3. I PRINCIPI COSTITUZIONALI
3.1 IL LAVORO NEI PRINCIPI FONDAMENTALI - Il lavoro occupa una posizione centrale nella Costituzione re-
pubblicana, che gli dedica alcuni dei preliminari Principi fondamentali. In base all’art 1 l’Italia è una Repub-
blica democratica fondata sul lavoro, tutelato in tutte le sue forme come detto nell’art 35. Il diritto del lavo-
ro storicamente nasce da disuguaglianze sostanziali, definite dalla Costituzione, secondo l’art 3 la Repubbli-
ca ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’u -
guaglianza dei cittadini, impedendo così l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese. Inoltre l’art 4 considera il lavoro come un dovere di ogni cittadino e ne fornisce un’ampia
definizione, considerandolo come un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale
della società, senza alcuna distinzione del tipo di lavoro svolto. Il cittadino è infatti libero di adempiere al do-
vere del lavoro, attraverso l’attività che meglio crede, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte. Dal -
l’art 4 ne consegue quindi un principio di pari dignità sociale ad ogni forma di lavoro. L’obiettivo che, quindi,
la Costituzione si pone è quello di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto di lavoro, impe-
gnandosi quindi contro la disoccupazione. I tempi e i modi per la graduale realizzazione di quello che è il
programma costituzionale è affidata al legislatore e orientata dal complesso e mutevole quadro economico
del Paese.
3.2 TUTELA DEL LAVORO, RETRIBUZIONE, RIPOSI, PROTEZIONE DI DONNE E MINORI - Il titolo III della Co-
stituzione è dedicato ai rapporti economici e si occupa di tutelare il lavoro.
In particolare, l’art 35 rileva importanti questioni: in base ad esso, la Repubblica tutela il lavoro in tutte le
sue forme ed applicazioni, curando la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, e promuoven-
do le organizzazioni internazionali intese ad affermare e regolare i diritti del lavoro. inoltre, riconosce la li -
bertà di emigrazione, impegnandosi a tutelare l’italiano che lavora all’estero.
L’art 36 riconosce il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione che sia proporzionale alla quantità e
qualità del lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia una vita libera e digni-
tosa. Nei commi seguenti detta dei limiti massimi irrinunciabili sull’orario di lavoro, sul riposo settimanale e
sulle ferie annuali retribuite.
L’art 37 concerne le donne e i minori: prevede che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di la -
voro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempi-
mento della sua funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino un’adeguata protezione. Inoltre, la
Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla pa -
rità di retribuzione.
3.3 PREVIDENZA E ASSISTENZA - Per quando riguarda l’art 38, questo si occupa degli aspetti previdenziali e
di assistenza al lavoratore, che vengono affidati, dalla stessa norma al comma 4, agli organi e istituti previsti
dallo Stato. Secondo tale articolo ogni cittadino inabile e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto
al mantenimento e all’assistenza sociale.
Inoltre, spetta al lavoratore il diritto che di aver assicurati e preveduti i mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita, qualora venga a mancare definitivamente o temporaneamente il reddito da lavoro, come nei casi di in -
fortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale.
La differenza tra previdenza e assistenza non riguarda solo i beneficiari delle prestazioni e il sistema di finan -
ziamento, ma anche l’entità delle prestazioni medesime, non potendosi ignorare lo scarto tra il mero “man -
tenimento assistenziale” e i “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, i quali implicano un rapporto determinato
dal legislatore ordinario con il livello retributivo goduto durante il lavoro. Il sistema pensionistico è gestito
male, dal momento che le pensioni vengono erogate in modo dissennato e per questo è stato necessario
definire una riforma per rendere economicamente sostenibile il sistema → legge 214/2011, intervenuta sul-
l’età pensionabile e sulla misura delle prestazioni previdenziali.
3.4 LIBERTÀ SINDACALE, CONTRATTO COLLETTIVO E SCIOPERO - La più profonda differenza della Costituzio-
ne repubblicana rispetto all’ordinamento corporativo sta nel riconoscimento della libertà sindacale (art 39)
e del diritto di sciopero (art 40), con una scelta per il modello pluralistico in cui il bene comune è identifica -
to con la libera competizione tra gruppi privati, i cui costi, in termini di disordini sociali, sono ritenuti minori
di quelli, in termini di libertà, connessi ad una organizzazione pubblicistica funzionale alla risoluzione buro-
cratica delle contrapposizioni di interessi economici presenti nella società civile. Il miglior modo per realizza -
re l’interesse generale è di lasciare normalmente spazio all’autonomia privata collettiva. Questa scelta si ac-
compagna ad un accordo della politica economica e delle condizioni di lavoro tra governo e sindacati →
Concertazione sociale o neocorporativa o scambio politico.
*L’art 39 stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera; ai sindacati non può essere imposto altro obbligo
se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. Affinché tale registra -
zione possa avvenire, gli statuti dei sindacati devono sancire un ordinamento interno a base democratica. I
sindacati registrati hanno personalità giuridica: possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei
loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle ca-
tegorie alle quali il contratto si riferisce.
Esso è stato in buona parte inattuato, non è stato infatti predisposto un sistema di registrazione dei sindaca-
ti. Le ragioni della mancata attuazione sono da ricercare nella volontà dei sindacati di sottrarsi ad un rigido
controllo dello Stato, nel rifiuto dei sindacati minori di ritrovarsi, con la registrazione e con la conta degli
iscritti, in una situazione di formale inferiorità rispetto ai sindacati maggiori, e in una obiettiva difficoltà di
istituire un'anagrafe sindacale.
Al posto dell'art. 39 Cost. la disciplina di riferimento sono:
- art. 36 cod. civ. → "L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute
come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati." Si parla di associazioni non ri-
conosciute poiché, non essendovi la registrazione i sindacati non hanno personalità giuridica, ma
operano come associazioni non riconosciute. Anche se privi della personalità giuridica, i sindacati
possono operare senza alcuna limitazione, come se avessero la personalità giuridica, con la sola
esclusione del potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale;
- art. 37 cod. civ. → "In quanto associazioni non riconosciute, i sindacati hanno un proprio fondo co-
mune";
- art. 38 cod. civ. → "Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione, i
terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche
personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione."
Perciò i sindacati hanno un'autonomia patrimoniale perfetta per cui i membri rispondono personal -
mente e solidalmente delle obbligazioni sociali assunte.
Cosa che ha favorito più di tutte lo sviluppo dei sindacati hanno la possibilità di stipulare contratti collettivi
di diritto comune.
Secondo l’art 40, il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano e lo sciopero non è
configurabile né come illecito penale né come illecito civile contrattuale.
3.5 LIBERTÀ D’IMPRESA E PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI - Presupposto indispensabile del pluralismo
competitivo è il riconoscimento che l’iniziativa economica privata è libera, nonostante l’esistenza di alcuni li-
miti. In particolare, secondo l’art 41, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana del lavoratore. A ciò deve aggiun-
gersi che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e priva-
ta possa essere indirizzata e coordinata a pini sociali.
Con riferimento alla partecipazione dei lavoratori, l’art 46 prevede che ai fini dell’elevazione economica e
sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavorato -
ri a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. In attuazione di questo
articolo, la legge 350/2003 aveva istituito un Fondo per incentivare la partecipazione dei lavoratori alle
scelte gestionali dell’impresa, ma la corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la leg -
ge per la mancata previsione di qualsiasi strumento di leale cooperazione tra Stato e Regioni. Sono state
adottate successivamente altre misure legislative atte a favorire la partecipazione dei lavoratori e soprattut -
to a salvaguardare la conservazione delle organizzazioni datoriali. Tra queste misure, la legge n. 148/2011
sui contratti di prossimità, in cui si parla di adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, e la legge 92
del 2012 che ha stabilito principi e criteri direttivi sulla cui base saranno emanati decreti legislativi atti a raf -
forzare la partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’impresa.
6.2 NOZIONE E TITOLARITÀ - Libertà sindacale vuole dire facoltà di coalizione e di azione per la difesa di in-
teressi collettivi professionali e riguarda la posizione dei singoli nella loro facoltà di scelta, adesione e parte-
cipazione alla attività della coalizione. In questo senso è tutelata sia la libertà positiva di costituire o aderire
ad un sindacato sia la libertà negativa di non affiliarsi ad un sindacato. Quest’ultima sarebbe violata se fos-
sero ammesse delle clausole di closed shop con cui imporre all’imprenditore di assumere lavoratori solo se
aderenti al sindacato.
Questa libertà è riconosciuta ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi, specie se parasubordinati, e ai
dipendenti degli enti pubblici non economici dello Stato.
È esclusa solo per i militari, per l’incompatibilità con l’assolvimento dei compiti propri delle forze armate,
mentre è concesso alla Polizia di Stato di avere un sindacato, che sia solo per la categoria e che non abbia
collegamenti con altri sindacati, al fine di evitare inammissibili condizionamenti dell’attività di tutela delle
persone e del patrimonio, tanto essenziale da escludere anche il diritto di sciopero.
6.4 LA LIBERTÀ SINDACALE NEI CONFRONTI DELLO STATO - La libertà sindacale è riconosciuta nei confronti
dello Stato, che non può vietare od ostacolare la formazione di sindacati e le loro attività, oltre a non poterli
assorbire nella propria organizzazione. Libertà sindacale implica il riconoscimento dell’autonomia privata
collettiva, cioè del potere dei sindacati, in quanto liberi soggetti di diritto privato, di creare regole sia per la
disciplina interna (con gli statuti sindacali), sia per la disciplina dei rapporti con la controparte e dei rapporti
individuali di lavoro, che costituisce il fine essenziale del fenomeno sindacale.
Il complesso di queste regole (statuti sindacali, clausole dei contratti collettivi) ha dato vita all’ordinamento
intersindacale, ossia un’organizzazione autonoma delle relazioni tra imprenditori, sindacati e pubblici pote -
ri. In mancanza di norme specificamente dettate per la libertà sindacale, trovano applicazione norme civili -
stiche relative alle associazioni non riconosciute ed al contratto.
6.5 LA LIBERTÀ SINDACALE NEI CONFRONTI DEL DATORE DI LAVORO - In forza delle disposizioni del titolo II
dello “Statuto dei lavoratori”, la libertà sindacale opera anche nei confronti del datore di lavoro. Infatti la art
15 stat. lav. vieta al datore atti discriminatori che colpiscano un lavoratore per motivi sindacali, sia che que-
sti avvengano in fase di assunzione sia che avvengano durante il rapporto di lavoro, travolgendo con la nulli -
tà qualunque atto o patto diretto a pregiudicare il lavoratore a causa della sua affiliazione o attività con un
sindacato o alla sua partecipazione ad uno sciopero. La libertà sindacale è tutelata non solo esternamente,
ma anche all’interno dei luoghi di lavoro, salvo che l’esercizio di questa non pregiudichi il normale svolgi -
mento dell’attività aziendale, sacrificata solo in caso di sciopero.
7. IL SINDACATO COME ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA - * L’art 39 Cost. prevede che al sindacato ven-
ga riconosciuta personalità giudica in seguitò ad una registrazione, la cui unica condizione è l’ordinamento
interno a base democratica, e in seguito a tale registrazione la possibilità per i sindacati, rappresentati in
proporzione ai loro iscritti, di stipulare contratti collettivi con efficacia generale.
La differenza con le associazioni riconosciute sta nel fatto che queste hanno autonomia patrimoniale per-
fetta, mentre per le obbligazioni assunte, le associazioni non riconosciute rispondono sia con il fondo comu-
ne sia personalmente e solidalmente le persone fisiche che hanno agito in nome e per conto dell’associazio -
ne. Ma per il sindacato, il cui scopo è la tutela dei lavoratori, che non comporta grandi impegni economici,
questo è un fatto poco rilevante. È rilevante, invece, il potere di stipulare contratti collettivi di diritto comu-
ne, strumento grazie al quale finora hanno ricercato il proprio scopo di tutela del lavoratore.
Come associazione non riconosciuta, elemento fondamentale dei sindacati è lo statuto, dove viene indivi-
duata la categoria professionale tutelata, l’organizzazione (organi = assemblea, comitato direttivo, segrete-
ria, ecc.) e l’ordinamento interno e le modalità di formazione e competenze rispettive. Ogni singola asso-
ciazione sindacale può unirsi ad altre associazioni, dando vita ad organizzazioni complesse.
• RECESSO. I singoli soci possono in qualsiasi momento recedere dall’associazione, senza però diritto ad esi-
gere una quota del fondo comune. Nel caso vi sia effettivamente il recesso, esso, in forza del principio di li-
bertà sindacale, ha efficacia immediata, con piena facoltà del recedente di aderire ad altro sindacato. Nel -
l’ambito delle organizzazioni complesse, l’associazione minore può recedere dalla maggiore.
• DELIBERE. Le delibere dell’associazione possono essere impugnate dal singolo socio per contrarietà alla
legge, allo statuto o all’atto costitutivo, in base all’art 23 comma 1, ritenuto applicabile anche alle associa -
zioni non riconosciute.
Per quanto riguarda le delibere di natura disciplinare, che possono anche consistere nell’espulsione del so -
cio, gli statuti prevedono sovente l’impugnazione di fronte ad un collegio di probiviri.
• CLAUSOLE. Le clausole degli statuti che definiscono gli scopi del sindacato tendono a consentire che l’azio -
ne del sindacato sia finalizzata a tutelare non solo gli iscritti, ma anche i non iscritti, almeno per coinvolgere
anche questi ultimi nell’attuazione degli scioperi che vengono proclamati.
L'art. 19 stat. lav. e successivi, contengono una serie di misure di sostegno dell’attività sindacale, tra le quali
"il diritto di costituire, ad iniziativa dei lavoratori, rappresentanze sindacale aziendali (RSA)" in ogni "unità
produttiva che occupa oltre 15 dipendenti" (art. 35 stat. lav.) il cui compito era essere un punto di contatto
tra datori di lavoro e sindacati.
Dagli anni '80 si è verificata una notevole frammentazione della rappresentatività a scapito delle grandi con -
federazioni, sicché da un lato con il referendum del 1995 è stato abrogato il privilegio di cui godevano que-
ste ultime per la costituzione delle rsa e dall'altro lato con il protocollo del 23 luglio 1993 sono state intro-
dotte le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), valide per luoghi di lavoro sia pubblici che privati.
L’RSU viene eletta da tutti i lavoratori presenti in azienda (per questo partecipa alla contrattazione azienda -
le), indipendentemente dal fatto che essi siano o no iscritti ad un sindacato. Le RSU hanno sostituito pro-
gressivamente le RSA in quanto le organizzazioni sindacali che partecipano alla formazione delle RSU si sono
impegnate a non costituire più RSA al fine di non duplicare inutilmente gli organismi di rappresentanza dei
lavoratori. Questo non ha comunque comportato la soppressione delle RSA, le quali conservano potere di
contrattazione collettiva concorrente con quella della RSU. Le associazioni sindacali possono scegliere di non
partecipare alle elezioni per le RSU e di costituire le proprie RSA, sempre rispettando i requisiti previsti dallo
Statuto dei lavoratori (legge 300/70).
Infine, per l'elezione delle RSU è prevista secondo metodo proporzionale ed è consentita la presentazione
di liste a qualsiasi associazione sindacale che abbia aderito agli accordi che regolamentano le RSU.
Riassumendo, le differenza tra RSA e RSU sono:
1) le RSA sono previste dalla legge (300/70) art. 19; le RSU sono previste dall'accordo interconfede -
rale del 20 luglio 1993;
2) la RSA è eletta dagli iscritti ad un particolare sindacato; la RSU da tutti i lavoratori dell'azienda,
iscritti o no ad un sindacato;
3) la RSA non partecipa alla contrattazione aziendale; la RSU invece si, poiché è la rappresentanza
generale dei lavoratori;
4) in un'azienda con più di 15 dipendenti vi possono essere più RSA, ma solo una RSU;
5) le organizzazioni sindacali che intendono partecipare all'elezione delle RSU devono rinunciare al -
l'utilizzo delle RSA; per le RSU è previsto che un sindacato possa revocare il riconoscimento solo
dando disdetta dell'intero accordo interconfederale, in tal modo precludendosi di partecipare alle
elezioni delle RSU;
6) l'art. 5 dell'accordo interconfederale del 93 attribuisce espressamente alle RSU il potere di stipu -
lare accordi sindacali aziendali nelle materie previste dal CCNL poiché "stabilisce che le RSU suben-
trano alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spet -
tanti per effetto di disposizioni di legge".
14. I SOGGETTI
14.1 I SOGGETTI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA - I soggetti stipulanti il contratto collettivo sono:
- DAL LATO DEI LAVORATORI → è sempre l'esponente di un gruppo (altrimenti si tratterebbe di un
contratto non collettivo ma individuale). Non deve trattarsi necessariamente di un'associazione sin-
dacale (quindi ok commissioni interne o RSA) essendo sufficiente che tuteli un interesse collettivo,
che vada quindi al di là di quello dei singoli componenti del gruppo.
- DAL LATO IMPRENDITORIALE → il soggetto può essere esponente del gruppo, ma è ammessa an-
che la stipulazione da parte del singolo datore di lavoro in caso di contratto collettivo aziendale.
14.2 LA LIBERTÀ DI SCELTA DELLA CONTROPARTE CONTRATTUALE E I SUOI LIMITI - Il principio di libertà
sindacale comporta non solo la libertà di trattare o no, ma anche la libertà di scelta della controparte con -
trattuale. Non esiste, pertanto, l'obbligo generale da parte dell'associazione imprenditoriale o del singolo
imprenditore a trattare, bensì possono scegliere liberamente di non intavolare la trattativa richiesta oppure
di iniziarla solo con alcuni sindacati escludendone altri. È possibile che la trattativa si concluda senza un ac -
cordo. Ovviamente anche i sindacati dei lavoratori possono rifiutare di trattare, o stipulare determinati ac-
cordi, benché di fatto ciò accada raramente a causa dell'interesse sindacale di vincolare i datori di lavoro. La
libertà di scelta della controparte è esclusa in relazione ai contratti collettivi riservati dalla legge a determi-
nati sindacati, al fine di garantire l'adeguatezza di delicate regolamentazioni comportanti il sacrificio di alcu -
ni interessi dei lavoratori (in questo caso la trattazione deve avvenire con tutti i sindacati, mentre la stipula -
zione può avvenire con alcuni soltanto). Nel settore dell'impiego con le PA vige un principio opposto, in
quanto è la legge a predeterminare i soggetti della contrattazione collettiva.
