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Breviario di

diritto del lavoro


Antonio Vallebona
IL DIRITTO DEL LAVORO
Il diritto del lavoro studia quella parte dell’ordinamento avente ad oggetto il lavoro umano, che concorre al
progresso materiale e spirituale della società (art. 4 comma 2 Cost). In particolare, il diritto del lavoro mira a
tutelare il lavoratore subordinato con tre tipi di intervento:
- il diritto del lavoro in senso stretto, contiene le norme che tutelano direttamente il trattamento
minimo da garantire al lavoratore;
- il diritto sindacale, tutela il lavoratore con norme meno dirette al suo trattamento, ma più dirette
alle organizzazioni che devono tutelarlo;
- il diritto della previdenza sociale, riguarda l’intervento pubblico a favore dei lavoratori in condizioni
di bisogno, a causa di infortuni, malattie, vecchiaia, disoccupazione, ecc.
Affinché questi interventi possano rientrare nel diritto del lavoro, è necessario che abbiano per destinatari i
cittadini considerati come lavoratori, altrimenti rientrano nel sistema di assistenza o di sicurezza sociale. Il
diritto del lavoro si pone come una disciplina e come una scienza giuridica autonoma, che supera le tradizio-
nali distinzioni tra diritto privato e diritto pubblico, comprendendo disposizioni di entrambe le tipologie.

3. I PRINCIPI COSTITUZIONALI
3.1 IL LAVORO NEI PRINCIPI FONDAMENTALI - Il lavoro occupa una posizione centrale nella Costituzione re-
pubblicana, che gli dedica alcuni dei preliminari Principi fondamentali. In base all’art 1 l’Italia è una Repub-
blica democratica fondata sul lavoro, tutelato in tutte le sue forme come detto nell’art 35. Il diritto del lavo-
ro storicamente nasce da disuguaglianze sostanziali, definite dalla Costituzione, secondo l’art 3 la Repubbli-
ca ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’u -
guaglianza dei cittadini, impedendo così l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese. Inoltre l’art 4 considera il lavoro come un dovere di ogni cittadino e ne fornisce un’ampia
definizione, considerandolo come un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale
della società, senza alcuna distinzione del tipo di lavoro svolto. Il cittadino è infatti libero di adempiere al do-
vere del lavoro, attraverso l’attività che meglio crede, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte. Dal -
l’art 4 ne consegue quindi un principio di pari dignità sociale ad ogni forma di lavoro. L’obiettivo che, quindi,
la Costituzione si pone è quello di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto di lavoro, impe-
gnandosi quindi contro la disoccupazione. I tempi e i modi per la graduale realizzazione di quello che è il
programma costituzionale è affidata al legislatore e orientata dal complesso e mutevole quadro economico
del Paese.

3.2 TUTELA DEL LAVORO, RETRIBUZIONE, RIPOSI, PROTEZIONE DI DONNE E MINORI - Il titolo III della Co-
stituzione è dedicato ai rapporti economici e si occupa di tutelare il lavoro.
In particolare, l’art 35 rileva importanti questioni: in base ad esso, la Repubblica tutela il lavoro in tutte le
sue forme ed applicazioni, curando la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, e promuoven-
do le organizzazioni internazionali intese ad affermare e regolare i diritti del lavoro. inoltre, riconosce la li -
bertà di emigrazione, impegnandosi a tutelare l’italiano che lavora all’estero.
L’art 36 riconosce il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione che sia proporzionale alla quantità e
qualità del lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia una vita libera e digni-
tosa. Nei commi seguenti detta dei limiti massimi irrinunciabili sull’orario di lavoro, sul riposo settimanale e
sulle ferie annuali retribuite.
L’art 37 concerne le donne e i minori: prevede che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di la -
voro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempi-
mento della sua funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino un’adeguata protezione. Inoltre, la
Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla pa -
rità di retribuzione.

3.3 PREVIDENZA E ASSISTENZA - Per quando riguarda l’art 38, questo si occupa degli aspetti previdenziali e
di assistenza al lavoratore, che vengono affidati, dalla stessa norma al comma 4, agli organi e istituti previsti
dallo Stato. Secondo tale articolo ogni cittadino inabile e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto
al mantenimento e all’assistenza sociale.
Inoltre, spetta al lavoratore il diritto che di aver assicurati e preveduti i mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita, qualora venga a mancare definitivamente o temporaneamente il reddito da lavoro, come nei casi di in -
fortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale.
La differenza tra previdenza e assistenza non riguarda solo i beneficiari delle prestazioni e il sistema di finan -
ziamento, ma anche l’entità delle prestazioni medesime, non potendosi ignorare lo scarto tra il mero “man -
tenimento assistenziale” e i “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, i quali implicano un rapporto determinato
dal legislatore ordinario con il livello retributivo goduto durante il lavoro. Il sistema pensionistico è gestito
male, dal momento che le pensioni vengono erogate in modo dissennato e per questo è stato necessario
definire una riforma per rendere economicamente sostenibile il sistema → legge 214/2011, intervenuta sul-
l’età pensionabile e sulla misura delle prestazioni previdenziali.

3.4 LIBERTÀ SINDACALE, CONTRATTO COLLETTIVO E SCIOPERO - La più profonda differenza della Costituzio-
ne repubblicana rispetto all’ordinamento corporativo sta nel riconoscimento della libertà sindacale (art 39)
e del diritto di sciopero (art 40), con una scelta per il modello pluralistico in cui il bene comune è identifica -
to con la libera competizione tra gruppi privati, i cui costi, in termini di disordini sociali, sono ritenuti minori
di quelli, in termini di libertà, connessi ad una organizzazione pubblicistica funzionale alla risoluzione buro-
cratica delle contrapposizioni di interessi economici presenti nella società civile. Il miglior modo per realizza -
re l’interesse generale è di lasciare normalmente spazio all’autonomia privata collettiva. Questa scelta si ac-
compagna ad un accordo della politica economica e delle condizioni di lavoro tra governo e sindacati →
Concertazione sociale o neocorporativa o scambio politico.
*L’art 39 stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera; ai sindacati non può essere imposto altro obbligo
se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. Affinché tale registra -
zione possa avvenire, gli statuti dei sindacati devono sancire un ordinamento interno a base democratica. I
sindacati registrati hanno personalità giuridica: possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei
loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle ca-
tegorie alle quali il contratto si riferisce.
Esso è stato in buona parte inattuato, non è stato infatti predisposto un sistema di registrazione dei sindaca-
ti. Le ragioni della mancata attuazione sono da ricercare nella volontà dei sindacati di sottrarsi ad un rigido
controllo dello Stato, nel rifiuto dei sindacati minori di ritrovarsi, con la registrazione e con la conta degli
iscritti, in una situazione di formale inferiorità rispetto ai sindacati maggiori, e in una obiettiva difficoltà di
istituire un'anagrafe sindacale.
Al posto dell'art. 39 Cost. la disciplina di riferimento sono:
- art. 36 cod. civ. → "L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute
come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati." Si parla di associazioni non ri-
conosciute poiché, non essendovi la registrazione i sindacati non hanno personalità giuridica, ma
operano come associazioni non riconosciute. Anche se privi della personalità giuridica, i sindacati
possono operare senza alcuna limitazione, come se avessero la personalità giuridica, con la sola
esclusione del potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale;
- art. 37 cod. civ. → "In quanto associazioni non riconosciute, i sindacati hanno un proprio fondo co-
mune";
- art. 38 cod. civ. → "Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione, i
terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche
personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione."
Perciò i sindacati hanno un'autonomia patrimoniale perfetta per cui i membri rispondono personal -
mente e solidalmente delle obbligazioni sociali assunte.
Cosa che ha favorito più di tutte lo sviluppo dei sindacati hanno la possibilità di stipulare contratti collettivi
di diritto comune.
Secondo l’art 40, il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano e lo sciopero non è
configurabile né come illecito penale né come illecito civile contrattuale.

3.5 LIBERTÀ D’IMPRESA E PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI - Presupposto indispensabile del pluralismo
competitivo è il riconoscimento che l’iniziativa economica privata è libera, nonostante l’esistenza di alcuni li-
miti. In particolare, secondo l’art 41, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana del lavoratore. A ciò deve aggiun-
gersi che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e priva-
ta possa essere indirizzata e coordinata a pini sociali.
Con riferimento alla partecipazione dei lavoratori, l’art 46 prevede che ai fini dell’elevazione economica e
sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavorato -
ri a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. In attuazione di questo
articolo, la legge 350/2003 aveva istituito un Fondo per incentivare la partecipazione dei lavoratori alle
scelte gestionali dell’impresa, ma la corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la leg -
ge per la mancata previsione di qualsiasi strumento di leale cooperazione tra Stato e Regioni. Sono state
adottate successivamente altre misure legislative atte a favorire la partecipazione dei lavoratori e soprattut -
to a salvaguardare la conservazione delle organizzazioni datoriali. Tra queste misure, la legge n. 148/2011
sui contratti di prossimità, in cui si parla di adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, e la legge 92
del 2012 che ha stabilito principi e criteri direttivi sulla cui base saranno emanati decreti legislativi atti a raf -
forzare la partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’impresa.

3.6 IL BUON ANDAMENTO E L’IMPARZIALITÀ DELL’AMMINISTRAZIONE - Il lavoro alle dipendenze delle PA


deve fare i conti con i principi del buon andamento e dell’imparzialità che permettono a determinati aspetti
del lavoro pubblico di restare diversi rispetto a quello privato. La privatizzazione dei rapporti di lavoro con
le PA del 1993 comporta: la costituzione del rapporto mediante contratto individuale, l’applicazione della di -
sciplina del lavoro con i privati, la stipulazione di contratti collettivi con efficacia diretta sui rapporti regolati,
e così via.
Tuttavia gli atti di macrorganizzazione spettano alla legge o alla PA, si accede al lavoro pubblico mediante
concorso, la contrattazione collettiva deve tener conto della finanza pubblica, sono esclusi promozioni auto -
matiche per lo svolgimento di mansioni superiori e la conversione automatica in rapporti a tempo indeter -
minato dei contratti precari illegittimi. Permane una diffusa inefficienza della PA, da imputarsi allo strapote-
re sindacale ed alle ingerenze politiche.
CAPITOLO 1 “La libertà e l’attività sindacale”
6. LA LIBERTÀ SINDACALE
6.1 FONTI INTERNE E INTERNAZIONALI - La libertà sindacale è regolata da fonti interne (art 39) e da fonti
internazionali (convenzioni OIL del 1948 e 1948, la convenzione europea per i diritti dell’uomo del 1950 e
il patto internazionale ONU del 1966). Manca, però, una norma vincolante nell’ambito dell’Unione euro-
pea.

6.2 NOZIONE E TITOLARITÀ - Libertà sindacale vuole dire facoltà di coalizione e di azione per la difesa di in-
teressi collettivi professionali e riguarda la posizione dei singoli nella loro facoltà di scelta, adesione e parte-
cipazione alla attività della coalizione. In questo senso è tutelata sia la libertà positiva di costituire o aderire
ad un sindacato sia la libertà negativa di non affiliarsi ad un sindacato. Quest’ultima sarebbe violata se fos-
sero ammesse delle clausole di closed shop con cui imporre all’imprenditore di assumere lavoratori solo se
aderenti al sindacato.
Questa libertà è riconosciuta ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi, specie se parasubordinati, e ai
dipendenti degli enti pubblici non economici dello Stato.
È esclusa solo per i militari, per l’incompatibilità con l’assolvimento dei compiti propri delle forze armate,
mentre è concesso alla Polizia di Stato di avere un sindacato, che sia solo per la categoria e che non abbia
collegamenti con altri sindacati, al fine di evitare inammissibili condizionamenti dell’attività di tutela delle
persone e del patrimonio, tanto essenziale da escludere anche il diritto di sciopero.

6.3 INTERESSE COLLETTIVO PROFESSIONALE E PLURALISMO SINDACALE - L’interesse collettivo non è la


semplice somma degli interessi individuali, ma costituisce una sintesi nella quale ciascun componente del
gruppo sacrifica una parte del proprio specifico interesse. Perciò è corretto affermare l’ indivisibilità dell’in-
teresse collettivo, nel senso che l’interesse collettivo non si può dividere e scomporre in tanti interessi indi-
viduali. L’interesse collettivo resta pur sempre interesse di un gruppo particolare; da qui la possibilità di co -
stituire sindacati per ramo di industria, per la tutela di tutti i dipendenti di un determinato tipo di aziende
oppure sindacati di mestiere (per la tutela dei soli dipendenti addetti a determinate mansioni). Da ciò è de -
rivato il pluralismo sindacale, ossia la possibilità di costituire diversi sindacati, in concorrenza tra loro, per la
stessa categoria professionale.

6.4 LA LIBERTÀ SINDACALE NEI CONFRONTI DELLO STATO - La libertà sindacale è riconosciuta nei confronti
dello Stato, che non può vietare od ostacolare la formazione di sindacati e le loro attività, oltre a non poterli
assorbire nella propria organizzazione. Libertà sindacale implica il riconoscimento dell’autonomia privata
collettiva, cioè del potere dei sindacati, in quanto liberi soggetti di diritto privato, di creare regole sia per la
disciplina interna (con gli statuti sindacali), sia per la disciplina dei rapporti con la controparte e dei rapporti
individuali di lavoro, che costituisce il fine essenziale del fenomeno sindacale.
Il complesso di queste regole (statuti sindacali, clausole dei contratti collettivi) ha dato vita all’ordinamento
intersindacale, ossia un’organizzazione autonoma delle relazioni tra imprenditori, sindacati e pubblici pote -
ri. In mancanza di norme specificamente dettate per la libertà sindacale, trovano applicazione norme civili -
stiche relative alle associazioni non riconosciute ed al contratto.

6.5 LA LIBERTÀ SINDACALE NEI CONFRONTI DEL DATORE DI LAVORO - In forza delle disposizioni del titolo II
dello “Statuto dei lavoratori”, la libertà sindacale opera anche nei confronti del datore di lavoro. Infatti la art
15 stat. lav. vieta al datore atti discriminatori che colpiscano un lavoratore per motivi sindacali, sia che que-
sti avvengano in fase di assunzione sia che avvengano durante il rapporto di lavoro, travolgendo con la nulli -
tà qualunque atto o patto diretto a pregiudicare il lavoratore a causa della sua affiliazione o attività con un
sindacato o alla sua partecipazione ad uno sciopero. La libertà sindacale è tutelata non solo esternamente,
ma anche all’interno dei luoghi di lavoro, salvo che l’esercizio di questa non pregiudichi il normale svolgi -
mento dell’attività aziendale, sacrificata solo in caso di sciopero.

6.6 IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI COLLETTIVE DI FAVORE E DEL SOSTEGNO AL SINDACATO GIURISDIZIO-


NALE - Per garantire un leale svolgimento della dialettica sindacale, è fatto divieto al datore di lavoro di ero-
gare trattamenti economici collettivi discriminatori di maggior favore ai dipendenti che si astengano dall’af-
filiazione o dall’azione sindacale. La sanzione consiste nella cessazione del comportamento illecito in sede di
repressione di condotta anti sindacale, nonché la condanna del datore, su richiesta di lavoratori discriminati
o dai sindacati mandatari, a pagare al fondo pensioni INPS una somma pari all’importo di maggior favore il -
legittimamente corrisposto nel periodo massimo di un anno.
Altro divieto, imposto al datore di lavoro, è quello di costruire o sostenere con mezzi finanziari sindacati di
lavoratori, detti sindacati di comodo, ossia i sindacati che hanno un atteggiamento benevolo verso i datori
di lavoro. In questo caso l’unica azione di repressione della condotta antisindacale è la possibilità per gli altri
sindacati, detti genuini, di richiedere la cessazione del sostegno illegittimo. Non è prevista alcuna sanzione
per il sindacato di comodo, ma i suoi atti non potranno essere considerati sindacali.

7. IL SINDACATO COME ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA - * L’art 39 Cost. prevede che al sindacato ven-
ga riconosciuta personalità giudica in seguitò ad una registrazione, la cui unica condizione è l’ordinamento
interno a base democratica, e in seguito a tale registrazione la possibilità per i sindacati, rappresentati in
proporzione ai loro iscritti, di stipulare contratti collettivi con efficacia generale.
La differenza con le associazioni riconosciute sta nel fatto che queste hanno autonomia patrimoniale per-
fetta, mentre per le obbligazioni assunte, le associazioni non riconosciute rispondono sia con il fondo comu-
ne sia personalmente e solidalmente le persone fisiche che hanno agito in nome e per conto dell’associazio -
ne. Ma per il sindacato, il cui scopo è la tutela dei lavoratori, che non comporta grandi impegni economici,
questo è un fatto poco rilevante. È rilevante, invece, il potere di stipulare contratti collettivi di diritto comu-
ne, strumento grazie al quale finora hanno ricercato il proprio scopo di tutela del lavoratore.
Come associazione non riconosciuta, elemento fondamentale dei sindacati è lo statuto, dove viene indivi-
duata la categoria professionale tutelata, l’organizzazione (organi = assemblea, comitato direttivo, segrete-
ria, ecc.) e l’ordinamento interno e le modalità di formazione e competenze rispettive. Ogni singola asso-
ciazione sindacale può unirsi ad altre associazioni, dando vita ad organizzazioni complesse.
• RECESSO. I singoli soci possono in qualsiasi momento recedere dall’associazione, senza però diritto ad esi-
gere una quota del fondo comune. Nel caso vi sia effettivamente il recesso, esso, in forza del principio di li-
bertà sindacale, ha efficacia immediata, con piena facoltà del recedente di aderire ad altro sindacato. Nel -
l’ambito delle organizzazioni complesse, l’associazione minore può recedere dalla maggiore.
• DELIBERE. Le delibere dell’associazione possono essere impugnate dal singolo socio per contrarietà alla
legge, allo statuto o all’atto costitutivo, in base all’art 23 comma 1, ritenuto applicabile anche alle associa -
zioni non riconosciute.
Per quanto riguarda le delibere di natura disciplinare, che possono anche consistere nell’espulsione del so -
cio, gli statuti prevedono sovente l’impugnazione di fronte ad un collegio di probiviri.
• CLAUSOLE. Le clausole degli statuti che definiscono gli scopi del sindacato tendono a consentire che l’azio -
ne del sindacato sia finalizzata a tutelare non solo gli iscritti, ma anche i non iscritti, almeno per coinvolgere
anche questi ultimi nell’attuazione degli scioperi che vengono proclamati.

8. L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE IN ITALIA - Fondamentale aspetto dell’organizzazione sindacale nel no-


stro Paese è l’assetto pluralistico che ha assunto, consentito dall’ordinamento, ma non certo obbligato dal
principio di libertà sindacale, a differenza di altri Paesi europei dove il fenomeno sindacale si presenta in for -
ma unitaria. Tale pluralismo è dovuto ad una divisione dei sindacati per ramo di industria, costituiti per la
tutela degli addetti a determinate attività economiche, e di sindacati di mestiere, in cui i lavoratori si coaliz -
zano in ragione della loro particolare professionalità. Il pluralismo sindacale è una conseguenza della divisio -
ne del movimento sindacale in confederazioni che rispecchiano diverse ideologie politiche esistenti nel Pae -
se. Queste confederazioni sono CISL, UIL, CGIL, CISNAL ora UGL, al quale si aggiungono le cosiddette auto -
nome, come CISAL e CONFSAL, nonché i sindacati non confederali, quali FABI, nel settore del credito, e
SNALS, nel settore della scuola.
Altra caratteristica del fenomeno sindacale in Italia è la prevalenza del modello associativo nell’organizzazio-
ne territoriale, nel senso che i gruppi di difesa dei lavoratori tendono ad assumere la forma dell’associazione
non riconosciuta.
All’interno di questa grandi confederazioni possiamo distinguere, un’organizzazione verticale di categoria
composta da sindacati provinciali, regionale e nazionali, e un’organizzazione orizzontale intercategoriale a
livello provinciale e regionale.
L’organizzazione dei lavoratori interna all’azienda
Mentre l’organizzazione sindacale sul territorio è completamente affidata all’autonomia di ciascuna associa -
zione, la presenza di organizzazioni di lavoratori all’interno delle aziende, che deve essere subìta dal datore,
è regolata da accordi oppure dalla legge.
In Italia, prima e dopo il periodo corporativo, era prevista la presenza di commissioni interne all’azienda, in
ordine alle quali era stabilita l’elezione a suffragio universale con voto di preferenza in relazione a liste con -
correnti presentate da sindacati o da altri soggetti.
Queste furono poi sostituite alla fine degli anni ’60 dal consiglio di fabbrica, che riuniva i delegati dell’unità
produttiva, eletti liberamente da gruppi omogenei di lavoratori, e che avevano il potere di contrattazione
collettiva. Pur trattandosi di strutture non associative i rapporti con i sindacati territoriali si rafforzarono, an-
che in virtù del sostegno legale che da allora garantisce la costituzione di RSA (rappresentanze sindacali
aziendali) per ogni sindacato avente diritto.
Con le frammentazioni che le grandi confederazioni hanno subìto negli anni ’80, nel 1995 fu abrogato il pri -
vilegio di cui queste godevano per la costituzione di RSA, e, ancora prima, nel 1993 furono introdotte le RSU
(rappresentanze sindacali unitarie). La rappresentanza era caratterizzata perciò dall'unitarietà, con il ritorno
al sistema elettivo, con elettorato attivo e passivo riconosciuto a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro af-
filiazione sindacale. Il primo riconoscimento legale delle RSU è avvenuto nel settore dell’impiego con le pub-
bliche amministrazioni. In particolare, i sindacati mantennero il monopolio della presentazione delle liste e
la possibilità di potersi ripartire 1/3 dei seggi, mentre gli altri 2/3 furono riservati all’elezione da parte dei la-
voratori. Quindi se prima del ’95 la rappresentatività, cioè l’idoneità del sindacato a tutelare l’interesse col-
lettivo professionale, spettava alle confederazioni, con l’abolizione di questo privilegio nel ’93, può acquisire
la rappresentatività all’interno dell’azienda il sindacato che abbia stipulato un contratto collettivo con que -
sta.
• Si devono ricordare i CAE (comitati aziendali europei) previsti dalla direttiva comunitaria n. 45 del
1994, attuata con decreto legislativo n. 74 del 2002, per le imprese ed i gruppi di imprese di dimen-
sioni comunitarie, con diritti di informazione e consultazione secondo modalità rinviate alla contrat-
tazione collettiva o fissate da una disciplina suppletiva contenuta nella stessa direttiva. La disciplina
della costituzione di questi comitati è rimessa ad un accordo stipulato tra la direzione centrale del-
l’impresa o del gruppo ed una delegazione speciale di negoziazione. I membri di questa delegazione
sono designati dai sindacati stipulanti il contratto collettivo nazionale applicato nell’impresa o nel
gruppo congiuntamente con le RSU, in mancanza delle quali i lavoratori sono chiamati a concorrere
direttamente, secondo modalità concordate dai predetti sindacati con direzione centrale. La nego-
ziazione dell’accordo di disciplina del CAE deve avvenire con spirito costruttivo ed i rapporti con la
direzione centrale e il CAE devono essere improntati a spirito di collaborazione.
Per la violazione degli obblighi di informazione e consultazione da parte del preposto alla direzione centrale
o del dirigente delegato è prevista una commissione di conciliazione e sanzione amministrativa pecuniaria
per l’eventuale inottemperanza allo stesso.
Nelle società europee e nelle società cooperative europee è previsto il coinvolgimento dei lavoratori in tre
forme alternative:
- organismo rappresentativo con diritti d’informazione;
- consultazione senza organismo rappresentativo;
- partecipazione dei lavoratori nell’organo di amministrazione o nell’organo di vigilanza della società.
La scelta è effettuata mediante accordo, in mancanza del quale operano le disposizioni suppletive nazionali.

L'art. 19 stat. lav. e successivi, contengono una serie di misure di sostegno dell’attività sindacale, tra le quali
"il diritto di costituire, ad iniziativa dei lavoratori, rappresentanze sindacale aziendali (RSA)" in ogni "unità
produttiva che occupa oltre 15 dipendenti" (art. 35 stat. lav.) il cui compito era essere un punto di contatto
tra datori di lavoro e sindacati.
Dagli anni '80 si è verificata una notevole frammentazione della rappresentatività a scapito delle grandi con -
federazioni, sicché da un lato con il referendum del 1995 è stato abrogato il privilegio di cui godevano que-
ste ultime per la costituzione delle rsa e dall'altro lato con il protocollo del 23 luglio 1993 sono state intro-
dotte le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), valide per luoghi di lavoro sia pubblici che privati.
L’RSU viene eletta da tutti i lavoratori presenti in azienda (per questo partecipa alla contrattazione azienda -
le), indipendentemente dal fatto che essi siano o no iscritti ad un sindacato. Le RSU hanno sostituito pro-
gressivamente le RSA in quanto le organizzazioni sindacali che partecipano alla formazione delle RSU si sono
impegnate a non costituire più RSA al fine di non duplicare inutilmente gli organismi di rappresentanza dei
lavoratori. Questo non ha comunque comportato la soppressione delle RSA, le quali conservano potere di
contrattazione collettiva concorrente con quella della RSU. Le associazioni sindacali possono scegliere di non
partecipare alle elezioni per le RSU e di costituire le proprie RSA, sempre rispettando i requisiti previsti dallo
Statuto dei lavoratori (legge 300/70).
Infine, per l'elezione delle RSU è prevista secondo metodo proporzionale ed è consentita la presentazione
di liste a qualsiasi associazione sindacale che abbia aderito agli accordi che regolamentano le RSU.
Riassumendo, le differenza tra RSA e RSU sono:
1) le RSA sono previste dalla legge (300/70) art. 19; le RSU sono previste dall'accordo interconfede -
rale del 20 luglio 1993;
2) la RSA è eletta dagli iscritti ad un particolare sindacato; la RSU da tutti i lavoratori dell'azienda,
iscritti o no ad un sindacato;
3) la RSA non partecipa alla contrattazione aziendale; la RSU invece si, poiché è la rappresentanza
generale dei lavoratori;
4) in un'azienda con più di 15 dipendenti vi possono essere più RSA, ma solo una RSU;
5) le organizzazioni sindacali che intendono partecipare all'elezione delle RSU devono rinunciare al -
l'utilizzo delle RSA; per le RSU è previsto che un sindacato possa revocare il riconoscimento solo
dando disdetta dell'intero accordo interconfederale, in tal modo precludendosi di partecipare alle
elezioni delle RSU;
6) l'art. 5 dell'accordo interconfederale del 93 attribuisce espressamente alle RSU il potere di stipu -
lare accordi sindacali aziendali nelle materie previste dal CCNL poiché "stabilisce che le RSU suben-
trano alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spet -
tanti per effetto di disposizioni di legge".

L’organizzazione sindacale dei datori di lavoro


L’organizzazione sindacale dei datori di lavoro (art 39) si è concretizzata con la formazione di grandi confede-
razioni nei vari rami economici:
1. nel settore industriale opera Confindustria;
2. nel settore commerciale opera Confcommercio;
3. nel settore agricolo operano Confagricoltura, Coldiretti e Confcoltivatori;
4. nel settore del credito opera Assicredito, mentre le Casse rurali sono associate nelle Federcasse;
5. nel settore pubblico le PA sono rappresentate dall’ARAN.
Le casse bilaterali (ad esempio, Casse edili) sono enti di fatto, composti in parte da rappresentanti sindacali
dei lavoratori ed in parte dai rappresentati sindacali dei datori di lavoro. In base al decreto 276 del 2003, tali
enti, se composti da sindacati comparativamente più rappresentativi, possono svolgere attività di interme-
diazione, possono certificare i contratti collettivi e gli atti di disposizione e possono avere competenze in
materia di formazione e di sicurezza sul lavoro.

LA LEGISLAZIONE DI SOSTEGNO AL SINDACATO


a) La selezione dei beneficiari ed il problema della rappresentatività
Il diritto sindacale è stato definito un diritto senza norme, con la conseguente formazione di un ordinamen -
to fondato sulle categorie civilistiche dell’associazione non riconosciuta e del contratto. Quando il legislatore
ha deciso di intervenire non lo ha fatto in chiave di disciplina generale, ma al solo fine di sostenere i sindaca -
ti dei lavoratori (legislazione promozionale), riconoscendone il diritto di presenza e attività nei luoghi di la-
voro e vietando gli atti discriminatori. Questa scelta ha avuto la finalità di assicurare una effettiva ed imme -
diata protezione del lavoratore nel corso del rapporto e nel luogo ove lo stesso si svolge.
L’art 19 lett. a) stat. lav. prevedeva originariamente che le rappresentanze sindacali aziendali potevano es-
sere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, soltanto nell’ambito delle associazioni
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Per la selezione dei beneficiari il legislatore faceva riferimento alla rappresentatività che indica l’idoneità
del sindacato a tutelare l’interesse collettivo professionale senza distinzione tra iscritti e non iscritti; molto
diverso è il concetto di rappresentanza volontaria dei soli iscritti, che indica il potere del sindacato di com-
piere attività giuridica in nome e per conto degli stessi iscritti.
Poiché l’art 19 lett. a) tutelava solo le confederazioni che avessero una maggiore rappresentatività, sorsero
varie perplessità per le quali suddetto articolo favoriva ingiustificatamente le confederazioni a scapito degli
altri sindacati non rientrarti in esse. La Corte Costituzionale con varie sentenze (1974, 1988, 1990) ritenne
legittima la norma poiché evitava un’eccessiva frammentazione delle RSA, non impediva agli altri sindacati
di assumere forza rappresentativa e non ledeva la libertà e l’attività sindacale sui luoghi di lavoro. Nella sen -
tenza del 1990, però, la Corte Costituzionale invitò il legislatore a definire meglio il concetto di rappresenta -
tività, evitando di collegarlo astrattamente al solo fatto di appartenere ad una delle tre grandi confederazio -
ni. Sulla spinta dell’invito della Corte Costituzionale, nel 1993-94, gli accordi sulle RSU stabilirono la sop-
pressione della lettera a) dell’art 19 stat. lav. e la modifica della lettera b).
È seguito il referendum abrogativo del 1995 e il d.p.r. 312 del 1995: per effetto di queste variazioni, adesso
l’art 19 lett. b) stat. lav. stabilisce che le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad ini-
ziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di
contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Il sostegno legale per l’attività in azienda non
spetta più alle confederazioni maggiormente rappresentative in quanto tali, ma solo ai sindacati che abbia-
no stipulato un contratto collettivo di qualsiasi livello, applicato nell’unità produttiva, così dimostrando una
rappresentatività specifica sul piano dei rapporti con la controparte imprenditoriale.
Il modello uscito dal referendum è stato ritenuto conforme ai principi costituzionali, in quanto il criterio se-
lettivo della capacità di imporsi al datore di lavoro o alla sua associazione come controparte contrattuale in -
dica una rappresentatività effettiva ed è un criterio ragionevole fondato sulla forza del sindacato. Nel nuovo
assetto per il sorgere del diritto alla costituzione della RSA non basta l’adesione formale del sindacato ad un
contratto stipulato da altri, ma occorre una partecipazione attiva alla negoziazione, che deve riguardare un
vero e proprio contratto collettivo normativo contenente una disciplina organica dei rapporti di lavoro.
A quasi venti anni di distanza è stato dichiarato incostituzionale l’art 19 stat. lav. nella parte in cui esclude il
diritto a costituire la RSA nei confronti del sindacato che abbia partecipato alla trattativa senza sottoscrivere
il contratto applicato nell’unità produttiva.
Nel settore pubblico, il diritto alla costituzione delle RSA (con il d.lgs. n. 396 del 1997) spetta alle organizza-
zioni sindacali ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, cioè ai sindacati che ab -
biano nel comparto o nell’area di rappresentatività non inferiore al 5% considerando a tal fine la media tra il
dato associativo, espresso dalla % delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali, e il dato elettora-
le, espresso dalla % dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU.
L’attuale sistema vede convivere le grandi confederazioni, che hanno ancora la legittimazione esclusiva a sti-
pulare determinati contratti collettivi, con quei sindacati che abbiano dimostrato la loro rappresentatività a
livello di categoria o di azienda, con la stipula di contratti collettivi, con la consistenza numerica, con i risul -
tati elettorali. Pertanto il sostegno legale alle grandi confederazioni è ancora radicato nell’ordinamento, ma
convive con il sostegno di sindacati che abbiano dimostrato la loro rappresentatività a livello di categoria o
di azienda in vari modi.
In questo contesto, è comparsa nel sistema la nozione di organizzazione sindacale comparativamente più
rappresentativa nella categoria, utilizzata dal legislatore per l’individuazione tra più contratti collettivi di
quello da porre come elemento di riferimento per la determinazione di aspetti retributivi e previdenziali.

b) I diritti sindacali nei luoghi di lavoro


LA TIPICITÀ DEI DIRITTI PER IL C. D. CONTROPOTERE SINDACALE IN AZIENDA - Il diritto alla costituzione
della RSA dell'art. 19 stat. lav. comprende anche quelli per svolgerne l'attività sindacale (assemblee, referen-
dum, permessi, bacheca, i locali, ecc) con il cui il sindacato può esercitare un contropotere, contrapposto a
quello dell'imprenditore, capace di limitarlo. La protezione dell'interesse sindacale spesso si traduce nel
non svolgere la prestazione lavorativa (da parte degli iscritti al sindacato), quindi non deve esserne fatto un
uso sconsiderato. Nei primi anni di applicazione di queste tutele, vi furono eventi eclatanti, come la marcia
dei quarantamila a Torino del 1980 in cui i lavoratori si ribellarono ai quadri aziendali con minacce e violen -
ze, a cui seguì il licenziamento di 61 dipendenti FIAT.
IL CAMPO DI APPLICAZIONE - Il diritto alla costituzione delle RSA e relativi diritti, è "limitato alle sole impre-
se e non alle organizzazioni di datori di lavoro che non sono imprenditori e solo a quelle le cui unità produtti -
ve hanno più di 15 dipendenti per imprese industriali e commerciali e 5 per quelle agricole " (art. 35 stat.
lav.).
Un'unità produttiva è un'articolazione dell'impresa (sede, stabilimento, filiale, ufficio, reparto, ecc) che, per
la sua struttura e organizzazione, è idonea a conseguire autonomamente un risultato produttivo. Per calco-
lare il n° di dipendenti nell'unità produttiva, si devono considerare quelli che lavorano costantemente nel
tempo, escludendo quelli presenti per motivi provvisori. Pertanto, non si possono conteggiare sia il lavora-
tore assente sia quello assunto a termine in sostituzione, né si possono calcolare gli apprendisti, o i lavora -
tori assunti con contratti di formazione e lavoro o con contratti di inserimento. Devono essere invece i lavo -
ratori in prova, i lavoratori con contratto a termini di durata di almeno 9 mesi, e i lavoratori a tempo parzia -
le. Ricordiamo, infine, che per gli enti pubblici economici valgono le stesse regole e gli stessi limiti delle im-
prese private; per gli enti pubblici non economici, i diritti sindacali sono regolati da norme speciali (che ri-
sultano dettate in tema di permessi e aspettative) e in mancanza delle norme dello statuto dei lavoratori.
L'ASSEMBLEA - Secondo l'art. 20 stat. lav. le RSA e le RSU, singolarmente o congiuntamente, hanno il potere
di convocare all'interno dei luoghi di lavoro l'assemblea dei lavoratori dell'unità produttiva, intesa come
strumento di democrazia diretta e di collegamento dei sindacati con la base. La convocazione deve essere
preventivamente comunicata al datore di lavoro per:
1) consentirgli di mettere a disposizione un locale idoneo rispettando l'ordine di precedenza delle
convocazioni;
2) verificare se l'ordine del giorno riguardi effettivamente materie di interesse sindacale e del lavo -
ro;
3) predisporre le opportune misure organizzative per fronteggiare la mancata prestazione dei lavo-
ratori durante l'assemblea.
L'oggetto dell'assemblea deve appunto essere materia di interesse sindacale e del lavoro. Riguardo il locale
l'imprenditore è obbligato a mettere a disposizione un locale idoneo (dimensione e caratteristiche ambien -
tali) tra quelli disponibili. I partecipanti possono essere tutti i lavoratori (sindacalizzati e non) o solo gruppi
di essi, o anche dirigenti esterni al sindacato, previo preavviso al datore di lavoro. Quest'ultimo non ha dirit -
to a partecipare all'assemblea. Per il tempo, l'assemblea può svolgersi fuori dell'orario di lavoro senza limiti
di tempo, altrimenti durante l'orario di lavoro è ammessa solo per dieci ore annue, di cui il datore di lavoro
è obbligato a concederne la retribuzione. Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono
essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
IL REFERENDUM - L'art. 21. stat. lav. regola il referendum: "il datore di lavoro deve consentire nell'ambito
aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su mate -
rie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con di-
ritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente
interessata". Si noti che, mentre le assemblee sono convocabili anche da una sola RSA esistente nell'unità
produttiva, i referendum devono essere indetti da tutte le RSA congiuntamente (o RSU laddove esistente),
poiché esso ha senso solo se riguarda tutti i lavoratori interessati al quesito proposto. Ulteriori modalità per
l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
DIRITTO DI AFFISSIONE - L'art. 25 stat. lav. afferma che"le RSA (o RSU ove costituite) hanno diritto di affig-
gere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavora -
tori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindaca -
le e del lavoro." Si noti che si parla di RSA/RSU in quanto tali, quindi non i loro singoli componenti. Inoltre si
parla di spazi, il plurale presuppone che ciascuna RSA abbia diritto ad un proprio spazio. Il datore non può
defissare i documenti in maniera diretta, ma deve rivolgersi ad un giudice; a meno che non si tratta di affis -
sioni apposte non da RSA oppure per legittima difesa, se contengono espressioni offensive o diffamatorie.
IL LOCALE DELLE RSA - In base all'art. 27 stat. lav. in ciascuna unità produttiva con almeno 200 dipendenti le
RSA e l'RSU hanno diritto a disporre in modo permanente di un locale comune idoneo (per riunioni, ricevi -
mento lavoratori, preparativi iniziative, ecc), che sia all'interno o nelle vicinanze dell'unità produttiva e, per
ragioni di sicurezza, utilizzabile solo durante l'orario di apertura di questa. Quindi un luogo comune per tutte
le RSA. Nelle unità produttive con meno di 200 dipendenti il locale non spetta in via permanente, ma solo
previa apposita richiesta per evitare un onere troppo gravoso per imprese di dimensioni minori.
ATTIVITÀ DI PROSELITISMO E DI COLLETTAGGIO - I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di
svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pre-
giudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale. La titolarità del diritto spetta ai singoli lavoratori,
non alle r.s.a., sicché la norma può considerarsi una specificazione del generale diritto di libertà e attività
sindacale nei luoghi di lavoro.
Il proselitismo riguarda la ricerca di lavoratori da fare iscrivere nel sindacato, mentre il collettaggio riguarda
la raccolta di contributi, che non sono solo le normali quote associative ma possono essere anche versa-
menti una tantum per scopi particolari. Entrambi sono consentiti e tutelati solo se sono svolti dai lavoratori
per le loro organizzazioni sindacali e non quando siano svolti per qualsiasi altro fine.
LA CONTRIBUZIONE SINDACALE MEDIANTE RITENUTA - L’art 26 comma 2 stat. lav. prevede che le associa-
zioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario, nonché sulle prestazioni
erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con
modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato
dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale. Tale comma è stato abrogato, per cui in mancanza di un
contratto collettivo, il versamento può avvenire solo mediante una cessione parziale del credito retributi-
vo, operata dal lavoratore in favore di una data associazione, senza la necessità del consenso dell’imprendi-
tore, perché nella cessione del credito è irrilevante il consenso del debitore ceduto.
Anche il diritto a ricevere la quota sindacale mediante ritenuta sulla retribuzione resta sospeso quando il
sindacato aderisce ad uno sciopero illegittimo nei servizi pubblici essenziali.
• PERMESSI. I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto, per l’espletamento del loro
mandato, a permessi retribuiti. Il datore di lavoro, oltre a subire la mancata prestazione lavorativa, deve
corrispondere la retribuzione al proprio avversario. I titolari del diritto sono i dirigenti delle r.s.a., ma la stes -
sa legge limita il numero dei possibili fruitori in proporzione al numero dei dipendenti della categoria orga-
nizzata dalla r.s.a. occupati nell’unità produttiva. Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavo -
ro, hanno diritto ai permessi di cui al comma 1 art 23 stat. lav.:
a) un dirigente per ciascuna r.s.a. nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti nella
categoria per cui la stessa è organizzata;
b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna r.s.a. nelle unità produttive che
occupano fino a 3000 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la r.s.a.
nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla lettera b).
I permessi retribuiti non potranno essere inferiori alle 8 ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c);
nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un’ora all’anno per
ogni dipendente.
Il godimento del permesso deve essere preceduto da una comunicazione scritta al datore di lavoro, di rego -
la 24 ore prima, tramite la r.s.a. La provenienza della comunicazione è coerente con la destinazione del per -
messo retribuito, che i dirigenti sindacali devono utilizzare per l’espletamento del loro mandato. Il diritto ai
permessi retribuiti è sospeso con un limite di durata e di importo complessivo per il sindacato proclamante
o aderente ad uno sciopero illegittimo nei servizi pubblici essenziali.
L’art 24 stat. lav. prevede un distinto diritto a permessi non retribuiti per i dirigenti delle r.s.a.: la legge si ri -
ferisce solo alla partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale. La quantifi-
cazione legale è di 8 giorni all’anno e la comunicazione scritta al datore di lavoro deve avvenire sempre tra-
mite la r.s.a., di regola 3 giorni prima. L’art 30 stat. lav. prevede il diritto a permessi retribuiti per i dirigenti
provinciali e nazionali delle associazioni di cui all’art 19, che dopo il referendum del 1995 sono quelle firma -
tarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. La destinazione dei permessi in esame è prevista
solo per la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi provinciali o nazionali di cui il lavoratore è com -
ponente.
• ASPETTATIVE. Per quanto riguarda le aspettative, l’art 31 stat. lav. prevede il diritto all’aspettativa non re-
tribuita per i dirigenti sindacali provinciali e nazionali. Questa disposizione riguarda tutti i sindacati, anche
se non titolari del diritto alla costituzione delle r.s.a., dando luogo ad un sostegno non selettivo. I lavoratori
che siano eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di assemblee regionali ovve -
ro siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non
retribuita per tutta la durata del loro mandato.
I periodi di aspettativa sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto
e della determinazione della misura della pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. Duran-
te i periodi di aspettativa, l’interessato conserva il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti prepo -
sti all’erogazione delle prestazioni, in caso di malattia.
Nel settore pubblico, il limite massimo delle aspettative e dei permessi sindacali è stabilito in un apposito
accordo tra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative. Le aspettative e i permessi spettano, in
proporzione alla rappresentatività, alle organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazio-
nale e che hanno conseguentemente diritto a costituire r.s.a.
LA TUTELA SPECIALE DEI SINDACALISTI INTERNI CONTRO IL TRASFERIMENTO ED IL LICENZIAMENTO - Lo
Statuto dei lavoratori appresta delle protezioni particolari, aggiuntive rispetto a quelle generali, a favore dei
sindacalisti interni, equiparando a tal fine i dirigenti delle r.s.a. ed i candidati e membri di commissione in-
terna. Queste tutele sono riservate a chi dirige effettivamente le r.s.a. e si applicano fino alla fine dell’anno
successivo a quello in cui è cessato l’incarico.
Una prima forma di tutela speciale riguarda il trasferimento dell’unità produttiva. In proposito, l’art 22 stat.
lav. prevede che il trasferimento dell’unità produttività dei dirigenti delle r.s.a., dei candidati e dei membri di
commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza .
Ciò vuol dire che per trasferire il dirigente sindacale non basta il giustificato motivo sufficiente per ogni lavo -
ratore ex. art 2103, ma occorre il nulla osta del sindacato di appartenenza. La disposizione non riguarda spo -
stamenti interni, ma il trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra.
Altre forme di tutela dei sindacalisti riguardano il licenziamento. In particolare, ai sensi dell’art 18 stat. lav.,
nell’ipotesi di licenziamento di tali sindacalisti abbiamo una tutela processuale e una misura coercitiva indi -
retta. Per quanto concerne la tutela processuale, su istanza congiunta del lavoratore e del suo sindacato, il
giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di la -
voro. Detta ordinanza può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronun -
ciata e può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Per quanto concerne la misura coercitiva, il
datore di lavoro che non ottempera alla sentenza o all’ordinanza di reintegrazione, non impugnata o confer -
mata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del
Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

c) I diritti di informazione e consultazione e la legittimazione esclusiva per determinati accordi collettivi


Il diritto di informazione e consultazione consente ai sindacati di conoscere meglio le scelte imprenditoriali
e quindi di difendere meglio la posizione dei lavoratori. Questo diritto, in base al d.lgs. n.25 del 2007, non
spetta a tutti i sindacati, ma solo ai sindacati in aziende con almeno 50 addetti.
L’informazione e la consultazione devono avere ad oggetto moltissime materie, tra le quali spiccano l’attività
dell’impresa, l’occupazione e l’organizzazione del lavoro. Nel settore pubblico, tali materie non sono indivi-
duate dalla legge, ma dai contratti collettivi nazionali.
La riserva della legittimazione a stipulare determinati accordi è prevista dalla legge a favore dei sindacati in
possesso di determinati requisiti di rappresentatività, onde garantire l’adeguatezza di delicate regolamenta-
zioni. Questa legittimazione esclusiva è un sostegno molto rilevante per i rispettivi titolari, sia verso il datore
di lavoro che verso gli altri sindacati. Determinati accordi o contratti collettivi possono essere stipulati solo
dai sindacati maggiormente rappresentativi: ciò è stato previsto dalla legge, ad esempio con riferimento alle
materie del licenziamento collettivo, dell’integrazione salariale, del lavoro a termine, dell’orario di lavoro.

12. LA PARTECIPAZIONE DEI SINDACATI A FUNZIONI PUBBLICHE


12.1 I VARI TIPI DI PARTECIPAZIONE FORMALE - Può capitare che i sindacati siano chiamati a partecipare al-
l’esercizio di funzioni pubbliche, in modi diversi tra loro. Il sistema più diffuso è quello di attribuire ai sinda-
cati il potere di designare loro rappresentanti all’interno di organismi pubblici. I sindacati dei lavoratori di-
pendenti, degli imprenditori e dei lavoratori autonomi nominano i loro rappresentanti nel CNEL, secondo
l’art 99 Cost. I sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale designano loro rappresentanti an -
che negli organi collegiali di enti previdenziali, negli organi collegiali di gestione del mercato del lavoro, non-
ché altri organi previsti, ad esempio, per il lavoro a domicilio.
A volte al sindacato sono attribuite funzione consultive nell’ambito di un procedimento amministrativo e
può partecipare all’attività di risoluzione delle controversie individuali di lavoro, sia fornendo al giudice, su
richiesta dell’ufficio o su istanza della parte, informazioni e osservazioni, nonché il testo dei contratti collet -
tivi, sia designando i propri rappresentanti nelle commissioni di conciliazione istituite presso ogni Direzione
territoriale del lavoro.
12.2 LA CONCERTAZIONE SOCIALE DELL’ECONOMIA - Il sistema della concertazione sociale prevede che
prima di adottare scelte decisive per il Paese, si svolga un confronto trilaterale tra Governo, sindacati dei la -
voratori e dei datori. Le leggi così ottenute verranno chiamate negoziate. Se questo sistema fosse cogente
sarebbe incostituzionale, poiché il governo dovrebbe godere di una doppia fiducia, quella del Parlamento e
quella dei sindacati, con violazione dei principi della democrazia formale o procedimentale.
La Corte Costituzione ha precisato che si tratta di una pratica non vincolante per il Governo, che potrebbe
legittimamente farne ameno. L’interesse collettivo non può prevalere sull’interesse generale, la cui cura è ri -
messa ai poteri costituzionali che restano sovrani anche quando vena a mancare il consenso sindacale sui
provvedimenti da adottare.
Dagli anni 70 in poi questa pratica è stata costantemente seguita ed è sfociata in numerosi accordi, tra cui:
- il protocollo Scotti (1983), relativo al lavoro, al fisco e al consumo. In questo modo emergeva l’in-
scindibilità della posizione del lavoratore come produttore del reddito e come utilizzatore (consu-
matore/utente) del reddito netto disponibile, con il conseguente inevitabile coinvolgimento dello
Stato come protagonista delle possibili soluzioni;
- il protocollo Giugni (1993), relativo alla riduzione dell’inflazione e del debito pubblico. Veniva rea-
lizzata una ristrutturazione del sistema contrattuale e prefigurata la disciplina delle r.s.u. La politica
dei redditi, unita al contenimento del deficit pubblico, aveva successo, il tasso d’inflazione scendeva
ai minimi storici e consentiva una notevole riduzione dei tassi d’interesse sul debito pubblico con
serio beneficio per le finanze dello Stato, ma la disoccupazione cresceva;
- l’accordo Treu per il lavoro del 1996, volto a favorire l’occupazione.
Si arrivò poi a prevedere che lo stesso programma di governo, generalmente inteso, dovesse essere concor-
dato anche con i sindacati (patto sociale del 1998 del governo D’Alema e patto per l’Italia del 2002).
Successivamente, la legge delega n.30 del 2003 ha previsto la consultazione dei sindacati sugli schemi di de-
creti legislativi che doveva predisporre il Governo. Anche il governo di centrosinistra del 2007 ha puntato
molo sulla concertazione, facendo approvare il protocollo del 2007 sottoposto alle parti sociali (sindacati di
lavoratori e datori) in materia di pensionamento, mercato del lavoro, competitività, tutela dei soggetti svan -
taggiati. Con il governo di centrodestra, nel gennaio del 2009 fu concluso un accordo quadro con le parti so-
ciali, esclusa solo la CGIL, sulla riforma degli assetti contrattuali, in sostituzione del protocollo del 1993, con
l’obiettivo dello sviluppo economico e della crescita occupazionale. Il governo Renzi (2014) ha dichiarato
che le decisioni politico-economiche devono essere prese dagli organi costituzionali, senza alcun bisogno di
concertazione con i sindacati che possono essere al massimo consultati.
CAPITOLO 2 “Il contratto collettivo”
13. IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE
13.1 FUNZIONE E NATURA - Il contratto collettivo è un accordo tra un gruppo di lavoratori ed un datore di
lavoro o gruppo di datori di lavoro, al fine di determinare le condizioni applicabili a ciascun rapporto indivi -
duale. La sua funzione tipica dunque consiste nella funzione normativa di disciplina dei rapporti individuali
di lavoro. In tal modo alla debolezza contrattuale del singolo lavoratore si sostituisce la forza della coalizio-
ne, riuscendo ad ottenere dalla controparte imprenditoriale trattamenti migliori.
Nell'ordinamento attuale il contratto collettivo è espressamente nominato nella Costituzione art. 39 c. 4 "i
sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei
loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle ca-
tegorie alle quali il contratto si riferisce" e in molte leggi ordinarie, anche se è specificatamente disciplinato
solo nel settore pubblico. L'autonomia collettiva di tale contratto viene considerata come autonomia priva-
ta, pertanto il contratto collettivo viene applicata la disciplina generale dei contratti contenuta nel codice ci -
vile, perciò conseguentemente si parla di contratto collettivo privatistico o di diritto comune.
Per il lavoro pubblico privatizzato la legge impone che la contrattazione avvenga per comparti, mentre i
contratti di mestieri (aree contrattuali) sono previsti solo per i dirigenti e i giornalisti.
13.2 INTERPRETAZIONE E CONTROLLO DELLA CASSAZIONE - Proprio perché il contratto collettivo di diritto
comune è un contratto e non una legge, la sua violazione non costituisce una violazione di legge e perciò
non può essere impugnata davanti la Corte di Cassazione. Tuttavia, considerata la grande importanza dei
contratti collettivi, il legislatore ha ammesso, prima nel settore pubblico e poi nel settore privato, la possibi-
lità di denunciare in Cassazione la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti collettivi o accordi
collettivi sui quali il ricorso si fonda (art. 360 cod. proc. civ. modificato nel 2006). In tal caso la Cassazione
non si deve limitare a verificare se il contratto collettivo sia stato interpretato bene o male, ma deve essa
stessa procedere direttamente all'interpretazione del contratto collettivo.
Un ulteriore rafforzamento dei poteri interpretativi della Cassazione si è avuto con l'introduzione dell'art.
420 bis cod. proc. civ., secondo cui quando per la definizione di una controversia di lavoro è necessario ri-
solvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole
di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo di-
stinti provvedimenti per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso imme-
diato per Cassazione da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza.
Copia del ricorso per Cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la can -
celleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro 20 giorni dalla notificazione del ricorso alle
altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito. Orbene, secondo l'autore, questo sistema non de -
termina un eccessivo potere della Cassazione sulle questioni pregiudiziali sottese al contratto collettivo na-
zionale, ma ne promuove l'intervento interpretativo con funzione di precedente, dal quale i giudici di merito
potranno discostarsi solo motivatamente. Dal punto di vista della parte che aspira ad una rapida conclusio-
ne del giudizio, il sistema è ragionevole in quanto la sentenza non definitiva è imposta laddove sussistano
eccezioni, di rito o di merito, utili per l’immediato rigetto della domanda, la sentenza non definitiva è impo-
sta solo se la questione pregiudiziale è seria, il principio di solidarietà giustifica un modesto sacrificio dell’in-
teresse delle parti ad una rapida definizione della loro controversia a vantaggio dell’interesse generale.
La decisione della questione pregiudiziale relativa al contratto collettivo può richiedere lo svolgimento di
istruttoria, ad esempio sul comportamento delle parti, precedente e successivo alla stipulazione del con-
tratto. Se un’istruttoria necessaria viene omessa, la Cassazione deve cassare la sentenza non definitiva per
questa ragione. In questo caso il giudice di merito dovrà emettere una nuova sentenza non definitiva dopo
l’espletamento dell’istruttoria indicata dalla Cassazione. Qualora il giudice di primo grado pronunzi sentenza
definitiva, ad esempio ritenendo non seria la questione pregiudiziale, il giudice d’appello che sia di contrario
avviso non potrà rimettere la causa al primo giudice, in assenza di una previsione in tal senso.

14. I SOGGETTI
14.1 I SOGGETTI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA - I soggetti stipulanti il contratto collettivo sono:
- DAL LATO DEI LAVORATORI → è sempre l'esponente di un gruppo (altrimenti si tratterebbe di un
contratto non collettivo ma individuale). Non deve trattarsi necessariamente di un'associazione sin-
dacale (quindi ok commissioni interne o RSA) essendo sufficiente che tuteli un interesse collettivo,
che vada quindi al di là di quello dei singoli componenti del gruppo.
- DAL LATO IMPRENDITORIALE → il soggetto può essere esponente del gruppo, ma è ammessa an-
che la stipulazione da parte del singolo datore di lavoro in caso di contratto collettivo aziendale.
14.2 LA LIBERTÀ DI SCELTA DELLA CONTROPARTE CONTRATTUALE E I SUOI LIMITI - Il principio di libertà
sindacale comporta non solo la libertà di trattare o no, ma anche la libertà di scelta della controparte con -
trattuale. Non esiste, pertanto, l'obbligo generale da parte dell'associazione imprenditoriale o del singolo
imprenditore a trattare, bensì possono scegliere liberamente di non intavolare la trattativa richiesta oppure
di iniziarla solo con alcuni sindacati escludendone altri. È possibile che la trattativa si concluda senza un ac -
cordo. Ovviamente anche i sindacati dei lavoratori possono rifiutare di trattare, o stipulare determinati ac-
cordi, benché di fatto ciò accada raramente a causa dell'interesse sindacale di vincolare i datori di lavoro. La
libertà di scelta della controparte è esclusa in relazione ai contratti collettivi riservati dalla legge a determi-
nati sindacati, al fine di garantire l'adeguatezza di delicate regolamentazioni comportanti il sacrificio di alcu -
ni interessi dei lavoratori (in questo caso la trattazione deve avvenire con tutti i sindacati, mentre la stipula -
zione può avvenire con alcuni soltanto). Nel settore dell'impiego con le PA vige un principio opposto, in
quanto è la legge a predeterminare i soggetti della contrattazione collettiva.

15. LA FORMA - La disciplina generale dei contratti prevede la libertà di forma in tutti i casi in cui non ne
sia prescritta una particolare dalla legge, e tale principio è stato ribadito dalla Cassazione (1995) anche per
i contratti collettivi di diritto comune. Tuttavia, per esigenza di certezza, l'ordinamento ha previsto l'istituzio -
ne presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) dell'archivio dei contratti collettivi or-
ganizzato in modo tale da consentire la pubblica consultazione e, (ex art. 425 cod. proc. civ.) la possibilità
per il giudice di richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti collettivi (anche aziendali) da appli -
care nelle cause, mentre per i contratti collettivi nazionali del settore pubblico è prevista la pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica. Queste norme riconoscono positivamente l'indispensabilità della
forma scritta per il conseguimento della funzione tipica del contratto collettivo.

16. IL CONTENUTO
16.1 LA PARTE NORMATIVA - La parte normativa è costituita dalle clausole del contratto collettivo che
adempiono alla funzione tipica di disciplina dei rapporti individuali di lavoro. In tale parte, vengono fissati
tutti i dettagli del rapporto di lavoro: i diritti e gli obblighi di ciascun lavoratore e di ciascun datore di lavoro,
dando luogo ad una contrattazione acquisitiva quando incrementano i diritti dei lavoratori e ad una contrat-
tazione ablativa quando peggiorano il precedente trattamento.
Si parla di accordi gestionali quando, specialmente in situazioni di crisi, sono fatti accordi che limitano i po-
teri del datore di lavoro.
16.2 LA PARTE OBBLIGATORIA - Differentemente dalla parte normativa, costituita dalle clausole destinate a
regolare i rapporti individuali riconducibili al contratto, la parte obbligatoria è costituita dal quelle clausole
che disciplinano esclusivamente i rapporti reciproci tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipula-
zione dei contratti medesimi, creando diritti ed obblighi per i soggetti stipulanti, e non per i singoli lavora-
tori.
Gli esempi più noti sono le clausole di articolazione della contrattazione in più livelli, ovvero quelle di rego -
lamentazione del conflitto collettivo (es. patti di tregua), quelle relative ai diritti sindacali di informazione e
consultazione e quelle istitutive di commissioni intersindacali.

