale compenso.
Su questo compenso non maturano i ratei Tfr, ferie, permessi e mensilità
aggiuntive, ed i contributi Inps devono essere pagati sull’effettivo
ammontare corrisposto, in deroga ai minimali.
L’indennità di disponibilità spetta anche ai lavoratori con un contratto di
somministrazione a tempo indeterminato, nei periodi in cui non sono in
missione presso un utilizzatore (ossia nei periodi d’inattività);

o Indennità di turno: l’indennità di turno è prevista in alcuni contratti


collettivi, ed ha lo scopo di compensare il dipendente per le difficoltà
relative allo svolgimento dell’attività con turnazioni regolari periodiche.
Normalmente tale indennità compensa, ad esempio, il lavoro domenicale,
festivo e notturno, tramite la maggiorazione della retribuzione oraria.
Possono essere poi previsti, oltre alle maggiorazioni, dei riposi
compensativi, per supplire ai disagi derivanti dalla particolare
articolazione dell’orario di lavoro;

o Indennità di vacanza contrattuale: l’indennità di vacanza contrattuale è


un aumento provvisorio dello stipendio, finalizzato a tutelare i lavoratori
dal mancato rinnovo del contratto collettivo. Tale indennità, per il
pubblico impiego, è stata prevista dal “Protocollo sulla politica dei redditi
e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e
sul sostegno al sistema produttivo” del 23 luglio 1993.
Tale Protocollo contiene le decorrenze, le percentuali di maggiorazione e
gli elementi di retribuzione che costituiscono tale indennità: le
maggiorazioni, in particolare, si basano sul tasso di inflazione
programmata.
A compensazione di eventuali blocchi degli aumenti stipendiali, sono
talvolta previste delle indennità chiamate assegno ad personam o una
tantum;

o Indennità di funzione: chiamata, in alcuni contratti, col nome d’indennità


di ruolo chiave, si tratta di un emolumento aggiuntivo che spetta ai

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quadri, o ai profili assimilabili, per compensare le particolari mansioni
della categoria, come le funzioni di coordinamento, nonché eventuali
prestazioni svolte al di fuori del normale orario di lavoro.

13. L’adempimento dell’obbligazione alternativa.

L'adempimento dell'obbligo retributivo, quale obbligazione di dare, è regolato dagli artt. 1176 e
1218 cc.
La prima norma impone al datore di lavoro la diligenza nell’adempimento e la seconda sancisce la
sua responsabilità in caso di inadempimento.
L’art. 2099 cc stabilisce, inoltre, che la retribuzione dev’essere corrisposta con le modalità e nei
termini in uso nel luogo dove il lavoro è eseguito, al fine di facilitare il lavoratore.
Pertanto, la retribuzione dev’essere corrisposta nella sede di lavoro, ovvero, nel luogo in cui il
lavoratore presta la propria attività.
Di regola la retribuzione dev’essere corrisposta nel termine stabilito dai contratti collettivi od
individuali (in mancanza, dagli usi) → solitamente il pagamento della retribuzione avviene
mensilmente.
In ogni caso, il diritto alla retribuzione sorge a lavoro compiuto: è questo il principio della
postnumerazione, in forza della quale il pagamento della retribuzione è posticipato rispetto allo
svolgimento della prestazione lavorativa.

La L.4/1953 obbliga il datore a consegnare al lavoratore unitamente alla retribuzione il c.d.


prospetto di paga nel quale devono essere indicati il nome, la qualifica professionale del
lavoratore, il periodo di riferimento e l’elenco di tutti gli elementi che compongono la retribuzione
corrisposta.
Questo obbligo oggi si può adempiere anche consegnando al lavoratore una “copia delle
scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro”. La violazione è sanzionata con un'ammenda.
La firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento
della retribuzione.

I datori di lavoro, inoltre, non possono non corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro in
contante, ma per mezzo di:
 Bonifico bancario;
 Pagamento elettronico;
 Emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o ad un suo delegato.

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