15. LA FORMA - La disciplina generale dei contratti prevede la libertà di forma in tutti i casi in cui non ne
sia prescritta una particolare dalla legge, e tale principio è stato ribadito dalla Cassazione (1995) anche per
i contratti collettivi di diritto comune. Tuttavia, per esigenza di certezza, l'ordinamento ha previsto l'istituzio -
ne presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) dell'archivio dei contratti collettivi or-
ganizzato in modo tale da consentire la pubblica consultazione e, (ex art. 425 cod. proc. civ.) la possibilità
per il giudice di richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti collettivi (anche aziendali) da appli -
care nelle cause, mentre per i contratti collettivi nazionali del settore pubblico è prevista la pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica. Queste norme riconoscono positivamente l'indispensabilità della
forma scritta per il conseguimento della funzione tipica del contratto collettivo.
16. IL CONTENUTO
16.1 LA PARTE NORMATIVA - La parte normativa è costituita dalle clausole del contratto collettivo che
adempiono alla funzione tipica di disciplina dei rapporti individuali di lavoro. In tale parte, vengono fissati
tutti i dettagli del rapporto di lavoro: i diritti e gli obblighi di ciascun lavoratore e di ciascun datore di lavoro,
dando luogo ad una contrattazione acquisitiva quando incrementano i diritti dei lavoratori e ad una contrat-
tazione ablativa quando peggiorano il precedente trattamento.
Si parla di accordi gestionali quando, specialmente in situazioni di crisi, sono fatti accordi che limitano i po-
teri del datore di lavoro.
16.2 LA PARTE OBBLIGATORIA - Differentemente dalla parte normativa, costituita dalle clausole destinate a
regolare i rapporti individuali riconducibili al contratto, la parte obbligatoria è costituita dal quelle clausole
che disciplinano esclusivamente i rapporti reciproci tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipula-
zione dei contratti medesimi, creando diritti ed obblighi per i soggetti stipulanti, e non per i singoli lavora-
tori.
Gli esempi più noti sono le clausole di articolazione della contrattazione in più livelli, ovvero quelle di rego -
lamentazione del conflitto collettivo (es. patti di tregua), quelle relative ai diritti sindacali di informazione e
consultazione e quelle istitutive di commissioni intersindacali.
20.2 I RAPPORTI TRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO - Se ad uno stesso rapporto di lavoro
sono applicabili più contratti di diverso livello (nazionale o aziendale) può porsi il problema del contrasto tra
le rispettive disposizioni (c. d. concorso-conflitto) e quale norma applicare.
Prima di tutto bisogna verificare se il contrasto è superabile in via interpretativa, assegnando a ciascuna di-
sposizione un significato compatibile con le altre, altrimenti si procede in base alla legge:
1) nel settore pubblico deve prevalere la norma del contratto collettivo nazionale;
2) nel settore privato
- solo in specifiche materie (come precisato dalla legge 148/2011) i contratti aziendali possono de-
rogare con efficacia generale ai contratti nazionali;
- al di fuori di queste specifiche materie, applicare il criterio cronologico, facendo prevalere le nor -
me del contratto nazionale o aziendale a seconda di quale sia entrato prima in vigore.
In ogni caso, se non sul piano legislativo, almeno sul piano contrattuale, l' accordo interconfederale per l'in-
dustria del 28 giugno 2011 ha previsto la prevalenza del contratto nazionale, derogabile dai contratti azien-
dali sono nei limiti e con le procedure previste dal contratto nazionale.
24 NATURA, TITOLARITÀ E DISPONIBILITÀ DEL DIRITTO DI SCIOPERO - Lo sciopero è riconosciuto come di-
ritto dall'art. 40 che in proposito afferma che "Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo
regolano", ovvero è una sospensione bilaterale messa in atto dallo sciopero stesso (si parla di diritto pote-
stativo del lavoratore poiché è una decisione unilaterale) che consente al lavoratore scioperante di rifiutare
legittimamente la prestazione dovuta e al datore di lavoro di non corrispondere la retribuzione per il perio -
do di mancato svolgimento della prestazione lavorativa. Di conseguenza "sono vietati, con sanzione di nulli-
tà, gli atti discriminatori (es. licenziamento) e ostacoli/impedimenti frapposti dal datore di lavoro all'eserci-
zio del diritto di sciopero" (art. 28 stat. lav.).
Allo sciopero è collegato l'art. 3 Cost., poiché tramite esso si può dire che "siano tutelati i fondamentali in-
teressi della persona, poiché contribuisce a rimuovere le disuguaglianze tra i cittadini permettendo lo svilup-
po della persona e la partecipazione sociale dei lavoratori". Il diritto di sciopero è un diritto individuale, nel
senso che a ciascun lavoratore spetta di volta in volta la decisione se esercitare o meno il diritto di sciopero,
ad esercizio collettivo, poiché lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un interesse collettivo, la
cui valutazione spetta al gruppo.
Il diritto di sciopero spetta ai lavoratori subordinati (anche pubblici; mentre sono esclusi i militari e la Polizia
di Stato) e parasubordinati. Per i lavoratori autonomi (professionisti) si parla più che altro di astensione (per
i lavoratori autonomi la Commissione di garanzia promuove l'adozione di codici di autoregolamentazione,
che, se mancano o se valutati idonei, la Commissione di garanzia, sentite le parti interessate, delibera la
provvisoria regolamentazione). Per quanto riguarda la serrata di protesta dei piccoli esercenti senza dipen-
denti, non è possibile parlare propriamente di sciopero, dal momento che manca la sospensione di un rap -
porto di lavoro (la Corte Costituzionale ha escluso l'assimilazione della nozione di sciopero a tale azione).
24.3 LA TREGUA SINDACALE - La tregua sindacale è un periodo di vigenza di un contratto collettivo ad un
certo livello (nazionale o aziendale), durante il quale i sindacati che hanno firmato quel contratto e i lavora -
tori vincolati da tale contratto non possono scioperare (potranno scioperare solo per rivendicazioni ad altri
livelli di contrattazione).
Tuttavia, i contratti collettivi possono prevedere clausole espresse di tregua sindacale che vietano lo sciope-
ro a tutti i livelli. La prima questione attiene all'accertamento dell'effettiva volontà di concordare una simile
tregua sindacale. Solo in caso di risposta affermativa si pone il problema della legittimità di queste clausole
espresse, nonché dei destinatari dell'obbligo e delle sanzioni per sua violazione. Questo temporaneo impe-
dimento negozionale dell'esercizio del diritto di sciopero non può riguardare scioperi per materie diverse da
quelle regolate o per finalità diverse da quelle contrattuali. Lo sciopero è possibile solo se si verifica una si -
tuazione tale da giustificare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467
cod. civ.
Il protocollo del 1993 e l'accordo quadro del 2009 hanno previsto obblighi di tregua sindacale espliciti per il
periodo di negoziazione del rinnovo del contratto nazionale ed impliciti, con riferimento alle materie sot-
tratte alla contrattazione di secondo livello. L'accordo interconfederale per l'industria del 28 giugno 2011
prevede che le clausole di tregua contenuta nei contratti collettivi aziendali maggioritari vincolano solo sin-
dacati e rappresentanze sindacali e non i singoli lavoratori.
Nel settore pubblico è previsto, a pena di nullità con sostituzione automatica, che la contrattazione integra-
tiva può svolgersi solo sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti nazionali. Ne deriva un divieto di scio -
pero in relazione alle materie già definitivamente regolate nel contratto nazionale per tutto il periodo di vi -
genza di questo, salva l'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta.
25 LA DEFINIZIONE DELLO SCIOPERO - Lo sciopero tutelato dalla legge è quello consistente nella totale
astensione del lavoro da parte del lavoratore (totale perché deve riguardare l'intera attività dello scioperan -
te, che non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere), di conseguenza non sono tutelate
altre condotte come:
- lo sciopero delle mansioni (astensione dal compiere solo alcune mansioni) → inadempimento con-
trattuale, autorizza il datore di lavoro a rifiutare la prestazione parziale;
- lo sciopero del cottimo (riduzione del rendimento al minimo) → al di sotto del rendimento minimo
si verifica un illegittimo rallentamento concertato della produzione. Al pari di questo rallentamento,
detto sciopero del rendimento, anche la non collaborazione, l'ostruzionismo e lo sciopero pignolo
(alla rovescia), consistente nell'applicazione pedante di direttive e regolamenti, costituiscono con-
dotte diverse dalla semplice astensione dal lavoro (≠ sciopero), bensì che dovranno essere valutate
nella prospettiva del corretto adempimento della prestazione effettivamente dovuta in base alla
prescritta diligenza e buona fede.
È legittimo lo sciopero dello straordinario, la cui peculiarità attiene solo alla durata e collocazione tempora-
le dell'astensione, nei periodi di attuazione è completo.
Sono inoltre vietate penalmente le seguenti condotte:
- sabotaggio/boicottaggio (art. 508, c. 2, cod. pen.) → Danneggiamento di oggetti/edifici dell'im-
presa;
- occupazione d'azienda (art. 508, c. 1, cod. pen.) → Per la sussistenza del reato occorre il dolo spe-
cifico che consiste nell'ostacolare il regolare svolgimento dell'azienda da parte di chi non ha sciope -
rato. Non si verifica tale reato in caso di sciopero bianco, cioè di breve permanenza degli scioperanti
all'interno dell'azienda che non impedisce la prosecuzione dell'attività produttiva da parte degli altri
lavoratori;
- picchettaggio violento → Impedimento di lavorare ai lavoratori non scioperanti. La tutela della li-
bertà di lavoro di chi non aderisce allo sciopero e la rigorosa condanna di ogni violenza costituiscono
il presupposto per escludere dalla nozione di sciopero anche il picchettaggio violento, il quale inte-
gra il reato di violenza privata o di minaccia nei confronti dei lavoratori non scioperanti, dei quali è
diretto ad impedire l'ingresso in azienda o ad imporre l'abbandono del lavoro. Il reato si verifica an-
che quando l'ostacolo è una barriera umana non superabile se non con la forza, mentre è lecito il
tentativo di convincere civilmente allo sciopero.
È invece consentito il ricorso ai crumiri, ossia a lavoratori con cui il datore di lavoro sostituisce gli scioperanti
per limitare i danni alla propria azienda. La giurisprudenza ammette il crumiraggio interno, purché nel ri-
spetto delle regole del rapporto con il dipendente crumiro, mentre dubita del crumiraggio esterno, vietato
solo se realizzato con lavoro a termine, intermittente o somministrato.
→ Blocco delle merci: reato di violenza privata
L'incriminazione del boicottaggio (art. 507 cod. pen.), quale comportamento diretto ad escludere l'impren-
ditore dai rapporti economici inducendo (anche senza violenza o minaccia che sono solo aggravanti) una o
più persone a non fornirgli lavoro, materie prime e attrezzature o a non acquistarne i prodotti, è costituzio -
nalmente legittima, trattandosi condotta diversa dallo sciopero. È incostituzionale l'art. 507 cod. pen. nella
parte in cui incrimina la propaganda di puro pensiero e di pura azione contro un imprenditore, sulla base
della salvaguardia della libertà di manifestazione del pensiero.
Di contro, il datore di lavoro può reagire lecitamente con provvedimenti disciplinari, dalla non retribuzione
fino al licenziamento, sia presentando azioni civilistiche (come azioni possessorie o azioni d'urgenza) sia in -
vocando l'intervento delle forze dell'ordine.
25.2 LE MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLO SCIOPERO - Originariamente erano considerati illegittimi lo scio-
pero improvviso, senza preavviso, lo sciopero articolato, ossia “a singhiozzo” in cui si succedono a brevi in-
tervalli di tempo ,nell'arco della stessa giornata, periodo di lavoro e periodo di astensione) e lo sciopero a
scacchiera, attuato a turno da diversi reparti.
Queste forme di sciopero erano ritenute illegittime poiché arrecavano un danno eccessivo alla produzione,
ma tale convinzione è stata abbandonata da quando la Corte Costituzionale (1980) ha affermato che lo scio -
pero può essere attuato in qualsiasi forma, purché non rechi danno alle persone e agli impianti, mentre è ir -
rilevante il danno provocato alla produzione.
Resta comunque ferma la facoltà del datore di ritenere inutilizzabili e di non retribuire le prestazioni parziali
rese durante queste forme particolari di sciopero.
26 LE FINALITÀ DELLO SCIOPERO - La finalità tradizionale dello sciopero è economica a fini contrattuali, ov-
vero diretta ad ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro. Il destinatario di questa forma di pres-
sione è il datore di lavoro, che ha la disponibilità della pretesa avanzata dagli scioperanti, così che può, me-
diante un accordo che accolga in tutto o in parte tale pretesa, far cessare il pregiudizio derivante dallo scio-
pero. L'incriminazione di questo tipo di sciopero è stata dichiarata incostituzionale per il palese contrasto
con il diritto riconosciuto dall'art. 40 Cost.. La tesi secondo cui la Costituzione proteggerebbe solo lo sciope -
ro a fini contrattuali è stata superata, ricomprendendo anche lo sciopero economico-politico, per rivendica-
zioni avanzate nei confronti dei pubblici poteri riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che tro -
vano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo III, parte I, Costituzione, intitolata “Rapporti economici”.
Il datore di lavoro è costretto a subire lo sciopero e il relativo danno anche quando nulla può fare per evitar -
lo, poiché la pretesa è nella disponibilità esclusiva dei pubblici poteri.
All'interno della logica dello sciopero economico, rientra lo sciopero di solidarietà: esso ricorre quando l'a-
stensione di un gruppo di lavoratori viene effettuata per sostenere e solidarizzare con le rivendicazioni di al -
tri lavoratori e non per far valere pretese che influiscono sul proprio rapporto di lavoro. La disposizione del-
l'art. 505 cod. pen. che incrimina lo sciopero di solidarietà non è stata dichiarata incostituzionale, in quanto
la Consulta ha rimesso ai giudici ordinari di verificare la specie e il grado del collegamento tra gli interessi
economici di cui si invoca la soddisfazione ed, in relazione ad essi, determinare l'ampiezza da assegnare al
complesso categoriale formato dai titoli degli interessi stessi (→ in contrasto con il principio di autodeter-
minazione dell'interesse collettivo).
Lo sciopero politico, è diretto contro i pubblici poteri per tutelare interessi non solo dei lavoratori ma di tut-
ti i cittadini. La Corte Costituzionale ha inizialmente ritenuto che tale forma di sciopero fosse reato violando
l'art. 503 cod. pen. → "scioperi a fini non contrattuali" perché non riconducibile all'art. 40 Cost. Successiva-
mente, la Corte (1974) ha ritenuto che tale sciopero non costituiva reato in quanto espressione della libertà
di sciopero e in quanto strumento per rimuovere le diseguaglianze di fatto di cui all'art. 3 Cost. La stessa
Corte, però ha ritenuto che lo sciopero politico, pur non rappresentando un illecito penale, costituisce un
inadempimento contrattuale. Ancora oggi, lo sciopero politico può integrare gli estremi del reato ex art. 503
cod. pen., se diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale o impedire il libero esercizio della sovranità
popolare (sciopero sovversivo). Nell'ipotesi opposta di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzio-
nale, il legislatore riconosce a questo tipo di sciopero politico una funzione di particolare rilievo, tanto da
consentire il sacrificio degli utenti dei servizi pubblici essenziali mediante la disapplicazione delle regole sul
preavviso minimo e sulle doverose comunicazioni.
27 I LIMITI ALLO SCIOPERO PER LA TUTELA DI ALTRI INTERESSI DI RILIEVO COSTITUZIONALE - In mancanza
delle previste leggi regolatrici, gli interpreti hanno dovuto individuare la nozione di sciopero distinguendo
questo diritto da altre forme di lotta sindacale e hanno dovuto fissare alcuni limiti esterni per il necessario
contemperamento con altri interessi di rilevanza costituzionale.
La Corte Costituzionale ha affermato l'esistenza di limitazioni coessenziali al diritto di sciopero desumibili
dalla necessità di far accordare le esigenze di autotutela di categoria con le esigenze discendenti da interessi
generali, che trovano protezione nei principi costituzionali. Quindi la Corte, con alcune sentenze ha eviden-
ziato che il diritto di sciopero va esercitato nel rispetto di interessi generali di rilievo costituzionale, come il
diritto alla vita, alla salute, all'incolumità delle persone.
Sulla necessaria tutela dell'integrità fisica e della vita delle persone si fondano sia il divieto assoluto di scio-
pero per i marittimi durante la navigazione, con conseguente legittimità costituzionale in tale situazione
del reato di ammutinamento previsto dall'art. 1105 cod. nav., sia la necessità di limitare l'esercizio del dirit-
to di sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali (ad es. personale ospedaliero), con conseguente le-
gittimità costituzionale dei reati di abbandono individuale o collettivo di pubblici impieghi e servizi (legge
146/1990).
Inoltre, l'esercizio del diritto di sciopero deve avvenire senza recare danno alla produttività (impianti o per-
sone), mentre è irrilevante il danno alla produzione di cui può soffrire il datore di lavoro.
29 SERRATA - La serrata consiste nella temporanea chiusura dell'azienda da parte del datore di lavoro con il
rifiuto di ricevere e retribuire le prestazioni offerte dai lavoratori, come risposta alle loro rivendicazioni.
Tuttavia, poiché la Costituzione non la prevede, non esiste un diritto di serrata, ed il datore che vi ricorre è
obbligato a retribuire le prestazioni rifiutate senza un legittimo motivo. Ciò comporta che a poco vale sul
piano pratico il riconoscimento del diritto di serrata ai fini contrattuali.
Per quanto riguarda la serrata di protesta per fini non contrattuali rappresenta un illecito penale, in quanto
non sottoposta alla tutela dell'art. 39 Cost. né alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro.