17. L'EFFICACIA SOGGETTIVA


17.1 LA LIMITAZIONE DELL'EFFICACIA AI SOLI SOGGETTI CONSENZIENTI E LE SUE CONSEGUENZE - Si parla
di efficacia intendendo a chi si applica il contratto collettivo sul piano dei rapporti individuali e con quale in -
tensità. Il contratto collettivo è un contratto e non è una fonte del diritto, perciò può produrre effetti e vin -
colare solo coloro che abbiano espresso il proprio consenso, quindi solo i soggetti consenzienti. Quindi le
norme del contratto collettivo non si incorporano nel contratto individuale, poiché il contratto collettivo
opera all'esterno, come fonte distinta e concorrente rispetto al contratto individuale, che si adegua alla con -
trattazione collettiva.
Il fatto che il contratto collettivo può vincolare solo chi presti il consenso, comporta che il datore di lavoro è
libero di rifiutare qualsiasi contratto collettivo o di scegliere quello ritenuto più conveniente, con il solo limi -
te di assicurare ai lavoratori una retribuzione proporzionale e sufficiente, prevista dall'art. 36 Cost.
Inoltre, la parte che, entrata in contestazione con la controparte, voglia far valere il contratto collettivo in
giudizio, ha due oneri: l'onere di indicazione di tale contratto e l'onere di prova dello stesso che deve esse-
re allegato negli atti processuali. L'onere della prova richiede anche la prova delle circostanze che rendono
il contratto collettivo vincolante nello specifico rapporto di lavoro oggetto di causa. Nel settore pubblico vi è
solo l'onere di indicazione e non anche l'onere probatorio dell'esistenza del contratto, né quello delle circo -
stanze che lo rendono vincolante nello specifico rapporto di lavoro.
17.2 LE FORME DI MANIFESTAZIONE DEL CONSENSO - La volontà delle parti di aderire al contratto colletti-
vo può essere manifestata in qualsiasi modo, tramite:
1) iscrizione al sindacato stipulante il contratto collettivo, da cui consegue, secondo le clausole statutarie, la
volontà del singolo socio di obbligarsi al rispetto della disciplina dei rapporti di lavoro pattuita dall'associa-
zione a cui aderisce;
2) esternazione di una parte all'altra parte del rapporto individuale di lavoro, della volontà di essere vincola -
ta al contratto collettivo. Ciò può avvenire attraverso consenso verbale o iscritto, di solito con una clausola
della lettera-contratto di assunzione, oppure mediante un comportamento implicito (comportamento con-
cludente) agendo secondo la disciplina collettiva.
17.3 IL CONSENSO DEL DATORE DI LAVORO AL CONTRATTO COLLETTIVO ACQUISITIVO E LA SUA INCENTI-
VAZIONE - Il contratto collettivo acquisitivo, cioè quello che implica migliori condizioni lavorative per i lavo-
ratori, viene logicamente accettato dai lavoratori, dunque il problema è farlo accettare al datore di lavoro.
Se quest'ultimo è iscritto all'associazione stipulante, è vincolato al rispetto di tale contratto nei confronti di
tutti i propri dipendenti e non soltanto di quelli affiliati ai sindacati stipulanti, poiché nel nostro ordinamen -
to non vi sono clausole di riserva per le quali il contratto collettivo dovrebbe valere solo per i lavoratori sin-
dacalizzati.
Il legislatore, tende ad incentivare l'applicazione dei contratti collettivi acquisitivi da parte dei datori di lavo-
ro concedendogli di accedere a determinati vantaggi se accettano. Dunque è rimesso all'imprenditore la
scelta tra ottenere il vantaggio accettando i miglioramenti contenuti nel contratto collettivo oppure rinun -
ciare a tale vantaggio restando libero da vincoli.
I vantaggi del datore di lavoro se si vincola a tale contratto sono:
1. il primo tipo di benefici consiste nella riduzione dell’importo dei contributi previdenziali e in una
sostanziale riduzione del costo del lavoro disposta per agevolare le imprese e l’occupazione. Nelle
aree ad alto tasso di disoccupazione gli sgravi contributivi sono riconosciuti anche agli imprenditori
che stipulino accordi aziendali conformi a contratti provinciali di riallineamento (contratti di emer-
sione/di gradualità/di rientro), impegnandosi ad avvicinare progressivamente il trattamento dei pro-
pri dipendenti a quello previsto nei contratti nazionali;
2. un secondo tipo di vantaggio riservato agli imprenditori consiste nella possibilità di ottenere be-
nefici pubblici o appalti d’opere o servizi pubblici. Tuttavia, per le sole imprese artigiane, commer-
ciali e del turismo il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale ri-
spetto dei contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
3. nell’ambito dei vantaggi che possono favorire i datori, vanno anche segnalate tutte le norme di
legge che autorizzano la contrattazione collettiva a derogare in peius ad alcune tutele legali. Tali
norme costituiscono per il datore di lavoro interessato a tali deroghe un incentivo all’applicazione
dell’intero contratto che le dispone, in modo da poter anche ridurre, nei limiti consentiti, le tutele e
i relativi costi per i lavoratori.
17.4 IL PROBLEMA DELL'EFFICACIA GENERALE DEL CONTRATTO COLLETTIVO ACQUISITIVO - L'art. 39 Cost.
comma 4 stabilisce l'efficacia generale ed obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria dei sindacati
che hanno stipulato i contratti collettivi. Infatti secondo tale articolo "i sindacati registrati possono stipulare
contratti collettivi con efficacia generale obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria alle quali il
contratto si riferisce". L'art. 39 Cost. non è però mai stato finora attuato, in quanto i sindacati non sono re-
gistrati e nonostante l'esistenza dell'articolo nella Costituzione, ne consegue il divieto di recezione legislati-
va generalizzata (vietato estendere a tutti il contenuto dei contratti collettivi recependoli in leggi generaliz -
zate) ed il divieto di rinvio legale in bianco all'autonomia collettiva.
Sono ammissibili, invece, leggi specifiche, come la legge Vigorelli n.741/1959, volte a garantire tutti i livelli
minimi di retribuzione, in quanto tali previsioni possono considerarsi attuative dell’art 36 comma 1 Cost. se-
condo cui “ai lavoratori deve essere garantita una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua fa-
miglia una esistenza libera e dignitosa”. Sono rimasti validi tutti i decreti legislativi emanati ai sensi della leg -
ge Vigorelli, purché relativi a clausole normative, essendo esclusa dalla delega la parte obbligatoria dei con-
tratti collettivi, che pure il Governo aveva ricopiato nei decreti senza effettuare la dovuta cernita. Si è ritenu-
to che anche i datori non vincolati dai contratti collettivi debbano assicurare questa retribuzione sufficiente,
in base al combinato disposto dall’art 36 comma 1 Cost. e dell’art 2099 cod. civ. che si occupa della retribu-
zione. La giurisprudenza si è rimessa alle valutazioni dell’autonomia collettiva per l’individuazione di importi
che presuppongono apprezzamenti macroeconomici globali e di settore sicuramente estranei alla funzione
giurisdizionale. È
Non sono qualificabili come incostituzionali imposizioni per legge del contratto collettivo a datori dissen-
zienti le disposizioni che individuano la retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali in
quella stabilita dai contratti collettivi, perché si limitano a determinare l’entità del contributo utilizzando i
parametri ritenuti più opportuni dal legislatore nell’esercizio della propria discrezionalità.
Al di là delle norme che riguardano la retribuzione, altre disposizioni che vorrebbero estendere per legge
anche ai datori non stipulanti i contratti collettivi le disposizioni di tali contratti, devono ritenersi costituzio -
nalmente illegittime in quanto contrastanti con l’art 39 Cost.
L’idea dell’efficacia generale del contratto collettivo stipulato dai sindacati maggiormente rappresentativi si
scontra con il principio di rappresentanza proporzionale sancito nella Costituzione, che esige una verifica
dell’effettiva consistenza numerica di ciascun sindacato, oltretutto nella categoria alla quale il contratto si ri-
ferisce.
17.5 IL CONSENSO DEL LAVORATORE AL CONTRATTO COLLETTIVO ABLATIVO O GESTIONALE E LA SUA IN-
CENTIVAZIONE - Per i contratti collettivi ablativi, ossia con condizioni peggiori per il lavoratore, è scontato
il consenso del datore ma non quello del lavoratore, che potrà dissentire o non iscrivendosi all'associazione
sindacale o recedendo da essa prima che la stessa sottoscriva il contratto collettivo.
Il consenso del singolo lavoratore manifestato direttamente al datore di lavoro per espresso o per fatti con -
cludenti, se riguarda l’intera linea contrattuale, ovvero tutti i contratti stipulati e stipulandi da determinati
sindacati, impedisce al lavoratore di rifiutare un sopravvenuto contratto sgradito, non essendo ammesso
uno svincolo unilaterale dal patto individuale di sottoporre il rapporto alla disciplina collettiva presente e fu-
tura.
Le forme di incentivazione del lavoratore ad accettare le condizioni peggiorative, sono la prospettiva del-
l'assunzione ottenibile accettando il contratto (prima dell'assunzione) e la prospettiva della conservazione
del posto di lavoro (dopo l'assunzione).
17.6 IL PROBLEMA DELL'EFFICACIA GENERALE DEL CONTRATTO COLLETTIVO ABLATIVO O GESTIONALE - La
dottrina si è posto il problema di come rendere inefficace un eventuale dissenso del lavoratore, facendo in
modo che lo stesso sia egualmente vincolato al contratto. Sono fiorite numerose teorie, dirette ad afferma-
re l’efficacia generale nei confronti dei lavoratori del contratto collettivo ablativo o gestionale a prescindere
dall’art. 39, c. 4, Cost.
Per le teorie che fanno leva su determinate qualità del soggetto stipulante (maggiore rappresentatività,
maggioranza nel complesso sindacale organizzato) vale quanto si è detto per il contratto acquisitivo. Il Go -
verno e le maggiori organizzazioni sindacali erano consapevoli della inesistenza di contratti collettivi azien-
dali con efficacia generale nei confronti dei lavoratori dissenzienti, tant’è che nel protocollo del luglio 1993
le parti auspicavano un intervento legislativo finalizzato ad una generalizzazione dell’efficacia soggettiva dei
contratti collettivi aziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori.
La tesi per cui sarebbe approvato erga omnes dalla maggioranza dei lavoratori partecipanti all'assemblea
il contratto collettivo aziendale sconta una volontà del singolo partecipante di vincolarsi al principio mag-
gioritario. La prospettazione per cui avrebbe efficacia generale il contratto collettivo aziendale stipulato da
un soggetto eletto dai lavoratori richiede o una legge che conferisca a tale soggetto il potere di stipulare per
tutti oppure la prova che tale potere sia attribuito da un atto negoziale in concreto consentito, per iscrizione
o per rinvio, da tutti i dipendenti. L’idea secondo la quale il contratto collettivo costituirebbe una fonte di di-
ritto extra ordinem, cui la legge potrebbe delegare funzioni di produzione normativa con efficacia generale,
si pone in contrasto con l’art. 39, c. 4, Cost, sostituendo al sistema costituzionale fondato sul principio mag-
gioritario con tutela delle minoranze un rinvio legale in bianco agli atti di soggetti diversamente identifica-
ti. Il richiamo della Corte Costituzionale agli interessi generale connessi al mercato del lavoro e alle esigenze
di uniformità di disciplina sottolinea la necessità di una contrattazione collettiva con efficacia generale, ma
non giustifica certo la sostituzione da parte del legislatore ordinario del sistema previsto nella Costituzione
con uno diverso.
L'incentivazione del lavoratore al consenso dei contratti ablativi o gestionali può ridurre ma non eliminare
casi di dissenso da parte del singolo lavoratore. Il legislatore propone 3 soluzioni.
1) LA LEGGE. La legge può vincolare i lavoratori al contratto collettivo, come ha recentemente fatto l'art. 8
comma 1 del d. l. n. 138 del 2011. Tale articolo attribuisce efficacia generale ai contratti aziendali o territo-
riali oppure alle loro rappresentanze aziendali, purché sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario rela-
tivo alla predette rappresentanze. Ciò vuol dire che, indipendentemente dal consenso o dal dissenso del sin-
golo lavoratore, il contratto territoriale ed aziendale si applica a tutti i lavoratori di una determinata azienda
se i soggetti stipulanti rappresentano la maggioranza dei lavoratori nell'azienda medesima.
2) ATTO AMMINISTRATIVO. Attraverso provvedimenti amministrativi sono state previste norme applicabili
automaticamente a tutti i lavoratori (si pensi ai provvedimenti sul controllo a distanza, sulle visite personali
di controllo, sui contratti di formazione e lavoro).
3) ATTO UNILATERALE DEL DATORE DI LAVORO. Il datore può imporre determinati comportamenti con un
atto unilaterale, adottato in conformità ad un previo accordo collettivo. Ciò può essere fatto solo se il pote-
re del datore è originariamente libero da vincoli specifici (es. individuazione dei lavoratori a cui accordare
l'anticipo sul tfr) ma non in altre materie come il licenziamento collettivo dove vi sono ben precisi limiti le-
gali da rispettare. Anche l'accordo interconfederale per l'industria del 28 giugno 2011 non può avere effica-
cia generale per tutti i lavoratori, in via automatica, ma per avere tale efficacia è necessario che il contratto
aziendale sia stipulato dalla RSU a maggioranza assoluta dei suoi componenti oppure che sia approvato dal-
le RSA costituite dai sindacati che rappresentino la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati dell'azienda.
17.7 I LIMITI ALLA DISPONIBILITÀ COLLETTIVA DEI DIRITTI INDIVIDUALI - I contratti collettivi possono modi-
ficare in peggio per il futuro la disciplina collettiva, ma non i contratti individuali, né modificare i diritti or -
mai già acquisiti ed entrati nel patrimonio del lavoratore (principio dell'intangibilità dei diritti maturati),
questi ultimi tutta via possono essere modificati su consenso del lavoratore. Gli accordi sindacali possono
modificare le condizioni future, ma non quelle passate. Nel settore pubblico invece gli accordi sindacali han-
no effetto retroattivo.

18. L'INDEROGABILITÀ (EFFICACIA OGGETTIVA)


18.1 L'INDEROGABILITÀ IN PEIUS - Inderogabilità vuol dire non modificabile. L'art. 2077 cod. civ. prevede
che "i contratti individuali devono uniformarsi alle disposizioni di quello collettivo e le clausole difformi dei
contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, siano sostituite di diritto da quelle del
contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro".
Il contratto individuale non può quindi derogare (derogare a = togliere validità) in peggio al contratto collet-
tivo, così da evitare che il datore di lavoro possa sfruttare la debolezza del singolo lavoratore.
• Cosa succederebbe nel caso in cui il contratto individuale derogasse in peggio al contratto colletti -
vo? La giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che "le clausole individuali peggiorative devono
essere automaticamente sostituite dalle clausole collettive" (art. 2077 cod.civ.). Il legislatore invece
fa riferimento all'art. 2113 cod. civ. che "considera nulla quelle rinunce o quelle transazioni che ab-
biano ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili dei contratti collettivi".
Viene, dunque, confermato che i contratti collettivi non possono essere validamente derogati da atti indivi -
duali. Tuttavia, per capire se i contratti individuali effettivamente modificano in meglio o in peggio il contrat -
to collettivo, il confronto tra disciplina individuale e collettiva va effettuato non per singole clausole ma per
istituti (l'istituto è un complesso di clausole che regolano lo stesso aspetto del rapporto lavorativo), e così si
potrà verificare se lo stesso istituto (retribuzione, permessi, ferie, ecc) sia disciplinato in modo più favorevo -
le per il lavoratore, a livello collettivo o individuale.
18.2 LA DEROGABILITÀ IN MELIUS - La funzione del contratto collettivo di fissare “non standards”, rende
ammissibili deroghe migliorative per il contratto individuale. Le condizioni più favorevoli al lavoratore conte-
nute nel contratto individuale resistono anche al contratto collettivo sopravvenuto, che non può modificare
in peggio in mancanza di un espresso mandato o di una successiva ratifica del singolo lavoratore interessato.
Tale principio ha il suo fondamento nella funzione del contratto collettivo che fissa minimi di trattamento e
non standards.
19. L'EFFICACIA NEL TEMPO - Il contratto collettivo di diritto comune può essere stipulato con un termine
di durata o anche senza tale termine.
Nel primo caso ovvero nei contratti con termine di durata, l'efficacia del contratto cessa automaticamente
con la scadenza del termine pattuito, salvo che le parti non abbiano concordato una ultrattività (c. d. ultrat-
tività negoziale), ossia l'efficacia del contratto anche dopo la scadenza, per il periodo di trattativa in vista
della stipulazione del nuovo contratto (c. d. rinnovo). Attualmente l'accordo quadro del 22 gennaio 2009
prevede una durata triennale sia per il contratto nazionale, sia per quello di secondo livello.
Nel secondo caso invece, ovvero per i contratti senza termine di durata, sono generalmente diretti a discipli-
nare a livello nazionale o aziendale una determinata materia e cessano di avere efficacia solo mediante mu-
tuo consenso o mediante recesso di una delle due parti. Per quanto riguarda il rapporto tra contratti collet -
tivi dello stesso livello stipulati tra le stesse parti, il contratto collettivo successivo può modificare il preden -
te contratto sia in melius che in peius per il futuro, in quanto le clausole del contratto collettivo non si incor-
porano nel contratto individuale, per il passato non può apportare modifiche peggiorative che intacchino i
diritti già acquisiti dei lavoratori.

20. STRUTTURA E LIVELLI DI CONTRATTAZIONE


20.1 LA STRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA - I contratti collettivi possono riguardare vari
ambiti, distinguendosi in:
1) accordi interconfederali, relativi all'intera economia o a grandi settori di essa (industria, commer-
cio, agricoltura);
2) contratti nazionali, ciascuno relativo ad una determinata categoria produttiva o di mestiere;
3) contratti territoriali non nazionali (es. provinciali);
4) contratti aziendali.
Dopo un'evoluzione storica, l'assetto della contrattazione venne meglio delineato nel protocollo del 23 lu-
glio 1993 che prevedeva:
1) Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), della durata di 4 anni per la parte normativa e 2
per la parte economica;
2) contratti collettivi di 2° livello (aziendale o territoriale), di durata quadriennale limitati alle sole
materie stabilite dal contratto nazionale;
3) rinnovo dei contratti attraverso la presentazione della piattaforma rivendicativa (il nuovo sche-
ma di contratto) 3 mesi prima della scadenza.
Tale protocollo è stato sostituito dall'accordo quadro del 22 gennaio 2009, che ha previsto una semplifica-
zione del numero dei contratti collettivi, prevedendo una durata triennale sia per i contratti nazionali (sia
parte economica sia normativa) sia per quelli di 2° livello. Inoltre ha rafforzato la contrattazione di 2° livello,
affidandole la disciplina del salario di produttività e la facoltà di derogare alla contrattazione nazionale in
caso di crisi o per favorire l'occupazione. Entrambe le fonti (protocollo del 1993 e accordo del 2009) non
sono fonti normative, ma contrattuali e prevedono che da un contratto collettivo all'altro possa passarsi
previa stipula di una ipotesi di accordo, sulla cui base stendere il contenuto del nuovo contratto collettivo.
In particolar modo le previsioni più importanti dell'accordo quadro del 2009 sono:
- semplificazione e riduzione del numero dei contratti collettivi nazionali;
- assetto della contrattazione su due livelli, uno nazionale e l'altro territoriale o aziendale;
- durata triennale del contratto nazionale, per la parte economica e per la parte normativa, e del
contratto di secondo livello;
- predeterminazione concordata di tempi e procedure per il rinnovo del contratto con meccanismo
di copertura economica dalla data di scadenza del contratto precedente a favore dei soli lavoratori
in servizio alla data del rinnovo;
- tregua sindacale effettiva durante il negoziato;
- ecc.
Il protocollo d'intesa del 31 maggio 2013 stipulato tra la Confindustria e le Confederazioni CGIL, CISL e UIL
dà applicazione all'accordo 28 giugno 2011 disciplinando essenzialmente la contrattazione collettiva nazio-
nale. Si tratta di regole collettive e non legali, ma per la prima volta viene varato un sistema completo, che
prevede disposizioni precise sulla rappresentanza, sul procedimento negoziale e sulla sottoscrizione a mag -
gioranza del contratto nazionale.
La rappresentanza per ogni singola organizzazione aderente all 3 confederazioni al fine della stipulazione del
contratto collettivo nazionale di categoria viene misurata per ciascuna organizzazione dal CNEL in base alle
deleghe relative ai contributi sindacali trasmessi dall'INPS e ai voti ottenuti in occasione delle elezioni delle
r.s.u. Trasmessi dai comitati Provinciali dei Garanti o da altro analogo organismo. Le suddette organizzazioni
sono ammesse alla contrattazione nazionale se possiedono una rappresentatività non inferiore al 5% consi-
derando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. La piattaforma unitaria è privilegiata,
ma in assenza di essa la parte datoriale favorirà la piattaforma presentata da organizzazioni che rappresen-
tano almeno il 50%+1 del settore. All'esito della negoziazione, i contratti nazionali vengono sottoscritti da
organizzazioni che rappresentano almeno il 50%+1 del settore, previa consultazione certificata dei lavoratori
a maggioranza semplice.
L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e il protocollo del 31 maggio 2013 sono stati attuati con l' ac-
cordo interconfederale del 10 gennaio 2014, suddiviso in:
- misura e certificazione delle rappresentanze ai fini della contrattazione collettiva nazionale di cate-
goria-,
- regolamentazione delle rappresentanze in azienda;
- titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale;
- disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulla conse-
guenza dell'inadempimento.
L'intesa raggiunta viene definita ipotesi di accordo, in quanto destinata all'approvazione da parte delle as-
semblee dei lavoratori o mediante referendum. Dopo questa approvazione le parti stipulanti provvedono
congiuntamente ad inserire nel vecchio testo le modificazioni ed integrazioni pattuite con l'accordo di rinno-
vo.

20.2 I RAPPORTI TRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO - Se ad uno stesso rapporto di lavoro
sono applicabili più contratti di diverso livello (nazionale o aziendale) può porsi il problema del contrasto tra
le rispettive disposizioni (c. d. concorso-conflitto) e quale norma applicare.
Prima di tutto bisogna verificare se il contrasto è superabile in via interpretativa, assegnando a ciascuna di-
sposizione un significato compatibile con le altre, altrimenti si procede in base alla legge:
1) nel settore pubblico deve prevalere la norma del contratto collettivo nazionale;
2) nel settore privato
- solo in specifiche materie (come precisato dalla legge 148/2011) i contratti aziendali possono de-
rogare con efficacia generale ai contratti nazionali;
- al di fuori di queste specifiche materie, applicare il criterio cronologico, facendo prevalere le nor -
me del contratto nazionale o aziendale a seconda di quale sia entrato prima in vigore.
In ogni caso, se non sul piano legislativo, almeno sul piano contrattuale, l' accordo interconfederale per l'in-
dustria del 28 giugno 2011 ha previsto la prevalenza del contratto nazionale, derogabile dai contratti azien-
dali sono nei limiti e con le procedure previste dal contratto nazionale.

21. I RAPPORTI TRA LEGGE ED AUTONOMIA COLLETTIVA


21.1 LA TRADIZIONALE INDEROGABILITÀ IN PEIUS DELLA LEGGE DA PARTE DEL CONTRATTO COLLETTIVO -
In tema di rapporti tra legge e contratto collettivo, la regola fondamentale è che la legge fissa dei minimi di
trattamento, mentre i contratti collettivi possono apportare delle deroghe migliorative, ma non peggiorati -
ve. Le clausole del contratto collettivo che peggiorano la disciplina della legge sono nulle, e se riguardano la
parte normativa del contratto, possono essere rilevate anche d'ufficio dal giudice. La giurisprudenza, co-
munque, tende a considerare nulle solo quelle clausole che siano manifestamente e insanabilmente in con-
trasto con disposizioni di legge, come ad esempio le clausole che accordavano alle donne retribuzioni infe-
riori rispetto agli uomini.
21.2 LA DEROGABILITÀ DELLA LEGGE DA PARTE DEI CONTRATTI COLETTIVI AZIENDALI O TERRITORIALI (2°
livello) - Il lavoratore è stato tradizionalmente difeso con la tecnica della norma inderogabile, ovvero di una
tecnica di massima invasione dell'autonomia privata individuale poiché le clausole difformi dalle norme in -
derogabili sono eliminate e sostituite dal contenuto del precetto violato, con conseguente conservazione
del contratto anche se ne sono travolte clausole essenziali. Questa tecnica inoltre, ha portato ad un'eccessi-
va moltiplicazione di norme inderogabili. Secondo l'autore, sarebbe preferibile la tecnica della norma se-
mimperativa, ossia la norma imperativa (inderogabile) può essere trasformata in semimperativa e quindi
essere derogata da un'altra fonte espressamente indicata (da determinati soggetti, con determinate fonti e
in determinate materie).
In realtà, ciò è proprio quanto previsto dall'art. 8 del d.l. n. 138/2001 convertito nella legge 148/2011, che
consente a contratti collettivi aziendali o territoriali con efficacia generale di derogare la disciplina legale e
quella collettiva nazionale di fondamentali materie con specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazio-
ne, alla qualità dei contratti di lavoro, all'emersione del lavoro irregolare, agli investimenti, ecc. La legge in -
vece può essere derogata solo dalla legge. Tale art. 8 prevede quindi che la deroga può avvenire solo con
determinate fonti (contratti collettivi aziendali e territoriali), determinati soggetti (associazioni di lavoratori
comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale/territoriale), determinate materie (impianti au-
divisivi, lavoro a termine e a tempo parziale, orario di lavoro, lavoro parasubordinato ed autonomo, licenzia-
mento per matrimonio, maternità o congedi parentali, ecc).
21.3 I TETTI LEGALI IMPOSTI ALL'AUTONOMIA COLLETTIVA - I contratti collettivi non possono scendere al
di sotto dei livelli minimi fissati dalla legge, ma neppure possono prevedere voci retributive troppo favore-
voli che superino i tetti massimi fissati dalla legge, finalizzati a contenere l'inflazione e salvaguardare l'anda-
mento dell'economia aziendale (e per questo ritenuti legittimi dalla Corte Costituzionale). Tali tetti massimi
valgono anche nelle PA.
A partire dal 1976 sono state emanate leggi aventi una funzione opposta rispetto a quella tradizionale di tu -
tela minimale del lavoratore, essendo dirette a favorire l'obiettivo macroeconomico di contenimento dell'in-
flazione mediante la limitazione degli automatismi salariali e dell'indennità di contingenza; così il legislatore
ha introdotto dei limiti massimi di trattamento invalicabili dall'autonomia collettiva. Questo periodo è stato
denominato “stagione della legislazione dell'emergenza” e il suo superamento si è ottenuto dopo il consoli-
damento della linea di riduzione di tali automatismi, mediante le discipline legali a termine, e dopo la scom-
parsa dell'indennità di contingenza, grazie al contenimento del debito pubblico e all'attuazione di una politi -
ca dei redditi sulla base di un tasso di inflazione programmato.
I tetti legali di trattamento sono stati ammessi nell'ordinamento, ma limitatamente alle situazioni in cui l'in-
teresse generale richieda questo sacrificio, da contenersi comunque in misura ragionevole, dei lavoratori e
dell'autonomia collettiva e per il tempo in cui tali situazioni perdurino.
21.4 I DIVERSI RINVII DELLA LEGGE ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA - A partire dalla metà degli anni 70
l'esigenza di tutela dell'interesse all'occupazione ha indotto il legislatore ad utilizzare il contratto collettivo,
in varia combinazione con i provvedimenti amministrativi, come strumento per allentare determinate rigidi -
tà normative e per ripartire sacrifici tra lavoratori.
CAPITOLO 3 “Il conflitto collettivo”
GENERALE - Si sono realizzate nel nostro ordinamento le tre ipotesi di:
1) sciopero-delitto, la qualificazione dello sciopero come reato significa illiceità della condotta sia
sul piano dei rapporti con lo Stato, con l'eliminazione della relativa libertà, sia sul piano del rapporto
di lavoro, dove l'astensione volontaria dalla prestazione dovuta equivale ad un inadempimento con-
trattuale con tutte le conseguenze civilistiche e disciplinari;
2) sciopero libertà, la semplice abolizione dell'incriminazione penale ripristina la libertà di sciopero
escludendone la repressione da parte dello Stato, ma lascia intatto l'illecito sul piano contrattuale;
3) sciopero diritto, solo con il riconoscimento dello sciopero come diritto viene eliminato anche il
profilo dell'inadempimento contrattuale.
Sono, di conseguenza, vietati, con sanzione di nullità gli atti discriminatori, tra cui il licenziamento, diretti a
colpire il lavoratore a causa della sua partecipazione ad uno sciopero. Ogni ostacolo o impedimento posto
dal datore di lavoro all'esercizio del diritto di sciopero costituisce condotta antisindacale reprimibile ex art.
28 stat. lav. dal sindacato interessato.
In base al principio di corrispettività, l'attuazione dello sciopero determina la perdita della retribuzione cor-
rispondente al periodo di mancato svolgimento della prestazione lavorativa.
23. 2 MANCATA EMANAZIONE DELLE LEGGI REGOLATRICI DELLO SCIOPERO E LA SUPPLENZA GIURISPRU-
DENZIALE - L'art. 40 prevede che "il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano" ma
tali leggi non sono mai state emanate, a parte la legge sui servizi pubblici essenziali che, però, è solo una
legge di settore. Tale vuoto è stato colmato dalla giurisprudenza (ordinaria e costituzionale) che si è occupa-
ta di elaborare la nozione di sciopero e limiti all'esercizio del relativo diritto.
Per oltre un quarantennio (dal 1948 fino alla emanazione della legge 146/1990 sulla disciplina dello sciope-
ro nei servizi pubblici essenziali) lo Stato non ha emanato alcun provvedimento, di carattere generale, sui li-
miti di esercizio del diritto di sciopero, a causa della forte opposizione dei sindacati, ricreando così la stessa
situazione di inerzia già riscontratasi per il procedimento di registrazione dei sindacati (art. 39 stat. lav.) A
seguito delle sfavorevoli reazioni dell'opinione pubblica nei confronti di alcune forme di sciopero nel campo
dei servizi pubblici essenziali, si è giunti alla legge 146/90, che costituisce il primo provvedimento organico
di regolamentazione del diritto di sciopero nel nostro Paese. Esso si rivolge limitatamente ai soli servizi pub-
blici essenziali (cioè sanità, igiene pubblica, protezione civile, raccolta rifiuti, approvvigionamento di beni di
prima necessità, trasporti, telefoni, poste, istruzione, etc.), e non deve contrastare con il godimento di altri
diritti costituzionalmente tutelati (alla libertà di circolazione, alla vita, alla salute, all'assistenza sociale etc.).
In caso di violazione, vige il diritto da parte del Governo di precettazione, cioè l'ordine obbligatorio ai lavo-
ratori di prestare la propria opera anche se è stato proclamato lo sciopero. La L. 83/2000 ha modificato la
disciplina originaria della L. 146/90. Essa ha tra l'altro rafforzato l'apparato sanzionatorio e affinato la disci-
plina della precettazione. Il campo di applicazione della legge, inizialmente relativo ai soli lavoratori subordi -
nati, è stato esteso alla quasi totalità dei liberi professionisti, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori.

24 NATURA, TITOLARITÀ E DISPONIBILITÀ DEL DIRITTO DI SCIOPERO - Lo sciopero è riconosciuto come di-
ritto dall'art. 40 che in proposito afferma che "Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo
regolano", ovvero è una sospensione bilaterale messa in atto dallo sciopero stesso (si parla di diritto pote-
stativo del lavoratore poiché è una decisione unilaterale) che consente al lavoratore scioperante di rifiutare
legittimamente la prestazione dovuta e al datore di lavoro di non corrispondere la retribuzione per il perio -
do di mancato svolgimento della prestazione lavorativa. Di conseguenza "sono vietati, con sanzione di nulli-
tà, gli atti discriminatori (es. licenziamento) e ostacoli/impedimenti frapposti dal datore di lavoro all'eserci-
zio del diritto di sciopero" (art. 28 stat. lav.).
Allo sciopero è collegato l'art. 3 Cost., poiché tramite esso si può dire che "siano tutelati i fondamentali in-
teressi della persona, poiché contribuisce a rimuovere le disuguaglianze tra i cittadini permettendo lo svilup-
po della persona e la partecipazione sociale dei lavoratori". Il diritto di sciopero è un diritto individuale, nel
senso che a ciascun lavoratore spetta di volta in volta la decisione se esercitare o meno il diritto di sciopero,
ad esercizio collettivo, poiché lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un interesse collettivo, la
cui valutazione spetta al gruppo.
Il diritto di sciopero spetta ai lavoratori subordinati (anche pubblici; mentre sono esclusi i militari e la Polizia
di Stato) e parasubordinati. Per i lavoratori autonomi (professionisti) si parla più che altro di astensione (per
i lavoratori autonomi la Commissione di garanzia promuove l'adozione di codici di autoregolamentazione,
che, se mancano o se valutati idonei, la Commissione di garanzia, sentite le parti interessate, delibera la
provvisoria regolamentazione). Per quanto riguarda la serrata di protesta dei piccoli esercenti senza dipen-
denti, non è possibile parlare propriamente di sciopero, dal momento che manca la sospensione di un rap -
porto di lavoro (la Corte Costituzionale ha escluso l'assimilazione della nozione di sciopero a tale azione).
24.3 LA TREGUA SINDACALE - La tregua sindacale è un periodo di vigenza di un contratto collettivo ad un
certo livello (nazionale o aziendale), durante il quale i sindacati che hanno firmato quel contratto e i lavora -
tori vincolati da tale contratto non possono scioperare (potranno scioperare solo per rivendicazioni ad altri
livelli di contrattazione).
Tuttavia, i contratti collettivi possono prevedere clausole espresse di tregua sindacale che vietano lo sciope-
ro a tutti i livelli. La prima questione attiene all'accertamento dell'effettiva volontà di concordare una simile
tregua sindacale. Solo in caso di risposta affermativa si pone il problema della legittimità di queste clausole
espresse, nonché dei destinatari dell'obbligo e delle sanzioni per sua violazione. Questo temporaneo impe-
dimento negozionale dell'esercizio del diritto di sciopero non può riguardare scioperi per materie diverse da
quelle regolate o per finalità diverse da quelle contrattuali. Lo sciopero è possibile solo se si verifica una si -
tuazione tale da giustificare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467
cod. civ.
Il protocollo del 1993 e l'accordo quadro del 2009 hanno previsto obblighi di tregua sindacale espliciti per il
periodo di negoziazione del rinnovo del contratto nazionale ed impliciti, con riferimento alle materie sot-
tratte alla contrattazione di secondo livello. L'accordo interconfederale per l'industria del 28 giugno 2011
prevede che le clausole di tregua contenuta nei contratti collettivi aziendali maggioritari vincolano solo sin-
dacati e rappresentanze sindacali e non i singoli lavoratori.
Nel settore pubblico è previsto, a pena di nullità con sostituzione automatica, che la contrattazione integra-
tiva può svolgersi solo sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti nazionali. Ne deriva un divieto di scio -
pero in relazione alle materie già definitivamente regolate nel contratto nazionale per tutto il periodo di vi -
genza di questo, salva l'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta.

25 LA DEFINIZIONE DELLO SCIOPERO - Lo sciopero tutelato dalla legge è quello consistente nella totale
astensione del lavoro da parte del lavoratore (totale perché deve riguardare l'intera attività dello scioperan -
te, che non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere), di conseguenza non sono tutelate
altre condotte come:
- lo sciopero delle mansioni (astensione dal compiere solo alcune mansioni) → inadempimento con-
trattuale, autorizza il datore di lavoro a rifiutare la prestazione parziale;
- lo sciopero del cottimo (riduzione del rendimento al minimo) → al di sotto del rendimento minimo
si verifica un illegittimo rallentamento concertato della produzione. Al pari di questo rallentamento,
detto sciopero del rendimento, anche la non collaborazione, l'ostruzionismo e lo sciopero pignolo
(alla rovescia), consistente nell'applicazione pedante di direttive e regolamenti, costituiscono con-
dotte diverse dalla semplice astensione dal lavoro (≠ sciopero), bensì che dovranno essere valutate
nella prospettiva del corretto adempimento della prestazione effettivamente dovuta in base alla
prescritta diligenza e buona fede.
È legittimo lo sciopero dello straordinario, la cui peculiarità attiene solo alla durata e collocazione tempora-
le dell'astensione, nei periodi di attuazione è completo.
Sono inoltre vietate penalmente le seguenti condotte:
- sabotaggio/boicottaggio (art. 508, c. 2, cod. pen.) → Danneggiamento di oggetti/edifici dell'im-
presa;
- occupazione d'azienda (art. 508, c. 1, cod. pen.) → Per la sussistenza del reato occorre il dolo spe-
cifico che consiste nell'ostacolare il regolare svolgimento dell'azienda da parte di chi non ha sciope -
rato. Non si verifica tale reato in caso di sciopero bianco, cioè di breve permanenza degli scioperanti
all'interno dell'azienda che non impedisce la prosecuzione dell'attività produttiva da parte degli altri
lavoratori;
- picchettaggio violento → Impedimento di lavorare ai lavoratori non scioperanti. La tutela della li-
bertà di lavoro di chi non aderisce allo sciopero e la rigorosa condanna di ogni violenza costituiscono
il presupposto per escludere dalla nozione di sciopero anche il picchettaggio violento, il quale inte-
gra il reato di violenza privata o di minaccia nei confronti dei lavoratori non scioperanti, dei quali è
diretto ad impedire l'ingresso in azienda o ad imporre l'abbandono del lavoro. Il reato si verifica an-
che quando l'ostacolo è una barriera umana non superabile se non con la forza, mentre è lecito il
tentativo di convincere civilmente allo sciopero.

È invece consentito il ricorso ai crumiri, ossia a lavoratori con cui il datore di lavoro sostituisce gli scioperanti
per limitare i danni alla propria azienda. La giurisprudenza ammette il crumiraggio interno, purché nel ri-
spetto delle regole del rapporto con il dipendente crumiro, mentre dubita del crumiraggio esterno, vietato
solo se realizzato con lavoro a termine, intermittente o somministrato.
→ Blocco delle merci: reato di violenza privata
L'incriminazione del boicottaggio (art. 507 cod. pen.), quale comportamento diretto ad escludere l'impren-
ditore dai rapporti economici inducendo (anche senza violenza o minaccia che sono solo aggravanti) una o
più persone a non fornirgli lavoro, materie prime e attrezzature o a non acquistarne i prodotti, è costituzio -
nalmente legittima, trattandosi condotta diversa dallo sciopero. È incostituzionale l'art. 507 cod. pen. nella
parte in cui incrimina la propaganda di puro pensiero e di pura azione contro un imprenditore, sulla base
della salvaguardia della libertà di manifestazione del pensiero.
Di contro, il datore di lavoro può reagire lecitamente con provvedimenti disciplinari, dalla non retribuzione
fino al licenziamento, sia presentando azioni civilistiche (come azioni possessorie o azioni d'urgenza) sia in -
vocando l'intervento delle forze dell'ordine.

25.2 LE MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLO SCIOPERO - Originariamente erano considerati illegittimi lo scio-
pero improvviso, senza preavviso, lo sciopero articolato, ossia “a singhiozzo” in cui si succedono a brevi in-
tervalli di tempo ,nell'arco della stessa giornata, periodo di lavoro e periodo di astensione) e lo sciopero a
scacchiera, attuato a turno da diversi reparti.
Queste forme di sciopero erano ritenute illegittime poiché arrecavano un danno eccessivo alla produzione,
ma tale convinzione è stata abbandonata da quando la Corte Costituzionale (1980) ha affermato che lo scio -
pero può essere attuato in qualsiasi forma, purché non rechi danno alle persone e agli impianti, mentre è ir -
rilevante il danno provocato alla produzione.
Resta comunque ferma la facoltà del datore di ritenere inutilizzabili e di non retribuire le prestazioni parziali
rese durante queste forme particolari di sciopero.
26 LE FINALITÀ DELLO SCIOPERO - La finalità tradizionale dello sciopero è economica a fini contrattuali, ov-
vero diretta ad ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro. Il destinatario di questa forma di pres-
sione è il datore di lavoro, che ha la disponibilità della pretesa avanzata dagli scioperanti, così che può, me-
diante un accordo che accolga in tutto o in parte tale pretesa, far cessare il pregiudizio derivante dallo scio-
pero. L'incriminazione di questo tipo di sciopero è stata dichiarata incostituzionale per il palese contrasto
con il diritto riconosciuto dall'art. 40 Cost.. La tesi secondo cui la Costituzione proteggerebbe solo lo sciope -
ro a fini contrattuali è stata superata, ricomprendendo anche lo sciopero economico-politico, per rivendica-
zioni avanzate nei confronti dei pubblici poteri riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che tro -
vano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo III, parte I, Costituzione, intitolata “Rapporti economici”.
Il datore di lavoro è costretto a subire lo sciopero e il relativo danno anche quando nulla può fare per evitar -
lo, poiché la pretesa è nella disponibilità esclusiva dei pubblici poteri.
All'interno della logica dello sciopero economico, rientra lo sciopero di solidarietà: esso ricorre quando l'a-
stensione di un gruppo di lavoratori viene effettuata per sostenere e solidarizzare con le rivendicazioni di al -
tri lavoratori e non per far valere pretese che influiscono sul proprio rapporto di lavoro. La disposizione del-
l'art. 505 cod. pen. che incrimina lo sciopero di solidarietà non è stata dichiarata incostituzionale, in quanto
la Consulta ha rimesso ai giudici ordinari di verificare la specie e il grado del collegamento tra gli interessi
economici di cui si invoca la soddisfazione ed, in relazione ad essi, determinare l'ampiezza da assegnare al
complesso categoriale formato dai titoli degli interessi stessi (→ in contrasto con il principio di autodeter-
minazione dell'interesse collettivo).
Lo sciopero politico, è diretto contro i pubblici poteri per tutelare interessi non solo dei lavoratori ma di tut-
ti i cittadini. La Corte Costituzionale ha inizialmente ritenuto che tale forma di sciopero fosse reato violando
l'art. 503 cod. pen. → "scioperi a fini non contrattuali" perché non riconducibile all'art. 40 Cost. Successiva-
mente, la Corte (1974) ha ritenuto che tale sciopero non costituiva reato in quanto espressione della libertà
di sciopero e in quanto strumento per rimuovere le diseguaglianze di fatto di cui all'art. 3 Cost. La stessa
Corte, però ha ritenuto che lo sciopero politico, pur non rappresentando un illecito penale, costituisce un
inadempimento contrattuale. Ancora oggi, lo sciopero politico può integrare gli estremi del reato ex art. 503
cod. pen., se diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale o impedire il libero esercizio della sovranità
popolare (sciopero sovversivo). Nell'ipotesi opposta di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzio-
nale, il legislatore riconosce a questo tipo di sciopero politico una funzione di particolare rilievo, tanto da
consentire il sacrificio degli utenti dei servizi pubblici essenziali mediante la disapplicazione delle regole sul
preavviso minimo e sulle doverose comunicazioni.

27 I LIMITI ALLO SCIOPERO PER LA TUTELA DI ALTRI INTERESSI DI RILIEVO COSTITUZIONALE - In mancanza
delle previste leggi regolatrici, gli interpreti hanno dovuto individuare la nozione di sciopero distinguendo
questo diritto da altre forme di lotta sindacale e hanno dovuto fissare alcuni limiti esterni per il necessario
contemperamento con altri interessi di rilevanza costituzionale.
La Corte Costituzionale ha affermato l'esistenza di limitazioni coessenziali al diritto di sciopero desumibili
dalla necessità di far accordare le esigenze di autotutela di categoria con le esigenze discendenti da interessi
generali, che trovano protezione nei principi costituzionali. Quindi la Corte, con alcune sentenze ha eviden-
ziato che il diritto di sciopero va esercitato nel rispetto di interessi generali di rilievo costituzionale, come il
diritto alla vita, alla salute, all'incolumità delle persone.
Sulla necessaria tutela dell'integrità fisica e della vita delle persone si fondano sia il divieto assoluto di scio-
pero per i marittimi durante la navigazione, con conseguente legittimità costituzionale in tale situazione
del reato di ammutinamento previsto dall'art. 1105 cod. nav., sia la necessità di limitare l'esercizio del dirit-
to di sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali (ad es. personale ospedaliero), con conseguente le-
gittimità costituzionale dei reati di abbandono individuale o collettivo di pubblici impieghi e servizi (legge
146/1990).
Inoltre, l'esercizio del diritto di sciopero deve avvenire senza recare danno alla produttività (impianti o per-
sone), mentre è irrilevante il danno alla produzione di cui può soffrire il datore di lavoro.

28 DISCIPLINA DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI


28.1 GENERALITÀ - Dopo oltre 40 anni dall'entrata in vigore della Costituzione, è stata approvata la legge
146/1990 (novellata con la legge 83/2000), regolatrice dei servizi pubblici essenziali. Essa detta poche rego-
le dirette (obbligo di preavviso; obbligo di comunicazione scritta della durata, delle modalità di attuazione e
delle motivazioni dello sciopero; divieto di revoca spontanea dello sciopero salvi casi tassativi), rinviando la
disciplina ad un complesso procedimento in cui sono protagonisti i sindacati e la Commissione di garanzia,
anche se sono predeterminati alcuni contenuti necessari (intervalli minimi; procedure di raffreddamento) e
limiti (50% delle prestazioni; un terzo del personale) della regolamentazione.
Per migliorare l'efficacia della legge, rivelatasi fallimentare nel settore dei trasporti, sono state apportate
delle modifiche con la legge 83/2000 che ha ricompreso anche i lavoratori autonomi ed ha rafforzato i po-
teri della Commissione di garanzia, oltre a rielaborare la disciplina delle sanzioni.
28.2 I SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI - Indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro e an-
che se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, sono considerati servizi pubblici essenziali
quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurez -
za, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazio -
ne. Tutti sono costituzionalmente tutelati.
Lo scopo espresso dalla legge è di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti
della persona, disponendo regole e procedure da seguire in caso di sciopero. La legge individua un elenco
non tassativo di servizi pubblici in tutto o in parte essenziali:
- sanità e igiene pubblica;
- raccolta e smaltimento dei rifiuti;
- approvvigionamento di energia e beni di prima necessità;
- amministrazione della giustizia;
- servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali;
- trasporti;
- servizi bancari di erogazione di prestazione previdenziali e retribuzione;
- istruzione;
- poste;
- telecomunicazioni;
- informazione radiotelevisiva pubblica.
28.3 LE PROCEDURE PREVENTIVE DI RAFFREDDAMENTO E DI CONCILIAZIONE - Allo scopo di evitare la pro-
clamazione dello sciopero, la legge obbliga ad inserire nel contenuto dei contratti collettivi procedure di raf-
freddamento e di conciliazione da esperire prima della proclamazione. L'omessa previsione di tali procedu-
re determina l'inidoneità dell'accordo e la conseguente regolamentazione provvisoria da parte della Com-
missione di garanzia.
Le organizzazioni dei lavoratori e le amministrazioni o imprese erogatrici del servizio sono obbligate ad
esperire le procedure preventive contemplate negli accordi o nella regolamentazione provvisoria della Com -
missione.
28.4 LA PROCLAMAZIONE DELLO SCIOPERO: TITOLARITÀ DEL DIRITTO, OBBLIGO DI PREAVVISO E COMUNI-
CAZIONI - Per la proclamazione dello sciopero, la legge prevede un preavviso minimo non inferiore ai 10
giorni, tramite una comunicazione scritta che riporti durata, modalità di attuazione e motivi dello sciopero,
da dare sia alle amministrazioni/imprese erogatrici del servizio, sia all'autorità competente per l'eventuale
precettazione, la quale cura l'immediata trasmissione della comunicazione alla Commissione di garanzia.
Questi obblighi gravano sulle organizzazioni dei lavoratori che proclamano lo sciopero o vi aderiscono suc-
cessivamente, ma vincolano anche i singoli lavoratori che non possono legittimamente scioperare se non
sono stati effettuati tali adempimenti ed in difformità dalla proclamazione.
Tali regole servono per predisporre le misure a garantire le prestazioni indispensabili, per permettere agli
utenti di organizzarsi, per consentire alla Commissione di garanzia di rimandare lo sciopero in caso di procla -
mazione viziata. Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi, concordano nei contratti collettivi le
prestazioni indispensabili che sono tenute ad assicurare, le modalità e le procedure di erogazione. Sarà co -
munque la Commissione di garanzia a dover valutare l'idoneità delle prestazioni individuate negli accordi.
Una volta individuato il periodo di sciopero, le amministrazioni o le imprese erogatrici dei servizi sono tenu-
te a dare comunicazione agli utenti, nelle forme adeguate e almeno 5 giorni prima dell'inizio dello sciopero,
dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi nel corso di tale sciopero e le misure per la riattivazione degli
stessi (che deve essere garantita); infine deve essere reso noto quando l'astensione del lavoro sia terminata.
Vi sono poi delle eccezioni: le disposizioni inerenti il preavviso minimo e l'indicazione della durata non si ap-
plicano nei casi di sciopero politico in difesa dell'ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi
dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori. Per quanto riguarda lo sciopero generale, proprio per la sua
estensione a tutte le categorie, non gode di alcun privilegio legale ed è sottoposto alla disciplina di ciascun
settore nel quale viene attuato. Tuttavia la Commissione di garanzia ha ritenuto che esso può essere esenta -
to dall'espletamento della procedura preventiva.
28.5 IL DIRITTO DI REVOCA SPONTANEA INGIUSTIFICATA DELLO SCIOPERO - La legge definisce forma sleale
di azione sindacale la revoca spontanea ingiustificata dello sciopero anche legittimo proclamato e di cui sia
già stata data informazione all'utenza, punendo tale revoca con le stesse sanzioni dello sciopero illegittimo.
In tal modo si vuole evitare il cosiddetto effetto annuncio, mediante il quale i sindacati conseguono lo sco-
po disorganizzativo dello sciopero senza neppure attuarlo e, quindi, senza neppure la remora per i lavorato-
ri della perdita della retribuzione. La revoca è accettata solo se si è giunti ad un accordo (provvisorio o defi -
nitivo) che risolve il conflitto tra le parti, oppure se vi sia richiesta di differimento da parte della Commissio-
ne di garanzia.
28.6 IL PROCEDIMENTO DI FISSAZIONE DELLE REGOLE: AUTONOMIA COLLETTIVA E COMMISSIONE DI GA-
RANZIA - La Commissione di garanzia ha il compito di valutare l'idoneità delle prestazioni individuate negli
accordi in modo tale che i diritti della persona siano rispettati, inoltre può deliberare una regolamentazione
provvisoria in mancanza di accordo idoneo. Per quanto riguarda il contenuto degli accordi collettivi, essi de -
vono contenere le prestazioni indispensabili, le altre misure di bilanciamento con gli altri interessi coinvolti,
le procedure preventive di raffreddamento e conciliazione, e gli intervalli minimi tra l'effettuazione di uno
sciopero e la proclamazione del successivo (per evitare che la continuità del servizio sia oggettivamente
compromessa da una serie di scioperi proclamati da diversi sindacati e incidenti sullo stesso servizio o baci -
no di utenza – rarefrazione oggettiva, con regola estesa agli scioperi proclamati dal medesimo sindacato –
rarefrazione soggettiva).
Per il settore dei trasporti è previsto che i servizi garantiti secondo gli accordi siano pubblicizzati unitamente
agli orari dei servizi ordinari e che nei collegamenti con le isole sia assicurata la circolazione delle persone e
il rifornimento delle merci necessarie per l'approvvigionamento delle popolazioni e per la continuità degli
altri servizi pubblici essenziali relativamente alle prestazioni indispensabili.
A tutela dell'esercizio del diritto di sciopero è previsto che le prestazioni indispensabili, salvo casi particolari
ed erogazioni per fasce orarie, siano contenute in misura non eccedente mediamente il 50% delle prestazioni
normalmente erogate e riguardino quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente
ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio, dovendosi tenere con -
to delle condizioni tecniche e della sicurezza, nonché dell'utilizzabilità di servizi alternativi o forniti da impre-
se concorrenti.
Gli accordi stipulati devono essere comunicati, a cura delle parti, alla Commissione di garanzia, che ne deve
valutare l'idoneità ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento
dei diritti della persone costituzionalmente tutelati. La valutazione svolta dalla Commissione di garanzia può
essere:
- positiva: allora le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi, hanno il potere-dovere di im -
porre ai loro dipendenti le regole contenute nell'accordo per l'esercizio del diritto di sciopero;
- negativa: allora la Commissione di garanzia sottopone alle parti una propria proposta, sulla quale
le parti devono pronunciarsi entro 15 giorni senza l'obbligo di accettarla. La legge 83/2000 ha previ -
sto che se la proposta viene rifiutata, la Commissione detta una regolamentazione provvisoria, che
avrà efficacia fino a quando le parti non avranno raggiunto un accordo valutato idoneo.
In ogni caso, sia le regole dell'accordo sia quelle dell'eventuale regolamentazione provvisorie, devono esse -
re pubblicate con idonee affissioni dalle imprese e dalle amministrazioni coinvolte, e per qualsiasi modifica
deve essere rispettata la medesima procedura prevista per la loro adozione. La Commissione di garanzia
può richiedere la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale di comunicati contenenti gli accordi e i codici di auto -
regolamentazione nazionali valutati idonei e le eventuali delibere di provvisoria regolamentazione.
28.7 LA COMMISSIONE DI GARANZIA: STRUTTURA E ATTRIBUZIONI RELATIVE AL SINGOLO CONFLITTO - La
Commissione è composta da 9 membri, scelti, su designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni
industriali, e nominati con decreto del Presidente della Repubblica. La Commissione, che elegge nel suo
seno un Presidente, è nominata per 3 anni e i suoi membri possono essere confermati una sola volta. Tra le
sue funzioni, oltre le suddette, rientrano quelle relative i singoli conflitti:
- ha poteri di differimento per mediazione → nel caso di conflitti di particolare rilievo nazionale può
invitare, con apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la data dell'a -
stensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire l'ulteriore tentativo di mediazione;
- ha poteri di differimento per illegittimità → se vi sono delle violazioni nella proclamazione dell'a-
stensione, può invitare le parti a differire l'astensione onde consentire una nuova legittima procla-
mazione;
- ha poteri di differimento per concomitanza → può invitare le parti a differire un'astensione legitti-
ma, per evitare la concomitanza con altre astensioni collettive in servizi pubblici alternativi procla-
mate in precedenza da altri sindacati relativamente al medesimo bacino di utenza;
- ha poteri di segnalare situazioni di pericolo o di avanzare una proposta di precettazione, di cui
l'autorità amministrativa competente deve tener conto;
- ha il potere di irrogare sanzioni civili e amministrative ai trasgressori e di controllare l'avvenuta
applicazione di tali sanzioni. La Commissione di propria iniziativa oppure su richiesta delle associa-
zioni degli utenti o di autorità interessate deve valutare il comportamento dei protagonisti del con-
flitto e, a seguito di un contraddittorio, se la valutazione è negativa, deve deliberare tutte le sanzio-
ni civili e amministrative previste dalla legge.
28.8 LA DISCIPLINA PER IL LAVORO AUTONOMO - L'astensione collettiva dalla prestazioni, ai fini di prote-
sta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che
incida sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali, deve essere esercitata nel rispetto di misure dirette a
consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili. A tale fine la Commissione di garanzia promuove
l'adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di co-
dici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva il contemperamento con i diritti
della persona costituzionalmente.
Se tali codici mancano o non sono valutati idonei, la Commissione di garanzia, sentite le parti interessate,
delibera la provvisoria regolamentazione.
I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a 10
giorni, l'indicazione della durata e delle motivazioni dell'astensione collettiva, ed assicurare un livello di pre-
stazioni compatibile con il rispetto dei diritti costituzionali della persona. In caso di violazione dei codici di
autoregolamentazione, la Commissione di garanzia valuta i comportamenti e adotta le sanzioni opportune.
28.9 PRECETTAZIONE (= ORDINANZA) - La precettazione, prevista dalla legge 146/1990, è un'ordinanza
contenente le misure necessarie (es. obbligo ai lavoratori di prestare la propria opera anche se è stato pro -
clamato lo sciopero) a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati (libertà di circolazione,
vita, salute, assistenza sociale, etc.), che sussiste quando si rileva il pericolo che tali diritti possano essere
violati a causa dell'interruzione o dell'alterazione del funzionamento dei servizi pubblici essenziali e da cui
può originarsi uno sciopero di lavoratori dipendenti (oppure astensione collettiva di lavoratori autonomi,
professionisti o piccoli imprenditori). La precettazione ha un articolato procedimento.
1) L'iniziativa per la precettazione spetta alla Commissione di garanzia che segnala all'autorità competente
(dal Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato per conflitti di rilevanza nazionale/in -
terregionale oppure dal Prefetto per i conflitti di ambito più ristretto) la situazione di pericolo.
2) Gli organi competenti ad emanare l'ordinanza di precettazione, invitano le parti a desistere dai compor-
tamenti che determinano la situazione di pericolo esortando ad un tentativo di conciliazione. Se la situazio -
ne non si risolve, emanano l'ordinanza di precettazione comunicandola alle organizzazioni proclamanti l'a-
stensione, ai singoli partecipanti, alle imprese erogatrici del servizio (questa deve affiggerla nei luoghi di la-
voro). Inoltre la pubblicizzano negli organi di stampa, mediante il servizio pubblico radio televisivo e la co -
municano alle Camere.
3) L'ordinanza deve essere motivata ed emanata almeno 48 ore prima dell'inizio dell'astensione. Per quanto
riguarda il contenuto dell'ordinanza di precettazione, essa deve imporre misure idonee ad assicurare il ri -
spetto dei diritti della persona, tenendo conto della proposta eventualmente formulata dalla Commissione.
Inoltre può disporre il differimento dell'astensione collettiva ad altra data o ridurne la durata.
4) I destinatari dell'ordinanza di precettazione possono impugnarla innanzi al Tribunale amministrativo re-
gionale entro 7 giorni dalla comunicazione/affissione, ma il ricorso non sospende l'esecutività dell'ordinanza
medesima a meno che ciò non sia stabilito dal TAR (le pronunce del TAR sono a loro volta impugnabili innan -
zi al Consiglio di Stato).
28.10 LE SANZIONI - Le sanzioni previste dalla legge riguardano sia i lavoratori dipendenti e le loro organiz-
zazioni, sia i lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori e le loro associazioni o organismi rap-
presentativi, sia i dirigenti delle amministrazioni e i legali rappresentanti delle imprese erogatrici dei servizi
essenziali. Le sanzioni hanno sia funzione afflittiva, tendendo a punire i responsabili, sia funzione deterren-
te, tendendo a scoraggiare gli illeciti.
A seconda dei soggetti coinvolti, sono previste differenti sanzioni:
- per i lavoratori subordinati → sanzioni disciplinari (con esclusione del licenziamento);
- per i loro sindacati → sanzioni civili (come perdita di permessi sindacali retribuiti, di contributi sin -
dacali, ecc) o amministrative pecuniarie;
- per i dirigenti e legali rappresentanti, per lavoratori autonomi, per professionisti e piccoli im-
prenditori e loro associazioni ed organismi rappresentativi → sanzioni amministrative pecuniarie
(da 5 a 50 milioni di lire: la legge è espressa in lire).
Per l'inosservanza dell'ordine di precettazione sono previste sanzioni amministrative pecuniarie per i lavo-
ratori, subordinati e autonomi, e le rispettive organizzazioni, mentre per i preposti ad amministrazioni e
aziende è stabilita la sanzione amministrativa della sospensione dell'incarico.
L'importo massimo delle sanzioni civili e amministrative è raddoppiato in caso di violazione delle delibere
della Commissione di garanzia di invito alle organizzazioni proclamanti al differimento dell'astensione oppu -
re di invito ai datori di lavoro al rispetto delle regole. Poiché le sanzioni mirano a proteggere gli interessi de-
gli utenti e non quello del datore, il ricavato delle sanzioni viene devoluto non al datore ma all'INPS.
L'irrogazione delle sanzioni spetta alla Commissione di garanzia (ad eccezione delle sanzioni emesse per l'i-
nosservanza della precettazione, irrogate dall'autorità precettante), previo contraddittorio con i soggetti in-
teressati.
- Le sanzioni amministrative deliberate dalla Commissione sono applicate con ordinanza-ingiunzio-
ne della direzione provinciale del lavoro.
- Le sanzioni civili nei confronti dei sindacati sono applicate dai datori di lavoro, al pari delle sanzio-
ni disciplinari nei confronti dei lavoratori “prescritte” dalla Commissione.
Per assicurare l'effettiva applicazione di queste sanzioni, con la novella del 2000, ora sono riconosciuti alla
Commissione di garanzia diritti di informazione nei confronti dei datori di lavoro e dell'INPS circa l'avvenuta
esecuzione della delibera nel termine prefissata. Inoltre ha il potere di stabilire, a carico dei datori di lavoro
inadempienti all'obbligo di tempestiva applicazione delle sanzioni civili e disciplinari, una sanzione ammini-
strativa pecuniaria (che moltiplica il proprio importo per ogni giorno di ritardo ingiustificato).
1) I lavoratori subordinati sono sanzionati se partecipano ad uno sciopero qualificabile come illegit-
timo per la violazione delle regole prescritte. Sono previste solo sanzioni disciplinari irrogate dal da-
tore di lavoro anche su prescrizione della Commissione di garanzia. Sono consentite solo sanzioni
conservative, con esclusione di sanzioni estintive o che comportino mutamenti definitivi del rappor-
to. Per l'inosservanza dell'ordine di precettazione i lavoratori sono sottoposti, con provvedimento
della stessa autorità precettante, a sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di mancata
ottemperanza (sanzione poco efficace per la lentezza del procedimento applicativo).
2) I sindacati sono sanzionati se proclamano o aderiscono ad uno sciopero qualificabile come illegit-
timo oppure se revocano ingiustamente uno sciopero già proclamato e comunicato agli utenti. Sono
previste sanzioni civili, consistenti nella perdita dei permessi sindacali retribuiti e/o dei contributi
sindacali trattenuti sulla retribuzione per la durata dello sciopero illegittimo e nella esclusione dalle
trattative per un periodo di 2 mesi dalla cessazione del comportamento illegittimo. L'importo dei
contributi è devoluto all'INPS.
Con la L. 83/2000 è prevista la possibilità di applicazione disgiunta della sospensione dei permessi e
dei contributi, essendo contemplata la sanzione cumulativa solo come eventuale, e l'importo mini -
mo della sanzione è sostituito dalla predeterminazione in cifra fissa, con vantaggio per i grandi sin-
dacati. Per colpire le organizzazioni minori che sfuggivano ad ogni sanzione, è ora previsto che per i
sindacati che non godono di permessi retribuiti e di contributi mediante trattenuta e non partecipa -
no a trattative (con conseguente impossibile applicazione delle sanzioni civili in esame), queste ven -
gono sostituite da una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 a 50 milioni di lire a carico dei legali
rappresentanti di tali sindacati. Per l'inosservanza dell'ordine di precettazione i sindacati sono sotto-
posti, con provvedimento della stessa autorità precettante, alla sanzione amministrativa pecuniaria
per ogni giorno di mancata ottemperanza, con devoluzione dell'importo all'INPS.
3) Per quanto riguarda i datori di lavoro, i soggetti puniti sono per le PA i dirigenti responsabili e per
le imprese private e gli enti economici i legali rappresentanti. È prevista una sanzione amministrati-
va per l'omesso espletamento delle procedure preventive di raffreddamento e conciliazione, per l'o-
messa informazione agli utenti, per l'omessa assicurazione delle prestazioni indispensabili e delle al-
tre misure di contemperamento e per la violazione di ogni altro obbligo derivante dalla disciplina di
settore applicabile. Una diversa sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di ritardo per
l'omessa applicazione delle sanzioni deliberate/prescritte dalla Commissione di garanzia per i lavo -
ratori e i sindacati e per l'omessa informazione entro 30 giorni dalla richiesta della Commissione
stessa circa gli scioperi e le relative motivazioni. Per l'inosservanza dell'ordine di precettazione è pre-
vista la sanzione amministrativa della sospensione dall'incarica da 30 giorni ad 1 anno irrogata dalla
stessa autorità precettante a carico dei preposti al settore.
4) Per i lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori la sanzione è la stessa sia per i
singoli partecipanti all'astensione illegittima sia per le rispettive associazioni o organismi rappresen-
tativi che la abbiano promossa. Si tratta di una sanzione amministrativa pecuniaria al cui pagamento
sono obbligati in solido i singoli e le loro organizzazioni, con importo eccessivo con riferimento ai
singoli. Per l'inosservanza della precettazione il regime sanzionatorio è eguale a quello dei lavoratori
dipendenti e loro sindacati.
Contro le deliberazioni della Commissione di garanzia in materia di sanzioni è ammesso ricorso al giudice
del lavoro, con competenza territoriale del Tribunale di Roma ex. Art. 25 cod. proc. Civ.
Le sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori dipendenti sono impugnabili di fronte al giudice del lavoro
nei confronti del datore di lavoro pubblico o privato che le abbia adottate, mentre per i soli rapporti non pri-
vatizzati resiste la giurisdizione del giudice amministrativo. Per l'impugnazione delle sanzioni civili applicate
dal datore di lavoro nei confronti dei sindacati la competenza è del giudice del lavoro. Per l'impugnazione di
tutte le sanzioni amministrative è competente il giudice civile ordinario; per l'impugnazione delle sanzioni
amministrative per l'inosservanza della precettazione è competenze il giudice civile ordinario.
28.11 IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI UTENTI - Le associazioni di consumatori ed utenti, rappresen-
tative sul piano nazionale ed operanti nel territorio interessato dallo sciopero, devono esprimere un parere,
obbligatorio ma non vincolante, alla Commissione di Garanzia per la valutazione di idoneità degli accordi
collettivi e dei codici di autoregolamentazione, ma non possono partecipare al procedimento.
Tali associazioni hanno anche la legittimazione ad agire in giudizio in casi tassativi:
a) in caso di revoca ingiustificata dello sciopero da parte delle organizzazioni sindacali o di trasgres -
sione delle delibere della Commissione di garanzia di invito a differire lo sciopero;
b) in caso di omessa comunicazione agli utenti delle modalità e dei tempi dello sciopero da parte
delle amministrazioni o imprese erogatrici dei servizi.
Le azioni esperibili sono l'azioni inibitoria per la cessazione della condotta lesiva, l'azione cautelare per eli-
minare gli effetti dannosi delle violazioni e l'azione risarcitoria in forma specifica, anche solo per ottenere
la pubblicazione su quotidiani della sentenza di accertamento della violazione.
28.12 I CODICI DI AUTOREGOLAMENTAZIONE - I codici di autoregolamentazione sono dei codici di compor-
tamento con cui i sindacati stabiliscono da soli, unilateralmente, le regole per l'esercizio del diritto di sciope-
ro. Essi erano stati concessi ai sindacati confederali dei lavoratori già prima dell'emanazione della legge
146/1990, ma si trattava di una soluzione blanda, poiché la violazione prevedeva sanzioni per i lavoratori
appartenenti al sindacato, ma non per il sindacato stesso. Con la legge 146/1990 viene introdotto il concet-
to di prestazioni indispensabili e i codici vengono resi eventuali ma con la legge 83/2000 sono invece sop-
pressi e sostituiti dal sistema degli accordi e dalla regolamentazione provvisoria; essi, attualmente, conser-
vano rilevanza solo per la disciplina delle astensioni collettive dei lavoratori autonomi.

