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I diritti sindacali

I diritti sindacali che si esercitano all’interno dell’attività sindacale sono contenuti nel titolo II e III dello
Statuto dei lavoratori.
Il titolo II dello Statuto parte dagli art. 14,15,16,17, mentre il titolo III apre ai diritti veri e propri. La ratio
storica dei diritti sindacali parte dal fatto che l’art 39 Cost. potrebbe anche bastare per garantire i diritti in
azienda; tuttavia, se a questa norma costituzionale non vi è un riscontro legislativo, non vi è una legge che di
fatto dica quali sono questi diritti e come si possono svolgere, l’art .39 potrebbe essere vanificato.
La legge 300/1970, cioè lo Statuto dei lavoratori dice quali sono questi diritti per evitare che l’art. 39 resti un
principio astratto e per evitare che venga applicato solo su un piano extra aziendale.
I diritti sindacali del titolo terzo dello statuto dei lavoratori non vengono accordati a tutte le organizzazioni
sindacali, non a tutte le organizzazioni di lavoratori presenti in azienda, così come accade per la libertà
sindacale che invece è accordata a tutti, ma solo a quelle rappresentanze che hanno rappresentatività cioè le
RSA e le RSU dopo il protocollo del 1993.

Per quanto riguarda il titolo II:


 L’art 14 sancisce il diritto per tutti i lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere
attività sindacale nei luoghi di lavoro. La differenza tra quest’articolo e la libertà sindacale sancita nell’art 39
Cost. è che l’art. 14 ci consente di estendere la tutela anche alla possibilità di creazione di sindacati nuovi,
autonomi o comunque di tipo aziendale, con un unico limite: che non si tratti sindacati di comodo. L’art. 14
dunque tutela il pluralismo sindacale e assicura la protezione legislativa anche a quelle forme di dissenso che
possono esservi in azienda, sia che questo dissenso sia stabilizzato sia che si esplichi in forme alternative
rispetto a quelle del classico dissenso manifestato in azienda.
 L’art 15 costituisce la prima ampia consacrazione legislativa del principio di discriminazione nei
rapporti di lavoro.
Inizialmente, esso si riferiva a discriminazioni solo per motivi sindacali e poi in seguito si è ritenuto che la
discriminazione possa avvenire per motivi religiosi, politici ma anche di sesso, razza, lingua (con la Legge
903/1967) ecc. A questi si sono aggiunte anche successive leggi contro le discriminazioni sul lavoro basate su
handicap, età, orientamento sessuale e convinzioni personali (con la Legge 216/2003), per avere adesso una
norma che riguarda tutte le discriminazioni.
La funzione è quello di rendere nullo qualunque atto discriminatorio in ambito lavorativo; quindi, la
fattispecie oggetto del divieto dell’art. 15 è una fattispecie strutturalmente aperta e solo teleologicamente
determinata. Questi atti discriminatori possono avvenire sia nella fase iniziale del rapporto (es. subordinare
l’assunzione di un soggetto al fatto che sia iscritto ad un sindacato) sia nella fase dopo l’inizio del rapporto del
lavoro (es. discriminare un lavoratore a causa della sua affiliazione ad un sindacato o perché non ha
scioperato) e sono nulli. La sanzione prevista infatti è quella della nullità, sebbene nulla vieta di fronte ad
un’attività sindacale che le organizzazioni sindacali agiscano in giudizio ex art. 28.
 L’art 16 vieta la concessione da parte del datore di lavoro di trattamenti economici collettivi a carattere
discriminatorio, quindi di quei trattamenti più favorevoli o meno favorevoli che il datore di lavoro corrisponde
ad alcuni lavoratori.
Questa norma è strettamente collegata all’art. 15 e vieta quei comportamenti datoriali volti a dare dei premi, o
garantire una maggiore retribuzione, un’indennità o una scelta delle ferie ad alcuni lavoratori e non ad altri
(es. perché quei lavoratori non hanno scioperato o non hanno partecipato all’assemblea). Nei divieti previsti
dagli art. 15 e 16 si devono ritenere compresi anche gli atti omissivi del datore di lavoro, cioè non viene
colpita solo la condotta ma anche la mancanza di agire, il comportamento omissivo del datore di lavoro (es. se
si rifiuta di assumere un lavoratore perché ha scioperato o non lo promuove o non riconosce un trattamento
economico aggiuntivo dovuto). Tutti questi atti omissivi sono ugualmente gravi e gli effetti per questa
condotta e la sanzione prevista è la nullità.