In ogni caso, non è da considerarsi serrata e non costituisce illecito civile, né il rifiuto da parte del datore
delle prestazioni rese inutilizzabili dallo sciopero, né la chiusura dell'azienda per evitare danni alle persone e
agli impianti, che possono derivare da uno sciopero illegittimo.
CAPITOLO 4 “La repressione della condotta antisindacale”
GENERALE - Le condotte antisindacali del datore di lavoro sono i "comportamenti del datore diretti ad im-
pedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero" (art. 28 stat.
Lav.) → Ciò significa che il datore di lavoro ha diritto a perseguire i propri fini anche se questo contrasta con
l'interesse sindacale, ma non ad attaccare od ostacolare il libero svolgimento della dialettica sindacale. L' in-
teresse sindacale è tutelato nella facoltà di agire liberamente; quindi il datore di lavoro può opporsi leal-
mente al sindacato nel conflitto, ma non può opporsi al conflitto.
L'art. 28 stat. lav. prevede la repressione della condotta antisindacale, garantendo l'effettiva tutela giurisdi -
zionale della libertà e attività sindacale e del diritto di sciopero nei confronti del datore di lavoro (riguarda
tutti i datori di lavoro senza limiti dimensionali o qualitativi).
La condotta antisindacale riguarda non solo la violazione dei diritti sindacali tipici previsti di fonte legale o
negoziale, ma anche qualsiasi altro comportamento del datore di lavoro lesivo dell'interesse sindacale inte -
so come facoltà di agire liberamente (condotta antisindacale atipica).
L'art. 28 stat. lav. protegge l'interesse del sindacato e non quello del singolo lavoratore; si parla di condotta
plurioffensiva se lede sia gli interessi del sindacato che quello dei singoli lavoratori (es. trasferimento anti-
sindacale).
31.2 L'ELEMENTO SOGGETTIVO - Si ritiene che violi gli interessi del sindacato solo se vi è l'elemento oggetti-
vo, non basta l'intenzione, perciò il sindacato leso non è tenuto a provare il dolo o la colpa del datore; si ri -
tiene che violi gli interessi dei lavoratori se vi sono condotte contrastanti coi diritti del singolo lavoratore,
che acquistano valenza antisindacale solo se viene provata l'intenzione concreta di ledere il lavoratore.
36 IL LAVORO AUTONOMO - Il lavoro autonomo si differenzia da quello subordinato poiché è svolto "senza
vincolo di subordinazione nei confronti del committente, con una prestazione autodeterminata dal lavorato -
re stesso" (art. 2222 cod. civ.).
Il fatto che, nel lavoro autonomo, il lavoro deve essere prevalentemente proprio distingue i lavoratori auto-
nomi e i piccoli imprenditori (come coltivatori diretti, artigiani e piccoli commercianti) dagli imprenditori
veri e proprio, che organizzano il lavoro altrui. Utilizzando l'organizzazione dei fattori della produzione, l'im -
prenditore stipula ed esegue contratti di appalto, che per questo si distinguono dai contratti d'opera del la-
voratore autonomo, anche se entrambi riguardano il compimento di un'opera o di un servizio ( art. 1655 e
art. 2222 cod. civ.).
Per quanto riguarda le disposizioni del codice civile, il lavoro autonomo è regolato nel libro III del codice civi-
le dall'art. 2222 (e seguenti fino al 2238) che regola precisamente il contratto d'opera, affermando che
"quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro preva -
lentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di
questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV".
È da segnalare anche l'art. 2229 cod. civ. relativo alle libere professioni (avvocato, commercialista, ecc), in
base al quale "la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione
in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per tale iscrizione, la tenuta dei medesimi e il potere
disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo
che la legge disponga diversamente". L'iscrizione negli albi o elenchi vuole garantire la preparazione e la
deontologia degli iscritti, che devono superare un apposito esame di Stato e sono sottoposti al potere disci-
plinare degli ordini o collegi professionali che tengono gli albi. L'esercizio abusivo della professione costitui-
sce reato e la prestazione eseguita dal non iscritto non dà azione per il compenso.
In linea generale, si può dire che il lavoratore autonomo ha poche tutele rispetto al lavoro subordinato, e
solo sul piano previdenziale è stata ottenuta una legislazione protettiva che prevede l'apposita iscrizione al-
l'INPS di coltivatori diretti, artigiani, commercianti e lavoratori parasubordinati, mentre molte libere profes -
sioni sono dotate di una propria Cassa di previdenza obbligatoria (es. la Cassa forense per gli avvocati).
Recentemente, è stata introdotta con la legge Fornero (L. 92/2012), una disciplina che tende a ricondurre il
lavoratore autonomo non coordinato e continuativo a collaboratore parasubordinato, anche detto collabo-
ratore coordinato e continuativo (co. co. co.). Essi lavorano infatti in piena autonomia operativa, escluso
ogni vincolo di subordinazione, ma nel quadro di un rapporto unitario e continuativo con il committente del
lavoro. Nel dettaglio, l'art. 69 bis, prevede che si debba presumere che il lavoratore autonomo possessore di
P. Iva che operi per un dato committente sia in realtà, salvo prova contraria, un collaboratore parasubordi -
nato se ricorrono almeno 2 di queste 3 condizioni:
1) durata → la collaborazione col committente dura per più di 8 mesi annui per due anni consecuti-
vi;
2) corrispettivo → il corrispettivo ricevuto da quel determinato committente supera l'80% dei corri-
spettivi complessivamente ricevuti dal lavoratore da altri soggetti, nell'arco di due anni solari conse -
cutivi;
3) postazione fissa → il collaboratore dispone di una postazione fissa di lavoro presso una sede del
committente.
Tale presunzione si applica subito a tutti i contratti stipulati dopo il 18 luglio 2012 e per i contratti preceden-
ti opera solo 12 mesi da tale data. Inoltre questa presunzione non opera se il lavoratore effettua una presta-
zione richiedente competenze teoriche qualificate e rilevanti esperienza, oppure se il lavoratore ha comun -
que un suo reddito da lavoro autonomo pari ad almeno 18.000 euro annui, oppure se la prestazione lavora -
tiva riguarda l'esercizio di attività professionali che richiedono l'iscrizione ad un ordine professionale od ap -
positi registri. Questa presunzione è stata subito abrogata dall'art. 52, c. 1, d. lgs. 81/2015.
38 I RAPPORTI ASSOCIATIVI - Nel lavoro subordinato o autonomo, si hanno due parti contrapposte tra le
quali vi è uno scambio: il lavoratore fornisce la prestazione lavorativa e il datore eroga il compenso.
Nei rapporti associativi, invece, le parti perseguono l'interesse comune al buon andamento di un'attività
economica, da cui dipende la soddisfazione di ciascun associato.
38.2 IL LAVORO IN COOPERATIVA -
Nell'ambito dei rapporti associativi, spicca il lavoro in cooperativa, svolto dai soci di società cooperative con
scopo mutualistico (= fornire direttamente occasioni di lavoro ai soci).
La prestazione lavorativa del socio costituisce adempimento del contratto sociale quale conferimento (artt.
2533, c. 1, n. 4 e 2286 cod. civ.), trovando il suo fondamento nel rapporto associativo e non in un contratto
di scambio. Non si può parlare di rapporto di lavoro subordinato mancando l'estraneità dell'organizzazione
e del risultato produttivo, tant'è che gli introiti dei singoli soci non rappresentano la retribuzione corrispetti-
va del lavoro, piuttosto semplice ripartizione di ricavi sociali. Un rapporto di lavoro subordinato viene am-
messo solo se si tratti di attività estranea all'oggetto sociale.
• Prima della legge 142/2001, non c'era differenza tra contratto sociale e contratto di lavoro, nel sen -
so che il socio, fornendo la propria prestazione lavorativa, adempiva al contratto sociale, e la sua
prestazione valeva come conferimento alla società.
• Con la legge 142/2001, invece, il lavoro del socio nella società cooperativa non può valere come
esecuzione del rapporto associativo, ma deve essere stipulato un contratto separato di lavoro su-
bordinato o autonomo. In questo modo, secondo l'autore, si è erroneamente calpestata l'autono-
mia privata delle società cooperative e si è violato l'art. 45 Cost., che prevede la tutela della coope-
razione. La nuova legge impone, inoltre, una retribuzione del socio-dipendente non inferiore ai mi -
nimi previsti dai contratti collettivi di settore, ma in questo modo troviamo un contrasto con l'essen -
za del fenomeno cooperativo, secondo cui il rischio d'impresa grava sugli stessi lavoratori; questo ri-
schio viene meno garantendo comunque ai soci lavoratori una retribuzione al di sopra di un certo
minimo. L'imposizione di trattamenti economici minimi non inferiori a quelli previsti dai contratti
collettivi rimane incostituzionale, trattandosi dell'attribuzione di efficacia generale al contratto col-
lettivo in contrasto con il procedimento previsto dall'art. 39 Cost.
Se questa legge verrà dichiarata incostituzionale, si tornerà al corretto principio secondo cui al lavo-
ro in cooperativa non si applicano le tutele del lavoro subordinato, salvo quelle espressamente pre -
viste. Non operava il principio costituzionale di retribuzione sufficiente, perché il vantaggio mutuali-
stico poteva consistere in una garanzia di continuità dell'occupazione e del reddito. Non si applicava
neppure la normativa di limitazione del potere di licenziamento, poiché l'esclusione del socio non
era equiparabile al licenziamento del dipendente (casi di esclusione del socio predeterminati dalla
legge e dall'atto costitutivo). Per i rapporti tra la cooperativa di lavoro ed i propri soci non valevano
neppure le tutele legali della libertà ed attività sindacale nei luoghi di lavoro, non essendoci un con-
flitto tra interessi contrapposti → ammissione solo della libertà di sciopero con pretesa nei confronti
non della cooperativa, ma di altri soggetti, pubblici o privati. La L. 142/2001 riconosce le tutele della
libertà ed attività sindacale sul presupposto del rapporto di scambio, con il limite di compatibilità
con lo stato di socio.
• Per quanto riguarda la disciplina previdenziale, i soci-lavoratori di cooperative sono da tempo equi-
parati ai lavoratori dipendenti dal punto di vista previdenziale (invalidità, vecchiaia, infortuni sul la-
voro e malattie professionali).
• In merito all'individuazione del giudice competente a decidere sulle controversie tra cooperative e
soci, sussiste la competenza del Tribunale civile ordinario secondo quanto prevede la L. 30/2003. La
competenza del giudice del lavoro può sussistere solo quando il lavoratore deduce che il rapporto
associativo è solo simulato, apparente, nascondendo un sostanziale rapporto di lavoro subordinato.
• L'equiparazione, sancita dalla Corte Costituzionale (1989), tra crediti delle società cooperative verso
il committente e crediti del lavoratore verso il datore di lavoro conferma come la protezione della
posizione del socio si realizza automaticamente come riflesso della tutela della cooperativa nei con -
fronti dei terzi.
• Un cenno meritano le cooperative di solidarietà sociale, le quali mirano a favorire l'inserimento nel
mondo del lavoro di persone svantaggiate (invalidi, tossicodipendenti, alcolisti, minori in difficoltà,
ecc.); a queste cooperative possono partecipare anche soci volontari che prestano gratuitamente la
loro attività. Erano cooperative di lavoro anche le compagnie portuali, per le quali si è posto il pro-
blema del monopolio per legge di alcune attività (carico, scarico, ecc.), ritenuto incompatibile con
l'ordinamento comunitario, con conseguente nuova disciplina.
38.3 IL LAVORO IN SOCIETÀ - Nei rapporti associativi, rientra anche il socio d'opera, che conferisce alla so-
cietà non beni, crediti o denaro, ma la propria attività ad una società di persone a scopo di lucro, parteci-
pando ai guadagni e alle perdite insieme agli altri soci. La causa associativa esclude un rapporto di lavoro
subordinato tra società e socio, configurabile solo quando l'attività sia svolta in forma subordinata e sia
estranea rispetto a quella conferita. Anche l'attività del socio per l'amministrazione della società di persone
costituisce attuazione del contratto societario e non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.
Nelle società di capitali è escluso il conferimento di prestazioni d'opera, ma l'atto costitutivo può prevedere
l'obbligo del socio di eseguire prestazioni accessorie con compenso almeno uguale a quello previsto dai
contratti collettivi aventi ad oggetto le stesse prestazioni. Neppure queste prestazioni possono dar luogo ad
un rapporto di lavoro subordinato, che è ammissibile tra le società di capitali ed un suo socio.
38.4 L'ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE - Nei rapporti associativi è compresa l'associazione in partecipa-
zione costituita da un contratto mediante il quale l'associante attribuisce all'associato una partecipazione
agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto, che può con-
sistere anche in un'attività lavorativa (art. 2549 cod. civ.). L'associato, salvo patto contrario, partecipa anche
alle perdite nei limiti del valore del suo apporto
(art. 2553 cod. civ.). La gestione spetta all'associante, ma l'associato, se previsto dal contratto, può esercita-
re un controllo ed ha sempre diritto al rendiconto.
Ora l'associazione in partecipazione con associato lavoratore è stata abrogata ( art. 53 del d. lgs. 81/2015).
La distinzione dal lavoro subordinato si fondava sulla partecipazione dell'associato lavoratore al rischio
d'impresa con il connesso diritto al rendiconto periodico, il cui andamento negativo legittimamente privava
di ogni utile il suo apporto lavorativo, mentre il lavoratore subordinato conserva il diritto di retribuzione
sufficiente ex art. 36 Cost. anche quando risulti in concrete inadeguata la pattuita retribuzione con parteci-
pazione agli utili.
38.5 L'IMPRESA FAMILIARE - La nozione di impresa familiare poggia sul fatto che il familiare (coniuge, pa-
renti entro il terzo grado, affini entro il secondo) che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro
nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiari, oltre che ai beni acquistati con essi e agli incrementi del -
l'azienda in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
L'impresa familiare rimane individuale nei rapporti con i terzi, quindi il rapporto associativo riguarda solo il
versante interno. La costituzione di questa impresa può avvenire con atto scritto, ma anche per fatti conclu -
denti.
Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, oltre che quelle inerenti alla gestione straor-
dinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che
partecipano all'impresa stessa. Il diritto di partecipazione è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga
a favore di un altro familiare con il consenso di tutti i partecipi, e può essere liquidato in denaro in caso di
alienazione dell'azienda o di uscita del singolo dall'impresa. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento
dell'azienda, i partecipanti hanno diritto di prelazione e riscatto sull'azienda medesima.
L'impresa familiare ha natura associativa, per cui non si applicano le tutele del lavoratore subordinato, ad
eccezione dell'assicurazione contro gli infortuni e delle regole del processo del lavoro.
→ Azienda coniugale: impresa gestita in comune da entrambi i coniugi.
39 IL LAVORO GRATUITO - l lavoro gratuito è quello in cui è concordata o è presunta la mancanza della retri -
buzione, mentre l'omesso pagamento della retribuzione nel lavoro oneroso comporta inadempimento con-
trattuale del datore.
La gratuità deve essere voluta e insita nella causa della prestazione, in presenza di particolari ragioni o circo -
stanze solitamente di tipo affettivo, solidaristico o ideologico, in assenza delle quali si presume l'onerosità,
ma non necessariamente la subordinazione.
1) FAMIGLIA. Si presume la gratuità a causa del rapporto affettivo tra i suoi componenti, salvo una prova ri -
gorosa della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Un'ipotesi tipica è quella delle attività agrico-
le, limitatamente a prestazioni svolte occasionalmente o di breve periodo a titolo di aiuto, mutuo aiuto, ob -
bligazione morale senza compensi. La presunta gratuità vale anche nel lavoro svolto dalla convivente more
uxorio, purché la convivenza dia luogo ad una effettiva comunanza spirituale ed economica simile a quella
coniugale.
2) COMUNITÀ RELIGIOSE. Al loro interno i singoli componenti svolgono la loro attività anche secolare (ad
es. insegnamento, assistenza agli infermi) religionis causa. Se il lavoro è prestato a favore di un ente diverso
da quello di appartenenza, opera la normale presunzione di onerosità.
3) SACERDOTI. Per lo svolgimento del loro ministero nell'ambito delle strutture ecclesiastiche percepiscono
una prestazione assistenziale da parte dell'Istituto di sostentamento del clero. Possono svolgere attività se-
colare regolarmente retribuita a favore di terzi, con detrazione degli importi della suddetta indennità assi-
stenziale.
4) VOLONTARIATO. Per il volontariato svolto in modo personale, spontaneo e per fini di solidarietà, sono
previsti solo un rimborso spese e un'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionale e per la re -
sponsabilità civile verso terzi.
5) COOPERATIVE SOCIALI. L'attività svolta dai soci volontari delle cooperative sociali è disciplinata dalla L.
52/1996, che prevede solo un rimborso spese e l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professiona -
li. Qui la solidarietà è verso i membri svantaggiati dalla stessa cooperativa, nell'ambito della quale i soci vo -
lontari non possono superare il 50%, e non verso soggetti terzi come nelle organizzazioni di volontariato.
6) IMPRESE SOCIALI. Le imprese che, senza distribuire utili, operano in settori di particolare rilievo sociale o
riservano almeno il 30% dell'organico a soggetti svantaggiati o disabili sono qualificate come imprese sociali
e possono avvalersi di volontari entro il limite del 50% dell'organico.
7) COOPERAZIONE CON PAESE IN VIA DI SVILUPPO. In questo caso l'attività è definita lavoro autonomo, ma
intesa dalla Corte Costituzionale come lavoro subordinato atipico e a causa mista, in cui, con la gratuità di
fondo della prestazione, si combinano elementi di onerosità.
CAPITOLO 6 “Il contratto di lavoro”
41 ORIGINE CONTRATTUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO - L'attuale codice civile del 1942 non contempla il
contratto di lavoro tra i contratti tipici del libro IV, ma definisce il prestatore di lavoro subordinato nell'ambi-
to della disciplina del lavoro nell'impresa, considerata (nel sistema corporativo del tempo) uno strumento di
realizzazione dell'interesse superiore dell'economia nazionale. In questo contesto normativo ha trovato spa-
zio una concezione, detta comunitaria, secondo cui la fonte del rapporto di lavoro è l'inserimento del lavo-
ratore nell'impresa e ciò farebbe emergere che il rapporto di lavoro, nel codice attuale, è regolato nell'ambi -
to del lavoro dell'impresa.