29 SERRATA - La serrata consiste nella temporanea chiusura dell'azienda da parte del datore di lavoro con il
rifiuto di ricevere e retribuire le prestazioni offerte dai lavoratori, come risposta alle loro rivendicazioni.
Tuttavia, poiché la Costituzione non la prevede, non esiste un diritto di serrata, ed il datore che vi ricorre è
obbligato a retribuire le prestazioni rifiutate senza un legittimo motivo. Ciò comporta che a poco vale sul
piano pratico il riconoscimento del diritto di serrata ai fini contrattuali.
Per quanto riguarda la serrata di protesta per fini non contrattuali rappresenta un illecito penale, in quanto
non sottoposta alla tutela dell'art. 39 Cost. né alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro.
In ogni caso, non è da considerarsi serrata e non costituisce illecito civile, né il rifiuto da parte del datore
delle prestazioni rese inutilizzabili dallo sciopero, né la chiusura dell'azienda per evitare danni alle persone e
agli impianti, che possono derivare da uno sciopero illegittimo.
CAPITOLO 4 “La repressione della condotta antisindacale”
GENERALE - Le condotte antisindacali del datore di lavoro sono i "comportamenti del datore diretti ad im-
pedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale nonché del diritto di sciopero" (art. 28 stat.
Lav.) → Ciò significa che il datore di lavoro ha diritto a perseguire i propri fini anche se questo contrasta con
l'interesse sindacale, ma non ad attaccare od ostacolare il libero svolgimento della dialettica sindacale. L' in-
teresse sindacale è tutelato nella facoltà di agire liberamente; quindi il datore di lavoro può opporsi leal-
mente al sindacato nel conflitto, ma non può opporsi al conflitto.
L'art. 28 stat. lav. prevede la repressione della condotta antisindacale, garantendo l'effettiva tutela giurisdi -
zionale della libertà e attività sindacale e del diritto di sciopero nei confronti del datore di lavoro (riguarda
tutti i datori di lavoro senza limiti dimensionali o qualitativi).
La condotta antisindacale riguarda non solo la violazione dei diritti sindacali tipici previsti di fonte legale o
negoziale, ma anche qualsiasi altro comportamento del datore di lavoro lesivo dell'interesse sindacale inte -
so come facoltà di agire liberamente (condotta antisindacale atipica).
L'art. 28 stat. lav. protegge l'interesse del sindacato e non quello del singolo lavoratore; si parla di condotta
plurioffensiva se lede sia gli interessi del sindacato che quello dei singoli lavoratori (es. trasferimento anti-
sindacale).
31.2 L'ELEMENTO SOGGETTIVO - Si ritiene che violi gli interessi del sindacato solo se vi è l'elemento oggetti-
vo, non basta l'intenzione, perciò il sindacato leso non è tenuto a provare il dolo o la colpa del datore; si ri -
tiene che violi gli interessi dei lavoratori se vi sono condotte contrastanti coi diritti del singolo lavoratore,
che acquistano valenza antisindacale solo se viene provata l'intenzione concreta di ledere il lavoratore.

32 PROCEDIMENTO DI REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE - Il ricorso contro la condotta an-


tisindacale può essere proposta solo dai sindacati nazionali attraverso i propri organismi locali, ossia quegli
organismi vicini al territorio in cui si è verificata la condotta lesiva.
Il favore per i sindacati nazionali si spiega con l'esigenza di affidare uno strumento di tutela così forte solo a
soggetti che per la loro dimensione ne garantiscano un uso responsabile. Qualsiasi sindacato, però, ha la fa-
coltà di proporre un'azione ordinaria a difesa dei propri diritti dinanzi al giudice del lavoro; anche se solo il
procedimento ex. art. 28 stat. lav. garantisce l'effettività della tutela giurisdizionale del sindacato contro
condotte infungibili del datore di lavoro.
Quando si parla di organismi locali si fa riferimento alla struttura sindacale più periferica, sempre a livello
territoriale, con esclusione delle rappresentanze sindacali aziendali. Questi soggetti per la loro dislocazione
possono conoscere adeguatamente la condotta del datore di lavoro e reagire prontamente, conservando un
sufficiente distacco per valutare i fatti non essendo interni all'azienda.
L'autore della condotta antisindacale è il datore di lavoro; la normativa riguarda tutti i datori di lavoro, sen-
za distinzioni. Le associazioni di datori di lavoro sono carenti di legittimazione passiva, ma possono essere
convenute in giudizio, al pari di altri soggetti, a titolo di concorso con il datore di lavoro
32.3 IL PROCEDIMENTO - Il procedimento di repressione della condotta antisindacale è così strutturato:
1) FASE SOMMARIA. Inizia con una fase sommaria innanzi al giudice del lavoro di primo grado del luogo ove
è posto in essere il comportamento denunziato, ed entro i 2 giorni successivi il giudice provvede a convoca-
re le parti ed assumere, in questa prima fase, informazioni sommarie e non approfondite. Tali tempistiche
sono così brevi per assicurare una tutela immediata dell'interesse sindacale.
2) ORDINE DI REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE. La decisione della fase sommaria avviene
con decreto motivato ed immediatamente esecutivo così che se la domanda del sindacato trova accogli-
mento il datore di lavoro è obbligato a conformarsi subito all'ordine del giudice. In questo modo il giudice,
ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

33 L'ORDINE GIUDIZIALE E LA SANZIONE PER L'INOTTEMPERANZA - La condotta antisindacale può consi-


stere in una omissione dell'attuazione di alcuni comportamenti spettanti al sindacato o in un comportamen-
to attivo antisindacale, perciò quando il giudice riscontra la violazione, vengono attuate:
- tutela inibitoria, poiché viene ordinato al datore di lavoro "la cessazione del comportamento ille-
gittimo". Se la condotta è omissiva, il Tribunale ordina di porre in essere la condotta omessa (es.
concedere i permessi sindacali), mentre se la condotta è attiva, il Tribunale ordina di non perseguir-
la (es. non continuare ad ostacolare lo sciopero).
- tutela ripristinatoria, poiché viene ordinato al datore di lavoro "la rimozione degli effetti del com-
portamento illegittimo" ed il ripristino della situazione esistente prima dell'illecito.
3) CONCLUSIONE DEL GIUDIZIO, a meno che non sia fatta opposizione. La parte soccombente (sindacato o
datore di lavoro) può proporre opposizione contro il decreto entro 15 giorni dalla comunicazione di cancel-
leria. La competenza per l'opposizione è del giudice della fase sommaria, che non può essere la stessa per -
sona fisica che ha emanato il decreto. Quindi il ricorso al decreto è ammesso entro 15 giorni dalla comuni-
cazione di questo alle parti e stavolta il giudice deciderà il giudizio con sentenza immediata esecutiva. In
mancanza di opposizione tempestiva o in caso di estinzione del giudizio di opposizione il decreto passa in
giudicato a danno del soccombente
33.2 SANZIONE PENALE PER L'INOTTEMPERANZA ALL'ORDINE DEL GIUDICE - Quando il datore di lavoro
non rispetta l'ordine emanato dal Tribunale, nei suoi confronti può essere attuata un'esecuzione coattiva a
livello civilistico o, quando si tratta di obblighi infungibili che non possono essere imposti, si ricorre alla tec-
nica penale ingiunzionale, ovvero ad una sanzione penale. Essa consiste nell'incriminare il datore per viola -
zione dell'art. 650 cod. pen. rubricato "Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità". In base a tale articolo,
chiunque non osserva un provvedimento dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o
d'ordine pubblico o d'igiene, è punito con l'arresto fino a 3 mesi o con l'ammenda fino a 206 euro. Questa
sanzione è molto negativa per il datore non tanto per l'ammenda di lieve entità ma perché comporta la sot-
toposizione al procedimento penale e la responsabilità penale del legale rappresentante della società dato-
riale. Tale responsabilità penale sussiste anche se in sede civile si accerta l'inesistenza della condotta antisin-
dacale, poiché comunque il datore ha violato un ordine dell'Autorità.
CAPITOLO 5 “Lavoro subordinato e altri tipi di lavoro”
35 IL LAVORO SUBORDINATO - L'art. 2094 cod. civ. definisce lavoratore subordinato "chi si obbliga median-
te retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipenden -
ze e sotto la direzione dell'imprenditore". Inoltre, l'art. 2104 comma 2 stabilisce che il lavoratore subordina-
to deve "osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e
dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende".
Dall'art. 2222 cod. civ. Invece si ricava la diversa nozione di lavoro autonomo: il lavoratore autonomo è co-
lui che opera senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, e quindi organizza liberamente
la propria attività.
La persona del lavoratore resta implicata nel rapporto, con tutti i pericoli che conseguono all'ingresso nella
sfera di dominio del datore di lavoro (soprattutto in una situazione di diffusa disoccupazione, in cui il lavora -
tore pur di ottenere e conservare il posto è indotto ad accettare condizioni contrattuali svantaggiose ed a
subire senza proteste ingiuste prevaricazioni).
L'ordinamento riconosce la supremazia gerarchica dell'imprenditore, il quale, rischiando in proprio fino al
fallimento, deve poter disporre di lavoratori subordinati mediante un contratto “di organizzazione”. È tute-
lata anche la posizione di questi ultimi, con un diritto di lavoro finalizzato a rimuovere le diseguaglianze so-
stanziali e ad evitare che l'iniziativa economica privata si svolga in contrasto con l'utilità sociale o pregiudichi
la sicurezza, la libertà e la dignità umana.
Dalla definizione del codice, si comprende quindi come il lavoratore subordinato occupi una posizione mol -
to debole trovandosi in una posizione di assoggettamento al datore di lavoro e perché tutte le principali tu -
tele in difesa del lavoratore sono state predisposte per il lavoro subordinato. Per questo motivo, tutte le
principali tutele in difesa del lavoratore sono state predisposte per il lavoro subordinato, quindi qualificare
un rapporto di lavoro come subordinato significa dare al lavoratore un chiave esclusiva di accesso a tutele
fondamentali sia nei confronti del datore di lavoro sia a livello previdenziale.
Ciò fa capire quanto sia importante comprendere se un dato rapporto di lavoro sia di tipo subordinato o
meno. Il metodo per capire la natura del rapporto lavorativo è quello del sillogismo giuridico, ossia verifica-
re se la fattispecie concreta corrisponde alla fattispecie astratta del lavoro subordinato. Per verificare se c'è
questa corrispondenza, occorre verificare se c'è:
- eterodeterminazione della prestazione come sinonimo di dipendenza, cioè se la prestazione è de-
terminata dall'esterno dal datore di lavoro ovvero deve essere svolta nei modi e nei tempi imposti
mediante ordini dal datore (caratteristica tipica del lavoratore subordinato e autonomo);
- eterodirezione dell'attività, vale a dire l'assoggettamento del prestatore di lavoro al potere diretti-
vo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (caratteristica essenziale del lavoro subordinato
rispetto quello autonomo).
Il requisito dell'eterodeterminazione è il requisito fondamentale della subordinazione, mentre hanno natu-
ra solo di indizi tutti gli altri indici elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quali l'inserimento nell'or -
ganizzazione, il vincolo di orario, la corresponsione di una retribuzione fissa a scadenze regolari.
Può essere utile verificare l'oggetto dell'obbligazione della prestazione lavorativa: se il lavoratore assume
una obbligazione di mezzi (obbligo di attività senza rischio del risultato, quindi avendo diritto alla retribuzio-
ne solo per l'impegno profuso indipendentemente dai risultati conseguiti) o una obbligazione di risultato
(avendo diritto al compenso solo se consegue un certo risultato). Nel secondo caso non può sussistere il la -
voro subordinato, mentre nel primo può esservi sia quello subordinato che quello autonomo e per distin-
guerli occorre applicare il criterio dell'eterodeterminazione della prestazione.
Non deve creare confusione, infine, il criterio dell'alienità dei mezzi di produzione e del risultato produtti-
vo, che serve a distinguere il lavoro subordinato dai rapporti associativi; mentre il requisito dell'onerosità
della prestazione, comune al lavoro autonomo e subordinato, li distingue entrambi dal lavoro gratuito.
Se all'azione di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato si accompagna l'impugnazione del licen -
ziamento opera il termine di decadenza stragiudiziale e giudiziale previsto per il licenziamento.

36 IL LAVORO AUTONOMO - Il lavoro autonomo si differenzia da quello subordinato poiché è svolto "senza
vincolo di subordinazione nei confronti del committente, con una prestazione autodeterminata dal lavorato -
re stesso" (art. 2222 cod. civ.).
Il fatto che, nel lavoro autonomo, il lavoro deve essere prevalentemente proprio distingue i lavoratori auto-
nomi e i piccoli imprenditori (come coltivatori diretti, artigiani e piccoli commercianti) dagli imprenditori
veri e proprio, che organizzano il lavoro altrui. Utilizzando l'organizzazione dei fattori della produzione, l'im -
prenditore stipula ed esegue contratti di appalto, che per questo si distinguono dai contratti d'opera del la-
voratore autonomo, anche se entrambi riguardano il compimento di un'opera o di un servizio ( art. 1655 e
art. 2222 cod. civ.).
Per quanto riguarda le disposizioni del codice civile, il lavoro autonomo è regolato nel libro III del codice civi-
le dall'art. 2222 (e seguenti fino al 2238) che regola precisamente il contratto d'opera, affermando che
"quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro preva -
lentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di
questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV".
È da segnalare anche l'art. 2229 cod. civ. relativo alle libere professioni (avvocato, commercialista, ecc), in
base al quale "la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione
in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per tale iscrizione, la tenuta dei medesimi e il potere
disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo
che la legge disponga diversamente". L'iscrizione negli albi o elenchi vuole garantire la preparazione e la
deontologia degli iscritti, che devono superare un apposito esame di Stato e sono sottoposti al potere disci-
plinare degli ordini o collegi professionali che tengono gli albi. L'esercizio abusivo della professione costitui-
sce reato e la prestazione eseguita dal non iscritto non dà azione per il compenso.
In linea generale, si può dire che il lavoratore autonomo ha poche tutele rispetto al lavoro subordinato, e
solo sul piano previdenziale è stata ottenuta una legislazione protettiva che prevede l'apposita iscrizione al-
l'INPS di coltivatori diretti, artigiani, commercianti e lavoratori parasubordinati, mentre molte libere profes -
sioni sono dotate di una propria Cassa di previdenza obbligatoria (es. la Cassa forense per gli avvocati).
Recentemente, è stata introdotta con la legge Fornero (L. 92/2012), una disciplina che tende a ricondurre il
lavoratore autonomo non coordinato e continuativo a collaboratore parasubordinato, anche detto collabo-
ratore coordinato e continuativo (co. co. co.). Essi lavorano infatti in piena autonomia operativa, escluso
ogni vincolo di subordinazione, ma nel quadro di un rapporto unitario e continuativo con il committente del
lavoro. Nel dettaglio, l'art. 69 bis, prevede che si debba presumere che il lavoratore autonomo possessore di
P. Iva che operi per un dato committente sia in realtà, salvo prova contraria, un collaboratore parasubordi -
nato se ricorrono almeno 2 di queste 3 condizioni:
1) durata → la collaborazione col committente dura per più di 8 mesi annui per due anni consecuti-
vi;
2) corrispettivo → il corrispettivo ricevuto da quel determinato committente supera l'80% dei corri-
spettivi complessivamente ricevuti dal lavoratore da altri soggetti, nell'arco di due anni solari conse -
cutivi;
3) postazione fissa → il collaboratore dispone di una postazione fissa di lavoro presso una sede del
committente.
Tale presunzione si applica subito a tutti i contratti stipulati dopo il 18 luglio 2012 e per i contratti preceden-
ti opera solo 12 mesi da tale data. Inoltre questa presunzione non opera se il lavoratore effettua una presta-
zione richiedente competenze teoriche qualificate e rilevanti esperienza, oppure se il lavoratore ha comun -
que un suo reddito da lavoro autonomo pari ad almeno 18.000 euro annui, oppure se la prestazione lavora -
tiva riguarda l'esercizio di attività professionali che richiedono l'iscrizione ad un ordine professionale od ap -
positi registri. Questa presunzione è stata subito abrogata dall'art. 52, c. 1, d. lgs. 81/2015.

37 IL LAVORO PARASUBORDINATO - Il lavoratore parasubordinato rappresenta una categoria intermedia


tra il lavoratore autonomo e il lavoratore dipendente, trova la sua definizione non nel codice civile bensì in
disposizioni di leggi, come quella sui minimi di trattamento (art. 2 legge n. 741/1959), quella sul processo
del lavoro (art. 409 n.3 cod. proc. civ.) ora espressamente richiamata per il lavoro a progetto, e quella sul-
l'imposizione fiscale e previdenziale (art. 50 comma 1 TUIR; art. 2 legge n. 335/1195).
Si parla di lavoro autonomo parasubordinato se il lavoratore presta una:
1) COLLABORAZIONE CONTINUATIVA, non è necessaria una ripetizione ininterrotta di incarichi, po-
tendo bastare anche un unico contratto di apprezzabile durata;
2) COLLABORAZIONE IN CUI L'ATTIVITÀ PERSONALE PREVALE SU ALTRI FATTORI. L'attività deve es-
sere personale e non esclusiva, quindi compatibile con l'utilizzazione di mezzi tecnici e collaboratori;
3) COLLABORAZIONE COORDINATA SENZA VINCOLO DI SUBORDINAZIONE, il committente che dà
l'incarico al lavoratore parasubordinato può coordinare quanto vuole l'attività di quest'ultimo, ma
non può arrivare ad eterodeterminarne la prestazione con penetranti ordini e controlli sulle modali-
tà di esecuzione di questa poiché, se così fosse, si avrebbe lavoro subordinato e non parasubordina-
to.
La disciplina protettiva del lavoratore parasubordinato (tra cui rientrano gli agenti e i rappresentanti di com-
mercio come indicato nell'art. 409 n. 3 cod. proc. civ.) è ancora modesta, infatti consiste solo nell'applica-
zione del processo del lavoro, nell'applicazione della disciplina sulle rinunce e sulle transazioni, e nella tutela
previdenziale pensionistica, per la maternità, negli assegni famigliari e contro gli infortuni sul lavoro, nella li-
bertà sindacale, nel diritto di sciopero e nella possibilità di stipulare accordi collettivi. Per gli agenti, anche
non parasubordinati, si aggiungono altre disposizioni specifiche (art. 1742 e seguenti cod. civ.), in particola-
re con il divieto, salvo casi particolari, dello star del credere (= l'obbligazione assunta dall'agente o dal rap-
presentante di rispondere nei confronti del committente, in percentuali variabili a seconda del contratto sti -
pulato, del buon esito dell'affare), previsione di una indennità di cessazione del rapporto, preavviso salvo
giusta causa in caso di recesso da un contratto a tempo indeterminato, limiti all'eventuale patto di non con -
correnza. Ogni altra tutela prevista per il lavoro subordinato non si estende al lavoro parasubordinato (in
particolare, per il principio di retribuzione sufficiente ex. art. 36 Cost. e per le norme limitative del potere
di licenziamento).
In ogni caso, con la riforma del d. l. n. 276/2003, il lavoro parasubordinato, quale categoria autonoma, è sta-
to molto ridimensionato, essendo ricondotto al lavoro a termine per un progetto collegato ad un determi-
nato risultato finale. I contratti di lavoro autonomo coordinato e continuativo stipulati senza riferimento ad
uno specifico progetto erano considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ora il lavoro
parasubordinato a progetto è stato abrogato dall'art. 52 d. lgs. 81/2015 (Jobs Act).
LAVORO A PROGETTO - Il lavoro a progetto è a termine, ovvero a tempo determinato, infatti ai sen-
si dell'art. 61 del d. lgs. n.276/2003 (Legge Biagi): "Ferma restando la disciplina per gli agenti e i
rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemen-
te personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del cod. proc. civ. devono
essere riconducibili a progetti "specifici" (secondo la legge Fornero) o programmi di lavoro o fasi di
esso (programmi e fasi abolite dalla riforma Fornero, ok solo progetti che siano "specifici") determi -
nati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispet-
to del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impie-
gato per l'esecuzione della attività lavorativa.". Il progetto consiste in un'attività ben identificabile e
"collegabile ad un risultato finale" (secondo la legge Fornero) per il quale è sostanziale la collabora -
zione del prestatore.
Il contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta, ed indicare la durata della
prestazione, il progetto → quindi il risultato da conseguire e le forme di coordinamento non pregiu -
dizievoli dell'autonomia di esecuzione. "Se non viene individuato lo specifico progetto e la durata, il
lavoro a progetto viene considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. " (art. 61
comma 1 novellato dalla riforma Fornero).
La disciplina del lavoro a progetto precisa che il coordinamento tra committente e prestatore non
può essere tale da pregiudicare l'autonomia nell'esecuzione dell'obbligazione lavorativa; in pratica i
progetti vengono determinati dal committente ma devono essere gestiti autonomamente dal colla-
boratore in funzione del risultato ed indipendentemente dal reale tempo impiegato per l'esecuzione
dell'obbligazione lavorativa. Il lavoratore a progetto può avere una pluralità di committenti, salvo di-
verso accordo.
"Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro, anche in considera -
zione dei normali compensi per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione
del rapporto" (secondo la legge Fornero).
La principale novità della legge Biagi fu l'introduzione del cosiddetto co.co.pro in sostituzione del
precedente co.co.co. Fu sostanzialmente introdotto il cosiddetto contratto a progetto (preferito dal
datore perché così il lavoratore costa meno in termini di retribuzione, vincoli, ecc.) in alternativa al
contratto di lavoro a tempo indeterminato (che invece dovrebbe essere quello utilizzato più di fre-
quente) → questo ha portato all'abolizione di ogni forma di diritto per i lavoratori non a tempo inde-
terminato, abolendo i periodi di ferie, permessi, malattia e maternità. Anche a livello di versamenti
pensionistici, c'è una disparità di trattamento e valore per quelli dei contratti co.co.pro rispetto a
quelli indeterminati.
In caso di malattia e infortunio il rapporto rimane sospeso senza corrispettivo e senza proroga della
durata, con facoltà di recesso del committente dopo un periodo indicato per legge. In caso di gravi-
danza la sospensione senza retribuzione si accompagna ad una proroga di 180 gg. Il contratto si
estingue con la realizzazione del progetto, mentre il recesso anticipato è consentito solo per giusta
causa o nelle ipotesi pattuite nel contratto individuale, che può anche prevedere un preavviso.
Con riferimento all'obbligo di fedeltà, è fatto divieto al collaboratore a progetto di fare concorrenza
al committente per la durata del rapporto; di diffondere notizie riservate, di compiere atti pregiudi-
zievoli al committente. Il controllo giudiziale sull'effettività del lavoro a progetto deve limitarsi "al-
l'accertamento dell'esistenza del progetto/programma o fase di esso" senza "sindacare nel merito
valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente". L’eventuale
previsione di un periodo di prova è da considerarsi illegittima. Secondo la legge Fornero, il contratto
a progetto non può neppure essere stipulato per lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o
ripetitivi che possono essere individuati dai contratti collettivi; tolta quindi la possibilità di contratti
a progetto per semplici fasi di lavoro e ridotta quella per lavori ripetitivi-esecutivi dovrebbe diventa -
re difficile regolare con questa forma contrattuale il lavoro dei call-center, e altre forme di lavori ese-
cutivi.
Nel settore pubblico, il lavoro parasubordinato è stato a lungo un rimedio al blocco delle assunzioni stabili,
senza possibilità di dichiarazione giudiziale di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per
il necessario rispetto del principio costituzionale del concorso. Ormai, però, l'utilizzazione del lavoro autono-
mo, anche parasubordinato, da parte delle PA è stata fortemente limitata, essendo ammessa solo per esi -
genze proprie dell'amministrazione e riferite a progetti specifici non fronteggiabili con il personale in servi-
zio, richiedenti prestazioni temporanee altamente qualificate di esperti con specializzazione universitaria o
di professionisti iscritti ad albo o di artisti o di artigiani con esperienza, predeterminando durata, luogo, og -
getto e compenso della collaborazione (spesa non eccedente il 50% di quella del 2009). Per alcuni enti ( enti
di ricerca, ISS, INAIL, AIFA, Università) sono consentiti contratti di collaborazione coordinata e continuativa
per l'attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica.
Le stabilizzazioni dei lavoratori parasubordinati, mediante trasformazione in lavoratori subordinati a ter-
mini e poi a tempo indeterminato, ormai limitate a poche unità al pari di ogni altra stabilizzazione, sono so -
stituite da punteggi aggiuntivi nei concorsi per assunzione.
37.2 IL LAVORO PARASUBORDINATO ORGANIZZATO DAL COMMITTENTE E DISCIPLINATO COME IL LAVORO
SUBORDINATO - La tradizionale impostazione fondata sulla tutela del lavoratore subordinato è in crisi, per-
ché anche altre tipologie di lavoratori, come i lavoratori autonomi parasubordinati, si trovano in una situa -
zione di forte debolezza.
Per migliorare la situazione, secondo l'autore, sarebbe necessario tutelare i lavoratori non in base al model-
lo di rapporto di lavoro, ma in base alla concreta situazione di debolezza socio-economica del singolo lavo-
ratore, tenendo conto anche di fattori ambientali, personali e professionali.
In particolare, si dovrebbe garantire l'assistenza del lavoratore da parte del sindacato o della pubblica ammi -
nistrazione anche nella fase di costruzione del singolo rapporto di lavoro, consentendo delle deroghe alle
norme imperative della legge e del contratto collettivo.
L'esperienza del lavoro parasubordinato, essendo privo di importanti tutele, non è servita a superare il dua -
lismo lavoro subordinato/lavoro autonomo, ma è stato utilizzato molte volte dall'imprenditore come “mo-
dello-rifugio”, per resistere alle richieste del lavoratore di accertamento della natura subordinata del rappor -
to.
Il Jobs Act ha previsto, dal 1 gennaio 2016, una particolare fattispecie di lavoro parasubordinato a cui si ap -
plica tutta la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Questa fattispecie è composta da diversi elemen -
ti: i primi sono comuni a tutto il lavoro parasubordinato (rapporti di collaborazione che si concretino in pre-
stazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative), mentre gli ulteriori elementi sono le modalità
di esecuzione organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. L'elemento
che caratterizza questa fattispecie di lavoro parasubordinato è l'organizzazione.
Ora il lavoro parasubordinato si è scisso in due fattispecie:
- la prima prevista dall'art. 409, n. 3, cod. proc. civ., contraddistinta dal coordinamento del commit-
tente;
- la seconda si può definire lavoro similsubordinato, a cui si applica la disciplina del lavoro subordi-
nato (potere organizzativo del committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro).
Per il lavoro similsubordinato sono previste quattro eccezioni a cui non si applicano le disposizioni del lavo-
ro subordinato:
1) settori per cui gli accordi collettivi prevedono specifiche discipline (ad es. call-center);
2) collaborazioni dei professionisti iscritti in un albo;
3) collaborazioni degli organi amministrativi e di controllo delle società;
4) collaborazioni in favore delle società sportive dilettantistiche.
Per le PA, a partire dal 1 gennaio 2017, è fatto divieto stipulare un contratto relativo alle collaborazioni orga -
nizzate dal committente ai sensi dell'art. 2, n. 1, e a queste collaborazioni non si applica la disciplina del la-
voro subordinato.
Dal 1 gennaio 2016, i datori di lavoro che procedano alle assunzioni con contratti di lavoro subordinato a
tempo indeterminato dei soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a
progetto e di personali titolari di partita IVA, che abbiano sottoscritto una conciliazione in sede assistita ri-
guardo le le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro (conciliazione
tombale) e che non abbiano receduto dal rapporto nei 12 mesi successivi salvo per giusta causa e giustifica-
to motivo soggettivo, hanno diritto all'estinzione degli illeciti amministrativi, previdenziali e fiscali.
LAVORO OCCASIONALE - Nel caso del lavoro autonomo occasionale, è escluso per legge il requisito
della continuità, inoltre è individuato laddove "per legge la collaborazione con lo stesso committen-
te non superi nell'anno solare i 30 gg e, comunque, un compenso di euro 5.000”. La tutela previden -
ziale del lavoro subordinato è stata estesa anche ai lavoratori autonomi occasionali che superino un
reddito annuo complessivo di 5.000 euro.
37.3 LAVORO ACCESSORIO - Il lavoro accessorio si ha in presenza di attività lavorative di natura meramen-
te occasionale, le quali sono caratterizzate da un compenso annuo non superiore a 7.000 euro in riferimen-
to a tutti i committenti. Si aggiunge un'ulteriore limitazione per cui, oltre il precedente limite, se il commit -
tente è un imprenditore commerciale o un professionista il compenso annuale per singolo committente non
può superare i 2000 euro. I percettori di prestazioni di integrazione salariale o sostegno al reddito possono
svolgere in tutti i settori produttivi lavoro accessorio con un corrispettivo massimo annuo di 3000 euro.
È consentito il lavoro accessorio nelle PA, mentre è vietato negli appalti, salvo eccezioni specifiche indivi-
duate con decreto del Ministero del lavoro.
Questa tipologia di lavoro è provvisto di una speciale disciplina semplificata, con ragionevole esclusione di
ogni altra tutela, tranne che per quella riguardante l'igiene e la sicurezza del lavoro.
Il lavoro accessorio è ammesso solo per soddisfare esigenze non imprenditoriali e solo da parte di determi-
nati soggetti svantaggiati. Il lavoratore accessorio viene compensato mediante buoni, acquisiti dal beneficia-
rio telematicamente oppure, se il beneficiario non è imprenditore o professionista, anche presso le rivendi -
te autorizzate, del valore di €10 per ogni ora di lavoro (€7,5 x lav. + €2,5 x gli istituti assicurativi).
Tali buoni vanno presentati al concessionario (INPS, agenzie per il lavoro) che provvede al relativo pagamen-
to, nonché al versamento dei contributi previdenziali all'INPS (13% del valore del buono) e all'INAIL (7%),
trattenendo un importo (5%) a titolo di rimborso spese. "I buoni devono essere orari, numerati progressiva -
mente e datati" secondo la riforma Fornero; il loro valore è fissato con decreto ministeriale, previo confron-
to con le parti sociali.
Ricapitolando, la differenza sostanziale tra lavoro occasionale e lavoro accessorio è che il primo può essere
svolto da chiunque per chiunque, mentre il secondo è limitato e consentito solo per determinati soggetti e
attività entro un certo reddito.

38 I RAPPORTI ASSOCIATIVI - Nel lavoro subordinato o autonomo, si hanno due parti contrapposte tra le
quali vi è uno scambio: il lavoratore fornisce la prestazione lavorativa e il datore eroga il compenso.
Nei rapporti associativi, invece, le parti perseguono l'interesse comune al buon andamento di un'attività
economica, da cui dipende la soddisfazione di ciascun associato.
38.2 IL LAVORO IN COOPERATIVA -
Nell'ambito dei rapporti associativi, spicca il lavoro in cooperativa, svolto dai soci di società cooperative con
scopo mutualistico (= fornire direttamente occasioni di lavoro ai soci).
La prestazione lavorativa del socio costituisce adempimento del contratto sociale quale conferimento (artt.
2533, c. 1, n. 4 e 2286 cod. civ.), trovando il suo fondamento nel rapporto associativo e non in un contratto
di scambio. Non si può parlare di rapporto di lavoro subordinato mancando l'estraneità dell'organizzazione
e del risultato produttivo, tant'è che gli introiti dei singoli soci non rappresentano la retribuzione corrispetti-
va del lavoro, piuttosto semplice ripartizione di ricavi sociali. Un rapporto di lavoro subordinato viene am-
messo solo se si tratti di attività estranea all'oggetto sociale.
• Prima della legge 142/2001, non c'era differenza tra contratto sociale e contratto di lavoro, nel sen -
so che il socio, fornendo la propria prestazione lavorativa, adempiva al contratto sociale, e la sua
prestazione valeva come conferimento alla società.
• Con la legge 142/2001, invece, il lavoro del socio nella società cooperativa non può valere come
esecuzione del rapporto associativo, ma deve essere stipulato un contratto separato di lavoro su-
bordinato o autonomo. In questo modo, secondo l'autore, si è erroneamente calpestata l'autono-
mia privata delle società cooperative e si è violato l'art. 45 Cost., che prevede la tutela della coope-
razione. La nuova legge impone, inoltre, una retribuzione del socio-dipendente non inferiore ai mi -
nimi previsti dai contratti collettivi di settore, ma in questo modo troviamo un contrasto con l'essen -
za del fenomeno cooperativo, secondo cui il rischio d'impresa grava sugli stessi lavoratori; questo ri-
schio viene meno garantendo comunque ai soci lavoratori una retribuzione al di sopra di un certo
minimo. L'imposizione di trattamenti economici minimi non inferiori a quelli previsti dai contratti
collettivi rimane incostituzionale, trattandosi dell'attribuzione di efficacia generale al contratto col-
lettivo in contrasto con il procedimento previsto dall'art. 39 Cost.
Se questa legge verrà dichiarata incostituzionale, si tornerà al corretto principio secondo cui al lavo-
ro in cooperativa non si applicano le tutele del lavoro subordinato, salvo quelle espressamente pre -
viste. Non operava il principio costituzionale di retribuzione sufficiente, perché il vantaggio mutuali-
stico poteva consistere in una garanzia di continuità dell'occupazione e del reddito. Non si applicava
neppure la normativa di limitazione del potere di licenziamento, poiché l'esclusione del socio non
era equiparabile al licenziamento del dipendente (casi di esclusione del socio predeterminati dalla
legge e dall'atto costitutivo). Per i rapporti tra la cooperativa di lavoro ed i propri soci non valevano
neppure le tutele legali della libertà ed attività sindacale nei luoghi di lavoro, non essendoci un con-
flitto tra interessi contrapposti → ammissione solo della libertà di sciopero con pretesa nei confronti
non della cooperativa, ma di altri soggetti, pubblici o privati. La L. 142/2001 riconosce le tutele della
libertà ed attività sindacale sul presupposto del rapporto di scambio, con il limite di compatibilità
con lo stato di socio.
• Per quanto riguarda la disciplina previdenziale, i soci-lavoratori di cooperative sono da tempo equi-
parati ai lavoratori dipendenti dal punto di vista previdenziale (invalidità, vecchiaia, infortuni sul la-
voro e malattie professionali).
• In merito all'individuazione del giudice competente a decidere sulle controversie tra cooperative e
soci, sussiste la competenza del Tribunale civile ordinario secondo quanto prevede la L. 30/2003. La
competenza del giudice del lavoro può sussistere solo quando il lavoratore deduce che il rapporto
associativo è solo simulato, apparente, nascondendo un sostanziale rapporto di lavoro subordinato.
• L'equiparazione, sancita dalla Corte Costituzionale (1989), tra crediti delle società cooperative verso
il committente e crediti del lavoratore verso il datore di lavoro conferma come la protezione della
posizione del socio si realizza automaticamente come riflesso della tutela della cooperativa nei con -
fronti dei terzi.
• Un cenno meritano le cooperative di solidarietà sociale, le quali mirano a favorire l'inserimento nel
mondo del lavoro di persone svantaggiate (invalidi, tossicodipendenti, alcolisti, minori in difficoltà,
ecc.); a queste cooperative possono partecipare anche soci volontari che prestano gratuitamente la
loro attività. Erano cooperative di lavoro anche le compagnie portuali, per le quali si è posto il pro-
blema del monopolio per legge di alcune attività (carico, scarico, ecc.), ritenuto incompatibile con
l'ordinamento comunitario, con conseguente nuova disciplina.
38.3 IL LAVORO IN SOCIETÀ - Nei rapporti associativi, rientra anche il socio d'opera, che conferisce alla so-
cietà non beni, crediti o denaro, ma la propria attività ad una società di persone a scopo di lucro, parteci-
pando ai guadagni e alle perdite insieme agli altri soci. La causa associativa esclude un rapporto di lavoro
subordinato tra società e socio, configurabile solo quando l'attività sia svolta in forma subordinata e sia
estranea rispetto a quella conferita. Anche l'attività del socio per l'amministrazione della società di persone
costituisce attuazione del contratto societario e non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.
Nelle società di capitali è escluso il conferimento di prestazioni d'opera, ma l'atto costitutivo può prevedere
l'obbligo del socio di eseguire prestazioni accessorie con compenso almeno uguale a quello previsto dai
contratti collettivi aventi ad oggetto le stesse prestazioni. Neppure queste prestazioni possono dar luogo ad
un rapporto di lavoro subordinato, che è ammissibile tra le società di capitali ed un suo socio.
38.4 L'ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE - Nei rapporti associativi è compresa l'associazione in partecipa-
zione costituita da un contratto mediante il quale l'associante attribuisce all'associato una partecipazione
agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto, che può con-
sistere anche in un'attività lavorativa (art. 2549 cod. civ.). L'associato, salvo patto contrario, partecipa anche
alle perdite nei limiti del valore del suo apporto
(art. 2553 cod. civ.). La gestione spetta all'associante, ma l'associato, se previsto dal contratto, può esercita-
re un controllo ed ha sempre diritto al rendiconto.
Ora l'associazione in partecipazione con associato lavoratore è stata abrogata ( art. 53 del d. lgs. 81/2015).
La distinzione dal lavoro subordinato si fondava sulla partecipazione dell'associato lavoratore al rischio
d'impresa con il connesso diritto al rendiconto periodico, il cui andamento negativo legittimamente privava
di ogni utile il suo apporto lavorativo, mentre il lavoratore subordinato conserva il diritto di retribuzione
sufficiente ex art. 36 Cost. anche quando risulti in concrete inadeguata la pattuita retribuzione con parteci-
pazione agli utili.
38.5 L'IMPRESA FAMILIARE - La nozione di impresa familiare poggia sul fatto che il familiare (coniuge, pa-
renti entro il terzo grado, affini entro il secondo) che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro
nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiari, oltre che ai beni acquistati con essi e agli incrementi del -
l'azienda in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
L'impresa familiare rimane individuale nei rapporti con i terzi, quindi il rapporto associativo riguarda solo il
versante interno. La costituzione di questa impresa può avvenire con atto scritto, ma anche per fatti conclu -
denti.
Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, oltre che quelle inerenti alla gestione straor-
dinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che
partecipano all'impresa stessa. Il diritto di partecipazione è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga
a favore di un altro familiare con il consenso di tutti i partecipi, e può essere liquidato in denaro in caso di
alienazione dell'azienda o di uscita del singolo dall'impresa. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento
dell'azienda, i partecipanti hanno diritto di prelazione e riscatto sull'azienda medesima.
L'impresa familiare ha natura associativa, per cui non si applicano le tutele del lavoratore subordinato, ad
eccezione dell'assicurazione contro gli infortuni e delle regole del processo del lavoro.
→ Azienda coniugale: impresa gestita in comune da entrambi i coniugi.

39 IL LAVORO GRATUITO - l lavoro gratuito è quello in cui è concordata o è presunta la mancanza della retri -
buzione, mentre l'omesso pagamento della retribuzione nel lavoro oneroso comporta inadempimento con-
trattuale del datore.
La gratuità deve essere voluta e insita nella causa della prestazione, in presenza di particolari ragioni o circo -
stanze solitamente di tipo affettivo, solidaristico o ideologico, in assenza delle quali si presume l'onerosità,
ma non necessariamente la subordinazione.
1) FAMIGLIA. Si presume la gratuità a causa del rapporto affettivo tra i suoi componenti, salvo una prova ri -
gorosa della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Un'ipotesi tipica è quella delle attività agrico-
le, limitatamente a prestazioni svolte occasionalmente o di breve periodo a titolo di aiuto, mutuo aiuto, ob -
bligazione morale senza compensi. La presunta gratuità vale anche nel lavoro svolto dalla convivente more
uxorio, purché la convivenza dia luogo ad una effettiva comunanza spirituale ed economica simile a quella
coniugale.
2) COMUNITÀ RELIGIOSE. Al loro interno i singoli componenti svolgono la loro attività anche secolare (ad
es. insegnamento, assistenza agli infermi) religionis causa. Se il lavoro è prestato a favore di un ente diverso
da quello di appartenenza, opera la normale presunzione di onerosità.
3) SACERDOTI. Per lo svolgimento del loro ministero nell'ambito delle strutture ecclesiastiche percepiscono
una prestazione assistenziale da parte dell'Istituto di sostentamento del clero. Possono svolgere attività se-
colare regolarmente retribuita a favore di terzi, con detrazione degli importi della suddetta indennità assi-
stenziale.
4) VOLONTARIATO. Per il volontariato svolto in modo personale, spontaneo e per fini di solidarietà, sono
previsti solo un rimborso spese e un'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionale e per la re -
sponsabilità civile verso terzi.
5) COOPERATIVE SOCIALI. L'attività svolta dai soci volontari delle cooperative sociali è disciplinata dalla L.
52/1996, che prevede solo un rimborso spese e l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professiona -
li. Qui la solidarietà è verso i membri svantaggiati dalla stessa cooperativa, nell'ambito della quale i soci vo -
lontari non possono superare il 50%, e non verso soggetti terzi come nelle organizzazioni di volontariato.
6) IMPRESE SOCIALI. Le imprese che, senza distribuire utili, operano in settori di particolare rilievo sociale o
riservano almeno il 30% dell'organico a soggetti svantaggiati o disabili sono qualificate come imprese sociali
e possono avvalersi di volontari entro il limite del 50% dell'organico.
7) COOPERAZIONE CON PAESE IN VIA DI SVILUPPO. In questo caso l'attività è definita lavoro autonomo, ma
intesa dalla Corte Costituzionale come lavoro subordinato atipico e a causa mista, in cui, con la gratuità di
fondo della prestazione, si combinano elementi di onerosità.
CAPITOLO 6 “Il contratto di lavoro”
41 ORIGINE CONTRATTUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO - L'attuale codice civile del 1942 non contempla il
contratto di lavoro tra i contratti tipici del libro IV, ma definisce il prestatore di lavoro subordinato nell'ambi-
to della disciplina del lavoro nell'impresa, considerata (nel sistema corporativo del tempo) uno strumento di
realizzazione dell'interesse superiore dell'economia nazionale. In questo contesto normativo ha trovato spa-
zio una concezione, detta comunitaria, secondo cui la fonte del rapporto di lavoro è l'inserimento del lavo-
ratore nell'impresa e ciò farebbe emergere che il rapporto di lavoro, nel codice attuale, è regolato nell'ambi -
to del lavoro dell'impresa.
La tesi prevalente, però, (concezione contrattuale) ritiene che la fonte originaria del rapporto di lavoro sia il
contratto, il solo che possa essere garanzia di tutela e libertà per il lavoratore. La libertà di forma del con-
tratto di lavoro consente di individuare l'accordo delle parti anche nell'esecuzione della prestazione lavorati -
va accettata dal datore di lavoro, secondo lo schema di stipulazione del contratto per fatti concludenti.

42 LA COMPRESSIONE DELL'AUTONOMIA INDIVIDUALE - Il diritto del lavoro nasce per tutelare il lavoratore
subordinato, quale soggetto debole sul piano socio-economico e quindi contrattuale, prevedendo il tratta-
mento minimo ad esso spettante. La finalità di protezione del lavoratore spiega la tradizionale inderogabi-
lità solo in peius, che consente ai singoli pattuizioni migliorative del trattamento minimo legale o collettivo,
secondo il principio del favor per il lavoratore (= prevalenza della fonte a lui più favorevole, a prescindere
dalla gerarchia). Questa tendenza a favorire il legislatore ha cominciato ad avere qualche eccezione a partire
dagli anni 70, con misure che hanno fissato dei trattamenti massimi, non superabili in melius a favore dei la-
voratori. Tali misure sono servite per contenere l'inflazione e per combattere la disoccupazione.

43 I SOGGETTI
43.1 IL LAVORATORE - Il lavoratore, per essere parte del rapporto lavorativo, deve avere la capacità giuridi-
ca, il che significa nel diritto del lavoro (in deroga alla regola civilistica della capacità giuridica acquisita dalla
nascita) avere almeno 15 anni e non essere ancora soggetto all'obbligo scolastico. Se viene stipulato un con -
tratto con un lavoratore senza capacità giuridica, si hanno sanzioni penali ed il contratto è nullo per illiceità
dell'oggetto, anche se il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione per l'attività svolta.
Inoltre, fermo restando che il minore può esercitare diritti ed azioni dipendenti dal contratto di lavoro, que -
sto contratto può essere stipulato direttamente dal lavoratore solo se ha la capacità di agire, ossia la capaci-
tà di intendere e di volere che si acquisisce a 18 anni. Pertanto, per il minore di 18 anni, il contratto deve es -
sere stipulato dal suo rappresentante legale. Se, invece, il contratto è stipulato direttamente dal minore,
detto contratto è annullabile, ma restano validi tutti gli effetti per il periodo di avvenuta esecuzione del rap -
porto di lavoro.
La facoltà del datore di lavoro di scegliere il contraente lavoratore incontra dei limiti:
- la disciplina pubblicistica del collocamento, anche obbligatorio;
- i casi di prelazione (precedenza assoluta), come quelli previsti ad esempio a favore dei lavoratori li -
cenziati collettivamente o posti in mobilità con riferimento alle assunzioni entro i 6 mesi successivi;
- i divieti di discriminazione;
- la previsione negoziale di concorsi privatistici per l'assunzione da parte di datori di lavoro privati o
enti pubblici economici;
- l'obbligo di assunzione per concorso da parte delle PA.
43.2 IL DATORE DI LAVORO - Per il datore di lavoro non si pongono limiti di capacità giuridica o di agire se si
tratta di persona giuridica, mentre se si tratta di persona fisica i limiti non riguardano la capacità giuridica
ma quella di agire, a proposito della quale operano le disposizioni sull'esercizio dell'impresa da parte del mi-
nore emancipato e dell'inabilitato.
Non possono comunque considerarsi datori i gruppi societari, perché essi non hanno una propria autono-
mia giuridica e non possono essere titolari di rapporti di lavoro, che vanno imputati ad una o più delle socie -
tà del gruppo. Può accadere che il lavoratore circoli nell'ambito del gruppo stipulando distinti contratti di la -
voro, eventualmente anche a tempo parziale, con le società che lo utilizzano oppure che il contratto di lavo -
ro rimanga sempre lo stesso, realizzandosi la circolazione del lavoratore mediante una cessione di tale con-
tratto o un comando o una contitolarità del contratto stesso.
→ Codatorialità: indica un contratto di lavoro in cui compaiono due o più soggetti nella qualità di datori di
lavoro dello stesso lavoratore. Questo è ammissibile solo se le aziende abbiano previamente stipulato tra
loro un contratto di rete ai sensi del d. l. 5/2009 conv. in L. 33/2009 oppure se si tratta di imprese agricole
appartenenti allo stesso gruppo societario o riconducibili allo stesso proprietario (o a soggetti parenti/affini
entro il terzo grado) o di imprese legate da un contratto di rete in cui almeno il 50% di esse siano imprese
agricole.
Inoltre, il datore può essere privato o pubblico, imprenditore o non imprenditore, con ulteriori distinzioni a
seconda della natura dell'attività esercitata, conseguendone differenti discipline dei relativi rapporti di lavo -
ro. Un'altra regola fondamentale in tema di individuazione del datore di lavoro è quella secondo cui è vieta -
ta la dissociazione tra il soggetto formale datore di lavoro e il soggetto effettivo utilizzatore della prestazio-
ne, con l'eccezione del lavoro somministrato.
Per quanto riguarda le ipotesi di cambiamento del datore di lavoro, va dato atto che nel corso di svolgimen-
to del rapporto può verificarsi la sostituzione dell'originario datore di lavoro per effetto di un trasferimento
d'azienda o di una cessione consensuale del contratto. Tale cambiamento, nel lavoro pubblico, può realizzar-
si con la possibilità di passaggio diretto da un'amministrazione ad un'altra per la copertura di un posto va-
cante della stessa qualifica su domanda del lavoratore interessato e con il consenso dell'amministrazione di
provenienza.

44 CAUSA, OGGETTO, CONCLUSIONE, FORMA


• Causa. La causa del contratto è la funzione economico-sociale da esso svolta. Essa consiste nello scambio
tra lavoro e retribuzione, secondo un vincolo di reciprocità; pertanto il contratto di lavoro viene definito
come contratto oneroso di scambio a prestazioni corrispettive.
• Oggetto. L'oggetto del contratto è costituito dal lavoro e dalla retribuzione. L'oggetto deve essere possibi-
le, lecito e determinato/determinabile. Ne consegue il divieto di pattuire lo svolgimento di un'attività illeci-
ta o contraria al buon costume.
• Conclusione. Il contratto di lavoro si perfeziona con l'accordo delle parti, la quale si realizza quando l'ac-
cettazione avviene a conoscenza del proponente. Se il datore di lavoro si rende inadempiente ad uno speci -
fico obbligo di assunzione, si pone il problema della possibilità di costituzione ope iudicis (= per effetto di
una disposizione di legge) del rapporto ex art. 2932 cod. civ.
Nelle trattative che portano alla formazione del contratto, può configurarsi una responsabilità precontrat-
tuale. In particolare, la violazione dell'obbligo di condotta secondo buona fede nelle trattative determina
una responsabilità risarcitoria precontrattuale, come nel caso in cui il datore di lavoro rifiuti improvvisa-
mente senza motivo la conclusione del contratto, nonostante lo stato avanzato della trattativa, sul cui buon
esito il lavoratore aveva ragionevolmente confidato.
Inoltre, il datore di lavoro, salvo che nei lavori pubblici non privatizzati, è tenuto a far conoscere al lavorato -
re, al momento dell'assunzione, la categoria e la qualifica assegnategli e ha l'obbligo, pena sanzione ammi -
nistrativa pecuniaria, di consegnare al lavoratore all'atto dell'assunzione e prima dell'inizio dell'attività di la -
voro una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto inviata al centro per l'impiego oppure una
copia del contratto individuale di lavoro contenente una serie di informazioni relative al rapporto ed alla sua
disciplina.
• Forma. La forma del contratto di lavoro rimane libera. Libertà di forma significa che il contratto può essere
concluso e modificato anche oralmente o per fatti concludenti. La forma scritta è prevista dalla legge solo
per alcuni contratti, clausole o atti, di solito a tutela della posizione del lavoratore (per l'apposizione del ter-
mine, per il patto di prova, per il contratto di somministrazione, per il patto di non concorrenza, ecc. ). Quan-
do manca la forma scritta espressamente prescritta spesso ne deriva, per espressa previsione di legge, l'in -
staurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Per alcuni atti ritenuti particolarmente pregiudizievoli la volontà del lavoratore deve essere assistita, come
previsto per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto, per le rinunzie e le transazioni del lavo-
ratore valide solo se intervenute in sede giudiziaria, amministrativa o sindacale, per le clausole compromis-
siorie.

45 LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI - La certificazione è una procedura di carattere volontario finalizzata


ad attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla
legge volta alla riduzione del contenzioso in materia di qualificazione di alcuni contratti di lavoro → dichia-
razione valutativa (parere) sulla qualificazione del contratto, munita di adeguata motivazione.
• Oggetto. La certificazione è consentita per tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamen -
te, una prestazione di lavoro e può riguardare non solo contratti da stipulare, ma anche contratti in corso.
Può riguardare anche il regolamento interno delle cooperative di lavoro nella parte relativa ai contratti di la -
voro con i soci, nonché i contratti di appalto ai fini della distinzione dalla somministrazione di lavoro.
La certificazione può anche riguardare le rinunzie e transazioni dei lavoratori, anche parasubordinati a pro -
getto, relative ai diritti derivanti da norme inderogabili di legge e collettive.
• Commissioni di certificazione. Le commissioni di certificazione con cui avviare il procedimento sono quel-
le appositamente istituite presso gli enti bilaterali costituiti dalle associazioni di datori e prestatori di lavoro
nell'ambito territoriale di riferimento o a livello nazionale, le Direzioni Provinciali del Lavoro (DPL), le provin -
ce, le università pubbliche e private registrate nell'Albo istituito presso il Ministero del lavoro, il Ministero
del lavoro e i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
Le commissioni di certificazione svolgono anche compiti di consulenza ed assistenza alle parti per la defini -
zione e la modificazione del programma negoziale con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti.
• La procedura. La procedura di certificazione è attivata a seguito di una richiesta scritta e congiunta del da-
tore di lavoro e del lavoratore. L'inizio del procedimento deve essere comunicato alla DPL competente per
territorio e deve concludersi entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza. Nella valutazione la commissione
deve tenere presente i codici di buone pratiche.
La procedura si conclude con un atto di certificazione motivato che indica l'autorità presso cui è possibile
presentare ricorso, il termine per presentarlo e gli effetti della certificazione. L' atto di certificazione può es-
sere impugnato dal datore di lavoro e dal lavoratore, oltre che dai terzi interessati, davanti al giudice del la-
voro e in alcuni casi al TAR (Tribunale amministrativo regionale). La pratica di certificazione e i contratti cer -
tificati devono essere conservati presso le sedi di certificazione per almeno 5 anni dal momento della loro
scadenza.
Le sedi di certificazione volgono anche attività di consulenza e assistenza al datore e al lavoratore sia in rela-
zione alla stipulazione, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale.
• Impugnazione per errore. La certificazione, per la sua natura qualificatoria, è destinata a cedere
di fronte ad una eventuale successiva valutazione del giudice. Gli effetti della certificazione tra le
parti e verso i terzi vengono travolti fin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale
dalla sentenza di merito, resa dal giudice del lavoro che accerti l'erroneità della qualificazione conte-
nuta nell'atto di certificazione.
Rimane ferma la nullità dei precedenti provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in contrasto
con la certificazione, con la sola eccezione dei provvedimenti cautelari.
• Impugnazione per difformità attuativa. La certificazione è inefficace perché il rapporto effettiva-
mente realizzato dalle parti non è mai stato certificato; pertanto la questione sottoposta al giudice è
di fatto, dovendo la parte ricorrente comprovare la difformità. L'obiettivo è accertare gli eventuali
scostamenti tra programma certificato e programma effettivamente attuato.
• Impugnazione per vizi del consenso. L'oggetto di questa impugnazione è il contratto certificato, il
cui annullamento ai sensi degli artt. 1427 e seguenti cod. civ. non può essere impedito dalla certifi-
cazione che ne resta travolta.
• Impugnazione per vizi procedimentali e per eccesso di potere. In questo caso l'impugnazione av-
viene di fronte al Tribunale amministrativo regionale (TAR) nella cui giurisdizione ha sede la commis-
sione di certificazione.
Per permettere una crescita della resistenza della certificazione solo per le controversie relative ai contratti
certificati è rimasto obbligatorio il tentativo preventivo di conciliazione da svolgersi di fronte allo stesso cer -
tificatore, il quale ha occasione di ribadire e precisare la precedente motivazione, in caso non riconosca il
proprio errore.
• La legge 183/2010. La legge 183/2010 ha previsto che determinate clausole del contratto di lavoro sono
valide solo se certificate; si tratta di clausole concernenti le tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo
di licenziamento, gli elementi per determinare in concreto l'indennità del licenziamento illegittimo, clausole
compromissorie per la devoluzione ad arbitri una volta per tutte delle controversie nascenti dal rapporto di
lavoro.
Secondo l'autore, questa novità normativa è molto positiva poiché consente di assistere la volontà indivi-
duale del lavoratore, assicurandogli una tutela collegata alla specificità della sua situazione e non alla tipolo-
gia astratta del rapporto lavorativo (subordinato, autonomo, ecc.).
La stessa legge ha previsto che le commissioni di certificazione possono istituire camere arbitrali irrituali
per la definizione delle controversie di lavoro: a tal proposito, va ricordato che il tentativo obbligatorio di
conciliazione, prima della causa, è stato abrogato in linea generale, ma è stato mantenuto per le controver-
sie relative a contratti certificati.

46 LA PROVA - Le parti del contratto individuale di lavoro possono pattuire un periodo di prova, al fine di
sperimentare reciprocamente la convenienza di quel rapporto prima che lo stesso divenga definitivo (art.
2096 cod. civ.).
L'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto, dal quale deriva -
no obblighi per l'imprenditore e per il prestatore di lavoro. Infatti, l'imprenditore e il prestatore di lavoro
sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
La durata massima della prova è fissata solitamente dai contratti collettivi. In ogni caso la legge prevede che
dopo 6 mesi si applichi il regime di necessaria giustificazione del licenziamento, così che una prova più lunga
non avrebbe utilità per il datore di lavoro. Al lavoratore spetta il normale trattamento economico e normati-
vo, compreso il diritto alle ferie e all'indennità di fine rapporto.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o
d'indennità. Se, però, la prova è stabilità per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, se nessuna delle parti ha deciso
di recedere prima della scadenza, l'assunzione diventa definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzia-
nità del prestatore di lavoro.

47 LA SIMULAZIONE E LA FRODE - La simulazione consiste in una divergenza tra dichiarazione e volontà ef-
fettiva, nel senso che le parti concludono un contratto apparente (detto simulato), mentre in realtà non vo-
gliono alcun contratto (simulazione assoluta) o ne vogliono uno diverso (detto dissimulato) (simulazione re-
lativa) (art. 1414 cod. civ.). Nel dettaglio, si ha simulazione assoluta quando il contratto di lavoro viene sti-
pulato dalle parti convenendo di non attuarlo in alcun modo, ad esempio al fine di far beneficiare il finto la-
voratore di tale situazione apparente.
Il contratto simulato non produce effetti tra le parti, mentre è efficace l'eventuale contratto dissimulato.
Il fenomeno della simulazione non deve essere confuso con altre situazioni, come quella in cui alla qualifica -
zione del negozio ad opera delle parti si sovrappone la diversa qualificazione legale inderogabile in base allo
stesso contenuto dell'accordo; in questi casi non c0p una concordata divergenza tra volontà apparente e
volontà reale, ma si tratta solo di riconoscere il concreto assetto di interessi realizzato dalle parti e di qualifi-
carlo ex art. 2094 cod. civ.
- Si ha simulazione relativa oggettiva sia quando sotto un apparente contratto di lavoro autonomo
o associativo le parti consensualmente celano un reale contratto di lavoro subordinato sia quando le
parti concordemente riconducono ad un apparente contratto di lavoro subordinato un rapporto ef-
fettivo di altro tipo.
- Si verifica una simulazione relativa soggettiva quando il contratto di lavoro subordinato apparente
è con un determinato datore di lavoro, ma in effetti il contratto realmente voluto è con altro datore
di lavoro, realizzandosi così un'interposizione fittizia, da non confondere con l'interposizione reale.
La simulazione non deve essere confusa con la frode alla legge, che ricorre quando il contratto costituisce il
mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa, in quanto diretto a conseguire un risultato analo -
go a quello vietato dalla legge rispettata solo formalmente (art. 1344 cod. civ.). Il contratto in frode alla leg-
ge è nullo.