 L’art 17 riguarda i sindacati di comodo o sindacati gialli e vieta a tutti i datori di lavoro (imprenditori
e non, ma anche enti pubblici) di costituire o sostenere con mezzi finanziari associazioni sindacali di
lavoratori.
La ratio è quella di colpire il fenomeno dei sindacati di comodo o gialli, cioè organizzazioni promosse o
sostenute dai datori di lavoro per avere un interlocutore all’apparenza antagonistico ma in realtà
addomesticato con conseguente alterazione della dinamica sindacale.
La condotta datoriale vietata si compone in una serie di comportamenti che non sono tipizzabili, cioè non si
circoscrive l’area vietata dell’attività datoriale dell’art. 17 perché potrebbe trattarsi ad es. di: atti di
favoritismo, di collusione, di corruzione ma anche assunzioni discriminatorie, l’utilizzo dei sindacati di
comodo come strumento di confusione tra i lavoratori stessi ecc. La sanzione comporta la possibilità per gli
organismi locali delle associazioni sindacali nazionali di ricorrere contro quel datore di lavoro in giudizio e
provare l’accaduto (art. 28 dello Statuto).
l titolo III si apre con il diritto di assemblea.
 L’art 20 dice che la funzione dell’assemblea, come del referendum, è quello di permettere ai lavoratori,
anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e alla decisione delle politiche
contrattuali sindacali. Sia l’assemblea che il referendum sono due diritti, rappresentano due istituti tipici di
democrazia diretta e il legislatore già nel 1970 ha deciso di regolamentarli, anche con il riferimento al numero
di ore di cui possono giovarsi i lavoratori.
L’esercizio di diritto all’assemblea è stato affidato non tanto all’iniziativa volontaria o spontanea dei lavoratori
interessati ma all’iniziativa dei loro rappresentanti in azienda. L’art 20 non configura quindi la libera iniziativa
dei lavoratori ma delle rappresentanze sindacali.
Ai sensi dell’art. 20 i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell’unità produttiva; la titolarità del diritto spetta ai
singoli (segue la stessa logica dello sciopero) ciascuno dei quali può parteciparvi con il limite di dieci ore
annue, mentre il potere di convocare assemblea è riservato alle RSA o RSU: le rappresentanze sindacali
filtrano domande provenienti dai lavoratori e valutano quali di queste domande appaiono meritevoli di
considerazione.
Le assemblee possono essere indette dalle rappresentanze sindacali aziendali unitariamente o separatamente
anche in forma orale. Questo però presuppone che si rispetti l’ordine di precedenza delle convocazioni
comunicate al datore di lavoro e accanto alle RSA hanno diritto di convocazione anche le RSU.
L’assemblea deve riguardare materie sindacali e del lavoro e quindi non può avere ad oggetto qualunque
problematica tra datore e lavoratore; la prova del carattere sindacale di una tematica è fornita dalla circostanza
che il sindacato ne faccia oggetto del proprio interesse, cioè le rappresentanze sindacali devono dire che
quell’attività è un’attività che effettivamente riguarda la collettività, i prestatori di lavoro e che incide sulla
vita lavorativa dei lavoratori (es. materie di natura politico-fiscale, della salute)
L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue per ciascun lavoratore anche
se alcuni sostengono che queste ore sono elevabili dalla contrattazione collettiva. Le ore, dunque, possono
essere consumate a scelta del singolo lavoratore e sono regolarmente retribuite. Infine, il lavoratore deve dare
un preavviso al datore di lavoro in modo che quest’ultimo possa trovare dei sostituti in azienda che possano
svolgere lo stesso tipo di mansione.
 Il referendum è previsto dall’art. 21 ed è finalizzato a far emergere l’opinione dei lavoratori, iscritti e non,
su determinate tematiche.
Come per l’assemblea, la facoltà di convocazione è assegnata alle RSA che possono esercitarla solo
congiuntamente fra di loro o alle RSU ogni qual volta che risulta regolarmente eletta nei luoghi di lavoro.
La disciplina particolarmente restrittiva del potere di indizione del referendum ha un duplice obiettivo: si
vuole garantire una certa unità e coerenza delle strategie del sindacato, cioè se si predispone un referendum
all’interno dell’azienda non si può pensare che i dirigenti delle RSA non siano fra di loro d’accordo per
promuovere lo stesso referendum altrimenti la stessa azione sindacale sarebbe frastagliata. In tal modo si evita
una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori dissenzienti o sindacati minoritari. Il
referendum deve venire fuori da un sindacato che unitariamente fa blocco contro il datore di lavoro, non può
essere consentito che due/tre lavoratori scegliendo un rappresentante sindacale possano decidere di un indire
un referendum che non avrà poi alcun rilievo all’interno dell’azienda.