La tesi prevalente, però, (concezione contrattuale) ritiene che la fonte originaria del rapporto di lavoro sia il
contratto, il solo che possa essere garanzia di tutela e libertà per il lavoratore. La libertà di forma del con-
tratto di lavoro consente di individuare l'accordo delle parti anche nell'esecuzione della prestazione lavorati -
va accettata dal datore di lavoro, secondo lo schema di stipulazione del contratto per fatti concludenti.
42 LA COMPRESSIONE DELL'AUTONOMIA INDIVIDUALE - Il diritto del lavoro nasce per tutelare il lavoratore
subordinato, quale soggetto debole sul piano socio-economico e quindi contrattuale, prevedendo il tratta-
mento minimo ad esso spettante. La finalità di protezione del lavoratore spiega la tradizionale inderogabi-
lità solo in peius, che consente ai singoli pattuizioni migliorative del trattamento minimo legale o collettivo,
secondo il principio del favor per il lavoratore (= prevalenza della fonte a lui più favorevole, a prescindere
dalla gerarchia). Questa tendenza a favorire il legislatore ha cominciato ad avere qualche eccezione a partire
dagli anni 70, con misure che hanno fissato dei trattamenti massimi, non superabili in melius a favore dei la-
voratori. Tali misure sono servite per contenere l'inflazione e per combattere la disoccupazione.
43 I SOGGETTI
43.1 IL LAVORATORE - Il lavoratore, per essere parte del rapporto lavorativo, deve avere la capacità giuridi-
ca, il che significa nel diritto del lavoro (in deroga alla regola civilistica della capacità giuridica acquisita dalla
nascita) avere almeno 15 anni e non essere ancora soggetto all'obbligo scolastico. Se viene stipulato un con -
tratto con un lavoratore senza capacità giuridica, si hanno sanzioni penali ed il contratto è nullo per illiceità
dell'oggetto, anche se il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione per l'attività svolta.
Inoltre, fermo restando che il minore può esercitare diritti ed azioni dipendenti dal contratto di lavoro, que -
sto contratto può essere stipulato direttamente dal lavoratore solo se ha la capacità di agire, ossia la capaci-
tà di intendere e di volere che si acquisisce a 18 anni. Pertanto, per il minore di 18 anni, il contratto deve es -
sere stipulato dal suo rappresentante legale. Se, invece, il contratto è stipulato direttamente dal minore,
detto contratto è annullabile, ma restano validi tutti gli effetti per il periodo di avvenuta esecuzione del rap -
porto di lavoro.
La facoltà del datore di lavoro di scegliere il contraente lavoratore incontra dei limiti:
- la disciplina pubblicistica del collocamento, anche obbligatorio;
- i casi di prelazione (precedenza assoluta), come quelli previsti ad esempio a favore dei lavoratori li -
cenziati collettivamente o posti in mobilità con riferimento alle assunzioni entro i 6 mesi successivi;
- i divieti di discriminazione;
- la previsione negoziale di concorsi privatistici per l'assunzione da parte di datori di lavoro privati o
enti pubblici economici;
- l'obbligo di assunzione per concorso da parte delle PA.
43.2 IL DATORE DI LAVORO - Per il datore di lavoro non si pongono limiti di capacità giuridica o di agire se si
tratta di persona giuridica, mentre se si tratta di persona fisica i limiti non riguardano la capacità giuridica
ma quella di agire, a proposito della quale operano le disposizioni sull'esercizio dell'impresa da parte del mi-
nore emancipato e dell'inabilitato.
Non possono comunque considerarsi datori i gruppi societari, perché essi non hanno una propria autono-
mia giuridica e non possono essere titolari di rapporti di lavoro, che vanno imputati ad una o più delle socie -
tà del gruppo. Può accadere che il lavoratore circoli nell'ambito del gruppo stipulando distinti contratti di la -
voro, eventualmente anche a tempo parziale, con le società che lo utilizzano oppure che il contratto di lavo -
ro rimanga sempre lo stesso, realizzandosi la circolazione del lavoratore mediante una cessione di tale con-
tratto o un comando o una contitolarità del contratto stesso.
→ Codatorialità: indica un contratto di lavoro in cui compaiono due o più soggetti nella qualità di datori di
lavoro dello stesso lavoratore. Questo è ammissibile solo se le aziende abbiano previamente stipulato tra
loro un contratto di rete ai sensi del d. l. 5/2009 conv. in L. 33/2009 oppure se si tratta di imprese agricole
appartenenti allo stesso gruppo societario o riconducibili allo stesso proprietario (o a soggetti parenti/affini
entro il terzo grado) o di imprese legate da un contratto di rete in cui almeno il 50% di esse siano imprese
agricole.
Inoltre, il datore può essere privato o pubblico, imprenditore o non imprenditore, con ulteriori distinzioni a
seconda della natura dell'attività esercitata, conseguendone differenti discipline dei relativi rapporti di lavo -
ro. Un'altra regola fondamentale in tema di individuazione del datore di lavoro è quella secondo cui è vieta -
ta la dissociazione tra il soggetto formale datore di lavoro e il soggetto effettivo utilizzatore della prestazio-
ne, con l'eccezione del lavoro somministrato.
Per quanto riguarda le ipotesi di cambiamento del datore di lavoro, va dato atto che nel corso di svolgimen-
to del rapporto può verificarsi la sostituzione dell'originario datore di lavoro per effetto di un trasferimento
d'azienda o di una cessione consensuale del contratto. Tale cambiamento, nel lavoro pubblico, può realizzar-
si con la possibilità di passaggio diretto da un'amministrazione ad un'altra per la copertura di un posto va-
cante della stessa qualifica su domanda del lavoratore interessato e con il consenso dell'amministrazione di
provenienza.
46 LA PROVA - Le parti del contratto individuale di lavoro possono pattuire un periodo di prova, al fine di
sperimentare reciprocamente la convenienza di quel rapporto prima che lo stesso divenga definitivo (art.
2096 cod. civ.).
L'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto, dal quale deriva -
no obblighi per l'imprenditore e per il prestatore di lavoro. Infatti, l'imprenditore e il prestatore di lavoro
sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
La durata massima della prova è fissata solitamente dai contratti collettivi. In ogni caso la legge prevede che
dopo 6 mesi si applichi il regime di necessaria giustificazione del licenziamento, così che una prova più lunga
non avrebbe utilità per il datore di lavoro. Al lavoratore spetta il normale trattamento economico e normati-
vo, compreso il diritto alle ferie e all'indennità di fine rapporto.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o
d'indennità. Se, però, la prova è stabilità per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, se nessuna delle parti ha deciso
di recedere prima della scadenza, l'assunzione diventa definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzia-
nità del prestatore di lavoro.
47 LA SIMULAZIONE E LA FRODE - La simulazione consiste in una divergenza tra dichiarazione e volontà ef-
fettiva, nel senso che le parti concludono un contratto apparente (detto simulato), mentre in realtà non vo-
gliono alcun contratto (simulazione assoluta) o ne vogliono uno diverso (detto dissimulato) (simulazione re-
lativa) (art. 1414 cod. civ.). Nel dettaglio, si ha simulazione assoluta quando il contratto di lavoro viene sti-
pulato dalle parti convenendo di non attuarlo in alcun modo, ad esempio al fine di far beneficiare il finto la-
voratore di tale situazione apparente.
Il contratto simulato non produce effetti tra le parti, mentre è efficace l'eventuale contratto dissimulato.
Il fenomeno della simulazione non deve essere confuso con altre situazioni, come quella in cui alla qualifica -
zione del negozio ad opera delle parti si sovrappone la diversa qualificazione legale inderogabile in base allo
stesso contenuto dell'accordo; in questi casi non c0p una concordata divergenza tra volontà apparente e
volontà reale, ma si tratta solo di riconoscere il concreto assetto di interessi realizzato dalle parti e di qualifi-
carlo ex art. 2094 cod. civ.
- Si ha simulazione relativa oggettiva sia quando sotto un apparente contratto di lavoro autonomo
o associativo le parti consensualmente celano un reale contratto di lavoro subordinato sia quando le
parti concordemente riconducono ad un apparente contratto di lavoro subordinato un rapporto ef-
fettivo di altro tipo.
- Si verifica una simulazione relativa soggettiva quando il contratto di lavoro subordinato apparente
è con un determinato datore di lavoro, ma in effetti il contratto realmente voluto è con altro datore
di lavoro, realizzandosi così un'interposizione fittizia, da non confondere con l'interposizione reale.
La simulazione non deve essere confusa con la frode alla legge, che ricorre quando il contratto costituisce il
mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa, in quanto diretto a conseguire un risultato analo -
go a quello vietato dalla legge rispettata solo formalmente (art. 1344 cod. civ.). Il contratto in frode alla leg-
ge è nullo.
48 I VIZI DELLA VOLONTÀ - Il contratto di lavoro è annullabile, oltre che per incapacità di agire legale o na-
turale, anche per errore, violenza e dolo.
L'errore di fatto p difficilmente configurabile in relazione all'oggetto o al contenuto del contratto di lavoro,
in quanto la legge e l'autonomia collettiva lasciano ampio spazio all'autonomia individuale. Si può verificare,
però, un errore sull'identità o sulle qualità della persona del lavoratore rilevanti ai fini dell'attitudine profes-
sionale, comprensiva dell'idoneità psico-fisica, tecnica e morale richiesta dal tipo di mansioni dedotte in
contratto. Queste qualità sono lecitamente indagabili dal datore di lavoro ai fini dell'assunzione ed il loro ve-
nir meno legittima il licenziamento (errore di fatto → consente annullamento del contratto di lavoro).
Se il datore di lavoro, pur dopo essersi reso conto della carenza del requisito erroneamente supposto al mo-
mento dell'assunzione, continua ad eseguire il contratto, questo è definitivamente convalidato.
L'errore di diritto consente l'annullamento del contratto di lavoro quando ne sia stato la ragione unica o
principale e sempre che sia riconoscibile dall'altra parte.
Il dolo è causa di annullamento del contratto solo se i raggiri di un contraente siano tali che l'altra parte, in
assenza di essi, non avrebbe stipulato il contratto. Nel contratto di lavoro può verificarsi questa situazione
quando il lavoratore inganni il datore di lavoro a proposito della sussistenza di qualità essenziali per lo svol -
gimento delle mansioni pattuite. Se tali quali sono richieste da una norma imperativa il contratto è nullo.
Alla prestazione svolta di fatto in base ad un contratto nullo o annullabile si applica la disciplina dell' art.
2126 cod. civ.
49 LA PRESTAZIONE DI FATTO - L'esecuzione della prestazione lavorativa, anche senza un accordo, porta co-
munque alla conclusione del contratto di lavoro per fatti concludenti (ossia comportamenti concreti da cui
indirettamente desumersi l'esistenza del contratto).
Però, nel caso in cui la prestazione sia svolta all'insaputa o contro la volontà del datore di lavoro, non si co -
stituisce tra le parti un rapporto di lavoro ma chi ha eseguito la prestazione ha diritto ad un indennizzo per
l'eventuale ingiustificato arricchimento dell'imprenditore.
Nel caso, invece, che la prestazione sia attuata in esecuzione di un contratto nullo o annullabile, si applica
l'art. 2126 cod. civ. che fissa la regola della conservazione degli effetti del contratto di lavoro invalido per il
periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Ma questa conservazione degli effetti vale solo per il periodo
in cui la prestazione sia stata resa ed accettata dal datore di lavoro, mentre non si ha alcun diritto del lavora-
tore a proseguire il rapporto anche dopo che il datore di lavoro, accortosi dell'invalidità del contratto, abbia
legittimamente iniziato a rifiutare la prestazione offertagli.
Se la nullità del contratto deriva dalla illiceità dell'oggetto o della causa, il lavoratore non è ritenuto merite-
vole della tutela in esame e può richiedere solo l'eventuale indennizzo per ingiustificato arricchimento del-
l'imprenditore. È riconosciuto anche in questa ipotesi il diritto alla retribuzione se il lavoro è stato prestato
con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro.
50.2 LE ASSUNZIONI OBBLIGATORIE - Alla liberalizzazione del collocamento ordinario ha resistito il sistema
delle assunzioni obbligatorie, che costringe il datore di lavoro a riservare una quota di posti a lavoratori ap -
partenenti a categorie protette, quali gli invalidi, gli orfani o i coniugi dei caduti o dei grandi invalidi di guer -
ra o del lavoro e i profughi italiani rimpatriati. Nel collocamento obbligatorio la quota riservata è normal -
mente commisurata all'intero organico aziendale e in parte esclude ancora la scelta da parte del datore di
lavoro. È comunque rispettata la determinazione del datore di lavoro per quanto riguarda le dimensioni del
suo organico, attenendo il vincolo legale solo all'individuazione dei lavoratori destinati ad occupare alcuni
dei posti previsti. Le assunzioni obbligatorie sono disciplinate dalla nuova regolamentazione per il diritto al
lavoro dei disabili (L. 68/1999 modificata dal d. lgs. 151/2015), che si applica anche alle altre categorie pro-
tette fino ad apposita organica disciplina.
I disabili tutelati dalla nuova legge sono gli invalidi fisici, psichici, sensoriali e intellettivi con riduzione della
capacità lavorativa superiore al 45%, i non vedenti, i sordomuti, gli invalidi di guerra militari e civili e gli inva -
lidi per servizio di un certo grado.
I datori di lavoro pubblici e privati con più di 50 dipendenti sono obbligati ad avere alle loro dipendenze
una quota di disabili pari al 7% dell'organico (più una ulteriore quota riservata alle altre categorie protette
pari all'1%). Tale quota è ridotta per le organizzazioni più modeste fino al completo esonero dei datori di la -
voro che occupano fino a 14 dipendenti. Per le organizzazioni di tendenza, l'obbligo scatta solo in caso di
nuove assunzioni e la quota di riserva riguarda solo il personale neutro, cioè addetto alle mansioni tecni -
co-esecutive o amministrative.
Sono esonerate le attività per loro natura incompatibili con l'impiego di disabili, ma i datori di lavoro privati
esonerati devono versare un pesante contributo.
È ammessa, previa autorizzazione amministrativa, la compensazione territoriale, mediante assunzione di
un maggior numero di aventi diritto in una unità produttiva e corrispondente riduzione di un'altra.
• COMUNICAZIONI E ISCRIZIONI
I datori di lavoro hanno l'obbligo di inviare periodicamente agli uffici competenti un prospetto dal quale ri-
sultino l'organico complessivo, i lavoratori protetti già in servizio ed i posti disponibili per le ulteriori assun-
zioni obbligatorie eventualmente dovute. È prevista anche l'iscrizione dei disabili disoccupati in un apposito
elenco tenuto dagli uffici pubblici competenti, che compilano una graduatoria.
1) Il sistema della richiesta. Le assunzioni degli aventi diritto da parte dei datori di lavoro privati e
degli enti pubblici economici, avvengono mediante richiesta agli uffici o mediante apposite conven-
zioni. Nel primo caso è ammessa la richiesta nominativa, sia pure parziale per le imprese di maggiori
dimensioni; tuttavia, il datore ha diritto di indicare nella sua richiesta una precisa qualifica ed, in
mancanza di essa, concordare un'altra qualifica con l'ufficio o avviare un lavoratore con qualifica si -
mile. Ove mancasse iscritti con qualifiche simili, l'avviamento non potrebbe avvenire e sarebbe le -
gittima la scopertura in attesa di un avviamento conforme alla richiesta. Il datore di lavoro può rifiu -
tare l'assunzione del lavoratore avviato illegittimamente.
2) Il sistema della convenzione. In alternativa al precedente sistema, si pone quello, unico utilizzabi-
le per i disabili psichici, della convenzione tra datore di lavoro e ufficio competente, con fissazione
dei tempi e delle modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. La con-
venzione può prevedere la facoltà di scelta nominativa integrale, l'assunzione con contratto a tempo
determinato ed un periodo di prova più lungo di quello stabilito nel contratto collettivo, oltre che
deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato.
In caso di mancato invio tempestivo del prospetto periodico il datore di lavoro è sottoposto ad una sanzione
amministrativa pecuniaria che aumenta per ogni giorno di ulteriore ritardo. Nel caso di omessa richiesta
nel previsto termine di 60 giorni dall'inizio dell'obbligo o in caso di mancata assunzione di lavoratori avviati
è prevista a carico del datore di lavoro una sanzione amministrativa di 100.000 lire al giorno per ogni lavora -
tore. A questa tutela amministrativa si aggiunge la normale tutela giurisdizionale civile, in quanto il lavorato-
re avviato legittimamente ha diritto ad essere assunto e può chiedere la condanna del datore di lavoro ina -
dempiente a risarcirgli il danno contrattuale derivante dalla mancata assunzione (quantificato nelle retribu-
zioni perdute fino al nuovo avviamento).
Una efficace sanzione promozionale è l'esclusione da appalti o concessioni pubbliche per le imprese prive
della certificazione degli uffici competenti attestante il rispetto della normativa sulle assunzioni obbligato-
rie.
Le PA provvedono alle assunzioni obbligatorie per le qualifiche e i profili per i quali è previsto il solo requisi -
to della scuola dell'obbligo mediante richiesta numerica oppure mediante convenzione. Per le altre qualifi-
che è imposto il concorso, nell'ambito del quale va riservato alle categorie protette un numero di posti pari
alla quota d'obbligo e non superiore al 50% dei posti messi a concorso. In caso di violazione degli obblighi di
assunzione si applicano specifiche sanzioni penali, amministrative e disciplinari a carico dei responsabili del
procedimento. Si aggiunge la tutela giurisdizionale esperibile dall'interessato di fronte al giudice ammini-
strativo con riferimento ai concorsi e di fronte al giudice del lavoro per le altre assunzioni.