48 I VIZI DELLA VOLONTÀ - Il contratto di lavoro è annullabile, oltre che per incapacità di agire legale o na-
turale, anche per errore, violenza e dolo.
L'errore di fatto p difficilmente configurabile in relazione all'oggetto o al contenuto del contratto di lavoro,
in quanto la legge e l'autonomia collettiva lasciano ampio spazio all'autonomia individuale. Si può verificare,
però, un errore sull'identità o sulle qualità della persona del lavoratore rilevanti ai fini dell'attitudine profes-
sionale, comprensiva dell'idoneità psico-fisica, tecnica e morale richiesta dal tipo di mansioni dedotte in
contratto. Queste qualità sono lecitamente indagabili dal datore di lavoro ai fini dell'assunzione ed il loro ve-
nir meno legittima il licenziamento (errore di fatto → consente annullamento del contratto di lavoro).
Se il datore di lavoro, pur dopo essersi reso conto della carenza del requisito erroneamente supposto al mo-
mento dell'assunzione, continua ad eseguire il contratto, questo è definitivamente convalidato.
L'errore di diritto consente l'annullamento del contratto di lavoro quando ne sia stato la ragione unica o
principale e sempre che sia riconoscibile dall'altra parte.
Il dolo è causa di annullamento del contratto solo se i raggiri di un contraente siano tali che l'altra parte, in
assenza di essi, non avrebbe stipulato il contratto. Nel contratto di lavoro può verificarsi questa situazione
quando il lavoratore inganni il datore di lavoro a proposito della sussistenza di qualità essenziali per lo svol -
gimento delle mansioni pattuite. Se tali quali sono richieste da una norma imperativa il contratto è nullo.
Alla prestazione svolta di fatto in base ad un contratto nullo o annullabile si applica la disciplina dell' art.
2126 cod. civ.

49 LA PRESTAZIONE DI FATTO - L'esecuzione della prestazione lavorativa, anche senza un accordo, porta co-
munque alla conclusione del contratto di lavoro per fatti concludenti (ossia comportamenti concreti da cui
indirettamente desumersi l'esistenza del contratto).
Però, nel caso in cui la prestazione sia svolta all'insaputa o contro la volontà del datore di lavoro, non si co -
stituisce tra le parti un rapporto di lavoro ma chi ha eseguito la prestazione ha diritto ad un indennizzo per
l'eventuale ingiustificato arricchimento dell'imprenditore.
Nel caso, invece, che la prestazione sia attuata in esecuzione di un contratto nullo o annullabile, si applica
l'art. 2126 cod. civ. che fissa la regola della conservazione degli effetti del contratto di lavoro invalido per il
periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Ma questa conservazione degli effetti vale solo per il periodo
in cui la prestazione sia stata resa ed accettata dal datore di lavoro, mentre non si ha alcun diritto del lavora-
tore a proseguire il rapporto anche dopo che il datore di lavoro, accortosi dell'invalidità del contratto, abbia
legittimamente iniziato a rifiutare la prestazione offertagli.
Se la nullità del contratto deriva dalla illiceità dell'oggetto o della causa, il lavoratore non è ritenuto merite-
vole della tutela in esame e può richiedere solo l'eventuale indennizzo per ingiustificato arricchimento del-
l'imprenditore. È riconosciuto anche in questa ipotesi il diritto alla retribuzione se il lavoro è stato prestato
con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro.

50 L'INTERVENTO PUBBLICO PER LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


50.1 IL COLLOCAMENTO - La materia del collocamento ha riconosciuto variazioni di grande portata: si è as-
sistito ad una marcata liberalizzazione del sistema, attuata a seguito di disposizioni comunitarie.
La vicenda dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro pone una serie di esigenze, come la protezione del
lavoratore nei confronti dell'eventuale sfruttamento da parte di mediatori privati o l'equa distribuzione del -
le occasioni di lavoro in una situazione di disoccupazione.
Nel periodo precorporativo operavano agenzie private con fini di lucro, organizzazioni sindacali e strutture
pubbliche. Nel periodo corporativo il collocamento era, invece, qualificato come funzione pubblica e affida-
to ai sindacati corporativi. Dopo la Costituzione, la disciplina del collocamento era stata fissata dalla legge
264/1949, impostata su alcuni principi fondamentali, quali monopolio pubblico con divieto penale della me-
diazione privata, gestione da parte dello Stato oppure normalità della richiesta numerica per categoria e
qualifica, per ripartire equamente in base alla graduatoria della lista le occasioni di lavoro,.
Il problema era quello del rapporti tra procedimento amministrativo di collocamento e conclusione del con-
tratto di lavoro, con prevalenza della tesi per cui il lavoratore legittimamente avviato è titolare di un diritto
all'assunzione con corrispondente obbligo del datore di lavoro responsabile dell'eventuale mancata assun-
zione.
Il principio della richiesta numerica era considerato troppo oneroso per le imprese, costrette ad assumere
un lavoratore sconosciuto, salvo la possibilità di prova, cosicché il principio subì un ridimensionamento con
il riconoscimento della facoltà del datore di lavoro di effettuare una richiesta nominativa per la metà dei la-
voratori da assumere numericamente e poi con la generalizzazione di tale facoltà. Infine, la liberalizzazione
è stata definitivamente compiuta con l'introduzione della regola generale di assunzione diretta senza il tra-
mite dell'ufficio di collocamento, con obbligo di sola comunicazione.
Un penetrante intervento pubblico resiste solo per il collocamento dei lavoratori extracomunitari, degli ita-
liani all'estero e dei disabili.
Le PA devono assumere per concorso, salvo che per le qualifiche e i profili per il quale è richiesto il solo re-
quisito della scuola dell'obbligo. Anche le società a partecipazione pubblica devono assumere mediante
procedure privatistiche che rispettino i principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza.
Tuttavia, la gestione soltanto pubblica del collocamento è stata dichiarata in contrasto con la disciplina co-
munitaria quale abuso di posizione dominante, non essendo idoneo a soddisfare la domanda esistente sul
mercato del lavoro. È stata, così, ammessa l'intermediazione privata da parte di agenzie per il lavoro auto-
rizzate dal Ministero del Lavoro e accreditate dalle Regioni, con vincolo di gratuità nei soli confronti dei lavo -
ratori e con divieto di indagini e discriminazioni sulla base di opinioni e condizioni personali del lavoratore
irrilevanti per l'attitudine professionale. L'attività di intermediazione può essere svolta, senza finalità di lu-
cro, anche da enti locali, università pubbliche e private, istituti di scuola secondaria di II grado pubblici e pri -
vati, soggetti sindacali, enti bilaterali e da un apposito soggetto costituito nell'ambito del Consiglio naziona-
le dei consulenti del lavoro.
Sono rimaste di esclusiva competenza statuale la previdenza, la gestione delle eccedenze di manodopera, la
vigilanza, la conciliazione, la gestione dei flussi di lavoratori extracomunitari, l'autorizzazione per il lavoro
degli italiani all'estero e il coordinamento del sistema informativo lavoro; tutti gli altri compiti sono stati de-
mandati a Regioni e Province.
Le disposizioni del d. lgs. 469/1997 e del d. lgs. 297/2002 prevedono, per i lavoratori che intendono avvaler-
si del servizio pubblico di collocamento, l'iscrizione in un apposito elenco anagrafico gestito dai centri per
l'impiego. È contemplata la predisposizione di una scheda anagrafica per ciascun lavoratore, al quale viene
rilasciata una scheda professionale sostitutiva del vecchio libretto del lavoro. Ciascuna Regione definisce gli
obiettivi e gli indirizzi operativi dei centri per l'impiego prevedendo interviste periodiche, almeno un collo-
quio di orientamento iniziale ed una proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di forma -
zione o di riqualificazione da effettuarsi entro pochi mesi nei confronti di lavoratori svantaggiati.
Sempre al fine di favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, è istituita una borsa continua nazio-
nale del lavoro, articolata a livello nazionale e regionale, alimentata dalle informazioni immesse liberamen-
te da lavoratori e imprese fornite doverosamente da tutti gli operatori, pubblici e privati, ed alla quale pos-
sono liberamente accedere lavoratori e imprese senza alcun intermediario.
I datori di lavoro sono obbligati a comunicare al competente centro per l'impiego l'instaurazione, le trasfor -
mazioni e le cessazione dei rapporti di lavoro. Sono previste sanzioni penali per lo svolgimento delle attività
di intermediazione, ricerca e selezione e supporto alla ricollocazione svolte senza autorizzazione, con au-
mento della pena in caso di scopo di lucro o di sfruttamento di minori.
Sono previste sanzioni amministrative pecuniarie per l'omissione delle dovute comunicazioni circa l'instau-
razione, la trasformazione e la cessazione del rapporto; per l'omessa consegna al lavoratore all'inizio del
rapporto della comunicazione informativa; a carico di editori, direttori responsabili e gestori, per la pubbli-
cazione di annunci anonimi o privi degli estremi del provvedimento di autorizzazione e accertamento.

50.2 LE ASSUNZIONI OBBLIGATORIE - Alla liberalizzazione del collocamento ordinario ha resistito il sistema
delle assunzioni obbligatorie, che costringe il datore di lavoro a riservare una quota di posti a lavoratori ap -
partenenti a categorie protette, quali gli invalidi, gli orfani o i coniugi dei caduti o dei grandi invalidi di guer -
ra o del lavoro e i profughi italiani rimpatriati. Nel collocamento obbligatorio la quota riservata è normal -
mente commisurata all'intero organico aziendale e in parte esclude ancora la scelta da parte del datore di
lavoro. È comunque rispettata la determinazione del datore di lavoro per quanto riguarda le dimensioni del
suo organico, attenendo il vincolo legale solo all'individuazione dei lavoratori destinati ad occupare alcuni
dei posti previsti. Le assunzioni obbligatorie sono disciplinate dalla nuova regolamentazione per il diritto al
lavoro dei disabili (L. 68/1999 modificata dal d. lgs. 151/2015), che si applica anche alle altre categorie pro-
tette fino ad apposita organica disciplina.
I disabili tutelati dalla nuova legge sono gli invalidi fisici, psichici, sensoriali e intellettivi con riduzione della
capacità lavorativa superiore al 45%, i non vedenti, i sordomuti, gli invalidi di guerra militari e civili e gli inva -
lidi per servizio di un certo grado.
I datori di lavoro pubblici e privati con più di 50 dipendenti sono obbligati ad avere alle loro dipendenze
una quota di disabili pari al 7% dell'organico (più una ulteriore quota riservata alle altre categorie protette
pari all'1%). Tale quota è ridotta per le organizzazioni più modeste fino al completo esonero dei datori di la -
voro che occupano fino a 14 dipendenti. Per le organizzazioni di tendenza, l'obbligo scatta solo in caso di
nuove assunzioni e la quota di riserva riguarda solo il personale neutro, cioè addetto alle mansioni tecni -
co-esecutive o amministrative.
Sono esonerate le attività per loro natura incompatibili con l'impiego di disabili, ma i datori di lavoro privati
esonerati devono versare un pesante contributo.
È ammessa, previa autorizzazione amministrativa, la compensazione territoriale, mediante assunzione di
un maggior numero di aventi diritto in una unità produttiva e corrispondente riduzione di un'altra.
• COMUNICAZIONI E ISCRIZIONI
I datori di lavoro hanno l'obbligo di inviare periodicamente agli uffici competenti un prospetto dal quale ri-
sultino l'organico complessivo, i lavoratori protetti già in servizio ed i posti disponibili per le ulteriori assun-
zioni obbligatorie eventualmente dovute. È prevista anche l'iscrizione dei disabili disoccupati in un apposito
elenco tenuto dagli uffici pubblici competenti, che compilano una graduatoria.
1) Il sistema della richiesta. Le assunzioni degli aventi diritto da parte dei datori di lavoro privati e
degli enti pubblici economici, avvengono mediante richiesta agli uffici o mediante apposite conven-
zioni. Nel primo caso è ammessa la richiesta nominativa, sia pure parziale per le imprese di maggiori
dimensioni; tuttavia, il datore ha diritto di indicare nella sua richiesta una precisa qualifica ed, in
mancanza di essa, concordare un'altra qualifica con l'ufficio o avviare un lavoratore con qualifica si -
mile. Ove mancasse iscritti con qualifiche simili, l'avviamento non potrebbe avvenire e sarebbe le -
gittima la scopertura in attesa di un avviamento conforme alla richiesta. Il datore di lavoro può rifiu -
tare l'assunzione del lavoratore avviato illegittimamente.
2) Il sistema della convenzione. In alternativa al precedente sistema, si pone quello, unico utilizzabi-
le per i disabili psichici, della convenzione tra datore di lavoro e ufficio competente, con fissazione
dei tempi e delle modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. La con-
venzione può prevedere la facoltà di scelta nominativa integrale, l'assunzione con contratto a tempo
determinato ed un periodo di prova più lungo di quello stabilito nel contratto collettivo, oltre che
deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato.
In caso di mancato invio tempestivo del prospetto periodico il datore di lavoro è sottoposto ad una sanzione
amministrativa pecuniaria che aumenta per ogni giorno di ulteriore ritardo. Nel caso di omessa richiesta
nel previsto termine di 60 giorni dall'inizio dell'obbligo o in caso di mancata assunzione di lavoratori avviati
è prevista a carico del datore di lavoro una sanzione amministrativa di 100.000 lire al giorno per ogni lavora -
tore. A questa tutela amministrativa si aggiunge la normale tutela giurisdizionale civile, in quanto il lavorato-
re avviato legittimamente ha diritto ad essere assunto e può chiedere la condanna del datore di lavoro ina -
dempiente a risarcirgli il danno contrattuale derivante dalla mancata assunzione (quantificato nelle retribu-
zioni perdute fino al nuovo avviamento).
Una efficace sanzione promozionale è l'esclusione da appalti o concessioni pubbliche per le imprese prive
della certificazione degli uffici competenti attestante il rispetto della normativa sulle assunzioni obbligato-
rie.
Le PA provvedono alle assunzioni obbligatorie per le qualifiche e i profili per i quali è previsto il solo requisi -
to della scuola dell'obbligo mediante richiesta numerica oppure mediante convenzione. Per le altre qualifi-
che è imposto il concorso, nell'ambito del quale va riservato alle categorie protette un numero di posti pari
alla quota d'obbligo e non superiore al 50% dei posti messi a concorso. In caso di violazione degli obblighi di
assunzione si applicano specifiche sanzioni penali, amministrative e disciplinari a carico dei responsabili del
procedimento. Si aggiunge la tutela giurisdizionale esperibile dall'interessato di fronte al giudice ammini-
strativo con riferimento ai concorsi e di fronte al giudice del lavoro per le altre assunzioni.
I lavoratori che diventano invalidi nel corso del rapporto sono computabili nella quota di riserva solo se la
riduzione della capacità lavorativa sia di almeno il 60% e se l'inabilità non deriva dall'inadempimento del da-
tore di lavoro dell'obbligo di sicurezza. L'inidoneità sopravvenuta giustifica il licenziamento solo se non deri-
vi da infortunio sul lavoro o malattia professionale.
I disabili avviati obbligatoriamente possono essere assunti con patto di prova, purché siano adibiti a man-
sioni compatibili con il loro stato fisico e la valutazione della prova prescinda dal minor rendimento dovuto
allo stato di invalidità. Il trattamento economico e normativo è quello normale previsto dalle leggi e dai con-
tratti collettivi.
Qualora, a causa di un aggravamento delle condizioni del disabile assunto obbligatoriamente o di significati -
ve variazioni dell'organizzazione del lavoro, sia accertata da una commissione apposita, su istanza del lavo-
ratore o del datore, l'incompatibilità delle mansioni affidate con lo stato fisico del disabile, questi ha diritto
ad una sospensione non retribuita dal rapporto finché persista tale incompatibilità, mentre può essere li-
cenziato se la commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile nell'azienda anche in se -
guito ad adattamenti organizzativi (che devono esser coerenti con le scelte economico-produttive dell'im-
prenditore).
Il lavoratore occupato obbligatoriamente può essere licenziato per giusta causa o giustificato motivo sogget-
tivo come ogni lavoratore, mentre il licenziamento per riduzione del personale o per giustificato motivo og -
gettivo è consentito solo se non risulti scoperta la quota riservata.

50.3 IL SOSTEGNO ALLA NUOVA OCCUPAZIONE E IL CONTRASTO AL LAVORO NERO - Circa il sostegno al-
l'occupazione per tentare di far crescere l'occupazione sono stati realizzati interventi generali ed interventi
lavoristici, ovvero riguardanti direttamente il rapporto di lavoro.
Tra gli interventi generali, vi sono quelli diretti ad aiutare le imprese già esistenti o di nuova costituzione, sul
presupposto che solo la loro crescita può determinare un aumento dell'occupazione reale. Si tratta soprat-
tutto di disposizioni tributarie.
Tra gli interventi lavoristici, prevalgono quelli diretti a ridurre il costo del lavoro. Ciò avviene su due versanti:
da un lato con riferimento alla retribuzione, legittimamente fissata al di sotto dei minimi collettivi mediante
il salario di ingresso, dall'altro con riferimento alla contribuzione previdenziale, con la previsione di sgravi e
fiscalizzazioni per le nuove assunzioni o per determinate aree geografiche, oltre che con la riduzione del cu-
neo fiscale e contributivo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Un altro incentivo all'assunzione deriva dalla flessibilizzazione del rapporto in relazione alla sua durata,
consentendo di evitare all'imprenditore di evitare la regola di stabilità reale mediante l'ampliamento delle
possibilità di lecita utilizzazione di lavoratori a termine.
Circa il contrasto al lavoro nero, ossia non dichiarato, esso viene combattuto obbligando i datori di lavoro, a
pena di una forte sanzione pecuniaria, a comunicare il rapporto di lavoro prima del suo inizio, e sospenden-
do l'attività dei datori che abbiano in nero almeno il 20% del personale. È stato previsto il libro unico del la-
voro, che il datore di lavoro, fatta eccezione per il lavoro domestico, è obbligato a tenere, iscrivendovi tutti i
lavoratori subordinati e parasubordinati e gli associati in partecipazione. Per ogni lavoratore va indicata una
serie di dati, tra cui qualifica, livello, retribuzione, anzianità di servizio, oltre che la retribuzione e i rimborsi
spese. Esso deve contenere il calendario delle presenze da cui risultino le ore di lavoro ordinario e straordi -
nario per ogni giorno, le assenze, le ferie e i riposi. La consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni ef-
fettuate nel libro equivale alla consegna del cedolino paga.
L'art. 603 bis cod. pen. ha previsto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro punito con
la reclusione da 5 a 8 anni, la cui fattispecie costitutiva prevede lo sfruttamento mediante violenza o minac -
ce o intimidazioni con approfittamento dello stato di disoccupazione o di necessità.
Anche la formazione professionale è considerata un fattore essenziale per la crescita dell'occupazione e a
tal fine è previsto il collegamento con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro.
I lavoratori che rifiutino il reinserimento o la formazione o offerte di lavoro congrue decadono dai tratta-
menti di integrazione salariale, di mobilità e di disoccupazione e perdono lo stato di disoccupati.
CAPITOLO 7 “Il rapporto di lavoro”
51 I POTERI DEL DATORE DI LAVORO
51.1 CONTRATTO INDIVIDUALE E POTERI DEL DATORE DI LAVORO - Nello svolgimento del rapporto di lavo-
ro operano regole stabilite consensualmente, ma anche atti unilaterali del datore di lavoro, necessari per
conseguire i propri obiettivi. Il rapporto lavorativo è caratterizzato dalla preminenza del datore di lavoro e
dalla situazione di soggezione del lavoratore, che opera alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprendito -
re. Quindi, il lavoratore deve osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite
dall'imprenditore e dai suoi collaboratori. In particolare, il datore esercita un potere direttivo, per rendere
la prestazione lavorativa conforme alle esigenze dell'organizzazione, un potere di controllo, per verificare
l'esatto adempimento degli obblighi del dipendente, e un potere disciplinare, per punire il lavoratore ina-
dempiente. Anche nel lavoro pubblico le PA operano con i poteri del privato datore di lavoro, in base alle di-
sposizioni del codice civile e delle altre leggi sul lavoro nell'impresa, salvo diverse disposizioni espresse.
51.2 LA LIMITAZIONE DEI POTERI DEL DATORE DI LAVORO - I poteri del datore di lavoro non sono limitati
semplicemente dalle norme costituzionali, come riteneva parte della dottrina, ma da norme di legge e con-
trattuali, secondo l'impostazione attualmente prevalsa. Ma le norme di legge e le norme contrattuali posso-
no tutelare veramente il lavoratore solo se il lavoratore può usarle contro il datore, senza per questo rischia-
re il licenziamento.
Queste norme prevedono, per limitare i poteri del datore, degli obblighi a suo carico di fare o di non fare,
sancendo l'inefficacia degli atti dei datori che violano tali obblighi, atti che per di più rappresentano inadem -
pimenti contrattuali.
I limiti possono essere di vario tipo:
- positivi (se introducono obblighi di fare, es. assunzione, promozione) o negativi (se pongono obbli-
ghi di non fare e comportano inefficacia dell'atto, es. licenziamento ingiustificato, controlli vietati);
- di fonte legale o contrattuale;
- finali (se vietano o impongono determinate atti, es. divieto di atti discriminatori) o procedimentali
(se impongono il rispetto di determinate procedure per esercitare un potere, spesso con la parteci -
pazione necessaria del sindacato e/o PA, ad es. potere disciplinare);
- interni (se impongono la destinazione dell'atto alla funzione per la quale il potere è attribuito, es.
giustificazione del licenziamento) o esterni (se tutelano l'interesse di un soggetto diverso dal titolare
del potere, es. necessità del nulla osta del sindacato di appartenenza per il trasferimento del diri-
gente sindacale aziendale);
- ad efficacia reale (se l'atto vietato è considerato inesistente) o ad efficacia obbligatoria (se l'atto
vietato produce i suoi effetti, ma espone il datore a sanzioni e conseguenze negative).
Il giudice, anche in presenza di una regola di giustificazione necessaria, non può sindacare le scelte econo-
mico-organizzative del datore di lavoro, ma solo la loro effettività ed il nesso causale con il provvedimento
adottato.

52 POTERE DIRETTIVO E OBBLIGHI DEL LAVORATORE


1) Potere direttivo e obbligo di lavorare con obbedienza e diligenza. L'obbligazione principale del lavorato-
re consiste nell'esecuzione della prestazione lavorativa pattuita. Pertanto il lavoratore deve osservare le di-
sposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprendi -
tore e dai collaboratori di questo, dai quali gerarchicamente dipende. La struttura gerarchica dell'impresa s
riflette anche sui rapporti di lavoro, anche se alcune nuove forme di organizzazione della produzione tendo-
no a concedere al lavoratore subordinato una certa autonomia operativa.
Il lavoratore deve rifiutare l'obbedienza agli ordini illeciti e può rifiutarla, in via di autotutela conservativa,
agli ordini lesivi dei suoi diritti.
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 cod.
civ.). Si tratta della specificazione, con riferimento al lavoro subordinato, del principio secondo cui nell'a-
dempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi
con riguardo alla natura dell'attività esercitata. Tale diligenza deve parametrarsi anche all'interesse dell'im -
presa, da intendersi come l'interesse del creditore datore di lavoro.
2) L'obbligo di fedeltà. Oltre all'obbligo principale di lavorare, il lavoratore subordinato deve rispettare altri
due obblighi di non fare, derivanti dall'art. 2105 cod. civ., detti obblighi di protezione, in quanto diretti a
proteggere la capacità dell'impresa di fare concorrenza alle altre imprese:
1) il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con
l'imprenditore → la violazione costituisce inadempimento contrattuale del lavoratore e tale divieto
riguarda anche la concorrenza lecita, quindi non deve essere confuso con il generale divieto di con-
correnza sleale, che prescinde da un rapporto tra le parti e può essere fonte di responsabilità extra-
contrattuale. Il lavoratore può stipulare con l'imprenditore un patto di non concorrenza, limitando
la propria libertà anche per il periodo successivo alla fine del rapporto. Questo patto può contenere
clausole molto pregiudizievoli per il lavoratore, quindi il legislatore prevede condizioni più rigorose a
pena di nullità del patto (forma scritta, limiti di oggetto, limiti di luogo, ...);
2) il prestatore non deve divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione del -
l'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. Le notizie protette sono quelle
tecnico-produttive, ma anche quelle relative agli aspetti amministrativi e commerciali dell'azienda.
Restano escluse le conoscenze entrate a far parte del patrimonio professionale del lavoratore (pur-
ché non includano segreti aziendali). Il divieto in esame, per sua stessa funzione, opera anche nel
periodo successivo alla fine del rapporto. A questa disciplina si aggiunge la tutela penale dei segreti
professionali, anche scientifici e industriali.
3) Altri obblighi e oneri per il lavoratore. Gli obblighi del lavoratore subordinato in quanto tale, senza alcun
tipo di pattuizione, sono previsti dagli artt. 2094 e 2104 cod. civ.: essi lo obbligano all'esecuzione della pre-
stazione lavorativa, ma anche ad altri comportamenti funzionali alla disciplina del lavoro, quindi alla tutela
dell'organizzazione. Sempre su queste disposizioni si fondano gli obblighi di preparazione all'adempimento,
che vincolano il dipendente a determinate condotte extra-lavorative necessarie ad un successivo utile svol-
gimento della prestazione.
Si parla infine di oneri del lavoratore per indicare il fatto che il lavoratore deve tenere una determinata con-
dotta nella vita privata, ad esempio evitando reati infamanti, che potrebbero giustificare il suo licenziamen -
to non per motivi disciplinari, ma in quanto indici di sopravvenuta inidoneità professionale. Queste condot-
te, inerenti alla sfera privata del lavoratore ma rilevanti ai fini dell'attitudine professionale, aumentano nei
rapporti con le organizzazioni di tendenza, le cui finalità ideologiche possono imporre particolari requisiti di
idoneità.

53 L'OGGETTO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA


53.1 MANSIONI, QUALIFICHE, CATEGORIE - Nel contratto di lavoro non può essere dedotta un'attività im-
precisata, perché in quel caso il contratto sarebbe nullo per indeterminatezza dell'oggetto.
Le mansioni, ossia i compiti che il lavoratore deve espletare, devono essere specificate nel contratto di lavo -
ro e nel loro insieme formano una qualifica (figura professionale prevista nei contratti collettivi, individua la
posizione occupata dal prestatore nell'organizzazione aziendale). Le qualifiche a loro volta sono raggruppate
in quattro categorie: operai, impiegati, quadri e dirigenti.
All'atto dell'assunzione, il datore deve comunicare al lavoratore a quale categoria e qualifica appartiene, in
base alle mansioni che gli sono assegnate.
53.2 LA CLASSIFICAZIONE COLLETTIVA DELLE MANSIONI - Ad ogni qualifica corrisponde un determinato
trattamento economico e normativo, secondo un criterio di proporzionamento alla qualità del lavoro. Il va-
lore delle diverse qualifiche nel mercato del lavoro è fissato dai contratti collettivi.
Fino agli anni 70, vi era una netta distinzione tra operai e impiegati, ridimensionata con l'inquadramento
unico di operai e impiegati, avvenuto nel 1973-1974, secondo il quale sono stati distribuiti tutti insieme su
una sola scala classificatoria articolata in livelli.
La categoria dei quadri è stata introdotta nel 1985, mentre i dirigenti hanno sindacati e contratti collettivi
del tutto distinti da quelli del restante personale.
53.3 L'INQUADRAMENTO DEL LAVORATORE - Il lavoratore ha diritto ad essere inquadrato, ossia deve esse-
re formalmente assunto e deve essere inserito nel livello contrattuale corrispondente alle mansioni oggetti -
vamente attribuitegli, indipendentemente dalla sua professionalità soggettiva. Sono nulli eventuali inqua-
dramenti peggiorativi e le clausole collettive di inquadramento formale, che condizionano l'accesso ad una
determinata categoria. Se il lavoratore esegue mansioni di vario tipo, l'inquadramento si determina in base
alle mansioni prevalenti.
Nel caso in cui il lavoratore pretenda un inquadramento superiore a quello riconosciutogli dal datore di la-
voro, il giudice deve catalogare le mansioni effettivamente svolte secondo la classificazione del contratto
collettivo.
53.4 OPERAI E IMPIEGATI - La distinzione tra operai e impiegati, più che poggiare su vecchi criteri (profes-
sionalità, manualità o intellettualità delle prestazioni), deve essere fondato sul fatto che l'impiegato collabo-
ra all'impresa, ossia all'organizzazione della produzione, mentre gli operai collaborano nell'impresa, cioè alla
produzione in un'organizzazione già predisposta. A seguito dell'inquadramento unico realizzato sono state
superate quasi tutte le differenze di disciplina, anche se i livelli superiori con il relativo trattamento sono ri -
servati ancora a qualifiche impiegatizie.
53.5 I QUADRI - La categoria dei quadri è intermedia tra dirigenti e impiegati: i quadri sono lavoratori, non
dirigenti, ma con funzioni continuative di grande rilevanza per gli obiettivi dell'impresa. La loro disciplina è
prevalentemente fissata dalla contrattazione collettiva, salvo poche disposizioni di legge (responsabilità civi-
le verso terzi, accesso alla qualifica per esercizio di mansioni di fatto).
53.6 I DIRIGENTI - Quella dei dirigenti è la categoria più elevata, disciplinata dai contratti collettivi, alla sti -
pula dei quali provvedono sindacati che sono distinti da quelli degli altri lavoratori.
→ Nullità delle clausole collettive di inquadramento formale, secondo le quali non potrebbe essere qualifi-
cato dirigente chi non fosse nominato tale dal datore di lavoro.
Nonostante opinioni contrastanti, sono veri e propri dirigenti nelle organizzazioni complesse anche quelli
minori, a loro volta coordinati da altri dirigenti, purché rientrino nella definizione collettiva della categoria,
che a volte ne differenzia anche la disciplina. Non sono veri dirigenti i cosiddetti pseudodirigenti, ossia quei
dipendenti con mansioni non dirigenziali inquadrati in via di favore come dirigenti dal datore di lavoro. Per
tale motivo si è ritenuto che la protezione legale contro i licenziamenti ingiustificati, espressamente esclusa
per i dirigenti, debba valere per gli pseudodirigenti.
I dirigenti, sin dal periodo corporativo, hanno un'organizzazione sindacale distinta da quella degli altri lavo-
ratori, proprio a causa del vincolo di particolare fiducia che li lega al datore di lavoro, di cui sono chiamati a
fare le veci nei confronti del restante personale. La disciplina legale del rapporto dei dirigenti è caratterizza -
ta dall'esclusione di alcune tutele, come in materia di orario di lavoro e riposi, di contratto a tempo determi -
nato e di licenziamento ingiustificato, per il quale solitamente opera una disciplina collettiva.
A volte i dirigenti sono utilizzati quali amministratori o sindaci di società collegate (lavoro gestorio); altre
volte cumulano con la posizione di dirigente quella di amministratore della stessa società datrice di lavoro,
ma in questo caso il rapporto di lavoro subordinato può sussistere solo se il dirigente risponde come tale al
consiglio di amministrazione di cui pure fa parte.
Per quanto riguarda i dirigenti delle PA, per i quali sono stipulati appositi contratti d'area, è prevista
una disciplina apposita (L. 145/2002, d. lgs. 150/2009). La disciplina è dettata per i dirigenti dello
Stato, ma le amministrazioni non statali devono adeguare i propri ordinamenti ai medesimi principi.
Agli organi di governo spettano solo le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo,
mentre l'attuazione e gestione mediante ampi poteri decisionali è riservata ai dirigenti.
I dirigenti sono distinti in due fasce ed inseriti in un apposito ruolo istituito per ciascuna amministra -
zione dello Stato. L'accesso alla qualifica dirigenziale avviene mediante concorso per esami oppure
corso-concorso selettivo di formazione presso la scuola superiore della PA. L'accesso alla prima fa-
scia avviene tramite concorso per titoli ed esami riservato ai dirigenti con almeno 5 anni di anzianità
nel ruolo e ad altri soggetti in possesso di titoli necessari oppure per promozione automatica del di -
rigente di seconda fascia che abbia ricoperto per almeno 5 anni incarichi di direzione di uffici diri-
genziali generali purché non in posizione di prestito.
Gli incarichi di funzioni dirigenziali sono conferiti ai dirigenti di ruolo anche di altre amministrazioni
o a soggetti esterni. Tali incarichi sono a tempo determinato non inferiore a 3 e non superiore a 5
anni, con espressa disapplicazione della disciplina dell'art. 2103 cod. civ. al fine di evitare qualsiasi
pretesa di stabilizzazione nell'incarico dopo la scadenza del termine o di conferimento di incarichi
equivalenti.
Gli incarichi di direzione di strutture articolate in direzioni generali cessano automaticamente dopo
90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo (spoils system). Lo spoils system nello Stato e nelle ammi-
nistrazioni può riguardare solo i dirigenti apicali nominati direttamente dall'organo politico ed ope-
ranti in rapporto di stretta contiguità con lo stesso, mentre per gli altri dirigenti travolgerebbe l'indi -
spensabile distinzione tra politica e amministrazione violando i principi di imparzialità, buon anda-
mento e continuità dell'azione amministrativa garantiti dagli artt. 97-98 Cost. ed attuati mediante il
normale procedimento di revoca degli incarichi.
Sulla base della responsabilità del dirigente per il risultato dell'attività dell'ufficio al quale è prepo-
sto, il mancato raggiungimento degli obiettivi e l'inosservanza delle direttive, previa contestazione e
contraddittorio, impediscono il rinnovo dello stesso incarico (nei casi più gravi è disposta la revoca
anticipata dell'incarico o perfino il licenziamento).

LA MODIFICAZIONE DELLE MANSIONI


A) I LIMITI DELL'INQUADRAMENTO E DELL'IRRIDUCIBILITÀ DELLA RETRIBUZIONE
Nell'ambito delle mansioni pattuite al momento dell'assunzione il datore di lavoro sceglie, di volta in volta,
mediante l'esercizio del potere direttivo quali far svolgere in concreto al lavoratore. In base all'art. 2103
cod. civ., "il lavoratore può essere adibito anche a mansioni diverse da quelle per le quali fu assunto, purché
tali mansioni siano equivalenti (vietate quelle inferiori) alle ultime effettivamente svolte":
- se si ritiene che le mansioni equivalenti siano già implicitamente contenute nel contratto, l'asse-
gnazione di mansioni equivalenti rientra nel potere direttivo del datore;
- se si ritiene, invece, che tali mansioni siano esterne al contratto, si deve ritenere che il datore le
possa imporre o esercitando un potere unilaterale o solo con il consenso del lavoratore.
Per mansioni equivalenti si intendono quelle che fanno parte del patrimonio professionale acquisito dal la-
voratore. In base alla garanzia della irriducibilità della retribuzione, "il lavoratore che esegue mansioni
equivalenti non può vedersi ridurre alcuna voce retributiva" (art. 2013 comma 1). "È legittimo, quindi, adi-
bire il lavoratore a mansioni equivalenti, mentre è illegittimo adibirlo a mansioni inferiori, perciò qualsiasi
disciplina che invece prevede il passaggio a mansioni inferiori è nulla" (art. 2103 comma 2).
Sono ammesse assegnazioni a mansioni inferiori solo in casi eccezionali, come nel caso in cui sia necessario
tutelare la salute della lavoratrice gestante, o evitare il licenziamento collettivo.
L'art. 2103 cod. civ. prevede che il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di in-
quadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria, a condizione che siano modificati gli as-
setti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore. Il lavoratore ha comunque diritto alla
conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, nonostante l'asse-
gnazione di mansioni inferiori; quindi cambiano le mansioni ma il livello e la retribuzione restano identici.
Il datore di lavoro e il lavoratore in una sede assistita possono modificare consensualmente per il futuro le
mansioni, la categoria e il livello di inquadramento e la relativa retribuzione (modificazione consensuale del
contratto individuale di lavoro).
Il divieto di adibizione a mansioni inferiori comprende anche la sottrazione di compiti qualitativamente ri-
levanti e la totale privazione di ogni compito, che lascia il lavoratore completamente inutilizzato in azienda;
in entrambi i casi (mansioni inferiori o sottratte) il lavoratore può chiedere:
- l'accertamento della nullità dell'atto/patto;
- la condanna del datore di lavoro a risarcirlo o a riassegnargli mansioni equivalenti;
- un provvedimento cautelare se sono attaccati i beni personali del lavoratore (professionalità, im -
magine, dignità, salute).
In ogni caso, il lavoratore può difendersi non solo ricorrendo all'autorità giudiziaria, ma anche da solo con
atti di autotutela, ossia rifiutando di eseguire le mansioni inferiori e continuando a eseguire quelle prece-
dentemente svolte, costringendo in tal modo il datore a versargli la retribuzione prevista per le mansioni
precedenti.
B) LA PROMOZIONE
La promozione ad una qualifica superiore costituisce una modifica dell'oggetto del contratto, per cui richie-
de il consenso del lavoratore, che può essere dato anche con comportamenti concludenti. Normalmente,
tranne i casi di promozione automatica per anzianità di servizio, il datore è libero di scegliere quali lavoratori
promuovere.
Quando vi sono concorsi privatistici per promozione, il datore è vincolato ad assumere i lavoratori che ab-
biano vinto il concorso e se non lo fa si verifica un inadempimento contrattuale, tanto che il lavoratore, se il
concorso era basato su parametri oggettivi, può ottenere dal giudice un ordine che impone la sua promozio -
ne. Se la selezione si basa su valutazioni discrezionali, il lavoratore pregiudicato può chiedere solo una con-
danna, incoercibile, alla ripetizione delle operazioni concorsuali e al risarcimento del danno subito.
La promozione non è imposta dal giudice, ma direttamente dalla legge, quando il lavoratore sia stato asse-
gnato a mansioni superiori per almeno 6 mesi o per il minor periodo previsto dai contratti collettivi, salvo
che ciò sia avvenuto per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.
Questo principio risponde all'idea per cui se il datore di lavoro utilizza per un adeguato lasso di tempo il di-
pendente in una posizione superiore, reputandolo quindi idoneo, è opportuno assegnare definitivamente a
tale lavoratore la posizione ricoperta, impedendo una successiva retrocessione. Si spiega così l'eccezione,
con onere probatorio a carico dell'imprenditore, secondo cui se la posizione superiore non è vacante, ma
appartiene ad un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, il sostituto non matura il dirit-
to alla promozione automatica a prescindere dalla durata della sostituzione, proprio perché al rientro del
sostituto non ci sarà più nessuna posizione superiore disponibile.
Sotto l'aspetto retributivo, nel periodo di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al tratta-
mento corrispondente all'attività svolta, in applicazione del principio di costituzionale ex art. 36 Cost. di
adeguatezza della retribuzione.
C) LA DISCIPLINA PER I DIPENDENTI PUBBLICI
Anche i dipendenti pubblici possono essere adibiti a mansioni equivalenti, ma solo per colmare un vuoto in
organico superiore a 6 mesi o per sostituire un lavoratore assente non per ferie con diritto alla conservazio -
ne del posto. L'assegnazione a mansioni superiori, però, non comporta mai una promozione automatica,
per la quale occorre un concorso.
Sono stati ritenuti incompatibili con il principio costituzionale i concorsi per accesso ad area superiore riser-
vati in via esclusiva o prevalente ai lavoratori già in servizio in quanto equiparati ai concorsi per assunzione,
con giurisdizione del giudice amministrativo, mentre sono considerate selezioni di natura privatistica con il
relativo regime e la giurisdizione del giudice del lavoro quelle per posizione retributiva o livello superiore
senza passaggio di area in base alle disposizioni dei contratti collettivi.
- I dipendenti pubblici sono inquadrati in almeno 3 distinte aree funzionali.
- Le progressioni orizzontali (o economiche) all'interno della stessa area avvengono mediante prin-
cipi di selettività.
- Le progressioni verticali (o di carriera) da un'area all'altra avvengono tramite concorso pubblico
con possibile riserva di posti a favore del personale interno non superiore al 50% di quelli ammessi a
concorso.
La rigidità del sistema è attenuata da apposite leggi di reinquadramento in base alle mansioni svolte ed al
superamento di una prova idoneativa. L'assegnazione di mansioni superiori è consentita solo in caso di va-
canza di posto per non più di 6 mesi, prorogabili fino a 12, da avviare nel termine massimo di 90 giorni dal-
l'assegnazione, e sostituzione di altro dipendente assente, ma non per ferie, con diritto alla conservazione
del posto.
Il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente alla qualifica superiore, così legittimamente assegnata,
per il periodo di effettiva prestazione.

53.10 LE INVENZIONI DEL LAVORATORE - In base all'art. 2590 cod. civ. il prestatore di lavoro ha diritto di
essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro.
L'invenzione può essere:
- di servizio, se è dedotta come oggetto del contratto di lavoro (è quindi retribuita) e i diritti patrimoniali
spettano al datore di lavoro;
- d'azienda, se non costituisce oggetto di prestazione lavorative, ma avviene durante l'esecuzione della pre -
stazione e i diritti patrimoniali spettano al datore di lavoro, che, se utilizza l'invenzione in regime di segretez-
za industriale o consegue il brevetto, è obbligato a pagare al lavoratore un equo premio;
- libera, se avviene al di fuori del rapporto di lavoro e i diritti patrimoniali spettano al lavoratore, salvo il di -
ritto del datore di acquistare dietro corrispettivo l'uso del brevetto, qualora l'invenzione rientri nel campo di
attività aziendale.
Se le parti non raggiungono un accordo riguardo l'equo premio o il canone o il prezzo per l'invenzione è pre-
visto dalla legge un ricorso ad un collegio di arbitratori che decide con equo apprezzamento, impugnabile di
fronte al giudice solo per erroneità o manifesta iniquità. I contratti collettivi possono definire le modalità di
determinazione di tali importi per tutti i tipi di invenzioni o innovazioni, sulla base dell'art. 4, L. 190/1985.
Per l'invenzione del lavoratore avente ad oggetto la creazione di un software è prevista l'applicazione della
disciplina delle invenzioni di servizio qualora la realizzazione avvenga nello svolgimento delle mansioni o su
istruzioni del datore di lavoro.
53.11 LA RESPONSABILITÀ PER GLI ILLECITI COMMESSI DAL LAVORATORE NELLO SVOLGIMENTO DELLE
MANSIONI - Il lavoratore è responsabile per gli illeciti civili o penali commessi nello svolgimento delle man -
sioni.
Per gli illeciti penali dei dipendenti, non si configura una responsabilità penale del datore, poiché la respon-
sabilità penale è personale. Inoltre, la responsabilità penale del datore è esclusa in presenza di una delega
di attività ad un dipendente idoneo e munito dei necessari poteri esercitati senza intervento da parte del
delegante.
Per gli illeciti civili, si applica l'art. 2049 cod. civ. in base al quale i datori sono responsabili del danno arreca-
to dal fatto illecito dei loro dipendenti, commesso nell'esercizio delle mansioni lavorative. Si tratta di una re-
sponsabilità oggettiva per fatto altrui; il fondamento di questa responsabilità indiretta risiede nel vincolo di
subordinazione, che il legislatore ritiene sufficiente per addossare al datore di lavoro beneficiario dell'attivi -
tà le conseguenze negative dell'operato del dipendente, per tutelare il terzo danneggiato.
La condotta dei dipendenti si riflette nella sfera giuridica del datore di lavoro non solo per la responsabilità
extracontrattuale, ma anche in relazione alla responsabilità contrattuale per l'inadempimento di obbligazio -
ni gravanti sul datore di lavoro.
Il datore, però, dopo aver risarcito il danno a seguito dell'illecito del dipendente, può rivalersi nei confronti
del lavoratore se questi ha commesso un inadempimento contrattuale. A tutela del lavoratore è previsto
l'obbligo del datore di lavoro di assicurare contro il rischio di responsabilità civile verso terzi i quadri e gli al -
tri dipendenti addetti a mansioni che li espongono particolarmente al rischio di cagionare danni a terzi.

54 IL LUOGO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA


54.1 LUOGO DELLA PRESTAZIONE, TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE E DISTINZIONE DA ALTRE FIGURE -
La prestazione lavorativa può svolgersi all'interno dei locali aziendali, ma anche fuori, a seconda del tipo di
mansioni. Quando la prestazione è svolta in locali del lavoratore si configura il lavoro a domicilio.
Il luogo dello svolgimento della prestazione lavorativa può essere stabilito dalle parti del contratto indivi -
duale, con un patto di inamovibilità, che impone il consenso bilaterale per ogni eventuale spostamento. In
assenza di tale patto, la scelta del luogo della prestazione lavorativa rientra nel potere direttivo del datore,
al quale compete anche la scelta di modificare tale luogo, attraverso il trasferimento, che rappresenta uno
spostamento tendenzialmente definitivo del luogo di lavoro. Nel disporre il trasferimento, il datore incontra
un preciso limite interno, nel senso che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad
un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Queste comprovate ragioni non occorrono per giustificare la trasferta, ossia una variazione provvisoria, con-
tro la quale il lavoratore può ricorrere solo lamentando che essa è stata determinata da motivo illecito, di -
scriminatorio o fraudolento.
Si parla, invece, di lavoro itinerante, quando il lavoratore svolge la propria prestazione in luoghi sempre di-
versi e provvisori: in tal caso, o si applica lo specifico trattamento previsto dal contratto collettivo, o, in man -
canza, si applica la disciplina della trasferta.
Diverso sia dalla trasferta che dal trasferimento, è il comando, con cui il datore, pur restando obbligato al
pagamento della retribuzione, sposta il lavoratore presso un altro datore di lavoro, al quale cede il potere di-
rettivo.
54.2 IL MUTAMENTO DI UNITÀ PRODUTTIVA - Le comprovate ragioni tecnico-organizzative occorrono solo
per giustificare il trasferimento del lavoratore da una unità produttiva all’altra, ma non per i trasferimenti al-
l’interno della medesima unità produttiva, per i quali si può solo contestare eventualmente il motivo illeci-
to o discriminatorio del trasferimento.
Per l'individuazione del regime da applicare è essenziale la nozione di unità produttiva, che è la stessa utiliz-
zata nello Statuto dei lavoratori con riferimento alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Quindi il legislatore, con la regola di giustificazione necessaria del trasferimento, ha voluto tutelare il lavora -
tore contro spostamenti che lo sradichino dall'azienda e dal relativo gruppo di dipendenti in cui e per cui
può godere della tutela sindacale. Di solito tali spostamenti coincidono con modificazioni geografiche del
luogo di lavoro, ma non sono queste l'oggetto della norma.
54.3 FORMA E CONTENUTO DELLA COMUNICAZIONE DI TRASFERIMENTO - La legge non prevede alcuna
forma particolare né un obbligo di preavviso per il trasferimento: tali formalità possono essere previste dai
contratti collettivi. La comunicazione del trasferimento, secondo la giurisprudenza, deve essere motivata, a
richiesta del lavoratore, il quale può impugnare il trasferimento nei termini previsti per l’impugnazione del
licenziamento.
54.4 LA GIUSTIFICAZIONE DEL TRASFERIMENTO - Si è detto che il trasferimento deciso unilateralmente dal
datore richiede comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, la cui sussistenza deve essere pro -
vata dal datore. L'onere della prova della necessaria giustificazione del trasferimento unilaterale grava sul
datore di lavoro, secondo il principio generale ex art. 2697 cod. civ. (si tratta di un fatto costitutivo dell'eser-
cizio legittimo del potere di trasferimento).
Le ragioni comprovate possono considerarsi sussistenti se sono oggettivamente convenienti sia per l’unità
produttiva originaria sia per quella nella quale viene trasferito il lavoratore: il giudice non può sindacare la
scelta aziendale, ma può accertare se le ragioni addotte sono effettive e se esse sono state effettivamente
la causa del trasferimento. Per la legittimità del trasferimento non è necessario che sia dimostrata la sua
inevitabilità, nel senso che il datore ha la facoltà di scegliere tra più soluzioni alternative tutte egualmente
ragionevoli e in sintonia con le esigenze dell'organizzazione produttiva adottata.
Lo stesso criterio della oggettiva convenienza aziendale determina la scelta di quale lavoratore trasferire,
fermo restando che i contratti collettivi possono tutelare determinati lavoratori per le loro particolari condi -
zioni personali e familiari.
Non è mai consentito un trasferimento per motivi disciplinari. La giurisprudenza ammette come giustifica-
zione la tensione ambientale e l'incompatibilità con i colleghi, valutando gli effetti disorganizzativi.
Le PA possono ricoprire i posti vacanti mediante passaggio diretti di dipendenti che facciano domanda di
trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Le stesse amministrazioni possono tra -
sferire d'ufficio i dipendenti a distanza non superiore a 50 km dalla sede di provenienza.
54.5 LA NULLITÀ DEL PATTI CONTRARI - Sono nulli tutti i patti che in via preventiva deroghino in peius la di -
sciplina legale del trasferimento (art. 2103 cod. civ.).
La disposizione riguarda i patti preventivi, cioè quelli diretti a regolare l'istituto in modo difforme da quanto
previsto dalla legge, consentendo al datore di lavoro di effettuare il trasferimento senza la dovuta giustifica-
zione. Il divieto non significa indisponibilità assoluta e non riguarda gli atti di disposizione successivi alla
maturazione del diritto coincidente con la comunicazione del trasferimento illegittimo, poiché tali atti ri-
mangono disciplinati dall'art. 2113 cod. civ., che tutela l'eventuale interesse del lavoratore ad una concilia-
zione effettivamente conveniente.
54.6 I DIVIETI DI TRASFERIMENTO - Il trasferimento dei dirigenti sindacali aziendali da una unità produttiva
all’altra non può essere disposto senza il nulla osta dell’associazione sindacale di appartenenza, per il perio -
do di durata della carica. Ciò per il periodo di durata della carica e sino alla fine dell'anno successivo in cui
questa è cessata. Non possono essere trasferiti, per il periodo del mandato comunale o provinciale, nean -
che i lavoratori che siano consiglieri comunali o provinciali.
Neppure possono essere trasferite i lavoratori con handicap gravi, le quali hanno anche il diritto di scegliere
la sede di lavoro più vicina al loro domicilio, oltre che i lavoratori che assistono un congiunto, anche non
convivente, disabile, che hanno diritto di scegliere, quando possibile, la sede di lavoro più vicina al domici-
lio della persona da assistere, e le lavoratrici madri fino al compimento di 1 anno di età del bambino.
54.7 I RIMEDI CONTRO IL TRASFERIMENTO ILLEGITTIMO - Il trasferimento illegittimo, privo della necessa-
ria giustificazione, è nullo e può essere impugnato senza alcun termine di decadenza, né si applica alcuna
prescrizione trattandosi di azione di nullità. L'esigenza del datore di lavoro di non restare indefinitamente
esposto a tale azione può essere soddisfatta assegnando un valore concludente all'eventuale comportamen-
to del lavoratore nel senso dell'accettazione del trasferimento. Ad oggi: termini di decadenza per l'impugna -
zione giudiziale e stragiudiziale previsti per il licenziamento.
Oltre che con l’impugnazione in via giudiziale, il lavoratore può difendersi anche in via di autotutela, conti-
nuando a svolgere la prestazione lavorativa presso l’originaria unità produttiva e conservando il diritto alla
retribuzione, anche se in tal modo rischia il licenziamento qualora sia successivamente accertata la legittimi -
tà del trasferimento.

55 LA DURATA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA


55.1 L’ORARIO DI LAVORO - L’orario di lavoro indica sia la quantità della prestazione lavorativa dovuta sia la
distribuzione di tale prestazione in un determinato arco di tempo. Il contratto di lavoro può essere a tempo
pieno o a tempo parziale, a seconda che la durata della prestazione sia quella normale prevista dai contratti
collettivi oppure sia inferiore. Sono tutelati diversi interessi: tutela della persona del lavoratore contro
un'eccessiva durata del lavoro, riduzione della disoccupazione mediante la riduzione della quantità di lavoro
di ciascun occupato per una migliore ripartizione delle occasioni lavorative, e così via.
In Italia, la disciplina è fissata dal d.lgs. n.66/2003, secondo il quale l'orario normale di lavoro è fissato in 40
ore settimanali. La legge, in conformità alle direttive comunitarie, fissa il limite di durata media settimanale
di lavoro, ovvero 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, riferita ad un periodo, depurato da ferie e
malattie, di 4 mesi, elevabile a 12 dai contratti collettivi e fino a 6 mesi con decreto ministeriale per partico -
lari ipotesi in mancanza di disciplina collettiva. Quindi il limite di 48 ore può essere lecitamente superato in
alcune settimane, purché sia rispettato come media nel periodo di riferimento. Da queste disposizioni,
emerge la durata massima dell’orario lavorativo per ogni settimana, mentre la durata massima della singola
giornata lavorativa, si ricava dalla norma che prevede un riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive: il
lavoro giornaliero, a pena di sanzione pecuniaria e di eventuale risarcimento del danno, non può pertanto
superare le 13 ore.
L'adozione del sistema della media plurisettimanale dell'orario normale (orario multiperiodale) costituisce
un forte fattore di flessibilità di organizzazione del lavoro, consentendo di adeguare l'intensità della produ-
zione al variare delle commesse o delle richieste degli utenti e di evitare il lavoro straordinario.
In caso di lavoro giornaliero eccedente le 6 ore, è prevista una pausa di almeno 10 minuti, per recuperare le
energie e per consumare il pasto.
Lo stesso d. lgs. 66/2003 regola anche il lavoro notturno, ossia, quello svolto per almeno 7 ore consecutive
comprendenti l'intervallo dalla mezzanotte alle cinque del mattino. Per lavoratore notturno, si intende
quello che svolge per almeno 80 giorni l’anno almeno 3 ore del suo lavoro nel periodo notturno. A tutela
della salute e dell'incolumità del lavoratore notturno, sono previsti limiti di durata della prestazione lavorati-
va, visite mediche obbligatorie e specifiche visite di prevenzione, oltre ad una maggiorazione retributiva.
Il lavoro notturno è comunque vietato per i minori e per le donne, anche se per queste ultime la Corte Co-
stituzionale ha precisato che il lavoro notturno è vietato penalmente solo dall’accertamento dello stato di
gravidanza al compimento di un anno di età del bambino. Non può essere imposto contemporaneamente
ad entrambi i genitori di un figlio di età inferiore a 3 anni, all'unico genitore affidatario di un figlio conviven -
te di età inferiore a 12 anni e al familiare con a carico un disabile.
Infine, per quanto riguarda il campo di applicazione della disciplina fin qui descritta, essa si applica a tutti i
settori di attività pubblici e privati con le uniche eccezioni del lavoro della gente di mare, del personale di
volo nella aviazione civile, delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e del personale della scuola. Sono esclu -
si, sia pure con il rispetto necessario di limiti di ragionevolezza, i lavoratori per i quali la durata dell'orario
non è misurata o predeterminata oppure è determinata dai lavoratori stessi.
→ Non si applica la disciplina della durata settimanale dell'orario per quanto riguarda i commessi viaggiato-
ri, i giornalisti, il personale delle aree operative di poste, porti, autostrade, aeroporti, ecc.
55.2 IL LAVORO STRAORDINARIO - Il lavoro straordinario consiste nel prolungamento dell'orario normale
ed è anch'esso disciplinato dal d. lgs. 66/2003. Il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere li-
mitato (48 ore medie di lavoro settimanale, incluse quelle straordinarie).
In concreto, sono i contratti collettivi di lavoro che regolamentano le eventuali modalità di esecuzione delle
prestazioni di lavoro straordinario. In mancanza, il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo
accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali. In particolare,
salvo diversa disposizione dei contratti collettivi il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario è inoltre am-
messo in relazione a:
a) casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l'as -
sunzione di altri lavoratori;
b) casi di forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario
possa dare luogo a un pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla produzio-
ne;
c) eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate alla attività produttiva, nonché
allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse.
Sotto l’aspetto retributivo, il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le mag -
giorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro. l contratti collettivi possono in ogni caso con -
sentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi
compensativi.
55.3 IL RIPOSO SETTIMANALE E LE FESTIVITÀ - Nel rispetto dell’art. 36 comma 3 Cost. secondo cui il riposo
settimanale è un diritto irrinunciabile del lavoratore, la legge lo regola disponendo che il lavoratore, salvo
eccezioni, ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di rego -
la in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero. Il suddetto periodo di riposo
consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.
Il riposo di ventiquattro ore consecutive può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere
attuato mediante turni per il personale interessato a modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolare
ovvero addetto ad attività con speciali caratteristiche. Sono comunque fatte salve le disposizioni speciali che
consentono la fruizione del riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica.
La mancata osservanza di queste norme determina l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, oltre
che azioni civili.
Le disposizioni sul riposo settimanale si applicano a tutti i settori di attività pubblici e privati. Sono esclusi le
Forze Armate, le Forze di Polizia anche locale, la gente di mare ed il personale di volo dell'aviazione civile, ol-
tre che il personale viaggiante delle imprese di trasporto terrestre non ferroviario, marittimo e aereo. Per al -
cune categorie di lavoratori (protezione civile, vigili del fuoco, musei, biblioteche) l'esclusione dipende da
particolari esigenze individuate con decreto ministeriale.
Per quanto riguarda le festività, esse sono attualmente previste in numero di 12 annue, di cui 5 civili e 7 reli-
giose. Alcuni contratti collettivi prevedono una doppia retribuzione o giorni aggiuntivi di riposo, al posto del-
le festività soppresse. Per gli appartenenti alle chiede cristiane avventiste e per gli ebrei è previsto il diritto a
godere del riposo settimanale nella giornata di sabato, oltre che per gli ebrei il diritto al riposo nelle festività
religiose ebraiche.
55.4 LE FERIE - Il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a
quattro settimane, al fine di consentirgli il recupero delle energie e la realizzazione di esigenze anche ricrea -
tive personali e familiari. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, va goduto per
almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e,
per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.
Le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile, quindi devono essere concesse nel periodo prescritto, salvo
esigenze eccezionali. In mancanza il lavoratore può autotutelarsi anche dimettendosi per giusta causa, ma è
escluso che possa mettersi in ferie contro la volontà del datore di lavoro.
Se le ferie spettanti non vengono accordate o godute nel periodo prescritto dalla legge o dal contratto col-
lettivo, il lavoratore ha diritto alla indennità per ferie non godute, che può essere corrisposta alla fine del
rapporto. L'indennità sostitutiva costituisce un'ulteriore retribuzione ex art. 2126 cod. civ. per il lavoro ag-
giuntivo non dovuto, fermo restando il diritto del lavoratore al risarcimento dell'eventuale danno causato
dalla mancata fruizione delle ferie nell'anno di riferimento.
In particolare, il lavoratore dovrà provare in giudizio solo l’avvenuta esistenza del rapporto di lavoro, spet-
tando al datore di lavoro provare l’adempimento della sua obbligazione. Solo per gli alti dirigenti, che hanno
il potere di autoassegnarsi le ferie, il datore non risponde del mancato esercizio di tale potere da parte del -
l'interessato, salvo che quest'ultimo dimostri che l'omessa fruizione delle ferie è dipesa da oggettive esigen-
ze aziendali.
Per quanto riguarda il rapporto tra ferie e malattie, a tutela del lavoratore, durante il periodo di malattia
non decorre il periodo di ferie, che resta sospeso e inizia a decorrere solo con la fine della malattia. Anche la
malattia del bambino di età inferiore agli 8 anni che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe le ferie dei
genitori.
Per quanto riguarda diritti e obblighi del lavoratore durante le ferie, egli non deve svolgere la prestazione la-
vorativa ma deve sempre rispettare l’obbligo di correttezza e fedeltà verso il datore, il quale, dal canto suo,
dovrà corrispondergli la stessa retribuzione prevista per il periodo lavorativo.