Il diritto di referendum è espressamente previsto anche nelle ipotesi in cui si sciopera nei servizi pubblici
essenziali dove può diventare uno strumento per fare decidere se quel determinato sciopero può essere portato
avanti o, in ipotesi di dissenso fra i sindacati, come promuoverlo (art. 14 della legge 146/1990).
Il referendum deve riguardare materie inerenti attività sindacale e deve tenersi in azienda ma fuori dell’orario
di lavoro, salvo che i contratti collettivi di quella categoria professionale prevedano che si possano fare anche
all’interno dell’orario di lavoro.
Si è discusso sull’efficacia effettiva di una decisione frutto di un referendum (es. referendum indetto nel Caso
Fiat), cioè si deve valutare fino a che punto dietro al referendum non vi sia già una volontà sedimentata o
condizionata tale da falsare quella effettiva dei lavoratori.
Il referendum è lo strumento attraverso il quale lavoratori dovrebbero essere più liberi in quanto votano
personalmente su una proposta precisa, e per questo non può essere sacrificato. Ultimamente si tende a
rivalutare l’iniziativa referendaria perché è comunque uno strumento di democrazia diretta, e perché ex-ante è
utile per approvare piattaforme contrattuali, cioè prima di firmare un contratto il referendum consente di
chiedere ai lavoratori se sono d’accordo su quella determinata piattaforma contrattuale, e ex-post secondo
molti autori, è importante perché consente di approvare accordi collettivi già conclusi, specie aziendali o di
tipo derogatorio, cioè attraverso il referendum si potrebbe dare voce ai lavoratori in azienda rispetto a contratti
che sono stati derogatori, peggiorativi.
 L’art. 25 riguarda il diritto di affissione e secondo quest’articolo i rappresentanti hanno diritto ad
assicurare un collegamento tra il personale dell’unità produttiva e il sindacato.
Si tratta di un collegamento che non implica una partecipazione dei lavoratori, ma questi si trovano a vedere
affissi nei locali aziendali tutte le decisioni prese dalle rappresentanze; quindi non è un diritto dei lavoratori
perché essi rimangono fruitori passivi dell’attività di comunicazione, ma un diritto che compete alle RSA o
RSU secondo delle regole che loro stesse devono rispettare.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare degli spazi precisi, visibili a tutti in cui i rappresentanti
possono affiggere delle bacheche sindacali che rendono esercitabile il diritto.
L’attività di affissione può avere come oggetto pubblicazioni, testi, comunicati purché siano di interesse
sindacale e del lavoro. Ci si è chiesti se il datore di lavoro può controllare il contenuto di quello che viene
affisso, tendenzialmente si ritiene che non sia ammissibile per il datore di lavoro verificare il contenuto degli
iscritti che vengono affissi, purché il rappresentante sindacale garantisca che siano circoscritti, limitati, a
prerogative sindacali.
 Il proselitismo è disciplinato dall’art 26. Quest’articolo riconosce ai singoli lavoratori il diritto di
raccogliere contributi e di svolgere opere di proselitismo, cioè cercare nuovi soggetti che si iscrivano al
sindacato. La libertà sindacale positiva è fare proselitismo.
Secondo la giurisprudenza l’attività di proselitismo non coincide con una forma qualificata di
propaganda perché fare proselitismo vuol dire adoperarsi fattivamente per avere nuovi iscritti.
Se il proselitismo mette in discussione, contrasta, crea disorganizzazione nell’attività aziendale il datore di
lavoro può bloccare tutto, quindi il proselitismo deve essere in linea con il potere organizzativo del datore di
lavoro.
Originariamente i commi 2 e 3 dell’art. 26 riconoscevano il diritto delle associazioni di percepire contributi
tramite una ritenuta sulla busta paga (nei casi in cui il lavoratore ne avesse fatto richiesta) ma con
l’abrogazione di questi commi con il referendum del 1995, il diritto dei sindacati alla percezione dei contributi
mediante la trattenuta sul salario è stato privato di fondamento legislativo. Nella giurisprudenza si è ritenuto
utile quindi il ricorso all’istituto della cessione del credito ed è sufficiente che il lavoratore ceda al sindacato il
credito retributivo, che vanta verso il datore di lavoro, senza bisogno del consenso di quest’ultimo (art. 1260
c.c.)