I lavoratori che diventano invalidi nel corso del rapporto sono computabili nella quota di riserva solo se la
riduzione della capacità lavorativa sia di almeno il 60% e se l'inabilità non deriva dall'inadempimento del da-
tore di lavoro dell'obbligo di sicurezza. L'inidoneità sopravvenuta giustifica il licenziamento solo se non deri-
vi da infortunio sul lavoro o malattia professionale.
I disabili avviati obbligatoriamente possono essere assunti con patto di prova, purché siano adibiti a man-
sioni compatibili con il loro stato fisico e la valutazione della prova prescinda dal minor rendimento dovuto
allo stato di invalidità. Il trattamento economico e normativo è quello normale previsto dalle leggi e dai con-
tratti collettivi.
Qualora, a causa di un aggravamento delle condizioni del disabile assunto obbligatoriamente o di significati -
ve variazioni dell'organizzazione del lavoro, sia accertata da una commissione apposita, su istanza del lavo-
ratore o del datore, l'incompatibilità delle mansioni affidate con lo stato fisico del disabile, questi ha diritto
ad una sospensione non retribuita dal rapporto finché persista tale incompatibilità, mentre può essere li-
cenziato se la commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile nell'azienda anche in se -
guito ad adattamenti organizzativi (che devono esser coerenti con le scelte economico-produttive dell'im-
prenditore).
Il lavoratore occupato obbligatoriamente può essere licenziato per giusta causa o giustificato motivo sogget-
tivo come ogni lavoratore, mentre il licenziamento per riduzione del personale o per giustificato motivo og -
gettivo è consentito solo se non risulti scoperta la quota riservata.
50.3 IL SOSTEGNO ALLA NUOVA OCCUPAZIONE E IL CONTRASTO AL LAVORO NERO - Circa il sostegno al-
l'occupazione per tentare di far crescere l'occupazione sono stati realizzati interventi generali ed interventi
lavoristici, ovvero riguardanti direttamente il rapporto di lavoro.
Tra gli interventi generali, vi sono quelli diretti ad aiutare le imprese già esistenti o di nuova costituzione, sul
presupposto che solo la loro crescita può determinare un aumento dell'occupazione reale. Si tratta soprat-
tutto di disposizioni tributarie.
Tra gli interventi lavoristici, prevalgono quelli diretti a ridurre il costo del lavoro. Ciò avviene su due versanti:
da un lato con riferimento alla retribuzione, legittimamente fissata al di sotto dei minimi collettivi mediante
il salario di ingresso, dall'altro con riferimento alla contribuzione previdenziale, con la previsione di sgravi e
fiscalizzazioni per le nuove assunzioni o per determinate aree geografiche, oltre che con la riduzione del cu-
neo fiscale e contributivo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Un altro incentivo all'assunzione deriva dalla flessibilizzazione del rapporto in relazione alla sua durata,
consentendo di evitare all'imprenditore di evitare la regola di stabilità reale mediante l'ampliamento delle
possibilità di lecita utilizzazione di lavoratori a termine.
Circa il contrasto al lavoro nero, ossia non dichiarato, esso viene combattuto obbligando i datori di lavoro, a
pena di una forte sanzione pecuniaria, a comunicare il rapporto di lavoro prima del suo inizio, e sospenden-
do l'attività dei datori che abbiano in nero almeno il 20% del personale. È stato previsto il libro unico del la-
voro, che il datore di lavoro, fatta eccezione per il lavoro domestico, è obbligato a tenere, iscrivendovi tutti i
lavoratori subordinati e parasubordinati e gli associati in partecipazione. Per ogni lavoratore va indicata una
serie di dati, tra cui qualifica, livello, retribuzione, anzianità di servizio, oltre che la retribuzione e i rimborsi
spese. Esso deve contenere il calendario delle presenze da cui risultino le ore di lavoro ordinario e straordi -
nario per ogni giorno, le assenze, le ferie e i riposi. La consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni ef-
fettuate nel libro equivale alla consegna del cedolino paga.
L'art. 603 bis cod. pen. ha previsto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro punito con
la reclusione da 5 a 8 anni, la cui fattispecie costitutiva prevede lo sfruttamento mediante violenza o minac -
ce o intimidazioni con approfittamento dello stato di disoccupazione o di necessità.
Anche la formazione professionale è considerata un fattore essenziale per la crescita dell'occupazione e a
tal fine è previsto il collegamento con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro.
I lavoratori che rifiutino il reinserimento o la formazione o offerte di lavoro congrue decadono dai tratta-
menti di integrazione salariale, di mobilità e di disoccupazione e perdono lo stato di disoccupati.
CAPITOLO 7 “Il rapporto di lavoro”
51 I POTERI DEL DATORE DI LAVORO
51.1 CONTRATTO INDIVIDUALE E POTERI DEL DATORE DI LAVORO - Nello svolgimento del rapporto di lavo-
ro operano regole stabilite consensualmente, ma anche atti unilaterali del datore di lavoro, necessari per
conseguire i propri obiettivi. Il rapporto lavorativo è caratterizzato dalla preminenza del datore di lavoro e
dalla situazione di soggezione del lavoratore, che opera alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprendito -
re. Quindi, il lavoratore deve osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite
dall'imprenditore e dai suoi collaboratori. In particolare, il datore esercita un potere direttivo, per rendere
la prestazione lavorativa conforme alle esigenze dell'organizzazione, un potere di controllo, per verificare
l'esatto adempimento degli obblighi del dipendente, e un potere disciplinare, per punire il lavoratore ina-
dempiente. Anche nel lavoro pubblico le PA operano con i poteri del privato datore di lavoro, in base alle di-
sposizioni del codice civile e delle altre leggi sul lavoro nell'impresa, salvo diverse disposizioni espresse.
51.2 LA LIMITAZIONE DEI POTERI DEL DATORE DI LAVORO - I poteri del datore di lavoro non sono limitati
semplicemente dalle norme costituzionali, come riteneva parte della dottrina, ma da norme di legge e con-
trattuali, secondo l'impostazione attualmente prevalsa. Ma le norme di legge e le norme contrattuali posso-
no tutelare veramente il lavoratore solo se il lavoratore può usarle contro il datore, senza per questo rischia-
re il licenziamento.
Queste norme prevedono, per limitare i poteri del datore, degli obblighi a suo carico di fare o di non fare,
sancendo l'inefficacia degli atti dei datori che violano tali obblighi, atti che per di più rappresentano inadem -
pimenti contrattuali.
I limiti possono essere di vario tipo:
- positivi (se introducono obblighi di fare, es. assunzione, promozione) o negativi (se pongono obbli-
ghi di non fare e comportano inefficacia dell'atto, es. licenziamento ingiustificato, controlli vietati);
- di fonte legale o contrattuale;
- finali (se vietano o impongono determinate atti, es. divieto di atti discriminatori) o procedimentali
(se impongono il rispetto di determinate procedure per esercitare un potere, spesso con la parteci -
pazione necessaria del sindacato e/o PA, ad es. potere disciplinare);
- interni (se impongono la destinazione dell'atto alla funzione per la quale il potere è attribuito, es.
giustificazione del licenziamento) o esterni (se tutelano l'interesse di un soggetto diverso dal titolare
del potere, es. necessità del nulla osta del sindacato di appartenenza per il trasferimento del diri-
gente sindacale aziendale);
- ad efficacia reale (se l'atto vietato è considerato inesistente) o ad efficacia obbligatoria (se l'atto
vietato produce i suoi effetti, ma espone il datore a sanzioni e conseguenze negative).
Il giudice, anche in presenza di una regola di giustificazione necessaria, non può sindacare le scelte econo-
mico-organizzative del datore di lavoro, ma solo la loro effettività ed il nesso causale con il provvedimento
adottato.
53.10 LE INVENZIONI DEL LAVORATORE - In base all'art. 2590 cod. civ. il prestatore di lavoro ha diritto di
essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro.
L'invenzione può essere:
- di servizio, se è dedotta come oggetto del contratto di lavoro (è quindi retribuita) e i diritti patrimoniali
spettano al datore di lavoro;
- d'azienda, se non costituisce oggetto di prestazione lavorative, ma avviene durante l'esecuzione della pre -
stazione e i diritti patrimoniali spettano al datore di lavoro, che, se utilizza l'invenzione in regime di segretez-
za industriale o consegue il brevetto, è obbligato a pagare al lavoratore un equo premio;
- libera, se avviene al di fuori del rapporto di lavoro e i diritti patrimoniali spettano al lavoratore, salvo il di -
ritto del datore di acquistare dietro corrispettivo l'uso del brevetto, qualora l'invenzione rientri nel campo di
attività aziendale.
Se le parti non raggiungono un accordo riguardo l'equo premio o il canone o il prezzo per l'invenzione è pre-
visto dalla legge un ricorso ad un collegio di arbitratori che decide con equo apprezzamento, impugnabile di
fronte al giudice solo per erroneità o manifesta iniquità. I contratti collettivi possono definire le modalità di
determinazione di tali importi per tutti i tipi di invenzioni o innovazioni, sulla base dell'art. 4, L. 190/1985.
Per l'invenzione del lavoratore avente ad oggetto la creazione di un software è prevista l'applicazione della
disciplina delle invenzioni di servizio qualora la realizzazione avvenga nello svolgimento delle mansioni o su
istruzioni del datore di lavoro.
53.11 LA RESPONSABILITÀ PER GLI ILLECITI COMMESSI DAL LAVORATORE NELLO SVOLGIMENTO DELLE
MANSIONI - Il lavoratore è responsabile per gli illeciti civili o penali commessi nello svolgimento delle man -
sioni.
Per gli illeciti penali dei dipendenti, non si configura una responsabilità penale del datore, poiché la respon-
sabilità penale è personale. Inoltre, la responsabilità penale del datore è esclusa in presenza di una delega
di attività ad un dipendente idoneo e munito dei necessari poteri esercitati senza intervento da parte del
delegante.
Per gli illeciti civili, si applica l'art. 2049 cod. civ. in base al quale i datori sono responsabili del danno arreca-
to dal fatto illecito dei loro dipendenti, commesso nell'esercizio delle mansioni lavorative. Si tratta di una re-
sponsabilità oggettiva per fatto altrui; il fondamento di questa responsabilità indiretta risiede nel vincolo di
subordinazione, che il legislatore ritiene sufficiente per addossare al datore di lavoro beneficiario dell'attivi -
tà le conseguenze negative dell'operato del dipendente, per tutelare il terzo danneggiato.
La condotta dei dipendenti si riflette nella sfera giuridica del datore di lavoro non solo per la responsabilità
extracontrattuale, ma anche in relazione alla responsabilità contrattuale per l'inadempimento di obbligazio -
ni gravanti sul datore di lavoro.
Il datore, però, dopo aver risarcito il danno a seguito dell'illecito del dipendente, può rivalersi nei confronti
del lavoratore se questi ha commesso un inadempimento contrattuale. A tutela del lavoratore è previsto
l'obbligo del datore di lavoro di assicurare contro il rischio di responsabilità civile verso terzi i quadri e gli al -
tri dipendenti addetti a mansioni che li espongono particolarmente al rischio di cagionare danni a terzi.
57 IL POTERE DI CONTROLLO
57.1 IL CONTROLLO SULL'ATTIVITÀ LAVORATIVA - Il datore di lavoro ha il potere di controllare l’esatta ese-
cuzione della prestazione lavorativa dovutagli, verificando se il dipendente usa la prescritta diligenza e os-
serva le disposizioni impartitegli, anche al fine dell'eventuale esercizio del potere dirigenziale.
A tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, sono previsti dei limiti, come quello secondo cui è
vietato il controllo soggettivamente occulto, ritenuto lesivo della personalità del lavoratore (ma è ammesso
il controllo mediante investigatori privati per accertare l'illecito del dipendente → controllo difensivo) oppu-
re quello secondo cui i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività
lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati. Inoltre, il datore di lavoro può impiegare le
guardie particolari giurate, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Esse non possono conte-
stare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. Lo stesso
datore di lavoro non può adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie, le quali non possono acce -
dere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per
specifiche e motivate esigenze attinenti ai loro compiti.
In merito agli impianti audiovisivi, è vietato l'uso di tali impianti e di altre apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richie-
sti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità
di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le
rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di
accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede la Direzione territoriale del lavoro o il Ministero del lavo -
ro, se le unità produttive dell'impresa sono dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali,
dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.
57.2 I CONTROLLI A TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE - La tutela del patrimonio aziendale può essere
garantita attraverso l'impiego di guardie giurate e di altri addetti.
Le visite personali di controllo sul lavoratore (perquisizioni) sono consentite solo se assolutamente indispen-
sabili per la tutela del patrimonio aziendale, solo all’uscita dal luogo di lavoro, e nel rispetto della dignità e
della riservatezza del lavoratore, e solo secondo le modalità fissate in un accordo con le r.s.a. (l'accordo indi-
vidua le ipotesi di indispensabilità delle visite e le relative modalità nel rispetto delle prescrizioni di legge; in
mancanza dell'accordo dispone il Servizio ispettivo della Direzione territoriale del lavoro). I lavoratori da visi -
tare devono essere individuati attraverso l'applicazione di sistemi di selezione automatica, al fine di evitare
discriminazioni. La perquisizione rispettosa delle condizioni di legge può riguardare anche gli effetti perso -
nali del lavoratore, come borse o sacchetti. Il mancato rispetto di queste norme genera una sanzione penale
a carico del datore, mentre il lavoratore può sottrarsi al controllo illegittimo.
57.3 I CONTROLLI SULLA MALATTIA E SULLA IDONEITÀ FISICA DEL LAVORATORE - Il datore ha interesse a
controllare sia l’effettiva sussistenza della malattia dichiarata dal lavoratore, che sospende l'obbligo di ese-
cuzione della prestazione, sia l'idoneità fisica del lavoratore alle mansioni in sede di assunzione e nel corso
del rapporto.
Questi controlli sanitari sono consentiti purché siano effettuati da medici pubblici estranei all’azienda, in
modo tale da garantire l'imparzialità dell'accertamento. Tale disciplina è costituzionalmente legittima, dal
momento che neppure la visita imparziale può essere coattivamente imposta al lavoratore dissenziente.
L’attuale disciplina dei controlli per malattia (legge 638/1983), modificando quella contenuta nello Statuto
dei lavoratori, tende ad essere più rigida per combattere il fenomeno dell’assenteismo. In particolare, le uni-
tà sanitarie locali predispongono un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno della richiesta, an-
che se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità (10-12, 17-19 nel settore privato; 9-13, 15-18 di
tutti i giorni anche festivi nel settore pubblico) il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti
per tale causa assentatisi dal lavoro e accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante persona -
le non medico, nonché un servizio per visite collegiali presso poliambulatori pubblici per accertamenti spe-
cifici. Qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato moti-
vo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per i primi giorni di malattia fino al decimo, mentre
per l'eventuale periodo perde la metà del trattamento (esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati
da precedente visita di controllo). La condotta del lavoratore necessaria a consentire la visita costituisce un
onere per evitare la decadenza del diritto alla retribuzione, ma anche un obbligo nei confronti del datore di
lavoro, che può adottare un provvedimento disciplinare per ingiustificata irreperibilità. Il lavoratore deve es -
sere reperibile nelle fasce orarie, ma deve anche consentire l'effettuazione della visita, il cui rifiuto costitui-
sce un illecito disciplinare. Il datore si può anche avvalere di investigatori privati o personale di vigilanza per
verificare se il lavoratore in malattia tenga una condotta compatibile con essa o tenga invece comportamen-
ti che denotano l’inesistenza della malattia o tali da ritardare la guarigione.
57.4 CONTROLLI SULLA IDONEITÀ PROFESSIONALE E PROTEZIONE DELLA VITA PRIVATA DEL LAVORATORE -
La vita privata del lavoratore è tutelata dall’art. 8 Stat. Lav., in base al quale è fatto divieto al datore di lavo-
ro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, an -
che a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti
ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore. Su questo tema è intervenuta anche la
Corte Costituzionale (1994) stabilendo una deroga alla norma sopra indicata: è stato ritenuto illegittimo, per
violazione dell'art. 32 Cost., l'art. 5 comma 3 L. 5 giugno 1990 n. 135, nella parte in cui non prevede accer-
tamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv come condizione per l'espletamento di at-
tività che comportano rischi per la salute di terzi.
Il datore ha il diritto di informarsi sulla persona e sui fatti del lavoratore rilevanti per la valutazione della sua
attitudine professionale, sia in relazione all'idoneità tecnica e fisica, sia in relazione a fatti estranei allo svol -
gimento del rapporto ma tali da eliminare l'interesse alla collaborazione con quel soggetto, legittimando
mancata assunzione o licenziamento, per inidoneità del lavoratore dal punto di vista delle qualità morali e di
immagine richieste dal tipo di prestazione dovuta.
Se un'indagine, condotta dal datore, riguarda un fatto non rilevante professionalmente è vietata ex art. 8
Stat. Lav., mentre se riguarda un fatto rilevante professionalmente è consentita solo nel rispetto della gene-
rale normativa sulla riservatezza. Tuttavia, se l'indagine è disposta per far valere o difendere un diritto in
sede giudiziaria sono esclusi l'obbligo di informazione e la necessità del consenso.
Normalmente, per le indagini sulla vita privata del lavoratore, sono necessari, ex d.lgs. 196 del 2003, l’obbli-
go di informarne il lavoratore e di avere il suo consenso. Tuttavia, con specifico riferimento ai dati sensibili
del lavoratore, le indagini sono possibili se vi l’autorizzazione del Garante, senza necessità del consenso del
lavoratore, quando il trattamento dei dati è necessario per adempiere obblighi di legge per la gestione del
rapporto di lavoro. Tale autorizzazione del Garante non è necessaria per i dati riguardanti l’adesione ad as -
sociazioni sindacali.