56 LA SICUREZZA SUL LAVORO


56.1 LA PREVENZIONE E GLI ILLECITI DI PERICOLO - La sicurezza sul lavoro è tutelata dalla norma fonda-
mentale di cui all’art. 2087 cod. civ.: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le mi-
sure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Le norme sulla sicurezza sono contenute nel d. lgs.
81/2008 (Testo Unico sulla sicurezza), modificato dal d.lgs.106/2009. I destinatari della tutela sono tutti i
lavoratori, privati e pubblici, che realizzano la propria attività nell'organizzazione altrui.
Il datore, però, non è tenuto solo a rispettare queste norme, ma deve adottare ogni misura utile alla sicurez -
za, anche al di là di quelle espressamente previste. La conseguente incertezza è accresciuta dall'espressa ri -
comprensione tra i rischi che il datore di lavoro è tenuto ad individuare e prevenire anche di quelli da stress
lavoro-correlato riguardante gruppi di lavoratori. Per indurre il datore a rispettare la sicurezza, sono attual-
mente messe in atto diverse soluzioni: la tecnica penale ingiunzionale, la tecnica premiale e l’autotutela del
lavoratore.
• In base alla tecnica penale ingiunzionale, viene data la possibilità al datore di lavoro di scegliere tra due
alternative: adottare una determinata misura per la sicurezza, sulla base dell'ordine dell'autorità ammini -
strativa competente, o subire la condanna penale prevista per il reato di pericolo, consistente nella colposa
omissione di una specifica misura di sicurezza. poiché l’adozione di essa rappresenta un obbligo infungibile
del datore, ossia un obbligo che solo il datore può adempiere.
- In particolare, il Servizio ispettivo delle aziende sanitarie impone una prescrizione al datore, con
cui indica le misure da adottare per far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavora -
tori durante il lavoro. Se il datore le adotta pagando una sanzione pecuniaria, il reato di pericolo di
estingue, altrimenti deve rispondere di tale reato.
- Anche il Servizio ispettivo della Direzione territoriale del lavoro può impartire disposizioni al datore
sulle misure di sicurezza da adottare, e tali disposizioni possono essere date anche in assenza di un
reato di pericolo, e in presenza della sola violazione civilistica dell’art. 2087 cod. civ.
• La tecnica promozionale, invece, consiste nel promettere dei vantaggi al datore se rispetta la normativa
per la sicurezza: tali vantaggi possono consistere nella riduzione del premio assicurativo da pagare all’INAIL
o in benefici di natura fiscale.
• Infine, attraverso il rimedio dell’autotutela, il lavoratore può rifiutarsi di lavorare (conservando il diritto
alla retribuzione) in un ambiente di lavoro pericoloso per la sua salute e per la sua incolumità: in tal caso il
suo rifiuto può valere come eccezione di inadempimento sollevata a carico del datore.
56.2 LA PROCEDIMENTALIZZAZIONE DELL’OBBLIGO DI SICUREZZA - Il datore di lavoro deve rispettare l’ob-
bligo di sicurezza, osservando le procedure previste dalla legge.
Inizialmente, l’art. 9 dello Statuto dei lavoratori affidava poteri di controllo alle rappresentanze dei lavora-
tori. Successivamente, il d. lgs. 81/2008 ha imposto al datore di lavoro di avvalersi, della collaborazione di
una serie di soggetti (medico competente, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, rappresen -
tante dei lavoratori per la sicurezza) nella redazione di un documento contenente la valutazione dei rischi
esistenti in azienda e la individuazione delle necessarie misure di prevenzione e protezione, da aggiornare
continuamente in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi ed al grado di evoluzione della tecnica
prevenzionistica.
In ogni caso, è sempre il datore che resta il soggetto obbligato a garantire la sicurezza, datore che potrebbe
sempre andare incontro a responsabilità civile e penale, nonostante il documento suddetto, qualora emerga
l’insufficienza delle cautele adottate.
La corretta predisposizione del documento e l'attuazione delle misure in esso previste in aggiunta ai precetti
specifici legali non garantisce il datore di lavoro da successive “bocciature” da parte dei servizi di vigilanza e
dei giudici, che di fronte ad un infortunio potrebbero ritenere insufficienti le cautele adottate, con conse-
guente responsabilità penale e civile dell'imprenditore. Anche i lavoratori sono obbligati a collaborare in vari
modi alla realizzazione della sicurezza. La violazione di tale obbligo può comportare doverose sanzioni disci -
plinari e pensali, oltre che la perdita o la riduzione del risarcimento eventualmente spettante per il danno
derivante da un infortunio causato o aggravato da tale inadempimento.
56.3 LA REPRESSIONE DEGLI ILLECITI DI DANNO - Il datore non è solo responsabile per aver creato il perico-
lo di danno, ma è responsabile penalmente (lesioni colpose, omicidio colposo, dolo eventuale) e civilmente
(risarcimento del danno) quando si verifica concretamente un danno, come l’infortunio professionale o la
malattia professionale derivante dalla inadeguata sicurezza sul lavoro.
Non si tratta di responsabilità oggettiva, ma la giurisprudenza afferma la responsabilità civile e penale del
datore di lavoro per tali eventi, salvo che provi ex art. 1218 cod. civ. di avere adempiuto all'obbligo di sicu-
rezza dimostrando il rispetto delle specifiche disposizioni antinfortunistiche e di aver fatto tutto il possibile
per prevenire l'evento dannoso nel rispetto dell'art. 2087 cod. civ.
I precetti di legge, però, non possono coprire tutte le esigenze prevenzionistiche legate alla concreta realtà
di ciascuna azienda, anche in considerazione delle veloci modificazioni dell'organizzazione produttiva e delle
tecniche protettive. Inoltre, il lavoratore, per avere diritto al risarcimento del danno, deve provare quale
specifica misura per la sicurezza non è stata adottata e che tale mancata adozione ha causato il danno subi -
to.
Per quanto riguarda il risarcimento spettante al lavoratore, questi può avere diritto al risarcimento del dan-
no patrimoniale in senso stretto per la ridotta capacità di guadagno o al danno non patrimoniale, per la le-
sione dell’integrità psicofisica e morale per la sofferenza interiore. Il lavoratore deve anche dedurre tempe -
stivamente e provare il nesso causale tra l'illecito e il danno (art. 1223 cod. civ.), dimostrando che l'omissio-
ne della doverosa misura di sicurezza costituisce elemento insostituibile della serie causale determinativa
dell'evento dannoso e delle sue conseguenze.
La negligenza del lavoratore, che trasgredisca precetti specifici o ordini del datore di lavoro in materia di si-
curezza, è sufficiente ad escludere la responsabilità dell'imprenditore che abbia adottato tutte le necessarie
misure prevenzionistiche, tra le quali non rientra quella di sorveglianza continua.
56.4 IL MOBBING - Il mobbing indica vessazioni di vario tipo volte a perseguitare il lavoratore sul luogo di la-
voro, in violazione dell’art. 2087 cod. civ. che impone il rispetto della personalità morale del lavoratore. Oc-
corre distinguere la condotta già in sé illecita (discriminazioni, molestie, diffamazioni, violenza privata) da al-
tre condotte in sé lecite, ma complessivamente dirette a perseguitare il lavoratore. La sistematicità e per-
manenza della condotta vessatoria caratterizza il fenomeno, ma non può dirsi lo stesso dell'intenzione sog-
gettiva di danneggiare il lavoratore.
Il mobbing può essere:
- discendente, se attuato dal datore di lavoro (bossing). In tal caso, rappresenta un inadempimento
contrattuale da parte del datore per violazione dell’obbligo di non fare (non ledere il lavoratore) e
l'onere della prova grava sul lavoratore;
- orizzontale, se attuato dai colleghi, o ascendente, se attuato da soggetti gerarchicamente sottopo-
sti nei confronti del superiore. In tali casi, rappresenta una violazione dell’obbligo di fare (obbligo di
proteggere il lavoratore) e spetta al datore provare l’adempimento dell’obbligo protettivo.
Contro le pratiche di mobbing, il lavoratore dispone dei rimedi ordinari, come dimissioni per giusta causa,
azione di adempimento nei confronti del datore, azione risarcitoria per i danni subiti.
Se il mobbing è dovuto ad uno dei fattori tipizzati è considerato discriminazione vietata, con la relativa disci-
plina; a tal fine si fa riferimento a molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati aventi lo scopo o l'ef-
fetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliate o of -
fensivo.
Le malattie psichiche derivanti da un'organizzazione del lavoro diretta a emarginare il dipendente, definita
costrittiva, erano considerate malattie professionali, ma questa circolare dell'INAIL è stata annullata. La leg -
ge della Regione Lazio 16/2002, che definiva il mobbing e predisponeva un'organizzazione amministrativa
per contrastare il fenomeno, è stata dichiarata incostituzionale per violazione dell'art. 117 Cost.
L’autore, sul tema, osserva che ultimamente si fa troppo spesso riferimento al mobbing anche quando esso
non ricorre, e si tende a tutelare eccessivamente il lavoratore. In realtà, l’azienda non può certo essere un
luogo di persecuzione del lavoratore o di mortificazione, ma neppure “può diventare una casa di cura per la-
voratori che si atteggiano come delicati cristalli”. Per risolvere il problema potrebbe essere utile l’istituzione
di commissioni paritetiche aziendali, che potrebbero garantire un intervento immediato e non dopo anni
come accade quando si ricorre al giudice.
56.5 L’ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI
- In caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, il lavoratore ha diritto ad un indennizzo corri -
sposto dall’INAIL, con cui il datore deve stipulare un’apposita polizza assicurativa. Nell'ambito di applicazio-
ne dell'assicurazione, il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità civile e conseguentemente il lavora-
tore deve accontentarsi della prestazione previdenziale, anche se il danno effettivo è maggiore.
Per i danni coperti dall’assicurazione (compreso il danno biologico pari ad almeno il 6%), il datore è esonera-
to da responsabilità civile: paga l’INAIL ma dopo il pagamento, l’INAIL si rivale sul datore di lavoro.
Il lavoratore, se prova di aver subito un danno superiore all’indennizzo ricevuto, può ottenere direttamente
dal datore il risarcimento del danno differenziale, se esso deriva da fatti costituenti reati perseguibili d’uffi-
cio: in ordine a tali fatti ed al conseguente danno differenziale, sussiste la responsabilità civile del datore,
che paga direttamente, senza pagamento anticipato dell’INAIL e senza successiva azione di regresso.
56.6 LA TUTELA DEL LAVORO DEI MINORI - Onde evitare che la prestazione dell'attività lavorativa resa dai
minori possa pregiudicare la loro maturazione psicofisica, le norme disciplinano rigorosamente il lavoro dei
minorenni. Sul piano internazionale vigono importanti Convenzioni ONU e OIL, dirette a vietare ogni forma
di schiavitù e di illecito sfruttamento dei minori (lavoro forzato, prostituzione, pornografia), ma anche ad im-
porre un'età minima per l'ammissione al lavoro e l'esclusione da attività pericolose e insalubri.
Per eliminare la piaga del lavoro minorile nei paesi arretrati, che praticano un forte dumping sociale per po -
ter esportare beni a basso costo, si ricorre anche a codici di condotta, marchi sociali, clausole sociali dei trat -
tati di commercio internazionali, con dichiarazioni più o meno vincolanti delle imprese a non produrre e de -
gli Stati avanzati a non importare beni ottenuti con lo sfruttamento del lavoro dei minori. L'effetto immedia-
to, però, può essere un peggioramento della situazione de minori e delle loro famiglie nei paesi poveri.
La disciplina del lavoro minorile è contenuta nella L. 977/1967, nel d. lgs. 345/1999 e nel d. lgs. 262/2000:
le disposizioni sul lavoro dei minori si applicano anche all'apprendistato, ai contratti di formazione e lavoro e
al lavoro a domicilio. I soggetti tutelati sono i minori di 18 anni che hanno un contratto o rapporto di lavoro,
anche speciale. Nell'ambito dei minori la legge 977 distingue tra: bambino, da intendersi come il minore che
non ha ancora compiuto i 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico e adolescente, da in-
tendersi come il minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni di età e che non è più soggetto all'obbligo sco -
lastico. L'ammissione al lavoro è consentita solo per gli adolescenti ed è vietato il lavoro dei bambini, salvo
per attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nello spettacolo, previo assenso dei ge-
nitori e autorizzazione amministrativa.
Prima di adibire i minori al lavoro, il datore è tenuto ad effettuare una specifica valutazione dei rischi e afar
effettuare dall'ASL visite mediche preventive e poi periodiche.
Ricordiamo, inoltre, che ai minori spetta il diritto di non svolgere il lavoro notturno, con eccezione per casi di
forza maggiore, per lavori di breve durata e per lo svolgimento di attività culturali, artistiche, sportive, un ri-
poso settimanale di almeno 2 giorni possibilmente consecutivi, almeno 30 giorni di ferie se non hanno com-
piuto 16 anni o 20 giorni se li hanno compiuti, il diritto alla pari retribuzione degli adulti, a parità di lavoro
(art. 37 comma 3 Cost.). Delle violazione di tale normativa risponde il datore e nei casi più gravi i soggetti
tenuti alla vigilanza, che abbiano consentito l’avvio al lavoro vietato.

57 IL POTERE DI CONTROLLO
57.1 IL CONTROLLO SULL'ATTIVITÀ LAVORATIVA - Il datore di lavoro ha il potere di controllare l’esatta ese-
cuzione della prestazione lavorativa dovutagli, verificando se il dipendente usa la prescritta diligenza e os-
serva le disposizioni impartitegli, anche al fine dell'eventuale esercizio del potere dirigenziale.
A tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, sono previsti dei limiti, come quello secondo cui è
vietato il controllo soggettivamente occulto, ritenuto lesivo della personalità del lavoratore (ma è ammesso
il controllo mediante investigatori privati per accertare l'illecito del dipendente → controllo difensivo) oppu-
re quello secondo cui i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività
lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati. Inoltre, il datore di lavoro può impiegare le
guardie particolari giurate, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Esse non possono conte-
stare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. Lo stesso
datore di lavoro non può adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie, le quali non possono acce -
dere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per
specifiche e motivate esigenze attinenti ai loro compiti.
In merito agli impianti audiovisivi, è vietato l'uso di tali impianti e di altre apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richie-
sti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità
di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le
rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di
accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede la Direzione territoriale del lavoro o il Ministero del lavo -
ro, se le unità produttive dell'impresa sono dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali,
dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.
57.2 I CONTROLLI A TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE - La tutela del patrimonio aziendale può essere
garantita attraverso l'impiego di guardie giurate e di altri addetti.
Le visite personali di controllo sul lavoratore (perquisizioni) sono consentite solo se assolutamente indispen-
sabili per la tutela del patrimonio aziendale, solo all’uscita dal luogo di lavoro, e nel rispetto della dignità e
della riservatezza del lavoratore, e solo secondo le modalità fissate in un accordo con le r.s.a. (l'accordo indi-
vidua le ipotesi di indispensabilità delle visite e le relative modalità nel rispetto delle prescrizioni di legge; in
mancanza dell'accordo dispone il Servizio ispettivo della Direzione territoriale del lavoro). I lavoratori da visi -
tare devono essere individuati attraverso l'applicazione di sistemi di selezione automatica, al fine di evitare
discriminazioni. La perquisizione rispettosa delle condizioni di legge può riguardare anche gli effetti perso -
nali del lavoratore, come borse o sacchetti. Il mancato rispetto di queste norme genera una sanzione penale
a carico del datore, mentre il lavoratore può sottrarsi al controllo illegittimo.
57.3 I CONTROLLI SULLA MALATTIA E SULLA IDONEITÀ FISICA DEL LAVORATORE - Il datore ha interesse a
controllare sia l’effettiva sussistenza della malattia dichiarata dal lavoratore, che sospende l'obbligo di ese-
cuzione della prestazione, sia l'idoneità fisica del lavoratore alle mansioni in sede di assunzione e nel corso
del rapporto.
Questi controlli sanitari sono consentiti purché siano effettuati da medici pubblici estranei all’azienda, in
modo tale da garantire l'imparzialità dell'accertamento. Tale disciplina è costituzionalmente legittima, dal
momento che neppure la visita imparziale può essere coattivamente imposta al lavoratore dissenziente.
L’attuale disciplina dei controlli per malattia (legge 638/1983), modificando quella contenuta nello Statuto
dei lavoratori, tende ad essere più rigida per combattere il fenomeno dell’assenteismo. In particolare, le uni-
tà sanitarie locali predispongono un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno della richiesta, an-
che se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità (10-12, 17-19 nel settore privato; 9-13, 15-18 di
tutti i giorni anche festivi nel settore pubblico) il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti
per tale causa assentatisi dal lavoro e accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante persona -
le non medico, nonché un servizio per visite collegiali presso poliambulatori pubblici per accertamenti spe-
cifici. Qualora il lavoratore, pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato moti-
vo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per i primi giorni di malattia fino al decimo, mentre
per l'eventuale periodo perde la metà del trattamento (esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati
da precedente visita di controllo). La condotta del lavoratore necessaria a consentire la visita costituisce un
onere per evitare la decadenza del diritto alla retribuzione, ma anche un obbligo nei confronti del datore di
lavoro, che può adottare un provvedimento disciplinare per ingiustificata irreperibilità. Il lavoratore deve es -
sere reperibile nelle fasce orarie, ma deve anche consentire l'effettuazione della visita, il cui rifiuto costitui-
sce un illecito disciplinare. Il datore si può anche avvalere di investigatori privati o personale di vigilanza per
verificare se il lavoratore in malattia tenga una condotta compatibile con essa o tenga invece comportamen-
ti che denotano l’inesistenza della malattia o tali da ritardare la guarigione.
57.4 CONTROLLI SULLA IDONEITÀ PROFESSIONALE E PROTEZIONE DELLA VITA PRIVATA DEL LAVORATORE -
La vita privata del lavoratore è tutelata dall’art. 8 Stat. Lav., in base al quale è fatto divieto al datore di lavo-
ro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, an -
che a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti
ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore. Su questo tema è intervenuta anche la
Corte Costituzionale (1994) stabilendo una deroga alla norma sopra indicata: è stato ritenuto illegittimo, per
violazione dell'art. 32 Cost., l'art. 5 comma 3 L. 5 giugno 1990 n. 135, nella parte in cui non prevede accer-
tamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv come condizione per l'espletamento di at-
tività che comportano rischi per la salute di terzi.
Il datore ha il diritto di informarsi sulla persona e sui fatti del lavoratore rilevanti per la valutazione della sua
attitudine professionale, sia in relazione all'idoneità tecnica e fisica, sia in relazione a fatti estranei allo svol -
gimento del rapporto ma tali da eliminare l'interesse alla collaborazione con quel soggetto, legittimando
mancata assunzione o licenziamento, per inidoneità del lavoratore dal punto di vista delle qualità morali e di
immagine richieste dal tipo di prestazione dovuta.
Se un'indagine, condotta dal datore, riguarda un fatto non rilevante professionalmente è vietata ex art. 8
Stat. Lav., mentre se riguarda un fatto rilevante professionalmente è consentita solo nel rispetto della gene-
rale normativa sulla riservatezza. Tuttavia, se l'indagine è disposta per far valere o difendere un diritto in
sede giudiziaria sono esclusi l'obbligo di informazione e la necessità del consenso.
Normalmente, per le indagini sulla vita privata del lavoratore, sono necessari, ex d.lgs. 196 del 2003, l’obbli-
go di informarne il lavoratore e di avere il suo consenso. Tuttavia, con specifico riferimento ai dati sensibili
del lavoratore, le indagini sono possibili se vi l’autorizzazione del Garante, senza necessità del consenso del
lavoratore, quando il trattamento dei dati è necessario per adempiere obblighi di legge per la gestione del
rapporto di lavoro. Tale autorizzazione del Garante non è necessaria per i dati riguardanti l’adesione ad as -
sociazioni sindacali.
A differente disciplina sono sottoposti i dati sensibili, che sono quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale, l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni po -
litiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico e
sindacale. Per questi dati è sufficiente un'autorizzazione del Garante, senza bisogno del consenso dell'inte-
ressato quando il trattamento dei dati è necessario per adempiere obblighi di legge per la gestione del rap -
porto di lavoro, compresa la sicurezza e la previdenza. Il Garante, utilizzando la facoltà di rilascio di autoriz -
zazioni generali relative a determinate categorie di titolari o di trattamenti, ha autorizzato il trattamento di
alcuni dati sensibili nella gestione dei rapporti di lavoro per consentire la fruizione di permessi e aspettative
sindacali e per cariche pubbliche e di festività religiose.

58 IL POTERE DISCIPLINARE
58.1 GENERALITÀ - Il datore, a norma dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 7 Stat. Lav., ha il potere di irrogare
delle sanzioni ai lavoratori che abbiano violato l’obbligo di fedeltà e le disposizioni che disciplinano il rappor -
to di lavoro. Tale potere può essere esercitato solo nel rispetto di determinati limiti legali e contrattuali, a
tutela del lavoratore. In determinati casi (inosservanza da parte del lavoratore di norme sulla sicurezza) il
datore ha il dovere di esercitare il potere disciplinare, in mancanza del quale la sua posizione potrebbe ag -
gravarsi. Se la condotta del lavoratore, oltre a costituire infrazione disciplinare, integra anche gli estremi di
un illecito civile, il datore di lavoro può richiedere il risarcimento del danno eventualmente subito.
58.2 IL CODICE DISCIPLINARE - Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle
quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere
portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione di un codice disciplinare in luogo accessibile a tutti.
Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano; in mancan -
za, il codice disciplinare è predisposto unilateralmente dal datore di lavoro. Sia l'autonomia collettiva che il
datore di lavoro devono rispettare, a pena di nullità della sanzione, la regola legale inderogabile di propor-
zionalità tra sanzione e infrazione (art. 2106 cod. civ.).
Le sanzioni, la cui gravità deve essere proporzionale alla gravità dell’illecito, possono essere conservative se
consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro (rimprovero verbale o scritto, multa, sospensione dal la-
voro o dalla retribuzione), o espulsive (come il licenziamento disciplinare) se fanno venir meno il rapporto
di lavoro. Inoltre, ad eccezione del licenziamento, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che
comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; la multa non può essere disposta per un importo
superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di
dieci giorni.
58.3 IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento discipli-
nare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito
a sua difesa. La contestazione deve essere precisa e tempestiva, quindi fatta in un tempo ragionevolmente
breve a decorrere dal momento in cui datore è venuto a conoscenza dell’illecito. La tempestività della con-
testazione è un presupposto di validità della sanzione, quindi di fronte all'eccezione di tardività spetta al da-
tore di lavoro provare le ragioni giustificatrici del periodo trascorso tra la conoscenza dell'infrazione e la con-
testazione. Il fatto contestato è immutabile, salvo la possibilità di contestazioni integrative. La contestazione
deve essere fatta per iscritto, tranne che per il rimprovero verbale.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce
mandato. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere ap-
plicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
La legge, però, non fissa un termine entro cui, scaduto tale periodo di 5 giorni, debba essere irrogata la san -
zione, ma il datore deve procedere con tempestività poiché altrimenti si presume l’abbandono del procedi -
mento disciplinare.
58.4 L’IMPUGNAZIONE DELLA SANZIONE - Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavo-
ro e ferma restando la facoltà di rivolgersi all'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una
sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, la costituzione di un collegio di concilia -
zione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di
comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro.
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro
non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresen-
tante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro si rivolge all'autorità
giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può, comunque te -
nersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
58.5 LA DISCIPLINA DEI DIPENDENTI PUBBLICI - Per il potere disciplinare delle PA verso i propri dipendenti
sono previste apposite regole (artt. 55 e seguenti, d. lgs. 165/2001 novellato dal d. lgs. 150/2009).
La definizione delle infrazioni e delle corrispondenti sanzioni è affidata ai contratti collettivi, le cui disposi-
zioni vanno coordinate con il codice di comportamento dei dipendenti delle PA. Non è previsto il divieto di
sanzioni comportanti mutamenti definitivi del rapporto o superiori alla sospensione per 10 giorni.
Le infrazioni tipizzate dalla legge con sanzione conservativa sono:
- ingiustificato rifiuto di collaborare o dichiarazioni false/reticenti in relazione ad un procedimento
disciplinare, condotte punite con la sospensione fino a 15 giorni;
- violazione di obblighi da cui sia derivata la condanna della PA al risarcimento del danno, condotta
punita con la sospensione da 3 giorni a 3 mesi;
- mancato esercizio o decadenza dall'azione disciplinare oppure irragionevole valutazione di insussi-
stenza dell'illecito disciplinare, condotte punite con la sospensione fino a 3 mesi (per i dirigenti an-
che perdita della retribuzione di risultato, di un importo doppio rispetto a quello della durata della
sospensione);
- omesso controllo sulle assenze per malattia, condotta punita come la precedente.
Le infrazioni tipizzate dalla legge con sanzione espulsiva sono:
- falsa attestazione della presenza in servizio mediante alterazione del sistema di rilevamento della
presenza o con altre modalità fraudolente, condotta punita con il licenziamento per giusta causa,
con la sanzione penale della reclusione da 1 a 5 anni (applicabile anche al medico e ad altri concor -
renti in caso di assenza mediante certificazione medica falsa) e con il risarcimento del danno pari al
compenso del periodo non lavorato e del danno all'immagine della PA;
- assenza ingiustificata per più di 3 giorni anche non consecutivi in un biennio o per più di 7 giorni in
un decennio, punita con il licenziamento con preavviso;
- mancata ripresa del servizio entro il termine fissato dall'amministrazione in caso di assenza ingiu-
stificata, punita con il licenziamento con preavviso;
- rifiuto ingiustificato del trasferimento, punito con il licenziamento con preavviso;
- gravi e continue condotte nell'ambiente di lavoro aggressive/moleste/ingiuriose/lesive dell'altrui
onore e dignità, punite con il licenziamento per giusta causa;
- insufficiente rendimento per almeno un biennio a causa di continua violazione di obblighi, punito
con il licenziamento con preavviso.
La competenza per il procedimento disciplinare cambia a seconda della gravità dell'infrazione: per le infra -
zioni punite con il rimprovero verbale dispone il contratto collettivo; per le infrazioni punite con sanzioni
fino alla sospensione per 10 giorni provvede il dirigente responsabile della struttura o l'ufficio disciplina; per
le infrazioni punite più gravemente provvede sempre l'ufficio di disciplina realizzandosi una garanzia di
obiettività e competenza della valutazione.
Se viene applicata una sanzione non dovuta o eccessiva permane la responsabilità amministrativa, sia pure
solo per dolo o colpa grave, con limitazione estesa anche alla responsabilità civile.
Il procedimento disciplinare inizia con la contestazione scritta dell'addebito, che deve avvenire a pena di de-
cadenza entro 20 giorni dalla conoscenza dell'infrazione se questa è punibile con sanzione fino alla sospen -
sione per 10 giorni oppure entro 40 giorni per infrazioni più gravi. Se procede l'ufficio di disciplina il termine
per la contestazione decorre dalla ricezione degli atti, che devono essere trasmessi al responsabile della
struttura entro 5 giorni dalla conoscenza dell'infrazione.
Nell'atto di contestazione il dipendente è convocato a difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore o
di un sindacalista, con un preavviso di almeno 10 giorni o di almeno 20 giorni per le infrazioni punibili con
sanzioni superiori alla sospensione di 10 giorni. Il procedimento deve essere concluso, a pena di decadenza,
con l'archiviazione o irrogazione della sanzione entro 60 giorni o 120 giorni giorni per le sanzioni più gravi
della sospensione di 10 giorni. Il termine decorre dalla contestazione dell'addebito, ma se procede l'ufficio
di disciplina il termine decorre dalla data di prima conoscenza del fatto anche da parte del responsabile del -
la struttura di appartenenza.
Tutte le comunicazioni possono avvenire per consegna a mani, posta elettronica certificata, raccomandata
postale con ricevuta di ritorno o fax se indicato dal dipendente.
In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il proce-
dimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest'ultima. In caso di dimissioni
del dipendente, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è sta -
ta disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo
le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici,
che possono comunque prodursi nonostante la cessazione per dimissioni del rapporto di lavoro.
I contratti collettivi possono prevedere, per infrazioni meno gravi di quelle punibili con il licenziamento, una
procedura di conciliazione, da svolgersi dopo la contrattazione e prima dell'irrogazione della sanzione in un
termine non superiore a 30 giorni durante il quale restano sospesi i termini del procedimento disciplinare.
RAPPORTI TRA PROCEDIMENTO PENALE E DISCIPLINARE
Circa la sospensione, se il fatto contestato è anche oggetto di un procedimento penale, il procedimento di -
sciplinare non può essere sospeso se l’infrazione è punibile con una sanzione fino a 10 giorni. Se, invece,
l’infrazione è più grave, il procedimento disciplinare può essere sospeso fino al termine del processo penale
in considerazione della complessità del fatto contestato e della insufficienza degli elementi raccolti a com -
provarlo.
Circa l’efficacia della sentenza, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel
giudizio per responsabilità disciplinare, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce il-
lecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso. Invece, la sentenza penale irrevocabile di condan-
na ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto
all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha
commesso.

59 DIVIETI DI DISCRIMINAZIONE E PARITÀ DI TRATTAMENTO


59.1 NOZIONE E TIPOLOGIA DEGLI ATTI DISCRIMINATORI - Si ha discriminazione vietata quando si applica
un trattamento differenziato sulla base di determinati fattori che la legge considera ingiustificati: le discrimi-
nazioni per altri fattori non rappresentano discriminazioni in senso tecnico e non sono soggetti alla relativa
disciplina. I fattori di discriminazione considerati dalla legge sono le ragioni politiche, sindacali, religiose,
razziali, etniche, di lingua, di sesso, di handicap, di età, di convinzioni personali, di orientamento sessuale, di
convinzioni personali, per infezione da HIV.
La discriminazione può essere individuale o collettiva, a seconda che colpisca un solo soggetto o un gruppo.
Tra le discriminazioni del secondo tipo rientra l'erogazione di trattamenti economici collettivi di miglior favo -
re ai soli dipendenti che si astengano dall'affiliazione o dall'azione sindacale.
Inoltre, la discriminazione può essere diretta (se applica un criterio vietato dalla legge) o indiretta (se appli-
ca un criterio non vietato dalla legge ma idoneo a svantaggiare sostanzialmente un lavoratore con caratteri -
stiche protette dalla legge).
La discriminazione è esclusa quando la differenza di trattamento è essenziale in relazione all'attività lavora -
tiva richiesta o è giustificata da finalità legittime.
59.2 TUTELE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE - Il lavoratore deve provare la discriminazione, ma è agevolato
dal poter presentare anche solo elementi presuntivi della discriminazione, in presenza dei quali sarà il dato -
re a dover provare l’inesistenza della discriminazione. Il datore di lavoro è costretto a dimostrare l'insussi-
stenza della discriminazione, pur potendosi anch'egli avvalere, in base al principio costituzionale della parità
delle armi nel processo, di una prova semipiena al fine di ristabilire l'originaria ripartizione degli oneri pro -
batori. Il rimedio fondamentale contro le discriminazioni è l'azione di nullità, che funziona se l'atto discri-
minatorio interviene nel corso del rapporto e colpisce un singolo lavoratore ledendone la posizione. La nulli-
tà serve a poco contro le discriminazioni in sede di assunzione e contro le discriminazioni collettive, perché
il giudice non può invalidare un'omissione né equiparare in alto il trattamento.
Il lavoratore può avvalersi della tutela inibitoria e ripristinatoria, ossia richiedere al giudice un ordine al da-
tore di cessare la condotta discriminatoria e rimuoverne gli effetti, con sanzioni civili, penali, ed amministra-
tive a carico del datore che non osservi tale ordine.
59.3 INESISTENZA DI UN PRINCIPIO GENERALE DI PARI TRATTAMENTO - Nel nostro ordinamento, non esi-
ste un principio generale di pari trattamento, che imponga al datore di giustificare ogni sua scelta che crei
una differenza tra un lavoratore e l’altro. Se tale principi esistesse, non sarebbe servito a nulla tutta la legi-
slazione limitativa dei poteri del datore e sulla parità, poiché limiti e parità sarebbero stati già assicurati dal
suddetto principio. Inoltre, ammettere l’esistenza di un principio generale di pari trattamento dei lavoratori
darebbe troppa discrezionalità ai giudici, in contrasto con il principio (fissato dall’art. 30 della legge n.183
del 2010 e dalla giurisprudenza) secondo cui il giudice non può effettuare un controllo sul merito delle scel -
te economico-organizzative del datore di lavoro.
59.4 OBBLIGHI SPECIFICI DI PARI TRATTAMENTO - In base all’art. 37 Cost., a donne e minori deve essere ga-
rantito pari trattamento di quello riservato ai lavoratori, a parità di lavoro, da intendersi come parità di man-
sioni e non di rendimento. Sono state, di conseguenza, dichiarate nulle le clausole dei contratti collettivi che
prevedevano, nell'ambito della stessa qualifica, tabelle retributive differenziate per donne e minori, nonché
clausole che per i minori negavano gli scatti di anzianità o stabilivano un'indennità di contingenza ridotta.
Inoltre, l’art. 51 comma 1 Cost. prevede la promozione di pari opportunità tra donne e uomini ai fini dell’ac-
cesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Anche la normativa comunitaria vanta molte disposizioni (es:
direttiva n.2006/54) a tutela del pari trattamento. Questa evoluzione del sistema viene indicata come ten-
denza al passaggio dalla tutela alla parità, cioè da una protezione rigida disincentivante l'occupazione fem-
minile ad una effettiva eguaglianza nell'accesso al lavoro, nelle condizioni di lavoro e nella carriera, anche
mediante appositi consiglieri di parità nazionali, regionali e provinciali.

60 LA RETRIBUZIONE
60.1 LA RETRIBUZIONE NEL RAPPORTO DI LAVORO E NELLA POLITICA ECONOMICA - Nell’ambito del rap-
porto di lavoro, il pagamento della retribuzione, quale corrispettivo del lavoro prestato, rappresenta la prin-
cipale obbligazione del datore e presente la peculiarità di non poter scendere al di sotto di un certo minimo,
per la tutela della posizione del lavoratore quale contraente debole nel rapporto.
Si aggiunge l'esigenza di assicurare al lavoratore la conservazione del posto ed un reddito in situazioni di im -
possibilità temporanea di esecuzione della prestazione.
Nell’ambito della politica economica, la retribuzione è rilevante nel controllo della inflazione e della disoccu-
pazione, il che spiega interventi tendenti a contenere la retribuzioni a livelli sostenibili per l’economia e per
le imprese.
60.2 LA PLURALITÀ DI NOZIONI DI RETRIBUZIONE - Nel nostro ordinamento esistono varie nozioni di retri-
buzione: la retribuzione in senso stretto, le liberalità, i rimborsi, la retribuzione imponibile (ossia quella su
cui si pagano le imposte fiscali) e la retribuzione ai fini previdenziale (ossia quella sulla cui base devono es-
sere pagati i contributi previdenziali). In ogni caso, le vari voci vanno sempre singolarmente considerate e
non le si può far entrare tutte indiscriminatamente nel concetto di retribuzione, come emerge dalla giuri-
sprudenza che ha respinto il concetto di onnicomprensività della retribuzione, in base al quale la retribuzio-
ne dovrebbe contenere ogni somma, a qualsiasi titolo, ricevuta dal lavoratore.
A questo variegato panorama interno al rapporto di lavoro si aggiungono le nozioni di retribuzione imponi-
bile rispettivamente ai fini previdenziali e ai fini tributari, oltre che la differenza fondamentale per cui l'im-
ponibile tributario riguarda le somme effettivamente corrisposte, mentre l'imponibile previdenziale, al fine
di garantire prestazioni adeguate, fa riferimento alla retribuzione effettiva solo se non inferiore a quella sta -
bilita dai contratti collettivi.
La contribuzione previdenziale, per la parte a carico del datore di lavoro, costituisce un costo aggiuntivo ri-
spetto alla retribuzione, mentre l'imposizione fiscale resta interamente a carico del lavoratore, che subisce
le relative ritenute sull'importo lordo della retribuzione da parte del datore di lavoro sostituto d'imposta. La
combinazione di questi due prelievi pubblici fa sì che la retribuzione netta disponibile per il lavoratore sia
molto inferiore al complessivo costo del lavoro.
60.3 I CARATTERI DELLA RETRIBUZIONE - Vengono tradizionalmente qualificate come retribuzione sul piano
del rapporto tra le parti le erogazioni del datore di lavoro caratterizzate da determinatezza o determinabili-
tà, obbligatorietà, onerosità e corrispettività.
La retribuzione deve essere determinata o almeno determinabile nel suo ammontare, è obbligatoria poi-
ché il datore ha l’obbligo e non la facoltà di corrisponderla, è onerosa poiché non rappresenta una donazio-
ne (a tal proposito, le mance date dai clienti sono considerate come piccole donazioni e quindi non costitui -
scono retribuzione, salva l’istituzione in azienda di un apposito fondo mance). La retribuzione è corrispetti-
va, nel senso che è collegata alla permanenza del rapporto di lavoro.
Esulano dalla nozione di retribuzione, i rimborsi delle spese sostenute dal lavoratore nell'interesse del dato-
re.
60.4 L’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGO RETRIBUTIVO - Il datore ha l’obbligo di versare la retribuzione (obbli-
go di dare disciplinato dagli artt. 1176 e seg. cod. civ.), secondo il principio della postnumerazione, ossia
dopo che la prestazione lavorativa è stata effettuata. Essa viene per prassi versata presso la sede del datore,
obbligato anche a consegnare al lavoratore un prospetto paga, con indicazione analitica delle diverse voci
retributive e delle trattenute effettuate.
60.5 IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ - In base all’art. 36 Cost. comma 1, la retribuzione deve essere
proporzionato alla quantità (quanto si lavora, si pensi alla retribuzione del lavoro parziale) ed alla qualità
(come si lavora) del lavoro prestato. A proposito della qualità, la disciplina prevede retribuzioni più alte per
le qualifiche più elevate, mentre per quanto riguarda gli scatti di anzianità previsti dai contratti collettivi
poggiano sulla presunzione che con l’andar del tempo, il lavoratore, acquisendo maggiore esperienza, mi -
gliori la qualità della propria prestazione. La qualità del lavoro viene compensata anche con i premi di pro-
duttività, incentivati dal legislatore mediante l'esonero contributivo (= agevolazione consente al datore di la-
voro di non pagare i contributi a carico azienda per 36 mesi fino a un massimo di 8.060 euro annui).
Il datore può anche assegnare a singoli dipendenti, particolarmente apprezzati, superminimi ad personam.
In ogni caso, il giudice non può sindacare le scelte del datore o dei contratti collettivi in tema di retribuzioni.
Le PA e le società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica non possono erogare retribu -
zioni per lavoro dipendente o compensi per lavoro autonomo non professionale superiori al trattamento del
primo presidente della Cassazione ed in caso di violazione l'ente erogatore e il lavoratore percipiente sono
tenuti a rimborsare per danno erariale un importo pari a 10 volte l'eccedenza non consentita.
60.6 IL PRINCIPIO DI SUFFICIENZA - Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e digni-
tosa. Si tratta di un principio immediatamente precettivo ed operativo, rispetto al quale sono stati i contratti
collettivi ad individuare di volta in volta cosa dovesse intendersi per retribuzione sufficiente.
La legge ha anche ammesso che i contratti collettivi possano prevedere contratti di riallineamento o di
emersione, in base ai quali, in aree molto svantaggiate, è ammessa, pur di incentivare il lavoro, anche il ver-
samento di una retribuzione inferiore a quella minima, con l’obiettivo che essa, nell’arco di un triennio, deb -
ba raggiungere la quota minima prevista dai contratti collettivi nazionali.
Per quanto riguarda i controlli del giudice, questi non può controllare l’entità della retribuzione sufficiente
fissati nei contratti collettivi, ma può controllare se siano giuste le retribuzioni fissate nei contratti individua -
li che non rispettino i contratti collettivi. Ricordiamo, comunque, che già una legge del 1959 (n. 741) delega-
va il governo ad emanare decreti legislativi con obbligo di uniformarsi ai contratti collettivi contemplanti
minimi inderogabili di trattamento economico e normativo, in favore dei lavoratori.
60.7 I RAPPORTI TRA LE FONTI DI DISCIPLINA DELLA RETRIBUZIONE - La retribuzione è regolata sia dalla
legge sia dai contratti collettivi (fonti concorrenti di disciplina), e questi ultimi non possono scendere al di
sotto dei minimi retributivi fissati dalla legge, né possono superare dei tetti massimi stabiliti anch’essi dalla
legge.
60.8 LA TIPOLOGIA DELLA RETRIBUZIONE - La legge (artt. 2099 e 2121 cod. civ.) indica diverse forme di re-
tribuzione: a tempo, a cottimo, partecipazione agli utili o ai prodotti, provvigioni, prestazioni in natura, pre -
mi di produzione.
COMPENSI FISSI
• La principale forma di retribuzione è quella a tempo, legata alla durata della prestazione lavorativa.
• La retribuzione a cottimo, invece, è proporzionale al rendimento del lavoro, misurato secondo para-
metri predeterminati (tariffe di cottimo). In particolare, il prestatore di lavoro deve essere retribuito
secondo il sistema del cottimo quando, in conseguenza dell'organizzazione del lavoro, è vincolato al-
l'osservanza di un determinato ritmo produttivo, o quando la valutazione della sua prestazione è
fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione. Il cottimo è previsto anche nel la-
voro a domicilio, mentre è escluso per gli apprendisti. L'imprenditore è obbligato a comunicare pre-
ventivamente ai lavoratori a cottimo gli elementi della tariffa, le lavorazioni da eseguire ed il com-
penso unitario, oltre che successivamente la quantità di lavoro svolto e il tempo impiegato.
• Altra forma di retribuzione è quella in natura (vitto, alloggio, fringe benefits). Il compenso del lavo-
ratore è dato dai beni prodotti dall’azienda, che in alcuni casi può provocare problemi al lavoratore
per la “traduzione in denaro” (truck system).
COMPENSI VARIABILI
• Il compenso a provvigione è proporzionale al valore degli affari conclusi dal lavoratore per conto
dell'imprenditore. È diffuso nel lavoro autonomo anche parasubordinato (agenti), ma compatibile
anche con il lavoro dipendente, purché si raggiunga il livello di sufficienza retributiva.
• La partecipazione ai prodotti (soprattutto nel settore agricolo e della pesca) consiste nella dazione
di prodotti dell’azienda ai lavoratori, oltre all’aggiunta di un compenso fisso.
• La partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti del-
l'impresa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti
dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
Per l'ammontare corrispondente agli utili spettanti ai lavoratori possono essere emesse speciali categorie di
azioni da assegnare ai lavoratori medesimi, con esclusione del diritto di opzione dei soci. L'azionariato dei
lavoratori è incentivato mediante apposite esenzioni fiscali e contributive.
COME SI ARTICOLA LA RETRIBUZIONE
La retribuzione è composta, anzitutto, da una paga base, fissata dai contratti collettivi. Per adeguare la paga
base all’aumento del costo della vita, era prevista una indennità di contingenza poi abrogata per frenare
l’inflazione. Attualmente, la retribuzione viene adeguata in base a rinnovi contrattuali, secondo il sistema in-
trodotto dall’Accordo quadro del 2009. Nella retribuzione, rientrano anche gli scatti di anzianità, ossia au-
menti periodici, di solito biennali, della retribuzione mensile, derivanti dall’anzianità di servizio del lavorato -
re presso la medesima azienda.
Della retribuzione fanno parte anche le mensilità aggiuntive (la 13a pagata a dicembre e la 14a pagata a giu -
gno), i premi collegati alla produttività, indennità varie (cassa, maneggio del denaro, mensa, trasporto etc),
e maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo.
60.9 LA RETRIBUZIONE DI MERITO NEL LAVORO PUBBLICO - Il decreto 150 del 2009 (decreto Brunetta),
per combattere l’inefficienza della PA, ha introdotto sanzioni contro i dipendenti assenteisti e scarsamente
produttivi, ma anche premi e vantaggi per i dipendenti meritevoli. Questa disciplina non può essere deroga-
ta dalla contrattazione collettiva: le clausole difformi sono automaticamente sostituite dalle disposizioni di
legge. La misurazione e la valutazione della performance riguarda sia l'amministrazione e le sue articolazioni
organizzative, sia i singoli dipendenti.
In base al decreto, opera un’apposita Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle PA,
che è un’autorità indipendente collegiale, che ha il compito di precisare come devono essere effettuate le
valutazioni sui dipendenti e di controllare se tali valutazioni sono effettuate correttamente.
Inoltre, in ciascuna PA, è costituito l’Organismo indipendente di valutazione della performance, nominato
dall’organo di indirizzo politico amministrativo, sentita la Commissione: tale organismo ha il compito di valu-
tare le performance di ciascuna struttura amministrativa, mentre le prestazioni dei singoli dipendenti sono
valutate dai dirigenti.
Nel caso in cui emergano performance meritevoli, saranno riconosciuti trattamenti economici accessori in
favore dei dipendenti meritevoli: l’entità di tali trattamenti sono determinati dalla contrattazione collettiva.
Nel dettaglio, l’Organismo indipendente, sentiti i dirigenti, stila una graduatoria del personale dirigente (se
pari almeno a 6 unità) e non dirigente (se pari almeno a 9 unità), da collocare in 3 fasce di merito, e più alta
è la fascia in cui viene collocato il dipendente, più alto potrà essere il trattamento economico che gli viene
riconosciuto.
Altri strumenti rilevanti per premiare il merito e la professionalità sono il bonus annuale delle eccellenze as-
segnato a non più del 5% del personale collocato nella fascia alta, il premio annuale per l'innovazione asse-
gnato dall'Organismo indipendente al migliore progetto, l'incidenza della collocazione nelle graduatorie sul-
la selezione per le progressioni di carriera, il premio di efficienza.
Tutto questo sistema deve essere reso trasparente mediante il Programma triennale per la trasparenza e
l’integrità, adottato da ciascuna amministrazione, ma anche mediante il Piano e la Relazione della perfor-
mance. In caso di mancata adozione del Programma o del Piano o di mancata predisposizone del sistema di
valutazione, i dirigenti responsabili perdono la possibilità di ricevere la retribuzione di risultato; i dirigenti,
invece, responsabili di non aver ben esercitato il dovere di vigilanza sul personale dei propri uffici, perdono
fino all’80% della retribuzione di risultato.

61 IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO


61.1 IL PASSAGGIO DALL’INDENNITÀ DI ANZIANITÀ AL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO - L’indennità di
anzianità era originariamente prevista come una sorta di premio dato al lavoratore, quando finiva il rappor -
to di lavoro, a condizione che il lavoratore non fosse stato licenziato e non si fosse dimesso e che avesse la -
vorato per almeno un anno. Il diritto a tale indennità si prescriveva entro 5 anni dalla fine del rapporto. Essa
era calcolata prendendo l’ultima retribuzione e moltiplicandola per un coefficiente proporzionale alla durata
del rapporto (per gli impiegati, l’indennità era pari ad un mese per ogni anno di servizio, quindi un impiega -
to che avesse lavorato per 30 anni riceveva una indennità pari a 30 volte la sua ultima retribuzione; mentre
per gli operai provvedevano liberamente i contratti collettivi con misure normalmente inferiori). La defini-
zione dell'ultima retribuzione utile per il calcolo dell'indennità faceva riferimento ad ogni compenso di ca -
rattere continuativo, con esclusione dei soli rimborsi spese e delle erogazioni non corrispettive o saltuarie.
Negli anni 70 si cominciò a comprendere che tale sistema era troppo costoso e, dopo un monito della Corte
Costituzionale (1980), la legge n.297 del 1982 fece subentrare il trattamento di fine rapporto, con valenza
di retribuzione differita, al posto dell’indennità di anzianità.
61.2 STRUTTURA E NATURA DEL TRATTAMENTO - Il trattamento di fine rapporto (TFR) si calcola accanto-
nando per ogni anno una somma pari alla retribuzione di quell’anno, divisa per 13.5, e calcolando la rivalu -
tazione monetaria sulle somme accantonate di anno in anno.
Tale trattamento ha valore di retribuzione differita, il cui versamento, cioè, viene differito ad un momento
successivo, come la fine del rapporto di lavoro o altre circostanze che giustificano le anticipazioni sul TFR In
ogni caso, fino a che tali eventi non si verificano, le somme accantonate restano di proprietà del datore. La
dottrina prevalente, infatti, ritiene che il diritto al TFR sorge solo al momento della cessazione del rapporto,
mentre una parte minoritaria sostiene che il diritto sorgerebbe di anno in anno sulle somme di volta in volta
accantonate. È pacifico, comunque, che il diritto al TFR si prescrive nel termine di 5 anni decorrenti dalla
cessazione del rapporto di lavoro.
Con la legge 190/2014 è stato previsto che la quota di TFR maturanda può essere erogata nella busta paga
mensile, a scelta del lavoratore, esclusi i dipendenti pubblici, i lavoratori domestici, i lavoratori agricoli e i di -
pendenti delle aziende in crisi o sottoposte a procedura concorsuale. La manifestazione di volontà del lavo-
ratore è irrevocabile fino al 30 giugno 2018.
61.3 LA RETRIBUZIONE BASE PER IL CALCOLO - Abbiamo detto che la somma messa da parte per il TFR ogni
anno è data dalla retribuzione base di quell’anno diviso per 13,5. Ma quale retribuzione va considerata? Va
considerata la retribuzione composta da tutte le voci percepite dal lavoratore in dipendenza del rapporto di
lavoro, a titolo non occasionale, con esclusione dei rimborsi spese.
È espressamente compreso nella base di calcolo l'equivalente delle prestazioni in natura. Per i casi di so-
spensione del rapporto occorre distinguere i periodi retribuiti per i quali la quota di trattamento si calcola
normalmente, dai periodi non retribuiti, per i quali la mancanza di retribuzione determina automaticamente
anche la perdita della corrispondente quota di TFR (salvo le ipotesi tassative, quali malattia, infortunio, gra-
vidanza, puerperio e collocamento in cassa integrazione, per le quali è previsto l'inserimento nella base di
calcolo del TFR di una retribuzione figurativa).
Questa base di calcolo è, però, derogabile sia in meglio che in peggio dalla contrattazione collettiva.
61.4 LA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE - Le somme progressivamente accantonate vengono rivalutate
dell’1,5 fisso ogni anno, oltre al 75% dell’indice ISTAT. Questo tasso assicura una copertura piena in caso di
inflazione al 6%, mentre se l'inflazione è superiore la copertura è parziale e se l'inflazione è inferiore il lavo -
ratore gode di una piccola rendita.
61.5 LE ANTICIPAZIONI - Il prestatore di lavoro, con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavo-
ro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70% sul trattamento
cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta (a garanzia sia dell'interesse
del datore di lavoro a conservare fondi per l'autofinanziamento, sia dell'interesse del lavoratore ad un introi-
to di una certa consistenza alla fine del rapporto).
Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10% degli aventi titolo, e comunque del 4% del
numero totale dei dipendenti. La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:
a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strut-
ture pubbliche;
b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.
L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti
gli effetti, dal trattamento di fine rapporto. Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti
collettivi o da patti individuali.
61.6 IL FONDO DI GARANZIA - Se il datore non ha la liquidità per pagare il TFR, il lavoratore può ricorrere ad
un Fondo di Garanzia per il TFR (vedi par. 90.3).
61.7 DIRITTI DEL CONIUGE DIVORZIATO E INDENNITÀ IN CASO DI MORTE - Il coniuge nei cui confronti sia
stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se
non passato a nuove nozze e in quanto titolare di assegno divorzile, ad una percentuale dell'indennità di
fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità
viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferi-
bile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. In caso di morte del prestatore di lavo -
ro, il TFR e l’indennità di preavviso devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del pre -
statore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. In mancanza di tali perso -
ne, le indennità sono attribuite agli eredi secondo le norme della successione legittima.
61.8 CAMPO DI APPLICAZIONE E INDEROGABILITÀ DELLA DISCIPLINA - La disciplina legale del TFR si applica
a tutti i rapporti di lavoro subordinato, ed è assolutamente inderogabile, salvo eccezioni relative alla base di
calcolo ed alle anticipazioni. Pertanto sono inderogabili sia il divisore 13.5 sia il sistema di indicizzazione del -
le quote. Sono fatte salve solo le indennità con natura e funzione diverse, quali le rendite periodiche simili
alla pensione e i trattamenti che trovano la loro causa in circostanze ulteriori o diverse dalla semplice cessa -
zione del rapporto.
Tale disciplina si applica anche ai dipendenti pubblici assunti dopo il 31.12.2000, mentre quelli assunti prima
possono scegliere tra questa disciplina o la preesistente disciplina differenziata, dettata per i dipendenti
pubblici; ad essi, il TFR veniva corrisposto dall’INPDAP, ora inglobato nell’INPS.
61.9 IL REGIME PREVIDENZIALE E TRIBUTARIO. LA DESTINAZIONE AI FONDI PENSIONE - Benché il TFR ab-
bia anche un funzione previdenziale (di sostegno del lavoratore alla fine del lavoro), non è soggetto alla con-
tribuzione previdenziale, ma è soggetto alla imposizione tributaria. La disciplina tributaria fa coincidere il
momento dell'imposizione con quello dell'erogazione del trattamento finale (o dell'anticipazione): si tratta
di tassazione separata, con un'aliquota calcolata in modo da non svantaggiare i rapporti più lunghi.
Il d. lgs. 47/2000 ha equiparato la disciplina fiscale a quella applicata ai fondi pensione, ed il TFR viene utiliz -
zato come fonte di finanziamento dei fondi pensione complementari. In particolare, il d. lgs. 252/2005 mo-
dificato dalla legge 296/2006 rimette al lavoratore la scelta se finanziare forme pensionistiche complemen-
tari non solo con i contributi previdenziali ma anche con il TFR. In caso di silenzio, si presume che il lavorato -
re voglia utilizzare il TFR per finanziare il fondo previdenziale di categoria o il fondo di previdenza comple-
mentare INPS. Se anche il lavoratore sceglie di non utilizzare il TFR per finanziare tali forme pensionistiche, il
datore, se ha almeno 50 dipendenti, è comunque obbligato a versare mensilmente la quota maturata del
TFR al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei TFR”, fondo gestito dall’INPS
per conto dello Stato. Sono previste agevolazioni fiscali per lavoratori e datori che destinino il TFR al finan -
ziamento di forme pensionistiche complementari.
L’autore, comunque, critica il meccanismo del silenzio assenso, ossia il fatto che il silenzio dei lavoratori ven -
ga inteso come tacita adesione all’utilizzo del TFR per finanziare fondi pensione, perché non è ben chiarito
se il Fondo di cui sopra garantisca i lavoratori anche per il TFR non versato in esso, ed in ogni caso gli investi-
menti in fondi pensione sono sempre investimenti a rischio. Il silenzio assenso, ad ogni modo, non opera
per i dipendenti pubblici.