 L’art. 27 riguarda i locali per le RSA; infatti, oltre gli idonei spazi su cui affiggere i testi e i comunicati
(art. 25), le RSA o se costituite, le RSU hanno diritto ad utilizzare appositi locali per l’esercizio dell’attività
sindacale messe a disposizioni dall’azienda.
Tuttavia, questa disposizione non ha generalizzato pienamente l’obbligo per i datori di lavoro di mettere a
disposizione locali all’interno dell’unità aziendale, perché l’art. 27 distingue due ipotesi: la prima concerne le
unità produttive che abbiano almeno 200 dipendenti quindi si tratta di casi rari dove il datore di lavoro ha
l’obbligo di mettere a disposizione permanentemente un idoneo locale comune.
Per la giurisprudenza, l’idoneità e disponibilità del locale significa che il locale deve avere una certa capienza,
un minimo di attrezzature, e la possibilità per le rappresentanze di riunirsi in qualsiasi momento che ritengano
opportuno senza nessuna limitazione, senza nessun obbligo di darne notizia al datore di lavoro.
La seconda ipotesi concerne le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nelle quali viene meno questo
requisito della permanente disponibilità e viene concesso un unico locale per le riunioni tramite richiesta della
sua disponibilità da parte delle RSA e delle RSU nei confronti del datore di lavoro.
 L’art. 23 e 24 disciplinano i permessi per i dirigenti sindacali aziendali e sono norme che riconoscono dei
benefici ai dirigenti sindacali interni.
In base a queste norme la carica dei dirigenti sindacali dà diritto a dei permessi che possono essere: retribuiti
(art. 23) e non retribuiti (art. 24). Questi ultimi facilitano l’esercizio dell’attività sindacale perché essendo
predisposti dalla legge evitano che il sindacalista o il dirigente sindacale che si giochi i permessi retribuiti
possa avere delle ritorsioni da parte del datore di lavoro.
I permessi retribuiti sono concessi ai dirigenti delle rappresentanze per l’espletamento del loro mandato, cioè
sono attribuiti per svolgere le attività e le funzioni inerenti alla sfera di competenze delle strutture sindacali.
Ciò significa che chi gode del permesso retribuito ha diritto ad un esonero legale dall’obbligazione lavorativa
(viene definito esonero legale perché è un’attività che per legge legittima a non lavorare, rende possibile al
dirigente sindacale di assentarsi dal lavoro).
Il datore di lavoro non potrà in nessun modo assumere atteggiamenti ritorsivi o applicare sanzioni
disciplinare nei confronti dei lavoratori che utilizzano questi permessi.
I permessi non retribuiti sono invece concessi ai dirigenti di RSA o RSU e servono per estendere il periodo in
cui il sindacalista può svolgere attività lavorativa. Essi sono stati previsti per evitare che venga compromessa
la sfera del datore di lavoro, soprattutto dal punto di vista economico.
Non è chiaro se la valutazione della coerenza del permesso sindacale con le finalità istituzionali attenga solo
alle stesse rappresentanze (regime di autoresponsabilità) o viceversa vi siano dei margini per cui il datore di
lavoro può previamente valutare se vi è un interesse sindacale.
In ogni caso sarà il giudice che di volta in volta deciderà se il datore di lavoro poteva o non poteva valutare la
fattibilità o meno del permesso.
Il dirigente che vuole godere di un permesso ha l’onere di darne comunicazione al datore di lavoro tramite le
proprie rappresentanze; questo permesso viene richiesto per iscritto al datore di lavoro 24 ore prima per i
permessi retribuiti e 3 giorni prima per quelli non retribuiti. Non vi è nessuna necessità di indicare nello
specifico le ragioni della richiesta.
Quanto ai limiti oggettivi, come il numero di ore di permesso usufruibili, esse variano a seconda delle
dimensioni dell’unità produttiva, quindi si concorda che questo monte ore potrebbe variare se l’azienda è più o
meno ampia.
 L’art. 30 e 31 riguardano i permessi e aspettative per dirigenti sindacali esterni all’azienda.
Secondo l’art. 30 i componenti degli organi direttivi nazionali (es. un segretario nazionale di un sindacato) e
provinciali hanno diritto a permessi retribuiti secondo le norme dei contratti di lavoro per la partecipazione
alle riunioni degli organi suddetti.