A differente disciplina sono sottoposti i dati sensibili, che sono quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale, l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni po -
litiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico e
sindacale. Per questi dati è sufficiente un'autorizzazione del Garante, senza bisogno del consenso dell'inte-
ressato quando il trattamento dei dati è necessario per adempiere obblighi di legge per la gestione del rap -
porto di lavoro, compresa la sicurezza e la previdenza. Il Garante, utilizzando la facoltà di rilascio di autoriz -
zazioni generali relative a determinate categorie di titolari o di trattamenti, ha autorizzato il trattamento di
alcuni dati sensibili nella gestione dei rapporti di lavoro per consentire la fruizione di permessi e aspettative
sindacali e per cariche pubbliche e di festività religiose.
58 IL POTERE DISCIPLINARE
58.1 GENERALITÀ - Il datore, a norma dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 7 Stat. Lav., ha il potere di irrogare
delle sanzioni ai lavoratori che abbiano violato l’obbligo di fedeltà e le disposizioni che disciplinano il rappor -
to di lavoro. Tale potere può essere esercitato solo nel rispetto di determinati limiti legali e contrattuali, a
tutela del lavoratore. In determinati casi (inosservanza da parte del lavoratore di norme sulla sicurezza) il
datore ha il dovere di esercitare il potere disciplinare, in mancanza del quale la sua posizione potrebbe ag -
gravarsi. Se la condotta del lavoratore, oltre a costituire infrazione disciplinare, integra anche gli estremi di
un illecito civile, il datore di lavoro può richiedere il risarcimento del danno eventualmente subito.
58.2 IL CODICE DISCIPLINARE - Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle
quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere
portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione di un codice disciplinare in luogo accessibile a tutti.
Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano; in mancan -
za, il codice disciplinare è predisposto unilateralmente dal datore di lavoro. Sia l'autonomia collettiva che il
datore di lavoro devono rispettare, a pena di nullità della sanzione, la regola legale inderogabile di propor-
zionalità tra sanzione e infrazione (art. 2106 cod. civ.).
Le sanzioni, la cui gravità deve essere proporzionale alla gravità dell’illecito, possono essere conservative se
consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro (rimprovero verbale o scritto, multa, sospensione dal la-
voro o dalla retribuzione), o espulsive (come il licenziamento disciplinare) se fanno venir meno il rapporto
di lavoro. Inoltre, ad eccezione del licenziamento, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che
comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; la multa non può essere disposta per un importo
superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di
dieci giorni.
58.3 IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento discipli-
nare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito
a sua difesa. La contestazione deve essere precisa e tempestiva, quindi fatta in un tempo ragionevolmente
breve a decorrere dal momento in cui datore è venuto a conoscenza dell’illecito. La tempestività della con-
testazione è un presupposto di validità della sanzione, quindi di fronte all'eccezione di tardività spetta al da-
tore di lavoro provare le ragioni giustificatrici del periodo trascorso tra la conoscenza dell'infrazione e la con-
testazione. Il fatto contestato è immutabile, salvo la possibilità di contestazioni integrative. La contestazione
deve essere fatta per iscritto, tranne che per il rimprovero verbale.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce
mandato. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere ap-
plicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
La legge, però, non fissa un termine entro cui, scaduto tale periodo di 5 giorni, debba essere irrogata la san -
zione, ma il datore deve procedere con tempestività poiché altrimenti si presume l’abbandono del procedi -
mento disciplinare.
58.4 L’IMPUGNAZIONE DELLA SANZIONE - Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavo-
ro e ferma restando la facoltà di rivolgersi all'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una
sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, la costituzione di un collegio di concilia -
zione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di
comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro.
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro
non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresen-
tante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro si rivolge all'autorità
giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può, comunque te -
nersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
58.5 LA DISCIPLINA DEI DIPENDENTI PUBBLICI - Per il potere disciplinare delle PA verso i propri dipendenti
sono previste apposite regole (artt. 55 e seguenti, d. lgs. 165/2001 novellato dal d. lgs. 150/2009).
La definizione delle infrazioni e delle corrispondenti sanzioni è affidata ai contratti collettivi, le cui disposi-
zioni vanno coordinate con il codice di comportamento dei dipendenti delle PA. Non è previsto il divieto di
sanzioni comportanti mutamenti definitivi del rapporto o superiori alla sospensione per 10 giorni.
Le infrazioni tipizzate dalla legge con sanzione conservativa sono:
- ingiustificato rifiuto di collaborare o dichiarazioni false/reticenti in relazione ad un procedimento
disciplinare, condotte punite con la sospensione fino a 15 giorni;
- violazione di obblighi da cui sia derivata la condanna della PA al risarcimento del danno, condotta
punita con la sospensione da 3 giorni a 3 mesi;
- mancato esercizio o decadenza dall'azione disciplinare oppure irragionevole valutazione di insussi-
stenza dell'illecito disciplinare, condotte punite con la sospensione fino a 3 mesi (per i dirigenti an-
che perdita della retribuzione di risultato, di un importo doppio rispetto a quello della durata della
sospensione);
- omesso controllo sulle assenze per malattia, condotta punita come la precedente.
Le infrazioni tipizzate dalla legge con sanzione espulsiva sono:
- falsa attestazione della presenza in servizio mediante alterazione del sistema di rilevamento della
presenza o con altre modalità fraudolente, condotta punita con il licenziamento per giusta causa,
con la sanzione penale della reclusione da 1 a 5 anni (applicabile anche al medico e ad altri concor -
renti in caso di assenza mediante certificazione medica falsa) e con il risarcimento del danno pari al
compenso del periodo non lavorato e del danno all'immagine della PA;
- assenza ingiustificata per più di 3 giorni anche non consecutivi in un biennio o per più di 7 giorni in
un decennio, punita con il licenziamento con preavviso;
- mancata ripresa del servizio entro il termine fissato dall'amministrazione in caso di assenza ingiu-
stificata, punita con il licenziamento con preavviso;
- rifiuto ingiustificato del trasferimento, punito con il licenziamento con preavviso;
- gravi e continue condotte nell'ambiente di lavoro aggressive/moleste/ingiuriose/lesive dell'altrui
onore e dignità, punite con il licenziamento per giusta causa;
- insufficiente rendimento per almeno un biennio a causa di continua violazione di obblighi, punito
con il licenziamento con preavviso.
La competenza per il procedimento disciplinare cambia a seconda della gravità dell'infrazione: per le infra -
zioni punite con il rimprovero verbale dispone il contratto collettivo; per le infrazioni punite con sanzioni
fino alla sospensione per 10 giorni provvede il dirigente responsabile della struttura o l'ufficio disciplina; per
le infrazioni punite più gravemente provvede sempre l'ufficio di disciplina realizzandosi una garanzia di
obiettività e competenza della valutazione.
Se viene applicata una sanzione non dovuta o eccessiva permane la responsabilità amministrativa, sia pure
solo per dolo o colpa grave, con limitazione estesa anche alla responsabilità civile.
Il procedimento disciplinare inizia con la contestazione scritta dell'addebito, che deve avvenire a pena di de-
cadenza entro 20 giorni dalla conoscenza dell'infrazione se questa è punibile con sanzione fino alla sospen -
sione per 10 giorni oppure entro 40 giorni per infrazioni più gravi. Se procede l'ufficio di disciplina il termine
per la contestazione decorre dalla ricezione degli atti, che devono essere trasmessi al responsabile della
struttura entro 5 giorni dalla conoscenza dell'infrazione.
Nell'atto di contestazione il dipendente è convocato a difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore o
di un sindacalista, con un preavviso di almeno 10 giorni o di almeno 20 giorni per le infrazioni punibili con
sanzioni superiori alla sospensione di 10 giorni. Il procedimento deve essere concluso, a pena di decadenza,
con l'archiviazione o irrogazione della sanzione entro 60 giorni o 120 giorni giorni per le sanzioni più gravi
della sospensione di 10 giorni. Il termine decorre dalla contestazione dell'addebito, ma se procede l'ufficio
di disciplina il termine decorre dalla data di prima conoscenza del fatto anche da parte del responsabile del -
la struttura di appartenenza.
Tutte le comunicazioni possono avvenire per consegna a mani, posta elettronica certificata, raccomandata
postale con ricevuta di ritorno o fax se indicato dal dipendente.
In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il proce-
dimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest'ultima. In caso di dimissioni
del dipendente, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è sta -
ta disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo
le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici,
che possono comunque prodursi nonostante la cessazione per dimissioni del rapporto di lavoro.
I contratti collettivi possono prevedere, per infrazioni meno gravi di quelle punibili con il licenziamento, una
procedura di conciliazione, da svolgersi dopo la contrattazione e prima dell'irrogazione della sanzione in un
termine non superiore a 30 giorni durante il quale restano sospesi i termini del procedimento disciplinare.
RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO PENALE E DISCIPLINARE
Circa la sospensione, se il fatto contestato è anche oggetto di un procedimento penale, il procedimento di -
sciplinare non può essere sospeso se l’infrazione è punibile con una sanzione fino a 10 giorni. Se, invece,
l’infrazione è più grave, il procedimento disciplinare può essere sospeso fino al termine del processo penale
in considerazione della complessità del fatto contestato e della insufficienza degli elementi raccolti a com -
provarlo.
Circa l’efficacia della sentenza, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel
giudizio per responsabilità disciplinare, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce il-
lecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso. Invece, la sentenza penale irrevocabile di condan-
na ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto
all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha
commesso.
60 LA RETRIBUZIONE
60.1 LA RETRIBUZIONE NEL RAPPORTO DI LAVORO E NELLA POLITICA ECONOMICA - Nell’ambito del rap-
porto di lavoro, il pagamento della retribuzione, quale corrispettivo del lavoro prestato, rappresenta la prin-
cipale obbligazione del datore e presente la peculiarità di non poter scendere al di sotto di un certo minimo,
per la tutela della posizione del lavoratore quale contraente debole nel rapporto.
Si aggiunge l'esigenza di assicurare al lavoratore la conservazione del posto ed un reddito in situazioni di im -
possibilità temporanea di esecuzione della prestazione.
Nell’ambito della politica economica, la retribuzione è rilevante nel controllo della inflazione e della disoccu-
pazione, il che spiega interventi tendenti a contenere la retribuzioni a livelli sostenibili per l’economia e per
le imprese.
60.2 LA PLURALITÀ DI NOZIONI DI RETRIBUZIONE - Nel nostro ordinamento esistono varie nozioni di retri-
buzione: la retribuzione in senso stretto, le liberalità, i rimborsi, la retribuzione imponibile (ossia quella su
cui si pagano le imposte fiscali) e la retribuzione ai fini previdenziale (ossia quella sulla cui base devono es-
sere pagati i contributi previdenziali). In ogni caso, le vari voci vanno sempre singolarmente considerate e
non le si può far entrare tutte indiscriminatamente nel concetto di retribuzione, come emerge dalla giuri-
sprudenza che ha respinto il concetto di onnicomprensività della retribuzione, in base al quale la retribuzio-
ne dovrebbe contenere ogni somma, a qualsiasi titolo, ricevuta dal lavoratore.
A questo variegato panorama interno al rapporto di lavoro si aggiungono le nozioni di retribuzione imponi-
bile rispettivamente ai fini previdenziali e ai fini tributari, oltre che la differenza fondamentale per cui l'im-
ponibile tributario riguarda le somme effettivamente corrisposte, mentre l'imponibile previdenziale, al fine
di garantire prestazioni adeguate, fa riferimento alla retribuzione effettiva solo se non inferiore a quella sta -
bilita dai contratti collettivi.
La contribuzione previdenziale, per la parte a carico del datore di lavoro, costituisce un costo aggiuntivo ri-
spetto alla retribuzione, mentre l'imposizione fiscale resta interamente a carico del lavoratore, che subisce
le relative ritenute sull'importo lordo della retribuzione da parte del datore di lavoro sostituto d'imposta. La
combinazione di questi due prelievi pubblici fa sì che la retribuzione netta disponibile per il lavoratore sia
molto inferiore al complessivo costo del lavoro.
60.3 I CARATTERI DELLA RETRIBUZIONE - Vengono tradizionalmente qualificate come retribuzione sul piano
del rapporto tra le parti le erogazioni del datore di lavoro caratterizzate da determinatezza o determinabili-
tà, obbligatorietà, onerosità e corrispettività.
La retribuzione deve essere determinata o almeno determinabile nel suo ammontare, è obbligatoria poi-
ché il datore ha l’obbligo e non la facoltà di corrisponderla, è onerosa poiché non rappresenta una donazio-
ne (a tal proposito, le mance date dai clienti sono considerate come piccole donazioni e quindi non costitui -
scono retribuzione, salva l’istituzione in azienda di un apposito fondo mance). La retribuzione è corrispetti-
va, nel senso che è collegata alla permanenza del rapporto di lavoro.
Esulano dalla nozione di retribuzione, i rimborsi delle spese sostenute dal lavoratore nell'interesse del dato-
re.
60.4 L’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGO RETRIBUTIVO - Il datore ha l’obbligo di versare la retribuzione (obbli-
go di dare disciplinato dagli artt. 1176 e seg. cod. civ.), secondo il principio della postnumerazione, ossia
dopo che la prestazione lavorativa è stata effettuata. Essa viene per prassi versata presso la sede del datore,
obbligato anche a consegnare al lavoratore un prospetto paga, con indicazione analitica delle diverse voci
retributive e delle trattenute effettuate.
60.5 IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ - In base all’art. 36 Cost. comma 1, la retribuzione deve essere
proporzionato alla quantità (quanto si lavora, si pensi alla retribuzione del lavoro parziale) ed alla qualità
(come si lavora) del lavoro prestato. A proposito della qualità, la disciplina prevede retribuzioni più alte per
le qualifiche più elevate, mentre per quanto riguarda gli scatti di anzianità previsti dai contratti collettivi
poggiano sulla presunzione che con l’andar del tempo, il lavoratore, acquisendo maggiore esperienza, mi -
gliori la qualità della propria prestazione. La qualità del lavoro viene compensata anche con i premi di pro-
duttività, incentivati dal legislatore mediante l'esonero contributivo (= agevolazione consente al datore di la-
voro di non pagare i contributi a carico azienda per 36 mesi fino a un massimo di 8.060 euro annui).
Il datore può anche assegnare a singoli dipendenti, particolarmente apprezzati, superminimi ad personam.
In ogni caso, il giudice non può sindacare le scelte del datore o dei contratti collettivi in tema di retribuzioni.
Le PA e le società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica non possono erogare retribu -
zioni per lavoro dipendente o compensi per lavoro autonomo non professionale superiori al trattamento del
primo presidente della Cassazione ed in caso di violazione l'ente erogatore e il lavoratore percipiente sono
tenuti a rimborsare per danno erariale un importo pari a 10 volte l'eccedenza non consentita.
60.6 IL PRINCIPIO DI SUFFICIENZA - Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e digni-
tosa. Si tratta di un principio immediatamente precettivo ed operativo, rispetto al quale sono stati i contratti
collettivi ad individuare di volta in volta cosa dovesse intendersi per retribuzione sufficiente.
La legge ha anche ammesso che i contratti collettivi possano prevedere contratti di riallineamento o di
emersione, in base ai quali, in aree molto svantaggiate, è ammessa, pur di incentivare il lavoro, anche il ver-
samento di una retribuzione inferiore a quella minima, con l’obiettivo che essa, nell’arco di un triennio, deb -
ba raggiungere la quota minima prevista dai contratti collettivi nazionali.
Per quanto riguarda i controlli del giudice, questi non può controllare l’entità della retribuzione sufficiente
fissati nei contratti collettivi, ma può controllare se siano giuste le retribuzioni fissate nei contratti individua -
li che non rispettino i contratti collettivi. Ricordiamo, comunque, che già una legge del 1959 (n. 741) delega-
va il governo ad emanare decreti legislativi con obbligo di uniformarsi ai contratti collettivi contemplanti
minimi inderogabili di trattamento economico e normativo, in favore dei lavoratori.
60.7 I RAPPORTI TRA LE FONTI DI DISCIPLINA DELLA RETRIBUZIONE - La retribuzione è regolata sia dalla
legge sia dai contratti collettivi (fonti concorrenti di disciplina), e questi ultimi non possono scendere al di
sotto dei minimi retributivi fissati dalla legge, né possono superare dei tetti massimi stabiliti anch’essi dalla
legge.
60.8 LA TIPOLOGIA DELLA RETRIBUZIONE - La legge (artt. 2099 e 2121 cod. civ.) indica diverse forme di re-
tribuzione: a tempo, a cottimo, partecipazione agli utili o ai prodotti, provvigioni, prestazioni in natura, pre -
mi di produzione.
COMPENSI FISSI
• La principale forma di retribuzione è quella a tempo, legata alla durata della prestazione lavorativa.
• La retribuzione a cottimo, invece, è proporzionale al rendimento del lavoro, misurato secondo para-
metri predeterminati (tariffe di cottimo). In particolare, il prestatore di lavoro deve essere retribuito
secondo il sistema del cottimo quando, in conseguenza dell'organizzazione del lavoro, è vincolato al-
l'osservanza di un determinato ritmo produttivo, o quando la valutazione della sua prestazione è
fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione. Il cottimo è previsto anche nel la-
voro a domicilio, mentre è escluso per gli apprendisti. L'imprenditore è obbligato a comunicare pre-
ventivamente ai lavoratori a cottimo gli elementi della tariffa, le lavorazioni da eseguire ed il com-
penso unitario, oltre che successivamente la quantità di lavoro svolto e il tempo impiegato.
• Altra forma di retribuzione è quella in natura (vitto, alloggio, fringe benefits). Il compenso del lavo-
ratore è dato dai beni prodotti dall’azienda, che in alcuni casi può provocare problemi al lavoratore
per la “traduzione in denaro” (truck system).
COMPENSI VARIABILI
• Il compenso a provvigione è proporzionale al valore degli affari conclusi dal lavoratore per conto
dell'imprenditore. È diffuso nel lavoro autonomo anche parasubordinato (agenti), ma compatibile
anche con il lavoro dipendente, purché si raggiunga il livello di sufficienza retributiva.
• La partecipazione ai prodotti (soprattutto nel settore agricolo e della pesca) consiste nella dazione
di prodotti dell’azienda ai lavoratori, oltre all’aggiunta di un compenso fisso.