62. LE SOSPENSIONI DEL RAPPORTO


62.1 GENERALITÀ - Vedremo nei prossimi paragrafi una serie di ipotesi in cui, pur essendo sospesa la presta -
zione lavorativa (per condizioni fisiche, per doveri pubblici, etc), il lavoratore conserva il diritto alla retribu-
zione o comunque a prestazioni previdenziali.
62.2 INFORTUNIO E MALATTIA - Se il lavoratore non può rendere la prestazione lavorativa a causa di una
malattia o di un infortunio, il rapporto di lavoro continua egualmente per un periodo, detto periodo di com-
porto, di durata fissata dai contratti collettivi o dal giudice secondo equità, durante il quale il lavoratore con-
serva il diritto alla retribuzione. Il periodo di comporto si considera comunque come anzianità di servizio,
ma non decorre se la malattia o l’infortunio sono stati causati dal datore di lavoro. In ogni caso, solo alla fine
di questo periodo, è consentito il licenziamento per superamento del periodo di comporto del dipendente
ancora assente perché non ancora guarito, ma se il lavoratore non viene licenziato e torna al lavoro dopo il
periodo di comporto, il datore non può più licenziarlo. Il licenziamento per asserita scadenza di un periodo
di comporto non ancora esaurito equivale ad un licenziamento ingiustificato, con le conseguenze della tute -
la reale oppure obbligatoria applicabile al rapporto.
L'onere della prova delle assenze integranti il periodo di comporto grava sul datore di lavoro autore del re-
cesso.
• Si distingue il comporto secco (o continuativo) dal comporto per sommatoria di più malattie. An-
che in quest'ultimo caso, se non provvede il contratto collettivo, la regola è stabilita secondo equità,
trattandosi sempre di un licenziamento per scadenza del periodo di comporto.
Il datore di lavoro deve concedere, su richiesta tempestiva del lavoratore, le ferie residue o un'aspettativa,
se prevista, al fine di prolungare il tempo utile per la guarigione prima della scadenza del comporto.
Il datore può licenziare il lavoratore durante la malattia per ragioni diverse dalla stessa, ma in tal caso il li -
cenziamento diventa efficace solo dopo la fine del periodo di malattia, mentre è immediatamente efficace,
anche durante la malattia, il licenziamento per giusta causa.
Naturalmente, affinché l’assenza possa considerarsi assenza per malattia, il lavoratore deve tempestivamen-
te comunicare al datore la malattia allegando il certificato medico, da inviare anche all’INPS, con l'indicazio-
ne del domicilio al fine dell'effettuazione dei controlli, e a sua volta il medico che ha fatto la visita deve in -
viare telematicamente all’INPS il relativo certificato. Se il lavoratore non provvede l'assenza si ritiene ingiu-
stificata, con le relative conseguenze disciplinari e la perdita di ogni diritto retributivo (durante il periodo di
malattia, il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione, e il diritto a veder sospese le ferie se coincidono
con il periodo di malattia, ma permane a suo carico l’obbligo di fedeltà verso il datore). Per malattia si inten-
de qualsiasi situazione in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa sia incompatibile con le esigenze di
salvaguardia della salute del lavoratore.
Nel settore pubblico, per combattere il fenomeno dell’assenteismo, sono state introdotte norme molto rigo-
rose. In particolare, al lavoratore malato, nei primi 10 giorni di malattia, è corrisposto solo il trattamento
economico fondamentale, con esclusione di ogni altra indennità (es: indennità di presenza). Invece, per le
malattie superiori a 10 giorni, il lavoratore deve produrre una certificazione rilasciata da una struttura sani -
taria pubblica, o da un medico convenzionato con il SSN (Servizio sanitario nazionale). È imposto il controllo
anche per assenze di un solo giorno, ampliando le fasce orarie di reperibilità.
Se, invece, il lavoratore non solo si rende responsabile di assenza ingiustificata per oltre 3 giorni anche non
consecutivi in un biennio o per oltre 7 giorni in un decennio, ma non riprende neppure il servizio entro il
termine fissato dall’amministrazione, allora scatta a suo carico il licenziamento con preavviso.
Ancora più grave diventa la posizione del lavoratore se rilascia certificazione medica falsa o se altera il siste-
ma di rilevamento delle presenze: a suo carico, operano, in tal caso, il licenziamento per giusta causa, san -
zioni penali (reclusione da 1 a 5 anni applicabile anche al medico e ad altri concorrenti nell'illecito) e il risar -
cimento del danno all'immagine della PA. In particolare il medico verrà licenziato per giusta causa e radiato
dall'albo al momento della sentenza penale definitiva. In più, anche il medico soggiace a sanzioni disciplina -
ri, fino al licenziamento in caso di ripetizione dell’omissione, se non esegue la trasmissione telematica della
certificazione all’INPS.
Infine, un regime speciale è previsto per la tubercolosi: in caso che il lavoratore affetto sia costretto al rico-
vero, si ha sospensione del rapporto di lavoro, ma senza calcolare tale periodo come anzianità di servizio e
senza retribuzione, salvo clausole negoziali più favorevoli. Se, però, il lavoratore è alle dipendenze di datori
con oltre 15 dipendenti, la sospensione del rapporto lavorativo opera per un periodo indeterminato, fino a
6 mesi dopo la guarigione.
Per le infezioni da HIV sono vietate penalmente le indagini e le discriminazioni, ammettendosi, a seguito
dell'intervento della Corte Costituzionale, gli accertamenti necessari per evitare rischi alla salute collettiva in
relazione al tipo di mansioni svolte dal lavoratore.
62.3 LE CURE TERMALI E PER GLI INVALIDI - La legge n.638/1983 consente, al di fuori delle ferie annuali,
permessi per cure termali non superiori a 15 giorni all’anno, esclusivamente per esigenze terapeutiche o ria -
bilitative, attestate da un medico specialista pubblico. Il datore può anche anticipare le ferie per farle coinci-
dere con il periodo di cura termale, salvo che la patologia e le cure siano incompatibili con il godimento del -
le ferie. Il legislatore, quindi, ha previsto un elenco tassativo di patologie che giustificano le cure termali e
ha stabilito che i permessi per tali cure sono ammessi solo per stati patologici per la cui risoluzione sia de -
terminante un trattamento termale immediato motivatamente prescritto da un medico specialista.
Per quanto riguarda i lavoratori mutilati ed invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore al
50%, essi possono fruire ogni anno di un congedo fino a 30 giorni per cure, la cui necessità deve essere cer-
tificata da un medico di una struttura pubblica.
62.4 TOSSICODIPENDENZA E ALCOLDIPENDENZA - Il lavoratore a tempo indeterminato tossicodipendente
o alcoldipendente, il cui stato sia accertato dai servizi competenti, ha diritto ad una sospensione non retri -
buita del lavoro, per la riabilitazione, per non oltre 3 anni dopo i quali perde il diritto alla conservazione del
posto. I contratti collettivi possono determinare modalità specifiche per esercitare queste facoltà e possono
prevedere una qualche forma di assegno per il periodo di sospensione. Se i familiari siano necessari per la
realizzazione del programma terapeutico o socio-riabilitativo hanno diritto ad un'aspettativa.
Il datore, ripreso il rapporto di lavoro, non deve adibirlo a mansioni rischiose per il lavoratore o per i terzi, e
può comunque considerarlo inadeguato alle mansioni contrattuali, a prescindere dalla tutela dei terzi.
62.5 MATERNITÀ, PATERNITÀ E MATRIMONIO - La lavoratrice madre, oltre alla tutela contro il licenziamen-
to, gode di una serie di protezioni a garanzia della propria salute e del figlio, ma anche della funzione della
maternità. Le norme di tutela fisica, con la conseguente responsabilità del datore di lavoro, operano solo
dopo la presentazione del certificato medico di gravidanza.
A tutela della maternità e della paternità, è prevista l’astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro. Circa
l’astensione obbligatoria, il datore, sotto sanzione penale, non può far lavorare la madre nel periodo da 2
mesi prima del parto a 3 mesi dopo di esso; la madre può scegliere di astenersi da un mese prima a 4 mesi
dopo il parto, ma solo se ciò non reca pregiudizio alla salute. Anche il padre ha diritto di astenersi dal lavoro
nel primi 3 mesi dalla nascita del figlio in mancanza della madre, con il medesimo trattamento che sarebbe
spettato alla madre. Durante l’astensione obbligatoria, il genitore ha diritto all’80% della retribuzione. Circa
l’astensione facoltativa (congedo parentale), ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per i primi 8
anni di vita del bambino, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, con il limite com -
plessivo di 10 mesi, mentre se vi è solo un genitore, questi ha diritto ad una astensione di 10 mesi.
Durante l’astensione facoltativa, il genitore ha diritto al 30% della retribuzione, fino al terzo anno di vita del
bambino, mentre dopo tale anno, le astensioni facoltative non sono retribuite, fatta eccezione per il lavora-
tori con reddito più basso. È anche previsto il diritto dei coniugi ad un congedo in occasione del matrimonio,
utilizzabile anche non subito dopo il matrimonio, purché vi sia collegamento con esso.
Vanno anche riportate le novità introdotte dal Jobs Act (legge delega 183/2014 e successivi decreti attuativi
del 2015) in tema di maternità: le novità normative ampliano le possibilità per i genitori di beneficiare dei
congedi parentali, ossia assenze giustificate dal luogo di lavoro per badare ai figli in tenera età, trattandosi di
novità che riguardano i congedi parentali facoltativi, ossia quelli per i quali i genitori possono scegliere se
beneficiarne o meno. Se decidono di avvalersene, la retribuzione fino ad un certo periodo è ridotta, ( conge-
di retribuiti) e oltre un certo periodo temporale viene azzerata (congedi non retribuiti), fermo restando che
l’assenza dal lavoro si considera giustificata.
Nel dettaglio, circa i congedi retribuiti, passa da 3 ai 6 anni del bambino il diritto di fruire del congedo paren-
tale per le madri e i padri lavoratori, con una retribuzione parziale pari al 30%. Questo beneficio può esten -
dersi fino agli 8 anni di età del figlio, per le famiglie economicamente disagiate o nelle ipotesi di adozione e
affidamento. Per quanto riguarda il congedo parentale non retribuito, esso può durare per 6 mesi (salvo ec-
cezioni), fino ai 12 anni di vita del bambino. L’estensione si applica pure per adozioni e affidamenti.
Altra novità prevista in tema di congedi parentali, sono i congedi part-time al 50%, nel senso che il genitore,
anziché scegliere giorni interi di congedo, può prendere soltanto delle ore di congedo, fino alla metà dell’o -
rario lavorativo giornaliero (ore che non possono essere cumulate con i permessi ad ore).
Importanti novità sono state introdotte anche per i congedi di paternità: di tali congedi possono ora benefi-
ciare tutte le categorie di lavoratori, mentre prima della riforma ne potevano godere solo i lavoratori dipen-
denti. Le suddette novità sui congedi parentali sono state introdotte per valere, a titolo sperimentale, solo
per l’anno 2015, mentre per gli anni successivi occorrerà verificare se vi sono le coperture finanziarie e, in
caso positivo, saranno necessari nuovi decreti per rinnovare le misure, che altrimenti perderanno efficacia.
È stato, inoltre, introdotto l’istituto della automaticità delle prestazioni anche in tema di congedi parentali:
in base a tale istituto, la madre ha diritto alla erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di manca -
to versamento dei relativi contributi da parte del datore di lavoro. Ciò anche per i lavoratori iscritti alla ge-
stione separata di cui alla legge n. 335/95 e non iscritti ad altre forme obbligatorie.
I dipendenti pubblici con figli minori fino a 3 anni possono ottenere l'assegnazione provvisoria ad una sede
prossima al luogo di lavoro dell'altro genitore.
62.6 IL SERVIZIO MILITARE - Durante il servizio di leva, ormai abrogato, il lavoratore conservava il diritto al
posto, ma senza retribuzione, mentre per il richiamo alle armi è previsto, oltre alla conservazione del posto,
il diritto alla retribuzione ed al computo del periodo come periodo di anzianità del servizio.
Nel periodo di sospensione del rapporto di lavoro, il lavoratore può essere licenziato solo per giusta causa o
per cessazione totale dell’attività aziendale. Alla fine del servizio di leva o del richiamo alle armi, il lavorato-
re deve riprendere il servizio entro i brevi termini fissati dalla legge; se questo non accade, il rapporto si ri -
tiene risolto o il lavoratore è considerato dimissionario.
62.7 LE FUNZIONI PUBBLICHE ELETTIVE - In base all’art. 51 Cost. comma 3, chi è chiamato a funzioni pubbli-
che elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e conservare il posto di lavoro.
Ai membri del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo e delle assemblee regionali è riconosciuta la
facoltà di richiedere una aspettativa non retribuita per tutta o parte della durata del mandato. L'assenza di
retribuzione, compensata dall'indennità di carica, non impedisce che tale periodo sia considerato utile, me-
diante contribuzione figurativa (per il riconoscimento della pensione). Per le funzioni pubbliche elettive nel-
le amministrazioni locali il lavoratore può scegliere tra l'aspettativa ed una serie di permessi retribuiti e non.
L’aspettativa non è retribuita e solo ad alcuni amministratori locali (sindaci, presidenti di provincia) è garan-
tita la posizione previdenziale.
62.8 LE FUNZIONI PRESSO I SEGGI ELETTORALI - I giorni di partecipazione al seggio da parte del lavoratore
sono equiparati a tutti gli effetti ai giorni di attività lavorativa. Il datore di lavoro ha l'obbligo di concedere ri-
posi compensativi oppure di pagare una retribuzione aggiuntiva in relazione ai giorni festivi o non lavorativi
eventualmente compresi nel periodo di svolgimento delle operazioni elettorali.
62.9 LA CASSA INTEGRAZIONE - Il lavoratore può essere sospeso, in tutto o in parte, dal lavoro e ricevere la
cassa integrazione ordinaria (per eventi transitori non imputabili al datore o per situazioni temporanee di
mercato) o straordinaria (per crisi economiche settoriali, per riorganizzazioni o conversioni industriali).
Per disporre la cassa integrazione, occorre prima una procedura sindacale e poi il provvedimento ammini -
strativo che la concede, scegliendo i lavoratori, senza discriminazioni, ma con meccanismi di rotazione. L'in -
dividuazione dei lavoratori da sospendere deve avvenire secondo criteri oggetto della procedura sindacale,
con meccanismi di rotazione, senza discriminazioni e in modo ragionevole e coerente rispetto alle finalità
dell'istituto. Le lavoratrici madri possono essere sospese solo se è sospesa l'attività dell'intera azienda o del
reparto di adibizione.
Se il provvedimento di concessione è illegittimo o manca, il datore deve versare al lavoratore una retribuzio -
ne ordinaria, anche se le prestazioni sono state in tutto o in parte non eseguite. La riduzione dell’orario di la-
voro può derivare anche da contratti di solidarietà, volti ad incentivare l’occupazione con sgravi fiscali e con-
tributivi.
62.10 ALTRE IPOTESI DI SOSPENSIONE - I lavoratori studenti, anche universitari, hanno diritto a permessi
giornalieri retribuiti per sostenere gli esami, producendo, a richiesta del datore, le necessarie certificazioni. I
lavoratori con almeno 5 anni di anzianità di servizio presso lo stesso datore possono richiedere, con almeno
30 giorni di preavviso, congedi non retribuiti per 11 mesi complessivi nell'arco dell'intera vita lavorativa per
fini di studio, anche universitario, o per partecipare ad attività formative estranee al datore (la richiesta può
essere respinta o differita per esigenze organizzative).
Varie leggi speciali prevedono altre ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro, ad esempio per la dona-
zione di sangue (diritto ad una giornata di riposo retribuito in coincidenza con la donazione, attestata dal
centro di raccolta al datore di lavoro, che ha diritto al rimborso di quanto pagato da parte dell'ente previ -
denziale cui è iscritto il lavoratore per la tutela contro la malattia) o per ragioni familiari. Tra le ragioni fami-
liari, c'è l’assistenza a portatori di handicap: il familiare che lo assiste, se dista oltre 150 km dall’assistito, ha
diritto a 3 giorni al mese di permesso coperti da contribuzione figurativa e da indennità previdenziale. In al -
ternativa, uno solo dei familiari ha diritto, entro 60 giorni dalla richiesta, ad un congedo continuativo o fra-
zionato non superiore a 2 anni complessivi nell'arco della vita lavorativa, coperto da indennità previdenziale
e contribuzione figurativa. Inoltre, il lavoratore ha diritto a 3 giorni all’anno di permesso retribuito in caso di
morte o grave infermità di un familiare.
I dirigenti pubblici possono chiedere di essere collocati in aspettativa senza assegni, salvo preminenti esi-
genze organizzative dell'amministrazione di appartenenza, per svolgere attività o incarichi presso soggetti
pubblici o privati, che garantiscano la posizione previdenziale. Il periodo massimo è di 12 mesi.
Sono, infine, previste importanti ipotesi di sospensione del rapporto in merito al diritto sindacale (sciopero,
serrata, assemblea, permessi sindacali).

63. IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA


DISPOSIZIONI DI RIFERIMENTO:
- artt. 2556 e seg., cod. civ.;
- art. 2112 cod. civ.;
- art. 47, l. n. 428 del 1990 (come modificato dall'art. 32, D.lgs. n. 276 del 2003 → legge Biagi).
"Per trasferimento d'azienda si intende qualsiasi operazione (vendita, fusione, affidamento coattivo, e an-
che a trasferimenti temporanei come affitto e usufrutto, ecc) che comporti il mutamento nella titolarità di
un'attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria
identità." (art. 32, d. lgs. 428/1990)
La funzione dell'art. 2112 cod. civ. è tutelare il lavoratore in una vicenda per lui pericolosa, quella del pas-
saggio di mano dell'azienda (da un imprenditore ad un altro), quale che sia il mezzo tecnico-giuridico attra-
verso cui si realizza il passaggio (vendita, affitto, usufrutto, fusione, affidamento coattivo e via dicendo) poi -
ché potrebbe vedersi deluse le sue aspettative sulla sicurezza del posto di lavoro e sull'adempimento delle
obbligazioni del datore di lavoro. Il pericolo è infatti che l'imprenditore cui viene ceduta l'azienda possa ri -
fiutarsi di utilizzare i dipendenti utilizzati nell'azienda stessa che sono stati assunti ed utilizzati dal vecchio
imprenditore il quale, inoltre, non avendo più l'azienda, porrebbe anche licenziarli. Inoltre secondo l' art.
2740 cod. civ. "Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futu -
ri", ma vi è il pericolo che col fatto che il vecchio imprenditore (che deve rispondere dei debiti assunti nei
confronti dei dipendenti finora utilizzati nell'azienda ceduta) non ha più l'azienda, i lavoratori perderebbero
la possibilità di rivalersi sui beni presenti e futuri dell'azienda. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in
solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Il lavoratore,però, può consenti-
re la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. In ogni caso, il cessionario è
tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali
ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri con -
tratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario.
L'art. 2112 cod. civ. tutela il lavoratore prevedendo che:
a) il rapporto di lavoro del lavoratore e relativi diritti continuino dopo il trasferimento, anche col
nuovo imprenditore → non si tratta di un obbligo di assunzione ma della sostituzione automatica di
un soggetto ad un altro nella titolarità del rapporto di lavoro come effetto legale del trasferimento
d'azienda;
b) il trasferimento dell'azienda non costituisca di per sé giustificato motivo di licenziamento; il lavo-
ratore può dimettersi rassegnando le proprie dimissioni senza preavviso e con diritto ad un'indenni-
tà pari a quella sostitutiva del preavviso di licenziamento (nei 3 mesi successivi il trasferimento le
condizioni subiscono modifiche);
c) il nuovo imprenditore risponda, in solido con il vecchio, dei debiti verso i lavoratori, sorti prima
della cessione. L'art. 2560 cod. civ. prevede che "il cedente può essere liberato dai debiti verso i la-
voratori anteriori al trasferimento, se questi acconsentono".
La risoluzione del rapporto con il cedente subito prima del trasferimento d'azienda seguita da immediata
riassunzione da parte del cessionario è considerata come fittizio frazionamento del rapporto in frode alla
legge. In caso di trasferimento parziale l'effetto legale dell'automatica prosecuzione del rapporto con il ces-
sionario si verifica solo per gli addetti al ramo trasferito, mentre i lavoratori addetti altrove possono passare
alle dipendenze dell'acquirente solo se consentono la cessione del contratto individuale di lavoro.
Il lavoratore conserva tutti i diritti che derivano dal rapporto; infatti i crediti già maturati in passato prima
del trasferimento d'azienda costituiscono oggetto di altra apposita garanzia. Il cessionario deve quindi rico-
noscere ai lavoratori divenuti suoi dipendenti i diritti collegati alla pregressa anzianità di servizio e quelli
contenuti nel contratto individuale, anche per effetto di eventuali usi aziendali che lo abbiano integrato per
fatti concludenti.
La prosecuzione del rapporto in corso con il cedente determina anche l'obbligo dell'acquirente di corrispon-
dere l'intero TFR, senza distinzione tra le quote relative al periodo anteriore al trasferimento e quelle suc -
cessive. È escluso l'obbligo di parità di trattamento nei confronti dei lavoratori già dipendenti dell'acquiren-
te.
TRASFERIMENTO DEI DIRIGENTI DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI - Il trasferimento dall'uni-
tà produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, dei candidati e dei membri di commissio-
ne interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
RAMO D'AZIENDA - Il trasferimento può riguardare l'intera azienda o parte di essa, e in questo caso si parla
di trasferimento di ramo d'azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività eco-
nomica organizzata. Nel caso del trasferimento di un ramo d'azienda, se il nuovo imprenditore è sconosciu-
to, ha un modesto o inadeguato capitale sociale, pochi dipendenti, applica un contratto collettivo meno
vantaggioso, non garantisce prospettive di lunga durata, l'art. 2112 cod. civ. (che prevede la continuazione
automatica dei rapporti di lavoro) diventa un'arma che si ritorce contro i lavoratori che vorrebbero restare
alle dipendenze del vecchio imprenditore (che ha conservato la restante parte dell'azienda).
A volte poi l'imprenditore cedente affida all'imprenditore cessionario l'appalto per la gestione del servizio
svolto attraverso il ramo cedutogli (ipotesi dell'appalto connesso con la cessione del ramo d'azienda). Con la
vecchia disciplina i lavoratori potevano avere interesse (mediante ricorso al giudice) a contestare l'applicabi-
lità dell'art. 2112, sostenendo che il ramo ceduto non era una ramo, cioè non aveva identità ed autonomia,
e non poteva essere scorporato dal resto, vivendo di vita propria; in tal caso si sarebbe parlato di " mera ces-
sione di contratti di lavoro che, per essere in regola, dovrebbe esservi il consenso dei lavoratori ceduti " (art.
1406 cod. civ.). l lavoratori potevano dunque chiedere di essere considerati ancora alla dipendenze del vec-
chio imprenditore non avendo prestato consenso alla cessione del proprio contratto di lavoro (attacco a
monte dell'operazione). Ma l'art. 32, D.lgs n. 276 del 2003 (legge Biagi) ha novellato il comma 5 dell'art.
2112 cod. civ., affermando che "sia sufficiente che, al momento del trasferimento, cedente e cessionario
identifichino come autonoma l'articolazione aziendale ceduta, il che significa che la preesistenza dell'auto-
nomia non è più necessaria e che quindi può essere ceduta come azienda qualcosa che non ha mai funziona -
to", modificando così la vecchia formulazione che intendeva tutelare maggiormente il lavoratore attraverso
il concetto di preesistente autonomia funzionale del ramo d'azienda rispetto al momento della cessione. Si
parla al riguardo di "smaterializzazione del ramo d'azienda". In compenso la legge Biagi ha novellato anche
l'ultimo comma dell'art. 2112 cod. civ. affermando che "nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un
contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appal -
tante e appaltatore opera un regime di solidarietà (regolato dall'art. 1676 cod.civ.), ovvero il lavoratore, pur
restando dipendente del cessionario, può agire nei confronti del cedente per ottenere il pagamento dei pro-
pri crediti" (ora prevede che il cedente possa chiedere che il lavoratore agisca prima nei confronti del cessio-
nario, e solo nel caso in cui il lavoratore non riesca soddisfarsi, possa rivolgersi a lui).
I lavoratori ceduti con il ramo d'azienda ed utilizzati nell'esecuzione dell'appalto potrebbero poi sostenere
che l'appalto non è genuino, ma è illecito, perché ha ad oggetto la semplice restituzione del personale cedu-
to (formalmente dipendente dal cessionario-appaltatore), e dunque di mere prestazioni di lavoro, con con-
seguente somministrazione irregolare o fraudolenta di personale (art. 27 e 28 D.lgs. n. 276 del 2003) , con
l'aggravante che l'utilizzatore si fa restituire i propri ex dipendenti dopo averli fatti diventare dipendenti del
cessionario pseudo-appaltatore (attacco a valle dell'operazione). Ricordiamo che la legge Biagi non ha ri-
proposto l'obbligo di parità di trattamento tra dipendenti di appaltante e appaltatore negli appalti interni.
Ricordiamo poi che va fatto un tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi in cui si contesti la certificazio -
ne dell'appalto (art. 1655 cod. civ.).
PROCEDURA SINDACALE - Tale procedura riguarda solo i trasferimenti d'azienda o rami d'azienda in cui
sono occupati più di 15 lavoratori, e si articola in 2 fasi: "informazione ed eventuale esame congiunto" (art
47, l. n. 428 del 1990). L'obbligo di informazione grava su cedente e cessionario, che devono darne comuni-
cazione per iscritto, almeno 25 giorni prima (la cui omissione integra condotta antisindacale ai sensi del-
l'art. 28, l. n. 300 del 1970), alle rispettive rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interes-
sate, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali,
la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggior-
mente rappresentative sul piano nazionale. L'informazione deve riguardare i motivi del trasferimento, le sue
conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali misure previste nei confronti di
questi ultimi. Le RSA o i sindacati possono richiedere un esame congiunto con cedente e cessionario nei 7
giorni successivi per consultarsi (quindi non per trattare) e avviare procedure di analisi e verifica necessarie
alla tutela dei lavoratori (es. per eventualmente dissuadere il cedente dai programmi proposti o per dissua -
dere il cessionario ad acquistare l'azienda, ecc).
L'informazione deve essere tempestiva, completa e veritiera e la consultazione va condotta lealmente. La
trasgressione di questi obblighi da parte del cedente o del cessionario o di entrambi costituisce condotta
antisindacale reprimibile ex art. 28 Stat. Lav., trattandosi della violazione di diritti sindacali tipizzati dalla
legge.
Se il lavoratore vuole impugnare la cessione del suo rapporto di lavoro è soggetto alle decadenze di cui al-
l'art. 6 della legge 604/1966 per cui deve impugnare per iscritto la cessione entro 60 giorni dal trasferimen-
to di azienda ed entro i successivi 180 giorni deve promuovere la conciliazione o l'arbitrato o deve deposita-
re il ricorso presso la cancelleria del Tribunale in funzione di giudice di lavoro (art. 32 legge 183/2010 e art.
1 comma 38 92/2012).
Se l'azienda è in crisi, il trasferimento ad un nuovo imprenditore può salvare l'impresa, per cui in tal caso
operano diverse deroghe per incentivare il trasferimento (deroghe che devono essere previste in un accordo
collettivo). All'accordo collettivo è concessa la più ampia libertà, perché può disapplicare tutte o parte delle
tutele legali previste per il trasferimento d'azienda. In particolare l'accordo può escludere che il personale
ritenuto esuberante dall'acquirente passi alle dipendenze di quest'ultimo, mentre per il personale il cui rap -
porto prosegue con il subentrante è automaticamente esclusa la conservazione dei diritti acquisiti e la re -
sponsabilità solidale dell'acquirente per i crediti vantati da tali lavoratori verso l'alienante.
Quando poi alcuni lavoratori sono rimasti presso il cedente e non sono passati col nuovo imprenditore che
ha rilevato l'impresa, questi lavoratori hanno diritto di precedenza ad essere assunti, se l'imprenditore ces -
sionario decide di assumere nuovi lavoratori entro il termine di 1 anno dal trasferimento dell'azienda (il ter-
mine di 1 anno può essere aumentato dai contratti collettivi).
63.7 ALTRE VICENDE SOGGETTIVE
1. Successione nell’appalto: la successione di un imprenditore ad un altro nella gestione con
propria organizzazione di un servizio affidato in appalto non costituisce trasferimento d'a-
zienda se non si verifica il mutamento nella titolarità di un'organizzazione economica, per il
quale non basta che il subentrante assuma, per obbligo legale o negoziale, il personale già
impiegato nell'appalto.
In assenza di tutela legale alcuni contratti collettivi prevedono procedure di informazione e
consultazione sindacale, ma anche l'obbligo dell'impresa subentrante di assumere, alle stesse
condizioni, i lavoratori già addetti all'appalto da parte dell'impresa uscente. L'esecuzione di
questo obbligo dà origine ad un nuovo rapporto di lavoro distinto dal precedente, con disci-
plina differente rispetto al trasferimento d'azienda.
Il preesistente rapporto di lavoro con il vecchio appaltatore si estingue tipicamente per riso-
luzione consensuale contestualmente all'assunzione del nuovo appaltatore. Solo nell'ipotesi
in cui il lavoratore rifiuti di utilizzare la tutela collettiva e la conseguente obbligata proposta
di assunzione da parte del nuovo appaltatore resta esclusa una risoluzione consensuale del
precedente rapporto, cosicché l'imprenditore uscente deve scegliere se mantenere in servizio
il lavoratore, adibendolo a posizioni disponibili presso altri appalti, oppure licenziarlo per giu -
stificato motivo oggettivo dovuto alla soppressione del posto di lavoro.
2. Subentro nella concessione amministrativa: se un imprenditore opera sulla base di una con-
cessione amministrativa e gli subentra nella concessione un altro imprenditore, non si ha tra -
sferimento d’azienda. Solo nelle concessioni per la riscossione di tributi, il personale addetto
alla concessione ha diritto di essere mantenuto in servizio dal concessionario subentrante,
senza interruzione nel rapporto lavorativo.
3. Subentro in servizi aeroportuali: in precedenza era previsto il passaggio del personale dal
vecchio al nuovo gestore (prosecuzione automatica del rapporto precedente). La Corte di
Giustizia ha ritenuto questa disciplina contraria alla direttiva di liberalizzazione dei suddetti
servizi, osservando che l'obbligo di assumere il personale del precedente gestore svantaggia i
nuovi concorrenti potenziali e che nella specie non è configurabile un trasferimento d'azien-
da che solo potrebbe giustificare tale obbligo.
4. Fusione tra società: la società risultante dalla fusione deve rispettare i contratti di lavoro pre-
esistenti e in tal caso si attivano tutele rafforzative dei lavoratori, garantite dalla procedura
sindacale e dalla facoltà di dimissioni agevolate. La società risultante dalla fusione assume i
diritti e gli obblighi delle società fuse, con conseguente incondizionata tutela della continuità
del rapporto di lavoro, della disciplina collettiva, dei diritti acquisiti e dei crediti del lavorato-
re.
5. Scissione tra società: la scissione determina una divisione del patrimonio della società scissa
tra più soggetti, preesistenti e di nuova costituzione, con i conseguenti problemi di individua-
zione del titolare dei rapporti di lavoro e dei responsabili per i debiti pregressi. Le società na -
scenti dalla scissione devono garantire ai lavoratori la prosecuzione del rapporto di lavoro, il
mantenimento dei diritti acquisiti e l’applicazione della disciplina collettiva.
6. Trasferimento di attività da parte delle PA: se una PA trasferisce proprie attività ad altre PA o
a privati, si applica la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda. In particolare le socie-
tà private devono mantenere in servizio il personale trasferito, per almeno 5 anni o per il su -
periore periodo di tempo concordato, con divieto di licenziamento collettivo o individuale
per giustificato motivo oggettivo e con la sola possibilità del licenziamento disciplinare.
CAPITOLO 8 “L’estinzione del rapporto di lavoro”
A) IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE
Il licenziamento è l'atto con cui il datore risolve il rapporto di lavoro. Esistono diverse motivazioni: libero
con preavviso, per giusta causa, giustificato motivo soggettivo/oggettivo, orale, in maternità o per matrimo -
nio, scadenza del periodo di comporto.
64 LICENZIAMENTO LIBERO CON PREAVVISO - In base all’art. 2118 cod. civ., ciascuno dei contraenti può re-
cedere, ad nutum (ossia con un solo cenno, senza necessità di giustificazione) dal contratto di lavoro a tem -
po indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità. Il recesso è
un negozio unilaterale recettizio, che per diventare efficace deve essere portato a conoscenza dell’altra par -
te. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità di mancato preavviso
equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata al periodo di preavviso. La stessa indennità
è dovuta al datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro.
Inoltre "il lavoratore malato non può essere licenziato fino alla scadenza del periodo di comporto" (art. 2110
cod. civ.), fino alla quale il licenziamento viene considerato temporaneamente inefficace. C'è anche da dire
però, che se il recedente sceglie di corrispondere l'indennità ha il potere di far cessare immediatamente il
rapporto senza il consenso dell'altra parte. Per calcolare l'indennità di mancato preavviso l'art. 2121 cod.
civ. parla di "retribuzione globale di fatto, ossia ogni compenso di carattere continuativo (provvigioni, parte -
cipazione agli utili o ai prodotti, premi di produzione, ecc), compreso l'equivalente per vitto e alloggio, pren -
dendo a riferimento la media delle retribuzioni degli ultimi 3 anni. Dal computo rimangono esclusi i rimborsi
spese e tutti quegli elementi che non sono percepiti mensilmente o in ogni caso con continuità.".
Dopo la riforma Fornero, può dirsi che il licenziamento libero, senza preavviso, che non richiede alcuna giu -
stificazione necessaria e che non dà luogo né alla tutela reale né a quella obbligatoria, è ormai possibile solo
in alcune ipotesi residuali, ossia per i dirigenti, per i lavoratori in prova, per i domestici, per gli atleti profes-
sionisti, per i lavoratori ultrasessantenni che abbiano già maturato il diritto alla pensione di vecchiaia. Nei
confronti di questi ultimi, la maturazione del diritto alla pensione non determina automaticamente l'estin-
zione del rapporto, ma libera il datore dal vincolo della giustificazione e rende possibile il licenziamento in
qualunque motivo, salvo che per motivi discriminatori. Prima l'età pensionabile era 60 anni per gli uomini e
55 per le donne, nel 1990 divenne 60 anni per entrambi, e nel 2011 divenne 67 per entrambi.
64.2 IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - Il licenziamento per giusta causa riguarda non solo il contrat-
to a tempo indeterminato, ma anche quello a tempo determinato. Secondo l’art. 2119 cod. civ., ciascuno
dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo deter -
minato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non
consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al pre -
statore di lavoro che recede per giusta causa compete una indennità pari a quella del mancato preavviso. Se
il datore, anche nel contratto a termine, non prova la sussistenza della giusta causa, il licenziamento è ineffi-
cace e il rapporto di lavoro prosegue fino alla scadenza pattuita.

65 LA REGOLA DI GIUSTIFICAZIONE NECESSARIA


65.1 SIGNIFICATO E FONTI DELLA REGOLA -Il licenziamento deve essere giustificato dal datore di lavoro, se-
condo la regola di giustificazione necessaria, introdotta prima da accordi interconfederali e poi dalla legge
n. 604/1966. Ciò al fine di tutelare il lavoratore, sia con questa regola sia con la previsione di sanzioni a cari -
co del datore che non la applica. Del resto, la regola di giustificazione necessaria del licenziamento trova
fondamento nella Costituzione (come statuito dalla Corte Costituzionale nel 2000) in base ai principi della
tutela della parte debole e della tutela del lavoro.
"L'onere di allegazione e prova della giusta causa grava sul datore" (art. 5 legge 604/1966):
- nel contratto a tempo indeterminato, poiché il lavoratore viene privato del diritto di preavviso;
- nel contratto a tempo determinato, altrimenti il licenziamento è inefficace e il rapporto di lavoro
prosegue fino a scadenza pattuita.
Nel lavoro pubblico, invece, la legge prevede le ipotesi tassative di cause di licenziamento, con l’applicazione
dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori a tutte le PA, a prescindere dal numero dei dipendenti: il rapporto di
lavoro pubblico, quindi, anche dopo la privatizzazione, è caratterizzato da una maggiore stabilità, ad ecce -
zione di alcune ipotesi di licenziamento libero (paragrafo 71.3).
65.2 LA GIUSTA CAUSA
L’IMMEDIATEZZA DEL LICENZIAMENTO E LA SOSPENSIONE
La definizione di giusta causa come la "causa talmente grave che non consente la prosecuzione, anche prov-
visoria, del rapporto" (art. 2119 cod. civ.) indica la particolare rilevanza e urgenza della situazione conside-
rata. Per questo il licenziamento per giusta causa è ammesso solo se è rispettato il principio di immediatez-
za, ovvero solo se avviene nell'immediatezza del fatto o della sua conoscenza da parte del datore, ovvia -
mente intesa in senso relativo poiché il datore deve avere un lasso di tempo in cui compiere gli accertamen-
ti necessari ed eventualmente procedere alla sospensione cautelare del lavoratore (continuando però a re -
tribuirlo) se reputi che la sua presenza in azienda possa pregiudicare il regolare svolgimento dell'attività di
questa, ecc. Nel settore pubblico, la sospensione cautelare è obbligatoria in caso di condanna penale non
definitiva per reati di peculato, concussione e corruzione.
LA DEFINIZIONE DELLE IPOTESI DI GIUSTA CAUSA
In ogni caso, la nozione di giusta causa è fissata dalla legge, per cui le descrizioni operate nei contratti collet-
tivi non vincolano il giudice, ma il lavoratore dovrà provare le circostanze per le quali non dovrebbero appli -
carsi le tipizzazioni (individuazione dei fatti-tipo che possono valere come giusta causa) della giusta causa,
fissate nei contratti collettivi.
Tuttavia, per dare maggiore importanza a queste tipizzazioni, l’art. 30 comma 3 della l. 183/2010, dispone
che nel valutare le motivazioni poste a base licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta
causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati più rappresenta-
tivi o nei contratti individuali di lavoro, stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certifi -
cazione. Si applicano, comunque, le clausole collettive o individuali di miglior favore per il lavoratore.
Per quanto riguarda i fatti che rappresentano giusta causa, essi sono i gravi inadempimenti contrattuali del
dipendente o altri fatti estranei allo svolgimento del rapporto, che facciano venir meno l’idoneità del lavora -
tore all’esecuzione della prestazione dedotta in contratto.
I FATTI-REATO E I RAPPORTI CON IL PROCESSO PENALE
Anche per i fatti-reato non scatta automaticamente il licenziamento, ma occorre verificare se essi abbiano
escluso l’idoneità del lavoratore ad eseguire la prestazione contrattuale. Il datore può ritenere venuta meno
tale idoneità e licenziare il lavoratore anche prima della fine del processo penale. Inoltre, il giudicato di as -
soluzione secondo cui il fatto non sussiste o non è stato commesso dal lavoratore imputato vincola il datore
di lavoro solo se questi ha partecipato al processo penale. L’altro tipo di giudicato, ossia l’assoluzione perché
il fatto sussiste ma non costituisce reato, non esclude che il giudice civile possa qualificare il medesimo fatto
come giusta causa di licenziamento.
Per quanto riguarda il patteggiamento, la relativa sentenza, salvo apposite clausole del contratto collettivo,
non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile relativo al lavoro privato (invece, nel lavoro pubblico, la sen-
tenza di patteggiamento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile), per cui si dovranno accertare tutti i fatti
invocati come giusta causa di licenziamento.
Il processo civile sul licenziamento deve essere sospeso per la contemporanea pendenza del processo pena -
le, se questo può dar luogo ad una sentenza avente efficacia di giudicato nell’altro processo.
CONVERSIONE DEL LICENZIAMENTO
Se si accerta che il licenziamento comminato per giusta causa era sorretto da un fatto non costituente giusta
causa, lo stesso licenziamento può rimanere efficace se era consentito il licenziamento libero ex art. 2118
cod. civ.. Il licenziamento resta efficace se si accerta che il fatto, pur non costituendo giusta causa, era quali -
ficabile come giustificato motivo.
CASISTICA
Tra i fatti estranei allo svolgimento del rapporto, idonei a costituire giusta causa di licenziamento ricordiamo
l’uso di stupefacenti, il possesso illegittimo di armi, la falsa testimonianza contro il datore, la relazione ses-
suale con la moglie del datore. Tra i fatti costituenti inadempimenti del contratto di lavoro, ricordiamo le as -
senze ingiustificate, la distruzione o il furto di beni aziendali, la falsificazione di certificati medici, le ingiurie
o aggressioni nei confronti di superiori gerarchici, l’ubriachezza sul luogo di lavoro, ecc.
65.3-65.4 IL GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO E IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO - L'art. 1 legge
604/1966, (legge che disciplina il licenziamento individuale) afferma che "la regola di giustificazione neces-
saria per il licenziamento nel rapporto a tempo indeterminato, è rispettata in presenza di giusta causa ma
anche per giustificato motivo". La differenza sostanziale tra i due è nel profilo quantitativo (maggiore o mi -
nore gravità), inoltre:
- per giusta causa si intende una situazione talmente grave da compromettere il rapporto fiduciario
tra datore e lavoratore, da giustificare l’immediata interruzione del rapporto di lavoro e l’impossibi -
lità di proseguirlo, anche se solo provvisoriamente; il datore di lavoro non è obbligato a fornire il pe-
riodo di preavviso al dipendente né a riconoscergli l’indennità di mancato preavviso (cosiddetto li-
cenziamento in tronco);
- per giustificato motivo consiste in un inadempimento meno grave degli obblighi contrattuali da
parte del lavoratore, ad esempio l’abbandono del posto di lavoro senza giustificazioni, ripetute vio-
lazioni del codice disciplinare, ecc; il datore di lavoro è obbligato a concedere al dipendente il perio-
do di preavviso o, in alternativa, a corrispondergli l’indennità di mancato preavviso.
Il giustificato motivo, che richiede comunque un periodo di preavviso, può essere (art. 3 legge 604/1966):
1) soggettivo: se determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di la-
voro; nel settore pubblico costituisce motivo di giustificato motivo soggettivo per licenziamento l'insuffi-
ciente rendimento per almeno un biennio dovuto alla reiterata violazione di obblighi inerenti la prestazione
lavorativa. Naturalmente spetta al giudice valutare caso per caso, se un dato fatto è talmente grave da esse -
re giusta causa, o meno grave da essere giustificato motivo soggettivo; anche qui vige il principio di imme-
diatezza, perché far passare troppo tempo fa presumere che il datore abbia considerato il fatto del lavorato -
re compatibile con la prosecuzione del rapporto di lavoro;
2) oggettivo: per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funziona-
mento di essa (es. riorganizzazione, riduzione di personale, chiusura aziendale). In questo caso il giudice non
può sindacare sulle scelte economico-organizzative del datore ma deve limitarsi a verificarne il nesso causa-
le con il licenziamento. Il datore, in particolare, dovrà provare la reale soppressione del posto di lavoro oc-
cupato dal lavoratore necessario e dimostrare la reale inutilizzabilità di quest'ultimo in altre posizioni equi -
valenti. Nel giustificato motivo oggettivo possono essere comprese anche vicende personali del lavoratore,
ma sempre relative all'organizzazione aziendale, come:
- sopravvenuta inidoneità fisica, che sia di durata imprevedibile e non derivante da infortunio o ma-
lattia professionale; ammesso che il lavoratore non possa essere utilizzato per mansioni inferiori;
- perdita dei requisiti soggettivi indispensabili per il lavoro (es. revoca della patente nel caso in cui il
lavoratore faccia l'autista);
- carcerazione preventiva solo nel caso in cui l'assenza del lavoratore determini problemi organizza-
tivi non fronteggiabili con altro personale o faccia venir meno l'interesse a svolgere ulteriori presta-
zioni.
L'ipotesi di licenziamento per superamento del periodo di comporto non rientra tra il giustificato motivo in
quanto ricondotto alla disciplina speciale dell'art. 2110 cod. civ. (in realtà vi è contraddizione tra due sen-
tenze del Tribunale di Milano del 2013 (5 marzo e 22 marzo) in cui si contraddicevano una dicendo che ci
rientra e l'altra no, quindi una diceva di esperire il tentativo di conciliazione e l'altro no). Se rientrasse nel
giustificato motivo si applicherebbe la tutela reintegratoria attenuata.
65.5 L’INGIUSTIFICATEZZA QUALIFICATA (LA RIFORMA FORNERO, LEGGE 92/2012) - Mentre nell'art. 2118
cod. civ. è riconosciuto al datore di lavoro il potere di recedere liberamente con preavviso, con la legge
92/2012, la cosiddetta Riforma Fornero, sono stati modificati gli artt. 6 e 7 della legge 604/1966 e l’art. 18
stat. lav. (legge 300/1970), in materia di licenziamenti individuali. In tal modo, è stato introdotto nel nostro
ordinamento il principio della ingiustificatezza del licenziamento, cioè il licenziamento del lavoratore subor-
dinato deve essere giustificato, contestualmente al licenziamento, con una giustificazione obiettiva (cioè
non riconducibile alla mera discrezionalità del datore di lavoro) e deve essere oggetto di una possibile valu -
tazione da parte di un terzo imparziale (il giudice) che possa stabilire se la giustificazione c’è oppure no, e la
motivazione del licenziamento deve essere sindacabile (quindi dev'esserci un metro oggettivo con il quale
valutarla). Ciò al fine di tutelare il lavoratore, sia con questa regola sia con la previsione di sanzioni a carico
del datore che l'applica. Per effetto di tale riforma, il licenziamento ingiustificato può essere caratterizzato
da:
- ingiustificatezza semplice: per il quale il lavoratore può avere solo un'indennità risarcitoria (tutela
indennitaria);
- ingiustificatezza qualificata: per la quale il lavoratore ha una tutela reale, ossia il diritto di essere
reintegrato nel posto di lavoro, previsto dall'art. 18 comma 4 stat. lav.
Per quanto riguarda l'onere della prova in giudizio tra lavoratore e datore, l'iter è il seguente:
- il datore deve provare che il licenziamento è giustificato;
- il lavoratore, se il datore non fornisce questa prova, deve provare che non vi è ingiustificatezza or-
dinaria, ma che ricorre una delle 3 ipotesi di ingiustificatezza qualificata.
Le 3 modalità di ingiustificatezza qualificata introdotte dalla riforma Fornero che fanno scattare la tutela
reale sono:
a) nella giusta causa e nel giustificato motivo soggettivo
1) insussistenza del fatto contestato: il fatto addebitato al lavoratore non esiste, perciò si applica la
tutela reale. Quest'ultima si applica anche nel caso in cui il fatto contestato è vero, ma è manifesta -
mente insufficiente a giustificare il licenziamento (si pensi al ritardo di pochi minuti del lavoratore),
2) il fatto contestato rientra tra quelli per i quali i contratti collettivi prevedono una sanzione conser -
vativa, ossia sanzioni che non compromettono la conservazione del posto di lavoro.
b) nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo
3) la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento non è sufficiente ad aver dirit-
to alla tutela reale, bensì si necessita di un ulteriore valutazione del giudice, che può (e non "è ob-
bligato a") applicare la tutela reale.
Il giudizio, in base all'esito delle prove raccolte, può avere i seguenti esiti:
a) il giudice ritiene che il licenziamento sia giustificato: sono rigettate tutte le domande del lavoratore;
b) il giudice ritiene che i fatti posti a base del licenziamento siano manifestamente insussistenti: viene rac-
colta la domanda di tutela reale del lavoratore;
c) il giudice ritiene che il datore non ha provato che il licenziamento è giustificato e che il lavoratore non ha
provato la manifesta insussistenza dei fatti per cui il datore ha applicato il licenziamento: il giudice rigetta la
domanda del datore di accertamento della giustificatezza del licenziamento, rigetta la domanda del lavora-
tore di accertamento di ingiustificatezza qualificata del licenziamento, e riconosce a lavoratore un tutela in -
dennitaria per l'ingiustificatezza semplice.
LICENZIAMENTO VERBALE - Il licenziamento verbale (o orale) si verifica quando il lavoratore viene allonta-
nato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera o altro). La legge im -
pone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto, perciò il licenziamento verbale è ineffi -
cace: ciò significa che non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le
parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando
non sopravvenga un’efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l’effettiva riassunzio-
ne. In questi casi è necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di
cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell’attività
dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

66 I DIVIETI DI LICENZIAMENTO
66.1 GENERALITÀ - Caratteristiche comuni a questi divieti sono l'onere della prove a carico del lavoratore
della situazione fondante il divieto e la tutela reale per la violazione del divieto, che il lavoratore ha interes-
se ad invocare sia nei rapporti a regime di licenziamento libero sia di giustificazione necessaria ma con tute -
la debole sia nei rapporti con tutela reale per la sola ingiustificatezza qualificata.Al lavoratore attualmente
conviene sempre invocare la nullità del licenziamento, nullità che se accertata garantisce al lavoratore la
conservazione del posto di lavoro.
Per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore del d. lgs. 23/2015 i licenziamenti discriminatori o nulli o inti-
mati in forma orale sono assistiti dalla tutela reale, quasi identica a quella prevista dall'art. 18 Stat. Lav.
66.2 IL LICENZIAMENTO PER MOTIVO ILLECITO E IN FRODE ALLA LEGGE -
"Il licenziamento si considera disposto per motivo illecito se è contrario a norme imperative, all'ordine pub -
blico ed al buon costume" (art. 1345 cod. civ.) e determina la nullità del licenziamento solo se quell’illecito è
l’unico determinante, sicché è efficace il licenziamento disposto sia per un motivo illecito che per un altro
giustificato motivo. Quanto alle conseguenze, il licenziamento per motivo illecito, è nullo; dopo la riforma
del 2012, tale licenziamento è soggetto alla tutela speciale reale prevista dall’art. 18 commi da 1 a 3, Stat.
Lav. L’onere della prova circa il motivo illecito grava sul lavoratore, che può provarlo anche tramite presun-
zioni. Rimane l'obbligo del risarcimento del danno da parte del datore di lavoro, inoltre il lavoratore ha dirit -
to alla reintegrazione del posto o, in alternativa, un'indennità (da richiedere entro 30 giorni dalla sentenza)
pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rap -
porto di lavoro.
È da considerarsi certamente nullo il licenziamento in frode alla legge, ossia diretto ad eludere l’applicazio-
ne di norma imperativa (ad es. quello disposto prima del trasferimento d’azienda e seguito da immediata
riassunzione, per eludere le norme dell’art. 2112 sulla responsabilità solidale dell’acquirente e sulla conser -
vazione del precedente trattamento). Le conseguenze sono le stesse già viste per il licenziamento per moti-
vo illecito.
66.3 IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO - La legge considera discriminatorio, vietandolo, il licenziamen-
to solo quando determinato da ragioni tassativamente previste (sindacali, politiche, religiose, etniche, di lin -
gua, di sesso, di convinzioni personali, di età, di tendenze). In tali ipotesi, e non in altre, il licenziamento si
considera discriminatorio ed è nullo, con applicazione della tutela reale ex art. 18 Stat. Lav. L’onere della
prova circa le ragioni discriminatorie è a carico del lavoratore.
66.4 IL LICENZIAMENTO DELLE LAVORATRICI MADRI E CAUSE DEL MATRIMONIO - È vietato il licenziamento
della lavoratrice nel periodo dal giorno della richiesta di pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo
la celebrazione, nonché dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno del bambino (si applica
anche al padre lavoratore che si astenga dal lavoro nei primi 3 mesi del figlio in mancanza della madre). In
questi periodi, il licenziamento è ammesso solo per colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa
oppure per cessazione dell’attività aziendale. In tutte le altre ipotesi, il licenziamento, comminato nei sud-
detti periodi, è nullo.
Si tratta di una tutela speciale, che presenta il rischio di poter disincentivare l’occupazione femminile, poi-
ché nessun datore può gradire di assumere un dipendente che, per effetto del matrimonio e delle gestazio -
ni, può rimanere assente per lunghi periodi al luogo di lavoro.
66.5 LE ASSENZE CON DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - In determinate ipotesi, il lavoratore, an-
che se non esegue la prestazione lavorativa, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (ad es. richiamo
alle armi, chiamata a funzioni pubbliche). Durante il periodo di sospensione, il datore non può recedere dal
contratto, ma può solo licenziare il lavoratore se ricorre una giusta causa o se vi è cessazione dell’attività
aziendale.

67 L’INTIMAZIONE DEL LICENZIAMENTO


67.1 L’AUTORE DEL NEGOZIO - Con il termine licenziamento si intende l’atto unilaterale recettizio (cioè che
per avere efficacia deve pervenire al lavoratore art. 1334 cod. civ.) con cui il datore di lavoro o un legittimo
rappresentante, interrompe il rapporto di lavoro.
67.2 LA FORMA - Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore, fatta ecce-
zione per i lavoratori in prova, per i lavoratori domestici, per gli ultrasessantenni con diritto alla pensione.
Inoltre, il licenziamento è un atto unilaterale recettizio: per avere efficacia, deve essere portato a conoscen -
za del lavoratore (si presume la conoscenza se l’atto è recapitato al suo indirizzo). Se il licenziamento è privo
della forma scritta, è nullo, con obbligo del lavoratore ad applicare la tutela reale ex art. 18 Stat. Lav.
Il datore può sempre emanare un successivo licenziamento scritto, che avrà una sua autonoma efficacia, ri -
spetto a quello precedente, nullo per mancanza della forma scritta.

67.3 LA MOTIVAZIONE -
Secondo la legge 604/1966 prima della Riforma Fornero, il licenziamento poteva non contenere i motivi; il
lavoratore poteva richiederli entro 15 giorni e il datore dare risposta entro 7 dalla richiesta. Con la riforma,
che ha novellato tale legge, il licenziamento deve essere motivato contestualmente al licenziamento e in
caso di impugnazione il datore non potrà modificare tali motivi in giudizio. Il licenziamento deve essere mo -
tivato, con motivi specifici ed essenziali per far comprendere al lavoratore le ragioni del recesso. I motivi
possono essere plurimi ed in tal caso la giustificazione del licenziamento può risultare dalla fondatezza an-
che di uno solo di essi.
Resta illecito il licenziamento ingiurioso, cioè quello che, a prescindere dalla sua giustificatezza, sia intimato
con modalità tali da ledere l'onore e il decoro del lavoratore, il quale, se prova tali modalità, può richiedere
il risarcimento dei danni conseguenti anche nelle residue ipotesi di licenziamento libero o di avvenuta deca -
denza dall'impugnazione.
I motivi sono immodificabili, cosicché il datore non potrà invocarne altri in giudizio, ma solo aggiungere
qualche fatto confermativo o di contorno. Esula dal principio di immodificabilità dei fatti la diversa qualifica-
zione giuridica dei fatti stessi.
Se il licenziamento non è motivato, scatta l’obbligo di pagamento di una indennità da 6 a 12 mensilità; solo
per alcuni datori, come aziende minori o di tendenza, il licenziamento privo di motivazione è inefficace, con
una tutela reale. Una svista del legislatore ha creato una illogica disparità di trattamento tra datori.
67.4 LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - Il licenziamento disciplinare è una delle più forti sanzioni disciplinari,
si applica soprattutto per giusta causa/giustificato motivo, ed è un licenziamento che si fonda su comporta-
menti del lavoratore che non adempie ai propri doveri violando delle norme stabilite dalla legge, dai con-
tratti collettivi e del codice disciplinare dell’azienda.
Il datore, ai sensi dell’art.7 Stat. Lav.:
- deve affiggere il codice disciplinare;
- deve contestarne preventivamente l’addebito;
- deve consentire al lavoratore di difendersi, prima di adottare la sanzione.
Era prevalsa la tesi che tali regole procedimentali andassero applicate anche nel caso di licenziamento senza
giusta causa o giustificato motivo oggettivo, poiché il licenziamento era pur sempre una reazione del datore
all’inadempimento del lavoratore. In tal senso si era pronunciata anche la Corte Costituzionale, facendo leva
sull’art. 3 Cost. La giurisprudenza, però ha cambiato tale impostazione ritenendo che il licenziamento viziato
da vizio procedimentale non è automaticamente nullo, ma è soggetto alla sanzione d’area, ossia alla sanzio-
ne di volta in volta prevista per la situazione del lavoratore (tutela reale, tutela indennitaria, recesso libero).
La successiva evoluzione legislativa è culminata nella legge 92/2012 (Riforma Fornero): essa ha previsto che
il licenziamento affetto da vizio procedimentale dia luogo alla tutela indennitaria (da 6 a 12 mensilità) in fa -
vore del lavoratore, ma tale vizio non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, dovendo essere espressamen-
te e tempestivamente eccepito dalla parte.
- Il datore di lavoro deve portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinari che se violate
comportano sanzioni disciplinari, non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti
del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito, averlo sentito a sua difesa (per
la quale il lavoratore può scegliere di avvalersi di un rappresentante dell'associazione sindacale) ed
esser passati 5 giorni dalla contestazione del fatto.
- Se il licenziamento disciplinare risulta illegittimo, a tutela del lavoratore, nelle imprese con meno
di 15 dipendenti si applica la tutela obbligatoria, in quelli con più si applica l'ambito di applicazione
dell'art. 18 stat. lav. a seconda del vizio riscontrato.
Riassumendo, le innovazioni introdotte dall'art. 7 Stat. Lav. riguardano: obbligo di pubblicità della normativa
disciplinare, necessità di una preventiva contestazione e suoi requisiti, tempestività della contestazione,
specificità della contestazione, immodificabilità del contenuto della contestazione, necessità della forma
scritta della contestazione, divieto di procedere ad indagini preliminari, rispetto di un criterio di proporzio -
nalità della sanzione adottata, indicazione di termini e modalità di difesa, divieto di mutamenti definitivi del
rapporto di lavoro, termini per la comminazione del provvedimento, sospensione cautelare, sedi e modalità
di impugnazione della sanzione disciplinare.
67.5 LA RIPETIZIONE DEL LICENZIAMENTO - In presenza di un licenziamento illegittimo, il datore ha la possi-
bilità di disporre un secondo licenziamento.
Se il vizio del primo licenziamento era un vizio di forma, il datore può ripetere ex nunc (senza efficacia re-
troattiva) il licenziamento, per gli stessi motivi sostanziali, ma rispettando la forma precedentemente viola -
ta. Se il vizio del primo licenziamento è un vizio sostanziale, il nuovo licenziamento è ammesso solo per altri
motivi sostanziali.
In entrambi i casi non occorre né attendere il provvedimento di reintegrazione in servizio del lavoratore, nè
che il datore di lavoro revochi o rinunci a difendere il primo licenziamento, la cui eventuale legittimità ren -
derebbe inutile il successivo recesso.
67.6 IL PROCEDIMENTO PREVENTIVO AL LICENZIAMENTO PER MOTIVO OGGETTIVO NELLE MAGGIORI OR-
GANIZZAZIONI
Il legislatore ha previsto un procedimento conciliativo obbligatorio, preventivo rispetto all'intimazione di li-
cenziamento. Il procedimento riguarda solo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, solo per i da -
tori di lavoro aventi requisiti dimensionali per l'applicazione delle disposizioni dell'art. 18 Stat. Lav.. Sono pr-
viste, però, tre eccezioni per i datori di lavoro maggiori:
1) licenziamento per superamento del periodo di comporto, rappresenta una fattispecie peculiare
disciplinata dall'art. 2110 cod. civ. e non un licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
2) cambio appalto, se il nuovo appalto è modificato oppure il nuovo appaltatore non applica il con-
tratto collettivo di diritto comune, i dipendenti rimangono in forza al precedente appaltatore che
potrebbe licenziarli, anche collettivamente se sono almeno 5, se mancano le possibilità di utilizzarli
nell'organizzazione;
3) licenziamenti o interruzioni per “fine lavori” nelle costruzioni edili.
La funzione di questo procedimento è quella di evitare le incertezze del regime sanzionatorio previsto per il
licenziamento ingiustificato.
COMUNICAZIONE
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora disposto da un datore di lavoro avente alti requi -
siti dimensionali, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione
territoriale del lavoro (DTL) del luogo dove il lavoratore presta la sua opera e deve essere trasmessa per co-
noscenza al lavoratore. Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al
licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento, nonché le eventuali misure di assi -
stenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
CONVOCAZIONE
La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine
perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale
di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
CONCLUSIONE
Tale procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione, procedono ad esa -
minare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione
territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro. Se fallisce il tentativo di conciliazione, il
datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano
le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favori -
re la ricollocazione professionale del lavoratore, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia interinale.
Inoltre, il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commis -
sione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice
per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 St. lav.
• Per evitare che il lavoratore, in vista del licenziamento preannunciato, dichiari una malattia di com-
do per sospendere il decorso del termine di preavviso, il legislatore, con norma antiabuso, preede
che il licenziamento produca effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento mede-
simo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità so-
stitutiva.
La sanzione per il licenziamento intimato senza tale procedura preventiva è un'indennità da 6 a 12 mensili -
tà.
67.7 LA REVOCA DEL LICENZIAMENTO - Il licenziamento come atto unilaterale recettizio non era revocabile
dal datore, dopo essere pervenuto al lavoratore. Invece, per effetto della riforma Fornero, il licenziamento è
revocabile entro 15 giorni da quando il datore ha ricevuto comunicazione dell’impugnazione da parte del la -
voratore del medesimo licenziamento. La revoca, che richiede la forma scritta, produce l’effetto che il rap -
porto di lavoro si considera come mai interrotto e al lavoratore spetta la retribuzione, anche per il periodo
precedente alla revoca. Quest’ultima quindi, producendo effetti senza la necessità di accettazione del lavo-
ratore, si comporta come un diritto potestativo del datore. La disciplina della revoca descritta si applica sol-
tanto ai licenziamenti regolati dall’art. 18 St. lav.
67.8 L'OFFERTA DI CONCILIAZIONE - L'art. 6, d. lgs. 23/2015 prevede un'offerta di conciliazione per i licen-
ziamenti intimati ai lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo decreto. Il datore di lavoro può offri-
re al lavoratore licenziato, entro 60 giorni dal licenziamento, una somma pari a una mensilità di retribuzione
per ogni anno di sevizio e comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18. La conciliazione deve avvenire
nelle sedi assistite previste dalla legge, la somma deve essere erogata mediante assegno circolare e il lavora-
tore che accetta questa somma deve rinunciare all'impugnazione del licenziamento.

68 L’IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO


68.1 IL TERMINE DI DECADENZA - il lavoratore può impugnare il licenziamento sia in via stragiudiziale (con
un semplice atto scritto idoneo a rendere nota la volontà di contestazione del lavoratore, senza richiedere
l’intervento del giudice) sia in via giudiziale, facendo ricorso al giudice del lavoro.
Il procedimento attuale (post riforma Fornero) della legge 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro) è:
1) primo termine di decadenza: entro 60 giorni dalla comunicazione scritta del licenziamento e rela-
tivi motivi, "a pena di decadenza, il lavoratore deve impugnare il licenziamento" legge 604/1966 in
modo che il datore sia tutelato sapendo in breve tempo se il licenziamento da lui intimato è o meno
contestato dal lavoratore;
2) secondo termine di decadenza: entro 180 giorni dalla prima impugnazione (270 giorni per i licen-
ziamenti intimati prima della riforma Fornero) per depositare il ricorso in tribunale, oppure "comu-
nicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato" artt. 409 e 410 cod.
proc. civ. (prima tale tentativo era obbligatorio);
3) in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene rifiutata oppure non si
raggiunge l’accordo, il lavoratore ha 60 giorni per depositare il ricorso in tribunale.
I termini di decadenza (60 giorni prima per la prima impugnativa e 180 per quella giudiziale successiva) sono
termini di decadenza sostanziale, ossia per essi non operano cause di sospensione o interruzione, ad ecce-
zione del caso in cui sia richiesto il tentativo di conciliazione. Tale richiesta sospende il decorso di ogni termi-
ne di decadenza per la durata di tale tentativo e per i venti giorni successivi alla sua conclusione.
La decadenza in esame si applica al lavoro sia privato che pubblico, in tutti i casi di invalidità di licenziamen -
to (discriminatorio, disciplinare, matrimonio, motivo illecito/frode di legge, per scadenza del comporto di
malattia o infortunio) escluso quello orale, nell'impugnazione del trasferimento d'azienda, nella sommini-
strazione irregolare. Con la riforma del 2012, inoltre, è venuta meno, in ordine alla decadenza, ogni differen -
za di disciplina tra licenziamento individuale e collettivo.
Infine, va notato che, una volta scaduti i termini di decadenza, il licenziamento, anche se illegittimo, non
può più essere impugnato, mentre resta possibile solo una eventuale azione per risarcimento danni nei con-
fronti del datore, quando ne ricorrono le condizioni, come potrebbe essere nel caso del licenziamento ingiu-
rioso, ossia nel licenziamento intimato con modalità da offendere la dignità del lavoratore.
68.2 L’IMPUGNATIVA STRAGIUDIZIALE E GIUDIZIALE - Per quanto attiene all’IMPUGNATIVA STRAGIUDIZIA-
LE, essa può avvenire con qualsiasi scritto idoneo a rendere chiara la volontà del lavoratore di impugnare il
licenziamento. Entro il termine di 60 giorni, secondo l’autore, in contrasto con l’orientamento della Cassa-
zione, non basta che l’atto sia spedito, ma deve essere ricevuto dal lavoratore, perché l’impugnazione è un
atto recettizio. Pertanto, anche nel caso in cui il lavoratore scelga di presentare direttamente ricorso giudi-
ziale senza previa impugnativa stragiudiziale, è necessario che nel termine di 60 giorni il ricorso, con il de -
creto giudiziale di fissazione dell’udienza, sia notificato al datore, non essendo sufficiente che entro quel
termine sia solo depositato in Tribunale. Per quanto riguarda l’IMPUGNATIVA GIUDIZIALE, nel termine di
180 giorni deve essere depositato il ricorso presso il Tribunale o deve essere depositata la richiesta di conci -
liazione (oppure arbitrato). Nel ricorso va indicato il tipo di vizio di licenziamento (difetto di forma, ingiustifi-
catezza, vizio procedimentale, ecc.), essendo preclusa una tardiva deduzione di un vizio non tempestiva-
mente reso noto.
Nel giudizio instaurato con il ricorso, il lavoratore dovrà provare l’esistenza del licenziamento; se il datore
prova a sostenere l’inesistenza del licenziamento, il lavoratore potrà osservare che allora il lavoro è prose-
guito, richiedendo in subordine il pagamento delle retribuzioni. In ogni caso, il lavoratore può sempre rinun -
ciare all’impugnazione, il che generalmente avviene in cambio del versamento di una somma, che gode di
agevolazioni contributive e fiscali.
68.3 L’AUTORE DELL’IMPUGNAZIONE - L’impugnazione deve sempre essere sottoscritta dal lavoratore ed
eventualmente anche dall’avvocato difensore. L’impugnativa giudiziale può essere sottoscritta dal solo avvo-
cato, al quale il lavoratore abbia conferito procura alle liti. L'impugnativa stragiudiziale deve essere sotto-
scritta dal lavoratore, quindi non basta la sottoscrizione di un legale privo di apposita procura scritta.
Una eccezione a tali principi è quella che consente l’impugnazione attraverso l’intervento dell’organizzazio-
ne sindacale (non è necessaria la procura scritta da parte del lavoratore).
68.4 IL RITO SPECIALE PER LE CONTROVERSIE NEI LICENZIAMENTI REGOLATI DALL’ART. 18 STAT. LAV.
LE CONTROVERSIE ALLE QUALI SI APPLICA IL RITO SPECIALE
Il rito speciale, introdotto dalla riforma Fornero, si applica alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa
dei licenziamenti, nelle ipotesi regolate dall’art. 18 Stat. Lav. (con esclusione dei licenziamenti soggetti a tu-
tela obbligatoria per il modesto organico dei datori o perché trattasi di organizzazione di tendenza), anche
quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
Sono ammesse anche altre domande fondate sugli identici fatti costitutivi, davvero difficili da ipotizzare.
Quanto al regime intertemporale, c'è la previsione espressa per cui il rito speciale si applica solo alle con-
troversie instaurate successivamente all'entrata in vigore della legge.
COME SI SVOLGE LA FASE SOMMARIA
La domanda si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. A seguito della presenta -
zione del ricorso, il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti. L’udienza deve essere fis -
sata non oltre 40 giorni dal deposito del ricorso. Il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso e
del decreto non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza, nonché un termine, non inferiore a 5 giorni prima
della stessa udienza, per la costituzione del resistente. La notificazione è a cura del ricorrente, anche a mez -
zo di posta elettronica certificata. Si tratta di una fase sommaria perché l'istruttoria è limitata ai soli atti indi-
spensabili e non agli atti ammissibili e rilevanti, come previsto per la fase di opposizione. Pertanto in questa
fase, il convincimento in fatto è superficiale.
I tempi della fase sommaria non sono strettissimi, essendo previsti 40 giorni per l'udienza, non molto riduci-
bili per il termine minimo di 25 giorni da rispettare, oltre al tempo necessario per l'eventuale istruttoria.
Non può escludersi un ricordo cautelare ex art. 700 cod. proc. civ..
Qualora, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ri -
tiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede,
con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda. L’efficacia esecutiva
dell’ordinanza non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice defini -
sce il giudizio.
L’EVENTUALE FASE DI OPPOSIZIONE
Contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto può essere proposta opposizione con ricorso (contenente i
requisiti dell'art. 414 cod. proc. civ.) da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento op-
posto, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla notificazione dello stesso o dalla comunicazione, se ante -
riore. All’udienza fissata dal giudice, il giudice stesso, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale
al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti
richiesti dalle parti, nonché disposti d’ufficio. I termini sono:
- 60 giorni per la fissazione dell'udienza;
- notifica di ricorso e decreto all'opposto almeno 30 giorni prima dell'udienza;
- costituzione dell'opposto fino a 10 giorni prima dell'udienza.
Successivamente provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, la quale deve essere
depositata in cancelleria entro 10 giorni dall'udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecuti-
va e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
LE IMPUGNAZIONI IN CORTE D’APPELLO E IN CASSAZIONE
Contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla corte d’appello. Il reclamo si pro -
pone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notifica -
zione se anteriore. È anche ammesso il ricorso per cassazione contro la sentenza, che deve essere proposto,
a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La
sospensione dell’efficacia della sentenza deve essere chiesta alla corte d’appello.
L’autore osserva che questo rito speciale rende ormai del tutto eccezionale l’ipotesi, prima molto frequente,
di impugnativa del licenziamento attraverso la procedura d’urgenza es art. 700 C.P.C.