Questi lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali o nazionali, a norma dell’art 31, possono essere
collocati in aspettativa non retribuita per tutta la durata del loro mandato.
Mentre l’art. 30 si inquadra nel sostegno selettivo al sindacato rappresentativo, cioè riguarda chi è dirigente
delle rappresentanze che hanno i requisiti dell’art. 19 dello statuto, l’art 31 individua i soggetti beneficiari
dell’aspettativa senza riferirsi al grado di rappresentatività.
 L’art 22 e 18 prevedono delle guarentigie sindacali, cioè stabiliscono dei diritti o delle tutele
speciali a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti.
Per i licenziamenti, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata
perché è una tutela di carattere processuale. Qualora un dirigente sindacale dovesse essere licenziato, se il
licenziamento è ingiustificato, il giudice potrebbe, in vista del suo ruolo, decidere di reintegrarlo
immediatamente, in qualunque stato e grado del giudizio e con un’ordinanza, nel momento in cui ritenga
prima facie (cioè subito) non sufficientemente provate o irrilevanti le cause e le ragioni del licenziamento. Il
datore di lavoro non può proporre ricorso a meno che non ha prove schiaccianti.
Se poi il datore stesso si rifiuta di reintegrarlo, verrà condannato oltre che a versare al dirigente un’indennità
risarcitoria, anche per ogni giorno di ritardo al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni in una
somma pari dell’importo della retribuzione dovuta.
Si tratta di una tutela rafforzata che anticipa e prescinde dal giudizio.
Secondo l’art. 22 invece il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti sindacali e delle rappresentanze
sindacali può essere disposto solo se c’è un nullaosta delle associazioni sindacali di appartenenza. La
mancanza del nullaosta sindacale perché non richiesto, perché non concesso ecc. rende inefficace anzi più
probabilmente nullo il trasferimento quindi il lavoratore può rifiutarsi di trasferirsi e l’organizzazione
sindacale può recarsi davanti al giudice per condotta antisindacale del datore di lavoro ex art. 28.
 L’art 35 è una norma che è stata modificata con la legge 108/1990 e si occupa di definire il campo
di applicazione del titolo III dello Statuto, cioè stabilisce a chi si applicano i diritti sindacali e afferma
che le disposizioni contenute nel titolo III concernenti l’attività sindacale in azienda, non si applicano a tutti in
quanto i diritti sindacali si applicano alle imprese industriali e commerciali quindi a ciascuna sede,
stabilimento, filiale, ufficio, reparto, che occupa più di quindici dipendenti (criterio dei quindici dipendenti).
La giurisprudenza ha ritenuto che sia ingiustificato fissare una soglia, come se nelle aziende con più di
quindici dipendenti ci fosse una maggiore necessità di avere rappresentanti mentre in quelle con meno di
quindici no, mentre in molti altri casi invece si è ritenuto di dover fissare una soglia dimensionale perché ci
sono delle discipline specifiche che richiedono una differenza tra unità produttive piccole e unità produttive
medio-grandi ritenendo che quelle medio-grandi devono avere almeno quindici dipendenti.
Ultimamente, da qualche anno, si tende a superare questo limite dicendo che un’azienda può essere comunque
molto forte economicamente grazie al corredo di strumentazioni e ausili informatici che possiede pur avendo
un numero inferiori di dipendenti.
Secondo il primo comma, i diritti sindacali si applicano anche alle imprese agricole purché abbiano più di
cinque dipendenti; il secondo comma stabilisce che le stesse disposizioni si applicano anche a quelle imprese
che occupano più di quindici dipendenti nello stesso comune (quindi il punto di riferimento è il territorio
comunale) anche se ciascuna unità produttiva singolarmente non raggiunge questi limiti.

Nel settore privato valgono i principi contenuti nell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori e l’accordo
interconfederale del 1993 mentre nel settore pubblico bisogna far riferimento Testo unico sul pubblico
impiego (n. 165/2001) all’art. 42 e 43, e per quanto riguarda il funzionamento delle RSA e RSU nel settore
pubblico, all’accordo quadro del 1998, a cui si affianca l’art 50 del Testo unico del 2001 che mantiene una
disciplina speciale soprattutto con riferimento alle aspettative, ai permessi dei rappresentanti dei dipendenti
del pubblico impiego. In più, il decreto-legge n.90/2014 tenta di ridurre i permessi per i rappresentanti
sindacali nel pubblico impiego.

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