• La partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti del-
l'impresa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti
dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
Per l'ammontare corrispondente agli utili spettanti ai lavoratori possono essere emesse speciali categorie di
azioni da assegnare ai lavoratori medesimi, con esclusione del diritto di opzione dei soci. L'azionariato dei
lavoratori è incentivato mediante apposite esenzioni fiscali e contributive.
COME SI ARTICOLA LA RETRIBUZIONE
La retribuzione è composta, anzitutto, da una paga base, fissata dai contratti collettivi. Per adeguare la paga
base all’aumento del costo della vita, era prevista una indennità di contingenza poi abrogata per frenare
l’inflazione. Attualmente, la retribuzione viene adeguata in base a rinnovi contrattuali, secondo il sistema in-
trodotto dall’Accordo quadro del 2009. Nella retribuzione, rientrano anche gli scatti di anzianità, ossia au-
menti periodici, di solito biennali, della retribuzione mensile, derivanti dall’anzianità di servizio del lavorato -
re presso la medesima azienda.
Della retribuzione fanno parte anche le mensilità aggiuntive (la 13a pagata a dicembre e la 14a pagata a giu -
gno), i premi collegati alla produttività, indennità varie (cassa, maneggio del denaro, mensa, trasporto etc),
e maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo.
60.9 LA RETRIBUZIONE DI MERITO NEL LAVORO PUBBLICO - Il decreto 150 del 2009 (decreto Brunetta),
per combattere l’inefficienza della PA, ha introdotto sanzioni contro i dipendenti assenteisti e scarsamente
produttivi, ma anche premi e vantaggi per i dipendenti meritevoli. Questa disciplina non può essere deroga-
ta dalla contrattazione collettiva: le clausole difformi sono automaticamente sostituite dalle disposizioni di
legge. La misurazione e la valutazione della performance riguarda sia l'amministrazione e le sue articolazioni
organizzative, sia i singoli dipendenti.
In base al decreto, opera un’apposita Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle PA,
che è un’autorità indipendente collegiale, che ha il compito di precisare come devono essere effettuate le
valutazioni sui dipendenti e di controllare se tali valutazioni sono effettuate correttamente.
Inoltre, in ciascuna PA, è costituito l’Organismo indipendente di valutazione della performance, nominato
dall’organo di indirizzo politico amministrativo, sentita la Commissione: tale organismo ha il compito di valu-
tare le performance di ciascuna struttura amministrativa, mentre le prestazioni dei singoli dipendenti sono
valutate dai dirigenti.
Nel caso in cui emergano performance meritevoli, saranno riconosciuti trattamenti economici accessori in
favore dei dipendenti meritevoli: l’entità di tali trattamenti sono determinati dalla contrattazione collettiva.
Nel dettaglio, l’Organismo indipendente, sentiti i dirigenti, stila una graduatoria del personale dirigente (se
pari almeno a 6 unità) e non dirigente (se pari almeno a 9 unità), da collocare in 3 fasce di merito, e più alta
è la fascia in cui viene collocato il dipendente, più alto potrà essere il trattamento economico che gli viene
riconosciuto.
Altri strumenti rilevanti per premiare il merito e la professionalità sono il bonus annuale delle eccellenze as-
segnato a non più del 5% del personale collocato nella fascia alta, il premio annuale per l'innovazione asse-
gnato dall'Organismo indipendente al migliore progetto, l'incidenza della collocazione nelle graduatorie sul-
la selezione per le progressioni di carriera, il premio di efficienza.
Tutto questo sistema deve essere reso trasparente mediante il Programma triennale per la trasparenza e
l’integrità, adottato da ciascuna amministrazione, ma anche mediante il Piano e la Relazione della perfor-
mance. In caso di mancata adozione del Programma o del Piano o di mancata predisposizone del sistema di
valutazione, i dirigenti responsabili perdono la possibilità di ricevere la retribuzione di risultato; i dirigenti,
invece, responsabili di non aver ben esercitato il dovere di vigilanza sul personale dei propri uffici, perdono
fino all’80% della retribuzione di risultato.
66 I DIVIETI DI LICENZIAMENTO
66.1 GENERALITÀ - Caratteristiche comuni a questi divieti sono l'onere della prove a carico del lavoratore
della situazione fondante il divieto e la tutela reale per la violazione del divieto, che il lavoratore ha interes-
se ad invocare sia nei rapporti a regime di licenziamento libero sia di giustificazione necessaria ma con tute -
la debole sia nei rapporti con tutela reale per la sola ingiustificatezza qualificata.Al lavoratore attualmente
conviene sempre invocare la nullità del licenziamento, nullità che se accertata garantisce al lavoratore la
conservazione del posto di lavoro.
Per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore del d. lgs. 23/2015 i licenziamenti discriminatori o nulli o inti-
mati in forma orale sono assistiti dalla tutela reale, quasi identica a quella prevista dall'art. 18 Stat. Lav.
66.2 IL LICENZIAMENTO PER MOTIVO ILLECITO E IN FRODE ALLA LEGGE -
"Il licenziamento si considera disposto per motivo illecito se è contrario a norme imperative, all'ordine pub -
blico ed al buon costume" (art. 1345 cod. civ.) e determina la nullità del licenziamento solo se quell’illecito è
l’unico determinante, sicché è efficace il licenziamento disposto sia per un motivo illecito che per un altro
giustificato motivo. Quanto alle conseguenze, il licenziamento per motivo illecito, è nullo; dopo la riforma
del 2012, tale licenziamento è soggetto alla tutela speciale reale prevista dall’art. 18 commi da 1 a 3, Stat.
Lav. L’onere della prova circa il motivo illecito grava sul lavoratore, che può provarlo anche tramite presun-
zioni. Rimane l'obbligo del risarcimento del danno da parte del datore di lavoro, inoltre il lavoratore ha dirit -
to alla reintegrazione del posto o, in alternativa, un'indennità (da richiedere entro 30 giorni dalla sentenza)
pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rap -
porto di lavoro.
È da considerarsi certamente nullo il licenziamento in frode alla legge, ossia diretto ad eludere l’applicazio-
ne di norma imperativa (ad es. quello disposto prima del trasferimento d’azienda e seguito da immediata
riassunzione, per eludere le norme dell’art. 2112 sulla responsabilità solidale dell’acquirente e sulla conser -
vazione del precedente trattamento). Le conseguenze sono le stesse già viste per il licenziamento per moti-
vo illecito.
66.3 IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO - La legge considera discriminatorio, vietandolo, il licenziamen-
to solo quando determinato da ragioni tassativamente previste (sindacali, politiche, religiose, etniche, di lin -
gua, di sesso, di convinzioni personali, di età, di tendenze). In tali ipotesi, e non in altre, il licenziamento si
considera discriminatorio ed è nullo, con applicazione della tutela reale ex art. 18 Stat. Lav. L’onere della
prova circa le ragioni discriminatorie è a carico del lavoratore.
66.4 IL LICENZIAMENTO DELLE LAVORATRICI MADRI E CAUSE DEL MATRIMONIO - È vietato il licenziamento
della lavoratrice nel periodo dal giorno della richiesta di pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo
la celebrazione, nonché dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno del bambino (si applica
anche al padre lavoratore che si astenga dal lavoro nei primi 3 mesi del figlio in mancanza della madre). In
questi periodi, il licenziamento è ammesso solo per colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa
oppure per cessazione dell’attività aziendale. In tutte le altre ipotesi, il licenziamento, comminato nei sud-
detti periodi, è nullo.
Si tratta di una tutela speciale, che presenta il rischio di poter disincentivare l’occupazione femminile, poi-
ché nessun datore può gradire di assumere un dipendente che, per effetto del matrimonio e delle gestazio -
ni, può rimanere assente per lunghi periodi al luogo di lavoro.
66.5 LE ASSENZE CON DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - In determinate ipotesi, il lavoratore, an-
che se non esegue la prestazione lavorativa, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (ad es. richiamo
alle armi, chiamata a funzioni pubbliche). Durante il periodo di sospensione, il datore non può recedere dal
contratto, ma può solo licenziare il lavoratore se ricorre una giusta causa o se vi è cessazione dell’attività
aziendale.
67.3 LA MOTIVAZIONE -
Secondo la legge 604/1966 prima della Riforma Fornero, il licenziamento poteva non contenere i motivi; il
lavoratore poteva richiederli entro 15 giorni e il datore dare risposta entro 7 dalla richiesta. Con la riforma,
che ha novellato tale legge, il licenziamento deve essere motivato contestualmente al licenziamento e in
caso di impugnazione il datore non potrà modificare tali motivi in giudizio. Il licenziamento deve essere mo -
tivato, con motivi specifici ed essenziali per far comprendere al lavoratore le ragioni del recesso. I motivi
possono essere plurimi ed in tal caso la giustificazione del licenziamento può risultare dalla fondatezza an-
che di uno solo di essi.
Resta illecito il licenziamento ingiurioso, cioè quello che, a prescindere dalla sua giustificatezza, sia intimato
con modalità tali da ledere l'onore e il decoro del lavoratore, il quale, se prova tali modalità, può richiedere
il risarcimento dei danni conseguenti anche nelle residue ipotesi di licenziamento libero o di avvenuta deca -
denza dall'impugnazione.
I motivi sono immodificabili, cosicché il datore non potrà invocarne altri in giudizio, ma solo aggiungere
qualche fatto confermativo o di contorno. Esula dal principio di immodificabilità dei fatti la diversa qualifica-
zione giuridica dei fatti stessi.
Se il licenziamento non è motivato, scatta l’obbligo di pagamento di una indennità da 6 a 12 mensilità; solo
per alcuni datori, come aziende minori o di tendenza, il licenziamento privo di motivazione è inefficace, con
una tutela reale. Una svista del legislatore ha creato una illogica disparità di trattamento tra datori.
67.4 LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - Il licenziamento disciplinare è una delle più forti sanzioni disciplinari,
si applica soprattutto per giusta causa/giustificato motivo, ed è un licenziamento che si fonda su comporta-
menti del lavoratore che non adempie ai propri doveri violando delle norme stabilite dalla legge, dai con-
tratti collettivi e del codice disciplinare dell’azienda.
Il datore, ai sensi dell’art.7 Stat. Lav.:
- deve affiggere il codice disciplinare;
- deve contestarne preventivamente l’addebito;
- deve consentire al lavoratore di difendersi, prima di adottare la sanzione.
Era prevalsa la tesi che tali regole procedimentali andassero applicate anche nel caso di licenziamento senza
giusta causa o giustificato motivo oggettivo, poiché il licenziamento era pur sempre una reazione del datore
all’inadempimento del lavoratore. In tal senso si era pronunciata anche la Corte Costituzionale, facendo leva
sull’art. 3 Cost. La giurisprudenza, però ha cambiato tale impostazione ritenendo che il licenziamento viziato
da vizio procedimentale non è automaticamente nullo, ma è soggetto alla sanzione d’area, ossia alla sanzio-
ne di volta in volta prevista per la situazione del lavoratore (tutela reale, tutela indennitaria, recesso libero).
La successiva evoluzione legislativa è culminata nella legge 92/2012 (Riforma Fornero): essa ha previsto che
il licenziamento affetto da vizio procedimentale dia luogo alla tutela indennitaria (da 6 a 12 mensilità) in fa -
vore del lavoratore, ma tale vizio non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, dovendo essere espressamen-
te e tempestivamente eccepito dalla parte.
- Il datore di lavoro deve portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinari che se violate
comportano sanzioni disciplinari, non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti
del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito, averlo sentito a sua difesa (per
la quale il lavoratore può scegliere di avvalersi di un rappresentante dell'associazione sindacale) ed
esser passati 5 giorni dalla contestazione del fatto.
- Se il licenziamento disciplinare risulta illegittimo, a tutela del lavoratore, nelle imprese con meno
di 15 dipendenti si applica la tutela obbligatoria, in quelli con più si applica l'ambito di applicazione
dell'art. 18 stat. lav. a seconda del vizio riscontrato.
Riassumendo, le innovazioni introdotte dall'art. 7 Stat. Lav. riguardano: obbligo di pubblicità della normativa
disciplinare, necessità di una preventiva contestazione e suoi requisiti, tempestività della contestazione,
specificità della contestazione, immodificabilità del contenuto della contestazione, necessità della forma
scritta della contestazione, divieto di procedere ad indagini preliminari, rispetto di un criterio di proporzio -
nalità della sanzione adottata, indicazione di termini e modalità di difesa, divieto di mutamenti definitivi del
rapporto di lavoro, termini per la comminazione del provvedimento, sospensione cautelare, sedi e modalità
di impugnazione della sanzione disciplinare.
67.5 LA RIPETIZIONE DEL LICENZIAMENTO - In presenza di un licenziamento illegittimo, il datore ha la possi-
bilità di disporre un secondo licenziamento.
Se il vizio del primo licenziamento era un vizio di forma, il datore può ripetere ex nunc (senza efficacia re-
troattiva) il licenziamento, per gli stessi motivi sostanziali, ma rispettando la forma precedentemente viola -
ta. Se il vizio del primo licenziamento è un vizio sostanziale, il nuovo licenziamento è ammesso solo per altri
motivi sostanziali.
In entrambi i casi non occorre né attendere il provvedimento di reintegrazione in servizio del lavoratore, nè
che il datore di lavoro revochi o rinunci a difendere il primo licenziamento, la cui eventuale legittimità ren -
derebbe inutile il successivo recesso.
67.6 IL PROCEDIMENTO PREVENTIVO AL LICENZIAMENTO PER MOTIVO OGGETTIVO NELLE MAGGIORI OR-
GANIZZAZIONI
Il legislatore ha previsto un procedimento conciliativo obbligatorio, preventivo rispetto all'intimazione di li-
cenziamento. Il procedimento riguarda solo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, solo per i da -
tori di lavoro aventi requisiti dimensionali per l'applicazione delle disposizioni dell'art. 18 Stat. Lav.. Sono pr-
viste, però, tre eccezioni per i datori di lavoro maggiori:
1) licenziamento per superamento del periodo di comporto, rappresenta una fattispecie peculiare
disciplinata dall'art. 2110 cod. civ. e non un licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
2) cambio appalto, se il nuovo appalto è modificato oppure il nuovo appaltatore non applica il con-
tratto collettivo di diritto comune, i dipendenti rimangono in forza al precedente appaltatore che
potrebbe licenziarli, anche collettivamente se sono almeno 5, se mancano le possibilità di utilizzarli
nell'organizzazione;
3) licenziamenti o interruzioni per “fine lavori” nelle costruzioni edili.
La funzione di questo procedimento è quella di evitare le incertezze del regime sanzionatorio previsto per il
licenziamento ingiustificato.
COMUNICAZIONE
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora disposto da un datore di lavoro avente alti requi -
siti dimensionali, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione
territoriale del lavoro (DTL) del luogo dove il lavoratore presta la sua opera e deve essere trasmessa per co-
noscenza al lavoratore. Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al
licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento, nonché le eventuali misure di assi -
stenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
CONVOCAZIONE
La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine
perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale
di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
CONCLUSIONE
Tale procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione, procedono ad esa -
minare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione
territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro. Se fallisce il tentativo di conciliazione, il
datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano
le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favori -
re la ricollocazione professionale del lavoratore, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia interinale.
Inoltre, il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commis -
sione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice
per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 St. lav.
• Per evitare che il lavoratore, in vista del licenziamento preannunciato, dichiari una malattia di com-
do per sospendere il decorso del termine di preavviso, il legislatore, con norma antiabuso, preede
che il licenziamento produca effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento mede-
simo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità so-
stitutiva.
La sanzione per il licenziamento intimato senza tale procedura preventiva è un'indennità da 6 a 12 mensili -
tà.
67.7 LA REVOCA DEL LICENZIAMENTO - Il licenziamento come atto unilaterale recettizio non era revocabile
dal datore, dopo essere pervenuto al lavoratore. Invece, per effetto della riforma Fornero, il licenziamento è
revocabile entro 15 giorni da quando il datore ha ricevuto comunicazione dell’impugnazione da parte del la -
voratore del medesimo licenziamento. La revoca, che richiede la forma scritta, produce l’effetto che il rap -
porto di lavoro si considera come mai interrotto e al lavoratore spetta la retribuzione, anche per il periodo
precedente alla revoca. Quest’ultima quindi, producendo effetti senza la necessità di accettazione del lavo-
ratore, si comporta come un diritto potestativo del datore. La disciplina della revoca descritta si applica sol-
tanto ai licenziamenti regolati dall’art. 18 St. lav.
67.8 L'OFFERTA DI CONCILIAZIONE - L'art. 6, d. lgs. 23/2015 prevede un'offerta di conciliazione per i licen-
ziamenti intimati ai lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo decreto. Il datore di lavoro può offri-
re al lavoratore licenziato, entro 60 giorni dal licenziamento, una somma pari a una mensilità di retribuzione
per ogni anno di sevizio e comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18. La conciliazione deve avvenire
nelle sedi assistite previste dalla legge, la somma deve essere erogata mediante assegno circolare e il lavora-
tore che accetta questa somma deve rinunciare all'impugnazione del licenziamento.
69.4 LA TUTELA INDENNITARIA PER LE MAGGIORI ORGANIZZAZIONI - Con la L. 92/2012, anche nelle mag-
giori organizzazioni (con almeno 16 dipendenti), il lavoratore licenziato può ricevere una tutela solo inden-
nitaria (riceve solo un’indennità risarcitoria, ma non conserva il posto di lavoro) e per quanto riguarda la tu-
tela reale, ossia il diritto alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, essa opera
solo:
- nelle 3 ipotesi di ingiustificatezza (par. 65.5);
- perché si accerta che il lavoratore, considerato fisicamente inidoneo dal datore, è in realtà idoneo;
- perché si accerta che il periodo di comporto, considerato scaduto dal datore, in realtà non è scadu -
to.
Al di fuori di queste ipotesi, anche nelle maggiori organizzazioni, il lavoratore, ingiustificatamente licenziato,
non ha diritto alla conservazione del posto, ma ha diritto ad un’indennità risarcitoria onnicomprensiva (= as-
sorbe ogni risarcimento di eventuali danni anche non patrimoniali), tra un minimo di 12 ed un massimo di
24 mensilità, ciascuna pari all’ultima retribuzione globale di fatto.