69 IL REGIME DI TUTELA OBBLIGATORIA


LA TUTELA OBBLIGATORIA PER LE MINORI ORGANIZZAZIONI
La tutela obbligatoria è prevista dalla legge 604/1966 e si applica ai datori di lavoro che alle proprie dipen-
denze abbiano meno di 15 dipendenti per unità produttiva o 60 complessivamente. Il datore è tenuto:
- al reintegro del lavoratore entro 3 giorni
- o in alternativa e a sua preferenza, a risarcire il danno da questi patito, versandogli un’indennità
tra 2,5 e 6 mensilità (per un organico aziendale superiore a 15 dipendenti e anzianità di servizio su -
periore a 10 anni = 10 mensilità; se l'anzianità di servizio supera i 20 anni = 14 mensilità) dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni del -
l’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle
parti.
Si applica in caso di ingiustificatezza del licenziamento (ovvero se non ricorrono gli estremi per ritenere le-
gittimo il licenziamento per giusta causa/giustificato motivo) e per inefficacia del licenziamento per vizio for-
male. Per ingiustificatezza del licenziamento dei dirigenti, a loro favore si applica un'ulteriore indennità sup-
plementare (tra 10 e 30 mensilità) che si aggiunge a quella di mancato preavviso e al TFR. Prima di esperire
il giudizio per la tutela obbligatoria, è obbligatorio effettuare un tentativo di conciliazione in sede ammini-
strativa o sindacale, a pena di improcedibilità del giudizio. In caso di mancata conciliazione, è previsto un ar-
bitrato facoltativo.

69.4 LA TUTELA INDENNITARIA PER LE MAGGIORI ORGANIZZAZIONI - Con la L. 92/2012, anche nelle mag-
giori organizzazioni (con almeno 16 dipendenti), il lavoratore licenziato può ricevere una tutela solo inden-
nitaria (riceve solo un’indennità risarcitoria, ma non conserva il posto di lavoro) e per quanto riguarda la tu-
tela reale, ossia il diritto alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, essa opera
solo:
- nelle 3 ipotesi di ingiustificatezza (par. 65.5);
- perché si accerta che il lavoratore, considerato fisicamente inidoneo dal datore, è in realtà idoneo;
- perché si accerta che il periodo di comporto, considerato scaduto dal datore, in realtà non è scadu -
to.
Al di fuori di queste ipotesi, anche nelle maggiori organizzazioni, il lavoratore, ingiustificatamente licenziato,
non ha diritto alla conservazione del posto, ma ha diritto ad un’indennità risarcitoria onnicomprensiva (= as-
sorbe ogni risarcimento di eventuali danni anche non patrimoniali), tra un minimo di 12 ed un massimo di
24 mensilità, ciascuna pari all’ultima retribuzione globale di fatto.
Anche per i licenziamenti con vizi procedimentali, nelle maggiori organizzazioni, è solo prevista una tutela
indennitaria, ossia una indennità tra un minimo di 6 ad un massimo di 12 mensilità. I vizi procedimentali
sono: difetto di motivazione contestuale, difetto di procedura disciplinare, difetto della procedura preventiva
per il giustificato motivo oggettivo.
69.5 LA TUTELA INDENNITARIA PER I NUOVI ASSUNTI - Il d. lgs. 23/2015 ha modificato la tutela contro i li-
cenziamenti illegittimi soltanto per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo decreto e per i da -
tori di lavoro che superano il requisito dimensionale previsto dall'art. 18 Stat. Lav.. La tutela indennitaria si
applica ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e ai licenziamenti per giusta causa o per giustifica -
to motivo soggettivo. L'indennità, esente dai contributi previdenziali, è pari a 2 mensilità dell'ultima retribu -
zione per ogni anno di servizio (tutela crescente), non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. Per i lavo-
ratori che hanno un'anzianità di servizio superiore a 12 anni spetta il massimo dell'indennità. Mentre per i
vecchi assunti l'indennità andava dalle 12 alle 24 mensilità.
Per i datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali dell'art. 18 Stat. Lav. non si applica la tute-
la reale per il licenziamento viziato da ingiustificatezza qualificata e l'indennità è dimezzata (non può supera-
re le 6 mensilità).
Per i vizi formali e procedurali è prevista un'indennità pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di
servizio non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, salvo che il giudice accolga la domanda del lavora -
tore per la tutela reale o per la tutela obbligatoria contro il licenziamento illegittimo.
Nel caso di subentro nell'appalto, l'anzianità di servizio del lavoratore si computa tenendo conto di tutto il
periodo in cui il lavoratore era adibito all'appalto.
69.5 LA TUTELA OBBLIGATORIA DI FONTE COLLETTIVA PER I DIRIGENTI - La legge non prevede la tutela rea-
le per i dirigenti licenziati ingiustificatamente, ma i contratti collettivi prevedono a loro favore un’indennità
supplementare (che va da un minimo di 10 ad un massimo di 30 mensilità), che si aggiunge alla indennità
per mancato preavviso e al TFR. Per stabilire questa indennità supplementare, è previsto un arbitrato irri -
tuale, che ciascuna parte può accettare o rifiutare. Se entrambe lo accettano, non è più possibile ricorrere
alla giustizia ordinaria.
Alcuni contratti collettivi prevedono in alternativa all'indennità per licenziamento ingiustificato, un'indenni-
tà automaticamente dovuta per i licenziamenti determinati da crisi aziendale accertata in via amministra-
tiva.

70 IL REGIME DI TUTELA REALE


Si applica ai datori di lavoro che alle proprie dipendenze abbiano più di 15 dipendenti per unità produttiva o
più di 60 complessivamente. La vecchia disciplina dell'art. 18 stat. lav. prevedeva una tutela reale unica per
tutti i licenziamenti illegittimi, costituita dal reintegro del lavoratore e da un risarcimento (non inferiore alle
5 mensilità) corrispondendogli tutte le retribuzioni dal giorno del licenziamento sino al giorno della effettiva
reintegrazione al lavoro, compreso il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Con la riforma
Fornero le tutele sono state modulate in base al vizio di licenziamento e la reintegrazione è stata mantenuta
in alcuni casi soltanto, distinguendo 4 regimi.
1) TUTELA REINTEGRATORIA PIENA (commi 1-2-3 art. 18): reintegrazione/indennità sostitutiva + ri-
sarcimento del danno, quest'ultimo quantificabile dal giudice con una somma compresa tra un mini-
mo di 5 mensilità di retribuzione e l'ammontare di tutte le retribuzioni perdute (compresi i contribu -
ti previdenziali e assistenziali) dalla data del licenziamento a quella delle reintegrazione, dedotto
solo l'aliunde perceptum (ovvero le retribuzioni percepite per altri lavori).
In alternativa al reintegro, il lavoratore può chiedere, entro 30 giorni dal deposito della sentenza,
un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la
risoluzione del rapporto di lavoro.
Esempi di applicazione: licenziamento orale, illecito, discriminatorio, matrimonio, maternità.
2) TUTELA REINTEGRATORIA ATTENUATA (comma 4): reintegrazione/indennità sostitutiva + risarci-
mento del danno, che però non ha più un limite minimo, bensì un limite massimo di 12 mensilità e si
deve tener conto non solo dell'aliunde perceptum, ma anche dell'aliunde percipiendum, cioè delle
retribuzioni che "avrebbe potuto" percepire dedicandosi alla ricerca di altra occupazione (sarà quin-
di necessario provvedere in modo da poter documentare come il lavoratore si sia adoperato per
cercare un nuovo lavoro).
Esempi di applicazione: vizi sostanziali del licenziamento più gravi, quindi nei 3 casi di ingiustificatez-
za qualificata, ovvero di licenziamento disciplinare per giusta causa/giustificato motivo illegittimo
(se il fatto contestato non sussiste o se il fatto contestato rientra in una delle condotte punibili con
sanzioni conservative) e in caso in cui il giustificato motivo oggettivo sia manifestamente infondato;
violazione dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi.
3) TUTELA INDENNITARIA FORTE (comma 5): è prevista solo una indennità onnicomprensiva da 12
a 24 mensilità, in relazione all'anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti, le dimensioni del-
l'impresa, il comportamento delle parti e le loro condizioni.
Esempi di applicazione: ingiustificatezza del licenziamento nei casi meno gravi (al licenziamento per
giustificato motivo oggettivo quando il fatto invocato sia infondato); violazione delle procedure di li -
cenziamento collettivo.
4) TUTELA INDENNITARIA DEBOLE (comma 6): è prevista solo una indennità onnicomprensiva da 6
a 12 mensilità.
Esempi di applicazione: vizi formali del licenziamento (violazione dell'obbligo di motivazione; della
procedura amministrativa prevista per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo all'art. 7
legge 604/1966; della procedura del licenziamento disciplinare dell'art. 7 stat. Lav.).
Il d. lgs. 23/2015 ha modificato la tutela reale per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo de-
creto e per i datori di lavoro che raggiungeranno i requisiti dimensionali previsti dall' art. 18, c. 8-9, Stat. Lav.
In questi casi la tutela reale reintegratoria vige solo per i licenziamenti nulli o intimati in forma orale, per l'u -
nica ipotesi di ingiustificatezza qualificata o per licenziamenti motivati con l'inidoneità fisica o psichica so-
pravvenuta. Le piccole imprese che non raggiungano i requisiti dimensionali previsti applicano la tutela rea-
le solo per i licenziamenti nulli o orali.
L'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro sancito nella sentenza di reintegro del lavoratore non può
essere eseguito coattivamente, poiché si tratta di un obbligo di fare infungibile, che può essere eseguito
solo dal datore di lavoro e non da altri soggetti, quindi neppure da ufficiali giudiziari o da altri soggetti inca-
ricati dal Tribunale. La reintegra può, dunque, avvenire solo a seguito di una esecuzione spontanea dell’ordi-
ne del giudice, da parte del datore a cui l’ordine è rivolto. Se il datore non esegue l’ordine, non sorge a suo
carico neppure una responsabilità penale, ma il lavoratore ha diritto a ricevere comunque le retribuzioni e
può presentare un’azione risarcitoria per i danni subiti.
Se il datore intende reintegrare il lavoratore, comunicherà al lavoratore un invito a riprendere il servizio e il
lavoratore deve obbedire entro 30 giorni, altrimenti il rapporto si intende automaticamente risolto. Il lavora-
tore, che accolga l’invito, deve essere adibito allo stesso posto che occupava prima del licenziamento, ma il
datore, subito dopo la reintegra, può adottare un provvedimento di trasferimento se ricorre la necessaria
giustificazione oppure può adibire il lavoratore a mansioni equivalenti. Il lavoratore reintegrato, inoltre,
deve restituire l’indennità di mancato preavviso e il TFR che aveva ricevuto dopo il licenziamento, poi dichia -
rato illegittimo.
L'ordine di reintegrazione è precluso o superato qualora sopravvenga un fatto estintivo del rapporto, come
la morte o le dimissioni del lavoratore, la risoluzione automatica del rapporto oppure un nuovo licenziamen-
to non impugnato nel medesimo processo. In tal caso il giudice che accerti l'illegittimità con tutela reale del
licenziamento originario deve limitarsi alla condanna risarcitoria fino al momento della sopravvenuta causa
estintiva.
Può accadere che la sentenza di primo grado abbia disposto il reintegro e che il datore lo abbia eseguito, ma
successivamente la sentenza di secondo grado accerta che il licenziamento era giustificato e che non doveva
esservi alcun reintegro (riforma della sentenza): in tal caso, il datore, senza dovere attendere che la nuova
sentenza passi in giudicato, può subito allontanare nuovamente il lavoratore, senza la necessità di un nuovo
formale licenziamento.
Quando sussista un periculum in mora, di natura alimentare o per l'immagine di solito, il lavoratore poteva
avvalersi del procedimento d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., per ottenere la sospensione dell'efficacia
del licenziamento. Dopo il 2012 e l'introduzione del rito speciale, questo a tutela cautelare è diventata del
tutto eccezionale.
70.2 LA DISCIPLINA DAL PERIODO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO ALL’EFFETTIVA REINTEGRAZIONE - La
disciplina dal periodo del licenziamento all’effettiva reintegra è diversificata in 2 ipotesi.
1) Licenziamenti vietati dall’art. 18 comma 1 St. lav. (discriminatori, motivo illecito, violazione delle norme
su paternità e maternità) e licenziamenti orali
Il lavoratore licenziato ha diritto:
a) al reintegro o in alternativa ad un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e che non è assogget -
tata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro 30 giorni
dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servi-
zio, se anteriore alla predetta comunicazione;
b) oltre al reintegro o all’indennità sostitutiva, eventualmente scelta dal lavoratore, lo stesso ha di-
ritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la
nullità, pari un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata
dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito (al
risarcimento del danno, viene sottratto l’aliunde perceptum, ossia quanto concretamente percepito
dal lavoratore svolgendo altri lavori nello stesso periodo. Non si sottrae, però, ciò che il lavoratore
avrebbe astrattamente potuto percepire con altri lavoro usando l’ordinaria diligenza), nel periodo di
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento
non potrà essere inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è con -
dannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
2) Licenziamenti avvenuti con ingiustificatezza qualificata
Anche in tal caso il lavoratore ha diritto alla reintegra o, a sua scelta, ad un’indennità sostitutiva ed ha inol -
tre diritto ad un’indennità risarcitoria. Rispetto ai licenziamenti di cui al punto 1), però, vi sono le seguenti
differenze:
- non è previsto che l’indennità risarcitoria sia minimo di 5 mensilità, ma è previsto che al massimo
sia di 12 mensilità, per il periodo dal licenziamento al provvedimento giudiziale che dispone la rein-
tegra;
- da tale indennità risarcitoria va detratto sia l’aliunde perceptum, sia l’aliunde percipiendum, cioè
sia ciò che il lavoratore abbia concretamente percepito con altri lavori, sia ciò che avrebbe potuto
percepire usando la norma diligenza;
- il datore non è tenuto, per il periodo dal licenziamento alla reintegra, a versare tutti i contributi,
ma solo la differenza tra i contributi che avrebbe versato in mancanza del licenziamento e quelli do -
vuti da altri datori per i quali abbia lavorato il lavoratore nello stesso periodo.
In definita, il lavoratore vittima di un licenziamento illegittimo, può presentare un ricorso, con queste do-
mande conclusive:
- in via principale, richiedere l’applicazione della tutela reale per i licenziamenti vietati o orali (art.
18, c. 1 St. lav.);
- in via subordinata, richiedere la tutela reale della ingiustificatezza qualificata;
- in via subordinata, richiedere la tutela indennitaria dell’ingiustificatezza semplice;
- chiedere la tutela indennitaria dimezzata (che prevede un’indennità minore rispetto alle altre ipo -
tesi) per eventuale vizio procedimentale.
Il d. lgs. 23/2015 ha modificato la tutela reale per i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore di questo de-
creto e per i datori di lavoro che raggiungeranno i requisiti dimensionali previsti dall'art. 18, c. 8-9, Stat. Lav.
70.3 L’INDENNITÀ SOSTITUTIVA DELLA REINTEGRAZIONE - Si è già detto che il lavoratore, in alternativa al
reintegro, può scegliere un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La scelta tra prosecuzione del rapporto e indennità spetta solo al lavoratore e non anche al datore, come in-
vece nel regime di tutela obbligatoria. Sussiste, quindi, un’obbligazione con facoltà alternative dal lato del
creditore: se viene meno l’obbligo di reintegra (es. morte del datore), viene anche meno l’obbligo alternati-
vo di pagare l’indennità sostitutiva. La richiesta va fatta entro 30 giorni dalla sentenza e determina l’imme -
diata estinzione del rapporto di lavoro. Questa indennità sostitutiva, che si riferisce al periodo dal licenzia -
mento illegittimo fino all’estinzione del rapporto di lavoro, si aggiunge all’indennità risarcitoria: come spie-
gato dalla Corte Costituzionale, le due indennità sono cumulabili, avendo funzioni diverse (sostituzione del
reintegro non scelto e valore risarcitorio).
70.4 LA SCOMPARSA DELLA TUTELA REALE LEGALE DI DIRITTO COMUNE - Prima della riforma Fornero, esi-
stevano dei licenziamenti ai quali non si applicava né la tutela obbligatoria né quella reale prevista dall’art.
18 St. Lav., ma una tutela di diritto comune, consistente nella nullità o nell’inefficacia del licenziamento e
con prosecuzione del rapporto (si pensi al licenziamento discriminatorio, illecito, in occasione del matrimo -
nio, o viziato nella forma). Ora anche queste ipotesi sono attratte nella tutela speciale reale, prevista dai pri -
mi 3 commi dell’art. 18, che per tali ipotesi prevede comunque l’obbligo di reintegro e una indennità risarci -
toria. Solo per il licenziamento privo di motivazione, è prevista solamente una tutela indennitaria.

71 IL CAMPO DI APPLICAZIONE DEI DIVERSI REGIMI


71.1 LE TUTELE GENERALI - Per i licenziamenti vietati o orali è sempre applicabile l'apposita tutela reale. An -
che la regola di giustificazione necessaria del licenziamento è stata generalizzata a prescindere da ogni limi -
te dimensionale, con la sola eccezione dei residui casi di licenziamento libero.
Intendendo per tutela reale, la tutela consistente nel diritto al reintegro nel posto di lavoro in favore del la -
voratore licenziato e nel pagamento di una indennità risarcitoria, essa, all’esito della riforma Fornero si ap-
plica nei seguenti casi:
a) nel caso di licenziamento ingiustificato, nelle 3 ipotesi di ingiustificatezza qualificata, nell’ambito
delle maggiori organizzazioni;
b) nel caso di errore del datore nel considerare inidoneo fisicamente il lavoratore e nel ritenere sca-
duto il periodo di comporto, nell’ambito delle maggiori organizzazioni;
c) nei casi indicati dai primi 3 commi dell'art. 18 St. Lav., indipendentemente dalle dimensioni del-
l’organizzazione datoriale, ossia nei casi di licenziamento discriminatorio, o intimato a causa del ma-
trimonio, o per motivo illecito, o in violazione delle norme di tutela per la maternità e per la paterni-
tà, di licenziamento.
In tutti i casi in cui non si applica la tutela reale speciale, il lavoratore potrà avere diritto solo ad un’indenni -
tà, ma non al reintegro nel posto di lavoro (es. licenziamento privo di motivazione, licenziamento ingiustifi -
cato nelle minori organizzazioni).
71.2 LE TUTELE COLLEGATE ALLE DIMENSIONI DELL’ORGANICO - Per le maggiori organizzazioni opera:
- la tutela reale nei casi di ingiustificatezza qualificata e di inesistenza dell'inidoneità fisica o della
scadenza del periodo di comporto;
- la tutela indennitaria maggiore (con indennità più elevata) nei casi di ingiustificatezza semplice del
licenziamento;
- la tutela indennitaria dimezzata (con indennità meno elevata) per i vizi procedimentali.
Rientra nelle maggiori organizzazioni il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che occupa alle
sue dipendenze, nella sede o unità produttiva in cui è avvenuto il licenziamento, più di 15 lavoratori o più di
5 se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nel -
l’ambito dello stesso comune occupa più di 15 dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito
territoriale occupa più di 5 dipendenti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore,
che, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati per ciascuna unità produttiva, occupa più di 60
dipendenti. Il riferimento al numero dei dipendenti, invece che ad altri elementi, appare congruo sia per l'i-
dentificazione dell'unità produttiva sia per l'individuazione del datore di lavoro ritenuto in grado di soppor -
tare il costo aggiuntivo del risarcimento fino all'effettiva reintegrazione e dell'indennità sostitutiva di questa
richiesta del lavoratore.
• Unità produttiva (art. 18, c. 1 , Stat. Lav.): articolazione organizzativa (sede, stabilimento, ufficio,
reparto) idonea a conseguire anche in parte, con autonomia amministrativa e funzionale, lo scopo
del datore di lavoro, secondo una definizione valida per tutte le disposizioni che riferiscono a tale
unità.
Ai fini del computo dal numero dei dipendenti in ciascuna unità produttiva, si considerano i dipendenti e i
prestatori occupati alle dipendenze del datore di lavoro, con esclusione dei lavoratori non subordinati (lavo-
ratori autonomi, parasubordinati, amministratori, soci di cooperative). L'organico da prendere in considera-
zione è quello normale, costante nel tempo, con irrilevanza dei fattori di variabilità transitoria. I lavoratori a
termine sono computabili solo quando siano addetti ad esigenze non provvisorie ed occasionali. Si tiene
conto anche dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effet -
tivamente svolto e i lavoratori in trasferta e quelli che operano normalmente all'esterno dell'unità produtti -
va di appartenenza. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in li-
nea diretta e in linea collaterale. Non si computano neppure gli apprendisti, i lavoratori con contratto di for -
mazione e lavoro, i lavoratori somministrati, i lavoratori a domicilio subordinati.
I dipendenti di società collegate, le quali sono soggetti giuridici distinti con la conseguente autonomia dei ri -
spettivi rapporti di lavoro, non possono cumularsi tra loro, salvo l'accertamento di una effettiva volontà di
costituzione di tutti i rapporti con un unico datore di lavoro o di una utilizzazione fraudolenta dello schema
societario (unica struttura organizzativa e unico centro decisionale, con adibizione mista dei dipendenti).
La tutela reale, dunque, non si applica alle minori organizzazioni, ma non si applica neppure, qualunque sia
la loro dimensione, alle organizzazioni di tendenza, ossia i datori di lavoro non imprenditori che svolgono
senza fini di lucro attività di natura, politica, sindacale, culturale, di religione. A tali organizzazioni¸ così come
a quelle di minori dimensioni, si applica la tutela obbligatoria, ossia la tutela indennitaria minore prevista
dall’art. 8 della legge 604/1966, già indicata (vedi par. 69.2).
La tutela reale, inoltre, a prescindere dalle dimensioni dell’organizzazione, si applica nei casi indicati dal-
l’art.18 Stat. lav. commi 1-3, ossia al licenziamento orale, discriminatorio, per motivo illecito, nei periodi di
interdizione per matrimonio e maternità, ed anche ai rapporti di lavoro pubblico privatizzati (per questi ulti -
mi è prevista l’applicazione della tutela reale ex. art. 18 Stat. lav. a prescindere dal numero dei dipendenti).
71.3 LE IPOTESI RESIDUE DI LICENZIAMENTO LIBERO - Dopo la riforma del 2012, può dirsi che il licenzia-
mento libero, senza preavviso, che non richiede alcuna giustificazione necessaria e che non dà luogo né alla
tutela reale né a quella obbligatoria, è ormai possibile solo in alcun ipotesi residuali, ossia per:
- dirigenti, tale eccezione riguarda tutti i veri dirigenti, apicali e minori, rientranti nella definizione
collettiva della categoria, mentre non si applica agli pseudodirigenti, che hanno solo il nome e il trat-
tamento ma non la posizione del dirigente. L'esclusione è inapplicabile ai dirigenti pubblici con rife -
rimento al recesso dal rapporto fondamentale a tempo indeterminato;
- lavoratori in prova, per tutta la durata di questa fino ad un massimo di 6 mesi, pertanto il datore di
lavoro non deve intimare per iscritto e giustificare il recesso per valutazione negativa dell'esperi-
mento, che può avvenire senza preavviso (consentita l'impugnazione da parte del lavoratore se di-
mostra il motivo illecito o discriminato o il mancato svolgimento della prova);
- domestici,
- atleti professionisti.
Il licenziamento libero è previsto anche per i lavoratori ultrasessantenni che abbiano già maturato il diritto
alla pensione di vecchiaia, avendo essi raggiunto il reddito previdenziale, che rende tollerabile la perdita
eventuale del posto di lavoro anche se priva di giustificazione. Nei confronti di questi ultimi, la maturazione
del diritto alla pensione non determina automaticamente l’estinzione del rapporto, ma libera il datore dal
vincolo della giustificazione e rende possibile il licenziamento in qualunque momento, salvo che per motivi
discriminatori.
Peraltro, allorché esisteva una diversa età pensionabile per uomini (60 anni) e donne (55 anni), le donne po -
tevano essere sfavorite perché maturando prima il diritto alla pensione, esse potevano essere licenziate li-
beramente dal datore prima rispetto agli uomini. Questa disparità di trattamento fu dichiarata illegittima
dalla Corte Costituzionale ed una legge del 1990 previde che anche per le donne la possibilità del licenzia -
mento libero dovesse attivarsi solo al compimento del 60° anno di età. La disparità era stata reintrodotta da
ulteriori leggi, ma la situazione può dirsi definitivamente risolta in radice dalla legge 214 del 2011 che ha fis-
sato un’unica età pensionabile (67 anni) per uomini e donne.
Per i rapporti di lavoro con la PA, non opera il licenziamento libero per i lavoratori pensionabili, ma i contrat -
ti collettivi prevedono che il dipendente, raggiunta l’età del pensionamento, venga collocato a riposo obbli-
gatorio senza preavviso e non è consentita una ulteriore prosecuzione del rapporto che, invece, è possibile
nel lavoro privato, finché nessuna delle due parti eserciti il recesso. È fatta comunque salva la possibilità
(esclusa solo per magistrati, dirigenti medici e professori universitari) che l’amministrazione risolva unilate-
ralmente il rapporto con un preavviso di 6 mesi, nel caso di compimento dell’anzianità massima di servizio
effettivo di 40 anni. I dirigenti medici e del ruolo sanitario del SSN hanno diritto a rimanere in servizio oltre i
65 e al massimo fino ai 70 anni di età al fine di raggiungere i 40 anni di servizio effettivo.

B) IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO
72 LA RILEVANZA SOCIALE DEL LICENZIAMENTO COLLETTIVO E LE RISPOSTE DELL’ORDINAMENTO - Il licen-
ziamento collettivo, coinvolgendo una pluralità di lavoratori, ha un significativo impatto sociale, per evitare
o attenuare il quale sono previsti specifici rimedi. Un primo filtro, creato dagli accordi collettivi e poi recepi -
to dalla legge, è costituito dalla procedura sindacale preventiva, nel corso della quale il confronto tra im-
prenditore e sindacati può far emergere soluzioni idonee al riassorbimento dell'eccedenza di personale.
L'accordo eventualmente raggiunto può ridurre o eliminare le rigidità organizzative o normative oppure, se
l'esubero di personale risulta inevitabile, può limitarne le conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori.
Il principale ammortizzatore sociale delle eccedenze di personale è stato la Cassa Integrazioni Guadagni
Straordinaria (CIGS), la quale consente al datore di lavoro di evitare il licenziamento collettivo, conservando
i lavoratori non utilizzati e corrispondendo loro una integrazione salariale per il periodo non lavorato.
Con il tempo, è apparso ingiusto corrispondere senza un limite di durata l’integrazione salariale a lavoratori
non utilizzati: per questo motivo, la legge 223/1991 ha limitato l’integrazione salariale ad un periodo di
tempo ragionevole, e alle sole ipotesi in cui sia prevedibile un rientro dei lavoratori sospesi. Inoltre, quando
viene disposto il licenziamento collettivo, i licenziati hanno diritto a ricevere un’indennità di mobilità.
Anche questa soluzione creava, però, delle disparità, in quanto l’indennità di mobilità era prevista solo per i
lavoratori rientrati in un’area assistita (lavoratori in Cassa integrazione e comunque dipendenti di imprese
rientranti nel campo di applicazione della CIGS) e non anche per gli altri lavoratori. Questa ingiusta separa-
zione tra area assistita ed area non assistita è stata definitivamente superata dalla legge 92/2012 (Riforma
Fornero): essa ha generalizzato il sostegno al reddito in costanza di rapporto e, per il periodo successivo al
licenziamento collettivo, ha abrogato l’indennità di mobilità, sostituendola con una tutela contro la disoccu -
pazione valida per tutti i lavoratori, tutela denominata Aspi.

73 LA DISCIPLINA ANTERIORE ALLA LEGGE N. 223 DEL 1991


Prima della legge 223/1991, la disciplina del licenziamento collettivo era affidata agli accordi interconfede-
rali per l’industria del 20 dicembre 1950 e del 5 maggio 1965, che prevedevano un’apposita procedura sin-
dacale. L’Italia era stata anche sanzionata dalla Corte di Giustizia europea per non aver attuato una direttiva
comunitaria del 1975, ma in realtà si era sviluppata una seria protezione contro il licenziamento collettivo,
ritenuta conforme alla Costituzione della Corte Costituzionale (1985).
In base a tale disciplina, il licenziamento era considerato collettivo, anche in settori privi di accordo colletti -
vo, solo in presenza dei seguenti requisiti: pluralità di licenziamenti; scelta datoriale di riduzione o trasfor -
mazione di attività o lavoro; nesso di causalità tra l’insindacabile scelta economica e la soppressione di un
certo numero e posti di lavoro; rispetto delle procedure sindacali applicabili.

74 LA DEFINIZIONE DELLA FATTISPECIE


La legge 223 del 1991 disciplina il licenziamento collettivo e il collocamento in mobilità: tale collocamento è
anch’esso un licenziamento collettivo, che prende il nome di collocamento di mobilità quando viene intima -
to, quando viene applicato da un’impresa già ammessa al trattamento di integrazione salariale straordinaria
a quei lavoratori sospesi che divengano definitivamente esuberanti, ossia non più riassumibili.
Le uniche differenze attengono al fatto che per il collocamento in mobilità non è richiesto il numero minimo
di 5 licenziamenti ed al fatto che l’indennità di mobilità è sempre dovuta ai lavoratori collocati in mobilità,
mentre i lavoratori soggetti al licenziamento collettivo hanno diritto a tale indennità solo se l’azienda rientri
in astratto nel campo di applicazione della CIGS.
La legge si applica alle imprese che occupino più di 15 dipendenti e, limitatamente al collocamento in mobi -
lità, alle imprese che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel sempre precedente la data di
presentazione della richiesta. La legge si applica anche ai datori non imprenditori. Sono esclusi, quindi, i da -
tori di lavoro, imprenditori e non, con meno di 16 dipendenti, i quali possono intimare solo licenziamenti
sottoposti alla disciplina legale del licenziamento individuale.
I presupposti per il licenziamento collettivo sono gli stessi indicati dai precedenti accordi interconfederali
(pluralità di licenziamenti; scelta datoriale di riduzione o trasformazione di attività o lavoro; nesso di causali -
tà tra l’insindacabile scelta economica e la soppressione di un certo numero e posti di lavoro; rispetto delle
procedure sindacali applicabili) ma con la peculiarità che i licenziamenti devono essere almeno 5, limite ri -
chiesto per il licenziamento collettivo, ma non anche per il collocamento in mobilità.
In ogni caso, la valutazione del datore che effettua il licenziamento collettivo circa l’impossibilità di utilizza-
zioni alternative dei lavoratori licenziati rappresenta un giudizio di convenienza economica che il giudice
non può sindacare.

75 LA PROCEDURA
Al fine di consentire il controllo sindacale sui licenziamenti collettivi, la legge impone una procedura molto
articolata: il mancato rispetto della procedura comporta l’inefficacia dei licenziamenti intimati e l’eventuale
condotta antisindacale del datore. In particolare, la procedura prevede le seguenti fasi:
• Comunicazione obbligatoria. Il datore deve comunicare la sua intenzione di procedere al licenziamento
collettivo, alle r.s.a., dove esistenti, ed ai sindacati territoriali, nonché alla Direzione regionale del Lavoro. in
tale comunicazione, Il datore deve indicare perché è inevitabile il licenziamento collettivo, quali posizioni la -
vorative intende sopprimere, quali sono i tempi previsti per i licenziamenti e con quali misure intende af -
frontare le conseguenze sul piano sociale.
Le informazioni contenute in tale comunicazione sono immodificabili, anche nel giudizio di impugnazione
dei licenziamenti. Il datore, inoltre, se rientrante nel campo di applicazione della CIGS, deve allegare alla co -
municazione la prova del pagamento del contributo previdenziale, anticipato rispetto agli oneri contributivi
legati all’indennità di mobilità.
• Esame congiunto. Entro 7 giorni dalla comunicazione, r.s.a. e sindacati territoriali possono chiedere un
esame congiunto della situazione per verificare le cause dell’eccedenza di personale e tutte le misure adot -
tabili per aiutare e riqualificare i lavoratori licenziati. Se l’esame congiunto tra datore, r.s.a. e sindacati terri -
toriali non sfocia in un accordo entro 45 giorni, la Regione, che può formulare anche sue proposte, riconvo -
ca le parti per un ulteriore esame, al fine di raggiungere un accordo entro i successivi 30 giorni (NB. I termini
sono ridotti alla metà se le eccedenze sono inferiori a 10 ed il termine per la consultazione sindacale di 45
giorni è ridotto a 30 giorni per le imprese sottoposte a procedura concorsuale).
Il datore di lavoro, a pena di violazione delle procedure e conseguente inefficacia dei licenziamenti, deve
condurre la consultazione in entrambe le fasi secondo correttezza e buona fede, senza sottrarsi alle richieste
di chiarimenti o di informazioni e ad un leale confronto con i sindacati, le cui proposte devono essere prese
in considerazione.
• L’accordo. il datore non è obbligato a raggiungere un accordo con i sindacati per la determinazione delle
modalità di licenziamento. Tuttavia, il datore è incoraggiato a concludere l’accorso attraverso varie previsio-
ni incentivanti, come la possibilità di accordare un’indennità di mobilità di importo inferiore, la possibilità di
adibire i lavoratori anche a mansioni inferiori, la possibilità di modificare il termine ordinario di 120 giorni
entro cui vanno intimati i licenziamenti, dopo la conclusione della procedura. I vizi della procedura possono
essere sanati ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedu-
ra. Circa l’efficacia, la Corte Costituzionale ritiene che tali accordi possano avere efficacia generale senza vio-
lare l’art. 39 Cost.: tali accordi non sono contratti normativi in quanto non fanno uso di un autonomo potere
normativo ma stabiliscono criteri, per le procedure di mobilità, in applicazione di una norma di legge.

76 LA SELEZIONE DEI LICENZIANDI


Una volta conclusa la procedura, il datore può procedere, nel termine di 120 giorni, ad intimare per iscritto
e con preavviso i licenziamenti ai lavoratori. La scelta di quali lavoratori licenziare deve avvenire, a pena di
nullità, secondo i criteri previsti dai contratti collettivi, o in mancanza, secondo i criteri indicati dalla legge.
Il licenziamento collettivo della lavoratrice madre è consentito solo in caso di cessazione dell'attività dell'a -
zienda. In ogni caso deve essere salvaguardata la proporzione della manodopera femminile occupata nelle
mansioni esuberanti, essendo vietata ogni discriminazione per sesso, diretta e indiretta.
I criteri sono quelli già indicati nei precedenti accordi interconfederali e devono essere generali ed obiettivi,
non possono violare norme imperative né il divieto di discriminazioni e possono prevedere la prevalenza
delle esigenze tecnico produttive e l'espulsione prioritaria dei lavoratori prepensionabili; si devono tenere
presenti, anche in concorso tra loro, 3 criteri:
- i carichi di famiglia;
- l’anzianità di servizio;
- esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
Il datore deve poi comunicare ai sindacati l’elenco dei lavoratori scelti e le modalità di applicazione dei crite-
ri di scelta. Tali dichiarazioni sono immodificabili nell’eventuale successivo giudizio di impugnazione. In ogni
caso, se tale comunicazione non viene fatta, i licenziamenti restano efficaci, ma per la violazione della pro -
cedura è prevista una tutela indennitaria.
A ciò va aggiunto che i lavoratori licenziati collettivamente hanno diritto di precedenza in caso di nuove as -
sunzioni effettuate dal medesimo datore di lavoro entro 6 mesi dal licenziamento.

77 LE SANZIONI
Per la forma e i termini di impugnazione dei licenziamenti collettivi si applicano le regole previste per il li-
cenziamento individuale. Inoltre, al licenziamento collettivo intimato senza la forma scritta, si applica il re-
gime di tutela reale ex. art. 18 Stat. Lav. Il licenziamento viziato nella forma, sia esso collettivo o individua-
le, può essere ripetuto nel rispetto della forma prescritta, non essendo un ostacolo per il periodo massimo
di conclusione della procedura per il licenziamento collettivo.
Nel caso di violazione delle procedure, la sanzione è quella dell’indennità da 12 a 24 mensilità ed è quindi
prevista la stessa sanzione sancita per l’ingiustificatezza semplice del licenziamento individuale.
Per la violazione dei criteri di scelta, si applica la stessa tutela reale prevista per l’ingiustificatezza qualifica-
ta del licenziamento individuale.
Nel caso che invece si accerti che i licenziamenti collettivi non avevano presupposti sostanziali per esse tali,
ad essi si applicherà la normativa propria dei licenziamenti individuali.
Al recesso intimato da datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura po-
litica, sindacale, culturale, di istruzione oppure di religione o di culto si applicano le disposizioni di cui alla
legge 15 luglio 1966, n. 604. Quindi, nelle aziende di tendenza la tutela reale si applica solo per il vizio di
forma e per i licenziamenti vietati dall’art. 18 Stat. lav. comma 1 (discriminatori, per motivo illecito, ecc.).
I lavoratori licenziati collettivamente e collocati in mobilità, possono contare sugli ammortizzatori sociali
(Casse integrazione), grazie ai quali sono inseriti nelle liste di mobilità, per agevolare il loro inserimento nel
mercato del lavoro e favorendo una ricollocazione congrua al profilo professionale del lavoratore stesso, e
hanno diritto ad uno speciale sussidio di disoccupazione (indennità di mobilità) in attesa della nuova occu-
pazione. L'indennità non è prevista nel settore bancario ed assicurativo.
Nel caso in cui ci siano i presupposti sostanziali del licenziamento collettivo, ma uno o più licenziamenti sia -
no viziati per violazione dei criteri di scelta con conseguente reintegrazione dei lavoratori illegittimamente
licenziati, il datore di lavoro ha facoltà di licenziare un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori rein-
tegrati senza dovere porre in essere una nuova procedura, purché lo comunichi alle r.s.a.
Va ricordato, infine, che i contratti collettivi aziendali e territoriali stipulati dai sindacati maggiormente rap-
presentativi possono derogare alle disposizioni di legge relative alle conseguenze del licenziamento, per cui
possono, anche per il licenziamento collettivo, escludere la tutela reale o l’indennità sostitutiva di reintegra-
zione.

C) ALTRE CAUSE DI ESTINZIONE DEL RAPPORTO


79 LE DIMISSIONI
79.1 LE DIMISSIONI LIBERE CON PREAVVISO -
La libertà personale del lavoratore esige che questi possa recedere dal contratto a tempo indeterminato in
qualsiasi momento, rispettando l'obbligo di preavviso a tutela del datore di lavoro. Quindi, per le dimissioni
si applica il regime codicistico (art. 2118 cod. civ.), che è stato quasi completamente superato per i licenzia-
menti. Le dimissioni sono un negozio unilaterale recettizio, che richiedono la sola conoscenza da parte del
datore di lavoro per avere effetto. La revoca delle dimissioni è efficace solo se giunge al datore di lavoro pri-
ma delle dimissioni stesse.
L’art. 2118 cod. civ. prevede che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo inde -
terminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti. In mancanza di preavviso, il recedente è tenu -
to verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il
periodo di preavviso.
Con la legge 188/2007 si è cercato di risolvere i problemi relativi alle dimissioni orali o per fatti concludenti
e alle dimissioni scritte senza data consegnate al datore, imponendo, a pena di nullità, che le dimissioni fos -
sero rassegnate in forma scritta su un apposito modulo di data certa valido per soli 15 giorni dalla sua emis-
sione. Questa legge è stata subito abrogata.
La materia delle dimissioni è stata integrata dalla legge 92/2012 e dal d. lgs. 151/2015: le dimissioni e la ri-
soluzione consensuale devono avvenire a pena di inefficacia esclusivamente con modalità telematiche, su
appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro. La trasmissione dei moduli al datore e alla Direzione
territoriale del lavoro competente può essere effettuato anche attraverso i patronati, i sindacati, gli enti bi -
laterali e le commissioni di certificazione. Entro 7 giorni dalla data di trasmissione del modulo, il lavoratore
può revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le stesse modalità.
- Queste norme non si applicano al lavoro domestico e quando le dimissioni o la risoluzione consen-
suale intervengono in sede assistita o avanti alla commissione di certificazione.
- Per il datore che alteri i moduli è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria, da 5.000 a
30.000 euro, salvo che il fatto costituisca reato.
È considerata legittima la pattuizione di un periodo di durata minima del rapporto, con clausola penale in
caso di dimissioni anticipate ed è ammissibile la pattuizione di un compenso superminimale (premio di fe-
deltà) collegato ad una determinata durata del rapporto.
79.2 LE DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA - Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della
scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo
indeterminato, qualora si verifichi una giusta causa, ossia una causa che non consenta la prosecuzione, an -
che provvisoria, del rapporto. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’im-
prenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.
In base al principio di immediatezza elaborato dalla giurisprudenza, il recesso per giusta causa deve avvenire
subito dopo il verificarsi del fatto che lo ha causato, anche se va comunque riconosciuto un minimo lasso di
tempo per tutte le valutazioni del caso da parte del lavoratore.
In ogni caso, se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa
compete l’indennità pari a quella di mancato preavviso.
79.3 LE DIMISSIONI IN SITUAZIONI TIPICHE
1) Per causa di matrimonio = dimissioni rassegnate dalla dipendente nel periodo tra il giorno della richiesta
delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo la celebrazione dello stesso, le quali devono essere con -
fermate entro un mese presso la Direzione territoriale del lavoro al fine di garantire l'effettiva volontà della
lavoratrice.
2) In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento,
la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenzia -
mento. Si fa riferimento alle dimissioni della lavoratrice in gravidanza e dei genitori naturali, affidatari o
adottivi, per cui è disposta analoga tutela prevista per il caso precedente (necessaria convalida del servizio
ispettivo presso la Direzione territoriale del lavoro) per 3 anni dalla nascita o dall’ingresso del bambino in fa -
miglia, con l’espressa previsione che la mancanza di convalida determina non la nullità, ma la sospensione
dell’efficacia delle dimissioni. Questa disposizione si applica anche al padre lavoratore che ha fruito del con-
gedo di paternità, nonché alla lavoratrice licenziata a causa di matrimonio ed invitata a riprendere servizio.
3) Il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizio-
ni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda può rasse-
gnare le proprie dimissioni.
4) Per i dirigenti, alcuni contratti collettivi (es. aziende industriali) disciplinano in modo specifico le dimissio-
ni per determinati motivi, quali il mutamento di proprietà dell’azienda, il trasferimento del dirigente.
79.4 L’ANNULLAMENTO DELLE DIMISSIONI - Le dimissioni sono un atto unilaterale recettizio, al quale si ap-
plicano le norme civilistiche sui vizi della volontà (errore, dolo, violenza) e sull’incapacità di intendere e di
volere. L’annullamento si prescrive nel termine di 5 anni, entro il quale occorre iniziare il giudizio. Le dimis-
sioni sono comunque dirette all’estinzione del rapporto e non alla rinuncia di singoli diritti derivanti dal rap -
porto, per cui l’art 2113 sull’impugnabilità delle rinunce non si applica alle dimissioni.

80 ALTRE IPOTESI DI CESSAZIONE DEL RAPPORTO


Il rapporto di lavoro può estinguersi non solo per dimissioni o per licenziamento, ma anche per altre cause.
- La risoluzione consensuale delle parti → Il rapporto di lavoro può estinguersi per mutuo consenso. Questo
mezzo di estinzione del rapporto era riguardato con un certo sospetto, temendo che potesse rappresentare
un tentativo di elusione della disciplina limitativa del licenziamento oppure dell’obbligo di preavviso. Così è
intervenuto il legislatore prevedendo per la risoluzione consensuale le stesse regole contestualmente impo -
ste per le dimissioni in generale e per le dimissioni della lavoratrice in gravidanza e dei genitori naturali o
adottivi. Gli eventuali vizi della volontà del lavoratore (errore, violenza, dolo, incapacità) possono essere fat-
ti valere secondo le regole del diritto comune, come avviene per le dimissioni. La risoluzione consensuale è
agevolata mediante un regime previdenziale e fiscale di favore.
- Il verificarsi di un dato evento previsto in clausole di risoluzione automatica → Le clausole di risoluzione
automatica sono spesso inserite nei contratti collettivi e prevedono la futura cessazione del rapporto al veri-
ficarsi di un determinato evento, senza necessità di recesso e di preavviso.
- La scadenza del termine → Nel contratto a tempo determinato la scadenza del termine comporta di per sé
l’estinzione del rapporto senza necessità di alcuna manifestazione di volontà.
- La morte del lavoratore → Estingue il rapporto in considerazione del carattere personale della prestazione
dedotta in contratto. La legge prevede, a tutela dei familiari superstiti, l’obbligo del datore di lavoro di corri -
spondere loro, oltre al TFR, anche l’indennità sostitutiva del preavviso, accomunati nella cosiddetta indenni-
tà in caso di morte.
- La morte del datore di lavoro → Non determina cessazione del rapporto quando permane l’organizzazione
nella quale è inserito il lavoratore.
Il rapporto di lavoro si estingue inoltre in un'altra serie di ipotesi previste specificatamente previste dalla
legge, come la mancata tempestiva ripresa del servizio da parte del lavoratore in seguito a reintegrazione
giudiziale, la mancata ripresa del servizio da parte del lavoratore al termine del servizio militare, la condan-
na irrevocabile del pubblico dipendente ad almeno 3 anni di reclusione per alcuni reati contro la PA.
CAPITOLO 9 “Articolazioni interne al lavoro subordinato”
81 DIFFERENZIAZIONI DI DISCIPLINA NELL’AMBITO DEL LAVORO SUBORDINATO -
Il problema della graduazione delle tutele non si pone solo nel confronto tra lavoro subordinato ed altri tipi
di lavoro, ma anche all'interno del lavoro subordinato. Le discipline differenziate adottate sono giustificate
da elementi quali la natura del datore di lavoro, le dimensioni dell'organizzazione, il settore produttivo e
così via. Spesso la regolamentazione specifica punta ad una migliore protezione del lavoratore, a volte inve-
ce è diretta a contenere tale protezione per tutelare il datore di lavoro o l'interesse all'occupazione.
Il modello base di disciplina del rapporto di lavoro è dettato dal codice civile a proposito del lavoro subordi -
nato nell’impresa. Questa disciplina si applica, in quanto compatibile, al lavoro subordinato con datori non
imprenditori, al lavoro a domicilio e all’apprendistato. Il legislatore è comunque intervenuto prevedendo dif-
ferenti regimi di tutele per differenti tipologie di lavoro subordinato.

82 LE DISCIPLINE ADATTATE ALL’INTERESSE TIPICO DELL’ORGANIZZAZIONE


82.1 IL LAVORO CON I PRIVATI NON IMPRENDITORI - L'art. 2239 cod. civ. prevede che i rapporti di lavoro
subordinato che non sono inerenti all'esercizio di un'impresa sono regolati dalle disposizioni relative al lavo -
ro nell’impresa, in quanto compatibili con la specialità del rapporto. Vi sono, in particolare, tutele che non si
applicano nel lavoro presso datori non imprenditori, come l’integrazione salariale, il licenziamento colletti -
vo, il sostegno all’attività sindacale in azienda. Si applica, invece, se ne ricorrono i presupposti, la tutela rea-
le contro i licenziamenti, che rimane esclusa solo per le organizzazioni di tendenza.
La minor tutela spettante ai dipendenti dei datori di lavoro non imprenditori rispetto ai dipendenti delle im -
prese si fonda sulla scelta legislativa di privilegiare le organizzazioni con fini economici, specialmente se
ideologici.
82.2 IL LAVORO DOMESTICO - Il lavoro domestico si riferisce ai rapporti non alla pari di almeno 4 ore gior -
naliere presso lo stesso datore di lavoro ed ha ad oggetto l'opera svolta per il funzionamento della vita fami -
liare (o comunità di tipo familiare). La disciplina da considerare è quella prevista dal codice civile (artt. 2240
e seg.), la legge 940/1953 per la 13esima mensilità e la legge 339/1958. La ragione della disciplina speciale
è il contemperamento delle esigenze di tutela del lavoratore con quelle di protezione della famiglia.
La prestazione deve avere una sua continuità, non essere quindi puramente occasionale e deve essere resa
all’interno dell’abitazione del datore di lavoro (convivenza con la famiglia del datore di lavoro con eventuale
fruizione del vitto e dell’alloggio). Può svolgersi con servizio parziale, ad esempio a ore, oppure tutti i giorni
della settimana o solo in alcuni. La continuità e la prevalenza della prestazione lavorativa non hanno alcun
rilievo ai fini della tutela previdenziale: l’obbligo contributivo sussiste qualunque sia la durata della presta-
zione svolta.
Per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori domestici, essa comprende:
- il minimo contrattuale, aggiornato ogni anno in base agli indici Istat di variazione del costo della
vita;
- gli scatti di anzianità: essi maturano ogni due anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro sino
ad un massimo di sette. Sono retribuiti in misura pari al 4% del minimo;
- eventuale compenso sostitutivo di vitto e alloggio; o un eventuale superminimo.
Inoltre, alla cessazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro deve entro 5 giorni informare il Centro per
l’impiego competente; contestualmente, effettuare la comunicazione all’Inail e, in caso di lavoratore extra-
comunitario, la cessazione del rapporto deve essere comunicata alla Questura.