Anche per i licenziamenti con vizi procedimentali, nelle maggiori organizzazioni, è solo prevista una tutela
indennitaria, ossia una indennità tra un minimo di 6 ad un massimo di 12 mensilità. I vizi procedimentali
sono: difetto di motivazione contestuale, difetto di procedura disciplinare, difetto della procedura preventiva
per il giustificato motivo oggettivo.
69.5 LA TUTELA INDENNITARIA PER I NUOVI ASSUNTI - Il d. lgs. 23/2015 ha modificato la tutela contro i li-
cenziamenti illegittimi soltanto per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo decreto e per i da -
tori di lavoro che superano il requisito dimensionale previsto dall'art. 18 Stat. Lav.. La tutela indennitaria si
applica ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e ai licenziamenti per giusta causa o per giustifica -
to motivo soggettivo. L'indennità, esente dai contributi previdenziali, è pari a 2 mensilità dell'ultima retribu -
zione per ogni anno di servizio (tutela crescente), non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. Per i lavo-
ratori che hanno un'anzianità di servizio superiore a 12 anni spetta il massimo dell'indennità. Mentre per i
vecchi assunti l'indennità andava dalle 12 alle 24 mensilità.
Per i datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali dell'art. 18 Stat. Lav. non si applica la tute-
la reale per il licenziamento viziato da ingiustificatezza qualificata e l'indennità è dimezzata (non può supera-
re le 6 mensilità).
Per i vizi formali e procedurali è prevista un'indennità pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di
servizio non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, salvo che il giudice accolga la domanda del lavora -
tore per la tutela reale o per la tutela obbligatoria contro il licenziamento illegittimo.
Nel caso di subentro nell'appalto, l'anzianità di servizio del lavoratore si computa tenendo conto di tutto il
periodo in cui il lavoratore era adibito all'appalto.
69.5 LA TUTELA OBBLIGATORIA DI FONTE COLLETTIVA PER I DIRIGENTI - La legge non prevede la tutela rea-
le per i dirigenti licenziati ingiustificatamente, ma i contratti collettivi prevedono a loro favore un’indennità
supplementare (che va da un minimo di 10 ad un massimo di 30 mensilità), che si aggiunge alla indennità
per mancato preavviso e al TFR. Per stabilire questa indennità supplementare, è previsto un arbitrato irri -
tuale, che ciascuna parte può accettare o rifiutare. Se entrambe lo accettano, non è più possibile ricorrere
alla giustizia ordinaria.
Alcuni contratti collettivi prevedono in alternativa all'indennità per licenziamento ingiustificato, un'indenni-
tà automaticamente dovuta per i licenziamenti determinati da crisi aziendale accertata in via amministra-
tiva.
B) IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO
72 LA RILEVANZA SOCIALE DEL LICENZIAMENTO COLLETTIVO E LE RISPOSTE DELL’ORDINAMENTO - Il licen-
ziamento collettivo, coinvolgendo una pluralità di lavoratori, ha un significativo impatto sociale, per evitare
o attenuare il quale sono previsti specifici rimedi. Un primo filtro, creato dagli accordi collettivi e poi recepi -
to dalla legge, è costituito dalla procedura sindacale preventiva, nel corso della quale il confronto tra im-
prenditore e sindacati può far emergere soluzioni idonee al riassorbimento dell'eccedenza di personale.
L'accordo eventualmente raggiunto può ridurre o eliminare le rigidità organizzative o normative oppure, se
l'esubero di personale risulta inevitabile, può limitarne le conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori.
Il principale ammortizzatore sociale delle eccedenze di personale è stato la Cassa Integrazioni Guadagni
Straordinaria (CIGS), la quale consente al datore di lavoro di evitare il licenziamento collettivo, conservando
i lavoratori non utilizzati e corrispondendo loro una integrazione salariale per il periodo non lavorato.
Con il tempo, è apparso ingiusto corrispondere senza un limite di durata l’integrazione salariale a lavoratori
non utilizzati: per questo motivo, la legge 223/1991 ha limitato l’integrazione salariale ad un periodo di
tempo ragionevole, e alle sole ipotesi in cui sia prevedibile un rientro dei lavoratori sospesi. Inoltre, quando
viene disposto il licenziamento collettivo, i licenziati hanno diritto a ricevere un’indennità di mobilità.
Anche questa soluzione creava, però, delle disparità, in quanto l’indennità di mobilità era prevista solo per i
lavoratori rientrati in un’area assistita (lavoratori in Cassa integrazione e comunque dipendenti di imprese
rientranti nel campo di applicazione della CIGS) e non anche per gli altri lavoratori. Questa ingiusta separa-
zione tra area assistita ed area non assistita è stata definitivamente superata dalla legge 92/2012 (Riforma
Fornero): essa ha generalizzato il sostegno al reddito in costanza di rapporto e, per il periodo successivo al
licenziamento collettivo, ha abrogato l’indennità di mobilità, sostituendola con una tutela contro la disoccu -
pazione valida per tutti i lavoratori, tutela denominata Aspi.
75 LA PROCEDURA
Al fine di consentire il controllo sindacale sui licenziamenti collettivi, la legge impone una procedura molto
articolata: il mancato rispetto della procedura comporta l’inefficacia dei licenziamenti intimati e l’eventuale
condotta antisindacale del datore. In particolare, la procedura prevede le seguenti fasi:
• Comunicazione obbligatoria. Il datore deve comunicare la sua intenzione di procedere al licenziamento
collettivo, alle r.s.a., dove esistenti, ed ai sindacati territoriali, nonché alla Direzione regionale del Lavoro. in
tale comunicazione, Il datore deve indicare perché è inevitabile il licenziamento collettivo, quali posizioni la -
vorative intende sopprimere, quali sono i tempi previsti per i licenziamenti e con quali misure intende af -
frontare le conseguenze sul piano sociale.
Le informazioni contenute in tale comunicazione sono immodificabili, anche nel giudizio di impugnazione
dei licenziamenti. Il datore, inoltre, se rientrante nel campo di applicazione della CIGS, deve allegare alla co -
municazione la prova del pagamento del contributo previdenziale, anticipato rispetto agli oneri contributivi
legati all’indennità di mobilità.
• Esame congiunto. Entro 7 giorni dalla comunicazione, r.s.a. e sindacati territoriali possono chiedere un
esame congiunto della situazione per verificare le cause dell’eccedenza di personale e tutte le misure adot -
tabili per aiutare e riqualificare i lavoratori licenziati. Se l’esame congiunto tra datore, r.s.a. e sindacati terri -
toriali non sfocia in un accordo entro 45 giorni, la Regione, che può formulare anche sue proposte, riconvo -
ca le parti per un ulteriore esame, al fine di raggiungere un accordo entro i successivi 30 giorni (NB. I termini
sono ridotti alla metà se le eccedenze sono inferiori a 10 ed il termine per la consultazione sindacale di 45
giorni è ridotto a 30 giorni per le imprese sottoposte a procedura concorsuale).
Il datore di lavoro, a pena di violazione delle procedure e conseguente inefficacia dei licenziamenti, deve
condurre la consultazione in entrambe le fasi secondo correttezza e buona fede, senza sottrarsi alle richieste
di chiarimenti o di informazioni e ad un leale confronto con i sindacati, le cui proposte devono essere prese
in considerazione.
• L’accordo. il datore non è obbligato a raggiungere un accordo con i sindacati per la determinazione delle
modalità di licenziamento. Tuttavia, il datore è incoraggiato a concludere l’accorso attraverso varie previsio-
ni incentivanti, come la possibilità di accordare un’indennità di mobilità di importo inferiore, la possibilità di
adibire i lavoratori anche a mansioni inferiori, la possibilità di modificare il termine ordinario di 120 giorni
entro cui vanno intimati i licenziamenti, dopo la conclusione della procedura. I vizi della procedura possono
essere sanati ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedu-
ra. Circa l’efficacia, la Corte Costituzionale ritiene che tali accordi possano avere efficacia generale senza vio-
lare l’art. 39 Cost.: tali accordi non sono contratti normativi in quanto non fanno uso di un autonomo potere
normativo ma stabiliscono criteri, per le procedure di mobilità, in applicazione di una norma di legge.
77 LE SANZIONI
Per la forma e i termini di impugnazione dei licenziamenti collettivi si applicano le regole previste per il li-
cenziamento individuale. Inoltre, al licenziamento collettivo intimato senza la forma scritta, si applica il re-
gime di tutela reale ex. art. 18 Stat. Lav. Il licenziamento viziato nella forma, sia esso collettivo o individua-
le, può essere ripetuto nel rispetto della forma prescritta, non essendo un ostacolo per il periodo massimo
di conclusione della procedura per il licenziamento collettivo.
Nel caso di violazione delle procedure, la sanzione è quella dell’indennità da 12 a 24 mensilità ed è quindi
prevista la stessa sanzione sancita per l’ingiustificatezza semplice del licenziamento individuale.
Per la violazione dei criteri di scelta, si applica la stessa tutela reale prevista per l’ingiustificatezza qualifica-
ta del licenziamento individuale.
Nel caso che invece si accerti che i licenziamenti collettivi non avevano presupposti sostanziali per esse tali,
ad essi si applicherà la normativa propria dei licenziamenti individuali.
Al recesso intimato da datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura po-
litica, sindacale, culturale, di istruzione oppure di religione o di culto si applicano le disposizioni di cui alla
legge 15 luglio 1966, n. 604. Quindi, nelle aziende di tendenza la tutela reale si applica solo per il vizio di
forma e per i licenziamenti vietati dall’art. 18 Stat. lav. comma 1 (discriminatori, per motivo illecito, ecc.).
I lavoratori licenziati collettivamente e collocati in mobilità, possono contare sugli ammortizzatori sociali
(Casse integrazione), grazie ai quali sono inseriti nelle liste di mobilità, per agevolare il loro inserimento nel
mercato del lavoro e favorendo una ricollocazione congrua al profilo professionale del lavoratore stesso, e
hanno diritto ad uno speciale sussidio di disoccupazione (indennità di mobilità) in attesa della nuova occu-
pazione. L'indennità non è prevista nel settore bancario ed assicurativo.
Nel caso in cui ci siano i presupposti sostanziali del licenziamento collettivo, ma uno o più licenziamenti sia -
no viziati per violazione dei criteri di scelta con conseguente reintegrazione dei lavoratori illegittimamente
licenziati, il datore di lavoro ha facoltà di licenziare un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori rein-
tegrati senza dovere porre in essere una nuova procedura, purché lo comunichi alle r.s.a.
Va ricordato, infine, che i contratti collettivi aziendali e territoriali stipulati dai sindacati maggiormente rap-
presentativi possono derogare alle disposizioni di legge relative alle conseguenze del licenziamento, per cui
possono, anche per il licenziamento collettivo, escludere la tutela reale o l’indennità sostitutiva di reintegra-
zione.
84 IL LAVORO A DOMICILIO - Si ha lavoro domicilio quando il lavoratore svolge l’attività nel proprio domici-
lio o in locale di cui abbia la disponibilità . Talora non è facile capire quando vi sia lavoro a domicilio; soprat -
tutto quando il committente è un’impresa, c’è il rischio che essa stia solo decentrando il ciclo produttivo e
ricorra alla formula del lavoro a domicilio per negare tutele al lavoratore. Questa problematica non è af-
frontata dal codice civile, il cui art. 2128 si riferisce al solo lavoro a domicilio subordinato e gli estende, in
quanto compatibile, la disciplina del lavoro nell’impresa.
Attualmente, il lavoro a domicilio è dettagliatamente disciplinato dalla legge 877 del 1973 secondo la quale
il lavoro a domicilio deve avere le seguenti caratteristiche:
- il lavoratore svolge l’attività nel proprio domicilio o in locale di cui abbia la disponibilità;
- il lavoratore può avvalesi dell’aiuto accessorio di membri della famiglia conviventi o a suo carico;
- il lavoratore può svolgere il lavoro anche in proprio e per più committenti;
- il lavoro è subordinato se vi è l’obbligo del lavoratore di osservare le direttive dell’imprenditore cir -
ca le modalità di esecuzione e sui requisiti del lavoro da svolgere.
Lo sfavore della legge per il decentramento produttivo mediante lavoro a domicilio risulta dal divieto di ser-
virsi di tale lavoro per un periodo di un anno a carico di aziende che abbiano effettuato licenziamenti collet-
tivi o sospensioni. Il timore dell'evasione delle tutele mediante prestanome spiega il divieto di avvalersi di
intermediari, con sanzione costituente nella costituzione di normali rapporti di lavoro subordinato del reale
committente con lavoratori e intermediari.
I lavoratori a domicilio devono essere retribuiti a cottimo pieno (in base ai risultati prodotti); è esclusa una
retribuzione a tempo, essendo impossibile controllare la durata della prestazione. Non si applicano le tutele
contro il licenziamento e contro gli infortuni sul lavoro, mentre si applicano le tutele previdenziali. Se il com -
mittente non rispetta le tutele dovute, scattano a suo carico sanzioni amministrative.
93 La prescrizione
93.1 Prescrizione estintiva e prescrizione presuntiva - La prescrizione estintiva determina l’estinzione del
diritto se esso non viene esercitato per un dato lasso di tempo. Le retribuzioni periodiche sono soggette alla
prescrizione estintiva quinquennale, mentre le erogazioni una tantum (es: premio di fedeltà) soggiacciono
alla prescrizione decennale. Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive in 5 anni, ma se il
fatto costituisce reato con un più lungo termine di prescrizione si applica quest'ultimo anche all'azione civi-
le.
La prescrizione presuntiva determina, al decorrere di un certo lasso di tempo, la presunzione che il debitore
abbia eseguito il proprio adempimento e che quindi il credito sia stato soddisfatto. Le retribuzioni del lavo-
ratore sono sottoposte a prescrizione presuntiva annuale se hanno periodicità non superiore al mese e a
prescrizione presuntiva triennale se hanno periodicità superiore al mese. Sono escluse dalla prescrizione
presuntiva le indennità di fine rapporto.
93.2 L’oggetto della prescrizione - La prescrizione riguarda i diritti soggettivi perfetti, ma non i meri fatti, le
aspettative, i diritti indisponibili, le ferie o il riposo settimanale, né tutte le azioni di nullità (come quelle per
licenziamento discriminatorio). Sono, invece, sottoposte alla prescrizione quinquennale le azioni di annulla -
mento (es. annullamento di una transazione invalida).
93.3 La decorrenza del termine di prescrizione - La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il di-
ritto può essere fatto valere, quindi i diritti del lavoratore possono essere persi a causa di inerzia del loro ti-
tolare nel periodo di successiva prosecuzione del rapporto stesso. Per quanto riguarda le retribuzioni, per
evitare che il lavoratore possa subire il timore reverenziale nei confronti del datore durante il rapporto di la-
voro, la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto. Il timore reverenziale non sussiste nei rapporti di
lavoro dotati di stabilità (la quale è riscontrabile solo quando è riconosciuto al lavoratore il diritto all'elimi-
nazione degli effetti del licenziamento ingiustificato, con accertamento della persistenza del rapporto), co-
sicché in questi casi la prescrizione del diritto alla retribuzione può decorrere liberamente anche durante il
rapporto.
Nel lavoro privato non è più sostenibile che la prescrizione possa decorrere già in costanza di rapporto, poi -
ché la legge 92/2012, modificando l’art. 18 Stat. Lav., ha conservato la tutela reale solo per i casi tassativi di
ingiustificatezza qualificata prevedendo per la semplice ingiustificatezza una tutela solo indennitaria. Prima
della legge 92/2012, la Cassazione, rovesciando il precedente orientamento, era giunta ad affermare che il
lavoratore non avesse l’onere di provare che l’impresa avesse dimensioni tali da giustificare la tutela reale.
Invece, i compensi dei lavoratori autonomi si prescrivono normalmente nel corso del rapporto, in quanto
non possono essere assimilati alla retribuzione del lavoro dipendente.
La decorrenza della prescrizione estintiva ordinaria prevista per diritti diversi dalla retribuzione periodica, ri -
mane consentita durante qualsiasi rapporto anche privo di stabilità.
93.4 L’interruzione della prescrizione - La prescrizione è interrotta quando determinati eventi azzerano il
periodo di prescrizione, facendolo decorrere dall’inizio. In generale, la prescrizione è interrotta da ogni atto
stragiudiziale di costituzione in mora consistente in un'intimidazione scritta ad adempiere un determinato
debito. Vale ad interrompere la prescrizione la costituzione in mora sottoscritta dai rappresentanti del lavo -
ratore, la comunicazione al datore della richiesta del tentativo di conciliazione, la notifica del ricorso giudi-
ziale (in tal caso la prescrizione resta sospesa fino alla sentenza passata in giudicato).
L'azione di annullamento non riguarda l'adempimento di un debito, di conseguenza il relativo termine di
prescrizione non può essere interrotto mediante un atto stragiudiziale di costituzione in mora, ma solo dal -
l'introduzione in giudizio.
Dal punto di vista della prescrizione, l’interruzione della prescrizione costituisce eccezione rilevabile d’uffi -
cio.
94 La decadenza
94.1 La decadenza legale - La decadenza produce l’estinzione del diritto se nel termine previsto non viene
compiuto un determinato atto. A differenza della prescrizione, la decadenza si riferisce solo a specifici atti e
prevede termini più brevi per l’estinzione del diritto. La decadenza è legale se prevista dalla legge: si pensi
ai termini di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale e giudiziale del licenziamento, del trasferimento,
delle rinunce e transazioni ex art. 2113 cod. civ.
94.2 La decadenza convenzionale - È detta convenzionale la decadenza stabilita dalle parti. Essa, a pena di
nullità, non deve rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. I contratti collettivi prevedono clau-
sole di decadenza per alcuni diritti del lavoratore. La decadenza convenzionale veniva prima considerata dal-
la giurisprudenza come rinuncia tacita; ora, invece, questa disciplina viene considerata solo come un para-
metro di riferimento per la valutazione della congruità della decorrenza e durata del termine di decadenza
convenzionale in relazione alla tipica posizione di debolezza del lavoratore in costanza di rapporto.