83 DALLA RIGIDITÀ ALLA RICERCA DELLA FLESSIBILITÀ


83.1 IL LAVORO A TERMINE
Il contratto a tempo determinato, disciplinato dal d. lgs. 368/2001, è quel contratto di lavoro subordinato a
cui è apposto un termine di durata. Originariamente il termine doveva essere motivato (con una qualsiasi
motivazione di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo), mentre con il decreto Poletti (d.
lgs. 34 del 2014) trasformato in legge 78/2014, si possono ora stipulare contratti a tempo determinato (con
durata massima di 36 mesi, ma sono possibili 5 proroghe nell'arco dei 36 mesi ovviamente col consenso del
lavoratore e solo per le stesse mansioni; per i dirigenti invece la durata massima è di 5 anni) senza alcuna ra -
gione che giustifichi il termine. Questi contratti, detti acausali, non possono però superare il 20% dei con-
tratti a tempo indeterminato in quell'azienda. Datore e lavoratore possono recedere prima del termine solo
per giusta causa. Lo sfavore (dopo avere quasi istigato le imprese ad assumere a termine e a precarizzare
l'accesso al lavoro tenendo "appeso" il lavoratore per 36 mesi) è espresso con una tassa: un contributo ag-
giuntivo dell'1,4% sui contratti termine acausali.
• Legge 230/1962: imponeva la forma scritta per la pattuizione del termine consentita solo in alcune
ipotesi tassative (ad esempio attività stagionali, sostituzione di lavoratori assenti). In mancanza di
questi requisiti formali e sostanziali il contratto si reputava a tempo indeterminato. Dopo qualche
anno questa disciplina si è combinata con la tutela reale contro il licenziamento ingiustificato, cosic-
ché i suoi effetti divenivano dirompenti.
• Dopo gli anni 70, l'ordinamento ha ridotto le precedenti rigidità per ampliare l'area di utilizzazione
del lavoro a termine come strumento di flessibilità dell'organizzazione aziendale e di riduzione della
disoccupazione.
• D. lgs. 368/2001: i vincoli al lavoro a termine sono stati in parte modificati, ma non aboliti.
• D. lgs. 81/2015: ha abrogato tutte le precedenti disposizioni.
Il lavoro a tempo determinato deve risultare da atto scritto, a meno che il rapporto di lavoro non sia pura -
mente occasionale, ossia di durata non superiore ai dodici giorni. Copia dell'atto scritto deve essere conse-
gnata al lavoratore entro 5 giorni dall'inizio della prestazione.
Il contratto deve indicare il termine di durata: o direttamente, specificando la data di scadenza, o indiretta-
mente, facendo riferimento a un evento futuro e certo al cui verificarsi il contratto si risolverà automatica -
mente. Il contratto a termine doveva essere giustificato rimanendo un'eccezione rispetto al lavoro a tempo
indeterminato, ma tale obbligo è stato abrogato dal d. l. n.34/2014, convertito nella legge 78/2014, ed è
stato sostituito dal limite massimo di durata di 36 mesi. Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, è
prevista, a pena di conversione automatica in contratto a tempo indeterminato, una durata massima com -
plessiva di 36 mesi riferita a tutti i contratti a termine, comprensivi di proroghe e rinnovi. Ai fini del computo
del periodo massimo di 36 mesi, si cumulano con i periodi di lavoro a termine anche quelli di somministra-
zione a tempo determinato, con lo stesso datore/utilizzatore per lo svolgimento di mansioni di pari livello.
La successione tra due contratti a termine può essere esclusa in via interpretativa solo in presenza di un
congruo intervallo idoneo ad evitare rischi di precarizzazione (= processo di progressiva diffusione della pra-
tica di assunzione di lavoratori con contratti a tempo determinato, senza alcuna prospettiva di stabilità o di
carriera).
Oltre il limite massimo complessivo è consentito solo un ulteriore contratto a termine, a condizione che sia
stipulato presso la direzione territoriale del lavoro con l'assistenza di un rappresentante sindacale e per una
durata non superiore a 12 mesi. Il limite di durata massima complessiva non si applica alle attività stagionali
e a quelle previste dai contratti collettivi nazionali.
La legge ha sostituito la giustificazione anche con un altro limite aggiuntivo, ovvero il limite quantitativo del
20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato occupati dal datore di lavoro (escluso in alcuni casi,
come la sostituzione di lavoratori assenti, lavori stagionali, fase di avvio di nuove attività per periodi non ne-
cessari uniformi in ogni area/comparto determinati dai contratti collettivi). I contratti collettivi possono mo-
dificare, in alto o in basso, questa proporzione. L'onere della prova del rispetto del limite quantitativo o del -
la ricorrenza di una delle ipotesi esentate grava sulla parte interessata a far valere il termine. La violazione
del limite quantitativo comporta un'indennità pari al 50% della retribuzione per ogni mese di durata del
rapporto.
DIVIETI
È vietato ricorrere ad un contratto a termine:
1. per sostituire lavoratori in sciopero, al fine di tutelare l'interesse sindacale alla riuscita dello scio-
pero;
2. nel caso di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, al fine di promuovere
l'effettività della sicurezza del lavoro;
3. all'interno di unità produttive in cui siano stati effettuati licenziamenti collettivi nei 6 mesi prece -
denti, solo però se il lavoratore è assunto con le mansioni a cui erano adibiti i lavoratori licenziati.
4. all'interno di unità produttive in cui sia in corso una sospensione dei rapporti di lavoro o una ridu-
zione d'orario con ricorso all'intervento della CIG, solo però se il lavoratore è assunto con le mansio -
ni a cui erano adibiti i lavoratori “cassaintegrati”.
Per la violazione dei divieti di lavoro a termine è prevista la trasformazione del contratto a termine in con-
tratto a tempo indeterminato.
Se il lavoro prosegue dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di
durata massima complessiva di 36 mesi, per alcuni giorni (30 o 50) è dovuta solo una maggiorazione retribu -
tiva, mentre se la prosecuzione oltrepassa questo breve periodo il contratto si considera drasticamente a
tempo indeterminato.
La proroga del contratto, se è consentita dal lavoratore, è valida senza alcuna motivazione, se la durata del
contratto era inferiore ai 36 mesi. Può essere ripetuta fino a 5 volte, sempre nell'arco di durata massima del
contratto di 36 mesi; se sfora tale termine o si ripete per più di 5 volte il contratto si considera a tempo in-
determinato dalla data della proroga illegittima.
La riassunzione a termine dello stesso lavoratore non è consentita a breve distanza di tempo dalla scaden-
za del precedente contratto (10 giorni se il precedente contratto era di durata fino a 6 mesi; 20 giorni se il
precedente contratto era di durata superiore); la violazione di questi termini comporta la conversione in
contratto a tempo indeterminato.
L'estromissione del lavoratore dall'azienda per scadenza del termine illegittimo costituisce una pura attua-
zione di quest'ultimo e non un licenziamento (il giudice dovrà limitarsi ad una pronunzia dichiarativa della
nullità o dello sforamento del termine o dell'invalidità della proroga).
Fino alla legge 183/2010 in caso di assunzioni a termine illegittime con accertamento di un unico rapporto a
tempo indeterminato, la retribuzione degli intervalli non lavorati spettava solo se il lavoratore provava che
era tenuto a restare a disposizione e aveva offerto la prestazione in questi periodi, con detrazione dell' aliun-
de perceptum e percepiendum. In questa situazione molti lavoratori ritardavano di alcuni anni l'introduzione
del giudizio per lucrare senza lavorare, così il legislatore è intervenuto imponendo, con decorrenza dalla sca -
denza del termine illegittimo, l'impugnazione stragiudiziale entro 120 giorni e quella giudiziale nei successivi
180 giorni. Il termine di decadenza per l'introduzione del giudizio non risolve tutti i problemi delle contro -
versie a importo crescente, poiché il processo può durare a lungo.
• Regime speciale – art. 28, c. 2, d. lgs. 81/2015: in caso di conversione del contratto a tempo deter-
minato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore sta -
bilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2.5 e un massimo di
12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. La ragionevolezza del regime speciale è sicura
perché sostituisce la liquidazione del risarcimento, finora effettuata caso per caso dal giudice anche
mediante presunzioni semplici sull'aliunde perceptum e percepiendum, con un'indennità dovuta a
prescindere da un danno effettivo e quindi non sottoposta a contribuzione previdenziale.
È stata dichiarata conforme a Costituzione anche la riduzione alla metà dell'indennità in esame, qualora il la-
voratore già occupato a termine scelga di non avvalersi del diritto all'assunzione a termine o a tempo inde-
terminato previsto dal contratto collettivo preferendo far valere la nullità del termine con le conseguenze di
legge.
DIRITTI DEL LAVORATORE A TERMINE
• Il lavoratore a tempo determinato, in proporzione al periodo di lavoro svolto, ha diritto alla parità di
trattamento rispetto agli assunti con contratto a tempo indeterminato comparabili (= inquadrati
nello stesso livello). Il lavoratore a tempo determinato non ha diritto a quei trattamenti che siano
obiettivamente incompatibili con la natura del contratto a termine. Il lavoratore a termine ha diritto
alla formazione necessaria in merito sia alla prevenzione dei rischi connessi alle mansioni di assun-
zione, sia alle possibilità di sviluppo professionale. Inoltre, il lavoratore a termine ha diritto ad esse-
re informato di eventuali posti vacanti nell'impresa.
• I lavoratori con contratto a termine sono computabili nell'organico aziendale ai fini del raggiungi -
mento del requisito numerico necessario per la costituzione delle r.s.a. e l'esercizio dei diritti di atti -
vità sindacale in azienda.
• I lavoratori a termine con attività superiore a sei mesi hanno diritto di precedenza con riferimento
alle assunzioni a tempo indeterminato per le medesime mansioni effettuate dallo stesso datore di
lavoro entro i 12 mesi successivi alla cessazione del lavoro a termine, purché comunichino la volon -
tà di avvalersi di tale precedenza entro 6 mesi da tale cessazione e salve disposizioni dei contratti
collettivi. I lavoratori stagionali hanno diritto di precedenza limitatamente alle assunzioni a termine
per la medesima attività stagionale, a condizione che ne abbiano fatto richiesta al datore di lavoro
entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto.
• Alle lavoratrici a termine in congedo di maternità è riconosciuto sia il diritto di utilizzare questi con-
gedi ai fini del periodo di 6 mesi relativo al diritto di precedenza sia il diritto di precedenza per le as-
sunzioni a tempo determinato esercitabile entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto (entrambi i di-
ritti si estinguono entro 1 anno dalla data di cessazione del lavoro a termine).
In attuazione della normativa comunitaria è previsto l'obbligo del datore di lavoro di fornire alle rappresen-
tanze dei lavoratori informazioni sul lavoro a termine secondo modalità e contenuti previsti dal contratto
collettivo.
La normativa generale sul lavoro a termine non si applica in alcuni settori (lavoratori somministrati assunti a
termine, contratti di apprendistato, rapporti formativi non costituenti lavoro subordinato), che mantengono
una specifica disciplina. Sono esclusi contratti a termine brevi nei settori del turismo e dei pubblici esercizi.
Al lavoro pubblico non si applica mai il principio di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato per la
necessaria salvaguardia del principio del concorso, ma è prevista una sanzione risarcitoria proporzionata, ef-
fettiva, dissuasiva ed equivalente. Il legislatore ha limitato il precariato nelle PA imponendo tetti di spesa e
forti restrizioni nelle causali; i dirigenti che violano queste disposizioni e quelle sul lavoro a termine, incorro -
no in responsabilità amministrativa per il risarcimento del danno pagato dall'amministrazione al lavoratore
e in responsabilità dirigenziale.
Per i dirigenti è consentita l'assunzione a termine senza giustificazione per un periodo non superiore a 5r
anni e con facoltà del dirigente di dimettersi con preavviso dopo 3 anni; se il contratto iniziale o prorogato
raggiunge i 5 anni, una ulteriore assunzione o proroga potrebbe ritenersi in frode alla legge o contra legem.
I lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto a termine.
RAPPORTI CON L'ORDINAMENTO COMUNITARIO
Direttiva comunitaria 28 giugno 1999, n. 1999/70 sul lavoro a tempo determinato: tiene conto delle esi-
genze di conservare i contratti di lavoro a tempo indeterminato come “forma comune dei rapporti di lavoro”
e di modernizzare l'organizzazione del lavoro, in modo tale da rendere produttive e competitive le imprese e
raggiungere un equilibrio tra flessibilità e sicurezza. La direttiva, quindi, pone 2 vincoli al lavoro a termine:
- il principio di non discriminazione del lavoratore a termine rispetto al lavoratore a tempo indeter-
minato comparabile;
- le misure per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti/rapporti di la-
voro a tempo determinato.
Viene considerata socialmente pericolosa la successione di contratti a termine, perché potrebbe determina-
re abusi nel senso di una persistente occupazione precaria dello stesso lavoratore da parte dello stesso da -
tore. Per prevenire questi abusi, gli Stati membri devono adottare 3 misure:
- ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo,
- durata massima totale dei contratti successivi,
- numero dei rinnovi.
La direttiva lascia agli Stati membri la libertà di stabilire in quali casi debba essere prevista la conseguenza
della sostituzione del contratto a termine illegittimo con un contratto a tempo indeterminato.
La legge italiana rispetta i due principi di tutela fondamentali imposti dalla direttiva: il principio di non discri -
minazione grazie al principio di parità di trattamento e la prevenzione degli abusi nelle riassunzioni a termi-
ne è realizzata con il limite di durata massima complessiva.
83.2 INTERPOSIZIONE ILLECITA, APPALTI, SOMMINISTRAZIONI E DISTACCO - Si parla di simulazione quando
le parti concludono un contratto apparente (simulato) mentre in realtà non vogliono alcun contratto o ne
vogliono uno diverso detto dissimulato. Si parla di simulazione relativa soggettiva quando il contratto di la-
voro subordinato apparente è con un determinato datore di lavoro, ma in effetti il contratto realmente volu -
to è con altro datore di lavoro, realizzandosi così un'interposizione fittizia. Si ha, quindi, interposizione fitti-
zia quando un datore solo formalmente assume un lavoratore, ma lo stesso è sostanzialmente alle dipen-
denze di un altro datore, detto utilizzatore. In tal modo, si mira ad eludere le tutele dovute dal datore uti-
lizzatore e la responsabilità patrimoniale del datore che formalmente assume, per i crediti del lavoratore e
degli enti previdenziali. L’ordinamento ha predisposto specifici rimedi contro tale prassi illegittima.
A) La vecchia disciplina
Un divieto di interposizione fittizia, per i soli lavoratori a cottimo, era contenuta già nell’art.2127 cod. civ,
ma una disciplina ben più ampia e rigorosa fu introdotta soltanto con la legge 1369 del 1990, poi abrogata
dal d.lgs. n.276/2003. La legge vietava l’interposizione fittizia, non solo relativa al lavoro a cottimo, ma an -
che quella realizzata con qualsiasi forma di appalto. Pertanto, in base alle legge citata, l’imprenditore poteva
affidare ad un altro soggetto un appalto di beni e servizi, ma non poteva dare in appalto soltanto la presta -
zione lavorativa di suoi dipendenti, poiché l’imprenditore effettivo beneficiario della prestazione lavorativa
doveva anche assumere il lavoratore che la forniva. La difficoltà di distinguere in concreto l'opera o il servi -
zio, svolto con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, dalla prestazione di lavoro pura aveva in-
dotto il legislatore a prevedere una presunzione assoluta, secondo cui era considerato appalto di mere pre-
stazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, in cui l'ap -
paltatore impieghi capitali, macchine e attrezzature fornite dall'appaltante, il quale, per il loro utilizzo, riceve
un compenso. Quindi anche il vero appalto rientrava nel divieto per il solo fatto di utilizzare capitali, macchi -
ne e attrezzature fornite dal committente anche se a titolo oneroso.
Se, nonostante il divieto, era realizzata una interposizione fittizia, operavano sanzioni penali a carico dei due
datori coinvolti e i lavoratori venivano considerati,a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore effetti -
vo utilizzatore delle prestazioni.
Poteva considerarsi appalto genuino, ossia lecito e consentito, solo l’appalto con cui un imprenditore com-
mittente avesse incaricato un altro imprenditore appaltatore di eseguire beni e servizi servendosi di lavora -
tori assunti dall’imprenditore committente e l’imprenditore appaltatore avesse eseguito l’appalto con pro-
pri mezzi e con la propria organizzazione: in tal caso l’appalto era genuino in quanto non aveva ad oggetto
solo la prestazione lavorativa di determinati lavoratori, ma l’esecuzione di beni e servizi con mezzi e organiz -
zazione dell’appaltatore. Questa tutela era esclusa in una serie di ipotesi tassativamente previste, quali co-
struzioni edilizie e installazione di impianti, manutenzione straordinaria, facchinaggio, trasporti, ecc.
In sostanza, apposite società potevano assumere lavoratori con contratto di lavoro temporaneo per metter-
li, con contratto di fornitura, a disposizione di un altro soggetto, che ne utilizzava la prestazione esercitando
il potere direttivo proprio del datore di lavoro. Quindi, vi erano 2 contratti: uno di lavoro subordinato tra la
società fornitrice ed il lavoratore e uno di fornitura di mere prestazioni di lavoro tra la società fornitrice e l’u-
tilizzatore delle prestazioni medesime.
B) La disciplina vigente
Il decreto n.276/2003, abrogando la legge 1369/1990, ha dettato una nuova disciplina dell’appalto genuino,
della somministrazione di lavoro, del comando o distacco del lavoratore. Nel nuovo sistema è confermato il
divieto di interposizione, se pur eliminando la previgente presunzione assoluta e ampliando l'eccezione ora
denominata somministrazione di lavoro. È confermata la libertà dell'imprenditore di appaltare a terzi l'ese-
cuzione di opere o servizi anche interni al proprio ciclo produttivo. Pertanto l'imprenditore ha tre possibili-
tà: eseguire direttamente l'opera o il servizio con proprio personale, eseguire direttamente l'opera o il servi-
zio utilizzando personale somministrato da apposite agenzie nelle ipotesi previste, appaltare l'opera o il ser -
vizio ad un terzo, che lo esegua con la propria organizzazione e a proprio rischio.
• Appalto. L'appalto, disciplinato dall'art. 1655 cod. civ. e dall'art. 29 d. lgs. 276/2003, è il contratto
con cui un imprenditore (appaltatore) compie, in favore di un altro (committente o appaltante),
un'opera o un servizio organizzandone i mezzi necessari ed eseguendo l'appalto a proprio rischio,
ovviamente dietro un corrispettivo in denaro. Le prestazioni lavorative sono gestite ed organizzate
dall'appaltatore (colui a cui viene commissionato l'appalto) per il compimento dell'opera o del servi -
zio. L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appal-
tatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'ap-
palto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.
• Appalto genuino. Per qualificare un appalto come genuino, la legge e la giurisprudenza ha definito
alcuni elementi imprescindibili, ovvero l’esistenza di:
- organizzazione dei fattori produttivi (l'appaltatore deve infatti disporre e coordinare una organizza-
zione dei fattori produttivi);
- assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore;
- autonomia dell'appaltatore rispetto al committente.
In determinati appalti, da identificare in quelli che non richiedono un rilevate impiego di beni stru -
mentali, il criterio discretivo legittimamente può consistere nell'esercizio da parte dell'appaltatore
del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto.
Ai fini della distinzione tra appalto vero e interposizione illecita può essere utilizzata la procedura
di certificazione, con applicazione di codici di buone pratiche e indici presuntivi individuati con de-
creto ministeriale recependo le indicazioni degli accordi interconfederali o nazionali. La conseguen -
za dell'interposizione illecita (pseudoappalto) è la stessa del vecchio regime.
L’art. 29 del d. lgs. 276/2003 prevede in caso di appalto di opere o di servizi che il committente sia
obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto nei con-
fronti dei lavoratori (compresi i parasubordinati e gli associati in partecipazione) per ciò che attiene i
trattamenti retributivi e contributivi dovuti. Questa responsabilità solidale è stata estesa anche al
risarcimento dei danni non indennizzati dall'INAIL e al versamento delle ritenute sui redditi di lavoro
dipendente e dell'IVA per prestazioni inerenti all'appalto.
• Somministrazione di lavoro. La somministrazione di lavoro è una fattispecie complessa di rapporto
di lavoro introdotta dal d. lgs. 276/2003 (legge Biagi), artt. da 20 a 28, sulla base della legge delega
30/2003, in sostituzione del lavoro interinale. Esso rappresenta “la fornitura professionale di mano -
dopera o di mere prestazioni dei lavoratori, a tempo indeterminato o a termine, ad un imprenditore
utilizzatore che le gestisce e le organizza per lo svolgimento della propria attività d'impresa. Tale for-
nitura è consentita solo da parte delle Agenzie per il lavoro autorizzate (registrate in apposito albo
del Ministero del Lavoro) e nei casi previsti". Tra i soggetti coinvolti vengono stipulati due diversi
contratti: il contratto di somministrazione di lavoro, concluso tra somministratore e utilizzatore, e il
contratto di lavoro concluso tra somministratore e lavoratore. In ogni caso, il rapporto lavorativo
instaurato è tra il lavoratore e l'Agenzia per il lavoro, che per legge dovrà retribuire il lavoratore in
maniera adeguata alla tipologia di contratto dell'azienda utilizzatrice e non può esigere o percepire
anche indirettamente compensi dal lavoratore per l'assunzione o per l'assegnazione presso l'utiliz-
zatore. L'Agenzia autorizzata provvede ad assumere lavoratori per poi inviarli, in esecuzione del con-
tratto di somministrazione, presso l'utilizzatore, che nel periodo interessato ne assume la direzione
ed il controllo, con possibilità di utilizzazione in appalto e di distacco presso altre strutture, alla stre-
gua di qualsiasi altro dipendente e quindi seguendo le regole contrattuali previste. L'utilizzatore non
assume il potere disciplinare che rimane riservato al somministratore, salvo tuttavia l'onere per il
primo di comunicare a questi gli elementi che possano costituire oggetto di contestazione discipli -
nare. Al lavoratore spetta una retribuzione non inferiore a quella dei lavoratori dipendenti dal sog -
getto utilizzatore, ed alla corresponsione dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali
sono obbligati in solido il somministratore e l'utilizzatore.
Nella somministrazione a termine e a tempo indeterminato, al fine di agevolare un'occupazione sta-
bile, è previsto un obbligo di informazione a carico dell'utilizzatore riguardo i propri posti vacanti. La
somministrazione a tempo indeterminato, non applicabile alle PA, non può eccedere il 20% del nu-
mero dei lavoratori a tempo indeterminato che si trovano presso l'utilizzatore, salvo diverse disposi -
zioni dei contratti collettivi applicati da quest'ultimo. Per la somministrazione a tempo determinato
i limiti quantitativi vengono individuati dai contratti collettivi applicati dall'utilizzatore. Sono esenti
da questi limiti i lavoratori in mobilità, i soggetti disoccupati che godano di almeno 6 mesi di un trat-
tamento di disoccupazione e di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.
Il contratto di somministrazione è vietato per gli stessi casi in cui è vietato quello a termine.
A cadenza annuale sono stabiliti precisi obblighi di informazione sindacale a carico del soggetto uti-
lizzatore nei confronti delle rappresentanze sindacali o unitarie o, in mancanza, delle associazioni
territoriali di categoria. Il contratto di somministrazione deve essere stipulato per iscritto e deve
contenere una serie di indicazioni (estremi dell'autorizzazione del somministratore, inizio e durata
della somministrazione, impegni essenziali delle parti, compenso dovuto dall'utilizzatore al sommi-
nistratore, ecc.). Riguarda tutti i contratti di lavoro l'obbligo del somministratore di comunicare per
iscritto al lavoratore, al momento della stipulazione del contratto o al momento dell'invio presso l'u-
tilizzatore, tutte le informazioni contenute nel contratto di somministrazione, oltre che la data di ini-
zio e la durata prevedibile dell'attività lavorativa presso l'utilizzatore.
Nel caso di assunzione a tempo indeterminato, il somministratore deve corrispondere al lavoratore,
nei periodi in cui rimane in attesa di assegnazione, una indennità di disponibilità. La misura di que-
sta indennità deve essere indicata nel contratto individuale e non può essere inferiore a quella fissa-
ta da un decreto del Ministro del lavoro.
Il lavoratore somministrato svolge la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo
dell'utilizzatore; anche l'eventuale adibizione a mansioni superiori o inferiori a quelle dedotte in
contratto è disposta dall'utilizzatore, che deve darne immediata comunicazione scritta al sommini-
stratore. Inoltre, l'utilizzatore deve assolvere tutti gli obblighi di sicurezza nei confronti del lavorato-
re somministrato come se fosse un suo dipendente e risponde dei danni provocati a terzi dal lavora-
tore somministrato nell'esercizio delle proprie mansioni. L'utilizzatore è obbligato in solido con il
somministratore per il pagamento delle retribuzioni spettanti ai lavoratori somministrati e per il
versamento dei relativi contributi previdenziali.
Il somministratore è tenuto a versare in fondi bilaterali nazionali di categoria un contributo pari al
4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori somministrati, con destinazione delle risorse differen -
ziata a seconda della provenienza da contratti a termine o da contratti a tempo indeterminato.
Si ha somministrazione irregolare quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limi-
ti e delle condizioni di legge (es. agenzia non iscritta all'albo; irregolarità del contratto; discrimina -
zione) e il lavoratore può fare ricorso. Si ha somministrazione fraudolenta quando la somministra-
zione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di
contratto collettivo applicato al lavoratore: in tal caso, somministratore e utilizzatore sono puniti
con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione.
A titolo di sanzione civile la legge prevede che il mancato rispetto delle disposizioni del decreto pre-
detto portano a costituire in capo all'utilizzatore un rapporto di lavoro subordinato ordinario. Sono
fatte salve le sanzioni penali previste dal d. lgs. 276/2003, artt. 29 e seguenti.
• Differenza tra appalto e somministrazione. Il d. lgs. 276/2003 chiarisce che il contratto di appalto
differisce dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari messi in campo
da parte dell'appaltatore: l'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore può anche consistere
unicamente nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell'appalto.
• Comando o distacco. Anche nel fenomeno del comando (o distacco) del lavoratore da una impresa
all’altra, si verifica una dissociazione tra il soggetto titolare del rapporto che paga la retribuzione ed
il soggetto che beneficia della prestazione esercitando il potere direttivo.
Il d. lgs. 276/2003 consente espressamente il distacco: l'ipotesi del distacco si configura quando un
datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a
disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. In mancanza
delle condizioni legittimanti il distacco il rapporto di lavoro si costituisce in capo all'utilizzatore, con
legittimazione ad agire riservata al lavoratore interessato. In caso di distacco il datore di lavoro rima-
ne responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore, oltre che per le ob-
bligazioni previdenziali. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il
consenso del lavoratore interessato. Se comporta un trasferimento da un'unità produttiva ad un'al-
tra situata a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per
comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
Quando il distacco avvenga in violazione dei limiti di legge, il lavoratore interessato può chiedere,
mediante ricorso giudiziale, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione,
la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.
Per il personale delle PA è consentita l'assegnazione temporanea del lavoratore con il suo consenso
presso altra amministrazione o presso un'impresa privata per progetti di interesse specifico dell'am -
ministrazione di provenienza. È prevista anche l'assegnazione temporanea presso altra amministra-
zione per motivate esigenze organizzative di questa e per un periodo non superiore a 3 anni.
Ricordiamo anche l’introduzione del distacco transazionale, in base al d. lgs. 72/2000. Esso si appli-
ca alle imprese stabilite in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia, le quali, in oc -
casione di una prestazione di servizi transnazionale, distaccano un lavoratore, per conto proprio e
sotto la loro direzione, in territorio nazionale italiano, nell'ambito di un contratto concluso con il de-
stinatario della prestazione di servizi che opera in territorio italiano, oppure distaccano un lavorato -
re in territorio nazionale italiano, presso un'unità produttiva della medesima impresa o presso altra
impresa appartenente allo stesso gruppo, purché in entrambi i casi durante il periodo di distacco
continui ad esistere un rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l'impresa distaccante. Il prin -
cipio di tutela consiste nell’applicazione, durante il periodo di distacco, delle condizioni di lavoro le -
gali e collettive vigenti nel luogo di effettuazione della prestazione.
83.3 IL LAVORO A TEMPO PARZIALE - Il lavoro a tempo parziale era inizialmente regolato dalla legge 863 del
1984, poi dal d. lgs. 61/2000 ed infine dal d. lgs. 276/2003. Ora la disciplina vigente sono gli artt. 4 e se-
guenti del d. lgs. 81/2015. Nel lavoro a tempo parziale la prestazione lavorativa è quantitativamente inferio-
re a quella del normale lavoro a tempo pieno determinata dalla legge o dai contratti collettivi. La regola-
mentazione di questo tipo di lavoro vuole evitare abusi da parte del datore e andare incontro a tutti quei la -
voratori che non possono svolgere un lavoro a tempo pieno.
TIPOLOGIE DEL PART-TIME
La legge individua 3 tipologie part-time:
- orizzontale, quando prevede una riduzione del numero di ore giornaliere;
- verticale, quando prevede una riduzione dei giorni lavorativi (la prestazione è resa solo in determi-
nati periodi dell’anno/mese/settimana);
- misto, quando il rapporto di lavoro prevede sia la riduzione dell’orario giornaliero che dei periodi
lavorati.
FORMA DEL CONTRATTO
Nel contratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta è richiesta a fini di prova. Qualora la scrittura risulti
mancante, è ammessa la prova per testimoni. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale
del contratto di lavoro, su richiesta del lavoratore potrà essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rap -
porto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accer -
tata. Resta fermo il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese antecedentemente
alla data suddetta.
IL CONTENUTO DEL CONTRATTO
Il contratto deve sempre indicare la durata della prestazione lavorativa: in mancanza si può ottenere la di-
chiarazione giudiziale del tempo pieno, oltre ad un risarcimento per il passato. Inoltre, il contratto deve con -
tenere l’indicazione della distribuzione dell’orario con riferimento alla settimana, al mese ed all’anno. L'e-
ventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto di tale indicazione non comporta la nullità del
contratto di lavoro a tempo parziale, ma solo l'attribuzione al datore di lavoro della facoltà di disporre a co -
mando del dipendente (lavoro a chiamata), con affidamento al giudice del potere di determinare la distri-
buzione dell'orario.
A determinate condizioni, il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione at-
traverso le clausole elastiche. I contratti collettivi possono fissare condizioni, modalità e limiti della variabili-
tà (patto consentito anche in assenza di contratti collettivi). Si tratta di un vero e proprio patto di variabilità,
che potrebbe assumere carattere potenzialmente pregiudizievole per il dipendente, quindi sono previsti dei
vincoli formali e sostanziali: forma scritta del patto, preavviso di variazione di almeno 2 giorni lavorativi, spe -
cifiche compensazioni fissate dai contratti collettivi, ecc. Nonostante sia escluso un diritto di ripensamento,
la legge prevede che il lavoratore ha la facoltà di revocare il consenso se è un lavoratore studente, se sussi -
ste una patologia oncologica propria o dei congiunti, se ha un figlio minore di 13 anni o disabile.
Nel lavoro a tempo parziale orizzontale la prestazione di lavoro aggiuntivo entro il limite del tempo pieno è
consentita in conformità alle previsioni dei contratti collettivi, che stabiliscono il limite massimo di ore sup-
plementari, le conseguenze alle eventuali trasgressioni ed eventuali maggiorazioni retributive. Nel lavoro a
tempo parziale verticale o misto è consentito lo svolgimento di lavoro straordinario, con la stessa disciplina
vigente per i rapporti a tempo pieno.
TRASFORMAZIONE DA TEMPO PIENO A TEMPO PARZIALE
Per quanto riguarda la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale, è stabilito
che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo
parziale (o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno) non costituisce giustifi-
cato motivo di licenziamento. Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione
del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. I lavoratori a tempo pieno devono esse -
re informati dal datore di lavoro delle programmate assunzioni a tempo parziale nello stesso ambito comu -
nale e possono avanzare domanda di trasformazione del rapporto, che deve essere presa in considerazione
con applicazione dei criteri eventualmente previsti dai contratti collettivi. Se il lavoratore è affetto da pato-
logie oncologiche con capacità lavorativa ridotta accertata da apposita commissione medica, ha diritto alla
trasformazione del rapporto a tempo pieno in tempo parziale e poi alla riconversione. Il lavoratore può ri -
chiedere per una sola volta in luogo del congedo parentale la trasformazione del rapporto a tempo pieno in
tempo parziale per un periodo corrispondente, con una riduzione di orario non oltre il 50%.
Nel settore pubblico, spetta all’amministrazione decidere se concedere o meno la trasformazione richiesta
ed eventualmente revocare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, le trasformazioni avvenute
nel vecchio regime normativo in cui bastava la semplice domanda del dipendente.
TRASFORMAZIONE DA TEMPO PARZIALE A TEMPO PIENO
In ordine alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, essa, essendo favorevole per il
lavoratore, richiede solo l’accordo delle parti senza particolari formalità. Nello specifico, sulla base del con-
tratto individuale può essere previsto un diritto di precedenza del lavoratore a tempo parziale in caso di as -
sunzioni a tempo pieno.
TRATTAMENTO RISERVATO AL LAVORATORE PART-TIME
Anzitutto, in attuazione della direttiva comunitaria 1997/81, è previsto un principio di parità del tratta-
mento: il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavora-
tore a tempo pieno, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale. L’onere della prova circa le ragioni di un
diverso trattamento grava sul datore di lavoro. Si applica, poi, il principio pro rata temporibus: in sostanza,
sia la retribuzione sia ogni altro trattamento economico devono essere ridotti in proporzione alla ridotta du -
rata della prestazione part-time e questo vale anche per il calcolo dei contributi previdenziali e per l’anziani -
tà di servizio.
Inoltre, per aiutare i giovani, è previsto l'accordo di solidarietà tra generazioni, con il quale il lavoratore con
oltre 55 anni accetta di trasformare il proprio lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, in modo da
lasciare ore di lavoro scoperte, per le quali può essere assunto un giovane a tempo parziale.
LAVORO PUBBLICO
Per quanto riguarda il lavoro pubblico, ad esso non si applicano tutte le norme incompatibili con l’obbligo di
assunzione mediante concorso. A proposito di assunzioni, però, è stabilito che le nuove assunzioni nel setto-
re pubblico devono avvenire per almeno il 50% con contratti a tempo parziali o comunque flessibili.
83.4 IL LAVORO INTERMITTENTE - Il lavoro intermittente, introdotto dal decreto legislativo 276/2003 e suc-
cessivamente abrogato, è stato nuovamente previsto dalla legge n.92 del 2012. In base alla normativa vi-
gente, con il contratto di lavoro intermittente, il lavoratore si mette a disposizione del datore, che decide se
e quando utilizzarne la prestazione mediante chiamata. La particolarità sta nel fatto che non è predetermi-
nata la quantità della prestazione lavorativa. Nel dettaglio, vi sono 2 sottotipi di lavoro intermittente.
1) Lavoro intermittente con obbligo di disponibilità
Il lavoratore ha l’obbligo di rispondere a ciascuna chiamata e riceve in cambio una indennità di disponibilità.
In sostanza, si ha un contratto a causa complessa in cui il lavoratore non solo riceve la retribuzione per il pe -
riodo in cui lavora, ma anche per il periodo in cui non lavora riceve una indennità, che lo ripaga della sua di-
sponibilità a lavorare su chiamata del datore.
2) Lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità e senza indennità
In tal caso, il contratto di lavoro non presenta una causa complessa, ma è caratterizzato normalmente dallo
scambio tra la prestazione lavorativa e la retribuzione: il lavoratore è retribuito nel periodo in cui lavora, ma
non nel periodo in cui non lavora, poiché può anche rifiutare di lavorare quando il datore lo chiama.
Entrambe i sottotipi di lavoro intermittenti sono consentiti solo nei casi indicati dai contratti collettivi. In
mancanza di tali contratti, i casi consentiti di lavoro intermittente possono essere stabiliti con decreto del
Ministero del lavoro. L'unica giustificazione del lavoro intermittente prevista direttamente dalla legge è la
condizione soggettiva di giovani con meno di 24 anni con durata massima del contratto fino al compimento
di 26 anni oppure di lavoratori ultra55enni anche pensionati.
Accanto ai casi consentiti, vi sono casi in cui il lavoro intermittente è espressamente vietato: in particolare,
per la sostituzione di lavoratori legittimamente scioperanti; presso unità produttive nelle quali si sia proce -
duto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori svolgenti le
stesse mansioni del lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospen-
sione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che inte-
ressino lavoratori svolgenti le stesse mansioni del lavoro intermittente; da parte delle imprese che non ab -
biano effettuato la valutazione dei rischi.
È previsto un limite quantitativo di 400 giornate di effettivo lavoro con lo stesso datore nell'arco di 3 anni
solari, con trasformazione in rapporto a tempo pieno e indeterminato in caso di superamento del predetto
limite (eccetto i settori del turismo, dei pubblici servizi e dello spettacolo).
Ai fini della qualificazione del contratto come di lavoro intermittente si può utilizzare la procedura di certifi -
cazione. Per l'assenza in concreto di un'ipotesi giustificativa o la violazione di un divieto la legge non preve -
de la conversione del contratto in contratto a tempo pieno.
Per quanto riguarda forma e contenuto del contratto, è prevista la forma scritta ad probationem (ossia per
la prova dell’esistenza del contratto) ed un contenuto minimo, in cui devono essere indicate le ragioni che
giustificano l’intermittenza, la durata, le modalità di disponibilità e chiamata, il preavviso di chiamata non
inferiore ad un giorno lavorativo, il trattamento economico e normativo, l’indennità di disponibilità.
Inoltre, la legge n.92 del 2012, per combattere il lavoro nero, pone a carico del datore un obbligo di comu -
nicazione (anche mediante sms o posta elettronica) della chiamata del lavoratore alla Direzione territoriale
del Lavoro, la quale va fatta prima della prestazione.
Per quanto concerne il trattamento economico e normativo, esso è previsto solo per i periodi lavorati e non
quelli di mera disponibilità. Per i periodi di semplice disponibilità, il lavoratore può percepire una indennità
mensile nella misura fissata dai contratti collettivi e comunque in misura non inferiore ad un minimo stabili-
to con decreto ministeriale.
Il lavoratore che sia malato o oggettivamente impossibilitato a rispondere alla chiamata, deve darne tempe-
stiva informazione al datore e non matura il diritto all’indennità per il periodo in cui è indisponibile. Se si ri -
fiuta di farlo, in modo ingiustificato, si tratta di inadempimento e il rifiuto può essere motivo di licenziamen -
to; se l’inadempimento non determina la risoluzione del rapporto, il lavoratore perde comunque il diritto al-
l’indennità per un mese intero successivo al rifiuto; in ogni caso, il lavoratore è anche tenuto al pagamento
di una penale.
Va infine detto che il lavoro intermittente è considerato costituzionalmente legittimo, in quanto non impedi-
sce rigidamente al lavoratore di programmare un’altra attività o il tempo libero. Il lavoratore, infatti, se non
ritiene più conveniente il lavoro, può sempre presentare dimissioni volontarie. Nel lavoro intermittente sen -
za obbligo di disponibilità, come già detto, il lavoratore, pur restando un lavoratore subordinato, può sem-
pre rifiutare la singola chiamata, non percependo alcuna indennità di disponibilità.
83.5 IL LAVORO RIPARTITO - Il contratto di lavoro ripartito è uno speciale contratto di lavoro mediante il
quale due lavoratori assumono in solido l'adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa. Ogni
lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell'adempimento della intera obbligazione la-
vorativa. Questa disciplina è stata abrogata dal d. lgs. 81/2015.

84 IL LAVORO A DOMICILIO - Si ha lavoro domicilio quando il lavoratore svolge l’attività nel proprio domici-
lio o in locale di cui abbia la disponibilità . Talora non è facile capire quando vi sia lavoro a domicilio; soprat -
tutto quando il committente è un’impresa, c’è il rischio che essa stia solo decentrando il ciclo produttivo e
ricorra alla formula del lavoro a domicilio per negare tutele al lavoratore. Questa problematica non è af-
frontata dal codice civile, il cui art. 2128 si riferisce al solo lavoro a domicilio subordinato e gli estende, in
quanto compatibile, la disciplina del lavoro nell’impresa.
Attualmente, il lavoro a domicilio è dettagliatamente disciplinato dalla legge 877 del 1973 secondo la quale
il lavoro a domicilio deve avere le seguenti caratteristiche:
- il lavoratore svolge l’attività nel proprio domicilio o in locale di cui abbia la disponibilità;
- il lavoratore può avvalesi dell’aiuto accessorio di membri della famiglia conviventi o a suo carico;
- il lavoratore può svolgere il lavoro anche in proprio e per più committenti;
- il lavoro è subordinato se vi è l’obbligo del lavoratore di osservare le direttive dell’imprenditore cir -
ca le modalità di esecuzione e sui requisiti del lavoro da svolgere.
Lo sfavore della legge per il decentramento produttivo mediante lavoro a domicilio risulta dal divieto di ser-
virsi di tale lavoro per un periodo di un anno a carico di aziende che abbiano effettuato licenziamenti collet-
tivi o sospensioni. Il timore dell'evasione delle tutele mediante prestanome spiega il divieto di avvalersi di
intermediari, con sanzione costituente nella costituzione di normali rapporti di lavoro subordinato del reale
committente con lavoratori e intermediari.
I lavoratori a domicilio devono essere retribuiti a cottimo pieno (in base ai risultati prodotti); è esclusa una
retribuzione a tempo, essendo impossibile controllare la durata della prestazione. Non si applicano le tutele
contro il licenziamento e contro gli infortuni sul lavoro, mentre si applicano le tutele previdenziali. Se il com -
mittente non rispetta le tutele dovute, scattano a suo carico sanzioni amministrative.

85. I CONTRATTI DI LAVORO CON FINALITÀ DI FORMAZIONE E DI INSERIMENTO


85.1 GENERALITÀ - La formazione professionale può essere estranea ad un rapporto di lavoro subordinato
oppure può essere svolta all’interno dello stesso, la cui causa di scambio tra prestazione e retribuzione si ar -
ricchisce con l'obbligo formativo gravante sul datore di lavoro, distinto tra formazione interna e formazione
esterna. In quest'ultimo caso si configurano contratti a causa mista, regolati sia da una disciplina specifica
legale e collettiva, sia dalla normativa generale del lavoro subordinato. Nell’ambito di questi contratti, rien-
trano l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro. Si tratta di contratti riservati ai giovani e incenti-
vati da numerose agevolazioni per i datori in termini di riduzione del costo del lavoro, maggiore libertà di li -
cenziamento e di non computo di tali lavoratori nel numero dei dipendenti a cui è legato lo scatto di tutele
impegnative per il datore.
Il contratto di formazione e lavoro è stato abrogato per i privati dal d. lgs. 276/2003, utilizzabile solo dalle
PA, per cui il contratto principale con cui si persegue la finalità formativa è l’apprendistato.
85.2 L’APPRENDISTATO - L’apprendistato (disciplinato dal d. lgs. 81/2015) è un contratto di lavoro a tempo
indeterminato finalizzato alla formazione ed alla occupazione dei giovani. L'apprendista può essere assunto
anche da agenzie di somministrazione per essere avviato in esecuzione di un contratto di somministrazione
a tempo indeterminato.
Sono previsti 3 tipi di apprendistato:
1) per la qualifica e per il diploma professionale (la disciplina è rimessa alle Regioni),
2) apprendistato professionalizzante (la disciplina è dettata dai contratti collettivi),
3) di alta formazione e ricerca (è regolato da convenzioni tra datori e Università).
In linea generale, la disciplina dell'apprendistato è rimessa agli accordi interconfederali o ai contratti colletti-
vi nazionali, nel rispetto di principi fissati dalla legge.
Tra questi principi vi è la previsione della forma scritta ad probationem per il contratto e per il piano forma-
tivo individuale, un limite numerico (presso ciascuna azienda non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto
al numero dei lavoratori specializzati e qualificati; se il datore occupa meno di 10 dipendenti questo rappor -
to è ridotto al 100%), l'età degli apprendisti (nel contratto del 1° tipo soggetti che abbiano compiuto 15 anni
con un limite massimo di 24, per i contratti del 2° e del 3° tipo soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni),
la durata minima di 6 mesi ed una durata massima (di 3 o 4 anni per il 1° tipo, di 3 o 5 anni per il 2° tipo, una
durata massima fissata dalle Regioni per il 3° tipo).
La formazione dell'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale è rimessa alle Regioni. La forma-
zione dell'apprendistato professionalizzante è rimessa agli accordi interconfederali e ai contratti collettivi,
integrata dall'offerta formativa pubblica disciplinata dalle Regioni per un massimo di 120 ore nel triennio. La
disciplina dell'apprendistato per alta formazione, in assenza di regolamentazione regionale concordata con
sindacati e università, è rimessa a convezioni tra datori e Università.
In ogni caso, a tutela della finalità formativa dell’apprendistato, l’apprendista deve essere destinato solo ai
lavori attinenti alle specialità professionale da apprendere, mentre l’inquadramento contrattuale può avve -
nire fino a 2 livelli inferiori a quello corrispondente alla qualifica da conseguire. In alternativa, l’apprendista
viene inquadrato nella stessa qualifica, ma riceve una retribuzione inferiore.
Alla fine del periodo di apprendistato, il datore è libero di scegliere se mantenere in servizio il lavoratore con
un normale rapporto di lavoro o se licenziarlo ad nutum ex art.2118 cod. civ.
Ricordiamo infine che i vantaggi per il datore, in termini di sgravi contributivi, sono riconosciuti solo se il da-
tore adempie all’obbligo di formazione e se applica i trattamenti economici previsti dai contratti collettivi.
85.3 IL CONTRATTO DI FORMAZIONE E LAVORO (CFL) - Il CFL per i giovani, come detto, a seguito del d. lgs.
276/2003, può trovare applicazione solo nelle pubbliche amministrazioni, per giovani tra i 16 e i 24 anni,
elevabili a 29 per i laureati. Il CFL è concluso solo in base ad un progetto approvato in via amministrativa o
conforme a regolamentazioni collettive recepite dal Ministro del lavoro.
È un contratto a causa mista, poiché al classico scambio retribuzione-prestazione, si aggiunge l’obbligo for-
mativo del datore. È un contratto a termine, con libertà del datore di decidere, alla scadenza, se trasforma-
re il CFL in contratto a tempo indeterminato. È vietata la stipulazione di CFL per le stesse professionalità per
le quali l'impresa abbia in atto una sospensione di lavoro o abbia proceduto nei 12 mesi precedenti ad una
riduzione di personale e per i datori di lavoro che non abbiano effettuato la trasformazione in contratto a
tempo indeterminato di almeno il 60% dei CFL scaduti nel biennio precedente.
Vi sono 2 tipi di CFL:
- FORTE, riguarda l’acquisizione di professionalità elevate o intermedia, dura almeno 24 mesi, con
un formazione di almeno 80 ore per le professionalità intermedie e di 130 ore per quelle elevate,
gode di una riduzione dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro pari al 25% elevata al
40% per le imprese del settore commercio e turismo con meno di 15 dipendenti;
- LEGGERO, riguarda l’acquisizione di professionalità inferiori a quelle elevate o intermedie, dura al-
meno 12 mesi, con un formazione di almeno 20 ore, beneficia delle stesse riduzioni contributive del
tipo “forte”.
L'incentivo alla stipulazione di CFL consistente nella non computabilità dei lavoratori così assunti nell'organi-
co aziendale ai fini del raggiungimento della soglia numerica prevista per l'applicazione di disposizioni legali
o collettive è stato eliminato con riferimento alle importanti ipotesi di integrazione salariale, mobilità e li-
cenziamento individuale.
Entrambi i tipi devono essere stipulati in forma scritta, altrimenti il contratto si converte in contratto a tem -
po indeterminato. Questa conversione si verifica anche se il lavoratore assunto ha già la formazione richie -
sta o se risulta violato l’obbligo formativo.
Infine, i lavoratori assunti con CFL possono essere inquadrati in un livello inferiore a quello di destinazione e
ciò per ridurre il costo di lavoro (salario d’ingresso) e per incentivare la stipulazione di CFL.
85.4 IL CONTRATTO DI INSERIMENTO - Il contratto di inserimento, introdotto dal d. lgs. 276/2003, è stato
abrogato dalla legge 92/2012, lasciando in vita solo quelli stipulati fino al 31.12.2012. È un contratto a cau-
sa mista, poiché al classico scambio retribuzione-prestazione, si aggiunge la realizzazione di un progetto in -
dividuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavora-
tivo. Ciò per favorirne l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro. Vi possono accedere non solo
giovani dai 18 ai 29 anni, ma anche disoccupati oltre i 50 anni, disoccupati di lunga durata di età da 29 a 32
anni, donne di qualsiasi età residenti in aree con alto livello di disoccupazione femminile. È un contratto a
termine, da 9 a 18 mesi, con libertà del datore di decidere, alla scadenza, se trasformare il contratto di inse-
rimento in contratto a tempo indeterminato.
Gli si applica la disciplina del lavoro a termine, compresa la necessità della forma scritta, con indicazione del
progetto individuale concordato: in mancanza il contratto è nullo e tra le parti si costituisce un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato. Non si verifica tale conversione nel caso di gravi inadempienze del datore
nella realizzazione del progetto individuale: in tal caso, vi è una sanzione contributiva, nel senso che il dato -
re è obbligato a versare all’ente previdenziale il doppio della contribuzione risparmiata.
Il contratto di inserimento è incentivato da un punto di vista normativo sia con la prevista possibilità di in-
quadrare il lavoratore in una categoria fino a 2 livelli inferiore a quella corrispondente alla qualifica da con -
seguire sia con l'esclusione dal computo nell'organico aziendale ai fini della soglia dimensionale necessaria
per l'applicazione di tutele legali e collettive.
CAPITOLO 10 “Garanzie e tutele dei diritti del lavoratore”
90 Le garanzie per la realizzazione dei crediti del lavoratore
90.1 La rivalutazione monetaria e gli interessi - I crediti del lavoratore, dovuti a retribuzioni, indennità deri-
vanti da cessazione del rapporto, risarcimento danni subiti per licenziamento illegittimo, mancato versa-
mento di contributi previdenziali/assistenziali, ecc., godono di diverse garanzie, tra le quali quelle sulla riva -
lutazione e gli interessi. In materia, vi è una differenza di disciplina tra la disciplina ordinaria e quella lavori -
stica. La disciplina ordinaria, fissata dall’art. 1224 cod. civ., prevede che nelle obbligazioni che hanno per
oggetto una somma di denaro sono dovuti, dal giorno della mora, gli interessi legali (anche se il creditore
non prova di aver sofferto alcun danno) e, se il creditore dimostra di aver subito un danno maggiore, ad
esso spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi mo-
ratori. La disciplina lavoristica, invece, è stabilita dall’art. 429, c. 3, cod. proc. civ., secondo cui il giudice,
quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve de-
terminare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la
diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal
giorno della maturazione del diritto. La differenza tra le due discipline è evidente: nella disciplina lavoristica
il lavoratore è maggiormente tutelato rispetto ad un normale creditore, tanto che non occorre la prova del
maggior danno, automaticamente dovuto per la diminuzione del valore del credito causata dall’inflazione;
inoltre, è irrilevante sia la condotta del lavoratore sia il dolo e la colpa del datore di lavoro, il quale non po -
trebbe sottrarsi al pagamento del maggior danno provando una sua impossibilità incolpevole.
La tutela del lavoratore è rafforzata dal fatto che l’art. 429 comma 3 cod. proc. civ. si applica non solo alla
retribuzione, ma a tutti i crediti pecuniari di lavoro. Questo articolo si applica anche ai lavoratori subordinati
e ai pubblici dipendenti, oltre che ai crediti previdenziali. Tuttavia, una legge del 1991 ha imposto, per i cre-
diti previdenziali, il divieto di cumulo integrale tra interessi e rivalutazione. Attualmente, il cumulo integrale
di interessi e rivalutazione può applicarsi solo sulle retribuzioni dei dipendenti privati.
90.2 I privilegi - Il lavoratore trova la garanzia dei suoi crediti nel patrimonio del datore di lavoro (art. 2740
cod. civ.). Nell'ipotesi di insufficienza di tale patrimonio a soddisfare tutti i creditori, lavoratori e non, questi
concorrono tra loro paritariamente, salve le cause legittime di prelazione. "Quando si vendono i beni mobili
di un debitore per girare il ricavato ai creditori, tra i tanti creditori esistenti vengono preferiti per primi i la-
voratori con crediti di lavoro" (art. 2751 bis cod. civ.). In particolare, anche il datore, come ogni altro debito-
re, risponde, ex art. 2740 cod. civ., dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futu -
ri. Però, in base all’art. 2751 bis cod. civ., hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: le retribu-
zioni dovute ai prestatori di lavoro subordinato, tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del
rapporto di lavoro, nonché i crediti previdenziali e quelli derivanti da licenziamento illegittimo. Questo privi-
legio sui mobili pone il crediti di lavoro, al primo posto tra i crediti da soddisfare, essendo soddisfatte prima
soltanto le spese di giustizia.
90.3 Il Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto e le ultime retribuzioni - Se il datore non ha
beni sufficienti su cui il lavoratore può rivalersi, il lavoratore può fare affidamento su un Fondo di garanzia
istituito presso l'INPS e introdotto dalla legge 297/1982. Tale fondo è finanziato dai lavoratori e si sostituisce
al datore nel pagamento del TFR, dei crediti assistenziali e previdenziali, quando egli, essendo sottoposto ad
una procedura concorsuale non è in grado di pagarlo. Il Fondo deve pagare entro 60 giorni dalla richiesta ed
è surrogato di diritto nel privilegio del lavoratore sul patrimonio del datore di lavoro. In effetti, il Fondo su -
bentra nello stesso debito del datore di lavoro e quindi in un debito di natura retributiva. Se ne deduce un
vincolo di solidarietà tra datore e Fondo, con le relative conseguenze di diritto comune.
Questo Fondo, però, copriva solo il mancato pagamento del TRF e non degli altri crediti di lavoro, sicché il
nostro Paese venne condannato per tale inadempimento dalla Corte di Giustizia comunitaria ( 1991). L’anno
successivo, con decreto legislativo n.80/1992, la tutela è stata estesa anche agli altri crediti di lavoro, per gli
ultimi tre mesi del rapporto, e per una somma massima non superiore al triplo del trattamento di integra -
zione salariale. La garanzia non opera nel caso in cui il lavoratore interessato consegua redditi alternativi da
lavoro o previdenziali nel periodo immediatamente precedente o successivo alla fine del rapporto, ritenen-
dosi in questo caso insussistenti le condizioni di bisogno che giustificano l'intervento del Fondo.
90.4 Altre garanzie - Un’altra garanzia dei crediti del lavoratore riguarda l’omissione contributiva per l’assi-
curazione invalidità, vecchiaia e superstiti da parte di un datore di lavoro poi sottoposto a procedura con-
corsuale: i contributi omessi si considerano versati. Se l'omissione contributiva del datore di lavoro riguarda
altre forme di previdenza complementare, il lavoratore che abbia conseguentemente perduto la prestazione
ha diritto al versamento dei contributi omessi ad opera di un apposito Fondo di garanzia istituito dall'INPS e
finanziato con una parte del contributo di solidarietà dovuto dal datore di lavoro ai fondi pensione comple-
mentare.
Un'ulteriore garanzia si ha quando la legge, per aumentare le possibilità del lavoratore di essere pagato, pre-
vede una responsabilità solidale: considera obbligati al pagamento più soggetti in solido tra loro. Ciò, ad
esempio, avviene nel trasferimento d’azienda: il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i
crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Il lavoratore, a sua scelta, può consentire la libe -
razione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Lo stesso meccanismo è previsto per
gli appalti inerenti al ciclo produttivo: è prevista la responsabilità solidale dell’appaltatore datore di lavoro e
del committente, ora estesa anche al subappalto e alle ritenute fiscali. In tutti gli appalti, inoltre, coloro che,
alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio
possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla con-
correnza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.
Ricordiamo che, anche nella somministrazione di lavoro, l’utilizzatore del lavoro somministrato è solidal-
mente responsabile con l’agenzia di somministrazione, per il pagamento di retribuzioni e contributi.

92 Le rinunzie e le transazioni del lavoratore


92.1 La funzione della disciplina dell’art. 2113 cod. civ. - Per evitare che il lavoratore possa rinunciare ai
propri diritti e raggiungere accordi svantaggiosi solo perché condizionato dalla maggiore forza del datore,
oppure stipulare contratti individuali difformi dalle norme inderogabili dei contratti collettivi solo perché il
lavoratore non ne è a conoscenza (es. durata massima dell'orario di lavoro), l'art. 2113 cod. civ. prevede che
"le rinunce e le transazioni che hanno ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili della
legge o dei contratti collettivi, non sono valide", perciò gli accordi presi sono nulli e anzi vengono sostituiti
da quelle violate.
92.2 L’individuazione della rinunzia o della transazione - La rinunzia è un negozio unilaterale recettizio con
cui il titolare di un diritto lo dismette, mentre la transazione è un contratto con il quale le parti, facendosi
reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra
loro. Ogni rinuncia e transazione richiede che l’autore ne sia perfettamente consapevole. Inoltre l' art. 2113
cod. civ. dice anche che "l'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla data
di cessazione del rapporto oppure dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute
dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni possono essere impugnate con qualsiasi atto scrit-
to, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà".
A causa della eccessiva genericità e della scarsa consapevolezza del lavoratore, non possono costituire né ri-
nunce né transazioni, le cosiddette quietanze a saldo, documenti che il lavoratore firma (di regola alla ces-
sazione del rapporto di lavoro) dichiarando di aver ricevuto una certa somma (ratei di retribuzione, 13a
mensilità, ecc.), di ritenersi soddisfatto di ogni suo credito e di non aver più nulla a pretendere. Tali docu-
menti costituiscono solo una mera dichiarazione dell'avvenuto pagamento della somma indicata, quindi né
rinunce né transazioni, a meno che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od
obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di rinunciarvi o di transigere sui medesimi. È possibi-
le una rinuncia tacita, mediante comportamenti concludenti, ma non una transazione tacita: la transazione
deve essere stipulata in forma scritta.
92.3 L’oggetto della rinuncia e della transazione - In base al primo comma dell’art. 2113 cod. civ., le rinun-
zie e le transazioni sono solo quelle che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da dispo -
sizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi. Restano estranee al campo di applicazione
di questa disposizione le rinunzie e le transazioni relative a diritti la cui fonte è il contratto individuale. Inol-
tre, le rinunzie e le transazioni non possono avere ad oggetto diritti futuri. Non possono essere oggetto di
rinuncia i diritti alla contribuzione previdenziale, trattandosi di diritti di cui è titolare l’ente previdenziale.
92.4 L’onere di impugnazione tempestiva - L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, en-
tro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste
sono intervenute dopo la cessazione medesima. I 6 mesi vengono fatti decorrere dopo la cessazione del
rapporto lavorativo, perché il lavoratore potrebbe non aver avanzato l’impugnazione solo per timore di per-
dere il posto di lavoro. Le rinunzie e le transazioni, comunque, possono essere impugnate con qualsiasi atto
scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Il fatto stesso che le rinunce e
la transazioni illegittime siano impugnabili entro un certo lasso di tempo fa capire che esse non sono nulle,
ma annullabili; quindi la loro illegittimità-annullabilità non è rilevabile d’ufficio. Si può dire, allora, che i di-
ritti del lavoratore definiti indisponibili, sono invece diritti a disponibilità condizionata, nel senso che di essi
si può disporre con effetti che restano definitivi, in caso di mancata impugnazione nel termine di 6 mesi.
92.4. Le conciliazioni valide ab origine - Le rinunce e le transazioni, anche quando riguardano diritti indi-
sponibili del lavoratore, sono comunque valide se fatte nell’ambito di determinate conciliazioni. Si tratta del -
le conciliazioni raggiunte in sede giudiziale, in sede amministrativa innanzi agli appositi Collegi e Commis-
sioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro, in sede sindacale secondo le procedure previste dai
contratti collettivi, anche presso le sedi di conciliazione e innanzi al Collegio di conciliazione ed arbitrato co -
stituito liberamente tra le parti. Per la validità della conciliazione, è necessario però che il lavoratore sia ef-
fettivamente assistito e reso edotto di ciò che sta firmando, non essendo sufficiente la mera sottoscrizione
dei soggetti che devono garantirlo. Per questo motivo, la sola volontà del sindacato, in assenza di specifico
mandato o di specifica successiva ratifica del lavoratore, non è ritenuta idonea per la disposizione dei diritti
già maturati dal lavoratore.
92.6 L’impugnazione di diritto comune - Soprattutto nel caso in cui siano scaduti i 6 mesi per l’impugnazio-
ne ex art. 2113 cod. civ. oppure quando si tratta di conciliazione sottratta all'impugnazione speciale, il lavo-
ratore può avere interesse ad impugnare determinati atti inerenti i suoi diritti, avvalendosi dei rimedi di di-
ritto comune, come l’annullabilità del negozio per incapacità naturale o per un vizio della volontà.

93 La prescrizione
93.1 Prescrizione estintiva e prescrizione presuntiva - La prescrizione estintiva determina l’estinzione del
diritto se esso non viene esercitato per un dato lasso di tempo. Le retribuzioni periodiche sono soggette alla
prescrizione estintiva quinquennale, mentre le erogazioni una tantum (es: premio di fedeltà) soggiacciono
alla prescrizione decennale. Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive in 5 anni, ma se il
fatto costituisce reato con un più lungo termine di prescrizione si applica quest'ultimo anche all'azione civi-
le.
La prescrizione presuntiva determina, al decorrere di un certo lasso di tempo, la presunzione che il debitore
abbia eseguito il proprio adempimento e che quindi il credito sia stato soddisfatto. Le retribuzioni del lavo-
ratore sono sottoposte a prescrizione presuntiva annuale se hanno periodicità non superiore al mese e a
prescrizione presuntiva triennale se hanno periodicità superiore al mese. Sono escluse dalla prescrizione
presuntiva le indennità di fine rapporto.
93.2 L’oggetto della prescrizione - La prescrizione riguarda i diritti soggettivi perfetti, ma non i meri fatti, le
aspettative, i diritti indisponibili, le ferie o il riposo settimanale, né tutte le azioni di nullità (come quelle per
licenziamento discriminatorio). Sono, invece, sottoposte alla prescrizione quinquennale le azioni di annulla -
mento (es. annullamento di una transazione invalida).
93.3 La decorrenza del termine di prescrizione - La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il di-
ritto può essere fatto valere, quindi i diritti del lavoratore possono essere persi a causa di inerzia del loro ti-
tolare nel periodo di successiva prosecuzione del rapporto stesso. Per quanto riguarda le retribuzioni, per
evitare che il lavoratore possa subire il timore reverenziale nei confronti del datore durante il rapporto di la-
voro, la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto. Il timore reverenziale non sussiste nei rapporti di
lavoro dotati di stabilità (la quale è riscontrabile solo quando è riconosciuto al lavoratore il diritto all'elimi-
nazione degli effetti del licenziamento ingiustificato, con accertamento della persistenza del rapporto), co-
sicché in questi casi la prescrizione del diritto alla retribuzione può decorrere liberamente anche durante il
rapporto.
Nel lavoro privato non è più sostenibile che la prescrizione possa decorrere già in costanza di rapporto, poi -
ché la legge 92/2012, modificando l’art. 18 Stat. Lav., ha conservato la tutela reale solo per i casi tassativi di
ingiustificatezza qualificata prevedendo per la semplice ingiustificatezza una tutela solo indennitaria. Prima
della legge 92/2012, la Cassazione, rovesciando il precedente orientamento, era giunta ad affermare che il
lavoratore non avesse l’onere di provare che l’impresa avesse dimensioni tali da giustificare la tutela reale.
Invece, i compensi dei lavoratori autonomi si prescrivono normalmente nel corso del rapporto, in quanto
non possono essere assimilati alla retribuzione del lavoro dipendente.
La decorrenza della prescrizione estintiva ordinaria prevista per diritti diversi dalla retribuzione periodica, ri -
mane consentita durante qualsiasi rapporto anche privo di stabilità.
93.4 L’interruzione della prescrizione - La prescrizione è interrotta quando determinati eventi azzerano il
periodo di prescrizione, facendolo decorrere dall’inizio. In generale, la prescrizione è interrotta da ogni atto
stragiudiziale di costituzione in mora consistente in un'intimidazione scritta ad adempiere un determinato
debito. Vale ad interrompere la prescrizione la costituzione in mora sottoscritta dai rappresentanti del lavo -
ratore, la comunicazione al datore della richiesta del tentativo di conciliazione, la notifica del ricorso giudi-
ziale (in tal caso la prescrizione resta sospesa fino alla sentenza passata in giudicato).
L'azione di annullamento non riguarda l'adempimento di un debito, di conseguenza il relativo termine di
prescrizione non può essere interrotto mediante un atto stragiudiziale di costituzione in mora, ma solo dal -
l'introduzione in giudizio.
Dal punto di vista della prescrizione, l’interruzione della prescrizione costituisce eccezione rilevabile d’uffi -
cio.

94 La decadenza
94.1 La decadenza legale - La decadenza produce l’estinzione del diritto se nel termine previsto non viene
compiuto un determinato atto. A differenza della prescrizione, la decadenza si riferisce solo a specifici atti e
prevede termini più brevi per l’estinzione del diritto. La decadenza è legale se prevista dalla legge: si pensi
ai termini di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale e giudiziale del licenziamento, del trasferimento,
delle rinunce e transazioni ex art. 2113 cod. civ.
94.2 La decadenza convenzionale - È detta convenzionale la decadenza stabilita dalle parti. Essa, a pena di
nullità, non deve rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. I contratti collettivi prevedono clau-
sole di decadenza per alcuni diritti del lavoratore. La decadenza convenzionale veniva prima considerata dal-
la giurisprudenza come rinuncia tacita; ora, invece, questa disciplina viene considerata solo come un para-
metro di riferimento per la valutazione della congruità della decorrenza e durata del termine di decadenza
convenzionale in relazione alla tipica posizione di debolezza del lavoratore in costanza di rapporto.

95 La tutela giurisdizionale civile


95.1 Il problema della effettività della tutela giurisdizionale - La tutela dei diritti in giudizio può essere ef-
fettiva se è in grado di tutelare concretamente il diritto leso. In particolare, la tutela può essere specifica
quando il diritto viene ripristinato ed è garantita, quindi, la precisa realizzazione dell'interesse protetto, o
per equivalente quando la parte danneggiata non consegue il bene danneggiato, ma l’equivalente in denaro
come risarcimento del danno. Il risarcimento per equivalente si applica tutte le volte in cui il soggetto con-
dannato deve osservare degli obblighi di fare o non fare, che sono infungibili, ossia obblighi che solo uno o
più soggetti, e nessun altro, possono eseguire. L’infungibilità può essere materiale, se materialmente una
specifica prestazione può essere realizzata solo da un dato soggetto, o giuridica, se la prestazione, pur es-
sendo materialmente effettuabile anche da altri, è considerata dall’ordinamento come eseguibile solo da un
determinato soggetto. Nel nostro ordinamento l’effettività della tutela è garantita anche da misure coerciti-
ve indirette, ossia da sanzioni penali o amministrative, comminate al soggetto inadempiente.
Nel diritto del lavoro, il lavoratore ha una tutela specifica per i crediti retributivi e pecuniari, ma non per al -
cuni diritti a cui corrispondono obblighi infungibili del datore (es: obbligo di reintegro a seguito dell’accerta -
mento inerente l’illegittimità del licenziamento).
95.2 L’onere della prova - In base all’art. 2697 cod. civ., chi vuol far valere un diritto in giudizio deve prova-
re i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti o eccepisce che il diritto si
è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda. Per meglio tutelare il lavoratore quale
soggetto debole del rapporto, si prevede che il giudice del lavoro abbia ampi poteri di raccogliere prove an -
che d’ufficio, in assenza di richieste di parte. In particolare, il giudice del lavoro può disporre d'ufficio in
qualsiasi momento, anche fuori dai limiti del codice civile, l'ammissione di ogni mezzo di prova, nonché la ri-
chiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti.
95.3 Processo del lavoro, conciliazione, arbitrato - Uno dei riti speciali più importanti è senza dubbio quello
del lavoro, come confermano le tante riforme che lo hanno riguardato, nonché il fatto che molte norme del
rito del lavoro sono state estese anche a quello ordinario. Il giudizio è introdotto con ricorso al giudice, poi
notificato, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, al convenuto, che deve costituirsi almeno 10
giorni prima dell'udienza. Il fondamentale obiettivo da raggiungere è quello della celerità del processo. Lo
strumento tecnico indispensabile, ma da solo insufficiente, per la celerità del processo è costituito dalle pre-
clusioni, che impongono ad entrambe le parti di esporre all'inizio del procedimento tutte le rispettive do-
mande, eccezioni e richieste di prove, senza la possibilità di successive modifiche o integrazioni. In questo
modo il giudice conosce la causa prima dell'udienza, in cui può compiere l'interrogatorio delle parti ed il
tentativo di conciliazione, per poi procede in caso di mancata conciliazione all'istruttoria e alla decisione ne -
cessarie.
L'oralità è un valore garantito solo in primo grado, perché il giudice d'appello decide sulla base delle carte,
fissando il fatto attraverso la lettura dei verbali redatti e quindi senza alcun contatto con le parti che hanno
reso l'interrogatorio.
• Durante il processo di primo grado il giudice può emanare un'ordinanza esecutiva, non autonoma-
mente impugnabile, per il pagamento delle somme non contestate a favore della parte interessata
oppure, a favore solo del lavoratore, delle somme che ritiene spettanti nei limiti della prova già rag -
giunta.
• La sentenza completa di motivazione viene depositata successivamente e, se contiene un capo di
condanna, è provvisoriamente esecutiva ope legis.
• Nel giudizio d'appello è escluso lo ius novorum (diritto di proporre nuovi elementi), essendo stabili-
to che non sono ammesse nuove domande ed eccezioni, sicché le parti rimangono inchiodate sulle
posizioni che avevano assunto nel processo di primo grado.
• Il giudizio di cassazione si svolge con le regole del processo civile ordinario, ma è affidato all'apposi-
ta Sezione lavoro. Al fine di ridurre il contenzioso, per i contratti collettivi nazionali è previsto il
controllo diretto della Cassazione.
• In caso di fallimento dell'imprenditore, l'azione del lavoratore per la condanna al pagamento dei
crediti retributivi o risarcitori subisce la vis attractiva della procedura concorsuale, esclusa solo per
le domande di altro tipo.
• È possibile ricorrere alla tutela cautelare d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. per la protezione di
beni essenziali del lavoratore, esposti nelle more del processo ordinario ad un pregiudizio imminen-
te e irreparabile.
• L'esecuzione delle sentenze in materia di lavoro avviene secondo le norme del processo civile, sal-
va la competenza del giudice del lavoro per le opposizioni a precetto e per le opposizioni all'esecu-
zione e agli atti esecutivi.
• Il tentativo di conciliazione preventivo è facoltativo sia nel lavoro privato che in quello pubblico. È
obbligatorio solo per le controversie relative a contratti di lavoro certificati.
Le parti, in alternativa al ricorso innanzi al giudice ordinario in funzione del giudice del lavoro, possono ricor -
rere all’arbitrato. Con l’arbitrato, le parti decidono che le controversie tra loro insorte siano decise non dalla
giurisdizione dello Stato, ma da arbitri. L’arbitrato non è ammissibile in materia di lavoro, salvo che sia previ -
sto dalla legge o da contratti collettivi di lavoro. Ci sono, comunque, due tipi di arbitrato: rituale, che è disci-
plinato dal codice e si conclude con un lodo che ha gli stessi effetti di una sentenza, e irrituale, che consiste
nel chiedere ad arbitri una manifestazione di volontà negoziale che le parti si impegnano preventivamente a
far proprio.
95.4 Il risarcimento del danno alla persona del lavoratore - Nel contratto di lavoro, oltre al danno patrimo-
niale, è risarcibile anche il danno non patrimoniale, poiché sono coinvolti diritti inviolabili della persona del
lavoratore.
Tra i danni non patrimoniali risarcibili, ricordiamo il danno biologico (lesione psico-fisica indipendente dalla
capacità di lavoro) quantificato attraverso apposite tabelle, il danno morale soggettivo per la lesione della
dignità personale, il danno esistenziale per l’alterazione peggiorative delle abitudini di vita del lavoratore.

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